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RASSEGNA STAMPA -  2006

IL PICCOLO - DOMENICA, 31 DICEMBRE 2006

 

Via Piccardi in tilt da traffico Il Comune vuole togliere i bus: doppio senso in via Rossetti

 

Gli uffici al lavoro sul nuovo piano che andrà in giunta a gennaio prima della discussione in aula

Via Piccardi è soffocata. Il traffico veicolare non scorre, favorendo l’inquinamento di una zona strategica per il flusso delle automobili in centro città. Un’arteria entrata a pieno titolo nel Piano del traffico, la cui presentazione - dopo l’approvazione in giunta - appare imminente. Ma accanto al tormentone sulla chiusura alle automobili di corso Italia e via Mazzini, gli uffici comunali sono al lavoro anche su altri fronti. Uno di questi è proprio quello di via Piccardi, che chiama in causa la parallela via Rossetti.
Negli schemi all’attenzione della giunta Dipiazza c’è il progetto di creare un doppio senso di marcia in via Rossetti. Se le automobili e le moto rimarranno i «padroni» dell’attuale corsia - direzione Fiera, verso piazzale De Gasperi - gli autobus potrebbero acquisire il diritto di scendere in direzione viale XX settembre. Fino a un certo punto, ovviamente.
Una soluzione che consentirebbe di sgravare il passaggio degli autobus in via Piccardi, lasciandola interamente ai mezzi privati. Una sorta di asse di scorrimento verso largo Barriera, nell’attesa del completamento della grande viabilità che, assieme a viale D’Annunzio e alle Rive, libererebbe le automobili in una sorta di circuito. In mezzo il centro, storico o meno, con l’obiettivo da parte del Comune di renderlo - nelle possibilità di manovra concesse, pratiche e politiche - più pedonale possibile. E qui salta fuori una certezza: piazza della Borsa «proprietà» dei pedoni.
L’assessore alla Pianificazione territoriale Maurizio Bucci, pur cercando di non sbilanciarsi più di tanto, ammette alcune linee guida. Aspettando la discussione in giunta e, dopo il parere delle sette cirscoscrizioni, la discussione in aula. Un lavoro che sbarcherà in Consiglio comunale prima dell’estate. «C’è la volontà di approvare il Piano del traffico in giunta a gennaio, dopo averlo condiviso anche con i capigruppo della maggioranza. Successivamente apriremo il confronto - spiega Bucci - con la Trieste trasporti e la categoria dei tassisti, che rappresentano le due realtà impegnate sulla strada. L’ultimo atto prima del Consiglio comunale sarà il tavolo con i commercianti».
Un percorso di concertazione che, stando all’assessore all’Urbanistica, appare in discesa rispetto al passato. «Rispetto a cinque anni fa è cambiata la mentalità dei triestini, molto più attenti alle areee pedonali - sostiene Bucci - dopo un’iniziale scetticismo. Stiamo lavorando su tre fronti: pedonalizzazione, corsie per gli autobus e flusso veicolare, senza ovviamente dimenticare il Piano parcheggi».
Tutto dovrà ruotare attorno al centro storico. Il prossimo pezzo da pedonalizzare sarà piazza della Borsa - da via Canal piccolo a via Roma, comprendendo via Cassa di rismarmio - allargando di fatto piazza Unità. «È più di una possibilità, stiamo lavorando per creare - ammette l’assessore della giunta Dipiazza - un collegamento a piedi con via delle Torri, via San Nicolò e piazza Sant’Antonio». Il primo scoglio - oltre al flusso dei veicoli che dalle Rive svoltano in via Canal piccolo, direzione corso Italia - è rappresentato dalle fermate degli autobus. Allo studio dei tecnici c’è uno spostamento delle fermate nella parte bassa di via Mazzini.
Ma prima di fare il grande passo, il Comune sta anche studiando le abitudini dei triestini dopo l’apertura delle Rive. Bisogna calcolare, insomma, quante automobili passano effettivamente lungo le strade che, un domani, potrebbero essere chiuse al traffico. «L’idea è di togliere le automobili parcheggiate lungo le Rive - dice Bucci - e riempire i parcheggi interrati che andremo a realizzare entro questo mandato. Uno sorgerà davanti alla stazione Marittima, l’altro nel tratto delle Rive tra il teatro Verdi e il canale di Ponterosso». Potranno ospitare ciascuno 750 posti, liberando il fronte mare. Un cambiamento radicale nell’uso dell’automobile, del motorino e anche delle proprie gambe. Ma ci vorranno alcuni anni.

Pietro Comelli

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 30 DICEMBRE 2006
 
Legge sulla caccia, primo «sì» Ridotte al 20% le aree protette
 
Ok dall’esecutivo, ora il passaggio al Consiglio delle autonomie  - Marsilio: non ci dovrebbero essere più ostacoli all’approvazione
TRIESTE E’ stato solo un passaggio formale prima di riprendere la via del Consiglio delle Autonomie e della commissione competente l’approvazione da parte della giunta del decreto legge sulla caccia. A spiegarlo è lo stesso assessore Enzo Marsilio. «E’ stato necessario apportare alcune modifiche al documento originale – afferma – in particolare nel capitolo che riguarda le competenze delle Province.
Abbiamo infatti recepito alcune osservazioni che le stesse avevano avanzato in sede di consultazione». Adesso quindi, il documento dopo il passaggio in giunta ritornerà al Consiglio delle Autonomie e poi nuovamente in commissione. Con che tempi? Brevi. «Il primo Consiglio utile, quello che presumibilmente verrà convocato già in gennaio, sarà il luogo di esame – annuncia Marsilio - .Prevedo non ci dovrebbero essere problemi di sorta, dal momento che le osservazioni sono state recepite. Poi il documento approderà in commissione». Sicuramente, l’iter della nuova legge sulla caccia però si allunga di un bel po’.
Originariamente, infatti, era prevista in approvazione già entro l’autunno, termine poi spostato a fine anno, e ora rinviato al 2007. Le osservazioni (non solo da parte delle province, ma anche delle associazioni ambientaliste) sul documento erano state molte: sulla riduzione del territorio protetto (che sarà al massimo del 20% in contrasto con la legge quadro nazionale che prevede invece il 30) sul permesso dell’attività di uccellagione, sulla caccia in deroga della fauna selvatica da effettuarsi da soggetti diversi da quelli previsti dalla legge, e sulla vigilanza a tutela della fauna delegata ai guardiacaccia provinciali.
e.o.

 

 
Amici della Terra, nuove accuse
 

La sezione triestina replica alla presidente nazionale Rosa Filippini

«Ci opporremo alla richiesta avanzata da Rosa Filippini, presidente nazionale degli Amici della Terra. Lei ha affermato che vuole inibire al Club di Trieste, attraverso un ricorso d’urgenza in Tribunale, l’uso del marchio dell’associazione. A nostro giudizio la sua richiesta è infondata e ha come scopo reale quello di evitare l’ispezione degli organismi internazionali dei Friends of The Earth».
E’ questo, in estrema sintesi, il contenuto della nota diffusa dal direttivo di Trieste dell’associazione ambientalista che negli ultimi anni ha avuto se non altro il merito di segnalare la presenza di sostanze inquinanti e pericolose all’interno del terrapieno di Barcola, riuscendo anche a far aprire un’inchiesta penale alla Procura della Repubblica.
«Il procedimento d’urgenza avviato e pubblicizzato da Rosa Filippini contro il club di Trieste degli Amici della Terra, ha come secondo scopo quello di far dichiarare la sezione italiana titolare esclusiva del diritto di utilizzare i marchi Friends of the Earth e Amici della Terra. La sezione di Trieste sta ricevendo crescenti attestazioni di solidarietà da consoci e da sezioni italiane ed estere e si riserva di convocare una conferenza stampa per esibire le prove documentali dei fatti».
Nella stessa nota il direttivo del club di Trieste «precisa che il pretesto contabile accampato da Roma per la tentata espulsione, è inesistente, essendo provato che le percentuali delle quote annuali ora richieste non venivano versate alla sede centrale con il consenso della stessa Rosa Filippini, a fronte del totale e oneroso autofinanziamento del club di Trieste. Quanto veniva richiesto era comunque puntualmente versato».
L’udienza di confronto tra il club di Trieste e il vertice nazionale è fissata per il prossimo 5 febbraio davanti al giudice Sergio Carnimeo. Al centro della discussione l’uso del marchio «Amici della Terra».

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 29 DICEMBRE 2006
 
Parco del Carso, ricorso del Wwf all’Ue contro la Regione
 

L’ente rischia una multa per non aver predisposto correttamente la perimetrazione della Zona di protezione speciale sull’altipiano

TRIESTE È partito direttamente da Fulco Pratesi, presidente nazionale del Wwf, un reclamo alla Commissione Europea contro la Regione Friuli Venezia Giulia, che ora rischia una multa salata per non aver predisposto in modo opportuno la designazione e la successiva modifica del perimetro della Zona di protezione speciale e del Sito di importanza comunitaria (ZPS/SIC) relativo all’area del «Carso triestino e goriziano».
Ieri il rappresentante del Wwwf locale Guido Pesante ha puntualizzato come tale atto vada a evidenziare l’atteggiamento anti-europeista e scarsamente sensibile alle tematiche ambientali evidenziato su tale frangente dall’Italia e, in particolare, dal nostro ente regionale. La Commissione Europea ha avuto modo di richiamare l’Italia sulla scadente o addirittura mancata applicazione di quelle direttive create per garantire la sopravvivenza alle bio diversità esistenti nel vecchio continente. In questa direzione venne richiesto a tutti gli stati membri dell’organizzazione europea di creare delle reti di aree attrezzate alla tutela degli Uccelli, le «Important bird area” (IBA), e quelle relative alla protezioni degli Habitat, le «Zone di protezione speciale» (ZPS).
L’Italia, e in particolare la nostra Regione, risulterebbe in grave ritardo rispetto a tali designazioni. Già nel febbraio del 2005 – secondo Pesante - per dare esecuzione a una sentenza della Corte di Giustizia Europea di due anni prima, la Regione avrebbe perimetrato un’area ZPS sul Carso in modo insufficiente sotto il profilo delle dimensioni e del metodo. «Nel febbraio del 2006 – continua il responsabile del Wwf – la Regione, su pressione del Ministero dell’Ambiente, ha ampliato la zona protetta. Salvo a rimetterci mano qualche mese più tardi stralciando un pezzo dell’area citata senza alcuna motivazione scientifica. Un tratto interessato dal progetto di alta velocità. Sulla questione – rincara Pesante – non è stato nemmeno coinvolto Livio Poldini, responsabile scientifico del procedimento di aggiornamento delle schede informative della ZPS».
La delicata e contorta questione sembra ora giunta a un punto cruciale: il 12 novembre scorso, a Roma, è stata avviata la fase conclusiva della procedura di infrazione della causa innescata dalla Corte di Giustizia Europea. Vertenza che si dovrebbe concludere a metà marzo e che prevede l’irrogazione di una sanzione all’Italia (valutabile attorno ai 10 milioni di euro escluse penalità di mora giornaliere per inadempienze) per la carente designazione dei siti protetti. «Per il principio di sussidiarietà – informa Pesante – il Ministero scaricherà l’onere finanziario sulle regioni inadempienti. Va da sé che il prezzo di tali negligenze della Regione graverà sulle spalle dei contribuenti del Friuli Venezia Giulia, perché la sanzione inciderà ovviamente sull’assegnazione dei fondi strutturali».
m.l.

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 28 DICEMBRE 2006
 
Sei nuovi autobus ecologici per la Trieste Trasporti - L’azienda punta a ridurre le emissioni inquinanti
 
Sono dotati di motori Euro 4 o 5, mentre sui mezzi Euro 3 già in circolazione verranno montati filtri speciali - Saranno facilmente riconoscibili: sono dipinti in due tonalità di blu
Sei nuovi autobus urbani ecologici entrano in servizio in città. Si tratta di sei Mercedes Citaro da 12 metri di lunghezza. La presentazione è stata effettuata nei giorni scorsi dal presidente di Trieste Trasporti Dario Fischer, dall'amministratore delegato Cosimo Paparo e dal direttore generale Pier Giorgio Luccarini, alla presenza del vescovo Eugenio Ravignani (che ha impartito una breve benedizione beneaugurale), del sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, dell'assessore ai Trasporti della Provincia Ondina Barduzzi e degli assessori comunali Maurizio Bucci e Paolo Rovis.
I nuovi autobus sono facilmente riconoscibili dai colori che richiamano quelli del marchio aziendale (due gradazioni di blu). L’obiettivo è di dare un significativo contributo all'abbattimento delle emissioni inquinanti da parte delle motorizzazioni diesel.
Complessivamente per il 2006 i mezzi in via di acquisizione da parte della Trieste Trasporti sono 31 (cinque da 9 metri, diciassette da 10,80 metri, sette da 12 metri e due ibridi diesel-elettrici), per un investimento di 7 milioni e 800 mila euro.
I nuovi mezzi sono dotati di motorizzazione Euro 4, Euro 5 o superiore, mentre su ulteriori 70 mezzi con motorizzazione Euro 3 già in esercizio è previsto il montaggio di filtri Crt (Continuously Regenerating Trap - marmitte dotate di catalizzatore e filtro ceramico trattato con metalli nobili che riduce l'emissione dallo scarico di particolato). Il dispositivo CRT anticipa in sostanza i limiti di emissione in merito a quanto previsto dalle normative Euro 4/Euro 5.
I responsabili della Trieste Trasporti hanno ricordato che comunque già nel 2003 circa il 50% dei chilometri prodotti dalla società veniva svolto con mezzi dotati di motorizzazione Euro 3. «Con l'acquisto di autobus Euro 4/5 o superiori, la scelta di dotare di filtro CRT i mezzi Euro 3 già acquisiti e l'adozione del gasolio desolforato per tutta la flotta aziendale, il totale delle emissioni in atmosfera del trasporto pubblico a Trieste sarà fortemente ridotto».
Nel corso della presentazione sono stati ricordati anche alcuni tra i dati statistici generali sul servizio di trasporto pubblico locale svolto dalla Trieste Trasporti. L’area coperta è di 212 chilometri quadrati. La rete è di 351,175 chilometri. Sono 60 le linee urbane e 271 i mezzi urbani impiegati.
L’età media del parco mezzi è di quattro anni e mezzo. I chilometri percorsi annualmente sono 13 milioni 231.538 km. Una è la linea tranviaria: la Trieste-Opicina - lunga 4,376 km, tratto a funicolare di 799 m, dislivello di 160 m. Tre invece le linee marittime: una annuale Trieste-Muggia, due stagionali Trieste-Sistiana-Duino-Monfalcone e Trieste-Barcola Grignano.

 

 
Baia, il Wwf: «Progetto sbagliato»
 
DUINO AURISINA Ambientalisti e opposizione criticano il villaggio turistico

DUINO AURISINA Centrosinistra e ambientalisti contro la scelta del sindaco Giorgio Ret che ha portato a sopresa all'approvazione di parte delle licenze edilizie relative al progetto turistico della Baia di Sistiana. Dopo il voto a sorpresa della commissione edilizia integrata, che risale a giovedì scorso, e dopo la pausa natalizia, gli ambientalisti tuonano contro la scelta del sindaco e della commissione edilizia. Wwf e Italia nostra (che conta su un rappresentante in commissione edilizia, che aveva chiesto di rimandare il voto, chiedendo una serie di approfondimenti) hanno espresso tutta la loro contrarietà in una nota inviata ieri alla stampa: «La Regione e il Comune - scrive Dario Predonzan per il Wwf - sono proni di fronte all'interesse delle rendite immobiliari: una scelta miope e a svantaggio del territorio, perché manca un disegno complessivo per lo sviluppo della costa e dell'intero Comune».
Secondo il Wwf, la documentazione presentata e valutata dalla commissione edilizia integrata la settimana scorsa, in una riunione fiume durata dalle 9 del mattino alle 5 della sera, risulta incompleta: «Alcuni aspetti - scrive ancora Predonzan - sono stati resi noti solo in termini indicativi. È il caso del piano di tinteggiatura, delle fognature e dei sistemi indicati alternativi di utilizzo dell'energia». Le fognature, in particolare, secondo il wwf, sono state abbozzate secondo uno schema di massima. Torna anche la questione architettonica, che tanto aveva animato gli animi cinque anni fa, ai tempi del primo progetto presentato dalla proprietà: «Nella documentazione presentata in commissione edilizia - dichiara Predonzan - non si parla più di borgo Istroveneto, ma è evidente che l'architettura degli edifici è ancora incongrua con la reale architettura del territorio: ci sono bifore e vedute certo non tipiche del nostro territorio».
Il progetto, realizzato dall'architetto Francesco Luparelli, al quale si è affiancata l'architetto Barbara Fornasir, ha subito numerose modifiche, ma, secondo il Wwf ancora non sufficienti. Ma gli ambientalisti guardano anche alla questione più generale: «In questa regione - conclude Predonzan - l'amministrzione asseconda, in assenza di un piano paesaggistico, modelli di sviluppo anni Sessanta, promuovendo in ogni modo la costruzione di grandi complessi di appartamenti sulla linea di costa. La promozione turistica, con la valorizzazione dei borghi locali, la promozione della tipicità dei luoghi, dell'albergo diffuso, va in tutt'altra direzione, così come i gusti dei turisti».
Ma la questione, approda anche a livello politico, con le dichiarazioni della coalizione di Centrosinistra, affidate in questo caso al verde Maurizio Rozza: «Singolare - scrive Rozza in una nota - che il sindaco abbia fatto approvare parte del piano turistico dalla commissione edilizia senza sottoporlo preventivamente alla valutazione di incidenza ambientale, una procedura obblicatoria per un sito come quello di Duino Aurisina tutelato a livello europeo. La cosa assume aspetti tragicomici poiché pochi giorni fa la commissione ha chiesto la valutazione di incidenza ambientale a un contadino che chiedeva di poter allevare sei maiali sul suo terreno».
f.c.

 

 

Amici della Terra, decide il giudice - Ricorso dei vertici nazionali contro la sezione triestina
 
Dalle lettere, alla citazione in giudizio davanti al Tribunale.
Sarà il giudice Sergio Carnimeo a decidere se il club triestino degli Amici della Terra può continuare a fregiarsi del nome dell’associazione. Il presidente nazionale Rosa Filippini ha infatti chiesto con l’assistenza dell’avvocato Cristiana Crevatin che sia inibito d’urgenza l’uso della denominazione «Amici della Terra» ai vertici dell’associazione triestina: in pratica al presidente Alessandro Claut, al segretario Roberto Giurastante e ad eventuali altri appartenenti al club che ha sede in via Cadorna e che è stato fondato nel 1995. L’udienza in cui verrà discusso il ricorso è fissata per il prossimo 5 febbraio.
«Sono stata costretta a ricorrere al giudice- ha spiegato Rosa Filippini- perché i responsabili del club di Trieste hanno violato le norme statutarie. Hanno omesso di versare per cinque anni le quote sociali raccolte a Trieste su delega della Direzione nazionale. Inoltre hanno rifiutato concretamente la proposta di sanare questa violazione entro il marzo scorso. Dopo aver presentato ricorso ai garanti della nostra associazione, hanno disconosciuto la loro legittimità e rifiutato la loro decisione. Ora disconoscono quelle stesse regole e quegli stessi poteri di delega e di revoca e pretendono di appropriarsi direttamente di simboli e denominazioni che non appartengono a loro. Dallo scorso maggio a Trieste non esiste più una rappresentanza locale degli Amici della Terra. Siamo ricorsi al giudice civile per inibire ai responsabili del Club di Trieste la rappresentanza dell’associazione in sede locale. I rapporti avevano iniziato a guastarsi da un paio d’anni».
Rosa Filippini ha anche negato che la scelta di ricorrere alla Magistratura possa essere messa in relazione «con il processo sulla vicenda della società Acquario con la quale non ho mai avuto alcun contatto. Ritengo quindi offensiva l’insinuazione in base alla quale avrei reso pubblica la notizia che a Trieste non esiste più una rappresentanza degli Amici della Terra, per tentare di alleviare le eventuali condanne di quel processo. Ho solo confermato la decisione assunta da tempo sul club triestino. Non intendo entrare nel merito delle loro iniziative ma come presidente nazionale devo e voglio far rispettare lo Statuto. Loro si erano rivolti a noi 10 anni fa come club di Trieste per poter usare il nome degli Amici della Terra. Ora queste condizioni non esistono più e siamo ricorsi al Tribunale per vedere sancito il nostro buon diritto».

 

 

Ambiente: la Croazia bonifica oltre 170 discariche comunali - Il bilancio della campagna ministeriale. Raccolti 700 milioni di contenitori usati

FIUME Importante passo avanti nel settore della salvaguardia ambientale in Croazia. La valutazione reca una firma eccellente ed è quella della Commissione europea che ha preso in considerazione i risultati ottenuti nel 2006 dalla Croazia nel suo processo d’avvicinamento all’Europa dei 25. Nel contesto, è stato il Ministero dell’ambiente a compiere grossi sforzi nell’anno che sta per spirare, facendosi promotore d’iniziative che hanno lasciato il segno. Una su tutte, la raccolta dei vuoti (bottiglie di vetro e plastica, barattoli e altri contenitori) che permette ai cittadini d’incassare 50 lipe, circa 7 centesimi di euro, per ogni vuoto.
Stando ai responsabili del dicastero, nei primi 11 mesi dell’anno sono stati raccolti e stoccati nel Paese più di 700 milioni di contenitori, la maggior parte dei quali sarebbe stata altrimenti dispersa nell’ambiente. Anche gli ecologisti hanno dato voti altamente positivi all’azione, che ha carattere permanente e che permette ai raccoglitori d’incamerare somme non indifferenti. I vuoti, va precisato, vengono venduti alle aziende commerciali. Da quanto è in vigore poi la normativa sui pneumatici dismessi, sono state raccolte e vendute ben 7 mila e 500 tonnellate di vecchie gomme per autoveicoli, la cui sorte in precedenza era risaputa: finire in qualche discarica abusiva, in mare, nei laghi, nei corsi d’acqua, nei boschi e via elencando. A questi dati molto indicativi si aggiunge quello del risanamento delle discariche di rifiuti comunali: attualmente sono 176 gli immondezzai che in Croazia vengono ripuliti e restituiti all’ambiente. L’operazione riguarda anche tutte le discariche situate nell’area insulare adriatica, ossia nelle isole del Quarnero e della Dalmazia.
Il risanamento è stato portato a termine nell’arcipelago di Zara, che comprende isole molto importanti dal punto di vista turistico, come a esempio l’Isola Lunga, Pasman, Ugliano, Melada, Selve, Ulbo, Premuda ed Eso. Il 2006 è stato poi un anno molto difficile per i titolari di costruzione abusive, con i lavoratori e i bulldozer del Ministero dell’ambiente che hanno colpito duramente specie a Puntadura (Vir), isola dello Zaratino. Qui sono state demolite un centinaio di case d’abitazione, appartenenti a cittadini croati e ungheresi. Si è trattato soprattutto di case adibite a uso turistico e dislocate a pochi metri dal mare, sprovviste di qualsiasi documentazione. E’ stato confermato che l’abusivismo edile e la cementificazione selvaggia lungo la fascia costiera andranno incontro a brutti momenti anche nell’anno che sta per iniziare. E’ da prevedersi che gli abbattimenti continueranno non solo in Dalmazia ma pure in Istria. Restando nell’ambito delle iniziative intraprese dal dicastero del ministro Marina Matulovic Dropulic, da citare il risanamento dell’ex cokeria di Buccari e del pozzo nero di Sovjak a Fiume, quest’ultimo ritenuto un’autentica bomba ecologica per la presenza di migliaia di metri cubi di materiale altamente inquinante.
Andrea Marsanich

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 27 DICEMBRE 2006

 
Giardinetto di via Cereria, raccolte più di 500 firme
 
Mobilitazione del circolo di Verdazzurro Legambiente

CITTÀ VECCHIA

Il circolo Verdazzurro di Legambiente Trieste ha raccolto in poco più di un mese 500 firme, che saranno recapitate entro i prossimi giorni sulla scrivania del sindaco Roberto Dipiazza, per cercare di salvare il giardinetto di via Cereria, unico polmoncino verde di Città Vecchia, alle spalle della palestra comunale di via della Valle.
Infatti, nonostante sia iscritta a tutti gli effetti come zona di «verde pubblico», la giunta comunale ha deliberato la costruzione di un'area destinata al parcheggio autovetture. In un incontro nella sede di via Donizetti 5/A, il presidente di Legambiente Trieste, Paolo Privitera, ha interpretato i timori e le preoccupazioni dei residenti che hanno deciso di battersi, da un lato per scongiurare la costruzione del parcheggio e dall'altro per il ripristino, e in seguito la manutenzione del giardino - ora in stato di grave abbandono - di via Cereria. «Abbiamo raccolto 500 firme che saranno depositate in comune - ha spiegato il segretario dell'associazione ambientalista, Ettore Calandra - con le quali vogliamo sensibilizzare l'amministrazione pubblica affinché decida di privilegiare la conservazione del verde pubblico, patrimonio di tutti, alle leggi del cemento e delle macchine».
Oltre a mantenere la destinazione d'uso della zona, attualmente considerata verde urbano, il giardinetto ha urgente bisogno di essere riqualificato e risistemato, con nuove piante che affianchino gli sparuti alberi ancora in vita, e una progettazione del verde che lo rendano fruibile per i residenti. Oltre ad essere incolto da anni, durante i lavori di ristrutturazione della palestra comunale di via della Valle, che è tra le più antiche d'Italia, è stato di fatto utilizzato come discarica dall'impresa che si è occupata del restauro, e che a fine lavori, non ha provveduto a sgomberare del tutto l'area. Ad oggi dalla via della Valle si gode la vista di questo pregevole palazzo d'epoca, con annesso sul lato posteriore un giardino, dalle cui finestre in un non lontano futuro, si potrebbe ammirare una distesa, non più d'erba, bensì di tetti di macchine parcheggiate.
L'amministrazione comunale aveva promesso di occuparsi entro il 2006 del restyling del giardino, per ridare dignità e decoro all'unico spazio verde della zona, ma poi la mancata realizzazione del progetto per costruire dei parcheggi sotto piazza Sant’Antonio, ha scatenato la caccia, soprattutto in centro, ai luoghi alternativi anche a discapito del verde pubblico.
Patrizia Piccione

 

 

 

 

L'ESPRESSO - GIOVEDI', 21 DICEMBRE 2006

Sindaci e WWF contro le casse di espansione sul Tagliamento ( 943KB).

Veleno Eternit per l'eternita'

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 21 DICEMBRE 2006

 

Baia di Sistiana: a marzo il villaggio turistico nell’ex cava

 

DUINO AURISINA Accelera l’iter per la costruzione del nuovo borgo. Sindaco euforico, Wwf contrario, critica l’opposizione

A sorpresa ieri la commissione edilizia ha votato il progetto delle prime residenze - il piano prevede una serie di abitazioni affacciate sul futuro porticciolo

DUINO AURISINA La commissione edilizia integrata del Comune di Duino Aurisina ha approvato a sorpresa ieri pomeriggio il primo dei progetti relativi al piano turistico della Baia di Sistiana, che riguarda una parte di edificato nella ex cava, attorno al futuro porticciolo. Dopo il sì alle prima opere di urbanizzazione, questa è il vero e proprio via libera alla costruzione del nuovo borgo turistico nella ex cava. Una approvazione inaspettata, perché il voto era atteso per gennaio.

Invece con otto voti favorevoli su nove (contrario solo il Wwf, che ora dovrà motivare il proprio dissenso), la commissione edilizia ha approvato, e finalmente ieri il sindaco Ret ha reso pubblica la nuova fisionomia del progetto turistico che si realizzerà nella ex cava. Semplificato nelle linee rispetto al progetto presentato cinque anni fa, eliminata tutta una serie di «citazioni» da borgo istroveneto (compreso l'odiato campanile che nascondeva un ascensore), la porizione di progetto (che si trova, come tutto il resto del nuovo edificato, non esattamente nella Baia ma nella ex cava) si compone di una serie di residenze turistiche affacciate su un porticciolo che andrà realizzato artificialmente in futuro, «affondando» la base della cava. Rispetto al progetto precedente i volumi edificati sono leggermente minori, i colori vicini a quelli della terra locale (verdi, gialli, beige), si farà ampio uso della pietra carsica.
La votazione da parte della commissione è stata repentina: i nove tecnici hanno preso in considerazione la documentazione, e un plastico realizzato dalla proprietà. La riunione è iniziata alle 9 del mattino e terminata con il voto favorevole alle 17, anche dopo una convocazione in comune di un tecnico della proprietà. Anche se non necessari in questa fase, la proprietà ha prodotto i nulla osta dell'Azienda sanitaria e dei pompieri, e lo stesso comandante dei vigili del fuoco ha partecipato alla seduta della commissione edilizia.
Si tratta di un voto di portata storica, perché apre l'ultima fase «burocratica» del progetto, e detta tempi certi: il progetto dovrà passare al vaglio della Soprintendenza, che avrà 90 giorni di tempo per dare il proprio nulla osta (è chiamata a valutare la legittimità dell'autorizzazione paesaggistica concessa ieri). Come dire che se non vi saranno intoppi, a inizio primavera la prima concessione edilizia del progetto (subito dopo il pagamento degli oneri di urbanizzazione) sarà esecutiva e da quel momento in poi la proprietà potrà iniziare con i lavori.
«La commissione ha scelto di votare perché era tutto chiaro e completo - ha dichiarato il sindaco Ret - e sono soddisfatto. Sono state approtate molte migliorie, il progetto comprende tanto verde, tanta pietra, percorsi liberi pedonali e verrà realizzato in parte in bioedilizia, con ricerca anche di soluzioni di energia alternativa. Abbiamo compiuto un grande passo».
Incredula invece l'opposizione, non sul contenuto del progetto, ma sul metodo adottato dall'amministrazione: «Non ci è stata data l'opportunità di visionare il progetto prima dell'approvazione della commissione edilizia - dice il candidato sindaco del Centrosinistra Veronese - per ora posso commentare solo il metodo: quasi un colpo di mano. E il sindaco non mi venga a dire che la commissione sulla Baia non è una scatola vuota, credo che valuteremo se partecipare o meno in futuro».
Francesca Capodanno

 

 

 

IL SOLE 24 ORE - MERCOLEDI', 20 DICEMBRE 2006

Con la cura Bersani e il caldo Italia fuori da emergenza gas

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 20 DICEMBRE 2006

 

MUGGIA: l’ex sindaco Gasperini condannato per dichiarazioni contro gli Amici della Terra: deve pagare 5mila euro
 
L’ex sindaco di Muggia, l’architetto Lorenzo Gasperini è stato condannato ieri a cinquemila euro di multa dal giudice Francesco Antoni. Era accusato
di aver diffamato la sezione triestina dell’associazione ambientalista «Amici della terra - Friends of the Earth» che si è costituita in giudizio con i propri dirigenti Alessandro Claut e Roberto Giurastante.
L’accusa di diffamazione è direttamente collegata a quanto era accaduto nell’aula del consiglio comunale di Muggia il 12 novembre 2004. Nel corso di una risposta all’interrogazione presentata dal consigliere di Rifondazione comunista Stefano Tarlao, l’allora sindaco forzista di Muggia aveva affermato che «gli appartenenti agli Amici della Terra si divertono a denunciare a piè sospinto chiunque intralci le loro attività, inventando accuse infamanti».
L’associazione ambientalista aveva reagito, contestando le affermazioni che riteneva per lo meno ingiuste e non veritiere: «Offendono la nostra reputazione». Il sindaco era stato querelato per diffamazione il 31 gennaio 2005 e gli «Amici della Terra» si erano anche costituiti in giudizio con l’avvocato Livio Bernot.
Nella sentenza il giudice Francesco Antoni non ha solo condannato il sindaco a cinquemila euro di multa, ma gli ha anche imposto di versare alla sezione di Trieste degli «Amici della Terra», una provvisionale immediatamente esecutiva di diecimila euro. L’entità complessiva del danno verrà invece stabilità in un altro procedimento da un giudice civile.
«Non so nulla di questa condanna. Non ho presenziato al processo e dovrò consultarmi con il mio legale, l’avvocato Dario Miani, che so peraltro mi ha cercato. Per decidere se eventualmente ricorrere in appello dovrò prima parlare con lui» ha affermato ieri nel tardo pomeriggio l’architetto Lorenzo Gasperini. Poi ha aggiunto: «Sono però a conoscenza che quelli che mi hanno denunciato sono stati ”scomunicati” di recente dai vertici nazionali degli Amici della Terra».
Nel corso del dibattimento per diffamazione, la questione della presunta ”scomunica” pronunciata da Roma contro il Club di Trieste degli Amici della Terra, era emersa per iniziativa dello stesso club. Attraverso il proprio legale i dirigenti triestini hanno esibito al giudice Francesco Antoni la documentazione sulla querelle in cui sono intervenuti i vertici internazionali del movimento ambientalista, che hanno disposto un’ispezione alla sede romana dei «Friends of the Hearth».Claudio Ernè

 

 

 

dal Blog di Beppe Grillo - MARTEDI', 19 DICEMBRE 2006

Greenpeace si batte contro la centrale a carbone di Porto Tolle

A Porto Tolle qualcuno si sta battendo per noi. E’ Greenpeace. Il governo degli inceneritori e della TAV è rimasto a fine Ottocento, alle sorti progressiste e al sol dell’avvenire. E al carbone. I Verdi non sono pervenuti. Bisogna capirli sono verdi e rossi. Verdidiossinidiessini. Pecoraro, alza la voce una volta nella tua verde vita! Dì qualcosa di verde!
Riporto un comunicato di Greenpeace su Porto Tolle. Non lo troverete sui giornali finanziati dalla pubblicità dell'Enel. In pratica (quasi) tutti.
Guardate le foto e i video.

“Arrampicati a 250 metri d'altezza da ieri notte. Una squadra di climber di Greenpeace è entrata in azione alla centrale di Porto Tolle (Rovigo) per protestare contro il ritorno al carbone promosso dal Governo. Alcuni climber si trovano ora sul camino della centrale e stanno dipingendo una scritta gigantesca, mentre altri sul tetto dell’edificio, dove hanno apposto una gigantesca coccarda con scritto ‘Enel clima killer’.
La centrale di Porto Tolle, secondo il progetto dell’Enel attualmente in fase di autorizzazione, dovrebbe essere convertita a carbone per una potenza di 1.980 Megawatt e con un'emissione di CO2 di oltre 10 milioni di tonnellate l’anno.
L’impianto sorge peraltro in un parco naturale definito patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. I delta dei grandi fiumi sono ambienti che godono di particolare protezione in tutto il mondo: in Italia, invece, l'area vede la presenza di questa vecchia centrale a olio combustibile, pesante fonte di inquinamento, tanto che a marzo scorso è arrivata una condanna per i top manager dell’Enel.
La scomoda verità è che il ritorno al carbone non ci farà raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra. L’accordo tra il Ministero dello Sviluppo Economico e quello dell’Ambiente prevede un tetto alle emissioni eccessivo rispetto alle linee guida europee: 209 milioni di tonnellate in totale al posto di 186. Non c’e posto per la centrale di Civitavecchia, tanto meno per quella di Porto Tolle. La Commissione Europea deve tagliare la proposta di Piano Nazionale di Allocazione dell’Italia.
Oggi il carbone copre il 17 per cento della produzione elettrica nazionale ed è responsabile dell’emissione di oltre 40 milioni di tonnellate di CO2. Con i progetti di espansione di Enel, Endesa, Tirreno Power e altri, queste emissioni sono destinate a raddoppiare. Il carbone è il combustibile con le più alte emissioni specifiche di CO2, oltre il doppio del gas naturale.
Il programma politico dell’Unione indica obiettivi per lo sviluppo di fonti rinnovabili e per l’efficienza energetica, ma al momento nell’azione di Governo non c’è traccia di tutto questo. Chiediamo che vengano fissati obiettivi vincolanti e coerenti con gli impegni assunti in campo internazionale”.

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 19 DICEMBRE 2006
 
 
Corridoio 5, l’Ue preme su Roma e Lubiana «La firma entro il 2008, è l’ultima chance
 

Il presidente della commissione Trasporti Costa: «Una grande occasione per il porto di Trieste ma va colta»

BRUXELLES «La manovra finanziaria dell’Italia e il governo della Slovenia non tengono nel dovuto conto l’imprescindibilità della realizzazione del Corridoio 5, il che rischia di mettere in forse l’erogazione degli stanziamenti europei». La denuncia è venuta ieri da Paolo Costa, presidente della commissione Trasporti e Turismo dell’Unione Europea, che per lanciarla ha convocato a Bruxelles la stampa del Nord-Est d’Italia.
«Nello strumento finanziario all’esame finale del parlamento italiano e anche negli ultimi documenti di rete ferroviaria italiana - ha sostenuto Costa - nulla si dice della Trieste-Venezia e, quel che è più grave, nulla si dice della Trieste-Divaccia. L’accordo sul progetto definitivo - ha sostenuto - va invece assolutamente sottoscritto tra Roma e Lubiana entro la prima metà del 2008, allorché vi sarà il semestre di presidenza slovena dell’Unione Europea». A più riprese, come si ricorderà, era emerso in passato il timore di un’opzione esclusiva degli sloveni per il tratto Capodistria-Divaccia. Un segnale positivo che ci si attende ora al più presto è la costituzione della conferenza intergovernativa italo-slovena per il varo di un tracciato transfrontaliero condiviso. Questo progetto secondo quanto espresso dallo stesso Costa è anche intimamente connesso con l’auspicato definitivo decollo del porto di Trieste. «Realizzata questa infrastruttura - ha sostenuto il presidente della commissione Trasporti dell’Unione Europea - l’Alto Adriatico e in particolare lo scalo triestino in virtù dei suoi fondali profondi diventerà il vero porto italiano transhipment, perché il più prossimo al Centro e all’Est Europa con le quali risulterebbe perfettamente collegato».
Nemmeno questa prospettiva sarebbe però recepita dalla legge finanziaria dello Stato, che assegna stanziamenti particolari quali porti di transhipment a Gioia Tauro, Livorno e Cagliari. Notizia questa che ha suscitato nei giorni scorsi una certa apprensione a Trieste soprattutto se messa in correlazione con le dichiarazioni del presidente Prodi al Financial Times di un prossimo accordo tra Italia ed Egitto per far transitare su Gioia Tauro le navi cinesi, che, in numero sempre maggiore, passeranno attraverso il canale di Suez che verrà prossimamente ampliato.
«Obiettivo prioritario dell’Italia - ha sostenuto invece Costa - sarà in futuro quello di intercettare le navi che entrano nel canale di Suez e che oggi al 90% escono dallo stretto di Gibilterra puntando sui porti del Nord Europa. Con le navi vanno invece dirottate su per l’Adriatico e per il Tirreno».
Secondo Costa che è membro del Bureau dell’Alleanza dei democratici dei liberali europei l’entità della manovra finanziaria è coerente con la necessità urgente di stabilizzazione dei conti pubblici, ma per recuperare il ritardo infrastrutturale vanno effettuate alcune correzioni di rotta in sede di definizione dei finanziamenti con le delibere del Cipe e con i 6 miliardi della Legge Obiettivo. «La Trieste-Divaccia - ha sostenuto il presidente della commissione Trasporti dell’Unione Europea - potrebbe essere finanziata anche con sovrapedaggi da applicare ai camion e comunque - ha aggiunto - va ampliato l’interesse dello Stato che ora sembra tutto concentrato sulla cosiddetta croce da Torino a Venezia e da Milano a Napoli. Il tratto tra Portogruaro e il confine con la Slovenia è in progettazione grazie all’impegno della Regione Friuli Venezia Giulia, ma c’è una questione aperta a Vicenza e soprattutto è in completo in alto mare il tratto tra Portogruaro e Venezia: ritardi che rischiano di tagliare fuori dall’Europa l’Italia intera».
Silvio Maranzana
 

 
 
Baia, approvati i primi sei progetti

 

 DUINO AURISINA La commissione comunale speciale ha firmato la concessione edilizia per alcune opere di urbanizzazione
Gli interventi riguardano la viabilità, la sicurezza stradale e l’arredo urbano
DUINO AURISINA Sei progetti analizzati, una serie di migliorie proposte, e l'obiettivo di stemperare le polemiche avviate una settimana fa dal consigliere di opposizione Walter Ulcigrai.
Si è riunita ieri, con questi obiettivi, la commissione comunale speciale che analizza e accompagna il sindaco relativamente all'iter relativo al progetto turistico della Baia di Sistiana.
Una seconda riunione che ha visto il sindaco agguerrito nel dimostrare che - contrariamente a quanto dichiarato da Ulcigrai - la commissione non rappresenta una «scatola vuota», ma ha l'obiettivo di tenere informati i consiglieri relativamente ai documenti e progetti presentati.
Sono al momento sei le opere di urbanizzazione già approvate (la comunicazione alla commissione è avvenuta infatti dopo l'approvazione da parte della commissione edilizia presieduta dal sindaco), per le quali i lavori potranno iniziare a breve, e relativamente alle quali la commissione ha prodotto un verbale con una serie di richieste di migliorie.
I progetti riguardano, in questa fase, la realizzazione di viabilità, necessaria per rendere ovviamente accessibile il sito della ex Cava, dove si concentra in questa fase la prima parte dei lavori per il progetto turistico.
Si tratta della realizzazione di un grande incrocio di fronte all'ingresso di Borgo San Mauro, necessario per collegare la ex Cava direttamente dalla statale, senza utilizzare la strada che passa in basso, lungo la Baia, che comunque, sempre in questo lotto di lavori, verrà messa a posto e ripavimentata.
Le due vie di accesso alla ex Cava - quella dal ciglione in alto, e quella parallela al mare, dopo Castelreggio - verranno quindi rimesse a nuovo, corredate di marciapiedi, di piano per lo smaltimento delle acque piovane e predisposte, con tombini e "tubi corrugati", per l'interramento, se necessario in futuro senza rompere le nuove strade, di cavi. Proprio quest'ultimo aspetto non è contenuto nel progetto della proprietà della Baia (questi lavori, infatti, sono realizzati dalla proprietà della Baia su richiesta del comune, nell'ambito della convenzione per il progetto turistico) ma nasce dalle richieste formulate ieri pomeriggio dalla commissione consiliare straordinaria, che ha sottolineato anche la necessità di alcune rifiniture di qualità sull'arredo urbano, e la realizzazione per questioni di sicurezza di un centrostrada particolarmente visibile.
Dopo la firma delle concessioni edilizie per la prima serie di opere di urbanizzazione, ora si attende di entrare nel vivo, con la presentazione da parte della proprietà della Baia delle prime richieste di concessione per il progetto vero e proprio: «Qualcosa in Comune è arrivato - ammette il sindaco - ma si tratta ancora di documenti preliminari. Questa settimana riunirò la commissione edilizia per una prima analisi, ma soprattutto per prevedere una scaletta di incontri a gennaio e febbraio».
Più che la commissione edilizia, interessa adesso capire le prossime riunioni della commissione paesaggistica: il sindaco parla di gennaio come possibile prima convocazione con all'ordine del giorno i primi disegni esecutivi dei progetti relativi alla zona della ex cava.
A gennaio, insomma, la proprietà della Baia che fa capo all'imprenditore mantovano Carlo Dodi si prepara a scoprire definitivamente le carte, anche se probabilmente sarà l'amministrazione comunale, e non la proprietà, a rendere pubblici i disegni.
Francesca Capodanno

 
Si riunisce domani il comitato contro le nuove case
 
CAMPO MARZIO
Domani, alle 20, nella sala parrocchiale di via Locchi 22, accanto alla chiesa di Santa Rita, il Comitato di Campo Marzio ha indetto un’assemblea pubblica «in attesa - si legge in un comunicato - del pronunciamento del Tar in merito al ricorso presentato dal Comitato contro l'edificazione selvaggia progettata sull'area ex Fiat». «Vogliamo - continua il comunicato - informare gli abitanti del rione sulla situazione esistente. Da tempo è in atto una raccolta di firme cui hanno aderito tutti i Comitati cittadini. La consegna delle firme raccolte avverrà entro il mese».

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 18 DICEMBRE 2006

 

Verdi, rieletto Pizzati con il 70% dei voti
 
TRIESTE Confermato alla guida dei Verdi del Friuli Venezia Giulia Gianni Pizzati. Il presidente uscente è stato eletto con il 70% dei voti, mentre l'opposizione interna si è divisa fra il 20% al candidato Maurizio Rozza e il 10% a Luciano Giorgi. Sono stati eletti nell'esecutivo regionale anche Pietro Zucca, Giorgia Visintin, Mauro Bussani e Maurizio Rozza. Per il Consiglio federale nazionale è stato eletto Alfredo Racovelli, già consigliere comunale a Trieste. Durante l’assemblea si sono confrontate su scala regionale, per la prima volta, le due componenti del partito già emerse al congresso nazionale di Fiuggi. Da una parte la componente che fa capo al ministro dell'Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, rappresentata da Pizzati; dall'altra i 'Verdi Ecologisti per l'Europà con una mozione che vuole riportare in primo piano i contenuti ambientali e che ha sostienuto la candidatura di Rozza. Due «correnti» che sul piano regionale sono però concordi nella critica alla giunta Regionale del Friuli Venezia Giulia per quanto riguarda i temi ambientali, nonostante i Verdi facciano parte della maggioranza.

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 16 DICEMBRE 2006

 
Trasporto locale, verso l’integrazione bus-treno
 
UDINE - GOMMA-FERRO L’assessore ai Trasporti Lodovico Sonego, illustrando le linee guida, anticipa la strutturazione di un nuovo assetto del trasporto pubblico locale in Friuli Venezia Giulia, «in grado di fornire prestazioni efficienti e promuovere la concorrenza anche attraverso la realizzazione prioritaria di una gara unica gomma-ferro-marittimi o, in alternativa, la realizzazione di una gara unica sul territorio regionale per i servizi su gomma/marittimi e una per i servizi ferroviari». La proposta operativa, precisa ancora Sonego, viene articolata in due fasi attuative, nel breve (2007-2010) e medio periodo (2011-2020), che andranno a modificare il Piano regionale del Tpl e a rivedere la legge regionale 20 del 1997.

 

DUINO AURISINA: nuove «isole» per la raccolta differenziata

 

Sono previste a Precenicco superiore, Aurisina centro, Sistiana e Santa Croce

La collocazione decisa dal Comune in collaborazione con AcegasAps dopo un preciso monitoraggio

In un anno questa tecnica ha visto un aumento di quasi il 4%. Di riflesso è calata di 73 tonnellate la raccolta «indifferenziata»
Viene potenziata, come previsto, la raccolta differenziata sul territorio di Duino Aurisina.
Il Comune ha infatti deciso, concordemente con l’AcegasAps, di provvedere alla creazione di nuove isole per la raccolta di vetro, carta, plastica in alcune località del territorio.
Un intervento che viene attuato a seguito di un costante monitoraggio della raccolta dei rifiuti che ha evidenziato questa necessità.
Si è così deciso in particolare di dotare di un'«isola» completa per la raccolta differenziata le zone che ancora ne erano prive, e ne richiedevano la presenza, come Precenicco superiore nonché Sistiana (presso la lottizzazione «Slivia»), Aurisina centro, dove sarà attrezzato uno spazio poco distante dalla sede dell'Azienda sanitaria, e la parte di Santa Croce che ricade sotto il comune di Duino Aurisina.
Sono poi stati integrati alcuni contenitori che erano stati già posizionati in prossimità della scuola materna di Aurisina, ad Aurisina Cave e accanto alla stazione ferroviaria di Visogliano.
«È nostro intendimento essere a fianco dei cittadini e fornire servizi efficienti, migliorandoli per quanto nelle possibilità - spiega l’assessore ai Servizi sul territorio Giorgio Pross -. Dopo le festività natalizie avremo un incontro, già definito in linea di massima, con l'assessore provinciale Ondina Barduzzi sulle questioni più importanti del territorio, attinenti le diverse tematiche legate al ciclo dei rifiuti e ad altre problematiche ambientali per noi di corrente trattazione».
Tra i vari problemi sul tappeto, come anticipato tempo fa, c’è anche l’arrivo della raccolta della frazioen umida dei rifiuti, che l’amministrazione duinese sta progettando di realizzare a partire dalla raccolta del verde, che già quest’anno è stata realizzata, ma solo per alcuni periodi sperimentali, e che invece il Comune vorrebbe ora rendere definitiva.
La raccolta differenziata, finora, sta riscuotendo un buon riscontro sul territorio comunale, come dimostra l’aumento delle adesioni al servizio. La percentuale di raccolta differenziata è così salita, secondo gli ultimi dati, dal 14,58 per cento del 2005 al 18,14 per cento del 2006 (fino al 31 ottobre scorso).
Contestualmente all’aumento della differenziata, diminuisce la raccolta «indifferenziata», che per l’anno in corso registra 73 tonnellate in meno rispetto al totale della raccolta fatto segnare nello stesso periodo dell’anno precedente.

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 15 DICEMBRE 2006
 
 
Amici della Terra i vertici nazionali ricorrono al giudice contro i triestini - chiesta l’inibizione
 
Si apre un nuovo capitolo nel contenzioso all’interno del sodalizio degli «Amici della terra», che vede contrapposti i vertici romani e quelli triestini dell’associazione ambientalista in merito all’utilizzo del marchio della società.
Ieri, infatti, la presidente nazionale del sodalizio, Rosa Filippini ha reso noto di aver depositato un ricorso al giudice «per inibire ai responsabili del Club di Trieste la rappresentanza dell'assocazione in sede locale. A Trieste - ha sottolineato la Filippini - non c'è più una rappresentanza degli Amici della terra-Friend of the Earth Italy».
La contrapposizione tra le due sedi era emersa nell’ultima udienza del processo per l’inquinamento di Acquario. La sezione triestina si era costituita parte civile contro i cinque imputati e l’avvocato Livio Bernot non solo ne aveva chiesto la condanna e cinque milioni di euro di risarcimento ma si era anche battuto per una diversa formulazione del capo di imputazione, ritenendo di trovarsi di fronte a un reato più grave che coinvolgeva l’intera catena alimentare.
La tesi non era stata accolta, ma prima che il giudice Luigi Dainotti si ritirasse in camera di consiglio l’avvocato Maria Genovese, difensore di Manlio Romanelli, aveva esibito una stampata del sito Internet dell’associazione nazionale «Amici della Terra», dove il club di Trieste non compariva. Secondo il legale la costituzione di parte civile doveva essere revocata. Anche queste tesi non è stata accolta ma la notizia del dissidio si è diffusa.
Il club triestino aveva poi sottolineato di «godere di piena autonomia giuridica, patrimoniale e fiscale, e di continuare ad agire legittimamente ad ogni effetto sotto il marchio "Friends of the Earth - Amici della Terra"».

 
 
Verdi FVG a congresso: sfida Pizzati-Rozza - Sabato l’elezione dei nuovi vertici. Le future alleanze al centro del dibattito
 
 TRIESTE I Verdi del Friuli Venezia Giulia scelgono il loro presidente. Sabato si terrà a Trieste il Congresso regionale del partito che eleggerà la loro guida: «Un momento importante - sottolinea l'attuale presidente Gianni Pizzati - considerato che l'ultimo congresso si è tenuto 15 anni fa e che negli ultimi anni si è andati avanti a commissariamenti». Pizzati sarà anche uno dei candidati alla presidenza regionale del partito con una mozione che critica su più aspetti l'azione del governo regionale in materia ambientale ma che mantiene l'alleanza di Intesa Democratica: «Alcune cose interessanti si sono viste all'interno della Finanziaria regionale - sottolinea Pizzati - come l'introduzione di un centro di eccellenza per le fonti nergetiche rinnovabili. Tuttavia la questione ambientale viene ancora vista come impedimento allo sviluppo tanto che sono previsti tagli per 10 milioni di euro in questo settore». A contendere la carica di presidente a Pizzati sarà Maurizio Rozza, ambientalista a tutto tondo e fervido oppositore, in particolare, del progetto della Baia di Sistiana. La sua mozione, appoggiata dai Verdi Ecologisti per l'Europa, è ancora più critica nei confronti di Illy e della Giunta regionale e sottolinea «lo scarso impegno rispetto agli impegni programmatici di Intesa Democratica. Illy ha più volte espresso posizioni, sui quotidiani nazionali e locali, che stravolgono il concetto di sviluppo sostenibile: per lui la tutela ambientale va garantita laddove sia coerente con lo sviluppo». Secondo Rozza va recuperato «l'ambientalismo storico che ha permesso ai Verdi di essere il quarto gruppo politico in Europa. Anche in Italia è possibile raggiungere quei numeri di consenso che i Verdi hanno in altri Paesi europei». E non esclude un'uscita da Intesa Democratica: «Non deve accadere a tutti i costi ma ritengo sia doverosa una verifica programmatica e poi trarre le dovute conclusioni». La dialettica interna al partito è comunque in termini collaborativi: «È un'occasione di aprire un dibattito che è mancato in questi anni all'interno dei Verdi» sostiene Rozza. Ma anche Pizzati concorda sulla necessità di un confronto aperto all'interno: «Iniziamo così anche la campagna elettorale per il 2008 con un dibattito interno anche acceso. La malattia della politica è la catalessi, noi non la viviamo e cercheremo di far vivere in modo frizzante anche gli alleati». A livello nazionale, il mese scorso, vinse con il 96% la mozione di Alfonso Pecoraro Scanio, a cui fa capo Pizzati il quale però ha avuto parole critiche nei confronti del Congresso nazionale dei Verdi: «Si è creato un clima non corretto facendo di tutto per mettere in difficoltà la minoranza e non rappresentare la sua mozione. Cercheremo di comportarci in maniera diversa».

 
 
 
Via Flavia, rivolta a difesa del giardino - I residenti si oppongono al progetto delle nuove case Ater
 
 Sopralluogo del Comune, che intende realizzare un altro spazio verde nell’area della Domus Civica
«Mettere in discussione a 30 giorni dall’inizio dei lavori il progetto per il nuovo complesso edilizio Ater di via Flavia, vuol dire perdere probabilmente il finanziamento regionale di circa 25 milioni di euro. Cercheremo comunque di venire incontro agli abitanti nello studiare come ridurre l’impatto ambientale per la realizzazione dell’ edifico di 4 piani e 200 posti auto interrati nell’ area attualmente occupata dal giardinetto storico del rione». È questo il senso delle conclusioni tratte da Roberto Sasco e Tarcisio Barbo, rispettivamente presidenti della IV Commissione consiliare e della Commissione trasparenza, alla fine del sopralluogo alla presenza del Comitato di cittadini per la tutela del giardino storico di via Flavia, e a quella di Fulvio Daris dell’Arpa. Il rappresentante dell’Ater Franco Corenica ha sostenuto che una modifica al progetto, che prevede nel complesso di via Flavia la realizzazione di 149 appartamenti al posto delle 400 vecchie micro unità abitative di proprietà Ater e della fondazione Caccia Burlo, vorrebbe dire far naufragare a tempo indeterminato il progetto, visto che si dovrebbe ripartire da zero. E proprio temendo questo la presidente del Caccia Burlo, Lori Petronio, ha sostenuto come invece sia necessario andare avanti al più presto, visto che ci sono 1500 domande, senza risposta, per una casa. Sul fronte opposto, il rappresentante dei cittadini Cernecca, spalleggiato dalle proteste di altri residenti, si è chiesto perché si voglia costruire «un casermone» con parcheggio sotterraneo proprio al posto del giardinetto storico del rione per poi realizzare un nuovo giardino in zona Domus Civica. «La zona scelta per il parcheggio è sbagliata, creerà soprattutto caos e inquinamento». La pensa così anche il presidente della Commissione Verde pubblico, Lorenzo Giorgi.

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 14 DICEMBRE 2006
 
 
Scaroni alla Camera: Eni, nel 2010 rigassificatore in Adriatico
 
ROMA Un piano di investimenti di quasi 10 miliardi per il periodo 2006-2011 nel gas, di cui un miliardo destinato alla realizzazione di un rigassificatore in Adriatico. È quanto annunciato dall'amministratore delegato dell'Eni, Paolo Scaroni, nel corso di un'audizione alla commissione Attività produttive della Camera.
Scaroni ha precisato che «ancora non si sa dove sarà realizzato il rigassificatore. Sicuramente - ha aggiunto - in una zona in cui abbiamo nostre piattaforme in disuso». L'ad dell'Eni ha spiegato che ce ne sono disponibili sia al largo dell' Abruzzo che nelle Marche. Quanto ai tempi di realizzazione «ci vorrà qualche anno - ha detto -. Lo avremo dopo il 2010».
Scaroni ha specificato che per il rigassificatore in Adriatico sarà investito «quasi un miliardo». Dalla relazione presentata alla commissione Attività produttive emerge che si tratterà di un terminale offshore, su scafo navale galleggiante, e che sfrutterà la tecnologia distintiva Saipem.
L'impianto avrà una capacità produttiva di otto miliardi di metri cubi l'anno, il che ne fa un rigassificatore di «taglia media», espandibile a 12 miliardi di metri cubi l'anno, e che potrà stoccare una quantità di gas naturale liquefatto pari a 300 mila metri cubi. La localizzazione nell' Adriatico sarà circa 15-30 chilometri dalla costa. «Lo realizzeremo noi - ha spiegato Scaroni -. Poi siamo aperti all'ingresso di un partner».

 

 

Metrò leggero: nel 2008 attive le prime tratte

 

L’assessore provinciale Barduzzi assicura: «L’adeguamento della rete costerà meno di tre milioni di euro»

Si inizierà con il collegamento da Campo Marzio a Opicina e Aquilinia

Si farà la metropolitana leggera a Trieste. Ma non bisogna pensare a The tube o a i percorsi underground in funzione da decenni nelle principali città del mondo, perché correrà tutta in superficie, utilizzando binari ferroviari già esistenti. La prima tratta collegherà Campo Marzio con Aquilinia, la seconda Campo Marzio con Opicina, ma con possibile quasi immediato prolungamento fino a Sesana.
«Non ci sono ostacoli insormontabili - ha commentato ieri l’assessore provinciale Ondina Barduzzi al termine della presentazione dello Studio propedeutico compiuto dal Dipartimento di ingegneria civile e ambientale dell’università - tra un anno e mezzo le prime due tratte potranno partire: verranno utilizzati treni Minuetto le cui partenze sono state per ora ipotizzate ogni venti minuti». I costi di adeguamento di questa parte della rete sono stati stimati inferiori ai 3 milioni di euro che saranno assorbiti in particolare per la realizzazione di due apparati da localizzare a Aquilinia e a Servola, che saranno telecomandati da Campo Marzio, necessari per attivare gli scambi, oltre che per l’installazione di alcune pensiline e per altri piccoli interventi di adeguamento. «Ora gli studi di approfondimento porteranno via altri sei mesi - ha annunciato Barduzzi - poi per lavori e collaudi sarà sufficiente un altro anno».
Nella tratta tra Campo Marzio e Aquilinia (sono poi previsti bus navetta fino a Muggia) il treno dovrebbe fermare all’altezza del nuovo Polo natatorio, al centro commerciale Le Torri d’Europa, nella zona di Servola, accanto alla cittadella sportiva di Valmaura, nei pressi di Borgo San Sergio. L’altra linea, Campo Marzio-Opicina, dovrebbe a propria volta fermare allo stadio del nuoto per poi fare gli stop successivi alla stazioncina di Rozzol, a Melara, a Guardiella, nei pressi dell’università, accanto alla nuova sede della Sissa cioè l’ex ospedale Santorio, a Villa Carsia, per arrivare fino alla stazione di Opicina ed eventualmente raggiungere Fernetti e prolungarsi fino a Sesana. A questo proposito sono già stati attivati contatti con con autorità e tecnici sloveni.
Si propone subito con evidenza l’utilità di una serie di collegamenti rapidi e innovativi: tra le università e cioé la parte vecchia non distante da Campo Marzio, quella nuova attorno a piazzale Europa e la Sissa; tra gli impianti sportivi: stadio del nuovo, Rocco, Grezar e Palatrieste; tra alcune zone della città e del muiggesano e il più grande centro commerciale oggi esistente in provincia, quello delle Torri d’Europa. In questi siti, se sarà attivato il tratto fino a Sesana, potrebbero essere convogliati passeggeri da una parte della Slovenia che non saranno più costretti nemmeno sostare al valico, nel frattempo caduto.
Ieri i tecnici di Rete ferroviaria italiana hanno definito superabili i problemi finanziari e quelli della Regione hanno detto che il progetto si inserisce perfettamente in quello regionale che intende partire dall’aeroporto di Ronchi per finire a Capodistria.
s.m.

 

 

 

LA REPUBBLICA TV - MARTEDI', 12 DICEMBRE 2006

L'eolico, una fonte rinnovabile e pulita. Ma non c'è accordo tra gli ambientalisti

Dibattito con Roberto Della Seta, presidente di Legambiente, e Carlo Ripa di Meana, presidente di Italia Nostra.

Da Milano, Giorgio Lonardi, di Repubblica, e Cesare Fera, imprenditore dell'eolico

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 12 DICEMBRE 2006

 
 
Gas Natural, nuovo dossier
 
MUGGIA Il progetto della società spagnola prevede un terminal gnl nell’area ex Esso - Integrata la documentazione inviata al ministero e alla Regione
di Maddalena Rebecca
Arriverà questa mattina negli uffici della Regione e del Ministero dell’Ambiente la documentazione integrativa con cui Gas Natural punta a fugare tutti i dubbi legati alla realizzazione del terminal gnl nell’area ex Esso. Il materiale, migliaia di pagine suddivise in quattro corposi volumi, contiene le risposte alle tante domande avanzate circa quaranta giorni fa da Roma e dalla commissione regionale per la Valutazione di impatto ambientale. Sarà proprio questa commissione, ora, a dover visionare gli approfondimenti prodotti dal colosso spagnolo e ad esprimere un parere che andrà poi trasferito al Ministero, presumibilmente nei primi mesi del prossimo anno. Il passaggio successivo sarà la convocazione della Conferenza dei servizi.
La documentazione dedica ampio spazio al capitolo della sicurezza dell’impianto. Gas Natural, servendosi anche dei pareri espressi da soggetti terzi come Università ed enti certificatori, intende dimostrare la piena compatibilità ambientale del progetto gnl in zona industriale e la totale assenza di rischi legati tanto alla realizzazione quanto al funzionamento del terminal. Per rafforzare questa tesi, il gruppo spagnolo ha arricchito il materiale inviato alla Regione e al Ministero (tecnicamente un approfondimento e non un’integrezione rispetto allo Studio di impatto ambientale presentato mesi fa), con una serie di studi sulla sicurezza legata all’inserimento dell’impianto nel contesto portuale e con un parere positivo rilasciato sullo stesso argomento dalla Capitaneria di Porto di Trieste.
Parti consistenti sono dedicate inoltre agli aspetti più tecnici del processo, con un’attenzione particolare alle fasi del riscaldamento e del raffreddamento dell’acqua, illustrate anche attraverso particolari simulazioni. «Inoltre, a fronte di alcune specifiche domande mosse dal Ministero - precisa Giuseppe Muscio, responsabile relazioni esterne di Gas Natural Italia - abbiamo messo ancor più a fuoco il quadro generale nel quale si inserisce il progetto dell’area ex Esso. Il nostro gruppo conta una flotta di 12 navi con una tredicesima in arrivo e ha contratti di approvvigionamento con paesi esteri: garanzie sufficienti per affermare che saremo in grado di portare il gas a Trieste e di ricavare dall’operazione anche un ritorno economico, da sommare a quello che verrà trasferito sull’economia locale».

Nesladek: aspetto informazioni

Il primo cittadino ha un mese di tempo per pronunciarsi sull’impianto
MUGGIA «Vedremo quali sono le integrazioni, quali cose saranno state risolte, quali saranno le risposte alle nostre richieste». Il sindaco di Muggia Nerio Nesladek non ha ancora notizie sulla nuova documentazione fornita dalle ditte che stanno proponendo la costruzione di rigassificatori nel golfo di Trieste. E proprio Muggia, assieme ad altri Comuni e alla stessa Regione, aveva chiesto, ad inizio estate, tali integrazioni ai progetti. Ora Gas Natural, riguardo il progetto a Zaule, ha fornito le integrazioni richieste, e presto la palla tornerà ai Comuni che avranno un mese di tempo per dare il loro parere.
Nesladek dice: «Dobbiamo vedere che cosa è stato risolto, qual è il quadro economico fornito su nostra richiesta, e tutto il resto». A suo tempo, subito dopo le elezioni, erano state chieste delle proroghe alla Regione sui termini per l’espressione dei pareri, visto, appunto, l’insediamento di nuove amministrazioni e il poco tempo a disposizione per valutare la documentazione.
Ora, un mese basterà? «Vedremo se quanto fornito sarà sufficientemente esaustivo per poter dare un “sì” o un “no”», dice il sindaco. La mancanza di informazioni in merito ai progetti era stata una lamentela espressa fin da subito a Muggia, ma non solo. Lo stesso sindaco aveva criticato il fatto che il Comune di Muggia era stato escluso dalla prima conferenza dei servizi che aveva analizzato i progetti (convocata nell’autunno scorso). Anche se sarebbe stato solo un uditore, non avendo competenza territoriale diretta.
Il primo «no» di Muggia si era basato su motivazioni ambientali, di sicurezza, di impatto socio-economico («Lo sviluppo pensato per Muggia va in ben altra direzione», era stato detto), e per il fatto che ancora non sono noti i rapporti costi-benefici. Alle motivazioni tecniche, erano stati aggiunti dei punti di carattere politico: «Ogni decisione dovrà tener conto della volontà della popolazione, come previsto da leggi internazionali, europee e nazionali, come l’Agenda 21. Ma c’è anche un’oggettiva incompatibilità tra i due progetti se realizzati contemporaneamente», aveva rimarcato il sindaco durante la discussione in aula.
Sergio Rebelli

 

 

Metrò leggero, primo via libera

 

Provincia: c’è l’approvazione dello studio propedeutico

Il progetto di un percorso su rotaia da Muggia a Opicina attraverso il centro città

Il numero dei passeggeri che utilizzerebbe a Trieste un’ipotetica futura metropolitana leggera sarebbe alto e di conseguenza la Provincia ha dato ieri un primo «lasciapassare» per la realizzazione del progetto.
Il servizio, utilizzando perlomeno in una prima fase la rete ferroviaria già esistente, potrebbe collegare con treni Minuetto, Muggia con Campo Marzio, la stazione centrale e Opicina per giungere fino a Sesana.
La giunta provinciale ha approvato ieri il «Progetto propedeutico» che è stato redatto e poi illustrato ai rappresentanti dell’amministrazione dai professori Longo e Santorini del Dipartimento di ingegneria civile e ambientale dell’università, alla presenza anche di Claudio Barbina di Rete ferroviaria italiana.
La Provincia affiderà ora l’incarico di effettuare progetti di ulteriore approfondimento che dovranno valutare in particolare i correttivi da mettere in atto per adeguare la linea alle norme del traffico passeggeri e i costi di trasformazione e manutenzione.
Ma il primo studio ha già riservato risultati che molti potrebbero considerare sorprendenti dal momento che il progetto incontra tuttora molte resistenze e scetticismi in particolare nelle file del centrodestra.
«La domanda che sottendeva a questo primo studio - spiega Ondina Barduzzi, assessore provinciale ai Trasporti - era sostanzialmente questa: Ha senso utilizzare la linea esistente per il traffico passeggeri oppure è più opportuno lasciare che venga definitivamente dismessa dalle Ferrovie? E la risposta - rileva Barduzzi - è che ha senso perché avrebbe un numero sufficiente di passeggeri anche nella situazione attuale, cioé in presenza dell’attuale rete di trasporto pubblico cittadino esistente. Di conseguenza, è verosimile affermare che avrebbe tanto più senso se, come effettivamente verrebbe fatto, in presenza di un efficiente servizio su rotaia, alcuni autobus o addirittura qualche linea su gomma verrebbe dismessa. I passeggeri sarebbero ancora di più rispetto a quelli calcolati nello studio propedeutico, con un quadro economico più favorevole.»
I dettagli dello studio verranno illustrati nel corso di una conferenza stampa che la stessa Barduzzi terrà domani alle 10.30 a palazzo Galatti assieme all’ingegner Longo del Dipartimento di ingegner civile e dell’ingegner Roberto Camus che ha redatto il Piano del traffico per il Comune di Trieste e che in passato aveva coordinato uno studio sulla mobilità commissionato dalla precedente giunta di palazzo Galatti.
In quell’occasione si capirà anche, con l’illustrazione del percorso, delle possibili fermate e delle iniziative che dovrebbero essere attivate per superare gli ostacoli, se alcune perplessità si sono dissolte.
Poco più di un mese fa nel corso della discussione per l’affidamento dello studio la giunta provinciale non solo era stata attaccata dall’opposizione di centrodestra, ma aveva incontrato anche lo scetticismo di Democratici di Sinistra e Rifondazione.
Il progetto originario della metropolitana leggera è stato redatto dal circolo Trasporti e qualità della Margherita e, oltre ai binari già esistenti, contempla l’ipotesi di prolungare la linea fino all’aeroporto di Ronchi dei Legionari.
«Nella prima fase - ha spiegato l’assessore Barduzzi - la valutazione ha determinato potenzialità e criticità strettamente connesse con l’infrastruttura ferroviaria attuale in rapporto al numero di passeggeri che potrebbero utilizzare i servizi su ferro pure in presenza dell’attuale offerta su gomma. Nella seconda fase - ha continuato - si procederà alla rivisitazione dell’intero sistema in un’ottica transfrontaliera e intermodale».
s.m.

 
 

S. GIOVANNI Protesta dei residenti: via Berchet: appello per salvaguardare l’unica area verde

 
Riprende con forza la protesta dei residenti di via Berchet, che temono la scomparsa dell’unico polmone verde della zona.
«Qualche mese fa – spiega Giuliano Savoia, portavoce del gruppo – avevamo raccolto una sessantina di firme, perché avevamo avuto sentore della nascita di un progetto che prevedeva la costruzione di nuovi edifici. Questa novità avrebbe compromesso l’unico punto verde rimasto nella nostra strada – aggiunge – aggravando anche i problemi di viabilità, perché l’arrivo di nuove famiglie, con relative automobili, avrebbe definitivamente soffocato una via molto stretta, nella quale facciamo difficoltà a fare manovra».
Durante la campagna elettorale sembrava che le cose si fossero definitivamente sistemate. «Avevamo avuto rassicurazioni da parte del candidato oggi sindaco, Roberto Dipiazza – riprende Savoia a nome del gruppo di firmatari – il quale aveva garantito che nulla sarebbe cambiato con il piano regolatore. Adesso invece sentiamo nuovamente voci molto insistenti, che parlano di una nuova asta per la costruzione di un palazzo nell’area verde esistente. Allora ci chiediamo a cosa siano servite le promesse della campagna elettorale».
I residenti della strada del rione dell’Università sono decisi a proseguire nella loro protesta e definiscono «un disastro» l’ipotesi che prevede la realizzazione di un nuovo palazzo. Del problema di via Berchet e di altre aree verdi, minacciate da progetti di costruzione, si occupa da tempo l’ex consigliere comunale di Forza Italia, Lorenzo Giorgi. «È una battaglia di giustizia quella combattuta da tanti cittadini di Trieste per la conservazione delle poche aree verdi rimaste – sottolinea – perciò mi sono sempre schierato al loro fianco. In questo caso non ho la certezza che il progetto sia in fase di avvio ma la sensazione che qualcosa si stia muovendo in effetti esiste».
Nei competenti uffici del Comune si tende a tacere, ma trapela sempre più insistente la voce che una nuova costruzione in via Berchet si farà. «Sarebbe un grave problema la scomparsa dell’area verde vicina alle nostre case che presenta una splendida vegetazione spontanea, offrendo rifugio a usignoli, merli, picchi, gufi e passeri. Se prevarrà l’arida logica del profitto – conclude il portavoce dei residenti – andremo dritti verso un degrado irreversibile».
In base ai calcoli fatti dai firmatari della lettera di protesta indirizzata al sindaco, sarebbero una dozzina gli appartamenti che potrebbero venir costruiti, con l’arrivo di altrettante famiglie, con un probabile sovraccarico di una ventina di automobili in più rispetto alle attuali.
u.s.

 

 
Pola: i verdi dicono stop al cemento nei parchi
 
POLA Continua la campagna degli ambientalisti, contro la cementificazione delle aree verdi e della costa. La presidente dell’Associazione Istria Verde Dusica Radojcic è ritornata sull’argomento. «Il piano urbanistico generale», ha detto, «ha trasformato alcuni parchi della città e il lungomare in zona edificabile e se non si interviene subito, i danni saranno irreparabili. A questo punto tutti dobbiamo far pressione sull’amministrazione cittadina affinchè venga riveduto il piano urbanistico generale. Il dibattito pubblico sul piano - ha spiegato Radojcic - si è svolto nel 2004 però le osservazioni della cittadinanza non sono state tenute in considerazione».

 

 

 

 

LA REPUBBLICA - LUNEDI', 11 DICEMBRE 2006 - AMBIENTE

Le città italiane soffocano nello smog: Verona e Palermo al top per le polveri sottili

Legambiente elabora i dati delle centraline di rilevamento - In Europa il primato dell'inquinamento va a Londra e Parigi

ROMA - Le città italiane soffocano. Per 206 giorni i limiti di legge alla presenza di sostanze inquinanti nell'aria sono stati sforati a Palermo, per 183 a Verona, per 162 a Torino, per 159 a Padova e per 156 a Venezia. E poi 152 giorni a Milano e 125 a Roma: è questo il quadro inquietante che Legambiente ha elaborato partendo dai dati rilevati dalla centraline per il monitoraggio dello smog, a cominciare dalle micidiali polveri sottoli, nelle maggiori citta' italiane.
Il numero di sforamenti della soglia consentita dalla legge (che fissa, dal 2005, il valore limite medio giornaliero per le polveri sottili a 50 mg/mc, che può essere superato al massimo per 35 giorni all'anno), è impressionante.
Sul banco degli imputati tornano dunque le automobili. Secondo il rapporto della Commissione Nazionale Inquinamento atmosferico del ministero dell'Ambiente, infatti, a Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli e Palermo il traffico contribuisce per ben il 70% delle emissioni di pm10. La seconda fonte è il riscaldamento, che varia da un contributo del 26% al Nord all'8% al Sud.
Negli ultimi dieci anni, inoltre, le emissioni di anidride carbonica da trasporto stradale sono aumentate del 18%, contribuendo nel 2004 a più del 22% del totale nazionale di emissione del più abbondante gas serra.
Magra consolazione è che all'estero stanno anche peggio. Solo Saragozza in Spagna, Tampere e Turku in Finlandia non hanno mai superato i limiti europei per nessuno dei tre inquinanti NO2 (biossido di azoto), O3 (ozono) e PM10 (polveri sottili). Le situazioni peggiori si registrano invece a Londra e Parigi, rispettivamente con presenze di polveri sottili pari a 110 mg/mc e 104 mg/mc.
Contro questo quadro drammatico Legambiente ha deciso di rilanciare la sua campagna Mal'Aria per "ridurre il numero di veicoli in circolazione incrementando il trasporto pubblico" e "migliorare non solo l'aria ma anche la qualità della vita nei centri urbani e la salute dei cittadini". L'iniziativa dell'associazione ambientalista prevede iniziative in tutta Italia con blitz di protesta, biciclettate in mascherina anti-smog, cordoli umani sulle corsie preferenziali, monitoraggio delle infrazioni da traffico, lotta ai Suv, "sciopero del respiro" e mobilitazione dei pedoni.
 

 

Pannelli solari più economici grazie ai pigmenti del mirtillo

Cellule fotovoltaiche organiche messe a punto al dipartimento di ingegneria elettronica all'università romana di Tor Vergata

Eliminato il silicio. Costerà meno produrli e installarli
di JAIME D'ALESSANDRO

ROMA - Peccato solo che non profumino di mirtillo. Altrimenti le celle fotovoltaiche organiche oltre a rivoluzionare il mondo dei pannelli solari aiuterebbero a coprire la puzza di smog nelle nostre città. Possono infatti utilizzare come elemento attivo pigmenti presi dai frutti di bosco e a differenza dei normali pannelli solari oggi in commercio hanno eliminato del tutto il silicio. Costerà meno produrli e istallarli quindi, ma soprattutto avranno la forma di fogli flessibili o di lastre di vetro semi trasparenti. Un domani quindi potranno essere "stesi" sopra i palazzi, funzionare come copertura per le tende della protezione civile, essere parte delle finestre di un edificio o dei cristalli di una vettura.
"La quasi totalità dei pannelli solari in commercio è costituta da pannelli in silicio che restituiscono il 15% circa dell'energia solare che ricevono", spiega Thomas Brown, scienziato anglo-italiano che assieme a Aldo Di Carlo, Andrea Reale e Franco Giannini dirige il Polo per il Fotovoltaico Organico del Lazio presso il Dipartimento di Ingegneria Elettronica dell'Università di Roma Tor Vergata. "Quindi per soddisfare le esigenze di un utente medio occorre installare pannelli su aree molto estese. Ma il vero problema sono i costi di fabbricazione e di produzione che ne rendono problematica la diffusione in assenza di incentivi statali. Senza dimenticare che il prezzo del silicio ad alta purezza non è destinato a scendere considerando la scarsità dell'offerta".
Ma c'è appunto un alternativa, una strada che la comunità scientifica sta indagando dai primi anni '90 per ridurre i costi tanto della produzione che dell'istallazione. Una tecnologia capace di produrre pannelli solari utilizzando come supporto due strati di plastica o di vetro che al loro interno contengono una pellicola sottile di materiale organico semiconduttore. Con un costo stimabile meno della metà di un pannello al silicio.
Di celle del genere ne esistono di due tipi: quelle ibride (organico/inorganico) e quelle totalmente organiche. Alla base viene utilizzato un processo molto simile alla fotosintesi clorofilliana, con una miscela di materiali in cui il pigmento assorbe la radiazione solare e gli altri componenti estraggono la carica per produrre elettricità.
Il problema, almeno per ora, è l'efficienza e la durata. "Le celle solari completamente organiche raggiungono una efficienza massima del 4% in laboratorio", spiega Brown. "Quelle ibride invece sono più vicine a una maturazione tecnologica e quindi allo sfruttamento commerciale perché durano di più e l'efficienza è del 10% circa. Tanto che aziende come la Konarka Technologies, DyeSol, Aisin Seki, Hitachi, e Sharp, stanno investendo grosse risorse nello sviluppo di questo settore".
Stando alle previsioni nel giro di qualche anno l'efficienza verrà ulteriormente migliorata, compresa quella delle celle completamente organiche, anche perché i vantaggi sono davvero tanti rispetto ai pannelli solari di oggi. "Basta pensare alle applicazioni", conferma Brown. "Essendo arrotolabili e facili da portare diventeranno ad esempio una risorsa preziosa in caso di disastri naturali. Ed è solo uno dei tanti impieghi possibili".
Insomma il futuro per quel che riguarda l'energia pulita è nell'organico e per una volta l'Italia non rimarrà indietro. La prima applicazione pratica? Sull'isola di Ventotene nel 2008 quando verranno istallati i primi pannelli basati su questa nuova tecnologia.
 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 11 DICEMBRE 2006

 
 

Da piazza Libertà a via Orlandini una pista ciclabile lungo le Rive

 

Messo a punto dal Comune un percorso promiscuo due ruote-pedoni

In bicicletta lungo il rinnovato waterfront delle Rive. Pedalando da piazza Libertà fino a via Orlandini, nel cuore diviso a metà fra i rioni di S.Giacomo e Ponziana.È il percorso promiscuo biciclette-pedoni che il Comune intende realizzare «per congiungere - dice Maurizio Bucci, nella doppia veste di assessore all’Urbanistica e al Turismo - il mare alla montagna». Andando così ad aggiungere un ulteriore tassello fino a via Orlandini, base di partenza della pista ciclopedonale che - concluso l’ultimo lotto dei lavori fino a Prebenico, di competenza della Provincia - permetterà di arrivare in bici o a piedi fino a Draga Sant’Elia. Attraversando magari anche il confine, destinazione Capodistria.
Ma a parte il tracciato lungo i 12 chilometri della vecchia ferrovia austriaca - di cui gli ultimi 6 già esistono, da Prebenico a Draga Sant’Elia - la novità è rappresentata dal percorso cittadino. La decisione è arrivata dopo una serie di incontri con le associazioni di cicloturisti e il confronto con altre amministrazioni del Nord. È stato commissionato al mobility manager del Comune, Giulio Bernetti, uno studio di fattibilità. E il percorso è saltato fuori.
Partenza da piazza Libertà direzione Rive - sul fronte opposto in bicicletta è possibile, invece, raggiungere Barcola - utilizzando i marciapiede di corso Cavour e quelli del nuovo waterfront fino alla Stazione di Campo Marzio, in via Giulio Cesare, proseguendo a destra lungo passeggio Sant’Andrea fino a largo Irneri. Poi è il turno di viale Campi Elisi - attenzione, bisogna per forza attraversare la strada due volte - fino a via Von Bruck con alla propria destra la Torre del Lloyd. E poi? Impossibile risalire per via San Marco: troppo traffico e pendenza. Per raggiungere via Orlandini bisognerà costeggiare il gasometro di via D’Alviano e, con la bici in spalla, raggiungere il centro servizio di via Orlandini attraversando a piedi il giardino.
Non ci saranno corsie preferenziali per le bici, ma un utilizzo misto ciclisti-pedoni, segnalato con cartellonistica verticale e orizzontale. Costo dell’operazione 100mila euro, che potranno essere attinti anche da precisi finanziamenti regionali. I tempi? Entro la prossima primavera, assicura l’assessore.

Pietro Comelli

 

Posteggi l’auto, affitti la bici Ma il problema sono i vandali

 

PROGETTO

Biciclette ostaggio dei vandali. Pronti a rompere di notte le due ruote a disposizione dei cittadini nei centri storici. «Abbiamo a disposizione un finanziamento europeo di 250mila euro per creare una serie di punti di interscambio di biciclette in affitto - racconta l’assessore Maurizio Bucci - ma al momento non possiamo utilizzarli. Tutte le città che hanno messo a disposizioni le biciclette ce lo sconsigliano...». Troppi furti, vandalismi sui mezzi e i depositi. Soldi buttati dalla finestra, insomma, con un servizio che diventa scadente per i fruitori e, quindi, non viene più utilizzato.
E allora che affare, lasciare inutilizzato un finanziamento di 250mila euro? «Neanche per sogno, stiamo studiando la possibilità di ricavare - dice Bucci - una serie di ricoveri notturni per le biciclette. Il servizio andrà di pari passo con il piano parcheggi». L’idea del Comune, infatti, è di ricavare all’interno dei park sotterranei - da realizzare e in quelli già disponibili - degli spazi per il deposito delle bici. Un’alternativa alle automobili, da utilizzare nella mobilità in centro città e nei percorsi ciclopedonali. «Il progetto funzionerà solo se, una volta scongiurati gli atti vandalici, andremo a realizzare una serie di punti di interscambio per le biciclette - spiega l’assessore all’Urbanistica e al Turismo - in modo che il fruitore possa affittarla, ad esempio, al parcheggio dell’ex Silos e lasciarla poi in quello di San Giacomo».
Il piano parcheggi con i suoi 6mila posti auto - dal park della Stazione Marittima a quello sotto San Giusto - consentirà poi l’affitto del mezzo a due ruote, che avrà un costo simbolico, controllato elettronicamente con una tessera nominativa magnetica. Il problema è che, prima di partire, il progetto dovrà aspettare tre anni: il tempo di costruzione dei parcheggi.
p.c.

 
La chiusura di corso Italia
lLa mia proposta è la seguente: non si potrebbe fare una raccolta di firme perché corso Italia non venga chiuso? Mi spiego: quando ho visto le foto del corso senza traffico ne sono rimasta molto affascinata, poi mi è venuto un dubbio: visto che questa è una delle poche vie di scorrimento della città, dove verrà dirottato il traffico?
E non penso a chi desidera andare in centro, è ovvio che già da ora si evita di usare l’automobile a tale scopo, ma a chi non può evitare di percorrere il centro per raggiungere determinate zone della città.
Mi sono spaventata all’idea che altre vie, già sature, verranno caricate ancora di più di veicoli. Ho letto altre lettere contrarie alla chiusura ma mi sembra che le voci si alzino molto timidamente, soffocate forse dalla raccolta di firme in atto.
Chiedo inoltre un parere alle associazioni ambientaliste: siete così sicure che questa chiusura comporterà un’effettiva diminuzione dell’inquinamento?
Lettera firmata

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 10 DICEMBRE 2006

 

Gli ecologisti: «Il marina di Neresine disturba i delfini»

 

L’impianto avrebbe una capienza di centinaia di barche. In alcune zone del parco reti vietate: i lussignani si lamentano

Soddisfazione per l’approvazione della zona protetta, critiche al via libera per la struttura nautica

LUSSINPICCOLO Ecologisti lussignani in fibrillazione dopo la delibera del Ministero della cultura di Zagabria che ha proclamato riserva per i delfini un vasto braccio di mare lungo le coste orientali di Lussino e Cherso. Gli ambientalisti isolani hanno naturalmente espresso soddisfazione per la decisione di trasformare una porzione del Quarnero in area tutelata per questi mammiferi (una colonia di circa 200 esemplari) e l’altro ieri avrebbero voluto partecipare al dibattito sulla riserva, avviato in sede di Consiglio municipale di Lussinpiccolo.
Nonostante fossero stati invitati alla sessione del parlamentino, gli attivisti di Fiore Blu (l’istituto che da 20 anni compie ricerche sui delfini cherso–lussignani) non hanno potuto prendere la parola, impediti in tal senso dal presidente del Consiglio Milan Muzic, il quale ha asserito che il dibattito è riservato solo ai consiglieri. Gli ecologisti hanno abbandonato l’aula in segno di protesta, affermando che l’atteggiamento nei loro confronti non è casuale. «Hanno voluto tapparci la bocca – ha detto Andreja Gregorina di Fiore blu – in quanto il giorno prima la giunta municipale si è riunita a porte chiuse dando il proprio sostegno al rilascio delle licenze per la costruzione di un marina nella vicina Neresine. Crediamo che la presenza del porticciolo nella zona tutela, la prima di questo genere nel Mediterraneo, ben difficilmente si concilierà con la sopravvivenza dei delfini». Gregorina ha quindi spiegato che il marina di Neresine avrà centinaia di ormeggi ed è osteggiato non solo dagli ambientalisti ma anche dagli abitanti del posto. Qualche mese fa ben 2 mila persone firmarono la petizione contro lo scalo e in campagna elettorale Gari Cappelli (nominato in seguito sindaco di Lussinpiccolo) promise che ci sarebbe stata una consultazione referendaria a Lussino per la costruzione o meno dell’impianto. «Quanto deciso dalla giunta cittadina – ha aggiunto la Gregorina – fa capire che la raccolta di firme è stata inutile, che non ci sarà alcun referendum e che è stato dato definitivamente il placet all’edificazione del marina a Neresine». Da rimarcare che l’istituzione della riserva non trova tutti consenzienti nel capoluogo isolano. Nell’area in regime di tutela tutti i natanti dovranno ridurre la velocità e saranno fissate zone in cui i pescatori non potranno calare le reti. Per alcuni lussignani si tratta di misure che favoriscono sì questi mammiferi ma incidono negativamente sull’economia dell’arcipelago.
Andrea Marsanich

 

Rigassificatori, un mese per decidere

 

La Regione aveva chiesto al governo nazionale, a Endesa e a Gas Natural un’integrazione alle documentazioni che erano state fornite
Il ministro delle infrastrutture Di Pietro assicura: «Gli impianti saranno realizzati nel pieno rispetto delle autonomie»
Gli enti locali hanno un tempo limite per esprimere il loro parere sull’impatto ambientale
 
TRIESTE La palla sui rigassificatori ritorna ai Comuni. Entro un mese dovranno dire se gli impianti in provincia di Trieste hanno un impatto ambientale sostenibile oppure no. E se dunque si possono fare, così come vorrebbe la Regione.
Lo decideranno, eventualmente cambiando un parere che in estate era stato negativo, dopo aver visto l’integrazione alla documentazione sui due terminal che è stata consegnata agli uffici comunali interessati qualche giorno fa.
Lo scorso mese di agosto, nell’ultima seduta prima delle vacanze, il presidente Riccardo Illy annunciò che la Regione avrebbe chiesto al governo nazionale e a Endesa e Gas Natural, le due società che intendono realizzare nel golfo di Trieste impianti di rigassificazione, un'integrazione della documentazione fino ad allora fornita, in modo da poter esprimere con piena consapevolezza il parere nell'ambito della procedura di Via, la Valutazione di Impatto Ambientale.
Sia l’autorizzazione a costruire gli impianti sia la procedura di Via dipendono da Roma, ma Regioni ed enti locali sono comunque chiamati a partecipare all’iter esprimendo un parere. Di qui il sollecito a governo e aziende interessate a rimediare ad alcune lacune nella documentazione prodotta a inizio anno, non completamente rispondente alle norme nazionali ed europee.
Risultavano in particolare carenti le motivazioni di singole scelte tecniche adottate e l’indicazione di eventuali alternative. Come esempio la giunta Illy rilevò le questioni dell’impiego del cloro per evitare la formazione di alghe negli impianti e la collocazione delle prese e degli scarichi dell'acqua nella baia di Muggia. In entrambi i casi non si riscontrava nella documentazione oggetto d’esame un opportuno approfondimento che giustificasse le scelte adottate.
La Regione, Illy in testa, non si è rassegnata. Secondo il presidente, grazie ai rigassificatori potrebbe essere garantito in regione, tra l'altro con costi ridotti, l'uso del gas sia per gli impieghi civili e industriali, sia per la produzione di energia elettrica, tenendo presente la prossima entrata in funzione della centrale a turbogas della Edison di Torviscosa e della parziale conversione della centrale Endesa di Monfalcone. Convinta che simili impianti possano sopperire alle carenze nelle forniture di gas attuali e soprattutto future, in previsione della costruzione di nuove centrali termoelettriche a gas o della conversione di impianti che oggi utilizzano altri combustibili fossili, e puntando dunque alla realizzazione di almeno uno dei due impianti progettati nel golfo di Trieste, la giunta ha deciso di richiedere ulteriore documentazione. E l’ha ottenuta.
Riparte dunque ora l’iter che prevede il parere degli enti locali. I consigli comunali hanno 30 giorni di tempo per esprimere un parere riaggiornato. Poi toccherà alla Regione. Infine, allo Stato. Che terrà conto delle opinioni locali. Così almeno assicurò un paio di mesi fa il ministro Antonio Di Pietro: «I rigassificatori vanno fatti con provvedimenti d’intesa con le Regioni e nel rispetto delle autonomie locali. È un tema politico che va risolto attraverso il dialogo. Nel caso in cui ci sia una contrapposizione, si tratterà di insistere con il metodo della concertazione».
Marco Ballico

 

come funziona un rigassificatore

 
 
 

Adriatico, salute a rischio - esaminati i diversi effetti di un rigassificatore

 

Un video degli studenti del Galvani ha vinto il concorso «Vivere il mare»

La «troupe» premiata appartiene alle classi terza e quarta del corso per tecnici dell’industria audiovisiva, coordinato da Mauro De Luca

Sono molto preoccupati per la salute del mare e gli effetti negativi sulla pesca - se l'ipotesi di un impianto di rigassificazione nel golfo dovesse concretizzarsi - gli studenti del corso di Tecnico dell'industria audiovisiva, dell'Istituto professionale «Luigi Galvani». Tant'è che alla 13.a edizione del concorso «Vivere il mare», promosso dal ministero dell'Ambiente, hanno partecipato con un video dal titolo «Adriatico: un mare senza confini».
La produzione è un tributo al mare, alla sua fauna, alle tradizioni marinaresche, ma anche una testimonianza contro i pericoli che un rigassificatore può rappresentare per l'ecosistema. «L'argomento si è posto in modo quasi naturale - spiega a nome del gruppo Alessandro Damiani -. Ne abbiamo letto sui giornali e visto alla televisione, così abbiamo pensato di documentare questo momento critico per la città e per il mare».
La troupe che ha vinto l'edizione 2006 del concorso è formata da studenti della terza e quarta classe del corso audiovisivo del Galvani, coordinati da Mauro De Luca, responsabile del centro produzioni audiovisive. I ragazzi si sono suddivisi i vari ruoli, dal montaggio alle riprese, dal suono alle cuffie, dalla voce fuoricampo alle interviste, dal ciak al backstage. Oltre a Damiani, dell'affiatato gruppo fanno parte Alessia Sivini, Davide Cavalieri, Davide Miliani, Dejan Mikavica, Francesco Carbone, Giulio Gregoretti, Jasmin Blagojevic, Marina Blagojevic, Caterina Stanisci, Lorenzo Visintin, Fabia Perossa e Manuel Mugnes.
Il video, realizzato in collaborazione con il Liceo classico italiano «R. Carli» di Capodistria e la scuola media superiore italiana «Dante Alighieri» di Pola, contiene tra l’altro le interviste a Fabio Gemiti, chimico e rappresentante del Wwf, e a Guido Doz dell'Agci Pesca, il resoconto delle giornate con gli studenti di Capodistria e la visita al ginnasio di Pola.
Lusinghiera la motivazione della giuria che ha assegnato il primo premio: «Per aver evidenziato che al mondo della pesca si può garantire un futuro soltanto se non si altera l'equilibrio uomo-mare, e per aver voluto affermare con coraggio la propria idea senza compromessi e senza confini».
Patrizia Piccione

 

 

IL GAZZETTINO - VENERDI', 8 DICEMBRE 2006

 

LEGAMBIENTE: mille cartoline contro il rigassificatore

Trieste - «Rigassificatore? No grazie». È lo slogan delle mille cartoline ideate dal Circolo Verdazzurro di Legambiente Trieste al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla gravità della questione rigassificatori qualora venissero installati nel Golfo di Trieste. Ieri, nel corso della conferenza stampa, il presidente del Circolo Verdazzurro Paolo Privitera ha presentato un'iniziativa che vuol essere uno strumento affinché il cittadino possa esprimere la sua contrarietà al progetto che prevede la costruzione di un rigassificatore a Zaule, nella baia di Muggia. Unico destinatario della cartolina è il governatore del Friuli Venezia Giulia Riccardo Illy che potrà leggervi sul retro le opinioni dei cittadini. La cartolina potrà essere ritirata gratuitamente presso la sede di Legambiente Trieste in Via Donizetti 5/a ogni mercoledì dalle 18 alle 20. «La cartolina - ha spiegato Privitera - intende sottolineare la vicinanza ai centri abitati e quindi la pericolosità del sito e della rotta che le navi gasiere dovrebbero percorrere, nonché l'angustia del tratto di mare, chiuso, poco profondo, senza ricambio d'acqua e definito "very unfavorable" nello studio stesso commissionato da Gas Natural". «Inoltre - ha continuato Privitera - la quantità d'acqua limitatissima e la mancanza di correnti che favoriscano il ricambio fanno sì che in pratica non possa funzionare il sistema di rigassificazione per contatto con l'acqua calda. Manca, tra l'altro, un progetto di gasdotto, non si capisce dove andrebbe a finire il gas e come si può approvare un progetto senza questo aspetto?». «È chiaro che il numero di rigassificatori, - ha concluso il presidente del Circolo - più di dieci in Italia, non è pensato in ragione delle necessità attuali regionali o nazionali bensì di un continuo aumento dei consumi di energia e per l'esportazione». «Legambiente Fvg - ha precisato il segretario del Circolo Verdazzurro Ettore Calandra - è nettamente contraria alla realizzazione dei due terminal di rigassificazione nel Golfo di Trieste e, in particolare, rileva l'assoluta carenza nella valutazione dei rischi per la popolazione associati alla localizzazione di queste strutture in prossimità dei centri urbani".

Elisabetta Batich

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 8 DICEMBRE 2006

 

Legambiente, mille cartoline contro i rigassificatori

 

«Rigassificatore? No grazie». E’ la scritta stampata sulle mille cartoline che il Circolo Verdazzurro Legambiente di Trieste ha fatto stampare e che sono gratuitamente a disposizione nella sede di via Donizetti 5, al pian terreno. Scopo dell’iniziativa, presentata ieri dal presidente del Circolo per Trieste, Paolo Privitera e dal segretario, Ettore Calandra, farne arrivare il maggior numero possibile sulla scrivania del presidente della giunta regionale, Riccardo Illy. L’indirizzo è prestampato, per evitare errori.
«Confidiamo nella sensibilità dei triestini nei confronti delle tematiche ambientali – hanno spiegato Privitera e Calandra – e speriamo vengano in tanti a ritirarle per poi inviarle. Altre città, prima della nostra – hanno aggiunto – hanno risposto picche a iniziative simili e Trieste deve fare altrettanto». «I rigassificatori - ha continuato Privitera - sono pericolosi perché possono diventare facile meta di attentatori e mettono a rischio l’intero ambiente circostante. Il gas al loro interno – ha proseguito – è portato a meno 160 gradi. Una sua fuoriuscita dovuta a qualsiasi motivo sarebbe letale per le persone e l’ambiente”. Le cartoline possono essere ritirate ogni mercoledì dalle 18 alle 20.

 

 

LA REPUBBLICA - VENERDI', 8 DICEMBRE 2006 - AMBIENTE

 

Etanolo da scarti legnosi e piante povere con il superlievito che dimezza i tempi

Dagli ingegneri genetici del Mit importante passo avanti verso la conversione ai biocarburanti
Il microrganismo modificato in laboratorio per trasformare rapidamente la cellulosa in "benzina"

La scoperta potrà rendere efficiente un processo già realizzabile, ma a prezzi proibitivi
di VALERIO GUALERZI

ROMA - Gli appassionati di fantascienza sanno che Isaac Asimov immaginava per i lieviti un'importanza cruciale in un lontano futuro dell'umanità. Sarebbero stati questi microrganismi, coltivati in grandi vasche alle periferie delle metropoli, a saziare una popolazione mondiale cresciuta a dismisura. Le visioni del grande scrittore potrebbero avverarsi tra non molto, ma per fortuna con una sostanziale differenza. I lieviti, prima che la fame di cibo, ci aiuteranno probabilmente a placare la sete di benzina.
Un passo importante in questa direzione è stato compiuto dai ricercatori del Massachusetts Institute of Technology che sono riusciti a intervenire con l'ingegneria genetica sulle capacità del banale lievito da forno, il Saccharomyces cerevisiae, a trasformare la cellulosa in glucosio e quindi in etanolo. Lo studio, firmato dal chimico del Mit Hal Alper e pubblicato sulla rivista Nature, apre nuovi scenari alla produzione di uno dei carburanti candidati a sostituire la benzina con un'alternativa al petrolio che sia ecocompatibile.
In tutto il mondo, Stati Uniti in testa, si è scatenata una vera propria corsa alla produzione di biocarburanti in entrambe le loro forme: il biodiesel, ricavato da piante dai semi oleosi come la colza e il girasole, e l'etanolo, ricavato da piante ricche di glucosio come la canna da zucchero, il mais e la barbabietola. Non è però tutto 'verde' quel che luccica. Sostituire benzina e gasolio con queste alternative agricole rischia di innescare una pericolosa competizione tra le coltivazioni destinate all'alimentazione e quelle alla mobilità, contribuendo ad aggravare l'erosione del suolo, la deforestazione e uno sfruttamento eccessivo delle risorse idriche. L'energia necessaria per la trasformazione rischia inoltre di azzerare i vantaggi del mancato rilascio di CO2 garantito dal fatto che le piante per crescere assorbono l'anidride carbonica prodotta dalla combustione dei biocarburanti.

La soluzione che potrebbe evitare questi rischi, mantenendo i vantaggi di benzina e gasolio prodotti senza petrolio, con emissioni molto meno nocive per l'ambiente e "carbon neutral", è quella di ottenere l'etanolo da fibre di cellulosa, sostanza "povera" che non deve essere ricavata da piante coltivate appositamente ma anche da scarti di lavorazione, dalla pulizia dei boschi e da piante spontanee come il panicum virgatum, una banale graminacea in grado di crescere facilmente su terreni attualmente incolti o residuali.
Il processo prevede la messa in "ammollo" di grandi quantità di cellulosa dalle quali i lieviti, attraverso un processo di idrolasi, estraggono glucosio, trasformandola in una poltiglia zuccherina che fermentando produce etanolo. Attualmente il costo di questa operazione non è però assolutamente conveniente (l'etanolo da cellulosa costa circa il triplo di quello estratto dalla canna da zucchero), anche perché il tutto avviene con tempi molto lunghi.

Quello che sono riusciti a fare gli scienziati del Mit di Boston guidati da Alper è intervenire sui meccanismi di trascrizione del lievito, aumentando la quantità di un gene già presente nel microrganismo, modificandone le capacità di trasformare la cellulosa in glucosio e poi in etanolo. La migliore efficienza, secondo i ricercatori, può arrivare sino al 50%, dimezzando i tempi di produzione o raddoppiandone le quantità.

 

 

 

 

LA REPUBBLICA - GIOVEDI', 7 DICEMBRE 2006 - AMBIENTE

"Basta moratorie sugli impianti eolici" - Greenpeace contro i "pseudo ambientalisti"

Presentato il rapporto dell'associazione ambientalista sulle potenzialità di vento e sole
Se incentivate, le rinnovabili nel 2050 potrebbero coprire oltre un terzo del fabbisogno

Polemica con i veti dei governatori di Puglia e Sardegna: "E' più urgente fermare il carbone"
di VALERIO GUALERZI

ROMA - Per affermare anche in Italia l'energia rinnovabile non basta sconfiggere la lobby del carbone, i monopolisti della rete elettrica e la stoltezza del potere politico. Nel partito dei "nemici", soprattutto per quanto riguarda l'eolico, una fonte potenzialmente in grado di garantire entro il 2050 un terzo del fabbisogno mondiale, bisogna iscrivere anche lo "pseudo-ambientalismo che non si rende conto dell'urgenza di trovare alternative alle fonti fossili". Bisogna insomma porre fine "alla sindrome di Nimby, perché non si può dire no a tutto, al carbone, al gas e persino al vento".
Valutazioni apparentemente scontate, se non fosse che arrivano da Giuseppe Onufrio, direttore delle campagne di Greenpeace, l'ala più radicale del movimentismo ambientalista, più abituata ad "assaltare" petroliere e treni di scorie nucleari che non a presentarsi come campione del pragmatismo. Sintomo che le componenti dell'arcipelago ecologista stanno rapidamente evolvendo e che la gravità della crisi ambientale impone a tutti di rivedere le proprie posizioni.
L'attacco di Onufrio, arrivato in occasione della presentazione di "Generazione eolica e solare", il rapporto sulle potenzialità delle rinnovabili in Italia realizzato in collaborazione con la sezione italiana della dell'International Solar Energy Society, non è rivolto solo ai tanti piccoli comitati a tutela delle bellezze locali. Nel mirino di Greenpeace ci sono anche due pezzi grossi del ceto politico di centrosinistra, come i governatori di Sardegna e Puglia, Renato Soru e Nichi Vendola.

Particolarmente aspre le parole usate da Onufrio nei confronti dell'esponente di Rifondazione, colpevole di amministrare "capitali del carbone con le polveri che finiscono sui loro carciofi e invece di chiedere la riconversione delle centrali a gas, bloccano i rigassificatori".
"Va superata - ha ribadito Onufrio - la stagione delle moratorie sull'eolico promosse in alcune regioni e agitate da uno pseudo-ambientalismo che non si rende conto dell'urgenza di trovare alternative alle fonti fossili di energia ambientalmente accettabili, la bocciatura della Corte Costituzionale della moratoria in Puglia richiede una risposta costruttiva che favorisca il pieno sviluppo dell'eolico, pur garantendo con opportuni vincoli le zone più delicate dal punto di vista ambientale e paesaggistico".
I motivi per spingere l'acceleratore verso uno sfruttamento più intenso dell'energia del sole e del vento sono tanti. Significa prepararsi all'era del dopo petrolio incrementando la quota di autosufficienza energetica; significa futuri tornaconti economici, a iniziare dal prezzo che non rispettare gli impegni di Kyoto ci costerà in termini di penali per ogni tonnellata di C02 prodotta; significa favorire uno sviluppo sostenibile; significa, infine, creare occupazione per migliaia di persone soprattutto nel Meridione, la zona più ricca di risorse rinnovabili.
Secondo il rapporto di Greenpeace, malgrado lo scetticismo dispensato da più parti, le potenzialità di queste due fonti sono enormi. Se su scala mondiale come detto nel 2050 si potrebbe arrivare al 34% dell'energia prodotta dal vento, per l'Italia con le necessarie politiche sarebbe possibile avvicinarsi all'obiettivo del 25% di energia prodotta da rinnovabili fissato dall'Unione Europea per il 2020. Oggi siamo al 18%, ma la parte del leone la fa l'idroelettrico.
Uno dei passi da compiere lungo questa strada, secondo Greenpeace, è proprio quello di trasformare il traguardo posto da Bruxelles in un impegno vincolante, con tanto di procedure d'infrazione in caso di mancato raggiungimento. Prima ancora è però necessario rivedere la politica degli incentivi. "Le aziende che producono i massimi profitti in questo periodo - ha ricordato Francesco Tedesco di Greenpeace - sono quelle petrolifere, occorre dirigere una parte di questi soldi verso investimenti a favore delle rinnovabili e dirottare i sussidi statali erogati alle fonti fossili e assimilabili, pari nel solo 2005 a 3,1 miliardi di euro, sul solare e l'eolico".
Aldo Iacomelli, dell'Ises Italia, ha sottolineato anche la necessità di rivedere le modalità con cui verranno presto rinnovati i finanziamenti previsti dal conto energia a sostegno del fotovoltaico. Occorre, ha spiegato, "abbattere il limite alla potenza solare finanziabile attraverso il conto energia", in quanto "da noi lo strumento ha avuto il merito di rilanciare l'installazione dei pannelli, ma va tolto il tetto di 85 Megawatt e snellita la procedura". Nel 2005, a fronte di una richiesta di circa 1300 Megawatt è stato ammesso all'incentivazione meno di un terzo della domanda.
 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 6 DICEMBRE 2006

 

Acquario, il Wwf pronto a ricorrere in appello
 
MUGGIA
Il Wwf dopo che saranno state rese note le motivazioni della sentenza del Tribunale, che lo scorso 24 novembre ha condannato alcuni degli imputati (assolvendone altri), nel processo per la discarica abusiva di rifiuti tossici e nocivi realizzata dalla società «Acquario» lungo la costa di Muggia, valuterà con il proprio legale la possibilità di un ricorso in appello.
«Secondo noi - osserva Dario Predonzan, responsabile settore territorio del Wwf Friuli Venezia Giulia - le indagini avrebbero dovuto approfondire meglio il ruolo avuto nella vicenda da alcuni enti pubblici, che quanto meno hanno sbagliato per omissione di vigilanza. È significativo infatti, che la Provincia di Trieste (l'ente cui competono per legge i controlli sullo smaltimento dei rifiuti, ndr) non abbia ritenuto di costituirsi parte civile nel giudizio e sia stato il Wwf a doverlo fare in sua vece».
La discarica-terrapieno era stata autorizzata nel '96 dalla Regione: avrebbe dovuto ospitare 120 mila metri cubi di materiali inerti (materiali di scavo, pietrame, ecc.), previa costruzione di una barriera di contenimento sul lato mare. La barriera fu realizzata solo successivamente e nel terrapieno finirono circa 140 mila metri cubi di materiali, tra i quali grandi quantità di rifiuti contaminati (contenenti metalli pesanti, idrocarburi policiclici, ecc.), provenienti - com'è stato accertato nel processo - dai lavori di smantellamento dell'ex cantiere navale S. Rocco, per far posto all'insediamento turistico-nautico «Porto S. Rocco».
«La vicenda si è però protratta per anni - aggiunge Predonzan - ed è inverosimile che né il Comune di Muggia, né la Provincia, né altri si siano accorti di nulla, fino all'intervento dei NOE nel 2001 ed al successivo sequestro disposto dalla Procura della Repubblica».
«Purtroppo, dalla sentenza del Tribunale non consegue il ripristino dei luoghi e rimane quindi - commenta Predonzan - lo scempio paesaggistico, né è stato chiarito chi si dovrà far carico del risanamento complessivo dell'area. La vicenda di "Acquario" – secondo il Wwf – si rivela emblematica di un modo, non certo limitato a Muggia, di gestire il territorio e l'ambiente, "dimenticando" le leggi, scaricando sui cittadini ignari e sui posteri i rischi ambientali e sui contribuenti gli oneri economici».

 
Corso Italia pedonale
 
lL’idea di pedonalizzare il corso Italia è in linea con le tendenze in atto ormai dappertutto; ma se si vuole evitare che i centri storici diventino soltanto dei dormitori, bisogna prima dotarli di un efficiente servizio di trasporto pubblico, che nelle città di medie dimensioni può essere costituito soltanto da moderni tram anche perché, dal 1990, laddove esiste una elevata coscienza ambientale, essi vengono usati perfino per il trasporto delle merci e addirittura per l’evacuazione dell’immondizia, in modo da escludere definitivamente la gomma e il diesel dalle zone pedonali.
Qui invece si propone la fiaba dei fantomatici bus a batteria, dimenticando che in Italia ce ne sono complessivamente solo 172, dei quali almeno la metà sono perennemente guasti, mentre la metà dell’altra metà è in ricarica «lenta»; e che disponendo di una capienza non superiore alle 14-20 persone e di una lentezza incredibile, essi vengono usati quasi esclusivamente nei cimiteri.
Perciò per pedonalizzare tutto il centro, ma non soltanto per questo, dovremmo farci guidare da persone che i problemi li capiscono e li sanno risolvere, e cioè non dai soliti personaggi nostrani di sedicenti destre o di sedicenti sinistre ma, se fossero disposti, dovremmo farci guidare ad esempio dal sindaco della stupenda città con cui siamo gemellati, Graz; o dal sindaco della non meno interessante città turca di Eskisehir.
Lucio Schiulaz

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 4 DICEMBRE 2006

 
Rigassificatori: Trieste discuta ma poi decida - di Giacomo Costa
 
Con l'articolo del 30 novembre sulla posizione degli industriali triestini trova nuovo alimento il dibattito sui rigassificatori. Il punto di vista di Assindustria stimola non solo ad approfondire i temi sia delle posizioni favorevoli che di quelle contrarie, e a individuare le strategie degli interventi distinguendo fra argomentazioni tattiche e situazioni oggettive. La volonta di ”comunicare” e convincere è un obiettivo nobile se la comunicazione è cercata in vista di una "interrelazione positiva ed armoniosa", come ricorda Manuel Tejera de Meer. Se si cerca di superare l'incomunicabilità che sarebbe naturale fra contendenti per raggiungere invece, con l'informazione, la consapevolezza e la volontà di trasmettersi ciò che si sente, nel desiderio di un rapporto soddisfacente. Ma non esiste gratificazione nel rapporto, se esso è imposto da una parte anziché essere cercato e voluto da ambedue le parti.

E tanto meno esiste se ciascuna parte cerca per il dibattito i terreni propri anziché accettare terreni comuni e condivisi.
Ed è tanto peggio ancora se il contrasto è approfondito quando ciascuna parte sceglie argomentazioni che essa ritiene a priori e di per sè vincenti. Perché non riconoscere questo rischio anche nel nostro caso, se da una parte si fondano le proprie ragioni considerando argomenti di per sè vincenti il timore di incendi ed esplosioni da una parte e il pericolo di rimanere al freddo dall'altra, facendo allo stesso tempo leva sulla impossibile promessa di vantaggi economici? Faremo un buon servizio alla ricerca di una soluzione condivisa se diremo ai favorevoli, che i contrari vogliono semplicemente ricordare che il fatto che il gas naturale sia incluso per legge (e per direttiva europea) fra i materiali a "rischio di incidente rilevante" non significa che essi temano che si incendi o esploda (il che ovviamente può avvenire se pure con assai bassa probabilità) ma semplicemente che si richiamano al rispetto di tutte le norme di legge sul progetto. Vogliono anche che sia considerato l'impatto ambientale sulla base di adeguati studi compiuti da istituzioni indipendenti. Per questi temi numerose richieste di chiarimenti sui progetti sono state formalizzate dalla giunta regionale del Fvg. Le risposte delle ditte proponenti dovranno essere esaminate dagli organi ministeriali, regionali, comunali competenti. Se saranno considerate ampiamente e totalmente sufficienti il tema "rischio" sarà superato e non vi potranno essere, su questo punto, divergenze di opinioni fra i favorevoli e i contrari. La difesa contro gli incidenti rilevanti e gli impatti ambientali è infatti regolata dalla legge e dalle direttive europee, che mirano ad assicurare anche la compartecipazione della popolazione. Ma anche sulle tesi favorevoli all'entrata nel commercio del gas devono avvenire, parallelamente, degli approfondimenti e delle precisazioni. Su questo versante le ragioni sono economiche e la materia è assai più complessa di quella giuridica. La paura del freddo fa il paio con la paura delle esplosioni, e per superarla dovremo raccogliere dati obiettivi e analizzare il vero contenuto di quello che oggi è l'aspetto estremo della crisi energetica: quello che genera il noto "panico dell'acquirente".
L'Eni ha siglato accordi internazionali che assicurano l'approvvigionamento del gas nell'immediato futuro. Voci autorevoli si sono perciò levate a tranquillizzare l'opinione pubblica. D'altra parte le vicende politiche dei Paesi nelle quali si trovano i giacimenti e la liberalizzazione del mercato del gas formano i nodi dai quali dipendono le condizioni nelle quali si concretano eventuali nuovi accordi di fornitura. Si legge (il Sole 24 ore) che l'Autorità dell'energia ha ritenuto di dover stimolare la realizzazione dei rigassificatori azzerando il rischio d'impresa per chi li costruisce, con un "fattore di garanzia" che assicura, anche in caso di mancato utilizzo dell'impianto, la copertura di una quota pari all' 80% dei ricavi di riferimento per i costi fissi del terminale. Non è dunque neppure sicuro che ci sia, domani e qui, del gas liquido da rigassificare. Come sul terreno della sicurezza e dell'impatto ambientale così è necessario anche per l'economia fare previsioni che abbiano l'attendibilità che richiederebbe un imprenditore, raccogliendo tanta informazione quanta possa e quindi debba essere condivisa, e stabilire un terreno di incontro fra favorevoli e contrari sui quale raggiungere quella "interrelazione positiva e armoniosa" che è il vero scopo della politica. È indispensabile accertare poi, sul piano sia giuridico che economico, le condizioni che dovrebbero realizzarsi perché gli imprenditori potessero impegnarsi di cedere e gli amministratori cittadini di utilizzare, e come, gli eventuali vantaggi economici.
E politico è, infine, il terreno sul quale favorevoli e contrari devono necessariamente incontrarsi. La compatibilità della presenza dei rigassificatori con lo sviluppo della città dipende infatti da quale futuro i triestini sono in grado di programmare, di quante risorse ed energie sono in grado di raccogliere dalla loro cultura per riappropriarsi del destino della città. Il tema è su questo terreno immediatamente obbligato: il porto. Quanto caratterizzante e impegnativa sarebbe la presenza di rigassificatori per il suo funzionamento, per la sicurezza del traffico, per la disponibilità di spazi da dedicare all'indispensabile sviluppo commerciale e al turismo? Potremo aver presto risposte responsabili su questo problema.
Giacomo Costa
professore emerito di Scienze chimiche all’Università di Trieste

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 3 DICEMBRE 2006
 
Rigassificatore Endesa, integrato il progetto
 
Quasi azzerata la differenza di temperatura tra l’acqua in entrata e in uscita
Un documento di 500 pagine consegnato al ministero dell’Ambiente che sta eseguendo la valutazione d’impatto ambientale
Un documento di quasi 500 pagine, con le integrazioni richieste al progetto per il rigassificatore «Alpi Adriatico» nel golfo di Trieste. Lo ha depositato il gruppo Endesa al ministero dell’Ambiente, alla Regione e alla direzione regionale dei Beni culturali, impegnati nella valutazione d’impatto ambientale il cui esito dovrebbe essere noto a metà gennaio.
Un analogo documento verrà consegnato al ministero dell’Ambiente entro due settimane dall’altro gruppo iberico, Gas Natural, a integrazione del progetto per l’impianto nell’area ex Esso della Zona industriale.
Quanto al documento elaborato da Endesa, in esso sono state approfonditi in particolare tre aspetti: sicurezza, utilizzo dell’acqua e dell’ipoclorito nel processo di rigassificazione, e ricadute economiche dell’impianto.
Sotto il profilo della sicurezza, i sistemi attivi e passivi «risultano più che adeguati al tipo di impianto – rileva Endesa – e ben al di sopra degli standard internazionali». Fra i sistemi attivi viene illustrato, ad esempio, quello che in caso di malfunzionamento chiude le valvole di ingresso del gas liquido e, tramite due enormi martinetti, allontana la nave gasiera dall’ormeggio.
Sempre in tema di sicurezza, nei giorni scorsi il Comitato tecnico regionale ha dato parere positivo al rapporto preliminare. Un parere che è considerato come prerequisito dal ministero dello Sviluppo economico per rilasciare l’autorizzazione alla costruzione del terminal.
Utilizzo dell’acqua di mare. Riguardo questo delicato aspetto, che tante obiezioni ha sollevato anche in merito alla temperatura dell’acqua di scarico, Endesa ha riprogettato il sistema di scarico (ora con otto bocche al posto di una, e posto vicino al fondo marino) in maniera da abbassare i valori. In seguito al nuovo progetto, precisa il gruppo spagnolo, la differenza termica fra l’acqua in ingresso e in uscita sarà nulla nei mesi estivi, mentre in quelli invernali sarà inferiore a un grado, a una distanza di 20-30 dal punto di scarico.
Eliminazione delle alghe nei circuti dell’impianto. Altro punto delicato, per il quale gli approfondimenti mostrano che il trattamento per elettrolisi dell’ipoclorito annulla le alterazioni chimico-fisiche nell’area di mare circostante l’impianto, escludendo in sostanza alterazioni dell’ambiente. I valori riportati nel documento di integrazione sono infatti pari a un decimo dei parametri stabiliti dalla legge. «Eventuali residui – precisa Endesa – saranno abbattuti con appositi dispositivi».
Ricadute economiche. Dai calcoli inseriti nella documentazione, è stato stimato che ammonteranno a oltre 50 milioni di euro l’anno. Di essi, 2 milioni si riferiscono a tasse portuali e canoni di concessione, un milione all’Ici, altri due milioni all’Irap, 18 milioni all’imposta sul reddito e 31 milioni all’Iva.
gi. pa.

 

 

 

dal BLOG di BEPPE GRILLO - SABATO, 2 DICEMBRE 2006
 
Inceneritori

Il 10 aprile al dipendente Romano Prodi fu chiesta l’abolizione dei finanziamenti agli inceneritori di rifiuti ed alle centrali a fonti fossili (carbone, olio combustibile,scarti della lavorazione petrolifera) tramite le nostre bollette Enel (voce A3). Questi impianti sono considerati, solo in Italia, fonti d'energia rinnovabile ed assimilate e hanno un contributo che dovrebbe andare alle vere rinnovabili: sole, vento, acqua.Nonostante l’Unione Europea lo vieti e sull'Italia vi sia una procedura d’ infrazione.
Va ricordato al dipendente Prodi che il suo commissario all’Energia Loyola De Palacio affermò il 20.11.2003 che “la frazione non biodegradabile dei rifiuti non può essere considerata fonte di energia rinnovabile”.
I finanziamenti vanno ai soliti noti. Alle multiutilities con inceneritori, all'
Api con le sue centrali a Falconara e poi Edison, EniPower, Enel etc. Bruciando gli scarti delle lavorazioni petrolifere a Sarroch (Cagliari) e Priolo Gargallo (Siracusa), Moratti e Garrone si pagano le campagne acquisti di Inter e Sampdoria anche con le bollette della luce di milanisti e genoani. Dov’è la calcio condicio?
Leggete l'elenco di chi ha goduto dei
finanziamenti Cip6 nel 2006 e dal sito ufficiale dell’Authority dell’Energia i consuntivi del 2003-2004 con le quote percentuali delle prime 10 società che si sono accaparrate contributi per fonti assimilate e false rinnovabili: troviamo: Asm Brescia, la multinazionale Fooster&Wheeler (che costruisce inceneritori tra le altre cose), Sarlux (petrolio, famiglia Moratti) Erg (petrolio, famiglia Garrone), Edison (gassificatori), ApiEnergia… (petrolio) Parliamo di un giro di finanziamenti pari a 3,1 miliardi di euro nel 2005 (2,4 miliardi nel 2004). Oltre ai Cip6 c’è la nuova frontiera i …'Certificati Verdi' ed a goderne sono sempre loro. Con i nostri soldi.
Tutto avviene alla faccia delle vere rinnovabili che ricevono solo una minima parte dei fondi.
Queste macchine da tumori stanno in piedi perché le finanziamo noi con un meccanismo illegale per la stessa Unione Europea. Le finanziamo con la bolletta della luce. Paghiamo rinnovabili e creiamo tumorifici.
Gli investitori della Borsa vogliono sempre più inceneritori, gassificatori, centrali a carbone 'pulito'. Naturalmente e solo grazie ai finanziamenti pubblici e coatti.
Ci prenotano l’aldilà anticipato per tutti ed intanto se la godono facendo i capitalisti con i nostri soldi.
In Parlamento c’è chi sta provando ad abolire questo meccanismo 'drogato' dei Cip6-Certificati Verdi, ma la lobby trasversale resiste.Da AN ai DS passando per Forza Italia, Margherita, Rosa nel Pugno, Udc.
Contro questo scandalo è iniziato un RESET Inceneritori:
1 - Per informare sui danni degli inceneritori sulle alternative possibili (strategie Rifiuti Zero , sistemi integrati con riduzione alla fonte,
raccolta differenziata porta a porta, trattamento biologico 'a freddo') i Meet Up di tutta Italia sabato 2 dicembre scenderanno in piazza in tantissime città italiane. Forza ragazzi!
2 - Sulla rete è partita una
petizione online 'RESET Inceneritori' alla Commissione Europea ed al Governo italiano per chiedere la fine dei finanziamenti ad inceneritori e centrali a fonti assimilate
3 -
L'acquisto del microscopio elettronico, manca poco...
Salviamo la nostra vita e quella dei nostri figli! RESET!
 

 

IL PICCOLO - SABATO, 2 DICEMBRE 2006
 
Verde pubblico, nasce la mappa on-line

Presentato il catalogo sul sito del Comune. Bandelli ricorda: i danni dei vandali costano 300mila euro l’anno

La lista comprende 10 ettari di aiuole e 45 aree attrezzate con 250 giochi per bambini. Greco: «Specificate le linee che portano nei vari luoghi per favorire l’utilizzo dei bus»
Parchi urbani per 123 ettari. Elencati anche i giardini storici e rionali
Ammontano a 300mila euro l’anno i danni provocati al verde pubblico dai vandali. È questo il dato ribadito ieri dall’assessore competente Franco Bandelli. Dopo aver spiegato che «la gestione ordinaria dei parchi e dei giardini della città costa poco più di 2 milioni di euro all’anno», Bandelli ha richiamato l’attenzione generale sulla «drammatica gravità del problema provocato da coloro che non hanno rispetto per la cosa pubblica». Tradotto in numeri, il Comune deve sborsare ogni anno il 15 per cento in più di quanto previsto in bilancio per ovviare ai danneggiamenti e agli atti di vandalismo. D’altra parte, mettere sotto controllo costante i 123 ettari di parchi urbani fruibili in città è impresa pressoché impossibile. «Possiamo solo appellarci al senso civico della gente - ha sottolineato Bandelli - perché non possiamo impegnare tutti i vigili urbani nella costante sorveglianza del verde pubblico».
Tutto questo patrimonio di alberi, piante, viottoli e panchine è stato in questi giorni inserito nel sito ufficiale del Comune. Di esso fanno parte anche circa 20 ettari di giardini storici, 16 di giardini attrezzati e 4,5 di aree a valenza rionale.
«Completano questo quadro - ha concluso Bandelli - una decina di ettari di aiuole distribuite sull’intero territorio comunale e 250 attrezzature di giochi per bambini, presenti in 45 aree destinate ai più piccoli». «Da qualche giorno - ha annunciato l’assessore alla comunicazione Massimo Greco - tutti i giardini e i parchi di Trieste sono accuratamente catalogati all’interno del sito di Trieste. Accedendovi, chiunque potrà conoscere caratteristiche, orari e indirizzi, il tutto con ampio utilizzo di foto e riferimenti stradali». Di ogni giardino presente nel sito sono indicate anche le specie vegetali presenti, oltre ai servizi, all’accessibilità per portatori di handicap, ai regolamenti. Una mappa del verde dunque che va ad arricchire il portale del Comune. «Abbiamo anche evidenziato accanto a ogni punto verde - ha affermato Greco - le linee di trasporto pubblico che li collegano col centro, per favorire l’uso dei mezzi pubblici». Il sito di Trieste registra ogni anno più di 4 milioni di contatti: «Un risultato lusinghiero - ha concluso l’assessore - che ci sprona a fare sempre meglio nell’ambito della comunicazione informatica».
u. s.

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 30 NOVEMBRE 2006
 
 
Rifiuti nocivi, perquisita la Plastinide Spa
 

SAN DORLIGO DELLA VALLE Ha raggiunto la zona industriale l’operazione attuata in varie città dal Noe dei carabinieri

Il titolare è indagato con altri nel traffico di materie plastiche destinato alla Cina

Secondo gli investigatori avrebbe consegnato gli scarti dell’attività a una delle aziende che esportava materiali pericolosi nella Repubblica popolare
È arrivata fino a Trieste l’operazione partita dai carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Genova, che ha permesso di sgominare un’organizzazione criminale, attiva nel Nord Italia, dedita al traffico di rifiuti pericolosi con la Cina.
Ieri mattina i militari del Noe di Udine hanno perquisito la sede della «Plastinide Spa», azienda con sede nella Zona industriale, in via Travnik (area che rientra nel comune di San Dorligo della Valle) dove si producono lastre acriliche colorate utilizzate per realizzare insegne e cartelloni. Il titolare della ditta, P.G., 62 anni, abitante a Trieste, è indagato con l’accusa di traffico illecito di rifiuti in concorso con altri.
Secondo gli investigatori l’imprenditore avrebbe consegnato gli scarti della sua attività ad una delle aziende che, attraverso la falsificazione dei documenti, esportava nella Repubblica popolare cinese rifiuti pericolosi, soprattutto prodotti in plastica, facendoli passare per materie prime.
Un trucco che consentiva di eludere i controlli nei porti di partenza e arrivo, e di rivendere le merci sulla piazza cinese dove i rifiuti venivano poi trattati e riutilizzati per la fabbricazione di giocattoli.
Assieme al titolare della «Plastinide Spa» risultano indagate altre 48 persone, tra responsabili di ditte di spedizioni, società produttrici di materiale plastico, consulenti ambientali e titolari di laboratori di analisi.
L’indagine ha portato anche all’esecuzione di sette ordini di custodia cautelare: quattro, in carcere, a carico di tre cittadini cinesi e di un loro intermediario italiano, considerati i registi del traffico internazionale, e tre ai domiciliari per altrettanti italiani, titolari di impianti per il trattamento e la trasformazione di rifiuti.
Oltre che a San Dorligo, i 150 carabinieri impegnati nell’operazione hanno eseguito perquisizioni in città del Piemonte, della Lombardia e del Veneto.
L’indagine sull’attività illecita che, secondo i carabinieri del Noe, andava avanti da quattro anni e fruttava un giro d’affari di almeno un milione di euro all’anno, è iniziata lo scorso gennaio con il sequestro nell’area portuale di Voltri, a Genova, di due container contenenti ciascuno 44 balle formate da carta, cartone, frammenti di cd e plastiche contaminate da agenti chimici.
Il materiale faceva parte di una spedizione, priva di autorizzazzioni, destinata a società sparse in tutto il territorio cinese.
A quel primo sequestro, eseguito con la collaborazione dell’Agenzia delle Dogane del capoluogo ligure, seguì un mese dopo la scoperta in una ditta di Caslino d’Erba, in provincia di Como, di 366 metri cubi di rifiuti in attesa di essere spediti.
I due ritrovamenti fecero emergere il sospetto dell’esistenza di un probabile traffico illecito di rifiuti pericolosi.
La base dell’organizzazione venne individuata nella ditta «Kandi», con sede nella provincia di Milano e operativa anche a Varese, che sotto la copertura di un commercio all’ingrosso di materiale plastico e suoi derivati svolgeva in realtà un’attività illecita di gestione dei rifiuti: dalla raccolta al trasporto, dallo stoccaggio al trattamento simulato, fino all’esportazione in Cina.

Rigassificatori: gli industriali triestini promuovono Gas Natural

 

Per gli imprenditori il progetto è «un’occasione importantissima per lo sviluppo economico, occupazionale e sociale anche della regione Friuli Venezia Giulia»

 Antonini: «I benefici saranno trasferiti ai cittadini con l’abbassamento di tasse come l’Ici e la Tarsu»

TRIESTE «La presenza di un rigassificatore permette di ottenere l’abbassamento dei costi dell’energia alle imprese e un maggior gettito sotto forma di entrate: benefici che potrebbero essere trasferiti ai cittadini con l’abbassamento di tasse come l’Ici, la Tarsu o delle stesse bollette».

A sostenerlo è il presidente dell’Assindustria triestina, Corrado Antonini, che ribadisce l’appoggio esplicito al progetto del rigassificatore della Gas Natural previsto nell’area ex Esso che sarà anche bonificata. Un investimento complessivo tra i 450 e i 500 milioni di euro, 30-40 serviranno per la sola bonifica dell’area.
«Il progetto per la realizzazione del rigassificatore nell'area ex Esso rappresenta un'occasione importantissima per lo sviluppo economico, occupazionale e sociale di Trieste e della regione Friuli Venezia Giulia, un vero volano» spiega Antonini, ritornando sul tema dell'incontro svoltosi giorni fa a Palazzo Ralli, ospiti i vertici della società spagnola e presenti numerosi imprenditori, rappresentanti economici e istituzionali locali.
«Il mondo dell'impresa guarda con attenzione ai problemi legati all'energia e alle nuove frontiere dell'approvigionamento energetico, sempre più legate allo sviluppo tecnologico. È questo un tema che deve essere affrontato con decisione e in breve tempo – insiste Antonini–, pena un'ulteriore perdita di competitività per le nostre imprese, che già oggi pagano l'energia il 30 per cento in più rispetto ai loro colleghi europei».
Secondo l’Assindustria bisogna avere il coraggio di affrontare questi argomenti attraverso un «confronto franco e aperto con il territorio», contrastando posizioni di «preconcetta chiusura con argomenti tecnici e una massima e chiara diffusione delle informazioni a tutti i livelli».
Il consumo energetico in Italia, sottolineano gli industriali, cresce del 2% ogni anno e per affrontare questo trend bisogna pensare a un intervento strutturale, con ricadute immediate.
«Il progetto del rigassificatore della Gas Natural a terra) - continua il presidente degli industriali - rappresenta una soluzione realizzabile in pochi anni ed è assolutamente sicura, sia per la cittadinanza che per l'ambiente: al mondo esistono numerose centrali di rigassificazione e molte gasiere che le riforniscono: la tecnologia disponibile e gli standard di controllo applicati danno a questi impianti e alle navi le caratteristiche di massima sicurezza».
La presenza del rigassificatore nell'area ex Esso con i suoi due serbatori e un terminale da realizzarsi in un ambito industriale già degradato, secondo Antonini non comprometterà la visione legata sviluppo turistico del territorio. «Il rigassificatore di Panigaglia - mette in rilievo il presidente degli industriali - finora unico in Italia (oltrettutto dotato di tecnologia certamente di non ultima generazione) è localizzato a meno di un chilometro dal porticciolo di Porto Venere, una delle località turistiche più belle e frequentate della Liguria. La Gas Natural stessa, in Spagna (dove la società è leader multiprodotto con 2contratti-cliente) opera con 5 rigassificatori e (altri 2 sono in fase di realizzazione) localizzati tutti lungo la costa e in prossimità di città di grande valore turistico come, ad esempio, Barcellona».
Notevole, secondo Antonini, la ricaduta economica indicata dalla società spagnola: dei 450 milioni di investimento si prevede che il 50% resterà sul territorio. 700 persone saranno necessarie per la realizzazione dell'impianto, 80 i posti di lavoro a regime, oltre 300 nell'indotto).
«Un volano per lo sviluppo del territorio e uno strumento fondamentale per il recupero della competitività delle nostre imprese – conclude il presidente – anche grazie alla riduzione dei costi energetici. La possibilità d'utilizzo del freddo prodotto nel processo di rigassificazione, che sarà messo a disposizione gratuitamente, rappresenta un altro vantaggio competitivo per attrarre sul nostro territorio nuove attività imprenditoriali».

 

 

in Città - MERCOLEDI', 29 NOVEMBRE 2006

Il rigassificatore entro quattro anni - Gas Natural spiega a Trieste il progetto per il nuovo terminal nella zona industriale.

 

Rigassificatori : l'Assindustria triestina sostiene il progetto di Gas Natural

TRIESTE L’Assindustria di Trieste scende in campo e si schiera apertamente a favore del progetto del rigassificatore della spagnola Gas natural, quello a terra (on shore) nell’area ex Esso che prevede anche la bonifica della zona. Ieri pomeriggio l’annuncio del presidente Corrado Antonini che ha aperto un incontro a palazzo Ralli, ospiti i vertici della società spagnola, dedicato all’illustrazione dell’investimento. 450 milioni l’investimento previsto, di questi il 40% resetrà sul territorio, 30-40 milioni solo per la bonifica ambientale, 80 i posti di lavoro annunciati, altri 300 quelli che si creeranno nell’indotto. L’altra novità è giunta dal project leader, Martin Yanez sulla valutazione di impatto ambientale. «L’analisi è in fase avanzata, contiamo di avere l’approvazione a gennaio 2007. Per realizzare l’impianto ci vorranno 42 mesi, contiamo di aprirlo tra la fine del 2010 e il 2011».
Ma la società ha anche annunciato di aver chiesto una proroga per la consegna della documentazione integrativa richiesta dalla Regione perchè quella inviata era carente. «La consegneremo entro il 15 dicembre e daremo tutte le risposte al ministero dell’Ambiente». La società si aspetta di ricevere una pronuncia dei ministeri (Ambiente e sviluppo economico) entro il primo trimestre del 2007: se positivo partirà la conferenza dei servizi, subito dopo i cantieri. «È un investimento che porterà occupazione, risolverà il problema delle bonifiche e darà la possibilità di attivare nuove attività imprenditoriali legate alla catena del freddo» ha insistito Antonini spiegando i motivi che hanno convinto l’Assindustria a dare pieno sostegno al progetto.

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 29 NOVEMBRE 2006

Gazprom-Rosneft alleati: nuovo colosso Ue

I due gruppi russi a controllo statale hanno firmato un accordo che legherà i loro destini fino al 2015

MOSCA Il Cremlino di Vladimir Putin si avvia a concretizzare il suo progetto di polo mondiale dell'energia: i due colossi a controllo statale Gazprom e Rosneft hanno firmato ieri un patto di ferro che legherà i loro destini fino al 2015, con un'alleanza estesa a tutti i settori. L'accordo prevede una cooperazione strategica al 50% nei campi della ricerca e dell'esplorazione dei nuovi siti, del trasporto degli idrocarburi, della lavorazione, dell'acquisto e della vendita di gas di accompagnamento (quello derivante dall'estrazione del petrolio), della produzione e della vendita dell'energia elettrica, della produzione di impianti energetici e per l'industria petrolifera, dello sviluppo delle infrastrutture. Fatto ancor più saliente, i due giganti sono «pronti a partecipare a aste e concorsi per lo sfruttamento del sottosuolò», si legge nel comunicato apparso in serata sul sito di Gazprom, che non specifica se in Russia o all'estero, dove entrambe le compagnie stanno portando avanti una tenace politica di espansione.
La cooperazione si estenderà anche ai settori della ricerca scientifica, del sociale, dell'ecologia e dell'informatica, nonchè alla formazione e allo scambio di personale. Un comitato di coordinamento di dieci membri verrà nominato nei prossimi giorni, e creerà a sua volta un gruppo di lavoro per elaborare un memorandum sui dettagli dell'accordo e le condizioni della compravendita del gas di Rosneft. Lo stesso gruppo studierà nuovi progetti «in Russia e all'estero». Firmatari del monopolistico accordo - che almeno in Russia lascia poco spazio alla già debole concorrenza dei privati - sono i due presidenti Alexsei Miller (Gazprom) e Serghei Bogdancikov (Rosneft). L'alleanza tocca due colossi in piena espansione: Gazprom ha una capitalizzazione di 240 miliardi di dollari, Rosneft ha recentemente raggiunto, grazie a una riuscita ipo sui mercati di Mosca e Londra, i 100 miliardi di dollari, aggiudicandosi il secondo posto dopo la nuova socia nella classifica delle maggiori aziende russe. E il Cremlino conferma con la forza dei numeri la sua stretta su un settore strategico che negli anni seguiti al crollo dell'Urss era sfuggito in parte al suo controllo: lo stato possiede il 50,002% delle azioni di Gazprom e ben il 75% di quelle di Rosneft. Quest'ultima ha nel frattempo messo una seria ipoteca sui resti del colosso privato Yukos, portato nell'agosto scorso al fallimento a colpi di sentenze giudiziarie non sempre cristalline. L'attivismo delle due compagnie ha avuto ottime ripercussioni in borsa: dal luglio scorso, le azioni di Rosneft hanno guadagnato il 25,74% (al fixing del 13 novembre), contro il più 'modestò risultato di quelle di Gazprom, cresciute nello stesso periodo del 13,7%.

Intanto Iberdrola va alla conquista dell'Europa e con l'acquisto della britannica Scottish Power diventa il numero tre dell'energia del vecchio continente. Per entrare a far parte del podio la società spagnola ha dovuto sborsare 17 miliardi di euro (11,6 miliardi di sterline), tra contanti e azioni, con un'operazione che è il segno del dinamismo del settore delle utility (basti pensare all'opa di E.on su Endesa), ma anche di quello delle società spagnole, sempre più aggressive nel contesto internazionale.
Iberdrola è infatti l'ultima di una serie di colossi iberici lanciati alla conquista del mercato europeo e in particolare di quello britannico. Prima di lei si sono mosse Telefonica con l'acquisto del gruppo di telefonia mobile O2 e il Grupo Ferrovial che ha acquisito il controllo del gestore aeroportuale BAA. Due anni fa è stato invece il Bbva ad aggiudicarsi il gruppo bancario Abbey National.

 

Intervista ad Alessandro Ortis, presidente dell'Autorità per l'energia.

Alessandro Ortis è presidente dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas dal dicembre 2003. Nato a Udine il 12 agosto 1943, dopo aver frequentato la Scuola Militare Nunziatella di Napoli, si è laureato in ingegneria nucleare al Politecnico di Milano e diplomato alla Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi. Ha ricoperto ruoli dirigenziali in aziende pubbliche e private: Zanussi, Pirelli, ENI, Ispredil–Ance, Serono, Tecnofarmaci. Successivamente è stato vicepresidente dell’Enel; presidente di Eurelectric (l’Associazione delle aziende elettriche europee). Ortis è stato anche docente di organizzazione e gestione aziendale; presidente del gruppo di esperti per il settore elettrico dell’Aie (Agenzia Internazionale dell’Energia). Più recentemente è stato direttore generale per l’Energia e le Risorse Minerarie al ministero Attività Produttive; presidente della Ccse (Cassa Conguaglio per il Settore Elettrico); membro del governing board dell’Aie, del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, della Commissione tecnico-scientifica del Dipartimento della Protezione Civile e del Comitato scientifico della Sogin.

 

IL PICCOLO - MARTEDì, 28 NOVEMBRE 2006

 

Presidente ILLY, cosa le succede?

di Livio Sirovich

Livio
Sirovich interviene sui temi della Sanità, dei rigassificatori, del Corridoio 5, rivolgendosi al presidente della Regione, Riccardo Illy. Cosa sta succedendo al nostro Presidente? (della nostra Regione e anche del "mio" centrosinistra). Si profilano all'orizzonte due progetti per impianti di rigassificazione e Riccardo Illy subito li appoggia entrambi, dichiarando ripetutamente che "il gas naturale liquefatto non esplode" (e non è vero). Per il Corridoio 5, sposa un tracciato con ben più di 50 chilometri di gallerie triple, così difficile e costoso da rischiare di compromettere la realizzazione dell'importantissima infrastruttura. Per la preparazione del nuovo Piano territoriale regionale i suoi uffici lasciano agli enti consultati (Aziende sanitarie, Arpa, enti di ricerca etc.) quattro ore di tempo, a cavallo della festa del primo maggio, per "presentare eventuali osservazioni" finali.

 Fa interpellare questi enti indicandoli pomposamente con termini gergali americani ( stake holders ) ma non sembra ascoltarli. In un'intervista a un quotidiano nazionale, bacchetta altri che hanno i "soliti amici da sistemare" (ma sorvola su un paio di casi a lui vicini). Salto direttamente all'ultimo episodio. Sabato al Ridotto del Verdi, e tre giorni dopo sul Piccolo, Illy entra in dura polemica con il Municipio, con l'Associazione "Azzurra", la stampa, il Burlo ed un bel po' di concittadini. In particolare, a riprova della giustezza delle proprie scelte, rinfaccia all'ospedale di non aver indicato le "malattie rare fra le sue cinque principali linee di ricerca". Ma perché questa polemica? Che poi è di lana caprina, perché il non citarle esplicitamente non significa nulla, e certo non vuol dire né disconoscerle né rinunciarvi. È infatti facile appurare che, da un punto di vista scientifico, le numerosissime malattie rare (vedi D.L. 124 del 29/4/1998) vengono spesso comprese nelle discipline mediche specialistiche che le studiano; ed è quello che ha fatto il Burlo nel suo pieghevole dei 150 anni, il cui secondo punto ne comprende molte (malattie croniche insorgenti in età pediatrica). Ma poi, vi pare che un presidente regionale debba lasciarsi andare allo scontro duramente polemico? Ma nemmeno se avesse totalmente ragione! Questione di Stile. Viceversa, ha fatto piacere notare che l'Assessore competente, il medico Beltrame, nel suo intervento al Verdi non si è perso in polemiche. Caro Riccardo, (il presidente e io siamo cresciuti nello stesso gruppo scout), pur non essendo un uomo di sinistra, nel 1992 ritenesti di proporti come candidato all'allora cosiddetto "gruppo di saggi della società civile" del nostro centrosinistra; e poi fosti nostro buon sindaco (a parte certe cubature spropositate consentite dal tuo piano regolatore). Lavoravi sodo, dando quasi l'impressione di continuare ad ispirarti alla nostra "Carta di Compagnia" di rover-scout, ricordi?: il rover "si rende utile senza chiedere gratitudine (...) fonda sempre i propri giudizi su dati precisi, non su voci o impressioni". La leggevamo in tutte le occasioni importanti. Governare la cosa pubblica è forse - dopo la famiglia - la cosa più importante che ti possa capitare nella vita. Visto che avevi scelto tu quella modalità, non reputi forse che - in vista delle elezioni del 2008 - sia giunto il momento di risottoporti anche al gruppo di saggi di allora? E ancora: saresti favorevole o contrario a che si tenessero le elezioni primarie anche per la Regione?

 

 
Inquinamento: salgono i ricoveri

I dati dello studio per il periodo 2001-2004 effettuato dall’Azienda sanitaria con l’Arpa e le Università di Trieste e Udine Inquinamento, salgono i ricoveri Ossido di carbonio e biossido di azoto pesano soprattutto sulle malattie respiratorie

L’analisi, che ha comportato lunghi controlli e complesse elaborazioni statistiche, ha voluto verificare gli effetti a breve termine dell’inquinamento atmosferico sulla salute. Il risultato è riassunto in una pubblicazione dell’Azienda sanitaria, presentata ieri nella sede della stessa Ass, che ora verrà distribuita ad enti, associazioni e addetti ai lavori.
«Abbiamo voluto fornire alla città – ha spiegato Annamaria Piscanc, del Dipartimento di prevenzione dell’Azienda sanitaria – un quadro dell’impatto della qualità dell’aria sulla salute pubblica, con lo scopo di far maturare una coscienza in questo senso anche tra chi deve prendere decisioni che hanno effetti sulla salute dei cittadini».
Lo studio, che si riferisce al periodo luglio 2001-giugno 2004, ha messo in relazione tre grandi serie di dati ufficiali: la mortalità, i ricoveri ospedalieri e le rilevazioni sull’inquinamento dell’aria. «Nell’arco di tempo 2001-2004 – ha precisato Massimo Bovenzi, direttore dell’unità clinica di Medicina del lavoro della nostra Università – sono stati analizzati 8.445 decessi, avvenuti per varie cause, e 18.138 ricoveri relativi a patologie cardiache, respiratorie e cardiovascolari. Dati che abbiamo poi messo in relazione ai valori medi dell’inquinamento dell’aria, tenendo conto di fattori che influenzano i ricoveri come l’età della popolazione, le condizioni di umidità e temperatura nelle singole giornate, e i periodi delle epidemie influenzali».
Si è visto così che gli effetti a breve termine dell’inquinamento sulla salute, nella nostra città, si manifestano soprattuto in un aumento dei ricoveri, che riguardano soprattutto le persone anziane e che avvengono nei periodi invernali.
In proposito lo studio mette in luce il ruolo del biossido di azoto (NO2), dovuto soprattutto al traffico, che ha conseguenze sia sui ricoveri per malattie respiratorie sia per quelle cerebrovascolari, e quello delle polveri sottili (PM10) che si riflette sui ricoveri per patologie respiratorie.
Dalle analisi dell’Arpa risulta poi che, nei tre anni presi in esame, il biossido di azoto presenta un andamento in crescita. Le polveri sottili mostrano invece una tendenza in lieve diminuzione, «ma – si rileva nello studio – comunque a livelli ancora troppo alti rispetto a quanto previsto dalla normativa europea». E ciò senza contare che fra quattro anni il limite di legge per le polveri sottili si abbasserà, dagli attuali 50 microgrammi per metro cubo a 20 microgrammi.
La chiave riassuntiva dello studio sta nella tabella che pubblichiamo a fianco, e in particolare nella parte relativa agli effetti dell’inquinamento sui ricoveri.
Precisando che in tutti questi casi si tratta di stime statistiche, si nota come nel caso di ricoveri per malattie cardiache le conseguenze più rilevanti sono dovute al biossido di zolfo, per il quale un incremento di 10 microgrammi per metro cubo determina un incremento del 5% nei ricoveri.
Un’incidenza ben maggiore gli agenti inquinanti l’hanno nei riguardi dei ricoveri per malattie respiratorie. Così, un aumento di 10 microgrammi per metro cubo del biossido di zolfo provoca una crescita dei ricoveri del 5,3%; un incremento del biossido di azoto fa crescere i ricoveri del 3,4% e un analogo incremento delle polveri sottili aumenta i ricoveri del 2,3%. Ancora più rilevanti le conseguenze dell’ossido di carbonio: un aumento di un milligrammo per metro cubo causa un incremento dei ricoveri del 9,9%.
Effetti pesanti anche nel campo dei ricoveri per cause cerebrovascolari, soprattutto per quanto riguarda il biossido di azoto e l’ossido di carbonio. Un aumento di 10 microgrammi per metro cubo del primo determina un incremento del ricoveri del 6%, mentre una crescita di 1 milligrammo nei livelli di ossido di carbonio fa crescere i ricoveri del 9,2%.
Sia pure al di fuori del periodo considerato nello studio, altre analisi statistiche, svolte sempre dal Dipartimento di prevenzione dell’Azienda sanitaria, hanno riguardato ricoveri e decessi attribuibili alle poveri sottili e al biossido di azoto nel 2005. Con livelli delle polveri sottili superiori a 20 microgrammi per metro cubo, si sono stimati 35 decessi per cause naturali, 14 per malattie cardiovascolari e 38 ricoveri per malattie respiratorie. Quanto al biossido di azoto, per livelli superiori a 40 microgrammi per metro cubo, sempre con riguardo al 2005, si sono stimati 42 ricoveri per malattie cardiache e 75 per patologie respiratorie.

 
 
Conconello, variante al Piano regolatore Antenne trasferite sul monte Belvedere
 La delibera della giunta entro l’anno sarà approvata dal Consiglio comunale
Le antenne di Conconello hanno i giorni contati. Almeno dal punto di vista burocratico, poi bisognerà spostarle materialmente nell’area del monte Belvedere. A fianco delle antenne Rai e Mediaset, lontano dalle case di Conconello. Un trasferimento che i residenti chiedono da molti anni.
Dopo l’annuncio nel mese scorso dell’imminente trasferimento, nella giunta di ieri l’assessore all’Urbanistica, Maurizio Bucci, ha portato all’attenzione dei colleghi la variante al Piano regolatore di adeguamento al Piano territoriale regionale per la radiodiffusione televisiva. Una delibera approvata all’unanimità che fa scattare l’iter procedurale: acquisizione dei pareri delle Circoscrizionali, della Commissione competente e, infine, il voto del Consiglio comunale.
«Sperando nella solerzia delle Circoscrizione, potremmo tentare di approvare questo importante provvedimento entro l’anno», dice fiducioso Bucci. E aggiunge, pensando già al trasferimento delle antenne dall’abitato: «Non appena ricevuta la delega all’Urbanistica - dice l’assessore della giunta Dipiazza - tra le tante patate bollenti trovate sul tavolo c’era quella di Conconello. Finalmente siamo riusciti a chiuderla e, una volta approvata la delibera, la società che raccoglie tutte le emittenti potrà trasferire le antenne. I tempi tecnici non sono in grado di dirlo, però anche i diretti interessati hanno la volontà a spostarsi».
Una volontà dettata anche dalle rilevazioni dell’Arpa che, proprio a Conconello, ha registrato degli sforamenti di inquinamento elettromagnetico. Una situazione denunciata più volte dai residenti. «Aspettano questo trasferimento dal 1988, mi sembra che sia già passato troppo tempo...», dice Bucci.
Lo spostamento sul monte Belvedere, un’area militare dove sono già insediate le antenne Rai e Mediaset, riguarderà un unico traliccio dove troveranno posto i diversi gestori. Servirà quindi un accordo tra i diretti interessati (esiste già un progetto) che dovranno rispettare anche delle precise prescrizioni. «L’altezza del traliccio dovrà essere la media tra le due giù esistenti: quello della Rai è il più alto, non si tratterà quindi di una grande struttura», spiega l’assessore all’Urbanistica. Non mancando di mostrarsi soddisfatto per una delibera che «rappresenta un importante successo, andiamo a chiudere una situazione particolarmente fastidiosa anche perché - ricorda Bucci - quello di Conconello è l’unico punto dove l’Arpa ha registrato uno sforamento dei valori elettromagnetici».
A confermarlo sono gli studi effettuati dall’Arpa presentati, lo scorso mese, in una riunione della commissione Ambiente. «Il panorama complessivo è confortante – aveva dichiarato all’epoca Bucci – perché tutte le zone poste sotto esame hanno evidenziato dati molto al di sotto delle soglie indicate dalla legge in materia. Conconello, in questo contesto, invece, evidenzia livelli piuttosto elevati». E aggiungeva: «Consapevoli di questa situazione da tempo ci siamo dedicati all’esame delle possibili soluzioni alternative e, alla fine, abbiamo individuato un sito nel quale le antenne di Conconello saranno trasferite». Non resta che aspettare la conclusione dell’iter burocratico per la variante al Piano regolatore, poi nel 2007 arriverà il momento di portare a compimento la delibera.

 

 
Gli Amici della Terra: «Roma mente, non ci hanno tolto il marchio»
«Il Club di Trieste degli Amici della Terra gode di piena autonomia giuridica, patrimoniale e fiscale, e continua ad agire legittimamente ad ogni effetto sotto il marchio «Friends of the Earth - Amici della Terra».
La precisazione arriva dall’avvocato Livio Bernot, legale dei dirigenti dell’associazione triestina, Roberto Giurastante e Alessandro Claut.
«Il marchio «Friends of the Earth» (FoE-AdT) non è mai stato tolto poichè di proprietà dell’Associazione internazionale con sede ad Amsterdam e non della rappresentanza italiana a Roma ancora presieduta da Rosa Filippini - continua il legale -. La presidente Filippini era stata già diffidata dal violare la riservatezza interna del caso specifico fino all’esito della verifica decisa dal Comitato esecutivo internazionale sul suo operato».
«Il Club di Trieste - aggiunge l’avvocato Livio Bernot - può esibire le prove documentali che la tentata «scomunica» romana è illegittima e sollecitata da particolari ambienti triestini». «L’associazione inoltre - conclude il legale di Giurastante e Claut -, osserva senza commento che la «coltellata alla schiena», cioè il tentativo di mettere in dubbio la correttezza e la rappresentatività legale dei suoi dirigenti e di paralizzarne le attività a più livelli, segue immediatamente la vittoria processuale per la denunciata discarica marina di materiali inquinanti «Acquario» nel comune di Muggia».

 

 

 

LA REPUBBLICA - LUNEDÌ, 27 NOVEMBRE 2006

 

Rapporto tedesco sull'energia solare - "Col termodinamico possibile autosufficienza"

Uno studio commissionato dal governo di Berlino rilancia le potenzialità di questa tecnologia

Costruendo centrali nei deserti del Nordafrica si potrebbe dare un enorme aiuto all'Europa

Per l'Italia si tratta di uno schiaffo: Rubbia è tra i pionieri, ma è dovuto emigrare in Spagna

 

ROMA - L'Europa potrebbe ottenere entro il 2050 la quasi totalità del suo fabbisogno energetico da fonti pulite, senza ricorrere a combustibili fossili o al nucleare. A sostenerlo è un rapporto commissionato dal ministero dell'Ambiente tedesco. Lo studio, realizzato dai fisici Gerhard Knies e Franz Trieb, due membri del Trec, un consorzio di ricerca per la cooperazione tra Europa e paesi del bacino del Mediterraneo nello sviluppo delle fonti rinnovabili, sottolinea però che per raggiungere l'obiettivo è necessario puntare sul solare termodinamico, realizzando una serie di centrali nelle zone desertiche del Nordafrica e una rete elettrica a corrente continua.
"In un anno ogni chilometro quadrato di deserto - spiega Franz Trieb - riceve l'energia solare equivalente a un milione e mezzo di barili di petrolio. Moltiplicando questa potenzialità per le aree desertiche della Terra otteniamo un totale di energia pari a qualche migliaia di volte l'attuale consumo energetico mondiale. Questa energia può essere catturata usando degli specchi per concentrare la luce solare e trasformarla in calore".
Le centrali invocate dallo studio non utilizzano infatti i consueti pannelli fotovoltaici che siamo abituati ad associare all'energia solare, ma il sistema termodinamico. Grandi superfici coperte da specchi trasformano la luce del sole in calore che a sua volta riscalda ad altissime temperature (circa 400 gradi) un liquido o un gas che crea vapore in grado di mettere in moto delle turbine di tipo convenzionale.
Si tratta di un sistema che ha diversi vantaggi. Innanzitutto quello di poter continuare a produrre corrente anche nelle ore notturne grazie alla "forza d'inerzia" della sostanza riscaldata. I curatori dello studio sottolineano poi che queste centrali, se costruite nei pressi del mare, possono alimentare dei desalinatori in grado di fornire acqua con cui coltivare la terra all'ombra degli specchi.

I limiti del solare termodinamico sono invece legati alle grandi dimensioni richieste dagli impianti. Per questo motivo le possibilità di sviluppo nei paesi fortemente antropizzati come quelli europei è limitato, mentre nei deserti nordafricani avrebbero la loro collocazione ideale. Per i detrattori del solare questo è un ulteriore limite in quanto nel deserto l'energia non serve e trasportarla altrove è inefficiente. Tesi, quest'ultima, che Knies e Trieb nel loro studio negano seccamente.
"A differenza di quanto si ritiene comunemente - spiegano di due ricercatori - il progetto di alimentare l'Europa con questo tipo di tecnologia è assolutamente realizzabile e vantaggioso dal punto di vista economico. Grazie alle moderne linee di trasmissione a corrente continua ad alto voltaggio, solo il 3% circa della potenza va perduta per ogni 1000 chilometri di rete. Questo significa che si potrebbe portare questa energia dall'Africa del Nord a Londra con perdite del 10%, molto meno delle dispersioni tra il 50% e il 70% che hanno caratterizzato per molti anni la trasmissione delle centrali convenzionali a carbone".
"Considerando anche i costi di trasmissione - spiega ancora Trieb - abbiamo calcolato che per l'Europa l'energia solare sarebbe una delle forme di approvvigionamento più economiche". Senza contare i vantaggi politici e ambientali dello sganciarsi da fonti inquinanti e dal prezzo volatile come petrolio e gas naturale. Per questo il rapporto raccomanda ai paesi europei di avviare una collaborazione con gli stati dell'Africa settentrionale e del Medio Oriente per creare insieme una rete elettrica ad alto voltaggio per la corrente continua per condividere insieme i vantaggi di una vasta produzione di energia pulita.
Il problema per realizzare questo ambizioso obiettivo è come al solito di volontà politica. Si tratta di credere in questo progetto, di sostenerlo e di finanziarlo. L'Italia in questo senso non ha assolutamente le carte in regola. Una buona parte della ricerca sul solare termodinamico è infatti "Made in Italy", grazie alle intuizioni del premio Nobel Carlo Rubbia. Quando si è trattato di passare da un prototipo realizzato nel centro Enea della Casaccia a uno su scala produttiva a Priolo, in Sicilia, la fiducia nel grande fisico è venuta però meno. Con il risultato che ora Rubbia si è trasferito in Spagna dove sta progettando una centrale nei pressi di Granada.
 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 26 NOVEMBRE 2006
 

 

«Acquario», al via lo studio per la bonifica

 

MUGGIA Parallelamente al procedimento giudiziario conclusosi venerdì il Comune ha avviato contatti con esperti universitari

Il sindaco Nesladek: «Situazione sbloccata, anche la Corte dei conti ci ha sollecitati»
Il Comune di Muggia ha già avviato contatti informali con esperti universitari per uno studio per la bonifica dell’interramento di Acquario, finanziabile dalla Regione. Incontri iniziati a latere del procedimento penale che si è concluso venerdì.
Il dissequestro dell’interramento Acquario, e il riconoscimento dei responsabili dell’inquinamento dell’area da parte del tribunale, ora possono essere un punto di partenza per risolvere definitivamente la questione del terrapieno.
È questo infatti, almeno per ora, anche l’auspicio del sindaco di Muggia, Nerio Nesladek, all’indomani della sentenza: «Si sono chiarite molte cose. La sensazione è che la situazione si sia finalmente sbloccata. Ora si può andare avanti»
La causa penale, in questi anni, aveva creato un certo clima di incertezza, con un interramento da bonificare sul lungomare, ma da chi? L’ex sindaco Lorenzo Gasperini aveva tentato una soluzione diretta con gli interessati, in via extragiudiziale, proprio per porre fine alla vicenda, a prescindere dalle responsabilità che il tribunale era ancora chiamato a definire. Ma il tentativo era andato a vuoto.
La possibilità che invece debba essere il Comune a bonificare è sempre stata presa in considerazione, anche se viene vista come una sventura per le casse comunali. L’ente locale ha infatti il dovere di garantire la salute pubblica. E qui, davanti alle inadempienze, alle ordinanze di bonfica notificate già a suo tempo a vari soggetti legati all’interramento, il Comune insomma deve bonificare, salvo poi rivalersi sul privato. In termini e modalità ancora da chiarire, anche dopo la sentenza del tribunale.
Persino la Corte dei conti, l’estate scorsa, aveva messo sull’avviso il Comune, prospettando un ingente esborso di denaro per la bonifica. Al che il sindaco non aveva escluso una spesa ancora maggiore (attorno ai 5 milioni di euro), al fine anche di rendere nuovamente utilizzabile l’area, a vantaggio della cittadinanza.
Ora, come si andrà avanti? «Non lo so, al momento. Lunedì sentirò il parere dei legali del Comune per capire le implicazioni pratiche di questa sentenza e come procedere», dichiara il sindaco.
Ma intanto il Comune ha già messo le mani avanti. In questi mesi ci sono stati alcuni incontri con studiosi universitari per valutare se e come provvedere a una bonifica. «Sono stati contatti informali, ma volti alla preparazione di un’ipotesi di studio di fattibilità. Per la bonifica, poi, ci sono specifici fondi regionali ai quali potremmo accedere», aggiunge Nesladek. I primi risultati di questo studio saranno presentati al Comune già nella prima metà di dicembre.
«La sentenza ora cambia di molto le cose, ma il Comune non poteva attendere i tempi della giustizia. Anzi, la sentenza è arrivata un po’ una sorpresa – prosegue Nesladek -. Per questo si è voluto far partire questo studio, anche dopo i solleciti della Corte dei conti. Una volta acquisite le prime informazioni, vedremo come formalizzare il tutto».

 

 
Corso Italia pedonale, altre 200 firme - Prosegue anche oggi la raccolta promossa dai commercianti. In tutto finora 650 adesioni
 
Sono 200 le firme a sostegno della proposta di pedonalizzazione del corso Italia raccolte ieri in piazza della Borsa.
Ammonta a un totale di 650 perciò il numero delle adesioni all’iniziativa avanzata da commercianti, pubblici esercenti e residenti del centro città. Dopo il discreto successo registrato nello scorso fine settimana, con 460 firme, i responsabili del Comitato che sostiene la proposta hanno ritenuto opportuno continuare.
Ieri il banchetto sistemato in piazza della Borsa è stato attivo ininterrottamente dalle 9.30 alle 19.30. «Il numero di sottoscrizioni fatte fra sabato e domenica scorsi, quando il maltempo ha limitato l’afflusso di gente in centro – ha spiegato Pierguido Collino, presidente del Comitato – è stato confortante. Stimolati da questo risultato – ha aggiunto – abbiamo deciso di proseguire, ampliando l’orario di domenica».
Oggi infatti, a differenza della scorsa settimana, quando il banchetto è rimasto attivo solo nel corso della mattinata, gli addetti alla raccolta delle firme saranno presenti sia al mattino, dalle 10 alle 13.30, che al pomeriggio, dalle 15 alle 18.30.
«È uno sforzo che intendiamo fare – precisa Collino – perché siamo convinti della bontà del nostro progetto».
L’iniziativa, lanciata da un gruppo di imprenditori e residenti del centro cittadino, stufi di vivere con lo smog e con i rumori del traffico veicolare, che in corso Italia è sempre molto vivace, ha riscontrato la convinta adesione di un vasto gruppo di cittadini.
Se si dovesse raggiungere quota mille, obiettivo dichiarato per questi due week end di fine novembre, il lavoro del Comitato sarebbe premiato e la petizione che sarà presentata nei competenti uffici comunali avrebbe una forza non indifferente. «E’ da tempo che ci rivolgiamo all’amministrazione comunale per ottenere attenzione sul progetto di pedonalizzazione del corso Italia – ha sottolineato Collino – ma le risposte non sono mai arrivate. Abbiamo perciò deciso di allertare la gente, chiamandola a esprimersi su un problema di estremo rilievo».

 

Amici della Terra I vertici tolgono il marchio a Trieste - Contenzioso interno al sodalizio
 
«Amici della Terra» ma nemici tra loro.
Tra Rosa Filippini, presidente nazionale dell’associazione ambientalista e i vertici del club triestino presieduto da Alessandro Claut, da tempo è aperto un contenzioso che, visto da Roma, equivale a una sorta di scomunica.
«Voi non siete più autorizzati a utilizzare il marchio degli Amici della Terra e nemmeno quello di Friends of the Earth Italy» dicono i vertici romani. «Possiamo invece farlo perché siamo ricorsi al Foe di Amsterdam, unico depositario del marchio «Amici della Terra» che non solo non ha ratificato la decisione di Roma ma ha anche deciso di sottoporre a ispezione la gestione dell’Associazione italiana presieduta da Rosa Filippini» replicano da Trieste, respingendo l’accusa di eresia. «Siete voi che avete violato i principi costitutivi del Foe international».
La contrapposizione tra gli Amici della Terra di Trieste e i vertici romani, è emersa nell’ultima udienza del processo per l’inquinamento di Acquario. La sezione triestina si era costituita parte civile contro i cinque imputati e l’avvocato Livio Bernot non solo ne aveva chiesto la condanna e cinque milioni di euro di risarcimento ma si era anche battuto per una diversa formulazione del capo di imputazione, ritenendo di trovarsi di fronte a un reato più grave che coinvolgeva l’intera catena alimentare. La tesi non è stata accolta ma prima che il giudice Luigi Dainotti si ritirasse in camera di consiglio l’avvocato Maria Genovese, difensore di Manlio Romanelli, aveva esibito una stampata del sito Internet dell’associazione nazionale «Amici della Terra», dove il club di Trieste non compariva. Secondo il legale la costituzione di parte civile doveva essere revocata. Anche queste tesi non è stata accolta ma la notizia del dissidio si è diffusa.
«Alessandro Claut e Roberto Giurastante non sono più autorizzati a usare il nostro marchio» ha ribadito in serata Rosa Filippini. «Rimangono comunque iscritti all’associazione. Da noi non esistono espulsioni».
«Il tentativo di privarci del marchio è fallito» hanno ribattuto Claut e Giurastante. «I dirigenti romani sollecitati da ambienti triestini, hanno voluto paralizzare la nostra attività di indagine sul malaffare ambientale, politico e amministrativo locale. Ma non ci sono riusciti».

 
D’Alema presto in Slovenia, Prodi a gennaio Rigassificatori, si cerca un’intesa comune
 
CAPODISTRIA Incontro ieri all’hotel San Bernardino di Portorose fra il sottosegretario agli Esteri italiano Famiano Crucianelli e il ministro degli Esteri sloveno Dimitri Rupel. Nel quadro dei rapporti bilaterali è stata annunciata la prossima visita a Lubiana del ministro Massimo D’Alema. E all’inizio del 2007 anche il premier Prodi sarà in Slovenia.
Non è stata fornita alcuna data ma il segretario di Stato sloveno Cerar ha detto che con tutta probabilità D’Alema arriverà in Slovenia entro un mese. La visita del capo della Farnesina anticiperà quella del primo ministro Romano Prodi. Al merito non ci sono notizie ufficiali, ma secondo quanto anticipato dallo stesso Cerar, che riferendosi all’arrivo di D’Alema ha parlato di preparativi per una visita ad un livello ancora più alto, Prodi potrebbe giungere a Lubiana già in gennaio.
Maurizio Tremul ha fatto presente al sottosegretario Crucianelli anche gli annunciati tagli ai finanziamenti dei programmi italiani di radio e tv Capodistria ad opera dall’Ente radiotelevisivo sloveno. Si tratta di circa 200 mila euro che saranno azzerati nel piano produttivo per il 2007.
Da un lato – ha sottolineato Tremul - il governo sloveno ha mantenuto il suo impegno garantendo i fondi promessi (circa 145 mila euro), dall’altro però si assiste a un taglio da parte della direzione dell’Ente. Accanto ai tagli finanziari è prevista pure una riduzione del personale, che si concretizzerà tramite il prepensionamento di 16 dipendenti, fra cui nove tra giornalisti e redattori, e il mancato ricambio occupazionale.
Per sopperire alle necessità di Radio e tv Capodistria sono previste, infatti, solo due nuove assunzioni.
Tremul, quindi, ha lanciato un appello al governo di Roma affinché faccia comprendere allo Stato sloveno l’importanza dei programmi minoritari italiani. Inoltre ha sollevato l’annoso problema dell’Edit, l’azienda editoriale di Fiume.
Ha chiesto nuovamente che venga trovata una soluzione per inserire l’unica casa editrice italiana dell’Istria nella legge 250/90 riguardante il finanziamento della stampa e dell’editoria all’estero.
Per quanto riguarda i rapporti italo-sloveni Crucianelli, il suo omologo Rupel e il segretario agli Esteri sloveno Cerar, hanno toccato direttamente il problema dei rigassificatori e della tutela ambientale dell’alto Adriatico. «Si tratta di uno specchio d’acqua piccolo e prezioso –ha detto Crucianelli- e l’Italia, come la Slovenia, nutre la stessa e comprensibile preoccupazione della salvaguardia ecologica condividendo la necessità di procedere verso una gestione comune delle risorse».
I rigassificatori si inseriscono in un contesto di sviluppo globale dell’alto Adriatico e su questo punto Crucianelli ha spiegato che con la controparte slovena si è discusso delle possibilità di creare in quest’area un polo di sviluppo inteso nel senso più generale del termine, quindi non meramente energetico e economico.

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 25 NOVEMBRE 2006

 

Ok della Regione all’accordo per la Riserva delle falesie
 
DUINO AURISINA Su proposta dell'assessore alle Finanze Michela Del Piero, la Giunta regionale ha autorizzato il presidente, o un assessore da lui delegato, alla stipula di un accordo di programma per la realizzazione della Riserva naturale regionale delle Falesie di Duino. L' accordo sarà siglato con il Comune di Duino-Aurisina sulla base di una bozza che è stata approvata dalla Giunta regionale, mentre gli atti conseguenti all'accordo saranno di competenza della direzione centrale delle Risorse agricole. Secondo il testo dell'accordo, il relativo Piano di conservazione e sviluppo individuerà: una zona di tutela naturalistica, una zona di tutela generale e una zona che comprenderà le strutture e le infrastrutture di servizio alla Riserva già esistenti.

 

«Acquario», quattro condanne

 

MUGGIA Al termine del processo revocato il sequestro del terrapieno fra Punta Olmi e Punta Sottile

Quattordici mesi al rappresentante della «Duino Scavi». Assolto Romanelli

 
TRIESTE Sequestro revocato e restituzione dell’area ai legittimi proprietari. E’ di nuovo «libero» dopo quasi quattro anni di blocco deciso dalla magistratura penale, l’interramento di Acquario, l’area posta tra Punta Olmi e Punta Sottile su cui l’omonima società voleva realizzare uno stabilimento balneare e un’area dedicata al tempo libero.
Lo ha deciso ieri il giudice Luigi Dainotti, al termine del processo che ha coinvolto i passati vertici di Acquario e di Porto San Rocco.
Manlio Romanelli, già amministratore unico della società che aveva promosso l’interramento, vicepresidente di AcegasAps e uomo di fiducia dei vertici locali di Alleanza nazionale, è stato assolto dall’accusa di aver cagionato l’inquinamento e di non aver provveduto alla bonifica dell’area.
«Per non aver commesso il fatto» è stata la formula adottata dal magistrato. All’epoca dell’interramento e dell’inquinamento, come ha sottolineato il difensore, l’avvocato Maria Genovese, Manlio Romanelli non era ancora entrato nella compagine societaria.
Tutti condannati, invece, gli altri quattro imputati. Ad Ervino Leghissa, legale rappresentante della «Duino scavi» sono stati inflitti un anno e due mesi di arresti congiunti a una multa di 20 mila euro. Dieci mesi di arresti e 15 mila euro di multa per Aldo Mazzocco, tempo addietro al vertice di Marina Muja e di Porto San Rocco; stessa pena per Luigi Russo Cirillo, direttore dei lavori di interramento e per Corrado Del Ben, già vicepresidente di Acquario. A tutti sono stati condonati 10 mila euro di multa assieme alla pena detentiva.
I quattro condannati dovranno però versare immediatamente una consistente provvisionale a due società: 100 mila euro andranno ad Acquario e altri 100 mila alla Imes, la società finanziaria a cui Acquario faceva riferimento. In totale 200 mila euro.
Nella stessa sentenza il giudice Luigi Dainotti ha demandato al Tribunale civile la quantificazione del risarcimento che spetta alla stessa Acquario, alla Regione Friuli Venezia Giulia, al Comune di Muggia, agli Amici della Terra e al Wwf, che si erano costituiti in giudizio con i rispettivi legali. Nessuno di questi enti e associazioni ha però chiesto nel dibattimento una «provvisionale» immediatamente esecutiva, e quindi il giudice non ha potuto assegnarla.
Secondo l'inchiesta promossa dal pm Maddalena Chergia, nell’area posta tra Punta Olmi e Punta sottile sono finiti 120 mila metri cubi di materiale - terra e rocce da scavo - contenti anche sostante inquinanti provenienti per una certa percentuale anche dalla bonifica dell’ex cantiere navale San Rocco, ora divenuto porto turistico.
Il primo metro di terreno dell’ex cantiere, inquinato da cento anni di attività industriale, è stato ammassato sul posto in due sarcofagi a tenuta stagna. Lo strato sottostante è finito invece a Punta Olmi: 45 mila metri cubi nella prima «tranche» di lavori, 70 mila nella seconda.
Le analisi dell’Arpa hanno segnalato la presenza di piombo, cadmio e idrocarburi in misura non compatibile col l’utilizzo dell’area come verde pubblico. Ora l’interramento è stato dissequestrato, ma la strada per realizzare lo stabilimento balnerare e l’area destinata al tempo libero si annuncia comunque tutta in salita.

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDÌ, 24 NOVEMBRE 2006

 

«Freetime, il Wwf ha preso posizione»

 

Sulle «Segnalazioni» del 15 novembre Riccardo Ciacchi accusa il Wwf (insieme ad altre associazioni ambientaliste) di tacere sullo «scempio ambientale» che si sta compiendo alle Noghere, con la costruzione del centro commerciale «Freetime» di Coopsette. Secondo lui, ciò si deve al fatto che alla guida del Comune di Muggia ora c’è il sindaco Nesladek di centro-sinistra, mentre ai tempi del sindaco Gasperini le stesse associazioni «si scagliavano a testa bassa contro ogni cosa».
Avremmo diritto alle più profonde scuse del signor Ciacchi, perché quanto afferma non corrisponde in alcun modo al vero. Un conto è infatti criticare – cosa perfettamente legittima – posizioni o proposte del Wwf, altro è accusarlo di non fare ciò che invece ha fatto e sta facendo.
Appena insediato il sindaco Nesladek, infatti, il Wwf insieme a Italia Nostra e Legambiente gli inviò (26 aprile 2006) un documento che chiede – alla luce della prima bocciatura del progetto «Freetime» da parte della Soprintendenza – una variante al piano regolatore, che rimediasse all’errore fatto nel 2002, quando il Consiglio comunale (quasi all’unanimità) ne aveva approvata una per favorire la realizzazione del progetto. Già a quell’epoca, in realtà, eravamo intervenuti con osservazioni critiche, poi ribadite nel 2003 all’epoca della discussione sul piano particolareggiato: nessun ascolto, allora, da parte del Consiglio comunale.
L’8 aprile 2006 avevamo plaudito, quindi, all’intervento della Soprintendenza, denunciando per converso l’arrendevolezza del Comune di fronte ai «poteri forti». Essendo poi stata rilasciata (giugno 2006) una nuova autorizzazione da parte del Comune, abbiamo scritto alla Soprintendenza illustrando con dovizia di particolari come nulla in sostanza fosse cambiato e auspicando un nuovo annullamento, effettivamente intervenuto poco dopo. Anche stavolta abbiamo gioito pubblicamente, reiterando la nostra richiesta di variante.
Di tutto ciò ha dato, ripetutamente, notizia la stampa locale.
Dario Predonzan
responsabile settore territorio
Wwf Friuli-Venezia Giulia

 

 

Via Capitolina, alberi a rischio

 

SAN GIUSTO Il verde si affaccia sulla scala dei Cappuccini, la circoscrizione tenta una mediazione - Residenti contro il nuovo edificio, ma il terreno è privato

 

Stanno per scomparire molti degli alberi del tratto di via Capitolina che guarda sulla scala dei Cappuccini. Da qualche giorno è attivo un cantiere edile, destinato alla costruzione di una civile abitazione privata e sarà inevitabile che, per realizzare le fondamenta e i parcheggi, si debba procedere all’eliminazione di gran parte del verde che finora ha sempre caratterizzato quell’area.
«Abbiamo esaminato il problema in sede di Circoscrizione – spiega Silvio Pahor, presidente del parlamentino di San Giacomo-Barriera Vecchia – ma purtroppo, trattandosi di area privata, l’ente pubblico non può fare nulla. Ci rendiamo conto che, sotto il profilo del paesaggio, il rione subirà una perdita di verde, ma è nel pieno diritto dei proprietari fare le scelte che loro gradiscono, allo scopo di completare la costruzione iniziata in questi giorni».
E aggiunge: «L’unica cosa che possiamo fare, come rappresentanti istituzionali dei cittadini di San Giacomo e Barriera Vecchia, è quella di invitare i proprietari - dice Pahor - a ridurre al minimo il taglio degli alberi, sensibilizzandoli sul fatto che si tratta di un valore per tutti».
Un problema reale dunque, anche se, aggiunge ancora il presidente del parlamentino «più di così non possiamo fare e se i proprietari decideranno di eliminarli tutti, dovremo accettare questa soluzione senza poterci opporre».
Sul problema si sono mossi direttamente anche alcuni cittadini. Flavia De Pinto è una di questi: «Il piacere di vedere il verde che si spinge fino sopra il marciapiede della via Capitolina – precisa – ci sarà tolto. Ho fatto delle fotografie che rendono l’idea della situazione che si è venuta a creare – continua – per sollecitare l’intervento di chi ne ha competenza, ma purtroppo la risposta che ho avuto è che nulla si può fare contro la volontà di un privato che vuole realizzare una costruzione su un proprio terreno».
Quel tratto della via Capitolina è percorso anche da tutte le corriere di turisti che vanno a visitare la Cattedrale e il Castello di San Giusto, ma nemmeno questo può essere un elemento a sostegno di chi vorrebbe veder conservato almeno un pezzo di verde sul terreno oggetto della polemica.
«Quando le corriere salgono da piazza del Sansovino – sottolinea la De Pinto – sede di un traffico spesso molto caotico, trovano in via Capitolina il primo tratto di verde, cogliendo la netta differenza fra l’area situata fra le due gallerie e il colle di San Giusto. A breve perderanno anche quel piccolo godimento che consiste nell’ammirare alberi di quella dimensione – conclude – e vedranno una casa in più».
In realtà si tratta di considerazioni che lasciano il tempo che trovano. Davanti al diritto dei proprietari non si può far nulla anche se l’ennesimo polmone verde della città, oltre a tutto situato proprio sopra l’inquinatissima zona tra le due gallerie, rischia un pesante ridimensionamento.

 

Viale Miramare, il Coped contesta l’impianto Tamoil

 

L’associazione Coped-Camminatrieste aderisce al documento congiunto delle sezioni triestini del Wwf e di Italia Nostra contraria alla concessione rilasciata da parte del Comune di Trieste alla compagnia Tamoil Italia SpA. La concessione mette a disposizione un’area di 915 mq, nel giardino di viale Miramare 223, per la costruzione di un impianto di distribuzione carburanti. Un’area inserita nel piano carburanti regionale - che un tempo ospitava diversi pompe di benzina, recentemente bonificati - ma contestata da anni da una parte di residenti.
«Ai molti pareri contrari relativi alla realizzazione dell'impianto di distribuzione carburanti - si legge in una nota di Camminatrieste - va aggiunto anche quello del professor Sandro Pignatti, accademico dei Lincei e professore emerito di Ecologia all’Università di Roma La Sapienza».
Nel documento il docente universitario è esplicitamente indicata «l’improponibilità di un trapianto di alberi aventi circa 70-80 anni, oltre al fatto - scrive Camminatrieste - che l'eliminazione di questo tratto alberato costituirebbe una grave manomissione del verde urbano lungo la strada che storicamente è l’accesso scenico alla città, di straordinario valore paesistico».
 

 

Via Flavia a difesa del giardino - VALMAURA È destinato a sparire per fare posto alla case dell’Ater

 

Sarà portato all’attenzione del Consiglio comunale il problema del giardino di via Flavia, di fronte al vecchio stadio Grezar. L’annuncio è stato dato ieri dal presidente della commissione Trasparenza, Tarcisio Barbo, al termine di un sopralluogo. «Il giardino è a rischio distruzione – ha spiegato ai componenti della commissione Stelio Cerneca, presidente del Comitato di cittadini denominato ‘Difesa del giardino’ - per le caratteristiche del complesso che Ater e Caccia Burlo intendono realizzare (il primo lotto è stato già appaltato, ndr). Il progetto mette a rischio la salute degli abitanti della zona, perché sparirebbero per sempre i 22 alberi che attualmente qualificano la zona e al suo posto dovrebbe sorgere un garage, capace di 200 automobili». La zona era stata di recente visionata dal sindaco Roberto Dipiazza «che si è detto stupito – ha affermato Cerneca - dalla disposizione di quella parte di progetto». Nel plastico realizzato dal Comitato, che ha raccolto 300 firme a sostegno della protesta, si vede un garage racchiuso fra altre abitazioni. La protesta era iniziata già cinque anni fa, ma adesso i residenti sono decisi ad andare fino in fondo con la loro protesta.

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDÌ, 23 NOVEMBRE 2006

 

Baia, partono le richieste per le concessioni. - Entro dicembre alla Commissione edilizia. Riguarderanno l’area dell’ex Cava

DUINO AURISINA Dopo la fine dell’iter al Comune la proprietà stringe i tempi per la realizzazione dell’insediamento turistico

Verranno richieste entro fine anno dalla proprietà della Baia di Sistiana le prime concessioni edilizie inerenti il progetto turistico. Si tratta della parte di progetto che si realizzerà nella ex Cava, un lotto che comprende la parte bassa e quella più alta del sito.
Verranno quindi presentati alla Commissione edilizia integrata del comune prima della fine del 2006 le richieste di concessione edilizia relative al borgo che sorgerà lungo la futura insenatura che dovrà essere creata allagando il fondo cava, e la struttura alberghiera. È stato il portavoce di Carlo Dodi, Cesare Bulfon, a confermare la tempistica della proprietà, che sta lavorando a pieno ritmo proprio sulla progettazione: «Dopo la conclusione dell'iter comunale relativo al piano particolareggiato e alla firma della convenzione - ha confermato Bulfon - abbiamo intensificato l'attività dei progettisti, proprio per stare nei tempi che ci siamo prefissati». Sono una decina gli addetti che lavorano a ritmo serrato, per conto della proprietà della Baia, alla progettazione, affidata sempre all'architetto Luparelli. Accanto a questi professionisti, una serie di società specializzate curano una serie di dettagli che sono stati affidati in outsourcing. In particolare, la proprietà della Baia sta lavorando su quello che viene definito un «rendering», ovvero una trasposizione virtuale e in tre dimensioni del progetto al computer. «Questo strumento - ha spiegato ancora Bulfon - permetterà a chi deve valutare il progetto, ai tecnici della commissione edilizia integrata, di avere una visuale privilegiata che va al di là delle due dimensioni del disegno tecnico». Un simile lavoro di rendering era già stato effettuato circa cinque anni fa, al tempo del primo progetto presentato e reso immediatamente pubblico, ben prima dell'approvazione del piano particolareggiato.
Resta ancora da capire cosa, rispetto al progetto originario, sia cambiato in cinque anni di battaglie politiche sul tema. Su questo fronte la proprietà non offre anticipazioni, ma è certo che le modifiche derivano dalle richieste giunte per via amministrativa, da Comune, Soprintendenza e Regione. «Le linee guida del progetto restano le stesse - dichiara Bulfon - nel senso che resta un borgo nella parte bassa della ex cava, e resta un altro intervento costruito a terrazze, con l'obiettivo di mimetizzarsi nella vegetazione che andremo a ricreare. Cambia, se così si può dire, l'impatto del progetto stesso, perché così ci è stato chiesto».
Una volta presentate le richieste per le concessioni edilizie, la palla ripasserà all'amministrazione comunale, che dovrà avviare la procedura tecnica per concedere sia l'autorizzazione paesaggistica sia le concessioni edilizie. Ciò avverrà necessariamente nei primi mesi del 2007, azioni che senza dubbio avranno un ruolo importante in vista dell'appuntamento elettorale della tarda primavera, quando a Duino Aurisina si rinnoverà l'amministrazione comunale.
Politica a parte, con buona pace della commissione comunale straordinaria che l'amministrazione sta provando, non senza polemiche, a mettere in piedi proprio per assistere il sindaco nelle scelte relative alle concessioni edilizie, gli atti che seguiranno la presentazione dei progetti di dettaglio saranno azioni squisitamente tecniche, nel senso che coinvolgeranno solo marginalmente il consiglio comunale e molto più direttamente i tecnici e i consulenti del comune, chiamati a valutare la rispondenza del progetto presentato alle leggi e alle norme approvate con il piano particolareggiato, oltre che con tutte le altre leggi di carattere urbanistico.

 

 
MUGGIA «Waterfront», scaduti i tempi. - Dubbi della giunta comunale sul futuro della variante 20
 
La giunta comunale di Muggia deve ancora decidere la sorte della variante 20 al piano regolatore, quella cosiddetta del «waterfront», adottata dalla precedente amministrazione.
Il termine per l’approvazione definitiva è scaduto, ma è ancora recuperabile. Era nota, tuttavia, all’epoca la contrarietà del centrosinistra, ora in maggioranza. La variante 20 era stata adottata dal consiglio comunale il 18 ottobre del 2004. L’iter prevede che passi alla Regione e sia approvata definitivamente entro i due anni successivi. La scadenza è stata quindi superata, ma ciò non comporta il suo decadimento automatico. Decade però la cosiddetta «salvaguardia», ovvero il congelamento di ogni pratica e concessione urbanistica relativa al territorio oggetto di variante. Ora rimane una salvaguardia meno rigida, fino all’approvazione o alla revoca del documento. Nel corso dell’iter, la Regione ha chiesto (nel marzo 2005) un parere geologico integrativo, che il Comune ha già ricevuto. Prima di inviarlo alla Regione, però, il consiglio deve prendere atto di tale parere. Cosa che non è stata ancora fatta. La variante 20, presentata anche pubblicamente due anni fa, riguarda per lo più la costa muggesana, oltre ad alcune singole, piccole parti del territorio (compresa la definizione dell’area per le antenne di Chiampore). Per la costa prevede, tra l’altro, pista ciclopedonale, scogliere per allargare certi tratti di strada, aree di parcheggio su slarghi a monte, zone di balneazione pubblica, chioschi e servizi. Nella planimetria, è segnato anche il progetto di «Muja turistica» a Lazzaretto. All’epoca era stato detto che, essendo l’iter già avviato, non si poteva non inserirlo nel piano di variante.
Decisione contestata dalle opposizioni di allora, che avevano anche presentato un emendamento (poi bocciato) che chiedeva alcune variazioni al progetto del porto e del residence. All’adozione della variante, il centrosinistra votò contro. A distanza di due anni, la colorazione politica dell’amministrazione è cambiata.
Ora le opposizioni di centrodestra gridano allo scandalo, e definiscono questo superamento dei termini di approvazione un tentativo di insabbiare lo sviluppo costiero portato avanti dai sindaci Dipiazza e Gasperini. La giunta Nesladek non si sbilancia per ora sulle sue intenzioni. L’assessore allo Sviluppo del territorio, Moreno Valentich (Ds) si limita a dire: «Ne abbiamo parlato oggi (ieri, ndr.) ma dobbiamo ridiscuterne. Stiamo valutando alcune cose».
 

 

PROSECCO Rigettati i ricorsi del consorzio di Giuseppe Perissinotto contro il parere della Regione sul progetto di Contovello
 
Il Tar: progetto Belvedere da riscrivere
Il progetto targato consorzio Belvedere per la realizzazione in salita di Contovello dell’annunciato maxicomplesso edilizio di 12 edifici per un totale di 20 unità immobiliari (fra cui una villa) dev’essere riscritto. Questo perché secondo la Regione, il cui parere di compatibilità ambientale negativo ha trovato «convalida» in una sentenza del Tar, il piano particolareggiato in oggetto non risulta sufficientemente preciso.
Tale sentenza, infatti, ha rigettato i ricorsi presentati al Tar dallo stesso consorzio di Giuseppe Perissinotto, che miravano all’annullamento dell’atto con cui a luglio la Regione, attraverso la Direzione alla pianificazione territoriale, aveva espresso al Comune (come previsto per legge) un parere sulla compatibilità ambientale del piano particolareggiato, redatto da Giovanni Cervesi e Deborah Ovadia, sul futuro complesso di Contovello. Il parere, pur essendo negativo, non rappresenta comunque un niet definitivo bensì - come sottolinea la stessa sentenza del Tar - un nuovo passaggio formale da espletare nell’ottica di quella realizzazione edilizia.
«La conclusione negativa (della Regione) - si legge infatti nelle 14 pagine della sentenza uscita dal tribunale di piazza Unità, presieduto da Vincenzo Borea - si motiva in ragione della rilevata indeterminatezza delle prescrizioni contenute nel piano, in quanto né l’area di sedime possibile degli edifici da realizzare, né la prevista strada di distribuzione (d’accesso) risultano individuate con precisione».
Tale parere - rileva però il Tar - ha «natura sostanzialmente interlocutoria» e il consorzio Belvedere ha dunque «facoltà di salvaguardare il proprio legittimo interesse a veder approvato il piano particolareggiato di cui si discute, previo adeguamento del voluto progetto di intervento alle tutt’altro che irragionevoli e immotivate esigenze prospettate dalla Regione».

 

Amici della Terra: no a Porto Lido

Porto Lido, gli Amici della terra bocciano il progetto e criticano il Consiglio comunale che l’ha votato: «È stato approvato un progetto con problematiche ambientali irrisolvibili, sono a rischio i bagni Lanterna e Ausonia». Il movimento ambientalista chiede l’intervento dell’Autorità portuale per «bloccare un’opera voluta dagli speculatori costieri». È quanto riporta una nota diffusa ieri che sostiene come «il parere favorevole dato dal Consiglio comunale alla conformità ambientale del marina turistico è stato espresso con notevole superficialità e trascurando le gravi problematiche ambientali insite nel progetto e ben evidenziate nel carente studio di impatto ambientale presentato dalla Società Italia navigando».

 

Il presidente Predonzan critica duramente le nomine della commissione edilizia comunale: «Humar non rappresenta il Wwf»
 
«Il geometra Andrea Humar, individuato come rappresentante delle associazioni ambientaliste nella nuova commissione edilizia comunale rappresenta solo la sua associazione e in nessun modo il Wwf».
A prendere le distanze dalla nomina annunciata qualche settimana fa dall’assessore Maurizio Bucci è il responsabile provinciale del Wwf Dario Predonzan, che in una nota ha denunciato l’atteggiamento avuto dall’amministrazione nella vicenda. «L’assessore Bucci ha affermato come la commissione sia stata nominata "senza lottizzazioni" dopo che la precedente era scaduta due settimane fa - afferma Predonzan -. La legge, però, impone che da uno a tre componenti siano scelti dal Comune fra terne di nomi proposti dalle associazioni ambientaliste. La cosa strana - continua la nota - è che la richiesta di indicare la terna è stata inviata al Wwf il 31 maggio. Sono passati quindi cinque mesi, non due settimane: perchè l'assessore racconta un'altra storia?»
Per quanto riguarda la nomina di Humar, Predonzan lancia precise accuse politiche: «Quali associazioni sono rappresentate da Humar, consigliere comunale di An a Duino-Aurisina? Probabilmente solo "Ambiente e/è Vita", presieduta prima dall'onorevole Nino Sospiri di An. D'altro canto, l'unico posto in Commissione riservato agli ambientalisti è stato sempre occupato (da quando Dipiazza è sindaco) da un esponente di "Ambiente e/è Vita", cioè di An. L’importante, evidentemente, è che non ci siano disturbatori ad intralciare la gestione dell’edilizia nelle aree più delicate. Le nomine fatte da Bucci - conclude - anche se formalmente sono lecite, forse lo sono un po’ meno sul piano dell’opportunità e della decenza».
 

 

LA REPUBBLICA - MERCOLEDÌ, 22 NOVEMBRE 2006

Contro l'inquinamento voli più cari - La Ue: aumenti fino a 39 euro a biglietto

Pronto il piano europeo che applica il protocollo di Kyoto: la Commissione lo discute a dicembre
Esclusi i velivoli militari di Stato e quelli privati di piccole dimensioni. Gli Stati Uniti pronti ad aprire una battaglia commerciale in caso di un ok di Bruxelles.

In rivolta anche le compagnie low cost

 

BRUXELLES - Scoppia la guerra sull'applicazione del protocollo di Kyoto alle compagnie aeree presenti in Europa. Anche se la proposta non è ancora stata formalizzata da Bruxelles, vettori e paesi extraeuropei, guidati dagli Usa, sono già in rivolta. Per non parlare dei contrasti all'interno della stessa Commissione Ue che potrebbero congelare il dossier preparato dal responsabile europeo per l'Ambiente, il greco Stavros Dimas. Ma se tutto andrà liscio a pagare il prezzo della riduzione degli scarichi saranno i passeggeri, che dal 2011 spenderanno fino a 39 euro in più per biglietto.
La proposta di Dimas, secondo quanto spiegato a Repubblica da fonti vicine al dossier, è in calendario per la riunione della Commissione europea del 20 dicembre e prevede l'introduzione di un regime di quote di Co2 dal 2011. A partire da quell'anno, infatti, ogni compagnia aerea che atterra o decolla in Europa (quindi anche quelle di paesi terzi) disporrà di un numero di "permessi di emissione" pari al 90% della media delle tonnellate di gas serra prodotte nel biennio 2004-2006. Una quota che gradualmente scenderà fino al 60%, soglia prevista per il 2022. Ad essere esclusi dal conteggio saranno i voli militari, gli aerei di Stato e quelli privati di piccole dimensioni. E chi sforerà le quote dovrà pagare.
Ma secondo l'impianto messo a punto dal commissario all'Ambiente, "i costi si scaricheranno automaticamente sui viaggiatori" con aumento dei biglietti tra i 4,6 euro per le tratte più brevi ai 39 per i voli intercontinentali. Costi che per Dimas sono comunque più che giustificati, visto che le emissioni di gas dell'aviazione rappresentano il 3% di quelle globali e sono in rapido aumento. Per farsi un'idea: gli esseri umani ogni anno scaricano nell'atmosfera 5 miliardi di tonnellate di Co2, di cui circa 400 milioni provengono dal settore aereo. Lo schema di emissioni europee ne coprirebbe 150 milioni, con la speranza di ridurle di 30-50 milioni entro il 2022.

Fin qui la proposta di Dimas, che attualmente è allo studio degli altri commissari europei interessati al caso. Ma il dossier ha già fatto storcere il naso a più di un responsabile Ue - tra qui il francese Barrot (Trasporti) e il tedesco Verheugen (Industria) - per non parlare delle compagnie europee (low cost comprese). Critiche che secondo i più pessimisti potrebbero anche portare al congelamento della proposta facendone slittare l'approvazione al prossimo anno.
Ma non finisce qui, visto che il vero incubo arriva da Washington. Gli Usa sono infatti pronti ad aprire una guerra commerciale su larga scala se lo schema europeo verrà approvato. Il protocollo di Kyoto, infatti, prevede che le quote di emissioni per i voli internazionali siano adottate attraverso l'Organizzazione mondiale dell'aviazione civile (Icao) che conta 189 membri, attualmente impegnati a negoziare un sistema di quote planetario.
E, tranne quelli europei, nessuno di questi sembra vedere di buon occhio un'iniziativa "unilaterale" Ue, che secondo gli esperti rischierebbe di finire di fronte ad un arbitrato internazionale con buone probabilità di uscirne sconfitta (almeno per quanto riguarda la sua applicazione ai vettori extra-Ue). Ma anche senza una bocciatura in una sede internazionale l'adozione del piano scatenerebbe la reazione immediata degli Stati Uniti, a capo di una coalizione di paesi pronti a reagire immediatamente. A Bruxelles non si nasconde che Washington ha già minacciato di mettere in discussione tutti gli accordi sull'aviazione civile, con enormi danni politici ed economici per l'Ue.
Un'escalation che potrebbe essere evitata aspettando il prossimo autunno, quando Bruxelles, di fronte al probabile disaccordo sulle quote planetarie in seno all'assemblea plenaria dell'Icao, potrebbe decidere di andare avanti da sola accusando gli altri di immobilismo.
 

 

LA REPUBBLICA - MARTEDÌ, 21 NOVEMBRE 2006

Fusione nucleare, dai grandi del mondo: 10 miliardi per l'energia del futuro

Siglato a Parigi il trattato Iter per la costruzione di un reattore che produce atomica "pulita"
Al progetto aderiscono Ue, Cina, Russia, India, Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti

Forse tra 30 anni i primi risultati in grado di cambiare la storia dell'umanità
Ma non mancano gli scettici: "Soldi buttati in un sogno irrealizzabile"

PARIGI - E' probabilmente uno degli accordi di cooperazione scientifica internazionale più ampio, sicuramente è il più ambizioso. I rappresentanti di Cina, Corea del Sud, Giappone, India, Stati Uniti, Russia ed Unione Europea hanno sottoscritto oggi a Parigi l'impegno per avviare il programma di ricerca destinato ad aggiungere la fusione nucleare tra le fonti di energia a disposizione dell'uomo.
Il presidente Francese Jaques Chirac nel salutare i rappresentanti dei paesi venuti a sottoscrivere il trattato ha ricordato "l'unione senza precedenti di sette grandi partners del Nord e del Sud del pianeta che rappresentano circa la metà della popolazione mondiale" mentre il presidente della Commissione Ue Josè Manuel Barroso ha sottolineato che si tratta di un "evento storico lungo il cammino per abbandonare l'era dei combustibili fossili inquinanti".
La firma del trattato è il risultato di uno straordinario sforzo diplomatico ed economico che ora passa la palla agli scienziati, ai quali sarà richiesto un impegno altrettanto eccezionale. L'investimento complessivo del progetto Iter (International thermonuclear experimental reactor) è infatti di circa 10 miliardi di euro e per metterlo a punto sono stati necessari anni di logoranti trattative per stabilire quale paese dovesse ospitare la struttura, che alla fine sorgerà nella Francia meridionale.
I "sette grandi" che oggi hanno formalizzato l'intesa sono però convinti che ne valesse la pena. L'obiettivo è infatti quello di realizzare un reattore in grado di produrre energia attraverso la fusione termonucleare controllata. Se l'impresa riuscisse, permetterebbe all'umanità di fare affidamento per il futuro su una fonte "pulita" (non ci sarebbero emissioni inquinanti, ma solo scorie a bassa radioattività attive per circa un secolo) e sostanzialmente inesauribile, visto che un impianto a fusione potrebbe produrre un gigawatt di elettricità al giorno da pochi chilogrammi di combustibile costituito da isotopi dell'idrogeno (deuterio e trizio) facilmente ricavabile dall'acqua di mare e dal litio, un metallo comune.
Riuscirci in tempi brevi e a costi accessibili non sarà però affatto semplice. In sostanza si tratta infatti riprodurre nel chiuso di un impianto quello che succede nelle stelle: due atomi di idrogeno che entrano in collisione e producono un atomo di elio liberando un'energia formidabile. La difficoltà principale è quella di riuscire a realizzare "tokamak" in grado di generare più energia di quanto ne consumano per produrre il campo magnetico necessario a "contenere" le incredibili temperature generate al momento della fusione. La costruzione del grande reattore Iter dovrà cominciare nel 2008 e durerà una decina d'anni. Dovrebbe quindi entrare in funzione nel 2018 e gli scienziati sperano di poter ottenere una produzione industriale in una quarantina d'anni, quando le riserve di petrolio arriveranno al loro esaurimento.
L'attesa per una dimostrazione industriale e tecnologica della validità del progetto è fissata per gli anni 30, ha ricordato Bernard Bigot, alto commissario all'energia atomica. Se tutto procederà secondo le aspettative, verso la metà del secolo la prima energia prodotta con la fusione dovrebbe essere immessa sulle reti elettriche mondiali.
Non manca però il partito degli scettici che ritiene il progetto Iter (così come la possibilità di sfruttare commercialmente la fusione nucleare) un'impresa faraonica dalle dubbie possibilità di riuscita. Un obiettivo fuori portata, ma in grado di sottrarre preziose risorse finanziarie ad alternative molto più credibili, come ad esempio uno sfruttamento più efficace dell'energia solare. Tra i dubbiosi sulla fattibilità dell'impresa anche il grande fisico W. Parkins, uno dei protagonisti del "progetto Manhattan" scomparso lo scorso anno.

 

 

IL PICCOLO - MARTEDÌ, 21 NOVEMBRE 2006

 

Intensificati i test biologici sulle acque dell’Adriatico

 

TRIESTE Le acque marine dell’Alto Adriatico presentano alcune problematiche sul fronte della salinità e dell’ossigenazione che non destano preoccupazioni ma che necessitano di un monitoraggio sempre più approfondito e costante. Questi i dati salienti emersi al termine dei lavori tra esperti dell’Osservatorio dell’Alto Adriatico che si sono riuniti a Lignano Sabbiadoro su convocazione dell’Arpa.
 

Il Wwf: la raccolta dei rifiuti «umidi» va fatta anche in città

 

L’Unione slovena: «Da sempre abbiamo rilevato l’importanza di allargare il sistema»

DUINO AURISINA L’arrivo della raccolta differenziata dell’«umido» a Duino Aurisina è stata accolta, almeno così sembra, da un favorevole parere unanime. Anzi, di più: c’è anche chi invita Comuni ben più grandi a prendere esempio. È il caso del Wwf, che lodando l’iniziativa di Duino Aurisina coglie l’occasione per bacchettare Trieste. «La raccolta dell’umido era stata prevista dal piano provinciale per i rifiuti approvato ancora all’inizio dello scorso anno – spiega Fabio Gemiti, responsabile provinciale del Wwf per la raccolta differenziata – in cui si auspicava e prevedeva che i piccoli Comuni portassero avanti un piano di raccolta differenziata non solo di carta e plastica, ma anche dell’”umido”, magari appunto partendo dai grandi centri di consumo. E così avrebbe dovuto fare anche Trieste. Invece, a differenza dei Comuni di San Dorligo e Duino che si stanno attrezzando, in città ancora non è stato dato alcun seguito al piano».
Che sia necessario muoversi è evidente, secondo il Wwf. «A Trieste siamo attorno al 16% di raccolta differenziata – spiega Gemiti – al di sotto della media italiana, che si ferma al 20».
Anche il mondo politico apprezza l’iniziativa del Comune di Duino Aurisina. In particolare l’Unione slovena, che è stata tra i principali sostenitori dell’attuazione del nuovo servizio. «Il nostro partito da sempre, anche in consiglio comunale, ha sottolineato l’importanza di allargare il sistema della differenziata – spiega il consigliere Edwin Forcic - e questa nostra azione è stata condivisa sia a livello di maggioranza sia di minoranza».
Perché la raccolta è così importante? «Specie in una zona come la nostra, dove ci sono tante strutture ricettive come ristoranti e hotel – spiega – l’arrivo della raccolta dell’”umido” permetterebbe di alleggerire di molto il carico di immondizione che va a riversarsi sul sistema complessivo. Si avrebbe non solo un guadagno dal punto di vista ambientale, ma anche economico: meno spazzatura si produce, meno costa. E se diminuire i costi per il cittadino non sarà possibile, almeno non aumenteranno».
e.o.
 

 

Energia, una giornata nelle scuole

MUGGIA Venerdì l’iniziativa di informazione curata da Comune ed Enel

In collaborazione con Enel Sole, il Comune di Muggia promuove nelle scuole una campagna di informazione sul risparmio energetico, che si terrà venerdì prossimo.
Si tratta di un’iniziativa che è al suo debutto a Muggia e è partita dagli uffici tecnici del Comune, che si sono rivolti all’Enel (che a Muggia fornisce le abitazioni e la metà dell’illuminazione pubblica cittadina), per realizzare questa giornata dedicata al risparmio energetico.
«Coinvolgendo i ragazzi delle scuole elementari e medie di Muggia, arriviamo direttamente alle famiglie e così ampliamo l’educazione al risparmio dell’energia», commenta l’assessore Loredana Rossi, che ha seguito l’iniziativa.
Per tutta la mattinata di venerdì prosimo, i tecnici di Enel Sole saranno nelle palestre delle scuole muggesane ad incontrare i ragazzi. «Sarà fornito loro del materiale informativo sul risparmio energetico – spiega l’assessore Rossi –. Si tratta di depliant, con dei giochini simpatici e semplici spiegazioni, rivolti proprio ai ragazzi, sull’uso intelligente dell’energia».
Ma a tutti gli ottocento bambini delle scuole elementari e medie di Muggia sarà regalata anche una lampadina a basso consumo e ad alta efficienza, di classe «A».
Sono lampadine che, pur producendo la stessa luce di quelle tradizionali, durano otto volte di più e consumano cinque volte di meno.
Ai ragazzi saranno date anche specifiche istruzioni sull’utilizzo migliore e sulle caratteristiche di queste lampadine. «Alcune lampadine le abbiamo comperate noi, altre le porterà l’Enel – precisa ancora l’assessore – che si è dimostrata fin da subito molto disponibile a collaborare. In questo modo i ragazzi, oltre ad apprendere informazioni sul risparmio di energia, si portano a casa qualcosa di concreto, per poter mettere subito in pratica ciò che hanno imparato».
In questa giornata del risparmio energetico, si parlerà anche di energie alternative. Alla scuola Zamola di Zindis, in mattinata, ci sarà infatti anche una vera e propria lezione sul risparmio dell’energia e sull’installazione e il funzionamento dei pannelli solari.
s.re.

 

IL PICCOLO - LUNEDÌ, 20 NOVEMBRE 2006

 

Corso Italia pedonale, 460 le firme raccolte. Il comitato: «Avanti con i banchetti»

 

Sono 460 le firme raccolte nelle due giornate di ieri e sabato a favore della pedonalizzazione del corso Italia. Un numero che i responsabili del Comitato che sostiene la proposta giudicano importante. «Se si considera che stamane (ieri, ndr) abbiamo dovuto rifugiarci sotto i portici di piazza della Borsa, per ripararci dalla pioggia, e che sicuramente il cattivo tempo ha frenato la tradizionale passeggiata della domenica che molti triestini fanno in centro città – spiega Pierguido Collino, presidente del Comitato – il numero delle adesioni è confortante. Stimolati da questo successo – aggiunge – abbiamo subito deciso di continuare la raccolta anche nel prossimo fine settimana, durante il quale amplieremo l’orario nel quale si potrà apporre la firma. Domenica rimarremo accanto al banchetto per l’intera giornata e non solo nel corso della mattinata».
Sta assumendo i contorni di una precisa presa di posizione di una parte della popolazione questa iniziativa, lanciata da un gruppo di commercianti, pubblici esercenti e residenti del centro cittadino. Stufi di vivere con lo smog e con i rumori del traffico veicolare, che in corso Italia è sempre molto vivace, avevano preso carta e penna, scrivendo al Comune. Visto che le risposte tardavano ad arrivare, hanno allora deciso di allertare la gente, chiamandola a esprimersi su un problema di estremo rilievo.
La chiusura alle automobili private del corso Italia comporterebbe però una radicale trasformazione degli equilibri della circolazione nel centro di Trieste, rendendo urgenti provvedimenti adeguati per deviare altrove il traffico. «Sono tutti argomenti che abbiamo ben presenti – sottolinea Collino – ma siamo convinti della bontà del nostro programma, sul qualche chiediamo ai triestini di esprimersi».
Nella prima giornata, quella di sabato, le firme erano arrivate a quota 320. Ieri se ne sono aggiunte 140. «Molti di coloro che sono venuti a firmare – racconta il presidente del Comitato promotore – hanno dichiarato di essere venuti in città apposta per dare la loro adesione. Altri – prosegue – hanno chiesto informazioni prima di apporre la loro firma e dare i dati del documento d’identità, che chiediamo a tutti. Da questo elemento si coglie il fatto che i triestini sono riflessivi e affrontano con intelligenza tutte le problematiche rilevanti della città».
Nel corso della settimana che inizia oggi, la raccolta delle firme continuerà nei negozi del corso Italia e dei negozi delle strade più vicine, perciò il numero delle adesioni potrebbe salire prima dell’allestimento del banchetto, sabato prossimo. «Contiamo in una nuova sentita partecipazione dei triestini – conclude Collino – perché la pedonalizzazione del corso a nostro avviso avrebbe conseguenze positive per la qualità della vita di tutti».
Quello della chiusura al traffico privato - e forse anche pubblico - di corso Italia è del resto un argomento che tiene banco da un paio d’anni ormai, seppure a fasi alterne. Risale all’agosto del 2004 infatti il lancio dell’iniziativa dell’allora consigliere comunale (oggi assessore) forzista Paolo Rovis, che con tanto di sito Internet allestito per l’occasione illustrava i vantaggi di un corso completamente pedonalizzato. Un sondaggio lanciato dallo stesso Rovis - secondo i dati poi forniti da Forza Italia - aveva segnalato un’ampia adesione della cittadinanza.
Bollata come estemporanea da An l’iniziativa di Rovis, il dibattito sul corso e sul nuovo piano del traffico in generale si era andato arenando con l’avvicinarsi delle elezioni amministrative dello scorso aprile, vista l’inopportunità di discutere provvedimenti potenzialmente impopolari a ridosso del voto. Del piano si è ricominciato a parlare chiuse le urne, e lo stesso assessore comunale al traffico Maurizio Bucci ha rilanciato poche settimane fa la proposta di corso Italia aperto al solo traffico di bus e taxi. Proposta che deve fare i conti con l’ipotesi alternativa di chiudere completamente via Mazzini, magari in alcuni tratti secondo l’idea espressa pochi giorni fa dal sindaco Dipiazza.

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 19 NOVEMBRE 2006

 

Da Buccari a Chioggia via mare, meno Tir sulla A4

 

Il retroterra di Fiume, sostiene il ministro dei Trasporti Babic, è sicuramente in grado di supportare come collegamenti lo scalo ro-ro che si verrebbe a creare

 

Il progetto permetterebbe di decongestionare il Nordest d’Italia e rafforzare i legami economici con la Croazia

 

FIUME Collegamenti via mare che permetterebbero al traffico pesante di evitare la «circumnavigazione» dell’ Adriatico settentrionale. Il progetto, ancora in fasce, è stato presentato a Fiume e riguarda le linee Buccari–Chioggia e Zara-Ravenna, tratte che sarebbero supportate finanziariamente dall’Unione Europea.
 

Il progetto si intitola «Short sea shipping», ha l’appoggio dell’Europa comunitaria ed è stato esposto in riva al Quarnero da Mario Babic, sottosegretario del ministero del Mare e Trasporti, intervenuto alla seduta dell’Associazione croata per la promozione dei collegamenti marittimi. «Short sea shipping – ha detto Babic – si propone di sfruttare maggiormente i traffici marittimi, a scapito di quelli stradali, più costosi e inquinanti. Il nostro piano è di edificare a Buccari un terminal ro–ro, che sorgerebbe al posto dell’ex cokeria, area diventata recentemente di proprietà dell’Autorità portuale fiumana». Secondo Babic, da parte dell’Italia sussiste un accentuato interesse in quanto le autostrade della Penisola sono intasate e piene di mezzi pesanti. D’altro canto, ha aggiunto, gli assi autostradali croati sono stati costruiti in tempi recenti, sono di ottima qualità e purtroppo risultano sovente deserti, specie nel periodo invernale. Per il sottosegretario del Mare e Trasporti, camion e autoarticolati potranno raggiungere la dirimpettaia costa croata, precisamente Zara, anche da Ravenna. Nella città dalmata è in corso la costruzione di una superstrada a quattro corsie, che collegherà l’anno prossimo il nuovo scalo traghetti di Gazenica (Zara) con l’ autostrada Zagabria–Spalato. La linea Zara–Ravenna, assieme alla Buccari–Chioggia, darebbe ulteriore impulso alla cooperazione economica bilaterale fra Italia e Croazia, già da anni in fase ascendente.
Infatti, l’Italia è da tempo il partner numero uno per la Croazia sia nel settore import che in quello export. Sempre in relazione allo Short sea shipping, Babic ha sottolineato che il progetto ingloberebbe anche il porto dalmata di Ploce, a Sud di Spalato, dove la settimana prossima sarà firmato un contratto con la Banca mondiale per l’apprestamento in loco di uno scalo contenitori e di un terminal per carichi alla rinfusa. L’unico, grande problema di Ploce è che non è collegata qualitativamente con il suo entroterra, intoppo destinato a rimanere tale fintanto che la Bosnia-Erzegovina non costruirà un’autostrada allacciata al Corridoio paneuropeo 5.
Andrea Marsanich

 

IL PICCOLO - SABATO, 18 NOVEMBRE 2006

 

Terminal off-shore, interviene Endesa: «Nessun rischio-cloro per la spiaggia»

 

GRADO È scientificamente impossibile la generazione di odore di cloro da un impianto di rigassificazione, quale potrebbe essere il terminal off-shore proposto da Endesa. A scandirlo è la stessa società spagnola che prende posizione all’indomani della diffusione, sul sito internet della Provincia di Gorizia, di uno studio preliminare effettuato dall’Ismar, che prefigurava il rischio di un’emissione dell’odore di cloro dal terminal, previsto al largo delle coste del Friuli Venezia Giulia, tale da invadere la spiaggia di Grado. Lo studio preliminare, attraverso una simulazione grafica, seguiva il percorso del cloro emesso dall’impianto evidenziando come il tracciato della sostanza, a causa delle correnti marine, andrebbe a investire un’area di svariate miglia attorno al terminal e l’odore, in presenza di vento moderato proveniente dal mare, raggiungerebbe facilmente il litorale gradese e la laguna. Ma Endesa esclude invece tale possibilità, nel modo più assoluto. «In primo luogo - spiega - il lavoro dell’Ismar ripreso dal sito dell’Amministrazione provinciale, mostra come tutti i parametri del progetto relativi all’eventuale utilizzo di ipoclorito per evitare la formazione di alghe all’interno dei circuiti siano ben al di sotto dei limiti di legge, fissati in 0,2 mg/l. La simulazione mostra infatti come nell’arco dell’anno, in maniera peraltro discontinua, la concentrazione massima ipotizzata sia di 0,05 mg/l, pari cioè ad appena un quarto del limite fissato per legge». Endesa continua nell’analisi: «A ciò va aggiunto che la dispersione riferita al terminal off-shore è ancor maggiore di quanto avviene per un impianto a terra, dal momento che si trova in mare aperto, a 13 chilometri dalla costa più vicina e dove il fondale è profondo oltre 23 metri. Sarebbe interessante conoscere le conclusioni dell’Ismar - osserva Endesa - o della Provincia sulle concentrazioni di cloro che si creerebbero nello stesso mare, ma dentro la baia di Zaule, chiusa alle correnti e con un fondale molto basso, dove è stata proposta la costruzione di un altro terminal di rigassificazione che utilizza lo stesso processo, ma con un quantitativo superiore di acqua di mare, quindi di ipoclorito. Auspichiamo peraltro che, per completezza di informazione verso i cittadini, la simulazione venga fatta e resa disponibile pubblicamente». Endesa conclude: «Con questi valori la problematica dell’odore di cloro in mare aperto è del tutto inesistente. Senza criticare il fatto che la simulazione dell’Ismar mostra la dispersione in acqua e non in aria, va ricordato che il terminal si trova a svariati chilometri dalla costa, ben 16 in particolare da Grado. Inoltre l’eventuale ipoclorito residuo sarà prevalentemente in forma ionica, per cui non si disperderà in atmosfera e non potrà generare odori».

 

 

 

I Verdi: Viero poco attivo su Agenda 21 - Il protocollo ambientale

 

TRIESTE I Verdi del Friuli Venezia Giulia sono «particolarmente delusi del ridotto impegno che il Direttore Generale della Regione (Viero, ndr) ha espresso rispetto alla strategia di Agenda 21»: ad affermarlo è il presidente regionale del partito, Gianni Pizzati che ha sottolineato come la carenza sia, sulla materia, «manageriale». «La politica - secondo Pizzati - in questo ambito la propria parte l'ha evidentemente fatta al massimo livello, assumendo il Presidente Illy la funzione di Agenda 21 tra le sue competenze».

 

Summit a Ragusa sulla tutela del tonno specie in estinzione

RAGUSA Da oggi e per i prossimi dieci giorni Ragusa ospiterà il più grande appuntamento sulla pesca mai tenuto in Croazia. Si tratta della conferenza annuale della Commissione internazionale per la tutela del tonno atlantico (Icaat), che vedrà riuniti nella città dalmata esponenti delle organizzazioni di pescatori di tutto il mondo e rappresentanti di importanti istituzioni internazionali. In tutto circa 800 persone e con un unico tema: la salvaguardia di questo pesce, soggetto da lungo tempo ad una pesca indiscriminata che ne sta ponendo a rischio l’ esistenza.

 

 

Via Rossetti, tredici alberi da abbattere

CITTA’ NUOVA Il taglio è previsto entro Natale. Subito dopo avverrà la sostituzione con una serie di giovani tigli

Sono malati. L’intervento concordato dall’assessore Bandelli con le associazioni ambientaliste
 

Cambia volto via Domenico Rossetti. Entro Natale sarà abbattuto un certo numero di alberi. Lo ha deciso l’assessore ai Lavori pubblici Franco Bandelli, assieme alle associazioni ambientaliste e ai tecnici comunali.
«Tredici piante sono malate e rischiano di finire in mezzo alla strada. Le abbatteremo ed estirperemo i ceppi per piantarne altre al loro posto. Il pericolo è reale e il rischio in caso di bora, molto alto» ha spiegato ieri Bandelli ai rappresentanti di Wwf, Italia Nostra, Amici della Terra, CamminaTrieste e Ambiente e/è Vita.
«Ho convocato le associazioni ambientaliste – ha precisato Bandelli – per illustrare un intervento che coinvolge una delle più importanti strade cittadine. Abbiamo deciso di effettuare già martedì un sopralluogo tutti assieme agli alberi di via Rossetti che risultano ammalati o morti. Tutti d’accordo poi per sostituirli con giovani tigli, da piantare anche negli spazi già lasciati liberi da altri alberi morti negli anni e non rimpiazzati».
Dopo il sopralluogo, Comune e associazioni ambientaliste stenderanno un documento congiunto, cui farà seguito un incontro con la Circoscrizione. Il tutto in tempi molto rapidi. «Entro la prima decade di dicembre contiamo di iniziare i tagli necessari», annuncia Bandelli.
Fin qui l’assessore. La scelta di abbattere i tredici alberi nasce da un’analisi compiuta da Alfonso Tomè, dirigente del Verde pubblico e laureato in Scienze forestali, presente ieri alla riunione.
«Dodici ippocastani e un platano – spiega Tomè – devono essere abbattuti. Due sono già morti. Gli altri sono ancora verdi e vitali, ma il tronco è cariato e il legno ha subito profonde alterazioni dovute alla sosta selvaggia e ai colpi che quegli alberi hanno subito dalle automobili. Il nostro è un intervento di rinnovo della via. Ci sarà qualche disagio, ma subito dopo aver estirpato i vecchi ceppi pianteremo nelle stesse buche giovani tigli, specie che ha dimostrato grande adattabilità ai nostri climi e alle condizioni difficili dei centri urbani e del traffico».
Gli ippocastani di via Rossetti, secondo i tecnici del Comune, hanno concluso il loro ciclo vitale. Sono stati piantati alla fine degli anni Trenta, e la loro salute ha iniziato a deteriorarsi quando la città è stata invasa dalle automobili. Anche l’asfaltatura, che ha reso impermeabili le superfici stradali, li ha ulteriormente messi in crisi.
Un colpo quasi mortale è arrivato poi dagli insetti. Una piccola farfalla, la Cameraria, ogni agosto scava gallerie nelle foglie e le fa morire anzitempo. La fitoprofilassi, le vaccinazioni contro questo insetto, hanno migliorato la situazione ma allo steso tempo è comparso un fungo, l’Armillaria, che ha intaccato le radici.

 

Giorgi: «Dobbiamo salvare le poche aree verdi rimaste»
 

ROIANO «Bisognerebbe pensare di più a cosa lasceremo in eredità alle future generazioni. Dal punto di vista urbanistico, da parte mia c’è tutto l’impegno a tutelare le poche aree verdi non ancora intaccate dall’edilizia. E farò di tutto affinché questo proposito venga condiviso dal maggior numero di consiglieri comunali, sia di maggioranza che di opposizione». Così Lorenzo Giorgi, presidente della commissione comunale Lavori pubblici, parla di una mozione che verrà presentata anche alla commissione Urbanistica. «Il documento – afferma Giorgi - chiede di destinare alcune zone verdi cittadine ad aree attrezzate rionali, in maniera da salvaguardarle dalle mire dei costruttori. Sono le ultime campagne e boscaglie rionali rimaste in piedi nell’ultimo decennio, in cui si è edificato ovunque e comunque».
Quali le zone individuate dal presidente della quarta commissione? Si parte da quelle presenti in via delle Viole e in via dei Narcisi, nella parte alta di via Commerciale, a ridosso del parco di Villa Giulia, assediato da nuove costruzioni. Giorgi individua ancora via Berchet, traversa di via dello Scoglio, e via Giovanni Verga, a fianco del comprensorio dell’ex Opp. Zone appartate e pregiate, che necessitano di urgente tutela perché «appetitose» sotto il profilo dell’edilizia.
«Penso soprattutto alla vallata di rio Martesin, tra il colle di Gretta e Scala Santa – riprende il consigliere comunale – che, nonostante il recente rifiuto del Comune a dare il via al mega progetto che prevede nuove palazzine a monte di via Giusti, rimane sempre in pericolo perché edificabile. Questa zona è una delle poche che si presenta allo stato naturale, in un rione come Roiano ormai quasi completamente invaso dal calcestruzzo. Scolaresche vi giungono in visita per la gran varietà di biotopi esistenti. Un patrimonio ambientale e paesaggistico che ritengo dev’essere trasmesso integralmente ai futuri triestini». La tutela della vallata, aggiunge Giorgi, passa anche per la dismissione dell’intervento che prevede una bretella viaria tra il rione di Gretta e via Giusti.
Maurizio Lozei

 

Bani: «È nel gas l’energia del futuro»

Conferenza del direttore generale di Sorgenia ospite al Rotary Club Trieste
 

L'Italia, dopo la Gran Bretagna, si merita un poco lusinghiero secondo posto, nella classifica dei paesi europei, per l'uso poco sensibile delle risorse energetiche. Sul tema «Il problema dell'energia in Italia», si è tenuta all'Hotel Greif Maria Theresia, in occasione della cena conviviale del Rotary Club Trieste, la relazione di Riccardo Bani, direttore generale di Sorgenia. Con il decreto del 1999, vige in Italia il libero mercato, che mette in concorrenza tra loro, le aziende erogatrici. Sorgenia è il quarto produttore nazionale, ed eroga, oltre al gas, energia elettrica tramite impianti idroelettrici, eolici - costituiti da due aerogeneratori da 750 kW - fotovoltaici, e con gli impianti Ccgn, cioè a ciclo combinato di gas naturale, che producono energia elettrica, bruciando gas. «L'Italia non è autosufficiente, né per il gas, né per l'elettricità - spiega Riccardo Bani - ed è meglio pensare sin d'ora ad una politica d'investimento per creare un parco di centrali energetiche». I consumi di energia elettrica domestica stanno cambiando -ha detto Bani -, e in teoria, all'incremento della domanda, dovrebbe seguire l'installazione di una nuova centrale elettrica l'anno. In Italia ci sono 40 milioni di televisori, che stando costantemente in stand-by, consumano 2 miliardi di kWh, la bellezza di metà della produzione di una grossa centrale elettrica. Per utilizzare parametri immediati, il consumatore italiano può risparmiare 70 euro l'anno, che corrispondono a 260 kWh e a 3800 litri d'acqua in meno, utilizzando 3 lampadine ad alta efficienza, il rompi flusso per i rubinetti e non lasciando gli apparecchi in stand-by. Al termine della relazione, il presidente Gaetano Romanò ha avviato un dibattito sulla questione degli impianti di rigassificazione nel golfo.
Patrizia Piccione

 

 

IL SOLE 24 ORE - VENERDÌ, 17 NOVEMBRE 2006

 

GNL: da Qatar e Nord-Africa il futuro delle forniture

 

Gaz de France studia la nave rigassificatrice

 

LA REPUBBLICA

Il piano italiano contro l'emergenza gas

 

IL GIORNALE - VENERDÌ, 17 NOVEMBRE 2006

 

Attenti: il blackout e' dietro l'angolo

 

IL PICCOLO - VENERDÌ, 17 NOVEMBRE 2006

 

Pressing bipartisan: «Piano traffico, fuori le carte»

Maggioranza e opposizione sollecitano il sindaco e l’assessore Bucci a rendere nota la bozza Camus per poterla discutere nella sua interezza

 

Dipiazza replica: «Progetto in giunta a gennaio o febbraio, prima valutiamo gli effetti della nuova viabilità delle Rive»

di Paola Bolis

Alessia Rosolen (An) sottolinea che il piano del traffico nella bozza redatta dall’ingegnere dei trasporti Roberto Camus è ormai «pronto da moltissimo tempo», e deve cominciare a seguire il normale iter: «Prima in giunta, poi nelle commissioni, poi nel consiglio comunale». Maurizio Ferrara della Lista Dipiazza ricorda che «da settimane tutti i capigruppo del consiglio comunale hanno chiesto di poter conoscere il documento». «Siamo stufi di non sapere nulla di ufficiale», ribadisce il diessino Fabio Omero.
Il pressing sul sindaco Roberto Dipiazza per vedere tirata fuori dai cassetti del Municipio la bozza di cui tutti discutono ma che nessuno - o quasi - ufficialmente conosce è ormai bipartisan. Ma i tempi non saranno brevissimi. Dice Dipiazza: «Prima del suo passaggio in giunta il piano non lo vedrà nessuno, mica posso fare uscire un qualcosa di non condiviso dall’esecutivo...» E il «passaggio in giunta» avverrà «a gennaio o febbraio... Diciamo all’inizio dell’anno prossimo». Perché «il 23 dicembre inaugureremo le nuove Rive, ma già in precedenza potremo vedere come cambierà il modo di muoversi dei triestini a lavori ultimati. Prima dunque voglio verificare e analizzare i cambiamenti, poi andremo in giunta. Per il momento non c’è niente da vedere».
Così Dipiazza risponde alla pioggia di sollecitazioni. Non da oggi An dimostra il proprio fastidio tanto per un dibattito che vede i finiani ai margini mentre protagonista resta Forza Italia (in testa ora l’assessore competente Maurizio Bucci), quanto per il fatto che i tempi si vanno facendo lunghissimi, mentre «la politica - così Rosolen - deve avere il coraggio delle sue scelte». Parole che la capogruppo di An usa anche sulla proposta di corso Italia pedonale, avanzata nel 2004 dal forzista Paolo Rovis e rilanciata ora da un comitato di commercianti e residenti, che sabato e domenica raccoglieranno delle firme. Rosolen si limita a replicare al capogruppo forzista Piero Camber che ha lanciato l’esigenza di un nuovo «tavolo politico» che fissi «entro il 31 dicembre» le «indicazioni da dare al progettista per la redazione definitiva del piano»: «Le linee-guida giunta e consiglio le hanno approvate quasi due anni fa, adesso è compito e dovere di Bucci arrivare a una quadratura del cerchio attraverso il lavoro delle commissioni e poi del consiglio comunale», risponde.
Interviene Ferrara (ex assessore al traffico) per la Lista Dipiazza: «Il piano di oggi è lo stesso che io avevo già presentato e mi ero visto approvare a suo tempo da varie categorie e associazioni, o c’è stato qualche cambiamento? An, così come prima delle elezioni frenava sul piano per l’inopportunità di discutere provvedimenti potenzialmente impopolari a ridosso del voto, adesso con coerenza chiede di accelerare: e io sono d’accordo. Il rischio man mano che il tempo passa è quello di non portare a casa niente». E dall’Udc Sasco è esplicito: «Il 2008 sarà un anno drogato dalla campagna elettorale per le regionali, e dunque o il piano lo si approva entro marzo-aprile, al massimo giugno 2007, o si rimanda il tutto al 2008».
Nel merito, la proposta di chiusura di corso Italia lascia alquanto perplesse quasi tutte le forze politiche. Sasco parla di una «proposta demagogica», sottolineando come delle due assi via Mazzini-corso Italia «almeno una debba restare aperta». Il diessino Omero continua a chiedersi «dove andrebbero le auto se non in corso Italia, visto che nella vicina via del Teatro Romano sono previsti due parcheggi capaci quasi mille posti». E anche il Cittadino Roberto Decarli sul corso pedonalizzato è perplesso, per lo stesso motivo. Il capogruppo della Margherita in Comune Sergio Lupieri evidenzia che «il vero punto di partenza in realtà il piano dei parcheggi», senza il quale è impensabile riorganizzare la viabilità cittadina. «È ovvio - aggiunge per la Margherita il consigliere regionale Alessandro Carmi - che poi le questioni tecniche si intersecheranno con quelle poltiche e su chi conta di più in maggioranza e in giunta». E intanto, l’assessore Bucci annuncia per i prossimi giorni un incontro con il sindaco «per parlare nel complesso di traffico e parcheggi», e delle otto soluzioni diverse per il piano del traffico, tra cui scegliere quella giusta.

 

 

 

Ai commercianti piace il centro pedonalizzato

 

 Non solo corso Italia: negozianti favorevoli a chiudere alle vetture un’area ampia

 

I COMMENTI

Passa a larga maggioranza fra i commercianti del centro la proposta di pedonalizzare corso Italia. L’ipotesi viene anzi estesa anche alla via Mazzini, nel contesto di una più ampia rivisitazione della viabilità del centro. «Via Mazzini va chiusa al traffico per prima – dice Cristiano Carabei – anche perché in questo senso andava una delle promesse fatte dal sindaco Dipiazza in campagna elettorale. Lavorare in queste condizioni, coi bus che inquinano e fanno tremare gli edifici, in via Mazzini è impossibile».
«La pedonalizzazione è una scelta giusta – conferma Giuseppe Leonori – basta pensare ai colleghi di via San Nicolò che dapprima furono contrari e adesso, visti i risultati, sono favorevoli. Quando sarà pronto il parcheggio sotto San Giusto sarà opportuno pedonalizzare anche corso Italia». Per Gloria Amodeo è «più facile chiudere al traffico via Mazzini del corso perché quest’ultimo, con la sua ampiezza, si presta meglio a ospitare il traffico veicolare». Aldo Zanne va invece controcorrente: «La pedonalizzazione di via Mazzini a mio avviso non si tradurrebbe in un automatico aumento del volume d’affari. Per prima cosa – aggiunge – bisogna trovare spazi adeguati per i parcheggi, poi si può pensare a chiudere».
Ne è sicura invece Antonella Di Matteo: «I commercianti che lavorano nelle zone pedonali stanno meglio – sottolinea – perciò vedo come favorevole una chiusura di via Mazzini e anche di qualche altra strada vicina». Alessandro Lamacchia è dello stesso avviso: «Laddove si è proceduto con la pedonalizzazione – evidenzia – il lavoro dei commercianti è aumentato, perché la gente viene più volentieri in queste aree». Più perplesso appare Alessandro Serli: «Trovare una soluzione alternativa al traffico di Trieste, dopo aver chiuso il corso Italia e la via Mazzini è molto difficile – sostiene – credo sia necessario ripensare alla viabilità del centro nella sua interezza».

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDì, 15 NOVEMBRE 2006

 

Energia pulita e rigassificatori

Riallacciandomi al discorso sui dubbi espressi dal signor Claudio Poropat nel rapporto tra la realizzazione dei rigassificatori a Trieste e le varie associazioni ambientaliste bisogna effettivamente ammettere che l’energia «pulita» tra non molto sarà fortemente voluta da gran parte della popolazione del nostro pianeta anche perché la scienza ce lo dice, ma non è difficile accorgersene da soli, il clima oramai fa sempre più spesso le bizze dandoci dimostrazioni di estremismi climatici (siccità, precipitazioni interminabili etc.). Ora tutti noi dobbiamo renderci conto che il progresso (da non confondere con lo sviluppo) è inarrestabile non possiamo più tornare dentro le caverne e dobbiamo fare di tutto per vivere meglio e specialmente cercare almeno di lasciare un pianeta più vivibile ai posteri. I rigassificatori potrebbero rivelarsi essenziali per soddisfare il nostro bisogno di energia nei prossimi anni e poi quando anche il gas sarà esaurito speriamo che la tecnologia e la ricerca ci vengano incontro proponendoci fonti alternative oggigiorno impensabili! Se bocciamo a priori i rigassificatori rischiamo primo di restare al freddo d’inverno (se la Russia chiude le valvole del gasdotto) secondo di usare combustibili più inquinanti dunque andando a peggiorare una situazione atmosferica già compromessa e per ultimo di spendere di più.
Al signor Claudio Poropat però dico di non disperare e di tenersi pronto a tesserarsi alle seguenti associazioni ambientaliste e partiti che ai compromessi (intelligenti?) ci sono arrivati eccome! Nel comune di Muggia finché c’era il sindaco Gasperini le associazioni ambientaliste Sos Muggia, Legambiente, Wwf, Amici della Terra e il partito politico dei Verdi si scagliavano a testa bassa contro ogni cosa; ora che c’è il nuovo sindaco Nerio Nesladek di centrosinistra si stanno compiendo dei veri e propri scempi ambientali, ad esempio in località Noghere (Aquilinia) nel costruendo centro Freetime della Coopsette si sta distruggendo un’altra tessera del piccolo mosaico verde di Muggia per partorire una cattedrale nel deserto, ma le varie associazioni sopraccitate ora tacciono!
Riccardo Ciacchi
 

 

 

 

LA REPUBBLICA - martedì 14 novembre 2006 - AMBIENTE

 Rapporto del Wwf sugli effetti del riscaldamento globale tra i volatili di tutto il mondo - "Senza interventi in alcune aree potrebbe scomparire il 72 per cento della fauna"

Gli uccelli nella morsa del clima che cambia - "A rischio decine di specie, anche in Italia"

Nel nostro paese la pernice bianca è minacciata dalla scarsità di neve

 La pernice bianca è tra le specie italiane a rischio

ROMA - Se le oche del Campidoglio salvarono Roma dai Galli, qualche decina di uccelli potrebbe salvare il mondo dall'effetto serra. I volatili sono infatti tra le specie più sensibili ai cambiamenti climatici e possono funzionare da vere e proprie "spie" per agire prima che sia troppo tardi. A tracciare una mappa completa di come il riscaldamento globale li sta minacciando è il Wwf in uno studio che prende in esame più di 200 ricerche pubblicate su autorevoli riviste scientifiche che hanno analizzato l'impatto del riscaldamento globale sulle specie di uccelli nel mondo.
Il quadro che emerge da "Le specie di uccelli e i cambiamenti climatici: lo status globale", è già molto allarmante. Malgrado siano tra gli animali più rapidi e abili nell'adattarsi ai mutamenti dell'habitat, numerose specie di uccelli sono già a rischio di estinzione. A smentire gli scettici che invitano a non preoccuparsi perché il clima del pianeta è sempre stato variabile, è la repentinità dei cambiamenti, troppo rapidi per permettere agli animali di prendere le necessarie contromisure. Sbalzi che non sono più mossi solo dai cicli naturali ma anche (e soprattutto) dalle attività umane. L'improvvisa modifica dei delicati equilibri del sistema climatico, registrata negli ultimi decenni, non consente a molte specie di mettere in atto nel tempo necessario immediate strategie evolutive e di sopravvivenza.
"Gli uccelli sono sempre stati indicatori fondamentali dei cambiamenti ambientali, quasi una sorta di termometro dello stato ambientale del pianeta - afferma il direttore scientifico del Wwf Gianfranco Bologna - e questo rapporto conferma che essi costituiscono un vero e proprio campanello d'allarme rispetto ai cambiamenti del clima. Una robusta documentazione scientifica dimostra che i cambiamenti climatici stanno influenzando il comportamento degli uccelli. E' facile osservare, per esempio, che numerose specie non compiono più i loro spostamenti migratori e che le modificazioni climatiche, avendo importanti ripercussioni sulla dinamica naturale degli ecosistemi rendono gli uccelli completamente disorientati".

"Alcune specie - spiega ancora Bologna - si sono dimostrate estremamente sensibili, mostrando una precoce reattività al riscaldamento globale. Purtroppo si potrebbero verificare estinzioni di massa prima di quanto si pensi con effetti a cascata sugli interi ecosistemi e sulle catene alimentari che li caratterizzano".
Le specie maggiormente a rischio, secondo quanto accerta lo studio dell'associazione del panda, includono numerosi uccelli migratori, specie montane, insulari, delle zone umide e marine, oltre a quelle delle regioni artiche e antartiche. Il fenomeno non risparmia alcuna regione del mondo con alcune popolazioni che si sono ridotte anche del 90% ed altre ormai che incontrano serie difficoltà per la riproduzione. In Africa, per esempio, a causa delle gravi siccità sono a rischio la coloratissima upupa e l'aquila rapace; in nord Europa l'uria comune non trova più i pesci per nutrirsi a causa del riscaldamento dei mari; il pulcinella dai ciuffi perde la sua capacità riproduttiva in Canada; nel santuario naturale delle Galapagos, il pinguino delle Galapagos non trova cibo a sufficienza a causa dell'enfatizzarsi dei fenomeni climatici come il Niño.
I 3.000 esemplari di gru siberiane che ancora sopravvivono vedono il progressivo restringersi della tundra, loro habitat naturale, e lo stesso accade al pinguino imperatore dell'Antartico, dove il prolungamento del "periodo caldo" ha causato un assottigliamento dei ghiacci e quindi significative difficoltà per il suo ciclo vitale. Anche le nevi di alta quota delle Alpi, sempre più ridotte in estensione, stanno per perdere la pernice bianca, una specie che risente fortemente della riduzione delle aree innevate sia in Italia come nel nord Europa, dove frequenta zone di tundra.
Nel rapporto sono anche esaminate le proiezioni degli impatti futuri, incluso il rischio di estinzione: se il riscaldamento globale eccederà i 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali (attualmente siamo a +0,8), il tasso di estinzione potrebbe essere del 38% in Europa e addirittura del 72% nell'Australia nord-orientale.
Per evitare questo scenario catastrofico, il Wwf ribadisce che è necessario produrre una rapida e significativa riduzione delle emissioni di gas serra. Al momento il summit internazionale sul clima, in corso a Nairobi, sta cercando senza grandi risultati di avviare la nuova trattativa per la seconda fase del Protocollo di Kyoto prevista per il dopo 2012 con percentuali di riduzione delle emissioni molto più significative delle attuali. Inoltre, sottolinea ancora l'associazione ambientalista, è importante rivedere le modalità degli interventi di conservazione e tutela, basati sulla protezione di specifiche aree ad elevata biodiversità, perché i cambiamenti del clima spingeranno gli uccelli in zone non protette.
 

 

 

IL CONSUMATORE - il mensile dei soci COOP - n. 9 - NOVEMBRE 2006

Un pianeta da difendere di Mario Tozzi - primo ricercatore Cnr - Igag e conduttore televisivo

Ipocrisie ambientali

 L’ordine pubblico, la criminalità e certamente il rischio di guerre alle porte, oppure i servizi sociali, sono tutti aspetti che preoccupano i lettori di questo mensile, ma – incredibile a dirsi - il primo problema è diventato ora quello ambientale. Non solo: quasi la metà dei lettori dice di avere cambiato i propri comportamenti di vita proprio a causa di questa preoccupazione. Chi ha cominciato a raccogliere i rifiuti in modo differenziato, chi riduce il consumo d’acqua, chi - addirittura! - usa meno l’autovettura.

Sono senza parole, pensavo di trovarmi di fronte il Paese dei blocchi stradali contro i rifiuti, degli inquinatori mai puniti, dei palazzinari e dei costruttori abusivi, dei fanatici delle SUV e della caccia nei parchi naturali. E, invece, mi trovo di fronte cittadini esemplari che si preoccupano e si danno da fare per migliorare l’ambiente. Mi dispiace ma non ci credo. E i numeri dello sfascio ambientale e dell’arretratezza culturale dell’Italia stanno lì a dimostrarlo.

L’Italia è ancora il regno della cementificazione del territorio che procede al ritmo forsennato di 150.000 ettari all’anno, è il regno delle costruzioni abusive (250.000 soltanto fra il primo e il secondo condono edilizio, 1985-1995), del dissesto idrogeologico causato dall’apertura di nuove strade, della compromissione del patrimonio naturalistico a causa dell’espansione urbana, della caccia e di un malinteso senso del turismo di massa.

Il sondaggio dice che in molti hanno abbandonato l’auto privata. Ma dove? Quando? L’Italia è prima in Europa per numero di autovetture circolanti: ci sono 2 auto ogni 3 abitanti per un totale di quasi 35 milioni di automezzi; nel continente la media è di 43 auto ogni 100 abitanti, da noi sono oltre 53. Inoltre gli italiani percorrono su ruota più km che qualsiasi altro europeo, visto che siamo passati dai quasi 2.500 km all’anno del 1960 ai circa 15.000 di oggi, cosa che conferma come più strade producano sempre e comunque un traffico maggiore. In Italia l’81% della mobilità è soddisfatto dall’auto privata e il 76% delle merci viaggia su camion, con un incremento spaventoso dalle 37.000 tonnellate per kilometro del 1960 alle oltre 200.000 di oggi. Tutto questo nonostante un cavallo vapore terrestre trasporti circa 150 kg su gomma (uno ferroviario 500) e uno marino fino a 4.000: lo svantaggio energetico di trasportare, per esempio, una tonnellata di arance da Palermo a Genova via terra dovrebbe essere talmente evidente da scatenare una corsa al cabotaggio di cui però non si registra alcuna traccia. Però, l’Italia importa via mare il 70% delle sue merci: così altri usano i nostri corridoi marini, mentre noi ci guardiamo bene dal farlo.

Costruire più strade per alleviare il traffico è come allentare la cintura per curare l’obesità. Ma noi siamo il Paese delle strade: 308.000 km di strada ufficiali, cioè 1 km lineare per ogni kmq di territorio, cosa che si traduce nel traffico spaventoso che ben sappiamo. Infine ce ne stiamo nelle nostre case in canottiera d’inverno e col maglioncino di filo in estate, creando un clima artificiale che spreca e inquina. Ma di quale Italia stiamo parlando?

 

 

IL PICCOLO - MARTEDì, 14 NOVEMBRE 2006

 

Rifiuti «umidi», differenziata nel 2007
 

DUINO AURISINA Allo studio un piano per la raccolta a parte dei residui organici
C’è da risolvere il problema dei cattivi odori sia nel caso dei contenitori stradali sia nel ritiro porta a porta. Il compostaggio previsto in un impianto di Moraro
Pross: «Partiremo con le mense, poi passeremo ai privati»
 

DUINO AURISINA Sta partendo in questi giorni, con una serie di riunioni e di incontri, il percorso che potrà portare, non prima però del prossimo anno, la raccolta differenziata dei rifiuti biologici, comunemente detti «umidi» anche a Duino Aurisina. Il protocollo previsto dalla Provincia di Trieste infatti prevede che anche i comuni del territorio si dotino il prima possibile di un sistema di recupero dei cosiddetti rifiuti organici, ovvero resti di frutta, verdura, verde, ramaglie, e così via. Proprio in occasione di un primo bilancio sull’andamento della raccolta differenziata (limitata al momento a carta, plastica, alluminio e vetro) il Comune aveva anticipato la sua intenzione di proseguire con l’ulteriore differenziazione tra rifiuti organici e inorganici. E, come promesso, lo sta facendo. «Già questa settimana muoveremo i primi passi per arrivare a breve a delle proposte concrete – spiega l’assessore Giorgio Pross -. Da parte nostra, c’è sicuramente la volontà sicuramente di migliorare la raccolta del verde, che al momento viene garantita in tre zone, estendendola a tutto il territorio comunale. E poi, di valutare appunto altre proposte, tra le quali quella della raccolta dell’umido. Il primo passo sarà sicuramente quello di partire con le realtà più complesse, come quelle che possiedono ad esempio un servizio mensa».
Una volta raffinato il tutto, si potrà partire anche con i singoli cittadini. La cosa deve essere attentamente valutata, però, perché nei comuni dove la raccolta differenziata è partita, ha creato qualche problema, sia quando si è realizzata tramite cassonetti, sia con il porta a porta. Il problema, essenzialmente, sta nel fatto che, soprattutto d’estate, i rifiuti in questione marciscono rapidamente, e di conseguenza emanano un fastidioso odore. E sia i contenitori stradali, che quelli da tenere in casa nel caso del sistema di porta a porta, hanno creato qualche disagio agli abitanti. Tanto che in alcuni paesi si è anche arrivati al referendum per abolire il nuovo sistema di raccolta. Per evitare simili vicende anche a Duino Aurisina, il Comune vuole quindi attentamente valutare le modalità di realizzazione. Che la differenziata debba essere affinata è però anche una necessità economica, perché proprio il minor ricorso agli inceneritori e allo stoccaggio dei rifiuti comporterebbe la possibilità di mantenere intatta la tassa sui rifiuti.
«La Tarsu non può diminuire, ma solo rimanere stabile – spiega l’assessore all’ambiente Gabriella Raffin – e, per il momento, non dovrebbe subire cambiamenti anche perché siamo in attesa delle decisioni a livello nazionale che potrebbero tramutare il pagamento da tassa fissa a tariffazione». Intanto, si sa già che il Comune ha preso contatti, per lo smaltimento dell’umido, con l’impianto di compostaggio di Moraro, che potrebbe ospitare i rifiuti organici degli abitanti del territorio trasformandoli in compost. L’arrivo della raccolta dell’umido era peraltro già stata anticipata dalla partenza della raccolta delle ramaglie e del verde dei giardini, che avviene con contenitori situati ad Aurisina centro, Sistiana, e Duino, mentre un altro centro di raccolta di sfalci e ramaglie è già presente al Centro di raccolta del Comune, ed è aperto dal lunedì al sabato dalle 9 alle 12 e dalle 13 alle 16. E, almeno finora, l’adesione dei cittadini alla raccolta ha avuto un ottimo risultato. Tanto che il Comune aveva appunto anticipato di voler ampliare il servizio anche ad altre tipologie di rifiuti, come quelli biologici, e di voler prendere contatti con Acegas per studiare il metodo migliore per la raccolta, cosa che appunto si sta realizzando proprio in queste settimane.
Elena Orsi

 

 

 

Allarme ittico: scampi in via di estinzione in Adriatico
L’Istituto di Spalato di oceanografia e pesca punta il dito contro il depauperamento della biomassa
 

SPALATO Scampi, specie a rischio d’estinzione nelle acque croate dell’ Adriatico. La conferma arriva da uno dei massimi esperti croati in materia, Nedo Vrgoc, biologo marino dell’Istituto spalatino di oceanografia e pesca. Il suo grido d’allarme non rappresenta comunque una novità vista la situazione attuale che presenta pescherie sempre più disertate dai pregiati crostacei, a differenza di quanto avveniva 15 e più anni fa. Allora avevamo quasi quotidianamente sui banconi decine di cassette brulicanti, con scampi di varia taglia e a prezzi (i triestini se lo ricorderanno bene) veramente abbordabili.
Ora non è più così e la rarefazione del prodotto, dovuta ad uno sfruttamento esasperato, ha dato luogo ad un costo che anche gli italiani ritengono salato. Oramai gli scampi tipo astice raggiungono nelle pescherie della costa il prezzo di 220–240 kune al chilogrammo (30–33 euro). «Negli anni 97 e 98 il depauperamento della biomassa degli scampi si è fatto sentire in modo evidente – spiega Vrgoc – attualmente il quadro si è stabilizzato, ma siamo ancora lontani dall’affermare che il crostaceo è sulla via della ripresa. Il suo spopolamento non dipende solo dalla pesca ma anche, ad esempio, dal cambiamento della temperatura marina. Succede poi che, contemporaneamente al calo del pescato degli scampi, aumentino invece le pescate di gamberi. In questo momento sono proprio i gamberi l’ obiettivo principali dei pescatori croati che calano le reti in mare aperto».
Se gli scampi stanno attraversando un periodo difficile (e dunque un periodo di fermo biologico giungerebbe a fagiolo), neanche i pagelli - o «riboni» – se la passano bene. Vrgoc, da anni alla testa di un team di studiosi che operano ricerche per appurare la consistenza del patrimonio ittico lungo il versante croato dell’ Adriatico, ha fatto presente che i bottini di pagelli sono ancora abbastanza consistenti, ma a lungo andare la situazione è destinata a peggiorare. Infatti, fino a 16–17 centimetri di lunghezza questo sparide è di sesso femminile e quindi cambia sesso. Considerato che la pesca riguarda soprattutto esemplari di taglia grande, ecco spiegato il pericolo. Sempre parlando di specie pescate con reti a strascico, il nasello e la triglia di fango stanno dimostrando di essere alquanto in salute, come pure il moscardino.
a. m.

 

 

 

LA REPUBBLICA - lunedi' 13 novembre 2006

 

Dossier di Legambiente sui primi effetti del riscaldamento globale nel nostro Paese

"Più decessi per il caldo estremo, tornano malattie scomparse e ne arrivano di nuove"

Siccità, malaria e pesci tropicali: il clima in Italia sta già cambiando

In concomitanza con la conferenza di Nairobi appello a Prodi per un impegno maggiore
"Nella lotta contro le emissioni di gas serra serve un'inversione a U"

La desertificazione è una conseguenza dei cambiamenti climatici che sta già colpendo l'Italia

ROMA - Quando si parla di cambiamenti climatici spesso si pensa alle catastrofiche conseguenze che avremo di fronte alla fine del secolo, ma i guai non arriveranno tutti insieme. L'aumento medio delle temperature (in Italia dal 1986 +0,4 gradi al nord e +0,7 al sud) sta già provocando un crescente numero di danni. Soprattutto nel nostro paese, delicata terra di confine tra due diversi ambienti climatici: la zona temperata a settentrione e quella subtropicale a meridione. Per questo è quanto mai urgente agire il più in fretta possibile per contrastare il fenomeno.

A lanciare l'ennesimo allarme è stata oggi Legambiente, che in concomitanza con la conferenza internazionale sul clima in corso a Nairobi, ha voluto illustrare gli effetti già in atto. In Italia, ha ricordato il direttore generale dell'associazione ambientalista Francesco Ferrante, "arrivano malattie importate dall'Africa, animali e piante tropicali attaccano la nostra biodiversità, si intensificano alluvioni e siccità, compaiono le prime aree semi-desertiche". "In Europa - ha sottolineato ancora Ferrante - dovremmo essere i più pronti e reattivi nello sforzo di riduzione delle emissioni di anidride carbonica, che sono la causa principale di questi sconvolgimenti e che derivano in larga misura dalla combustione di petrolio e gas nell'industria, nel settore residenziale, nei trasporti e in particolare nel trasporto su gomma".

I segnali non sono però incoraggianti. "Finora - ha ricordato ancora il direttore di Legambiente - siamo stati la 'maglia nera': dal 1990 le nostre emissioni di anidride carbonica dovrebbero ridursi del 6,5% entro il 2012, ad oggi sono cresciute di quasi il 15%. Serve una decisa conversione a U, il nostro appello al governo Prodi è di consolidare e potenziare nei prossimi mesi i positivi segni di svolta di questo inizio di legislatura". Legambiente ha quindi fornito un quadro dettagliato delle trasformazioni già in atto in Italia.

Caldo anomalo. Il primo e più diretto danno sanitario prodotto dai mutamenti climatici è legato all'aumento della mortalità che si registra in occasione delle più acute ondate di calore. Nell'estate 2003, quando da luglio a settembre la temperatura ha superato di 4/5 gradi la media stagionale, in Italia si registrarono il 14,5% di decessi in più rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.

Torna la malaria. Va poi aggiunto il pericolo rappresentato dal ritorno di malattie che si ritenevano debellate e dall'arrivo di altre che in precedenza il nostro clima relativamente fresco teneva lontane. Il primo caso è quello della malaria. Nel 1970, l'Europa venne dichiarata dall'Oms area libera dalla malaria. Negli ultimi anni si è registrata una recrudescenza di casi autoctoni, per ora sporadici, concentrati in aree che fino a pochi decenni fa erano altamente malariche. Questo ha fatto ipotizzare che una stabilizzazione degli aumenti di temperatura potrebbe determinare anche nel nostro Paese una ripresa endemica della malaria.

Nuove malattie. Per quanto riguarda le nuove patologie, sta invece rapidamente crescendo il numero di casi italiani di leishmaniosi viscerale umana, infezione trasmessa da piccolissimi insetti che per effetto dei mutamenti climatici prolungano i periodi di attività e colonizzano territori finora immuni. Fino al 1990 si registravano meno di 50 casi all'anno, dal 2000 i casi annuali sono più di 150.

Anche il bestiame in pericolo. Anche nel campo delle patologie animali, i mutamenti climatici stanno importando in Italia malattie tipicamente africane: come la "lingua blu", infezione virale che colpisce tutti i ruminanti, presente dal 2000 in Sardegna, nel Lazio, in Toscana, in Basilicata, in Sicilia, in Calabria.

Alluvioni e siccità. Negli ultimi sessant'anni l'Italia è stata colpita da sei grandi alluvioni autunnali: ben quattro concentrate negli ultimi quindici anni. Sei sono stati anche i periodi di grave siccità (meno di 360 mm di precipitazione media annua), quattro dei quali posteriori al 1990 (1993, 2000, 2001, 2003). L'intensificarsi degli eventi meteorologici estremi è proprio una delle principali conseguenze attese dai mutamenti climatici.

Desertificazione. In Italia sta arrivando il deserto. Si stima che negli ultimi vent'anni siano triplicati i fenomeni di inaridimento del suolo, legati alla cementificazione e all'eccessivo sfruttamento agricolo del suolo, al dissesto idrogeologico ma anche ai cambiamenti del clima: oggi oltre 10 milioni di ettari, pari a un terzo del territorio nazionale, sono a rischio desertificazione. Le regioni più colpite sono la Sardegna, la Sicilia e la Puglia, dove oltre l'80% del territorio è interessato dal problema, ma la desertificazione non risparmia nemmeno le regioni del centro-nord: in Emilia Romagna quasi 700 mila ettari sono in pericolo (31% del totale), in Piemonte 500 mila (19%).

Pesci tropicali. Ormai il 20% delle specie di pesci presenti nel Mediterraneo è "importata". Con il riscaldamento delle acque, sono arrivate diverse nuove specie dal Mar Rosso, come il Pesce flauto e il Siganus luridus. Altre specie immigrate sono i barracuda Sphyraena chrisotaenia e Sphyraena flavicauda, vari tipi di ricciola, il granchio Percnon gippesi. Un altro fenomeno in crescita è il rapido spostamento verso nord degli areali di diffusione di specie indigene: per esempio l'Aguglia imperiale è sconfinata dai suoi mari tradizionali (Ionio, basso e medio Tirreno) fino al Mar Ligure.

(13 novembre 2006)

 

 

IL PICCOLO - LUNEDÌ, 13 NOVEMBRE 2006 - Pagina 6 - Istria - Ambientalisti contro il Piano urbanistico

 

POLA Singolare iniziativa dell'Associazione ambientalista Istria verde per richiamare l'attenzione della gente sul reale pericolo di ulteriori colate di cemento e catrame sulle aree verdi. Nel corso della notte, in sei punti dell'area urbana di Pola gli attivisti hanno affisso dei pannelli recanti l'avvertimento «Pericolo! Al posto del parco-un albergo». Ma non solo, con delle fasce di nylon hanno contrassegnato il perimetro delle future costruzioni. Gli avvertimenti di questo tipo sono sorti nel Parco Tito , vicino alla Capitaneria di porto, nel Parco degli sposi a fianco del Tempio di Augusto a pochi metri da piazza Foro, sul lungomare dove il Piano urbanistico generale prevede l'abbattimento di pini per far posto a impianti sportivi, quindi a Valsaline e nella zona soprastante il porticciolo sportivo Delfin.
Questi punti dunque, con il nuovo Piano urbanistico diventano aree edificabili e la prospettiva ha fatto scattare la reazione degli ambientalisti. La loro presidente Dusica Radojcic invita la popolazione a non permettere alla giunta e al sindaco Boris Miletic di rendere operativo il Piano urbanistico. E annuncia per la settimana prossima una conferenza stampa sempre sullo stesso argomento.
p.r.
 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 12 NOVEMBRE 2006- pagina 9 - Regione

 

Pertoldi: sui biocarburanti servono nuovi incentivi

UDINE Incentivare la produzione e il consumo di biocarburanti di origine agricola, al fine di ridurre gli inquinanti contenuti nei carburanti tradizionali e per essere in sintonia con la riforma della Politica agricola comune: è l'obiettivo di una proposta di legge dell'Ulivo il cui iter è iniziato ieri in commissione agricoltura della Camera, e che è stata resa nota dal parlamentare friulano Flavio Pertoldi, che è tra i firmatari del testo. «Il nostro paese - osserva Pertoldi - ha seri problemi di fabbisogno energetico, come dimostrano i recenti blackout. Occorre pertanto individuare tutte le iniziative idonee a favorire la produzione di energia. E i problemi energetici - ha aggiunto - devono essere affrontati tenendo presente la sostenibilità ambientale, privilegiando perciò le fonti di energia rinnovabili che permettono la produzione di energia pulita». Secondo Pertoldi, «l' agricoltura è in grado di portare un contributo significativo, ma ciò sarà possibile solo se dispone di un quadro normativo certo».

 

IL GAZZETTINO - DOMENICA, 12 NOVEMBRE 2006

CONGRESSO FVG: Legambiente punta il dito contro la giunta regionale e sui rigassificatori dice sì, ma solo per un progetto

Udine - L'innovazione è la foglia di fico che la giunta regionale mette davanti ad ogni questione. Legambiente , al congresso che si è tenuto ieri a Premariacco, accusa il governo regionale di scarsa attenzione all'ambiente e di mentalità riduzionista, tendente a isolare e mitizzare singoli obiettivi di modernizzazione (come la Tav o i rigassificatori) senza uno sguardo complesso sul futuro. «La giunta Illy - ha detto la presidente regionale di Legambiente Elena Gobbi - ha assoggettato tutte le scelte politiche a logiche di mercato e di competitività. La legge regionale di sostegno all'innovazione dovrebbe partire da criteri selettivi: le imprese del Fvg sono tra quelle che, a livello nazionale, consumano più acqua ed energia e questo è sintomo di inefficienza. I piani di programmazione regionale dovrebbero porre dei limiti d'uso delle risorse, ma questa giunta non ha ancora redatto né il piano energetico, né quello della mobilità (considerano il Corridoio 5 la panacea di tutti i mali) né quello della gestione delle acque. Anzi, sembra che ci sia un tentativo di svilire questi strumenti, che alla fine si ridurranno semplicemente alla presa d'atto delle modifiche avvenute nell'idea tutta da dimostrare che il mercato porti da sé lo sviluppo del sistema». La proposta di Legambiente è di far evolvere i settori strategici del sistema regione verso la soft economy, con filiere produttive a basso impatto ambientale, prodotti di qualità e uso intelligente e regolamentato delle risorse. L'energia, secondo l'associazione, è infatti tra i nodi fondamentali da risolvere e riemerge la discussione sul rigassificatore. «Il primo obiettivo di un Per (Piano energetico regionale) deve essere il risparmio energetico - ha detto Roberto Della Seta, presidente nazionale di Legambiente - Bisogna investire su impianti che consumino meno. All'interno di quest'ottica, il rigassificatore è un progetto che noi accettiamo, ma due non sono sensati. La giunta deve decidere quale fare e dove posizionarlo: è una scelta politica che non può essere lasciata al mercato». Un altro problema fondamentale è quello dei rifiuti soprattutto nell'udinese. - Alessia Pilotto

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 11 NOVEMBRE 2006 - pagina 27 - Trieste

 

DUINO AURISINA Dopo lo stop al percorso di Trieste si teme per un allungamento dei tempi

 

L’assessore Raffin: «Sappiamo che l’interramento sarebbe la soluzione migliore, ma non è percorribile nel breve periodo»

 

Mancato accordo tra i Comuni: elettrodotto a rischio ritardi

 

DUINO AURISINA Non c'è accordo tra le amministrazioni comunali di Trieste e Duino Aurisina sulla questione del nuovo tracciato dell'elettrodotto che da Monfalcone dovrebbe arrivare a Padriciano. Mentre il Comune di Duino Aurisina, circa tre mesi fa, aveva dato parere positivo al progetto, la bocciatura da parte di Trieste, risalente a qualche giorno fa, torna a confondere la questione e rischia di comportare un allungamento dei tempi.
La commissione urbanistica del Comune di Trieste presieduta da Roberto Sasco, infatti, ha bocciato il progetto proposto dalla Terna poiché non prevede l'interramento dei cavi dell'alta tensione ma la realizzazione di un percorso alternativo e un potenziamento della carica elettrica: Duino Aurisina, tre mesi fa, pur conscia della situazione, aveva scelto di accettare il non interramento dei cavi pur di veder spostato l'attuale elettrodotto in tempi brevi, poiché in alcune zone - e in particolare a Malchina e a Visogliano - la situazione è critica e alcuni piloni si trovano praticamente adiacenti alle abitazioni, con gravi disservizi e rischi per la salute per la popolazione residente, alle prese con scariche elettriche indotte dai fulmini ogni volta in cui un forte temporale si abbatte sulla zona.
Una scelta discorde - nonostante il comune di Duino Aurisina abbia chiesto alla Terna l'interramento, non avendolo almeno in parte ottenuto a causa del passaggio, nella zona, del metanodotto - che rischia in qualche modo di allungare i tempi di spostamento dell'attuale rete dell'energia elettrica, attesa già per il prossimo anno sulla base delle ipotesi formulate dalla società erogatrice del servizio, dopo che l’amministrazione di Duino Aurisina aveva in velocità dato parere positivo al progetto, pur sottolineando alcuni dettagli non ancora chiari.
Tra l'altro, vista la situazione molto critica (sono molti anni che i residenti della zona chiedono una soluzione) il comune di Duino Aurisina aveva richiesto alla Terna di avviare i lavori prima nel Comune di pertinenza che negli altri territorio del Carso isontino e triestino, ma c'è da pensare che il parere negativo di Trieste possa in qualche modo influire anche sulla parte di progetto di Duino Aurisina.
«Siamo ben consci - aveva dichiarato al momento dell'approvazione l'assessore comunale Raffin - che l'interramento sarebbe la soluzione migliore, ma purtroppo ci rendiamo conto che non è una soluzione percorribile nel breve periodo. Visti i disagi vissuti dai nostri concittadini preferiamo lo spostamento della linea aerea così come concordato con la Terna, piuttosto che tempi troppo lunghi per la realizzazione di un progetto di interramento al momento per nulla certo».
Ma la posizione di Trieste, volta a tutelare il paesaggio e l'ambiente carsico che ricade sotto la propria giurisdizione rischia in qualche modo di modificare il panorama generale in cui la Terna si muove per la realizzazione dell'infrastruttura, e penalizzare quindi ancora una volta i residenti di Duino Aurisina.
Francesca Capodanno

 

IL PICCOLO - SABATO, 11 NOVEMBRE 2006 - Pagina 27 - Trieste

 

VAL ROSANDRA Domani i ciclisti in via Orlandini per fare il punto sui nodi ancora da risolvere

 

Pista ciclabile, la Ulisse-Fiab sollecita i lavori

 

TRIESTE La pista ciclabile della Val Rosandra non è ancora terminata. Il completamento dei lavori, che proseguono da sette anni, sarà sollecitato domani dalla Ulisse-Fiab, l’associazione di cicloturisti e ciclisti urbani che quest’anno festeggia il suo decimo compleanno.
Alle 12.30 in via Orlandini, dove sorge il centro servizi della pista ciclopedonale, la Ulisse-Fiab cercherà di richiamare l’attenzione sul completamento dei lavori. Un appuntamento a cui sono stati invitati i vertici della Provincia, che durante l’amministrazione Scoccimarro ha iniziato il completamento dell’ultimo lotto, e anche quelli del Comune. «Chiediamo a coloro che hanno in carico la realizzazione della pista ciclabile - si legge in una nota della Ulisse-Fiab - di resocontarne lo stato dei lavori».
Un sorta di sopralluogo assieme agli amministratori di palazzo Galatti con la presidente Maria Teresa Bassa Poropat in testa - nel caso aderiscano all’iniziativa - sullo stato di fatto e gli intoppi che impediscono il completamento dell’ultimo tratto del pista ciclopedonale. Il nodo principale resta la passerella da realizzare all’altezza dell’ospedale Burlo Garofolo; una questione ancora in sospeso a causa delle trattative in corso con l’Azienda sanitaria. L’anno scorso il Burlo chiedeva una contropartita economica, dall’amministrazione Scoccimarro arrivò la proposta di compensare l’area con la realizzazione di un parcheggio.
«Il percorso con il Burlo è certo, le altre problematiche aspettano invece una serie di verifiche», dice Mauro Tommasini, assessore ai Lavori pubblici. Bisogna spostare due depositi: quello degli autoveicoli sottoposti a sequestro giudiziario sulla via Campanelle e un altro di materiale edile. Una delibera del Comune prevede che il deposito di autoveicoli si trasferisca a Muggia nell’area dell’ex macello.
Accanto alla sistemazione e pulizia del sedime, dalla partenza di via Orlandini fino alla stazione di Sant’Antonio in Bosco, rimane da mettere in sicurezza il viadotto di via Corgnoleto. «In questo momento non abbiamo certezze sui tempi di realizzazione. Entro l’anno alcuni tratti della pista ciclopedonale - dice Tommasini - saranno comunque terminati con l’asfaltatura».
L’iniziativa di domani della Ulisse-Fiab sarà preceduta questa mattina da una biciclettata sulla Parenzana - da Rabuiese a Portorose - con l’adesione di ciclisti del Nordest. Un appuntamento ludico accanto a quello politico in via Orlandini per chiedere a che punto sono i lavori. Un cavallo di battaglia dell’associazione che da anni collabora con le amministrazioni locali - redazione del piano della viabilità provinciale e Settimana Europea della mobilità dell’anno scorso con il Comune - alla ricerca della sicurezza dei ciclisti e la possibilità di avere, laddove è possibile, strade dedicate alle biciclette.
p. c.

 

IL PICCOLO - SABATO, 11 NOVEMBRE 2006 - Pagina 24 - Trieste

 

L’Arpa «disegna» la mappa dell’elettrosmog: a Conconello sforata la soglia d’attenzione

 

C’è un solo sito nel Comune di Trieste in cui si il campo elettrico è superiore al valore di attenzione di 6 Volt/metro, fissato per legge dove la permanenza delle persone supera le 4 ore giornaliere.
Il sito è quello di Conconello, in via Bellavista, in cui numerose stazioni radio e Tv hanno contribuito a portare la media del campo elettrico a 7,92 V/m. In altri due punti, a Barcola e sulla Strada del Friuli, si sono raggiunti livelli pari al 50% della soglia di attenzione, rispettivamente con 2,56 e 3,02 V/m. In altri 22 siti i livelli del campo elettrico sono ben inferiori ai 2 V/m.
I dati sono il risultato dell’indagine che l’Arpa ha volto in collaborazione con il Comune, nell’ambito del protocollo con la Fondazione Bordoni per una rete di monitoraggio del campo elettromagnetico nella regione.
La campagna di monitoraggio nel territorio comunale, iniziata il 20 dicembre 2005, si è conclusa il 27 settembre scorso e ha interesato 25 siti, dove il campo elettrico è stato misurato in continuo per periodi variabili tra una settimana e due mesi.
Questo il dettaglio dei siti principali.
Via Bellavista-Conconello Nel raggio di 100 metri due impianti radiotelevisivi e due di radiodiffusione; tra i 100 e i 200 metri un impianto di radiodiffusione; tra i 200 e i 500 metri, due impianti televisivi, altri due da realizzare o in riconfigurazione, due stazioni radiobase da realizzare o in riconfigurazione e un impianto di radiodiffusione. Massimo del campo elettrico 8,65 V/m, minimo 7,15.
Via Campo Marzio-Museo del mare
Tra 200 e 500 metri, una stazione radiobase da realizzare o in riconfigurazione e tre stazioni realizzate. Altre 12 antenne per cellulari in un raggio di 800 metri. Massimo del campo elettrico 1,65 V/m, minimo 0,81.
Castello di San Giusto Tra i 200 e i 500 metri, sette stazioni radiobase e tre da realizzare o in riconfigurazione. In un raggio di 800 metri altre 17 stazioni radiobase, due impianti televisivi e uno di radiodiffusione. Massimo del campo elettrico 2,43 V/m, minimo 0,72.
Via Felluga-campo sportivo
Un impianto di radiodiffusione e un stazione radiobase da attivare o in riconfigurazione tra i 200 e i 500 metri. Massimo del campo elettrico 1,65 V/m, minimo 0,50.
Prosecco-San Nazario Tra i 100 e i 200 metri una stazione radiobase, tre stazioni tra i 200 e i 500 metri. Massimo del campo elettrico 1,33 V/m, minimo 0,50.
Palazzetto di Chiarbola Una stazione radiobase da realizzare o in riconfigurazione entro 100 metri, e un’altra tra i 100 e i 200 metri. Tra i 200 e i 500 metri: una stazione radiobase da realizzare o in riconfigurazione, una stazione realizzata e una microcella. Massimo del campo elettrico 2,25 V/m, minimo 0,50.
Opicina-Campo Romano Tra i 100 e i 200 metri, due stazioni radiobase e una da realizzare o in riconfigurazione. Massimo del campo elettrico 1,86 V/m, minimo 0,50.
Prosecco-asilo
Una stazione radiobase entro 100 metri, altre tre fra i 100 e i 200 metri. Massimo del campo elettrico 0,78 V/m, minimo 0,50.
Via Flavia-Palatrieste Due stazioni radiobase e due da realizzare o in riconfigurazione tra i 200 e i 500 metri. Massimo del campo elettrico 5,27 V/m, minimo 0,50.
Canal Grande-Palazzo Gopcevic Tra i 100 e i 200 metri una stazione radiobase e una da realizzare o riconfigurare. Tra i 200 e i 500 metri, quattro stazioni e altre sei da realizzare o riconfigurare. Massimo del campo elettrico 6,08, minimo 0,50.
Barcola-Circolo canottieri
. Due stazioni radiobase entro 100 metri, una tra i 200 e i 500 metri. Massimo del campo elettrico 8,19 V/m, minimo 0,50.
Prosecco-asilo via San Nazario Una stazione radiobase entro 100 metri, e tre fra i 100 e i 200 metri. Massimo del campo elettrico 0,50 V/m, minimo 0,50.
Opicina-scuola piazzale Monte Re Una stazione radiobase tra i 100 e i 200 metri, e una da realizzare o in riconfigurazione tra i 200 e i 500 metri. Massimo del campo elettrico 0,51 V/m, minimo 0,50.
Via dei Giardini Una stazione radiobase da realizzare o in riconfigurazione tra i 100 e i 200 metri. Tre stazioni realizzate e una da realizzare o in riconfigurazione tra i 200 e i 500 metri. Massimo del campo elettrico 0,58 V/m, minimo 0,50.
Via del pane bianco-scuola materna
Cinque stazioni radiobase realizzate e due da realizzare o in riconfigurazione tra i 200 e i 500 metri. Massimo del campo elettrico 0,83 V/m, minimo 0,60.
Passeggio Sant’Andrea-piscina Due stazioni radiobase realizzate e una da realizzare o in riconfigurazione tra i 100 e i 200 metri. Due stazioni realizzate tra i 200 e i 500 metri. Massimo del campo elettrico 0,67 V/m, minimo 0,50.
Strada del Friuli Una stazione radiobase entro 100 metri. Massimo del campo elettrico 3,29 V/m, minimo 2,70.
Via Puccini-scuola materna Tre stazioni radiobase fra i 200 e i 500 metri. Massimo del campo elettrico 0,58 V/m, minimo 0,50.
Via Diaz-Museo Revoltella Una stazione radiobase entro 100 metri, una tra i 100 e i 200 metri, quattro e una da realizzare o in riconfigurazione tra i 200 e i 500 metri. Massimo del campo elettrico 1,89 V/m, minimo 1,50.
Ospedale Burlo Garofolo Tra i 200 e i 500 metri, cinque stazioni radiobase, una microcella e due stazioni di realizzare o in riconfigurazione. Massimo del campo elettrico 0,68 V/m, minimo 0,50.
Via Franca Una stazione radiobase entro 100 metri. Tra i 200 e i 500 metri, sette stazioni e una da realizzare o in riconfigurazione. Massimo del campo elettrico 1,77 V/m, minimo 1,29

 

I controlli dell'ARPA

 

 

IL PICCOLO - VENERDÌ, 10 NOVEMBRE 2006 - Pagina 25 - Trieste

 

Ambientalisti contro il testo  - Wwf all’attacco: «Piano regolatore, solo speculazione»

 

Wwf e Italia Nostra vanno all’attacco del piano regolatore della città, «che risponde esclusivamente agli interessi del mondo della speculazione immobiliare», e chiamano a raccolta i cittadini, attraverso una petizione.
Lo hanno annunciato ieri Dario Predonzan e Carlo Della Bella, responsabili locali del Wwf e Giulia Giacomich, presidente della sezione triestina di Italia Nostra. «Questo piano – ha spiegato Predonzan – è stato approvato a suo tempo dalla maggioranza di centrosinistra, guidata da Riccardo Illy, e non è stato modificato dal centrodestra, che governa oramai da anni la città. Questo sta a significare – ha aggiunto – che gli interessi eccellenti che stanno alla base delle scelte fatte sono troppo forti per poter essere messi in discussione. È giunto perciò il momento di attivarci noi ambientalisti – ha precisato – gli unici ai quali stanno a cuore le sorti dell’equilibrio paesaggistico di Trieste. Per questo chiamiamo all’appello quanti vogliono che la nostra città non sia completamente coperta dal cemento. Raccoglieremo le firme necessarie e le presenteremo alle competenti autorità – ha concluso – chiedendo con forza una variante al piano regolatore, che modifichi le previsioni di nuove edificazioni».
La Giacomich ha evidenziato che «la variante deve ispirarsi a criteri di sostenibilità ambientale, con particolare attenzione alla tutela dei corridoi ecologici nelle porzioni di territorio di pregio naturalistico». Wwf e Italia Nostra lamentano poi il fatto che «nel corso di tutte le ricognizioni fatte, gli ambientalisti sono sempre stati accuratamente lasciati in disparte, per permettere ai pubblici amministratori di soddisfare le esigenze del mondo della speculazione edilizia».
Predonzan, Della Bella e la Giacomich hanno poi evidenziato che «hanno aderito all’iniziativa numerosi comitati spontanei, sorti in varie parti della città negli ultimi mesi, proprio perché appare evidente la volontà di cementificare anche le aree di maggior pregio paesaggistico, cancellando ovunque il poco verde rimasto».
Ieri, all’incontro con la stampa, erano presenti esponenti di alcuni di questi comitati. L’appello è stato comunque accolto dai residenti di Campo Marzio, via Belpoggio, androne Santa Tecla e Sant’Eufemia, dai comitati «Cedassamare», «Salviamo via del Pucino e via Plinio», «Per la tutela di Barcola», di Gretta, Roiano, viale XX Settembre, per la difesa del giardino di via Flavia, dall’Associazione «Il Capofonte». Gli ambientalisti hanno infine sottolineato che «il principio al quale i pubblici amministratori devono uniformarsi, quando operano le scelte che riguardano il futuro assetto della città, deve essere quello dell’urbanistica partecipata».

 

 

IL PICCOLO - VENERDÌ, 10 NOVEMBRE 2006 - Pagina 21 - Trieste

 

Smog, sforano le polveri sottili in via Carpineto e piazza Libertà

 

DATI ARPA

Nuovi sforamenti nei valori delle polveri sottili nell’aria Nella giornata di mercoledì, le centraline dell’Arpa hanno evidenziato livelli di Pm10 superiori alla soglia massima giornaliera consentita pari a 50 mg/m3 (microgrammi per metro cubo).
La concentrazione più alta, pari a 100 mg/m3 è stata registrata in via Carpineto. Superiori alla soglia massima anche i livelli di Piazza Libertà ( 64 mg/m3) e via Svevo (74 mg/m3).
La situazione non è destinata a migliorare a breve. Per i prossimi giorni, infatti, non sono previste precipitazioni, ma condizioni di cielo sereno o poco nuvoloso con venti moderati. L’amministrazione comunale, che provvederà nelle prossime sere al lavaggio notturno delle strade, invita la cittadinanza a limitare l’uso di automobili e motorini.
 

 

 

 

ARGONAVIS, 09 NOVEMBRE 2006

Inquinamento da mercurio nel golfo di Trieste

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDÌ, 09 NOVEMBRE 2006 - Pagina 32 - Trieste

 

Ho letto sulle segnalazioni del 31 ottobre la seconda puntata dello scambio di opininioni tra il signor Scrocco del Comitato per la salvaguardia del Golfo di Trieste e il professor Santoro di Legambiente. Il primo nega la necessità dei rigassificatori e teme che Santoro sia a favore, almeno per quello sulla terraferma. In più Scrocco paventa una spaccatura del fronte ambientalista, tanto da preferire in questo caso di «soffocare nel silenzio questo argomento».
Sono perplesso. Sembra un duello in punta di fioretto in cui si perde di vista il problema della produzione di energia il più possibile pulita per sottolineare invece interessi di rappresentanza. Strana Italia. Gli ecologisti francesi plaudono alla Tav, i nostri tentano di bloccarla; in Campania l’ostilità ai termovalorizzatori (pudica definizione per inceneritori) vede la sconvolgente convergenza di ambientalisti e camorra; i rifiuti radioattivi paiono stare meglio in superficie che a 200 metri di profondità; la centrale di Monfalcone preferisce il carbone che evidentemente, anni fa, quando era possibile scegliere, è stato valutato più pulito del gas. Resta l’eolico, ma Italia Nostra si oppone per la conseguente distruzione del paesaggio. Il solare va bene finché non c’è: voglio vedere l’accettabilità quando vaste superfici dovessero essere ricoperte da lastre traslucide. Del nucleare neanche parlarne, ma tanto lo acquistiamo a caro prezzo dai nostri vicini. Consoliamoci tuttavia perché il tempo risolve tutti i problemi: anche il gas finirà tra qualche decennio e quindi non conviene neppure pensarci.
Nel frattempo cosa fare? Polemizzare naturalmente, poi risparmiare (è facile risparmiare quello che non c’è...), poi fondare nuovi comitati.
Per favore, datemi un’Associazione di ambientalisti capace di un intelligente compromesso. Probabilmente mi ci iscriverei subito.
Claudio Poropat
 

 

IL PICCOLO - GIOVEDÌ, 09 NOVEMBRE 2006 - Pagina 32 - Trieste

Ho letto su Segnalazioni l’amara lettera della signora Alena Bevilacqua su quanti da anni non fanno niente per mettere fine a quel mostro inquinatore della Ferriera, di conseguenza mi sorge una domanda. A Piombino, chissà perché e come, hanno chiuso la cocheria, di conseguenza quella produzione che viene a mancare dove pensate che la produrranno? Ma è ovvio, a Servola, visto che Lucchini non più tardi di ieri sera al nostro Tg ha fatto dire che intende incrementare la produzione, tanto dirà a Trieste faccio i miei porci comodi, e se gli opereai che vi lavorano, i cittadini di Servola e dintorni crepano di malattie polmonari, chissenefrega!
Gli altri devono solo tacere e subire. Inoltre vorrei dire a tutti quei sapientoni che dicono che la Ferriera c’era prima che attorno costruissero delle case, ma vi rendete conto delle castronerie che dite? Vi siete resi conto che nel frattempo sono passati 100 anni, ripeto 100 anni, a questo punto secondo un vostro ragionamento dovrebbero rimettere le locomotive a vapore, tornare con la benzina super e non verde, togliere a tutte le auto la marmitta catalitica, e così via, ma siccome tutto questo non esiste più per ovvi motivi (l’inquinamento) non vedo perché sua eccellenza la Ferriera non si deve adeguare alle nuove norme. La gentile signora Bevilacqua ha lanciato l’ottima idea di intervenire presso il tribunale europeo, pregherei la suddetta di spiegarci come fare, e soprattutto se occorrono più firme.
Franco Castiglione
 

 

LA REPUBBLICA - mercoledì 8 novembre 2006 - ESTERI

 
 

L'ambientalista africana ha avanzato la sua proposta al vertice Onu di Nairobi sul clima
L'iniziativa permetterebbe di "catturare" 250 milioni di tonnellate di CO2

"Salviamo la Terra con un miliardo di alberi" La proposta del premio Nobel Maathai

L'idea è sostenuta dalle Nazioni Unite: "Avremmo tutti da guadagnarci"

Wangari Maathai presenta la sua iniziativa

NAIROBI - Piantare un miliardo di alberi nel corso del 2007 per aiutare il pianeta a evitare un collasso da anidride carbonica. Ad avanzare la proposta, a margine della conferenza internazionale sui cambiamenti climatici in corso a Nairobi, è il premio Nobel per la pace Wangari Maathai. L'ambientalista africana, premiata con il riconoscimento della Fondazione di Oslo per la sua battaglia per il rimboschimento dell'Africa, è convinta che per quanto ambizioso, si tratti di un progetto fattibile.

"Chiunque - ha spiegato - può scavare una buca, metterci dentro un albero e poi innafiarlo, prendendosi cura che non muoia. Nel mondo siamo sei miliardi di persone e se anche solo una ogni sei piantasse un albero l'obiettivo sarebbe raggiunto".

Maathai, 66 anni, nativa del Kenya, ha vinto il Nobel nel 2004 proprio grazie a un'iniziativa simile lanciata in Africa dal Green Belt Movement che ha combattuto desertificazione ed erosione del suolo piantando circa 30 milioni di alberi. Un impegno che ha contribuito a contrastare la povertà e a disinnescare potenziali conflitti per l'accaparramento di materiali da costruzione e legna da ardere.

La proposta di Wangari Maathai ha trovato consensi tra i delegati riuniti a Nairobi. Achim Steiner, direttore del programma delle Nazioni Unite per l'ambiente, ha ricordato come spesso le discussioni in corso in questi vertici internazionali appaiano dall'esterno di difficile comprensione e producano dei risultati solo molto lentamente. "Ma mentre i governi portano avanti i loro negoziati - ha spiegato - i cittadini possono agire e piantare alberi è un modo di agire che può dare solo benefici, come pochi altri sono in grado di fare".
 

Riuscire nell'impresa di piantare un miliardo di alberi, ha spiegato ancora Steiner, porterebbe a un assorbimento di circa 250 milioni di tonnellate di anidride carbonica responsabili dell'innalzamento delle temperature. Una quota piccola, ma non trascurabile, se si calcola che l'Europa stando al Protocollo di Kyoto dovrebbe ridurre entro il 2012 l'8% dei suoi 35 miliardi di tonnellate di anidride carbonica prodotti annualmente. Complessivamente si calcola che la deforestazione selvaggia in corso soprattutto in Asia, Africa e America Latina contribuisca per circa un quinto all'aumento dei gas serra. Al di là del sostegno dato a parole, l'Onu non ha però intenzione di finanziare il progetto del premio Nobel.
 

 

 

ARGONAVIS, 08 NOVEMBRE 2006

Alghe: segnalazione di una specie tossica nel golfo di Trieste

 

IL PICCOLO - MERCOLEDÌ, 08 NOVEMBRE 2006 - Pagina 20 - Trieste

 

Parcheggi, un piano da seimila posti -  In Foro Ulpiano 450 stalli in più. Altre 486 auto sotto la Stazione Marittima

 

Il progetto degli uffici comunali andrà ora approvato dalla giunta. Ventotto nuove strutture, di cui molte interrate, tra centro e periferia Ventotto nuovi parcheggi disseminati tra il centro e la periferia, tutti almeno parzialmente interrati, per un totale di 5.990 posti macchina. Il più capiente, per ben 724 automobili, è il primo che si incomincerà a costruire: è quello sotto il colle di San Giusto dove le operazioni di scavo partiranno nel marzo del prossimo anno. Il più piccolo, per 75 posti soltanto, sarà realizzato a San Vito, tra le vie Tigor e Cereria.
Sono queste le linee riassuntive del «Piano urbano parcheggi» redatto dagli uffici del Comune in base alle indicazioni dell’assessore alla mobilità Maurizio Bucci, che nei prossimi giorni la giunta comunale dovrà approvare e che sarà anche portato all’atenzione dei capigruppo delle forze politiche presenti in Consiglio. Una presentazione pubblica già programmata è stata fatta slittare a fine mese poiché in questi giorni i tecnici del Comune e quelli della Regione si stanno incontrando per definire la Vas, Valutazione ambientale strategica, documento reso obbligatorio dalle più recenti normative del Friuli Venezia Giulia.
Tra i parcheggi previsti in centro, oltre a quello al quale si accederà dalla via del Teatro Romano, il raddoppio con 450 posti in più di quello già esistente in foro Ulpiano davanti al Palazzo di giustizia. Tutta via Giustiniano diverrà zona pedonale (spariranno logicamente i parcheggi di superfici) e verrà creata una sorta di piazza rettangolare con una fontana al centro. Due i parcheggi già inseriti nel Piano che verranno realizzati sul waterfront: il primo, per 486 posti, sorgerà davanti alla Stazione marittima, il secondo sarà realizzato successivamente dinanzi alla Capitaneria di porto. È ancora in via di valutazione invece il terzo parcheggio previsto sulle Rive: quello nell’area dell’ex Bianchi che dovrebbe servire il Centro congressi che nascerà al posto del Magazzino vini.
Molti altri parking però saranno realizzati nell’immediata periferia. Uno è previsto a Rozzol, alla confluenza tra via Revoltella e via D’Angeli e poco più sotto, addirittura altri due: uno in piazzale De Gasperi e uno in piazza Foraggi. Nuovo parcheggio interrato anche a Roiano, per la precisione in largo Roiano. Ancora, ai margini del centro, un parking interrato per cento posti sarà creato in largo Canal, alla sommità di via San Michele dove sarà creata una piazzetta pedonale, e un altro poco più grande, di 116 posti, si farà in largo Papa Giovanni.
Ancora, è contenuto nel «Pup» un megaparcheggio interrato da 500 posti che verrà realizzato nell’ambito dell’intervento che realizzerà un campus universitario e che comprenderà anche residenze per studenti e docenti, servizi, aule computerizzate e strutture culturali e sportive, e che sorgerà sotto il curvone di piazzale Europa.
Il Piano, come rileva lo stesso assessore Bucci, è stato progettato tenendo conto di tre parametri: la «fame» di parcheggi nelle varie zone della città, la disponibilità di spazi da utilizzare e l’effettiva possibilità di concreta realizzazione. I parcheggi saranno tutti realizzati con il sistema del project financing e mentre in quelli in centro la maggior parte dei posti saranno a rotazione e una piccola quota verrà posta in vendita, il contrario succederà in quelli più periferici.

 Silvio Maranzana

Il Cnr: dal terminal ENDESA odore di cloro in spiaggia - L’Isola rischia di essere invasa dai vapori della sostanza scaricata dall’impianto
 

GRADO Grado rischia di essere invasa dall’odore di cloro, a causa del rigassificatore off shore che la spagnola Endesa vorrebbe installare nel golfo. A stabilirlo è stato uno studio preliminare dell’Ismar, ente di ricerca del Cnr. Attraverso una simulazione grafica, che è possibile visionare direttamente dal sito internet della Provincia (www.provincia.gorizia.it), un team di ricercatori guidato dal professor George Ungiesser ha studiato il comportamento e il percorso che il cloro emesso dal rigassificatore subirebbe una volta espulso dell’impianto. Secondo l’Ismar, il tracciato della sostanza, a causa delle correnti marine, andrebbe ad interessare un’area di svariate miglia tutt’attorno al terminal off shore mentre l’odore, in presenza di vento moderato proveniente dal mare, raggiungerebbe facilmente Grado, le sue spiagge e la sua laguna. «Si tratta di una ricerca scientifica che non fa altro che supportare il parere negativo che la giunta e il Consiglio provinciale avevano già espresso a giugno – ha spiegato l’assessore all’ambiente Mara Cernic, presentando ieri mattina la simulazione grafica – facendo emergere le ricadute negative che quel rigassificatore comporterebbe per il turismo di Grado e dell’intera provincia». Ricadute negative che, per ora, rimangono legate solo alla questione dell’odore di cloro che verrebbe percepito. «Lo studio dell’Ismar non è finalizzato ad approfondire eventuali problematiche riguardanti la salute e, più in generale, l’inquinamento – ha specificato Cernic per evitare allarmismi – anche se è ormai chiara la necessità di ulteriori analisi e valutazioni dell’impatto di questo genere di impianti». Perché, questo del cloro, è solo l’ultimo dei tanti nodi di questa complessa vicenda. Ad esempio, rimangono ancora dei dubbi sull’impronta paesaggistica del rigassificatore che, con la sua torre alta 75 metri sul livello del mare, pur se lontana dieci miglia dalla costa, sarebbe facilmente visibile soprattutto di sera e di notte. E non è del tutto chiara nemmeno la questione legata al raffreddamento dell’acqua. Il terminal, infatti, rilascerebbe nel golfo grandi quantità d’acqua caratterizzate da una temperatura più bassa di circa cinque gradi rispetto a quella del mare circostante. Le ripercussioni che potrebbero esserci ai danni della fauna, e di conseguenza della pesca, sono ancora tutte da capire. Ma non è finita qua. Dallo studio dell’Ismar è anche possibile rendersi conto che, nel corso dell’anno, il cloro nell’acqua di mare attorno all’impianto raggiungerebbe più volte il limite di 0,05 milligrammi per litro fissato dalla legge.

Nicola Comelli

 

 

Il premio Nobel è intervenuto al convegno dell’Ictp (International Centre for Theoretical Physics) dedicato a Abdus Salam nel decennale della scomparsa

TRIESTE Monito dal premio Nobel per la Fisica, Carlo Rubbia, sullo scarso utilizzo delle nuove fonti d’energia rinnovabile. L'occasione è l'apertura a Trieste di un workshop Nato «Scambio di conoscenze attraverso il Mediterraneo» organizzato al Centro Internazionale di fisica teorica Ictp e dedicato alla memoria del fondatore dell’Ictp, Abdus Salam, scomparso esattamente 10 anni fa. In particolare Rubbia ha chiesto di aumentare gli investimenti nelle energie rinnovabili e nelle nuove tecnologie.
«Per sviluppare le energie alternative – ha affermato il premio Nobel - bisogna inventare, scoprire e per questo spendere molto di più in ricerca a livello mondiale. È proprio per questo che i governi di tutti i paesi dovrebbero spendere in ricerca per le energie alternative e rinnovabili almeno l'1% delle somme che ogni anno sono destinate per le energie fossili. Ciò significherebbe moltiplicare del 10% i finanziamenti attuali». Il black-out europeo che sabato scorso ha colpito anche alcune città italiane dovrebbe far pensare infatti quanto le fonti rinnovabili siano diventate una «necessità energetica». «Non possiamo continuare solo sulla via del gas e del petrolio – ha aggiunto Rubbia. Quando sul pianeta arriveremo a quota dieci miliardi di persone, non so come potremo far fronte alla domanda energetica senza aver investito sufficientemente nelle fonti alternative e non inquinanti per l’ambiente».
«La domanda d’energia è sempre più crescente - ha spiegato lo scienziato- basti pensare che a livello planetario il consumo energetico è aumentato del 3% l' anno negli ultimi 25 anni, senza contare che nuovi colossi, come la Cina e l'India, richiederanno un fabbisogno d’energia ancor più importante nel prossimo decennio. Cosa faremo però quando arriveremo alla saturazione delle risorse?».
«Si parla molto di grandissimi impegni di sviluppo tecnologico, di potentissime reti di trasporto energetico – ha aggiunto il Premio Nobel- ma la parte scientifica e dello sviluppo d’energie alternative sembra una storia dimenticata. Oggi si continua a crescere su un’esponenziale in cui si parla sempre di più di petrolio, energia fossile, gas naturale. Non ci si preoccupa né degli effetti climatici che sono importanti né del fatto che questa crescita esponenziale arriverà ad un limite». In altre parole, l'energia è la base delle economie e del benessere dell'umanità, ma bruciare combustibili fossili al di là dello strettamente necessario, aumenta i rischi già esistenti di cambiamenti climatici e d’inquinamento atmosferico. Secondo le ultime statistiche Onu, infatti, mentre da una parte ci sono circa 1,6 miliardi di persone dei paesi poveri che non hanno elettricità e che usano legna e rifiuti agricoli inquinando l'atmosfera e ponendo gravi rischi alla salute, dall' altra parte, nei paesi ricchi gli impianti termoelettrici, che hanno un rendimento medio del 35%, buttano via il 65% dell'energia, che va invece recuperata e utilizzata. Analogamente nel trasporto, l'uso di veicoli ibridi è la soluzione migliore per non sprecare energia.
Secondo Rubbia, l'uso pulito dell'energia passa quindi più che mai dalle fonti rinnovabili non «esauribili». «Per quanto riguarda in particolar modo l'energia solare - ha aggiunto infine Rubbia - dobbiamo riuscire a conservare nel tempo l'energia accumulata, in modo da trasformare una fonte dipendente dalle condizioni climatiche in un'energia disponibile in maniera costante per la collettività». Questo tipo di fonte energetica pulita, infatti, se applicata industrialmente su larga scala, potrebbe sostituire l'energia derivante da carbone, petrolio e metano.
Gabriela Preda

 

 

IL PICCOLO - LUNEDÌ 6 NOVEMBRE 2006 -  ATTUALITÀ

Finanziaria, stop al fondo per i rigassificatori Bloccati i tagli previsti per università e ricerca

In arrivo la tassa sui biodiesel. Un emendamento assicura 60 milioni di euro agli atenei
ROMA Niente più misure «in materia di fiscalità energetica per finalità sociali e misure per favorire l'insediamento di infrastrutture energetiche sul territorio», tra cui ricadono i rigassificatori. Con un emendamento presentato dal relatore alla manovra Michele Ventura viene soppresso l'articolo della finanziaria che stanzia un fondo nel limite massimo di 100 mln euro proprio a questo scopo.
Il comma due prevedeva che tali risorse potessero essere «destinate al finanziamento di interventi di carattere sociale da parte di Comuni a favore dei cittadini residenti nei territori interessati dalla realizzazione di nuove infrastrutture energetiche, anche ai fini della riduzione dei costi delle forniture di energia per usi civili».
«Questa decisione rischia di aumentare ancora di più la confusione sull’argomento già presente a livello locale e nazionale - ha commentato il vicesindaco di Trieste Paris Lippi - e allontana la prospettiva di insediamento dei rigassificatori nella nostra città» Lippi ricorda poi come attualmente la vicenda sia in «uno stato di stand by: finché non ci saranno dati certi sull’impatto ambientale dei rigassificatori non si andrà ne avanti nè indietro. E la confusione del governo circa il reale fabbisogno di questi impianti e il loro posizionamento non aiuta di certo».
«Sinceramente non so quali ricadute avrà la mancanza di questi fondi sulla vicenda locale - è invece il commento della presidente della Provincia di Trieste Maria Teresa Bassa Poropat - ma di certo è innegabile che l’emergenza-energia costituisce un problema grave e urgente - e il recente blackout in Piemonte, Liguria e nel Sakento ne è la prova più evidente - e dunque da affrontare al più presto».
Stop anche al taglio di 60 milioni di euro a università e ricerca. È quanto stabilisce un emendamento presentato dal relatore alla manovra Michele Ventura. «Per l'anno 2007 non trovano applicazione nei confronti delle università statali, degli enti pubblici di ricerca e dele istituzioni di alta formazione artistica e musicale» le disposizioni previste dalla manovra correttiva.
Dal 2007 il biodisel passerà «da un regime di esenzione fiscale ad un regime di agevolazioni fiscali», fissando l'imposta a cui sarà sottoposto «al 20% dell'aliquota di accisa fissata per il gasolio».

 

 

 

e-mail di GIOVEDI' 2 NOVEMBRE 2006

Rigassificatori nel Golfo di Trieste - due novità decisive 

conferenza stampa dei Friends of the Earth - Amici della Terra Trieste 

con il Comitato per la Salvaguardia del Golfo di Trieste.

 

Trieste 2 novembre 2006 - L’associazione ambientalista  Friends of the Earth - Amici della Terra (FoE - AdT) ha presentato in conferenza stampa a Trieste i documenti su due novità decisive sui contestati progetti di due rigassificatori nel Golfo di Trieste.

FoE - AdT ha presentato alla Commissione Europea una denuncia per violazione delle norme comunitarie in materia ambientale sulla sicurezza degli impianti e sull’obbligo, disatteso dalle autorità italiane, di informare preventivamente i cittadini e garantire loro  possibilità di ricorso, e di coinvolgere tempestivamente Slovenia e Croazia quali Paesi confinanti interessati dall’impatto degli impianti.

La denuncia fa riferimento all’interrogazione presentata in maggio alla Commissione Europea dall’europarlamentare slovena Mojca Drcar-Murko, con risposta del Commissario Dimas e  riassume le osservazioni degli studiosi italiani e sloveni.

Contemporaneamente il Ministero dell'Ambiente ha chiesto alle società proponenti , le spagnole Endesa e Gas Natural ed alla Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia  radicali integrazioni delle proposte, dichiarandole insufficienti per gravi carenze in materia ambientale, di sicurezza e per il mancato coinvolgimento di Slovenia e Croazia.

Secondo Friends of The Earth - Amici della Terra, l’estensione del problema a livello europeo e la conferma ministeriale documentata delle gravi carenze dei due progetti dovrebbero liquidare il problema e far tacere i  politici regionali e locali che hanno tentato di imporre la realizzazione dei due pericolosi impianti in un’area transconfinaria densamente popolata.

 

     AMICI DELLA TERRA TRIESTE  - via Cadorna 5 - 34100 Trieste - Tel/fax 040311499 - Internet: www.adt-fvg.org  - E-mail: info@adt-fvg.org

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDÌ 31 OTTOBRE 2006

 

Ferriera, le sei schede antinquinamento
 

di Sono sei le schede tecniche su cui si è aperto il confronto tra Procura e il gruppo Lucchini per riportare nei limiti di legge le emissioni della Ferriera. Un accordo innovativo, che giunge a cinque anni dall’avvio della prima inchiesta e che potrebbe aprire le porte al dissequestro degli impianti «congelati» più di un anno fa. Ogni scheda descrive l’impianto da cui provengono le emissioni imbrattanti, le disfunzioni riscontrate e l’intervento necessario a risolverle, nonchè la spesa da affrontare. La prima scheda è dedicata alle porte laterali delle celle di distillazione della cokeria. Le porte vanno revisionate o sostituite, come i dispositivi meccanici di tenuta e i telai di accoppiamento con i forni. Inoltre ora il programma prevede il raddoppio delle verifiche sulle porte. Otto al giorno al posto delle attuali quattro. La spesa è di 300 mila euro e i lavori dovrebbero iniziare immediatamente. Il secondo intervento riguarda la sostituzione del filtro a tegoli in acciaio inossidabile della torre di spegnimento del coke. Si tratta di un lavoro appena ultimato, che garantisce una maggiore efficienza nell’abbattimento della polveri in fase di spegnimento del carbone incandescente. Spesa 150 mila euro, con riduzione delle polveri del 20 per cento. Il terzo intervento prevede la sostituzione delle piastre di tenuta dei tiranti delle batterie della cokeria e la sigillatura dei ponti superiori dei forni. Costo 150 mila euro, con abbattimento del 20 per cento delle polveri. La quarta scheda descrive la sostituzione e il ripristino delle colonne di sviluppo della batteria B della cokeria. I lavori inizieranno a dicembre e costeranno 200 mila euro. L’obiettivo è un’ulteriore riduzione del 50 per cento delle emissioni. Il quinto intervento è dedicato al campo di colata dell’altoforno e prevede la costruzione di un nuovo sistema di aspirazione. I fumi dovrebbero ridursi dell’80 per cento. Costo 850 mila euro: tempo di realizzazione, un anno. L’ultima scheda descrive l’ampliamento delle rete di irrorazione dei parchi del carbone e dei minerali. Da 20 punti si passerà a 46, e le irrorazioni saranno automatizzate. Una serie di sensori terranno conto della velocità del vento e adegueranno le frequenze di bagnatura. Costo 350 mila euro; avvio dei lavori a dicembre.

Claudio Ernè

 

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDÌ 17 OTTOBRE 2006

 

Rifondazione da Piombino lancia l'allarme: «Ferriera a rischio»
 

«Il piano industriale della Lucchini mette Servola in condizioni di criticità. Per Piombino il piano industriale c’è, ha tutte le caratteristiche per esserlo mentre per la Ferriera è solamente un piano d’intenti. Non si intravvede la volontà della Severstal a investire sulla produzione industriale, forse hanno altri interessi visto che Trieste ha altre peculiarità. I russi puntano all’autonomia funzionale delle banchine».È più che un’ipotesi questa per Alessandro Favilli, del Dipartimento nazionale del lavoro di Rifondazione per il settore siderurgico e consigliere comunale a Piombino, giunto a Trieste nei giorni scorsi reduce prima da un’assemblea di lavoratori in Ferriera e poi da un vertice con abitanti e lavoratori a Servola accompagnato dal collega locale Paolo Hlacia. L’ha ribadita questa tesi Favilli agli incontri pubblici lanciando un allarme, forte di un paragone di quanto sta accadendo a Piombino.Tremila gli occupati in quella fabbrica collocata in una posizione simile a quella di Trieste ma distribuita su 1000 ettari di area industriale: a Piombino l’azienda, al contrario di Trieste, si «mangia la città» assieme alle altre realtà produttive (Magona e Dalmine).Stessi sia a Trieste che Piombino i problemi ambientali (la Procura ha chiuso una cokeria, quella a 27 forni mentre quella a 48 ha proseguito). «La situazione ambientale era critica – racconta Favilli – nel 2004 c’è stata una grande manifestazione pubblica contro l’inquinamento che ha visto scendere in piazza tutti. Partiti, sindacati, cittadini e lavoratori. Abbiamo trovato un’unità di fondo dicendo no n alla chiusura e sì alla produzione di acciaio pulito e non inquinato». Si è trovato un accordo. «A Trieste ho trovato dialogo tra lavoratori e cittadini, ma la latitanza delle istituzioni». Tutto un problema di investimenti. «A Piombino c’è il piano industriale, l’elenco degli investimenti e la volontà di intervenire. A Trieste no. per questo vediamo la Ferriera a rischio. In questo momento non abbiamo notizia nemmeno di arrivi di coke da Trieste e pensiamo che ci sia il disinteresse nella produzione dcell’acciaio. Sarebbe una follia dismettere quell’industria, il settore dell’acciaio per l’Italia è strategico».

g.g.

 

IL PICCOLO - LUNEDÌ 16 OTTOBRE 2006

Rigassificatori: contrasto tra opposte esigenze
La Regione ha rinviato, gli studi d'impatto ambientale (Sia) dei due rigassificatori, sia quello off-shore dell'Endesa, sia quello on-shore della Gas Natural. Le carenze progettuali e l'unicità delle proposte (un Sia deve contenere il confronto tra alternative diverse e le motivazioni che portano a privilegiare una scelta rispetto alle altre, e anche le ricadute del do nothing, cioè di nessun intervento), la carenza di dati e l'esame non approfondito dell'impatto sull'ambiente hanno comportato il giudizio di non conformità dell'elaborato. Sull'argomento si scontrano problematiche diverse: da un lato gli aspetti della programmazione e della pianificazione di settore e dell'uso del territorio, dall'altro gli interessi economici dei proponenti, le ricadute sul territorio derivanti dalle royalties e dalle entrate tributarie dei Comuni e della Regione, e infine le preoccupazioni relative ai rischi che impianti di questo tipo comportano per l'ambiente e per le popolazioni coinvolte.
Nel caso dei rigassificatori assistiamo a un'eccessiva semplificazione: rigassificatori sì, rigassificatori no. Serve invece un ragionamento articolato di fronte a uno scenario complesso in cui tuttavia una cosa appare chiara: la necessità, almeno transitoria, di sostituire i combustibili fossili più diffusi nella produzione di energia (petrolio e carbone) con il metano, che rispetto agli altri combustibili fossili comporta una minor produzione di diossido di carbonio e di inquinanti per quantità di energia prodotta (dal 20 al 30% in meno).
Il mercato internazionale del gas è in gran parte vincolato dal trasporto attraverso gasdotti terrestri e sottomarini. Con la liquefazione del gas naturale nei luoghi di estrazione l'approvvigionamento via nave risulterebbe più flessibile grazie alla diversificazione dei mercati di riferimento. C'è un però: le stime prevedono un raddoppio dei consumi fra vent'anni, per cui è presumibile che fra non più di 40 anni ci avvieremo verso un esaurimento delle risorse.
In un quadro internazionale contraddittorio fra bisogni delle collettività e interessi delle multinazionali si collocano gli impianti di rigassificazione che riguardano anche il nostro territorio. Rigassificatori che presentano impatti su un ambiente marino caratterizzato da bassi fondali, interferenze con il traffico commerciale navale, implicano la necessità di ampliamento delle reti di gasdotti a terra. La presenza di tali impianti costituisce un rischio, per la popolazione. Ma soprattutto non va sottovalutata l'ipotesi di attentati contro i serbatoi o le navi gasiere. Il vapore di gas liquefatto disperso nell'atmosfera, in seguito a un incidente di grandi dimensioni o a un attentato, darebbe luogo una nube fredda più densa dell'aria che potrebbe spostarsi, quasi al livello del suolo, anche per chilometri prima di disperdersi o di incendiarsi. I suoi margini, incendiandosi, produrrebbero una nube incandescente con ulteriore effetto letale e distruttivo.
Questi possibili scenari, che non sono stati considerati nei Sia relativi ai due progetti di Endesa e di Gas Natural, devono far riflettere sulla collocazione degli impianti. In particolare l'impianto on-shore di Zaule comporta rischi molto alti per la popolazione, al di là di ogni altra considerazione riguardante l'impatto sull'ambiente. I cittadini dovrebbero essere correttamente informati attraverso forme di partecipazione estese a tutte le comunità portatrici di interesse diffuso.
Lino Santoro -  Legambiente Trieste
 

IL PICCOLO - GIOVEDÌ 12 OTTOBRE 2006

 

Ci vogliono i rigassificatori perché in Friuli Venezia Giulia si parli di energia.

 

Fu già così dieci anni fa con la proposta di realizzare un terminal metanifero a Monfalcone, che Legambiente sostenne e che fu accantonata dopo la vittoria dei no in un referendum locale. Succede di nuovo oggi, con i due progetti entrambi collocati nel Golfo di Trieste: quello off-shore presentato da Endesa, quello a terra firmato Gas Natural. Benedetti i rigassificatori, allora, visto che in questa regione, come in tutto il Paese, la questione energia ha una grande, grandissima rilevanza sul piano sociale, economico, ambientale.
L’attuale sistema energetico, largamente basato sul petrolio e sempre più inefficiente (siamo sotto la media europea quanto a consumi di energia per unità di Pil), penalizza la competitività dell'economia e determina pesanti costi socio-ambientali in termini di inquinamento sia locale che globale; riformarlo alla radice è un indiscutibile interesse generale.
Di rigassificatori, però, bisogna parlare con serietà e con rigore, fuori dalla demagogia e dai pregiudizi ideologici. Partendo dal generale, non può esservi dubbio sull'utilità di realizzare in Italia alcuni impianti di rigassificazione del metano. Oltre i due terzi di tutto il gas che consumiamo arrivano attraverso i due grandi gasdotti russo ed algerino: se si vuole ridurre la dipendenza dal petrolio e dal carbone occorre diversificare gli approvvigionamenti rendendo possibile l'importazione di gas liquefatto via mare. Questo avrebbe effetti positivi anche sui prezzi - oggi stabiliti in regime di semi-monopolio dai nostri due unici fornitori -, e ci emanciperebbe almeno in parte dall'insicurezza geopolitica connaturata alle due aree di provenienza del metano che arriva via tubo. Sul piano ambientale, sostituire quote di petrolio e di carbone con il gas è sicuramente un bene: il gas tra le fonti fossili è quella meno inquinante, e le centrali termoelettriche che usano il metano sono tra le più efficienti.
Naturalmente il metano non è un'energia "a emissioni zero", come sono invece le fonti rinnovabili (eolico e solare in testa), e puntare sul metano ha senso, sul piano ambientale, se al tempo stesso ci si muove seriamente per accrescere la produzione di energia pulita e per migliorare l'efficienza degli usi energetici. Insomma: più fonti rinnovabili, più efficienza e più metano sono le tre "gambe" di una politica energetica moderna e sostenibile, e per il nostro Paese sono le tre priorità di azione per contribuire alla lotta ai mutamenti climatici nella misura assegnataci dal Protocollo di Kyoto.
Dal generale al particolare, anche per il Friuli Venezia Giulia il metano può essere una risposta utile, utile per esempio ad accelerare la riconversione di centrali molto inquinanti come quella di Monfalcone alimentata a carbone e a olio combustibile. Qui vengono però le note dolenti, che riguardano i tanti buchi neri della politica energetica regionale: una politica spesso latitante e sempre approssimativa. Da tre anni si aspetta il nuovo piano energetico, che il presidente Illy ha più volte presentato come "cosa fatta". Nel frattempo, il sistema energetico regionale diventa ogni giorno più insostenibile: nemmeno un megawatt installato di energia solare o eolica, un altissimo e crescente consumo pro-capite di elettricità (superiore del 50% al dato nazionale: il Friuli Venezia Giulia è la regione più "sprecona" d'Italia), un trend in rapida crescita delle emissioni di anidride carbonica - il principale gas climalterante, proveniente il larga parte della combustione di petrolio e carbone - che dal 1990 ad oggi sono cresciute da 9 a oltre 12 milioni di tonnellate (in base al Protocollo di Kyoto, l'Italia e dunque anche il Friuli Venezia Giulia dovrebbero ridurle del 6,5% entro il 2012!).
Le previsioni e gli impegni contenuti nell'attuale bozza di Piano energetico regionale restano drammaticamente al di sotto di questi problemi e di queste arretratezze, e inoltre mancano di ogni indicazione chiara in materia di rigassificatori. Così, mentre Illy dichiara che non è compito della Regione, ma del mitico "mercato", decidere quanti rigassificatori si fanno su questo territorio, l'assessore Sonego quasi quotidianamente lancia allarmi sui black-out prossimi venturi. L'esito di questa cronica "assenza di politica" è che ci sono in campo due progetti riguardanti aree contigue, con la Regione che non sceglie e anzi rivendica di non scegliere. Un comportamento che davvero non ha giustificazioni: i rigassificatori non sono terribili ecomo stri ma non sono nemmeno parchi pubblici, hanno comunque un impatto sul territorio e chi il territorio governa non può chiamarsi fuori dal decidere "quanti" ne vadano fatti e "dove".
Noi di Legambiente non siamo pregiudizialmente contrari a che si realizzi un rigassificatore in Friuli Venezia Giulia, ma riteniamo che farne due - oltretutto quasi confinanti - sia un'insensatezza. Pensiamo anche che gli attuali progetti siano entrambi largamente carenti, e confidiamo che nelle procedure di valutazione d'impatto ambientale si tenga conto delle osservazioni nostre e di molti altri soggetti che hanno espresso opinioni e dubbi circostanziati.
Il futuro dell'energia in Friuli Venezia Giulia è un grande problema di interesse generale. Se la Regione non lo capisce, la conseguenza è di lasciare la scelta a dinamiche localistiche, per esempio incoraggiando richieste sbagliate come quella di affidare la decisione a referendum cittadini. Per noi la strada da seguire è un'altra: bisogna naturalmente tenere nel massimo conto le preoccupazioni e le proteste di chi sul territorio si oppone ai rigassificatori, ma occorre anche che le decisioni finali guardino ai bisogni, al futuro di tutti i cittadini del Friuli Venezia Giulia. Che hanno diritto di sapere se anche in questa regione sarà possibile presto o tardi impostare una politica energetica moderna, la quale consenta a tutti di consumare l'energia necessaria ma in modo efficiente e senza danneggiare la propria salute, quella del Friuli Venezia Giulia e quella del pianeta.
 
Roberto Della Seta - presidente nazionale Legambiente
Elena Gobbi - presidente Legambiente Fvg
 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDÌ 4 OTTOBRE 2006

 

Percorso vincolante per la Ferriera un anno per le migliorie ambientali
 

Un «percorso vincolante» per la Ferriera di Servola con precise scadenze e verifiche delle condizioni che potrebbero, se attuate, far proseguire le attività dopo la fatidica data del 2009. Erano 10 mesi che non si riuniva il tavolo in Regione sulla crisi ambientale dello stabilimento siderurgico e ieri si è fatto nuovamente il punto. Una verifica serena, soprattutto dopo le notizie del dissequestro degli impianti sotto accusa per le emissioni di diossina. L’assessore regionale al lavoro Roberto Cosolini, presente assieme al collega all’economia Enrico Bertossi, ha nuovamente precisato le condizioni poste alla Lucchini per ridiscutere la scadenza del 2009: «sviluppo industriale, salute e sicurezza dei lavoratori, tutela dell’ambiente e della salute esterna».Ma già ieri, nonostante i dubbi e le preoccupazioni dei sindacati, sono emerse alcune schiarite messe in rilievo dalla stessa azienda presente con il responsabile delle relazioni esterne del gruppo, Francesco Semino e il direttore dello stabilimento Francesco Rosato.Nessuna illusione il gruppo punta a un «consolidamento» per la Ferriera. E da parte aziendale sono state sottolineate le numerose migliorie fatte agli impianti, primo fra tutti quello dell’agglomerato, in questi mesi. Un segnale concreto che smentirebbe qualsiasi ipotesi di chiusura. Altra prova l’avvio delle procedure dell’Aia, l’autorizzazione intergata ambientale, necessaria per continuare l’attività che si concluderà a fine giugno 2007 dopo 300 giorni. Un percorso blindato e il faldone articolato è depositato in Regione, consultabile da tutti. Basterà dare un’occhiata ai singoli interventi previsti, impianto per impianto, per scoprire quanti dei 75 milioni di investimento annunciati dall’azienda andranno a Trieste piuttosto che a Piombino.«Non sottovalutiamo i risultati raggiunti – commentano il segretario della Cgil Franco Belci assieme al segretario Fiom Antonio Saulle – ma rimane aperto il fronte più delicato, quello ambientale. L'azienda si è assunta una grande responsabilità decidendo di continuare la produzione e i sindacati hanno dato una apertura di credito. Superare la fatidica scadenza del 2009 non può peraltro essere per noi una questione formale, un percorso sofferto e stiracchiato». Sulla stessa linea Luciano Bordin, segretario Fim-Cisl: «Hanno detto che vanno avanti, ok, ma che rispettino i punti fissati dalla Regione. Dobbiamo stringere i tempi». Più pessimista il segretario della Uil, Luca Visentini: «Abbiamo espresso forte insoddisfazione, è vero che abbiamno fiormato l’integrativo e il protocollo sulla sicurezza ma sono in parte inapplicati. Sull’ambiente poi le risposte sono zero. Abbiamo chiesto e concordato degli approfondimenti».

g. g.

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDÌ 3 OTTOBRE 2006

 

Ferriera dissequestrata: non c'è diossina
 

L’impianto era formalmente bloccato e messo sotto osservazione dall’agosto del 2005.Il magistrato ha assunto questa decisione nei giorni scorsi, al termine di un anno di verifiche e controlli tecnici che hanno evidenziato in modo cristallino che con una corretta gestione le emissioni di diossina dal camino E5 rientrano nei severissimi parametri introdotti dalla Regione con il Decreto del 16 marzo 2005. Applicando questi criteri tecnici l’impianto rientra nelle norme che ne autorizzano la gestione e l’esercizio. La Ferriera ora lo ha fatto e l’impianto può essere dissequestrato anche se le sue emissioni anche in futuro resteranno sotto costante sorveglianza.Il sequestro preventivo era stato innescato da due episodi che avevano allarmato la popolazione e le autorità politiche e sanitarie. Il 21 aprile 2005 i ricercatori dell’Arpa avevano annunciato che dal camino E5 erano usciti fumi con una percentuale di 0,723 nanogrammi di diossina per metro cubo. Quasi il doppio dello 0,4 previsto dal decreto regionale. Ancora più inquietante l'emissione del 13 luglio 2005: 1,527 nanogrammi per metro cubo, quattro volte la quantità di diossina ammessa dalla legge.Oggi, dopo quasi tredici mesi di controlli, verifiche e sperimentazioni, la situazione è rientrata nella normalità. Questo lungo periodo di tempo è stato utilizzato dalla Procura congiuntamente ai tecnici del gruppo Lucchini e ai propri consulenti per capire se e come fosse possibile rispettare i limiti delle emissioni imposti dall’autorizzazione regionale.La risposta al quesito «se e come fosse possibile», è stata positiva. E il perito, il professor Marco Boscolo, ha sottolineato che per far rientrare le emissioni di diossina nei parametri di legge l’agglomerato deve essere irrorato con una percentuale di urea: esattamente lo 0,15 per cento della massa del materiale che poi finisce nell’altoforno. In questi giorni sono in via di costruzione una serie di vaporizzatori fissi che sostituiranno quelli «mobili», usati nella sperimentazione.«L’impianto di agglomerazione risulta totalmente restituibile alla proprietà» scrive tra l’altro il docente universitario nella sua relazione al pm Federico Frezza. In sintesi uno dei tanti problemi che affliggono lo stabilimento di Servola è risolto.«Il procedimento è stato connotato da una visione non meramente ed esclusivamente repressiva dell’azione penale, bensì da una visione attenta al comportamento dinamico della pluralità di interessi coinvolti» scrive il magistrato nel provvedimento di dissequestro. Quali siano questi interessi lo si legge poche righe più sotto. «Il diritto alla salute e all’ambiente salubre, primari e intangibili, ma anche sia pure un gradino al di sotto, il diritto all’esercizione dell’iniziativa economica privata, che è libera, purché non in contrasto con l’utilità sociale e purché non rechi danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana».L’avvocato Giovanni Borgna che da anni tutela gli interessi triestini del gruppo siderurgico bresciano, ha sottolineato che la collaborazione e la sperimentazione «rappresentato la strada giusta per risolvere anche gli altri problemi della Ferriera».Va aggiunto che l’azione penale collegata alle emissioni di diossina nell’atmosfera comunque prosegue. Sono indagati Francesco Rosato, direttore dello stabilimento siderurgico e Giovanni Schinelli presidente della Servola spa. Secondo l’accusa «non osservavano o non curavano che fossero osservate le prescrizioni dell’autorizzazione regionale per quanto attiene le emissioni in atmosfera provenienti dall’impianto di agglomerazione. Ciò per colpa, consistita nell’omesso, doveroso controllo del ciclo produttivo e nell’omesso colposo adeguamento alla migliore tecnologia disponibile».La perizia del professor Marco Boscolo oltre all’irrorazione o meglio all’addizione di urea all’agglomerato, sottolinea altri accorgimenti tecnici necessari per abbattere le emissioni di diossina, riportandole all’interno dei severi limiti imposti dalla Regione. La griglia di sinterizzazione «Dwight Lloyd», non dovrà procedere con una velocità di avanzamento superiore al metro al secondo. Meglio ancora una velocità più bassa. Inoltre l’altezza totale del letto non dovrà superare i 40 centimetri. Ciò fino a che non si realizzerà e si renderà correttamente funzionante l’impianto di abbattimento a carbonio attivo».

 

 

IL PICCOLO - VENERDÌ, 22 SETTEMBRE 2006

 

Cinquanta residenti: «Dalla Ferriera miasmi e rumore»
 

Tornano a far sentire la loro voce, i residenti di Servola, nella zona dove sorge lo stabilimento della Ferriera. E lo fanno con un esposto, indirizzato a una lunga serie di autorità. Gli enti a cui i cittadini si appellano vanno dalla procura della Repubblica del Tribunale di Trieste, al presidente della settima circoscrizione Andrea Vatta, passando per il sindaco, il presidente della Provincia, della Regione e il prefetto. Coinvolti anche l’Arpa e la direzione sanitaria.Nella lettera, corredata da cinquanta firme, si sottolinea come la gente «non solo non riesce a vedere una possibile soluzione» ai vari problemi, «ma anzi, vede aumentare emissioni polverose, imbrattamenti e inquinamento acustico e ambientale proprio in vista della scadenza del 2009, che dovrebbe sancire la chiusura della fabbrica».I cittadini residenti nella zona si dichiarano costretti «da necessità più che per libera scelta ad abitare nella zona limitrofa» alla Ferriera e lamentano il peggioramento della situazione, principalmente sotto tre aspetti. Innanzitutto c’è la questione delle «giornaliere e plurime emissioni di polveri ferrose e di carbone» che costringono «a tenere chiuse le imposte per la maggior parte della giornata», e «a pulire gli ambienti interni ed esterni anche due volte al giorno». Oltre alle polveri, gli abitanti di Servola denunciano le «emissioni di gas i cui residui volatili, oltre a chiudere la gola, ostacolano la respirazione, procurano alle persone, anche alle meno sensibili, malesseri e disagi nel corpo». Accanto a polveri e gas, i cittadini denunciano anche «un aumento di rumori di tale fragorosità, del tipo boati o colpi di cannone, che oltre a far tremare vetri, infissi e pareti delle case circostanti, impediscono il riposo notturno».Di fronte a una situazione del genere, l’invito lanciato alle varie autorità competenti è quello di «prendere rapide decisioni circa il destino» di quello che viene definito un «mostro industriale».Lo scorso luglio a Roma, la Severstal-Lucchini (società che gestisce la Ferriera di Servola, oltre allo stabilimento di Piombino), aveva presentato il piano industriale triennale 2005-2008. Con questo piano la società si è impegnata a investire un totale di 85 milioni di euro esclusivamente sulla sicurezza ambientale. A proposito della struttura triestina, il gruppo specificava la volontà di adottare una serie di migliorie per riuscire a concludere due differenti procedure: l’Autorizzazione integrata ambientale (da raggiungere entro l’ottobre 2007) e la certificazione Emas (con scadenza prevista per il 2008).

Agnese Licata

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDÌ, 14 AGOSTO 2006

 

Ferriera, la procura chiede di verificare modi e tempi per spegnere l'altoforno
 

Il pm Federico Frezza, nel suo ruolo di gestore del sequestro degli impianti, ha chiesto al custode giudiziario della Ferriera di Servola, il dottor Fabio Cella, di verificare le modalità e i tempi per un eventule spegnimento a caldo dell’altoforno della ghisa. La richiesta si inserisce nella gestione provvisoria degli impianti autorizzata dalla magistratura e tende a verificare la possibilità di abbattere significativamente, anzi del tutto, le emissioni di fumi e polveri che continuano a riversarsi sull’abitato di Servola e sui rioni circostanti. Una risposta sulle modalità e sui tempi dell’eventuale spegnimento a caldo dell’altoforno, non arriverà prima della fine di agosto.Non vanno infatti messe a punto solo le fasi dell’operazione che non deve procurare danni all’impianto ma vanno individuati anche i tecnici in grado di attuare il piano così come sarà studiato dai consulenti tecnici della Procura. Difficile che gli operai della Ferriera spengano l’impianto principale dello stabilimento, decretandone in pratica l’agonia e la morte che potrebbe coinvolgere anche l’attività l’adiacente fabbrica della Sertubi che si alimenta di ghisa dalla Ferriera.L’iniziativa si inserisce nel difficile serrato confronto in atto tra la magistratura e i vertici del gruppo Lucchini- Severstal. Per la Procura, nonostante il sequestro sia stato confermato dal Tribunale del riesame, le emissioni diffuse di polveri e fumi continuano anche nell’ambito dell’esercizio provvisorio degli impianti; da qui al necessità di approfonditi e costosi interventi di risanamento dell’altoforno, finora non effettuati. ma solo promessi.La proprietà pur avendo affermato più volte nei numerosi incontri la propria disponibilità alla ristrutturazione, secondo il magistrato inquirente, si è invece finora limitata a interventi di manutenzione ordinaria o poco più. La Lucchini-Severstal in sintesi ha stanziato sulla carta dai sei agli otto milioni di euro per gli interventi di risanamento, ma questi interventi tardano ancora e i fumi continuano a riversarsi sugli abitati.I punti critici dall’altoforno da cui fuoriescono le emissioni «diffuse e non convogliate» sono rappresentati dalle campane poste sulla sommità dell’impianto da cui sfogano nell’atmosfera gas pulvirulenti molto scuri; altri gas escono dal piano di colata, dagli interstizi del tetto del capannone, nonché dall’area di raffreddamento della loppa dove ai fumi si associano le scaglie di grafite. In sintesi le cappe di aspirazione o mancano o sono inefficienti.In questa situazione è coinvolta anche la macchina a colare dove viene vuotato il carro siluro proveniente dall’altoforno.

c.e.

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDÌ, 26 LUGLIO 2006

 

Ferriera, l'Arpa accusa: «Ancora inquinamento» e il sindaco va in procura
 

Emissioni di fumi, forti odori, ricadute di materiale in particelle, inquinanti solforosi, pm 10, polveri sospese, benzene e toluene. Una situazione «anomala» secondo l’Arpa quella che si è «ripetuta in varie occasioni» attorno alla Ferriera di Servola e nel rione, sono partite le lettere all’azienda e al Comune e ieri il sindaco Roberto Dipiazza ha lanciato l’ennesimo allarme annunciando un nuovo invio della documentazione alla procura della Repubblica.«Siamo la seconda città più calda d’Italia e in questi giorni la Lucchini ha davvero esagerato. Non sembrano affatto intreressati del problema ambientale, lo stabilimento sta continuando a inquinare, la situazione peggiora, non si può continuare così. Sto rivcevendo quotidianamente telefonate di protesta dai cittadini senza contare le segnalazioni che sono arrivate agli organi di vigilanza».Carabinieri, Polizia, Vigili del fuoco, Polizia municipale. La breve lettera dell’Arpa finrata dal direttore del Dipartimento di Trieste Stellio Vatta è stringata ma esaustiva. «Abbiamo effettuato numerosi sopralluoghi nelle aree interessate ai fenomeni sia di notte che di giorno – scrive il dirigente – inoltre l’esame dei dati rilevati in questo intervallo temporale dalla centralina di via Pitacco rivela situazioni anomale in ripetute occasioni (coincidenti con le segnalazioni) per gli inquinanti SO2, Pm10, polveri sospese, benzene, toluenee».L’Arpa chiede all’azienda di «relazionare con urgenza in merito a eventuali malfunzionamenti degli impianti». Secondo il sindaco Dipiazza non ci sono dubbi: «Da quando non c’è l’agglomerato chissà cosa mettono nell’altoforno – incalza – useranno sicuramente prodotti di bassa lega per sopperire agli investimenti che devono fare. Almeno in questo periodo di gran caldo potrebbero venire incontro alla gente. Invece non hanno alcun rispetto per noi. Ripeto, io sono convinto che non hanno alcuna intenzione di investire per l’ambiente, lo faranno solo a Piombino».Pronta la replica dell’azienda, la Lucchini. «Abbiamo riceuto la lettera, non entro nel merito perchè un gruppo di nostri tecnici sta verificando e predisporrà risposte dettagliate» fa sapere il responsabile delle relazioni istituzionali, Francesco Semino che ribadisce anche sul fronte investimenti: «L’ho già detto pochi giorni fa. Non ci risulta sia nostra intenzione non investire qui. Se il sindaco lo sa per certo, dichiari da dove ha tratto questa informazione».

Giulio Garau

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 16 LUGLIO 2006

 

«Ferriera, la proprietà chiarisca gli investimenti sul fronte ambientale» - Conferenza stampa di LEGAMBIENTE e FIOM CGIL.
 

Fiom-Cgil e Legambiente sono preoccupate per il futuro della Ferriera. In particolare vogliono conoscere le intenzioni della proprietà per quanto concerne i necessari investimenti sul fronte della tutela ambientale. E ciò «in una fase – sostengono il sindacato e l’organizzazione ambientalista – nella quale il mercato siderurgico è su una curva crescente, e soprattutto la produzione di coke è assorbita molto bene dal mercato internazionale».Sono questi i principali temi su cui si sono soffermati ieri, nel corso di una conferenza stampa, Lino Santoro, della segreteria regionale di Legambiente, e Antonio Saulle, segretario provinciale della Fiom.«Due importanti appuntamenti attendono la Severstal-Lucchini nelle prossime settimane – hanno spiegato Santoro e Saulle – in quanto martedì a Roma, al Ministero per lo sviluppo, sarà presentato il piano industriale del gruppo e la Ferriera di Servola è certamente uno dei nodi principali. Il 31 luglio scadrà il termine per presentare la domanda di Autorizzazione integrata ambientale (Aia), per poter continuare la produzione della ghisa e del coke, oltre al gas di cokeria e altoforno necessari alla centrale Elettra per proseguire nella cessione alla rete elettrica, a prezzo agevolato, dell’energia prodotta».Senza l’Aia, è la principale preoccupazione di Fiom e Legambiente, la Ferriera cesserebbe l’attività. «Per ottenere l’autorizzazione – hanno evidenziato Santoro e Saulle – il gruppo deve corrispondere ai requisiti ambientali della direttiva europea in materia. Sarà in grado di superare l’esame la Ferriera di Servola, ancora sotto sequestro per imbrattamento, ma soprattutto fonte di emissioni inquinanti come polveri sottili e diossine provenienti dalla cokeria e dall’agglomerazione?»Secondo Santoro e Saulle servono decine di milioni di euro per rendere sostenibile sotto il profilo ambientale l’attività della Ferriera. «La Regione – hanno continuato Santoro e Saulle - si è assunta il ruolo di condurre il rapporto con il gruppo Severstal-Lucchini, organizzando tavoli tecnici, l’ultimo dei quali risale al 10 novembre 2005. Inoltre è affidato alla Regione il compito di concedere o meno l’Autorizzazione integrata ambientale. Chiediamo quindi, come promesso dall’assessore Cosolini, che la comunicazione dei contenuti del piano industriale e l’informazione in merito alla procedura Aia siano le più trasparenti possibile, e soprattutto prevedano un coinvolgimento effettivo, attraverso pubbliche audizioni, di tutti i portatori di interesse, in particolare delle associazioni ambientaliste».

u. sa.

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 1 giugno 2006 

 

Rigassificatori: una mozione divide l'opposizione - La possibilita' di ricorrere al referendum viene ritenuta essenziale dai Cittadini.

Una nuova formulazione del documento presentato da De Carli nei giorni scorsi e' stata modificata dai capigruppo.
 

RIGASSIFICATORI - Terminal negli USA - Nessun impianto a terra - Si trova gia' sulla nave.

 

Via Cereria, piace sia il giardino sia il posteggio. - Legambiente lancia una petizione per mantenere il verde pubblico ma i pareri dei residenti sono alterni.

Il riuso dell'area dietro la palestra di via della Valle: pesa la mancanza di posti macchina.

 

 

IL PICCOLO - VENERDÌ, 30 GIUGNO 2006

 

La Ferriera rimane sotto sequestro
 

Dissequestro fallito.Il Tribunale del riesame ha respinto ieri l’istanza presentata dai legali del gruppo «Lucchini-Severstal» e ha ribadito che i principali impianti della Ferriera di Servola continuano a essere formalmente bloccati anche se di fatto la produzione è continuata quasi regolarmente per motivi di sicurezza anche dopo la notifica del sequestro.Per conoscere le ragioni della decisione del Tribunale bisognerà attendere alcuni giorni, fino a quando i giudici depositeranno in cancelleria i «motivi» che stanno alla base del loro provvedimento.Solo in questo momento i legali del gruppo Gruppo siderurgico potranno ricorrere alla Corte di cassazione, tentando di disattivare il sequestro chiesto dal pm Federico Frezza, concesso dal presidente aggiunto del gip Nunzio Sarpietro e confermato ieri dal Tribunale del riesame presieduto da Alberto Da Rin. Ma i tempi si annunciano lunghi e l’esito incerto. «Noi andremo in Cassazione» ha ribadito l’avvocato Giovanni Borgna. «Sostanzialmente non c’è nulla di nuovo. Siamo usciti da due mesi da un altro sequestro e conosciamo bene queste situazioni. Abbiamo in corso una discussione sulla Ferriera con le autorità competenti, discussione che dovrà continuare». Alla base del provvedimento di sequestro vi sono le continue, massicce e reiterate emissioni di polveri e fumi che, uscendo dallo stabilimento si depositano sulle case e nelle strade dei rioni di Servola e Valmaura. «Nell’aria -scrivono i consulenti della Procura- vi è una costante presenza di particelle derivate dai processi produttivi della Ferriera».Inoltre la situazione di chi vive in questi rioni non è per nulla migliorata rispetto a quella già difficile segnalata negli anni scorsi. Non sembrano aver sortito effetti positivi nemmeno le tassative prescrizioni tecniche imposte in un recente procedimento penale in cui erano imputati i vertici della Ferriera. «Le emissioni in atmosfera continuano a verificarsi e neppure appaiono attenuate» scrive nella richiesta di sequestro poi accolta dal gip il pm Federico Frezza.Il «no» pronunciato ieri dal Tribunale ha comunque una valenza che va al dì la dei problemi giuridici e tecnici della gestione del sequestro. Riporta infatti con forza alla ribalta della politica cittadina il problema dello stabilimento siderurgico che negli ultimi mesi sembrava sopito.In pratica entro l’autunno la proprietà dovrà scegliere tra due scenari. Il primo coinvolge la procura della Repubblica dove un plenipotenziario del gruppo «Lucchini-Severstal» prima o poi si dovrà presentare con adeguate «credenziali» anche finanziarie per cercare di aprire una trattativa credibile sulla ristrutturazione e gestione degli impianti da cui escono nell’atmosfera fumi e polveri. I precedenti «contatti» hanno sortito effetti limitati sulle emissioni, ma il gruppo siderurgico è riuscito comunque a prendere tempo.Il secondo scenario è più cupo. In assenza di precisi segnali da parte della proprietà, o meglio di fronte a una scelta del Gruppo Lucchini-Severstal di non scegliere nulla, il sequestro potrebbe diventare effettivo con quel che ne consegue sul piano della produzione e dell’occupazione. Gli impianti entro qualche mese dovrebbero essere fermati nell’ambito di un preciso piano di spegnimento, stilato dal custode giudiziario e dalla Direzione dello stabilimento.Sono infatti bloccati dal sequestro i parchi dei minerali e quello del carbone, la banchina dove attraccano le navi, la cokeria, il carro di raccolta del coke e gli altiforni. In sintesi sono in gioco tre diritti fondamentali, tutti garantiti dalla Costituzione appena riconfermata dal referendum. Ìl diritto alla salute, quello al lavoro e quello della libertà d’impresa. La Ferriera è l’ultimo stabilimento industriale della città che da lavoro direttamente e indirettamente a più di mille persone.

Claudio Ernè

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDÌ, 26 GIUGNO 2006

 

Niente fusione, la Ferriera resta russa
 

Dopo essere stata combattuta per l’intero primo semestre di questo 2006, la guerra mondiale dell’acciaio si chiude - al momento - con un nuovo colpo di scena che estende i suoi effetti sull’Italia e su Trieste. E fa tornare la Ferriera di Servola al punto di partenza di un ideale gioco dell’oca planetario. Ieri sera infatti il consiglio di amministrazione di Arcelor - consorzio europeo numero due mondiale della siderurgia - ha accettato l’offerta del numero uno assoluto, il gruppo indiano Mittal Steel. Un sì che dà vita a nuovo colosso dell’acciaio. E cancella l’aggregazione annunciata a fine maggio tra Arcelor e Severstal, il gruppo russo che nel 2005 aveva acquisito l’italiana Lucchini e con quest’ultima la proprietà dello stabilimento triestino, passato nelle mani del miliardario Alexei Mordashov.Il matrimonio Arcelor-Severstal avrebbe portato alla nascita del gigante assoluto del mondo, del quale la Ferriera - con il suo mezzo milione di tonnellate annue prodotte sul previsto totale di settanta - sarebbe stata una piccola componente. E invece, lo stabilimento triestino resta di proprietà della sola Severstal-Lucchini. Tagliato fuori, assieme ai russi, da Arcelor-Mittal. Perché ieri di fatto il cda di Arcelor ha sconfessato il suo top manager Guy Dollè, che aveva firmato l’accordo con Mordashov, e ha ceduto a Mittal che l’inseguiva da mesi. Già a gennaio infatti il gruppo indiano aveva lanciato un’opa ostile sui lussemburghesi, che avevano reagito nel contatto con i russi. Molti azionisti Arcelor però già nelle scorse settimane avevano contestato le modalità di fusione rese note da Dollè, mentre Mittal non recedeva. Ieri il cda di Lussemburgo si è trovato a scegliere tra l’offera migliorativa di Mittal, salita a 40,37 euro per azione Arcelor contro i 37,74 precedenti, e quella di Mordashov: il magnate russo aveva modificato la propria offerta dicendosi disposto a scendere al 25% nella partecipazione e a rinunciare anche alla presidenza del comitato strategico del futuro gruppo.Sarà Arcelor-Mittal, invece. E per l’Italia, si diceva, è un colpo di scena. Dopo l’annuncio dell’aggregazione russo-lussemburghese, il ministro allo sviluppo economico Pierluigi Bersani aveva incontrato i segretari nazionali di Fim Fiom Uilm che si erano detti fortemente preoccupati per l’aprirsi di «un’ulteriore fase di incertezza», giacché - ricordavano - Severstal dopo un anno non ha ancora presentato un piano strategico, mentre Arcelor - pure essa presente in Italia - ha dato il via a programmi di ristrutturazione. Pochi giorni dopo però erano stati gli stessi russi a ribadire la disponibilità a presentare un piano per Trieste, e soprattutto a sottolineare la volontà di risolvere i problemi giudiziari e ambientali dello stabilimento per proseguire la produzione anche dopo il 2009, data entro la quale - secondo un piano di quattro anni fa - la Ferriera dovrebbe chiudere i battenti.Ecco invece il nuovo capitolo. «La notizia di Arcelor-Mittal - commenta l’assessore regionale al lavoro Roberto Cosolini - è l’ennesima dimostrazione di quanto sia complicata e piena di sorprese una vicenda che si gioca sui mercati globali tra pochissimi grandi colossi». Gli scenari? «Da un punto di vista puramente teorico - precisa Cosolini - il restare la Ferriera in mano a Severstal dovrebbe garantire una ripresa nella continuità», al riparo da ipotetiche virate di strategia: «Ma a fronte di questa considerazione, ribadisco puramente teorica, è anche vero che l’alleanza Severstal-Arcelor avrebbe creato il numero uno mondiale del settore, con scenari potenzialmente interessanti anche per l’Italia e per Trieste». Scenari ora da rivedere.

Paola Boli

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDÌ, 8 GIUGNO 2006

 

Di nuovo sotto sequestro tre impianti della Ferriera
 

Da ieri mattina tre impianti della Ferriera di Servola sono sotto sequestro. All’altoforno, alla cokeria e al piazzale dei minerali e del carbone, il pm Federico Frezza ha fatto apporre i sigilli dopo aver ottenuto il «via libera» dal presidente aggiunto del Gip Nunzio Sarpietro.In sintesi ieri si è ripetuto quanto era già accaduto a Servola lo scorso 15 marzo. Quel sequestro era stato revocato dal Tribunale del riesame il successivo 7 aprile ma la Procura non ha mollato la presa e ha riproposto l’iniziativa, visto anche il sopravvenuto mutamento della situazione giuridica.Ad aprile non era ancora concluso il processo che vedeva sul banco degli imputati alcuni manager accusati di imbrattamento. Ora il dibattimento è concluso fin dall’11 aprile e il giudice Fabrizio Rigo ha ammesso gli imputati all’oblazione, dissequestrando anche lo stabilimento siderurgico. L’efficienza degli impianti avrebbe dovuto essere migliorata secondo gli impegni assunti in aula, ma non è accaduto nulla. Non sono stati presentati alla Procura nè progetti, nè piani industriali mentre le emissioni di polveri e fumi continuano a depositarsi su Servola, Valmaura e rioni adiacenti. Nel frattempo è stata annunciata la fusione tra la società russa della Severstal e il gruppo lussemburghese Arcelor.Di fronte a questa situazione, la Procura ha rinnovato la propria iniziativa. La richiesta di sequestro ha una duplice firma: quella del procuratore capo Nicola Maria Pace precede quelle del suo sostituto, il pm Federico Frezza. Non era mai accaduto in tanti anni di battaglie che hanno coinvolto la Ferriera.Va anche aggiunto che in questa inchiesta cinque continuano a essere i nomi dei dirigenti del gruppo Lucchini- Severstal annotati sul registro degli indagati per imbrattamento: sono quelli dell’amministratore delegato Giovanni Gillerio, del direttore dello stabilimento Francesco Rosato, nonchè Luigi Nardi, Vittorio Cattarini e Giovanni Schinelli. La gestione degli impianti sotto sequestro è stata affidata come il 15 marzo a un custode giudiziario, Fabio Cella, funzionario della Provincia al Servizio ambiente, già vicecomandante dei vigili urbani. Conosce la Ferriera perché nell’agosto 2005 la magistratura gli aveva affidato il compito fi controllare l’impianto di agglomerazione, anch’esso finito sotto sequestro, ma autorizzato a operare a livello sperimentale per verificare le condizioni che determinano la fuoriuscita di diossina dal camino E5.«Ricorreremo al Tribunale del riesame» ha affermato l’avvocato Giovanni Borgna da anni legale della Ferriera. «La società ha speso 6 milioni di euro per ristrutturare gli impianti. Provvedimenti di questo genere sono stati più volte ripetuti. Faremo valere le nostre ragioni nelle sedi processuali competenti, senza trascurare il dialogo con la Procura. La Ferriera dà lavoro direttamente a 500 dipendenti. Altri 250 operano alla Sertubi che ha rinunciat oa costruire il propio altoforno e che si alimenta da Servola. Altro 80 persone lavorano nella centrale elettrica alimentata dai gas siderurgici. Poi c’è l’indotto. Complessivamente mille famiglie ricavano un reddito dall’ultimo impianto industriale di Trieste».

c.e.

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDÌ, 1 GIUGNO 2006

 

 

Via Cereria, piace sia il giardino sia il posteggio
 

Il giardino di via Cereria, di proprietà comunale, deve essere conservato e soprattutto riqualificato. Questa la richiesta della petizione lanciata dal circolo Verdeazzurro di Legambiente, che ha raggiunto, tra residenti della zona e sostenitori del verde pubblico, già una cinquantina di adesioni.
Attualmente la destinazione prevista dal Comune per il giardino posizionato accanto alla palestra di via della Valle è infatti tutt’altra.
L’area verde, infatti, dovrebbe trasformarsi in un parcheggio dalla capienza di 120 auto. «Chiediamo – afferma Ettore Calandra segretario di Legambiente – che il giardino sia fruibile dai residenti, che non hanno altri spazi verdi nella zona». In tale ottica Legambiente invita anche il Comune a risistemare l’area, ormai abbandonata e piena di sterpaglie.
«Andrebbero bene entrambe le cose: riqualificare il giardino o ricavarne un parcheggio, basta che lo rimettano a posto», questa l’opinione di Paolo Stopar, che ha un’attività commerciale in via Tigor da 26 anni e che ha sempre visto il sito mai sfruttato adeguatamente e lasciato al degrado totale.
Nella zona la vera necessità è il parcheggio, commercianti e residenti ritengono che sia una proposta molto valida quella di creare 120 posti auto. «Ce ne sono pochissimi – spiega Remigio Prodan – nella zona, solo nelle palazzine in cui abito ci sono 76 appartamenti, tutti senza parcheggio».
D’accordo anche Maria Scomparini che lamenta una grande carenza di posteggi: «Nel rione non esistono posti per l’auto, ci sono alte palazzine, ma i garage non sono stati costruiti». Nella zona, esistono diversi box auto, tutti privati, ma di garage pensati per le abitazioni nemmeno l’ombra.
«Tutti i box auto – spiega Franco Verchi – sono stati ricavati da vecchie attività commerciali. Vent’anni fa la via pullulava di negozi, che ora hanno chiuso bottega. Non ci sono più studenti (la maggior parte delle lezioni e degli esami di Scienze della Formazione si tengono nell’edificio centrale ndr) e il quartiere è ormai desolato. Un giardino sarebbe inutile, nonché pericoloso. Già molte signore anziane non se la sentono di camminare da sole la sera, perché non c’è movimento, sarebbe uno spazio verde non utilizzato».
Dopo le 19 i residenti non sanno dove parcheggiare la macchina, secondo la testimonianza di Evelina Urdih. «Sarebbe l’ideale – sostiene – ricavarne un posteggio. Io sono qui dal 1963 e l’area è sempre stata inutilizzata, tanto vale che ne facciano qualcosa di utile».
La carenza di parcheggi, deriva anche dal fatto che quei pochi posti auto che esistono non sono a pagamento. «Da quando parcheggiare sulle Rive – spiega Dario Sulligoi – costa tanto la gente cerca un posto auto in questa zona e per residenti e commercianti è ancora più difficile trovare un posteggio». Secondo Sulligoi, il giardino non è così indispensabile come il parcheggio. «A pochi passi da qui – fa notare – c’è il giardino di via San Michele».
Tra i tanti pareri favorevoli al mega-parking ce n’è anche uno assolutamente contrario. «È già una zona dove il verde sta scomparendo – dice Riccardo Bruni – quel poco che rimane va salvaguardato. Il vero problema è che non si possono costruire palazzine senza considerare i parcheggi per i residenti. Le nuove edificazioni dovrebbero contare su due piani sotterranei pensati per le auto».
Legambiente invita chi voglia sostenere la causa del giardino a sottoscrivere la petizione alla Banca Etica di via Donizetti 5/A ogni mercoledì dalle 18 alle 20.
Ilaria Gianfagna
 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 28 MAGGIO 2006

 

Vendita della Ferriera, i sindacati dal ministro Bersani
 

Richiesta accolta a stretto giro di fax. Dell’annunciata fusione tra Severstal e Arcelor, e dei risvolti per gli stabilimenti italiani, il ministro allo Sviluppo economico Pierluigi Bersani ne parlerà domani sera con i segretari nazionali di Fim, Fiom e Uilm, Spagnolo, Cremaschi e Ghini. All’incontro dovrebbe essere presente anche un rappresentante della Severstal.La richiesta dei tre esponenti sindacali era partita nella mattinata di venerdì, a poche ore dall’annuncio dell’operazione che porterà Arcelor ad essere il primo produttore di acciaio al mondo. La rapidità con cui Bersani ha dato risposta all’appello sindacale denota l’interesse, ma anche la preoccupazione, con cui, a livello nazionale si guarda alla progettata fusione.Intanto la battaglia fra i colossi dell’acciaio registra un nuovo episodio: il magnate indiano Lakshmi Mittal, che a gennaio ha lanciato un’opa (offerta pubblica di acquisto) ostile nei confronti di Arcelor, aumentata giorni fa del 30% a 26 miliardi di euro, dopo l’annuncio della fusione con Severstal torna alla carica. «Siamo determinati – ha dichiarato a Le Figaro – a portare a compimento il nostro avvicinamento ad Arcelor. Non c’è offerta migliore della nostra, sia sotto il profilo finanziario sia sotto quello industriale».E mentre si attende la convocazione dell’assemblea dei soci di Arcelor, continuano a intrecciarsi i commenti sull’operazione e sui riflessi per lo stabilimento di Servola. Ettore Rosato, sottosegretario agli Interni, annota che «bisognerà capire che intenzioni avrà il nuovo gruppo per la Servola spa e se avrà altre attività da sviluppare sul sito della Ferriera». Rosato non nasconde poi la «preoccupazione che si riparta da zero riguardo ai piani industriali e agli investimenti per l’ambiente: sarebbe una prospettiva non compatibile con gli interessi dei lavoratori».Che un cambiamento come quello che si profila porti con sè incognite e rallentamenti, per l’assessore regionale al Lavoro Roberto Cosolini è quasi scontato. «Non vedo però – commenta – grandi cambiamenti per la posizione dello stabilimento di Trieste. Abbiamo già detto che in presenza di nuove volontà, in termini di piano industriale e interventi per l’ambiente e la salute, c’è la disponibilità a ridiscutere la scadenza del 2009. Indipendentemente dalla proprietà, un gruppo industriale si deve confrontare nel Paese in cui opera con le norme e con gli impegni assunti».L’operazione concordata tra Arcelor e Severstal viene vista in maniera postiva dal gruppo Lucchini, il cui 70% è detenuto dal colosso russo. «Bisogna vedere se l’operazione si concretizza – sottolinea il portavoce della società bresciana, Francesco Semino –. Se ciò avverrà, la Lucchini farà parte del primo gruppo al mondo». Ma che riflessi potrebbe avere ciò per la Ferriera? «Difficile dirlo. Sarebbe comunque importante essere un tassello, anche se piccolo, del primo gruppo mondiale».Da parte sindacale, Enzo Timeo, segretario provinciale della Uilm-Uil, giudica la pronta risposta del ministro Bersani come «l’indicazione che l’operazione sta a cuore al governo, che qualcosa sa già e che la vuole comunicare». Quanto alla prevista fusione, Timeo parla di «un’operazione finanziaria che sarà un ulteriore motivo per richiedere al più presto un piano industriale che ci faccia capire la collocazione di Trieste nel gruppo, quanto è strategico questo stabilimento, perchè iniziamo a sentirci periferia e quindi sempre più a rischio. Mentre finora eravano strategici per Piombino ora non abbiamo certezze». E all’affermazione del sindaco Dipiazza, secondo cui «la Ferriera chiuderà da sè», Timeo replica a distanza: «Non vedo perchè la Severstal dovrebbe disfarsi di uno stabilimento che ha chiuso il bilancio 2005 a 170 milioni di euro, producendo solo ghisa e coke».Le ombre sul futuro che sembravano proiettarsi dopo l’annuncio dell’operazione Arcelor-Severstal, sembrano intanto dissolversi. «Entrambe le società uscirebbero rafforzate – sottolinea Alberto Monticco, segretario provinciale della Fim-Cisl – e quindi non vedrei timori per la Ferriera. Al nostro segretario nazionale Spagnolo ho comunque chiesto di stringere, per avere un piano industriale complessivo, in cui si definisca il ruolo di Servola».
Giuseppe Palladini

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 27 MAGGIO 2006

 

Ferriera di nuovo venduta Tutti gli accordi da rifare
 

TRIESTE La Ferriera di Servola, proprietà del gruppo russo Severstal, si ritrova coinvolta in un nuovo cambiamento di asset. Arcelor - consorzio europeo con sede a Lussemburgo, numero due mondiale del comparto - e i russi guidati dal quarantenne miliardario Alexey Mordashov, hanno annunciato il raggiunto accordo per un’aggregazione che porterà alla nascita di un gigante. Il più importante del mondo. In base agli accordi, Arcelor riceverà una quota dell’89,6% di Severstal, altri asset minerari e dell’acciaio compresa l’italiana Lucchini, e contanti per 1,25 miliardi di euro da Mordashov. In cambio quest’ultimo riceverà 295 milioni di nuove azioni Arcelor a 44 euro ciascuna, per una quota totale del nuovo gigante pari al 32,2%: Mordashov ne diverrà così il primo azionista con una quota pari a circa un terzo del capitale, e potrà contare su 6 dei 18 consiglieri di amministrazione. L’operazione tocca direttamente Trieste e l’Italia con Lucchini, di cui Severstal dal 2005 detiene poco più del 70% (la famiglia bresciana ne ha mantenute le quote rimanenti).

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 27 APRILE 2006

 

Ferriera, ricorso in Cassazione
 

Si riapre la battaglia per il sequestro della Ferriera di Servola.Il pm Federico Frezza ha depositato in cancelleria il ricorso alla Corte di Cassazione contro il provvedimento assunto dal Tribunale del riesame il 12 aprile scorso. In quella data i giudici avevano accolto la tesi dei legali del gruppo Lucchini- Severstal e avevano annullato l’ordinanza cautelare firmata dal presidente aggiunto del Gip Nunzio Sarpietro che aveva disposto il sequestro preventivo di gran parte degli impianti dello stabilimento. Il giudice in altri termini aveva accolto al richiesta della Procura ritenendola adeguatamente motivata da una serie di sopralluoghi effettuati nell'apre adiacente allo stabilimento dalla polizia giudiziaria. Erano state scattate centinaia e centinaia di fotografia per dimostrare la fuoriusciti di fumi e polveri.Il pm Federico Frezza nel suo ricorso alla Corte di Cassazione ritiene che il Tribunale del riesame non sia entrato in alcun modo nel merito dell’ennesima inchiesta sulle polveri che continuano a imbrattare le abitazioni e le strade dei rioni di Servola e Valmaura; ma scrive anche a chiare lettere che su un punto decisivo i giudici non hanno motivato la loro decisione di dissequestrare gli impianti.Ecco il punto controverso: il Tribunale del riesame ha scritto nella sua ordinanza «che non ha alcun senso porre sotto sequestro preventivo un bene già sottoposto alla medesima misura. Il provvedimento è palesemente illegittimo, oltre che contrario al buonsenso».Secondo il rappresentante dell’accusa, i giudici del riesame non hanno però motivato la loro decisione di dissequestrare la Ferriera e non hanno citato nessuna norma che supporta la loro decisione. «Non hanno citato questa norma perché questa norma non esiste» scrive il pm e spiega che «sono possibili sullo stesso oggetto sequestri plurimi». Anzi questi sequestri sono frequenti e secondo la stessa Corte di Cassazione «è ammissibile o il sequestro preventivo di una cosa già sottoposta sequestro probatorio, purché sussista un pericolo concreto della cessazione di questo vincolo».Il ricorso della Procura contro il dissequestro non sarà esaminato in tempi brevissimi: anzi dovranno passare almeno tre mesi perché supremi giudici affrontino il problema.

c.e.

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDÌ, 29 MARZO 2006

 

Porto, la Severstal diventa terminalista
 

La Severstal, proprietaria della ferriera di Servola, opererà anche come terminalista per conto terzi all’interno del porto di Trieste. Sulla banchina dinanzi allo stabilimento, che è lunga 350 metri e ha un pescaggio di quasi 13 metri, non si svolgerà più soltanto il traffico siderurgico finalizzato alla produzione della ghisa e dell’acciaio, ma la stessa società che gestisce la Ferriera gestirà anche l’ ormeggio di nuove linee di traffico nell’ambito delle merci convenzionali.L’ampliamento delle attività della Severstal discusso solo un paio di giorni fa all’interno della commissione consultiva dello scalo, ha avuto ieri l’avvallo da parte del Comitato portuale. Alcuni componenti dello stesso parlamentino che vedrebbero con favore la chiusura della Ferriera, hanno interpretato questo passo del gruppo russo in maniera estremamente positiva come la prima fase di quella che potrebbe essere la riconversione allorché l’attività siderurgica cesserà e Severstal si troverà ad operare, se rimarrà a Trieste, all’interno della nuova Piattaforma logistica. Nei mesi scorsi con l’Authority il gruppo russo ha raggiunto un accordo per il pagamento di canoni arretrati, che da dieci anni non venivano versati, per complessivi 8 milioni di euro e a più riprese la presidente dell’Ap Marina Monassi si è detta certa che Severstal riconvertirà la propria attività rimanendo però ad operare all’interno dello scalo.La seduta di ieri del Comitato portuale si è conclusa soltanto in serata e appena oggi l’Autorità portuale dovrebbe rendere noti i dettagli di quelle che sono state le decisioni prese compresi i particolari del nuovo tipo di concessione a favore della Severstal. Ma di un altro evento di particolare rilievo è stato dato conto ieri in Comitato: sarà la società terminalista genovese Genoa metal terminal srl (Gmt) che fa capo al gruppo logistico olandese C. Steinweg Hendelsveem B.V. a subentrare alla Compagnia portuale di Monfalcone nella gestione dell’Adriaterminal, in Porto Vecchio. «È stata una scelta nostra - ha commentato nei giorni scorsi il presidente della Compagnia di Monfalcone, Romano - quella di lasciare la gestione dell’Adriaterminal la cui concessione sarebbe comunque scaduta a fine anno. Lì non c’è più praticamente porto e la situazione è ben diversa da quella del 2001 allorché decidemmo di allargare a Trieste il nostro raggio d’azione. I traffici di Monfalcone, viste anche le prospettive di crescita, ci bastano.»Genoa Marine Terminal opera principalmente nei traffici di metalli non ferrosi, leghe metalliche, merci generali, prodotti siderurgici e prodotti forestali. Ha già un branch office nel nostro porto, oltre che in quelli di Livorno e di Capodistria.L’ingresso di Gmt e l’ampliamento dell’attività di Severstal avrebbe permesso all’Autorità portuale anche di emendare quelle che erano le pressoché nulle prospettive di crescita di traffici segnalate nell’aggiornamento del Piano operativo triennale 2006-2008. In particolare per il Porto Vecchio si prevedeva una grave stagnazione con le 424 mila tonnellate di merci manipolate nel 2005 che sarebbero diventate appena 425 mila nel 2006, 427 mila nel 2007 e 430 mila nel 2008. Dati questi che avevano indotto i sindacati e in particolare la Cisl e la Cgil a lanciare l’allarme anche riguardo a una mancanza di programmazione da parte dell’Autorità portuale nell’attesa messianica della nuova Piattaforma logistica.I due nuovi terminalisti danno ora un po’ di fiducia perché oltretutto si sarebbero in qualche modo impegnati a mantenere e impiegare i lavoratori già attualmente utilizzati nei due settori. Una prospettiva che potrebbe permettere di guardare con speranza anche al reimpiego dei lavoratori attualmente occupati in Ferriera.

Silvio Maranzana

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDÌ, 22 MARZO 2006

 

Ferriera, sequestrati la cokeria e l'altoforno
 

Tre impianti della Ferriera di Servola sono da ieri sotto sequestro. All’altoforno, alla cokeria e al piazzale dei minerali e del carbone, il pm Federico Frezza ha posto i sigilli, dopo aver ottenuto il preventivo via libera dal presidente aggiunto del gip Nunzio Sarpietro.Cinque dirigenti ed ex dirigenti del gruppo siderurgico Lucchini-Severstal sono indagati per imbrattamento e i loro nomi sono stati annotati sul registro della procura. L’amministratore delegato della società Giovanni Gillerio, il direttore dello stabilimento Francesco Rosato, nonché Luigi Nardi, Vittorio Cattarini e Giovanni Schinelli sono stati informati dell'iniziativa della magistratura poco prima di mezzogiorno quando il decreto di sequestro è stato notificato negli uffici di Servola da due agenti di polizia e un vigile urbano.Il pm Federico Frezza ha bloccato nuovamente l’impianto perché secondo la procura le fuoriuscite di fumi e polveri nell’atmosfera di Servola e dei rioni circostanti continuano nonostante le inchieste e i sequestri che si susseguono da almeno sei anni. Le fuoriuscite di fumi e polveri non sono dovute a guasti agli impianti o ad errori di gestione. Al contrario - sempre secondo la procura - sono fisiologiche, vale a dire dipendono dal ciclo industriale e dai difetti congeniti di alcuni impianti. «È in gioco il diritto alla salute» ha più volte sottolineato il magistrato nei suoi interventi in aula nei processi intentati ai dirigenti dell’impianto siderurgico.La gestione degli impianti sotto sequestro è stata affidata a un custode giudiziario, il dottor Fabio Cella, funzionario della Provincia, laureato in giurisprudenza, oggi al Servizio ambiente di palazzo Galatti, già vicecomandante del Corpo municipale dei vigili urbani. Conosce già la Ferriera perché nell’agosto scorso la magistratura gli aveva affidato il compito di controllare l’impianto di agglomerazione, anch’esso sotto sequestro, ma autorizzato a operare a livello sperimentale per verificare le condizioni che determinano la fuoriuscita di diossina dal camino E5.Al momento la cokeria, l’altoforno e i piazzali dei minerali e del carbone, funzionano regolarmente perché la procura - come ha riferito l’avvocato Giovanni Borgna, legale del gruppo Lucchini-Severstal - ne ha autorizzato l’esercizio provvisorio. Per fermare il ciclo produttivo sono necessarie dalle tre alle quattro settimane. In caso contrario i danni all’altoforno risulterebbero devastanti.Nel frattempo dovranno essere aumentati i punti dello stabilimento ma anche dell’abitato di Servola in cui vengono misurate le emissioni di fumi e polveri. Fino ad oggi infatti vengono monitorati solo i fumi che escono dai 26 camini dello stabilimento e questi dati vengono trasmessi alla Regione che ne verifica la congruità con le prescrizioni di legge. Al contrario, secondo l’inchiesta della procura che si è snodata dal 2004 ai primi giorni dello scorso febbraio, le emissioni sarebbero più massicce e diffuse. Particolato, polvere di carbone, fumi scuri, emissioni giallo-grigiastre interessano la cokeria e il capannone sul piano di colata dell’altoforno. Gli interventi di ristrutturazione e miglioramento degli impianti non avrebbero dato l’esito sperato. Per ottenerli la procura si è impegnata a fondo per anni, costringendo al tavolo della trattativa avvocati e manager del gruppo sidururgico.Ieri l’avvocato Giovanni Borgna ha ricordato che la Servola spa ha speso sei milioni di euro per ristrutturare gli impianti e ha aggiunto che «non c’è nulla di nuovo in quest’ultimo sequestro. Provvedimenti di questo genere sono stati più volte ripetuti. Ovviamente faremo valere le nostre ragioni nelle sedi processuali competenti. In ogni caso è già stato avviato un dialogo con la procura per consentire l’esercizio continuativo dell’attività industriale, pur nell’ambito di un programma di tutela dell’ambiente. Segnalo peraltro che in questo settore sono già stati spesi dalla proprietà - solo in riferimento al precedente sequestro - sei milioni di euro».Francesco Semino, portavoce del gruppo siderurgico, ha invece affermato che si «tratta di un sequestro anomalo e curioso che dura da tre anni mentre lo stabilimento continua a produrre».

Claudio Ernè

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDÌ, 17 MARZO 2006

 

San Pantaleone, diossina come a Servola
 

Lo stesso tipo di diossina rilevato mesi fa nei fumi emessi dal camino E5 della Ferriera è stato riscontrato nell’aria del Monte San Pantaleone.Il dato emerge dallo studio che il Cigra (Centro interdipartimentale per la gestione e il recupero ambientale) della nostra Università ha realizzato per conto del Comune, i cui contenuti verrano comunicati ufficialmente oggi.Nel corso dello studio sono stati esaminati gli inquinanti rilevati dalle centraline dell’Arpa, poste in via Svevo, via Carpineto e via Pitacco, in particolare le polveri sottili e sottilissime (pm 2,5) e l’ossido di azoto. Proprio le polveri sottilissime, più pericolose delle pm 10, hanno fatto registrare diversi superamenti del limite nella centralina di via Svevo. Per contro, è risultata una flessione nelle concentrazioni di diossina dopo la chiusura del camino E5 disposta mesi fa dalla magistratura.I dati ottenuti dalle rilevazioni delle centraline sono stati correlati, dagli esperti del Cigra, con quelli delle condizioni meteo (in particolare la velocità e la direzione del vento) relative ai giorni in cui le concentrazione degli inquinanti sono risultate più elevate. In questo modo è stata ricavata una mappatura delle direzioni in cui si sono propagati gli inquinanti. Ed è appunto con tale metodo che gli esperti hanno ricavato la presenza di diossina nell’area di Monte San Pantaleone.Lo studio degli esperti del Cigra ha riguardato, sempre su richiesta del Comune, anche le diossine rilevate nei campionamenti effettuati al terrapieno di Barcola. La diossina contenuta negli strati superficiali ha indicato una corrispondenza con le caratteristiche delle ceneri provenienti dall’incenerimento dei rifiuti.E’ così dimostrato quanto emerso più volte nel corso degli ultimi mesi: nel terrapieno di Barcola furono scaricate, tra i più diversi materiali, anche le ceneri provenienti dall’inceneritore di Monte San Pantaleone.Proprio con riguardo al terrapieno di Barcola, riprende intanto oggi l’attività del Club del gommone, sospesa dallo scorso novembre al pari di quella della Velica di Barcola Grignano, del Club Sirena e dell’Associazione windsurf.Ieri, infatti, l’Autorità portuale ha steso lo strato di ghiaino di 25 centimetri sull’area del sodalizio, secondo le indicazioni del Comune legate al dissequestro dell’area.Tornando allo studio del Cigra, quella che sarà comunicata oggi è la seconda parte dello studio, relativa appunto all’analisi dei dati. La prima parte ha riguardato l’esame bibliografico e la sintesi dei vari studi e delle numerose misurazioni (da quelle dell’Arpa sino a quelle di Legambiente).Già da quel primo esame era emerso che il traffico è reponsabile soprattutto dell’inquinamento nell’area a nord del colle di Servola, mentre a sud, vicino allo stabilimento, emergono gli effetti delle fonti industriali, con emissioni e ricadute di particolato.

Giuseppe Palladini

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 18 FEBBRAIO 2006

 

Inquinamento della Ferriera, polveri e idrocarburi sulle case vicine
 

Un anno fa la Lucchini e anche la Ferriera di Servola veniva rilevata dal colosso russo, a 12 mesi di distanza, mentre si attende la presentazione ufficiale del piano industriale di rilancio, entrano nel vivo le ricerche per analizzare le emissioni di diossine e altri inquinanti nella zona di Servola che toccano abitazioni e gli stessi operai dello stabilimento siderurgico.Per quanto riguarda le analisi infatti si è alla prima fase dell’attività del Cigra, il Centro interdipartimentale per la gestione e il recupero ambientale dell’Università che ha siglato una convenzione con il Comune. Sono stati fatti i primi passi con l’esame bibliografico e la sintesi dei vari studi e delle varie misurazioni (da quelle dell’Arpa sino a quelle di Legambiente) e, tirando le fila, sono emersi i primi aspetti eclatanti. Risulta, soprattutto dall’analisi Arpa, una sostanziale differenza della qualità dell’aria tra la zona urbana centrale di Trieste e quella che circonda lo stabilimento siderurgico.Il traffico riguarda più la zona urbana a nord del colle mentre a sud, vicino allo stabilimento, l’area subisce gli effetti di un inquinamento da fonti industriali: emissioni e ricadute di particolato.I fenomeni sono molto variabili, si va da pochi minuti per emissioni particolarmente intense dello stabilimento (provocano innalzamenti ben al di sopra della soglia di allarme nelle centraline, specie in via Pitacco e Carpineto) a qualche giorno con polveri «ubiquitarie», fenomeno collegato soprattutto alle condizioni climatiche.Preoccupante risulta, nella relazione, la presenza di idrocarburi policiclici aromatici nelle deposizioni «secche» delle ricadute al suolo in vicinanza allo stabilimento vista la nota cancerogenicità dei composti.Valori alti si ritrovano alla postazione «ingresso operai» (394,9 nanogrammi) che se raffrontati con i valori medi in via Carpineto e Costalunga, appaiono piuttosto elevati. Individuata anche un’area a maggiore e persistente intensità di ricaduta che comprende gran parte dello stabilimento e della fascia esterna collocata entro 250 metri dalla Ferriera. Reperiti anche i dati sulle concentrazioni di diossine e furani rilevati fino ad oggi in emissioni al camino degli impianti in funzione e in scorie e sedimenti nell’area industriale.Sul fronte politico sindacale.intanto, Rifondazione comunista ieri ha convocato una conferenza stampa a un anno di distanza dal passaggio di mano della Servola alla russa Severstal che si è comprata la Lucchini. A 12 mesi di distanza, ribattono il consigliere regionale di Rifondazione Igor canciani, quello provinciale Dennis Visioli e quello comunale Mario Andolina, mancano tutta una serie di risposte anche dalla nuova proprietà.«E da novembre che ogni mese l’azienda annuncia che entro la fine del prossimo mese ci sarà la presentazione al ministero del piano industriale ma finora non abbiamo visto niente» spiega una nota firmata dai tre esponenti che richiama la risposta data da Giorgio Cremaschi della segreteria nazionale Fiom. «Un silenzio – accusa Rifondazione – che è contrario agli interessi dei lavoratori e dei cittadini che non hanno visto alcun miglioramento e nessuna certezza per il futuro.

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 24 GENNAIO 2006

 

Mordashov: la Ferriera sopravviverà oltre il 2009
 

Severstal è il colosso russo che esattamente un anno fa ha comprato il 70% dello storico gruppo siderurgico bresciano (controlla la Ferriera triestina di Servola) con un aumento di capitale da 450 milioni di euro. Mordashov, dopo una apparizione con i vertici della Lucchini in mattinata a Milano, ieri sera a Brescia ha assistito a un concerto-gala di Rostopovich organizzato dalla Fondazione Lucchini. Accolto come una giovane rockstar industriale e con qualche «magone» da parte degli antichi industriali del tondino che guardano con diffidenza ai «nuovi russi».A Brescia (che mantiene una quota del 30% del gruppo) sono consapevoli che il futuro dello stabilimento triestino di Servola resta condizionato dal grande dilemma: come i russi riusciranno a coniugare i pesanti nodi ambientali triestini con gli investimenti programmati per lo stabilimento. Mordashov, che un anno fa è riuscito a portare via agli americani persino Rouge Industries, l’acciaieria che il mitico Henry Ford aveva avviato negli anni Venti, non è tipo da farsi impressionare: «Nello stabilimento di Trieste intendiamo continuare l'attività nel business del coke anche dopo il 2009. Dobbiamo esplorare con gli stakeholders in quale modo» ha detto Mordashov.«Siamo disposti a fare quello che serve sotto il profilo ambientale con il consenso delle istituzioni coinvolte», hanno insistito ieri il presidente Giuseppe Lucchini e l’amministratore delegato, Giuseppe Gilleri. Per noi l’acciaieria triestina resta strategica. Sotto il profilo produttivo si integra bene con l’acciaio a ciclo integrato di Piombino». E le cifre? Gli investimenti per Trieste? Per ora a Brescia non ne fanno e tantomeno a Cherepovest, il quartier generale russo di Mordashov dove «le acciaierie non puzzano».Il gruppo Severstal-Lucchini rimanda tutti alle conclusioni del futuro necessario piano ambientale che la Regione, di concerto con il ministero dell’Ambiente (assieme a Comune e Provincia), dovrà realizzare in base alle nuove normative. I russi-bresciani sono pronti a avviare la procedura: «entro marzo-aprile» faranno richiesta alla Regione per avviare l’iter necessario a ottenere l’autorizzazione integrata ambientale. Saranno coinvolti supertecnici come gli specialisti dell’Istituto superiore di sanità e del Cnr: «Tutte le migliori competenze che ci possono essere per individuare le tecnologie necessarie per Servola», dicono a Brescia.La palla sta per passare così alla Regione Friuli Venezia Giulia che, coadiuvata dal ministero dell’Ambiente, dovrà fare una verifica degli impianti e dire l’ultima parola sullo stato dello stabilimento in vista della riconversione. La questione ambientale riguarda anche lo stabilimento di Piombino per il quale sono previsti 40 milioni di investimenti nel 2006. Solo esaurita questa fase -precisano alla Lucchini- si potrà quantificare la cifra necessaria per varare un piano di investimenti per Trieste oltre la data fatidica della rivonversione prevista nel 2009.A livello di gruppo, da punto di vista industriale, dopo che la produzione ha raggiunto i 3,5 milioni di tonnellate (da 4 milioni del 2004) «senza grossi investimenti», Mordashov ha indicato in 3,8 milioni l'obiettivo per il 2006. A Trieste tutto si gioca sulle «linee di sviluppo per Servola», presentate da Severstal-Lucchini nell’ottobre scorso, embrione di un piano industriale che oggi si intreccia pesantemente con l’aspetto ambientale e riguarda il futuro di circa 600 operai. Un altro nodo, questa volta più industriale, riguarda la futura piattaforma logistica e i rapporti con l’Auhority portuale triestina: «Bisogna verificare come possono coesistere il mantenimento di un impianto siderurgico con lo sviluppo logistico da tutti auspicato», dicono a Brescia. Al momento, precisano alla Lucchini, non ci sono incontri programmati con l’Authority. Il gruppo Lucchini intanto aarchivia il 2005 con un fatturato di 2,2 miliardi di euro, un margine operativo lordo di circa 300 milioni e un utile di 70 milioni, sui livelli del 2004. Il gruppo ha ritrovato più tranquillità anche dal punto di vista finanziario con l'indebitamento sceso nel 2005 sotto i 550 milioni di euro.

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDÌ, 13 GENNAIO 2006

 

Colussi: «Lavoro, alla Ferriera oggi non esistono alternative»
 

«Nella Regione, da artigiani, commercianti e qua e là dal Confapi prevalgono le richieste di finanziamenti a pioggia». Ruben Colussi, il segretario regionale della Cgil, tocca un tema spinoso. Lo sa. Tra competitività globale, mercato del lavoro, sviluppo della coesione sociale, «sarà difficile andare con tutta coerenza su questo percorso» di sostegno a innovazione e competitività scelto dalla Regione, riflette a voce alta.Da Colussi ieri sono venute anche alcune sottolineature sulle priorità per lo sviluppo di Trieste. «La deindustrializzazione è nei fatti», ha esordito il sindacalista. Che ha rimarcato la necessità di ricostruire una rete sociale e progettuale. «Costruire relazioni» ma «nel modo più dettagliato possibile perché dobbiamo cercare di prefigurare uno spettro di interventi concreti» con «il concorso di tutti». Quanto alla Ferriera, Colussi è stato chiaro: «La siderurgia è un settore che davanti a sé ha una prospettiva di un certo periodo». Ma il ritardo nell’intervenire sull’aspetto ambientale aiuta chi vuole che lo stabilimento chiuda, e dall’altra parte crea atteggiamenti di disimpegno». Il primo imperativo è intervenire sulla sicurezza ambientale. Tenendo presente che «le ipotesi alternative citate dal sindaco, l’impianto di gassificazione e la riconversione di Porto Vecchio, sono del tutto aleatorie. È evidente l’assoluta strumentalità» del centrodestra, per Colussi: alla Ferriera oggi «non esiste alternativa».

 

 

e-gazette - gennaio 2006

A tutto gasprom - La storia del gas russo e della debolezza italiana, retroscena e altre vicende…