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Dentro il paesaggio
con il patrocinio del comune di Trieste
Domenica 6 giugno 2010
Escursione nell'ambito urbano e suburbano di Trieste
seguendo le suggestioni di testi letterari del primo novecento:
Saba, Giotti, Stuparich, Svevo.
Come la città portuale interagiva con i suoi spazi
facendosi di volta in volta scena e attore nella vita artistica dei suoi più
grandi scrittori?
Escursione nell'ambito urbano e suburbano di Trieste seguendo le suggestioni di
testi letterari del primo novecento: Saba, Giotti, Stuparich, Svevo.
I testi di Umberto Saba e Virgilio Giotti proposti, consentono di evidenziare
alcune trasformazioni avvenute nel paesaggio urbano e suburbano di Trieste, in
particolare per quel che concerne il rapporto tra città e campagna. In questo
senso appare emblematica la poesia "Montebelo" di Virgilio Giotti che segue
diacronicamente la progressiva urbanizzazione di una zona a ridosso del centro
cittadino con il sorgere di edifici, strade, linee ferroviarie, impianti
militari e sportivi, dall'inizio del '900 agli anni '30.
Anche nelle poesie di Saba è riscontrabile l'attenzione a questa mobile
"frontiera" tra città e campagna, con una certa nostalgia delle note rurali nel
paesaggio.
I testi di Stuparich e Svevo si riferiscono invece ad un verde "urbano" cioè il
Giardino Pubblico di Trieste.
In questi autori, prettamente "urbani", il Giardino è parte del tessuto
cittadino, e acquisisce, soprattutto in Giani Stuparich, valenze metafisiche.
Ci muoveremo quindi dalla Stazione Centrale alle "Tre vie" di Umberto Saba: via
del Lazzaretto Vecchio, via del Monte, via Rossetti; risalendo quest'ultima
giungeremo in via della Pietà cui è intitolata l'altra poesia di Saba proposta,
e quindi a Montebello cui è dedicata la sopra citata poesia di Virgilio Giotti.
Prima di salire per via Rossetti (o dopo...), passeremo per il Giardino
Pubblico.
Potremmo concludere l'escursione salendo, come fece Umberto Saba in tante sue
poesie dedicate al tema dell'erta, sino ad un'osmizza in quel di Pis'cianzi,
dove, per chi lo vorrà, si potrà pranzare in compagnia.
L’escursione ha un carattere urbano e si muoverà all’interno del centro storico
per completare il suo percorso alle ore 13,30, per una lunghezza di circa 6.5
km.
Nel pomeriggio sarà possibile farà una visita a BIOEST, fiera dei prodotti
naturali e delle associazioni ambientaliste, culturali e del volontariato, dove
il Circolo Verdeazzurro di Legambiente sarà presente.
La fiera si svolge sabato 5 e domenica 6 giugno 2010 nel parco di S. Giovanni a
TRIESTE (zona ex Ospedale Psichiatrico): http://www.bioest.org
Informazioni & prenotazioni
Circolo Legambiente di Trieste: info@legambientetrieste.it - 366 3430369
Legambiente del Friuli Venezia Giulia: 0432 295483 (tel e fax)
Appuntamento alle 9.15 presso l'ingresso della stazione di Trieste.
Per informazioni o prenotazioni: cell. 329-7633250 - 333-9264187
solo la pista,e, in fianco,
el casamento bianco
d'i soldai de la làntver. Pa' 'ndar su
se ciapava per via Setefontane;
o pur par via Rosseti,
driti, fra i alboreti,
fra quei muri coi copi sul ziel blu;
e se rivava in mezo a pra' e campagne.
Case de contadini
iera; vile e giardini
con bei albori, 'basso, e do o tre
sul monte contro el ziel; e l'ostarie,
co le tavole fora,
la pergola par sora,
e le tovaie zeleste e rosè.
Dopo xe stada messa la ferata,
che va de longo el monte,
co in mezzaria quel ponte,
che la strada, che a bissa riva su,
ghe passa soto e gira; e i ga anca fato
la stazion. 'Verte strade
xe sta e fabricade
case. E po', ch'i albori no' i iera più
pici, i ga verto un altro vial in fondo
e scuminzià la prima
casa. Za i iera in zima,
e xe vignuda la guera, e se ga
fermado tuto. In quela casa , abasso,
incastrà nel zimento,
un "Mile nove zento
quatòrdise" par tera iera là.
de la vecia, che ferma
de faza la caserma
vendi, ghe iera artilieria. Finì
'lora i ga quela casa, alta e là sola
nel vial no' terminado;
e in quinto pian so' 'ndado,
con mia moglie e mii fioi a starghe mi.
In 'sto tempo vignudo su xe muri,
restei, tetoie; un campo
de fòtbal; 'n altro campo
più in fondo; in mezo po', soto de quel
bel cercio de albori, un bar co' gelati
e che anca i bala drento;
un basso casamento
zalo, co' in grando su: Benzina Shell
De in alto, suso, de le tre finestre,
mi e mii fioi vardemo;
e eco quel che vedemo:
vedemo el monte e su i treni passar;
in zima contro el ziel, le case, i muri,
o àlbori d'i giardini
veci; zo i contadini,
n'i ùltimi tochi de orti, lavorar,
zapar, bagnar; far le manovre i ciapi,
le stive d'i soldai;
còrer 'torno i cavai,
co la gente sul monte, che a vardar
sta picia e negra; filar àuti e càmion;
rivar su la coriera
la festa; in primavera
'torno la casa i rondoni svolar.
Umberto Saba: “Tre vie”
C’è a Trieste una via dove mi specchio
nei lunghi giorni di chiusa tristezza:
si chiama Via del Lazzaretto Vecchio.
Tra case come ospizi antiche uguali,
ha una nota, una sola, d’allegrezza:
il mare in fondo alle sue laterali.
Odorata di droghe e di catrame
dai magazzini desolati a fronte,
fa commercio di reti, di cordame
per le navi: un negozio ha per insegna
una bandiera; nell’interno, volte
contro il passante, che raro le degna
d’uno sguardo, coi volti esangui e proni
sui colori di tutte le nazioni,
le lavoranti scontano la pena
della vita: innocenti prigioniere
cuciono tetre le allegre bandiere.
A Trieste ove son tristezze molte,
e bellezze di cielo e di contrada,
c’è un’erta che si chiama Via del Monte.
Incomincia con una sinagoga,
e termina ad un chiostro; a mezza strada
ha una cappella; indi la nera foga
della vita scoprire puoi da un prato,
e il mare con le navi e il promontorio,
e la folla e le tende del mercato.
Pure, a fianco dell’erta, è un camposanto
abbandonato, ove nessun mortorio
entra, non si sotterra più, per quanto
io mi ricordi: il vecchio cimitero
degli ebrei, così caro al mio pensiero,
se vi penso ai miei vecchi, dopo tanto
penare e mercatare, là sepolti,
simili tutti d’animo e di volti.
Via del Monte è la via dei santi affetti,
ma la via della gioia e dell’amore
è sempre Via Domenico Rossetti.
Questa verde contrada suburbana,
che perde dì per dì del suo colore,
che è sempre più città, meno campagna,
serba il fascino ancora dei suoi belli
anni, delle sue prime ville, sperse,
dei suoi radi filari d’alberelli.
Chi la passeggia in queste ultime sere
d’estate, quando tutte sono aperte
le finestre, e ciascuna è un belvedere,
dove agucchiando o leggendo si aspetta,
pensa che forse qui la sua diletta
rifiorirebbe all’antico piacere
di vivere, di amare lui, lui solo;
e a più rosea salute il suo figliolo.
Umberto Saba: “Via della Pietà”
Accennava al'aspetto una sventura,
sì lunga e stretta come una barella.
Hanno abbattuto le sue vecchie mura,
e di qualche ippocàstano si abbella.
Ma ancor di sé l'attrista l'ospedale,
che qui le sue finestre apre e la porta,
dove per visitar la gente morta
preme il volgo perverso; e come fuori
dei teatri carrozze in riga nera
sempre fermo ci vedo un funerale.
Cerei sinistri odori
escon dalla cappella e se non posso
rattristarmi, pensare il giorno estremo,
l'eterno addio alle cose di cui temo
perdere solo un'ora, è perché il rosso
di una cresta si muove tra un po' d'erba,
cresciuta lungo gli arboscelli in breve
zolla: quel rosso in un speranza e fede
ravviva, come in campo una bandiera.
La gallinella che ancor qui si duole,
e raspa presso alla porta funesta,
mi fa vedere dietro la sua cresta
tutta una fattoria piena di sole.
Giani Stuparich: “Giardino Pubblico”
da Poesie
Platani nell'inverno antichi al sole,
Pei viali m'aggiro, aerei duomi.
Quante foglie cadute da allora
Che bambino correvo sotto cupole
D'oro: era calda la terra
Sussurrante ai veloci giri
Del cerchio.
Nell'argentea rete
Nudi adesso intricate l'azzurro.
Suonano le sirene.
Un'altra guerra mi desola
Il cuore. Solo più in alto,
Molto più in alto è pace.
20 gennaio 1945
Giani Stuparich: “La vasca”
da Poesie
Il sole a mezzo il giorno
E tu per mano mi traevi alla vasca.
Nello specchio distillati disegni
Di rami e foglie immobili,
Forme di tessuti leggeri,
E i colori del cielo profondi.
Sentivo alla tua mano il brivido
Dell'ombra e la magia
Di quei mondi raccolti.
Sussultavi ai sorvoli
Improvvisi dei merli.
E noi là dentro tra gli azzurri e i verdi,
Noi col tormento di sentirci vivi,
Al platano appoggiati
Centenario con le radici
In fondo nella terra.
Morir così alla rapacità
Del tempo, distillarci
Nel grembo della vasca,
Immobili perenni
Ombre del mezzogiorno.
28 agosto 1945
Italo Svevo: “La Coscienza di Zeno”
Dal cap.6: La moglie e l'amante
Dapprima, per varii giorni, giunsi solo fino al giardino pubblico e con la
sincera intenzione di gioire di quel verde che apparisce tanto puro in mezzo al
grigio delle strade e delle case che lo circondano...
Al giardino pubblico sedetti su una panchina e, col bastone, segnai
distrattamente sulla ghiaia la data di quel giorno...