LA REPUBBLICA - martedì 14 novembre 2006 - AMBIENTE
Rapporto
del Wwf sugli effetti del riscaldamento globale tra i volatili di tutto il
mondo - "Senza interventi in alcune aree potrebbe scomparire il 72 per cento
della fauna"
Gli uccelli nella morsa del clima che
cambia - "A rischio decine di specie, anche in Italia"
Nel nostro paese la pernice bianca è minacciata
dalla scarsità di neve
La pernice bianca è tra le
specie italiane a rischio
ROMA - Se le oche del Campidoglio salvarono
Roma dai Galli, qualche decina di uccelli potrebbe salvare il mondo
dall'effetto serra. I volatili sono infatti tra le specie più sensibili ai
cambiamenti climatici e possono funzionare da vere e proprie "spie" per agire
prima che sia troppo tardi. A tracciare una mappa completa di come il
riscaldamento globale li sta minacciando è il Wwf in uno studio che prende in
esame più di 200 ricerche pubblicate su autorevoli riviste scientifiche che
hanno analizzato l'impatto del riscaldamento globale sulle specie di uccelli
nel mondo.
Il quadro che emerge da "Le specie di uccelli e i cambiamenti climatici: lo
status globale", è già molto allarmante. Malgrado siano tra gli animali più
rapidi e abili nell'adattarsi ai mutamenti dell'habitat, numerose specie di
uccelli sono già a rischio di estinzione. A smentire gli scettici che invitano
a non preoccuparsi perché il clima del pianeta è sempre stato variabile, è la
repentinità dei cambiamenti, troppo rapidi per permettere agli animali di
prendere le necessarie contromisure. Sbalzi che non sono più mossi solo dai
cicli naturali ma anche (e soprattutto) dalle attività umane. L'improvvisa
modifica dei delicati equilibri del sistema climatico, registrata negli ultimi
decenni, non consente a molte specie di mettere in atto nel tempo necessario
immediate strategie evolutive e di sopravvivenza.
"Gli uccelli sono sempre stati indicatori fondamentali dei cambiamenti
ambientali, quasi una sorta di termometro dello stato ambientale del pianeta -
afferma il direttore scientifico del Wwf Gianfranco Bologna - e questo
rapporto conferma che essi costituiscono un vero e proprio campanello
d'allarme rispetto ai cambiamenti del clima. Una robusta documentazione
scientifica dimostra che i cambiamenti climatici stanno influenzando il
comportamento degli uccelli. E' facile osservare, per esempio, che numerose
specie non compiono più i loro spostamenti migratori e che le modificazioni
climatiche, avendo importanti ripercussioni sulla dinamica naturale degli
ecosistemi rendono gli uccelli completamente disorientati".
"Alcune specie - spiega ancora Bologna - si sono
dimostrate estremamente sensibili, mostrando una precoce reattività al
riscaldamento globale. Purtroppo si potrebbero verificare estinzioni di massa
prima di quanto si pensi con effetti a cascata sugli interi ecosistemi e sulle
catene alimentari che li caratterizzano".
Le specie maggiormente a rischio, secondo quanto accerta lo studio
dell'associazione del panda, includono numerosi uccelli migratori, specie
montane, insulari, delle zone umide e marine, oltre a quelle delle regioni
artiche e antartiche. Il fenomeno non risparmia alcuna regione del mondo con
alcune popolazioni che si sono ridotte anche del 90% ed altre ormai che
incontrano serie difficoltà per la riproduzione. In Africa, per esempio, a
causa delle gravi siccità sono a rischio la coloratissima upupa e l'aquila
rapace; in nord Europa l'uria comune non trova più i pesci per nutrirsi a
causa del riscaldamento dei mari; il pulcinella dai ciuffi perde la sua
capacità riproduttiva in Canada; nel santuario naturale delle Galapagos, il
pinguino delle Galapagos non trova cibo a sufficienza a causa
dell'enfatizzarsi dei fenomeni climatici come il Niño.
I 3.000 esemplari di gru siberiane che ancora sopravvivono vedono il
progressivo restringersi della tundra, loro habitat naturale, e lo stesso
accade al pinguino imperatore dell'Antartico, dove il prolungamento del
"periodo caldo" ha causato un assottigliamento dei ghiacci e quindi
significative difficoltà per il suo ciclo vitale. Anche le nevi di alta quota
delle Alpi, sempre più ridotte in estensione, stanno per perdere la pernice
bianca, una specie che risente fortemente della riduzione delle aree innevate
sia in Italia come nel nord Europa, dove frequenta zone di tundra.
Nel rapporto sono anche esaminate le proiezioni degli impatti futuri, incluso
il rischio di estinzione: se il riscaldamento globale eccederà i 2 gradi
rispetto ai livelli preindustriali (attualmente siamo a +0,8), il tasso di
estinzione potrebbe essere del 38% in Europa e addirittura del 72%
nell'Australia nord-orientale.
Per evitare questo scenario catastrofico, il Wwf ribadisce che è necessario
produrre una rapida e significativa riduzione delle emissioni di gas serra. Al
momento il summit internazionale sul clima, in corso a Nairobi, sta cercando
senza grandi risultati di avviare la nuova trattativa per la seconda fase del
Protocollo di Kyoto prevista per il dopo 2012 con percentuali di riduzione
delle emissioni molto più significative delle attuali. Inoltre, sottolinea
ancora l'associazione ambientalista, è importante rivedere le modalità degli
interventi di conservazione e tutela, basati sulla protezione di specifiche
aree ad elevata biodiversità, perché i cambiamenti del clima spingeranno gli
uccelli in zone non protette.
IL CONSUMATORE -
il mensile dei soci COOP - n. 9 - NOVEMBRE 2006
Un pianeta da difendere
di Mario Tozzi - primo ricercatore Cnr - Igag e
conduttore televisivo
Ipocrisie ambientali
L’ordine pubblico, la
criminalità e certamente il rischio di guerre alle porte, oppure i servizi
sociali, sono tutti aspetti che preoccupano i lettori di questo mensile, ma –
incredibile a dirsi - il primo problema è diventato ora quello ambientale. Non
solo: quasi la metà dei lettori dice di avere cambiato i propri comportamenti
di vita proprio a causa di questa preoccupazione. Chi ha cominciato a
raccogliere i rifiuti in modo differenziato, chi riduce il consumo d’acqua,
chi - addirittura! - usa meno l’autovettura.
Sono senza parole, pensavo di
trovarmi di fronte il Paese dei blocchi stradali contro i rifiuti, degli
inquinatori mai puniti, dei palazzinari e dei costruttori abusivi, dei
fanatici delle SUV e della caccia nei parchi naturali. E, invece, mi trovo di
fronte cittadini esemplari che si preoccupano e si danno da fare per
migliorare l’ambiente. Mi dispiace ma non ci credo. E i numeri dello sfascio
ambientale e dell’arretratezza culturale dell’Italia stanno lì a dimostrarlo.
L’Italia è ancora il regno della
cementificazione del territorio che procede al ritmo forsennato di 150.000
ettari all’anno, è il regno delle costruzioni abusive (250.000 soltanto fra il
primo e il secondo condono edilizio, 1985-1995), del dissesto idrogeologico
causato dall’apertura di nuove strade, della compromissione del patrimonio
naturalistico a causa dell’espansione urbana, della caccia e di un malinteso
senso del turismo di massa.
Il sondaggio dice che in molti
hanno abbandonato l’auto privata. Ma dove? Quando? L’Italia è prima in Europa
per numero di autovetture circolanti: ci sono 2 auto ogni 3 abitanti per un
totale di quasi 35 milioni di automezzi; nel continente la media è di 43 auto
ogni 100 abitanti, da noi sono oltre 53. Inoltre gli italiani percorrono su
ruota più km che qualsiasi altro europeo, visto che siamo passati dai quasi
2.500 km all’anno del 1960 ai circa 15.000 di oggi, cosa che conferma come più
strade producano sempre e comunque un traffico maggiore. In Italia l’81% della
mobilità è soddisfatto dall’auto privata e il 76% delle merci viaggia su
camion, con un incremento spaventoso dalle 37.000 tonnellate per kilometro del
1960 alle oltre 200.000 di oggi. Tutto questo nonostante un cavallo vapore
terrestre trasporti circa 150 kg su gomma (uno ferroviario 500) e uno marino
fino a 4.000: lo svantaggio energetico di trasportare, per esempio, una
tonnellata di arance da Palermo a Genova via terra dovrebbe essere talmente
evidente da scatenare una corsa al cabotaggio di cui però non si registra
alcuna traccia. Però, l’Italia importa via mare il 70% delle sue merci: così
altri usano i nostri corridoi marini, mentre noi ci guardiamo bene dal farlo.
Costruire più strade per
alleviare il traffico è come allentare la cintura per curare l’obesità. Ma noi
siamo il Paese delle strade: 308.000 km di strada ufficiali, cioè 1 km lineare
per ogni kmq di territorio, cosa che si traduce nel traffico spaventoso che ben
sappiamo. Infine ce ne stiamo nelle nostre case in canottiera d’inverno e col
maglioncino di filo in estate, creando un clima artificiale che spreca e
inquina. Ma di quale Italia stiamo parlando?
IL PICCOLO -
MARTEDì, 14 NOVEMBRE 2006
Rifiuti «umidi», differenziata nel 2007
DUINO AURISINA Allo studio un
piano per la raccolta a parte dei residui organici
C’è da risolvere il problema dei cattivi odori sia nel
caso dei contenitori stradali sia nel ritiro porta a porta. Il compostaggio
previsto in un impianto di Moraro
Pross: «Partiremo con le mense, poi passeremo ai
privati»
DUINO AURISINA Sta partendo in questi
giorni, con una serie di riunioni e di incontri, il percorso che potrà portare,
non prima però del prossimo anno, la raccolta differenziata dei rifiuti
biologici, comunemente detti «umidi» anche a Duino Aurisina. Il protocollo
previsto dalla Provincia di Trieste infatti prevede che anche i comuni del
territorio si dotino il prima possibile di un sistema di recupero dei cosiddetti
rifiuti organici, ovvero resti di frutta, verdura, verde, ramaglie, e così via.
Proprio in occasione di un primo bilancio sull’andamento della raccolta
differenziata (limitata al momento a carta, plastica, alluminio e vetro) il
Comune aveva anticipato la sua intenzione di proseguire con l’ulteriore
differenziazione tra rifiuti organici e inorganici. E, come promesso, lo sta
facendo. «Già questa settimana muoveremo i primi passi per arrivare a breve a
delle proposte concrete – spiega l’assessore Giorgio Pross -. Da parte nostra,
c’è sicuramente la volontà sicuramente di migliorare la raccolta del verde, che
al momento viene garantita in tre zone, estendendola a tutto il territorio
comunale. E poi, di valutare appunto altre proposte, tra le quali quella della
raccolta dell’umido. Il primo passo sarà sicuramente quello di partire con le
realtà più complesse, come quelle che possiedono ad esempio un servizio mensa».
Una volta raffinato il tutto, si potrà partire anche con i singoli cittadini. La
cosa deve essere attentamente valutata, però, perché nei comuni dove la raccolta
differenziata è partita, ha creato qualche problema, sia quando si è realizzata
tramite cassonetti, sia con il porta a porta. Il problema, essenzialmente, sta
nel fatto che, soprattutto d’estate, i rifiuti in questione marciscono
rapidamente, e di conseguenza emanano un fastidioso odore. E sia i contenitori
stradali, che quelli da tenere in casa nel caso del sistema di porta a porta,
hanno creato qualche disagio agli abitanti. Tanto che in alcuni paesi si è anche
arrivati al referendum per abolire il nuovo sistema di raccolta. Per evitare
simili vicende anche a Duino Aurisina, il Comune vuole quindi attentamente
valutare le modalità di realizzazione. Che la differenziata debba essere
affinata è però anche una necessità economica, perché proprio il minor ricorso
agli inceneritori e allo stoccaggio dei rifiuti comporterebbe la possibilità di
mantenere intatta la tassa sui rifiuti.
«La Tarsu non può diminuire, ma solo rimanere stabile – spiega l’assessore
all’ambiente Gabriella Raffin – e, per il momento, non dovrebbe subire
cambiamenti anche perché siamo in attesa delle decisioni a livello nazionale che
potrebbero tramutare il pagamento da tassa fissa a tariffazione». Intanto, si sa
già che il Comune ha preso contatti, per lo smaltimento dell’umido, con
l’impianto di compostaggio di Moraro, che potrebbe ospitare i rifiuti organici
degli abitanti del territorio trasformandoli in compost. L’arrivo della raccolta
dell’umido era peraltro già stata anticipata dalla partenza della raccolta delle
ramaglie e del verde dei giardini, che avviene con contenitori situati ad
Aurisina centro, Sistiana, e Duino, mentre un altro centro di raccolta di sfalci
e ramaglie è già presente al Centro di raccolta del Comune, ed è aperto dal
lunedì al sabato dalle 9 alle 12 e dalle 13 alle 16. E, almeno finora,
l’adesione dei cittadini alla raccolta ha avuto un ottimo risultato. Tanto che
il Comune aveva appunto anticipato di voler ampliare il servizio anche ad altre
tipologie di rifiuti, come quelli biologici, e di voler prendere contatti con
Acegas per studiare il metodo migliore per la raccolta, cosa che appunto si sta
realizzando proprio in queste settimane.
Elena Orsi
Allarme ittico: scampi in via
di estinzione in Adriatico
L’Istituto di Spalato di oceanografia e pesca
punta il dito contro il depauperamento della biomassa
SPALATO Scampi, specie a rischio
d’estinzione nelle acque croate dell’ Adriatico. La conferma arriva da uno dei
massimi esperti croati in materia, Nedo Vrgoc, biologo marino dell’Istituto
spalatino di oceanografia e pesca. Il suo grido d’allarme non rappresenta
comunque una novità vista la situazione attuale che presenta pescherie sempre
più disertate dai pregiati crostacei, a differenza di quanto avveniva 15 e più
anni fa. Allora avevamo quasi quotidianamente sui banconi decine di cassette
brulicanti, con scampi di varia taglia e a prezzi (i triestini se lo
ricorderanno bene) veramente abbordabili.
Ora non è più così e la rarefazione del prodotto, dovuta ad uno sfruttamento
esasperato, ha dato luogo ad un costo che anche gli italiani ritengono salato.
Oramai gli scampi tipo astice raggiungono nelle pescherie della costa il
prezzo di 220–240 kune al chilogrammo (30–33 euro). «Negli anni 97 e 98 il
depauperamento della biomassa degli scampi si è fatto sentire in modo evidente
– spiega Vrgoc – attualmente il quadro si è stabilizzato, ma siamo ancora
lontani dall’affermare che il crostaceo è sulla via della ripresa. Il suo
spopolamento non dipende solo dalla pesca ma anche, ad esempio, dal
cambiamento della temperatura marina. Succede poi che, contemporaneamente al
calo del pescato degli scampi, aumentino invece le pescate di gamberi. In
questo momento sono proprio i gamberi l’ obiettivo principali dei pescatori
croati che calano le reti in mare aperto».
Se gli scampi stanno attraversando un periodo difficile (e dunque un periodo
di fermo biologico giungerebbe a fagiolo), neanche i pagelli - o «riboni» – se
la passano bene. Vrgoc, da anni alla testa di un team di studiosi che operano
ricerche per appurare la consistenza del patrimonio ittico lungo il versante
croato dell’ Adriatico, ha fatto presente che i bottini di pagelli sono ancora
abbastanza consistenti, ma a lungo andare la situazione è destinata a
peggiorare. Infatti, fino a 16–17 centimetri di lunghezza questo sparide è di
sesso femminile e quindi cambia sesso. Considerato che la pesca riguarda
soprattutto esemplari di taglia grande, ecco spiegato il pericolo. Sempre
parlando di specie pescate con reti a strascico, il nasello e la triglia di
fango stanno dimostrando di essere alquanto in salute, come pure il
moscardino.
a. m.
LA REPUBBLICA - lunedi' 13 novembre 2006
Dossier di Legambiente sui primi effetti del riscaldamento globale nel nostro
Paese
"Più
decessi per il caldo estremo, tornano malattie scomparse e ne arrivano di nuove"
Siccità, malaria e pesci tropicali: il clima in Italia sta
già cambiando
In concomitanza con la conferenza di Nairobi appello a
Prodi per un impegno maggiore
"Nella lotta contro le emissioni di gas serra serve un'inversione a U"
La desertificazione è una conseguenza dei cambiamenti
climatici che sta già colpendo l'Italia
ROMA - Quando si parla di cambiamenti climatici
spesso si pensa alle catastrofiche conseguenze che avremo di fronte alla fine
del secolo, ma i guai non arriveranno tutti insieme. L'aumento medio delle
temperature (in Italia dal 1986 +0,4 gradi al nord e +0,7 al sud) sta già
provocando un crescente numero di danni. Soprattutto nel nostro paese, delicata
terra di confine tra due diversi ambienti climatici: la zona temperata a
settentrione e quella subtropicale a meridione. Per questo è quanto mai urgente
agire il più in fretta possibile per contrastare il fenomeno.
A lanciare l'ennesimo allarme è stata oggi Legambiente, che in concomitanza con
la conferenza internazionale sul clima in corso a Nairobi, ha voluto illustrare
gli effetti già in atto. In Italia, ha ricordato il direttore generale
dell'associazione ambientalista Francesco Ferrante, "arrivano malattie importate
dall'Africa, animali e piante tropicali attaccano la nostra biodiversità, si
intensificano alluvioni e siccità, compaiono le prime aree semi-desertiche". "In
Europa - ha sottolineato ancora Ferrante - dovremmo essere i più pronti e
reattivi nello sforzo di riduzione delle emissioni di anidride carbonica, che
sono la causa principale di questi sconvolgimenti e che derivano in larga misura
dalla combustione di petrolio e gas nell'industria, nel settore residenziale,
nei trasporti e in particolare nel trasporto su gomma".
I segnali non sono però incoraggianti. "Finora - ha ricordato ancora il
direttore di Legambiente - siamo stati la 'maglia nera': dal 1990 le nostre
emissioni di anidride carbonica dovrebbero ridursi del 6,5% entro il 2012, ad
oggi sono cresciute di quasi il 15%. Serve una decisa conversione a U, il nostro
appello al governo Prodi è di consolidare e potenziare nei prossimi mesi i
positivi segni di svolta di questo inizio di legislatura". Legambiente ha quindi
fornito un quadro dettagliato delle trasformazioni già in atto in Italia.
Caldo anomalo. Il primo e più diretto danno
sanitario prodotto dai mutamenti climatici è legato all'aumento della mortalità
che si registra in occasione delle più acute ondate di calore. Nell'estate 2003,
quando da luglio a settembre la temperatura ha superato di 4/5 gradi la media
stagionale, in Italia si registrarono il 14,5% di decessi in più rispetto allo
stesso periodo dell'anno precedente.
Torna la malaria. Va poi aggiunto il pericolo rappresentato dal ritorno
di malattie che si ritenevano debellate e dall'arrivo di altre che in precedenza
il nostro clima relativamente fresco teneva lontane. Il primo caso è quello
della malaria. Nel 1970, l'Europa venne dichiarata dall'Oms area libera dalla
malaria. Negli ultimi anni si è registrata una recrudescenza di casi autoctoni,
per ora sporadici, concentrati in aree che fino a pochi decenni fa erano
altamente malariche. Questo ha fatto ipotizzare che una stabilizzazione degli
aumenti di temperatura potrebbe determinare anche nel nostro Paese una ripresa
endemica della malaria.
Nuove malattie. Per quanto riguarda le nuove patologie, sta invece
rapidamente crescendo il numero di casi italiani di leishmaniosi viscerale
umana, infezione trasmessa da piccolissimi insetti che per effetto dei mutamenti
climatici prolungano i periodi di attività e colonizzano territori finora
immuni. Fino al 1990 si registravano meno di 50 casi all'anno, dal 2000 i casi
annuali sono più di 150.
Anche il bestiame in pericolo. Anche nel campo delle patologie animali, i
mutamenti climatici stanno importando in Italia malattie tipicamente africane:
come la "lingua blu", infezione virale che colpisce tutti i ruminanti, presente
dal 2000 in Sardegna, nel Lazio, in Toscana, in Basilicata, in Sicilia, in
Calabria.
Alluvioni e siccità. Negli ultimi sessant'anni l'Italia è stata colpita
da sei grandi alluvioni autunnali: ben quattro concentrate negli ultimi quindici
anni. Sei sono stati anche i periodi di grave siccità (meno di 360 mm di
precipitazione media annua), quattro dei quali posteriori al 1990 (1993, 2000,
2001, 2003). L'intensificarsi degli eventi meteorologici estremi è proprio una
delle principali conseguenze attese dai mutamenti climatici.
Desertificazione. In Italia sta arrivando il deserto. Si stima che negli
ultimi vent'anni siano triplicati i fenomeni di inaridimento del suolo, legati
alla cementificazione e all'eccessivo sfruttamento agricolo del suolo, al
dissesto idrogeologico ma anche ai cambiamenti del clima: oggi oltre 10 milioni
di ettari, pari a un terzo del territorio nazionale, sono a rischio
desertificazione. Le regioni più colpite sono la Sardegna, la Sicilia e la
Puglia, dove oltre l'80% del territorio è interessato dal problema, ma la
desertificazione non risparmia nemmeno le regioni del centro-nord: in Emilia
Romagna quasi 700 mila ettari sono in pericolo (31% del totale), in Piemonte 500
mila (19%).
Pesci tropicali. Ormai il 20% delle specie di pesci
presenti nel Mediterraneo è "importata". Con il riscaldamento delle acque, sono
arrivate diverse nuove specie dal Mar Rosso, come il Pesce flauto e il Siganus
luridus. Altre specie immigrate sono i barracuda Sphyraena chrisotaenia e
Sphyraena flavicauda, vari tipi di ricciola, il granchio Percnon gippesi. Un
altro fenomeno in crescita è il rapido spostamento verso nord degli areali di
diffusione di specie indigene: per esempio l'Aguglia imperiale è sconfinata dai
suoi mari tradizionali (Ionio, basso e medio Tirreno) fino al Mar Ligure.
(13 novembre 2006)
IL PICCOLO
- LUNEDÌ, 13 NOVEMBRE 2006 -
Pagina 6 - Istria - Ambientalisti contro il Piano urbanistico
POLA Singolare iniziativa dell'Associazione
ambientalista Istria verde per richiamare l'attenzione della gente sul
reale pericolo di ulteriori colate di cemento e catrame sulle aree verdi.
Nel corso della notte, in sei punti dell'area urbana di Pola gli attivisti
hanno affisso dei pannelli recanti l'avvertimento «Pericolo! Al posto del
parco-un albergo». Ma non solo, con delle fasce di nylon hanno
contrassegnato il perimetro delle future costruzioni. Gli avvertimenti di
questo tipo sono sorti nel Parco Tito , vicino alla Capitaneria di porto,
nel Parco degli sposi a fianco del Tempio di Augusto a pochi metri da
piazza Foro, sul lungomare dove il Piano urbanistico generale prevede
l'abbattimento di pini per far posto a impianti sportivi, quindi a
Valsaline e nella zona soprastante il porticciolo sportivo Delfin.
Questi punti dunque, con il nuovo Piano urbanistico diventano aree
edificabili e la prospettiva ha fatto scattare la reazione degli
ambientalisti. La loro presidente Dusica Radojcic invita la popolazione a
non permettere alla giunta e al sindaco Boris Miletic di rendere operativo
il Piano urbanistico. E annuncia per la settimana prossima una conferenza
stampa sempre sullo stesso argomento.
p.r.
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IL PICCOLO -
DOMENICA, 12 NOVEMBRE 2006- pagina 9 - Regione
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Pertoldi: sui
biocarburanti servono nuovi incentivi |
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UDINE Incentivare
la produzione e il consumo di biocarburanti di origine agricola, al fine
di ridurre gli inquinanti contenuti nei carburanti tradizionali e per
essere in sintonia con la riforma della Politica agricola comune: è
l'obiettivo di una proposta di legge dell'Ulivo il cui iter è iniziato
ieri in commissione agricoltura della Camera, e che è stata resa nota dal
parlamentare friulano Flavio Pertoldi, che è tra i firmatari del testo.
«Il nostro paese - osserva Pertoldi - ha seri problemi di fabbisogno
energetico, come dimostrano i recenti blackout. Occorre pertanto
individuare tutte le iniziative idonee a favorire la produzione di
energia. E i problemi energetici - ha aggiunto - devono essere affrontati
tenendo presente la sostenibilità ambientale, privilegiando perciò le
fonti di energia rinnovabili che permettono la produzione di energia
pulita». Secondo Pertoldi, «l' agricoltura è in grado di portare un
contributo significativo, ma ciò sarà possibile solo se dispone di un
quadro normativo certo». |
IL GAZZETTINO -
DOMENICA, 12 NOVEMBRE 2006
CONGRESSO
FVG:
Legambiente punta il dito contro la
giunta regionale e sui rigassificatori dice sì, ma solo per un progetto
Udine -
L'innovazione è la foglia di fico che la giunta regionale mette davanti
ad ogni questione.
Legambiente
, al congresso che si è tenuto ieri a Premariacco, accusa il governo
regionale di scarsa attenzione all'ambiente e di mentalità riduzionista,
tendente a isolare e mitizzare singoli obiettivi di modernizzazione
(come la Tav o i rigassificatori) senza uno sguardo complesso sul
futuro. «La giunta Illy - ha detto la presidente regionale di
Legambiente
Elena Gobbi - ha assoggettato tutte le scelte politiche a logiche di
mercato e di competitività. La legge regionale di sostegno
all'innovazione dovrebbe partire da criteri selettivi: le imprese del
Fvg sono tra quelle che, a livello nazionale, consumano più acqua ed
energia e questo è sintomo di inefficienza. I piani di programmazione
regionale dovrebbero porre dei limiti d'uso delle risorse, ma questa
giunta non ha ancora redatto né il piano energetico, né quello della
mobilità (considerano il Corridoio 5 la panacea di tutti i mali) né
quello della gestione delle acque. Anzi, sembra che ci sia un tentativo
di svilire questi strumenti, che alla fine si ridurranno semplicemente
alla presa d'atto delle modifiche avvenute nell'idea tutta da dimostrare
che il mercato porti da sé lo sviluppo del sistema». La proposta di
Legambiente è di far
evolvere i settori strategici del sistema regione verso la soft economy,
con filiere produttive a basso impatto ambientale, prodotti di qualità e
uso intelligente e regolamentato delle risorse. L'energia, secondo
l'associazione, è infatti tra i nodi fondamentali da risolvere e
riemerge la discussione sul rigassificatore. «Il primo obiettivo di un
Per (Piano energetico regionale) deve essere il risparmio energetico -
ha detto Roberto Della Seta, presidente nazionale di
Legambiente
- Bisogna investire su impianti che consumino meno. All'interno di
quest'ottica, il rigassificatore è un progetto che noi accettiamo, ma
due non sono sensati. La giunta deve decidere quale fare e dove
posizionarlo: è una scelta politica che non può essere lasciata al
mercato». Un altro problema fondamentale è quello dei rifiuti
soprattutto nell'udinese. - Alessia Pilotto |
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IL PICCOLO -
SABATO, 11 NOVEMBRE 2006 - pagina 27 - Trieste
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DUINO AURISINA Dopo lo stop
al percorso di Trieste si teme per un allungamento dei tempi
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L’assessore Raffin: «Sappiamo
che l’interramento sarebbe la soluzione migliore, ma non è percorribile
nel breve periodo» |
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Mancato accordo tra i Comuni:
elettrodotto a rischio ritardi |
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DUINO AURISINA Non c'è accordo
tra le amministrazioni comunali di Trieste e Duino Aurisina sulla
questione del nuovo tracciato dell'elettrodotto che da Monfalcone dovrebbe
arrivare a Padriciano. Mentre il Comune di Duino Aurisina, circa tre mesi
fa, aveva dato parere positivo al progetto, la bocciatura da parte di
Trieste, risalente a qualche giorno fa, torna a confondere la questione e
rischia di comportare un allungamento dei tempi.
La commissione urbanistica del Comune di Trieste presieduta da Roberto
Sasco, infatti, ha bocciato il progetto proposto dalla Terna poiché non
prevede l'interramento dei cavi dell'alta tensione ma la realizzazione di
un percorso alternativo e un potenziamento della carica elettrica: Duino
Aurisina, tre mesi fa, pur conscia della situazione, aveva scelto di
accettare il non interramento dei cavi pur di veder spostato l'attuale
elettrodotto in tempi brevi, poiché in alcune zone - e in particolare a
Malchina e a Visogliano - la situazione è critica e alcuni piloni si
trovano praticamente adiacenti alle abitazioni, con gravi disservizi e
rischi per la salute per la popolazione residente, alle prese con scariche
elettriche indotte dai fulmini ogni volta in cui un forte temporale si
abbatte sulla zona.
Una scelta discorde - nonostante il comune di Duino Aurisina abbia chiesto
alla Terna l'interramento, non avendolo almeno in parte ottenuto a causa
del passaggio, nella zona, del metanodotto - che rischia in qualche modo
di allungare i tempi di spostamento dell'attuale rete dell'energia
elettrica, attesa già per il prossimo anno sulla base delle ipotesi
formulate dalla società erogatrice del servizio, dopo che
l’amministrazione di Duino Aurisina aveva in velocità dato parere positivo
al progetto, pur sottolineando alcuni dettagli non ancora chiari.
Tra l'altro, vista la situazione molto critica (sono molti anni che i
residenti della zona chiedono una soluzione) il comune di Duino Aurisina
aveva richiesto alla Terna di avviare i lavori prima nel Comune di
pertinenza che negli altri territorio del Carso isontino e triestino, ma
c'è da pensare che il parere negativo di Trieste possa in qualche modo
influire anche sulla parte di progetto di Duino Aurisina.
«Siamo ben consci - aveva dichiarato al momento dell'approvazione
l'assessore comunale Raffin - che l'interramento sarebbe la soluzione
migliore, ma purtroppo ci rendiamo conto che non è una soluzione
percorribile nel breve periodo. Visti i disagi vissuti dai nostri
concittadini preferiamo lo spostamento della linea aerea così come
concordato con la Terna, piuttosto che tempi troppo lunghi per la
realizzazione di un progetto di interramento al momento per nulla certo».
Ma la posizione di Trieste, volta a tutelare il paesaggio e l'ambiente
carsico che ricade sotto la propria giurisdizione rischia in qualche modo
di modificare il panorama generale in cui la Terna si muove per la
realizzazione dell'infrastruttura, e penalizzare quindi ancora una volta i
residenti di Duino Aurisina.
Francesca Capodanno |
IL PICCOLO -
SABATO, 11 NOVEMBRE 2006 - Pagina 27 - Trieste
VAL ROSANDRA Domani i ciclisti
in via Orlandini per fare il punto sui nodi ancora da risolvere
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Pista ciclabile, la Ulisse-Fiab
sollecita i lavori |
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TRIESTE La pista ciclabile
della Val Rosandra non è ancora terminata. Il completamento dei lavori,
che proseguono da sette anni, sarà sollecitato domani dalla Ulisse-Fiab,
l’associazione di cicloturisti e ciclisti urbani che quest’anno festeggia
il suo decimo compleanno.
Alle 12.30 in via Orlandini, dove sorge il centro servizi della pista
ciclopedonale, la Ulisse-Fiab cercherà di richiamare l’attenzione sul
completamento dei lavori. Un appuntamento a cui sono stati invitati i
vertici della Provincia, che durante l’amministrazione Scoccimarro ha
iniziato il completamento dell’ultimo lotto, e anche quelli del Comune.
«Chiediamo a coloro che hanno in carico la realizzazione della pista
ciclabile - si legge in una nota della Ulisse-Fiab - di resocontarne lo
stato dei lavori».
Un sorta di sopralluogo assieme agli amministratori di palazzo Galatti con
la presidente Maria Teresa Bassa Poropat in testa - nel caso aderiscano
all’iniziativa - sullo stato di fatto e gli intoppi che impediscono il
completamento dell’ultimo tratto del pista ciclopedonale. Il nodo
principale resta la passerella da realizzare all’altezza dell’ospedale
Burlo Garofolo; una questione ancora in sospeso a causa delle trattative
in corso con l’Azienda sanitaria. L’anno scorso il Burlo chiedeva una
contropartita economica, dall’amministrazione Scoccimarro arrivò la
proposta di compensare l’area con la realizzazione di un parcheggio.
«Il percorso con il Burlo è certo, le altre problematiche aspettano invece
una serie di verifiche», dice Mauro Tommasini, assessore ai Lavori
pubblici. Bisogna spostare due depositi: quello degli autoveicoli
sottoposti a sequestro giudiziario sulla via Campanelle e un altro di
materiale edile. Una delibera del Comune prevede che il deposito di
autoveicoli si trasferisca a Muggia nell’area dell’ex macello.
Accanto alla sistemazione e pulizia del sedime, dalla partenza di via
Orlandini fino alla stazione di Sant’Antonio in Bosco, rimane da mettere
in sicurezza il viadotto di via Corgnoleto. «In questo momento non abbiamo
certezze sui tempi di realizzazione. Entro l’anno alcuni tratti della
pista ciclopedonale - dice Tommasini - saranno comunque terminati con
l’asfaltatura».
L’iniziativa di domani della Ulisse-Fiab sarà preceduta questa mattina da
una biciclettata sulla Parenzana - da Rabuiese a Portorose - con
l’adesione di ciclisti del Nordest. Un appuntamento ludico accanto a
quello politico in via Orlandini per chiedere a che punto sono i lavori.
Un cavallo di battaglia dell’associazione che da anni collabora con le
amministrazioni locali - redazione del piano della viabilità provinciale e
Settimana Europea della mobilità dell’anno scorso con il Comune - alla
ricerca della sicurezza dei ciclisti e la possibilità di avere, laddove è
possibile, strade dedicate alle biciclette.
p. c. |
IL PICCOLO -
SABATO, 11 NOVEMBRE 2006 - Pagina 24 - Trieste
L’Arpa «disegna» la mappa
dell’elettrosmog: a Conconello sforata la soglia d’attenzione
|
|
C’è un solo sito nel Comune di
Trieste in cui si il campo elettrico è superiore al valore di attenzione
di 6 Volt/metro, fissato per legge dove la permanenza delle persone supera
le 4 ore giornaliere.
Il sito è quello di Conconello, in via Bellavista, in cui numerose
stazioni radio e Tv hanno contribuito a portare la media del campo
elettrico a 7,92 V/m. In altri due punti, a Barcola e sulla Strada del
Friuli, si sono raggiunti livelli pari al 50% della soglia di attenzione,
rispettivamente con 2,56 e 3,02 V/m. In altri 22 siti i livelli del campo
elettrico sono ben inferiori ai 2 V/m.
I dati sono il risultato dell’indagine che l’Arpa ha volto in
collaborazione con il Comune, nell’ambito del protocollo con la Fondazione
Bordoni per una rete di monitoraggio del campo elettromagnetico nella
regione.
La campagna di monitoraggio nel territorio comunale, iniziata il 20
dicembre 2005, si è conclusa il 27 settembre scorso e ha interesato 25
siti, dove il campo elettrico è stato misurato in continuo per periodi
variabili tra una settimana e due mesi.
Questo il dettaglio dei siti principali.
Via Bellavista-Conconello Nel raggio di 100 metri due impianti
radiotelevisivi e due di radiodiffusione; tra i 100 e i 200 metri un
impianto di radiodiffusione; tra i 200 e i 500 metri, due impianti
televisivi, altri due da realizzare o in riconfigurazione, due stazioni
radiobase da realizzare o in riconfigurazione e un impianto di
radiodiffusione. Massimo del campo elettrico 8,65 V/m, minimo 7,15.
Via Campo Marzio-Museo del mare Tra 200 e 500 metri, una stazione
radiobase da realizzare o in riconfigurazione e tre stazioni realizzate.
Altre 12 antenne per cellulari in un raggio di 800 metri. Massimo del
campo elettrico 1,65 V/m, minimo 0,81.
Castello di San Giusto Tra i 200 e i 500 metri, sette stazioni
radiobase e tre da realizzare o in riconfigurazione. In un raggio di 800
metri altre 17 stazioni radiobase, due impianti televisivi e uno di
radiodiffusione. Massimo del campo elettrico 2,43 V/m, minimo 0,72.
Via Felluga-campo sportivo Un impianto di radiodiffusione e un
stazione radiobase da attivare o in riconfigurazione tra i 200 e i 500
metri. Massimo del campo elettrico 1,65 V/m, minimo 0,50.
Prosecco-San Nazario Tra i 100 e i 200 metri una stazione radiobase,
tre stazioni tra i 200 e i 500 metri. Massimo del campo elettrico 1,33
V/m, minimo 0,50.
Palazzetto di Chiarbola Una stazione radiobase da realizzare o in
riconfigurazione entro 100 metri, e un’altra tra i 100 e i 200 metri. Tra
i 200 e i 500 metri: una stazione radiobase da realizzare o in
riconfigurazione, una stazione realizzata e una microcella. Massimo del
campo elettrico 2,25 V/m, minimo 0,50.
Opicina-Campo Romano Tra i 100 e i 200 metri, due stazioni radiobase e una
da realizzare o in riconfigurazione. Massimo del campo elettrico 1,86 V/m,
minimo 0,50.
Prosecco-asilo Una stazione radiobase entro 100 metri, altre tre fra i
100 e i 200 metri. Massimo del campo elettrico 0,78 V/m, minimo 0,50.
Via Flavia-Palatrieste Due stazioni radiobase e due da realizzare o in
riconfigurazione tra i 200 e i 500 metri. Massimo del campo elettrico 5,27
V/m, minimo 0,50.
Canal Grande-Palazzo Gopcevic Tra i 100 e i 200 metri una stazione
radiobase e una da realizzare o riconfigurare. Tra i 200 e i 500 metri,
quattro stazioni e altre sei da realizzare o riconfigurare. Massimo del
campo elettrico 6,08, minimo 0,50.
Barcola-Circolo canottieri. Due stazioni radiobase entro 100 metri,
una tra i 200 e i 500 metri. Massimo del campo elettrico 8,19 V/m, minimo
0,50.
Prosecco-asilo via San Nazario Una stazione radiobase entro 100 metri,
e tre fra i 100 e i 200 metri. Massimo del campo elettrico 0,50 V/m,
minimo 0,50.
Opicina-scuola piazzale Monte Re Una stazione radiobase tra i 100 e i 200
metri, e una da realizzare o in riconfigurazione tra i 200 e i 500 metri.
Massimo del campo elettrico 0,51 V/m, minimo 0,50.
Via dei Giardini Una stazione radiobase da realizzare o in
riconfigurazione tra i 100 e i 200 metri. Tre stazioni realizzate e una da
realizzare o in riconfigurazione tra i 200 e i 500 metri. Massimo del
campo elettrico 0,58 V/m, minimo 0,50.
Via del pane bianco-scuola materna Cinque stazioni radiobase
realizzate e due da realizzare o in riconfigurazione tra i 200 e i 500
metri. Massimo del campo elettrico 0,83 V/m, minimo 0,60.
Passeggio Sant’Andrea-piscina Due stazioni radiobase realizzate e una
da realizzare o in riconfigurazione tra i 100 e i 200 metri. Due stazioni
realizzate tra i 200 e i 500 metri. Massimo del campo elettrico 0,67 V/m,
minimo 0,50.
Strada del Friuli Una stazione radiobase entro 100 metri. Massimo del
campo elettrico 3,29 V/m, minimo 2,70.
Via Puccini-scuola materna Tre stazioni radiobase fra i 200 e i 500 metri.
Massimo del campo elettrico 0,58 V/m, minimo 0,50.
Via Diaz-Museo Revoltella Una stazione radiobase entro 100 metri, una tra
i 100 e i 200 metri, quattro e una da realizzare o in riconfigurazione tra
i 200 e i 500 metri. Massimo del campo elettrico 1,89 V/m, minimo 1,50.
Ospedale Burlo Garofolo Tra i 200 e i 500 metri, cinque stazioni radiobase,
una microcella e due stazioni di realizzare o in riconfigurazione. Massimo
del campo elettrico 0,68 V/m, minimo 0,50.
Via Franca Una stazione radiobase entro 100 metri. Tra i 200 e i 500
metri, sette stazioni e una da realizzare o in riconfigurazione. Massimo
del campo elettrico 1,77 V/m, minimo 1,29
I
controlli dell'ARPA |
IL PICCOLO -
VENERDÌ, 10 NOVEMBRE 2006 - Pagina 25 - Trieste
Ambientalisti contro il
testo - Wwf all’attacco: «Piano regolatore, solo speculazione» |
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Wwf e Italia Nostra vanno
all’attacco del piano regolatore della città, «che risponde esclusivamente
agli interessi del mondo della speculazione immobiliare», e chiamano a
raccolta i cittadini, attraverso una petizione.
Lo hanno annunciato ieri Dario Predonzan e Carlo Della Bella, responsabili
locali del Wwf e Giulia Giacomich, presidente della sezione triestina di
Italia Nostra. «Questo piano – ha spiegato Predonzan – è stato approvato a
suo tempo dalla maggioranza di centrosinistra, guidata da Riccardo Illy, e
non è stato modificato dal centrodestra, che governa oramai da anni la
città. Questo sta a significare – ha aggiunto – che gli interessi
eccellenti che stanno alla base delle scelte fatte sono troppo forti per
poter essere messi in discussione. È giunto perciò il momento di attivarci
noi ambientalisti – ha precisato – gli unici ai quali stanno a cuore le
sorti dell’equilibrio paesaggistico di Trieste. Per questo chiamiamo
all’appello quanti vogliono che la nostra città non sia completamente
coperta dal cemento. Raccoglieremo le firme necessarie e le presenteremo
alle competenti autorità – ha concluso – chiedendo con forza una variante
al piano regolatore, che modifichi le previsioni di nuove edificazioni».
La Giacomich ha evidenziato che «la variante deve ispirarsi a criteri di
sostenibilità ambientale, con particolare attenzione alla tutela dei
corridoi ecologici nelle porzioni di territorio di pregio naturalistico».
Wwf e Italia Nostra lamentano poi il fatto che «nel corso di tutte le
ricognizioni fatte, gli ambientalisti sono sempre stati accuratamente
lasciati in disparte, per permettere ai pubblici amministratori di
soddisfare le esigenze del mondo della speculazione edilizia».
Predonzan, Della Bella e la Giacomich hanno poi evidenziato che «hanno
aderito all’iniziativa numerosi comitati spontanei, sorti in varie parti
della città negli ultimi mesi, proprio perché appare evidente la volontà
di cementificare anche le aree di maggior pregio paesaggistico,
cancellando ovunque il poco verde rimasto».
Ieri, all’incontro con la stampa, erano presenti esponenti di alcuni di
questi comitati. L’appello è stato comunque accolto dai residenti di Campo
Marzio, via Belpoggio, androne Santa Tecla e Sant’Eufemia, dai comitati «Cedassamare»,
«Salviamo via del Pucino e via Plinio», «Per la tutela di Barcola», di
Gretta, Roiano, viale XX Settembre, per la difesa del giardino di via
Flavia, dall’Associazione «Il Capofonte». Gli ambientalisti hanno infine
sottolineato che «il principio al quale i pubblici amministratori devono
uniformarsi, quando operano le scelte che riguardano il futuro assetto
della città, deve essere quello dell’urbanistica partecipata». |
IL PICCOLO -
VENERDÌ, 10 NOVEMBRE 2006 - Pagina 21 - Trieste
|
Smog, sforano le polveri
sottili in via Carpineto e piazza Libertà |
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DATI ARPA |
Nuovi sforamenti nei valori delle polveri sottili
nell’aria Nella giornata di mercoledì, le centraline dell’Arpa hanno
evidenziato livelli di Pm10 superiori alla soglia massima giornaliera
consentita pari a 50 mg/m3 (microgrammi per metro cubo).
La concentrazione più alta, pari a 100 mg/m3 è stata registrata in via
Carpineto. Superiori alla soglia massima anche i livelli di Piazza Libertà
( 64 mg/m3) e via Svevo (74 mg/m3).
La situazione non è destinata a migliorare a breve. Per i prossimi giorni,
infatti, non sono previste precipitazioni, ma condizioni di cielo sereno o
poco nuvoloso con venti moderati. L’amministrazione comunale, che
provvederà nelle prossime sere al lavaggio notturno delle strade, invita
la cittadinanza a limitare l’uso di automobili e motorini.
|
Ho letto sulle segnalazioni
del 31 ottobre la seconda puntata dello scambio di opininioni tra il
signor Scrocco del Comitato per la salvaguardia del Golfo di Trieste e il
professor Santoro di Legambiente. Il primo nega la necessità dei
rigassificatori e teme che Santoro sia a favore, almeno per quello sulla
terraferma. In più Scrocco paventa una spaccatura del fronte
ambientalista, tanto da preferire in questo caso di «soffocare nel
silenzio questo argomento».
Sono perplesso. Sembra un duello in punta di fioretto in cui si perde di
vista il problema della produzione di energia il più possibile pulita per
sottolineare invece interessi di rappresentanza. Strana Italia. Gli
ecologisti francesi plaudono alla Tav, i nostri tentano di bloccarla; in
Campania l’ostilità ai termovalorizzatori (pudica definizione per
inceneritori) vede la sconvolgente convergenza di ambientalisti e camorra;
i rifiuti radioattivi paiono stare meglio in superficie che a 200 metri di
profondità; la centrale di Monfalcone preferisce il carbone che
evidentemente, anni fa, quando era possibile scegliere, è stato valutato
più pulito del gas. Resta l’eolico, ma Italia Nostra si oppone per la
conseguente distruzione del paesaggio. Il solare va bene finché non c’è:
voglio vedere l’accettabilità quando vaste superfici dovessero essere
ricoperte da lastre traslucide. Del nucleare neanche parlarne, ma tanto lo
acquistiamo a caro prezzo dai nostri vicini. Consoliamoci tuttavia perché
il tempo risolve tutti i problemi: anche il gas finirà tra qualche
decennio e quindi non conviene neppure pensarci.
Nel frattempo cosa fare? Polemizzare naturalmente, poi risparmiare (è
facile risparmiare quello che non c’è...), poi fondare nuovi comitati.
Per favore, datemi un’Associazione di ambientalisti capace di un
intelligente compromesso. Probabilmente mi ci iscriverei subito.
Claudio Poropat
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IL PICCOLO
- GIOVEDÌ, 09 NOVEMBRE 2006 - Pagina 32 - Trieste
Ho letto su Segnalazioni l’amara lettera della
signora Alena Bevilacqua su quanti da anni non fanno niente per mettere
fine a quel mostro inquinatore della Ferriera, di conseguenza mi sorge una
domanda. A Piombino, chissà perché e come, hanno chiuso la cocheria, di
conseguenza quella produzione che viene a mancare dove pensate che la
produrranno? Ma è ovvio, a Servola, visto che Lucchini non più tardi di
ieri sera al nostro Tg ha fatto dire che intende incrementare la
produzione, tanto dirà a Trieste faccio i miei porci comodi, e se gli
opereai che vi lavorano, i cittadini di Servola e dintorni crepano di
malattie polmonari, chissenefrega!
Gli altri devono solo tacere e subire. Inoltre vorrei dire a tutti quei
sapientoni che dicono che la Ferriera c’era prima che attorno costruissero
delle case, ma vi rendete conto delle castronerie che dite? Vi siete resi
conto che nel frattempo sono passati 100 anni, ripeto 100 anni, a questo
punto secondo un vostro ragionamento dovrebbero rimettere le locomotive a
vapore, tornare con la benzina super e non verde, togliere a tutte le auto
la marmitta catalitica, e così via, ma siccome tutto questo non esiste più
per ovvi motivi (l’inquinamento) non vedo perché sua eccellenza la
Ferriera non si deve adeguare alle nuove norme. La gentile signora
Bevilacqua ha lanciato l’ottima idea di intervenire presso il tribunale
europeo, pregherei la suddetta di spiegarci come fare, e soprattutto se
occorrono più firme.
Franco Castiglione
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LA REPUBBLICA
- mercoledì 8 novembre 2006 -
ESTERI
L'ambientalista africana ha avanzato la sua proposta
al vertice Onu di Nairobi sul clima
L'iniziativa permetterebbe di "catturare" 250 milioni di tonnellate di CO2
"Salviamo la Terra con un miliardo di alberi" La
proposta del premio Nobel Maathai
L'idea è sostenuta dalle Nazioni Unite: "Avremmo
tutti da guadagnarci"
Wangari Maathai presenta la sua iniziativa
NAIROBI - Piantare un miliardo di alberi nel
corso del 2007 per aiutare il pianeta a evitare un collasso da anidride
carbonica. Ad avanzare la proposta, a margine della conferenza
internazionale sui cambiamenti climatici in corso a Nairobi, è il premio
Nobel per la pace Wangari Maathai. L'ambientalista africana, premiata con il
riconoscimento della Fondazione di Oslo per la sua battaglia per il
rimboschimento dell'Africa, è convinta che per quanto ambizioso, si tratti
di un progetto fattibile.
"Chiunque - ha spiegato - può scavare una buca, metterci dentro un albero e
poi innafiarlo, prendendosi cura che non muoia. Nel mondo siamo sei miliardi
di persone e se anche solo una ogni sei piantasse un albero l'obiettivo
sarebbe raggiunto".
Maathai, 66 anni, nativa del Kenya, ha vinto il Nobel nel 2004 proprio
grazie a un'iniziativa simile lanciata in Africa dal Green Belt Movement che
ha combattuto desertificazione ed erosione del suolo piantando circa 30
milioni di alberi. Un impegno che ha contribuito a contrastare la povertà e
a disinnescare potenziali conflitti per l'accaparramento di materiali da
costruzione e legna da ardere.
La proposta di Wangari Maathai ha trovato consensi tra i delegati riuniti a
Nairobi. Achim Steiner, direttore del programma delle Nazioni Unite per
l'ambiente, ha ricordato come spesso le discussioni in corso in questi
vertici internazionali appaiano dall'esterno di difficile comprensione e
producano dei risultati solo molto lentamente. "Ma mentre i governi portano
avanti i loro negoziati - ha spiegato - i cittadini possono agire e piantare
alberi è un modo di agire che può dare solo benefici, come pochi altri sono
in grado di fare".
Riuscire nell'impresa di piantare un miliardo di
alberi, ha spiegato ancora Steiner, porterebbe a un assorbimento di circa
250 milioni di tonnellate di anidride carbonica responsabili
dell'innalzamento delle temperature. Una quota piccola, ma non trascurabile,
se si calcola che l'Europa stando al Protocollo di Kyoto dovrebbe ridurre
entro il 2012 l'8% dei suoi 35 miliardi di tonnellate di anidride carbonica
prodotti annualmente. Complessivamente si calcola che la deforestazione
selvaggia in corso soprattutto in Asia, Africa e America Latina contribuisca
per circa un quinto all'aumento dei gas serra. Al di là del sostegno dato a
parole, l'Onu non ha però intenzione di finanziare il progetto del premio
Nobel.
ARGONAVIS, 08 NOVEMBRE 2006
Alghe: segnalazione di una specie tossica nel golfo di Trieste
IL PICCOLO -
MERCOLEDÌ, 08 NOVEMBRE 2006 - Pagina 20 - Trieste
Parcheggi, un piano da seimila
posti - In Foro Ulpiano 450 stalli in più. Altre 486 auto sotto la
Stazione Marittima |
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Il progetto degli uffici
comunali andrà ora approvato dalla giunta. Ventotto nuove strutture, di
cui molte interrate, tra centro e periferia
Ventotto nuovi parcheggi disseminati tra il centro e
la periferia, tutti almeno parzialmente interrati, per un totale di 5.990
posti macchina. Il più capiente, per ben 724 automobili, è il primo che si
incomincerà a costruire: è quello sotto il colle di San Giusto dove le
operazioni di scavo partiranno nel marzo del prossimo anno. Il più
piccolo, per 75 posti soltanto, sarà realizzato a San Vito, tra le vie
Tigor e Cereria.
Sono queste le linee riassuntive del «Piano urbano parcheggi» redatto
dagli uffici del Comune in base alle indicazioni dell’assessore alla
mobilità Maurizio Bucci, che nei prossimi giorni la giunta comunale dovrà
approvare e che sarà anche portato all’atenzione dei capigruppo delle
forze politiche presenti in Consiglio. Una presentazione pubblica già
programmata è stata fatta slittare a fine mese poiché in questi giorni i
tecnici del Comune e quelli della Regione si stanno incontrando per
definire la Vas, Valutazione ambientale strategica, documento reso
obbligatorio dalle più recenti normative del Friuli Venezia Giulia.
Tra i parcheggi previsti in centro, oltre a quello al quale si accederà
dalla via del Teatro Romano, il raddoppio con 450 posti in più di quello
già esistente in foro Ulpiano davanti al Palazzo di giustizia. Tutta via
Giustiniano diverrà zona pedonale (spariranno logicamente i parcheggi di
superfici) e verrà creata una sorta di piazza rettangolare con una fontana
al centro. Due i parcheggi già inseriti nel Piano che verranno realizzati
sul waterfront: il primo, per 486 posti, sorgerà davanti alla Stazione
marittima, il secondo sarà realizzato successivamente dinanzi alla
Capitaneria di porto. È ancora in via di valutazione invece il terzo
parcheggio previsto sulle Rive: quello nell’area dell’ex Bianchi che
dovrebbe servire il Centro congressi che nascerà al posto del Magazzino
vini.
Molti altri parking però saranno realizzati nell’immediata periferia. Uno
è previsto a Rozzol, alla confluenza tra via Revoltella e via D’Angeli e
poco più sotto, addirittura altri due: uno in piazzale De Gasperi e uno in
piazza Foraggi. Nuovo parcheggio interrato anche a Roiano, per la
precisione in largo Roiano. Ancora, ai margini del centro, un parking
interrato per cento posti sarà creato in largo Canal, alla sommità di via
San Michele dove sarà creata una piazzetta pedonale, e un altro poco più
grande, di 116 posti, si farà in largo Papa Giovanni.
Ancora, è contenuto nel «Pup» un megaparcheggio interrato da 500 posti che
verrà realizzato nell’ambito dell’intervento che realizzerà un campus
universitario e che comprenderà anche residenze per studenti e docenti,
servizi, aule computerizzate e strutture culturali e sportive, e che
sorgerà sotto il curvone di piazzale Europa.
Il Piano, come rileva lo stesso assessore Bucci, è stato progettato
tenendo conto di tre parametri: la «fame» di parcheggi nelle varie zone
della città, la disponibilità di spazi da utilizzare e l’effettiva
possibilità di concreta realizzazione. I parcheggi saranno tutti
realizzati con il sistema del project financing e mentre in quelli in
centro la maggior parte dei posti saranno a rotazione e una piccola quota
verrà posta in vendita, il contrario succederà in quelli più periferici.
Silvio Maranzana |
Il Cnr: dal terminal ENDESA odore
di cloro in spiaggia - L’Isola rischia di essere
invasa dai vapori della sostanza scaricata dall’impianto
GRADO Grado rischia di essere invasa dall’odore di
cloro, a causa del rigassificatore off shore che la spagnola Endesa
vorrebbe installare nel golfo. A stabilirlo è stato uno studio preliminare
dell’Ismar, ente di ricerca del Cnr. Attraverso una simulazione grafica, che
è possibile visionare direttamente dal sito internet della Provincia
(www.provincia.gorizia.it), un team di ricercatori guidato dal professor
George Ungiesser ha studiato il comportamento e il percorso che il cloro
emesso dal rigassificatore subirebbe una volta espulso dell’impianto.
Secondo l’Ismar, il tracciato della sostanza, a causa delle correnti marine,
andrebbe ad interessare un’area di svariate miglia tutt’attorno al terminal
off shore mentre l’odore, in presenza di vento moderato proveniente dal
mare, raggiungerebbe facilmente Grado, le sue spiagge e la sua laguna. «Si
tratta di una ricerca scientifica che non fa altro che supportare il parere
negativo che la giunta e il Consiglio provinciale avevano già espresso a
giugno – ha spiegato l’assessore all’ambiente Mara Cernic, presentando ieri
mattina la simulazione grafica – facendo emergere le ricadute negative che
quel rigassificatore comporterebbe per il turismo di Grado e dell’intera
provincia». Ricadute negative che, per ora, rimangono legate solo alla
questione dell’odore di cloro che verrebbe percepito. «Lo studio dell’Ismar
non è finalizzato ad approfondire eventuali problematiche riguardanti la
salute e, più in generale, l’inquinamento – ha specificato Cernic per
evitare allarmismi – anche se è ormai chiara la necessità di ulteriori
analisi e valutazioni dell’impatto di questo genere di impianti». Perché,
questo del cloro, è solo l’ultimo dei tanti nodi di questa complessa
vicenda. Ad esempio, rimangono ancora dei dubbi sull’impronta paesaggistica
del rigassificatore che, con la sua torre alta 75 metri sul livello del
mare, pur se lontana dieci miglia dalla costa, sarebbe facilmente visibile
soprattutto di sera e di notte. E non è del tutto chiara nemmeno la
questione legata al raffreddamento dell’acqua. Il terminal, infatti,
rilascerebbe nel golfo grandi quantità d’acqua caratterizzate da una
temperatura più bassa di circa cinque gradi rispetto a quella del mare
circostante. Le ripercussioni che potrebbero esserci ai danni della fauna, e
di conseguenza della pesca, sono ancora tutte da capire. Ma non è finita
qua. Dallo studio dell’Ismar è anche possibile rendersi conto che, nel corso
dell’anno, il cloro nell’acqua di mare attorno all’impianto raggiungerebbe
più volte il limite di 0,05 milligrammi per litro fissato dalla legge.
Nicola Comelli
IL PICCOLO - GIOVEDÌ 12 OTTOBRE 2006
Ci vogliono i rigassificatori perché in Friuli Venezia Giulia si
parli di energia.
Fu già così dieci anni fa con la proposta di
realizzare un terminal metanifero a Monfalcone, che Legambiente
sostenne e che fu accantonata dopo la vittoria dei no in un
referendum locale. Succede di nuovo oggi, con i due progetti
entrambi collocati nel Golfo di Trieste: quello off-shore presentato
da Endesa, quello a terra firmato Gas Natural. Benedetti i
rigassificatori, allora, visto che in questa regione, come in tutto
il Paese, la questione energia ha una grande, grandissima rilevanza
sul piano sociale, economico, ambientale.
L’attuale sistema energetico, largamente basato sul petrolio e
sempre più inefficiente (siamo sotto la media europea quanto a
consumi di energia per unità di Pil), penalizza la competitività
dell'economia e determina pesanti costi socio-ambientali in termini
di inquinamento sia locale che globale; riformarlo alla radice è un
indiscutibile interesse generale.
Di rigassificatori, però, bisogna parlare con serietà e con rigore,
fuori dalla demagogia e dai pregiudizi ideologici. Partendo dal
generale, non può esservi dubbio sull'utilità di realizzare in
Italia alcuni impianti di rigassificazione del metano. Oltre i due
terzi di tutto il gas che consumiamo arrivano attraverso i due
grandi gasdotti russo ed algerino: se si vuole ridurre la dipendenza
dal petrolio e dal carbone occorre diversificare gli
approvvigionamenti rendendo possibile l'importazione di gas
liquefatto via mare. Questo avrebbe effetti positivi anche sui
prezzi - oggi stabiliti in regime di semi-monopolio dai nostri due
unici fornitori -, e ci emanciperebbe almeno in parte
dall'insicurezza geopolitica connaturata alle due aree di
provenienza del metano che arriva via tubo. Sul piano ambientale,
sostituire quote di petrolio e di carbone con il gas è sicuramente
un bene: il gas tra le fonti fossili è quella meno inquinante, e le
centrali termoelettriche che usano il metano sono tra le più
efficienti.
Naturalmente il metano non è un'energia "a emissioni zero", come
sono invece le fonti rinnovabili (eolico e solare in testa), e
puntare sul metano ha senso, sul piano ambientale, se al tempo
stesso ci si muove seriamente per accrescere la produzione di
energia pulita e per migliorare l'efficienza degli usi energetici.
Insomma: più fonti rinnovabili, più efficienza e più metano sono le
tre "gambe" di una politica energetica moderna e sostenibile, e per
il nostro Paese sono le tre priorità di azione per contribuire alla
lotta ai mutamenti climatici nella misura assegnataci dal Protocollo
di Kyoto.
Dal generale al particolare, anche per il Friuli Venezia Giulia il
metano può essere una risposta utile, utile per esempio ad
accelerare la riconversione di centrali molto inquinanti come quella
di Monfalcone alimentata a carbone e a olio combustibile. Qui
vengono però le note dolenti, che riguardano i tanti buchi neri
della politica energetica regionale: una politica spesso latitante e
sempre approssimativa. Da tre anni si aspetta il nuovo piano
energetico, che il presidente Illy ha più volte presentato come
"cosa fatta". Nel frattempo, il sistema energetico regionale diventa
ogni giorno più insostenibile: nemmeno un megawatt installato di
energia solare o eolica, un altissimo e crescente consumo pro-capite
di elettricità (superiore del 50% al dato nazionale: il Friuli
Venezia Giulia è la regione più "sprecona" d'Italia), un trend in
rapida crescita delle emissioni di anidride carbonica - il
principale gas climalterante, proveniente il larga parte della
combustione di petrolio e carbone - che dal 1990 ad oggi sono
cresciute da 9 a oltre 12 milioni di tonnellate (in base al
Protocollo di Kyoto, l'Italia e dunque anche il Friuli Venezia
Giulia dovrebbero ridurle del 6,5% entro il 2012!).
Le previsioni e gli impegni contenuti nell'attuale bozza di Piano
energetico regionale restano drammaticamente al di sotto di questi
problemi e di queste arretratezze, e inoltre mancano di ogni
indicazione chiara in materia di rigassificatori. Così, mentre Illy
dichiara che non è compito della Regione, ma del mitico "mercato",
decidere quanti rigassificatori si fanno su questo territorio,
l'assessore Sonego quasi quotidianamente lancia allarmi sui
black-out prossimi venturi. L'esito di questa cronica "assenza di
politica" è che ci sono in campo due progetti riguardanti aree
contigue, con la Regione che non sceglie e anzi rivendica di non
scegliere. Un comportamento che davvero non ha giustificazioni: i
rigassificatori non sono terribili ecomo stri ma non sono nemmeno
parchi pubblici, hanno comunque un impatto sul territorio e chi il
territorio governa non può chiamarsi fuori dal decidere "quanti" ne
vadano fatti e "dove".
Noi di Legambiente non siamo pregiudizialmente contrari a che si
realizzi un rigassificatore in Friuli Venezia Giulia, ma riteniamo
che farne due - oltretutto quasi confinanti - sia un'insensatezza.
Pensiamo anche che gli attuali progetti siano entrambi largamente
carenti, e confidiamo che nelle procedure di valutazione d'impatto
ambientale si tenga conto delle osservazioni nostre e di molti altri
soggetti che hanno espresso opinioni e dubbi circostanziati.
Il futuro dell'energia in Friuli Venezia Giulia è un grande problema
di interesse generale. Se la Regione non lo capisce, la conseguenza
è di lasciare la scelta a dinamiche localistiche, per esempio
incoraggiando richieste sbagliate come quella di affidare la
decisione a referendum cittadini. Per noi la strada da seguire è
un'altra: bisogna naturalmente tenere nel massimo conto le
preoccupazioni e le proteste di chi sul territorio si oppone ai
rigassificatori, ma occorre anche che le decisioni finali guardino
ai bisogni, al futuro di tutti i cittadini del Friuli Venezia
Giulia. Che hanno diritto di sapere se anche in questa regione sarà
possibile presto o tardi impostare una politica energetica moderna,
la quale consenta a tutti di consumare l'energia necessaria ma in
modo efficiente e senza danneggiare la propria salute, quella del
Friuli Venezia Giulia e quella del pianeta.
Roberto Della Seta -
presidente nazionale Legambiente
Elena Gobbi - presidente Legambiente Fvg
IL PICCOLO - MARTEDÌ 4 OTTOBRE 2006
Percorso vincolante per la Ferriera un anno per le
migliorie ambientali
Un «percorso vincolante» per la Ferriera di Servola con
precise scadenze e verifiche delle condizioni che potrebbero, se attuate, far
proseguire le attività dopo la fatidica data del 2009. Erano 10 mesi che non
si riuniva il tavolo in Regione sulla crisi ambientale dello stabilimento
siderurgico e ieri si è fatto nuovamente il punto. Una verifica serena,
soprattutto dopo le notizie del dissequestro degli impianti sotto accusa per
le emissioni di diossina. L’assessore regionale al lavoro Roberto Cosolini,
presente assieme al collega all’economia Enrico Bertossi, ha nuovamente
precisato le condizioni poste alla Lucchini per ridiscutere la scadenza del
2009: «sviluppo industriale, salute e sicurezza dei lavoratori, tutela
dell’ambiente e della salute esterna».Ma già ieri, nonostante i dubbi e le
preoccupazioni dei sindacati, sono emerse alcune schiarite messe in rilievo
dalla stessa azienda presente con il responsabile delle relazioni esterne del
gruppo, Francesco Semino e il direttore dello stabilimento Francesco Rosato.Nessuna
illusione il gruppo punta a un «consolidamento» per la Ferriera. E da parte
aziendale sono state sottolineate le numerose migliorie fatte agli impianti,
primo fra tutti quello dell’agglomerato, in questi mesi. Un segnale concreto
che smentirebbe qualsiasi ipotesi di chiusura. Altra prova l’avvio delle
procedure dell’Aia, l’autorizzazione intergata ambientale, necessaria per
continuare l’attività che si concluderà a fine giugno 2007 dopo 300 giorni. Un
percorso blindato e il faldone articolato è depositato in Regione,
consultabile da tutti. Basterà dare un’occhiata ai singoli interventi
previsti, impianto per impianto, per scoprire quanti dei 75 milioni di
investimento annunciati dall’azienda andranno a Trieste piuttosto che a
Piombino.«Non sottovalutiamo i risultati raggiunti – commentano il segretario
della Cgil Franco Belci assieme al segretario Fiom Antonio Saulle – ma rimane
aperto il fronte più delicato, quello ambientale. L'azienda si è assunta una
grande responsabilità decidendo di continuare la produzione e i sindacati
hanno dato una apertura di credito. Superare la fatidica scadenza del 2009 non
può peraltro essere per noi una questione formale, un percorso sofferto e
stiracchiato». Sulla stessa linea Luciano Bordin, segretario Fim-Cisl: «Hanno
detto che vanno avanti, ok, ma che rispettino i punti fissati dalla Regione.
Dobbiamo stringere i tempi». Più pessimista il segretario della Uil, Luca
Visentini: «Abbiamo espresso forte insoddisfazione, è vero che abbiamno
fiormato l’integrativo e il protocollo sulla sicurezza ma sono in parte
inapplicati. Sull’ambiente poi le risposte sono zero. Abbiamo chiesto e
concordato degli approfondimenti».
g. g.
IL PICCOLO - LUNEDÌ 3 OTTOBRE 2006
Ferriera dissequestrata: non c'è diossina
L’impianto era formalmente bloccato e messo sotto
osservazione dall’agosto del 2005.Il magistrato ha assunto questa decisione nei
giorni scorsi, al termine di un anno di verifiche e controlli tecnici che hanno
evidenziato in modo cristallino che con una corretta gestione le emissioni di
diossina dal camino E5 rientrano nei severissimi parametri introdotti dalla
Regione con il Decreto del 16 marzo 2005. Applicando questi criteri tecnici
l’impianto rientra nelle norme che ne autorizzano la gestione e l’esercizio. La
Ferriera ora lo ha fatto e l’impianto può essere dissequestrato anche se le sue
emissioni anche in futuro resteranno sotto costante sorveglianza.Il sequestro
preventivo era stato innescato da due episodi che avevano allarmato la
popolazione e le autorità politiche e sanitarie. Il 21 aprile 2005 i ricercatori
dell’Arpa avevano annunciato che dal camino E5 erano usciti fumi con una
percentuale di 0,723 nanogrammi di diossina per metro cubo. Quasi il doppio
dello 0,4 previsto dal decreto regionale. Ancora più inquietante l'emissione del
13 luglio 2005: 1,527 nanogrammi per metro cubo, quattro volte la quantità di
diossina ammessa dalla legge.Oggi, dopo quasi tredici mesi di controlli,
verifiche e sperimentazioni, la situazione è rientrata nella normalità. Questo
lungo periodo di tempo è stato utilizzato dalla Procura congiuntamente ai
tecnici del gruppo Lucchini e ai propri consulenti per capire se e come fosse
possibile rispettare i limiti delle emissioni imposti dall’autorizzazione
regionale.La risposta al quesito «se e come fosse possibile», è stata positiva.
E il perito, il professor Marco Boscolo, ha sottolineato che per far rientrare
le emissioni di diossina nei parametri di legge l’agglomerato deve essere
irrorato con una percentuale di urea: esattamente lo 0,15 per cento della massa
del materiale che poi finisce nell’altoforno. In questi giorni sono in via di
costruzione una serie di vaporizzatori fissi che sostituiranno quelli «mobili»,
usati nella sperimentazione.«L’impianto di agglomerazione risulta totalmente
restituibile alla proprietà» scrive tra l’altro il docente universitario nella
sua relazione al pm Federico Frezza. In sintesi uno dei tanti problemi che
affliggono lo stabilimento di Servola è risolto.«Il procedimento è stato
connotato da una visione non meramente ed esclusivamente repressiva dell’azione
penale, bensì da una visione attenta al comportamento dinamico della pluralità
di interessi coinvolti» scrive il magistrato nel provvedimento di dissequestro.
Quali siano questi interessi lo si legge poche righe più sotto. «Il diritto alla
salute e all’ambiente salubre, primari e intangibili, ma anche sia pure un
gradino al di sotto, il diritto all’esercizione dell’iniziativa economica
privata, che è libera, purché non in contrasto con l’utilità sociale e purché
non rechi danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana».L’avvocato
Giovanni Borgna che da anni tutela gli interessi triestini del gruppo
siderurgico bresciano, ha sottolineato che la collaborazione e la
sperimentazione «rappresentato la strada giusta per risolvere anche gli altri
problemi della Ferriera».Va aggiunto che l’azione penale collegata alle
emissioni di diossina nell’atmosfera comunque prosegue. Sono indagati Francesco
Rosato, direttore dello stabilimento siderurgico e Giovanni Schinelli presidente
della Servola spa. Secondo l’accusa «non osservavano o non curavano che fossero
osservate le prescrizioni dell’autorizzazione regionale per quanto attiene le
emissioni in atmosfera provenienti dall’impianto di agglomerazione. Ciò per
colpa, consistita nell’omesso, doveroso controllo del ciclo produttivo e
nell’omesso colposo adeguamento alla migliore tecnologia disponibile».La perizia
del professor Marco Boscolo oltre all’irrorazione o meglio all’addizione di urea
all’agglomerato, sottolinea altri accorgimenti tecnici necessari per abbattere
le emissioni di diossina, riportandole all’interno dei severi limiti imposti
dalla Regione. La griglia di sinterizzazione «Dwight Lloyd», non dovrà procedere
con una velocità di avanzamento superiore al metro al secondo. Meglio ancora una
velocità più bassa. Inoltre l’altezza totale del letto non dovrà superare i 40
centimetri. Ciò fino a che non si realizzerà e si renderà correttamente
funzionante l’impianto di abbattimento a carbonio attivo».
IL PICCOLO - VENERDÌ, 22 SETTEMBRE 2006
Cinquanta residenti: «Dalla Ferriera miasmi e rumore»
Tornano a far sentire la loro voce, i residenti di
Servola, nella zona dove sorge lo stabilimento della Ferriera. E lo fanno con un
esposto, indirizzato a una lunga serie di autorità. Gli enti a cui i cittadini
si appellano vanno dalla procura della Repubblica del Tribunale di Trieste, al
presidente della settima circoscrizione Andrea Vatta, passando per il sindaco,
il presidente della Provincia, della Regione e il prefetto. Coinvolti anche
l’Arpa e la direzione sanitaria.Nella lettera, corredata da cinquanta firme, si
sottolinea come la gente «non solo non riesce a vedere una possibile soluzione»
ai vari problemi, «ma anzi, vede aumentare emissioni polverose, imbrattamenti e
inquinamento acustico e ambientale proprio in vista della scadenza del 2009, che
dovrebbe sancire la chiusura della fabbrica».I cittadini residenti nella zona si
dichiarano costretti «da necessità più che per libera scelta ad abitare nella
zona limitrofa» alla Ferriera e lamentano il peggioramento della situazione,
principalmente sotto tre aspetti. Innanzitutto c’è la questione delle
«giornaliere e plurime emissioni di polveri ferrose e di carbone» che
costringono «a tenere chiuse le imposte per la maggior parte della giornata», e
«a pulire gli ambienti interni ed esterni anche due volte al giorno». Oltre alle
polveri, gli abitanti di Servola denunciano le «emissioni di gas i cui residui
volatili, oltre a chiudere la gola, ostacolano la respirazione, procurano alle
persone, anche alle meno sensibili, malesseri e disagi nel corpo». Accanto a
polveri e gas, i cittadini denunciano anche «un aumento di rumori di tale
fragorosità, del tipo boati o colpi di cannone, che oltre a far tremare vetri,
infissi e pareti delle case circostanti, impediscono il riposo notturno».Di
fronte a una situazione del genere, l’invito lanciato alle varie autorità
competenti è quello di «prendere rapide decisioni circa il destino» di quello
che viene definito un «mostro industriale».Lo scorso luglio a Roma, la
Severstal-Lucchini (società che gestisce la Ferriera di Servola, oltre allo
stabilimento di Piombino), aveva presentato il piano industriale triennale
2005-2008. Con questo piano la società si è impegnata a investire un totale di
85 milioni di euro esclusivamente sulla sicurezza ambientale. A proposito della
struttura triestina, il gruppo specificava la volontà di adottare una serie di
migliorie per riuscire a concludere due differenti procedure: l’Autorizzazione
integrata ambientale (da raggiungere entro l’ottobre 2007) e la certificazione
Emas (con scadenza prevista per il 2008).
Agnese Licata
IL PICCOLO - LUNEDÌ, 14 AGOSTO 2006
Ferriera, la procura chiede di verificare modi e tempi
per spegnere l'altoforno
Il pm Federico Frezza, nel suo ruolo di gestore del
sequestro degli impianti, ha chiesto al custode giudiziario della Ferriera di
Servola, il dottor Fabio Cella, di verificare le modalità e i tempi per un
eventule spegnimento a caldo dell’altoforno della ghisa. La richiesta si
inserisce nella gestione provvisoria degli impianti autorizzata dalla
magistratura e tende a verificare la possibilità di abbattere
significativamente, anzi del tutto, le emissioni di fumi e polveri che
continuano a riversarsi sull’abitato di Servola e sui rioni circostanti. Una
risposta sulle modalità e sui tempi dell’eventuale spegnimento a caldo
dell’altoforno, non arriverà prima della fine di agosto.Non vanno infatti messe
a punto solo le fasi dell’operazione che non deve procurare danni all’impianto
ma vanno individuati anche i tecnici in grado di attuare il piano così come sarà
studiato dai consulenti tecnici della Procura. Difficile che gli operai della
Ferriera spengano l’impianto principale dello stabilimento, decretandone in
pratica l’agonia e la morte che potrebbe coinvolgere anche l’attività
l’adiacente fabbrica della Sertubi che si alimenta di ghisa dalla Ferriera.L’iniziativa
si inserisce nel difficile serrato confronto in atto tra la magistratura e i
vertici del gruppo Lucchini- Severstal. Per la Procura, nonostante il sequestro
sia stato confermato dal Tribunale del riesame, le emissioni diffuse di polveri
e fumi continuano anche nell’ambito dell’esercizio provvisorio degli impianti;
da qui al necessità di approfonditi e costosi interventi di risanamento
dell’altoforno, finora non effettuati. ma solo promessi.La proprietà pur avendo
affermato più volte nei numerosi incontri la propria disponibilità alla
ristrutturazione, secondo il magistrato inquirente, si è invece finora limitata
a interventi di manutenzione ordinaria o poco più. La Lucchini-Severstal in
sintesi ha stanziato sulla carta dai sei agli otto milioni di euro per gli
interventi di risanamento, ma questi interventi tardano ancora e i fumi
continuano a riversarsi sugli abitati.I punti critici dall’altoforno da cui
fuoriescono le emissioni «diffuse e non convogliate» sono rappresentati dalle
campane poste sulla sommità dell’impianto da cui sfogano nell’atmosfera gas
pulvirulenti molto scuri; altri gas escono dal piano di colata, dagli interstizi
del tetto del capannone, nonché dall’area di raffreddamento della loppa dove ai
fumi si associano le scaglie di grafite. In sintesi le cappe di aspirazione o
mancano o sono inefficienti.In questa situazione è coinvolta anche la macchina a
colare dove viene vuotato il carro siluro proveniente dall’altoforno.
c.e.
IL PICCOLO - MERCOLEDÌ, 26 LUGLIO 2006
Ferriera, l'Arpa accusa: «Ancora inquinamento» e il
sindaco va in procura
Emissioni di fumi, forti odori, ricadute di materiale in
particelle, inquinanti solforosi, pm 10, polveri sospese, benzene e toluene. Una
situazione «anomala» secondo l’Arpa quella che si è «ripetuta in varie
occasioni» attorno alla Ferriera di Servola e nel rione, sono partite le lettere
all’azienda e al Comune e ieri il sindaco Roberto Dipiazza ha lanciato
l’ennesimo allarme annunciando un nuovo invio della documentazione alla procura
della Repubblica.«Siamo la seconda città più calda d’Italia e in questi giorni
la Lucchini ha davvero esagerato. Non sembrano affatto intreressati del problema
ambientale, lo stabilimento sta continuando a inquinare, la situazione peggiora,
non si può continuare così. Sto rivcevendo quotidianamente telefonate di
protesta dai cittadini senza contare le segnalazioni che sono arrivate agli
organi di vigilanza».Carabinieri, Polizia, Vigili del fuoco, Polizia municipale.
La breve lettera dell’Arpa finrata dal direttore del Dipartimento di Trieste
Stellio Vatta è stringata ma esaustiva. «Abbiamo effettuato numerosi
sopralluoghi nelle aree interessate ai fenomeni sia di notte che di giorno –
scrive il dirigente – inoltre l’esame dei dati rilevati in questo intervallo
temporale dalla centralina di via Pitacco rivela situazioni anomale in ripetute
occasioni (coincidenti con le segnalazioni) per gli inquinanti SO2, Pm10,
polveri sospese, benzene, toluenee».L’Arpa chiede all’azienda di «relazionare
con urgenza in merito a eventuali malfunzionamenti degli impianti». Secondo il
sindaco Dipiazza non ci sono dubbi: «Da quando non c’è l’agglomerato chissà cosa
mettono nell’altoforno – incalza – useranno sicuramente prodotti di bassa lega
per sopperire agli investimenti che devono fare. Almeno in questo periodo di
gran caldo potrebbero venire incontro alla gente. Invece non hanno alcun
rispetto per noi. Ripeto, io sono convinto che non hanno alcuna intenzione di
investire per l’ambiente, lo faranno solo a Piombino».Pronta la replica
dell’azienda, la Lucchini. «Abbiamo riceuto la lettera, non entro nel merito
perchè un gruppo di nostri tecnici sta verificando e predisporrà risposte
dettagliate» fa sapere il responsabile delle relazioni istituzionali, Francesco
Semino che ribadisce anche sul fronte investimenti: «L’ho già detto pochi giorni
fa. Non ci risulta sia nostra intenzione non investire qui. Se il sindaco lo sa
per certo, dichiari da dove ha tratto questa informazione».
Giulio Garau
IL PICCOLO - DOMENICA, 16 LUGLIO 2006
«Ferriera, la proprietà chiarisca gli investimenti sul
fronte ambientale» - Conferenza stampa di LEGAMBIENTE e FIOM CGIL.
Fiom-Cgil e Legambiente sono preoccupate per il futuro
della Ferriera. In particolare vogliono conoscere le intenzioni della proprietà
per quanto concerne i necessari investimenti sul fronte della tutela ambientale.
E ciò «in una fase – sostengono il sindacato e l’organizzazione ambientalista –
nella quale il mercato siderurgico è su una curva crescente, e soprattutto la
produzione di coke è assorbita molto bene dal mercato internazionale».Sono
questi i principali temi su cui si sono soffermati ieri, nel corso di una
conferenza stampa, Lino Santoro, della segreteria regionale di Legambiente, e
Antonio Saulle, segretario provinciale della Fiom.«Due importanti appuntamenti
attendono la Severstal-Lucchini nelle prossime settimane – hanno spiegato
Santoro e Saulle – in quanto martedì a Roma, al Ministero per lo sviluppo, sarà
presentato il piano industriale del gruppo e la Ferriera di Servola è certamente
uno dei nodi principali. Il 31 luglio scadrà il termine per presentare la
domanda di Autorizzazione integrata ambientale (Aia), per poter continuare la
produzione della ghisa e del coke, oltre al gas di cokeria e altoforno necessari
alla centrale Elettra per proseguire nella cessione alla rete elettrica, a
prezzo agevolato, dell’energia prodotta».Senza l’Aia, è la principale
preoccupazione di Fiom e Legambiente, la Ferriera cesserebbe l’attività. «Per
ottenere l’autorizzazione – hanno evidenziato Santoro e Saulle – il gruppo deve
corrispondere ai requisiti ambientali della direttiva europea in materia. Sarà
in grado di superare l’esame la Ferriera di Servola, ancora sotto sequestro per
imbrattamento, ma soprattutto fonte di emissioni inquinanti come polveri sottili
e diossine provenienti dalla cokeria e dall’agglomerazione?»Secondo Santoro e
Saulle servono decine di milioni di euro per rendere sostenibile sotto il
profilo ambientale l’attività della Ferriera. «La Regione – hanno continuato
Santoro e Saulle - si è assunta il ruolo di condurre il rapporto con il gruppo
Severstal-Lucchini, organizzando tavoli tecnici, l’ultimo dei quali risale al 10
novembre 2005. Inoltre è affidato alla Regione il compito di concedere o meno
l’Autorizzazione integrata ambientale. Chiediamo quindi, come promesso
dall’assessore Cosolini, che la comunicazione dei contenuti del piano
industriale e l’informazione in merito alla procedura Aia siano le più
trasparenti possibile, e soprattutto prevedano un coinvolgimento effettivo,
attraverso pubbliche audizioni, di tutti i portatori di interesse, in
particolare delle associazioni ambientaliste».
u. sa.
IL PICCOLO - GIOVEDI', 1
giugno 2006
Rigassificatori: una mozione divide l'opposizione - La
possibilita' di ricorrere al referendum viene ritenuta essenziale dai Cittadini.
Una nuova formulazione del documento presentato da De
Carli nei giorni scorsi e' stata modificata dai capigruppo.
RIGASSIFICATORI -
Terminal negli USA - Nessun impianto a terra - Si trova
gia' sulla nave.
IL PICCOLO - VENERDÌ, 30 GIUGNO 2006
La Ferriera rimane sotto sequestro
Dissequestro fallito.Il Tribunale del riesame ha respinto
ieri l’istanza presentata dai legali del gruppo «Lucchini-Severstal» e ha
ribadito che i principali impianti della Ferriera di Servola continuano a essere
formalmente bloccati anche se di fatto la produzione è continuata quasi
regolarmente per motivi di sicurezza anche dopo la notifica del sequestro.Per
conoscere le ragioni della decisione del Tribunale bisognerà attendere alcuni
giorni, fino a quando i giudici depositeranno in cancelleria i «motivi» che
stanno alla base del loro provvedimento.Solo in questo momento i legali del
gruppo Gruppo siderurgico potranno ricorrere alla Corte di cassazione, tentando
di disattivare il sequestro chiesto dal pm Federico Frezza, concesso dal
presidente aggiunto del gip Nunzio Sarpietro e confermato ieri dal Tribunale del
riesame presieduto da Alberto Da Rin. Ma i tempi si annunciano lunghi e l’esito
incerto. «Noi andremo in Cassazione» ha ribadito l’avvocato Giovanni Borgna.
«Sostanzialmente non c’è nulla di nuovo. Siamo usciti da due mesi da un altro
sequestro e conosciamo bene queste situazioni. Abbiamo in corso una discussione
sulla Ferriera con le autorità competenti, discussione che dovrà continuare».
Alla base del provvedimento di sequestro vi sono le continue, massicce e
reiterate emissioni di polveri e fumi che, uscendo dallo stabilimento si
depositano sulle case e nelle strade dei rioni di Servola e Valmaura. «Nell’aria
-scrivono i consulenti della Procura- vi è una costante presenza di particelle
derivate dai processi produttivi della Ferriera».Inoltre la situazione di chi
vive in questi rioni non è per nulla migliorata rispetto a quella già difficile
segnalata negli anni scorsi. Non sembrano aver sortito effetti positivi nemmeno
le tassative prescrizioni tecniche imposte in un recente procedimento penale in
cui erano imputati i vertici della Ferriera. «Le emissioni in atmosfera
continuano a verificarsi e neppure appaiono attenuate» scrive nella richiesta di
sequestro poi accolta dal gip il pm Federico Frezza.Il «no» pronunciato ieri dal
Tribunale ha comunque una valenza che va al dì la dei problemi giuridici e
tecnici della gestione del sequestro. Riporta infatti con forza alla ribalta
della politica cittadina il problema dello stabilimento siderurgico che negli
ultimi mesi sembrava sopito.In pratica entro l’autunno la proprietà dovrà
scegliere tra due scenari. Il primo coinvolge la procura della Repubblica dove
un plenipotenziario del gruppo «Lucchini-Severstal» prima o poi si dovrà
presentare con adeguate «credenziali» anche finanziarie per cercare di aprire
una trattativa credibile sulla ristrutturazione e gestione degli impianti da cui
escono nell’atmosfera fumi e polveri. I precedenti «contatti» hanno sortito
effetti limitati sulle emissioni, ma il gruppo siderurgico è riuscito comunque a
prendere tempo.Il secondo scenario è più cupo. In assenza di precisi segnali da
parte della proprietà, o meglio di fronte a una scelta del Gruppo
Lucchini-Severstal di non scegliere nulla, il sequestro potrebbe diventare
effettivo con quel che ne consegue sul piano della produzione e
dell’occupazione. Gli impianti entro qualche mese dovrebbero essere fermati
nell’ambito di un preciso piano di spegnimento, stilato dal custode giudiziario
e dalla Direzione dello stabilimento.Sono infatti bloccati dal sequestro i
parchi dei minerali e quello del carbone, la banchina dove attraccano le navi,
la cokeria, il carro di raccolta del coke e gli altiforni. In sintesi sono in
gioco tre diritti fondamentali, tutti garantiti dalla Costituzione appena
riconfermata dal referendum. Ìl diritto alla salute, quello al lavoro e quello
della libertà d’impresa. La Ferriera è l’ultimo stabilimento industriale della
città che da lavoro direttamente e indirettamente a più di mille persone.
Claudio Ernè
IL PICCOLO - LUNEDÌ, 26 GIUGNO 2006
Niente fusione, la Ferriera resta russa
Dopo essere stata combattuta per l’intero primo semestre
di questo 2006, la guerra mondiale dell’acciaio si chiude - al momento - con un
nuovo colpo di scena che estende i suoi effetti sull’Italia e su Trieste. E fa
tornare la Ferriera di Servola al punto di partenza di un ideale gioco dell’oca
planetario. Ieri sera infatti il consiglio di amministrazione di Arcelor -
consorzio europeo numero due mondiale della siderurgia - ha accettato l’offerta
del numero uno assoluto, il gruppo indiano Mittal Steel. Un sì che dà vita a
nuovo colosso dell’acciaio. E cancella l’aggregazione annunciata a fine maggio
tra Arcelor e Severstal, il gruppo russo che nel 2005 aveva acquisito l’italiana
Lucchini e con quest’ultima la proprietà dello stabilimento triestino, passato
nelle mani del miliardario Alexei Mordashov.Il matrimonio Arcelor-Severstal
avrebbe portato alla nascita del gigante assoluto del mondo, del quale la
Ferriera - con il suo mezzo milione di tonnellate annue prodotte sul previsto
totale di settanta - sarebbe stata una piccola componente. E invece, lo
stabilimento triestino resta di proprietà della sola Severstal-Lucchini.
Tagliato fuori, assieme ai russi, da Arcelor-Mittal. Perché ieri di fatto il cda
di Arcelor ha sconfessato il suo top manager Guy Dollè, che aveva firmato
l’accordo con Mordashov, e ha ceduto a Mittal che l’inseguiva da mesi. Già a
gennaio infatti il gruppo indiano aveva lanciato un’opa ostile sui
lussemburghesi, che avevano reagito nel contatto con i russi. Molti azionisti
Arcelor però già nelle scorse settimane avevano contestato le modalità di
fusione rese note da Dollè, mentre Mittal non recedeva. Ieri il cda di
Lussemburgo si è trovato a scegliere tra l’offera migliorativa di Mittal, salita
a 40,37 euro per azione Arcelor contro i 37,74 precedenti, e quella di Mordashov:
il magnate russo aveva modificato la propria offerta dicendosi disposto a
scendere al 25% nella partecipazione e a rinunciare anche alla presidenza del
comitato strategico del futuro gruppo.Sarà Arcelor-Mittal, invece. E per
l’Italia, si diceva, è un colpo di scena. Dopo l’annuncio dell’aggregazione
russo-lussemburghese, il ministro allo sviluppo economico Pierluigi Bersani
aveva incontrato i segretari nazionali di Fim Fiom Uilm che si erano detti
fortemente preoccupati per l’aprirsi di «un’ulteriore fase di incertezza»,
giacché - ricordavano - Severstal dopo un anno non ha ancora presentato un piano
strategico, mentre Arcelor - pure essa presente in Italia - ha dato il via a
programmi di ristrutturazione. Pochi giorni dopo però erano stati gli stessi
russi a ribadire la disponibilità a presentare un piano per Trieste, e
soprattutto a sottolineare la volontà di risolvere i problemi giudiziari e
ambientali dello stabilimento per proseguire la produzione anche dopo il 2009,
data entro la quale - secondo un piano di quattro anni fa - la Ferriera dovrebbe
chiudere i battenti.Ecco invece il nuovo capitolo. «La notizia di Arcelor-Mittal
- commenta l’assessore regionale al lavoro Roberto Cosolini - è l’ennesima
dimostrazione di quanto sia complicata e piena di sorprese una vicenda che si
gioca sui mercati globali tra pochissimi grandi colossi». Gli scenari? «Da un
punto di vista puramente teorico - precisa Cosolini - il restare la Ferriera in
mano a Severstal dovrebbe garantire una ripresa nella continuità», al riparo da
ipotetiche virate di strategia: «Ma a fronte di questa considerazione, ribadisco
puramente teorica, è anche vero che l’alleanza Severstal-Arcelor avrebbe creato
il numero uno mondiale del settore, con scenari potenzialmente interessanti
anche per l’Italia e per Trieste». Scenari ora da rivedere.
Paola Boli
IL PICCOLO - GIOVEDÌ, 8 GIUGNO 2006
Di nuovo sotto sequestro tre impianti della Ferriera
Da ieri mattina tre impianti della Ferriera di Servola
sono sotto sequestro. All’altoforno, alla cokeria e al piazzale dei minerali e
del carbone, il pm Federico Frezza ha fatto apporre i sigilli dopo aver ottenuto
il «via libera» dal presidente aggiunto del Gip Nunzio Sarpietro.In sintesi ieri
si è ripetuto quanto era già accaduto a Servola lo scorso 15 marzo. Quel
sequestro era stato revocato dal Tribunale del riesame il successivo 7 aprile ma
la Procura non ha mollato la presa e ha riproposto l’iniziativa, visto anche il
sopravvenuto mutamento della situazione giuridica.Ad aprile non era ancora
concluso il processo che vedeva sul banco degli imputati alcuni manager accusati
di imbrattamento. Ora il dibattimento è concluso fin dall’11 aprile e il giudice
Fabrizio Rigo ha ammesso gli imputati all’oblazione, dissequestrando anche lo
stabilimento siderurgico. L’efficienza degli impianti avrebbe dovuto essere
migliorata secondo gli impegni assunti in aula, ma non è accaduto nulla. Non
sono stati presentati alla Procura nè progetti, nè piani industriali mentre le
emissioni di polveri e fumi continuano a depositarsi su Servola, Valmaura e
rioni adiacenti. Nel frattempo è stata annunciata la fusione tra la società
russa della Severstal e il gruppo lussemburghese Arcelor.Di fronte a questa
situazione, la Procura ha rinnovato la propria iniziativa. La richiesta di
sequestro ha una duplice firma: quella del procuratore capo Nicola Maria Pace
precede quelle del suo sostituto, il pm Federico Frezza. Non era mai accaduto in
tanti anni di battaglie che hanno coinvolto la Ferriera.Va anche aggiunto che in
questa inchiesta cinque continuano a essere i nomi dei dirigenti del gruppo
Lucchini- Severstal annotati sul registro degli indagati per imbrattamento: sono
quelli dell’amministratore delegato Giovanni Gillerio, del direttore dello
stabilimento Francesco Rosato, nonchè Luigi Nardi, Vittorio Cattarini e Giovanni
Schinelli. La gestione degli impianti sotto sequestro è stata affidata come il
15 marzo a un custode giudiziario, Fabio Cella, funzionario della Provincia al
Servizio ambiente, già vicecomandante dei vigili urbani. Conosce la Ferriera
perché nell’agosto 2005 la magistratura gli aveva affidato il compito fi
controllare l’impianto di agglomerazione, anch’esso finito sotto sequestro, ma
autorizzato a operare a livello sperimentale per verificare le condizioni che
determinano la fuoriuscita di diossina dal camino E5.«Ricorreremo al Tribunale
del riesame» ha affermato l’avvocato Giovanni Borgna da anni legale della
Ferriera. «La società ha speso 6 milioni di euro per ristrutturare gli impianti.
Provvedimenti di questo genere sono stati più volte ripetuti. Faremo valere le
nostre ragioni nelle sedi processuali competenti, senza trascurare il dialogo
con la Procura. La Ferriera dà lavoro direttamente a 500 dipendenti. Altri 250
operano alla Sertubi che ha rinunciat oa costruire il propio altoforno e che si
alimenta da Servola. Altro 80 persone lavorano nella centrale elettrica
alimentata dai gas siderurgici. Poi c’è l’indotto. Complessivamente mille
famiglie ricavano un reddito dall’ultimo impianto industriale di Trieste».
c.e.
IL PICCOLO - GIOVEDÌ, 1 GIUGNO 2006
Via Cereria, piace sia il giardino sia il posteggio
Il giardino di via Cereria, di proprietà comunale, deve
essere conservato e soprattutto riqualificato. Questa la richiesta della
petizione lanciata dal circolo Verdeazzurro di Legambiente, che ha raggiunto,
tra residenti della zona e sostenitori del verde pubblico, già una cinquantina
di adesioni.
Attualmente la destinazione prevista dal Comune per il giardino posizionato
accanto alla palestra di via della Valle è infatti tutt’altra.
L’area verde, infatti, dovrebbe trasformarsi in un parcheggio dalla capienza di
120 auto. «Chiediamo – afferma Ettore Calandra segretario di Legambiente – che
il giardino sia fruibile dai residenti, che non hanno altri spazi verdi nella
zona». In tale ottica Legambiente invita anche il Comune a risistemare l’area,
ormai abbandonata e piena di sterpaglie.
«Andrebbero bene entrambe le cose: riqualificare il giardino o ricavarne un
parcheggio, basta che lo rimettano a posto», questa l’opinione di Paolo Stopar,
che ha un’attività commerciale in via Tigor da 26 anni e che ha sempre visto il
sito mai sfruttato adeguatamente e lasciato al degrado totale.
Nella zona la vera necessità è il parcheggio, commercianti e residenti ritengono
che sia una proposta molto valida quella di creare 120 posti auto. «Ce ne sono
pochissimi – spiega Remigio Prodan – nella zona, solo nelle palazzine in cui
abito ci sono 76 appartamenti, tutti senza parcheggio».
D’accordo anche Maria Scomparini che lamenta una grande carenza di posteggi:
«Nel rione non esistono posti per l’auto, ci sono alte palazzine, ma i garage
non sono stati costruiti». Nella zona, esistono diversi box auto, tutti privati,
ma di garage pensati per le abitazioni nemmeno l’ombra.
«Tutti i box auto – spiega Franco Verchi – sono stati ricavati da vecchie
attività commerciali. Vent’anni fa la via pullulava di negozi, che ora hanno
chiuso bottega. Non ci sono più studenti (la maggior parte delle lezioni e degli
esami di Scienze della Formazione si tengono nell’edificio centrale ndr) e il
quartiere è ormai desolato. Un giardino sarebbe inutile, nonché pericoloso. Già
molte signore anziane non se la sentono di camminare da sole la sera, perché non
c’è movimento, sarebbe uno spazio verde non utilizzato».
Dopo le 19 i residenti non sanno dove parcheggiare la macchina, secondo la
testimonianza di Evelina Urdih. «Sarebbe l’ideale – sostiene – ricavarne un
posteggio. Io sono qui dal 1963 e l’area è sempre stata inutilizzata, tanto vale
che ne facciano qualcosa di utile».
La carenza di parcheggi, deriva anche dal fatto che quei pochi posti auto che
esistono non sono a pagamento. «Da quando parcheggiare sulle Rive – spiega Dario
Sulligoi – costa tanto la gente cerca un posto auto in questa zona e per
residenti e commercianti è ancora più difficile trovare un posteggio». Secondo
Sulligoi, il giardino non è così indispensabile come il parcheggio. «A pochi
passi da qui – fa notare – c’è il giardino di via San Michele».
Tra i tanti pareri favorevoli al mega-parking ce n’è anche uno assolutamente
contrario. «È già una zona dove il verde sta scomparendo – dice Riccardo Bruni –
quel poco che rimane va salvaguardato. Il vero problema è che non si possono
costruire palazzine senza considerare i parcheggi per i residenti. Le nuove
edificazioni dovrebbero contare su due piani sotterranei pensati per le auto».
Legambiente invita chi voglia sostenere la causa del giardino a sottoscrivere la
petizione alla Banca Etica di via Donizetti 5/A ogni mercoledì dalle 18 alle 20.
Ilaria Gianfagna
IL PICCOLO - DOMENICA, 28 MAGGIO 2006
Vendita della Ferriera, i sindacati dal ministro
Bersani
Richiesta accolta a stretto giro di fax. Dell’annunciata
fusione tra Severstal e Arcelor, e dei risvolti per gli stabilimenti italiani,
il ministro allo Sviluppo economico Pierluigi Bersani ne parlerà domani sera con
i segretari nazionali di Fim, Fiom e Uilm, Spagnolo, Cremaschi e Ghini.
All’incontro dovrebbe essere presente anche un rappresentante della Severstal.La
richiesta dei tre esponenti sindacali era partita nella mattinata di venerdì, a
poche ore dall’annuncio dell’operazione che porterà Arcelor ad essere il primo
produttore di acciaio al mondo. La rapidità con cui Bersani ha dato risposta
all’appello sindacale denota l’interesse, ma anche la preoccupazione, con cui, a
livello nazionale si guarda alla progettata fusione.Intanto la battaglia fra i
colossi dell’acciaio registra un nuovo episodio: il magnate indiano Lakshmi
Mittal, che a gennaio ha lanciato un’opa (offerta pubblica di acquisto) ostile
nei confronti di Arcelor, aumentata giorni fa del 30% a 26 miliardi di euro,
dopo l’annuncio della fusione con Severstal torna alla carica. «Siamo
determinati – ha dichiarato a Le Figaro – a portare a compimento il nostro
avvicinamento ad Arcelor. Non c’è offerta migliore della nostra, sia sotto il
profilo finanziario sia sotto quello industriale».E mentre si attende la
convocazione dell’assemblea dei soci di Arcelor, continuano a intrecciarsi i
commenti sull’operazione e sui riflessi per lo stabilimento di Servola. Ettore
Rosato, sottosegretario agli Interni, annota che «bisognerà capire che
intenzioni avrà il nuovo gruppo per la Servola spa e se avrà altre attività da
sviluppare sul sito della Ferriera». Rosato non nasconde poi la «preoccupazione
che si riparta da zero riguardo ai piani industriali e agli investimenti per
l’ambiente: sarebbe una prospettiva non compatibile con gli interessi dei
lavoratori».Che un cambiamento come quello che si profila porti con sè incognite
e rallentamenti, per l’assessore regionale al Lavoro Roberto Cosolini è quasi
scontato. «Non vedo però – commenta – grandi cambiamenti per la posizione dello
stabilimento di Trieste. Abbiamo già detto che in presenza di nuove volontà, in
termini di piano industriale e interventi per l’ambiente e la salute, c’è la
disponibilità a ridiscutere la scadenza del 2009. Indipendentemente dalla
proprietà, un gruppo industriale si deve confrontare nel Paese in cui opera con
le norme e con gli impegni assunti».L’operazione concordata tra Arcelor e
Severstal viene vista in maniera postiva dal gruppo Lucchini, il cui 70% è
detenuto dal colosso russo. «Bisogna vedere se l’operazione si concretizza –
sottolinea il portavoce della società bresciana, Francesco Semino –. Se ciò
avverrà, la Lucchini farà parte del primo gruppo al mondo». Ma che riflessi
potrebbe avere ciò per la Ferriera? «Difficile dirlo. Sarebbe comunque
importante essere un tassello, anche se piccolo, del primo gruppo mondiale».Da
parte sindacale, Enzo Timeo, segretario provinciale della Uilm-Uil, giudica la
pronta risposta del ministro Bersani come «l’indicazione che l’operazione sta a
cuore al governo, che qualcosa sa già e che la vuole comunicare». Quanto alla
prevista fusione, Timeo parla di «un’operazione finanziaria che sarà un
ulteriore motivo per richiedere al più presto un piano industriale che ci faccia
capire la collocazione di Trieste nel gruppo, quanto è strategico questo
stabilimento, perchè iniziamo a sentirci periferia e quindi sempre più a
rischio. Mentre finora eravano strategici per Piombino ora non abbiamo
certezze». E all’affermazione del sindaco Dipiazza, secondo cui «la Ferriera
chiuderà da sè», Timeo replica a distanza: «Non vedo perchè la Severstal
dovrebbe disfarsi di uno stabilimento che ha chiuso il bilancio 2005 a 170
milioni di euro, producendo solo ghisa e coke».Le ombre sul futuro che
sembravano proiettarsi dopo l’annuncio dell’operazione Arcelor-Severstal,
sembrano intanto dissolversi. «Entrambe le società uscirebbero rafforzate –
sottolinea Alberto Monticco, segretario provinciale della Fim-Cisl – e quindi
non vedrei timori per la Ferriera. Al nostro segretario nazionale Spagnolo ho
comunque chiesto di stringere, per avere un piano industriale complessivo, in
cui si definisca il ruolo di Servola».
Giuseppe Palladini
IL PICCOLO - SABATO, 27 MAGGIO 2006
Ferriera di nuovo venduta Tutti gli accordi da rifare
TRIESTE La Ferriera di Servola, proprietà del gruppo russo
Severstal, si ritrova coinvolta in un nuovo cambiamento di asset. Arcelor -
consorzio europeo con sede a Lussemburgo, numero due mondiale del comparto - e i
russi guidati dal quarantenne miliardario Alexey Mordashov, hanno annunciato il
raggiunto accordo per un’aggregazione che porterà alla nascita di un gigante. Il
più importante del mondo. In base agli accordi, Arcelor riceverà una quota
dell’89,6% di Severstal, altri asset minerari e dell’acciaio compresa l’italiana
Lucchini, e contanti per 1,25 miliardi di euro da Mordashov. In cambio quest’ultimo
riceverà 295 milioni di nuove azioni Arcelor a 44 euro ciascuna, per una quota
totale del nuovo gigante pari al 32,2%: Mordashov ne diverrà così il primo
azionista con una quota pari a circa un terzo del capitale, e potrà contare su 6
dei 18 consiglieri di amministrazione. L’operazione tocca direttamente Trieste e
l’Italia con Lucchini, di cui Severstal dal 2005 detiene poco più del 70% (la
famiglia bresciana ne ha mantenute le quote rimanenti).
IL PICCOLO - GIOVEDI', 27 APRILE 2006
Ferriera, ricorso in Cassazione
Si riapre la battaglia per il sequestro della Ferriera di
Servola.Il pm Federico Frezza ha depositato in cancelleria il ricorso alla Corte
di Cassazione contro il provvedimento assunto dal Tribunale del riesame il 12
aprile scorso. In quella data i giudici avevano accolto la tesi dei legali del
gruppo Lucchini- Severstal e avevano annullato l’ordinanza cautelare firmata dal
presidente aggiunto del Gip Nunzio Sarpietro che aveva disposto il sequestro
preventivo di gran parte degli impianti dello stabilimento. Il giudice in altri
termini aveva accolto al richiesta della Procura ritenendola adeguatamente
motivata da una serie di sopralluoghi effettuati nell'apre adiacente allo
stabilimento dalla polizia giudiziaria. Erano state scattate centinaia e
centinaia di fotografia per dimostrare la fuoriusciti di fumi e polveri.Il pm
Federico Frezza nel suo ricorso alla Corte di Cassazione ritiene che il
Tribunale del riesame non sia entrato in alcun modo nel merito dell’ennesima
inchiesta sulle polveri che continuano a imbrattare le abitazioni e le strade
dei rioni di Servola e Valmaura; ma scrive anche a chiare lettere che su un
punto decisivo i giudici non hanno motivato la loro decisione di dissequestrare
gli impianti.Ecco il punto controverso: il Tribunale del riesame ha scritto
nella sua ordinanza «che non ha alcun senso porre sotto sequestro preventivo un
bene già sottoposto alla medesima misura. Il provvedimento è palesemente
illegittimo, oltre che contrario al buonsenso».Secondo il rappresentante
dell’accusa, i giudici del riesame non hanno però motivato la loro decisione di
dissequestrare la Ferriera e non hanno citato nessuna norma che supporta la loro
decisione. «Non hanno citato questa norma perché questa norma non esiste» scrive
il pm e spiega che «sono possibili sullo stesso oggetto sequestri plurimi». Anzi
questi sequestri sono frequenti e secondo la stessa Corte di Cassazione «è
ammissibile o il sequestro preventivo di una cosa già sottoposta sequestro
probatorio, purché sussista un pericolo concreto della cessazione di questo
vincolo».Il ricorso della Procura contro il dissequestro non sarà esaminato in
tempi brevissimi: anzi dovranno passare almeno tre mesi perché supremi giudici
affrontino il problema.
c.e.
IL PICCOLO - MERCOLEDÌ, 29 MARZO 2006
Porto, la Severstal diventa terminalista
La Severstal, proprietaria della ferriera di Servola,
opererà anche come terminalista per conto terzi all’interno del porto di
Trieste. Sulla banchina dinanzi allo stabilimento, che è lunga 350 metri e ha un
pescaggio di quasi 13 metri, non si svolgerà più soltanto il traffico
siderurgico finalizzato alla produzione della ghisa e dell’acciaio, ma la stessa
società che gestisce la Ferriera gestirà anche l’ ormeggio di nuove linee di
traffico nell’ambito delle merci convenzionali.L’ampliamento delle attività
della Severstal discusso solo un paio di giorni fa all’interno della commissione
consultiva dello scalo, ha avuto ieri l’avvallo da parte del Comitato portuale.
Alcuni componenti dello stesso parlamentino che vedrebbero con favore la
chiusura della Ferriera, hanno interpretato questo passo del gruppo russo in
maniera estremamente positiva come la prima fase di quella che potrebbe essere
la riconversione allorché l’attività siderurgica cesserà e Severstal si troverà
ad operare, se rimarrà a Trieste, all’interno della nuova Piattaforma logistica.
Nei mesi scorsi con l’Authority il gruppo russo ha raggiunto un accordo per il
pagamento di canoni arretrati, che da dieci anni non venivano versati, per
complessivi 8 milioni di euro e a più riprese la presidente dell’Ap Marina
Monassi si è detta certa che Severstal riconvertirà la propria attività
rimanendo però ad operare all’interno dello scalo.La seduta di ieri del Comitato
portuale si è conclusa soltanto in serata e appena oggi l’Autorità portuale
dovrebbe rendere noti i dettagli di quelle che sono state le decisioni prese
compresi i particolari del nuovo tipo di concessione a favore della Severstal.
Ma di un altro evento di particolare rilievo è stato dato conto ieri in
Comitato: sarà la società terminalista genovese Genoa metal terminal srl (Gmt)
che fa capo al gruppo logistico olandese C. Steinweg Hendelsveem B.V. a
subentrare alla Compagnia portuale di Monfalcone nella gestione dell’Adriaterminal,
in Porto Vecchio. «È stata una scelta nostra - ha commentato nei giorni scorsi
il presidente della Compagnia di Monfalcone, Romano - quella di lasciare la
gestione dell’Adriaterminal la cui concessione sarebbe comunque scaduta a fine
anno. Lì non c’è più praticamente porto e la situazione è ben diversa da quella
del 2001 allorché decidemmo di allargare a Trieste il nostro raggio d’azione. I
traffici di Monfalcone, viste anche le prospettive di crescita, ci bastano.»Genoa
Marine Terminal opera principalmente nei traffici di metalli non ferrosi, leghe
metalliche, merci generali, prodotti siderurgici e prodotti forestali. Ha già un
branch office nel nostro porto, oltre che in quelli di Livorno e di
Capodistria.L’ingresso di Gmt e l’ampliamento dell’attività di Severstal avrebbe
permesso all’Autorità portuale anche di emendare quelle che erano le pressoché
nulle prospettive di crescita di traffici segnalate nell’aggiornamento del Piano
operativo triennale 2006-2008. In particolare per il Porto Vecchio si prevedeva
una grave stagnazione con le 424 mila tonnellate di merci manipolate nel 2005
che sarebbero diventate appena 425 mila nel 2006, 427 mila nel 2007 e 430 mila
nel 2008. Dati questi che avevano indotto i sindacati e in particolare la Cisl e
la Cgil a lanciare l’allarme anche riguardo a una mancanza di programmazione da
parte dell’Autorità portuale nell’attesa messianica della nuova Piattaforma
logistica.I due nuovi terminalisti danno ora un po’ di fiducia perché oltretutto
si sarebbero in qualche modo impegnati a mantenere e impiegare i lavoratori già
attualmente utilizzati nei due settori. Una prospettiva che potrebbe permettere
di guardare con speranza anche al reimpiego dei lavoratori attualmente occupati
in Ferriera.
Silvio Maranzana
IL PICCOLO - MERCOLEDÌ, 22 MARZO 2006
Ferriera, sequestrati la cokeria e l'altoforno
Tre impianti della Ferriera di Servola sono da ieri sotto
sequestro. All’altoforno, alla cokeria e al piazzale dei minerali e del carbone,
il pm Federico Frezza ha posto i sigilli, dopo aver ottenuto il preventivo via
libera dal presidente aggiunto del gip Nunzio Sarpietro.Cinque dirigenti ed ex
dirigenti del gruppo siderurgico Lucchini-Severstal sono indagati per
imbrattamento e i loro nomi sono stati annotati sul registro della procura.
L’amministratore delegato della società Giovanni Gillerio, il direttore dello
stabilimento Francesco Rosato, nonché Luigi Nardi, Vittorio Cattarini e Giovanni
Schinelli sono stati informati dell'iniziativa della magistratura poco prima di
mezzogiorno quando il decreto di sequestro è stato notificato negli uffici di
Servola da due agenti di polizia e un vigile urbano.Il pm Federico Frezza ha
bloccato nuovamente l’impianto perché secondo la procura le fuoriuscite di fumi
e polveri nell’atmosfera di Servola e dei rioni circostanti continuano
nonostante le inchieste e i sequestri che si susseguono da almeno sei anni. Le
fuoriuscite di fumi e polveri non sono dovute a guasti agli impianti o ad errori
di gestione. Al contrario - sempre secondo la procura - sono fisiologiche, vale
a dire dipendono dal ciclo industriale e dai difetti congeniti di alcuni
impianti. «È in gioco il diritto alla salute» ha più volte sottolineato il
magistrato nei suoi interventi in aula nei processi intentati ai dirigenti
dell’impianto siderurgico.La gestione degli impianti sotto sequestro è stata
affidata a un custode giudiziario, il dottor Fabio Cella, funzionario della
Provincia, laureato in giurisprudenza, oggi al Servizio ambiente di palazzo
Galatti, già vicecomandante del Corpo municipale dei vigili urbani. Conosce già
la Ferriera perché nell’agosto scorso la magistratura gli aveva affidato il
compito di controllare l’impianto di agglomerazione, anch’esso sotto sequestro,
ma autorizzato a operare a livello sperimentale per verificare le condizioni che
determinano la fuoriuscita di diossina dal camino E5.Al momento la cokeria,
l’altoforno e i piazzali dei minerali e del carbone, funzionano regolarmente
perché la procura - come ha riferito l’avvocato Giovanni Borgna, legale del
gruppo Lucchini-Severstal - ne ha autorizzato l’esercizio provvisorio. Per
fermare il ciclo produttivo sono necessarie dalle tre alle quattro settimane. In
caso contrario i danni all’altoforno risulterebbero devastanti.Nel frattempo
dovranno essere aumentati i punti dello stabilimento ma anche dell’abitato di
Servola in cui vengono misurate le emissioni di fumi e polveri. Fino ad oggi
infatti vengono monitorati solo i fumi che escono dai 26 camini dello
stabilimento e questi dati vengono trasmessi alla Regione che ne verifica la
congruità con le prescrizioni di legge. Al contrario, secondo l’inchiesta della
procura che si è snodata dal 2004 ai primi giorni dello scorso febbraio, le
emissioni sarebbero più massicce e diffuse. Particolato, polvere di carbone,
fumi scuri, emissioni giallo-grigiastre interessano la cokeria e il capannone
sul piano di colata dell’altoforno. Gli interventi di ristrutturazione e
miglioramento degli impianti non avrebbero dato l’esito sperato. Per ottenerli
la procura si è impegnata a fondo per anni, costringendo al tavolo della
trattativa avvocati e manager del gruppo sidururgico.Ieri l’avvocato Giovanni
Borgna ha ricordato che la Servola spa ha speso sei milioni di euro per
ristrutturare gli impianti e ha aggiunto che «non c’è nulla di nuovo in quest’ultimo
sequestro. Provvedimenti di questo genere sono stati più volte ripetuti.
Ovviamente faremo valere le nostre ragioni nelle sedi processuali competenti. In
ogni caso è già stato avviato un dialogo con la procura per consentire
l’esercizio continuativo dell’attività industriale, pur nell’ambito di un
programma di tutela dell’ambiente. Segnalo peraltro che in questo settore sono
già stati spesi dalla proprietà - solo in riferimento al precedente sequestro -
sei milioni di euro».Francesco Semino, portavoce del gruppo siderurgico, ha
invece affermato che si «tratta di un sequestro anomalo e curioso che dura da
tre anni mentre lo stabilimento continua a produrre».
Claudio Ernè
IL PICCOLO - VENERDÌ, 17 MARZO 2006
San Pantaleone, diossina come a Servola
Lo stesso tipo di diossina rilevato mesi fa nei fumi
emessi dal camino E5 della Ferriera è stato riscontrato nell’aria del Monte San
Pantaleone.Il dato emerge dallo studio che il Cigra (Centro interdipartimentale
per la gestione e il recupero ambientale) della nostra Università ha realizzato
per conto del Comune, i cui contenuti verrano comunicati ufficialmente oggi.Nel
corso dello studio sono stati esaminati gli inquinanti rilevati dalle centraline
dell’Arpa, poste in via Svevo, via Carpineto e via Pitacco, in particolare le
polveri sottili e sottilissime (pm 2,5) e l’ossido di azoto. Proprio le polveri
sottilissime, più pericolose delle pm 10, hanno fatto registrare diversi
superamenti del limite nella centralina di via Svevo. Per contro, è risultata
una flessione nelle concentrazioni di diossina dopo la chiusura del camino E5
disposta mesi fa dalla magistratura.I dati ottenuti dalle rilevazioni delle
centraline sono stati correlati, dagli esperti del Cigra, con quelli delle
condizioni meteo (in particolare la velocità e la direzione del vento) relative
ai giorni in cui le concentrazione degli inquinanti sono risultate più elevate.
In questo modo è stata ricavata una mappatura delle direzioni in cui si sono
propagati gli inquinanti. Ed è appunto con tale metodo che gli esperti hanno
ricavato la presenza di diossina nell’area di Monte San Pantaleone.Lo studio
degli esperti del Cigra ha riguardato, sempre su richiesta del Comune, anche le
diossine rilevate nei campionamenti effettuati al terrapieno di Barcola. La
diossina contenuta negli strati superficiali ha indicato una corrispondenza con
le caratteristiche delle ceneri provenienti dall’incenerimento dei rifiuti.E’
così dimostrato quanto emerso più volte nel corso degli ultimi mesi: nel
terrapieno di Barcola furono scaricate, tra i più diversi materiali, anche le
ceneri provenienti dall’inceneritore di Monte San Pantaleone.Proprio con
riguardo al terrapieno di Barcola, riprende intanto oggi l’attività del Club del
gommone, sospesa dallo scorso novembre al pari di quella della Velica di Barcola
Grignano, del Club Sirena e dell’Associazione windsurf.Ieri, infatti, l’Autorità
portuale ha steso lo strato di ghiaino di 25 centimetri sull’area del sodalizio,
secondo le indicazioni del Comune legate al dissequestro dell’area.Tornando allo
studio del Cigra, quella che sarà comunicata oggi è la seconda parte dello
studio, relativa appunto all’analisi dei dati. La prima parte ha riguardato
l’esame bibliografico e la sintesi dei vari studi e delle numerose misurazioni
(da quelle dell’Arpa sino a quelle di Legambiente).Già da quel primo esame era
emerso che il traffico è reponsabile soprattutto dell’inquinamento nell’area a
nord del colle di Servola, mentre a sud, vicino allo stabilimento, emergono gli
effetti delle fonti industriali, con emissioni e ricadute di particolato.
Giuseppe Palladini
IL PICCOLO - SABATO, 18 FEBBRAIO 2006
Inquinamento della Ferriera, polveri e idrocarburi sulle case vicine
Un
anno fa la Lucchini e anche la Ferriera di Servola veniva rilevata dal colosso
russo, a 12 mesi di distanza, mentre si attende la presentazione ufficiale del
piano industriale di rilancio, entrano nel vivo le ricerche per analizzare le
emissioni di diossine e altri inquinanti nella zona di Servola che toccano
abitazioni e gli stessi operai dello stabilimento siderurgico.Per quanto
riguarda le analisi infatti si è alla prima fase dell’attività del Cigra, il
Centro interdipartimentale per la gestione e il recupero ambientale
dell’Università che ha siglato una convenzione con il Comune. Sono stati fatti i
primi passi con l’esame bibliografico e la sintesi dei vari studi e delle varie
misurazioni (da quelle dell’Arpa sino a quelle di Legambiente) e, tirando le
fila, sono emersi i primi aspetti eclatanti. Risulta, soprattutto dall’analisi
Arpa, una sostanziale differenza della qualità dell’aria tra la zona urbana
centrale di Trieste e quella che circonda lo stabilimento siderurgico.Il
traffico riguarda più la zona urbana a nord del colle mentre a sud, vicino allo
stabilimento, l’area subisce gli effetti di un inquinamento da fonti
industriali: emissioni e ricadute di particolato.I fenomeni sono molto
variabili, si va da pochi minuti per emissioni particolarmente intense dello
stabilimento (provocano innalzamenti ben al di sopra della soglia di allarme
nelle centraline, specie in via Pitacco e Carpineto) a qualche giorno con
polveri «ubiquitarie», fenomeno collegato soprattutto alle condizioni climatiche.Preoccupante
risulta, nella relazione, la presenza di idrocarburi policiclici aromatici nelle
deposizioni «secche» delle ricadute al suolo in vicinanza allo stabilimento
vista la nota cancerogenicità dei composti.Valori alti si ritrovano alla
postazione «ingresso operai» (394,9 nanogrammi) che se raffrontati con i valori
medi in via Carpineto e Costalunga, appaiono piuttosto elevati. Individuata
anche un’area a maggiore e persistente intensità di ricaduta che comprende gran
parte dello stabilimento e della fascia esterna collocata entro 250 metri dalla
Ferriera. Reperiti anche i dati sulle concentrazioni di diossine e furani
rilevati fino ad oggi in emissioni al camino degli impianti in funzione e in
scorie e sedimenti nell’area industriale.Sul fronte politico sindacale.intanto,
Rifondazione comunista ieri ha convocato una conferenza stampa a un anno di
distanza dal passaggio di mano della Servola alla russa Severstal che si è
comprata la Lucchini. A 12 mesi di distanza, ribattono il consigliere regionale
di Rifondazione Igor canciani, quello provinciale Dennis Visioli e quello
comunale Mario Andolina, mancano tutta una serie di risposte anche dalla nuova
proprietà.«E da novembre che ogni mese l’azienda annuncia che entro la fine del
prossimo mese ci sarà la presentazione al ministero del piano industriale ma
finora non abbiamo visto niente» spiega una nota firmata dai tre esponenti che
richiama la risposta data da Giorgio Cremaschi della segreteria nazionale Fiom.
«Un silenzio – accusa Rifondazione – che è contrario agli interessi dei
lavoratori e dei cittadini che non hanno visto alcun miglioramento e nessuna
certezza per il futuro.
IL PICCOLO - SABATO, 24 GENNAIO 2006
Mordashov: la Ferriera sopravviverà oltre il 2009
Severstal è il colosso russo che esattamente un anno fa ha
comprato il 70% dello storico gruppo siderurgico bresciano (controlla la
Ferriera triestina di Servola) con un aumento di capitale da 450 milioni di
euro. Mordashov, dopo una apparizione con i vertici della Lucchini in mattinata
a Milano, ieri sera a Brescia ha assistito a un concerto-gala di Rostopovich
organizzato dalla Fondazione Lucchini. Accolto come una giovane rockstar
industriale e con qualche «magone» da parte degli antichi industriali del
tondino che guardano con diffidenza ai «nuovi russi».A Brescia (che mantiene una
quota del 30% del gruppo) sono consapevoli che il futuro dello stabilimento
triestino di Servola resta condizionato dal grande dilemma: come i russi
riusciranno a coniugare i pesanti nodi ambientali triestini con gli investimenti
programmati per lo stabilimento. Mordashov, che un anno fa è riuscito a portare
via agli americani persino Rouge Industries, l’acciaieria che il mitico Henry
Ford aveva avviato negli anni Venti, non è tipo da farsi impressionare: «Nello
stabilimento di Trieste intendiamo continuare l'attività nel business del coke
anche dopo il 2009. Dobbiamo esplorare con gli stakeholders in quale modo» ha
detto Mordashov.«Siamo disposti a fare quello che serve sotto il profilo
ambientale con il consenso delle istituzioni coinvolte», hanno insistito ieri il
presidente Giuseppe Lucchini e l’amministratore delegato, Giuseppe Gilleri. Per
noi l’acciaieria triestina resta strategica. Sotto il profilo produttivo si
integra bene con l’acciaio a ciclo integrato di Piombino». E le cifre? Gli
investimenti per Trieste? Per ora a Brescia non ne fanno e tantomeno a
Cherepovest, il quartier generale russo di Mordashov dove «le acciaierie non
puzzano».Il gruppo Severstal-Lucchini rimanda tutti alle conclusioni del futuro
necessario piano ambientale che la Regione, di concerto con il ministero
dell’Ambiente (assieme a Comune e Provincia), dovrà realizzare in base alle
nuove normative. I russi-bresciani sono pronti a avviare la procedura: «entro
marzo-aprile» faranno richiesta alla Regione per avviare l’iter necessario a
ottenere l’autorizzazione integrata ambientale. Saranno coinvolti supertecnici
come gli specialisti dell’Istituto superiore di sanità e del Cnr: «Tutte le
migliori competenze che ci possono essere per individuare le tecnologie
necessarie per Servola», dicono a Brescia.La palla sta per passare così alla
Regione Friuli Venezia Giulia che, coadiuvata dal ministero dell’Ambiente, dovrà
fare una verifica degli impianti e dire l’ultima parola sullo stato dello
stabilimento in vista della riconversione. La questione ambientale riguarda
anche lo stabilimento di Piombino per il quale sono previsti 40 milioni di
investimenti nel 2006. Solo esaurita questa fase -precisano alla Lucchini- si
potrà quantificare la cifra necessaria per varare un piano di investimenti per
Trieste oltre la data fatidica della rivonversione prevista nel 2009.A livello
di gruppo, da punto di vista industriale, dopo che la produzione ha raggiunto i
3,5 milioni di tonnellate (da 4 milioni del 2004) «senza grossi investimenti»,
Mordashov ha indicato in 3,8 milioni l'obiettivo per il 2006. A Trieste tutto si
gioca sulle «linee di sviluppo per Servola», presentate da Severstal-Lucchini
nell’ottobre scorso, embrione di un piano industriale che oggi si intreccia
pesantemente con l’aspetto ambientale e riguarda il futuro di circa 600 operai.
Un altro nodo, questa volta più industriale, riguarda la futura piattaforma
logistica e i rapporti con l’Auhority portuale triestina: «Bisogna verificare
come possono coesistere il mantenimento di un impianto siderurgico con lo
sviluppo logistico da tutti auspicato», dicono a Brescia. Al momento, precisano
alla Lucchini, non ci sono incontri programmati con l’Authority. Il gruppo
Lucchini intanto aarchivia il 2005 con un fatturato di 2,2 miliardi di euro, un
margine operativo lordo di circa 300 milioni e un utile di 70 milioni, sui
livelli del 2004. Il gruppo ha ritrovato più tranquillità anche dal punto di
vista finanziario con l'indebitamento sceso nel 2005 sotto i 550 milioni di
euro.
IL PICCOLO - VENERDÌ, 13 GENNAIO 2006
Colussi: «Lavoro, alla Ferriera oggi non esistono
alternative»
«Nella Regione, da artigiani, commercianti e qua e là dal
Confapi prevalgono le richieste di finanziamenti a pioggia». Ruben Colussi, il
segretario regionale della Cgil, tocca un tema spinoso. Lo sa. Tra competitività
globale, mercato del lavoro, sviluppo della coesione sociale, «sarà difficile
andare con tutta coerenza su questo percorso» di sostegno a innovazione e
competitività scelto dalla Regione, riflette a voce alta.Da Colussi ieri sono
venute anche alcune sottolineature sulle priorità per lo sviluppo di Trieste.
«La deindustrializzazione è nei fatti», ha esordito il sindacalista. Che ha
rimarcato la necessità di ricostruire una rete sociale e progettuale. «Costruire
relazioni» ma «nel modo più dettagliato possibile perché dobbiamo cercare di
prefigurare uno spettro di interventi concreti» con «il concorso di tutti».
Quanto alla Ferriera, Colussi è stato chiaro: «La siderurgia è un settore che
davanti a sé ha una prospettiva di un certo periodo». Ma il ritardo
nell’intervenire sull’aspetto ambientale aiuta chi vuole che lo stabilimento
chiuda, e dall’altra parte crea atteggiamenti di disimpegno». Il primo
imperativo è intervenire sulla sicurezza ambientale. Tenendo presente che «le
ipotesi alternative citate dal sindaco, l’impianto di gassificazione e la
riconversione di Porto Vecchio, sono del tutto aleatorie. È evidente l’assoluta
strumentalità» del centrodestra, per Colussi: alla Ferriera oggi «non esiste
alternativa».
e-gazette -
gennaio
2006
A tutto gasprom - La storia del gas russo e della
debolezza italiana, retroscena e altre vicende…