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RASSEGNA STAMPA  luglio - dicembre 2017

 

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 31 dicembre 2017

 

 

Rifiuti pericolosi in Serbia, un affare da 8 miliardi - È questa la cifra che il governo stima necessaria per adeguarsi agli standard Ue
Dalla battaglia alle discariche illegali alle pratiche di smaltimento nelle città
BELGRADO - Per aspirare a entrare nel club più ambito, quello dell'Unione europea, la Serbia deve portare avanti importanti riforme e soprattutto lanciare il cuore oltre l'ostacolo siglando, il prima possibile, un accordo finale per la "normalizzazione" dei rapporti con il Kosovo. Ma per Belgrado, prima dell'adesione, c'è anche un altra questione, forse poco conosciuta e sottostimata ma non per questo meno ardua da risolvere: è quella dello smaltimento dei rifiuti, sia domestici, sia industriali, e dunque della protezione ambientale in generale. Ed è un fronte che diventerà caldo nei prossimi anni e costerà molto alle casse di Belgrado: almeno otto miliardi di euro, nella stima dello stesso governo. A tenere alta l'attenzione sul tema, alcune notizie che hanno molto colpito l'opinione pubblica in questo periodo. Notizie come quelle sulle «centomila tonnellate di rifiuti pericolosi e non adeguatamente custoditi», secondo le stime di Miodrag Mitrovic, presidente dell'azienda Miteko, una delle imprese leader nel Paese nel management dei rifiuti industriali e più nocivi per l'ambiente. Tonnellate che sono composte «da sostanze chimiche» velenose, che «da anni sono ammassate», spesso in «condizioni non idonee, in particolare nei «capannoni di imprese fallite», senza contare poi «i terreni contaminati». In occasione di un forum sulla protezione ambientale, Mitrovic ha ricordato anche che sono almeno 88 «le località con inquinamento storico» a causa di rifiuti pericolosi, identificate dalle autorità del Paese balcanico, che sono però riuscite finora a intervenire solo su nove di esse. Ma non ci sono solo queste stime a far paura. Incutono, se possibile, ancora più timore notizie come quelle arrivate nei giorni scorsi da Obrenovac, città a un tiro di schioppo da Belgrado, dove le forze dell'ordine hanno scovato, in un appezzamento privato, almeno 25 tonnellate di rifiuti chimici altamente tossici, stoccati illegalmente in vecchi fusti da un imprenditore senza scrupoli. E ieri il quotidiano belgradese Vecernje Novosti ha annunciato la scoperta, sempre nello stesso terreno, di altri «cento barili» pieni di sostanze chimiche velenose, con alta probabilità scarti industriali. Che non si sia trattato di un ritrovamento di poco conto è confermato dalle dichiarazioni del ministro dell'Ambiente, Goran Trivan, che ha apertamente parlato di rifiuti che avrebbero potuto provocare una «catastrofe ecologica». Che almeno stavolta è stata scongiurata. Ma non ci sono solo scarti industriali pericolosi. In Serbia, Paese che non è un'eccezione nella regione, i rifiuti cittadini continua a essere "smaltiti" attraverso lo schema «raccolta-trasporto in discarica», mentre il riciclaggio non tocca l'8% a livello nazionale. E lì il terreno su cui si deve lavorare al massimo, spiega l'esperto ambientale Dusan Jakovljevic, citando numeri che non mentono. Per quanto riguarda i rifiuti comunali, sono «142 i depositi» di rifiuti a livello nazionale, solo otto quelli che «rispettano gli standard Ue». E, anche se le stime ufficiali riferiscono di 3.000, almeno dieci volte tante sono le discariche illegali. Per mutare il quadro e avvicinarsi all'Ue servono «due miliardi di euro e dieci anni, nell'ipotesi migliore». Ma bisogna fare più in fretta, altrimenti l'apertura e chiusura del capitolo negoziale numero 27, quello sull'ambiente, e di conseguenza l'adesione alla Ue diventeranno chimere

Stefano Giantin

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 30 dicembre 2017

 

 

Torna sui binari il treno Trieste-Lubiana - Il collegamento nell'ambito della proroga del contratto fra Regione e Trenitalia
UDINE - C'è anche il gran ritorno del Trieste-Lubiana nel "pacchetto" contrattuale che rinnova per due anni l'accordo tra Regione Friuli Venezia Giulia e Trenitalia per il servizio ferroviario regionale. Dal 2018, come annunciato già in estate dal direttore del traffico passeggeri delle Ferrovie slovene (Sz), Milos Rovsnik, la capitale della Slovenia sarà nuovamente collegata con Trieste e, a quanto pare, pure con Venezia. Un ritorno, appunto. Perché il Trieste-Lubiana, attivato nel dicembre 2003, era stato cancellato nel 2008 causa scarso interesse manifestato dall'utenza. Lo scenario è cambiato, a quanto risulta, in conseguenza del progetto, in dirittura d'arrivo, del polo intermodale di Ronchi: il treno, come avevano ipotizzato i vertici di Ferrovie slovene, si dovrebbe infatti fermare anche nella nuova stazione in zona aeroporto. L'iniziativa di ripristinare la tratta è stata proposta per la prima volta nel 2015 dalla presidente Debora Serracchiani al ministro degli Esteri sloveno Karl Erjavec in occasione della sessione inaugurale del Comitato congiunto Fvg-Slovenia. Visto l'interesse pure del ministro delle Infrastrutture Peter Gaspersic, la Regione si è poi attivata nelle sedi centrali e territoriali di Rfi e di Trenitalia affinché predisponessero una serie di proposte tecniche da condividere con gli omologhi sloveni e con il ministero sloveno competente. Nell'agosto scorso la Regione anticipava quindi di voler coinvolgere la Regione Veneto e il ministero italiano dei Trasporti «al fine di assicurare l'appoggio di tutte le istituzioni per rendere pienamente operativo un servizio di trasporto pubblico locale ai cittadini del Veneto, del Friuli Venezia Giulia e della Slovenia, rafforzando al contempo le zone transfrontaliere dell'area italo-slovena, che oggi sono servite esclusivamente dalla mobilità stradale». Già a luglio Serracchiani, nel corso del vertice di Trieste sui Balcani occidentali, aveva tra l'altro informato dell'idea progettuale il commissario europeo ai Trasporti Violeta Bulc, ricevendone un forte incoraggiamento a portarla avanti. «Sta adesso alle autorità slovene e ai gestori del programma Italia-Slovenia - precisava ancora la Regione - fare in modo che un servizio così strategico per imprese e cittadini delle nostre regioni possa essere adeguatamente finanziato». A concretizzare il progetto - che dovrebbe decollare nel secondo semestre del prossimo anno - mancavano le firme. E ieri è infine arrivata l'ufficializzazione da parte dell'assessorato alle Infrastrutture nell'ambito di un'informazione complessiva sulla proroga biennale (dall'1 gennaio 2018 al 31 dicembre 2019) del contratto con la compagnia ferroviaria nazionale. Il Trieste-Lubiana (due ore e mezza di percorrenza) rientra in un contesto di potenziamento nel quale rientrano anche il riavvio dei servizi ferroviari, attivati a dicembre 2017 tra Sacile e Maniago, sull'intera linea, da Sacile fino a Gemona e i potenziamenti estivi sulle direttrici Sacile-Udine-Trieste e Tarvisio-Udine-Cervignano-Trieste. Quest'ultimo è mirato a migliorare le connessioni con la ciclovia Alpe Adria, sfruttando la riapertura della tratta Udine-Cervignano nei fine settimana prevista sempre nel corso del 2018, anche al fine di valorizzare la città di Palmanova, patrimonio Unesco. Viene inoltre prevista anche la collaborazione di Trenitalia per la realizzazione di treni storici nell'ambito di una specifica convenzione da stipulare con Fondazione Fs. Più in generale, la delibera approvata dalla giunta regionale nell'ultima seduta dell'anno su proposta di Mariagrazia Santoro è funzionale a garantire la continuità dei servizi regionali nell'attesa delle valutazioni sul nuovo affidamento dei trasporti ferroviari, alla luce delle modifiche del quadro normativo di riferimento, delle recenti indicazioni delle autorità di settore e della presentazione, nel corso del 2017, di due manifestazioni di interesse, da parte di operatori del settore (secondo indiscrezioni si tratta di Trenitalia e del gruppo Arriva). Concretamente, la Regione dovrà decidere se procedere a un affidamento diretto o se andare a gara

Marco Ballico

 

Anas entra nel gruppo Ferrovie dello Stato - Nasce un gigante europeo della mobilità
Grandi numeri per il nuovo gruppo che nasce dall'incorporazione dell'Anas nelle Ferrovie dello Stato dopo il via libera all'aumento di capitale di 2,86 miliardi di euro mediante conferimento dell'intera partecipazione Anas detenuta dal Tesoro. Dall'operazione nasce infatti un big player della mobilità in Europa. Con il conferimento di Anas e 81mila dipendenti, il gruppo Fs è infatti in grado di sviluppare nel 2018 un fatturato di 11,2 miliardi di euro e una capacità di investimento di 8 miliardi, con un capitale investito di circa 50 miliardi. É stato stimato che la sola gestione integrata delle infrastrutture produrrà in dieci anni risparmi operativi non inferiori a 400 milioni di euro. L'ad di Fs, Renato Mazzoncini (nella foto), ha parlato non a caso di «di una tappa fondamentale nella realizzazione del piano industriale del gruppo che vede Fs come principale promotore della mobilità integrata su ferro e gomma a vantaggio di tutti gli italiani. É l'ulteriore conferma che il ruolo di Fs sta cambiando: non più impresa ferroviaria nazionale ma impresa europea di mobilita».

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 29 dicembre 2017

 

 

Crolla un muro a Gretta - Danni a un'auto in sosta
Ancora un muro crollato dopo per effetto delle abbondanti piogge. È accaduto ieri sera attorno alle 22 nel rione di Gretta, proprio dietro la chiesa. A cedere il muretto di contenimento di un'abitazione disabitata in via Camaur 11, già in precarie condizioni. Franando a terra le pietre hanno colpito un'auto in sosta. Fortunatamente nessun ferito. Sul posto polizia locale e vigili del fuoco, che hanno transennato l'area interessata dal cedimento.In mattinata le piogge avevano creato disagi in varie parti della città interessate da tombini intasati e strade allagate. Un autentico "lago" comparso in via Errera, in particolare, ha reso la vita difficile ai dipendenti di una ditta della zona. Scongiurato invece, almeno nel corso della giornata, il temuto rischio neve e ghiaccio in Carso. Numerosi i mezzi messi in campo per cospargere di sale le aree critiche, che, oltre all'Altipiano, riguardano anche alcuni punti del centro e della periferia. Agenti della Polizia locale, personale dell'AcegasApsAmga e di Trieste trasporti hanno tenuto costantemente monitorato il territorio nel timore, appunto, che si avverassero le previsioni meteo legate all'arrivo di un fronte atlantico sulla regione. Fronte puntualmente arrivato intorno alle 4 di ieri mattina, con il suo carico di precipitazioni abbondanti che, sopra i 400 metri, avrebbero potuto trasformarsi in nevicate. La coltre bianca però, alla fine, non si è vista. «I bollettini meteo, emessi dalla Protezione civile, e le altre informazioni diramate dalle nostre strutture - ha dichiarato nel pomeriggio il vicesindaco Pierpaolo Roberti - continuano a dirci che la quota-neve, ogni ora che passa, si sta abbassando sempre di più. Gli ultimi dati suggeriscono la possibilità di nevicate nel corso della nottata nelle zone più alte del Carso». Roberti ha sottolineato che, nel caso di ulteriori peggioramenti con calo delle temperature, si dovranno render necessari altri interventi anche in centro città e in particolare in alcune zone a rischio, come le vie in pendenza o dove tendenzialmente l'aria è più fresca e quindi potrebbero concentrarsi strati di ghiaccio. «La situazione è sotto controllo - ha aggiunto il vicesindaco - Attendiamo che le piogge si attenuino per consentire una più efficace salatura delle strade. Preferiamo aspettare che le temperature si abbassino ancora un po' con l'arrivo dei primi fiocchi di neve, spargere il sale». «Questo ci consentirà di garantire il meglio possibile la circolazione proprio in quelle zone dove di solito fa più freddo, da Opicina a tutti i vari paesi del Carso triestino - ha aggiunto Roberti - Siamo anche in collegamento con l'Anas per le strade non di competenza comunale e abbiamo l'ausilio di Trieste trasporti che, dai propri mezzi, è in grado di trasmettere informazioni in tempo reale su tutto il territorio».

(e.f.)

 

 

ARPA - Centralina anti-rumore a ridosso della Ferriera
L'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente ha comunicato di aver concluso il 15 dicembre scorso i lavori di installazione di una postazione fonometrica fissa in prossimità dello stabilimento siderurgico della Ferriera di Servola. La stazione fonometrica è gestita da remoto ed è quindi in grado di fornire dati in continuo, senza la necessità di operatori in loco. I test di verifica sono già iniziati e proseguiranno fino a inizio febbraio. Concluse le verifiche i dati verranno pubblicati nell'apposita sezione dedicata del sito web dell'Arpa. Il luogo dove è collocata la stazione fonometrica è stato scelto dopo una attenta valutazione. La postazione, pur non collocata in facciata a ricettori specifici per ragioni di sicurezza e di protezione dagli agenti atmosferici, è direttamente esposta alle emissioni rumorose dell'impianto siderurgico e consente l'acquisizione di misure di riferimento adatte a riscontrare e valutare nel lungo termine le variazioni del clima acustico esistente nell'area, anche a seguito di interventi di bonifica attuati sugli impianti produttivi. Nella medesima posizione, l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente ha già effettuato a partire dal 2015 delle misurazioni a campione e dispone delle serie storiche che potranno essere utilizzate nelle future analisi ambientali.La comunicazione dell'Arpa arriva a pochi giorni di distanza dall'avvio di un altro tipo di "progetto" legato sempre alla Ferriera di Servola, quello di carattere legale voluto dall'amministrazione municipale. La giunta Dipiazza ha infatti "ingaggiato" due avvocati veneti - Fabio Gusso del Foro di Padova e Sebastiano Tonon di quello di Venezia -, con l'incarico di studiare la situazione in vista della stesura di una specifica relazione tecnica. Mansioni per quali i due legali percepiranno un compenso di 51mila euro (cifra doppia rispetto a quella comunicata in un primo momento dall'esecutivo) a fronte di cinque mese e mezzo di lavoro.

 

 

Nel mondo circolano più di due milioni di auto elettriche
ROMA - Nel mondo circolano attualmente più di 2 milioni di veicoli elettrici, grazie al boom che c'è stato nel 2016 anno in cui sono state immatricolate oltre 750mila unità con questa tipologia di propulsione (erano state 547.220 nel 2015). È quanto risulta da un recente rapporto dell'International Energy Agency (Iea) che sottolinea come, nonostante la forte crescita (+60%) al momento le auto elettriche costituiscano solo lo 0,2% del parco circolante mondiale e, quindi, abbiano un limitatissimo impatto sulla riduzione del gas serra che, secondo lo studio Intergovernmental Panel on Climate Change, sono generati globalmente per il 14% dai mezzi di trasporto. A livello di mercati, la Cina ha sorpassato nel 2016 gli Stati Uniti per acquisti di veicoli elettrici, raggiungendo una diffusione dell'1,5% sul parco complessivo e assorbendo il 40% di tutte le vendite. La Iea fa anche notare che in Cina circolano 200milioni di mezzi elettrici a due ruote, e più di 300mila autobus elettrici, che non vengono però computati in queste statistiche. In Usa 159.139 consegne (+37%) hanno permesso di raggiungere una quota dell'1,13% (nelle passenger car), mentre in Europa è confermata l'importanza della Norvegia, seguita da Olanda (6,4%) e Svezia (3,4%). Nello studio realizzato dalla divisione Energy Technology Policy anche una previsione di quello che potrebbe essere lo scenario elettrico nei prossimi anni: dagli attuali 2 milioni - a seconda delle condizioni generali e locali e in base alla diminuzione dei costi - si potrebbe arrivare ad un circolante elettrico tra 9 e 20 milioni di unità nel 2020 e fra 40 e 70 milioni nel 2025.

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 28 dicembre 2017

 

 

La battaglia legale contro la Ferriera affidata a due veneti - Il dossier Servola nelle mani degli avvocati Gusso e Tonon - Compenso da 51mila euro per un incarico di cinque mesi

Sono Fabio Gusso del Foro di Padova e Sebastiano Tonon di quello di Venezia gli avvocati ingaggiati dal Comune per affiancare il sindaco nella "battaglia" sulla Ferriera. L'incarico, che impegnerà i due professionisti dal 15 gennaio al 30 giugno 2018, prevede «la promozione - si legge nel contatto stipulato tra l'amministrazione e i legali - di atti rivolti alla risoluzione delle problematiche sanitarie ed ambientali lamentate dalla cittadinanza relative alla Ferriera di Servola derivanti dall'area a caldo». «L'obiettivo è l'incisività, - sottolinea Dipiazza - io ho dato l'indirizzo politico, chiesto di cercare dei professionisti che mi potessero affiancare su questo tema e gli uffici hanno provveduto ad individuarli». Nella delibera di giunta approvata il 21 dicembre scorso, si specifica che i due avvocati sono stati scelti ad intuitu personae, prendendo dunque in considerazione le qualità personali, professionali dei due legali. Si specifica inoltre che a fine novembre, facendo riferimento proprio all'attivita di consulenza legale al sindaco in merito alla Ferriera, era stata richiesta la disponibilità a fornire un supporto legale anche all'Avvocatura del Comune. Cosa che non è stata possibile visto soprattutto l'elevato numero di contenziosi in essere (1096) e che l'Avvocatura si trova ad affrontare. La collaborazione di Tonon e Gusso - per la quale è previsto un compenso di 51mila euro (comprensivi di Iva, ritenute fiscali e previdenziali di legge, piu' oneri previdenziali) - prevede una serie di attività che si articolano secondo una scaletta indicativa che prevede - come inserito nello schema disciplinare di incarico - quattro fasi. La prima, della durata di 15-30 giorni, servirà allo studio della documentazione e dello stato di fatto delle iniziative già avviate dal Comune. Ulteriori 30-40 giorni, la seconda fase, saranno utili alla redazione delle diffide, di atti stragiudiziali e delle comunicazioni occorrenti per dare seguito alle iniziative già avviate dall'amministrazione comunale e per l'avvio delle eventuali ulteriori iniziative stragiudiziali che verranno eventualmente individuate. La terza fase della durata di una novantina di giorni, servirà invece ai due professionisti veneti all'elaborazione e alla messa in atto di ulteriori contromosse. L'ultimo step prevede la redazione di una relazione sullo stato di fatto della vicenda, corredata da un parere legale con indicazione di alcune possibili evoluzioni della situazione e di determinare azioni legali che, all'occorrenza, potrebbero venire promosse. L'incarico prevede anche la partecipazione di Gusso e Tonon ad alcuni incontri. Sebastiano Tonon, 47 anni, è stato componete della Commissione consultiva del Settore politiche ambientali della Provincia di Venezia, collaboratore dell'Ispra, organismo tecnico del ministero dell'Ambiente. È stato chiamato anche a supporto dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia per i contenziosi civili e penali interessanti la materia ambientale. Fabio Gusso, una specializzazione in diritto ed economia dei mercati finanziari presso la scuola di formazione Ipsoa, tra le sue competenze indica fusioni e acquisizioni, diritto societario, finanziamenti, contrattualistica commerciale, diritto amministrativo dei servizi pubblici, procedure competitive e concorrenza, immobiliare e transazioni.

Laura Tonero

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 27 dicembre 2017

 

 

Tuffi non più proibiti dopo dodici anni a Porto San Rocco - Revocata l'ordinanza del 2005 che vietava la balneazione nel tratto di mare davanti alla spiaggia del comprensorio
MUGGIA - Lo specchio acqueo davanti alla spiaggia di Porto San Rocco torna a disposizione dei bagnanti. Dopo 12 lunghi anni di attesa la Capitaneria ha deciso di revocare l'ordinanza risalente al 2005 che aveva di fatto vietato l'accesso al mare di uno dei tratti più belli del litorale muggesano. L'area in questione era interdetta alla balneazione in seguito appunto a un'ordinanza, firmata dall'allora comandante Paolo Castellani, in cui si evidenziava come proprio «nello specchio acqueo antistante il tratto di litorale prospiciente la zona verde e il parcheggio pubblico di Porto San Rocco» risultassero essere presenti «alcuni residui in ferro sommersi affioranti dal fondale del mare». Per 12 anni, quindi, non essendo stata mai eseguita una bonifica di tali residui ferrosi, l'area è rimasta ufficialmente off-limits, anche se quasi sempre i bagnanti hanno continuato a usufruire della zona, rischiando peraltro di incappare in una sanzione pecuniaria che ai sensi dell'articolo 1164 del Codice della navigazione va dai 100 ai 1000 euro. Durante la scorsa estate l'ingombrante e pericolosa presenza di materiale ferroso era tornata agli onori della cronaca, essendo visibile uno spuntone di ferro affiorante dal mare, in particolar modo nelle giornate di bassa marea. Per cercare di porre rimedio alla situazione era intervenuta la Scuba Tortuga, l'associazione sportiva subacquea muggesana che si era proposta, tramite i suoi volontari, di ripulire gratuitamente l'area inquinata. Dalla Capitaneria, però, era arrivato il diniego ad operare in quel tratto di mare. Nel corso di un colloquio avvenuto nel mese di giugno con i rappresentanti della Scuba Tortuga e con Francesco Pilato, quest'ultimo nelle vesti di rappresentante del Supercondominio di Porto San Rocco, anch'esso interessato alla bonifica dell'area, il comandante della Capitaneria, il capitano di vascello Luca Sancilio, aveva sostenuto di aver negato il permesso alla pulizia dei fondali perché la presenza di un centinaio di subacquei in acque interdette per presenza di elementi ferrosi, spuntoni e altro, avrebbe potuto costituire un pericolo, anche in considerazione del fatto che i subacquei potevano non essere perfettamente al corrente dello stato dei fondali. Quasi contemporaneamente, però, Sancilio aveva inviato a Comune e Autorità portuale una nota con la quale invitava i due enti a verificare lo stato dei fondali e a rimuovere eventuali rifiuti ferrosi. L'Autorità portuale aveva quasi immediatamente affidato ad un'impresa di lavori subacquei le operazioni di taglio e rimozione di elementi metallici depositati sul fondale. Una volta bonificata l'area, la Capitaneria, a seguito dei lavori eseguiti, ha revocato la vecchia ordinanza 35 del 2005. «Mai più avremmo pensato che in pochissimi mesi Capitaneria, Autorità portuale e Comune, lavorando in sinergia, avessero risolto un problema che si trascinava da oltre 12 anni: a tutti questi soggetti pubblici e in particolare al comandante della Capitaneria Luca Sancilio va il nostro ringraziamento», le parole di Marco Russo, presidente della Scuba Tortuga.Raggiante anche il sindaco di Muggia, Laura Marzi: "È un altro grande passo nella direzione dello sviluppo turistico della costa, che ci stiamo impegnando a portare avanti su più fronti. Un valore aggiunto per tutta la comunità, che si sta riappropriando, passo a passo, di tutta la sua zona a mare. Un valore aggiunto anche nell'ottica del rilancio in chiave turistica di Porto San Rocco, che ben si inserisce nel progetto di riqualificazione che lo sta interessando».

Riccardo Tosques

 

 

Torna la minaccia dell'ailanto nei parchi - La pianta infestante si diffonde. Il Comune: «Stiamo valutando le contromisure assieme ai tecnici»
Nonostante il taglio effettuato mesi or sono, tornano, sempre più numerosi, a far capolino nella parte nord del frequentatissimo Giardino Pubblico, gli inquietanti Ailanti, alberi pericolosamente infestanti che continuano a conquistare porzioni di territorio ai danni degli altri vegetali. Di piante aliene che invadono orti, giardini e boschi se ne parla ormai da tempo, eppure enti preposti e amministrazioni sembrano trascurare o minimizzare un problema che va di pari passo con quei cambiamenti climatici che già oggi impongono scelte di vita penalizzanti. L'Ailanto è uno di quegli alberi che, giovandosi del caldo torrido estivo, sta colonizzando città, versanti collinari, periferie più o meno degradate. A Trieste non occorre girare tanto per imbattervisi. Basta osservare quel mini boschetto che, nella parte a monte del centralissimo giardino pubblico "Muzio de Tommasini", spunta sulla superiore via Volta. Già nel dicembre dello scorso anno, proprio da queste pagine, era partita la segnalazione della presenza dell'Ailanto nel principale parco cittadino con le osservazioni di Livio Poldini, professore emerito del Dipartimento di Scienze della Vita dell'ateneo triestino, a evidenziare la nocività di questa pianta infestante originaria dell'Asia. Il Comune, qualche tempo dopo la segnalazione, ha avuto modo di perfezionare il taglio della macchia di ailanti che prosperavano in una zona defilata del giardino pubblico. Purtroppo l'intervento non è servito: negli ultimi mesi gli alberi tagliati sono tornati a nuova vita, se possibile ancora più robusti e alti. Una delle caratteristiche dell'Ailanto è di riprodursi negli spazi più accidentati e degradati. A Trieste lo si trova oramai dovunque. Originario della Cina, venne introdotto nel XVIII secolo per realizzare dei nuovi allevamenti di baco da seta dimostratisi non redditizi. Abbandonata la cultura, l'Ailanto ha continuato a riprodursi sino a diventare quel pericolo pubblico odierno che botanici e forestali continuano a denunciare. «Una vera e propria macchina da guerra vegetale che fa il vuoto attorno a sé - rincara il professore Poldini - e che ormai troviamo dovunque. Ogni Ailanto maturo produce annualmente oltre 250. 000 semi! A favorire la sua diffusione, il clima caldo che oramai caratterizza le nostre estati». Come neutralizzare questo infestante? «È necessario tagliare la pianta sinché non indebolisca e muoia». Per il Comune risponde l'assessore ai Lavori Pubblici Elisa Lodi: «Il problema è noto e ci stiamo lavorando. Purtroppo non è di facile risoluzione, e il nostro tecnico forestale sta valutando diverse ipotesi di intervento. Non sono ancora in grado di fornire dei tempi, tuttavia la questione rimane assolutamente sotto il nostro obiettivo».

Maurizio Lozei

 

 

 

 

GREENSTYLE.it - MARTEDI' 26 dicembre 2017

 

 

Come riciclare i rifiuti di Natale?

Le feste di Natale possono rappresentare un’occasione per dimostrarsi amici dell’ambiente, anche attraverso un corretto smaltimento dei rifiuti. Questo perché le cene in famiglia o con gli amici rischiano di trasformarsi in uno spreco di materiali riciclabili: secondo un’indagine statunitense il periodo natalizio fa registrare un incremento medio della quota “secco” o “indifferenziato” pari al 25%.

Non sono soltanto i normali rifiuti a preoccupare, ma anche quelli tipicamente associati al Natale. Tra questi luci e decorazioni, tappi di spumante e in diversi casi piatti, bicchieri e posate usa e getta acquistate per l’occasione. Meglio agire per tempo, selezionando prodotti facili da smaltire attraverso la raccolta differenziata e preparando prima dell’arrivo degli ospiti i vari secchi e sacchetti per ciascun materiale da riciclo (consultare per l’esatto conferimento la locale azienda di smaltimento e recupero).

Umido

Può sembrare un paradosso, ma anche una tra le più facili materie da smaltire come l’umido può finire impietosamente nell’indifferenziata. Accade soprattutto quando si utilizzando piatti e bicchieri di plastica usa e getta: gli eventuali avanzi di cibo presenti tendono a finire nel secco insieme ai loro contenitori, rappresentando un inutile spreco di risorse (che potrebbero diventare bioenergie o compost). Tenendo a portata di mano un sacchetto dell’umido e, soprattutto, ricorrendo alle stoviglie tradizionali, anche i più “scettici” saranno portati a separare gli avanzi da piatti e bicchieri. Discorso simile vale per i pezzetti di cibo rimasti sulla tovaglia, che spesso finiscono per l’essere gettati sul pavimento per poi essere raccolti con la scopa: così facendo però verranno mescolati a sporco e polvere, costringendo quindi a gettarli con gli altri rifiuti secchi nell’indifferenziata; con un po’ di attenzione si potranno far cadere direttamente nel sacchetto della frazione umida, minimizzando così il problema. Andranno conferiti nella frazione umida anche i tovaglioli di carta entrati a contatto con la frazione umida o utilizzati per pulirsi durante il pasto.

Piatti, bicchieri e posate “usa e getta”
Non è mai sbagliato ricordare che piatti, bicchieri e posate “di plastica” in realtà devono essere conferite con l’indifferenziata e non con la plastica. Il materiale di cui sono composte non è riciclabile insieme con altri rifiuti precedentemente utilizzati come contenitori. Stesso discorso vale anche per alcuni oggetti particolari come le palle dell’Albero di Natale o le lampadine delle luminarie.
Luci e decorazioni
Entrando quindi nello specifico per quanto riguarda le luminarie, le luci utilizzate durante le festività devono essere smaltite come rifiuti elettronici e non gettate nell’indifferenziata o nella raccolta vetro. Come ricorda il consorzio Ecolamp questi prodotti fanno parte del gruppo di RAEE noto con la sigla R4, come tali quindi necessitano di essere conferite presso un’isola ecologica o un apposito centro di smaltimento. Alcuni indirizzi di punti di raccolta sono forniti dallo stesso consorzio attraverso il sito Internet www.ecolamp.it/centri-raccolta.
Falsi amici e consigli utili
Dovranno finire tra i rifiuti inseriti nella raccolta indifferenziata, pena la potenziale compromissione della “differenziata” erroneamente associata, anche alcuni “falsi amici” come piatti e bicchieri di cristallo, prodotti in pyrex o vetroceramica, così come ad esempio elementi in ceramica tra cui pirofile, statuette del presepe, tazze e tazzine.
Secondo Tom Carpenter, direttore dei servizi di sostenibilità presso la Waste Management, nel preparare i contenitori di prodotti ormai consumati non è necessario che siano puliti alla perfezione e lavati con acqua, basterà semplicemente togliere quanti più residui possibile con una posata: il rischio è altrimenti uno spreco idrico superiore a quello generato dalla mancata pulizia. Altro possibile motivo di “confusione” è il simbolo con le tre frecce solitamente associato riciclo, presente su alcuni contenitori realizzati con miscele in resina e in cui tale disegno serve unicamente per indicare il codice di riferimento e non l’effettiva possibilità di recupero.

Ultima nota in merito alla carta da regalo utilizzata per incartare i pacchi natalizi. Spesso si tratta di fogli trattati e resi lucidi attraverso processi che ne rendono impossibile il riciclo. Meglio utilizzarne di prodotti con carta riciclata o magari utilizzare fogli di giornale per nascondere un dono atteso e gradito, così da aumentare ulteriormente la sorpresa in chi scarterà il pacchetto.

Claudio Schirru

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 24 dicembre 2017

 

 

La Slovenia vince la battaglia per salvare le api
BELGRADO - Inquinamento, pesticidi e parassiti stanno mettendo a rischio le api in tutto il mondo. Ma i piccoli insetti hanno da mercoledì un alleato a sorpresa. È la Slovenia, che ha vinto una lunga e sentita battaglia per sensibilizzare il mondo intero sull'importanza delle api, non solo per la produzione di miele, ma soprattutto come impollinatrici. Vittoria che si è concretizzata con il voto dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, dove 115 Paesi hanno recepito la proposta di Lubiana, nata da un'idea dell'Associazione degli apicoltori sloveni, di dichiarare il 20 maggio «Giornata internazionale delle api». Paesi - tra cui vi è la Cina, gli Usa, la Russia e tutti gli Stati membri dell'Ue - che si sono così impegnati a «osservare» il giorno dedicato alle api «attraverso educazione e attività pensate per aumentare la sensibilizzazione sull'importanza delle api e di altri impollinatori, sulle minacce che incombono e sul loro contributo a uno sviluppo sostenibile», ha specificato l'agenzia di stampa slovena, Sta. Venti maggio, è stato precisato, che è stato scelto sia perché in quel periodo dell'anno maggiore è l'attività delle api nell'emisfero boreale, sia perché è la data di nascita del pioniere dell'apicoltura nell'impero austro-ungarico, lo sloveno Anton Jansa (1734-1773). Per Lubiana «la dichiarazione sulla Giornata delle api è primariamente un obbligo», ha commentato il ministro sloveno dell'Agricoltura, Dejan Zidan, «vogliamo fare di più per la protezione delle api e altri impollinatori» e per la difesa «della biodiversità», ma anche per la lotta «alla fame» nel mondo, dove un terzo del cibo prodotto a livello globale dipende appunto dal lavoro d'impollinazione delle api. In Slovenia sarà anche aperta un'Accademia internazionale d'apicoltura

s.g.

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 23 dicembre 2017

 

 

«La prima pietra del Parco del mare entro la fine 2018» - Paoletti fiducioso: «Iter amministrativo chiuso in estate» - Il Municipio valuterà se ricorrere a una variante al Prg
Comune, Camera di commercio, Autorità portuale definiranno tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio un accordo di programma, che costituirà la base amministrativa per avviare il Parco del mare. Il documento, sul quale sono al lavoro gli staff tecnici degli enti interessati, dettaglierà e ripartirà gli interventi da eseguire. In particolare, il Municipio valuterà - ha riferito l'assessore all'Urbanistica Luisa Polli - se ricorrere o meno alla variante al Piano regolatore. L'altra mattina Antonio Paoletti, presidente della Camera di commercio e principale assertore del progetto, ha accompagnato il sindaco Roberto Dipiazza in un sopralluogo sul sito "candidato" ad accogliere il Parco del mare: siamo nell'area ex Cartubi ed ex PortoLido, vicino alla Lanterna e al "Pedocin" in molo fratelli Bandiera. Il progetto PortoLido, che era stato lanciato da Italia Navigando (agenzia del ministero dello Sviluppo Economico), è rimasto al palo e la controllata "Trieste Navigando", detentrice della concessione deliberata dall'Autorità portuale, è stata acquisita dalla Camera di commercio e dalla partner Fondazione CrT. Paoletti è parso fiducioso sul decollo di un'iniziativa che, per una ragione o per l'altra, ha fatto discutere ed è stata al centro del dibattito politico triestino. Il presidente camerale ritiene possibile «sia la posa della rituale prima pietra entro la fine del prossimo anno che l'espletamento dell'iter amministrativo entro l'estate 2018». Il clou della procedura - ha riepilogato Paoletti - si sostanzierà in un bando integrato che conterrà progetto, costruzione, gestione (perlomeno fino al rientro dell'investimento effettuato nello spirito del project financing). La struttura finanziaria dell'operazione resta confermata in 44 milioni di euro: la metà sarà a cura di Camera, Fondazione, Regione Fvg, l'altra metà dovrà essere la dote dell'investitore privato. Costa Edutainment, gerente dell'Acquario di Genova, pare una possibile candidata, ma Paoletti non esclude la partecipazione di più cordate alla gara. «Abbiamo ricevuto parecchie richieste per visitare il sito», gli piace chiarire. Il sopralluogo sembra aver ulteriormente convinto Dipiazza. Nel senso che «è una delle zone più degradate di Trieste, se non la più degradata». Quindi - sostiene il sindaco - chi si oppone al Parco del mare, vuole lasciare nello sfacelo una zona centrale, affacciata sul mare, «che diventerà un importante attrattore turistico». «Come si fa a dire - s'infervora il primo cittadino - che il Parco del mare rovinerà un'area che oggi giace nel completo abbandono?».Il Parco del mare consta essenzialmente in un grande acquario. Un paio di anni fa la Fondazione aveva affidato al gruppo Acb uno studio preparatorio dell'operazione. Studio che aveva esaminato tre scenari: la proposta di Peter Chermayeff, l'ipotesi Lisbona, una versione ridotta che è poi servita come "filo rosso" per le mosse successive. Comunque gli importi sono significativi: 19 milioni per gli interni e gli impianti, quasi 16 milioni per la realizzazione edile, poco meno di 4,5 milioni destinati alla progettazione. A regime una settantina gli addetti.

Massimo Greco

 

«Duino Aurisina rischia la paralisi edilizia» - Comune e agricoltori puntano il dito contro il Piano paesaggistico della Regione che blocca di fatto ogni ampliamento
DUINO AURISINA - Niente ampliamenti di ville e appartamenti, nonostante il Piano casa. Nessuna possibilità di ingrandire e ristrutturare costruzioni dedicate alle attività agricole e alla viticoltura, stalle, depositi di attrezzi. Rischia di bloccarsi quasi del tutto l'attività edilizia nel Comune di Duino Aurisina. È questa la diretta e inattesa conseguenza dell'adozione, da parte della Regione, del Piano paesaggistico per il Friuli Venezia Giulia. Un documento che ha messo in allarme l'intera amministrazione comunale e l'Associazione agricoltori del Carso. «Dovessimo applicare alla lettera il dettato del Piano - spiega l'assessore per i Lavori pubblici, Lorenzo Pipan - il 95% della superficie del nostro territorio comunale ne sarebbe coinvolta, con la drammatica conseguenza di un'immediata interruzione di numerose attività economiche, in primis quella edile e quella legata all'agricoltura. Invece di pensare alla valorizzazione del territorio - aggiunge - qui si va verso il congelamento di qualsiasi progetto». Una reazione che vede l'esponente della giunta sulla stessa linea di Edi Bukavec, segretario dell'Associazione degli agricoltori del Carso: «Innanzitutto lamentiamo il fatto di non essere stati convocati preventivamente - protesta Bukavec -, perché avremmo potuto esporre le nostre ragioni prima di vedere adottato questo Piano. In secondo luogo - prosegue - questo documento ci preoccupa perché va a condizionare l'intero sviluppo del territorio del Carso».Il segretario dell'Associazione agricoltori, da tempo impegnato nella battaglia per il recupero di aree dell'altipiano da destinare alla viticoltura («bisognerebbe unire le forze di tutti i Comuni coinvolti - precisa su questo fronte - per rinnovare il protocollo che disciplina le attività legate alla produzione del Prosecco»), ha espresso le sue ragioni in relazione al Piano paesaggistico regionale nel corso di un incontro che ha visto presenti, fra gli altri, il sindaco di Duino Aurisina, Daniela Pallotta, il suo vice, Walter Pertot, e l'assessore Andrea Humar. «Chiediamo anche l'istituzione di uno Sportello - sottolinea Bukavec - al quale gli agricoltori si possano rivolgere per qualsiasi autorizzazione necessaria per lo svolgimento dell'attività, in modo da snellire la burocrazia».«Va ricordato - riprende Pipan, tornando al Piano paesaggistico - che negare il diritto ad ampliare, nelle aree che il Piano regolatore definiva edificabili, significherebbe per l'amministrazione perdere un notevole gettito Imu. I proprietari - continua l'assessore - non sarebbero più tenuti a versare le aliquote maggiori, perché i loro terreni perderebbero la qualifica di edificabili».«Scriverò alla presidente Serracchiani - annuncia intanto Pallotta - per chiedere un incontro e cercare di chiarire questa complicata situazione».

Ugo Salvini

 

 

PISINO - Una mangiatoia per salvare dall'estinzione il gipeto barbuto
PISINO - Anche in Croazia il gipeto barbuto uccello rapace della famiglia Accipitridae noto anche come avvoltoio barbuto o avvoltoio degli agnelli, è in pericolo di estinzione. Si calcola che ne siano rimaste in vita poco più di un centinaio di coppie adulte e la drastica riduzione viene attribuita all'abbandono delle forme tradizionali di agricoltura e alla riduzione dell'allevamento estensivo. In questo modo si sono ridotti sensibilmente la quantità di cibo disponibile e la superficie del loro habitat. In Istria per correre ai ripari, sul Monte Maggiore è stata costruita una mangiatoia per il gipeto barbuto poichè è risaputo che nel periodo dell'annidamento e nel primo anno di vita questo rapace ha necessità di una fonte sicura e affidabile di cibo. Come spiega il direttore del Parco del Monte Maggiore Egon Vasilic, la mangiatoia è stata realizzata con i mezzi della donazione del Fondo per l'ambiente.

(pr)

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 22 dicembre 2017

 

 

Ue: 84 milioni di aiuti illegali per l'Ilva - Chiusa l'indagine dell'Antitrust. Calenda: soddisfatto, cifra contenuta. La commissaria Vestager: «Avanti con la bonifica»
ROMA - L'Italia dovrà recuperare dall'Ilva 84 milioni di euro di aiuti di Stato illegali, sugli oltre 2 miliardi di interventi messi in campo dal Governo italiano dal 2014. Una cifra che lascia il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda molto soddisfatto, e che mette fine all'indagine approfondita che la Commissione europea aveva aperto a gennaio 2016. Restano ora aperte la procedura per aver disatteso le norme ambientali, di fatto in stand-by in attesa della vendita, e l'esame dell'operazione di fusione con Arcelor Mittal, che deve terminare entro il 4 aprile 2018. Intanto, ieri al Mise è stato convocato un nuovo tavolo per riprendere la discussione con i sindacati sul piano industriale dell'acquirente, mentre Bruxelles invita a procedere senza ritardi nell'operazione di bonifica. L'indagine della Commissione riguardava cinque misure di sostegno, per un totale di 2,4 miliardi. Soltanto due interventi «hanno conferito all'Ilva un vantaggio indebito», nel 2015, cioè nel periodo dell'apertura della procedura d'insolvenza. Illegali sono le condizioni finanziarie di una garanzia statale su un prestito di 400 milioni di euro e di un prestito pubblico di 300 milioni.«Tali importi sono stati utilizzati per finanziare il fabbisogno di liquidità dell'Ilva relativo alle sue attività commerciali e non per sopperire ai costi della bonifica ambientale. Entrambe le misure sono state concesse a condizioni più favorevoli rispetto alle condizioni di mercato e hanno avvantaggiato l'azienda rispetto agli altri produttori di acciaio dell'Ue, che devono finanziare a proprie spese le operazioni correnti e gli interventi di ristrutturazione», scrive la Ue. L'Ilva deve ora rimborsare circa 84 milioni di euro di aiuti (interessi esclusi), corrispondenti alla differenza tra le condizioni finanziarie del prestito e della garanzia di cui ha beneficiato, e le condizioni prevalenti sul mercato. Il rimborso rimane una sua responsabilità, e non può essere trasferito al nuovo acquirente. Per quanto riguarda però il resto del sostegno, gli oltre 2 miliardi «non si qualificano come aiuto di stato perché sono in linea con le condizioni del mercato, o perché non coinvolgono fondi pubblici». Come gli 1,1 miliardi che i proprietari dell'Ilva hanno trasferito alla società nel giugno 2017 e destinati alla bonifica. Bruxelles riconosce poi che la procedura di vendita degli attivi di Ilva «si è svolta in modo aperto, corretto e trasparente». La «grande soddisfazione» di Calenda non è quindi solo per la cifra ridotta degli aiuti da recuperare, ma anche «per il riconoscimento che la Commissione ha voluto esprimere sulla conduzione da parte del governo italiano del processo di gara». E la ritiene «una tappa significativa di un percorso lungo e complesso per garantire il futuro del più grande sito siderurgico europeo». Da parte sua la commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager ricorda che l'indagine sugli aiuti non ha intralciato in alcun modo gli interventi di bonifica.

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 21 dicembre 2017

 

 

L'auto elettrica corre in Fvg - Piano Enel per 252 stazioni - Su scala nazionale previste 14 mila colonnine per la "ricarica"entro il 2022

In provincia di Trieste saranno 44. Asse con i Comuni e le Regioni - il piano nazionale ENEL per l'auto elettrica
TRIESTE - La rivoluzione dell'auto elettrica arriva anche in regione. Il piano nazionale dell'Enel si propone di distribuire in modo uniforme nel Paese le colonnine elettriche, simbolo del nuovo paesaggio urbano senza benzina. Un flusso silenzioso di auto e mezzi pubblici che si ricaricherà grazie a 7mila centraline entro il 2020 con l'obiettivo di arrivare a quota 14mila entro il 2022. Di fatto si ripresenta lo stesso scenario avvenuto con le rinnovabili che una decina di anni fa sembravano un business di nicchia mentre oggi con una produzione di 20mila megawatt solo in Italia diventano realtà e infrastruttura nel Paese. La crescita della mobilità elettrica sembra inarrestabile anche se siamo ancora all'inizio. Secondo la società di consulenza globale AlixPartner da una quota di mercato frazionale (solo lo 0,21%) nel primo trimestre del 2013 si è passati all'1,19% dei primi tre mesi di quest'anno. Nello stesso periodo di tempo il numero di veicoli elettrici venduti è passato da 41.023 a 260.411. Le colonnine di rifornimento elettrico oggi nel Paese sono relativamente poche (circa 900) e distribuite in modo non uniforme. Il gruppo investirà così fino a 300 milioni di euro in 5 anni nella rivoluzione elettrica sulle ruote che nel giro di qualche anno potrebbe sconvolgere il panorama della mobilità urbana nel Paese e in Friuli Venezia Giulia. Nel quartier generale dell'Enel confermano infatti che il piano nazionale per la mobilità elettrica lanciato dall'amministratore delegato Francesco Starace prevede uno sbarco in forze anche in Friuli Venezia Giulia. I numeri cominciano a essere importanti: 252 stazioni elettriche da realizzarsi entro il 2022. Nella suddivisione per province al primo posto c'è la provincia di Udine con 103 stazioni, segue Pordenone con 75, Trieste con 44 e Gorizia con 30. Le tipologie di infrastrutture di ricarica che saranno installate dall'Enel saranno di tipo Quick (con potenze fino a 22kw per il traffico urbano) e Fast Recharge per i collegamenti extraurbani. Enel propone tre modelli di ricarica di diversa potenza e con diverse velocità. Le più rapide, destinate alle strade extraurbane, consentono di fare il pieno di energia in 20-30 minuti. Le stazioni saranno distribuite non solo sulle strade. Circa l'80% dei punti di ricarica verrà installato nelle zone cittadine, di cui il 21% nelle grandi aree metropolitane e il 57% nelle altre città, e il restante 20% circa a copertura nazionale, per garantire gli spostamenti di medio e lungo raggio, nelle zone extraurbane e nelle autostrade. La nuova colonnina elettrica, progettata da Marco Susani e Defne Koz, aumenta le possibilità di interazione con il cliente attraverso wifi e bluetooth: basterà una semplice applicazione. Il Piano nazionale verrà sviluppato in collaborazione con i Comuni e le Regioni interessate, dove Enel investirà direttamente nelle infrastrutture di ricarica, e insieme ai soggetti privati che vorranno partecipare al progetto, con un contributo da parte dell'azienda che potrà arrivare fino al 65% dell'investimento. Si punta anche a incentivare i privati: supermercati, ristoranti, garage. Di recente il gruppo elettrico ha siglato un protocollo d'intesa con Enel che prevede l'installazione di circa 250 postazioni di ricarica nei supermercati e centri commerciali dal Nord al Sud. «Siamo fortemente impegnati a dare all'Italia un contributo decisivo all'evoluzione di un sistema di mobilità sostenibile. Questo porterà grandi benefici per l'ambiente, il sistema economico, le imprese e i cittadini. Il mondo energetico sta attraversando una profonda fase di cambiamento che coinvolge tutti i suoi aspetti e apre grandi opportunità grazie allo sviluppo di nuove tecnologie, come quelle legate alla e-mobility, che cambiano le abitudini delle persone, migliorandone la vita quotidiana all'interno e all'esterno delle aree urbane», ha detto Starace.

Piercarlo Fiumanò

 

Il ministero "blinda" l'ordinanza antibici nel centro di Muggia - Respinto da Roma il ricorso presentato da tre cittadini - A giugno 2018 tre vie torneranno off-limits per le due ruote
MUGGIA - Il Ministero ha definitivamente bocciato il ricorso proposto da tre cittadini contro l'ordinanza antibici del Comune di Muggia. Tramite una lettera inviata al municipio rivierasco, il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti ha dato dunque ragione all'amministrazione Marzi nella querelle sorta dopo il ricorso presentato da tre cittadini muggesani - Christian Bacci, Gaetano Maggiore e Carlo Canciani - contro l'ordinanza dirigenziale del 18 luglio scorso, con cui la Giunta aveva decretato le nuove regole per la viabilità all'interno del centro storico. Ma la partita potrebbe non essere ancora chiusa del tutto. «Stiamo valutando se fare o meno ricorso al Tar del Friuli Venezia Giulia» conferma Bacci. Sebbene l'ordinanza "della discordia" non sia più in vigore dal 30 settembre, essendo terminata la stagione estiva, con i divieti che scatteranno nuovamente dal primo giugno 2018, la lettera spedita dal Ministero con la bocciatura totale del ricorso presentato dai tre cittadini ha di nuovo riproposto la questione che aveva fortemente scaldato gli animi in estate.Il documento, che dallo scorso giugno regolamenta la viabilità del centro storico inserendo, tra i tanti punti, anche l'obbligo di spingere le biciclette a mano in tre zone del centro - corso Puccini, via Dante e piazza Marconi - era stato fortemente contestato dalla sezione muggesana di Fiab Ulisse, l'associazione di ciclisti presente sul territorio provinciale. Tramite l'ufficio legale dell'associazione Christian Bacci, Gaetano Maggiore e Carlo Canciani avevano presentato a luglio un ricorso al Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti contro l'ordinanza sindacale di Muggia. Inizialmente il Ministero aveva accolto, seppur con riserva, il ricorso dei cittadini tanto da inviare al Comune una nota con la sospensione del documento. Una sospensiva peraltro senza tempistiche precise e con la possibilità da parte dell'amministrazione di appellarsi a motivi di sicurezza per un eventuale ripristino. E non essendovi, infatti, alcun pronunciamento, il Comune aveva ripristinato l'ordinanza fornendo delle controdeduzioni. Dopo aver fornito a Roma i documenti necessari per avvalorare la necessità di una regolamentazione della presenza delle biciclette in alcune zone del centro storico il Comune ha ricevuto la risposta da parte del Ministero: il ricorso proposto da Bacci, Maggiore e Canciani è stato respinto. Ora i tre cittadini avranno 60 giorni di tempo per farsi valere davanti al Tar del Friuli Venezia Giulia oppure 120 giorni per presentare un ricorso straordinario al presidente della Repubblica. Soddisfatta il sindaco di Muggia, Laura Marzi: «Fa indubbiamente piacere che il Ministero abbia ritenuto che la nostra ordinanza tuteli la sicurezza di tutti i cittadini e non sia discriminante nei confronti di alcuna categoria. Siamo consapevoli di non ledere l'interesse di nessuno, anche perché l'ordinanza in questione è stata modulata morbidamente attraverso stagionalità e orari precisi. Il parere del Ministero non fa che confermare quanto di buono fatto».

Riccardo Tosques

 

 

Grignano - Muro crolla sulla scalinata del "Sentiero Natura"
TRIESTE - Le forti piogge di metà dicembre continuano a creare problemi di stabilità sui versanti collinari triestini. A farne le spese non solo condomini e case, ma pure quegli antichi percorsi rurali che solcano boschi e valli. Tra questi, decisamente mal ridotto, è il classico "Sentiero Natura" che dalla parte alta di Grignano arriva a Contovello, grazie a una splendida e antica scalinata in pietra che si inerpica attraverso la boscaglia regalando scorci incantati sul parco di Miramare e sul golfo. Proprio in questi giorni un muretto di contenimento sovrastante il sentiero è franato sulla scalinata rendendola parzialmente inagibile. Non sarà purtroppo né il primo né l'ultimo pezzo di muro che cadrà al suolo: buona parte delle strutture di contenimento dei pastini che circondano il sentiero sono prossimi a cadere. Umidità e rovesci stanno letteralmente gonfiando i muretti ed è probabile che altri smottamenti non tarderanno a verificarsi. I danni sono notevoli e diffusi. Con il dissesto degli antichi percorsi che dal mare portano al ciglione carsico, scalinate e sentieri che servivano a pescatori e agricoltori per portare i frutti del proprio lavoro nelle località carsoline, vanno a perdersi dei brani di storia contadina tutt'altro che secondari. Nel caso del Sentiero Natura, che tra l'altro culmina nell'area verde dell'altrettanto antico stagno di Contovello, si rischia di perdere uno dei percorsi più belli e frequentati dai turisti. Tra questi, infatti, non sono pochi gli ospiti dell'Ictp che si avventurano lungo questa direttrice, con potenti obiettivi, per cogliere le bellezze del golfo. Accanto al sentiero, risulta da tempo accidentata anche la scalinata in arenaria che dall'inizio del "Natura" collega alla stazione ferroviaria di Miramare e all'entrata a est del parco. Complessivamente un itinerario che ha pochi eguali per chi insegue un turismo provinciale alternativo ricco di scorci e attrattive.

(m. l.)

 

 

Scatta sabato in Croazia il fermo pesca per l'«azzurro» - Fino al 15 febbraio
FIUME - Scatterà sabato in Croazia il fermo pesca per sardelle, acciughe e papaline, misura che dal 2006 viene applicata ogni anno in dicembre. Il ministero dell'Agricoltura, in accordo con i pescatori professionisti istriani, quarnerini e dalmati, ricorre al fermo biologico per tutelare le biomasse di queste tre minuscole specie di azzurro che, grazie ai costi contenuti e alle proprietà delle loro carni, sono le più acquistate nei mercati ittici delle regioni orientali dell'Adriatico. Facendo tesoro di quanto avvenuto nel 2016, quando il malumore di pescatori e Assoconsumatori colse nel segno, il divieto di pesca è stato stabilito a partire dal 23 dicembre, il che vuol dire che per la Vigilia di Natale si potrà avere a tavola l' azzurro di piccole dimensioni. Non tutti in Croazia, dato il tenore di vita, possono permettersi il 24 dicembre di avere a tavola pesci pregiati. Dopo la pescata (meteo permettendo) a cavallo tra il 22 e il 23 dicembre il fermo durerà fino al 15 febbraio. In quel periodo comunque non c'è alcun divieto nelle acque slovene e italiane: le sardelle arriveranno così comunque a Fiume, anche se a prezzi naturalmente più alti.

(a.m.)

 

 

 

 

GREENSTYLE.it - MERCOLEDI', 20 dicembre 2017

 

 

Metalli tossici per l’uomo: quali sono

La tossicità dei metalli pesanti è una delle principali minacce per la salute dell’uomo e, ancora, dell’ecosistema in generale. Tra questi elementi ve ne sono alcuni in grado di esercitare un effetto tossico diretto, altri invece lentamente si accumulano in animali e piante che fanno parte della nostra catena alimentare, depositandosi poi nei tessuti e negli organi umani. I metalli pesanti sono inquinanti ambientali e la loro tossicità è un problema di crescente importanza per ragioni ecologiche, evolutive, nutrizionali e ambientali. A livello internazionale, sono state intraprese varie misure per controllare e soprattutto prevenire l’esposizione a queste sostanze.

Tra tutti i metalli, sono definiti pesanti quelli che hanno una densità specifica superiore a 5g per centimetro quadro. In piccole quantità sono necessari per mantenere una buona salute, ma in dosi maggiori possono diventare tossici o pericolosi. I metalli a cui siamo esposti sono nel complesso 35, di questi solo 23 sono definibili come pesanti: antimonio, arsenico, bismuto, cadmio, cerio, cromo, cobalto, rame, gallio, oro, ferro, piombo, manganese, mercurio, nichel, platino, argento, tellurio, tallio, stagno, uranio, vanadio e zinco. Nella maggior parte dei casi, l’eccessiva esposizione a questi elementi causa astenia e stanchezza eccessiva, danni cerebrali, ai polmoni, ai reni, al fegato e anomale variazioni della composizione del sangue. L’esposizione a lungo termine porta in genere a progressiva degenerazione muscolare e neurologica, con l’insorgenza di sintomi e segni tipici anche di altre gravi malattie degenerative come la sclerosi multipla, il morbo di Parkinson, il morbo di Alzheimer e la distrofia muscolare, oltre ai tumori. Vediamo alcune informazioni sui metalli pesanti più spesso coinvolti in gravi avvelenamenti e quali sono i sintomi con cui si manifesta l’esposizione.
Arsenico
L’intossicazione, prima acuta e successivamente cronica, si verifica sia per inalazione che per ingestione. La dose tossica è compresa tra 5 e 50 mg, in dipendenza del peso del soggetto, mentre quella letale è di circa 120 mg, corrispondenti a 1-2 mg per chilo di peso corporeo. Tra tutti i composti dell’arsenico, il più tossico è l’arsenito di sodio, un sale molto solubile.

L’avvelenamento con questo metallo può avvenire per ingestione. Gli alti livelli di arsenico nelle falde acquifere sono di origine geologica e di inquinamento da attività industriali, dall’utilizzo di antiparassitari, diserbanti e fertilizzanti. Il metallo passa anche facilmente la barriera placentare e l’esposizione del feto è causa di danni anche gravi. L’eccesso di arsenico viene eliminato per via renale, anche se ci vogliono circa 10 giorni affinché tutte le quantità vengano eliminate dopo una intossicazione acuta. L’esposizione professionale può essere causa di avvelenamento cronico, che si manifesta con sintomi dermatologici e neurologici, mentre l’avvelenamento da gas arsenicali di solito si presenta con la classica triade: dolori addominali, ittero e sangue nelle urine.
Piombo
L’intossicazione da piombo si presenta di solito con sintomi poco evidenti in fase iniziale, tuttavia l’esposizione cronica è causa di encefalopatia acuta, lesioni d’organo irreversibili e deficit cognitivi. Tutte le concentrazioni di piombo nel sangue hanno effetti negativi sullo stato di salute, anche se il rischio di deficit cognitivo si manifesta con concentrazioni di piombo nel sangue maggiori di 10 microgrammi per decilitro. Coliche addominali, stipsi, tremori e cambiamenti dell’umore si manifestano successivamente, e i segni di encefalopatia si sviluppano a partire da una piombemia maggiore di 100 microgrammi per decilitro di sangue.
Mercurio
Tra tutti i composti chimici del mercurio, i più tossici sono quelli solubili. L’80% del mercurio nell’ambiente deriva da fonti naturali, come ad esempio l’erosione delle rocce, mentre il restante 20% è immesso nell’ambiente ad opera dell’uomo soprattutto con l’inquinamento industriale. È invece ormai in disuso l’impiego di questo metallo in agricoltura. Il mercurio che raggiunge falde, fiumi e mari può trasformarsi in metilmercurio, che entra nella nostra catena alimentare attraverso il consumo di pesce e vongole. L’avvelenamento acuto causato da questo metallo si manifesta con gravi sintomi a carico dell’apparato gastrointestinale, circolatorio, respiratorio e successivamente anche dei reni. L’esito è spesso funesto. In caso di avvelenamento acuto per ingestione, è consigliabile la somministrazione di latte e bianco d’uovo, che hanno dimostrato di essere buoni antidoti, anche se la terapia è comunque di competenza del medico che potrà decidere di impiegare sostanze che legano con il metallo, come dimercaprolo, la penicillamina ed il succimer.
Cadmio
L’intossicazione acuta o cronica da cadmio può essere causata sia per inalazione che per ingestione del metallo. In genere, l’esposizione al cadmio è di natura professionale e ne sono coinvolti i lavoratori che operano nell’industria che produce cuscinetti a sfere, accumulatori e cavi elettrici e cellule fotoelettriche e reattori nucleari. I primi sintomi sono di natura respiratoria, ma nel caso di esposizione cronica viene coinvolto tutto l’organismo.

Cromo

Sono tossici i composti solubili del cromo, come acido cromico, cromati e bicromati. Anche nel caso di questo metallo, l’esposizione è di solito di natura professionale e sono coinvolti coloro che operano nell’industria delle vernici, inchiostri, cemento ed elettronica.

Francesca Antonucci

 

 

IL FATTO QUOTIDIANO - MERCOLEDI', 20 dicembre 2017

 

Sacchettini per frutta e verdura dal 1° gennaio a pagamento nei supermercati. Il ministero: “No a buste riutilizzabili”

Dovranno essere tutti in plastica biodegradabile e compostabile, ma solo usa e getta e sempre a pagamento. La legge non dice quanto dovranno costare i sacchetti, ma ipotesi circolate in questi mesi parlano di una cifra compresa tra i 2 e i 5 centesimi

Sostenibilità sì, ma solo a metà. Dall’1 gennaio 2018 i sacchetti che al supermercato usiamo per frutta e verdura dovranno essere tutti in plastica biodegradabile e compostabile, ma solo usa e getta e sempre a pagamento. Per gli alimenti sfusi, infatti, le buste riutilizzabili sono bandite. A mettere nero su bianco il divieto è una lettera con cui il ministero dell’Ambiente ha risposto ai dubbi della grande distribuzione: ambientalisti e persone attente al portafogli dovranno mettersi l’animo in pace. Alternative non ce ne sono a quello che a tutti gli effetti appare l’ennesimo balzello a carico dei consumatori, nonostante in Europa ci siano supermercati in cui i sacchi riutilizzabili sono ammessi e incentivati anche per frutta e verdura.
NO SACCHETTI RIUTILIZZABILI PER L’ORTOFRUTTA – La lettera del ministero, inviata ai responsabili degli uffici legali di Coop, Conad e dell’associazione di categoria Federdistribuzione, è chiara: “Non viene contemplata la possibilità di sostituire con borse riutilizzabili le borse fornite a fini di igiene come imballaggio primario per alimenti sfusi”, scrivono dagli uffici del ministro Gian Luca Galletti. Così, se al posto delle buste per la spesa in bioplastica alla cassa si possono usare borse riutilizzabili portate da casa, questo non vale per i sacchi per confezionare gli alimenti sfusi nei reparti del fresco.“Anche per un coordinamento con le regole di sicurezza alimentare e igiene degli alimenti”, è la motivazione addotta dal ministero. Se è vero che per carne, pesce e latticini l’uso di sacchi riutilizzabili potrebbe creare problemi, per frutta e verdura la posizione del ministero è più difficile da comprendere. Basta pensare ai mercati, dove in molti casi frutta e verdura non vengono insacchettate per tipo e finiscono tutte insieme in un’unica busta.

SACCHETTI RIUTILIZZABILI PERMESSI IN SVIZZERA – A chiedere all’Italia di ridurre l’uso di sacchetti in plastica tradizionale è l‘Europa. Ma davvero non ci sono alternative alle bustine usa e getta, seppur biodegradabili e compostabili? Nelle Fiandre, in alcuni punti vendita delle insegne principali della grande distribuzione, è stato lanciato dall’associazione dei commercianti un progetto pilota sull’introduzione di sacchetti riutilizzabili e nella Coop svizzera in tutti i punti vendita i clienti sono incoraggiati a fare a meno dei sacchetti in plastica. “Dal 6 novembre mettiamo a disposizione un sacchetto a rete realizzato in fibra di cellulosa, lavabile e riutilizzabile. Permettiamo anche ai nostri clienti di portare il proprio sacchetto o contenitore per l’acquisto di ortofrutta. L’unico presupposto è che esso sia trasparente, in modo da permettere al personale di cassa di vederne il contenuto. I clienti possono anche mettere diversi tipi di ortofrutta nelle stesso sacchetto apponendo più etichette”, spiega Guido Fuchs della Coop Svizzera a ilfattoquotidiano.it.
“OCCASIONE MANCATA PER RIDURRE I RIFIUTI”- Per ridurre l’uso di bicchieri usa e getta, la Coop elevetica ha anche sviluppato una tazza termica per le bevande vendute nei propri punti vendita e ristoranti: “L’adozione di queste tazze che sono in vendita ad un prezzo vantaggioso viene premiata con un piccolo sconto sul prezzo della bevanda”, aggiunge Fuchs. E proprio nell’ottica di riduzione dei rifiuti, la scelta italiana di bandire i sacchetti riutilizzabili per l’ortofrutta viene vista da alcuni come un’occasione mancata. “Purtroppo, nonostante le normative europee ci spingano a cambiare stili di vita e di consumo e a ridurre i rifiuti, leggi nazionali come questa vanno, aldilà delle buone intenzioni, in tutt’altra direzione”, spiega dall‘associazione dei Comuni Virtuosi la responsabile Campagne Silvia Ricci, che dal 2010 con l’iniziativa “Mettila in rete” propone alla grande distribuzione di affiancare ai normali sacchetti per l’ortofrutta anche delle borse riutilizzabili.

NO DEROGHE E PROROGHE – La lettera del ministero agli operatori della grande distribuzione sgombra il campo anche da altri dubbi. Prima di tutto chiarisce “il divieto di distribuzione a titolo gratuito” delle nuove borse ultraleggere in bioplastica, senza deroghe né esenzioni. Non importa, spiegano dagli uffici del ministro Galletti, qual è il tipo di alimento sfuso, oppure se a confezionarlo sia un commesso o direttamente il consumatore. La legge non dice quanto dovranno costare i sacchetti, ma ipotesi circolate in questi mesi parlano di una cifra compresa tra i 2 e i 5 centesimi. Inoltre, non è chiaro cosa succederà se i supermercati decideranno di sostituire le buste in plastica trasparente con altre di carta: in quel caso i consumatori dovrebbero pagarle? Contattati da IlFatto.it, dal ministero non rispondono alla domanda. La lettera poi dice no a possibili proroghe: il divieto dei sacchettini in plastica trasparente scatterà dall’1 gennaio 2018 e sarà totale. Le scorte accumulate dai supermercati non potranno essere smaltite, ma dovranno essere subito tolte dalla circolazione: questa eventualità, scrive il ministero, “vanificherebbe l’obiettivo della norma volta alla riduzione effettiva del consumo delle borse” in plastica fossile.

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 20 dicembre 2017

 

 

«La Regione sbarri la strada al rigassificatore» - L'appello di Legambiente alla giunta Serracchiani per cancellare definitivamente l'ipotesi impianto
«Per chiudere definitivamente con l'impianto di rigassificazione nella baia di Zaule e con il metanodotto Trieste-Grado-Villesse, la giunta regionale deve chiedere al governo un impegno esplicito contrario a queste opere e quindi in tempi brevi la convocazione della conferenza dei servizi al Ministero dello Sviluppo economico». È la richiesta del Circolo Verdeazzurro Legambiente Trieste, che ieri in una conferenza ha fatto il punto sulla situazione dei due impianti, chiedendo che Regione e governo si esprimano al più presto in modo definitivo sui due progetti. È stato anche sottolineato come da un po' di tempo l'attenzione non sia più puntata sulle due opere, dopo un interesse iniziale che aveva suscitato un acceso botta e risposta tra pareri positivi e negativi per mesi. «I cittadini pensano che il rigassificatore sia un progetto morto, ma ha tutte le autorizzazioni ufficiali - è stato ricordato - nonostante l'espressa contrarietà generale del territorio, delle amministrazioni locali e delle forze politiche». Da qui la volontà di Legambiente di mettere la parola fine all'ipotesi delle strutture, ricordando le parti che in passato hanno espresso perplessità nei confronti delle due novità. «Come prima cosa gli amministratori e i parlamentari del Friuli Venezia Giulia - è stato sottolineato - hanno già da tempo constatato che i due progetti minerebbero lo sviluppo economico di Trieste, la sicurezza dei cittadini e la salute del nostro ecosistema marino. Come secondo aspetto, è stato recentemente pubblicato il documento definitivo della Strategia energetica nazionale, che dichiara come non sia prevista la realizzazione in Italia di altri impianti onshore, come quello di Zaule, o offshore, perché quelli attuali sono già in grado di soddisfare le esigenze del Paese. A suo tempo - rimarcano - il Ministero dello Sviluppo economico aveva dichiarato che proprio l'impianto di Zaule non era più ritenuto strategico». Ma secondo Legambiente questi due fattori non bastano, serve un impegno in prima linea da parte della Regione, «che ora deve confermare la propria "non intesa" ai due progetti, affinché siano definitivamente cancellati dall'agenda riguardante il futuro del territorio triestino. È una scelta di cui la Regione deve farsi carico - concludono - per essere coerente con gli impegni presi con i cittadini e con quanto più volte affermato».

Micol Brusaferro

 

Putin dà il via libera a Vucic - Belgrado riesporterà il gas russo - Su del 15% il metano diretto in Serbia
BELGRADO - La Serbia diventa un Paese "esportatore" di gas, gas russo. Grazie agli amici di Mosca. È questo uno dei risultati più significativi della visita in Russia del presidente serbo, Aleksandar Vucic, ieri per due ore al tavolo del leader del Cremlino, Vladimir Putin. Russia e Serbia, proprio in occasione della trasferta in terra russa di Vucic - che prima di partire aveva promesso «buone notizie» in arrivo da Mosca - hanno firmato alcuni emendamenti a un precedente accordo governativo del 2012 sulle forniture di gas dalla Russia alla Serbia, che conteneva un espresso divieto di riesportare il metano di Mosca fuori dai confini nazionali, superandolo. Divieto di utilizzare quel gas «solo per il mercato serbo» che andrà a cadere, permettendo a Belgrado, fino al 2021 - anno in cui scadrà l'intesa - di esportare e rivedere il gas russo. Non è finita. Secondo quanto reso noto ieri da Mosca, la Serbia riceverà quantità di gas maggiori già a partire dal prossimo anno. Il gigante dell'energia Gazprom, infatti, ha già messo in conto di aumentare del 15% le esportazioni di metano verso la Serbia. Secondo la presidenza russa, si tratta della conferma di una cooperazione in positiva evoluzione con Belgrado, capitale verso la quale già quest'anno l'export di gas è aumentato del 26%, superando i due miliardi di metri cubi. Gazprom, nei giorni scorsi, aveva chiuso un accordo anche in Republika Srpska, l'entità dei serbi di Bosnia, per la costruzione di un impianto a gas liquefatto nei pressi di Zvornik, costo 70 milioni di euro, finalizzato soprattutto a usi di riscaldamento e produzione di elettricità, che potrebbe essere alimentato proprio dal metano in arrivo dalla Russia via Serbia. Ma Vucic e Putin a Mosca hanno anche discusso d'altro; soprattutto di economia, uno dei punti-chiave dell'incontro. E di come portare la cooperazione economica tra i due Paesi «al più alto livello possibile», ha raccontato dopo il meeting l'agenzia Tass, ricordando che l'interscambio commerciale tra Russia e Serbia è cresciuto dell'1,3% nel 2016, raggiungendo gli 1,7 miliardi di dollari, mentre a settembre 2017 la crescita è stata del 26,3%. Mosca, ha promesso Putin, continuerà a sostenere la Serbia anche sull'agone internazionale, difendendo «l'integrità territoriale» del Paese, un chiaro riferimento alla questione Kosovo, da risolvere nell'ambito della risoluzione Onu 1244, ha ribadito il leader russo. La Serbia, ha detto da parte sua Vucic, rimarrà grata a Mosca sia per l'appoggio sul fronte Kosovo, sia per aver evitato che il Paese venisse bollato come «genocida» per Srebrenica, grazie al veto posto a una risoluzione Onu, sponsorizzata da Londra, dall'allora ambasciatore russo Vitaly Churkin, morto a febbraio. E la cui vedova, Irina Churkina, ha ricevuto proprio dalle mani leader serbo un'altissima onorificenza serba postuma. Gratitudine che, per un Paese lanciatissimo verso l'integrazione nell'Ue ma - come evidente dai contorni della visita di Vucic a Mosca - molto legato a Mosca, si tradurrà in azioni concrete. Belgrado, ha infatti ribadito Vucic, mai accetterà di imporre sanzioni contro la Russia, anche se Bruxelles dovesse chiederlo con rinnovato vigore. Parole che evidenziano come i rapporti tra Belgrado e Mosca, che ha assicurato di voler contribuire alla stabilità nei Balcani, si mantengano ottimi. Rapporti che saranno ulteriormente approfonditi nel 2019, quando Putin dovrebbe tornare a Belgrado, su invito di Vucic, per l'inaugurazione della maestosa cattedrale ortodossa di San Sava, a cui la Russia ha contribuito con un gigantesco mosaico per la cupola.

(s.g.)

 

 

Scontro sulla Ferriera - Il Comune ingaggia un pool di avvocati - Incarico ad uno studio di Padova. Spesa di 25mila euro - Le associazioni ambientaliste: «Necessario riaprire l'Aia»

---   leggi il documento delle associazioni e del comune di Trieste   ---

Il Comune ha ingaggiato una squadra di avvocati di Padova per azioni legali in tutte le sedi in tema di Ferriera di Servola. E il sindaco Roberto Dipiazza si dice «moderatamente ottimista» sul futuro: «Nei primi mesi del 2018 potrebbero arrivare delle belle notizie. Penso sia ora di iniziare a pensare a un tavolo sul lavoro, perché la consapevolezza della necessità di chiudere l'area a caldo è sempre più condivisa». Sono le principali notizie emerse ieri sera durante la conferenza con cui il Comune e una serie di associazioni ambientaliste hanno tirato le somme dell'attività condotta nel corso dell'anno sullo stabilimento siderurgico. Le sigle presenti erano le sezioni locali di Legambiente, Fare Ambiente e la onlus No Smog. L'adozione dei nuovi consulenti legali, che comporterà una spesa di circa 25mila euro, è stata annunciata a inizio serata dall'assessore all'ambiente Luisa Polli: «Giovedì (domani ndr) approveremo in giunta la collaborazione con un pool di avvocati. Preso atto del fatto che su questo fronte la Regione non intende ascoltare i nostri appelli a un percorso comune, dobbiamo ricorrere a un'interlocuzione più asettica, quella che intercorre tra studi legali». Da qui la scelta di un gruppo di avvocati di Padova, «per allontanarci da pressioni territoriali». Dipiazza ha dichiarato: «Quella in corso è una dura battaglia, ci sentiamo dire dalla proprietà che a inquinare sono gli impianti di riscaldamento e l'autostrada. Ma l'obiettivo del sindaco è la chiusura dell'area a caldo. L'apporto delle associazioni è molto importante. Il mio invito è pensare a un tavolo sul lavoro, perché è giunto il momento di rifletterci. Chiunque vinca le elezioni, i primi sei mesi dell'anno prossimo potrebbero portare a una svolta». Durante la conferenza sono intervenuti il consulente del Comune Pierluigi Barbieri e i rappresentanti delle associazioni: Giorgio Cecco di Fare Ambiente, Lino Santoro e il professor Mario Mearelli per Legambiente, Alda Sancin di No Smog. Gli interventi vertevano sugli impatti ambientali sul benessere della popolazione derivanti dall'attività della Ferriera. A tal proposito è stato prodotto un dossier che verrà inviato a tutti gli enti coinvolti, dai ministeri alla Regione, passando per la prefettura. La richiesta è rimettere in discussione l'Aia e l'accordo di programma che definiscono l'attuale gestione dello stabilimento. Cecco ha dichiarato che «i problemi non si stanno risolvendo. Le segnalazioni continuano ad arrivare. L'unica soluzione è la chiusura dell'area a caldo, anche perché le alternative non sono economicamente sostenibili». Santoro ha ripercorso la storia degli accordi politici dal 2012 a oggi, ricordando come «ancora nel 2013 gli accordi in sede ministeriale avessero come obiettivo la riconversione dell'impianto, entrando anche nel dettaglio della trasformazione dell'area in spazio portuale. Il problema sta nell'ultimo accordo di programma, le cui contraddizioni sono sfociate nell'Aia».Il professor Mearelli si è dilungato sugli aspetti dell'Aia che, almeno in teoria, richiedono un ampio schieramento di analisi sulla salute della popolazione: «Misure in effetti necessarie, ma per le quali l'Aia non prevede ripercussioni in caso di mancata applicazione. Su questo presupposto, l'imperfezione dell'Aia stessa, è possibile chiedere la sua revisione». Sancin di No Smog ha proiettato immagini scattate dai residenti di Servola, ricordando le condizioni di vita nel quartiere e criticando a sua volta l'Aia. Barbieri ha esposto tutto il lavoro compiuto nella raccolta di dati, evidenziando come sia necessario un monitoraggio ben più centrato sull'area di Servola: «Etica pubblica richiede che non si eluda o ritardi la produzione tempestiva di informazione rilevante rispetto alle criticità segnalate dalla popolazione e per cui vi sono fondate ipotesi di severità. L'informazione deve essere utile a prendere decisioni tempestive e a fornire supporto alla cittadinanza per azioni di prevenzione anche in autotutela della salute».

Giovanni Tomasin

 

Pronti a giugno gli 83 alloggi all'ex Sadoch - Sopralluogo dell'assessore regionale Santoro in viale Ippodromo. Per l'housing sociale 71 unità
L'ex Sadoch, convertita a condominio solidale, sarà pronta a giugno 2018. Il maxicantiere in viale Ippodromo si avvia alla conclusione. A fare il punto sullo stato dei lavori, ieri, durante un sopralluogo dell'assessore regionale alle Infrastrutture e territorio del Friuli Venezia Giulia, Mariagrazia Santoro, le ditte che si stanno occupando dei vari interventi, l'Archest di Palmanova insieme alla pordenonese Cooprogetti. La parte strutturale è stata completata, così come gli impianti, e nei primi piani sono già presenti anche piastrelle e controsoffitti. In totale saranno realizzati 83 appartamenti da un minimo di 70 a un massimo di 100 metri quadrati, 71 riservati all'housing sociale, mentre sesto e settimo piano, per totali 12 appartamenti, saranno invece messi in vendita a privati. Nella palazzina, completamente ristrutturata, tenendo conto anche del vincolo della Soprintendenza per la facciata nord, troveranno spazio anche due ambienti che gli inquilini potranno condividere, per attività di aggregazione. Al piano terra e in quello interrato ci saranno i parcheggi, con un ingresso da viale Ippodromo e uno in via del Pollaiuolo. La vecchia Sadoch, chiusa oltre 20 anni fa, non verrà stravolta ma recuperata, senza cambiamenti radicali nell'aspetto esterno. È stata conservata anche l'insegna originale, che dopo il termine degli ultimi interventi in facciata, sarà riposizionata nella sua tradizionale collocazione, a ricordo della storica realtà produttiva triestina. Le ditte hanno sottolineato come la struttura fosse in ottime condizioni e come sia stato quindi possibile rimodellare l'edificio senza grandi problemi, nonostante i tanti anni di oblio successivi alla dismissione. «Un'area della città che per molto tempo ha rappresentato uno spazio di degrado - ha detto l'assessore Santoro - che oggi rinasce nell'ambito di un'iniziativa abitativa rivolta a quella fascia di cittadini i quali hanno un reddito troppo alto per le case popolari e che allo stesso tempo manifestano una difficoltà, o per ragioni economiche o per l'assenza di un'offerta adeguata, di reperire un alloggio nel mercato privato». Il Fondo Housing sociale Fvg è un fondo immobiliare che investe prevalentemente in alloggi residenziali da destinare a vendita e locazione convenzionate nel territorio regionale. Ad oggi, ha ricordato l'assessore, gli interventi in corso corrispondono a un totale di 720 nuovi appartamenti.

(mi.br.)

 

 

Report Acegas - Differenziato e recuperato il 97 per cento dei rifiuti
Verde, carta, organico, legno, plastica, ferro, vetro e metallo a Trieste vengono effettivamente differenziati e il 97% finisce a recupero: è questo il dato fondamentale che emerge dal report di AcegasApsAmga "Sulle Tracce dei rifiuti". Il rapporto, giunto all'ottava edizione del Gruppo Hera, e alla quarta nella multiutility del Nord-est, sfata da tempo il mito secondo cui i rifiuti vengono conferiti tutti insieme: grazie ad una grafica intuitiva e, da quest'anno, rinnovata è possibile seguire le tracce delle singole filiere dei rifiuti e scoprire il percorso che attraversano per rinascere a una nuova vita.Il documento fornisce un'ampia panoramica sui processi di economia circolare che si attivano grazie all'impegno dei cittadini e dell'azienda per una corretta raccolta differenziata: dal materiale immesso nelle filiere del recupero, all'impatto positivo sui costi del servizio di raccolta. La versione di quest'anno, che rendiconta i dati della raccolta differenziata del 2016, come usuale è disponibile sul sito istituzionale con le informazioni di dettaglio, fruibili anche grazie ai contenuti ricchi di infografiche. È così possibile avere una visione chiara e immediata delle singole filiere della differenziata, dei quantitativi raccolti in tutti i territori serviti da AcegasApsAmga e degli impianti in cui i rifiuti dei triestini vengono mandati a recupero, rendicontando nella massima trasparenza il percorso compiuto dai rifiuti a valle dei contenitori.Il rapporto è anche disponibile in versione cartacea ed è distribuito gratuitamente in questi giorni alla casina di Natale dell'Azienda presente in piazza Sant'Antonio, insieme ad un kit per la raccolta differenziata domestica composto da una pratica borsa tripartita e un cestino per la raccolta differenziata. Nel merito "Sulle tracce dei rifiuti", dà conto dei risultati raggiunti nell'avvio a recupero da AcegasApsAmga nei territori serviti in Fvg e Veneto. Complessivamente, nel 2016 l'azienda ha mediamente destinato a recupero a Trieste il 97% di quanto raccolto in modo differenziato (139 kg/abitante), a dimostrazione di come gli sforzi di azienda, Comune e cittadini vadano effettivamente a buon fine.

 

 

Trieste invoca lo "sconto" sui ticket online - Pressing sulla giunta per eliminare la maggiorazione di 25 centesimi prevista per i biglietti dei bus comprati in rete
TRIESTE - Piero Camber, capogruppo di Forza Italia in Comune a Trieste, firma la mozione, approvata all'unanimità, che invoca l'allineamento delle tariffe tra il biglietto dell'autobus acquistato online (1,50 euro), e quello messo in tasca secondo modalità tradizionali (1,25 euro). La Regione prende atto e fa sapere di essere pronta a ragionare al ritocco all'ingiù. «Sempre che i gestori, che avevano imposto quel prezzo - si informa dall'assessorato -, cambino idea». Il tema emerge a pochi giorni dalla definizione delle tariffe per il 2018 del Trasporto pubblico locale, servizio ancora provinciale, nell'attesa che decolli il modello unico in capo a Tpl Fvg Scarl, ancora nel mirino di Busitalia, azienda nazionale che non accetta il secondo posto nella gara regionale bandita nel 2014. Nella mozione azzurra si ricorda che in Fvg le tariffe sono stabilite annualmente con delibera della giunta regionale (accadrà anche quest'anno, tra Natale e Capodanno), si denuncia che «molto spesso i biglietti non si riescono a trovare causa orari di chiusura dei rivenditori o eccessiva distanza degli stessi dalla fermata» e si sottolinea che per questo nel 2017 è stato introdotto l'acquisto online dei ticket tramite sms o app, «servizio particolarmente apprezzato a Trieste». Ma la differenza non è da poco: per il biglietto orario intera rete si spendono 25 centesimi in più via web, «nonostante le aziende di trasporto non debbano accollarsi nemmeno i costi della stampa». Di qui, ricordato che l'assessore regionale alle Infrastrutture Mariagrazia Santoro «si era pubblicamente impegnata all'equiparazione delle tariffe», la mozione sollecita sindaco e giunta a intervenire affinché il prossimo anno l'acquisto del biglietto online e attraverso le emettitrici automatiche sia lo stesso: 1,25 euro. La risposta della Regione? Di disponibilità. Fermo restando che le aziende del Tpl siano disponibili allo "sconto" dopo un anno sperimentale servito a verificare l'effettivo interesse dell'utenza. Tra una decina di giorni, nell'ultima seduta del 2017, la giunta deciderà nel merito. Un anno fa, con tariffe congelate rispetto al 2015, i triestini si ritrovarono per la prima volta a pagare il biglietto dell'autobus (non online) come nel resto della regione: 1,25 anziché 1,35. Novità nel contesto di un Tpl che ha mantenuto comunque le agevolazioni per chi, lavoratori e studenti, i mezzi pubblici li deve prendere quasi tutti i giorni. Sempre l'anno scorso si è chiusa tra l'altro un'epoca storica, quella dell'accesso gratuito per i minori fino a un metro di altezza, e se ne è aperta un'altra: a viaggiare senza pagare un centesimo sono tutti gli under 10. Nell'attesa della delibera di fine anno, è ancora Fi a intervenire sul tema. Il consigliere regionale Bruno Marini, via interrogazione alla presidente Serracchiani e all'assessore Santoro, chiede di prevedere la gratuità del tesserino d'identità di trasporto. «Per il 2017 - rileva Marini - è stato previsto anche che le aziende possono obbligare gli utenti a munirsi di un documento valido per cinque anni al prezzo di 5 euro e che tale facoltà è obbligatoria per l'abbonamento annuale». Trieste Trasporti, Saf di Udine e Atap di Pordenone, prosegue Marini, «hanno deciso di avvalersi di questo tesserino, anche perché lo ritengono un indispensabile strumento di prevenzione e di lotta all'evasione tariffaria. È evidente però che si tratta di un onere aggiuntivo per quegli utenti onesti che hanno sempre pagato la tessera mensile o annuale e non hanno mai pensato di truffare le aziende».

Marco Ballico

 

 

Reti e new jersey ridisegnano il volto del Porto vecchio
TRIESTE - L'area sdemanializzata di Porto vecchio, al centro di continue idee per la sua rinascita, fa parte della città. Un dato di fatto che in questi giorni viene sancito da una vera e propria barriera che funge da demarcazione tra la zona comunale e il territorio portuale, ma anche da protezione per eventuali vandalismi. Gli operai dell'Autorità portuale sono al lavoro per realizzare tutta la linea, costruita con rete metallica molto resistente e new jersey, che va dall'inizio, in largo Santos, fino allo sbocco su viale Miramare. Le tute blu ne stanno realizzando un chilometro e mezzo, per il momento, con 700 dispositivi in calcestruzzo, che vengono installati a partire dall'area del Molo zero fino all'arco dietro la stazione dei pullman, simbolo che designa l'entrata nell'antico scalo. La prima parte dell'operazione terminerà in primavera. «Questa recinzione, molto più efficiente di quella che c'era precedentemente, cerca di risolvere i problemi di qualche mese fa, quando c'era un via vai continuo di persone nell'area portuale e comunale - spiega il segretario dell'Authority Mario Sommariva -. Si tratta di un intervento di messa in sicurezza per evitare che si possa accedere ai magazzini. Ma si tratta anche di un intervento più grande, che vede la recinzione come demarcazione portuale e doganale, anche se la definizione delle due zone è già stata stabilita da tempo. Abbiamo così limitato gli ingressi nei magazzini, anche quelli di area comunale. Questa azione l'abbiamo decisa in accordo in una riunione con Prefettura, Comune e Questura». Tutta la barriera è comunque fisicamente labile - ma non i confini stabiliti dalle carte tra Comune e Autorità portuale -, si modificherà quando le proposte di imprenditori, soprattutto stranieri, per insediarsi in Porto vecchio, diventeranno realtà. «Di questa struttura ci facciamo carico noi, quando verrà recuperata l'area, potrà cambiare», specifica Sommariva. Da una parte la protezione, dall'altra una pioggia di studi di fattibilità, business plan, progetti che stanno scolpendo il futuro del Porto vecchio. Sono tutti al vaglio del Comune ma anche dalla Regione, che assieme hanno sottoscritto un accordo di programma: «Ogni cosa deve avere una variante», specifica infatti il sindaco Roberto Dipiazza. È lui ad accogliere l'andirivieni di possibili investitori che avanzano prospetti sui 600mila metri quadrati. Ma lo stesso primo cittadino azzarda qualche sogno. «Immaginate qui degli appartamenti agli ultimissimi piani dei magazzini, come a Porto Madero, con la vista sul mare, potrebbe essere un'idea che si realizza in pochi anni». Dal suo viaggio a Buenos Aires ha colto alcuni spunti, supportati da foto: «Dovete vedere come loro hanno saputo coniugare il residenziale con il resto delle attività», ha detto ieri durante l'ufficializzazione della cessione in comodato gratuito della Sottostazione elettrica alla Fondazione Internazionale Trieste per l'Esof 2020. E lo ha detto proprio dalla terrazza della Sottostazione elettrica. Ma tutto potrebbe cambiare ad esempio se Msc decidesse di insediare uno scalo in quella fetta della città. Allora il residenziale dovrebbe lasciare spazio solo ad attività commerciali. Tra le future ipotesi c'è anche una scuola di restauro della Soprintendenza. La sede è il magazzino 20. La volontà è quella di farlo diventare un centro di raccolta a livello regionale dei reperti archeologici di competenza dell'ente al fine della catalogazione e del restauro. Il progetto, ancora in divenire, è condiviso con la Regione e con il Comune e prevede anche la realizzazione di una scuola di restauro dei beni archeologici al fine della formazione di esperti nel campo. Il rilancio del Porto vecchio, nella mente del Comune, passa anche per la Biennale di Architettura di Venezia del prossimo anno. Perché non inserirvi un pezzetto in Porto vecchio, magari presentando lavori di ricerca sul recupero dell'area? Il sindaco ha inviato una lettera al curatore del padiglione Italia, Mario Cucinella. La risposta non è ancora arrivata, ma da alcune indiscrezioni sembra ci siano ottime possibilità.

Benedetta Moro

 

La "cittadella" fa gola agli austriaci - Investitori d'Oltralpe interessati agli spazi oggi in concessione alla Greensisam
TRIESTE - I primi cinque magazzini del Porto vecchio, che fanno parte della cosiddetta cittadella Greensisam, in concessione a Pierluigi Maneschi, numero uno del Molo Settimo e di Italia Marittima, sono sotto gli occhi di un gruppo di austriaci. Ormai Trieste e i vicini d'Oltralpe non riescono più a staccarsi. Ieri mattina il team di investitori, che per il momento rimane ancora top-secret, ha presentato un progetto al sindaco Dipiazza, che ha subito inviato alla Soprintendenza. Questi spazi nella mente dei foresti sono dedicati al settore residenziale e alberghiero. Ma i sili numero 2A, 2, 1A, 4 e 3 hanno un futuro fatto anche di grandi parchi. «Confermo che ci sono nuovi potenziali acquirenti - aveva detto poco tempo fa Maneschi -, austriaci in particolare e supportati anche da un fondo bavarese, intenzionati a rilevare la maggioranza della società, mentre io terrei una quota di minoranza». I tempi per eventuali sviluppi ancora non sono chiari. Anche perché, tra i vari inghippi da risolvere, ci sono questioni legate alle opere di urbanizzazione e della bonifica del torrente Chiave che spetterebbero alla parte pubblica e poi non sarebbe ancora chiaro come si potrà passare dalla concessione alla vendita. Questa parte dell'antico scalo è stata a lungo sede di tante ipotesi e soluzioni, che fino a oggi non si sono concretizzate. Trentasettemila metri quadrati che da anni sono in attesa di qualcuno che creda in un vero progetto e lo finanzi. Ma ci sono anche novità sul fronte Immaginario Scientifico. I due milioni e 400 mila e rotti euro che spettavano alla realizzazione dell'ex Meccanografico, in Campo Marzio, sono destinati ufficialmente al Magazzino 26, quale sede idonea per l'Immaginario scientifico, che dovrebbe trasferirvisi «sicuramente prima di Esof, puntiamo al 2019», auspica la direttrice Serena Mizzau. Conferma anche che i fondi che Miur e Regione hanno promesso verranno mantenuti tali e verranno quindi traslati per la costruzione della nuova sede. Si parla di 400mila eruo del Miur che servirebbero per gli allestimenti, e due milioni di euro invece per la struttura. L'area centrale del Magazzino 26, di circa 3mila metri quadrati, ospiterà la realtà scientifica che ormai da anni è ubicata a Grignano. «Che aiuterebbero a non stare più stretti», aggiunge la direttrice. A cui si aggiunge un centinaio di migliaia di euro del Fondo Trieste. «Sono in atto le procedure amministrative per rendere questo passaggio possibile - conferma Mizzau -, siamo fiduciosi».

(b.m.)

 

Il quartier generale di Esof debutta nella Sottostazione - Consegnate dal sindaco le chiavi dell'edificio accanto alla Centrale idrodinamica
Sale lettura e conference room per i componenti della task force del gruppo Tesi
TRIESTE - Più ufficiale di così non si poteva. Il Comune ha consegnato le chiavi della Sottostazione elettrica alla Fondazione Internazionale Trieste (Fit). Sarà il quartier generale di Esof2020 in Porto vecchio. Nell'edificio ubicato accanto alla Centrale idrodinamica opererà la squadra che organizza l'evento. Nei suoi locali avranno luogo, in particolare, i lavori di Tesi (Trieste Encounters for Science and Innovation), il formato messo a punto da una parte per far aumentare la consapevolezza delle opportunità legate alla manifestazione che si terrà fra due anni a Trieste e soprattutto nei paesi del Europa Centro-Orientale, dall'altra di sostenere le proposte che ambiscono a diventare progetti concreti prima e durante l'evento clou. In particolare Tesi servirà anche a costruire gli eventi del programma ProEsof, l'insieme di attività che a partire dal prossimo maggio e nei prossimi tre anni circa segneranno il percorso di avvicinamento a luglio 2020, quando verrà inaugurato «l'Esof più bello della storia», ha esclamato Stefano Fantoni, presidente della Fit. La concessione in uso dell'immobile del Comune alla Fit è stata sancita ufficialmente ieri con la "consegna delle chiavi" da parte del sindaco Roberto Dipiazza al presidente Stefano Fantoni, presente anche l'assessore all'Educazione, Università e Ricerca Angela Brandi. «Esof2020 -ha detto il sindaco Dipiazza- ci porterà sicuramente una grande visibilità a livello internazionale, perciò abbiamo dato quello che avevamo di meglio per gli scienziati che verranno a Trieste. È un momento importante per la città: ieri abbiamo sottoscritto l'accordo con 18 milioni di euro per Rozzol-Melara e questa mattina gli austriaci hanno presentato il progetto per cinque magazzini del Porto Vecchio. La città sta correndo come non mai e siamo tutti uniti sugli obiettivi da raggiungere».«Questa è una delle giornate più importanti nell'ambito del percorso che ci porterà a Esof 2020 -ha specificato Fantoni-. Il 14 luglio riceveremo da Tolosa il testimone di Trieste Capitale europea della scienza e ora abbiamo già il nostro quartier generale dove lavorare e tutto ciò è davvero molto importante. Da gennaio cominciamo subito a lavorare qui, in un luogo che pullulerà di persone, con un centinaio di scienziati ed esperti che stanno aspettando di poter lavorare. È una felicità essere qua e poter veramente cominciare questa operazione che ci porterà al 2020». Le stanze per lavorare infatti ci sono eccome. La struttura al suo interno è stata completamente restaurata da tempo. Ci sono librerie, sedie, sale lettura, tutto arredato con gusto e sobrietà, conservando gli impianti industriali esistenti e trasformando la struttura in una sede museale (che resterà comunque aperta e fruibile al pubblico). Tavoli grandi sono a disposizione di tutte le persone che contribuiranno a realizzare l'evento importantissimo per Trieste. L'edificio è molto ampio, composto da seminterrato, piano terra, primo piano, e piano copertura, in parte praticabile, ed è stato costruito nel secondo decennio del XX secolo. Rappresenta una testimonianza di estremo interesse del patrimonio storico di architettura industriale, mantenendo ancora oggi al suo interno le apparecchiature originali. Le geometrie decorative delle facciate ripetono i caratteri stilistici dell'architetto Giorgio Zaninovich e ciò ha indotto diversi studiosi ad attribuirgli la paternità dell'edificio. Il progettista - attivo a Trieste fra il 1902 e il 1923 - lavorò nell'ufficio tecnico del Governo Marittimo ed entrò in contatto con la Wagnerschule all'Accademia di Vienna, cogliendone le matrici stilistiche ispirate alla fusione tra eredità classica rivisitata secondo principio funzionali ed un rinascimento libero che dialoga con le architetture locali e con le nuove tecniche costruttive.

(b.m.)

 

 

Plastica in mare - Passa la norma anti cotton-fiocc

Il mondo ambientalista esulta: la battaglia contro plastiche e microplastiche in mare sembra ormai vinta con l'approvazione dell'emendamento Pd alla manovra da parte della commissione Bilancio della Camera. Dal primo gennaio 2019 scatterà il divieto di commercializzare e produrre in Italia "cotton fioc" non biodegrabili, e dal 1 gennaio 2020, il divieto verrà esteso ai prodotti cosmetici da risciacquo ad azione esfoliante o detergente contenenti microplastiche. «L'Italia è il primo Paese al mondo a farlo: una vittoria contro il marine litter, a tutela di ambiente e cittadini» commenta Ermete Realacci, il presidente della Commissione Ambiente della Camera che ha firmato questo emendamento ricordando su 46 spiagge italiane il 91% dei rifiuti è fatto proprio dai bastoncini per la pulizia delle orecchie».

 

Stanziamento da 12 milioni per l'Ogs - Via libera in commissione Bilancio alla Camera alla proposta Pd per la nuova nave
TRIESTE - La commissione Bilancio della Camera ha approvato un emendamento alla legge di Bilancio a prima firma Tamara Blazina, deputata Pd, con il quale vengono stanziati 12 milioni di euro a favore dell'Ogs di Trieste, per l'acquisto di una nuova nave per la ricerca scientifica nelle aree polari. L'unica imbarcazione da ricerca italiana che opera in zone polari oggi è l'Ogs Explora, che però non potrà più essere utilizzata a tale fine dopo il 2019, cioè dopo l'entrata in vigore del cosiddetto "Polar code".«La nuova imbarcazione - commenta Blazina - risulta quindi uno strumento fondamentale per continuare a sostenere la ricerca scientifica italiana, in coerenza con gli obiettivi del Programma nazionale delle ricerca 2015-2020 e del Programma nazionale in Antartide. Il finanziamento consentirà l'acquisto di una nave quale infrastruttura di ricerca scientifica e di supporto alla base italiana Antartica. Effettuerà attività di ricerca, a partire dalla raccolta di dati scientifici, e servizi di logistica, incluso il rifornimento dei velivoli che opereranno a servizio della base. «La disposizione non comporta nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica prosegue - perché è a carico delle disponibilità dello stanziamento dell'esercizio finanziario 2018 del Fondo integrativo speciale per la ricerca». Grande soddisfazione per l'approvazione dell'emendamento è stata espressa anche dalla segretaria regionale Pd Antonella Grim. «Si tratta di un'altra testimonianza dell'attenzione verso il mondo della ricerca dimostrata dal governo e dalla sua maggioranza, in particolare i deputati Pd».

 

 

 

 

GREENSTYLE.it - MARTEDI', 19 dicembre 2017

 

 

Cotton fioc non compostabili: stop da gennaio 2019

È stata recuperata all’ultimo momento la normativa sulla cosmesi ecologica, una legge che si trovava bloccata al Senato. Il testo rischiava di non essere più preso in considerazione a causa della prossima fine della legislatura. Le norme sulle microplastiche nei cosmetici e sui cotton fioc non biodegradabili sono state però riprese grazie ad un emandamento della legge finanziaria.

L’emendamento è stato approvato alla Camera dalla commissione Bilancio e inserisce questo argomento tra quelli che dovranno essere discussi entro la fine della settimana. Sono diverse le novità previste in questo testo, a partire dal divieto di utilizzo di bastoncini per le orecchie non biodegradabili. La legge vieterà le attività di produzione e di messa in commercio dei cotton fioc realizzati con elementi in plastica. I produttori, che dovranno attenersi ai principi della cosmesi ecologica, avranno l’obbligo di indicare sulle confezioni anche dei dettagli precisi su come smaltire i cotton fioc, scrivendo delle diciture chiare sul divieto di smaltimento tramite i servizi igienici. È una normativa importante per evitare che vengono dispersi ancora bastoncini non biodegradabili in acqua, dei prodotti che secondo alcune analisi recenti rappresentano un vero e proprio problema per le nostre spiagge. L’inquinamento prodotto dai cotton fioc è davvero rilevante, considerando il rapporto di Legambiente sull’argomento, che ha messo in evidenza come il 91% dei rifiuti individuati su 46 spiagge del nostro Paese sia rappresentato proprio dai cotton fioc per la pulizia delle orecchie. A partire dal 2018 sarà lo stesso Ministero dell’Ambiente a mettere a punto una campagna di informazione con lo scopo di spiegare le motivazioni alla base di questa scelta e le conseguenze di un cattivo smaltimento dei prodotti non biodegradabili. Nello stesso testo di legge sulla cosmesi ecologica è previsto anche il divieto di utilizzo di microplastiche nei cosmetici, sempre per impedire l’inquinamento delle acque dei mari. L’Onu suggerisce che annualmente vengono riscontrati dei livelli di plastica molto elevati nelle acque di tutto il mondo, corrispondenti a 8 milioni di tonnellate. Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente alla Camera, commentando le nuove norme ha dichiarato: L’Italia è il primo Paese al mondo a farlo: una vittoria contro il marine litter, a tutela di ambiente e cittadini.

Gianluca Rini

 

 

Caldaie e pompe di calore: Legge di Bilancio 2018, le novità

Novità in arrivo per caldaie, pompe di calore e interventi condominiali. A introdurli sono due emendamenti alla Legge di Bilancio 2018, approvati sabato dalla Commissione Bilancio della Camera, relativi alle detrazioni fiscali che possono essere sfruttare per migliorare l’efficienza energetica degli immobili. In modo particolare sono interessati dal provvedimento i sistemi di riscaldamento che potranno usufruire dell’ecobonus.

Per quanto riguarda caldaie e pompe di calore sono positive le novità in arrivo con gli emendamenti alla Legge di Bilancio 2018 approvati sabato. Chi deciderà di aggiornare il suo sistema di riscaldamento con un impianto più efficiente manterrà la percentuale di detrazione fiscale al 65%, anziché al 50% come era stato approvato in Senato. Tre sono le possibilità di continuare a sfruttare l’ecobonus più “consistente”, ovvero sostituendo la vecchia caldaia o in generale l’impianto obsoleto con: impianti ibridi costituiti da pompa di calore integrata con caldaia a condensazione di classe A o superiore; generatori d’aria calda a condensazione; caldaie a condensazione di classe A o superiore abbinata sistemi di termoregolazione evoluti (appartenenti alle classi V, VI oppure VIII della comunicazione della Commissione 2014/C 207/02), ovvero termostati abbinati a sistemi modulanti. In caso di installazione di nuove caldaie, l’ecobonus verrà riconosciuto soltanto qualora i nuovi impianti risultino appartenere alla classe A. Venendo invece agli interventi nei condomini, il secondo emendamento porta all’85% (rispetto al precedente 80) la detrazione fiscale massima per interventi sulle “parti comuni” dei condomini i cui effetti risultano sia ridurre il rischio sismico che migliorare l’efficienza energetica. Per poter usufruire della percentuale maggiore di detrazione fiscale i condomini dovranno trovarsi in zone sismiche di livello 1, 2 e 3, l’opzione è alternativa alle altre agevolazioni e prevede due differenti scaglioni: riducendo il rischio sismico di due classi si otterrà uno sgravio dell’85%, se la classe ridotta sarà soltanto una allora la percentuale sarà dell’80%. Confermate le 10 quote annuali di pari importo per il recupero della spesa, il cui tetto massimo si otterrà moltiplicando la quota di 136 mila euro per il numero delle unità immobiliari presenti nel condominio.

Claudio Schirru

 

 

COMUNICATO STAMPA - MARTEDI', 19 dicembre 2017

 

 

Legambiente chiede che la Regione e il Governo si esprimano in maniera definitiva contro il progetto di rigassificatore e metanodotto a Zaule.
Al decreto di compatibilità ambientale del 2009 riguardante il progetto del rigassificatore di Zaule proposto dalla Gas Natural, si è aggiunto il 12 giugno 2017 analogo decreto per il gasdotto marino della Snam.
È prassi e norma corrente che si eviti di collocare questi impianti in siti che possano rappresentare un rischio per le popolazioni, un impatto negativo sulle attività economiche e sull'ambiente. I due progetti sono antitetici allo sviluppo del territorio di Trieste, cadrebbero in un’area densamente popolata e in contrapposizione con l’ampliamento dei traffici portuali. È stato recentemente pubblicato il documento definitivo della Strategia Energetica Nazionale che prevede da una parte anche un possibile incremento dei traffici di gas naturale in fase liquida da stoccare in impianti ancorati lontano dalla costa, ma d’altra parte dichiara che non è prevista la realizzazione in Italia di altri impianti onshore (come quello di Zaule) o offshore, perché quelli attuali sono già in grado di soddisfare le esigenze del paese. A suo tempo da parte del Mise (Ministero dello sviluppo economico) era stato dichiarato che l’impianto di Zaule non è più ritenuto strategico. Riteniamo che questi due elementi non siano sufficienti per rassicurare la popolazione sulla definitiva rinuncia all’impianto di Zaule. Gli amministratori e i parlamentari della nostra Regione hanno già da tempo constatato che i due progetti - l’impianto di rigassificazione di Zaule e
il metanodotto Trieste-Grado-Villesse – minerebbero lo sviluppo economico di Trieste, la sicurezza dei cittadini e la salute del nostro ecosistema marino. In passato la Regione non aveva emesso un parere ufficiale di contrarietà al metanodotto, eludendo la richiesta dal Ministero dell’ambiente. Le frequenti dichiarazioni della Regione FVG sull’incompatibilità dei due progetti con i traffici portuali non sono sufficienti a concludere questa decennale vertenza, e i cittadini sono indotti dai media a credere che il rigassificatore di Trieste-Zaule sia un progetto già morto. Ma il progetto ha tutte le autorizzazioni ufficiali – nonostante l'espressa contrarietà generale del territorio, delle amministrazioni locali e delle forze politiche - e per farlo partire mancherebbe soltanto l’ultimo passaggio: l’autorizzazione unica in sede di Conferenza dei servizi nazionale. Non esistono percorsi alternativi. Secondo Legambiente, per chiudere definitivamente con l’impianto di rigassificazione nella baia di Zaule e con il metanodotto Trieste-Grado-Villesse, la Giunta regionale deve chiedere al Governo un impegno esplicito contrario a queste opere, e quindi, in tempi brevi, la convocazione della Conferenza dei servizi presso il Ministero dello sviluppo economico. Qui la Regione potrà confermare la propria non intesa ai due progetti affinché siano definitivamente cancellati dall’agenda riguardante il futuro del territorio triestino. È una scelta di cui la Regione deve farsi carico per essere coerente con gli impegni presi con i cittadini e con quanto più volte affermato.
Circolo Verdeazzurro LEGAMBIENTE Trieste

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 19 dicembre 2017

 

 

Il porta a porta dei rifiuti a Muggia scatta da marzo - L'annuncio dell'assessore Litteri in Consiglio comunale - Da metà gennaio partirà la campagna informativa
MUGGIA - Finalmente c'è una data: la raccolta dei rifiuti "porta a porta" a Muggia partirà il primo marzo 2018. La notizia è emersa dall'ultima seduta del Consiglio comunale, riunitosi in seduta straordinaria. Un'interrogazione, inserita nella nuova voce del question time, da parte del consigliere leghista Giulio Ferluga, che chiedeva delucidazioni sullo stato attuale dell'organizzazione della raccolta differenziata porta a porta nel territorio, ha permesso ai muggesani di scoprire quando avverrà la tanto attesa "rivoluzione" della raccolta dei rifiuti. «L'avvio della raccolta differenziata secondo il modello "porta a porta" è fissato per il giorno primo marzo 2018 - ha spiegato in aula l'assessore all'Ambiente, Laura Litteri -. L'attività di informazione degli alunni delle scuole primarie e medie del territorio comunale è in fase di svolgimento e sarà completata entro l'anno in corso. Gli incontri di informazione con la cittadinanza si svolgeranno invece da metà gennaio a fine febbraio 2018». L'esponente del Pd ha poi fornito altre informazioni sull'iter e sulla filosofia che porterà all'inizio della nuova raccolta: «La consegna alle famiglie dei contenitori e sacchetti per la differenziata, insieme al materiale informativo e al calendario delle raccolte, sarà effettuata nei mesi di gennaio e febbraio 2018. Il modello di raccolta "porta a porta" è stato sviluppato tenendo conto delle peculiarità del territorio, diversificando la tipologia di servizio per il centro storico e per le aree esterne al centro, e prevedendo la possibilità di posizionare i cassonetti nelle aree condominiali in accordo con le rispettive amministrazioni di condominio, al fine di agevolare il più possibile l'utenza». Litteri ha voluto anche tranquillizzare i cittadini sul fatto che non saranno abbandonati in questa avventura: «Durante i primi mesi di avvio del nuovo sistema di raccolta sarà effettuato un attento monitoraggio sull'andamento del nuovo servizio da parte dell'amministrazione comunale e di Net spa, al fine di individuare tempestivamente e dare risposta a eventuali problematiche che dovessero verificarsi». La notizia della partenza della raccolta dei rifiuti "porta a porta" prevista per il primo marzo ha riacceso gli animi politici, in particolar modo tra i banchi della lista civica Obiettivo comune per Muggia: «Il fatto che si inizierà appena in marzo conferma le nostre perplessità sul fatto che il Comune abbia applicato già nel 2016 un incremento sulla Tari, che ha registrato in alcuni casi anche il 30% in più sulla bolletta». L'aumento, come ha spiegato il Comune, è derivato dall'acquisto dei bidoncini per la differenziata. «Il prevedere l'ammortamento già da questo anno, al di là dei tempi di distribuzione dei raccoglitori, è servito a contenere l'aumento di imposta per gli anni successivi - ha spiegato l'assessore al Bilancio Mirna Viola -. Inoltre distribuendo in un numero d'anni maggiore la spesa, l'incidenza dell'aumento annuo nelle tasche dei cittadini sarà alla fine minore».

Riccardo Tosques

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 18 dicembre 2017

 

 

Salta il blitz sulla Tap - No all'emendamento per blindare i cantieri - Manovra: bocciata la norma anti-contestazioni del governo - Via libera alla proroga della Cassa integrazione per l'Ilva
ROMA - Tap, salta l'emendamento anti-proteste del governo. Il presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, ha giudicato inammissibile la proposta del governo di proteggere il cantiere del nuovo gasdotto (Trans Adriatic pipeline), in corso di realizzazione nel Salento, trasformandolo in «sito di interesse strategico nazionale». Con questa mossa Palazzo Chigi puntava, replicando la strategia adottata con la Tav in Val di Susa, a mettere l'opera al riparo dalle contestazioni. Con la "militarizzazione" dell'area («al fine di garantire il regolare svolgimento dei lavori e tutelare la sicurezza del personale impegnato per la realizzazione dell'infrastruttura», si legge nella norma messa a punto dal governo ma subito affondata) si sarebbero potute applicare le pene previste contro chi, senza autorizzazione, avesse travalicato i confini del cantiere o ne avesse impedito l'accesso. Il Codice penale, in queste circostanze, prevede anche l'arresto, da tre mesi a un anno. Il testo dell'emendamento, tra l'altro, rafforzava i poteri dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale e dell'Istituto superiore di sanità, in quanto «le ulteriori autorizzazioni amministrative in materia ambientale e fitosanitaria vengono adottate dalle amministrazioni centrali con l'ausilio dei due Istituti». «È stato evitato un abuso da parte di una politica che scavalca qualunque processo democratico e calpesta le comunità locali in ossequio alle grandi lobby delle fossili», è il commento del Movimento Cinque Stelle che, insieme ad altre formazioni politiche, tra le quali Liberi e Uguali, avevano alzato la voce contro la proposta. Ieri, intanto, la Camera ha dato il via libera ad un altro un pacchetto di emendamenti. Tra questi, spicca la proroga della Cassa integrazione straordinaria per i lavoratori dell'Ilva, con un finanziamento di 24 milioni di euro. Nel testo di modifica alla manovra, con l'ok del governo, anche lo stanziamento di altri 400 mila euro per gli interventi straordinari di bonifica delle aree dismesse di Genova e Cornigliano. Per quanto riguarda la scuola, invece, sono in arrivo 50 milioni per il completamento del programma di costruzione di scuole innovative "per innalzare il livello di sicurezza degli edifici scolastici". Nel corso della giornata, la Commissione Bilancio di Montecitorio ha dato via libera anche ad un pacchetto di emendamenti per il gli italiani all'estero: sul piatto 7 milioni. Nel dettaglio, 2 milioni, a decorrere dal 2018, per la promozione della lingua e cultura italiana, 400mila euro a favore del Consiglio generale degli italiani all'estero, 600mila euro per adeguare le retribuzioni del personale dell'amministrazione degli affari esteri, 400mila euro a favore delle agenzie di stampa specializzate per gli italiani all'estero e un milione a integrazione della dotazione finanziaria per i contributi diretti in favore della stampa italiana all'estero. Un altro milione e mezzo è stato stanziato a favore delle Camere di Commercio italiane all'estero. Inoltre l'emendamento approvato prevede un milione riservato agli italiani residenti in Venezuela in particolare situazione di disagio e 270 mila euro sono destinati nel 2018 alla manutenzione del cimitero italiano di Hammangi, a Tripoli. In tema di trasporti, un emendamento prevede che i concessionari autostradali saranno obbligati a sottoporre a gara il solo 60% dei contratti di lavori sulle tratte. Il codice degli appalti prevede per i concessionari una soglia generica dell'80%, che nel caso delle autostrade, appunto, scende ora al 60%. La modifica era stata richiesta anche dai sindacati dei lavoratori autostradali, preoccupati per l'impatto occupazionale delle norme del Codice.

Michele Di Branco

 

 

Stalla attaccata - Branco di lupi fa strage di pecore nello Zaratino
ZARA - Una strage di pecore come non avveniva da decenni nello Zaratino. A Murvica, villaggio a soli 5 chilometri da Zara, un branco di lupi è entrato l'altra notte nella stalla di Valentino Zilic, in cui c'erano 120 pecore. La stalla sta a 30 metri dall'abitazione del proprietario, ma né il fatto che la costruzione fosse chiusa né la vicinanza dell'uomo hanno scoraggiato i lupi. Come ricostruito da polizia e veterinari, sono state sgozzate e parzialmente mangiate 8 pecore, mentre una quarantina hanno riportato ferite gravissime; alcune sono scappate. «Ho aperto la stalla al mattino - ha riferito l'allevatore - e la scena che mi si è presentata era terribile. Alcune delle mie bestie non davano più segno di vita, altre si lamentavano, molte tacevano per lo choc». Immediato l'allarme e l'arrivo di polizia e di una rappresentante della Commissione consultiva croata per l'Agricoltura. L'episodio ha causato inquietudine e paura tra la popolazione locale: si teme che gli animali, calatisi dall'altura del Velebit, possano aggredire gli abitanti. I lupi sono tutelati in Croazia e per il loro abbattimento servono permessi con lunghi tempi di rilascio.

(a.m.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 17 dicembre 2017

 

 

Italia patria del riciclo: oggi vale l'1% del nostro Pil
ROMA - In fatto di riciclo dei rifiuti, l'Italia è all'avanguardia in Europa. Il Belpaese ricicla la stessa percentuale di spazzatura della Germania, il 79% di quella raccolta. Più della Francia (69%), molto più della media Ue (51%). Le 10.500 aziende italiane del riciclo fatturano 23 miliardi di euro all'anno, l'1% del Pil nazionale, e danno lavoro a 133.00 persone. I dati emergono dal rapporto «L'Italia del Riciclo 2017», l'ottavo studio annuale realizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile (presieduta dall'ex ministro Edo Ronchi) e da Fise Unire, l'associazione delle aziende del recupero rifiuti. Il rapporto di quest'anno è anche un'occasione per fare un bilancio sui primi vent'anni del Decreto Ronchi, che nel '97 disciplinò per la prima volta il settore dei rifiuti. Nel 2016 è aumentato il riciclo in tutti i settori, in particolare dell'alluminio (+5% rispetto al 2015), dell'acciaio (+4%) e del legno (+4%). Gli imballaggi sono arrivati al 67%, l'organico al 41,2%. In Italia si ricicla l'80% della carta, negli olii minerali si arriva addirittura al 99%. Crescono anche i settori più giovani, quello degli olii vegetali e quello del tessile. Resta indietro il riciclo dei veicoli usati, all'84,7%, contro un obiettivo al 2015 che era del 95%. A livello nazionale, la quantità di rifiuti destinata al recupero è più che raddoppiata dal 1999 al 2015, passando da 29 a 64 milioni di tonnellate, mentre lo smaltimento in discarica si è drasticamente ridotto, da 35 a 18 milioni di tonnellate. Nel 2015 il 55% dei rifiuti gestiti è stato avviato a recupero, il 16% a smaltimento e il 29% a pretrattamenti, a fronte di percentuali che nel 1999 erano, nell'ordine, 38%, 46% e 17%. Il riciclo in Italia funziona e genera profitti e occupazione, ma i problemi sono ancora numerosi.

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 16 dicembre 2017

 

 

La produzione a Servola riparte a pieno ritmo - Conclusi gli adeguamenti dell'altoforno imposti dopo gli sforamenti estivi
In arrivo 30 ulteriori assunzioni. Tra i clienti big del calibro di Bmw e Ariston
La Ferriera di Servola, nel giro di qualche giorno, tornerà a produrre a pieno ritmo. «Abbiamo ricevuto i dati sulle recentissime rilevazioni dell'Arpa, che attestano come tutti i livelli delle emissioni siano tornati sotto i limiti prescritti dall'Autorizzazione integrata ambientale - comunicano Alessandra Barocci e Alessandro Casula consulenti del Gruppo Arvedi per gli aspetti ambientali - ora si attende solo il formale via libera da parte della Regione». Per ovviare a quelli che erano stati gli sforamenti dell'estate scorsa in seguito ai quali la stessa giunta regionale aveva emesso una doppia nota di diffida, i due esperti spiegano che «sono terminati i lavori di sistemazione della nuova bocca dell'altoforno che è stata totalmente riprogettata. Era questo - sostengono - l'unico problema che aveva provocato un aumento delle emissioni rimaste comunque al di sotto delle soglie di emergenza sanitaria». L'operazione è finita già da qualche settimana e successivamente Siderurgica Triestina ha ripreso a far funzionare l'altoforno pur se a ritmo ridotto, mantenendosi cioè al di sotto delle 34mila tonnellate mensili di ghisa. Ora però anche questa barriera sta per cadere e, se da un lato sono prevedibili nuove proteste degli abitanti e delle associazioni ambientaliste, dall'altro Siderurgica Triestina si lancia definitivamente come player globale della siderurgia. L'accoppiata con Cremona, come spiega Edoardo Tovo, da sette mesi nuovo direttore dello stabilimento, permette il completamento di un ciclo che vede Trieste protagonista del primo e del terzo e ultimo segmento, mentre in Lombardia viene fatto quello intermedio. Con il favore della presenza della banchina qui infatti arrivano via mare il coke e i minerali funzionali alla produzione dei pani di ghisa, che poi con i treni raggiungono Cremona, quartier generale del Gruppo Arvedi. In quella acciaieria nascono le gigantesche bobine d'acciaio, cioè i coils, del peso di 25 tonnellate ciascuna, che poi vengono rispedite a Trieste. Con 25 treni in ingresso e altrettanti in uscita ogni settimana, la tratta tra queste due città è diventata la seconda più trafficata a livello nazionale nel settore merci. Nel nuovo laminatoio a freddo di Servola l'acciaio viene laminato, cioè trattato termicamente, eventualmente ridotto e reso più sottile, confezionato e testato, pronto per servire l'automotive (industria automobilistica), l'industria del bianco (elettrodomestici), la componentistica dei tubi. Con il prodotto finito, Tir, treni e navi partono per mezzo mondo. «Oltre all'Europa - spiega con entusiasmo Tovo - raggiungiamo Nord Africa, Stati Uniti e Messico. Tra i nostri clienti vi sono i marchi più prestigiosi: Bmw, Mercedes, Audi, Volkswagen, Fiat, Ariston». In laminatoio servono ancora braccia e cervelli. «Se, come spero, riusciremo a brevissimo a inaugurare anche l'impianto di decappaggio - spiega il direttore - avremo bisogno di altri due turni di lavoro per cui tra gennaio e giugno contiamo di fare ulteriori trenta assunzioni tra tecnici, manutentori e operai e così l'organico complessivo a Servola passerà da 540 a 570 dipendenti diretti. Sempre che li troviamo rapidamente. Per l'ultima figura professionale ci abbiamo messo tre mesi. In questo periodo infatti il porto assorbe tanti lavoratori, dobbiamo contenderceli con tutte le banchine». Il decappaggio è un'operazione chimica che consente di rimuovere lo stato di ossido superficiale eliminando i residui di ruggine dalla superficie dell'acciaio. Attualmente viene eseguito a Cremona, ma ora anche questo anello della catena produttiva sarà spostato a Trieste incrementando l'occupazione locale. «Il Gruppo Arvedi - spiega Alessandra Barocci - ha già speso a Trieste oltre 150 dei 171 milioni previsti. Sono stati rimossi e smaltiti 21,3 milioni di chili di rifiuti, le aree con problemi di acque sotterranee si sono ridotte da 520mila a 40mila metri quadrati e i piezometri (pozzi di osservazione, ndr) che hanno rivelato problemi sono passati da 19 a 1, ma solo perché qui, nei pressi della cokeria, sono state scoperte vasche interrate di benzolo che sembrano risalire al 1917. L'asfaltatura è salita dal 5% al 60% della superficie totale e sarà completata entro maggio 2018. Deve invece ancora partire nel concreto - rileva Barocci - l'operazione della parte pubblica, cioè Invitalia, che ha previsto una spesa di 41 milioni da impiegare soprattutto nel barrieramento a mare»

Silvio Maranzana

 

Confronto sulla sicurezza dell'impianto tra associazioni di residenti, Arpa e Regione - il tavolo
La sicurezza dello stabilimento, il sistema di aspirazione sul campo di colata dell'altoforno, il miglioramento dello spegnimento del coke ai fini della riduzione dell'inquinamento, il rumore generato dal sistema di abbattimento dell'impianto di aspirazione della cokeria e, infine, la quantità di depositi a parco del coke. Questi i temi affrontati nel corso dell'incontro che si è tenuto a Trieste tra i presidenti del Circolo Miani, Maurizio Fogar, e del Comitato Servola respira, Romano Pezzetta, e i vertici della direzione regionale Ambiente (che fa capo all'assessore Sara Vito) e dell'Arpa. Temi sui quali la direzione e la stessa Arpa si sono impegnate ad avviare una serie di approfondimenti i cui risultati verranno presentati in occasione di un prossimo confronto. Il primo tema affrontato è quello della sicurezza degli impianti ai fini della prevenzione dei rischi di incidente rilevante (legge Seveso). Come è stato spiegato da Arpa, l'entrata in vigore dei regolamenti comunitari Reach e Clp e la conseguente riqualificazione delle sostanze, tra cui il catrame, ha favorito un maggiore presidio da parte degli organismi di controllo attraverso la validazione del rapporto di sicurezza e due visite ispettive (nel 2016 e nel 2017), svolte congiuntamente da Arpa, assieme a vigili del fuoco e Inail. A seguito di ciò l'impianto è stato riclassificato a soglia superiore, con l'obbligo della redazione del rapporto di sicurezza, che permetterà alla Prefettura, per la prima volta, l'approvazione nelle prossime settimane del piano di emergenza esterno.

 

«Il porto inquina più della fabbrica» - L'analisi del super esperto Casula indicato come consulente dal gruppo Arvedi
«La qualità dell'aria a Trieste è molto buona e se c'è un fattore di inquinamento, questo è il porto e non la Ferriera». Lo sostiene con uno studio illustrato da Servola, Alessandro Casula, ingegnere chimico, come da curriculum "esperto di impianti energetici, energie rinnovabili e assimilate, autorizzazioni ambientali, prevenzione e controllo integrato dell'inquinamento, valutazioni ambientali e formazione nel settore energia e ambiente", consulente del Gruppo Arvedi. Casula ha affermato che, esaminando i riscontri offerti dalle "numerosissime" centraline di controllo ambientale che si trovano sparse in città, gli unici dati preoccupanti sono quelli che si riferiscono alla concentrazione media annua di No2 (biossido di azoto) rilevati dalla centralina di piazza Libertà. «Siamo in una zona attigua al porto - ha spiegato assieme alla collega Alessandra Barocci -, e non solo è ben lontana dallo stabilimento siderurgico, ma denuncia la presenza di una sostanza, il biossido di azoto, che in nessun modo può fare riferimento a un'attività di tipo siderurgico». Riguardo alla Ferriera, l'ingegnere ha riferito che su tutte le stazioni di monitoraggio è ampiamente rispettato dal 2016 lo standard ambientale di 40 µg/m3 di concentrazione media annua di Pm10, compresa quella contestata di San Lorenzo in Selva. L'Aia fissa standard di qualità ambientali anche sulle deposizioni che, ha riferito Casula, «sono stati ampiamente rispettati nel 2016 mentre nel secondo quadrimestre 2017 si è verificato un temporaneo superamento dovuto al ritardato intervento di rifacimento della bocca dell'altoforno». I due consulenti ambientali hanno anche contestato il fatto che l'Aia concessa alla Ferriera preveda l'obbligo da parte dell'azienda della copertura dei parchi minerali, così come richiesto dal Comune e da alcune associazioni. «E' un falso problema - hanno ribattuto gli esperti -. I parchi possono contribuire all'inquinamento nella misura massima del 10% che viene sostanzialmente annullata con una diversa conformazione dei parchi stessi e l'irrorazione e la filmatura per evitare gli spolveramenti. Così è stato fatto, ma ciononostante, come le è stato richiesto, l'azienda ha comunque presentato il progetto per la loro copertura.

(s.m.)

 

Barbieri in scadenza - Scatta il nuovo bando - Al via la "caccia" al tecnico chiamato ad affiancare la giunta - Il prossimo incarico avrà durata fino alla fine del 2018
L'incarico di Pierluigi Barbieri, super-tecnico sulla Ferriera del Comune di Trieste, scade a fine anno. L'ente locale non intende però privarsi dell'appoggio di un esperto in materia, ed è già pronto il nuovo bando per l'individuazione della persona più indicata. È prevedibile, salvo candidature a sorpresa, che l'esperto che ha affiancato il Comune nell'ultimo anno sarà nuovamente il prescelto. Fonti comunali spiegano che l'incarico di Barbieri, iniziato al principio di quest'anno, aveva durata semestrale, rinnovabile. Prolungato fino alla fine del 2017, non può essere ulteriormente rinnovato. Ragion per cui il Comune ha dovuto varare un nuovo bando, in accordo con i regolamenti sugli incarichi della pubblica amministrazione. Barbieri commenterà pubblicamente nei prossimi giorni l'esito di questo anno di lavoro, ma per il momento anticipa: «Abbiamo messo tantissima carne sul fuoco in questo periodo, ci sono molti elementi che verranno utilizzati nelle sedi appropriate».Il nuovo bando prevede un incarico di durata annuale e non più semestrale. Si legge nel bando: «L'incarico verrà svolto presso il comune di Trieste nell'anno 2018 con decorrenza dalla data di comunicazione dell'esecutività del provvedimento di affidamento e sino al 31 dicembre 2018, anche nelle more di perfezionamento degli atti contrattuali».Il che significa che l'avvio ci sarà proprio all'inizio dell'anno. Piuttosto che varare il bando direttamente nel 2018, infatti, il Comune ha preferito anticipare di un mese il procedimento, così da non ritrovarsi con un tecnico "azzoppato" dalle necessità burocratiche, che altrimenti potrebbero protrarsi per mesi. Le candidature verranno giudicate da un'apposita commissione, in base a punteggi elencati con precisione all'interno del bando.In cosa consiste il lavoro? In quanto fatto già da Barbieri nel corso dell'ultimo anno: si tratta dell'incarico a «un esperto in inquinamento in chimica dell'ambiente, per lo svolgimento dell'attività di supporto tecnico al sindaco per la lettura e il controllo dei dati relativi a fumi e inquinamento per quanto riguarda lo stabilimento siderurgico della Ferriera di Servola a Trieste». Ciò deriva, si legge, dalla necessità dell'amministrazione «di monitorare le emissioni ambientali della Ferriera in relazione ai rischi dell'area a caldo oggetto di particolare attenzione nel mandato del sindaco». Questo comporta, in termini tecnici, che «la prestazione professionale» del consulente «consiste nel rendere un supporto di natura tecnica» nei procedimenti che consentono al Comune «l'esercizio dei risultati di un'attività istituzionale (istruttoria, sanzionatoria, di controllo eccetera) tramite l'acquisizione di risultati di un'attività professionale» resa dal consulente stesso. Ai tempi, la nomina di Barbieri fu una mossa a sorpresa da parte della giunta Dipiazza: il tecnico era infatti l'assessore all'ambiente designato della potenziale amministrazione Cosolini bis, annunciato dal Pd in campagna elettorale.

Giovanni Tomasin

 

 

La grande storia dell'Adriatico raccontata dai fondali con relitti e piccoli tesori - LA MOSTRA - I CONTENUTI
I tesori del mondo sommerso riemergono dal profondo degli abissi con la mostra "Nel mare dell'intimità", che con gli occhi dell'archeologia subacquea si propone l'ambiziosa impresa di raccontare la storia dell'Adriatico, dall'antichità ai giorni nostri. L'esposizione si inaugura oggi, alle 17.30, al Salone degli Incanti (l'ex Pescheria) sulle Rive (domani l'apertura al pubblico), dove grazie all'allestimento curato dall'architetto Giovanni Panizon si trasformerà in un grande fondale sommerso, saranno esposti un migliaio di reperti provenienti praticamente da ogni territorio bagnato da questo mare, grazie ai prestiti di musei italiani, croati, sloveni e montenegrini. Relitti, opere d'arte e oggetti della vita quotidiana, merci destinate alla vendita e attrezzature di bordo ripescate dalle profondità del nostro mare saranno proposti al pubblico in una visione d'insieme, con un'esposizione di 2000 metri quadri in cui lo spettatore sarà virtualmente immerso. Ciascun reperto racconta un pezzetto di storia dell'Adriatico, che si potrà poi approfondire grazie a un dettagliato catalogo edito da Gangemi, curato da Rita Auriemma con la progettazione grafica della Trart di Trieste. Negli abissi del mare dell'intimità sono rimaste celate per lungo tempo storie di traffici commerciali, di incroci tra popoli, di pace e di guerra. Le vicende degli uomini che solcarono queste acque fin dall'antichità ci ricordano le difficoltà della navigazione, il timore reverenziale con cui ci si approcciava a un mare che, per quanto circoscritto e mappato, non si poteva considerare né conosciuto né controllabile. Non a caso una delle dieci sezioni è dedicata al rapporto tra l'andar per mare e il sacro: nella sua dimensione più inconscia la navigazione incute soggezione non soltanto per i pericoli del mare, ma per quella dimensione incerta che è lo spostamento, l'incontro con il diverso. «Esiste un singolare paesaggio del sacro comune in tutto l'Adriatico, fatto di luoghi e di miti che punteggiano l'interfaccia fra la terra e il mare - spiega Rita Auriemma, archeologa subacquea e curatrice della mostra -. Qui l'homo religiosus consegna i punti più significativi della terraferma ai segni del sacro, per offrire a chi naviga un messaggio d'accoglienza, così come dalla riva verso il grande ignoto, il navigatore affida al divino la speranza del viaggio, del buon approdo, del ritorno. Particolare valenza simbolica e religiosa hanno dappertutto i luoghi - promontori e isole, scogliere, falesie, approdi - a cui si affida la "memoria di lungo corso" dei naviganti. In questo sistema i passaggi cruciali, che dalla costa suggerivano ai marinai il rischio del morire in mare o la gioia d'averlo scongiurato, erano naturalmente, profondamente, percepiti come luoghi sacri». Durante tutta la storia dell'Adriatico e con maggior virulenza nel Secolo breve ai pericoli della navigazione per mare si sommarono i conflitti. Li racconta la sezione "La guerra sul mare", che raccoglie testimonianze di battaglie e storie di pirati e corsari, che s'intrecciano con le guerre vere e proprie. L'Adriatico fu infatti terreno di caccia per i pirati Uscocchi, cristiani cattolici provenienti dai Balcani che si stabilirono sulle coste dell'Adriatico per sfuggire all'avanzata dei Turchi. Ma fu anche teatro di tante battaglie: se ne trova traccia nei reperti che ricordano, per esempio, gli scontri tra flotte musulmane e cristiane durante la battaglia di Lepanto del 1571. O nei resti della fregata francese Danae, che fra il 1811 e il 1812 fu impegnata in alcuni scontri a fuoco contro unità inglesi in Adriatico, tra cui la battaglia di Lissa del 13 marzo 1811. La Danae non cadde in battaglia, ma colò a picco per un'esplosione, forse un sabotaggio, nel 1812, mentre era ormeggiata al molo San Carlo, proprio nel porto di Trieste. Passando al Novecento e alle due guerre mondiali in mostra si potranno anche vedere, per la prima volta, i reperti recentemente ripescati dalla baia di Muggia, della corazzata austroungarica Wien, affondata nel 1917 da due Mas italiani comandati da Luigi Rizzo. E ancora la prua del sommergibile Medusa, affondato nel 1915 al largo di Venezia, e il timone di coda del bombardiere B24, colpito dalla contraerea e precipitato in mare al largo di Grado nel 1945. La mostra "Nel mare dell'intimità" è organizzata dal Servizio di catalogazione, formazione e ricerca dell'Erpac e dall'assessorato alla Cultura del Comune di Trieste. Si avvale della collaborazione di oltre 60 istituzioni culturali italiane e internazionali, tra le quali la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio e il Polo Museale regionale.

GIULIA BASSO

 

L'archeologa subacquea Auriemma: «Trieste e il mare, legame profondo» - L'INTERVISTA - LA CURATRICE
Per il più ampio focus sull'archeologia subacquea dell'Adriatico che a memoria d'uomo si ricordi in Italia è stata scelta la città di Trieste, che guarda nel grembo ultimo dell'Adriatico e vi si specchia, come una nave in procinto di salpare. «Trieste è assolutamente coinvolta nell'intimità di questo mare: basti pensare che l'ultimo dei santuari di Diomede, eroe adriatico per eccellenza, si trova proprio a pochi passi da qui, dove oggi affiorano le risorgive del Timavo», spiega Rita Auriemma, curatrice della mostra per conto dell'Erpac e archeologa subacquea. L'esposizione "Nel mare dell'intimità" getterà luce anche sul suo mestiere. Se l'archeologo terrestre è stato raccontato al grande pubblico da George Lucas con Indiana Jones, la figura dell'archeologo subacqueo rimane ancora avvolta da un alone di mistero. «Eppure la prospettiva è comune, quella dell'archeologia dei paesaggi, che mira a comprendere lo sviluppo storico del rapporto tra l'umano e l'ambiente in cui è presente - spiega Auriemma -. A cambiare è lo scenario in cui si opera, terrestre, costiero o subacqueo. In quest'ultimo caso la tecnologia oggi, grazie allo sviluppo della robotica, ci fornisce soluzione operative d'avanguardia, che ci consentono di ampliare le nostre ricerche a profondità impensabili fino a poco tempo fa». Oggi grazie a veicoli robot subacquei come i Rov e gli Auv si arrivano ad esplorare relitti profondi centinaia di metri. Non si tratta però di tecnologia a buon mercato e in Italia ce n'è poca a disposizione dell'archeologia subacquea. E' come se dopo i brillanti esordi dell'epoca di Nino Lamboglia, mitico direttore del Centro Sperimentale di Archeologia sottomarina di Albenga negli anni '50, sull'archeologia subacquea italiana fosse calato il sipario. Ci sono delle eccezioni, come il lavoro sul relitto di Grado, ben raccontato dalla mostra. Ma l'esposizione dimostra una volta di più come oggi «l'unica strada percorribile per tutelare il patrimonio sommerso sia creare una rete che non ha confini, se non quelli burocratici, nel trasferimento di conoscenze e buone pratiche. La ricerca deve essere internazionale, la comunità scientifica il più aperta possibile. Il "mare dell'intimità" in fondo è anche questo: reperti da Italia, Croazia, Slovenia e Montenegro, ricercatori dei rispettivi Paesi che si parlano e si scambiano informazioni da cui potrebbero nascere futuri progetti. La mostra vuole essere anche un modo per rimettere in moto le attività sul campo: il Navarca di Aquileia, spiega Rita Auriemma, è stato restaurato per l'occasione e sarà esposto nel nuovo allestimento del museo archeologico di Aquileia. La sezione della Nave di Grado, il lavoro d'inventariato e catalogazione dei materiali originali del carico vivrà dopo la mostra: è pensata per il museo della città di Grado. Quanto ai reperti in esposizione, vale la stessa storia dei Bronzi di Riace. Al centro della struttura espositiva troverete quattro statue di grande impatto visivo, l'Apoxyómenos, il Principe ellenistico, il Navarca di Aquileia e l'Atleta di Barcola. Dal punto di vista artistico sono pregevolissime. «Ma a me coinvolge altrettanto il bollo di Calvia Crispinilla, con cui questa donna, proprietaria di ville e tenute, tra cui anche la villa romana di Barcola, timbra alcune anfore di una sua proprietà a Loron. E' un personaggio che mi irretisce. Tacito la racconta come donna dalla reputazione scandalosa, colei che orchestrava i piaceri di Nerone. In realtà era una donna libera e potente, di cui la storiografia ha forse dato un ritratto peggiore del reale. Ma si sa, le donne di potere spaventano ancora oggi...»

Giulia Basso

 

 

 

 

IL TIRRENO - VENERDI', 15 dicembre 2017

 

 

LIVORNO - No al rigassificatore - Comitato al lavoro sul ricorso al Tar

ROSIGNANO - «Il ricorso al Tribunale amministrativo regionale (Tar) è quasi pronto e verrà depositato entro la scadenza del 25 gennaio 2018, debitamente arricchito dalle ragioni del no derivanti dalla nuova Strategia energetica nazionale (Sen), elementi che valutiamo potrebbero essere molto utili ai fini di una sentenza a favore del no». Così il Comitato del No al Rigassificatore che fa il punto sulla battaglia legale che lo vede impegnato nel promuovere il ricorso al Tar contro il Decreto 215 del 14 luglio 2017. «Dopo la positiva raccolta fondi conclusasi a circa metà settembre – prosegue il Comitato – tramite l’avvocato di riferimento abbiamo costantemente monitorato la pubblicazione del decreto sulla Gazzetta ufficiale (Guri) la cui data determina i 60 giorni di tempo per la presentazione del ricorso al Tar. Stranamente per ritardi tecnici nella trasmissione, ricezione e pubblicazione, che solitamente avviene in circa una o due settimane, questa è avvenuta soltanto il 25 novembre, ovvero con circa quattro mesi di ritardo. In questo arco di tempo è uscita la nuova Strategia energetica nazionale, della quale alcuni contenuti, in estrema sintesi utili a dare man forte alle ragioni del no al rigassificatore, sono stati inseriti nel ricorso al Tar». Nel frattempo la seduta del Tar del 4 dicembre per discutere i vecchi ricorsi è stata rinviata a data da definire. «Ringraziamo di nuovo tutti coloro i quali hanno
contribuito alla raccolta fondi e confermiamo a tutti che il ricorso è quasi pronto e verrà depositato entro la scadenza del 25 gennaio 2018, debitamente arricchito dalle ragioni del no derivanti dalla nuova Sen. Purtroppo i tempi di questo procedimento sono estenuanti e lunghissimi»

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 15 dicembre 2017

 

 

Il nuovo depuratore parte a Natale - Ultime prove tecniche per l'impianto di AcegasApsAmga costato oltre 50 milioni di euro
Entro la fine dell'anno, ovvero entro una quindicina di giorni, verrà premuto dai tecnici di AcegasApsAmga l'interruttore del nuovo depuratore di Servola. Il primo cantiere italiano, nella classifica dimensionale di questa tipologia impiantistica ambientale, avrà conseguito il suo scopo prioritario: cominciare gradualmente a funzionare, filtrando le acque fognarie derivanti da 190mila residenti e consentendo di arginare la procedura di infrazione attivata troppi anni fa dalla Commissione Ue. La tempistica, annunciata nell'autunno 2015, è sostanzialmente rispettata. Il direttore generale dell'azienda triestino-padovana-udinese, Roberto Gasparetto, può permettersi - premessa una ricca dotazione scaramantica - di tirare il fiato: «Una volta la depurazione era delegata al mare, ora la facciamo noi». I test sulla strumentazione installata sono a buon punto: rotazione dei motori, circuito idraulico, funzionamento delle paratoie, software di controllo ... Le tecnologie messe a punto da Veolia e Suez, inserite nelle strutture edili costruite da Cmb, sono ormai prossime a partire, dopo poco più di un anno di lavoro (al netto delle progettazioni) iniziato nel novembre del 2016. L'acqua di prova ribolle nelle 40 vasche che si aprono (ma saranno opportunamente coperte) sulla superficie dei 250 metri lungo i quali si svolge la complessa struttura che garantirà la depurazione idrica. A regime l'impianto servolano tratterà dagli 80 ai 100mila metri cubi giornalieri di acqua fognaria. «Una lotta contro il tempo», commenta l'assessore regionale all'Ambiente, Sara Vito, che pensa alla clessidra di Bruxelles. Perché gli eurocrati non si accontenteranno del taglio del nastro, esigono un anno di campionamenti. E non è detto - ammonisce l'assessore - che l'accensione del depuratore annulli automaticamente la sanzione comunitaria, che al momento non risulta ancora quantificata. Comunque, adesso il lavoro è stato completato e ha previsto un investimento di 52,5 milioni di euro, che è pagato per tre quinti con eurorisorse Fsc, cui si aggiungono un contributo pluriennale di 15 milioni erogato dalla Regione Fvg e i proventi tariffari. La sola parte tecnologica ha assorbito 30 milioni. Al vasto cantiere di quasi 35mila metri quadrati di superficie, che continuerà a operare anche dopo la partenza dell'impianto, si accede dal varco di scalo Legnami, provenendo da via Svevo. Due i tecnici che hanno progettato e seguito i lavori, gli ingegneri Massimo Vienna, "conferito" dalla capogruppo Hera, e Enrico Altran: hanno diretto l'impegno di 350 persone, coinvolte nella realizzazione delle varie articolazioni della struttura attraverso 36mila giornate/uomo. L'innovazione depurativa è multifasica e si possono distinguere cinque passaggi-chiave: il pre-trattamento, che viene espletato nel vecchio depuratore, il trattamento primario, il trattamento secondario o biologico, il trattamento terziario, la disinfezione. Le acque fognarie continuano ad arrivare nell'impianto "old" attraverso due grandi collettori, quello "alto" e quello "basso": il primo parte da Barcola, sale in via Udine, passa dal Tribunale, punta verso San Giacomo e da lì approda a Servola, avendo ricevuto gli apporti delle condotte di via Baiamonti e di Valmaura. Il secondo origina davanti alla Stazione centrale e fa rotta su Servola transitando lungo le Rive. I liquidi, dopo aver affrontato l'iter depurativo, vengono convogliati verso la vecchia condotta sottomarina di 7,5 chilometri, che scarica al largo: la differenza fondamentale è che l'opera di abbattimento batterica sarà effettuata sulla terraferma, così come prevedono le disposizioni della Ue. E l'abbattimento batterico, in collaborazione con l'Ogs, sarà dosato a seconda delle esigenze dell'ecosistema marino. Hera ha affrontato altri due rilevanti interventi ambientali legati all'Adriatico: il risanamento fognario di Rimini e l'adeguamento di Cà Nordio, l'impianto che serve l'area di Padova.

Massimo Greco

 

Ogni giorno in funzione per centomila metri cubi
Quaranta vasche alimentate da quattro maxi pompe che sollevano l'acqua in arrivo dalla vecchia struttura. Macchine d'avanguardia, tre fasi di trattamento
Nel giro di un anno quella che era una distesa di terra divelta è diventata una realtà tecnologica che il direttore di AcegasApsAmga Gasparetto, insieme allo staff tecnico aziendale, definisce «al top delle conoscenze mondiali nel settore». La visita al nuovo depuratore di Servola parte dalla civettuola palazzina, a cura dello studio Altieri e di F&M Ingegneria, che ospiterà gli uffici, la direzione del ciclo idrico gestito dall'utility, il laboratorio di analisi in procinto di traslocare dal Broletto: in tutto vi lavoreranno una quarantina di addetti. E'il perno dell'itinerario, perchè salendo le scale si raggiungono la sala controllo e la "terrazza" delle 40 vasche. Scendendo, il visitatore si inoltra invece nella "galleria tecnica", dove è possibile osservare le macchine che, attraverso tre fasi fondamentali, concorreranno a ripulire quasi 100 mila metri cubi di acqua al dì. Fondamentale la sala controllo, presidiata dai tecnici Hera distaccati dal centro di Forlì, che coordina l'operatività (e gli allarmi) di tutti gli impianti "fluidi" (acqua, gas) del gruppo. Forlì è considerato il secondo polo di telecontrollo funzionante in Europa: adesso anche Servola è connessa al sistema. Sui monitor la mappa dei "possedimenti" Hera: Modena, Bologna, Ferrara, Romagna, Padova, Trieste. Sotto le vasche - come si diceva - il cuore e il cervello del nuovo depuratore: in circa duecento metri si addensa un investimento di 30 milioni, a maggio di quest'anno si è iniziato a installare le apparecchiature e le strumentazioni. L'acqua da trattare arriva dal vecchio impianto mediante cinque attraversamenti sotterranei e viene sollevata verso le vasche, profonde 6-7 metri, utilizzando l'azione di quattro pompe. Ora comincia l'operazione depurativa vera e propria, che raggiunge il punto più importante con il cosiddetto "trattamento biologico", seguito nel "trattamento terziario" dall'eliminazione di azoto, fosfato, ammoniaca. L'acqua è così pronta per affrontare il viaggio di 7,5 chilometri verso il Golfo. La parte nord della galleria è spoglia ma è predisposta per ospitare nuove apparecchiature quando il depuratore di Zaule sarà dismesso e l'attività si concentrerà a Servola. Abbiamo parlato di attraversamenti che consentono alle acque di defluire dal vecchio al nuovo impianto: per realizzarli, è stato necessario ottenere le autorizzazioni dii Rfi, perché queste opere passano sotto il binario ferroviario che collega Campo Marzio con Aquilinia. Dal punto di vista amministrativo, si è trattato di un passaggio fondamentale che è stato affrontato nei primi mesi dell'anno. Poi in aprile sono iniziate sul campo le attività di perforazione e di "microtunnelling" per collegare i due depuratori. L'operazione è stata portata a termine con una macchina "talpa" schierata da un'azienda di Occhiobello, la Pato: ancora nel giorno di San Nicolò era possibile vederla in lentissima azione, mentre apriva l'ultimo varco per far passare l'acqua.

magr

 

Quando Bruxelles accese la procedura dieci anni fa

Tra depuratore e Ferriera, due delle più spinose grane ambientali del territorio vedono Servola nolente protagonista. Per quanto riguarda l'impianto di depurazione, la vicenda ebbe inizio nel 2008 quando la Commissione Ue esplose la procedura di infrazione, motivata dal fatto che la condotta sottomarina portava l'acqua fognaria direttamente in mare, senza che vi fosse un preventivo trattamento a terra. Trascorsi alcuni anni senza che Trieste rispondesse a Bruxelles, nell'ottobre 2015 il progetto del nuovo impianto venne presentato presso la presidenza della Regione Fvg dall'assessore Sara Vito, dall'amministratore delegato di Hera Stefano Venier, dall'allora sindaco di Trieste Roberto Cosolini. In verità già dal 2013 la macchina decisionale aveva cominciato a muoversi ed erano partiti i lavori di bonifica del terreno, lavori che assorbirono 8 milioni sul budget complessivo di 52,5. Il completamento dell'opera era previsto nel 2018: a dieci anni dal diktat della Commissione Ue.

(magr)

 

Recupero rifiuti: a Herambiente il 40% di Aliplast
É stato perfezionato l'acquisto da parte di Herambiente, società del gruppo Hera leader in Italia nel trattamento e recupero dei rifiuti, di un ulteriore 40% delle azioni di Aliplast, primaria realtà nazionale nella raccolta e riciclo della plastica e conseguente rigenerazione. Con questa operazione, che fa seguito al primo passaggio effettuato il 3 aprile 2017, la quota azionaria di Aliplast detenuta dal Gruppo Hera sale all'80%. Il restante 20% delle azioni sarà rilevato entro giugno 2022.

 

 

Energia - Kosovo, ok alla centrale da un miliardo di euro
BELGRADO - Luce verde a un progetto di grande portata, fondamentale per il futuro di quel Paese. Ma anche controverso. Sorgerà in Kosovo una nuova, enorme centrale termoelettrica a carbone, la "Kosovo e Re" (Nuovo Kosovo), che andrà a sostituire l'ormai obsoleto e super-inquinante impianto per la produzione di energia elettrica "Kosovo B", costruito ai tempi della Jugoslavia. Il via libera è stato ufficializzato dal governo di Pristina, che ha specificato in una nota il raggiungimento di un «accordo con l'azienda Contour Global», colosso americano specializzato nel settore dell'energia, per la costruzione della nuova centrale. «La firma dell'accordo commerciale è attesa nei prossimi giorni, con essa in Kosovo sarà investito oltre un miliardo di euro, il maggiore investimento nella storia del nuovo Kosovo», auto-dichiaratosi indipendente dalla Serbia nel 2008. E un'altra indipendenza, quella «energetica», sarà garantita una volta che la centrale entrerà a pieno regime, entro il 2023, mentre i lavori inizieranno il prossimo anno, ha assicurato l'esecutivo.La centrale, è stato annunciato, avrà un blocco unico di produzione e una capacità di 500 MW. Non solo. "Kosovo e Re" sarà dotata di una componente per la generazione di calore per teleriscaldamento, che permetterà «l'espansione della rete di riscaldamento nelle città di Pristina, Obilic, Drenas (Glogovac) e Fushe Kosova» (Kosovo Polje). Infine, la rassicurazione del governo del Kosovo, uno fra i Paesi più inquinati dei Balcani ma il quinto più ricco al mondo di lignite (14 miliardi di tonnellate da estrarre): la centrale, alimentata naturalmente a carbone, «sarà costruita secondo le ultime tecnologie» disponibili portando così alla «riduzione delle emissioni» e a una maggiore «protezione dell'ambiente». È un «evento storico per la gente del Kosovo e il suo futuro», la promessa.Ma ora, dopo le promesse, si dovrà passare alla prova dei fatti, perché "Kosovo e Re" è da anni al centro di controversie e critiche. Critiche in passato arrivate anche dell'autorevole organizzazione Bankwatch, che ha sostenuto, canalizzando la posizione di Ong locali come Kosid, che l'impianto sarebbe «non necessario», perché eliminando le «perdite tecniche» della rete (15%) e i «furti» di elettricità (18% della produzione), oltre che investendo in rinnovabili ed efficienza energetica si potrebbe evitarne la costruzione. Costruzione che, secondo Bankwatch, potrebbe avere effetti negativi su forniture idriche e terreni agricoli. I prossimi anni diranno chi ha visto giusto.(s.g.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 14 dicembre 2017

 

 

L'ultimo viaggio di Vocci vagabondo senza confini - Si è spento a 67 anni il fondatore di Laboratorio di Biologia marina e Circolo Istria
È stato uno dei primi assessori all'Ambiente d'Italia e sindaco di Duino Aurisina - (foto)
«Ho perso due grandi sopracciglia e un bel paio di baffi, ma soprattutto quello che stava sotto: due occhi curiosi e una bocca sempre sorridente. E aperta sulla meraviglia della bellezza». Martina Vocci ha annunciato così su Facebook la scomparsa del padre Marino Vocci a 67 anni dopo una breve malattia, a nome anche delle altre donne della famiglia, la madre Liliana e la sorella Eva. A molti mancheranno quelle grandi sopracciglia, quei baffi che regalavano un sorriso aperto sul mondo. Marino Vocci era nato nel 1950 a Caldania, Buie d'Istria, vicino a Pirano. Nel 1954, a soli quattro anni, lascia la terra natia con la famiglia. «Caldania - rappresenta un po' il simbolo del mio esodo. Dalla campagna sono approdato a Trieste, in un mondo urbano, centroeuropeo. Ma anche ostile e pieno di difficoltà. Mio padre aveva già portato via, qualche mese prima, mia sorella Giuseppina che aveva 11 anni, perché voleva che frequentasse le scuole italiane». Furono gli anni più difficili passati nel campo profughi di Opicina. «Noi eravamo gli "istriani sbagliati" - ricorda Marino Vocci - e avevamo una doppia difficoltà: eravamo visti con sospetto perché considerati dei nemici. A Trieste eravamo dei traditori comunisti filotitini e amici degli s'ciavi. In Istria, gli irredentisti fascisti italiani. Ma questo non era vero, io non sono mai stato fascista». Ottiene il diploma di perito industriale all'Istituto "Volta" di Trieste. Si iscrive a Lettere all'Università di Trieste ma non termina gli studi. É pure un promettente calciatore dello Zarja e del Primorje. Negli anni Settanta inizia a lavorare prima come guida al Museo della Risiera di San Sabba e poi come insegnante nelle scuole medie inferiori. Nel 1977 fonda il Laboratorio di Biologia marina e per vent'anni (fino al 1997) ci lavora. Dal 1980 al 1985 è uno dei primi assessori all'Ambiente d'Italia. Nel dicembre 1997 diventa sindaco di Duino Aurisina, il primo eletto nelle file dell'Ulivo. Nel 2002 si dimette per una questione ambientale. Poi, fino al pensionamento del 2012, lavora ai Civici musei scientifici di Trieste occupandosi soprattutto del rilancio del Museo del Mare. È stato uno dei fondatori del Circolo di cultura istro-veneta Istria (presidente per oltre 10 anni), di Legambiente, del Gruppo/Skupina 85, dell'Associazione Dialoghi Europei. Si è battuto contro il rimosso storico del confine orientale. «Un vergognoso silenzio sia da destra sia da sinistra perché era difficile ammettere che l'Italia era uscita sconfitta dalla guerra» ricordava Vocci. Marino era un costruttore di ponti e uomo di dialoghi a partire anche dalle taverne e osterie con la sua barca dei sapori approdata a TeleCapodistria. Pure fiduciario di Slow Food uomo di amicizie uniche (Fulvio Tomizza, Franco Basaglia, Alexander Langer, Diego de Castro e Fulvio Molinari). A esprimere il cordoglio è stato ieri anche il presidente del Consiglio regionale del Fvg Franco Iacop. Oggi in Consiglio comunale sarà commemorato da Fabiana Martini. Il suo, come ricordava nel libro "Fughe e approdi", è stato «il viaggio di un vagabondo curioso vissuto in mezzo a lingue e culture diverse, tra il mare e la terra, tra il rovere e il leccio, tra ulivi e vigne di terra rossa e i prati verdi delle montagne; tra il canto delle cicale, dei merli e degli usignoli, tra le musiche di Bob Dylan, Guccini e De Gregori».

Fabio Dorigo

 

 

«Frana vicino a casa, abbiamo paura» - Allarme a Muggia fra i residenti di strada per Lazzaretto 1 dopo lo smottamento. Ordinanza del sindaco Marzi
MUGGIA - «Non penso proprio che chiuderò occhio questa notte: il fango si muove continuamente, ora si iniziano a vedere anche le fondamenta della casa sopra di noi». Trapelano paura e inquietudine dalle parole di una residente nella casa di strada per Lazzaretto 1, l'edificio situato proprio sotto al massiccio movimento franoso che da lunedì ha iniziato a riversarsi nell'area di fronte al parcheggio di porto San Rocco. Nella mattinata di ieri due squadre della Protezione civile, i Vigili del fuoco e i tecnici del Comune di Muggia hanno fatto una serie di sopralluoghi nella zona, utilizzata come parcheggio dai residenti (e già interdetta da lunedì), accertando come il movimento franoso sia in continua evoluzione, ma sia fondamentalmente sotto controllo come ha spiegato il sindaco Laura Marzi: «Potrebbero verificarsi degli ulteriori distacchi, ma non c'è alcun rischio per i residenti». Da due giorni, nella zona "a valle" della prima casa di strada per Lazzaretto, circa otto famiglie stanno vivendo con il fiato in gola. Fango, terra, pietre, alberi, pezzi di recinzione sono scivolati giù per circa una trentina di metri dalla collina, dove poco sopra si trova un'abitazione, in strada per la Fortezza 24/c, ove risiede Maria Luisa Valente, proprietaria dell'area franata: contattata telefonicamente, la donna ha preferito non commentare l'accaduto. Intanto ieri la corsia lato collina di strada per Lazzaretto è stata chiusa per una cinquantina di metri onde evitare che la frana possa invadere la carreggiata della frequentata arteria stradale. «Non siamo affatto tranquilli, anzi, io ho proprio paura - racconta la residente di strada per Lazzaretto 1 -, si vedono le spaccature del terreno, le abbiamo constatate utilizzando anche un drone. Ci è stato detto di chiuderci in casa, di chiudere le persiane delle finestre sul lato monte. Non possiamo ovviamente più parcheggiare le auto nel piazzale, non possiamo più muoverci per andare nelle cantine, a lato della casa, e nemmeno dietro alla casa». Ieri pomeriggio il sindaco Laura Marzi ha emanato un'ordinanza per affrontare la situazione: «Abbiamo imposto alla proprietaria del terreno in cui si è sviluppato il fronte di frana la messa in sicurezza dell'area in tempi rapidissimi. Per operare però bisognerà attende la stabilizzazione delle condizioni meteo per garantire la sicurezza a chi dovrà intervenire». Nell'ordinanza è stata confermata l'interdizione dell'uso del parcheggio dei condomini di strada per Lazzaretto 1 ai quali è stato poi imposto di non utilizzare le cantine e di chiudere finestre e persiane del piano terra e del primo piano. «In realtà la casa è abbastanza lontana dal movimento franoso, ma in caso di possibile distacco, magari di un masso, ci potrebbe essere il rischio che questo sfondi i vetri delle finestre: è una precauzione, ma non è a rischio l'incolumità di nessuno», puntualizza Marzi. Confermata infine la chiusura precauzionale per un tratto di circa 50 metri della corsia lato collina di strada per Lazzaretto. La situazione venutasi a creare tra strada per Lazzaretto e strada per la Fortezza ha sollevato le ire politiche del capogruppo del M5S Emanuele Romano: «Il caso dello smottamento avvenuto a Muggia dimostra ancora una volta come il territorio necessiti di pianificazione. La maggioranza ha sempre bocciato i nostri emendamenti su interventi straordinari e studi sul dissesto idrogeologico. Adesso le misure speciali in votazione non rispettano né il principio "zero consumo di suolo", né migliorano la sicurezza del nostro territorio». Pronta la replica di Marzi: «I Prgc redatti sino a qualche anno fa hanno dimostrato poca attenzione per le criticità idrogeologiche peraltro aumentate nel corso degli anni. La nostra variante 31, invece, ha riservato assoluta attenzione a questa tematica, per cui gli emendamenti del consigliere Romano non vanno a mutare minimamente né ad aggiungere alcunché a quanto già previsto». «Mi chiedo come sia stato possibile permettere di costruire una casa lassù. Il fango e la terra si stanno muovendo continuamente. Nemmeno le reti di recinzione sono servite visto che sono state travolte», aggiunge intanto la residente muggesana. E nella mente non possono che riecheggiare i tragici fatti del 15 novembre 2014 in cui una frana travolse mortalmente la 73enne Loreta Querel mentre era in casa al numero 59/p di strada per Lazzaretto.

Riccardo Tosques

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 13 dicembre 2017

 

 

Austria, esplode impianto - Stop al gas diretto in Italia - Calenda dichiara l'emergenza: «Scorte assicurate». Flusso ripristinato nella notte
Scontro tra ministro e governatore pugliese: «Con il Tap non avremmo problemi»
ROMA - L'allarme è durato una manciata di ore. Quanto è bastato per confermare la fragilità del sistema energetico italiano, che importa il 90% del gas di cui ha bisogno. Una esplosione avvenuta alle 8.45 all'interno del terminal del gas di Baumgarten an der March, Austria orientale, uno dei principali snodi di distribuzione di gas naturale in Europa con una capacità di annua di 40 miliardi di metri cubi, ha provocato un morto e almeno 18 feriti, determinando la sospensione delle attività del gasdotto Tag, che convoglia il gas russo fino al nostro Paese attraverso il Tarvisio. Possibili interruzioni del rifornimento anche per la Croazia, ha reso noto un portavoce dell'operatore Gas Connect Austria. L'incendio divampato dopo la detonazione è stato spento, ma le cause dell'esplosione restano ancora da chiarire. Il blocco ha costretto l'Italia a dichiarare attorno alle 13 lo stato di emergenza. La fornitura ai consumatori italiani - ha reso noto il ministero dello Sviluppo economico - è comunque assicurata» con la «maggiore erogazione di gas dagli stoccaggi nazionali in sotterraneo». L'emergenza è rientrata velocemente: durante la notte, ha anticipato ieri sera il ministro Carlo Calenda, la rotta austriaca è stata riaperta. «La tre linee del Trans Austria Gasleitung, il gasdotto che porta il gas russo in Italia, non sono state impattate e ci aspettiamo il riavvio dei flussi per la mezzanotte» ha annunciato attorno alle 20 il ceo di Snam, Marco Alverà, sottolineando che il sistema italiano è «tra i più sicuri al mondo» grazie anche a riserve che possono arrivare a 17 miliardi di metri cubi. Ma è necessario diversificare, ha affermato Calenda, ribadendo l'importanza di portare a termine il progetto del Tap, il gasdotto che porterà in Europa il gas dell'Azerbaigian passando per la Puglia, ostacolato da ambientalisti e amministrazioni locali, per diversificare l'approvvigionamento. «Emiliano - ha attaccato il ministro - ha fatto ricorso al Tar pure su questo e lo ha perso. Se avessimo avuto già oggi il Tap, non dovremmo dichiarare un'emergenza. È inaccettabile». L'amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, ha chiarito che Baumgarten assicura poco più del 30% del fabbisogno italiano (di questo Eni ha l'80%) e che ieri avrebbe dovuto portare in Italia 57 milioni di metri cubi di gas. Nonostante i numeri ha invitato a evitare allarmismi: «Se l'emergenza finisse domani non è un problema. Ma anche se dovesse durare qualche settimana è una cosa che possiamo compensare» ha detto, spiegando però che «il gas sta salendo di prezzo. Dipende da quanto durerà il problema». Già ieri il costo all'ingrosso in Italia è quasi raddoppiato. Il governatore pugliese Michele Emiliano ha replicato duramente alle dichiarazioni di Calenda: «I fatti accaduti in Austria hanno dimostrato che le preoccupazioni della Regione Puglia hanno un fondamento evidente che ci obbligherà nei prossimi giorni a sottoporre alla procura competente un esposto che mira a salvaguardare l'incolumità pubblica dalla incosciente decisione del governo di ritenere non assoggettabile alle direttive Seveso l'impianto Tap» ha detto, invitando il ministro a preoccuparsi «prima delle persone e della loro salute e sicurezza e poi del resto». Il M5S pugliese ha accusato Calenda di «strumentalizzare la tragedia», mentre secondo i Verdi l'Italia dovrebbe liberarsi dalla «dipendenza dalle energie fossili» che rendono «fragile» il sistema, e «costruire l'autonomia attraverso un piano 100% rinnovabili».

Maria Rosa Tomasello

 

A Tarvisio la condotta che rifornisce la penisola - L'impianto della Tag appartiene per quasi l'85% alla Snam con il 15% in mano a Gas Connect
UDINE - Chi vive nel tarvisiano lo sa che di lì entra il gas russo in Italia. La condotta sotterranea è segnalata in superficie da piccole tabelle, seguendo le quali è possibile individuarne il tracciato, che non sempre è a fondovalle. Nella zona di Moggio, per esempio, lo si ritrova nella Val Alba, piuttosto arretrata rispetto al Canal del Ferro percorso dall'autostrada e dalla statale Pontebbana. Da ieri mattina il flusso lungo quell'arteria sotterranea si è interrotto o per lo meno ridotto, a causa dell'incidente avvenuto nella stazione di compressione di Baumgarten an der March, uno dei nodi più importanti della rete di distribuzione del gas nel Centro Europa. Lì arriva soprattutto quello prodotto dalla Russia e destinato all'Austria, che a sua volta lo smista all'Italia, alla Slovenia e alla Croazia. La condotta che percorre nel sottosuolo la Val Canale è solo uno dei rami di questo sistema di distribuzione.Baumgarten è situata a un paio di chilometri dal confine slovacco, segnato sul terreno dal corso del fiume March, che poco più a valle, all'altezza di Bratislava, si immette nel Danubio. La stazione di compressione del gas esiste qui fin dal 1959, ma solo nel 1974 ha acquisito l'importanza che ha oggi, quando è diventata lo snodo della rete di distribuzione del gas russo su tutto il territorio nazionale e poi anche all'estero. Proprietario e gestore dell'intero gasdotto è la Tag Srl (la sigla significa "Trans Austria Gasleitung"), che ha sede a Weiden, il piccolo comune del Weinviertel austriaco, di cui Baumgarten è frazione. Dal 2014 quasi l'85% del capitale appartiene all'italiana Snam, che lo ha ereditato dall'Eni. Il restante 15,5% è della società austriaca Gas Connect Austria Srl, i cui azionisti sono al 51% l'Omv Gas & Power (società petrolifera analoga all'Eni italiana, proprietaria tra l'altro di una rete di distributori di carburanti, tra cui l'ultimo lungo l'autostrada prima di Tarvisio, in località Malborghetto) e di nuovo la Snam al 49%. In altre parole, il gasdotto della Tag, compresa la stazione di compressione di Baumgarten, dove è avvenuto lo scoppio, è quasi completamente italiano. La società ha 265 dipendenti e un fatturato annuo di 309,5 milioni. Da Baumgarten la condotta del gas russo attraversa la Bassa Austria, il Burgenland, la Stiria per giungere infine in Carinzia, ad Arnoldstein, comune confinante con Tarvisio.

Marco Di Blas

 

Puglia, ritardi sul condotto della discordia - il progetto contestato
Accompagnato dalle accese proteste di ambientalisti e comunità locali che sono riusciti a tratti anche a bloccare o a rallentare i lavori del cantiere dell'approdo salentino del Tap, il gasdotto che porterà in Europa gas dall'Azerbaigian continua il suo percorso ad ostacoli puntellato anche dai ricorsi amministrativi che ne accompagnano quasi ogni passaggio autorizzativo. La multinazionale ne ha già superati diversi, ma altri sono pendenti promossi dalle amministrazioni (in particolare la Regione Puglia) che sono contrarie all'approdo sulla spiaggia di San Foca di Melendugno, una delle più belle e rinomate del Salento. Un grosso scoglio è stato superato il 10 ottobre scorso quando la Corte costituzionale ha giudicato inammissibile il conflitto sollevato dalla Regione contro lo Stato per il procedimento seguito nell'autorizzazione rilasciata al gasdotto. La Regione ha però altri due ricorsi pendenti: uno sarà discusso dal Tar del Lazio, l'altro, bocciato in primo grado, andrà all'esame del Consiglio di Stato. Dopo le fasi preparatorie, le prospezioni a terra e i sondaggi in mare per verificare la compatibilità della condotta sottomarina (105 km tra l'Albania e la Puglia che correranno a una profondità massima di 820 metri) con l'ecosistema, i lavori a terra per la realizzazione dello snodo di Melendugno sono stati avviati a marzo. La mobilitazione No Tap da allora è stata massiccia e costante e i lavori, consistiti nell'eradicamento e trasferimento temporaneo dal sito di oltre 200 ulivi, hanno suscitato proteste, blocchi stradali e tafferugli.

 

 

Maltempo: la frana - Rischio crolli bis in via Commerciale - Abitazioni inagibili per settimane
Via Commerciale è ancora a rischio. La muraglia crollata lunedì sera tra le case dei civici 39 e 41, che ha schiacciato quattro automobili e che stava per travolgere una persona, potrebbe provocare altri problemi. Tanto più con un peggioramento delle condizioni meteo: la parte che ha resistito al cedimento è pericolante; pioggia e vento di una certa intensità darebbero il colpo di grazia. E non si possono escludere altri smottamenti del terreno, come probabilmente è già avvenuto durante la notte. I vigili del fuoco, ieri in sopralluogo, hanno confermato l'allarme e la zona resta transennata. Accedervi è pericoloso. Rimangono inagibili anche gli edifici interessati dalla frana, a cominciare dal numero 41, al cui interno sono stati evidenziati danni di non poco conto causati dai massi precipitati sulla facciata esterna. Evacuate, per ragioni di sicurezza, pure le due ville di Salita della Trenovia e di vicolo dei Gattorno. Entrambe le abitazioni si trovano una a fianco all'altra nella parte sopra a via Commerciale, quella da cui sono precipitati i detriti di terra e pietra. La villa di Salita della Trenovia, come spiega l'ingegner Angelo Manna, funzionario tecnico del Comando provinciale dei vigili del fuoco, ha peraltro evidenziato una lesione sul basamento: «Si tratta di un distacco del terreno posto tra il marciapiede e l'edificio - precisa - quindi in via cautelativa al momento non è utilizzabile». Tirando le somme, sono dunque tre gli edifici provvisoriamente inaccessibili, per un totale di otto famiglie sfollate. Le persone sono state ospitate da parenti e amici. Ma in queste ore è sotto osservazione soprattutto la sezione di muro che è rimasta miracolosamente in piedi: «La parte non crollata, quella più prossima al punto franato, probabilmente è instabile- precisa ancora l'ingegnere dei vigili del fuoco - quindi l'abitazione a valle e l'area circostante non sono sicuri. Noi abbiamo delimitato la zona visto che sono possibili ulteriori smottamenti. Ma non è prevedibile se ci verificheranno effettivamente, né quando. Dipende da tanti fattori, a iniziare dall'intensità della pioggia. Non a caso le abitazioni coinvolte non possono essere fruibili, almeno provvisoriamente. Poi vedremo. Ma, ripeto, l'intera zona circondata con il nastro è a rischio. L'area non è in sicurezza». Impossibile stabilire tempi e modalità di intervento per sgomberare le macerie e ripristinare la muraglia. Probabilmente ci vorranno mesi, con annesse battaglie legali tra le rispettive proprietà. In linea di massima una prima verifica sulla tenuta strutturale potrebbe riguardare proprio la parte di muro "sana" che andrà messa in sicurezza in modo da evitare possibili ulteriori crolli sulla casa di fronte, quella del civico 41 di via Commerciale. Sarebbe un altro disastro. Poi, stando alla ipotesi di lavoro, si potrebbe procedere con l'installazione di una serie di pali verticali e con una gettata di cemento per "contenere" il terreno instabile durante le operazioni di scavo dei detriti franati. Asportando quelli, infatti, le zolle della parte superiore potrebbero rovinare verso il basso. Serve quindi creare una sorta di "argine" prima di iniziare con il prelievo dei metri cubi di terra precipitati durante lo smottamento. Chiaramente sarà necessario preparare un vero e proprio progetto edilizio da affidare ai tecnici strutturisti. Il costo, ad oggi, è incalcolabile. Così come eventuali responsabilità. I proprietari degli immobili coinvolti, nel frattempo, stanno cercando di capire come orientarsi per avviare le pratiche burocratiche necessarie ai futuri lavori. «Personalmente - afferma Floriano Bellavia, uno dei residenti - ho già contattato gli amministratori per accordarmi sulle procedure. Certo, non sarà facile». Il signor Bellavia è uno dei due testimoni del terribile crollo. Quando il muro e il terreno sovrastante sono franati, lui stava uscendo di casa. «Ho sentito il rumore e ho visto cosa stava succedendo - ricorda - pazzesco. Ma ci siamo salvati».

Gianpaolo Sarti

 

A Roiano si sfalda un pezzo di strada - Il cedimento in via Borghi nella parte alta del rione - Trascinati verso valle interi blocchi di asfalto e detriti
La frana in via Commerciale, che ha aperto una vera e propria voragine tra le case, è certamente il danno più eclatante e pericoloso. Ma il maltempo ha provocato anche altri smottamenti nel territorio provinciale. Sia in questi giorni che nelle ultime settimane. E sempre a causa della pioggia. A cominciare da Roiano, dove i residenti hanno segnalato una strada che si è letteralmente sbriciolata. È accaduto nella parte alta del rione, tra il reticolo di viuzze attorno a via Sara Davis, precisamente in via Edoardo Borghi. L'asfalto ha ceduto in prossimità del bordo, precipitando nella parte sottostante. Un punto che dà sul parcheggio di un gruppo di abitazioni. Cadendo, il cemento ha trascinato giù i blocchi di pietra che delimitavano l'orlo della via e il terreno che lo sorreggeva. Saranno circa cinque metri in tutto. L'area è stata transennata con la segnaletica dell'AcegasApsAmga e del Servizio strade del Comune di Trieste. In quel punto, all'altezza del civico numero 7, adesso è ancora impossibile transitare in automobile. Ma anche chi passa a piedi deve fare bene attenzione a dove cammina. Secondo i residenti il crollo non è avvenuto con il maltempo di questi ultimi giorni, ma con uno degli acquazzoni che risalgono a qualche settimana fa o forse più. Ma che sarebbe peggiorato con la pioggia di questo weekend. Il terreno, secondo chi abita da queste parti, ha continuato a franare e l'asfalto a sbriciolarsi. Nulla, come detto, in confronto con l'incidente di via Commerciale: ma il cedimento sta ostacolando la viabilità, sebbene ridotta vista la zona. Via Borghi, in linea d'aria, si trova peraltro a poche centinaia di metri dal luogo del crollo avvenuto l'altra sera in via Commerciale. La strada, già di per sé piuttosto stretta, ora è bloccata. E non si sa per quanto tempo. Trieste non è nuova a questo genere di episodi. Frane e cedimenti di vario tipo si verificano quasi puntualmente in occasione di ondate di maltempo particolarmente accentuato. È soprattutto la pioggia intensa a determinare i danni più rischiosi, che spesso si verificano su muri, strade scoscese, terreni impervi e pareti rocciose. A incidere, talvolta, pure l'incuria, l'assenza di adeguate protezioni e la mancata manutenzione strutturale. Il nutrito elenco di smottamenti e allagamenti registrati lunedì, dopo la neve, l'acquazzone e l'improvviso aumento delle temperature, era cominciato lunedì mattina a Barcola, in viale Miramare, nel tratto antistante il Cedas: anche in quel caso è ceduto il muraglione di contenimento. Alcuni massi hanno invaso la carreggiata creando non pochi disagi anche per il traffico. Altri episodi analoghi, con diversi gradi di pericolosità, sono stati registrati in Strada per la Fortezza, nei pressi Muggia, di fronte a Porto San Rocco. Lunedì mattina il primo smottamento, che poi ieri pomeriggio si è allargato di dimensione. Sul posto, per le verifiche del caso, i vigili del fuoco. Ma lunedì si è resa necessaria la chiusura di Strada per Lazzaretto e la parte alta in località Pianezzi, proprio a causa del riversamento a terra di circa tre metri cubi di terra e detriti.

(g.s.)

 

«Colpa della mancata manutenzione» - Il geologo Ravalico: «La zona costiera è molto fragile. Bisogna alzare la guardia»
«Siamo alla solite. Quella del dissesto idrogeologico è una storia che i ripete». La diagnosi del geologo Mario Ravalico, per anni al servizio geologico della Regione Friuli Venezia Giulia e poi consigliere comunale per il Pd, non è del tutto negativa. «Trieste non si trova nelle grave condizioni di altri parti del Paese - spiega -, tuttavia non è esente dai rischi causati dall'incuria e dalla inesistente prevenzione». I cambiamenti climatici sono solo l'elemento scatenante. Come se la passa il territorio triestino dal punto di vista geologico? Il nostro territorio non è malandato, tuttavia bisogna tenere alta la guardia affinché non si verifichino episodi come quelli di questi giorni. Cosa manca? Manca una seria manutenzione del territorio. Non si fanno attività di prevenzione del dissesto idrogeologico. Purtroppo in Italia non c'è questa cultura per la messa in sicurezza del territorio. E neppure Trieste è un'isola felice. Bisogna fare attenzione, anche perché, come si è visto, le frane non si fermano a Duino. Le frane in via Commerciale e viale Miramare erano evitabili? Non mi posso pronunciare sui due episodi. Non li ho visti direttamente. Posso solo dire che se i manufatti hanno una manutenzione regolare, è molto difficile che avvengano degli smottamenti o dei dissesti. La chiave di volta, mi pare di capire, è la prevenzione... Con una manutenzione periodica, un'attenzione particolare al deflusso delle acque, la pulizia delle caditoie non succederebbero molti dei disastri di cui siamo costretti periodicamente a rendere conto. Inoltre la prevenzione costa molto di meno. Rifare i muri crollati in via Commerciale e viale Miramare costerà parecchio. I piccoli interventi preventivi costano poco e permettono di ottenere un risultato ottimo. L'area franata in viale Miramare era transennata da tempo... Appunto. C'erano i già segnali per intervenire. E non si è fatto nulla. Qual è la fragilità maggiore del territorio triestini? Dove si corrono i maggiori rischi? La parte bassa, lunga la linea di cosa, costituiti dai terreni del famoso flysch, è la zona più pericolosa. Le marne e le arenarie sono estremamente fragili. La parte dell'altipiano, con i calcari carsici, è molto più stabile. Le frane peggiori a Trieste e Muggia avvengono lungo la linea di costa. E in questo caso bisogno porre l a massima attenzione al territorio. A Trieste c'è poi anche la questione dei torrenti sotterranei. Infatti. Nel nuovo piano regolare è stato inserito un allegato apposito sullo stato dei torrenti. Ogni corso d'acqua ha una sua scheda che illustrato lo stato di salute e di degrado. Mi pare i torrenti siano addirittura trentatré... Pare una cosa esagerata. Il comune cittadino pensa a Trieste come Carso senza acqua. Esistono invece almeno 33 corsi d'acqua, molti dei quali tombati e seppelliti all'edizione selvaggia degli anni '60 e'80. E qui bisogna stare attenti. Può capitare l'evento eccezione che li fa esplodere. Come è successo a Genova... Esatto. Vanno tenuti sotto controllo. E un rischio da non sottovalutare per Trieste.

Fabio Dorigo

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 12 dicembre 2017

 

 

Frana travolge le auto - Voragine tra le case - Crolla un muro di contenimento in via Commerciale a causa delle forti piogge
Incredibilmente illesi passanti e residenti. Inagibili le abitazioni di sette famiglie
Prima lo scricchiolìo. Poi il boato. A tarda sera non è ancora chiaro quanti metri cubi di terra si siano effettivamente staccati dal muraglione di via Commerciale 39 e 41. Quel che è certo è che non ci sono morti né feriti. Ma solo per un soffio. La frana ha però travolto ben quattro auto. Schiacciate come scatolette di latta. È successo tutto in pochi istanti, dopo ore e ore di pioggia battente, in una giornata di maltempo già segnata da decine di interventi dei vigili del fuoco e della polizia locale in ogni angolo della città, per allagamenti e tombini tappati. L'emergenza comincia in viale Miramare alle otto di mattina, a Barcola, all'altezza del Cedas: un muro di contenimento crolla e i detriti invadono parte della carreggiata. L'incidente fortunatamente non provoca conseguenze alle persone né danni. Ne risente però il traffico che a quell'ora del mattino va rapidamente in tilt. Si tratta di una struttura che in passato aveva già mostrato cenni di cedimento e per questo motivo era già stata transennata tempo fa. Ma l'episodio di Barcola, risolto nell'arco di poche ore, è nulla di fronte allo scenario da guerra in cui i soccorritori si imbatteranno in via Commerciale a pomeriggio inoltrato. Lo scricchiolìo, dunque. Ore 16.45: il muro che costeggia il caseggiato dei civici 39 e 41, stretto tra altri edifici di pregio, si spacca di colpo. Non ha retto il peso del terreno intriso d'acqua. Il signor Diego Allaix abita proprio lì. In quel momento è in giardino accanto alla sua Audi Q3. Si accorge del rumore e decide di salire a bordo per spostarla. Ma cambia rapidamente idea, scende e scappa. Un pietra lo prende di striscio su una gamba. Poteva finire peggio. La valanga di detriti abbatte un albero e distrugge le quattro automobili posteggiate nel giardino sotto: l'Audi Q3, una Peugeot 206 e due Ford Fiesta. In quell'istante all'interno degli abitacoli non c'è nessuno, come riescono ad accertare i proprietari dei mezzi. Ma i soccorritori hanno la matematica certezza appena verso sera, attorno alle otto, dopo gli scavi. I pompieri e il 118 piombano sul posto assieme alla polizia immediatamente, a pochi minuti dall'allarme. Via Commerciale è tutta un luccichìo di lampeggianti blu. La gente in auto, in fila, non capisce cosa stia accadendo. Domandano, si informano: «Cosa succede?», chiede una signora al volante di una Panda a un agente della municipale. Si sa ancora poco. Su, tra le case, è un disastro: è franata non solo la muraglia davanti alle abitazioni dei civici 39 e 41, dove vivono cinque famiglie per una ventina di persone, ma pure la zolla di terra del giardino sovrastante, a un passo dalla fondamenta. È una villa di Salita della Trenovia. Adesso sembra come sospesa nel vuoto. La famiglia è stata evacuata per sicurezza. Lo smottamento ha sepolto i gradini che portano all'abitazione. Ma in serata, dopo gli accertamenti, i vigili del fuoco dichiarano inagibili le tre case che si trovano nella parte sovrastante e pure quella sottostante. E' il civico 41 di via Commerciale: pianterreno, primo, secondo piano e mansarda, dove vivono quattro famiglie.Gli scavi per la successiva messa in sicurezza dell'area si prolungano fino a tardi. L'intera zona resta transennata dai nastri rossi dei soccorritori. Gli interrogativi permangono: perché la muraglia non ha tenuto? Dal muro di pietra, illuminato con i fari, si scorgono le feritoie di scolo dell'acqua. Ma sembrano asciutte: la pioggia non riesce a filtrare. Per i vigili del fuoco è piuttosto evidente. Adesso si teme che anche il resto della struttura possa dare problemi. Con un altro acquazzone, con il vento e con quella parte già divelta, il pericolo di un ulteriore crollo è concreto.

Gianpaolo Sarti

 

Strada del Friuli off limits per ore - Bus deviati su via Fabio Severo. Chiusa per allagamenti anche via Pietraferrata
Giornata campale per vigili del fuoco e polizia locale, chiamati a un superlavoro ieri per svariati allagamenti in tutta la provincia che hanno interessato anche diversi tratti della viabilità triestina. Oltre a infiltrazioni e danni da acqua in cantine e abitazioni private, nonché in negozi cittadini, numerose strade viari hanno subito importanti allagamenti con conseguenti chiusure al traffico e rallentamenti. A Trieste in via Giulia, all'altezza della Rotonda del Boschetto e in Strada del Friuli gli episodi più importanti, avvenuti nella prima mattinata di ieri, intorno alle ore 8. Strada del Friuli ha richiesto addirittura la chiusura, da via del Perarolo a Prosecco in entrambi i sensi di marcia dal primo mattino fino alle 14.30. Deviate anche di conseguenza le linee del bus 42 e 44 della Trieste trasporti, in entrambi i sensi di marcia. Autobus fatti transitare per via Fabio Severo, Strada nuova per Opicina e Prosecco. Intorno alle 11.45 è stato chiuso anche l'ultimo tratto di via Pietraferrata, sempre per allagamenti. Un superlavoro per i vigili del fuoco, chiamati a fronteggiare un cospicuo numero di interventi su tutta la provincia di Trieste. Sia per i numerosi allagamenti e problemi provocati dalle intense precipitazioni, sia per quanto riguarda gli incidenti stradali per i quali sono stati chiamati a intervenire, a causa dei manti stradali resi sdrucciolevoli per detriti, fogliame e ristagni d'acqua sulle carreggiate. La Protezione civile del Friuli Venezia Giulia, a causa degli intensi piovaschi delle scorse ore e sulla base delle previsioni meteo, prevede un aumento dei livelli dei corsi d'acqua e ha diramato lo Stato di allerta "arancione" dalle 13 di ieri, fino alle 12 di domani, per piogge intense, vento forte e possibili mareggiate. Sulle zone montane è stato diramato anche il pericolo valanghe fino al "grado 4" (forte), con possibile interessamento delle vie di comunicazione, delle infrastrutture e dei centri abitati sopra i 1000 metri. Allerta arancione che si estende anche ai bacini dei fiumi Tagliamento -Torre, Isonzo e Vipacco proprio a causa delle abbondanti piogge delle ultime 24 ore. Secondo le previsioni, intorno alla tarda mattinata il fronte si sposterà verso la Slovenia, con la conseguente attenuazione dell'intensità del vento e delle precipitazioni.

Enrico Ferri

 

 

L'archeologia subacquea racconta con i suoi reperti la storia dell'Adriatico
Presentata in Regione l'esposizione "Nel mare dell'intimità" che da domenica sarà aperta al pubblico nell'ex Pescheria
Sarà la "Mille e una notte" dell'Adriatico, un rosario di racconti, un libro aperto con le tante storie di uomini e donne che hanno attraversato con lo sguardo l'Adriatico da una riva o dal ponte di una nave, che lo hanno invocato per placarne le furie o sulle cui acque si sono avventurati alla ricerca di venti propizi, imprese e fortuna. E' questa l'essenza della mostra "Nel mare dell'intimità", che attraverso la voce narrante dell'archeologia subacquea si propone di raccontare la storia dell'Adriatico dall'antichità ai giorni nostri. L'esposizione, che da domenica 17 dicembre aprirà le porte al pubblico al Salone degli Incanti, è dedicata alla memoria di Predrag Matvejevic, che nel suo "Breviario Mediterraneo" definisce l'Adriatico proprio come "il mare dell'intimità". Presentata ieri in conferenza stampa, la mostra è l'esito di progetti di ricerca e di joint ventures dai risultati eccellenti, senza le quali non sarebbe mai stata possibile. Perché al Salone degli Incanti riunirà, per la prima volta nella storia, oltre mille reperti provenienti dai musei di quattro Paesi europei: Italia, Croazia, Slovenia e Montenegro. «E' una grande opera corale - sottolinea l'archeologa subacquea Rita Auriemma, curatrice dell'esposizione per conto di Erpac -, che vuole essere il punto di partenza per altre iniziative e progetti, e proporre una riflessione assolutamente necessaria sul futuro del patrimonio sommerso e sull'archeologia subacquea oggi in Italia, per fare in modo, dopo le pionieristiche esperienze del secolo scorso, che non cali definitivamente il sipario su questa disciplina». La straordinarietà dell'esposizione, sottolinea l'assessore alla cultura Gianni Torrenti, sta proprio nella grande collaborazione riscontrata tra le oltre sessanta istituzioni italiane e internazionali coinvolte nel progetto: «Il frutto di questa cooperazione è un'esposizione di duemila metri quadrati dalla quale il visitatore uscirà con una maggiore consapevolezza del dinamismo dei nostri paesaggi costieri e dei traffici commerciali che li animavano, delle strade liquide dell'Adriatico indispensabili per costruire rapporti tra i popoli e creare una comunità e una cultura fortemente unitaria. Si tratta di un progetto che non finirà quando la mostra chiuderà i battenti: rimarranno gli investimenti fatti nei restauri, le idee per nuove esposizioni, i protagonisti di nuovi allestimenti nei musei regionali». Sgravarsi dal provincialismo e fare rete è, anche per l'assessore comunale alla cultura Giorgio Rossi, l'unico modo per dare vita a iniziative come queste, che per il Comune sono indispensabili per tenere sempre accese le luci in uno degli spazi espositivi più suggestivi della città. «Le sinergie aiutano, le divisioni costano alla comunità», sottolinea anche Tiziana Benussi, per la Fondazione CRTrieste. Mentre Luca Caburlotto, Direttore del Polo museale del Fvg, enfatizza le iniziative rese possibili da questo progetto, che consentiranno di dare nuova linfa ai musei della regione: «Sono oltre trecento i pezzi in mostra provenienti dai musei del polo regionale - spiega -. Grazie a questo progetto e alla sua curatrice si è completato il restauro del Navarca di Aquileia, che a fine mostra tornerà al Museo Archeologico Nazionale. Ed è stato inventariato il carico e ricostruita la sezione dello scafo della Iulia Felix, che sarà il fulcro del costituendo Museo di Grado». L'allestimento, curato dall'architetto Giovanni Panizon, trasformerà Santa Maria del Guato in un fondale sommerso, che sarà lo scenario in cui verranno presentati i macrotemi che compongono l'esposizione, attraversandola temporalmente: lo spazio Adriatico, i porti e gli approdi, Le navi, Le merci, Gli uomini, Le attività, Le guerre, I luoghi sacri, Le migrazioni e La ricerca sotto il mare. Nel cuore del Salone degli Incanti, l'Agorà, troveranno spazio le statue, tra cui anche la splendida copia, arrivata ieri mattina a Trieste, dell'Apoxyomenos, l'opera bronzea nota anche come "l'atleta della Croazia", rinvenuta nel 1999 a est dell'isola di Lussino a 45 metri di profondità, che ha prestato il suo volto all'immagine guida dell'esposizione.

Giulia Basso

 

 

Allargare i marciapiedi per una città a misura di pedoni - La lettera del giorno di Paolo Radivo
Malgrado le pedonalizzazioni degli ultimi vent'anni, Trieste continua a penalizzare quasi ovunque i pedoni, privilegiando i veicoli a motore.

Da ciò l'inquinamento atmosferico e acustico, la circolazione disordinata, nonché la pericolosità e la sgradevolezza di muoversi al di fuori delle poche aree pedonali. Per risolvere strutturalmente questo annoso problema basterebbe allargare in forma sistematica i marciapiedi, spesso stretti, scomodi e sconnessi, onde consentire l'agevole passaggio simultaneo in entrambe le direzioni di almeno una persona con l'ombrello aperto, di una sedia a rotelle o di una carrozzina. Di conseguenza bisognerebbe, a seconda dei casi: 1) ridurre l'ampiezza delle carreggiate, laddove inutilmente eccessiva, diminuendo in tal modo la velocità esagerata di scorrimento dei veicoli e l'incidentalità; 2) trasformare gli stalli a pettine di autoveicoli (che occupano anche parti di marciapiede) in stalli di autoveicoli o di motoveicoli e motocicli paralleli ai marciapiedi; 3) trasformare gli stalli di autoveicoli paralleli ai marciapiedi in stalli di motoveicoli e ciclomotori paralleli ai marciapiedi; 4) trasformare gli stalli a pettine di motoveicoli e ciclomotori in stalli di motoveicoli e ciclomotori paralleli ai marciapiedi; 5) eliminare gli stalli per autoveicoli su uno dei due lati della via; 6) eliminare gli stalli per motoveicoli e ciclomotori su uno dei due lati della via. Allargare i marciapiedi non implicherebbe necessariamente ripavimentarli in pietra. Dunque i costi non sarebbero cospicui, anche perché i lavori, da spalmare su più anni, potrebbero venire effettuati in concomitanza con le cicliche riasfaltature e con gli scavi per i sottoservizi. Gli stalli ridotti o soppressi andrebbero trasferiti altrove, quando possibile, partendo comunque dal presupposto che i veicoli parcheggiati all'aperto occupano suolo pubblico e abbruttiscono l'estetica cittadina. È ora che i pedoni acquisiscano il diritto di camminare sui marciapiedi in sicurezza e comodità. Civiltà pedonale significa non solo incolumità, ma anche qualità della vita, dell'aria e dell'ambiente urbano, rispetto del prossimo, nonché sviluppo del commercio, del turismo e dei servizi. (nella foto il marciapiedi stretti di via Fonderia).

 

 

 

 

GREENSTYLE.it - LUNEDI', 11 dicembre 2017

 

 

Clima: riscaldamento globale, crescita record secondo nuovo studio

Il Carniege Institution for Science ha pubblicato nei giorni scorsi uno studio allarmante su Nature: le temperature mondiali potrebbero aumentare drasticamente del 15% in più rispetto a quando previsto a oggi. Se questo fosse tutto vero i Governi Mondiali dovrebbero correre ai ripari e modificare al più presto i loro piani di riduzione delle emissioni di gas serra.

Nello specifico il Carnegie Institution for Science ha spiegato che entro il 2100, se continuiamo a comportarci tutti allo stesso modo, la temperatura media terrestre potrebbe aumentare di 0,5 gradi e, sebbene sembri un numero piccolo, questo mezzo grado potrebbe complicare molto il raggiungimento degli obiettivi sul clima decisi dai Paesi partecipanti alla COP 21 di Parigi. Gli autori della ricerca, Patrick Brown e Ken Caldeira, hanno spiegato che la stabilizzazione della temperatura globale, visto questo ultimo allarme, necessiterà di riduzioni di gas serra molto più drastiche rispetto a quanto si era deciso in precedenza e gli impegni presi dai Governi, a oggi, sono troppo poco ambiziosi. Guardando così allo scenario peggiore, se le cose non dovessero cambiare le temperature potrebbero raggiungere i +4,8 gradi nel 2100, una situazione difficile da gestire con gravissime conseguenze per il nostro Pianeta che si troverebbe a rischio costante di alluvioni, con lo scioglimento dei ghiacci e un clima in continuo cambiamento.

Selena

 

Clima: AI for Earth, Microsoft investe altri 50 mln di dollari

Microsoft rinnova il suo impegno per la Terra investendo ulteriori 50 milioni di dollari, nei prossimi 5 anni, nella AI for Earth. La Microsoft Artificial Intelligence utilizzerà i fondi stanziati per sostenere università, ONG e imprese impegnate in progetti a sostegno del clima, delle risorse idriche, dell’agricoltura e per la tutela della biodiversità. Già 350 mila dollari sono stati stanziati a istituzioni e ricercatori in più di 10 Paesi nel mondo.

Il presidente e Chief Legal Officer della compagnia Brad Smith ha scelto il secondo anniversario degli Accordi di Parigi sul clima per annunciare l’espansione del programma Microsoft AI for Earth. Un ulteriore passo per l’azienda statunitense verso quella che è stata definita la “Democratizzazione dell’Artificial Intelligence”. Questo programma rappresenta inoltre un’ulteriore indicazione verso la ricerca della sostenibilità ambientale da parte di Microsoft. Parallelamente ad AI for Earth l’azienda ha incrementato progressivamente l’utilizzo di rinnovabili per l’alimentazione dei suoi datacenter, riducendo così le proprie emissioni di CO2. Microsoft AI for Earth vede tra i beneficiari anche il Politecnico di Milano. L’ateneo milanese è stato tra i primi in Italia a ottenere il finanziamento Microsoft, riconosciuto per il progetto di “monitoraggio del manto nevoso e alle previsioni di approvvigionamento idrico attraverso il Deep Learning”.

Claudio Schirru

 

 

 

 

COMUNICATO STAMPA - LUNEDI', 11 dicembre 2017

 

 

STRATEGIA ENERGETICA NAZIONALE: LA CENTRALE A CARBONE VA CHIUSA ENTRO IL 2025
Lo scorso 10 novembre i Ministri Calenda e Galletti hanno firmato il Decreto Ministeriale contenete la Strategia Energetica Nazionale (SEN) .
La nuova SEN era un atto atteso da tempo che, seppur ancora insufficiente, traduce in maniera dettagliata gli impegni sottoscritti dal nostro paese alla conferenza di Parigi del 2015 (COP21) riguardo alla riduzione delle emissioni di gas-serra .
Questo fatto è passato sotto silenzio da parte dei media e delle istituzioni locali, ma ha grande rilevanza poiché il Decreto per la prima volta indicata la data del 2025 come il limite entro il quale dismettere tutte le centrali elettriche alimentate a carbone in Italia.
Ci sembra ragionevole che la dismissione delle centrali a carbone inizi a partire degli impianti più vetusti, e la centrale di Monfalcone con i sui 52 anni di attività è la seconda in Italia per anzianità di servizio (dopo quella di Fusina in provincia di Venezia).
Auspichiamo quindi che per l'impianto di Monfalcone non si attenda il 2025, e sollecitiamo le istituzioni locali, Comune e Regione, ad attivarsi con i ministeri competenti e con A2A Energie Future affinché venga esplicitata una data per la chiusura della centrale.
Ma come già in passato abbiamo più volte ribadito, la semplice chiusura non è sufficiente. A nostro avviso sarebbe disastroso se si arrivasse alla chiusura dell'impianto e solo poi iniziare a porsi il problema di cosa fare dei 30 ettari su cui sorge e soprattutto quale futuro dare alle centinaia di lavoratori che vi sono impiegati.
E' quindi urgente elaborare un piano di bonifica del sito (come noto nella centrale sono presenti ingenti quantità di amianto), e un progetto di riqualificazione e riutilizzo dell'area.
Per quanto ci riguarda suggeriamo che dopo decenni di danni ambientali dovuti alle emissioni della centrale, sarebbe auspicabile che l'area dell'impianto venisse almeno parzialmente utilizzata per attività di ricerca, sviluppo e produzione nell'ambito delle energie rinnovabili, e per altre attività compatibili con l'ambiente e con la stretta vicinanza con l'abitato della città di Monfalcone. In questo modo, si potrebbe anche dare un futuro occupazionale ai lavoratori attualmente impiegati.
Legambiente Circolo “Ignazio Zanutto” Comitato NO Carbone Isontino

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 11 dicembre 2017

 

 

Scatta il maxi restyling per il "Quadrilatero" - Lavori da 18 milioni di euro nel comprensorio in cui vivono 1.600 persone
Dal rifacimento di marciapiedi e impianti alla riorganizzazione dei giardini
Un programma di 18 milioni di euro per rendere presentabile quello che alcuni avevano definito il "falansterio" di Rozzol Melara, con evidente riferimento all'opera di Charles Fourier. Se non ci sono intralci burocratici, i lavori potranno partire - secondo un pronostico degli uffici comunali - entro la metà del 2018. Marciapiedi, aree verdi, corridoi, impiantistica, amianto, vie di accesso, marciapiedi, efficientamento energetico, illuminazione, serramenti, autorimesse: Rozzol Melara si avvia verso una stagione di improcrastinabile rinnovamento, non solo edile. Il direttore dell'Ater triestina, Antonio Ius, è decisamente soddisfatto, perchè l'azienda può finalmente pianificare un super-lifting dedicato alla sua proprietà immobiliare più grande: 650 alloggi dove oggi vivono 1600 persone. Sembra quasi di festeggiare un anniversario: infatti siamo a circa cinquant'anni di distanza, da quando nel 1969 l'Istituto autonomo case popolari (Iacp), antenato dell'odierno Ater, decise la costruzione di un grande complesso abitativo nella periferia orientale della città, affidandone il progetto a un pool di architetti guidati dallo studio Celli-Tognon. La realizzazione si protrasse fino ai primi anni '80. Adesso il "Quadrilatero" ha non meno di quarant'anni effettivi, una carta d'identità che necessita di sostanziosi interventi manutentivi e riqualificativi. Ater ci mette 11 milioni abbondanti, il Comune appoggia 6,7 milioni: entrambi fruiscono di un robusto finanziamento governativo, che garantisce complessivamente circa 15 milioni sui 18 preventivati per l'impegnativo lifting. C'è anche un chip da 126 mila euro di AcegasApsAmga. L'annuncio dell'operazione-Quadrilatero era già stato dato nell'agosto dello scorso anno, quando il Consiglio comunale, nei primi mesi del terzo mandato Dipiazza, aveva detto sì alla partecipazione al bando Prius, il Programma straordinario gestito da palazzo Chigi per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie nelle città metropolitane e nei municipi capoluoghi provinciali. La novità è che lo scorso 28 novembre la Presidenza del Consiglio ha trasmesso al Comune la bozza di convenzione che stabilisce attuazione e durata del programma, erogazione del finanziamento, monitoraggio, tempi e cronoprogramma degli interventi. Con la rapidità di un fulmine, due giorni dopo la bozza è stata girata in versione-delibera alla giunta, che l'ha approvata su proposta dell'assessore Elisa Lodi. I lavori, di parte comunale, sono inseriti nel Piano triennale delle opere 2017-19. Marina Cassin fungerà da responsabile unico del procedimento, mentre a Beatrice Micovilovich spetta il monitoraggio dell'operazione. Ora scattano alcune scadenze tecniche, che vanno dalla sottoscrizione alla registrazione della convenzione da parte della Corte dei Conti fino alla trasmissione dei progetti esecutivi/definitivi a palazzo Chigi. Le firme dovranno essere quelle di Roberto Dipiazza e del consigliere Paolo Aquilanti, segretario generale della Presidenza del Consiglio. Il governo - dicono in Comune - tende sempre più spesso a privilegiare il finanziamento di interventi complessi piuttosto che di singole opere. Per mettere i classici ferri in acqua e non restare inerti ad attendere l'avanzata procedurale, il direttore dei Lavori pubblici comunali, Enrico Conte, sta predisponendo un gruppo di lavoro incaricato di preparare progetti e cronoprogramma, così da essere pronti a partire non appena saranno evaporati i passaggi burocratici: l'ambizione - come si anticipava all'inizio - è quella di cominciare prima dell'estate 2018. A Conte piace l'idea che il Comune non si limiterà alla betoniera, ma si preoccuperà anche degli aspetti sociali del Quadrilatero: l'istituzione di una biblioteca ne è il segnale più forte. Il direttore dell'Ater Ius coglie l'occasione della radicale riqualificazione per lanciare un altro messaggio: «Ater non vende e non venderà gli appartamenti di Rozzol Melara». Anche in passato, chi voleva acquistare, ne è stato dissuaso. La prospettiva di gestire un condominio frammentato, di convocare assemblee con decine/centinaia di piccoli proprietari, di trovare maggioranze in grado di deliberare anche il più piccolo intervento manutentivo, renderebbe ingovernabile il "falansterio"

Massimo Greco

 

 

San Marco - Oceani, il futuro scritto nell'acqua
Questo pomeriggio alle 18, al San Marco, Elisa Cozzarini dialoga con Sandro Carniel, che presenta il suo libro "Oceani. Il futuro scritto nell'acqua" (Hoepli). L'evento è organizzato da Legambiente. Il nostro pianeta è ricoperto per più del 70% di acqua e di questa oltre il 95% è salata. Eppure del nostro unico, interconnesso oceano sappiamo ancora poco, e quel poco non è percepito nella sua importanza. Come si esplorano i nostri mari? Perché non li conosciamo ancora? Quali forme di vita li popolano anche negli sconfinati e oscuri abissi? Con quali minacce li stiamo aggredendo? Quale ruolo svolgono nella stabilità del clima della Terra? Ecco un libro che farà capire quanto gli oceani siano indispensabili nella vita di ogni giorno. E come sia necessario conoscerli meglio sia per poter beneficiare dei loro prodotti sia per averli a lungo come alleati nel contrasto ai cambiamenti climatici in atto. Ingresso libero.

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 10 dicembre 2017

 

 

Copertoni e barattoli - Foiba di Basovizza "assediata" dai rifiuti - Scoperte dai volontari di Sos Carso cinque piccole discariche a distanza di poche decine di metri dall'area del monumento
TRIESTE - La più grande si trova a circa mezzo chilometro di distanza, le altre stanno solo a 50 metri. Sono le discariche vicine al monumento nazionale della Foiba di Basovizza rinvenute durante le perlustrazioni effettuate dal gruppo ambientalista Sos Carso. «Entro la fine di dicembre contiamo di ripulire l'area: posso stimare che andremo tranquillamente oltre i 100 sacchi neri di immondizie», lamenta Cristian Bencich, il fondatore del gruppo. A cavallo tra novembre e dicembre una decina di volontari ha operato in una dolina poco lontana dalla foiba. «A maggio avevamo già ricevuto una segnalazione su una minidiscarica, piuttosto datata, nei pressi del monumento. E visto che di recente ce n'era arrivata un'altra su un recente scarico di mobili, circa un centinaio di metri sulla destra dopo la foiba, abbiamo deciso di fare un giro unico di ispezione», racconta Bencich. Se il cumulo di mobili era già stato segnalato dalla Forestale con un nastro bianco-rosso, grosso scalpore hanno destato invece altre mini discariche presenti lì vicino. «Purtroppo facendo un giro nella zona, diciamo in un raggio di circa 500 metri, abbiamo trovato almeno 5-6 piccole discariche con all'interno centinaia di bottiglie, vetri, una decina di pneumatici, bidoni e ferraglia varia: la più vicina dista solamente 50 metri dal monumento nazionale. A nostro avviso una situazione grave e inaspettata - racconta Bencich - alla quale abbiamo subito cercato di trovare soluzione». Nella prima giornata, in due ore di lavoro, i volontari di Sos Carso hanno raccolto dodici sacchi neri tra vetri e materiale vario, sei pneumatici e diversi ferri e bidoni arrugginiti. Nella seconda uscita ecologica i volontari hanno continuato con la pulizia della dolina riempiendo altri dieci sacchi neri prevalentemente con bottiglie di vetro, qualche polistirolo, barattoli, un pneumatico e la solita ferraglia varia. La vigilia del giorno di San Nicolò sono stati riempiti ulteriori dieci sacchi. «Il giorno di San Nicolò, invece, abbiamo iniziato a ripulire le immondizie sotterrate nel tempo riempiendo altri dieci sacchi neri». Il portavoce dei volontari stila il cronoprogramma degli interventi da effettuare per proseguire e completare i lavori di pulizia: «Si pensava, visto la mole di rifiuti, di organizzare una raccolta anche con gruppetti di due tre persone in questo mese e sino a tutto gennaio per accatastare sul posto i sacchi e tutto il materiale ingombrante, in attesa di fare un' uscita pubblica con più volontari per finire e asportare il tutto nel febbraio del prossimo anno». Una volta conclusa questa operazione Sos Carso ha intenzione di proseguire le ispezioni nel territorio dell'altipiano carsico sito tra le amministrazioni comunali di Trieste e San Dorligo della Valle. «Ho la brutta sensazione che quello che abbiamo trovato sia solamente una parte di quello che si cela nelle doline attorno alla foiba di Basovizza - conclude Bencich - speriamo sempre che le istituzioni possano darci una mano, ma sino ad allora proseguiamo il nostro operato in totale autonomia basandoci solamente sull'aiuto di qualche privato per l'acquisto di sacchi neri e guanti».

Riccardo Tosques

 

Raccolta differenziata e bagni chimici all'esame del Consiglio comunale Muggia
Si parlerà di rifiuti anche nel corso della prossima seduta del Consiglio comunale di Muggia, in programma mercoledì prossimo alle 19.30. Nel corso del Question time, infatti, verrà discussa un'interrogazione sullo "stato di salute" del sistema della raccolta differenziata porta a porta nel territorio comunale. In menù anche un'interrogazione sull'assenza di bagni chimici durante i festeggiamenti per San Martino e un'interpellanza sul futuro del comprensorio ex Ezit. All'ordine del giorno poi sono state inserite alcune comunicazioni della giunta sul Fondo di riserva, il bilancio di previsione dell'Uti e il recepimento di misure speciali per il recupero del patrimonio edilizio.

 

 

I porti da denuclearizzare nella giornata dei diritti umani - la lettera del giorno di Alessandro Capuzzo - Comitato pace e convivenza Danilo Dolci
Oggi, Giornata mondiale dei Diritti umani, l'International Coalition Against Nuclear weapons ICAN riceverà ad Oslo il premio Nobel per la Pace per il lavoro compiuto assieme alle Nazioni Unite col nuovo Trattato per la messa al bando delle bombe nucleari, ultima arma di distruzione di massa a essere espulsa dal sistema delle relazioni internazionali. Una delegazione di attivisti italiani della Coalizione Ican sarà presente alla cerimonia. Nello stesso giorno la Lega delle Donne per la Pace e la Libertà (Wilpf) del nostro Paese, giungerà a Roma con una Carovana che ha fatto conoscere alla popolazione il "Nuclear Ban Treaty" approvato dalle Nazioni Unite. La mobilitazione presso il nostro nordest di confine è iniziata con la consegna a New York, per il tramite della Wilpf, alla Conferenza Onu istitutiva del Trattato, del documento "Proposta da Trieste di case studies sui porti da denuclearizzare". Proposta che consiste nella valorizzazione dell'eccellenza esistente in materia con la richiesta all'Agenzia atomica internazionale di Vienna di affidare, alla sua Scuola di prevenzione nucleare al Centro internazionale di fisica teorica di Miramare specifici studi sulla denuclearizzazione a medio termine incardinata nel Trattato. Questa possibilità nasce dall'esistenza a Trieste e Koper-Capodistria in Slovenia di due porti nucleari di transito, militari e civili, dove la sussistenza dei centri abitati accanto a zone industriali rende impossibile una seria prevenzione delle emergenze; e la presenza del segreto militare determina ad esempio l'assenza di riferimenti ai porti nucleari nella Valutazione d'impatto ambientale sui progetti di rigassificatore. Alle amministrazioni comunali della provincia che hanno espresso contrarietà al porto nucleare e/o hanno aderito a Mayors for Peace, oggi verrà spedita una richiesta di promuovere la ratifica italiana del Trattato, di formalizzare all'Agenzia atomica di Vienna la proposta di case studies sui porti nucleari, a iniziare da Trieste e Capodistria, e di intervenire alla Marcia per la Pace del 1° gennaio, raccogliendo l'appello di papa Francesco a favore del nuovo Trattato in questione e il suo messaggio d'augurio per il 2018, indirizzato alla maggior tutela di migranti e rifugiati.

 

 

SEGNALAZIONI - Mobilità sostenibile Dimenticare l'automobile

Il 7 dicembre sul Piccolo in prima pagina: "Pirata della strada presa al casinò. Alle slot di Lipizza dopo aver ucciso una passante". "Non me ne sono accorte". Ancora in prima: "Non ce l'ha fatta il vespista ricoverato a Cattinara. Lo schianto, 3 giorni d'agonia: addio a Diego, 17 anni. Incidente mentre portava pizze". Sempre il 7 dicembre, ma in Trieste Cronaca: "Pedone investito da una vettura in retromarcia". Ormai gli incidenti stradali, anche gravi, hanno cadenza giornaliera. Quest'anno CamminaTrieste ha deciso di dedicare i consueti auguri prenatalizi a una passeggiata informata ai criteri della mobilità sostenibile a misura di pedone, per promuovere anche a Trieste e nel Friuli Venezia Giulia un sistema di trasporto integrato, come quello realizzato con successo in Alto Adige, sull'esempio di Monaco di Baviera: Mobilcard, biglietto unico per tutti i mezzi di trasporto, pubblici e privati, che consente di lasciare in autorimessa l'auto risparmiando e utilizzandola in modo più proficuo e sicuro.

Luigi Bianchi - CamminaTrieste

 

SEGNALAZIONI - Trasporti - Il costo enorme dei treni storici

Trieste sta vivendo un momento di grande visibilità turistica. È certamente una metà interessante e con molte attrazioni, la stessa qualità della vita la rende appetibile. Ora con la riapertura di alcune linee ferroviarie chiuse alla circolazione si auspicano treni storici e turistici. Per quanto bella ed interessante Trieste non può offrire le attrattive dello Jungfrau e dunque difficilmente queste linee riuscirebbero ad avere un bilancio almeno in pareggio. Già ora il Trasposto Locale viene sovvenzionato dalla fiscalità. Non si dimentichi che gli introiti della vendita dei biglietti coprono solo il 28% dei costi, il tram di Opicina ha uno sbilancio annuo di due milioni. Dunque il viaggiare lento, il risalire le linee storiche su carrozze centoporte fa parte del libro dei sogni perché manca completamente un equilibrio economico. Chi pagherebbe il buco? Oppure dirottiamo i soldi dalle risorse per la Sanità? Poi il bello di certi business plan è la possibilità di scrivere qualunque dato. Tralasciamo poi i problemi tecnici, ma sappiamo tutti che l'Italia ha 60 milioni di allenatori e Trieste centomila esperti di trasporto ferroviari.

Fulvio Zonta - Attività Navalmeccaniche

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 9 dicembre 2017

 

 

Turismo, tre piste ciclabili uniche con un tratto via mare - La lettera del giorno di Fabio Denitto
Che ormai una parte del turismo si muova su due ruote è ormai evidente a tutti. Prova ne siano i 10mila ciclisti che sono passati per Muggia o le comitive numerosissime e internazionali che si incontrano sulla Parenzana. Intercettare perciò questo flusso è diventato di fondamentale importanza per le nuove prospettive dello sviluppo turistico della nostra città. Non mi sembra tuttavia che la proposta di una pista ciclabile tra Trieste e Muggia vada in questo senso. Anche perché questo percorso c'è già. Non vedo infatti il motivo per il quale un cicloturista debba arrancare in una città piena di traffico e di tubi di scappamento, quando può prendere il traghetto per Muggia regalandosi, senza fatica, un'immagine unica della città vista dal mare. Da qui poi potrà pedalare sulla nuova pista che la Regione ha finanziato poche settimane fa a favore di quel Comune fino a Rio Ospo, da dove inizia quella Parenzana che sta vivendo un vero e proprio boom. Ma c'è un altro tratto di ciclabile già esistente: è quello che da Draga Sant'Elia arriva in città fino alle Rive dove è ormeggiato il traghetto per Muggia. E cosa esiste di più bello da offrire al cicloturista che le splendide visioni della Val Rosandra? Un altro tratto unico. Il punto è come far arrivare gli amanti della bici da Monfalcone a Draga Sant'Elia. Il progetto esiste già, si tratta solo di riprenderlo e finanziarlo: la ciclabile del Carso. Un altro unicum con i suoi paesaggi e le sue tentazioni enogastronomiche. Gli amanti infatti del turismo slow prediligono le esperienze uniche e questi tre percorsi sarebbero effettivamente unici in Italia. In fondo si tratta di razionalizzare l'esistente aggiungendovi ciò che manca a cominciare dalla ciclabile del Carso, ma la Regione si è sempre dimostrata disponibile per le vie ciclabili, anche perché il Friuli Venezia Giulia è al centro di percorsi europei internazionali. Certo che anche arrancare su per viale D'Annunzio fra macchine e smog è un'esperienza unica. Negativa però.

 

 

CICLOTURISMO E MOBILITA' ATTIVA

Alle 17.30 Fiab organizza un incontro pubblico per illustrare le proprie iniziative per promuovere a Muggia la mobilità attiva e il cicloturismo. L'incontro si svolgerà al Caffè del teatro Verdi di Muggia.

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 8 dicembre 2017

 

 

Shopping natalizio: park e bus gratuiti per snellire il traffico - L'iniziativa ecologica sarà valida in dicembre da venerdì a sabato dalle 16 alle 18 sia per residenti che per turisti
L'anno scorso era in fase sperimentale, ma gli ottimi risultati ottenuti hanno fatto ripartire anche per questo periodo natalizio, dall'8 al 24 dicembre, Park&Ride, il progetto all'insegna dell'ecologia targato Trieste Trasporti. La tipologia del servizio veste questa volta ben due novità rispetto al 2016: più tragitti senza spese. Per incentivare una mobilità maggiormente sostenibile e ridurre l'incidenza del traffico veicolare in un periodo, come quello delle festività, in cui i flussi sono particolarmente intensi, tutti i venerdì, sabato e domenica, tra le 16 e le 18, si potrà lasciare l'automobile nelle aree riservate (e delimitate) di quattro parcheggi semi-periferici e raggiungere gratuitamente il centro città con gli autobus. L'iniziativa è rivolta a residenti o turisti che visiteranno il centro nei week-end di dicembre, magari approfittando della presenza del mercatino di Natale. Il servizio, completamente gratuito, è svolto in collaborazione con il Comune, Esatto, Confcommercio e Terziaria Trieste, quest'ultima addetta all'organizzazione di tutte le bancarelle che la città accoglie da oggi al 24 dicembre.I posteggi interessati sono quelli di Sant'Andrea (via Carli) e San Giovanni (viale Sanzio), e poi quelli di via Flavia (piazzale Cagni) e Opicina (in corrispondenza del quadrivio), park normalmente non a pagamento. All'interno dei contenitori gli addetti dell'azienda di trasporti distribuiranno gratis ai clienti un biglietto che permetterà il viaggio in autobus di andata e ritorno (da farsi entro le 21). Per chi lascerà il veicolo nell'area di sosta di Sant'Andrea sarà operativo un servizio di bus navetta: in partenza ogni 15 minuti da via Locchi, tra le 16 e le 21, il mezzo compirà un percorso circolare fermando in piazza Goldoni, via Mazzini, piazza Unità e Stazione Marittima. Il biglietto del Park&Ride, in questo caso, sarà distribuito a bordo del mezzo pubblico. Chi invece opterà per le zone di Opicina, San Giovanni e via Flavia potrà usufruire dei normali servizi di linea (numeri 6 e 9 da San Giovanni, 2/ e 4 da Opicina e 19, 20, 21 e 23 da piazzale Cagni). Tutti i parcheggi sono gratuiti, compresi quelli di via Carli e di viale Sanzio (normalmente a pagamento). «La mobilità - dice la responsabile marketing di Trieste Trasporti Arianna De Luca, che ha coordinato il progetto - è un elemento sempre più centrale per la qualità della vita nelle città: incide sull'efficacia dei servizi, sul commercio, sul turismo, può essere un valore aggiunto per la scuola, la cultura e lo sport. Questa nostra iniziativa è un segnale di quanto Trieste Trasporti tenga e intenda partecipare allo sviluppo sostenibile della mobilità a Trieste, e farlo in un periodo come quello natalizio, in giornate di eventi e shopping, assume un significato ancora maggiore». Grazie alla partecipazione di Confcommercio e Terziaria Trieste, il biglietto del Park&Ride darà diritto anche a uno sconto a quasi tutti gli stand del Mercatino di Natale che aderiscono all'iniziativa. Per informazioni si può chiamare il numero verde di Trieste Trasporti (800.016675) o consultare il sito internet www.triestetrasporti.it. Aggiornamenti in tempo reale sui social network.

Benedetta Moro

 

 

L'acqua di sentina riciclata con l'impianto di ReOil - La società ha acquistato un terreno da Italcementi vicino al Canale navigabile
Procedure e aspetti tecnologici sono allo studio di Area Science Park
Sarà, nel suo genere, l'impianto più importante dell'Adriatico: servirà a separare le varie componenti rilevabili nell'acqua di sentina e in altre tipologie idriche inquinanti, che riguardino l'industria o l'economia marittima. In tutto l'Adriatico settentrionale pare non esista un'attività basata su questo processo tecnico-fisico, dal quale trarre acqua depurata e olii riutilizzabili.Il cliente? Ogni operatore ambientale, interessato ad abbattere i costi del servizio. In che modo? Con una bettolina o con un autocisterna, perchè l'indirizzo in Riva Giovanni da Verrazzano sul Canale navigabile è raggiungibile in maniera plurimodale. Questa è solo la prima fase di un investimento che avrà uno svolgimento più complesso, perchè in un secondo momento si occuperà del trattamento delle acque di zavorra: gli aspetti tecnologici e dimensionali sono allo studio nell'Area Science Park. Particolare non secondario: l'azienda, che realizzerà questa struttura di dis/oleazione, si chiama ReOil e ha sede nel perimetro dell'Area a Padriciano. Le principali cifre dell'operazione, sia pure a livello ancora orientativo, sono sul tavolo: ReOil ha acquistato da Italcementi un terreno immediatamente retrostante al Canale navigabile, subito alle spalle della banchina che per quasi sessanta anni è stata usata dal gruppo cementiero e che da qualche mese l'Autorità portuale ha temporaneamente concesso a Wärtsilä, alle prese però con un ricorso al Tar presentato dalla stessa Italcementi.In questo sito insiste un immobile di 3 mila metri quadrati che ReOil provvederà a riqualificare e a equipaggiare con un investimento superiore ai 7 milioni di euro. I lavori inizieranno già all'inizio del prossimo anno con un cronoprogramma flessibile che va dai 24 ai 36 mesi. ReOil darà lavoro a una trentina di addetti, le prime attività partiranno già nel 2019. Prenderà in considerazione l'opportunità di adottare il regime di Punto franco. L'area acquistata è posizionata dentro il cosiddetto Sir (sito di interesse regionale), dove lo svolgimento delle procedure amministrative ambientali vengono sbrigate dalla Regione e non dal ministero. Il lavoro preparatorio di ReOil, assai discreto, dura da poco più di un anno e adesso, all'alba del decollo, viene illustrato dai due protagonisti, Giovanni Rocelli e Angelo Boatto. Con curricula e profili ben distinti. Amministratore delegato e azionista di riferimento è il veneziano Rocelli, la cui famiglia si occupava fino a non molti anni fa di terminalistica portuale a Marghera (multiservice) e a Chioggia (multipurpose). Il padre, Gianfranco, è stato per cinque legislature deputato democristiano, eletto nell'allora circoscrizione Venezia-Treviso. Boatto è a sua volta capostipite di una famiglia imprenditoriale impegnata nel comparto dello stampaggio di materie plastiche, con un importante insediamento industriale a Fiume Veneto, nella Destra Tagliamento, che produce per grandi nomi internazionali, da Ikea a Nestlè. La prossimità geografica, la base in Area Science Park, l'attenzione verso un porto in crescita nel quale arrivano sempre più navi: sono i motivi principali che hanno spinto Rocelli e Boatto verso lo sbarco sul Canale navigabile. La volontà, espressa e insistita dai due imprenditori, è quella di collaborare con le aziende del territorio: l'impianto progettato non sottrae lavoro a chi già presidia la piazza, aggiunge - anzi - un'opportunità di business a chi opera nel settore ecoambientale. L'annuncio di ReOil segue di pochi giorni quello dello scorso sabato, quando l'indonesiana Java Biocolloid ha comunicato la scelta del Canale navigabile per sbarcare, immagazzinare, lavorare agar-agar, il polisaccaride ottenuto da alcuni tipi di alghe rosse. Le rive Cadamosto e Verrazzano, il piazzale alla radice (che piace al capitano Crismani) sembrano rivivere una stagione all'insegna del dinamismo imprenditoriale.

Massimo Greco

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 7 dicembre 2017

 

 

Da Sofia al Montenegro la grande cappa dello smog - Pm10 oltre i limiti contro la media Ue del 19%. A Skopje 1300 morti all'anno
Stufe a carbone, vecchi diesel e centrali obsolete. Il 78% dei bulgari respira
BELGRADO - Aria fetida, una cappa che incombe sopra la testa. Non cambia, nelle grandi città dei Balcani, il panorama di ogni inverno. Panorama dominato dall'inquinamento da stufe a carbone, vecchi diesel e centrali a lignite. E dagli allarmi sullo smog che come in ogni stagione fredda si sprecano, mentre soluzioni concrete latitano. Allarmi come quello lanciato nei giorni scorsi in Bulgaria, dove la locale Agenzia esecutiva per l'ambiente ha reso pubblico l'ultimo rapporto annuale sulla qualità dell'aria. Un rapporto preoccupante, che rivela che il 78% dei bulgari respira un livello di Pm10 superiore ai limiti, contro una media Ue del 19%. Gli indiziati numero uno per l'aria avvelenata sono sempre i soliti, comuni anche agli altri Paesi dell'area: «riscaldamento domestico» (52%), spesso a carbone o nafta, ma anche i «mezzi di trasporto» (16%), hanno segnalato i media locali. Fumi che, secondo dati contenuti nell'ultimo rapporto dell'Agenzia europea per l'ambiente (Aea), nel 2014 hanno contribuito a oltre 13mila morti prematuri per inquinamento nella sola Bulgaria, sui 534mila stimati in tutta la Ue. Ma la Bulgaria non è un'eccezione negativa in una regione dove secondo dati Oms del 2016 sei città balcaniche si collocano nella classifica delle primi dieci con maggiorE inquinamento da Pm 2,5, con Tetovo, Tuzla e Skopje sul podio. E Dimitrovgrad, Pljevlja e Bitola, in Macedonia, a breve distanza. E un salto oltre il confine è proprio la Macedonia a fare ancora peggio, con vari allarmi lanciati nelle scorse settimane per il superamento costante dei limiti di inquinamento a Skopje, Tetovo, Bitola, in particolare a causa del riscaldamento domestico, ha affermato giorni fa il portavoce del governo, Mile Bosnjakovski, dopo un meeting interministeriale dedicato proprio al problema smog a Skopje. Skopje dove ogni anno, secondo dati dell'Oms, sono 1.300 le morti anticipate per inquinamento atmosferico. «L'aria è così mefitica che si può sentire il sapore» dello smog «in bocca», racconta Ljubica Dimishkovska, residente nella capitale macedone, esperto in una Ong locale. E mamma. «Evitiamo di uscire il pomeriggio e proprio ieri ho comprato una mascherina», aggiunge. Ljubica che teme per la figlia piccola. «Come genitore mi sento impotente e sono arrabbiata con le autorità, che non fanno nulla» per prevenire il problema. Poco è stato fatto finora anche nel vicino Kosovo, dove solo un giorno su quattro l'anno scorso ha ottenuto il voto «buono» secondo le misurazioni locali dell'aria, ha specificato in passato uno studio di Peer Educators Network e Science for Change Kosovo. In Kosovo lunedì, in occasione di un dibattito sul tema smog, il ministro dell'Ambiente Albena Reshitaj ha specificato che nel Paese almeno «800 persone muoiono ogni anno per l'alto grado di inquinamento». Anche in Montenegro i problemi sono seri, con «Podgorica e Pljevlja», sede dell'unica centrale a carbone del Paese, dove «i limiti» previsti dalla legge sulle particelle sottili «vengono regolarmente superati» ogni giorno, ha confermato nei giorni scorsi Borko Bajic, dell'Istituto montenegrino per la salute pubblica. E in Serbia, dove i morti prematuri per smog, sempre secondo dati dell'Oms, sono 5.400 all'anno. Così come in Bosnia (231 morti premature per smog su 100mila abitanti), dove ieri - non è una novità - i dati sulla qualità dell'area variavano dal «non sano» di Tuzla al «pericoloso» di Sarajevo. «La situazione è molto difficile e le autorità non hanno una chiara strategia» per contrastare l'inquinamento, a parte qualche passo avanti, come «il divieto di circolazione in caso di smog eccessivo» per i veicoli più vecchi. Ma in inverno, «quando la gente deve usare carbone e legna, siamo esposti a un livello altissimo di inquinamento», spiega al Piccolo Rijad Tikvesa, presidente dell'Ong Ekotim. La cosa più grave, chiosa Tikvesa, è che anche in Bosnia, così come in Serbia, si continua a puntare sul carbone. Con la «firma di un accordo» per un prestito di 600 milioni di euro dalla Cina per costruire un nuovo blocco della centrale termoelettrica di Tuzla. Già oggi una delle città più inquinate dei Balcani.

Stefano Giantin

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 6 dicembre 2017

 

 

Autamarocchi investe nel trasporto green
Autamarocchi punta sul trasporto ecosostenibile e con un investimento da oltre 7 milioni di euro, dopo i primi 20 mezzi alimentati a gas naturale, metterà in strada altri 20 veicoli Liquid natural gas e 50 Euro 6 diesel di ultima generazione. Con gli investimenti - spiega una nota - l'azienda con sede principale a Trieste diventa «la flotta più green nel mondo del trasporto container». L'obiettivo è stato illustrato da Ervino Harej anche di recente, durante gli Stati generali della Logistica del Nordest.

 

 

Avvistata una lince nel centro di Vinodol. Andava a caccia di cibo tra i rifiuti
Una lince in un centro urbano. Un esemplare di questa specie, in Croazia tutelata da leggi e regolamenti molto severi essendo la sua popolazione ridotta all'osso, è stato visto e fotografato nei giorni scorsi mentre si aggirava nel cortile di una casa a Grizane, nel comune di Vinodol (nella Regione quarnerino - montana) distante 32 chilometri da Fiume. La lince, attratta dall'odore dei rifiuti, ha concentrato le sue attenzioni sul cassonetto delle immondizie del cortile. Dopo avere arraffato qualcosa da mettere sotto i denti, si è dileguata nel vicino bosco. Un suo ritorno nella zona visitata in ore diurne viene dato per scontato dagli esperti. Il caso segue gli avvistamenti nel comune stesso di altri animali selvatici, come orsi, cinghiali e sciacalli, apparsi negli ultimi tempi senza il benché minimo timore dell'uomo. La preoccupazione tra gli abitanti è molto alta, giacché su temono attacchi all'uomo.

(a.m.)

 

 

LO DICO AL PICCOLO - Il traliccio “aperto” nel bosco del Farneto

Vorrei con la presente segnalare che il traliccio di 23 metri d'altezza, installato nel bosco del Farneto all'entrata dell'intersezione della via Marchesetti con via Segre, gestito dalla Wind Telecomunicazioni spa e attivato l'anno scorso aveva originariamente gli allacciamenti chiusi in un armadio a due ante che li proteggeva dagli eventi atmosferici e da eventuali azioni di vandalismo. Dal mese di luglio una delle ante è stata sostituita con una torretta dove gli allacciamenti si trovano all'aperto e accessibili a chiunque. Il cartello con le norme per il primo soccorso agli infortunati non è facilmente leggibile e nel cartello che segnala i telefoni d'emergenza non appare nessun numero telefonico.Una domanda: questo tipo di sistemazione è a norma?

Oscar García Murga - vice presidente Circolo Verdeazzurro Legambiente

 

 

 

 

GREENSTYLE.it - MARTEDI', 5 dicembre 2017

 

 

Rinnovabili, Osservatorio FER: installazioni +20% nei dieci mesi 2017

Le fonti rinnovabili fanno segnare un +20% per quanto riguarda le installazioni di ottobre 2017. A rivelarlo è l’Osservatorio FER, che sottolinea inoltre come nei primi dieci mesi dell’anno la potenza installata complessiva relativamente a fotovoltaico, eolico e idroelettrico si sia attestata intorno ai 726 MW. Un quinto in più rispetto a quanto registrato nello stesso periodo del 2016.

Per quanto riguarda l’andamento delle rinnovabili nel singolo mese di ottobre 2017 il fotovoltaico ha fatto registrare installazioni per 29 MW, grazie alle quali ha raggiunto quota 352 MW nei primi dieci mesi dell’anno. Tale risultato fa segnare a questo comparto un +12% rispetto allo stesso periodo del 2016. Il 49% dei nuovi impianti appartiene, spiega l’Osservatorio FER, al fotovoltaico residenziale. A livello territoriale la crescita maggiore in termini di potenza si è avuta in Basilicata, Lazio e Lombardia, seguite da Piemonte, Toscana, Valle d’Aosta e Veneto; le flessioni più rilevanti si sono invece avute, nell’ordine, in Abruzzo, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Incremento di produzione più rilevante invece per Basilicata, Molise, Piemonte, Valle d’Aosta e Veneto; decremento più marcato in Abruzzo, Liguria, Marche, Sardegna, Trentino Alto Adige e Umbria. Positivo rispetto al 2016 anche il bilancio dell’eolico, che segna un +35% di installazioni. L’energia del vento ha raggiunto da inizio anno a oggi circa 315 MW, questo nonostante ottobre 2017 sia stato un periodo non troppo roseo (appena 1,9 MW installati). Si registra tuttavia un forte incremento nel numero di impianti attivi, +141%, grazie soprattutto al minieolico di taglia compresa tra 20 e 60 kW. È in questo caso il Sud Italia ha recitare la parte del leone, con il 92% della nuova potenza installata. Il 28% delle installazioni totali è relativo, fino a ottobre 2017, a impianti di potenza inferiore ai 60 kW; quelli invece superiori ai 200 kW rappresentano il 71% del totale. Venendo infine all’idroelettrico è positivo anche il bilancio di questa fonte rinnovabile, che grazie ai 6,9 MW installati a ottobre 2017 raggiunge un complessivo di 56 MW (+4% di nuova potenza installata rispetto ai primi 10 mesi del 2016). La spinta maggiore è arrivata da Regioni come Abruzzo, Marche, Molise, Sicilia e Veneto. Il 54% dei nuovi impianti idroelettrici connessi risulta di taglia inferiore a 1 MW, mentre un impianto da 3,2 MW è stato attivato in Lombardia (Provincia di Brescia).

Claudio Schirru

 

Ecobonus e ristrutturazioni: Legge di Bilancio, le novità in arrivo

L’approvazione ormai quasi imminente della Legge di Bilancio 2018 porterà diverse novità per quanto riguarda l’ecobonus e le ristrutturazioni edilizie. Alcune modifiche sono state introdotte dopo il passaggio nei giorno scorsi al Senato, ridisegnando parzialmente il quadro normativo tracciato dal provvedimento.

In virtù del maxi emendamento approvato dal Senato sono state introdotte modifiche sia per quanto riguarda alcune percentuali relative alla detrazione fiscale riconosciuta che per alcuni dei tetti massimi spettanti per ciascun intervento realizzato. Ecco quindi le indicazioni principali presenti nel nuovo testo, in attesa della definitiva approvazione da parte della Camera. Ecobonus: L’ecobonus è prorogato al 31 dicembre 2018, mentre viene ridotta dal 65 al 50% la detrazione per spese relative a finestre (comprensive di infissi e schermature solari), sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaie a condensazione e impianti di climatizzazione invernale alimentati da biomasse combustibili (tetto massimo detrazione pari a 30.000 euro). La detrazione fiscale verrà inoltre riconosciuta anche agli Istituti autonomi per le case popolari (IACP) e “agli altri enti che perseguono le medesime finalità”. Tra le altre modifiche all’ecobonus introdotte al Senato figura l’innalzamento del tetto massimo relativo alle detrazioni riconosciute per “interventi di riqualificazione energetica di parti comuni degli edifici condominiali”, a patto che la percentuale di involucro dell’edificio superi il 25% della “superficie disperdente lorda”. La lista degli interventi incentivabili si allunga per comprendere anche l’acquisto e la “posa in opera” di micro-cogeneratori in sostituzione di impianti esistenti. Detrazione massima riconosciuta pari a 100.000 euro, periodo in cui le spese devono essere sostenute tra il 1 gennaio e il 31 dicembre 2018. Il risparmio di energia primaria derivante dagli interventi dovrà essere almeno del 20%, come da Allegato III del Decreto Interministeriale 4 agosto 2011. I requisiti tecnici per ottenere l’ecobonus vengono rinviati ad apposito decreto del Ministero dello Sviluppo Economico, mentre i controlli verranno svolti da ENEA su “tutte le fattispecie agevolate previste dall’art. 14 del D.L. 63/2013″ e non più limitatamente alle parti comuni e condominiali. Ultima nota infine per quanto riguarda la Cessione del credito ai fornitori o ad altri soggetti privati, estesa a tutti gli interventi di riqualificazione energetica (anche per quelli non riguardanti le parti comuni degli edifici condominiali). Ristrutturazioni: Così come previsto per l’ecobonus proroga al 31 dicembre 2018 anche per questa seconda agevolazione e per il “bonus mobili”, relativo alle spese sostenute per l’acquisto di “mobili e grandi elettrodomestici” collegato a lavori di ristrutturazione edilizia con avvio a decorrere dal 1 gennaio 2017. Viene infine introdotto, come anticipato nelle scorse settimane, il “bonus giardini”. L’agevolazione permetterà di detrarre il 36% delle spese documentate sostenute per interventi di sistemazione delle aree verdi e per la realizzazione di coperture a verde di giardini pensili. Tetto massimo fissato in 5.000 euro per unità abitativa. La detrazione viene riconosciuta in caso di spese (comprese quelle di progettazione e manutenzione connesse) relative a interventi riguardanti: Aree scoperte private di edifici esistenti; Unità immobiliari, pertinenze o recinzioni; Impianti di irrigazione e realizzazione di pozzi; Interventi su parti comuni esterne di edifici condominiali. Anche per l’ultima voce, quella relativa alle parti comuni esterne, il tetto massimo è fissato a 5.000 euro per unità abitativa. Ciascun condomino può usufruire della detrazione, che verrà ripartita in dieci quote annuali di pari importo, nel limite della “quota a lui imputabile”. È posta in questo caso la condizione che la quota stessa sia stata effettivamente versata al condominio, utilizzando mezzi di pagamento tracciabili, entro i termini fissati per la presentazione della dichiarazione dei redditi.

Claudio Schirru

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 5 dicembre 2017

 

 

Gli ecologisti di Mondo blu trovano casa a Lussino

In un'ex struttura dell'Armata popolare la nuova sede dell'organizzazione che studia il mare e si cura anche della colonia di delfini dell'isola
LUSSINPICCOLO - Tra una decina di giorni il ministro croato dei Beni statali, Goran Maric, è atteso a Lussinpiccolo per portare al comune isolano l'atto di donazione di due edifici un tempo di proprietà dell'Armata popolare jugoslava, spazzata via dagli eventi bellici di un quarto di secolo fa nei Balcani. I due immobili, ora appartenenti allo Stato croato, sono la sede delle Dogane, in Riva dei Capitani lussignani; e l'ex Casa dell'Armata popolare jugoslava, situata in zona Velopin, a stretto contatto col mare e immersa in una fitta pineta. Circa un mese fa la commissione competente del dicastero dei Beni statali aveva accettato la richiesta del comune di Lussinpiccolo di poter riutilizzare le due strutture a scopi civili. Ora i responsabili dell'amministrazione cittadina attendono con impazienza la tappa lussignana di Maric, che segnerà il primo passo verso la trasformazione dell'edificio di Velopin nel Centro per gli studi del mare dell'Istituto Mondo blu (Plavi svijet). L'istituto, che è una ong, ha sede a Lussingrande, in un palazzo costruito nel 1826: si tratta di 160 metri quadrati nei quali addetti, volontari e studenti si occupano fin dal 2003 di tutela dell'ambiente marino, organizzando conferenze, sedute, laboratori e altre iniziative, molte delle quali di carattere internazionale. In questi anni Mondo blu è stato visitato da circa centomila persone, tra cui tanti turisti, e anche da 500 scolaresche, a conferma dell'interesse che sta suscitando a Lussino e nel Quarnero, ma anche nel resto del Paese. Dati gli spazi ristretti a Lussingrande, si è deciso dunque di riutilizzare la struttura a Velopin: un progetto subito sposato dalla Città di Lussinpiccolo e dal ministero croato del Turismo con l'appoggio di numerosi atenei, istituti e organizzazioni di Croazia, Europa e di tutto il mondo. Per riattare l'ex struttura militare ci vorranno almeno 12-14 milioni di kune (1,59-1,85 milioni di euro), mezzi che potrebbero arrivare dai fondi comunitari se Bruxelles darà l'ok. Attualmente l'edificio, abbandonato più di 25 anni fa, è in uno stato decisamente fatiscente soprattutto per quanto riguarda gli interni, che ormai cadono a pezzi. Ci sarà bisogno di una radicale ristrutturazione per trasformare l'immobile nella futura casa di Mondo blu che, tra le varie attività, si prende cura della colonia lussignana di delfini, che secondo gli esperti conta circa 200 esemplari.«La donazione dello Stato alla municipalità di Lussinpiccolo - ha detto il ministro del Turismo ed ex sindaco lussignano Gari Cappelli - è un evento importante che avrà ricadute positive per l'economia locale, in primo luogo quella turistica. Proprio per valorizzare l'ex struttura dell'esercito jugoslavo a Velopin il comune aveva modificato nel 2015 il piano regolatore municipale». Mentre non è stato ancora definito il futuro impiego delle Dogane, dislocate nel pieno centro della città, è già formulato invece il piano di riutilizzo di altri ex impianti militari. In primo luogo, e sempre a Velopin, l'ex caserma militare sarà trasformata in un moderno marina, dove potranno attraccare anche imbarcazioni di lusso. È stato predisposto un riuso in chiave turistica o sociale di quelle che un tempo erano caserme o depositi militari a Sanpiero (Ilovik), Unie e in località Stijene e Umpljak. L'impianto Tovar, a Lussino, diventerà invece un poligono di tiro a segno e un centro d'osservazione per il Soccorso alpino.

Andrea Marsanich

 

 

Lo tsunami di dighe che minaccia il cuore blu d'Europa - La denuncia della ong "Save the Blue Hearth of Europe" - Dalla Slovenia alla Grecia in progettazione 2.800 impianti
BELGRADO - Un'ondata di piccoli sbarramenti e mini-centrali idroelettriche su fiumi spesso rimasti intatti come millenni fa, non guastati dalla mano dell'uomo. Uno «tsunami di dighe» che rischia di danneggiare irreparabilmente quello che ecologisti e ambientalisti hanno da tempo ribattezzato il «cuore blu» dell'Europa, i Balcani. Tsunami che è ormai iniziato e procede a ritmi incalzanti. La denuncia arriva da Save the Blue Heart of Europe, autorevole campagna delle Ong Euronatur e Riverwatch che già negli anni passati avevano lanciato forti allarmi, rimasti inascoltati. Save the Blue Heart of Europe ha però fatto risuonare le sirene d'emergenza con un nuovo rapporto, realizzato dalla studio internazionale di consulenza Fluvius e sviluppato sulla base di immagini satellitari e dati delle autorità locali. Il rapporto segnala che sono «circa 2.800 le centrali idroelettriche» in progettazione oggi «dalla Slovenia alla Grecia»: generalmente di piccolissime dimensioni, ma non per questo meno dannose per l'ambiente. Dannose anche perché «più di mille» (il 37% del totale), si legge in una nota degli ecologisti, saranno costruite «in aree protette». Quasi 120 saranno erette in «parchi nazionali» localizzati nei Paesi balcanici, 547 in aree "Natura 2000". Quest'ultima, come specificano documenti dell'Ue, è una rete di siti naturali protetti sul territorio europeo, in genere «habitat speciali», zone di sosta per uccelli migratori o dove vivono «specie rare» o a rischio, ma che non godono del livello di protezione delle «riserve naturali, dove ogni attività umana è esclusa». Il resto è pianificato in zone protette a livello nazionale. Politiche miopi e insensibilità ambientale hanno alterato un preziosissimo patrimonio naturale: ruspe e bulldozer non si sono fermati e «circa 160-180 centrali idroelettriche» e sbarramenti sono stati innalzati dal 2015 a oggi, si legge nell'analisi di Save the Blue Heart of Europe. E proprio dal 2015 «la velocità con cui va avanti la distruzione dei fiumi è aumentata», secondo l'analisi di Fluvius. Dai progetti, infatti, negli ultimi anni si è passati all'azione. Sono infatti quasi duecento, 188 per la precisione, le centrali oggi in costruzione, in particolare in Albania (81 sbarramenti per la produzione idroelettrica), Serbia (30), Macedonia (22), Bosnia-Erzegovina (19). Sono numeri che «visualizzano la dimensione del problema, uno tsunami di sbarramenti che senza rispetto per la natura mette a rischio specie» animali e pesci, «aree protette e persone» che vivono vicino ai corsi d'acqua, le cui acque sono «deviate», con paesaggi che vengono «desertificati», ha specificato Ulrich Eichelmann, numero uno di Riverwatch. Ma perché? «Le ragioni principali sono corruzione, superficialità di istituzioni finanziarie internazionali» e pochissima attenzione alla «protezione» della natura, gli ha fatto eco Gabriel Schwaderer, presidente di Euronatur. Che ha avvisato: «Se non ci si ferma, il cuore blu dell'Europa», come il colore dei fiumi balcanici, «rischia di fermarsi per infarto». Le arterie fluviali della regione, in effetti, sembrano sempre più in affanno, dopo che - solo negli ultimi 24 mesi - la velocità dell'apertura di nuovi cantieri è più che triplicata (da 61 progetti in costruzione nel 2015 si è passati a 188 nel 2017), senza dimenticare le 160-180 centrali già completate negli ultimi 24 mesi. Progetti in fase d'attuazione - altro punto molto grave - al 91% avviati senza che fossero stati preceduti da studi di impatto ambientale. Questo perché, segnalano gli ecologisti, la maggior parte degli impianti ha una capacità produttiva inferiore ai 10 megawatt, il limite oltre il quale scatta - secondo le legislazioni nazionali - l'obbligo di analizzare quali possano essere le conseguenze in aree delicate dal punto di vista ambientale. Delicate perché i Balcani custodiscono ancor oggi alcuni fra i fiumi più incontaminati d'Europa, dalla Sana in Bosnia al Valbona in Albania - per il quale da anni si protesta con sempre maggior forza a Tirana per evitarne la devastazione con 14 mini-centrali - fino alla più maestosa Sava. Tesori spesso poco conosciuti, ma da proteggere. Da uno tsunami artificiale, di dighe e centrali.

Stefano Giantin

 

Tre metri quadri di territorio cementificati ogni secondo - i dati ispra
ROMA - Oggi è la Giornata Mondiale del Suolo, e l'Italia si presenta con un dato poco incoraggiante. Il consumo di suolo, ovvero la copertura del territorio con cemento o asfalto, avanza al ritmo di 3 metri quadrati al secondo, 30 ettari al giorno. Lo certifica l'Ispra, il centro studi del Ministero dell'Ambiente. La velocità del consumo di suolo è rallentata a causa della crisi economica. Nei decenni passati era di 8 metri quadri al secondo. Con la ripresa dell'economia, c'è il rischio che la cementificazione torni a questa velocità. Soprattutto in mancanza di normative europee e nazionali che la controllino e la limitino. Al 2016 secondo l'Ispra risultano cementificati oltre 23 mila km2 (pari a Campania, Molise e Liguria messe insieme), il 7,6% del territorio nazionale. Negli anni 50 era coperto solo il 2,7%. La Giornata Mondiale del Suolo è stata istituita nel 2014 dalla Fao, l'agenzia agroalimentare dell'ONU. Lo scopo, scrive la Fao sul suo sito, è «richiamare l'attenzione sull'importanza di un suolo sano e promuovere la gestione sostenibile delle risorse del terreno». Soprattutto nei paesi in via di sviluppo, si assiste a una cementificazione crescente, con migliaia di ettari di boschi e aree verdi spazzati via da palazzi, strade, fabbriche. Un cambiamento in parte necessario, per dare case e benessere a popolazioni in crescita. Ma in parte anche deleterio, perché selvaggio e incontrollato, fonte di inquinamento e di distruzione di risorse. Anche la ricca Europa lascia molto a desiderare su questo punto. Nella Ue manca un quadro giuridico comune e vincolante per tutti i paesi sul consumo del suolo. Tanto è vero che la rete «People 4 Soil», formata da ong ambientaliste, istituti di ricerca e associazioni di agricoltori, ha raccolto oltre 212.000 firme (82.000 in Italia) per una petizione alla Commissione europea che chiede principi e regole uguali per tutti.

 

 

«L'acqua di Trieste si conferma di qualità top» - Online il nuovo report di Acegas e Asuits dopo quasi ventimila analisi: «Rubinetto meglio della bottiglia»
È online la nona edizione del report che rendiconta la qualità dell'acqua potabile nel territorio triestino servito da AcegasApsAmga: più di 53 analisi effettuate ogni giorno e risultate conformi alla legge nel 99,98% dei casi. Il titolo del rapporto è "In Buone Acque". Sono 19.300 le analisi realizzate da Acegas e Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Trieste sull'acqua che esce dai rubinetti cittadini. Spiega l'azienda: «Recandosi sul sito aziendale www.acegasapsamga.it è possibile consultare il report in forma sintetica e scoprire che il servizio idrico del Gruppo Hera punta sull'interconnessione delle reti, sul telecontrollo, sul monitoraggio via satellite e sull'efficienza energetica per garantire la continuità del servizio, una gestione efficiente e un prodotto finale sicuro e di qualità». Oltre alla qualità dell'acqua, aggiunge ancora Acegas, «all'interno di "In Buone Acque" è possibile ritrovare molteplici informazioni di dettaglio tra cui le concentrazioni medie rilevate dalle analisi sia dell'azienda sia dell'ente sanitario. In particolare, grazie alla nuova veste grafica è possibile comparare le caratteristiche dell'acqua di rubinetto con quelle dell'acqua minerale (un confronto effettuato con i dati indicati nelle etichette di 17 acque minerali naturali presenti nei supermercati)». L'invito all'utenza è a consumare l'acqua pubblica: «È possibile risparmiare quasi 270 euro all'anno ed evitare all'ambiente milioni di bottiglie di plastica bevendo acqua di rubinetto in alternativa a quella in bottiglia, oltre alla praticità di riceverla direttamente a casa». L'acqua di Trieste infatti è «oligominerale a basso tenore di sodio e grazie alle oltre 53 analisi al giorno ne è confermata la qualità, qualora si riscontrasse l'odore di cloro, sarà sufficiente lasciare riposare l'acqua in una caraffa o berla fredda». Conclude l'azienda: «La nuova veste grafica del rapporto rende più fruibili le informazioni anche grazie ai contenuti ricchi di infografiche. È così possibile avere una visione chiara e immediata sulla rete acquedottistica di Trieste che serve complessivamente 234.727 cittadini, attraverso una rete di 1.073 Km in cui, nel 2016, sono stati immessi 43,7 milioni di metri cubi di acqua».

 

San Marco - La Terra “Con l’acqua alla gola”

Alle 18, al San Marco, Elisa Cozzarini dialoga con Daniele Pernigotti che presenta il suo libro “Con l’acqua alla gola” (ed. Giunti). L’evento è organizzato da Legambiente. Il “global warming” è un’emergenza che coinvolge tutti. Ha stravolto l’equilibrio ecologico e sta compromettendo il rapporto tra uomo e ambiente. Molti sono i responsabili di questa urgenza globale: gli scienziati negazionisti, i media che strillano false notizie, le lobby petrolifere, il fiasco delle politiche nazionali e internazionali, la scarsa educazione ambientale dei cittadini, la poderosa forza del mercato che impone una crescita economica senza freni. Per affrontare sul serio l’emergenza climatica ci sono soluzioni efficaci e praticabili. Questo libro ci dice cosa occorre fare, subito, per consegnare un pianeta sano e vivibile alle generazioni future: implementare energie alternative ai combustibili fossili, stimolare nei cittadini pratiche sostenibili, offrire risposte alternative al paradigma della crescita a ogni costo, promuovere economie a basso impatto ambientale

“Con l’acqua alla gola” alle 18 Info su www.giunti.it

 

 

 

NeMo, gli enti pubblici del Fvg useranno l'auto elettrica - risorse europee per il progetto
PORDENONE - Sostituire circa 800 vetture a benzina o diesel con mezzi a trazione elettrica, usando un servizio di car sharing. Ridurre le emissioni di anidride carbonica e aumentare la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Il tutto grazie a fondi Ue per 900mila euro in grado di produrre investimenti per circa 15 milioni. Questi gli assi portanti del progetto NeMo (New Mobility in Fvg) presentato ieri dalla Regione alle pubbliche amministrazioni del Pordenonese e Udinese, e che sarà illustrato oggi a Gorizia e Trieste. Oltre dalla Regione, lead partner, il team del progetto è composto da Area Science Park, Università di Trieste, Bit, Aniasa e Promoscience. Noemix è il nuovo servizio di car sharing per la Pa sviluppato da NeMo, progetto europeo finanziato dal programma Horizon 2020. Il servizio sarà attivo dal 2019 grazie a una partnership pubblico-privato con cui il Fvg si candida a essere la prima regione in cui una quota ampia dei veicoli aziendali degli enti pubblici sarà sostituita da veicoli elettrici. Aggregando le esigenze di pubbliche amministrazioni diverse, si passerà dal modello attuale basato sull'acquisto delle auto a uno imperniato su un "servizio centralizzato di mobilità elettrica" gestito da operatori privati. Verso NeMo - ha detto l'assessore regionale all'Ambiente, Sara Vito - «c'è grande interesse anche da parte di altre Regioni d'Italia e Paesi europei. Per questo l'attività svolta in Fvg sarà un banco di prova».

 

 

La stazione dell'impero mette in moto il futuro - Il progetto delle Ferrovie volano di sviluppo per Trieste
Campo Marzio non rinasce solo come museo, ma come stazione, come area-chiave di Trieste, come simbolo di una città europea e come snodo di un hinterland. Una rivoluzione, che toglie dalle ortiche, dal degrado e dallo sconcio edilizio il cuore antico del porto, quello che ruota attorno alla Lanterna. La stazione potrà diventare il volano di una riqualificazione urbana indilazionabile (la terra di nessuno fra viale Giulio Cesare, l'area dell'ortofrutticolo e il parcheggio dei camion in Riva Traiana) e al tempo stesso terminal di un traffico turistico su rotaia dalle potenzialità illimitate. Qualcosa che va al di là persino di quanto la Fondazione Fs è riuscita a realizzare, pur magnificamente, ai piedi del Vesuvio con il museo di Pietrarsa appena inaugurato. Sembra impossibile, dopo decenni di inutili richiami e di progetti insensati, poter immaginare qualcosa di concreto, capace di unire business e cultura, di accontentare imprenditori e sognatori, ecologisti e amanti delle vaporiere. Ora che il diaframma ferroviario di Monrupino è caduto ed è di nuovo possibile viaggiare da Trieste-Campo Marzio in direzione di Dutovlje, Gorizia, Tolmino, Bled, ecco che la linea magica della Transalpina si ricostituisce e riapre al traffico turistico gli stessi binari che cent'anni fa legavano alla Baviera e al resto del mondo tedesco il porto più settentrionale del Mediterraneo. Come sempre, il futuro abita nel passato. Negli anni in cui persino i treni della Canadian Pacific collegavano a Trieste le grandi città del Nord valicando le Alpi con speciali vagoni panoramici. È venuto il tempo di pensare in grande, di affrontare una spesa con una visione strategica; di andare oltre il cemento (l'orrido edificio incompiuto accanto alla stazione!), le rotonde (ah quanto costose!) e gli svincoli faraonici (Enemonzo!) che svuotano le casse regionali con investimenti a pioggia. I cinque e passa milioni di euro per ridare dignità all'ala museale della stazione sul lato di viale Giulio Cesare ci sono grazie al finanziamento della Fondazione Fs, della Regione e del ministero dei Beni culturali. Manca il necessario per completare il restauro dello scalo di Campo Marzio e trasformarlo in stazione di testa di un traffico turistico e polo culturale su scala europea. È per questo che gli uomini - motivatissimi, va detto - della Fondazione Fs hanno aperto davanti al sindaco e alla presidente della Regione le carte di un progetto che li mette di fronte a un'occasione irripetibile. Ridare senso a Trieste, alla sua storia, alla sua posizione tra Mediterraneo e Centro Europa. Il piano prevede soluzioni ambiziose: la copertura della stazione con un "ombrello" quasi identico a quello originale (smantellato durante la seconda guerra mondiale), ma in lega leggera e una tecnologia capace di regolare le luminosità e l'acustica dell'ambiente, e una serie di piattaforme mobili capaci, in determinate occasioni, di coprire le rotaie di testa e trasformare la stazione in un grandioso auditorium per concerti e altri eventi all'aperto. Se a tutto questo si aggiunge il rondò con treni storici già collaudato quest'estate da Trieste-centrale a Campo Marzio via Miramare, Aurisina, Opicina e Rozzol, e soprattutto il riaggancio di Trieste alla rete nord-europea grazie al ripristino della linea transalpina a Monrupino, ecco che il quadro si completa, ecco che appare evidente come il lavoro sulla stazione lato viale Giulio Cesare non può e non deve restare incompiuto. Perché a questo punto la città potrebbe offrire qualcosa di davvero speciale. E non ci vorrebbe poi un grande sforzo di immaginazione per capire di cosa potrebbe fruire il viaggiatore una volta in città. Una sequenza di meraviglie di facile accesso senza uso di automobile e senza soluzione di continuità. Mettiamo un tedesco di Monaco. Atterra a Ronchi, si trasferisce alla stazione in via di allestimento e prende la navetta che lo porta direttamente in città. Alloggia in un hotel sulle Rive o in un B&b del centro. Esce e raggiunge a piedi la zona del porto nautico e nella stazione rimessa a nuovo legge il romanzo delle ferrovie di frontiera nelle sale di un museo, poi sale sul treno turistico con i vagoni cento-porte e circumnaviga Trieste dall'alto fino a Opicina, dove partono i binari dell'Est e quelli per Bled, e dove può ridiscendere in città col vecchio tram (che si spera nuovamente in esercizio) oppure continuare verso il bivio di Aurisina per scendere con vista mozzafiato su Miramare. Qui il nostro viaggiatore può scegliere ancora: tornare in città fino alla Centrale, oppure sbarcare alla stazione che fu di Massimiliano d'Asburgo per scendere a piedi al parco (finalmente in riassetto dopo anni di incuria) e al Castello di Miramare, dove lo aspetta un'autocorriera anni Cinquanta che chiude il cerchio riportandolo al punto di partenza di Campo Marzio. Il tutto con un biglietto unico. E magari con una convenzione Fs che consentirebbe ai viaggiatori di visitare il museo napoletano di Pietrarsa e quello di Trieste collegati da un treno notturno. E tutto questo non è affatto un sogno. L'itinerario ha già una fetta di mercato assicurata in particolare fra i cultori dei treni che sono già tanti in Italia e ancora più numerosi in Austria, Germania e nell'area dell'ex impero asburgico. «Non realizzare tutto questo sarebbe pazzesco», afferma l'ingegner Luigi Cantamessa, entusiastico braccio operativo della Fondazione Fs, che in questi giorni è venuto a batter cassa a Trieste per assicurarsi il completamento dell'opera. Intanto le Ferrovie vanno avanti e fra tre mesi daranno il via al restauro del museo, con la posa della prima pietra.

PAOLO RUMIZ

 

 

La “ricetta” di Giorgi per il clima Lo scienziato dell’Ictp, grande esperto mondiale della materia, ne studia i cambiamenti

I cambiamenti climatici rappresentano una delle principali sfide scientifiche, tecnologiche, socio-economiche e politiche del nostro secolo: secondo gli esperti gli eventi estremi, dalle piogge alla siccità, sono destinati a intensificarsi. Il professor Filippo Giorgi, uno dei massimi esperti mondiali di studi climatici, origini abruzzesi, laurea in fisica e dottorato negli Usa, dal 1998 è direttore della sezione di Fisica della Terra al Centro Internazionale di Fisica Teorica-Ictp di Trieste, dove studia tutt’ora i cambiamenti climatici e i modelli che aiutano a descriverli. L’ultimo riconoscimento a Giorgi, che dal 2002 al 2008 è stato l’unico scienziato italiano nel consiglio direttivo dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), l'istituzione delle Nazioni Unite incaricata di monitorare i cambiamenti climatici vincitrice del Premio Nobel per la pace 2007, è arrivato poche settimane fa. Si tratta della prestigiosa medaglia Alexander von Humboldt, un riconoscimento conferito dall’Unione Europea di Geoscienze (Egu) a scienziati le cui ricerche abbiano avuto portata internazionale e un impatto positivo sui Paesi emergenti e che sarà consegnata a Vienna il prossimo aprile in occasione della dell'Assemblea EGU 2018. Pioniere nel campo della modellizzazione climatica a scala regionale, Giorgi ha iniziato a studiare i cambiamenti climatici ben prima che venissero percepiti come un’emergenza, elaborando il modello RegCM che ha una comunità di utenti in tutto il mondo e il cui download e uso sono gratuiti. Il modello permette studi su scala regionale ed è utilizzato dalla paleoclimatologia fino alle simulazioni del clima futuro. A beneficiarne sono in particolare i ricercatori dei paesi in via di sviluppo, maggiormente esposti ai cambiamenti climatici e con meno risorse per attivare politiche di risposta, grazie anche ai numerosi workshop organizzati dal gruppo di ricerca di Giorgi in tutto il mondo per insegnare agli scienziati a capire meglio le dinamiche dei cambiamenti climatici e ad usare il modello RegCM, garantendo un costante supporto tecnico. Spiega lo scienziato che nel 2006 ha identificato il bacino del Mediterraneo come un hot spot, cioè aree che si stanno riscaldando più velocemente: «Se il riscaldamento globale continuerà al ritmo attuale, il clima del nostro Pianeta potrebbe essere completamente diverso. Con il riscaldamento globale le precipitazioni che interessano il Mediterraneo ad esempio si sposterebbero verso Nord. In centro e nord Europa dovrebbe piovere di più e in modo più intenso, mentre nell’area del Mediterraneo, in particolare quella meridionale, dovremmo assistere a un progressivo inaridimento». Una previsione confermata da oltre 25 anni di studi, modelli e dati osservati. Cosa possiamo fare? «Stiamo assistendo ad un trend di cambiamento e, se non si agirà prontamente, continuerà nelle prossime decadi - risponde Giorgi - causando l’aumento di eventi estremi, lo scioglimento dei ghiacci e l’innalzamento del livello del mare. Bisogna mantenere l’aumento globale di temperature sotto la soglia di pericolo identificata nell’accordo di Parigi, e cioè ben al di sotto dei 2 gradi e questo richiede una riduzione delle emissioni di gas serra, il parallelo sviluppo di energie rinnovabili sempre più competitive e una spinta verso la Green Economy».

Lorenza Masè

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 4 dicembre 2017

 

 

L'ex fiera, i palazzi e il Porto vecchio - La calata austriaca - Le mire sui 5 magazzini Greensisam dopo Montebello e il balzo dei carichi merci. La città attira imprenditori
«Ebbene sì - ammette il sindaco Roberto Dipiazza -, Trieste è tornata ad essere la terza città dell'Impero». Per capire quanto questo sia già concreta realtà basta controllare su una carta geografica il fitto reticolo disegnato dalle migliaia di treni carichi di merci che da qualche anno, con crescita costante, arrivano e partono dal porto di Trieste: per il 90% sono a servizio della mitteleuropa. Le ferrovie«I convogli ferroviari sono diretti a venti principali destinazioni diverse - spiega Giuseppe Casini - e di queste, otto rientrano nei confini dell'ex Impero Asburgico (perlopiù Austria, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia), ma quasi tutte le altre gravitano ai margini di quest'area, interessando la Baviera e l'ex Prussia in particolare». Casini è amministratore unico di Adriafer, società di proprietà dell'Autorità di sistema portuale dell'Adriatico orientale che, da miniaziendina intruppata nelle pastoie della doppia manovra, grazie all'avvento della coppia Zeno D'Agostino - Mario Sommariva ai vertici della Torre del Lloyd, è ora diventata una delle "industrie" di Trieste con il maggior numero di dipendenti. «Siamo per l'esattezza in 84 e quantitativamente abbiamo sorpassato la stessa Authority - scherza Casini -, facciamo 152 treni alla settimana ai quali se ne aggiungono 48 della Ferriera diretti solitamente a Cremona. Ho in ballo una scommessa con D'Agostino per vedere se scolliniamo quota novemila all'anno». Il boom - Su questo versante tutti i porti italiani sono rimasti terribilmente indietro, compresa La Spezia che fino a due anni fa aveva il primato. Ecco anche perché, a cent'anni dalla fine della Prima guerra mondiale, Trieste nei fatti non è più uno dei trenta porti italiani, ma è tornata ad essere lo scalo del Centroeuropa. Attraverso i Moli Quinto, Sesto e Settimo e il terminal petroli dove arrivano a frotte traghetti ro-ro, portacontainer e petroliere, tutta questa area continentale è messa in collegamento diretto con il bacino del Mediterraneo, Turchia in particolare ma anche Grecia, il Golfo Arabico, il Far East. E in particolare il settore ferroviario merci sta diventando un polmone anche per l'occupazione di manodopera e tecnici triestini. L'ultimo esempio è di qualche giorno fa: con l'arrivo della maxi gru transtainer al terminale Samer i dipendenti che sono già una novantina, a dispetto dei dodici di qualche anno fa, cresceranno ancora. E l'Authority per gestire questa tumultuosa crescita ha deciso di aprire addirittura al proprio interno una Direzione infrastrutture ferroviarie con la prossima assunzione a tempo indeterminato di tredici addetti. Ma è attraverso il porto di Trieste che l'Austria provvede anche al 90% del proprio fabbisogno petrolifero, per il 100% addirittura la Baviera e il Baden-Wurttemberg, per il 50% la Repubblica Ceca. Ciò grazie al terminal marittimo della Siot dove arrivano ogni anno oltre 500 petroliere che sembrano anch'esse in ulteriore crescita. Ma il porto è oggi soltanto un aspetto della felice rivoluzione. L'ex Fiera di Montebello - L'Austria e le regioni contigue sono tornate in realtà a mettere gli occhi sulla città intera e Trieste è divenuta oggetto di attenzioni molto forti e anche di singoli benestanti cittadini che acquistano una casa o una villa sull'Alto Adriatico. L'esempio più clamoroso, già arrivato all'incasso, è quello dell'ampio comprensorio dell'ex Fiera acquistato per 12 milioni di euro dalla Mid Holding GmbH di Klagenfurt di cui è titolare Walter Mosser: un'area di 30mila metri quadrati che verrà rivitalizzata con un investimento di 70 milioni e 540 nuovi posti di lavoro previsti. «Attorno alla città c'è un fervore inimmaginabile - rivela Dipiazza -, mi sono fatto spiegare dagli austriaci le ragioni alla base del loro intervento. Mi hanno risposto: i prezzi attualmente bassi del mercato immobiliare e la straordinaria bellezza della città». Porto vecchio e non solo - E pare si dovrà ad acquirenti austriaci anche la fine del tormentone che riguarda il palazzo delle Ferrovie di piazza Vittorio Veneto, stimato anch'esso 12 milioni e che dal 2008 attende invano un acquirente. Ma l'ultimo obiettivo dei finanzieri d'Oltralpe sono i primi cinque magazzini del Porto vecchio, quelli della famosa cittadella Greensisam, in concessione a Pierluigi Maneschi, numero uno del Molo Settimo e di Italia Marittima. «Ritengo che quest'ultima trattativa potrà essere chiusa entro il 31 dicembre», afferma il sindaco. «Confermo che ci sono nuovi potenziali acquirenti, austriaci in particolare e supportati anche da un fondo bavarese, intenzionati a rilevare la maggioranza della società, mentre io terrei una quota di minoranza - dice Maneschi - ma non sono altrettanto ottimista sui tempi del passaggio di mano. Non sono state risolte le questioni delle opere di urbanizzazione e della bonifica del torrente Chiave che spettano alla parte pubblica e poi non è ancora chiaro come si potrà passare dalla concessione alla vendita». Oltre agli austriaci - Il fatto che la città sia ritornata in qualche modo al centro della scena europea, sembra aver scatenato appetiti da ogni parte del continente. Senza scomodare il Big Game con il quale le principali potenze europee nel diciannovesimo secolo si contendevano l'Eurasia centrale, un Piccolo gioco è in atto su Trieste. «A giorni - annuncia Dipiazza - pubblicheremo il bando per Palazzo Carciotti sul quale credo metteranno le mani un fondo svizzero e uno del Liechtenstein. Per quattro quinti sarà luxury hotel e per un quinto residenze. Gli ospiti arriveranno in Ferrari, parcheggeranno nei due piani sotterranei e con l'ascensore accederanno direttamente nelle suite. Ma non è certo tutto - anticipa il sindaco -: i russi vogliono Palazzo Modello per farne un altro albergo. Oggi lì dentro c'è l'Acegas, ma se l'offerta sarà buona certamente non avremo problemi a spostarla. E poi ci sono anche gli inglesi: hanno messo nel mirino l'ex Silos per farne un gigantesco outlet». Forse non per nulla quando interessava ancora alle Coop Nordest si era parlato di Covent garden sul mare.

Silvio Maranzana

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 3 dicembre 2017

 

 

Esperti anti Ferriera dall'Austria - Al dibattito organizzato dal M5S l'esperienza dei tecnici dell'acciaieria di Lienz
Stavolta arriva dall'Austria l'appello alla chiusura dell'area a caldo della Ferriera. A farsi interprete di tale esigenza è stato ieri Cristoph Angermayer, ingegnere che opera per conto della Voestalpine Ag, nell'ambito dell'impianto siderurgico di Linz, dov'è stato effettuato un intervento di risanamento ambientale. «L'operazione - ha detto parlando nel corso della conferenza dibattito organizzata dal M5S - si è resa necessaria per tutelare i residenti che vivono accanto ad uno stabilimento capace di produrre cinque milioni e mezzo di tonnellate di ghisa, perché non è possibile che la persone che vivono vicino all'acciaieria subiscano danni alla salute. Con l'intervento - ha aggiunto - abbiamo messo in sicurezza l'intera area». C'e un solo problema: il completamento dell'opera ha richiesto investimenti pari a un miliardo e 700 milioni di euro nell'arco di dieci anni. Una cifra che probabilmente per Servola sarà difficile trovare. «L'area a caldo va chiusa perché non rappresenta il futuro di Trieste - ha ribadito il consigliere regionale Andrea Ussai -perciò ci siamo mobilitati in forze. Un dato è sufficiente per delineare la situazione: la distanza della cockeria dai primi condomini di Servola è inferiore a quella delle centraline. Quanto ai lavoratori della Ferriera pensiamo alla loro riqualificazione nel laminatoio, nella portualità e nella logistica. Soluzioni che Serracchiani e Dipiazza - conclude - non hanno finora mai affrontato». «Sono anni che ci battiamo spiegando che non è possibile far convivere residenti e area a caldo - ha confermato Alda Sancin, del Comitato No Smog Trieste - e i dati relativi alla diffusione del benzopirene e delle pm 10 lo stanno a dimostrare».

(u.s.)

 

Malore a Trieste, grave la "iena" Toffa - L'inviata di Italia 1 soccorsa nella hall dell'hotel Victoria. Prognosi riservata. In serata il trasferimento in elicottero a Milano
TRIESTE - L'inviata d'assalto delle Iene Nadia Toffa si è sentita male ieri mentre si trovava nella hall dell'hotel Victoria a Trieste. Immediati i soccorsi. La conduttrice tv è stata ricoverata in Terapia intensiva dell'ospedale di Cattinara in condizioni gravi. Nella tarda serata di ieri è scattato poi il trasporto con elisoccorso all'ospedale San Raffaele di Milano. Toffa, 39 anni, volto noto di Mediaset, si è sentita male intorno alle 13.45 di ieri, mentre si trovava nella hall dell'albergo triestino in via Oriani. I dipendenti dell'hotel hanno immediatamente allertato i soccorsi attraverso il numero unico di emergenza. Nel giro di pochissimi minuti un'auto medicalizzata e un'ambulanza sono giunte sul posto. La conduttrice è stata trovata dai sanitari priva di coscienza e in condizioni gravi, ed è stata trasportata in estrema emergenza a Cattinara a Trieste, dove è scattato il ricovero in Terapia intensiva. Il primo bollettino medico diramato dall'AsuiTs parlava di prognosi riservata per patologia cerebrale in fase di definizione. Nella tarda serata il trasferimento all'ospedale San Raffaele di Milano, realizzato attraverso il Servizio di elisoccorso del nosocomio milanese. L'atterraggio dell'elicottero è avvenuto all'aeroporto di Ronchi dei Legionari intorno alle 21. Troppo proibitive le condizioni della forte Bora che ha soffiato su Trieste per tutta la giornata di ieri. Un'ambulanza del soccorso sanitario regionale Sores, ha quindi preso a bordo l'equipe medica del San Raffaele giunta in elisoccorso, effettuandone il trasporto all'ospedale di Cattinara. Preparata intanto per il trasferimento la nota conduttrice televisiva, è stata poi portata d'urgenza fino all'elicottero e imbarcata insieme all'equipe medica, alla volta dell'ospedale lombardo San Raffaele. Il secondo bollettino medico dell'AsuiTs, diffuso in tarda serata, ha dato conto dell'avvenuto trasferimento, e definito le condizioni della conduttrice televisiva «stazionarie», seppur ancora gravi. La notizia del malore della "Iena" ha fatto immediatamente il giro dei social, innescando migliaia e migliaia di messaggi di auguri di buona guarigione. Tra i primi ad arrivare anche il post dei colleghi delle Iene, che hanno lasciato questo messaggio su Facebook dopo la notizia del malore che ha colpito la conduttrice: «La nostra Nadia non è stata bene. Ci stiamo tutti prendendo cura di lei. Vi terremo informati». Non sono al momento noti i motivi per i quali Toffa si trovasse a Trieste, città alla quale in passato ha dedicato diversi servizi televisivi, soprattutto in merito allo stabilimento siderurgico della Ferriera di Servola. Centinaia e centinaia di tweet, tra personaggi noti e non. Nicola Savino, che con Nadia Toffa e Giulio Golia condivide la conduzione della domenica de Le Iene su Italia 1 ha twittato: «Forza collega mia bella, ti aspetto».

Enrico Ferri

 

È diventata la paladina dei servolani schierata a fianco degli anti-Ferriera
TRIESTE - Nadia Toffa è conosciuta a Trieste come paladina dei cittadini contrari alla Ferriera di Servola, di cui si è fatta portavoce attraverso il suo ruolo nello spettacolo Le Iene.Il suo primo servizio a Trieste sul tema è del marzo 2014. Si intitola eloquentemente "L'altra Ilva" e introduce al pubblico italiano, spesso ignaro, la questione della Ferriera. Lo fa prendendo una posizione ben precisa: «Sono anni che si parla dei veleni dell'Ilva di Taranto e dell'impatto sulla salute dei cittadini. Ma in Italia c'è un'altra città che ogni giorno respira i fumi di un impianto siderurgico di cui praticamente nessuno parla». In quel primo reportage Toffa interloquisce con i cittadini del rione e con diversi protagonisti del dibattito sullo stabilimento: Maurizio Fogar del Circolo Miani, Alda Sancin dell'associazione No Smog, Romano Pezzetta di Servola Respira, e l'allora sindaco Roberto Cosolini con ha un battibecco ormai celebre. La volta successiva, nell'ottobre 2015, Toffa torna a Trieste. Le Iene vanno all'attacco della posizione della presidente regionale Debora Serracchiani sulle politiche industriali in Fvg, e in particolare a Servola. I cittadini raccontano alle telecamere che in quell'ultimo anno le condizioni di vita sono ulteriormente peggiorate. Toffa intercetta poi Serracchiani, con cui si verifica un altro faccia a faccia burrascoso. Una decina di giorni dopo Le Iene trasmettono un altro servizio: questa volta è da dentro la Ferriera, dove la troupe di Toffa è stata invitata dalla proprietà di Siderurgica triestina. Toffa ci entra con Pezzetta, operaio per trent'anni all'interno dello stabilimento. La visita però non finisce granché bene, poiché alla troupe non è concesso di arrivare all'altoforno. Chiosa Toffa al termine del servizio: «Oh noi ci avevamo provato, a dire la verità ci eravamo illusi. Al primo tentativo il no è stato secco, evidentemente la volontà della Ferriera di fare chiarezza non è sufficiente». Invita poi Serracchiani a visitare l'altoforno prima di concedere l'Aia allo stabilimento. La visita successiva è del febbraio 2016. Stavolta le elezioni sono imminenti. L'inviata delle Iene rivendica le promesse di risolvere il problema della Ferriera entro il dicembre dell'anno precedente. Davanti al microfono ancora una volta Debora Serracchiani, cui Toffa regala le polveri della Ferriera, e il sindaco Roberto Cosolini, affiancato dall'assessore all'ambiente Umberto Laureni. L'ultimo servizio è di pochi mesi fa: maggio 2017. Il titolo è "I politici cambiano, l'altra Ilva resta". Sottotitolo: "Nonostante le promesse in campagna elettorale del nuovo sindaco di Trieste la ferriera continua a inquinare". Stavolta a doversi confrontare con la combattiva Iena è il nuovo primo cittadino Roberto Dipiazza, che assicura che «questa volta è la volta buona». Anche Serracchiani è di nuovo interpellata. La storia, si spera, continua.

Giovanni Tomasin

 

 

Focus sulla ciclabile Muggia-Trieste - Incontro tra sindaco e vertici Fiab Ulisse per accelerare la realizzazione dell'opera
MUGGIA - Fiab Muggia Ulisse torna a puntare l'attenzione sul progetto della pista ciclabile di collegamento con Trieste, presentato qualche mese fa, con un incontro previsto martedì con il sindaco Marzi. Obiettivo velocizzare l'iter per creare nuovi percorsi a due ruote, attesi da molti appassionati di bici a livello locale, ma anche dai tanti turisti che soprattutto d'estate attraversano la provincia.«Muggia ha un'invidiabile collocazione geografica che la porta a far parte di tre percorsi cicloturistici nazionali e europei - spiega Federico Zadnich di FIAB Muggia Ulisse - è attraversata dalla ciclovia Adriatica, Bicitalia n°6, inserita da alcuni mesi dal Ministero delle Infrastrutture nel Sistema delle Ciclovie Turistiche Nazionali, dal percorso EuroVelo 8 che corre lungo la costa mediterranea dalla Spagna alla Grecia e dalla ciclovia Parenzana realizzata su di una ferrovia dismessa che collegava Trieste a Parenzo. Il passaggio attraverso il territorio muggesano di questi itinerari potrebbe portare sempre maggiori ricadute sociali ed economiche. Ma per farlo vanno realizzate infrastrutture con standard europei e servizi di qualità». Sul tavolo di discussione anche altre richieste, che vanno anche a beneficio di quella mobilità eco sostenibile da sempre promossa da Fiab. «Riteniamo - prosegue Zadnich - che vada realizzato al più presto un collegamento ciclabile da Trieste al centro di Muggia che poi prosegua lungo il litorale muggesano fino al valico di San Bartolomeo. E' inoltre urgente la creazione delle condizioni di sicurezza stradale per i ragazzi che si muovono in bicicletta, a cominciare dai percorsi verso le scuole e verso gli impianti sportivi come già deliberato nel novembre del 2015 dall'amministrazione comunale. Oltre a queste priorità il documento tecnico di FIAB che presenteremo conterrà la richiesta di attuazione di un Piano Quadro della Mobilità ciclistica, la promozione della mobilità ciclistica casa-lavoro, la mobilità e la continuità dei percorsi di Muggia Centro-Centro Storico, la revisione e l'adeguamento dell'attuale segnaletica orizzontale e verticale».

(m.b.)

 

 

 

 

COMUNICATO STAMPA - SABATO, 2 dicembre 2017

 

 

Isonzo fiume sempre più sacrificato!
Da molti anni ormai, a cadenza periodica, sui quotidiani locali appare la proposta di realizzare un bacino di rifasamento sul fiume Isonzo a monte di Gorizia. Ricordiamo che la realizzazione di tale bacino fu proposta per la prima volta nell’ambito del trattato di Osimo, con lo scopo di rifasare i rilasci discontinui provocati dalla centrale idroelettrica di Salcano. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, è proprio il caso di dirlo: il clima è cambiato e la normativa in materia ambientale è progredita. Basti pensare alla Direttiva Europea 2000/60 sulla gestione delle acque e alla più recente Legge Regionale 11/2015 sulla difesa del suolo, che impongono di mantenere un buono stato ecologico dei corpi idrici e, di conseguenza, un minimo deflusso vitale. Inoltre l’Autorità di Bacino dell’alto Adriatico, in collaborazione con la Regione, nel 2012 ha avviato un laboratorio, in cui sono stati coinvolti tutti i portatori di interesse, proprio per discutere sulla fattibilità della diga di rifasamento. Praticamente tutti i portatori di interesse si sono espressi negativamente, in quanto la nuova diga avrebbe un costo eccessivo e stravolgerebbe il corso d’acqua dal confine con la Slovenia a Gorizia, e quindi sono state formulate proposte alternative. In tale contesto il comitato “Salviamo l’Isonzo” sta portando avanti una petizione europea con l’obiettivo di coinvolgere le Istituzioni dell’Unione Europea affinché si riesca ad imporre rilasci meno discontinui da parte dei gestori della traversa di Salcano. Siamo convinti che i cambiamenti climatici ci costringeranno a una ridefinizione delle risorse idriche necessarie all’agricoltura, ma è importante prima ricordare alcuni numeri. A valle del ponte VIII agosto vengono prelevati 26 mq/s di acqua dei quali solo 6 vengono utilizzati dall’agro cormonese-gradiscano a fine agricolo, mentre il canale De Dottori a Sagrado preleva 21 mq/s di acqua dei quali solo 8,5 vengono utilizzati dall’agro monfalconese. Il resto serve alla produzione di energia idroelettrica. La portata minima rilasciabile dalla traversa di Salcano è di 12,5mq/s quindi per ora il problema si pone solo per gli utilizzi idroelettrici e soprattutto per il deflusso minimo vitale dell’Isonzo. Ma in un domani più o meno prossimo forse l’Isonzo non sarà più in grado di garantire l’acqua nemmeno per l’agricoltura, per cui sarà necessario rivedere le tecniche irrigue, favorendo quelle più efficienti come l’irrigazione a goccia, e limitarsi a coltivare piante meno idro-esigenti.
È importante infine sottolineare come sia fondamentale porre come primo obiettivo il miglioramento dello stato ecologico del fiume Isonzo. Solo un corso d’acqua in salute sarà in grado di fornire beni e servizi preziosi per la nostra comunità nel lungo periodo.
Associazione Ambientalista Eugenio Rosmann, Associazione Fiume Isonzo, Legambiente Gorizia, Legambiente Monfalcone.

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 2 dicembre 2017

 

 

Fondi dalla Regione per i treni veloci verso Roma e Milano - Con la prenotazione di 3,1 milioni la giunta proroga di un anno la convenzione con Trenitalia. Carburanti, sconti fino a marzo
UDINE - La Regione conferma il suo impegno per i collegamenti veloci via treno direzione Roma e Milano. La giunta Serracchiani delibera infatti una prenotazione di fondi per 3,1 milioni di euro che consentirà di prorogare di un anno la convenzione Regione-Trenitalia, nel rispetto della norma che autorizza l'amministrazione a sostenere gli oneri del miglioramento del servizio passeggeri di lunga percorrenza da Trieste e Udine. Con il finanziamento la Regione continua a coprire di fatto i costi per 8 collegamenti delle Frecce, andata a ritorno, verso le due principali città italiane. «In questi anni sono stati effettuati molti interventi - commenta l'assessore ai Trasporti Mariagrazia Santoro -, non solo sui contratti ma anche sulle infrastrutture e in particolare sul miglioramento delle linee». L'ultima buona notizia è che dal 10 dicembre, data in cui entrerà in vigore l'orario invernale di Trenitalia (una fotocopia di quello in vigore), verrà riattivato il collegamento della tratta Sacile-Maniago che il prossimo anno sarà completata fino a Gemona. Nella seduta di ieri l'esecutivo è intervenuto pure su un secondo fronte ferroviario. Sempre su proposta di Santoro, uno stanziamento di 3,92 milioni di euro consentirà l'estensione per tutto il 2018 dei servizi ferroviari affidati alle Ferrovie Udine Cividale. Nel dettaglio, il finanziamento è ripartito in 1,5 milioni per i servizi ferroviari transfrontalieri relativi al progetto MiCoTra di collegamento tra Udine e Villaco e in 2,42 milioni per i servizi sulla linea Udine-Cividale del Friuli. In particolare il MiCoTra, sottolinea ancora l'assessore, «è una sigla che ormai per tutti corrisponde al treno delle biciclette e che alimenta l'utilizzo della ciclovia Alpe Adria, la nostra più grande infrastruttura di mobilità ciclabile tra l'Austria e il Friuli Venezia Giulia». Proprio nell'ottica di potenziare l'interscambio treno-bici, Fuc ha presentato e vinto un progetto europeo che consentirà di prolungare il servizio fino a Trieste. Un'altra conferma riguarda lo sconto ai residenti per l'acquisto di benzina e gasolio. Su proposta dell'assessore all'Energia Sara Vito, la giunta ha prorogato fino al 31 marzo del 2018 gli incentivi sul carburante per autotrazione, confermando il contributo. Si va dai 9 (gasolio) ai 14 (benzina) centesimi in zona 2 ai 14 e 21 centesimi in zona 1. Su indicazione dell'assessore alla Cultura Gianni Torrenti la giunta ha quindi approvato l'inserimento in Finanziaria dell'esercizio del diritto di prelazione sull'acquisto di una proprietà immobiliare aquileiese, giudicata di interesse culturale dalla Fondazione Aquileia, del valore di 75mila euro, posta in vendita dal ministero dei Beni e delle Attività culturali. «L'operazione - spiega Torrenti - riveste rilevanza strategica nella programmazione degli interventi previsti nel complesso archeologico, consentendo così di valorizzare e rendere fruibile al pubblico una zona di interesse culturale ancora inesplorata».

Marco Ballico

 

Capodistria-Divaccia - pronti 800 milioni per il secondo binario - La Commissione Ue approva un ulteriore finanziamento - Lavori frenati da un ricorso, dovrà pronunciarsi l'Alta Corte
LUBIANA - Dopo tante polemiche e un referendum, vinto da chi il secondo binario sulla linea ferroviaria Capodistria-Divaccia vuole costruirlo (leggi governo Cerar), l'importante opera è vicina a partire. La Commissione europea ha appena stanziato un finanziamento di 109 milioni di euro portando così i finanziamenti comunitari per l'infrastruttura a quota 234 milioni di euro, somma sufficiente per costruire gallerie per complessivi 16,7 chilometri comprese le opere sussidiarie. Resta ancora da superare però, a livello burocratico-legislativo, l'istanza presentata contro la nascita della società 2TDK - che dovrà per l'appunto realizzare l'opera - all'Alta corte da Vili Kovacic, il leader del movimento civile "Noi che paghiamo le tasse non ci arrendiamo". Facendo un po' di conti, come riporta il quotidiano Delo di Lubiana, il governo sloveno avrebbe ora a disposizione 800 milioni di euro per una infrastruttura che costerà fra gli 1,2 e gli 1,4 miliardi di euro. Complessivamente, finora, dall'Europa sono arrivati 233,5 milioni; altri 200 milioni li ha messi a bilancio il governo della Slovenia; 300 milioni giungono dal credito ottenuto dalla Banca europea per gli investimenti (Bei); ulteriori 200 milioni giungeranno dal governo ungherese mentre 54 milioni sono già stati utilizzati.«Questo è un progetto che porta valore aggiunto all'intera Unione europea - ha affermato il commissario Ue ai Trasporti, Violeta Bulc - e non solo all'imprenditoria slovena, è un progetto che facilita la mobilità con basse emissioni che creerà posti di lavoro e farà crescere l'economia». La comunicazione per i bandi per i lavori di realizzazione sarà emessa nell'estate del 2018, ha spiegato il sottosegretario delegato all'opera, Jure Leben, aggiungendo che i ritardi fin qui accumulati per la realizzazione del secondo binario sono dovuti soltanto all'ostilità riscontrata in Slovenia di parte dell'opinione pubblica e della classe politica. «Mentre il progetto viene seguito, finanziato e approvato da Bruxelles - ha detto - a causa di alcune contrarietà in patria restiamo ancora fermi».Il direttore generale della 2TDK ha infine spiegato che il progetto ha ricevuto un'ottima valutazione a Bruxelles sia per la sua razionalità finanziaria che per gli aspetti tecnico realizzativi dell'opera.

Mauro Manzin

 

 

«Un punto franco nell'area della Ferriera» - Confetra Fvg: più facile un'eventuale riconversione parziale. Maneschi: tutelare il lavoro
TRIESTE - Adibire una parte della Ferriera a punto franco, per facilitarne la riconversione in un luogo di stoccaggio di materiali. È una delle idee emerse dall'incontro "Con o senza Ferriera. Quali vantaggi per il porto?", organizzato ieri a Trieste da Adriatic Sea Network. Sono intervenuti il presidente di Italia Marittima Pierluigi Maneschi; il presidente di Confetra Fvg Stefano Visintin; il presidente dell'Interporto di Trieste Giacomo Borruso e Vittorio Petrucco, membro del Cda della piattaforma logistica di Trieste. A moderare il dibattito, il senatore Lorenzo Battista (Articolo 1-Mdp).«L'aumento dei traffici portuali e quello della produzione siderurgica - ha detto Visintin - sono compatibili. Prima di parlare di chiudere la Siderurgica bisogna però considerarne i risultati. Nel caso la Ferriera non aumentasse la produzione, allora saremmo pronti a riconvertire una parte dello stabilimento». È a questo punto che si è iniziata a prospettare l'eventualità di adibire a zona franca parte dell'area: «In quel caso la banchina della Ferriera si potrebbe riutilizzare per lo stoccaggio ma al momento è fuori dal punto franco», ha aggiunto Visintin. Il presidente di Italia marittima ha dichiarato: «Industria e abitazioni civili sono incompatibili ma l'industria è stata fatta prima. Bisogna trovare una soluzione al problema ambientale in grado di salvaguardare il lavoro». E riguardo alla possibilità di riconvertire l'area del laminatoio in deposito: «Si potrebbe - ha aggiunto Maneschi - fare modernizzando il porto. Mancano banchine in grado di reggere un flusso di merci sufficiente per creare posti di lavoro capaci di riassorbire tutti i lavoratori della ferriera». Borruso si è detto favorevole all'ipotesi che una parte dell'area della Ferriera sia riconvertita in punto franco: «Il Porto è l'unica realtà in così forte crescita negli ultimi anni». Riguardo una possibile collaborazione tra Interporto e Ferriera, sul modello di quanto avviene con Wärtsilä, ha commentato: «Il passaggio non è altrettanto automatico tuttavia si può immaginare, all'interno dell'area della Ferriera, la riconversione di un terminale in area di attività logistica, dove tenere carbone e materiali simili». Petrucco ha aggiornato sullo stato dei lavori alla piattaforma logistica: «Saranno creati circa 200 posti di lavoro entro giugno 2019. La sua specificità sarà una cassa di colmata per contenere i futuri dragaggi del porto. Puntiamo a un collegamento diretto con la grande viabilità, spostando la ferrovia e creando uno spazio da adibire a verde pubblico nella zona di via Svevo».

Lilli Goriup

 

 

Marangoni e strolaghe da "vicino" - Escursione promossa dal Wwf alla scoperta dell'avifauna locale
Alla scoperta dell'avifauna costiera. Domenica, all'interno della Riserva di Miramare e della Costiera, lungo il confine terrestre dell'Area marina protetta, si terrà una passeggiata dal titolo "Avifauna costiera, storie di vita e anelli colorati". L'escursione fornirà l'occasione per osservare l'avifauna presente e scoprire la storia di alcuni esemplari tra quelli marcati e tra i più assidui frequentatori dell'Oasi del Wwf. L'utilizzo della marcatura con anelli colorati e della telemetria ha permesso di fare luce sulla storia di questi migratori a corto raggio, affascinante e fino a poco tempo fa per certi versi "misteriosa". In questo periodo c'è molto movimento: c'è chi arriva, cioè le specie svernanti come svassi e strolaghe, e chi è pronto a migrare a sud, come il marangone dal ciuffo, in procinto di volare in Istria meridionale e Dalmazia per nidificare. In anticipo rispetto alla maggior parte delle specie, attive solitamente da marzo, questi eleganti uccelli mostrano già un bel ciuffo sulla fronte. «Potremo vedere - spiega l'ornitologo Paolo Utmar - i marangoni dal ciuffo nei loro abiti più belli e mentre sono più attivi e nella fase di corteggiamento. I marangoni infatti nidificano d'inverno e questi sono gli unici mesi in cui da noi si possono vedere questi uccelli in abito nuziale, poi infatti si spostano e quando tornano a maggio sono senza ciuffo. Se avremo fortuna, vedremo alcuni comportamenti tipici del corteggiamento. Essendo prevista bora, domenica forse vedremo anche delle strolaghe, che vengono dalla tundra artica». La partecipazione è gratuita, ritrovo alle 9.45 davanti alla caserma dei carabinieri di Miramare. È consigliato portare il binocolo.

(g.t.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 1 dicembre 2017

 

 

Amianto in porto, maxirisarcimento bis. Nuova condanna a carico dell’Authority: dovrà sborsare 700mila euro ai familiari di un ex dipendente morto all’età di 64 anni

Un altro maxi risarcimento per amianto a carico dell’Autorità portuale. L’ente dovrà pagare ben 700 mila euro agli eredi di un ex dipendente deceduto quattro anni fa dopo una vita trascorsa a movimentare il pericoloso materiale nelle banchine, nei magazzini e nelle officine dello scalo. Solo un mese e mezzo fa l’Authority aveva perso una causa analoga, con altrettanti soldi. La nuova sentenza è stata appena pronunciata dal Tribunale (Sezione civile-controversie di lavoro), dopo un processo lampo cominciato a febbraio dell’anno scorso. Il caso riguarda il triestino Luigi Simoni morto nel dicembre 2013 all’età di sessantaquattro anni. L’uomo aveva lavorato in porto, a stretto contatto con l’amianto, dal 1973 al 1997. I sintomi del mesotelioma sono sorti nel 2012, dopo trentanove anni dalla prima esposizione con le fibre. È grosso modo il periodo medio di incubazione della malattia. La cifra stabilita della magistratura va a favore della famiglia, tutelata dall’avvocato Fulvio Vida: la vedova, le due figlie e i due nipoti. Come accertato durante le udienze, appena assunto l’ex dipendente aveva fatto il “pesatore” nelle operazioni di carico-scarico dei sacchi di amianto accatastati nelle navi e nei magazzini. Attività che si è prolungata per sette anni. Poi è passato a un incarico tecnico per la riparazione dei mezzi pesanti. In entrambe le circostanze il portuale, come tanti altri colleghi di quell’epoca, non utilizzava alcun tipo di dispositivo di protezione. La polvere di amianto, visibile dappertutto, veniva inalata soprattutto durante la movimentazione delle merci. Ma anche le mansioni in officina erano rischiose: in quel reparto, che era peraltro situato nei settori operativi in cui si manipolava il materiale, l’ex operaio doveva spesso utilizzare l’asbesto per la manutenzione dei macchinari. «In concreto - si legge negli atti processuali - rientrava nei compiti del reparto la frequentissima manutenzione degli impianti di frenatura dei mezzi pesanti impegnati per la movimentazione». Il riferimento è ai carrelli sollevatori, alle autogru e ad altri dispositivi normalmente utilizzati in porto. «Era pratica abituale - viene precisato ancora - procedere alla sostituzione dei ferodi (materiale con cui si rivestono frizioni, freni e innesti di autoveicoli, ndr) mediante aggiustatura di elementi di asbesto grossolanamente prestampati che venivano torniti e traforati in officina a seconda del vario utilizzo». Un lavoro che comportava la diffusione delle fibre di amianto, che galleggiavano letteralmente nell’aria, sopratutto quando si trattava di pulire pavimenti e banconi. O, ancora, quando si usava l’aria compressa per togliere la pericolosa polvere dagli abiti che il personale indossava. Tutto ciò, pure in questo caso, avveniva senza protezione alcuna. Ma le fibre si sollevavano anche quando i tecnici dovevano cospargere di isolante i giganteschi scarichi delle macchine operatrici. Pure quello conteneva tracce di asbesto. Prima di mettersi all’opera era però necessario rimuovere le parti esauste, con tanto di flex. Un lavoro, anche questo, che faceva diffondere le fibre negli ambienti. Tutta roba che gli operai si trovavano a inalare ogni giorno. «Durante dette operazioni - si puntualizza nel dispositivo processuale - la presenza di Simoni stante le sue funzioni, era abituale. Come abituale era la sua permanenza negli ambienti contaminati, tenuto conto che nell’officina motoristi dell’Eapt (l’allora Ente porto, ndr) non esistevano ambienti separati e isolati dalla diffusione delle fibre». Fatti emersi dalle deposizioni dei testimoni sentiti durante le udienze. Nulla di diverso rispetto a molti altri casi simili avvenuti in quegli anni, alcuni dei quali già piombati nelle aule di tribunale e in corso di giudizio.

Gianpaolo Sarti

 

D'Agostino chiede il supporto dello Stato - «Non può essere la singola amministrazione a pagare le conseguenze di responsabilità del passato»
La seconda sentenza di risarcimento nel giro di un mese e mezzo, con somme prima di 645mila euro e ora di 700mila, costringe l'Autorità portuale a correre ai ripari. Tanto più dinnanzi alle future cause che nei prossimi mesi potrebbero arrivare a giudizio. Zeno D'Agostino, presidente dell'Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale, chiederà sostegno allo Stato. «Ogni causa ha una storia - premette il numero uno dell'Authority - quindi non si può dare un giudizio generale sul problema. Certo, è chiaro che è una questione importante di cui bisogna prendere atto e farsene carico, ma dal punto di vista economico può diventare un onere pesante per i nostri bilanci. Ritengo sia utile che si faccia un ragionamento nazionale su questi temi. Non può essere la singola Autorità portuale ad assumersi l'impegno di spesa su responsabilità che risalgono a decenni fa. Le cause vanno come devono andare, ma da parte nostra - aggiunge D'Agostino - è probabile che chiederemo un intervento nazionale per capire se in qualche modo lo Stato si può assumere la responsabilità e, ripeto, non la singola Autorità. L'ultima tegola risale a metà ottobre: l'Autorità portuale di Trieste era stata condannata a sborsare 645 mila euro per risarcire la famiglia di una vittima di amianto. È Gino Gruber, nato nel '44 e morto nel 2015 a 71 anni per mesotelioma. La sentenza pronunciata dal Giudice del lavoro del Tribunale di Trieste è ritenuta "storica" dagli addetti ai lavori perché per la prima volta nel capoluogo giuliano e la seconda in Italia (l'unico precedente riguarda Venezia), è stata accertata la precisa responsabilità dell'allora Ente porto su un ex dipendente di una compagnia portuale. Fino a quel momento era accaduto solo per chi in passato è stato al servizio diretto dell'Authority. Un caso che potrebbe fare da apripista per decine di altre vicende analoghe, cioè persone colpite dalla stessa patologia. E per chissà quante altre in futuro. Anche perché l'incubazione, come purtroppo noto, ha un periodo di almeno trent'anni. La vicenda su cui a ottobre si era espresso in primo grado il Tribunale di Trieste risale infatti a parecchio tempo fa, tra il '65 e il '90, quando Gruber era socio-lavoratore della Compagnia portuale Terra, una cooperativa che forniva allo scalo manodopera in appalto.

(g.s.)

 

Zagabria ci ripensa - Fianona 1 operativa ancora per vent'anni - La Croazia vuole sfruttare al massimo gli impianti disponibili - Gli ambientalisti: «Stop ai devastanti effetti sulla salute»
ALBONA - Sta avendo l'effetto di un fulmine a ciel sereno la notizia sul prolungamento di altri 20 anni del funzionamento della vecchia centrale termoelettrica a carbone Fianona 1 che si sarebbe dovuta chiudere per sempre entro il 31 dicembre di quest'anno. A dire il vero al momento questa è solo la proposta della HEP, l'azienda elettrica di Stato, sulla quale si dovrà pronunciare il ministero per l'Ambiente e l'energetica. Comunque appare scontato che i due enti stiano agendo di comune accordo e che alla fine il governo dirà sì. La motivazione di tale mossa va ricercata nel fatto che al cospetto della crescente domanda di energia elettrica sul mercato, il contestatissimo progetto della centrale a carbone Fianona 3 sembra essere stato definitivamente cestinato poiché in netta controtendenza con le sempre più rigorose direttive antinquinamento in Europa. Quindi, così il ragionamento di Zagabria, è necessario sfruttare al massimo gli impianti disponibili onde non incrementare l'importazione di energia elettrica che già ora è pari a 400-500 milioni di euro all'anno. Ecco dunque l'idea di mantenere in vita per altri due decenni la Fianona 1 della potenza di 120 MW, entrata in funzione nel 1969, da anni considerata una caffettiera fumante, estremamente inquinante. Per continuare a funzionare dovrà adeguarsi alle norme comunitarie contro l'inquinamento, così come di recente fatto per la Fianona 2 costruita nell'anno 2.000. In altre parole si rende necessario installare il sistema Denox incaricato di rimuovere gli ossidi di azoto dalle emissioni della ciminiera nell'atmosfera, basandosi sulla tecnica della riduzione catalitica selettiva. Il costo dell'intervento fatto sulla Fianona 2 inclusa la sostituzione della turbina è stato di 27 milioni di euro. Alla notizia arrivata da Zagabria ha subito reagito l'associazione ambientalista Istria verde ricordando dalla sua entrata in funzione a questa parte, la Fianona 1 ha avuto devastanti effetti sull'ambiente e sulla salute degli abitanti dell'area. «Nel 2011 - spiega Istria verde - nello studio d'impatto ambientale della nuova Fianona 3, la Fianona 1 era stata giudicata obsoleta per cui si annunciava il suo smantellamento. E nel 2014 il governo croato aveva disposto la sua definitiva chiusura se entro l'1 gennaio del 2018 non venisse adeguata ai nuovi standard ecologici all'interno dell'Ue».

(p.r.)

 

CHERSO - Centrale solare che servirà 1.500 famiglie ad Aquilonia
Probabilmente l'anno prossimo comincerà la realizzazione di uno dei più grandi progetti infrastrutturali nell'arcipelago di Cherso e Lussino. È la centrale solare di Aquilonia (Orlez), sull'isola di Cherso, che si estenderà su una superficie di 17 ettari, con l'altezza dei pannelli che non supererà i 3 metri, adeguandosi dunque all'ambiente. Il progetto è stato illustrato agli abitanti di Aquilonia (il maggiore abitato dell'interno dell'isola) da esperti dell'istituto regionale per l'Assetto territoriale, i quali hanno precisato che l'impianto sarà concordato con l'Agenzia regionale per l'energia Quarnero. La centrale avrà una potenza di 6,5 MW e produrrà annualmente sugli 8 milioni e mezzo di chilowattore. A detta degli esperti una simile produzione servirà al fabbisogno di circa 1.500 nuclei familiari di Cherso e Lussino. Il sito di Aquilonia era stato scelto anni fa e inserito nel Piano regolatore della Regione quarnerino-montana nel 2013. Nel 2018 è previsto l'ottenimento della licenza per l'uso della superficie, dopo di che dovrebbero partire i lavori di costruzione.

(a.m.)

 

 

Parco commerciale in Fiera - Spunta la grana burocratica - Il progetto dell'austriaca Mid non combacia con piano regolatore e del commercio
La giunta: «Già avviato l'iter di modifica». Ma servirà pure il via libera della Regione
Sarà più tortuosa del previsto la nascita del grande centro commerciale che l'acquirente austriaco del comprensorio dell'ex Fiera intende realizzare davanti all'ippodromo. Per poterlo costruire, infatti, bisognerà modificare sia il piano regolatore che il piano del commercio, dovendo ottenere per quest'ultimo anche il via libera della Regione. La voce gira da tempo tra gli addetti ai lavori, e viene ora confermata anche dal Comune. La società austriaca Mid ha acquistato all'asta l'area nella primavera scorsa, e la proprietà è ora in mano alla filiale italiana con sede a Bolzano. È delle settimane scorse l'annuncio che al posto dell'ex fiera sorgerà un grande centro commerciale, un investimento da circa 70 milioni di euro. Peccato che il piano regolatore parli chiaro. Le destinazioni d'uso ammesse sono le seguenti: «Residenziale minimo 30&, massimo 60% del volume. Servizi e attrezzature collettive. Direzionale. Commerciale al dettaglio. Artigianale di servizi (attività compatibili con la residenza). Alberghiera. Parcheggi e autorimesse». Di residenziale, però, negli annunci della società, non c'è ombra. Ciononostante la giunta comunale è ottimista. Nei giorni scorsi ha approvato un'indicazione agli uffici (prodotta dagli assessori al commercio e all'urbanistica Lorenzo Giorgi e Luisa Polli) per predisporre le linee guida di una variante ai due piani. Spiega Polli: «La società ci chiede la disponibilità di circa 15mila metri quadrati di superficie commerciale, su un totale di 440mila ancora disponibile per il territorio di Trieste. In cambio provvederanno, senza oneri per il Comune, a realizzare un giardino pubblico interno, moltissimi parcheggi, oltre a riqualificare piazzale de Gasperi e la viabilità interna». La rinuncia al residenziale, prosegue, «evita di influire negativamente sul recupero del patrimoni esistente, per noi la soluzione preferibile». La trafila che seguirà, però, è in parte tecnica e in parte politica. La palla ora è passata agli uffici che dovranno produrre la variante. Questa dovrà poi passare in giunta (che si è già dimostrata propensa a procedere) e seguire il consueto iter di questi documenti: osservazioni da parte dei cittadini e vaglio da parte del consiglio comunale. Nel caso del piano del commercio, precisa Polli, sarà necessario anche il via libera della Regione: «La giunta regionale potrà approvare la variante così com'è, oppure richiedere delle ulteriori modifiche. Va detto che di solito il passaggio si svolge senza intoppi», spiega Polli. È lecito chiedersi, a questo punto, quali saranno le tempistiche per la conclusione dell'iter. Anche perché c'è in ballo un progetto che interesserà un'area ampia della città e, almeno sulla carta, dovrebbe dare lavoro a centinaia di edili.«Entro l'anno contiamo di aver pronta la delibera - dice Polli - per arrivare all'adozione in primavera. Fermo restando che non tutto il progetto è soggetto alla variante, sicché intanto il proprietario può partire con quella parte del cantiere». La società Mid è specializzata nella realizzazione e nella vendita di centri commerciali. Ha già costruito i Qlandia di Nova Gorica e Maribor, oltre a condurre operazioni analoghe in altri paesi dell'Europa centrale. Gli austriaci sono stati gli unici a partecipare all'asta dell'aprile scorso per l'area della Fiera, risultando vincitori il 10 aprile. Sul piatto hanno messo un gruzzolo di 12 milioni di euro, circa due in più rispetto alla base d'asta. Da allora alla conclusione del rogito, effettuata il 12 settembre scorso, sono passati diversi mesi. È lecito supporre che lo iato fra la destinazione prevista dal piano regolatore e le intenzioni della società abbia indotto ad attente valutazioni.

Giovanni Tomasin

 

 

La sfida Ferriera secondo il M5S - Domani all'Ariston il dibattito su ambiente, lavoro e stabilimento di Servola
Obiettivo dichiarato: far chiudere l'area a caldo della Ferriera di Servola. Sono stati molto espliciti ieri i numerosi esponenti del Movimento 5 Stelle che hanno presentato la conferenza dibattito in programma domani, a partire dalle 8.45, al cinema Ariston, nel corso della quale, alla presenza di due ingegneri esperti in materia e di referenti dell'associazione NoSmog, si discuterà delle misure da adottare per evitare che «l'area a caldo continui a inquinare e danneggiare l'ambiente di tutto il golfo di Trieste». «La nostra linea - ha detto il consigliere regionale M5S Andrea Ussai - prevede che si vada oltre l'area a caldo. I lavori di bonifica e l'intervento della Regione non hanno finora prodotto risultati. Domani - ha aggiunto - cercheremo di fare un ragionamento complessivo che coniughi lo sviluppo economico della città e la tutela della salute». Ilaria Dal Zovo, a sua volta in carica in Consiglio regionale, ha ricordato che «come M5S abbiamo allestito un calendario di date per parlare, in tutta la Regione, di vari temi. A Trieste partiamo con l'ambiente e spiegheremo cosa abbiamo fatto finora, ma vogliamo anche confrontarci con i cittadini e gli esperti del tema. Vogliamo far sapere quali sono i problemi e le criticità individuate - ha proseguito - ma anche presentare le nostre soluzioni in merito». La collega Eleonora Frattolin ha parlato di «utilità di una mobilitazione dell'opinione pubblica, affinché si faccia pressione sui pubblici amministratori». Cristina Bertoni, che rappresenta il M5S in Consiglio comunale a Trieste, ha detto che «all'Ariston riproporremo il tema della tutela ambientale, perché le emissioni di sostanze nocive sono aumentate a dismisura. Il bisogno di lavorare è forte ovunque, ma stiamo cercando di capire come far convivere questa necessità con quella della salute delle persone». Paolo Menis, anch'egli consigliere a Trieste, ha detto che «destra e sinistra non hanno risolto il problema Ferriera, cercheremo di farlo noi, che siamo l'unica forza politica che può tentare di fare qualcosa».

Ugo Salvini

 

 

Incontro - Comunicare il cambiamento climatico

Il Centro Ukmar "Miro" di Domio ospiterà oggi alle 20 l'incontro "Comunicare il cambiamento climatico", promosso da Comune di San Dorligo e Legambiente. Partecipa il rettore Maurizio Fermeglia.

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 30 novembre 2017

 

 

SEGNALAZIONI - SERVOLA - Gli odori del depuratore

Il giorno 23 mi trovavo a transitare col bus 8 verso le 19 diretto a Servola vicino ai depuratori dei liquami, in pochi secondi l'aria nel bus è diventata insostenibile (almeno per me) al punto di dovermi tappare il naso col fazzoletto causa l'odore di prodotti chimici adoperati. Ciò che mi ha lasciato a dir poco sconcertato è il fatto che per la gente che c'era sul bus (scesa poi quasi tutta in via Pitacco di fronte alla Ferriera) era come se niente fosse, respirava normalmente. Ora io capisco la mia forte sensibilità al problema odori specie quelli non naturali, ma non vedere nessuno che si lamentasse o si tappasse il naso mi ha fatto capire quanto quella povera gente sia straintossicata dalla Ferriera che dal depuratore. Inviterei qualche esponente politico o sanitario a provare l'aria che ho respirato io, si renderanno conto che i soldi che si spenderanno in futuro per cercare di guarire almeno in parte migliaia di concittadini saranno talmente tanti da costruire un'altra Ferriera ex novo con annesso depuratore dei liquami.

Silvio Stagni

 

 

SEGNALAZIONI - FERRIERA - Il superamento dell'area a caldo

Ritengo indispensabile, completare il mio pensiero riguardo quanto già espresso sui destini dei lavoratori della ferriera. Animato da buone intenzioni, da molti anni il sindaco Dipiazza si batte per la chiusura almeno della cosiddetta "area a caldo". Ma l'eco-mostro è un malato grave, che non si può curare con l'aspirina o un po' di antibiotico, ma bensì va accompagnato verso una dolce morte. Il gruppo Arvedi, oltre a un eccellente capitale umano, possiede un grande tesoro, che consiste nella concessione pluriennale di un'imponente area demaniale, posta a fronte mare, e dotata di moli per l'attracco di navi Una tale concessione, è di sicuro goloso interesse per un gran numero di imprenditori, con i quali Arvedi potrebbe associarsi per iniziare una nuova avventura non inquinante, portando ovviamente con sé un gran numero dei dipendenti attuali, una volta riqualificati. In questo lasso di tempo, dovrebbero intervenire degli ammortizzatori sociali a sostegno del reddito, mentre dovrebbe iniziare la dismissione delle infrastrutture, procedendo alla contestuale bonifica del terreno. Lavoro certamente lungo e complesso, al quale però, buona parte delle maestranze attuali potrebbe partecipare.

Vladimiro Marella

 

M5S - Conferenza-dibattito sulla Ferriera

 "L'area a caldo della Ferriera non è il futuro di Trieste": è questo il titolo della conferenza-dibattito sull'impianto siderurgico di Servola che si terrà sabato 2 dicembre, dalle 8.45, al cinema Ariston in via Romolo Gessi 14. L'iniziativa verrà presentata alla stampa oggi, alle 13, negli uffici del Gruppo del M5S in Consiglio regionale (piazza Oberdan 6, terzo piano), dai consiglieri regionali del M5s e quelli comunali di Trieste e Muggia.

 

 

La campagna "Spreco Zero" festeggia il vignettista e super testimonial Altan
C'è molta Trieste e molto Fvg nei premi "Vivere a spreco zero" consegnati a Bologna martedì pomeriggio: li promuove Last Minute Market, fondato dall'agroeconomista triestino Andrea Segrè, nell'ambito della campagna Spreco Zero, e i testimonial degli ultimi anni sono stati Susanna Tamaro, Paolo Rumiz e infine, per questa edizione, il cartoonist Francesco Tullio Altan, attivo ad Aquileia, che dal 2010 illustra con le sue vignette le iniziative promosse in chiave antispreco fra Bologna, l'Italia e l'Europa. Le prime due edizioni del Premio si erano svolta proprio a Trieste, nell'ambito di Next, poi la manifestazione ha fatto tappa due anni a Padova e quest'anno a Bologna. Altan ieri ha annunciato che devolverà integralmente il gettone del premio (800 euro) per il sostegno a una borsa di studio dell'Università di Udine finalizzata al sostegno di una tesi per strategie di comunicazione dell'impegno contro lo spreco alimentare, nell'ambito del progetto nazionale "Reduce".

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 29 novembre 2017

 

 

Muggia "allunga" la pista ciclabile fino alla Parenzana - Via libera ai lavori per la nuova tratta tra il porto e il rio Ospo - Posta ad hoc dalla Regione. Cantiere operativo in primavera
MUGGIA - Nuovo importante passo avanti per la realizzazione dell'itinerario ciclabile di collegamento tra il porto di Muggia e la ciclovia Parenzana Eurovelo 8. La giunta Marzi ha approvato il progetto di fattibilità tecnico-economico dell'intervento che è stato finanziato grazie ad una posta ad hoc inserita nell'assestamento di bilancio regionale. Fondamentale a tale proposito l'emendamento presentato da alcuni consiglieri di maggioranza, con l'esponente di Sel Giulio Lauri primo firmatario. Il cantiere che verrà aperto entro la prossima primavera interesserà circa un chilometro del percorso che, dall'approdo del Delfino Verde, arriva fino al collegamento con l'inizio della Parenzana accanto al rio Ospo. Costo dell'operazione? Circa 75mila euro stanziati appunto dalla Regione con un chiaro obiettivo: potenziare ulteriormente il turismo ecosostenibile. La conferma arriva dal sindaco di Muggia Laura Marzi: «Nel ringraziare la Regione non possiamo non constatare e ribadire che il finanziamento giunto dall'amministrazione Serracchiani costituisce di fatto un prezioso tassello per quel quadro che è la mobilità sostenibile in cui la nostra amministrazione crede fermamente». Marzi ha poi parlato di vero e proprio «appeal turistico» offerto dalle due ruote, mezzi ecologici per eccellenza. La conferma arriva dal numero di cicloturisti che, nel 2016, hanno toccato quota 15 mila presenze. Muggia, insomma, pare essersi guadagnata un posto di primo piano tra le località inserite nei circuiti del cicloturismo regionale e non solo. Il potenziamento del collegamento con il centro storico rivierasco è un'ulteriore conferma dell'importanza dell'Eurovelo, ossia la rete ciclistica europea, che proprio in queste terre trova un incrocio tra l'itinerario numero 8, la cosiddetta linea Est-Ovest che collega la Spagna con la Grecia e l'itinerario numero 9, ossia la Nord-Sud, che collega la Polonia con l'Istria croata. In termini più generali si evidenzia ancora una volta l'importanza del turismo slow a Muggia. Sono passati infatti poco più di sei mesi da quando la presidente della Regione Debora Serracchiani ha inaugurato assieme a Laura Marzi il primo tratto della pista ciclabile sul lungomare tra porto San Rocco e il confine con la Slovenia, nel lembo più meridionale del territorio regionale. Nello specifico, con la somma di circa un milione di euro, sono stati realizzati 600 metri tra punta Olmi e il molo a "T".A questo tratto, che scorre lungo la Strada provinciale n.14, è già in progetto un ulteriore allungamento di circa un chilometro. Tornando al tratto porto di Muggia-Parenzana, l'itinerario ha ottenuto ora l'ok da parte della giunta Marzi per il proprio progetto di fattibilità tecnico-economico. Accertato l'impegno di spesa da parte del Comune, pari a circa 75 mila euro (di cui 56 mila euro a base di gara), i lavori partiranno entro pochissimi mesi. L'obiettivo dichiarato dal sindaco Laura Marzi è chiaro: entro l'inizio della prossima estate il nuovo collegamento tra la ciclovia Parenzana Eurovelo 8 e il porto di Muggia sarà pronto.

Riccardo Tosques

 

 

Il ritorno alla terra di nonni e bambini con Orto in condotta
MUGGIA - Stagionalità, sementi, didattica all'aperto: sono alcune delle parole chiave del progetto "Orto in condotta", frutto della convenzione tra Comune di Muggia, istituto comprensivo "Lucio" e Slow Food. «Si tratta di uno strumento utile per l'educazione ambientale, alimentare e del gusto e si può ben integrare con le attività realizzate in questo ambito, a partire da quelle legate al miglioramento del servizio mensa», racconta l'assessore alle Politiche sociali Luca Gandini. A fronte di una spesa complessiva di 6 mila euro, il progetto, rivolto alle scuole muggesane con lingua d'insegnamento italiano, prevede, la creazione dell'Orto in condotta, un luogo dedito alla coltivazione di alcuni prodotti. Due gli indicatori essenziali che l'orto dovrà rispettare: la coltivazione dovrà seguire processi produttivi ecologici e le varietà coltivate dovranno prevedere ortaggi del territorio, scelti in particolare tra quelli catalogati nell'Arca del Gusto e nel progetto dei Presìdi Slow Food. Tra gli obiettivi, ovviamente, anche favorire tra gli alunni la conoscenza dei prodotti coltivati, mettendo a disposizione, ove possibile, cucina e personale della mensa, locali e attrezzature del refettorio per la degustazione dei piatti realizzati con i prodotti in questione, secondo quanto previsto dalla normativa vigente. Anche in questa progettualità acquisisce dunque un ruolo significativo il rapporto intergenerazionale, da anni al centro di diverse iniziative portate avanti dal Comune di Muggia. In questo caso, in collaborazione con Slow Food e l'Ic "Giovanni Lucio", sarà valorizzata la figura del "nonno-ortolano" che, in qualità di esperto volontario, si occuperà della gestione ordinaria dell'orto e si renderà disponibile almeno un giorno a settimana, nelle ore e nei modi concordati con gli insegnanti, per le attività in aula e in giardino. «Non solo i nonni, ma anche i genitori e l'intera comunità, insieme a studenti e insegnanti, saranno gli attori del progetto, andando a costituire la cosiddetta comunità dell'apprendimento per la trasmissione alle giovani generazioni dei saperi legati alla cultura del cibo e alla salvaguardia dell'ambiente», ha specificato Gandini. Il progetto prevede, infatti, anche l'elaborazione di una didattica e un programma pluridisciplinare per l'educazione alimentare collegata all'Orto in condotta e in tal senso è prevista pure l'organizzazione di un corso di aggiornamento, rivolto agli insegnanti, inerente l'educazione ambientale, alimentare, sensoriale e del gusto, gestione dell'orto e progettazione didattica delle attività in aula e all'aperto. «L'obiettivo è quello di sviluppare nei bambini, negli insegnanti e nelle famiglie una sensibilità verso una corretta alimentazione, un approccio rispettoso all'ambiente, basandosi in modo significativo sull'attivazione di una rete di comunità», ha aggiunto Gandini. Le scuole saranno peraltro anche inserite nella rete degli orti scolastici Slow Food, favorendo gli scambi nazionali e internazionali di esperienze. In questa fase organizzativa rimane ora l'individuazione dell'area destinata ad ospitare il progetto e le classi coinvolte in modo da poter iniziare i lavori ad inizio 2018.

(r.t.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 28 novembre 2017

 

 

Studio, sport e teatri - Trieste al sesto posto per qualità della vita - Quattro posizioni scalate in un anno e primato Fvg - Le note dolenti: i reati, la sicurezza e la demografia
A Trieste si vive bene per tanti motivi. Perché è la prima città per numero di start up e perché si fa tanta attività fisica. La cultura la fa da padrona, con un buon background di studio per gli over 25. Buone novelle giungono dunque, poiché il capoluogo giuliano si piazza al sesto posto della classifica sulla Qualità della vita curata dal Sole 24 Ore, che misura il benessere economico e sociale delle 110 province italiane. Non mancano però le note dolenti che emergono dalle graduatorie specifiche su giustizia e sicurezza e sul divario percentuale fra popolazione anziana e giovanissimi. Tuttavia ItaliaOggi domenica collocava Trieste in tutt'altra posizione, al 70° posto, spiazzando un po' gli amanti delle statistiche e mettendo contro destra e sinistra triestine. Litigi a parte, Trieste guadagna quattro posti rispetto al 2016 e si avvicina con celerità al podio, che per ora è occupato da Belluno, Aosta e Sondrio. Seguono Bolzano e Trento. Una sfilza di località tutte al Nord (per vedere la prima provincia del Sud e Isole bisogna scendere fino al 52° posto di Oristano), in cui al nono e decimo posto si inseriscono altre due province del Fvg: Gorizia e Udine. Pordenone invece resta al 13°. L'analisi è articolata in sei macro aree, a loro volta formate da 42 indicatori. Vediamo dove Trieste riesce a dare il meglio di sé. Primato innanzitutto per quanto riguarda l'indice di sportività. Così come, spostandoci di area, Trieste è al top per numero di start up innovative, che sono 45 ogni mille società di capitale. Per parlare di cultura, i teatri sono pieni zeppi di spettacoli: 132 ogni 100mila abitanti. E la spesa media pro capite dei turisti stranieri è pari a 1.730 euro: ottimo risultato se si pensa che a Crotone è di 60 euro circa. Nel settore ambiente e servizi il punteggio vola alle stelle (secondo posto) grazie alla spesa sociale pro capite degli enti locali per minori, disabili e anziani equivalente a 113 euro. Reggio Calabria, ad esempio, ne concede solo 4,6. Gli internauti possono dormire sonni tranquilli perché il 70% della popolazione è coperto dalla banda larga che galoppa a 30 megabyte. Bene anche per la presenza di sportelli Atm e Pos attivi, che sono 49 ogni mille abitanti. Non a caso, spostandoci nel girone della ricchezza e dei consumi, sono pingui i depositi bancari dei triestini, con una media mensile di 33.520 euro (terzo posto), il che spinge a spendere anche online (11.a piazza con 46 ordini all'anno per 100 abitanti). Exploit sul saldo migratorio interno (3,6 persone per mille abitanti), così come sul numero medio di anni di studio, 12, per la popolazione over 25. Non passano tanto tempo in tribunale i triestini perché solo il 5% delle cause totali pendenti supera i tre anni. Nel campo della giustizia comunque non gira buona aria. I dati sono molto sconfortanti per rapine (87° posto con 39 ogni 100mila abitanti), truffe e frodi informatiche (ultimo posto con 399 ogni 100mila abitanti), scippi e borseggi (469 ogni 100mila abitanti). Ancora furti in abitazioni (469 ogni 100mila abitanti) e di autovetture (293 ogni 100mila abitanti). Non bene nemmeno il reparto demografia e società. Scontate forse alcune etichette: 6,4% è il tasso di natalità per mille abitanti (vince Bolzano con il 10,4%) e 110.a piazza in base all'indice di vecchiaia, a causa del rapporto tra gli over 64 e la fascia d'età 0-14 anni. I tanti dati positivi diventano motivo di vanto dell'amministrazione di turno o bersagli se si parla della controparte. «Anche se mi fa piacere la classifica del Sole 24 Ore sulla qualità della vita - afferma il sindaco Roberto Dipiazza, che sottolinea i molti interventi avviati fino a oggi - quello che mi interessa è lavorare per i triestini, solo questo è importante». Segue il concetto il vicesindaco Pierpaolo Roberti, tenendo conto anche della classifica di ItaliaOggi: «Di lavoro da fare ce n'è ancora tantissimo e quel settantesimo posto deve essere uno stimolo a fare ancora di più e meglio». Frecciate al primo cittadino dal Pd: «Quando governavamo noi - affermano Antonella Grim, consigliere comunale e segretaria regionale dem, e Giancarlo Ressani, segretario provinciale -, Dipiazza ripeteva che Trieste era il regno del degrado e dell'insicurezza. Per farlo, si serviva spesso di classifiche come queste, che, lo sappiamo, non sono affatto dogmi. Davanti allo scenario schizofrenico proposto dalle due graduatorie, vorremmo sapere cosa ne pensa il sindaco: le userebbe ancora come metro di giudizio? Cosa direbbe del fatto che i giornali bocciano la città sul fronte della sicurezza nell'ultimo anno? Non era questo uno dei suoi cavalli di battaglia?».

Benedetta Moro

 

 

AcegasApsAmga - Il Rifiutologo "scaricato" 1800 volte

Sono passati 2 anni dal lancio, sui territori serviti da AcegasApsAmga, della app per smartphone e tablet sui servizi ambientali: il Rifiutologo. Dal 2015 sono stati oltre 10.200 i download effettuati, di cui 1.800 a Trieste.

 

 

Glifosato, l'Ue rinnova l'utilizzo - Il controverso erbicida potrà essere usato per altri cinque anni. Contrarie Roma e Parigi
BRUXELLES - Alla fine, i Paesi dell'Unione Europea hanno votato per rinnovare per cinque anni l'autorizzazione del controverso erbicida glifosato. A favore si sono espressi diciotto paesi, nove i contrari e un astenuto. L'Italia è tra quelli che hanno votato contro. «Adottiamo già disciplinari produttivi che limitano l'uso a soglie inferiori del 25% rispetto a quelle definite in Europa al fine di portare il nostro Paese all'utilizzo zero del glifosato entro il 2020», ha dichiarato il ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali Maurizio Martina. Anche il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato di aver chiesto al suo governo di «assumere le disposizioni necessarie affinché l'uso del glifosato venga vietato in Francia non appena verranno trovate delle alternative, al più tardi tra tre anni». A spostare gli equilibri è stato il voto positivo della Germania. Rispetto alla riunione del 9 novembre scorso, in cui i Paesi non erano riusciti a trovare un accordo, si sono espresse a favore anche Romania, Bulgaria e Polonia, che in precedenza si erano astenute. Con Francia e Italia si sono invece opposti Belgio, Grecia, Ungheria, Lussemburgo, Lettonia, Cipro e Malta. Astenuto il Portogallo. Oltre a rinnovare la licenza dell'erbicida, la decisione ribadisce le misure di salvaguardia e le raccomandazioni già approvate dall'Ue nel 2016, come il divieto di prodotti contenenti miscele di glifosato e poe-tallowamine, l'obbligo di ridurre al minimo l'utilizzo dell'erbicida in aree come parchi e giardini pubblici, campi sportivi e aree ricreative, e le limitazioni agli usi in fase di pre-raccolta. Soddisfatto il commissario Ue alla salute Vytenis Andriukaitis. «Il voto di oggi - afferma - dimostra che siamo in grado di condividere la responsabilità collettiva nel processo decisionale». Gli Stati membri «hanno fatto orecchie da mercante alla richiesta del Parlamento europeo di eliminare gradualmente il glifosato», attacca il gruppo dei socialisti dell'Eurocamera. È stata una «decisione scellerata che non tiene conto di accreditati studi scientifici sulla potenziale dannosità del pesticida» attacca Marco Zullo (M5S). All'opposto altri gruppi politici, come i conservatori dell'Ecr, per i quali il voto è stato «una vittoria della scienza su chi semina paure». Con il rinnovo della licenza la Commissione europea e molti governi hanno «tradito la fiducia dei cittadini», sostiene la direttrice delle politiche alimentari di Greenpeace Europa Franziska Achterberg.

 

Panchine da pic-nic ai laghetti delle Noghere - Il Comune di Muggia vince il concorso a premi di Bricocenter. Bussani: «Valorizzata tutta l'area»
MUGGIA - «Grazie a questo progetto i laghetti delle Noghere offriranno ora ben cinque panchine da pic-nic site miratamente nei punti più suggestivi dell'area e a disposizione di tutti coloro che vorranno godersi ancor più un ambiente che sembra esistere al di là dello spazio e del tempo». Francesco Bussani, vicesindaco di Muggia, annuncia l'arricchimento di arredi urbani posti nel biotopo muggesano. L'installazione delle panchine è stato possibile grazie al progetto "Pic-Nic ai Laghetti" presentato dal Comune di Muggia al Concorso a premi promosso da Bricocenter Italia srl denominato "Insieme per il nostro quartiere". «Un concorso destinato a progettualità mirate al quartiere della città in cui si risiede e nelle cui vicinanze sia presente un punto vendita Bricocenter, che per regolamento dovevano rispondere a requisiti di utilità sociale e dovevano essere realizzabili con piccoli lavori di fai da te come riparazione, manutenzione e abbellimento», ha puntualizzato Dario Formigoni, direttore del punto vendita muggesano. Muggia, con il suo progetto del pic-nic, si è aggiudicato il premio. «Non possiamo che ringraziare per questa preziosa opportunità Bricocenter, che ancora una volta ha offerto un servizio alla comunità», ha commentato l'assessore Bussani, ricordando anche la preziosa collaborazione avvenuta in occasione della vendita di piantine il cui ricavato era andato all'accoglienza degli studenti dell'Istituto comprensivo del Tronto e Val Fluvione durante il Carnevale estivo. I laghetti delle Noghere rappresentano una realtà storico-geomorfologica di particolare interesse nell'ecosistema della valle delle Noghere, presentandosi come uno splendido esempio di naturalizzazione di un'area antropizzata a scopi industriali in un passato recente. Formatisi dopo gli anni Settanta - quando chiuse la fornace e venne abbandonata la cava d'argilla presente lungo il corso del vicino rio Ospo - i laghetti delle Noghere sono un insieme di otto laghetti, profondi al massimo 7 metri, che offrono ospitalità a anatre, aironi e cormorani minori durante le migrazioni, ma anche ad anfibi e rettili. Ad essi si affiancano pesci di acqua dolce e tartarughe europee e della Florida. «Quell'area è suggestiva dal punto di vista paesaggistico - conclude Bussani - offrendo ai visitatori un ambiente selvaggio e lussureggiante».

Riccardo Tosques

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 27 novembre 2017

 

 

Qualità della vita ok a Nordest - Trieste e Gorizia fuori top ten - vedi l'indagine di Italia Oggi
ROMA - È Bolzano la provincia italiana dove si vive meglio, seguita da Trento. Nella top-ten - dove c'è molto Nordest - figurano Pordenone e Udine con Belluno, Vicenza e Treviso; ma Gorizia e Trieste si piazzano parecchio più in giù. Trapani il fanalino di coda. La classifica di ItaliaOggi per qualità della vita dà anche in forte risalita Roma, dall'88.o gradino del 2016 al 67.o attuale. L'indagine, pubblicata integralmente sul quotidiano oggi in edicola, è stata curata dal Dipartimento di statistiche economiche dell'Università La Sapienza di Roma col supporto di Cattolica Assicurazioni. Gli indicatori considerati sono: affari e lavoro, ambiente, criminalità, disagio sociale e personale, popolazione, servizi finanziari e scolastici, sistema salute, tempo libero, tenore di vita. Quanto al Fvg, tutte le province perdono posizioni: Pordenone si piazza nona (era quarta), Udine decima (era settima), Gorizia scende dall'11.o al 30.o posto, Trieste chiude al 70.o (rispetto al 51.o del 2016). Il capoluogo regionale resta ottavo (primo in Fvg) per il sistema salute, dove Gorizia è al 40.o; e avanza di una posizione, al 5.o, nel settore affari e lavoro, seguita da Udine 15.a, Pordenone 22.a e Gorizia 54.a. Sul fronte criminalità, se Udine si porta dal 5.o al 2.o posto Trieste scende dal 99.o al 101, e Gorizia dall'8.o al 45.o. Al 31.o posto il capoluogo isontino sul fronte dell'ambiente, dove invece Trieste chiude la classifica regionale all'87.o posto.

 

 

Convegno -  «Esposti all'amianto - Ricerca prioritaria»
Spazio e fiducia alla ricerca, ma ancora più valore agli aspetti psicologici e alla forza d'animo. Due i temi, o meglio, gli appelli al centro del quinto convegno a cura dell'Aea - Associazione esposti amianto del Fvg, svoltosi nell'Auditorium del Molo IV nell'ambito delle iniziative per il ventennale della fondazione della sede sociale di Trieste attualmente diretta da Aurelio Pischianz. I lavori, introdotti dalla giornalista Silvia Stern e moderati dal direttore della Chirurgia toracica dell'Asuits, Maurizio Cortale, e da Paola De Micheli della Medicina del Lavoro - hanno (ri)posto l'accento sulle conseguenze medico-legali dell'esposizione all'amianto in campo lavorativo, ma spostando l'attenzione dai numeri alle prospettive e dalle statistiche alle soluzioni. Un quadro che si è avvalso del contributo di Stefan Schoeftner, docente all'Università di Trieste (Scienze della Vita) e portavoce di PreCanMed, progetto di ricerca di frontiera e medicina di precisione nel Fvg e nel Tirolo, finanziato dall'Unione Europea. L'innovativo progetto di ricerca si basa sullo studio dei profili molecolari delle forme tumorali più diffuse (colon, mammella e polmoni) sul territorio, dando così vita a una sorta di banca-dati genomici dei pazienti in grado, potenzialmente, di aprire nuove strade in chiave di terapie personalizzate. «L'esposizione all'amianto in ambienti lavorativi può rappresentare un duplicatore, anzi un moltiplicatore - ha precisato Schoeftner -, specie per quanto riguarda le problematiche ai polmoni» .La ricerca ha bisogno di tempo, ma tuttavia i pazienti chiedono ancora altro tempo. Ed è qui che si racchiude il secondo nocciolo della questione, un tema non sempre conciliabile con le frontiere della scienza. Il convegno dell'Aea ha dunque dato respiro anche all'importanza dell'impatto psicologico e alle modalità con cui insistere e resistere, specie nel caso di "convivenza" con il mesotelioma, il killer reclutato dall'amianto. «La cultura della ricerca fa parte dei nostri obiettivi sin dal 2000 - ha ricordato Aurelio Pischianz, presidente dell'Aea Fvg -, ma attualmente tutte le cure disponibili sono soltanto palliative. Serve allora migliorare il "modus vivendi" e saper dire: d'accordo, ho un male ma devo e voglio affrontarlo. In qualsiasi maniera». Magari anche raccontandolo. Sì, perché la sfida si gioca anche lontano dagli ambulatori, coniugando memoria, lacrime e speranza. Vedi il libro di Santina Pasutto Persich, "Amianto - Oggi va un po' meglio...", opera a offerta libera edita dall'Aea.

Francesco Cardella

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 26 novembre 2017

 

 

Allarme incendio al termovalorizzatore - Pompieri ieri mattina in via Errera. Fiamme causate da un guasto elettrico in una cabina. Stop all'impianto, oggi la ripresa
Incendio, ieri mattina, al termovalorizzatore di via Errera in zona industriale. L'impianto, gestito da Hestambiente srl, società del Gruppo Hera, ha subìto un problema tecnico a un condensatore di una delle cabine elettriche. L'incidente, che si è verificato attorno alle 7, ha fatto scattare immediatamente gli allarmi e le procedure di emergenza. Non risulta alcun ferito. Le fiamme sono state domate dai vigili del fuoco alle 7 e 40: i pompieri sono intervenuti sul posto con due mezzi di soccorso. Il danno è comunque circoscritto ai quadri elettrici della cabina e non ha interessato la spazzatura depositata. Ma per ragioni di sicurezza tutte e tre le linee si sono bloccate. Dovrebbero ripartire già questa mattina, anche perché il guasto è stato riparato ieri pomeriggio dal personale della società. Ciascuna linea è formata da un forno e una caldaia, oltre che da un sistema di trattamento dei fumi di combustione. Che, per effetto dell'incendio, è andato progressivamente esaurendosi per poi spegnersi del tutto. Il fumo avvistato nella zona da parte dei cittadini è stato causato dal vapore acqueo proveniente dalle caldaie. Una dinamica, spiegano ancora dalla società, determinata dal blocco del sistema. Il fumo sprigionato dall'incendio, invece, si è alzato soltanto nei minuti in cui è avvenuto l'incidente. I danni comunque non appaiono troppo gravi. Anche se, come detto, si attendono precisazioni dagli accertamenti.Il termovalorizzatore di Trieste è in buona sostanza un impianto di smaltimento dei rifiuti che segue un processo di combustione ad alta temperatura. Il calore sviluppato da questo processo viene riutilizzato per produrre energia. Sono vari gli step di cui si compone il meccanismo di termovalorizzazione: in buona sostanza, la ricezione e lo stoccaggio dei rifiuti, la combustione e la generazione di vapore. Complessi anche i processi di depurazione fumi, che seguono alcuni passaggi precisi: l'abbattimento degli ossidi di azoto, il trattamento dei gas acidi, l'iniezione di carbone attivo per l'abbattimento dei microinquinanti e dei metalli pesanti; e, ancora, il riscaldamento dei fumi attraverso una temperatura di 120°C per mezzo di uno scambiatore ad hoc. L'ultimo intervento riguarda la "cogenerazione di energia elettrica e termica": l'impianto, tecnicamente, è dotato di un'unica turbina a vapore a servizio delle tre linee, accoppiata ad un alternatore destinato alla produzione di energia elettrica. La potenza elettrica lorda generata teorica è di 14,9 megavatt. Le tre linee di incenerimento, va detto, funzionano indipendentemente l'una dall'altra in modo da garantire il processo di incenerimento anche in caso di stop di una di queste.

Gianpaolo Sarti

 

 

A Trieste la festa del volontariato - Ambiente, arte, sport e società tutti presenti a "Voci in piazza"
Gli attori del volontariato locale scendono in campo per dare vita a una giornata di sensibilizzazione, colore e condivisione. Succede oggi, all'interno di "Voci in piazza", manifestazione a cura dell'associazione culturale Naica in programma in piazza Hortis dalle 11 alle 20.Edizione numero 3, copione nel complesso consolidato. "Voci in piazza" rappresenta infatti una fiera del volontariato, iniziativa che punta a dare spazio e respiro a sigle ambientaliste, animaliste, sociali, ma anche a gruppi impegnati nello sport e nell'arte. Insomma, una piccola "Woodstock" del volontariato, quello possibilmente non all'insegna del fai da te, dove poter entrare in contatto diretto con la gente e far conoscere temi, obiettivi, sviluppi e prospettive. La terza edizione di "Voci in piazza" pone dunque l'accento sull'importanza dell'informazione ma non disdegna altri risvolti, ancor più concreti e di impatto. In primo piano infatti anche le raccolte fondi ma pure la propaganda della cucina vegana, con degustazioni (salate, dolci e senza glutine), proiezioni di documentari e punti informativi sui percorsi del veganesimo. La manifestazione si tinge di caratteri a carattere new age con vetrine riservate ai canali delle tecniche energetiche e al Reiki, ma non scorda anche la solidarietà nei confronti degli animali, riservando degli stand in grado di fornire informazioni sul tema delle adozioni e alcune linee guida sulla cura di cani, pappagalli e conigli. Con il Natale oramai alle porte, la manifestazione accoglie al suo interno anche altri richiami tipici del momento, come il mercatino, con spazio all'usato, alla bigiotteria, all'uncinetto, all'artigianato e alle varie possibili idee regalo. Non è tutto. Il villaggio del volontariato apre anche ai bimbi (con il gioco a premi Big Memory) e alle forme di creatività alternativa, tra tatuaggi e acconciature di trecce. Ulteriori informazioni su www.naica.it.

Francesco Cardella

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 25 novembre 2017

 

 

I 120 anni dalla nascita dell'altoforno che divide - La prima colata nell'impianto di Servola nel novembre 1897
La fabbrica era pronta da un anno, ma è il 24 novembre 1897 che la Ferriera di Servola vide scorrere la sua prima colata. Era l'inizio di una lunga storia, fatta di lavoro, sicurezze, fatica, dolore e proteste, che prosegue ancora oggi. Nel momento in cui suonava la prima sirena della fabbrica, buona parte dell'Europa era ancora parte degli Imperi centrali, Trieste era lo sbocco al mare dell'Austria Ungheria, lo zar aveva ancora vent'anni di regno innanzi a sé. Oggi il mondo è mutato: l'Europa è unita non sotto una corona ma nel segno di Bruxelles, il porto sta tornando vitale per il Centro Europa dopo un ciclo durato cent'anni, Trieste ha cambiato volto, ma la Ferriera di Servola è sempre lì, affacciata sul golfo. Non è più la stessa di centoventi anni fa, ma continua a fare il suo mestiere. Con tutto ciò che esso comporta in termini di occupazione e ambiente, due aspetti ineliminabili, che a volte la politica ha messo in contrapposizione. Chi tesse le lodi dell'effetto sull'occupazione è sicuramente Osvaldo Bianchini, quasi 79 anni, ex dipendente dell'impianto: «Prima di me ci ha lavorato mio padre, per 35 anni, ricorda. Poi ci sono entrato anch'io, dopo aver studiato al Nautico». Furono proprio quegli studi marinareschi che gli valsero il soprannome di "capitano" presso i suoi colleghi: «Con gli anni sono diventato prima capoturno e poi caporeparto. Quand'ero capoturno in fonderia ho visto quanto duro fosse il lavoro degli operai, ma anche quanta solidarietà ci fosse». Bianchini ricorda un lavoratore di Belluno «che aveva lavorato vent'anni in cava e poi era arrivato in fonderia»: «Lui aveva quasi sessant'anni e io trenta. A volte montava il turno di notte e non arrivava del tutto lucido. Chiedevo ai suoi colleghi cosa dovessi farne e loro rispondevano "lascialo tranquillo, il suo lavoro lo facciamo noi"». Secondo Bianchini quel mondo fa parte anche del futuro: «Si parla di chiudere l'area a caldo, ma io spero che la amplino. Arvedi ha le competenze per farlo in modo moderno e porterebbe molti posti di lavoro».Il segretario di Fiom Marco Relli la vede così: «C'è un articolo del 1918 del Corriere della Sera, in cui si parla di Roma e si dice che non è una città industriale, a differenza di "Milano, Torino, Trieste"». Era l'effetto della politica industriale austriaca: «La ferriera era parte di una filiera a quei tempi. Poi è stata marginalizzata come Trieste, ma comunque oggi resta l'unico impianto oltre a Taranto a circuito integrale, dove arriva minerale ed esce metallo». L'unica possibilità per il futuro, aggiunge, «è modernizzare radicalmente gli impianti, che ora sono quelli degli anni Sessanta». Alda Sancin del comitato No Smog, tra le anime storiche dell'opposizione all'area a caldo, commenta: «Centoventi anni spiegano molto. L'impianto è nato per fare "quattro secchi" di ghisa e lentamente si è allargato. Mentre nel frattempo lo faceva anche l'antichissimo abitato di Servola». Prosegue: «Nella mia infanzia l'impatto era diverso. C'era un po' di polvere, puzza di zolfo, ma niente di paragonabile agli effetti della produzione di oggi. Una volta i ragazzi passavano sotto alla ferrovia e andavano al "bagno della Ferriera". Oggi è inimmaginabile». Conclude: «Una cokeria a cento metri dalle case nel 2018 è impensabile, l'impianto continua a operare come una volta: il sistema altoforno-cokeria è un'idea dell'Ottocento. Anche nei paesi in via di sviluppo si è capito che la ghisa si può fare diversamente. Ma nella città della scienza, la scienza si ferma ai Campi Elisi». Aggiunge Giorgio Cecco di FareAmbiente: «In tanti a Trieste hanno vissuto di Ferriera. Mio padre ci lavorava dagli anni Sessanta». Ora, però, il mondo è cambiato: «I lavoratori non sono più 1400, e penso che quelli rimasti meriterebbero un'alternativa di lavoro più salubre. Anche perché l'area a caldo, ormai, necessiterebbe di investimenti troppo ingenti. Meglio sarebbe puntare sul laminatoio e sugli sviluppi portuali. Sarebbe bello fare una lotta unitaria, lavoratori e cittadini, per uno sviluppo sostenibile».

Giovanni Tomasin

 

GLI ULTIMI ACCADIMENTI - La petizione nel lungo dibattito su occupazione e ambiente
A centoventi anni di distanza dall'accensione dell'altoforno, lo stabilimento di Servola non è più soltanto luogo di magnifiche sorti e progressive dell'industria moderna, ma simbolo del dibattito sulla compatibilità fra un certo tipo di produzione, salvaguardia dell'occupazione e difesa dell'ambiente e della salute. Di questi giorni la petizione con cui gli operai della fabbrica hanno chiesto rispetto, decidendo di rompere il silenzio «perché esasperati dalla continua e gratuita violenza verbale», di cui si sentono vittime da quando imperversano le proteste sulla chiusura dell'area a caldo. «Ci sentiamo presi di mira per un lavoro che viene portato avanti onestamente», spiega una promotrice della raccolta di firme, che domanda di cessare gli attacchi da parte dei comitati e dello stesso sindaco. «Chiediamo e ci appelliamo a tutti coloro che, con buona volontà, vogliono costruire un percorso condiviso e rispettoso nei nostri confronti, per migliorare l'ambiente e la salute - così il documento firmato dai lavoratori - di confrontarsi con noi nelle iniziative che promuoveremo senza urla, senza ostilità, offese o preconcetti». L'iniziativa ha provocato la reazione del Comitato 5 dicembre che, pur premettendo che «il dialogo tra noi cittadini e gli operai sia fondamentale», ha parlato di «protesta a nostro avviso completamente pretestuosa e infondata di certi operai» e di «un'operazione mediatica scorrettissima dell'ufficio stampa della proprietà». Il Comitato No Smog ha a sua volta manifestato comprensione per la condizione di disagio dei siderurgici, invitandoli a non vedere gli attivisti anti Ferriera come nemici: «Siamo disposti anche noi al dialogo, ma se fino ad adesso non c'è stato è perché i lavoratori hanno lanciato fuoco contro noi residenti di Servola».

(d.d.a.)

 

 

Nella battaglia per i rifiuti soccombe AcegasAps
L'utility triestina ha perso il primo round davanti al Tar, accolto il ricorso della romagnola Ciclat che era stata esclusa da un appalto da 9,3 milioni
Nella battaglia per aggiudicarsi spazzamento e raccolta dei rifiuti solidi nell'area urbana triestina, la romagnola Ciclat, in associazione temporanea d'impresa(ati) con l'altra romagnola Formula Ambiente, ha vinto il primo round con l'appaltante AcegasApsAmga. Una gara da 9,3 milioni, bandita nella scorsa primavera, dalla quale la coppia romagnola era stata esclusa nella fase di pre-qualifica dei candidati. AcegasApsamga, che preferisce parlare il meno possibile della vicenda, conferma comunque per le vie ufficiose che di recente il Tar del Friuli Venezia Giulia ha dato ragione alla ricorrente. L'utility triestina-padovana-udinese non demorde e impugnerà l'avversa sentenza davanti al Consiglio di Stato. L'azienda del gruppo Hera, prefigurando i lunghi tempi della decisione giudiziale, ha congelato il verdetto della gara, prorogando gli attuali gestori del servizio - Italspurghi e cooperativa Sole - fino al 30 aprile 2018. Sempre in modo ufficioso, sembrano chiarirsi anche le ragioni dell'impugnazione del bando e della conseguente sconfitta di AcegasApsAmga in sede Tar. Alla base vi sarebbe il riferimento, nel testo del bando, al contratto nazionale cosiddetto Fise, che regola i rapporti tra le utilities e i lavoratori. Ciclat è una società cooperativa, che probabilmente applica contratti alternativi/diversi da quelli Fise. Questo avrebbe motivato l'esclusione di Ciclat e dell'alleata Formula Ambiente dalla gara. Allora il giudice potrebbe aver eccepito la scelta di AcegasApsAmga in una duplice direzione: perchè restringe l'ambito concorrenziale e perchè l'adozione di un contratto di lavoro dal costo meno impegnativo rende meno onerosa la spesa per l'effettuazione del servizio. Un automatismo: costa meno l'appalto, si riduce l'incidenza sulla tariffa. Quindi si alleggerisce la Tari. Alla fine, inserendo la ricorrente Ciclat, la gara avrebbe un più elevato livello di competizione con l'eventualità di costi minori a vantaggio dell'utenza finale. Cioè, la bolletta del cittadino. Per intendersi: il costo orario per addetto con contratto Fise si aggira attorno ai 23-24 euro, il costo di una tipologia contrattuale differente scende a 17-18 euro. Il servizio di spazzamento e raccolta rifiuti richiede il lavoro di una sessantina di unità. Tra gli operatori triestini questa linea interpretativa ha suscitato attenzione. Perchè la vicenda di AcegasApsAmga, seguita in questo contenzioso dalla capogruppo Hera, potrebbe diventare un classico caso di scuola, applicabile in altre procedure di gara. A questo punto la società triestina attenderà il responso di Palazzo Spada, ma intanto dovrà valutare il punto di caduta: consentire ai ricorrenti romagnoli di partecipare alla lizza già bandita o azzerare l'iter e riformulare il testo? Se il Consiglio di Stato confermerà l'indirizzo del Tar Fvg, le altre aziende in gara potrebbero ritenere che le loro offerte, modulate sul contratto Fise, diverrebbero meno competitive. Che fare? Ciclat è una realtà importante del settore, che fattura poco meno di 150 milioni di euro. Ha sede a Ravenna ma opera in gran parte del territorio nazionale. Sua partner nell'inedita operazione Trieste era la vicina Formula Ambiente di Cesena. Interessante notare che sui siti è apparsa recentemente la notizia secondo cui Ciclat è disponibile a eventuali collaborazioni con Hera per affrontare l'imminente maxi-gara, per un servizio della durata di quindici anni, mirato alla raccolta rifiuti in provincia di Ravenna e nel territorio cesenate. E'stato lo stesso amministratore delegato di Ciclat Ambiente, Cesare Bagnari, a prospettare questa eventualità. Avversari a Trieste e alleati in Romagna? Tornando alla gara triestina, il valore ammonta a 9,3 milioni di euro e si organizza su due lotti, che coprono le Circoscrizioni 3°, 4°, 5°, 7°. Il periodo è piuttosto compresso, in quanto la durata è di due anni, allungabile di un terzo. Non è ammesso il subappalto e sono richiesti mezzi con determinati requisiti. E'stata invece aggiudicata la gara che riguarda l'Altopiano, dove ha prevalso la cooperativa sociale Querciambiente insieme a Germano e Basaglia

Massimo Greco

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 24 novembre 2017

 

 

Pressing del M5S - «Uno studio ambientale sull'area di punta Olmi»
MUGGIA - Assegnare in tempi rapidi lo studio sulla tutela idrogeologica e delle specie viventi locali site nell'area tra punta Olmi e punta Sottile. Emanuele Romano, capogruppo consigliare del Movimento 5 Stelle, rispolvera un tema ambientale affrontato nell'ultimo mandato della precedente amministrazione comunale retta dall'allora sindaco Nerio Nesladek. «Nel 2014 il Comune di Muggia aveva pubblicato un avviso per una consulenza sulle aree in questione, a cui risposero due professionisti in grado di soddisfare tutti i requisiti richiesti. E nel 2015 il Consiglio comunale aveva impegnato l'amministrazione a commissionare uno studio ad hoc. Nonostante tutte queste premesse, però lo studio non venne mai affidato», tuona Romano. Il grillino ha lamentato poi la scarsa trasparenza da parte del Comune. «La delibera in oggetto, la numero 55 del 2015, non è consultabile nella sezione "Trasparenza" del sito del Comune. Gli uffici da noi interpellati - spiega il consigliere del M5S - hanno risposto che la presente ricerca di mercato non avrebbe configurato avviso di gara né proposta contrattuale, non avrebbe altresì comportato l'instaurarsi di posizione giuridiche o il sorgere di obblighi negoziali». Romano dunque entra nel vivo della questione: «I motivi per cui volevamo consultare lo studio erano legati alla volontà di approfondire i temi della tutela idrogeologica e delle specie viventi locali. Se la ricerca non configurava obblighi negoziali, quale impegno scaturisce dalla delibera 55? E se si vuole tener fede al principio dell'efficienza ed economicità dell'azione amministrativa è sbagliato sprecare il lavoro fatto in inutili ricerche di mercato. Così come è sbagliato - aggiunge Romano - sbandierare in Consiglio improbabili accessi a fondi europei: se non ci sono gli studi e i progetti, queste risorse economiche europee difficilmente arriveranno a Muggia». Pronta la replica del sindaco di Muggia Laura Marzi presente anche nella scorsa amministrazione comunale: «L'area tra punta Olmi e punta Sottile è ben tutelata dal Piano regolatore generale del Comune di Muggia, riconosciuto come un documento innovativo proprio anche in virtù del fatto che ha recepito e tutelato gli aspetti paesaggistico-ambientali del territorio» . Ricordando come all'interno del Prgc sia stato inserito «un Rapporto ambientale in cui vengono analizzati nello specifico gli aspetti relativi all'ambiente muggesano» e che nelle Norme tecniche di attuazione si trovino «anche le direttive per la salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio», Marzi ha puntualizzato come «la ricerca di mercato non presupponeva nessun obbligo per l'Amministrazione precedente, che, ponderata attentamente la situazione ha valutato di non proseguire l'iter per il Sito di interesse comunitario, il cosiddetto Sic».

Riccardo Tosques

 

 

Italia Nostra Trieste festeggia 55 anni

Domani Italia Nostra celebrerà il 55°anniversario della fondazione della sezione di Trieste. Per festeggiare, domani i soci visiteranno la mostra sul Liberty e il parco di Miramare e la mostra Biennale Internazionale Donna al Magazzino 26. Qui, alle 16, si terrà la celebrazione del 55° anniversario alla presenza di Rodolfo Corrias di Italia Nostra nazionale.

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 23 novembre 2017

 

 

Piantati fiori e arbusti nella Giornata dell'albero
Da piazza Hortis a Ponziana, è stata una Giornata degli alberi ricca di appuntamenti per Elisa Lodi e Angela Brandi, assessori rispettivamente ai Lavori pubblici e all'Educazione. Sono state coinvolte le circoscrizioni e le scuole comunali, mentre le associazioni "Tra fiori e piante" e "Trieste bella" hanno contribuito alla realizzazione di alcune iniziative. Un doppio evento mattutino si è svolto nel giardino di piazza Hortis, di recente riqualificato dal Comune. Le scuole della quarta circoscrizione hanno piantato alcuni bulbi da fiore nel parco, mentre i volontari delle due associazioni hanno appeso dei cartellini identificatori su alcuni alberi, con tanto di nome comune, nome scientifico e area di diffusione di ogni specie. Prima di presenziare alla cerimonia in piazza Hortis, Lodi e Brandi sono state all'asilo nido comunale Piccoli passi, dove è stato piantato un Biancospino. Più tardi altri esemplari dello stesso albero sono stati messi a dimora nell'area verde in prossimità della rotonda del Boschetto, nonché a Basovizza e a Ponziana, nella scuola dell'infanzia Stella marina. Entro domani altri Biancospini saranno piantati a Gretta, nella primaria Saba, nel giardino di Altura "Falcone e Borsellino" e vicino al laghetto di Contovello. «Per omaggiare simbolicamente i bambini nati quest'anno, di entrambi i sessi, abbiamo donato due alberi a ognuna delle sette circoscrizioni - ha spiegato Lodi -, circoscrizioni che sono state così incluse per la prima volta nella Giornata degli alberi. E a tal proposito invito i cittadini a visitare il sito verdepubblico.comune.trieste.it». «Quest'anno abbiamo coinvolto soprattutto le scuole, per sensibilizzare i più piccoli al concetto di albero come corpo, come vita - ha aggiunto Brandi -. Ricordo, tra gli altri, il progetto "Orto condotta", ovviamente coltivato dagli studenti, per ribadire la nostra attenzione al tema dell'ecologia». La Giornata nazionale degli alberi è stata riconosciuta dalla legge italiana nel 2013 e costituisce un'occasione di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sull'importanza del patrimonio arboreo e boschivo.

(l.g.)

 

 

Tre "new entry" sulle rive del laghetto di Contovello
TRIESTE - Il Comune si prepara a piantare tre piccoli alberi, due biancospini e un tiglio, nell'area verde vicina all'antico stagno di Contovello. La breve cerimonia avrà corso domani alle 9.30 e si inserisce nelle iniziative della Giornata nazionale degli alberi. «La messa a dimora delle tre "new entry" - spiega la presidente della circoscrizione di Altipiano Ovest Maja Tenze - rappresenta un valore aggiunto e un primo passo decisivo nel percorso complessivo di rivalutazione di uno degli angoli più rappresentativi e pittoreschi del Carso. Accanto ai due biancospini voluti dal Comune, abbiamo aggiunto anche un tiglio, simbolo della comunità slovena. Un primo piccolo intervento sulla strada della riqualificazione di uno stagno e di un'area che rappresentano un valore non solo per la comunità locale, ma anche per coloro che qui giungono per percorrere uno dei sentieri più belli di tutta la provincia». Dal laghetto di Contovello infatti parte quel sentiero "Natura" che, attraversando i boschi del costone carsico, raggiunge l'entrata a monte del Parco di Miramare. Da diversi anni il primo parlamentino, incalzato dalla comunità di Contovello, chiedeva la salvaguardia dello stagno devastato dall'incuria e, in particolare, privato di quell'acqua che è la sua parte essenziale. Causa calure estive e prosciugamento delle vene d'acqua durante la realizzazione di alcuni complessi edilizi, il vecchio "kal"(stagno in sloveno) era ormai ridotto ai minimi termini. A completare il degrado, l'immissione di piante e animali del tutto inadeguati a uno stagno carsolino. Sul finire dell'estate, finalmente, la presa di coscienza del Comune e la decisione della giunta di ridare dignità e decoro all'area naturalistica. L'intervento di recupero consiste nella realizzazione di alcune griglie di captazione delle acque piovane e, opera fondamentale, di una presa d'attacco alla rete idrica territoriale, accessibile ai tecnici nei periodi di forte siccità, al fine di recuperare l'acqua utile a rivitalizzare lo stagno.

(m.l.)

 

 

Premiato il volontariato di TriesteAltruista - La onlus entra a far parte del circuito nazionale la "Mappa dell'Italia che dona". È l'unica in regione
"TriesteAltruista", l'organizzazione triestina di volontariato senza fini di lucro e indipendente, fondata nel 2012 da soggetti privati e che oggi conta più di mille aderenti, è entrata a far parte, unico soggetto dell'intero Friuli Venezia Giulia, della "Mappa dell'Italia che dona". Un importante riconoscimento per il gruppo che ha, come obiettivo istituzionale, quello di creare, in collaborazione con le onlus, gli enti pubblici e le aziende, significative opportunità di volontariato, che siano flessibili e da svolgere in gruppo, adatte anche a chi ha poco tempo e non può garantire continuità. L'ingresso dell'associazione triestina nel novero nazionale è avvenuta nell'ambito della "Giornata del dono", tenutasi a Milano, nel corso della quale privati, istituzioni, associazioni di volontariato sono stati chiamati a proporre iniziative per sensibilizzare la cultura del dono. «TriesteAltruista ha ottenuto l'ammissione alla Mappa - ha spiegato nel dettaglio Gennaro Andino Castellano, uno dei fondatori dell'associazione - in virtù della presentazione del corso di formazione per capi progetto dal titolo "Donatori del proprio tempo e artefici del cambiamento"». «Il dono è diventato un patrimonio della Repubblica - ha detto il presidente dell'Istituto italiano della donazione, Edoardo Patriarca - e la Giornata istituita dal Parlamento due anni fa è servita a liberare energie e idee che stanno migliorando l'Italia». Le scuole e i giovani sono stati i protagonisti del Giorno del Dono 2017: 10mila studenti di 64 istituti scolastici sono stati coinvolti. Quasi 150 invece le amministrazioni comunali che hanno partecipato alla campagna, raddoppiate rispetto al 2016, con iniziative o adesioni morali. Oltre 250 gli enti del terzo settore che hanno dato il loro contributo con iniziative o adesioni e circa 20 le imprese che hanno voluto celebrare il Giorno del Dono. «Insieme a MilanoAltruista e Romaltruista - ha precisato Castellano - siamo affiliati come membri alla rete HandsOn, una no profit di origine statunitense, presente in 250 città americane e in 16 paesi del mondo. In questo modo - conclude il co-fondatore di TriesteAltruista - avremo sempre maggiori opportunità di contatto e interazione con vari soggetti e potremo ampliare il nostro raggio d'azione».

Ugo Salvini

 

 

I fondali raccontano la storia dell'Adriatico - Relitti e opere d'arte - Il 17 dicembre sbarcherà al Salone degli Incanti una curata esposizione sull'archeologia subacquea
Il nostro mare Adriatico è come uno scrigno, custode di storie millenarie che aspettano soltanto d'essere riportate in superficie. «Ci sono più relitti sul fondo del mare rispetto alle navi che lo solcano», diceva lo scrittore e saggista croato bosniaco Predrag Matvejevic, grande cantore delle civiltà del Mediterraneo e degli incroci tra i popoli che s'affacciavano sulle sue acque. E'ispirata proprio alle sue parole e alla sua concezione del Mediterraneo come "mare che unisce" la straordinaria mostra che aprirà i battenti il 17 dicembre al Salone degli Incanti, trasformandolo per cinque mesi in un grande mare, in cui il pubblico potrà idealmente immergersi per scoprire un'infinità di storie che per lungo tempo, a volte secoli, a volte millenni, sono rimaste celate sotto le acque. Storie di pace e di guerra, di scambi e traffici commerciali, di incroci di genti e di merci, perfino storie di pirati. A raccontarle sarà la mostra "Nel mare dell'intimità - L'archeologia subacquea racconta l'Adriatico", che per la prima volta, con un'esposizione di 2000 metri quadri, offrirà al pubblico in una visione d'insieme relitti, opere d'arte e oggetti della vita quotidiana, merci destinate alla vendita e attrezzature di bordo letteralmente ripescate dai fondali del nostro mare. Saranno circa un migliaio i reperti in mostra, ciascuno con la propria storia, provenienti dai numerosi giacimenti sommersi e prestati per l'occasione da musei italiani, croati, sloveni e montenegrini. A collaborare a questa mostra, che è organizzata dal Servizio di catalogazione, formazione e ricerca dell'Erpac (Ente Regionale per il Patrimonio Culturale Fvg e dall'assessorato alla Cultura del Comune di Trieste), sono infatti oltre 60 istituzioni culturali italiane e internazionali, tra le quali la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio e il Polo Museale regionale, con il coinvolgimento di 50 studiosi e una fortissima presenza di reperti provenienti dalla Croazia, che grazie anche a un accordo bilaterale fra i due Ministeri della Cultura ha messo a disposizione quasi la metà dei pezzi in esposizione, provenienti da 17 diversi musei. Come simbolo dell'esposizione è stato scelto proprio un reperto croato: l'Apoxyomenos o "Atleta di Lussino", antica opera scultorea greca in bronzo, databile tra il I e il II secolo dopo Cristo, di cui a Trieste verrà esposta una copia perfetta. L'ex Pescheria di Trieste, grazie all'allestimento curato dall'architetto Giovanni Panizon, si trasformerà in un paesaggio d'acqua, un fondale sommerso che permetterà di leggere in maniera più esaustiva l'intensità degli scambi culturali e dei traffici commerciali, la specificità della costruzione navale antica, la ricchezza delle infrastrutture e il dinamismo dei paesaggi costieri, le storie degli uomini che hanno attraversato questo mare intimo. Ad accogliere il visitatore all'ingresso della mostra sarà un'installazione che simula la forma e le correnti dell'Adriatico, permettendo una visione simultanea di ben 22 diversi modelli d'imbarcazioni che nel corso dei secoli hanno solcato il nostro mare. Lasciatosi alle spalle il mare, il pubblico raggiungerà uno spazio espositivo che riproduce in negativo lo scafo di una nave antica, nel quale saranno posizionati i reperti archeologici marini. Saranno dieci le sezioni della mostra, ciascuna corrispondente a un tema: Lo spazio Adriatico, I porti e gli approdi, Le navi, Le merci, Gli uomini, I lavori del mare, La guerra sul mare, Il mare e il sacro, L'Adriatico delle migrazioni e La ricerca sotto il mare."Nel mare dell'intimità" si pone l'ambizioso obiettivo di raccontare la storia dell'Adriatico dall'antichità ai nostri giorni con gli occhi dell'archeologia subacquea. «E' una disciplina poco nota al grande pubblico, che non gode della giusta attenzione - afferma la curatrice della mostra, l'archeologa Rita Auriemma, direttrice del Servizio catalogazione, formazione e ricerca dell'Ente Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia -. Con questa mostra vogliamo far capire alla gente cosa significa fare archeologia subacquea e spiegare il valore di una ricerca in gran parte sommersa e sotterranea che annoda legami antichissimi». L'esposizione è frutto di un intenso e coordinato lavoro di ricerca, reso possibile dai contatti e dalle relazioni tra ricercatori dei diversi Paesi che s'affacciano sull'Adriatico. E lungi dal rappresentare un punto d'arrivo, mira piuttosto a incoraggiare una riflessione legata alla tutela e alla ricerca dei beni sommersi e a fornire un contributo in tal senso, offrendosi come trampolino di lancio per nuove ricerche e progetti. E' questo il caso, per esempio, della Iulia Felix, imbarcazione romana del III secolo ritrovata nel 1987 a 16 metri di profondità sui fondali marini al largo di Grado. L'imbarcazione, lunga 18 e larga 5-6 metri, è stata rinvenuta intatta con il suo carico di 560 anfore. In mostra a Trieste ci sarà la riproduzione della sezione trasversale della nave di Grado, che è stata progettata dagli archeologi e dal maestro d'ascia Gilberto Penzo, che hanno studiato lo scafo e il carico di questo relitto. Questa preziosa ricostruzione a grandezza reale finita la mostra costituirà il primo nucleo espositivo del Museo archeologico di Grado. Nella sezione saranno stivate le anfore originali del carico, che contenevano prodotti alimentari, principalmente pesce e conserve ittiche, e una riproduzione della botte che racchiudeva i frammenti di vasellame vitreo trasportati per essere rifusi, un sistema di riciclaggio già praticato nell'antichità perché più economico rispetto alla produzione di vetro ex novo. Trasportava sempre vetro, ma anche collane, candelabri, lampadari, campane di bronzo, lingotti di piombo, coloranti, bicchieri di cristallo e rotoli di seta preziosa la Gagliana Grossa, o relitto di Gnalic, una galea di mercato affondata in Croazia nel 1583 con un carico di lusso ed estremamente variegato, che spedito da Venezia avrebbe dovuto arrivare via mare al sultano ottomano Murad III. A quel tempo tra la Serenissima e l'Impero Ottomano era guerra aperta, ma nonostante le ostilità le due potenze continuavano a intrattenere rapporti commerciali. La nave, del peso di circa 720 tonnellate, fu fatta costruire a Venezia da Lazzaro Mocenigo, Benedetto da Lezze e Piero Basadonna e venne varata nel 1569. Caduta nelle mani degli Ottomani nel luglio del 1571 presso l'isola di Saseno (Albania), trascorse i successivi dieci anni al loro servizio, prima di venire acquistata, nel 1581 a Costantinopoli, dalla famiglia Gagliano. Per questa ragione, all'epoca del naufragio, la nave portava il nome di Gagliana Grossa.A bloccarne la traversata e farla finire sul fondo del mare, a sud di Zara, fu una tempesta, facilitata dall'eccesso di carico. Ma i resti di questo naufragio, custoditi nei fondali marini e riportati alla luce dagli archeologi subacquei nel corso di diverse campagne condotte dal 1967 ai giorni nostri, oggi costituiscono una sorta di finestra sulla storia degli anni successivi alla Battaglia di Lepanto, che nel 1571 fermò il dominio turco nel Mediterraneo. Il carico della nave era composto da materiale eterogeneo di produzione artigianale, con molte merci di uso comune e con una particolare abbondanza di materiale vitreo, per un totale di più di 5500 oggetti. Una variegata selezione di questi reperti sarà esposta al Salone degli Incanti. Ogni pezzo in mostra racconterà una storia: per approfondirle una a una è stato realizzato un accurato catalogo

GIULIA BASSO

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 22 novembre 2017

 

 

Ciclabile del Carso - Fiab Ulisse in pressing sulla Regione
TRIESTE - Fiab Trieste torna sul progetto della Ciclabile del Carso e sollecita nuovamente la Regione, con l'intento di smuovere la situazione, ferma ormai da tempo. «Il progetto della Ciclabile del Carso che prevede un itinerario di 35 chilometri da Draga Sant'Elia a Monfalcone - riepiloga Federico Zadnich di Fiab Trieste Ulisse - ha ormai quasi dieci anni. L'ormai soppressa Provincia di Trieste nel 2009 ha avuto un finanziamento di due milioni e 900mila euro per realizzarla. Nel 2009 erano stati fatti un progetto di massima ed una Conferenza dei servizi. Poi tutto si era arenato». Due anni fa Fiab aveva raccolto pure 1.300 firme e ottenuto dalla Provincia la promessa di un sostegno, una strada che sembrava in discesa e che allora aveva portato alla stesura del documento esecutivo. Poi più nulla. Da gennaio 2017 la competenza è passata alla Regione e il sodalizio triestino, che promuove la mobilità sostenibile, è tornato alla carica. «Nel recente incontro tra l'assessore regionale alle Infrastrutture Mariagrazia Santoro e una delegazione del Coordinamento regionale Fiab - prosegue Zadnich - è stato chiesto un aggiornamento sull'iter. Il Rup (Responsabile unico del progetto, ndr) ha detto che prima di passare al bando per i due lotti della Ciclabile, uno da Draga a Sistiana e l'altro da Sistiana al canale di Moschenizza, ci sono tre passi procedurali da superare: rifare documentazioni predisposte nel passato e nel frattempo "scadute", realizzare un piano particellare e in seguito avviare accordi con i proprietari dei terreni attraversati dalla Ciclabile o gli espropri». Nell'incontro Fiab ha chiesto all'assessore Santoro che, per ridurre i tempi, si parta contemporaneamente con tutti i due lotti nella realizzazione di questi passaggi e non in sequenza, come attualmente ipotizzato. Fiab aveva già sollecitato la Regione ad accelerare le procedure alcuni mesi fa, quando l'ente aveva annunciato la chiara volontà di scommettere sugli spostamenti "green" sul territorio, con un assestamento di bilancio che, nel triennio 2017-2019, prevede finanziamenti per oltre tre milioni di euro mirati a interventi per la creazione di nuove piste ciclabili o la sistemazione di quelle esistenti. «In definitiva la strada per pedalare sulla Ciclabile del Carso è ancora lunga - conclude Zadnich - ma Fiab Trieste auspica che la Regione e i suoi tecnici possano nel minore tempo possibile concludere i necessari passaggi procedurali e il bando. Una ciclabile da Draga Sant'Elia a Monfalcone promuoverebbe stili di vita sani tra i triestini e sarebbe un'importantissima infrastruttura per il cicloturismo, un settore in forte espansione che potrebbe essere sempre di più un'opportunità di sviluppo economico sostenibile per Trieste e il Carso».

Micol Brusaferro

 

 

Le Falesie di Duino riaprono le loro porte grazie a un patto a tre - Al vaglio del Consiglio l'intesa tra Comune, Wwf e club nautici per rendere accessibile l'area con progetti didattici e turistici
DUINO AURISINA - Le Falesie di Duino tornano a disposizione della collettività, in particolare degli studenti e delle scolaresche, dei turisti e dei diportisti, nell'ambito di un nuovo progetto di valorizzazione del territorio predisposto dal Comune di Duino Aurisina. Va in questa direzione il Protocollo d'intesa che l'amministrazione guidata dal sindaco Daniela Pallotta si appresta a sottoscrivere avendo come partner l'Area marina protetta di Miramare da un lato e le società nautiche locali dall'altro. Il testo sarà sottoposto stamani al vaglio del Consiglio comunale, dopo aver già superato, qualche giorno fa, l'esame in sede di Commissione Ambiente. «Abbiamo varato un programma di educazione ambientale destinato ai giovani e ai giovanissimi - spiega l'assessore Andrea Humar - che prevede una stretta collaborazione con i tecnici e gli esperti del Wwf, i quali condurranno le scolaresche nella Riserva marina delle Falesie, per utilizzare quello straordinario paesaggio a scopo didattico. Ma non abbiamo dimenticato i diportisti - aggiunge Humar - e per favorirli intendiamo alleggerire l'iter burocratico che garantisce il diritto a entrare nella Riserva marina delle Falesie, in virtù di uno specifico permesso. A questo scopo - precisa l'esponente della giunta Pallotta - abbiamo già contattato la Regione. L'obiettivo è di coinvolgere le società nautiche del territorio, affinché possano essere loro a consegnare direttamente i permessi, sulla base di una delega del Comune, peraltro senza dover sopportare il costo dei bolli, come avviene attualmente». Le scelte della giunta vanno nella direzione di un generale utilizzo delle aree a mare: «Nel piano della valorizzazione - dice Chiara Puntar, presidente della Commissione consiliare che ha la competenza sull'Ambiente - sono comprese anche l'area risorgiva del Timavo e la Costa dei Barbari, perché intendiamo segnare una svolta rispetto alle politiche del passato, tornando a dare alle zone indicate un preciso ruolo nell'ambito dello sviluppo turistico, della didattica nelle scuole, nello sport. Le società nautiche del territorio - prosegue Puntar - saranno invitate a creare una rete didattico-turistica, in cui uno specifico compito di divulgazione scientifica sarà riservato ai tecnici del Wwf che operano nel contesto della Riserva marina di Miramare. Siamo al cospetto - ribadisce - di una vera e propria rivoluzione nella modalità di utilizzo della Riserva delle Falesie, oltre che delle risorgive del Timavo e della Costa dei Barbari». Nel corso della recente campagna elettorale, da molte voci si erano alzate le richieste di una sostanziale riapertura di tali siti al pubblico utilizzo. «Vogliamo dare una risposta a tali istanze - riprende Puntar - pur prestando la massima attenzione alla tutela dell'ambiente e del territorio. Determinati divieti per quanto concerne l'avvicinamento alla costa da parte dei diportisti rimarranno - continua la presidente della Commissione Ambiente - perché come amministrazione intendiamo assicurare la conservazione del bellissimo patrimonio paesaggistico del nostro Comune».«Tuttavia - conclude - è anche giusto che la popolazione residente e i turisti possano godere e beneficiare delle bellezze del nostro territorio, trovando il giusto equilibrio fra le diverse esigenze».

Ugo Salvini

 

 

 

 

GREENSTYLE.it - MARTEDI', 21 novembre 2017

 

 

Nube radioattiva: Russia ammette, livelli 986 volte oltre la norma

Il servizio meteorologico russo ha confermato i livelli record di Rutenio-106 nella nube radioattiva che si è diffusa in Europa. Sebbene il governo russo abbia più volte smentito le responsabili riguardo l’incidente, il meteo Rosgidromet ha confermato la presenza dell’isotopo radioattivo in diverse zone del Paese e in particolare Tatarstan e nel sud della Russia. L’Europa sarebbe stata attraversata dal fenomeno tra il 27 settembre e il 13 ottobre 2017 mentre dal 29 settembre avrebbe raggiunto, sostiene il quotidiano britannico The Guardian: “Tutti i Paesi europei, a partire dall’Italia e poi verso il Nord Europa”. Allarme nube radioattiva scattato il 9 novembre 2017 e diffuso dall’Istituto per la Sicurezza nucleare francese, che aveva rilevato la presenza anomala di Rutenio-106 e individuato la fonte della contaminazione in un punto situato tra il Volga e gli Urali. Se allora le autorità russe hanno negato ogni coinvolgimento, ora sembrano verificarsi le prime parziali aperture. In particolare sembra che il valore 986 superiore al normale sia stato registrato ad Argayash, villaggio nella regione di Chelyabinsk. A circa 30 km da lì si trova inoltre il sito di Mayak, luogo simbolo per il disastro nucleare verificatosi nel 1957 e tutt’ora utilizzato quale impianto di riprocessamento del combustibile esaurito. Greenpeace ha chiesto in via formale al Rosatom l’apertura di un’inchiesta e la pubblicazione di tutti i dati disponibili. Sulla questione è infine intervenuto anche Jan Van De Putte, Greenpeace Belgio, che ha chiarito la sua opinione in merito alle possibili cause che hanno portato alla diffusione della nube radioattiva: È pericoloso a livello locale, diciamo nella zona intorno a Mayak, ma la radioattività viene diluita enormemente attraverso distanze così vaste, e questo naturalmente riduce molto i rischi qui in Europa occidentale. Il rutenio 106 è usato per lo più nel settore medico, nella cura del cancro, e una delle ipotesi è che potrebbe trattarsi di un macchinario fuso in un’unità di riciclo del metallo, per esempio. Questo è uno dei percorsi possibili per una fuga così imponente di rutenio.

Claudio Schirru

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 21 novembre 2017

 

 

Piazza Libertà e Montebello - Entro il mese il via alle gare - Nello spazio davanti alla Stazione cantiere aperto a metà del prossimo anno
Slitta al 2019 la riqualificazione della galleria tra piazza Foraggi e via Salata
Due dei più lenti cantieri della recente storia amministrativa triestina stanno per mettersi in moto allo scadere del 2017. Riflettori puntati su Piazza Libertà e su Galleria Montebello, entrambe bisognose - a diverso titolo - di energici lifting. Partiranno prima i lavori di riqualificazione in Piazza Libertà, l'ampio spazio che si estende davanti alla Stazione Centrale. Il Comune bandirà la gara internazionale nelle prossime settimane, perchè AcegasApsAmga ha recapitato i progetti relativi ai cosiddetti sotto-servizi (allacciamento delle reti). Quindi il quadro degli interventi da svolgere è completato: la tempistica, ipotizzata dai Lavori Pubblici municipali, prevede l'avvio effettivo dei lavori prima dell'estate 2018 da concludersi nel giro di un anno alla metà del 2019, con uno slittamento di circa sei mesi rispetto all'annuncio risalente allo scorso marzo. L'operazione, che sarà seguita in qualità di "rup" da Enrico Cortese, è finanziata da oltre 4 milioni di euro, provenienti soprattutto da antiche poste del governo centrale (2,3 milioni) e della Regione (1,5 milioni). La notizia è emersa ieri mattina, a margine del dibattito in II e IV commissione consiliare coordinato dai presidenti Cason (Lista Dipiazza) e Babuder (FI), dedicato a una sessantina di modifiche del Piano triennale delle opere contenute nella variazione di bilancio che andrà probabilmente in aula la prossima settimana. I principali interventi sono stati illustrati dall'assessore Elisa Lodi e dal direttore dei Lavori pubblici Enrico Conte. Proprio sulla riqualificazione di piazza Libertà, nel 2017 viene applicato un avanzo vincolato di oltre 1,8 milioni di euro. La "cosmesi" di piazza Libertà danza sui tavoli comunali da 13 anni: il progetto, presentato a marzo, prospetta alcune innovazioni che riguarderanno l'inizio di viale Miramare, l'utilizzo di via Ghega, l'ampliamento dei marciapiedi, lo spostamento delle fermate dei bus. Sempre a margine della commissione, un secondo annuncio ha riguardato la galleria Montebello, che collega piazza Foraggi a via Salata, un'infrastruttura fondamentale nella comunicazione tra il centro cittadino e la periferia meridionale. Anche in questo caso decollerà entro fine mese una gara per l'affidamento della progettazione: sarà un incarico decisamente corposo per un valore di circa 800 mila euro, che riguarderà un cantiere da 13 milioni, forse il più impegnativo tra quelli gestiti dal Comune. E anche in questo caso sarà inevitabile uno slittamento: l'avvio dei lavori si sposterà verso il 2019. Una storia infinita quella della galleria, che necessita da anni di un intervento che le pesanti ripercussioni sul traffico urbano, gli "spazi finanziari" imposti dalla legge di stabilità, gli adeguamenti procedurali e progettuali hanno continuamente costretto/consigliato di procrastinare. Si pensi che il primo progetto era stato messo a punto nella primavera 2015. Così il dossier è rimbalzato dal Dipiazza 2° a Cosolini e da Cosolini al Dipiazza 3°. Adesso siamo alla stretta, perlomeno progettuale, che dovrà tenere conto di un fattore determinante: Dipiazza, per evitare ricadute difficilmente governabili sulla circolazione di auto e di bus (altrimenti dirottati su via dell'Istria, su via Baiamonti, sulla Grande Viabilità), ha preteso che i lavori all'interno della galleria si svolgano su una corsia e che il tunnel non venga chiuso. Non solo: in occasione di un incontro con l'associazione ciclisti Fiab, lo stesso sindaco ha assicurato che la galleria sarà dotata di due corsie per le biciclette. Infine, tra i principali interventi su cui la giunta chiede via libera al consiglio, c'è il completamento della ristrutturazione riguardante l'ex istituto Carli in via del Teatro romano: in particolare, saranno risistemate le soffitte, che accoglieranno la sede delle rappresentanze sindacali. Spesa di 700 mila euro.

Massimo Greco

 

IL PIANO - Priorità per Porto vecchio tra recinzione e parcheggi
Cimitero, Porto vecchio, parcheggi, cultura, turismo, sport: la delibera, che apporta una sessantina di modifiche al Piano triennale delle opere e che è stata discussa ieri mattina da due commissioni riunite (la II e la IV), sembra proprio un provvedimento omnibus, che affronta antichi fascicoli e nuove richieste formulate dal sindaco, dalla giunta, dalla maggioranza. Tra le nuove opere, su esplicita sollecitazione di Dipiazza, c'è l'acquisto del nuovo forno crematorio da inserire nel cimitero di Sant'Anna: il costo presunto, riportato nell'apposita casella dell'allegato, parla di 600 mila euro, in gran parte finanziato dall'avanzo vincolato.Il progressivo passaggio degli asset di Porto vecchio dall'Autorità al Comune consiglia il nuovo proprietario a disporre una serie di interventi manutentivi sui beni ricevuti o in via di recezione. Si comincia dal refitting dedicato alla lunga recinzione che in viale Miramare perimetra l'area ex portuale. Anche questo è un cavallo di battaglia del sindaco, che nel recente passato aveva suscitato polemiche perchè aveva ipotizzato il coinvolgimento lavorativo di rifugiati e richiedenti asilo ospitati a Trieste. Ma la manutenzione straordinaria, che costerà circa 78 mila euro, necessita di un preventivo vaglio della Soprintendenza e di aziende specializzate nell'esecuzione di opere relative ai beni culturali. Al termine del Porto vecchio il sindaco ha voluto che fosse realizzato un parcheggio sul terrapieno di Barcola: anche questa è una new entry, sulla quale il Comune investirà 530 mila euro, drenati attraverso un finanziamento dell'Uti, l'avanzo vincolato, la vendita di titoli. In tema di viabilità un finanziamento di 150 mila euro consentirà la manutenzione straordinaria di Pontebianco e Ponteverde, le strutture che sulle Rive scavalcano il Canal Grande dalla parte del mare. Alcuni significativi interventi sono programmati tra cultura e turismo. A cominciare dalla ristrutturazione e ampliamento dell'Aquario, il primo lotto viene integrato con quasi 300 mila euro, cosicchè il ripristino del contenitore avrà a disposizione quasi 600 mila euro ed evidenzia una prioritaria rilevanza nella programmazione comunale. Recentemente si erano levate proteste tra i visitatori per le precarie condizioni in cui versa la struttura. A supporto dell'offerta culturale - ma non solo - il finanziamento, che serviva a incrementare la segnaletica turistica, viene invece dimezzato a 100 mila euro. In ambito sportivo è lo stadio Rocco a ricevere rinforzi con un nuovo stanziamento pari a 340 mila euro per la ristrutturazione, riqualificazione e adeguamenti normativi. sarà lo stesso direttore dei Lavori Pubblici, Conte, a fungere da responsabile del procedimento. Un'altra iniezione di risorse, pari a 260 mila euro, rafforza l'intervento sulla copertura della piscina Bianchi. A dire il vero qualche impianto ci rimette: è il caso del vecchio stadio Ferrini a Ponziana, che vede l'originaria dotazione di 450 mila euro scendere a 100 mila euro. Infine, gli uffici hanno raschiato un po' di soldi per un lotto di 107 mila euro destinato ai serramenti delle scuole, un tema assai popolare per sicurezza e igiene degli edifici. Piazza Hortis avrà una nuova recinzione con 90 mila euro.

magr

 

 

Il verde pubblico è ancora poco - Meglio al Nord ma la percentuale resta bassa. Serve manutenzione
ROMA Il verde pubblico, un tempo semplice indice della qualità urbanistica degli spazi costruiti, oggi rappresenta un indicatore dello sviluppo urbano sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. È ormai ampiamente condivisa la consapevolezza che la presenza di spazi verdi aperti può migliorare la salute e contribuire alla qualità della vita, tutelando l'ecosistema urbano, mitigando i rischi dei cambiamenti climatici e dell'inquinamento e contribuendo alla sicurezza alimentare e idrica: rendendo le nostre città più resilienti. Non a caso la Nuova Agenda Urbana dell'Onu al 2030 inserisce tra gli indicatori chiave per il futuro delle città sostenibili la presenza di spazi verdi, e la Commissione Europea ha lanciato il tema delle infrastrutture verdi. Simbolo del nostro verde sono gli alberi, ai quali dal 2013 ormai è dedicata una Giornata Nazionale, fissata per ogni 21 novembre. Gli alberi sono ricchezza, salute e spesa sociale, agricoltura, industria del legno, turismo ambientale, ma anche storia e identità. A giudicare dal rapporto sulla qualità urbana di Ispra - l'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale del ministero dell'Ambiente - per fotografare la situazione, c'è ancora molto da fare, in quanto nei 116 Comuni capoluogo presi in considerazione, in ben otto su dieci il verde pubblico non incide per più del 5%, con particolare riferimento alle città del sud e delle isole. Tra le città infatti con poca disponibilità pro capite di aree verdi e basso valore anche nella percentuale generale di verde, troviamo L'Aquila, Barletta, Crotone, Enna, Foggia, Isernia, Lecce, Olbia, Siracusa, Taranto e Trani, oltre però anche ad alcuni capoluoghi con alta densità cementizia nel nord, come Genova, Imperia e Savona. Spiccano con alta densità di verde urbano Gorizia, Pordenone, Sondrio e Trento al Nord, Matera e Potenza al Sud. Le città "più verdi" sono quelle con più alti valori nelle aree protette: Messina, Venezia e Cagliari. Da segnalare naturalmente che alcune grandi città come Milano, Torino e Roma registrano una discreta percentuale di verde sulla superficie comunale pur venendo certificati valori di disponibilità pro capite medio-bassi in relazione alla popolosità, con la Capitale che risulta essere la città con la maggiore estensione di aree naturali protette (il 30,5%, quasi 400 milioni di metri quadrati), grazie alla presenza di polmoni verdi come Villa Borghese e Villa Pamphili. Dalla sua istituzione la Giornata Nazionale degli Alberi ha riscontrato interesse da parte dei Comuni: l'84,5% delle città la celebrano piantando nuovi alberi; il 58,6% ha dato il via a campagne di sensibilizzazione rivolte ai cittadini per far crescere la cultura del verde, mentre il 24% ha previsto percorsi formativi per addetti alla manutenzione del verde. Un dato, quest'ultimo, la cui crescita è fondamentale, dal momento che la qualità delle nostre aree verdi non può prescindere dall'efficienza della manutenzione e dall'attenzione dei Comuni verso quelle professioni qualificate a mantenere il nostro ambiente ben tenuto.

Alfredo De Girolamo

 

 

Le sfide di Bolzonello tra Ferriera e alleati - il tour in FVG
TRIESTE - Sergio Bolzonello chiude il mini tour regionale auspicando un'alternativa all'area a caldo della Ferriera, nel corso dell'ultimo incontro con gli iscritti al Partito democratico tenutosi ieri a Trieste. Alla fine di un serrato discorso di autopresentazione della propria candidatura alla guida della Regione, il vicepresidente e assessore alle Attività produttive si è smarcato in parte dalla linea della giunta Serracchiani, spiegando di ritenere «fondamentale la difesa dei lavoratori», ma aggiungendo che «le alternative all'area a caldo potrebbero essere messe a disposizione di un ragionamento: oggi questa alternativa non c'è e serve un piano per riconvertire l'area alla funzione logistica. Si può ragionare con l'imprenditore, senza demonizzare l'area a caldo ma pensando anche a scenari diversi, senza blaterare come ha fatto qualcuno». E la stoccata al sindaco Roberto Dipiazza è chiara. Bolzonello parla per quaranta minuti. Si alza in piedi dopo la presentazione del segretario provinciale Giancarlo Ressani e impugna lo stesso foglio di appunti che aveva in mano all'assemblea regionale in cui ha annunciato l'intenzione di candidarsi alla guida di un'alleanza di centrosinistra. Quel foglio è diventato una coperta di Linus e al centro vi campeggia la parola «unità» da cui l'ex sindaco di Pordenone fa partire tre frecce. «Unità del partito, della coalizione e dei territori del Friuli Venezia Giulia». Per Bolzonello l'unità dell'alleanza deve superare «la scissione dell'atomo della sinistra: non sottovaluto le cause della difficoltà di rapporti col Pd, ma abbiamo il dovere di arrivare fino all'ultimo minuto per trovare unità su valori e programmi». Seguono l'appello ad approvare lo ius soli e l'applauso del centinaio di presenti. L'unità è pure quella dei territori, con la sottolineatura che «il Fvg è la più grande piattaforma logistica d'Italia, con un porto che va da Trieste a San Giorgio, un porto franco che darà sviluppo a tutta la regione e i tre interporti di Cervignano, Udine e Pordenone. A Trieste abbiamo investito sul porto e sui cluster della nautica e dello smart health, ma ricordo anche che due anni fa la Wärtsilä sembrava se ne andasse e invece ne abbiamo ottenuto il rilancio, così come abbiamo garantito l'80% di rimborso ai risparmiatori Coop». Vista l'assenza di candidature alternative, l'assemblea del 27 indicherà Bolzonello come la scelta del Pd, dandogli mandato di costruire programma e coalizione. Il vicepresidente ricorda allora che «la comunità cui appartengo non è solo il Pd ma quella che si fonda sui diritti della persona e che non lascia indietro nessuno: dobbiamo camminare tutti assieme e non avere paura del domani, come diceva un noto filosofo che si chiama Bob Marley». Per farlo, Bolzonello propone di «rimettere al centro i fondamentali come scuola e lavoro: solo così si rimette al centro l'individuo». Poi la conferma dell'intenzione di chiedere a Roma le competenze sulla scuola, come in Trentino. Bolzonello sa che la campagna elettorale si giocherà su sanità, Uti e profughi. Ed è sulle Unioni territoriali che ricerca la discontinuità: «Dalle Uti non si torna indietro ma dobbiamo dare risposte agli amministratori dopo aver corso troppo. Qualcosa faremo già in finanziaria». Il vicepresidente tiene invece il punto sui migranti: «Servono accoglienza diffusa, regole precise e integrazione attraverso il lavoro. Bene l'azione di Minniti».La chiusura dell'incontro vede Bolzonello chiamare vicino a sé Roberto Cosolini, secondo cui «Sergio è in campo per vincere e noi dobbiamo essere in campo con lui». Il candidato in pectore parla di «amicizia e grande stima» per l'ex sindaco: un potenziale assessore è già stato scelto.

(d.d.a.)

 

 

Festa dell’albero alle 15.30, in piazza Hortis.

Riconoscimento degli alberi monumentali della piazza in 8 mosse attraverso una app per tablet e smartphone presentata da Pierluigi Nimis (Università di Trieste) e letture sotto l’albero a cura dell’associazione L’una e l’altra”.

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 20 novembre 2017

 

 

Fondi bis per la bonifica di Acquario - In arrivo dalla Regione 400mila euro per il terrapieno di Muggia. Si punta ad aprire parcheggi e accesso al mare entro l'estate
MUGGIA - «Entro l'inizio della prossima estate garantiremo i parcheggi e l'accesso al mare per i bagnanti di Acquario». Francesco Bussani, assessore ai Lavori pubblici di Muggia, strappa la promessa ai propri concittadini dopo la notizia ufficiale di un nuovo finanziamento per la riqualificazione del terrapieno. La Regione ha infatti deliberato uno stanziamento al Comune di Muggia, attraverso l'Uti Giuliana, pari a 400 mila euro da utilizzare per i lavori di bonifica del sito inquinato di Acquario. Una somma fondamentale per portare a termine il cantiere avviato da qualche mese. Attualmente il terrapieno è interessato dalla messa in sicurezza permanente del primo lotto. L'area interessata si riferisce ai 900 metri che formano la passeggiata a mare prospiciente la scogliera. Ma non solo. Sono in fase di allestimento anche due aree parcheggio per un totale di quasi 100 stalli: uno all'inizio e l'altro alla fine del terrapieno. La spesa complessiva del primo lotto di lavori si aggirava attorno al milione di euro: con il finanziamento giunto dalla Regione la chiusura del cantiere sarà garantita al 100%, con possibilità anche che parte dell'avanzo venga utilizzato per il secondo più impegnativo lotto che dovrà interessare il terrapieno vero e proprio. «Il cantiere sta procedendo bene e sicuramente il finanziamento giunto tramite le Uti è il primo tassello necessario per chiudere tutta la questione Acquario», puntualizza Bussani. Gli interventi sul terrapieno, a lungo interdetto a causa di complesse vicende giudiziarie legate all'inquinamento dell'area, sono stati sbloccati dopo 13 anni di attesa a metà del 2015 quando la Conferenza di servizi regionale ha approvato il progetto definitivo per la sua messa in sicurezza e bonifica. Gli attuali cantieri sono la prosecuzione del recupero del lungomare muggesano iniziato lo scorso marzo con i lavori di riqualificazione del tratto costiero tra Porto San Rocco e Punta Olmi. Già realizzato anche il primo tratto della pista ciclabile sul lungomare tra Porto San Rocco e l'ex confine. Nello specifico sono stati interessati 600 metri tra Punta Olmi e il Molo T, per la cui realizzazione è stato speso un milione di euro. «A questo tratto, che scorre lungo la Strada provinciale 14, si sta aggiungendo ora un ulteriore segmento di circa un chilometro con altri interventi di supporto all'offerta turistica, in particolare la creazione di un'area parcheggio con un centinaio di posti auto suddivisa in due zone che renderà fruibile la prima parte di Acquario», precisa Bussani. Per quanto riguarda invece il secondo e più cospicuo lotto relativo al "cuore" del terrapieno, si attende conferma dei cospicui finanziamenti che la Regione dovrebbe assegnare all'Uti Giuliana (si parla di circa 2 milioni di euro) da cui il Comune dovrebbe poter attingere la somma necessaria per chiudere uno dei capitoli più difficili della storia amministrativa rivierasca.

Riccardo Tosques

 

 

Scontro sulla Ferriera, il Pd invoca buon senso - L'appello di Codega: «Comitati e istituzioni diano prova di responsabilità». Domani dibattito a Muggia
«L'appello degli operai della Ferriera ha evidenziato in maniera palese una conduzione poco responsabile della problematica relativa all'impianto di Servola. Gli operai e le loro famiglie ne pagano lo scotto più pesante e fanno bene a denunciarlo». A intervenire nel dibattito innescato dalla petizione lanciata dai lavoratori è il consigliere regionale del Partito democratico Franco Codega. «Serve più responsabilità - aggiunge l'esponente democratico - da parte di gruppi e associazioni che continuano a denunciare stati e livelli gravi di inquinamento che non vengono poi suffragati dagli studi e dalle rilevazioni degli enti preposti (come lo studio del 2014 dell'Osservatorio ambiente e salute e i dati del "Focus Ferriera" dell'Arpa). Denunce che poi vengono opportunamente strumentalizzate da forze politiche per averne un ritorno meramente elettorale. La conseguenza - spiega Codega - è di rendere insopportabile il rapporto tra i residenti del quartiere e le maestranze dello stabilimento, con il giusto risentimento delle stesse». Di qui l'appello al buon senso e alla prudenza da parte di tutti gli attori coinvolti, prima di tutto quelli che ricoprono ruoli istituzionali. «Ci vuole responsabilità da parte delle istituzioni, in primis dalla Regione, che hanno il compito di monitorare il rispetto dell'Aia da parte della Siderurgica Triestina - continua Codega - . E dobbiamo dire che questa è stata finora opportunamente esercitata attraverso i monitoraggi, le prescrizioni e le diffide messe in campo. Di fronte a due beni preziosi quale la salute dei cittadini e il lavoro per centinaia di operai, è evidente la necessità di mantenere un fermo equilibrio e una forte responsabilità, affinchè ambedue i valori vengano salvaguardati. E tale responsabilità va misurata con la verifica delle cose fatte e non alzando polveroni emotivi». Del caso Ferriera, e della difficoltà di far convivere diritto al lavoro e diritto alla salute, si parlerà anche a Muggia nel corso di un incontro in programma domani alle 17.30 in Sala Millo. Insieme al sindaco Laura Marzi e all'assessore all'Ambiente Laura Litteri, interverranno Luca Marchesi, direttore generale Arpa Fvg, Franco Sturzi, direttore tecnico scientifico dell'Arpa e Fulvio Stel di Sos Qualità dell'aria.

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 19 novembre 2017

 

 

È spaccatura a Servola sull'appello degli operai - Comitati dei cittadini critici dopo la richiesta dei lavoratori di abbassare i toni
Apertura dalle istituzioni. Martedì tavolo con le sigle sindacali al ministero
Dopo tanto tempo i lavoratori della Ferriera si sono esposti attraverso una petizione. Per chiedere da una parte rispetto e dall'altra un'apertura a un dialogo disteso con le associazioni in campo e tutta la comunità. Le risposte all'appello non si sono fatte attendere. Ma hanno avuto tenori diversi fra loro. Istituzioni solidali nei confronti degli operai, dalla Regione al Comune. Così come FareAmbiente. Il Comitato 5 dicembre invece non ha appoggiato la proposta, lanciando una controffensiva. Più placida la risposta di No Smog. «Se avessimo visto degli insulti sul web agli operai, li avremmo condannati - esordisce Barbara Belluzzo del Comitato 5 dicembre -. Se esistono, vorremmo vedere gli screenshot: altrimenti per noi questa degli insulti è una bufala creata ad arte per dividere cittadini e operai». Sembra dunque che il gruppo non abbia evidenza del fatto che nel corso degli anni i dipendenti di Arvedi siano stati «dileggiati», come afferma invece la promotrice della petizione, Erika Bozieglau, la moglie di uno delle centinaia di lavoratori della Ferriera. Il Comitato ammette sì che «il dialogo tra noi cittadini e gli operai sia fondamentale» ma rileva come in questo caso si tratti di «una protesta a nostro avviso completamente pretestuosa e infondata di certi operai» e «un'operazione mediatica scorrettissima dell'ufficio stampa della proprietà». Comprensione da "No Smog" che chiede ai lavoratori anche di fare un passo in avanti verso i problemi che affliggono i residenti di Servola: «Capiamo che quel posto di lavoro sia la loro fonte di reddito e che si trovino in una condizione di forte disagio a ricoprire il loro ruolo - spiega la presidente Alda Sancin -, ma il tasso di inquinamento a cui noi e loro stessi siamo sottoposti lo dice l'Organizzazione mondiale della sanità che è cancerogeno». Se poi un dialogo vero e proprio non ci sia stato sin qui, la colpa per Sancin è soprattutto dei lavoratori. «Non ci devono vedere come nemici - spiega -, siamo disposti anche noi al dialogo, ma se fino ad adesso non c'è stato è perché loro hanno lanciato fuoco contro noi residenti di Servola». Il possibile terreno comune di confronto tra loro, per Sancin, comunque riguarda «le istituzioni in primis e l'azione di bonifica dell'area». Dal versante istituzionale ha fatto sentire la propria vicinanza agli operai la presidente della Regione Debora Serracchiani. «Quando ci guardiamo in faccia e pensiamo alle singole famiglie di ogni lavoratore della Ferriera - ha affermato -, a ogni storia che è nascosta o banalizzata dietro uno slogan, diventa più difficile nascondere sentimenti e preoccupazioni». Ha sottolineato come «la petizione dei lavoratori della Ferriera di Servola sia una forte richiesta di ascolto e di attenzione da parte di tutti. Le letture a senso unico non sono un'opzione accettabile». Serracchiani ha inoltre chiamato in causa le stesse istituzioni: «Le tensioni sullo sviluppo industriale di Trieste esistono da tanto tempo e accendono gli animi, ma - ha affermato la presidente - il compito delle istituzioni è evitare che il confronto anche serrato travalichi nella mancanza di rispetto verso le persone e verso il loro lavoro. Le emozioni - ha concluso - e le inquietudini delle persone in carne e ossa che ogni giorno entrano nello stabilimento chiedono, anzi impongono rispetto. L'estremizzazione dello scontro sulla Ferriera si è sviluppata sulle teste di queste centinaia di persone, alle quali è stata riservata la parte di scomodi e sacrificabili comprimari. Non è giusto». Dalla parte dei lavoratori anche il sindaco Roberto Dipiazza, non senza qualche riserva nei confronti dell'impianto: «Nella mia vita ho solo creato posti di lavoro e non li ho distrutti, però ricordiamoci sempre il tema ambientale. Sono 21 anni, dal '96, che mi dicono che il prossimo anno migliorerà l'area a caldo - ha spiegato -. Rispetto dunque non solo i lavoratori ma anche la loro salute oltre a quella dei cittadini, le problematiche della Ferriera riguardano proprio loro». Si allontana da qualsiasi accusa di possibile scherno verso i dipendenti: «Io non li ho mai dileggiati, credo che questo sia opera di qualche cretino che li vessa attraverso Facebook. Condivido la posizione dei lavoratori che non devono essere colpevolizzati, è l'azienda che obiettivamente deve chiudere l'area a caldo. Per questo ho chiesto alla Regione più volte un tavolo sul lavoro. E martedì saremo a Roma al Mise con i sindacati». A intervenire anche Giorgio Cecco, coordinatore regionale di FareAmbiente: «Serve un fronte comune per la tutela della salute e della qualità del lavoro, certo non polemiche e prese di posizione che alla fine penalizzano proprio i più deboli ed esposti, quindi in primis gli operai e gli abitanti». Condivide la strada del dialogo tra le parti Salvatore Porro (FdI), il presidente della VI commissione consiliare del Comune a cui verrà consegnata la petizione. L'azienda del gruppo Arvedi, contattata, ha preferito non intervenire

Benedetta Moro

 

Il popolo della fabbrica tra rabbia e disillusione - I firmatari della lettera invocano rispetto: «Persino i nostri figli vengono offesi»
Ma in molti hanno perso le speranze: «Le cose non cambiano, lavoriamo e basta»
«Stiamo lavorando, non facciamo male a nessuno. Per protestare ci sono altri canali e quello giusto non è sicuramente offendere la dignità e il lavoro delle famiglie delle persone che vengono qui mattina, pomeriggio e notte, sabati e domeniche compresi. Non ne vale la pena, chi fa così dimostra un'innata ignoranza». La pensa così Diego Rapisarda, una delle tante voci che si alza dalla Ferriera per dire basta alle ingiurie e alle offese che girano sul web. Offese rivolte ai lavoratori della Siderurgica Triestina anche semplicemente quando dicono «lavoro in Ferriera». Per questo hanno deciso in molti di aderire alla petizione lanciata da Erika Bozieglau, la moglie di uno dei tanti operai della Ferriera, pronta assieme ad altri familiari a sostenere i lavoratori dello stabilimento servolano. Ma non tutti sono d'accordo. O meglio, non tutti credono nella possibilità che la gente smetta di lanciare offese. E molti non ripongono alcuna fiducia in un dialogo che, a parer loro, per troppo tempo non ha portato ad alcun miglioramento per l'impianto. «Io sono di una ditta esterna - afferma Massimiliano Coslovich -, ma tanto tutti siamo visti male all'esterno. È facile dare la colpa sempre alla ditta e ai lavoratori, in realtà è tutta politica. È vero che la Ferriera inquina, ma come tutti gli stabilimenti e noi veniamo per prendere il nostro pezzo quotidiano di pane, grazie a Dio c'è lavoro». Sul dialogo però non è d'accordo: «Il sistema non cambierà». «Io invece penso che il dialogo sia costruttivo - dice un altro operaio -. A patto che si parli del futuro di questo posto e che si smetta di fare campagna elettorale su questo posto». Ha fiducia in un'apertura dei dipendenti verso la cittadinanza e le istituzioni Roberto Decarli, ex operaio a Servola ed ex consigliere comunale (Trieste cambia), che ha anche aiutato i promotori della petizione. «I lavoratori sono pronti a parlare di Ferriera senza urla e toni accesi, senza espressioni come quelle del sindaco Dipiazza che definisce lo stabilimento "un cancro". Si può parlare di tutto, di inquinamento, di lavoro, ma senza offendere nessuno, perché chi ha sofferto e pagato questa situazione sono i dipendenti che hanno vissuto in un continuo limbo tra striscioni "No Ferriera" e il sindaco che ogni due per tre intimava la chiusura. Sono 20 anni che sfrutta politicamente la Ferriera. L'area a caldo - continua Decarli - per me dovrebbe andare avanti viste le misure che sta prendendo Arvedi, è la prima volta che si vedono interventi di riqualificazione di questo tipo. Ormai - conclude - le persone, anche dei comitati, che vogliono chiudere la Ferriera sono quelle che sono in cerca di una poltrona». Le invettive lanciate contro gli operai pare comunque esistano davvero. Le mostra da Facebook sul cellulare un lavoratore, che ha firmato la petizione ma preferisce rimanere nell'anonimato. "Devi morir", scrive un utente. Qualcuno su social riporta il numero della sede della Siderurgica Triestina. E poi: "Telefonemoghe in massa in continuo rompendoghe i coioni come lori li rompi a noi. Guera aperta". Eppure, sottolinea l'operaio, «al 90 per cento dei dipendenti piace questo lavoro, qui vengono in continuazione persone a consegnare il proprio curriculum». «Ci dicono che portiamo la morte», aggiunge un altro. A qualcuno non interessa nemmeno sentire parlare dell'appello: «Penso solo a lavorare». Oppure: «È inutile perdersi in queste cose, ci sono problemi più grandi». E ancora: «Non m'interessa quello che dicono le persone».Fulvio Gorza è convinto invece che «la petizione debba seguire il suo corso. È da anni che pensavamo di fare un'iniziativa di questo tipo, non possiamo fare baruffa ogni volta che ci muoviamo. I nostri figli - aggiunge - vanno a scuola, i professori dicono loro che noi uccidiamo tutti e che moriremo. Non è bello ed è ora di dire basta. Speriamo che smetta di bombardare anche Dipiazza, soprattutto durante le elezioni perché poi la gente pensa che sia colpa nostra. Ma non sono d'accordo di aprire al dialogo, non ci siamo mai riusciti finora». Pensa alle famiglie che non c'entrano nulla anche Stefano Plet. Ha firmato la petizione pure Rocky Leo: «Chiediamo un dialogo più aperto anche per gli operai, abbiamo scritto la petizione anche per dire ai cittadini che non siamo contro di loro». Gli fa eco Giovanni Degrassi, che aggiunge: «C'è un clima di malessere perché ci sentiamo bersagliati, anche senza nessuna colpa. Facciamo il lavoro il meglio possibile e siamo visti come untori».

(b.m.)

 

 

Il doppio "flop" dei terreni in vendita di Rio Martesin - L'asta è andata deserta due volte davanti un notaio romano - Chiesti 1,4 milioni. I progetti bloccati dal Consiglio di Stato
Il titolo è sufficientemente anodino: "vendita all'asta terreno edificabile in Trieste". Segue un corposo elenco di particelle catastali, poi le due giornate scelte per l'asta ovvero martedì 31 ottobre in prima battuta e martedì 14 novembre nel caso il primo tentativo fosse andato deserto. Appuntamento sempre alle ore 15. La vendita senza incanto, previa presentazione di buste chiuse possibile fino al giorno prima, era nell'agenda del notaio Giacomo Laurora, che ha il suo studio in piazza Bologna 2, tra la stazione Tiburtina e la Nomentana, non lontano da villa Torlonia. Il primo prezzo era fissato a 1 milione 600 mila euro, il secondo si abbassava a 1 milione 400 mila euro, in entrambi i casi erano possibili rilanci a 10 mila euro al colpo. Deposito cauzionale di 50 mila euro. Ma nessuno ha portato buste chiuse al notaio Laurora per acquistare i terreni che si estendono a partire dal rio Martesin in direzione di Scala Santa. E il professionista romano non sa se ci sarà una terza volta, se il venditore saggerà ancora il mercato o cambierà strategia. Il dato, che può interessare la platea triestina, è che, dopo dieci anni di scontri giudiziari e politici, l'area verde tra Roiano e Gretta, dove a un certo punto era prevista la realizzazione di 7 palazzine e 109 appartamenti, è andata all'asta e finora nessun operatore l'ha voluta comprare. In apparenza si potrebbe arguire che Gestione italiana appartamenti (gia srl) e Airone 85, le due società romane intenzionate a varare la vasta operazione immobiliare nella stretta valle del rio Martesin, abbiano gettato la spugna.Sul "caso Rio Martesin", dopo le serrate polemiche del Dipiazza 2° e della prima parte dell'era cosoliniana, era caduto la pesante cortina del silenzio. I rimandi degli archivi redazionali si fermano addirittura al 2014. Ma la vicenda ebbe inizio perlomeno nel 2007, allorquando la Gia srl acquistò il dibattuto terreno dall'impresa di costruzioni Perco snc. L'area ricadeva in zona denominata B4 della variante 66 del Piano regolatore , entrata in vigore nel 1997, Illy imperante.Le prime avvisaglie della guerra si ebbero proprio a partire dal 2007, quando i residenti raccolsero 300 firme per protestare contro la paventata cementificazione della valletta, formata dalle acque del torrente Martesin. Ci si arriva in auto da via Cormons, dove conviene parcheggiare e proseguire a piedi. Una verde plaga non molto conosciuta di Trieste, nonostante sorga a pochi passi da via Giusti e da Strada del Friuli. Ma lo scontro vero e proprio si accese nel 2009 in occasione della presentazione dei progetti elaborati da Gia e Airone 85, che - come abbiamo visto - prevedevano la costruzione di 109 appartamenti. A tale fine il 13 luglio 2009 il Comune di Trieste rilasciava tre permessi per la realizzazione di 109 appartamenti, collegati alla viabilità maggiore da centinaia di metri di asfalto. Tre permessi distinti per tre progetti distinti, così da restare sotto la quota di 10 mila metri cubi, sopra la quale sarebbe invece scattata la Valutazione di impatto ambientale. Ma la somma dei tre dà 11.300 mc.I residenti non accettarono e impugnarono, patrocinati dall'avvocato Gianfranco Carbone, i permessi avanti il Tribunale amministrativo del Friuli Venezia Giulia, che però respinse l'istanza. Tre cittadini, abitanti in zona, non si rassegnarono e andarono al Consiglio di Stato: Dario Ferluga, Luciana Comin, Giorgio Bragagnolo. Palazzo Spada diede loro ragione e annullò i permessi a costruire rilasciati dal Comune: non solo, la sentenza, depositata l'antivigilia di Natale del 2010, dispose che i pastini della valletta non fossero toccati. Inoltre Gia e Airone 85 avrebbero dovuto ripristinare la situazione antecedente ad alcuni lavori già eseguiti. Non era comunque finita perchè nella primavera del 2011 i costruttori chiesero al Municipio 4 milioni di risarcimento. E nel 2012 un nuovo progetto - dieci edifici a un solo piano - planava sui tavoli comunali: la Soprintendenza rispose no. Terzo tentativo nel 2014, con pollice verso della III circoscrizione.

Massimo Greco

 

 

COP23 A BONN - Passi avanti sul clima ma strada in salita

Alcuni passi avanti ma ancora tanta strada da fare per onorare gli impegni presi a Parigi due anni fa. Potrebbero essere sintetizzati così i risultati della Conferenza sul clima che si è tenuta a Bonn (Coop 23) e che si è chiusa ieri dopo una maratona notturna di negoziati sui dettagli tecnici dell'applicazione dell'Accordo di Parigi. Sono state, infatti, definite le procedure per arrivare alla revisione degli impegni degli Stati per il taglio delle emissioni di gas serra. Questi impegni, presi a Parigi due anni fa, sono insufficienti per raggiungere l'obiettivo dell'Accordo stesso (mantenere il riscaldamento globale entro i 2 gradi, meglio se 1,5) e vanno aggiornati. L'aggiornamento dei target nazionali di decarbonizzazione dovrà permettere all'Accordo di Parigi, quando entrerà in vigore nel 2020, di raggiungere almeno il suo obiettivo minimo. Il premier delle Fiji, Frank Bainimarama, che ha presieduto la conferenza, si è detto soddisfatto per la messa a punto delle regole per l'applicazione dell'accordo di Parigi e del percorso per i paesi per aumentare i loro obiettivi per la riduzione delle emissioni di gas serra. Il presidente nel documento finale ha istituto un tavolo di discussione che partirà nel gennaio del 2018 per definire gli aggiornamenti dei target nazionali in vista della Cop24. Ma resta aperta la spinosa questione del fondo - non ancora istituito - per aiutare i paesi poveri a combattere il "global warming".

 

 

Amanti della bicicletta a colazione - Mattinata nel segno delle due ruote in Cavana. Spazio per lo scambio di accessori
Chi va in bicicletta e sceglie la mobilità sostenibile va premiato. Questo il pensiero della Fiab che ieri in Cavana ha dato vita alla seconda edizione di "Bike Breakfast" offrendo bevande calde a chi si è presentato con il proprio mezzo a due ruote. «La bicicletta "funziona" in tante situazioni diverse - ha sottolineato Federico Zadnich della Fiab -: per il benessere quotidiano, se si vuole stare meglio, per gli spostamenti urbani, veloce e non inquina, anche per togliere congestione dalle nostre strade urbane, e perché dieci biciclette occupano lo spazio di un'auto. Anche per questa edizione autunnale del Bike Breakfast, l'idea è quella di creare un momento di incontro e scambio di informazioni sui temi della mobilità sostenibile tra chi è disposto a muoversi in città lasciando a casa la macchina, scegliendo uno stile di vita più leggero e più amico della terra». A chi si è fermato quindi nel punto allestito con uno stand, è stata offerta la colazione. La mattinata è proseguita anche con altri appuntamenti. È stato spiegato come attrezzare una bici per un cicloviaggio, sono stati forniti consigli su come scegliere la bici giusta, mettendo a confronto le differenti caratteristiche di quelle da montagna, da città e le innovative ebike. Spazio poi alle foto di una cicloesperienza a New York, ai trucchi da mettere in campo per ripartire dopo una foratura, in più durante tutta la mattinata è stato predisposto uno spazio del dono e dello scambio di accessori e ricambi per la bicicletta. «Bike Breakfast - ricorda ancora Zadnich - nasce dall'incontro di due associazioni impegnate in città su temi diversi ma complementari, unite dall'urgenza di invertire la rotta dello sviluppo incontrollato per garantire un futuro al nostro pianeta: Fiab Trieste Ulisse, associazione di cicloturisti e ciclisti urbani, e Senza Confini Brez Meja, associazione che promuove il commercio equo e solidale, il consumo critico e le pratiche per uno stile di vita amico dell'ambiente».

Micol Brusaferro

 

 

Come tutelare chi ci dà la vita - Cinque giorni di incontri per dare ossigeno agli alberi
Educazione ambientale, simbolo di appartenenza e fonte di aggregazione e creatività. Sono i valori che provano a dare forza alla celebrazione della Giornata degli alberi, ricorrenza su scala nazionale accolta anche a Trieste, a cura del Comune (assessorati all'Educazione e ai Lavori pubblici) e delle varie circoscrizioni, nell'ambito di una programmazione disegnata da domani al 24 novembre. Laboratori e incontri e soprattutto molto spazio alle buone pratiche, formula con cui poter coinvolgere sul campo le scolaresche della provincia, dagli asili agli istituti superiori. Si parte domani entrando nell'Istituto d'arte Nordio teatro nel pomeriggio, dalle 15 alle 17, a cura del Comune di Trieste, Area Lavori pubblici, di un incontro riservato agli studenti delle classi quarte e quinte dell'indirizzo architettonico, incontro disegnato da tre segmenti tematici: "Alla scoperta della foresta urbana di Trieste", con il docente Pierluigi Nimis, "La tutela del verde urbano e il verde ornamentale nella progettazione urbanistico-edilizia" (Francesco Panepinto, Servizio Spazi aperti) e "Cambiamenti climatici e ambiente urbano, multifunzionalità del verde ornamentale" spunto affidato al docente universitario Giovanni Bacaro.È nella giornata di martedì che vanno in scena le iniziative più significative, più coinvolgenti sul piano del significato autentico della festa dell'albero. Seminare, accudire, curare. La simbologia dell'albero va insomma nutrita, spunto destinato a concretizzarsi con la messa a dimora di bulbi in varie sedi scolastiche cittadine, dall'asilo Piccoli passi di via Frescobaldi (alle 9.30), in piazza Hortis (10.30), nell'area verde di strada di Guardiella/viale al Cacciatore (alle 11.30) e alla scuola dell'infanzia Stella Marina di Ponziana, qui con la cerimonia fissata alle 14.30. La "semina" proseguirà il 22 e il 24 novembre, coinvolgendo la IV e la V circoscrizione, da Basovizza a Gretta, toccando Altura e il laghetto di Contovello.

Francesco Cardella

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 18 novembre 2017

 

 

Gli operai della Ferriera alzano la voce - Raccolte 236 firme contro gli «insulti quotidiani a lavoratori e famiglie. Serve un dialogo rispettoso». La petizione al Comune

Sono rimasti quasi sempre sullo sfondo di una battaglia, quella per la chiusura dell’area a caldo della Ferriera di Servola, che ha visto il coinvolgimento di migliaia di triestini e che, di fatto, ha spostato gli equilibri delle ultime elezioni amministrative. Hanno deciso di rompere il silenzio, «perché esasperati dalla continua e gratuita violenza verbale» di cui si sono sentiti vittime, attraverso una petizione popolare che verrà presentata martedì prossimo nel corso della seduta della Sesta commissione consiliare. Sono i lavoratori dello stabilimento siderurgico di Servola che, sostenuti dalle rispettive famiglie, hanno scelto di uscire allo scoperto e di rivolgersi direttamente «all’assise più rappresentativa della città». La petizione, che in poco tempo ha raccolto 236 firme, è stata proposta da Erika Bozieglau, la moglie di uno delle centinaia di lavoratori della Ferriera. «Ci sentiamo presi di mira per un lavoro che viene portato avanti onestamente – le parole della signora –. Siamo stanchi di leggere sui social le minacce e le parole pesanti che vengono rivolte ai lavoratori e alle loro famiglie». Quello rappresentato dai firmatari del documento è uno scatto d’orgoglio che si è reso necessario dal momento che «veniamo quotidianamente e vergognosamente dileggiati e offesi da pseudo associazioni e singoli cittadini, financo dallo stesso sindaco, attraverso dichiarazioni stampa, messaggi in rete e manifesti». Le persone che hanno confermato la propria adesione alla petizione hanno così voluto rivendicare «tutta la dignità che è stata forgiata dal nostro duro lavoro», un sentimento «che ci appartiene come lavoratori ma anche come cittadini». «Ci rifiutiamo – si legge nel documento – di fare il gioco di certi politici e di quelle associazioni che alimentano con violenza, finora verbale, la contrapposizione fra lavoratori e cittadini. Abbiamo ricevuto e stiamo ricevendo minacce e offese, ma di questo si occuperà la magistratura». Il confine del confronto civile sembra essere stato ampiamente superato soprattutto sulle pagine dei social, dove non è difficile imbattersi in dei cani sciolti che abbaiano senza alcun ritegno la propria rabbia. Va dato atto agli organizzatori delle proteste, infatti, di aver sempre cercato di evitare la contrapposizione con i lavoratori dello stabilimento servolano. «Chiediamo e ci appelliamo a tutti coloro che, con buona volontà, vogliono costruire un percorso condiviso e rispettoso nei nostri confronti, per migliorare l’ambiente e la salute – così il documento firmato dai lavoratori –, di confrontarsi con noi nelle iniziative che promuoveremo senza urla, senza ostilità, offese o preconcetti. Con la stessa dignità e determinazione che manifestiamo con questa petizione, lavoreremo per salvaguardare sempre di più l’ambiente e il lavoro in questa città». L’apertura al dialogo viene confermata dalla stessa ispiratrice dell’appello: «Rispettiamo chi difende l’ambiente e le proprie convinzioni – sostiene Bozieglau –, a patto che il medesimo sentimento sia reciproco». I lavoratori, insomma, si sono stufati di venir additati da più parti come degli «assassini», diventando puntualmente «l’oggetto di ogni campagna elettorale». «Noi vogliamo lavorare in tranquillità – puntualizzano i firmatari della petizione –, senza che i nostri figli temano per la nostra salute. Siamo gente tenace e abituata a un lavoro che sappiamo duro, ma esigiamo che le nostre famiglie non vengano toccate o terrorizzate ed è per questo che, stanchi di questa inaccettabile situazione, vogliamo farci sentire in modo forte e chiaro». Una posizione, quella rivendicata dai lavoratori, che chiama in causa la politica, «nonostante l’ostilità dimostrata in passato da alcuni consiglieri comunali». «Auspichiamo il sostegno da parte del Consiglio comunale – la loro conclusione –. Se ciò non sarà possibile, avremo comunque portato alla pubblica attenzione lo stato d’animo nostro e delle nostre famiglie».

Luca Saviano

 

Uil in pressing su sicurezza e buste paga - L’appello del sindacato alle istituzioni per ottenere risposte. «Pronti a coinvolgere pure la Prefettura»

Pronti a rivolgersi alla Prefettura, pur di ottenere ascolto. I rappresentanti sindacali della Uilm chiederanno a breve un incontro con la massima autorità istituzionale del territorio «per evidenziare l’inaccettabile silenzio della proprietà della Ferriera su una serie di problemi che stiamo sottolineando - ha spiegato ieri il segretario provinciale della sigla, Antonio Rodà - e alle quali il gruppo Arvedi non sembra intenzionato a dare risposte». Non più tardi dello scorso settembre, la Uil aveva indetto uno sciopero per manifestare «il disagio derivante dall’atteggiamento della proprietà». «E ora siamo costretti a tornare in prima linea - ha ribadito ieri Rodà - perché Siderurgica Triestina non sembra avere a cuore un argomento fondamentale come quello della sicurezza, pur essendo consapevole delle necessità dei lavoratori. L’azienda ci aveva garantito che sarebbe stato dato uno specifico incarico a una società specializzata per definire le varie problematiche legate alla sicurezza. Ma fino a oggi - ha aggiunto il segretario provinciale - pur in presenza di nostre frequenti sollecitazioni, nulla ci è stato detto su questo fronte. Abbiamo poi più volte ricordato ai nostri dirigenti che c’è forte bisogno, in vari reparti, di nuove attrezzature. In sede locale ci viene detto che si agirà di conseguenza - prosegue Rodà - poi nulla accade sul piano concreto». Sul tavolo anche problematiche di natura economica: «Ci è stato comunicato - riprende il sindacalista della Uilm - che i premi di produzione saranno ridotti, si parla di circa 65 euro a trimestre, in conseguenza del calo di produzione originato dal recente provvedimento della Regione, che ha limitato a 34 tonnellate al mese la quantità di ghisa che può uscire dall’altoforno. Ma i lavoratori - ha protestato Rodà - non hanno alcuna responsabilità in questo campo». Per il segretario provinciale della Uilm «da tutte queste premesse, l’unica conclusione che possiamo trarre - ha osservato - è che evidentemente non c’è la volontà di avere relazioni con le rappresentanze dei lavoratori. Assistiamo a una continua logica di rimando. Come Uilm - ha concluso - riteniamo doveroso a questo punto rendere noto all’opinione pubblica quale sia la situazione nella quale ci ritroviamo. Se necessario, andremo in Prefettura». Uno scorcio dello stabilimento di Servola

(u.s.)

 

 

In carcere la banda dei datteri di mare - La Corte suprema croata conferma le pene detentive. I sei condannati dovranno risarcire lo Stato con 357 mila euro
FIUME - È stato un chiaro e duro segnale all'indirizzo di chi raccoglie e vende datteri di mare, mollusco tutelato in Croazia da leggi molto rigorose e che prevedono anche il carcere. La Corte suprema croata ha dato ragione al Tribunale regionale di Fiume che nel dicembre 2016 aveva condannato a pene detentive un gruppo di sei persone residenti in Istria, ritenute colpevoli di pesca e vendita di datteri di mare, conosciuti anche con il nome di "datoli". I sei erano ricorsi in appello ma la Corte suprema ha confermato i verdetti, i più severi in Croazia da quando il dattero di mare, ormai un quarto di secolo fa, è stato inserito nella lista delle specie protette. Per avere raccolto nell'estate 2015 almeno 539 chili del proibitissimo mollusco bivalve, pesca avvenuta nelle acque dei dintorni di Pola e nel Canale di Leme, Cedomil Bozic, 64 anni di Umago, è stato condannato a 4 anni e mezzo di reclusione, con identica sentenza per Drazen Curcevic, 45 anni di Pola. Jordan Ambrozic, 49 anni di Sissano, è stato condannato a 3 anni, mentre 2 anni sono toccati al 70enne Milorad Marinkovic di Valbandon. Per il 53enne Serco Ivinic di Valbandon e Branislav Mihajlik di Pola è stata confermata la condanna a un anno di carcere, con la condizionale di 4 anni. L'atto d'accusa era stato sollevato inizialmente contro altre tre persone che però hanno patteggiato la pena, ammettendo tutti gli addebiti. La 57enne Ksenija Makovac di Umago, Mirko Kresic, 54 anni di Buie e Veselin Anastasijevski, 48 anni di Umago, si sono visti infliggere 12 mesi di carcere, pena trasformata in lavori socialmente utili, sempre della durata di un anno. Durante il processo erano stati ascoltati in qualità di testi. Non è tutto. Oltre alla reclusione, i sei istriani dovranno rimborsare allo Stato croato i danni causati all'ambiente e quelli relativi alla vendita: sono 2,7 milioni di kune, pari a circa 357 mila euro. La somma deriva dal computo stabilito dalla legge in materia, secondo cui per ogni chilogrammo di dattero raccolto e messo in commercio si pagano 5mila kune, pari a 660 euro.La polizia istriana e l'Uskok hanno ricostruito quanto avvenuto tra giugno e settembre di due anni fa: Bozic doveva organizzare il trasporto e la vendita dei datteri in Slovenia, per la precisione a Capodistria e Portorose, dove venivano acquistati a 30 euro al chilo. Curcevic era invece incaricato di organizzare la pesca proibita e aveva in Ambrozic il proprio braccio destro. Questi aveva ingaggiato tre persone, Marinkovic, Ivinic e Mihajlik, che agivano come detto nel Canale di Leme, nelle vicinanze di Rovigno, e lungo le coste del Polese. Quanto agli affari in Slovenia, Bozic operava da solo o con Makovac, a Kresic e Anastasijevski. L'unico aspetto positivo per i sei condannati è che non dovranno versare al bilancio statale - a differenza del verdetto emanato dal tribunale fiumano - i 14.400 euro di profitti realizzati con la vendita abusiva

Andrea Marsanich

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 17 novembre 2017

 

 

Il nuovo patto contro il rigassificatore - Il Comune di Muggia impugna il timbro di Roma sul metanodotto con Regione e Ancarano. Si accoderà pure San Dorligo
MUGGIA - Nuova crociata ambientale in arrivo per il Comune di Muggia. L'amministrazione Marzi ha annunciato pubblicamente ieri di aver presentato ricorso al Tar del Lazio contro il ministero dell'Ambiente per esprimere il proprio no al progetto del metanodotto Trieste-Grado-Villesse proposto dalla Società Snam Rete Gas Spa, considerato un vero e proprio progetto "costola" del nuovo terminale Gnl. Al fianco del Comune di Muggia, con ricorsi paralleli ed individuali, si sono schierati contro il metanodotto sia la Regione che il vicino Comune di Ancarano. E se San Dorligo della Valle sta preparando gli ultimi incartamenti per prendere parte a questa battaglia ambientale, il grande silenzioso assente, per ora, pare essere il Comune di Trieste. Trentadue pagine, riempite grazie all'alacre lavoro dell'avvocatura civica del Comune muggesano formato dagli avvocati Walter Coren e Antonella Gerin, sono l'ossatura del ricorso che si prefigge punto per punto il progetto proposto da Snam Rete Gas. La problematica più eclatante si evidenzia dalle mappe allegate al ricorso, in cui si ricorda come il braccio di mare coinvolto sia già interessato da un notevole traffico navale - soprattutto a servizio delle strutture del Porto, sulla costa settentrionale - ed è soprattutto limitrofo a zone costiere densamente abitate. Come già denunciato nei precedenti tre ricorsi contro il rigassificatore, il Comune rivierasco ha rimarcato appunto la presenza di numerosi impianti industriali presenti nell'area, anche a rischio di incidente rilevante, quali ad esempio i depositi costieri di carburante nell'area dell'ex raffineria Aquila, i diversi impianti attivi in Zona industriale, tra cui il termovalorizzatore, a ridosso del Canale navigabile, i pontili per l'attracco delle navi petroliere con gli allacci alle condutture dell'oleodotto transalpino gestito dalla Siot, nonché la Ferriera. Inoltre - sostiene il ricorso - il progetto del metanodotto andrebbe a cozzare direttamente con il Piano regolatore del Porto che contempla l'ulteriore sviluppo delle attività mediante la realizzazione di nuove infrastrutture quali l'estensione del molo VII, la realizzazione del nuovo molo VIII e i lavori di realizzazione del Terminal ro-ro all'ex Aquila. Insomma: un'area già destinata ad un considerevole incremento dei transiti, specie delle navi porta-container. Ma è la questione della sicurezza nei confronti della cittadinanza che mette maggiormente sotto accusa il progetto. «Le tubazioni del metanodotto risultano molto a ridosso della costa muggesana: stiamo parlando di una distanza di soli 75 metri dal molo Cristoforo Colombo e quindi dal nostro centro storico», stigmatizza il sindaco di Muggia Laura Marzi. Non secondaria sarebbe poi la presenza di navi gasiere lunghe 200 metri e larghe 50 che dovrebbero necessariamente transitare attraverso la parte più stretta del Vallone di Muggia - tra i pontili della Siot e lo stesso molo Colombo - ovvero in un tratto di 630 metri. «Una distanza peraltro già quasi coperta come spazio di manovra dalle navi petroliere che vengono ormeggiate ai pontili del Terminal olii e che non tiene conto del futuro traffico di navi del Terminal ro-ro», tuona ancora Marzi. L'assessore all'Ambiente Laura Litteri ricorda poi le problematiche legate ai fondali «risaputamente inquinati, che se smossi dunque provocherebbero delle gravi conseguenze», fermo restando che «il futuro dello sviluppo energetico non può essere riconducibile ad un metanodotto ma alle energie rinnovabili». Marzi evidenzia infine la filosofia portante del ricorso contro il ministero dell'Ambiente: «La sicurezza della popolazione ed il rispetto per l'ambiente sono per noi preponderanti rispetto ai benefici che si ipotizzano derivare dalla realizzazione di un metanodotto e di un rigassificatore»

Riccardo Tosques

 

E adesso manca solo il ricorso del capoluogo - Capigruppo già in pressing su Dipiazza
«Tutti i capigruppo del Consiglio comunale di Trieste hanno firmato una mozione urgente che impegna il sindaco Dipiazza a presentare ricorso contro il Decreto ministeriale con cui è stata disposta la compatibilità ambientale del progetto del metanodotto presentato da Società Snam Rete Gas spa». Piero Camber, capogruppo Fi, rassicura che il capoluogo farà la sua parte nella battaglia contro il metanodotto. Nell'ultima seduta del Consiglio un testo a firma Pd, per effetto anche dell'input del sindaco di Muggia Marzi (foto), è stato sottoposto all'attenzione dei capigruppo, che senza distinguo hanno deciso di sottoscrivere all'unanimità la richiesta di intervento di Dipiazza contro il progetto di Snam Rete Gas. «Il documento non è stato votato subito, durante l'ultima riunione del Consiglio, esclusivamente per motivi di tempo», rassicura Camber. Insomma: dopo Muggia, Ancarano, Regione e San Dorligo , anche Trieste è pronta a sottoscrivere un ricorso contro il metanodotto.

(tosq.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 16 novembre 2017

 

 

FERRIERA - Esposto bis di Battista alla Procura
Il senatore triestino Lorenzo Battista, eletto nel M5s poi passato al gruppo Articolo 1-Mdp, ha presentato un nuovo esposto alla Procura della Repubblica triestina «per conoscere quali attività siano state svolte da Siderurgica Triestina (o da Acciaierie Arvedi9 per la preventiva messa in sicurezza dei suoli e per la bonifica ambientale dell'area, nonchè per sapere se le procedure attuate rispondano alle novità in materia ambientale introdotte dalla legge 68/2015 in materia di ecoreati». Battista fa riferimento - prosegue la nota - «alle attività previste dall'accordo di programma, con precise indicazioni di spesa» in particolare per i 25 milioni di euro destinate alle preliminari operazioni di bonifica ambientale e risanamento dei suoli. L'azienda - scrive ancora il parlamentare - si è impegnata ad attivare interventi di prevenzione «presentando progetti per la messa in sicurezza dei suoli e acque di falda». Battista chiede inoltre che le istituzioni competenti si attivino per velocizzare le coperture dei parchi minerali.

 

 

Il governo spinge i trasporti su rotaia: traffici quadruplicati - Il bilancio del ministro Delrio: «La cura del ferro funziona»
Il ruolo strategico dei porti del Nord Adriatico con Trieste
ROMA - Ad un anno esatto, il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Graziano Delrio, ritorna a Pietrarsa per tracciare un bilancio della cura del ferro. Un 2017 «molto intenso» che registra «un incremento del trasporto merci su ferro» e un'azione del Governo efficace che ha consentito di mettere incentivi ulteriori per il rinnovo dei carri ferroviari e finanziare completamente i corridoi merci. Delrio è intervenuto al forum al Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa a Portici (Napoli) dove i rappresentanti dei diversi settori hanno fatto il punto sui risultati della cura del ferro che il Governo sta implementando. Numeri importanti: 80 miliardi di fatturato sui corridoi logistici, incremento del traffico a 49,23 milioni di treni chilometro; crescita del traffico ferroviario merci quadrupla rispetto a quella del Pil (dal 2014 al 2017 +8,9% contro un +2% del prodotto). Plaude anche l'ad di Rete Ferroviaria Italiana, Maurizio Gentile: «il traffico merci su ferro continua ad aumentare. Dal minimo di 43 milioni di treni chilometro siamo già risaliti nel 2016 ai 47. Ora siamo quasi a fine novembre e il 2017 si va attestando intorno a 49,23 milioni di treni chilometro». A fronte dei risultati raggiunti, vi è ancora strada da percorrere: «Siamo in Europa il fanalino di coda con una quota modale del ferro sul trasporto terrestre del 13%, anche se le imprese private del settore stanno conquistando notevoli quote» dice Guido Gazzola, presidente di Assofer «Per il futuro dobbiamo aumentare tale quota in modo sensibile attraverso molte azioni da sviluppare quali l'efficientamento del materiale rotabile, oltre a sostenere le industrie che investono sul trasporto su ferro». Per Ennio Cascetta, alla guida di Ram, la società per le autostrade del mare: «Dal 2014 al 2017 il traffico ferroviario merci è cresciuto del +8,9%, quattro volte più del Pil, che è cresciuto del 2%». «Necessario è integrarsi con l'industria» afferma Nereo Marcucci, presidente di Confetra. «Confetra e Confindustria devono essere player nazionali in un mercato europeo». Al tavolo di discussione hanno offerto i loro contributi anche Stefan Pan, vice presidente di Confindustria, Marco Gosso ad di Mercitalia Logistics, Zeno D'Agostino, presidente dell'Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico Orientale, Giancarlo Laguzzi, presidente FerCargo. «Stiamo vedendo per la prima volta, che tutti i porti del Nord Adriatico hanno una crescita importante dal punto di vista dei traffici. Il primo elemento da analizzare è questo: c'è un corridoio marittimo Adriatico al servizio dei traffici internazionali, che sta diventando un corridoio di riferimento», ha sottolineato D'Agostino. Trieste ha appena assunto la presidenza del Napa, associazione dei porti del Nord Adriatico,

 

 

Merkel, ambiente a rischio - Appello
BONN - La comunità internazionale deve lavorare con «serietà», «fiducia» e «affidabilità» per l'attuazione dell'accordo di Parigi sul cambiamento climatico, perchè il riscaldamento globale riguarda il «destino del pianeta e nessuno può o deve ignorarlo». Così la cancelliera tedesca, Angela Merkel, si è rivolta ai rappresentanti di oltre 200 paesi e ai capi di stato e di governo riuniti alla Cop23, la conferenza sui cambiamenti climatici, che si è aperta oggi a Bonn. Merkel ha riconosciuto che la Germania dipende ancora molto dal carbone ma ha aggiunto che le energie rinnovabili sono «un pilastro fondamentale» nel mix energetico tedesco. La Ue è cosciente delle sue responsabilità nella lotta contro il surriscaldamento globale e ogni stato membro deve «dare il suo contributo», ha aggiunto.

 

 

 

 

GREENSTYLE.it - MERCOLEDI', 15 novembre 2017

 

 

Ambiente a rischio, allarme scienziati: situazione quasi irreversibile

La comunità scientifica della Union of Concerned Scientists ha lanciato un avvertimento preoccupante per quanto riguarda l’ambiente: la crescita esponenziale dell’umanità, il cambiamento climatico, la deforestazione e la riduzione della biodiversità stanno mettendo a dura prova la salute del nostro Pianeta. Già nel 1992 era stato redatto il World Scientists’ Warning to Humanity, un documento in cui si metteva in guardia dall’impatto troppo invasivo dell’uomo sull’ambiente, e oggi la situazione è notevolmente peggiorata.

William J. Ripple, uno dei 15000 ricercatori che fa parte della Union of Concerned Scientists, professore della Università dell’Oregon, e altri 1500 scienziati hanno deciso di fare il punto della situazione aggiornando il documento del 1992. Ciò che è emerso è preoccupante: l’umanità non ha adottato in questi anni le misure necessarie per salvaguardare la nostra biosfera che, a oggi, è in tremendo pericolo. Le problematiche ambientali emerse 25 anni fa come l’estinzione di specie animali rare, la distruzione della biodiversità e l’inquinamento non sono state risolte, anzi: sono peggiorate. Secondo i ricercatori stiamo andando verso una situazione quasi irreversibile. L’acqua potabile presente sul nostro Pianeta è ridotta del 26%, le zone cosiddette morte degli oceani sono aumentate del 75%, abbiamo perso quasi 300 milioni di ettari di foresta, l’emissione di anidride carbonica è aumentata e le temperature sono anch’esse in crescita. Cresce inoltre il numero della popolazione umana del 35% anche se le risorse per il sostentamento diminuiscono e il 29% di animali presenti sul nostro pianeta è sparito negli ultimi anni. A chi attacca i ricercatori definendoli “allarmisti”, gli scienziati rispondono spiegando che questi sono dati concreti e oggettivi, nati da studi reali che dimostrano come l’uomo stia vivendo una vita insostenibile. A questo si aggiunge così l’immediata necessità di aprire un nuovo dibattito sulle questioni ambientali, prima che sia davvero troppo tardi.
Selena

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 15 novembre 2017

 

 

Negozi, ristoranti e wellness - Nuovo volto chic per la Fiera
Al posto del cadente comprensorio di oggi sorgerà entro il 2021 un moderno centro su due piani di colore bianco con 6400 metri quadrati di verde più 800 posti auto
Nel 2021 - se la sequenza di iter amministrativo, cantiere, allestimento si sarà dimostrata virtuosa - al posto dell'attuale cadente ex Fiera sarà sorto un complesso su due piani di quasi 20 mila metri quadrati, di colore bianco e «dalla forma morbida e dinamica», arricchito da uno spazio verde pubblico pensile di 6400 metri quadrati, che avrà l'ingresso principale in via Rossetti e sarà raggiungibile anche da piazzale De Gasperi attraverso una rampa. La vecchia Fiera sarà completamente demolita e l'edificio, che prenderà il suo posto, ospiterà esercizi commerciali, attività artigianali, ristoranti, un centro wellness. In programma 800 posti auto. Non sono invece previsti appartamenti. Il gruppo austriaco Mid Gmbh di Klagenfurt, mediante la filiale altoatesina, sarà costruttore e poi gestore del compendio. I lavori dureranno  complessivamente tre anni e poggeranno su un investimento di circa 65 milioni di euro. La realizzazione assorbirà l'impegno di 300 lavoratori, mentre si stimano oltre 500 assunzioni permanenti all'interno del futuro "recinto" imprenditoriale.Il progetto, presentato ieri mattina in Municipio alla presenza dell'amministratore di Mid Walter Mosser e del sindaco Roberto Dipiazza, non limita i suoi effetti alla pur ampia superficie dell'ex area espositiva, ma coinvolge anche la viabilità esterna con particolare riferimento alla parte finale di via Domenico Rossetti, per la quale si pensa di tornare all'antico doppio senso. L'architetto Francesco Morena, allievo di Aldo Rossi, impegnato in passato nell'ex Pescheria e nel polo logistico Pacorini, recentemente attivo in Cina e in Arabia Saudita, progettista della sede della Popolare Cividale, definisce questo intervento di riqualificazione urbana «delicato», perchè implica una notevole opera di scavo svolta in una zona a elevata densità abitativa. Non ci sarà bisogno di autorizzazioni della Soprintendenza, ma sarà necessario stendere uno studio di impatto ambientale. Saranno divelti 108.905 metri cubi di strutture edilizie, con un volume di scavo pari a quasi 90 mila metri cubi: stoccare terra e inerti è uno dei problemi maggiori da affrontare e fa parte dell'agenda messa a punto dal sindaco e dagli investitori, riunitisi subito dopo la presentazione tenutasi in Salotto Azzurro. Come soluzione Dipiazza ha pensato alle disponibilità di Cava Faccanoni. Alla presentazione erano presenti, a sottolineare la rilevanza dell'operazione per il settore edile del territorio, due esponenti dell'Ance, il presidente regionale Andrea Comar e e il presidente di Pordenone-Trieste Donato Riccesi. Comar, direttamente coinvolto nella realizzazione con la sua azienda, ha insistito sull'importante ricaduta che il progetto eserciterà sull'indotto edile giuliano. Professionisti, tecnici, aziende, maestranze saranno proposte dal territorio. Al ridisegno di questa parte della città Dipiazza crede molto. Innanzitutto perchè riscrive e rivitalizza l'area ormai fatiscente dell'ex Fiera. Poi perchè ritiene il progetto «attrattivo»: «Non è vero - attacca il sindaco, mettendo le mani avanti rispetto alle possibili critiche - che avrà ripercussioni negative sulle attività commerciali esistenti, anzi sarà un magnete di nuove iniziative imprenditoriali. Non mi è parso, visitando le strade prossime all'ex Fiera, di aver notato tutto questo fervore: via del Ghirlandaio è piena di serrande abbassate». Ma spera che il grande poligono ex fieristico tra via Rossetti, via Revoltella, via Sette Fontane, piazzale De Gasperi sappia trainare la qualità sociale complessiva di un rione un po' sulle ginocchia. Pensa a rimettere in sesto piazzale De Gasperi «uno spazio urbano non all'altezza di quanto stiamo facendo a Trieste». Auspica che anche il vicino asse di via Costantino Cumano, in passato zona ad alta intensità castrense, possa trovare una nuova e più vivace identità, tale da abbracciare le sedi museali allestite nell'ex caserma "Duca delle Puglie", come il museo di Storia Naturale e come il museo Diego de Henriquez.

Massimo Greco

 

La scommessa da 60 milioni dell'avvocato di Klagenfurt
«Trieste è una delle città più belle della Penisola, era una città dell'impero asburgico, non è lontana dalla nostra sede aziendale di Klagenfurt. Crediamo che sia una realtà dove vi sia ancora molto da recuperare rispetto ad altre parti d'Italia. Abbiamo visto che era stata bandita un'asta per la cessione della Fiera e abbiamo deciso di parteciparvi. L'Italia non è famosa per la rapidità delle procedure burocratiche, ma noi siamo fiduciosi della collaborazione da parte delle istituzioni triestine». Walter Mosser, fondatore del gruppo carinziano Mid che costruirà e gestirà il futuro dell'ex comprensorio fieristico, ha voluto illustrare in prima persona le ragioni dell'investimento a Trieste. Lo ha fatto in modo asciutto, ricordando di aver in cantiere altre iniziative imprenditoriali nel nostro Paese. Era accompagnato dal rappresentante di Mid Immobiliare srl, la controllata italiana del gruppo con sede a Bolzano, Armin Harnatschek. Sessantotto anni, Mosser è nato a Villaco e si è laureato in legge nell'Università di Graz. Inizialmente ha svolto l'attività forense a Klagenfurt, poi alla fine degli anni '80 - informa il sito di Mid - ha cominciato a sviluppare il suo primo progetto immobiliare e nel 1995 ha fondato la holding, dove sono concentrate le sue attività. In un arco temporale quasi trentennale ha realizzato oltre 70 immobili tra centri commerciali e parcheggi, operando nell'area centro-europea (Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Croazia). Per un totale di investimenti - riporta la brochure diffusa ieri mattina nel corso della presentazione in Salotto Azzurro - di oltre 1,2 miliardi di euro. Così sono sorti l'Europark di Budapest; i Qlandia sloveni a Nova Gorica, a Novo Mesto, a Kranj, a Maribor; i Qlandia croati a Zagabria. La realizzazione più vicina a Trieste è dunque Nova Gorica, «frequentata da molti italiani - dice Mosser - ma non comparabile con quanto vogliamo fare a Trieste, perchè di dimensioni minori». Sul dossier c'è il dichiarato impegno di Dipiazza, il quale ha garantito la sollecitudine dei passaggi autorizzativi.Il mandato all'architetto Francesco Morena attiene alla costruzione di un edificio «ad alta efficienza energetica, impiegando materiali riciclabili ed ecologicamente compatibili e tecnologie come il fotovoltaico e la geotermia». L'avventura triestina di Mosser ha avuto inizio in aprile, quando la sua offerta di 13 milioni 318,44 euro aveva migliorato di un paio di milioni la base d'asta comunale per l'acquisto dell'ex Fiera. Già in quell'occasione l'imprenditore carinziano, annunciando l'intenzione di investire oltre 60 milioni nell'operazione immobiliare del comprensorio di Montebello, aveva evidenziato il vantaggio competitivo geografico di Trieste con «un'ottima posizione sul confine con la Slovenia». Ad aiutare in modo decisivo la riuscita della vendita, concorse il nuovo Piano regolatore, che consentì di inserire nuove possibilità di intervento. Le innovazioni urbanistiche consentirono anche una sensibile lievitazione del valore immobiliare dell'area, che salì dagli originari 7 a oltre 10 milioni. La cifra al metro quadrato - aveva riferito l'assessore al Patrimonio Lorenzo Giorgi - era stata stimata dagli uffici comunali a 2119 euro al metro quadrato. Il rogito, che trasferiva la proprietà alla Mid Immobiliare, era stato firmato a Trieste in settembre avanti il notaio Ruan.

magr

 

 

A "lezione" di differenziata per rispettare l'ambiente - nelle scuole di Duino Aurisina, Sgonico e Monrupino
DUINO AURISINA Trasmettere ai bambini la cultura della tutela ambientale, insegnando loro le basi di una intelligente e oculata gestione dei rifiuti. Questo l'obiettivo dell'iniziativa promossa dalla Isontina ambiente, la Srl che, da qualche mese, gestisce la raccolta delle immondizie nei territori dei Comuni di Duino Aurisina, Sgonico e Monrupino. Per l'intero anno scolastico in corso, saranno organizzati percorsi di avvicinamento alle diverse tematiche ambientali, proponendo ai più piccoli attività da vivere in prima persona. Tre i filoni sui quali si articolerà il programma: visite, eventi e concorsi, lezioni in aula. Ogni sezione sarà modulata in base all'età dei partecipanti, che potranno beneficiare di questa novità a titolo del tutto gratuito. Per coloro che vanno dai 6 ai 13 anni saranno allestite visite all'impianto di compostaggio di Moraro, dove sarà possibile assistere a quel processo che riesce a trasformare i rifiuti dell'umido in sostanze utili per l'uomo. Al termine della visita, della durata di un'ora, ai ragazzi sarà consegnato un campione di compost da utilizzare a casa. Sempre a Moraro sarà possibile visitare l'impianto di selezione e riciclaggio, dove si potrà spiegare come sono suddivise le varie tipologie di rifiuti prima di trattarli. Un momento di gioco e divertimento abbinato all'apprendimento sarà la "Festa dello scambio", nel corso della quale tutti i partecipanti porteranno uno o più oggetti, altrimenti destinati al cestino, per scambiarli con altri. «Lo scopo - spiegano dall'Isontina ambiente - è di educare diffondendo la cultura del riuso e del riciclo, in luogo dell'abitudine al consumo». Il materiale, formato principalmente da capi d'abbigliamento e accessori, giocattoli, complementi d'arredo, dovrà essere preventivamente portato dai bambini e dai ragazzi nelle scuole di competenza, dove gli addetti della Isontina ambiente andranno a catalogarli, attribuendo a ciascuno elemento un punteggio in stelline, in base alla qualità delle condizioni generali. Al termine della festa, sarà compilata una classifica; chi ne avrà accumulate di più riceverà un riconoscimento. Ma il progetto della Isontina ambiente prevede anche lezioni per imparare a differenziare i rifiuti utilizzando i contenitori corretti, per capire il funzionamento del porta a porta, quali errori devono essere evitati per essere considerati buoni cittadini, sotto il profilo della gestione del tema rifiuti. Al termine dell'anno scolastico sarà effettuato un test e ai bambini che lo supereranno sarà consegnato un diploma. "È questa un'iniziativa che apprezziamo molto - ha commentato Daniela Pallotta, sindaco di Duino Aurisina - perché è da piccoli che bisogna assimilare questo tipo di cultura".

Ugo Salvini

 

 

«Stop al rigassificatore nel golfo del Quarnero» - Ancora una bocciatura da parte della Regione : «Troppi rischi per l'ambiente
Lo Stato croato prima risani l'area dell'ex impianto petrolchimico Dina»
FIUME - Ancora una bocciatura della Regione quarnerino-montana nei riguardi del rigassificatore offshore che dovrebbe venire dislocato nelle acque di fronte alla località vegliota di Castelmuschio (Omisalj), nel golfo del Quarnero. Dopo il "no" opposto dal comune di Castelmuschio, è stato il governatore della regione fiumana, Zlatko Komadina, ad esporre in conferenza stampa la propria contrarietà al progetto che ha già l'appoggio delle autorità statali croate. «La contea - ha detto Komadina - sostiene la municipalità di Castelmuschio, specie la sua richiesta che, se rigassificatore galleggiante deve essere, lo Stato croato provveda a risanare l'area del vicino ex impianto petrolchimico della Dina, dove sono depositate decine di tonnellate di sostanze tossiche. Non possiamo avventurarci in nuovi rischi ambientali senza avere risolto quelli vecchi. In riva al Quarnero siamo consci del fabbisogno energetico della Croazia, ma contemporaneamente Zagabria deve essere sensibile nei riguardi di Castelmuschio e della nostra contea». A prendere la parola è stata anche Koraljka Vahtar Jurkovic, assessore regionale all'Ambiente e membro della commissione incaricata di studiare lo studio d'impatto ambientale del terminal metanifero. «La decisione finale riguardante lo studio d'impatto ambientale spetterà all'assemblea regionale, che si esprimerà in merito nella sua sessione del 23 novembre. Il documento viene sottoposto a pubblico dibattito e personalmente posso dire che non ha la mia approvazione. Non rispetta quattro presupposti e cioè valori adeguati di impatto ambientale, ecologia, economia, energia ed estetica». Per Vahtar Jurkovic, il rigassificatore avrà un impatto negativo sull'ambiente marino, dalla clorazione agli scavi del fondale, per tacere delle emissioni e dai rumori prodotti 24 ore su 24. Inoltre sarà la più grande costruzione visibile nel golfo fiumano, pari ad un grattacielo di 17 piani. Considerato poi che l' impianto offshore è sempre accompagnato da una nave da carico, generalmente lunga sui 300 metri, allora si possono capire le preoccupazioni degli ambientalisti. «La struttura galleggiante - ha aggiunto Vahtar Jurkovic - influenzerà maggiormente l'ambiente rispetto ad un rigassificatore incassato sulla terraferma, il cui impatto risulterebbe di gran lunga più sopportabile». Ha infine invitato gli interessati a prendere parte al comizio pubblico che si terrà oggi a Castelmuschio, dedicato al progetto dell' impianto Lng.

Andrea Marsanich

 

 

 

 

GREENSYTLE.it - MARTEDI', 14 novembre 2017

 

 

Nube radioattiva sull’Europa: la sorgente tra Russia e Kazakhistan - radioattivita' anche in Friuli

Sarebbero state individuate delle tracce di radioattività, in seguito all’espansione di una nube radioattiva, nell’atmosfera nel periodo compreso tra il 27 settembre e il 13 ottobre. L’Istituto di Radioprotezione e di Sicurezza Nucleare francese avrebbe individuato delle tracce di rutenio-106 nell’atmosfera di tutta l’Europa e in Italia.

Secondo i dati forniti dall’ente francese i livelli raggiunti dal materiale radioattivo non avrebbero conseguenze né sull’ambiente né sulla salute. Si sa che la sorgente della nube radioattiva dovrebbe trovarsi in Russia o in Kazakhistan. In Italia l’ISPRA ha attivato la sua rete di monitoraggio della radioattività. Insieme alla Protezione Civile la situazione è stata tenuta sotto controllo e i valori di rutenio-106 non hanno destato particolare allarme. In varie Regioni è stata riscontrata la presenza di materiali radioattivi nell’aria, in particolare in Friuli, in Lombardia, in Piemonte, in Emilia Romagna e in Toscana.
L’emissione della nube radioattiva sarebbe avvenuta nell’ultima settimana di settembre. Tutto sarebbe derivato da un presumibile incidente, anche se non ci sono informazioni certe al riguardo. Nessun Paese ha diramato un allarme per fughe radioattive. Secondo l’Istituto di Radioprotezione e di Sicurezza Nucleare francese, non ci sarebbero nemmeno pericoli per la sicurezza alimentare, a partire da prodotti importati dalla zona in cui avrebbe avuto origine la nube radioattiva. Viene raccomandato di effettuare dei controlli a campione per escludere ogni rischio di eventuale contaminazione.
Gli esperti tengono in considerazione diverse ipotesi. Il rutenio-106 può trovarsi in centri per il trattamento di tumori e nella sede di agenzie spaziali. Viene utilizzato in medicina e nei satelliti artificiali, per cui si presume anche che tutto potrebbe aver avuto origine dalla ricaduta a terra di un vecchio satellite. Gli esperti ritengono che non potrebbe essersi trattato di un incidente che ha coinvolto direttamente una centrale nucleare, perché altrimenti nell’atmosfera sarebbero state individuate anche altre sostanze radioattive.
Gianluca Rini

 

 

COMUNICATO STAMPA - MARTEDI', 14 novembre 2017

 

 

Trieste: Piazzale Rosmini, M5S Quarta Circoscrizione: "La situazione è intollerabile. Non c'è stato ancora alcun intervento sui terreni e nessuna messa in sicurezza"
Poche settimane dopo la nostra elezione, il 13 giugno del 2016, avevamo presentato in Quarta Circoscrizione una mozione con la quale avevamo messo in evidenza la situazione di piazzale Rosmini, impegnando il sindaco Dipiazza e la sua giunta ad attivarsi per capire la causa dell'inquinamento di quell'area, a informare i cittadini sui tempi di bonifica e su quelli di riapertura e a trovare nuovi spazi ricreativi sicuri per i cittadini. Lo scorso 29 agosto, inoltre, abbiamo depositato anche una interrogazione rivolta al presidente della Quarta Circoscrizione. Attraverso questo atto pubblico abbiamo voluto esortare il presidente a interpellare il sindaco Dipiazza e gli assessori competenti per ottenere informazioni finalmente chiare sulle modalità di bonifica (fitorimedio) e sui tempi di esecuzione, per chiedere l'applicazione di tutte le soluzioni possibili per la messa in sicurezza immediata di piazzale Rosmini, per pretendere una seria politica di abbattimento degli inquinanti diffusi e per salvaguardare le attività che gravitano attorno al giardino. Le risposte non sono mai arrivate. Anzi, ad oggi il giardino di piazzale Rosmini appare abbandonato a se stesso. Non c'è stato alcun intervento sul terreno e nessuna messa in sicurezza; i cartelli che indicavano i pericoli e i comportamenti da tenere sono consunti e rotti, mentre le barriere sono state divelte e abbandonate nei cespugli. Il giardino con tutto il suo carico di composti tossici, caratterizzati da una forte presenza di cloro, diossine e furani, giace nel silenzio autunnale, ospitando bambini e famiglie su tutta la sua superficie. Ci chiediamo come una situazione così grave possa essere ancora tollerata. Tutta la città continua a registrare zone pesantemente inquinate e sono giornaliere le proteste da parte sia dei singoli cittadini che delle associazioni in genere che chiedono a gran voce delle soluzioni. La zona industriale, la valle delle Noghere, Servola, il terrapieno di Barcola, le grotte del Carso, il centro cittadino, i giardini, tutti in qualche modo sono stati colpiti. Crediamo sempre che la priorità debba essere la salute, in ogni circostanza, per questo il monitoraggio delle misure di sicurezza deve essere costante, l'informazione capillare e le soluzioni rapide e durature nel tempo. Per questi motivi chiediamo ancora una volta al sindaco e ai suoi assessori di iniziare una politica seria che combatta l'inquinamento in tutta la città e in tutti quei poli di aggregazione che poi sono anche il valore aggiunto di benessere, sicurezza ed economia dei vari rioni cittadini.
Gianluca Pischianz, Dania Bianco e Adriana Panzera - consiglieri circoscrizionali del MoVimento 5 Stelle - Quarta circoscrizione Comune di Trieste
 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 14 novembre 2017

 

 

Il tecnico del clima dell'Ictp - Giuliani individua le applicazioni tecnologiche più valide per la ricerca
Laureato in Fisica a Roma, Graziano Giuliani lavora all'Ictp dal 2010. Alle spalle ha un'ottima esperienza perché, oltre allo studio, per diversi anni ha lavorato anche per un'azienda internazionale che produceva software per l'agenzia spaziale europea. «Dopo questo periodo però sono voluto tornare alla ricerca», dice. Quindi si trasferisce prima all'Aquila, poi al Cnn di Firenze e infine approda a Trieste, all'Ictp. Il team di cui fa parte ha propositi formativi: «Il mio ruolo è piuttosto tecnico, mi occupo dello sviluppo del modello climatologico a scala regionale. Un lavoro in precedenza affrontato da Filippo Giorgi negli anni '80». Nello specifico il ruolo di Graziani va ad assolvere esigenze di applicazione tecnologica: «La ricerca è abituata ad usufruire strumenti sempre più raffinati, più veloci, richiede delle competenze», ma solo i ricercatori che si sono formati negli ultimi cinque, sei anni hanno avuto accesso a un percorso formativo in tal senso: «Per cui la mia figura, che ha spaziato anche nel campo industriale, ha acquisito queste pratiche che permettono ai ricercatori di affrontare tecnicamente la loro ricerca». Competenze che hanno a che fare con la formazione: «Individuare cioè il modo migliore con cui un nuovo oggetto tecnologico può essere utilizzato ai fini dello studio». Graziano Giuliani fa parte anche del comitato scientifico del Master in Hight Performance Computing dell'Ictp e della Sissa, un progetto che offre un percorso formativo oltre la laurea specialistica: «Serve sia agli studenti che vogliono utilizzare strumenti ad alta prestazione, sia alle aziende». Al di fuori della sua attività Giuliano Graziani si dedica alla famiglia: «Il figlio più piccolo mi impegna molto, suona il piano e gioca a rugby. Spesso sono io ad accompagnarlo sia al Conservatorio che agli allenamenti, anzi ormai naturalmente sono diventato un tifoso della squadra di rugby di Trieste. E poi c'è la lettura, mi appassiona molto, soprattutto i libri di storia».

Mary B. Tolusso

 

 

 

 

GREENSTYLE.it  - LUNEDI', 13 novembre 2017

 

 

Rifiuti marini: riciclo beach litter possibile, le novità da Ecomondo

Sono perlopiù cotton fioc, oggetti e imballaggi sanitari, frammenti plastici, tappi e cannucce tra i rifiuti marini più presenti. A denunciarlo sono i risultati delle indagini sul “Beach litter” presentate a Ecomondo 2017 e promosse dall’Istituto per la Promozione delle Plastiche da Riciclo in collaborazione con Legambiente ed ENEA.

Nel documento viene inoltre evidenziato quanto in molti spesso non sanno, ovvero che tali materiali potrebbero essere avviati al riciclo con ripercussioni positive sia economiche che ambientali. La presentazione del rapporto ha rappresentato un punto d’incontro tra istituti di ricerca, associazioni e imprese sulla “caratterizzazione del beach litter presente sulle spiagge”, così da poter poi sviluppare un piano di riciclo per questi materiali. Necessario inoltre individuare modalità efficaci di sensibilizzazione rivolte a consumatori e imprese, affinché prestino maggiore attenzione alla gestione quotidiana dei rifiuti. Fondamentale sradicare cattive abitudini come il gettare i cotton fioc nel water o richiamare a una più sostenibile gestione dei pellet di plastica per la pre-produzione industriale. Sulla base dei campionamenti effettuati dai tecnici di Goletta Verde, iniziativa operata da Legambiente, i ricercatori hanno evidenziato come la percentuale di plastica rinvenuta nel “beach litter” sia superiore al 90% in entrambi i punti di prelievo del litorale tirrenico (la spiaggia di Coccia di Morto in Provincia di Roma e la spiaggia della Feniglia in Provincia di Grosseto). Come riportato nello studio i campioni raccolti rispecchiano le “specificità delle due spiagge”, che hanno caratteristiche differenti per: tipologia; flusso di bagnanti; vicinanza ad insediamenti urbani/industriali; facilità di accesso. Polipropilene (PP) e Polietilene (PE) i polimeri plastici maggiormente presenti, che insieme costituiscono rispettivamente il 79% (Coccia di morto) e il 66% del totale (Feniglia). Come ha dichiarato Angelo Bonsignori, presidente IPPR e direttore generale Federazione Gomma-Plastica: «Lo studio rappresenta solo il primo passo per affrontare il problema del beach litter. Abbiamo recentemente costituito il “Tavolo permanente per il riciclo di qualità” per analizzare, anche attraverso il coinvolgimento delle aziende di riciclo, la concreta fattibilità di recupero dei materiali presenti sulle nostre spiagge.» Specialmente per quella frazione degradata o composta da diversi polimeri che non possono tornare tal quali nelle rispettive filiere. Intendiamo inoltre promuovere una prima campagna di raccolta del beach litter in alcuni Comuni costieri in accordo con le Amministrazioni e studiare la realizzazione di un impianto pilota per il riciclo di questi materiali. A margine della presentazione è intervenuto anche Loris Pietrelli, ricercatore ENEA, che ha dichiarato: «Quelli che erano i punti di forza delle plastiche, leggerezza, durabilità e costi contenuti oggi rappresentano il limite di questi materiali che permangono nell’ambiente per decenni prima che si degradino. Comunque è importante ricordare che non si può demonizzare la plastica, perché con questo termine si identificano centinaia di materiali polimerici, con caratteristiche molto diverse, di cui non possiamo più fare a meno.» Il risultato principale di questa prima ricerca riguarda la composizione dei materiali raccolti. La netta prevalenza di materiali termoplastici quali polietilene e polipropilene, facilita il recupero ed il riutilizzo del materiale spiaggiato. È necessario inoltre ricordare che le plastiche arrivano da terra e quindi sono il risultato di una cattiva gestione dei rifiuti solidi urbani. Ad esempio, l’enorme quantità di cotton fioc rinvenuta lungo le spiagge rappresenta un “caso” emblematico soprattutto se si pensa che nei primi anni del 2000 la commercializzazione dei bastoncelli non biodegradabili era vietata. Un invito a prendere in sempre maggiore considerazione il problema del beach litter arriva da Stefano Ciafani, direttore generale Legambiente, che sottolinea l’importanza assoluta di una corretta sensibilizzazione al riguardo: «Questo studio rappresenta una prima importante collaborazione tra istituti di ricerca, associazioni e imprese per affrontare il problema del marine litter. Un fenomeno che sta assumendo proporzioni sempre più allarmanti come ha dimostrato anche la Conferenza mondiale sugli Oceani organizzata dall’ONU a cui abbiamo partecipato, raccontando la nostra esperienza di monitoraggi scientifici considerata come una delle esperienze più avanzate al mondo della citizen science.» Purtroppo la cattiva gestione dei rifiuti e l’abbandono consapevole restano le principali cause del fenomeno. Al tempo stesso i dati evidenziano come buona parte di questi rifiuti potrebbero essere riciclati. I risultati, sebbene preliminari, mostrano dati incoraggianti circa la qualità del blend ottenuto mescolando i rifiuti spiaggiati. Una novità assoluta che dimostra come sia fondamentale sia prevenire il problema attuando campagne di sensibilizzazione, sia lavorando sull’innovazione di processo e di prodotto e sull’avvio di una filiera virtuosa del riciclo.

Claudio Schirru

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 13 novembre 2017

 

 

A San Dorligo nasce il contest per i sacchi di rifiuti anti bora

Comune e A&T lanciano una gara rivolta alle scuole con l'obiettivo di scovare il modo per evitare che i contenitori del porta a porta volino per strada in caso di vento forte
SAN DORLIGO DELLA VALLE - L'appello è: fate ricorso alla fantasia. Questa la richiesta che Comune di San Dorligo della Valle e A&T Servizi ambientali - l'azienda che, dallo scorso primo luglio, gestisce la raccolta rifiuti nel territorio amministrato dalla giunta guidata dal sindaco Sandy Klun - hanno formulato agli alunni delle quarte e quinte delle scuole elementari e a quelli delle medie del territorio. L'obiettivo? Invitare i bambini e i ragazzi a individuare una soluzione che permetta di evitare che, quando soffia forte la bora a San Dorligo della Valle, i sacchetti delle immondizie pronti alla raccolta differenziata porta a porta, appesi a cancelli, reti divisorie, muri, attraverso gli appositi ganci forniti dalla stessa A&T Servizi ambientali, prendano il volo. Il premio per le due soluzioni che un'apposita commissione giudicherà essere le più meritevoli consisterà in una visita al Museo della bora di via Belpoggio 9. Ma non basta. Gli alunni delle due classi migliori vedranno i loro progetti, di cui sarà valutata non solo la funzionalità ma anche l'ingegnosità e la simpatia, proposti sul sito internet della A&T Servizi ambientali. «E speriamo - dicono dall'azienda che si occupa della raccolta rifiuti a San Dorligo - che siano anche progetti facilmente praticabili. In tal caso non esiteremmo a utilizzarli». Da una decina di anni sul territorio è attiva la raccolta porta a porta, attraverso l'uso di contenitori assegnati a ciascun utente. Nel tempo, i cittadini hanno spontaneamente adottato soluzioni che prevedono l'utilizzo di ganci, catene o altro, per evitare la dispersione dei contenitori, quando si alza la bora. Ecco allora nascere l'iniziativa comune dell'amministrazione e dell'azienda, che va a stimolare i cittadini più piccoli, tradizionalmente dotati di grande fantasia e inventiva, per coinvolgerli in un compito che ha uno scopo molto serio ma che a scuola può diventare un gioco divertente e istruttivo.Il Comune di San Dorligo è formato da un notevole numero di frazioni, sparse su un territorio che va dalla piana di Bagnoli alle colline di San Giuseppe della Chiusa. Un paesaggio vario, nel quale i residenti hanno costruito seguendo diversi criteri; ecco che i partecipanti al concorso potranno veramente esercitare la fantasia, cercando soluzioni che potranno essere applicate in base alla situazione locale.Il regolamento prevede che le classi documentino sistemi efficaci, intelligenti, originali, curiosi e simpatici «per gestire la raccolta rifiuti attraverso bidoni o sacchetti nelle giornate di bora. I lavori potranno essere presentati fino al 28 febbraio 2018 e inviati, corredati di foto, video, informazioni e tutto ciò che permette di valutare la proposta nel suo insieme, alla mail scuole@aet2000.it. Per poter avere tutte le indicazioni utili per poter partecipare a questa gara di fantasia si può scrivere alla stessa e mail utile per la presentazione dei lavori o telefonare allo 0432 691062.

Ugo Salvini

 

 

L'APOCALISSE CLIMATICA
Le polveri sottili? Sotto il tappeto. Hanno fatto un giro di valzer nei caffè quando infuriava la siccità che in questo 2017 è stata più lunga del solito. Poi ha piovuto, pioggia acidissima, oltre tutto, perché attraversava un'atmosfera gonfia di veleni, e del respiro che ci uccide non parlerà più nessuno fino al prossimo allarme. Un proverbio orientale dice che il saggio indica la Luna, lo sciocco guarda il dito. La differenza è notevole. Come quella tra chi considera i cambiamenti climatici una sventura di là da venire e chi ribatte che abbiamo già il cappio al collo. Ad esempio il rapporto Ispra pubblicato dal National Geographic. Inverni più caldi in Italia di 2,15 gradi, in media, rispetto agli ultimi trent'anni. Più caldo e meno acqua dove c'è sempre stata. E quali sono le reazioni? Trump se ne frega, smarcando l'America che dovrebbe avere un ruolo-guida. La Cina, dove The Donald si trova in questi giorni, l'argomento non viene sfiorato: il combinato disposto comunismo-consumismo impone di produrre a testa bassa turandosi il naso. L'Europa organizza summit, ultimo il Cop23 a Bonn, portando a casa briciole. Intanto anche i negazionisti ormai si convincono che il pericolo c'è. Un'ottobrata anomala ha armato la mano di piromani vigliacchi. Roghi dolosi hanno stuprato le meraviglie del Creato in Val di Susa e nelle Prealpi lombarde. Cacciatori assatanati si appostavano in attesa che animali di pregio uscissero allo scoperto dai boschi in fiamme, per dire di che cosa è capace l'homo sapiens. I giornali hanno pubblicato le foto del sole malato sopra le cappe di smog a Milano e a Torino. Ci dovrebbero finire i volti di straordinari imbecilli che sguazzano nella tragedia di una foresta annientata e di una fauna in fuga. Numeri: la concentrazione di anidride carbonica nella quale siamo immersi è pari al 145 per cento rispetto al 1750, il livello più elevato degli ultimi 800mila anni. Lo ha sentenziato il Wmo, massima organizzazione meteorologica mondiale. Il confronto tra epoche tanto distanti svela che il passaggio dai 790 milioni di abitanti sulla Terra prima del boom industriale e i 7,5 miliardi di oggi ha avuto il suo peso, è chiaro. Ma ci dice anche un'altra cosa: i problemi attribuibili alla crescita si affrontano, il nuovo mondo non lo sa fare. Nel sermone di Ognissanti il nuovo arcivescovo di Milano monsignor Delpini si è chiesto fino a quando l'umanità evoluta continuerà a farsi del male. Papa Francesco nell'enciclica "Laudato sì" aveva scritto: «Mai abbiamo maltrattato e offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli.. Molto facilmente l'interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare l'informazione per non vedere colpiti i propri progetti». Eccolo il più grande dilemma dei nostri giorni: maneggiamo l'arma delle potenti tecnologie, ma non sappiamo calmierare regole di vita che prospettano l'Apocalisse climatica. Scienza e politica si scoprono in antitesi. Considerando la colpevole inerzia degli Stati, alcuni studiosi propongono di raffreddare la Terra con uno scudo di nubi artificiali e di scaricare massicce dosi di ferro nel mare per rigenerare plancton. Soluzioni fantasiose a parte, è ferma la convinzione che la partita dei cambiamenti climatici sia ancora una questione di umana ragionevolezza e di decisionale fermezza. Le energie alternative sono state individuate. La situazione di Sorella Terra non è buona. Nemmeno delle sue creature. Si vive di più perché abbiamo la possibilità di arginare malattie. Sicuri che una sorta di nemesi storica non colpirà le generazioni future a causa delle intemperanze di quelle passate? Due immagini drammatiche sono finite sui social negli ultimi anni. La prima: nove orsi polari che si fracassano sulle rocce, traditi dal loro amico naturale, il ghiaccio sciolto lassù in cima al mondo. La seconda: trenta balene spiaggiate in Norvegia perché hanno ingoiato sacchetti di plastica, perdendo l'orientamento. Le avevano scambiate per calamari. La stessa cosa che sta accadendo all'umanità.

GIANNI SPARTÀ

 

 

Arci Servizio civile in Slovenia e Croazia volontari in arrivo all’Unione italiana

Prenderà il via oggi, dopo due mesi di formazione a Trieste, l'attività all'estero di quattro volontari dell’Arci Servizio civile nell'ambito del progetto “Culture di Confine”. Due volontari provenienti da Bari e da Trento e due in arrivo da Ferrara e Torino prenderanno servizio negli uffici dell’Unione Italiana, il massimo organo rappresentativo della Comunità nazionale italiana in Slovenia e Croazia, nelle sedi di Capodistria e Fiume (foto). Ad annunciarlo è Arci Servizio civile Fvg. Attraverso scuole, istituzioni e associazioni di promozione, diffusione e mantenimento della cultura e della lingua italiana nell’area, il progetto intende contribuire allo sviluppo ulteriore dell’integrazione della minoranza italiana in Istria e Quarnero, incrementando le opportunità di scambio fra le diverse comunità, anche attraverso la diffusione della cultura della comunità italiana. Arci Servizio Civile, associazione di promozione sociale, è la più grande associazione di scopo italiana dedicata esclusivamente al servizio civile.

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 12 novembre 2017

 

 

La Sala Tripcovich? È venuto il momento di demolirla
Abbiamo letto sul Piccolo del degrado della sala Tripcovich, realizzata in deroga al piano regolatore vigente nel 1992, stravolgendo la stazione delle corriere progettata da Umberto Nordio, edificio che era dignitoso ma non eccelso. La sala doveva essere provvisoria in attesa del restauro del teatro Verdi e per legge la deroga al piano regolatore doveva valere per un anno prorogabile al massimo di altri due. La provvisorietà della sala comportò la mancanza di camerini, ricavati in degli orrendi container sul retro, ora per fortuna eliminati e dalla mancanza di un impianto di condizionamento e di un bar. L'associazione Triestebella ritiene, come propose anche l'architetto Mario Botta, che tale brutto edificio debba essere demolito perché non corrisponde più per niente all'originale stazione. La sua demolizione consentirebbe di realizzare una bella unità di spazio nella piazza, aggiungendo al giardino il sedime della sala. Oltre ad avere così un'area verde di maggior respiro, Trieste offrirebbe a chi vi arriva una più degna accoglienza. Per unificare il giardino sarebbe bene anche eliminare i tratti che lo attraversano di via Flavio Gioia e corso Cavour, come era previsto nel progetto dell'architetto Zagari vincitore del concorso del 2002 per la sistemazione delle Rive. La piazza potrebbe diventare una grande rotatoria eliminando i semafori e snellendo il consistente traffico.

Roberto Barocchi - architetto Associazione Triestebella

 

 

Il porto fluviale di Belgrado che mina l'oasi naturalistica

Ambientalisti in lotta contro il nuovo progetto per il quale la Serbia punta ai capitali cinesi: nell'area di 900 ettari vivono numerose specie protette
BELGRADO - Il progresso e lo sviluppo economico hanno il loro prezzo. A Belgrado potrebbero costare la distruzione di una zona dove da sempre decine di specie di uccelli vivono o sostano durante le migrazioni. È Beljarica, un'area verde sulle sponde del Danubio, a venti minuti d'auto dal centro della metropoli: terre umide battezzate dagli ambientalisti "l'Amazzonia di Belgrado", per i loro canali interni e la vegetazione che cresce rigogliosa, natura incontaminata. Proprio lì, secondo i piani delle autorità locali, dovrà sorgere un nuovo grande porto fluviale, molto probabilmente con capitali cinesi, un'altra tessera del megaprogetto "One Belt One Road", la Nuova via della seta. E l'Amazzonia in miniatura sarebbe a rischio di completa devastazione. La denuncia circola da tempo nel Paese ed è stata canalizzata in una petizione online promossa dalla Lega serba per l'azione ornitologica - che dal 2010 si batte per proteggere l'area - allarmata dalla possibile cancellazione di una riserva di gran pregio. Petizione in cui si ricorda che Belgrado ha quello «che altre capitali non hanno, un'oasi inalterata a un passo dal centro della città». Oasi che dà rifugio ai pesci di fiume per i quali Beljarica è «un importante luogo per la riproduzione», a circa «60 specie di mammiferi e 137 di uccelli, di cui 109 protette a livello nazionale», conferma al Piccolo l'ecologo e ornitologo Dragan Simic. Specie come linci, nutrie, cinghiali, sciacalli dorati, coppie di aquile dalla coda bianca, il "re della nebbia", fra gli esemplari più maestosi della specie in Europa. Al riparo ma ancora per poco, secondo i promotori della sottoscrizione che chiedono che l'area sia dichiarata zona protetta. E che non vi sia costruito, come annunciato già nell'agosto dell'anno scorso - così si legge nel testo della petizione - «il nuovo porto di Belgrado», un'operazione che potrebbe portare alla «completa distruzione» di un'area che «da secoli salva Belgrado dalle inondazioni» del Danubio, giacché rappresenta un'area di sfogo per le acque.Il porto, con migliaia di metri cubi di cemento e asfalto, coprirà quasi «tutti i 900 ettari» di Beljarica, hanno denunciato gli ecologisti chiedendo ai belgradesi di reagire così come fecero i viennesi che nel 1984 scesero in piazza contro la costruzione della centrale idroelettrica Hainburg sul Danubio. Ai tempi, furono 353mila quelli che firmarono una petizione simile a quella lanciata in Serbia, che però, almeno per ora, non ha raggiunto le 10mila sottoscrizioni, anche se le firme sono in crescita nell'ultimo periodo. E potrebbero aumentare nei prossimi mesi, quando ci sarà maggiore chiarezza sul destino di Beljarica, già in passato indicata dai media locali come area di sviluppo del nuovo porto. Indicazioni che tutto andrà in questa direzione sono contenute in una mappa del Consiglio urbanistico della città di Belgrado, che segna in giallo il perimetro di Beljarica come area edificabile, in rosso le nuove arterie stradali e ferroviarie. La zona è a un tiro di schioppo dalla superstrada e dal ponte "cinese" Mihajlo Pupin, aperto tre anni fa, lungo 1.482 metri, finanziato da un prestito della EximBank cinese di 226 milioni di dollari che ha coperto l'85% del costo totale dell'opera. E Pechino sarà con alta probabilità coinvolta anche nel nuovo progetto del porto, conferma la "Strategia per lo sviluppo 2021" approvata dalla municipalità di Belgrado, dove si legge che le fonti di finanziamento dell'opera, almeno 350 milioni di euro, saranno oggetto di «negoziati tra la Repubblica di Serbia» e quella Popolare cinese. L'opera non a caso è voluta vicino al ponte Pupin, dove dovrebbe sorgere anche il grande parco industriale promesso a maggio dal sindaco di Belgrado, Sinisa Mali, col coinvolgimento sempre della Cina, parco in cui dovrebbero insediarsi decine di aziende cinesi. Gli interventi potrebbero distruggere Beljarica «definitivamente», aggiunge Simic precisando che «non ci sono informazioni ufficiali su contratti firmati», ma bisogna chiedersi «se serve un porto da 900 ettari, in parte serbo, in parte cinese». Soprattutto in una piccola ma preziosa "Amazonija".

Stefano Giantin

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 11 novembre 2017

 

 

Intervento - Il ritorno prepotente sulla scena del rigassificatore di Zaule
Segnali inquietanti nella baia di Zaule. Addio al RoRo in area ex Aquila, dopo la cacciata della Teseco; si vocifera di futuri ampliamenti ai depositi petroliferi; in via Errera si pensa ad un'ipotesi di costruzione di un impianto per la produzione di gas dal trattamento di rifiuti e, ciò che più preoccupa, il ritorno in pista del rigassificatore della Gas Natural, dopo l'approvazione del gasdotto marino della Snam del 12 giugno 2017.A proposito del rigassificatore le preoccupazioni sono giustificate anche dal fatto che nell'analisi di impatto della regolamentazione (A.I.R.), collegata al decreto attuativo del Porto Franco, tra gli " Obiettivi a medio e lungo periodo" elencati, a pagina 4 punto C/2, viene imposto di monitorare l'incremento del traffico LNG con cadenza biennale (traffico di LNG è legato al rigassificatore). A tutto ciò possiamo aggiungere che nella conferenza stampa indetta a conclusione dei lavori della sessione plenaria del Comitato dei ministri di Italia e Slovenia (copresieduta dall'onorevole Angelino Alfano) il ministro sloveno Erjavec ha ribadito che la Slovenia è contraria al rigassificatore di Zaule. Da ciò si deduce che durante l'incontro se ne sia parlato e che sia stato il nostro ministro a riesumare l'argomento. Quindi, mentre in tutto il mondo i siti indicati per l'ubicazione di questi impianti vengono scelti in funzione della tutela delle popolazioni, delle attività economiche e dell'ambiente, per quanto riguarda Trieste, si va invece controcorrente, in quanto si pretende di imporre un rigassificatore a Zaule, sulla terraferma, al centro di un'area densamente popolata e, soprattutto, scavalcando e ignorando le norme di sicurezza e le precauzioni adottate, oltre che in Italia per gli impianti già esistenti (Porto Viro e Livorno), anche in tutto il resto del mondo. Sembra proprio che lo Stato italiano voglia condannare la nostra popolazione a vivere in perenne pericolo, bloccare definitivamente lo sviluppo del nostro porto e l'economia della città e rendere il nostro mare tossico e infruibile. Martedì 31 ottobre si è svolto un incontro al quale ha partecipato il Comitato con l'assessore regionale all'ambiente Vito, per conoscere lo stato dell'arte del progetto e quali interventi, a breve termine, la Regione intenda attuare, anche in vista dell'imminente presentazione del Piano energetico nazionale .Le risposte sono state vaghe e indefinite per cui, visto anche che le conferenze dei servizi al Mise rischiano di effettuarsi in piena campagna elettorale, riteniamo opportuno ribadire la nostra posizione e cioè:Amministratori e parlamentari della nostra Regione devono denunciare apertamente, senza paura e con forza che questa scelta (del governo) va contro Trieste, la sua economia, la sicurezza dei cittadini e la salute del nostro mare ed imputare a chi ha dato il benestare all'impianto, di aver colpevolmente ignorato i rilievi fatti, da oltre dieci anni, da scienziati, professori, tecnici, esperti, sull'assoluta incompatibilità dell'impianto con le caratteristiche del sito e sulle tante incongruenze rilevate nel progetto stesso (come ben descritto nella delibera del consiglio comunale di Trieste del 2012). Restare silenti, limitarsi a dichiarare periodicamente la propria contrarietà menzionando solamente l'incompatibilità con le attività del porto e attendere le decisioni del Tar, sono scelte assolutamente infruttuose.

Giorgio Jercog - Comitato per la salvaguardia del Golfo di Trieste

 

 

In treno all'aeroporto dal 19 marzo - Settanta convogli giornalieri alla fermata del polo intermodale. Nuovo sportello UniPoste. E arriva anche Flixbus
TRIESTE - La data è stata fissata. Approderà il 19 marzo prossimo il primo treno alla fermata ferroviaria che si sta realizzando al polo intermodale dei trasporti di Ronchi dei Legionari. E, da allora, saranno ben 70 i convogli giornalieri che viaggeranno nelle due direzioni, quella di Trieste e di Venezia, compresi quelli ad alta velocità che, verosimilmente, dovranno far ripensare tutto il sistema di fermate lungo la linea. L'annuncio è stato dato ieri, in occasione della visita che la presidente della giunta regionale, Debora Serracchiani, ha compiuto al vasto cantiere che, dal gennaio scorso, interessa l'area tra lo scalo aereo e la linea ferroviaria. Serracchiani, assieme al presidente ed al direttore generale di Trieste Airport, Antonio Marano e Marco Consalvo ed al sindaco di Ronchi dei Legionari, Livio Vecchiet, ha anche inaugurato la nuova filiale di UniPoste, società privata che ha aperto il suo nuovo sportello. Trieste Airport, che chiuderà il 2017 con oltre 800mila passeggeri, guarda anche al futuro ed annuncia, dall'estate prossima, nuovi collegamenti per la Germania, Francoforte in primis. Il polo intermodale sta diventando una realtà e Ronchi dei Legionari sarà il primo aeroporto in Italia a disporre, in un così ristretto spazio, di tutti i sistemi di trasporto integrati tra loro. Al terminal autobus, capace di ospitare ben 17 stalli di sosta, arriverà anche la low cost Flixbus che, qui, farà una sosta lungo la linea Nizza-Pola. «In questi mesi abbiamo corso, ci siamo presi un impegno che sta andando in modo spedito - ha detto Serracchiani - e di questo non posso che ringraziare tutti coloro che sono impegnati in questo vasto cantiere. Il polo è un ponte per il futuro, un'opera che serve al territorio e che, sono sicura, potrà attrarre altri utili investimenti». L'importo complessivo delle opere in appalto alla Ici Coop ed alle ditte ad essa collegate è di 13,6 milioni di euro e ad oggi sono stati eseguiti lavori per un totale di 3.880.000 euro per quanto riguarda il primo lotto, ultimato al 57%, e di 1.500.000 euro per il secondo lotto, completato al 23%. Entro marzo, come detto, dovrà essere tutto finito e Trieste Airport guarda proprio al completamento dei lavori come una tappa importante per il rilancio dei collegamenti e per la crescita dei passeggeri. Le strutture in cemento armato del parcheggio multipiano sono già state ultimate ed è in corso la realizzazione degli impianti, mentre nei parcheggi a raso verranno a breve completati gli stalli in cemento drenante e l'impianto di illuminazione. Per quanto riguarda la passerella sono in corso di montaggio le strutture verso la fermata ferroviaria, mentre il varo del ponte sulla linea è previsto per la seconda metà di dicembre. Per quanto riguarda l'autostazione degli autobus, è stata completata la torre di collegamento verticale con la passerella e sono in fase di realizzazione la sala d'aspetto, i locali tecnici e i servizi. Lo scalo ronchese, infine, inizia ad essere attrattivo anche per l'insediamento di nuove attività commerciali. Ieri, alla presenza del suo presidente, Francesco Paduano, ha aperto il suo sportello, aperto dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 18.30, UniPoste. Si tratta di un operatore postale privato che propone servizi di pagamento, servizi di finanziamento ed assicurativi, ma anche servizi turistici, telefonici e prodotti informatici. L'azienda possiede una rete commerciale articolata su due canali, quello diretto e la rete di franchising, con 21 punti vendita. UniPoste punta ad una decisa crescita con un fatturato previsionale per il 2018 pari a 7,4 milioni di euro.

Luca Perrino

 

«Trieste e Capodistria da record per i treni intermodali» - Forum di Alpe Adria Business International
TRIESTE - «Il numero dei treni intermodali che fanno settimanalmente i porti di Trieste (200) e Capodistria (120) supera quello dei treni operati da Rotterdam (250)». Lo ha detto il presidente dell'Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale, Zeno D'Agostino, intervenendo al Sdgz Alpe Adria Business forum, alla Stazione Marittima di Trieste, la cui sessione conclusiva si è focalizzata su un confronto tra i due vicini scali di Trieste e di Capodistria (Slovenia), e le opportunità di sviluppo che possono apportare alla regione Alpe Adria. Due porti in competizione, ma che collaborano su molti fronti. D'Agostino ha più volte rimarcato il ruolo importante che può svolgere il Napa, associazione porti Nord Adriatico, anche alla luce del recente rientro del porto dell'Emilia Romagna nell'associazione che vede tra i membri anche Trieste, Capodistria, Venezia e Fiume (Croazia) e che ha visto proprio il passaggio del semestre di presidenza da Capodistria a Trieste. «Il Ruolo del Napa - ha puntualizzato D'Agostino - diventa strategico anche alla luce dei dati statistici che stiamo raccogliendo nel 2017. Stiamo vedendo per la prima volta, che tutti i porti del Nord Adriatico hanno una crescita importante dal punto di vista dei traffici. Il primo elemento da analizzare è questo: il corridoio marittimo Adriatico è sempre più centrale nei traffici internazionali».«In uno scenario in cui i volumi di traffico del porto di Trieste, assieme a quelli degli altri scali dell'Alto Adriatico, registrano una forte crescita, la sfida, strutturata dal lavoro compiuto in questi ultimi anni dalla Regione, è quella di sviluppare le aree retroportuali del Friuli Venezia Giulia estendendone l'attività alla Carinzia, alla Slovenia e alla Croazia»: così l'assessore regionale alle Attività produttive, Sergio Bolzonello.

 

 

Tassa rifiuti “gonfiata” in molti Comuni - L’applicazione su garage, soffitte e cantine fa lievitare le bollette. A scovare l’errore un deputato M5S

ROMA - Molti Comuni hanno moltiplicato illegittimamente la tassa sui rifiuti, la Tari. Hanno applicato più volte su un singolo immobile, applicandola anche su garage, soffitte e cantine, la quota variabile che caratterizza questo tributo. Risultato: il balzello è così stato complessivamente gonfiato, in alcuni casi fino a raddoppiare. Il problema non è di poco conto, visto che riguarda molti Comuni, alcuni anche grandissimi. Un primo check alle delibere l’ha fatto il Sole24Ore scoprendo che a “inciampare” sono state anche grandi realtà: Milano e Genova, Napoli e Catanzaro, Cagliari e Ancona, Rimini e Siracusa, prescindendo dal colore politico. Il merito di aver strappato a livello parlamentare il velo su questo “errore”, dando così l’avvio a una campagna di rimborsi che potrebbe valere anche molti milioni, va comunque al deputato M5S, il pugliese Giuseppe L’Abbate. Il suo commercialista gli aveva segnalato l’anomalia commessa nel Comune dove risiede, Polignano a Mare. Lui ha quindi chiesto chiarimenti con una interrogazione alla quale il ministero dell’Economia in Commissione Finanze ha dato una risposta chiarissima nel senso e nelle conseguenze. «La parte variabile della tariffa – ha spiegato il sottosegretario Pierpaolo Baretta – va computata solo una volta considerando l’intera superficie dell’utenza composta sia dalla parte abitativa che dalle pertinenze situate nello stesso comune». L’esempio portato dall’interrogazione era quello di un appartamento di 100 metri, con un garage di 30 metri e una cantina di 20 metri. In concreto il Comune aveva applicato i 2 euro della quota fissa sui 100 metri e sul 50% della superficie di garage e cantina. Ma poi aveva applicato su ogni singolo cespite catastale i 141 euro della quota variabile, che così veniva moltiplicata per tre. Risultato: una stangata di 673 euro contro i 391 che, in base al chiarimento del ministero dell’Economia, dovranno essere pagati. «Siamo partiti dal confronto dal basso e dalla verifica di quanto riferito dai cittadini – afferma L’Abbate – Ci danno degli incompetenti, ma poi siamo noi, con lo studio e l’approfondimento, a risolvere gravi problemi a livello nazionale causati dalle altre forze politiche». Ora si apre la strada per i rimborsi. I Comuni interessati potrebbero essere moltissimi, vista l’incertezza normativa oramai dissolta. Per comprendere se si è pagato di più bisognerà prendere i bollettini di pagamento che riportano anche i calcoli della tariffa applicata sulle singole unità immobiliari e sulle pertinenze: quest’ultime non devono contenere la quota variabile. Se questa invece è riportata si può richiedere il rimborso. C’è tempo fino a 5 anni e il Comune può compensare il dovuto sulle bollette future o restituire il maggior importo pagato in 180 giorni. «Meglio tardi che mai», commenta L’Abbate. «Pensare – aggiunge – che l’interrogazione l’avevo presentata nel 2016 e che la risposta è arrivata un anno dopo. L’errore si sarebbe potuto correggere prima».

 

 

A Rovigno fondi Ue per l'ambiente - Da Bruxelles 21 milioni: col nuovo sistema di depurazione le acque reflue riutilizzate per l'irrigazione
ROVIGNO - Una volta ultimato il sistema di raccolta, smaltimento e depurazione delle acque reflue, Rovigno sarà la seconda città nel Paese - dopo Parenzo - ad avere risolto il problema in maniera integrale. Le acque depurate ottenute saranno cioè riutilizzate per l'irrigazione delle aree verdi: operazione che porterà rilevanti risparmi sulla bolletta, visto che ora invece per l'irrigazione si attinge dalla rete idrica pubblica. Il progetto - sicuramente uno dei più importanti sul fronte degli interventi infrastrutturali di Rovigno - è stato presentato nel palazzo municipale dal sindaco Marko Paliaga assieme al direttore dell'azienda municipalizzata "Epurazione acquee" Ognjen Pulic. Il valore complessivo dell'operazione è di 30 milioni di euro, 21 dei quali ottenuti dal Fondo di coesione dell'Unione europea. Quest'ultimo, istituito nel 1994, fornisce finanziamenti per progetti nel settore dell'ambiente e delle reti transeuropee, mentre dal 2007 le risorse possono essere utilizzate anche per progetti in settori connessi allo sviluppo sostenibile, fra cui l'efficienza energetica e le energie rinnovabili. Per quel che riguarda Rovigno l'obiettivo è quello della rimozione dei contaminanti dalle acque reflue di origine urbana e industriale, così da renderle compatibili con l'ambiente al momento del loro sversamento nei punti prescelti senza che vengano a crearsi dei danni all'ecosistema. Va ricordato che la costruzione dei primi impianti del progetto è iniziata 11 anni fa: ora però si punta ad accelerare per portare a termine l'intera operazione entro la fine del 2019, quando al sistema saranno allacciati tutti gli abitanti e le aziende di Rovigno e di Villa di Rovigno. Si tratta di un totale di 63mila utenze, comprese le centinaia di migliaia di villeggianti che d'estate soggiornano sul territorio. In questo momento i cantieri sono concentrati tutti nella zona di Villa di Rovigno, dove sono in corso di posa 1.100 metri di tubature. A partire da febbraio si lavorerà invece nella zona dell'ospedale di Rovigno e del rione di Borik, dove verranno deposti 24 chilometri di tubature che consentiranno 700 nuovi allacciamenti. I lavori verranno interrotti nel corso della stagione estiva, per poi riprendere nell'autunno del 2018. Giù entro questo mese intanto verrà risanato il collettore di 2,5 chilometri che collega il rione di Lamanova al nuovo depuratore di Cuvi attraversando la zona di Valbruna. La posa del collettore costiero tra il Gandusio e il porto è invece programmata per l'anno prossimo.Il progetto comprende anche la costruzione di sette stazioni di pompaggio. A lavori ultimati - dunque tra circa due anni - saranno eliminati anche i cattivi odori che a volte serpeggiano tra le vie e le piazze di Rovigno. L'appalto del cantiere è stato affidato all'azienda edile Krk di Veglia. La città di Rovigno - è stato detto in sede di presentazione - sta dunque compiendo un passo importante nel miglioramento della qualità della vita dei suoi abitanti e dei villeggianti, grazie soprattutto al Fondo di coesione europeo che ha creduto nella validità del progetto.

(p.r.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 10 novembre 2017

 

 

FERRIERA - Miani e Servola respira ricevuti in Regione

«Un incontro costruttivo, a seguito del quale sono stati presi alcuni impegni basati sulla collaborazione e la comunicazione relativamente alle problematiche di carattere ambientale afferenti all’attività della Ferriera». Questo - come riporta una nota della Regione - il concetto espresso dall’assessore all’Ambiente Sara Vito che ha incontrato ieri, con i vertici della Direzione centrale Ambiente e dell’Arpa, i presidenti del Circolo Miani e del Comitato Servola respira, Maurizio Fogar e Romano Pezzetta. Dopo l’incontro Vito ha dato mandato agli uffici «di approfondire i temi che saranno segnalati da Miani e Servola respira nell’ottica di un confronto puntuale e trasparente con il territorio». Oggi invece al Circolo della Stampa di Corso Italia, Legambiente organizza un incontro pubblico su «La siderurgia in Italia e il caso Ferriera».

 

 

Bonifiche, al via due appalti per 1,4 milioni - Aggiudicate le gare per l’analisi di terreni e acque e per il progetto contro l’inquinamento delle falde

Un nuovo passo in avanti nel lungo iter burocratico riguardante le bonifiche all’interno del cosiddetto Sin, il Sito di interesse nazionale della Zona industriale di Trieste, “affare” che attualmente ricade tra le competenze della presidente della Regione Debora Serracchiani in veste di commissario straordinario per l’attuazione dell’accordo di programma per l’area della Ferriera di Servola. Invitalia, braccio operativo del ministero dello Sviluppo economico che funge da stazione appaltante, ha completato infatti - informa una nota della Regione stessa - le procedure di affidamento per due gare d’appalto. Alla prima, che ha come obiettivo l’analisi dei terreni e delle acque per valutarne il livello di inquinamento, hanno partecipato 13 operatori economici e, tecnicamente, si riferisce all’affidamento dei servizi di esecuzione della campagna di indagini geognostiche e idrogeologiche. La prima procedura ha determinato alla fine l’aggiudicazione ad un Rti, un Raggruppamento temporaneo d’imprese, formato da Theolab Spa, Geosyntech Srl, Geoalpina Srl e Lgt Laboratorio Geotecnico, per un importo di 363.177,70 euro più Iva (di cui 36.347,71 euro per oneri della sicurezza non soggetti a ribasso) per un ribasso pari al 60,02%. La seconda gara riguarda invece la progettazione per la realizzazione di un barrieramento finalizzato a impedire il deflusso di eventuali falde acquifere inquinate e per la costruzione di un apposito impianto di trattamento delle acque. Nel dettaglio, alla fase di selezione del secondo bando hanno partecipato 12 operatori economici e il contratto riguarda l’affidamento dei servizi di progettazione definitiva, rilievo plano-altimetrico e progettazione esecutiva proprio delle opere di messa in sicurezza della falda. In questo caso l'aggiudicazione è andata ad un Rti costituito da Studio Altieri Spa, Sqs Servizi Qualità e Sicurezza Srl, Progettando Srl, Arcomai Snc e studio geologico Andrea Borgia, per un importo complessivo di 904.032,94 euro Iva esclusa (di cui 4.241,58 euro per oneri della sicurezza non soggetti a ribasso) per un ribasso finale risultato pari al 31,23%. Lo stanziamento totale per la realizzazione delle opere di bonifica del Sin tra analisi, progettazioni e lavori - ricorda ancora la nota della Regione - ammonta a 41,5 milioni di euro.

 

Ancora tutti divisi sul glifosato L’accordo non c’è

È stallo in Europa sul glifosato. I Paesi Ue, per l’ennesima volta, non sono riusciti o a esprimere una maggioranza qualificata pro o contro il rinnovo per 5 anni della licenza per l’erbicida, accusato di avere effetti nocivi anche gravi sulla salute umana. L’ultima occasione sarà il comitato d’appello, che la Commissione potrebbe convocare il 27 o 28 novembre. Senza un’indicazione chiara l’Esecutivo potrebbe decidere di adottare la sua proposta senza l’avallo degli Stati. Dopo i giorni scorsi, in cui le diplomazie si erano mosse alla ricerca di compromessi e alleanze, nel voto di ieri si sono riproposte le divisioni che scandiscono la vicenda glifosato ormai da quasi due anni: 14 paesi hanno votato a favore, 9, tra cui l’Italia, contro e 5 si sono astenuti. Rispetto al sondaggio sul rinnovo a 10 anni condotto dalla Commissione a fine ottobre, due paesi (Romania e Bulgaria) hanno cambiato posizione da favorevoli ad astenuti, perché considerano troppo breve una licenza di 5 anni. Francia e Italia hanno votato no (con Belgio, Grecia, Malta, Ungheria, Cipro, Lussemburgo e Austria).

 

 

Sono i polmoni bis del pianeta - Alghe "star" al superconvegno - Oggi e domani a Trieste il più importante meeting scientifico sulla materia
«Grazie a loro possiamo conoscere la salute dei mari. E qui le monitoriamo dal 1986»
TRIESTE - Quando si parla del più grande polmone verde del mondo il pensiero va immediatamente alla foresta amazzonica. Eppure c'è un altro importantissimo polmone verde, fondamentale per contribuire all'abbattimento dell'anidride carbonica in atmosfera. È costituito dalle praterie di alghe presenti nei nostri mari: a livello mondiale, infatti, a produrre il 50% dell'ossigeno del pianeta grazie alla fotosintesi clorofilliana sono proprio le alghe e, soprattutto, le microalghe. Che sono organismi molto piccoli, delle dimensioni di alcuni micron, ma molto numerosi e ad alta efficienza: sono la base della catena alimentare del mare e uno strumento essenziale a disposizione dei ricercatori per tenere monitorata la qualità dell'ecosistema marino in relazione ai cambiamenti climatici. Sempre di più, inoltre, si sta studiando il loro impiego come fonti rinnovabili di energia e come materie prime nei settori della farmaceutica, della cosmesi, della nutraceutica e dell'alimentazione. Si occuperà proprio di questi temi la Riunione scientifica annuale del Gruppo di algologia della Società botanica italiana, il più importante convegno a livello nazionale dedicato allo studio sulle alghe, in programma oggi e domani nella Sala Maggiore della Camera di Commercio. Quest'anno il convegno, organizzato dall'Ogs, dalle università di Trieste e di Udine e dal Wwf - Area Marina Protetta di Miramare, con il patrocinio del Comune e della Regione, vedrà la partecipazione di circa 100 esperti di algologia nazionali e internazionali e sarà l'occasione per analizzare lo stato dell'arte della ricerca e le nuove metodologie per lo studio delle alghe. Ne abbiamo approfittato per fare il punto con gli esperti sulla salute del nostro Golfo, che viene continuamente monitorata proprio attraverso il controllo delle modificazioni della comunità micro e macroalgale.«L'aumento della temperatura delle acque è il primo dei fattori che influenzano la struttura della comunità algale - spiega Marina Cabrini, ricercatrice dell'Ogs e coordinatrice del Comitato organizzatore del convegno -: il monitoraggio a lungo termine delle alghe presenti nel nostro Golfo ci dice molto sugli effetti dei cambiamenti climatici. A Trieste siamo fortunati, perché, grazie all'istituzione a Miramare della prima Area marina protetta d'Italia, siamo la città che dispone della più lunga serie temporale di dati: è dal 1986 che, ogni mese, raccogliamo dati su alghe e microalghe presenti in loco». I cambiamenti climatici, sottolinea la ricercatrice, hanno un impatto consistente sull'ecosistema marino, di cui le alghe rappresentano un tassello fondamentale. «Con una maggiore quantità di anidride carbonica, che dall'aria si "scioglie" nell'acqua, si ha il fenomeno dell'acidificazione degli oceani, ovvero un abbassamento del ph dell'acqua che favorisce alcune specie di alghe e ne danneggia altre. Ciò si riflette nella combinazione della comunità fitoplanctonica marina, portando a uno squilibrio dell'ecosistema e a una diminuzione della biodiversità», spiega la ricercatrice. Tra le diverse tipologie di microalghe presenti nel nostro Golfo, ve ne sono alcune di potenzialmente tossiche, anche se la principale criticità per il nostro mare in questo momento non è rappresentata dalle alghe: «C'è un problema più grosso, legato alla presenza importante dall'estate scorsa di piccoli organismi gelatinosi, le noci di mare (Mnemiopsis leidyi), che non sono urticanti come le meduse, ma hanno un impatto negativo sull'ecosistema - spiega Paola Del Negro, direttrice della sezione di Oceanografia dell'Ogs -. Sono organismi "alieni" arrivati fin qui con le acque di sentina delle navi, carnivori ed estremamente voraci: mangiano plancton ma anche uova e larve di pesce e a lungo andare potrebbero causare una diminuzione del pesce azzurro presente nel nostro mare. Nutrendosi anche dei predatori delle alghe, inoltre, potrebbero paradossalmente favorirne uno sviluppo massivo». Quanto alle alghe tossiche, invece, nel nostro Golfo ce ne sono due, di specie sotto osservazione: una è la Dinophysis, che produce una tossina che si accumula nei mitili, divoratori di questa microalga, che se mangiati possono causare all'uomo problemi gastrointestinali. «La presenza di questa microalga è limitata ad alcuni periodi dell'anno - racconta Del Negro - ma nel tempo ha messo in ginocchio la miticoltura, perché obbliga a sospendere la raccolta e la commercializzazione dei mitili per mesi».L'altra microalga sotto osservazione è la Ostreopsis Ovata, che produce una tossina che nell'uomo può causare problemi respiratori. Ma non c'è da allarmarsi, perché finora non ha mai raggiunto concentrazioni tali da rappresentare un rischio per la salute pubblica.

Giulia Basso

 

Osservatorio sull’economia del mare - Progetto della Regione con fondi Ue per la creazione di un polo tecnico-professionale

TRIESTE - Analizzare le nuove esigenze delle imprese dell’economia del mare per impostare percorsi di orientamento, formazione e apprendistato capaci di proiettare i giovani lavoratori nella transizione epocale dell’industria 4.0. Con questo obiettivo la Regione Friuli Venezia Giulia darà vita all’Osservatorio sui fabbisogni del comparto, creato grazie a un finanziamento europeo di 300mila euro e inserito nel Polo tecnico-professionale dell’economia del mare del Fvg, che interessa oggi cantieristica, nautica da diporto, produzioni offshore, trasporti marittimi e logistica. All’iniziativa parteciperanno Maritime technology cluster, Associazione piccole e medie industrie, Ires Fvg e Confindustria. Come spiegato dall’assessore al Lavoro, Loredana Panariti, «l’iniziativa ha l’obiettivo di rilevare e analizzare le necessità formative e occupazionali delle imprese di questa filiera, strategica per lo sviluppo del territorio». L’osservatorio lavorerà con i soggetti pubblici e privati interessati allo sviluppo di percorsi di formazione che possano preparare a mestieri che oggi esistono solo a livello teorico e che la rivoluzione produttiva in atto renderà invece indispensabili. Saranno coinvolte scuole, enti di formazione e imprese, di cui si analizzeranno fatturati, competenze richieste e disponibilità a ospitare esperienze di alternanza scuola-lavoro. «Lo scopo è la riprogettazione della formazione», ha concluso Panariti. In Fvg si rafforza dunque la creazione di un sistema di istruzione e formazione ad alta specializzazione professionale e tecnologica in un'ottica di rete che intensifichi i rapporti tra sistema di formazione e realtà produttive, aumentando la possibilità degli studenti di trovare un lavoro adatto al proprio profilo. L’indagine riguarderà anche le imprese che partecipano indirettamente all’economia del mare, come ad esempio le aziende friulane dell’impiantistica e degli allestimenti. Verranno inoltre realizzate azioni di orientamento per favorire la conoscenza delle filiere produttive e delle professioni del comparto, l’alternanza scuola lavoro, la certificazione delle competenze, nonché la revisione e integrazione dell'offerta scolastica e formativa.

(d.d.a.)

 

 

 

 

COMUNICATO STAMPA - GIOVEDI', 9 novembre 2017

 

 

CAMBIAMENTO CLIMATICO E ATTIVAZIONE SOCIALE. SERENA PELLEGRINO (SINISTRA ITALIANA): PARTE IN ITALIA, IN CONTEMPORANEA A COP 23, #CLIMATECHANGINME.
I CITTADINI DEVONO ESSERE COINVOLTI NELLA LOTTA AL CAMBIAMENTO CLIMATICO, LA POLITICA DEVE PUNTARE AL CUORE DEL PROBLEMA, CIOE' IL FALLIMENTARE SISTEMA FONDATO SUL BUSINESS E NON SULLA VERA ECONOMIA, NORMA DELLA CASA COMUNE. CONFERENZA STAMPA A MONTECITORIO CON ASSOCIAZIONE “A SUD”.
“Di fronte alla crisi dell’impegno e della coerenza in materia ambientale dei partiti storici e mentre subiamo la crescente pressione del cambiamento climatico, i corpi intermedi ed il loro impegno si rivelano importantissimi, né è prova il fatto che le associazioni ambientaliste danno molto fastidio, devono compiere tra mille ostacoli un lavoro enorme per diffondere le notizie mentre la grande stampa, collegata come sappiamo solo ad alcuni nomi e cognomi, non fa passare le informazioni. In particolare, l’apparato mediatico ufficiale non dice che il parlamento ha una committenza, cioè il popolo, ed il Governo ne ha un’altra, cioè il potere economico e le lobbies, e che quanto più un governo è forte tanto più è oggetto di concrete interferenze da parte delle multinazionali. Destabilizzare l’ architettura istituzionale, affermando in maniera demagogica che le relative articolazioni e livelli di rappresentanza sono brutti e cattivi, è un regalo inestimabile a chi governa il mercato globale, quello che gestisce il business in rotta di collisione con la norma della casa comune, cioè la reale economia del pianeta, fondata sulle leggi ecosistemiche. La lotta al cambiamento climatico non può prescindere da queste consapevolezze.”
L’ha dichiarato la parlamentare Serena Pellegrino presentando oggi in conferenza stampa alla Camera dei Deputati, assieme all’on Mirko Busto ( M5S), in contemporanea all’analoga iniziativa di COP23 a Bonn, la campagna internazionale #ClimateChangingMe, promossa in Italia dall'Associazione A Sud che ha realizzato anche l’istant-book intitolato "Trova le Differenze. L'Italia tra il dire e il fare nella lotta ai cambiamenti climatici", disponibile on line. “Lo scopo di azioni come queste, definite oggi di attivazione sociale, che abbiamo convintamente voluto promuovere dalla sede parlamentare, è pienamente condivisibile ed è enorme l’urgenza di realizzarle. Il tema del cambiamento climatico è lontano dalle persone , è percepito come troppo tecnico, materia da scienziati: invece bisogna rendere tutti consapevoli di quanto la crisi climatica sia purtroppo assolutamente democratica e coinvolga senza sconti ogni essere vivente sul pianeta, dobbiamo far riflettere sull’esperienza diretta che ognuno di noi quotidianamente affronta per gestire le conseguenze del cambiamento climatico, e soprattutto renderci individualmente partecipi sia delle azioni e dei progetti a contrasto dei diversi fenomeni, sia dei processi decisionali che devono risalire fino al cuore del problema, cioè la trasformazione del modello economico che è la causa principale della crisi del pianeta.“

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 9 novembre 2017

 

 

Via libera al laminatoio bis della Ferriera - La Regione dà l'ok al piano per l'impianto di decapaggio. Il comitato 5 Dicembre: «Prima bisogna chiudere l'area a caldo»

La Regione da il via libera al progetto per l'impianto di decapaggio della Ferriera di Servola. La struttura rientra nel disegno di ampliamento del laminatoio, quindi della parte a freddo dell'impianto, presentato da Siderurgica triestina e ora al vaglio delle istituzioni. La scelta della Regione suscita la riprovazione del comitato 5 Dicembre, che stigmatizza la scelta di dare il via libera «prima di aver garantito la chiusura dell'area a caldo». La Commissione regionale tecnico consultiva di valutazione di impatto ambientale si è riunita ieri a Trieste, fa sapere la Regione, e «ha espresso parere favorevole con due prescrizioni». Lo screening di Via (valutazione di impatto ambientale) è stato avviato in relazione alla collocazione urbana della ferriera dopo che Siderurgica Triestina aveva presentato istanza al ministero dell'Ambiente per ampliare il capannone dove si svolge l'attività a freddo e inserirvi un impianto di decapaggio. Il decapaggio è un'operazione effettuata attraverso degli agenti chimici, che abradono la parte superficiale del metallo, rendendola porosa e quindi adatta ad essere ricoperta con un altro metallo. Il direttore generale della direzione regionale Ambiente ed Energia ha firmato ieri il decreto con il quale il parere favorevole viene trasmesso al ministero dell'Ambiente. La Commissione ha verificato che «non sussistono problemi di impatto», afferma la Regione, «ma ha comunque indicato prescrizioni per il rumore e per gli scarichi»: «L'impatto acustico dell'impianto di decapaggio dovrà essere verificato al termine del piano di risanamento del rumore già previsto per l'insediamento industriale, così da verificare che la sua incidenza sia contenuta. Anche gli scarichi di cloruri, secondo prescrizione, andranno monitorati». Aggiunge ancora l'ente regionale: «Alla Commissione non sono pervenute indicazioni dal Comune di Trieste in merito agli interventi oggetto della riunione di ieri». L'azienda prende atto della notizia e attende l'invio ufficiale del documento prima di commentare la scelta della Regione. Commenta il comitato 5 Dicembre: «Assurdo che la Regione autorizzi nuove parti d'impianto prima di aver verificato che i lavori fatti sull'area a caldo portino a migliorie sostanziali». E ancora: «Il Comune continua ad essere nei fatti assente disattendendo tutte le promesse fatte, a dimostrazione del suo allineamento con la linea della Serracchiani». Conclude il comitato: «L'ampliamento del laminatoio avrebbe dovuto essere autorizzato dopo aver fissato la data di chiusura dell'area a caldo. Ricordiamo infine che la costruzione del capannone è oggetto di indagine da parte della magistratura».

Giovanni Tomasin

 

La Lista Dipiazza replica all’opposizione «Il Pd permette alla fabbrica di inquinare»

La Lista Dipiazza replica al centrosinistra sul tema Ferriera, dopo che il Pd aveva attaccato i «bluff» del sindaco: «I consiglieri del Pd hanno perso un'altra occasiona buone per tacere. Probabilmente l'ultima batosta elettorale siciliana, in ordine di tempo, ha annebbiato la mente facendo scordare loro che sono gli unici protagonisti del problema Ferriera e facendoli cadere nel qualunquismo». Lo si legge in un comunicato firmato dal capogruppo Vincenzo Rescigno. «Il Pd ormai privo di contenuti oltre a scadere nel dileggio, con il più becero del qualunquismo e con la spocchia di sempre, cavalca la giusta insofferenza e rabbia dei cittadini verso la Ferriera che, è bene ricordarlo, il Pd ha deciso di portare avanti dopo che nel 2012 era stata decisa da tutti la chiusura. Non contenti di questo il Pd ha sottoscritto accordi di programma e rilasciato un'Aia allo stabilimento che permette alla Ferriera di agire al di fuori della normale normativa ambientale, intossicando la qualità di vita dei cittadini».

 

 

Tesoretto da un milione per Porto vecchio - Passerà dalla Prefettura al Comune. Russo: «Va usato per creare la società di scopo». Ma Dipiazza pensa al futuro di Esof
Rispunta un tesoretto da un milione di euro per il Porto vecchio. Attualmente è in mano alla Prefettura e finirà nelle casse del Comune: i particolari verranno discussi in un incontro che si terrà domani in piazza Unità fra i due enti. I soldi sono quelli che il senatore dem Francesco Russo recuperò tempo addietro nelle pieghe di una finanziaria. Come verranno impiegati? Lo stesso Russo predilige l'idea che vadano a costituire la base per la società incaricata di gestire il recupero dell'antica area portuale. Secondo il sindaco Roberto Dipiazza, però, «la costituzione della società non è fonte di preoccupazione» e sarà meglio impiegare il milione per porre le basi del progetto di Trieste Capitale europea della Scienza - Esof 2020. È un aspetto, quest'ultimo, su cui il Comune si sta mobilitando proprio in questi giorni, con un'indagine preliminare di mercato da completare entro l'anno: l'obiettivo è trovare un partner interessato a partecipare al progetto di edificazione del centro congressi necessario a ospitare l'evento, e che sia interessato poi a gestirlo nella fase post-Esof. Commenta il sindaco Dipiazza: «Non mi preoccupa dover finanziare la società. Se possibile, preferiremmo traslocare questo milione alla Capitale europea della Scienza. Si tratta di un progetto da dieci milioni, per cui anche qualsiasi contributo è il benvenuto». Dipiazza si riferisce all'idea, già presentata nei mesi scorsi, di realizzare un doppio centro congressi nei magazzini prossimi alla centrale idrodinamica: «L'evento della Città della Scienza è importante ma è necessario che resti qualcosa per la città anche dopo. Secondo noi il centro congressi potrebbe rispondere a questa esigenza e il milione farebbe comodo. Il nostro piano A è ampio, se poi non sarà possibile realizzarlo abbiamo già pronto un piano B». I soldi verranno affidati al Comune ed è all'ente locale che spetterà decidere che farne di preciso, purché resti in ambito di Porto vecchio. Il senatore Russo, però, è l'uomo che i soldi li ha raggranellati: «Vengono dalla legge di bilancio di due anni fa, furono destinati con un decreto apposito. L'intento con cui sono stati destinati è la creazione della start up della società pubblica di gestione del Porto vecchio». L'indicazione di gestire l'operazione attraverso uno strumento del genere, prosegue il parlamentare, provenne a suo tempo dal presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone: «Ottimizza la possibilità di gestione con strumenti manageriali più raffinati - dice Russo -, ed evita al Comune di essere travolto da una partita che è politica ma anche molto tecnica». L'ipotesi a cui si sta lavorando, dice Russo, è «una società molto snella, con un manager di grande esperienza internazionale, che avrà l'opportunità di raccontare l'area in giro per il mondo e costruire il bando in modo da renderlo potabile alle forme di interesse che si sono manifestate». L'idea, conclude, «è andare un po' a copiare quel che hanno fatto le zone di rigenerazione urbana simili alla nostra in altri paesi».

Giovanni Tomasin

 

 

Natura - "Salviamo le nutrie", incontro a Muggia
Domani pomeriggio alle 18.30, al Caffè teatro Verdi di Muggia, incontro sul tema delle nutrie. L'incontro ha come scopo quello di far conoscere questo animale, i motivi per cui si trova qui, le sue abitudini, le sue peculiarità e il perché si è trovato sotto le luci della ribalta a causa di una legge che prevede, se venisse approvata, la sua completa eradicazione tramite metodi cruenti. Il programma della serata prevede - alle 18.30 - la proiezione del documentario "The invasion, a coypumentary" della Silos production. Alle 19.30 seguirà l' introduzione del biologo Sergio Dolce sul territorio del Rio Ospo e dei laghetti delle Noghere. Si proseguirà con l'intervento del biologo Samuele Venturini, che negli ultimi anni si è occupato dello studio delle nutrie e delle possibili soluzioni alternative all'abbattimento. Già in altre zone, come Torino e Perugia, si è deciso di intervenire in maniera non violenta, e di controllare le colonie di animali presenti sul territorio. In particolare, nella zona del rio Ospo, da anni vive una colonia di nutrie, che non si è mai diffusa più di tanto, e salvo rari casi (mai veramente accertati), non ha mai arrecato danni a argini o a colture contigue. La serata è organizzata in collaborazione con l'Associazione vegetariani e vegani di Muggia. Ingresso libero e aperto a tutti.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 8 novembre 2017

 

 

Il gruppo Pd attacca i bluff di Dipiazza sulla Ferriera
«Tutti stanno scaricando il sindaco Dipiazza perché si sono accorti di quanto noi avevamo detto sin dall'inizio: le sue erano false promesse, un bluff giocato sulla pelle dei lavoratori, degli abitanti di Servola e dei triestini». È l'affondo sferrato dai consiglieri comunali del Partito democratico di Trieste, all'indomani della dura presa di distanza ufficializzata dal Comitato 5 dicembre nei confronti di Roberto Dipiazza, accusato dal gruppo di cittadini No Ferriera di aver fatto disatteso completamente gli annunci fatti in periodo elettorale. «Un punto, questo, che ci differenzia nettamente dall'attuale giunta - proseguono gli eletti dem -. Noi, durante l'amministrazione Cosolini, abbiamo governato in modo serio e responsabile, senza mai vendere fumo alla gente: forse lo abbiamo pagato in termini elettorali?». Il problema, proseguono gli esponenti della forza dell'opposizione, è l'atavica tendenza a strumentalizzare lo stabilimento siderurgico di Servola. «Purtroppo la Ferriera è stata sfruttata come merce elettorale troppe volte nella storia della nostra città - prosegue il gruppo Pd -. Il sindaco Dipiazza lo ha fatto tante volte, promettendo risultati irraggiungibili. Molti cittadini componenti dei comitati gli hanno creduto. Ora comprendiamo - continuano i consiglieri comunali - che il tradimento di un finto alleato bruci. Lo stesso Comitato oggi dice che sarebbe stato meglio avere a che fare con un avversario schietto piuttosto che con un falso amico». Un assist vero e proprio, quello del Comitato, che l'opposizione sfrutta quindi a pieno. «Non ci stancheremo mai di ribadirlo - concludono i consiglieri democratici: sulla Ferriera serve un progetto serio che coniughi salute, ambiente e lavoro. Noi lo abbiamo cercato e voluto con forza, senza illudere le persone. Dobbiamo contenere l'impatto ambientale e garantire che tutti gli standard siano scrupolosamente rispettati, ma allo stesso tempo è indispensabile mantenere i livelli occupazionali. Trieste non può permettersi un sindaco che fa il finto tonto».

 

 

Nuova rete fognaria a Noghere e Crociata - Lavori per otto mesi - Via all'estensione degli impianti oggi in uso a San Dorligo - Opera da 1,2 milioni. Disagi ridotti allo stretto necessario
SAN DORLIGO DELLA VALLE - Partirà entro questo mese il cantiere dell'AcegasApsAmga che porterà, entro la prossima estate, all'estensione della rete fognaria di San Dorligo della Valle, fino a comprendere anche le zone di Noghere e Crociata. I reflui potranno così confluire al depuratore di Zaule, permettendo la dismissione di quello di Prebenico, con un deciso miglioramento degli standard ambientali. L'allacciamento sarà obbligatorio per le utenze interessate da quest'intervento. Le abitazioni ubicate in prossimità della condotta fognaria sono in tutto una trentina. I lavori, che comporteranno un investimento complessivo di circa un milione e 200mila euro, sono inseriti nel più ampio contesto del nuovo progetto generale di razionalizzazione del sistema fognario a servizio del comprensorio comunale di San Dorligo della Valle.Il progetto permetterà di completare il collegamento tra questo sistema e quello triestino, che fa riferimento al depuratore di Zaule. «Tale passaggio risulta fondamentale - spiega un comunicato dell'AcegasApsAmga - perché permetterà di mandare in pensione il piccolo depuratore di Prebenico che, pur essendo a norma, in termini di trattamento presenta concrete difficoltà gestionali. Si tratta di un'opportunità di riqualificazione urbana - continua il testo - che è uno degli obiettivi del progetto di realizzazione di una nuova condotta fognaria». Il progetto è stato presentato alla cittadinanza nel corso di una pubblica assemblea, svoltasi a Caresana: partirà dalla località Noghere e proseguirà lungo la strada provinciale 13 in direzione di Crociata. L'AcegasApsAmga e l'amministrazione comunale di San Dorligo lavoreranno d'intesa per programmare un cantiere capace di garantire il miglior scorrimento possibile del traffico. Si stima che gli interventi di allaccio delle abitazioni alla fognatura avverranno a Noghere entro il mese di giugno, mentre a Crociata il cantiere si chiuderà il mese successivo. Eventuali variazioni nelle tempistiche saranno condivise con l'amministrazione e comunicate alla popolazione residente. Entrando nel dettaglio, in corrispondenza di ogni civico coinvolto, l'AcegasApsAmga realizzerà il cosiddetto "pozzetto d'ispezione", un punto di consegna, sul limite della proprietà privata, a cui dovranno allacciarsi gli impianti privati delle abitazioni. Per la realizzazione di tale allacciamento non sarà richiesto alcun onere ai cittadini. Una volta realizzato il pozzetto d'ispezione, ogni utenza dovrà invece provvedere all'esecuzione degli eventuali interventi impiantistici ed edili sull'area privata necessari per adeguare lo scarico, deviandolo fino al pozzetto realizzato al confine della proprietà. Una volta terminati i lavori e prima dell'attivazione dell'allacciamento, i cittadini dovranno richiedere alla stessa AcegasApsAmga il rilascio del nulla osta allo scarico, per il quale sarà richiesto il pagamento di 113 euro. Le opere saranno realizzate sotto terra, quindi non incideranno sull'aspetto paesaggistico. I lavori saranno inoltre realizzati prevalentemente su area stradale. Non si prevedono inquinamenti e disagi e anche le limitazioni al traffico saranno ridotte all'essenziale.

Ugo Salvini

 

 

Venezia dice stop alle grandi navi - Basta passaggi davanti a San Marco, approdi a Marghera
VENEZIA - Basta "inchini" dei giganti del mare davanti a San Marco. Le grandi navi da crociera dovranno dire addio al passaggio scenografico di fronte al centro storico di Venezia, e ripiegare su un approdo meno glamour a Marghera. Lo ha deciso a Roma il "Comitatone" interministeriale per Venezia, dopo 6 anni di discussioni. L'annuncio è giunto dal ministro dei Trasporti Graziano Delrio. Nell'arco di 3-4 anni - ha spiegato - andranno a Marghera tutte le navi oltre le 55mila tonnellate di stazza. Dopo le rotte alternative bocciate nel tempo, la soluzione presa dal Governo, e condivisa da Comune e Regione Veneto, è quella proposta dall'Autorità Portuale: le grandi navi non entreranno più dalla bocca di Porto del Lido passando in bacino san Marco e nel canale della Giudecca, ma lo faranno dalla bocca di Porto di Malamocco e, lungo il canale dei Petroli, si fermeranno a Marghera. Per il sottosegretario Baretta è «un punto di equilibrio tra tutela ambientale, sviluppo territoriale e attività imprenditoriale». Le navi extra-lusso, di categoria più piccola e "green" continueranno a arrivare alla Marittima. L'indirizzo del Comitatone è bocciato da ambientalisti e movimento "No Grandi navi-laguna bene comune" come la «peggiore soluzione possibile».

 

Il mare restituisce 100 anni dopo i segreti della corazzata "Wien"
Archeologi subacquei riporteranno in superficie i resti della nave austroungarica affondata il 10 dicembre 1917 da due motoscafi italiani nella baia di Muggia
TRIESTE - Un pezzo di storia di Trieste si prepara a riemergere dal mare, sotto la superficie dell'acqua del canale navigabile. Nei prossimi giorni verranno riportati a galla alcuni dei resti della nave da battaglia della classe Monarch della Marina militare dell'impero austroungarico, la corazzata Wien, affondata nella notte del 10 dicembre 1917, mentre si trovava nella baia di Muggia. A quasi un secolo di distanza, quindi, si riapre un capitolo che nel tempo è stato oggetto di interesse da parte di storici, archeologi e semplici curiosi. Dagli anni '50 il relitto è stato più volte oggetto di spedizioni organizzate per prelevare ciò che era rimasto. Poi per lungo tempo è stato dimenticato e lasciato nell'oblio dell'acqua torbida dove lentamente si è deteriorata. Qualche anno fa è stato individuato nuovamente il punto esatto dove è rimasta adagiata, ormai quasi sepolta dal fango, con l'idea di conservare ancora qualche frammento, a testimonianza di un episodio che ha segnato la storia della città. A breve quindi si procederà con il "salvataggio" di alcuni elementi, che poi faranno parte di un'ampia mostra, in programma a dicembre. L'operazione di recupero si svolgerà nei prossimi giorni nello specchio d'acqua antistante Muggia, e sarà condotta dall'archeologa subacquea Rita Auriemma, direttore del Servizio catalogazione, formazione e ricerca dell'Erpac-Ente regionale per il Patrimonio culturale della Regione Friuli Venezia Giulia, sotto la direzione scientifica della di Paola Ventura, funzionario archeologo della Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia e grazie alla collaborazione del nucleo Sommozzatori del Corpo dei vigili del fuoco e della Capitaneria di Porto di Trieste. La nave da battaglia era stata varata nel 1895 e classificata come unità da difesa costiera. Nell'agosto del 1917, assieme alla gemella Budapest, era stata assegnata a Trieste. Il 6 novembre aveva attaccato la batteria costiera italiana di Cortellazzo, alle foci del Piave, azione che aveva convinto i comandi italiani a neutralizzare definitivamente sia il Wien sia il Budapest. Il compito era stato quindi affidato al sottotenente di vascello Luigi Rizzo, che la sera del 10 dicembre era partito al comando di due motoscafi Mas, il Mas 9 e il Mas 13, con l'obiettivo di colpire le due navi austriache, ancorate nel Vallone di Muggia e di eliminarle. Durante la notte, superata la diga ed elusa la sorveglianza armata, era riuscito a oltrepassare il varco e attaccare nell'oscurità le navi alla fonda, con due siluri lanciati contro il Wien e altrettanti contro il Budapest. Solo i primi colpi erano andati a segno e la corazzata Wien affondò in appena cinque minuti, portando con sè 33 uomini d'equipaggio, mentre i naufraghi sopravvissuti con difficoltà avevano guadagnato la riva nuotando nel buio. Sono molti i triestini a ricordare quel naufragio, in particolare i parenti di chi all'epoca era a bordo, si è salvato e ha poi ha tramandato i racconti di un disastro improvviso. Nel 1925 sono stati recuperati dal relitto lo sperone di prua e il frammento della poppa con il nome della corazzata, il primo è stato regalato a D'Annunzio per il suo Vittoriale, mentre l'altro si trova oggi al Museo Storico navale di Venezia. Nel decennale dell'azione, nel 1927, lo stesso Luigi Rizzo indossò lo scafandro da palombaro e scese sul relitto della nave che aveva affondato. La demolizione della corazzata è proseguita poi nel tempo a fasi alterne, con l'impiego dei palombari fino ai primi anni '50. Oggi gli ultimi resti rimangono sui fondali, a circa 20 metri di profondità, dove si preparano a essere riportati sulla terra ferma, prima delle operazioni di pulizia e sistemazione, per esporli al pubblico. L'intervento infatti mira alla valorizzazione di un patrimonio storico definito di grande valore, e i frammenti erratici che verranno recuperati saranno restaurati e faranno parte della mostra "Nel mare dell'intimità. L'archeologia subacquea racconta la storia dell'Adriatico", che sarà allestita al Salone degli Incanti dal 17 dicembre al 1 maggio 2018, organizzata dall'Erpac-Servizio di catalogazione, formazione e ricerca e dal Comune di Trieste, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia, il Polo museale del Friuli Venezia Giulia, e oltre sessanta partner italiani e internazionali. La mostra gode del patrocinio del Mibact, dei ministeri della Cultura e del Turismo croati, del ministero della Cultura Sloveno e di Promoturismo Fvg (www.nelmaredellintimita.it).

Micol Brusaferro

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 7 novembre 2017

 

 

Rottura definitiva tra i No Ferriera e Dipiazza - Attacco frontale del Comitato 5 dicembre: «Si è rivelato un falso alleato che non mantiene la parola»
«Sulla Ferriera, Dipiazza non racconta la verità e quindi non può incontrare i cittadini per un confronto pubblico». Il Comitato 5 dicembre prende ufficialmente le distanze dal sindaco, considerato inadempiente rispetto agli impegni presi in passato. «Cosolini si confrontò con la cittadinanza sul destino di Servola - osservano in una nota i portavoce del comitato -. Dipiazza ora non può farlo perché sta tradendo completamente la promessa fatta agli suoi elettori di intraprendere subito tutte le azioni necessarie per far chiudere l'area a caldo della Ferriera. Purtroppo, dopo aver annunciato nei primi mesi successivi alla sua elezione l'avvio di azioni politiche e legali nei confronti dell'azienda, il sindaco ha sospeso ogni iniziativa, a dimostrazione del fatto che si trattava di impegni di facciata privi della reale volontà di inchiodare alle proprie responsabilità Arvedi e la Regione».«Dipiazza si tiene stretta la delega alla Ferriera - prosegue il Comitato -. E lo fa perché la sua reale intenzione è tenere tutto fermo. Vuole fare in modo che le migliaia di cittadini scese in piazza finiscano per demoralizzarsi, smettendo di tenere alta l'attenzione sul tema Ferriera». Di qui la pesante accusa di immobilismo mossa nei confronti dell'amministrazione comunale. «Dipiazza - continua il 5 dicembre - detesta dover rendere conto alla città di quello che fa: un atteggiamento che si vede anche su altre questioni come il tram o i richiedenti asilo. Anche il tavolo con noi e le altre associazioni si è rivelato una mossa di facciata. All'inizio Dipiazza credeva che avrebbe potuto raccontarci quello che voleva ma quando ha capito che noi cittadini non potevamo essere controllati ma, al contrario, volevamo vederci chiaro e controllare che il Comune agisse, ha cominciato a tagliarci fuori». Inevitabile, a questo punto, il "divorzio" dalla giunta municipale. «Noi continueremo ad auto-organizzarci tra cittadini, prendendo ogni distanza possibile da un sindaco che, viste le tante promesse non mantenute, dovrebbe dimettersi. Cosa che però, non essendo una persona di parola, di certo non farà. Spera di far calare il silenzio sulla Ferriera e poi, con calma quando il problema si risolverà fisiologicamente o per merito di altri, tenterò di attribuirsi meriti inesistenti. Cosolini fu un avversario dichiarato - conclude la nota. Dipiazza un falso alleato, il che è peggio».

 

 

Onu, il 2017 sarà l'anno più caldo di sempre - L'allarme alla conferenza di Berlino: «Ma dopo l'uscita degli Usa gli accordi di Parigi non sono a rischio»
ROMA - Il 2017 sarà molto probabilmente uno dei tre anni più caldi di sempre. Il dato, emerso da uno studio dell'Organizzazione metereologica mondiale, fa da monito all'apertura dei lavori della conferenza mondiale delle Nazioni Unite sul clima a Bonn. E la responsabile del segretariato dell'Onu Patricia Espinosa ha spronato presenti e non: «Adesso dobbiamo agire». L'accordo di Parigi va mantenuto e rispettato, ha aggiunto Frank Bainimarama, premier delle isole Fiji, che presiedono il vertice, ospitato solo tecnicamente dalla Germania. Il summit è ritenuto in effetti decisivo per puntellare l'accordo di Parigi e procedere verso i regolamenti per attuarlo, dopo la clamorosa decisione di Washington di uscirne. Il temuto «effetto domino», però, non c'è stato: Usa e Siria sono gli unici paesi delle Nazioni unite a essersi chiamate fuori dall'intesa. E anche sugli Stati Uniti la speranza di un ripensamento rispetto al passo indietro non è affatto sepolta: tecnicamente, come è noto, non potranno uscirne prima del 2020, c'è tempo, e tante cose possono ancora accadere, ha affermato la ministra tedesca dell'Ambiente, Barbara Hendricks. La Germania intanto, attraverso la delegata del governo Merkel, ha annunciato di voler stanziare altri 50 milioni di euro per le isole a rischio: ne aveva già destinati 190 al fondo concepito per questa emergenza. E da Berlino arriva anche la volontà di diminuire le emissioni del 40% rispetto al 1990, entro il 2020. Mentre circa 25 mila persone, provenienti da 195 Paesi del mondo, prendono parte al cosiddetto Cop23 (23/ima Conferenza delle parti) nella ex capitale, a Berlino l'allarme sul clima crea un chiaro rimbombo sulle trattative in corso fra Unione Liberali e Verdi per formare un eventuale governo dai colori Giamaica. L'Fdp ha sempre detto di riconoscersi negli obiettivi di Parigi, ma pur volendo rispettare gli obiettivi posti per il 2030 e quelli per il 2050, vorrebbe rallentare le politiche per gli obiettivi del 2020. I Verdi, dall'altro lato, non demordono: «Il clima va tutelato, altrimenti i colloqui termineranno velocemente», ha ribattuto la Verde Simone Peter. Ma anche Angela Merkel ha a cuore le politiche sul clima: è stata lei a evitare contagi, al G20 di Amburgo, isolando gli Usa sulla scelta di Parigi.

 

 

SLOWFOOD.it - MARTEDI', 7 novembre 2017

 

 

«Un miliardo di rifugiati climatici entro il 2050»

«Il cambiamento climatico è già una realtà, purtroppo. Possiamo ancora – se ci daremo da fare molto velocemente – limitare i danni, ma gli effetti del riscaldamento globale sono già visibilissimi. Basti pensare, guardando a casa nostra, all’alternarsi di siccità e bombe d’acqua; lo vediamo – e lo vedremo sempre più spesso – nel boom dei fenomeni migratori legati al cambiamento climatico o ai suoi effetti»

Resta alta l’attenzione dei media per le conseguenze del clima che cambia. Per fortuna a parlarne siamo in buona compagnia come dimostra questo articolo a cura di Roberto Giovannini uscito ieri su La Stampa. Vogliamo riprenderlo perché pone l’accento su una delle conseguenze forse più sottovalutate, o comunque volutamente ignorate da chi condanna e chiude ai flussi migratori senza se e senza ma per il proprio tornaconto politico. Purtroppo tra i danni causati dalla scelta occidentale di un modello che tende alla crescita infinita senza nessuna riflessione sulle conseguenze, c’è anche il dramma di chi è costretto ad abbandonare casa proprio a causa dei gravi disastri causati dal riscaldamento globale. «Tra gennaio e settembre del 2017, si legge in un rapporto di Oxfam International, ben 15 milioni di persone hanno dovuto abbandonare le loro case per fuggire un evento meteo estremo: di questi, in 14 milioni provenivano da Paesi a basso reddito. Tra il 2008 e il 2016, in media, i rifugiati climatici sono stati 21,8 milioni l’anno. Tra i Paesi più colpiti il Bangladesh, l’India e il Nepal, che lo scorso agosto hanno subìto rovinose inondazioni, che hanno colpito 43 milioni di persone e prodotto oltre 1200 vittime. Ma anche le piccole isole del Pacifico, con i cicloni Pape e Winston del 2015, che nelle Isole Fiji hanno messo in fuga 55 mila persone, e ridotto del 20% il prodotto interno lordo nazionale. » scrive Giovannini che tra le sue fonti cita il rapporto di Lancet Countdown che parla di un miliardo di rifugiati climatici entro il 2050 e il documento con cui il ministero della Salute italiano ha preparato il G7 dei ministri della Salute che si è aperto il 5 novembre a Milano. «Ci sono alternative a questo futuro così inquietante?» si chiede Giovannini che risponde mettendo in evidenza le risposte della scienza (leggi qui l’articolo completo), sì rispondiamo anche noi se tutti ci mettiamo d’impegno nel nostro quotidiano – riducendo gli sprechi inanzitutto, consumando meno carne, scegliendo produzioni artigianali e privilegiando varietà locali – e se lavoriamo per avviare e rafforzare quelle economie resilienti che da sempre Slow Food sostiene. Ecco come ci stiamo impegnando nella lotta al cambiamento climatico, aiutaci anche tu, dona ora.
Roberto Giovannini, «Un miliardo di rifugiati climatici entro il 2050», La Stampa del 6 novembre 2017

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 6 novembre 2017

 

 

ROMANIA - L'antica foresta tutelata dall'Unesco sparita nel nulla - La "mafia dei boschi" ha tagliato e prelevato alberi di valore radendo al suolo un'area protetta di più di cinquanta ettari
LE ZONE GREEN - Le riserve occupano il 5% del Paese - Le aree protette della Romania occupano 1.234.710 ettari pari al 5,18% del territorio. Sono distinte in parchi nazionali e naturali, riserve scientifiche e naturali, monumenti naturali, riserve della biosfera e siti Ramsar - LA FAUNA - Lupi, orsi, falchi sacri e grandi rapaci - La natura della Romania è una delle più incontaminate d'Europa. Nelle sue foreste domina la vita selvatica: lupi, linci, orsi, cervi, volpi, cinghiali e camosci, ma anche molti uccelli come falchi sacri e grandi rapaci - IL PARCO - Canyon mozzafiato e faggi storici - Il parco di Semenic Cheile Carasului, nei Carpazi meridionali, ospita una delle faggete più belle d'Europa. Punto privilegiato di partenza per gli escursionisti che vogliono raggiungere le gole di Carasului è il paese di Semenic

BELGRADO - Immaginate un celebre e imponente parco nazionale, creato in una delle aree montuose più affascinanti e delicate del Paese, nei Carpazi meridionali, area protetta fin dal 1982. Ora figuratevi una delle cime dei monti del parco, coperta da una fitta foresta di alti e antichi faggi. Poi, chiudete gli occhi, riapriteli e un bosco assai vasto, di almeno cinquanta ettari, non c'è più. Scomparso nel nulla. Sembra impossibile, ma è quanto accaduto in Romania, nel parco nazionale Semenic-Cheile Carasului, nella parte occidentale del Paese, non lontano dal Danubio e dalla frontiera con la Serbia. A denunciare il caso è stato un video postato di recente su YouTube, girato con un drone, che mostra un'ampia porzione del parco completamente spoglia, rasata a zero. Video che ha raggiunto diffusione nazionale, creando scandalo, dopo essere stato ripreso dalla Tv Digi24, che ha dato ampio risalto al caso. Ricordando che Semenic è un vero gioiello, custode di una delle più grandi foreste vergini di faggio in Europa, quasi 5mila ettari inclusi nella lista dei patrimoni dell'Unesco solo la scorsa estate. Ma cosa è successo, a Semenic? Quello che da decenni avviene in tutto il Paese, in parchi naturali e non: disboscamento selvaggio da parte di ignoti. Arrivati nel parco con seghe elettriche e camion, tagliano e portano via alberi di grande valore. Disboscamento che, nel caso di Semenic, ha spinto il governo romeno a promettere azioni rapide e rigorose per affrontare il grave problema, facilitato anche dall'inazione delle autorità preposte alla salvaguardia del territorio. Manca infatti ancora, ha denunciato Digi24, «un piano per limitare il taglio degli alberi» nel parco. Concorda Corneliu Sturza, attivista del gruppo ecologico Gea Nera, sottolineando che «abbiamo chiesto al ministero» dell'Ambiente di fare i conti con la questione «ben tredici anni fa». Qualche colpa ce l'avrebbe anche l'amministrazione della zona protetta, che non avrebbe «mai trasmesso il piano di management» al ministero, hanno scritto i media locali citando il dicastero dell'Ambiente di Bucarest. Denunce corroborate in televisione dalla Guardia forestale di Timisoara, che ha confermato di non poter far nulla in assenza di un piano di management del parco, limitandosi a «mettere a dimora» nuove piante per colmare i grandi vuoti causati dalla deforestazione. E il problema della «mafia dei boschi», così l'hanno definita alcuni media di Bucarest, è tutt'altro che inedito, come attestano le denunce estive di gruppi ambientalisti. Che proprio a Semenic avevano individuato altri "buchi" causati dall'azione barbarica dell'uomo. Disboscamento selvaggio che non è circoscritto a Semenic, tutt'altro. È invece un problema nazionale. E molto serio, come confermato dal presidente Klaus Iohannis, che l'anno scorso - dopo che a migliaia erano scesi in piazza in segno di protesta - ha firmato una legge che dichiara «minaccia alla sicurezza nazionale» il disboscamento illegale, mentre Ong e associazioni in passato hanno chiesto persino una «moratoria» totale al disboscamento, incluso quello legale. Disboscamento che mette a rischio anche le comunità montane, sempre più a rischio di frane e alluvioni per la scomparsa del patrimonio boschivo. Fenomeno gravissimo, per la Romania - Paese che conserva il 65% delle foreste vergini in Europa - che dal 2000 al 2012 ha perso «tre ettari di foreste all'ora», ha denunciato Greenpeace in uno studio qualche anno fa, sottolineando che il 49% delle «superfici de-forestate» era localizzato in aree protette. Sempre Greenpeace, ha ricordato di recente il portale Balkan Insight, ha rivelato che sono «quasi diecimila i casi di disboscamento illegale» scoperti solo l'anno scorso, con un danno per lo Stato di circa nove milioni di euro. E di cinque miliardi di euro dalla caduta del regime di Ceausescu a oggi, secondo il gruppo Agent Green. Oltre ad almeno una preziosissima foresta, nel cuore di Semenic.

Stefano Giantin

 

 

Parco delle Incoronate: piano Ue da 6,5 milioni - UN VASTO PROGETTO DI FRUIZIONE TURISTICA E CULTURALE
SEBENICO - L'Unione europea apre il portafoglio per il varo di programmi che miglioreranno l'offerta del Parco nazionale delle Incoronate, in Dalmazia, destinazione che ogni anno ospita migliaia di diportisti italiani, specie del Nordest del Paese. Il governo croato ha infatti deciso l' assegnazione di 49 milioni di kune (circa 6 milioni e mezzo di euro) a fondo perduto, di cui ben l'85 per cento arriverà dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale e il restante 15 dai comuni di Stretto (Tisno) e Murter - Incoronate. Queste municipalità hanno voluto assumere il ruolo di partner del parco nazionale per il progetto intitolato Rediviva Kurnata: promozione della fruizione sostenibile dell'eredità naturale nel Parco nazionale delle Incoronate. Il direttore del parco, Josip Zanze, ha fatto sapere che entro il 2021 questa istituzione potrà contare su tre nuovi centri, strutture grazie alle quali i visitatori potranno sia ammirare le bellezze paesaggistiche di questo angolo di paradiso adriatico, sia conoscere i ristoranti e i negozi di souvenir del parco. A Betina, sull'isola di Murter, verrà aperto lo «Scrigno del tesoro», nell'omonimo capoluogo dell'isola sarà a disposizione la «Coronata», mentre sulla principale isola dell'arcipelago, Incoronata, gli ospiti potranno fruire della «Casa del mare incoronato». «Grazie a questo progetto, che ci permetterà di aprire 20 nuovi posti di lavoro - ha rilevato Zanze - potremo non solo migliorare l' infrastruttura del parco ma anche garantire una maggiore sicurezza ai visitatori. Inoltre Rediviva Kurnata ci consentirà di controllare con maggiore efficienza l' entrata e uscita dei vacanzieri, migliorando il sistema di pagamento dei biglietti. Offriremo insomma servizi più qualitativi, a tutto vantaggio dei diportisti». L'ex caserma militare presente sull'Incoronata sarà trasformata nella Casa del mare incoronato. Ci sarà una mostra permanente sugli aspetti specifici della vita degli isolani in questo splendido arcipelago. La struttura disporrà inoltre di bar, servizi igienico-sanitari e una rivendita di souvenir delle Incoronate. Lo Scrigno del tesoro a Betina rappresenterà la soluzione ideale per coloro che vogliono scoprire e ammirare flora e fauna terrestre e marina di questa manciata di isole e scogli, 89 per la precisione. a.m.

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 5 novembre 2017

 

 

Il "gigantismo navale" mette fuori gioco l'Adriatico - La lettera del giorno di Ladi Minin - Isanav (Istituto per lo studio delle attività navalmeccanIche)
Qualche giorno fa si è insediata a Venezia la cabina di regia tecnico-politica per la portualità del Nord Adriatico, con il dichiarato intendimento di far collaborare i porti di Ravenna, Venezia e Trieste e creare le condizioni logistiche per intercettare, in particolare, i traffici mercantili con la Cina e inserirsi così in quella grande strategia finanziaria-industriale, funzionale all'espansionismo economico cinese, sintetizzabile nella cosiddetta "nuova Via della Seta". Ammirevole iniziativa, che però non prende sufficientemente in considerazione l'ennesima esplosione del gigantismo navale, insito nelle leggi del capitale, che portano anche alla concentrazione delle grandi società del trasporto marittimo. Nelle condizioni attuali, il problema vero ed escluso anche dal recente riordino della portualità italiana è che i porti italiani sono fuori gioco, essendo inadeguati a ricevere e gestire queste navi e questi volumi di container. Nel prossimo futuro è prevedibile che le ultra-mega portacontainer da 14-18mila teu verranno spostate sulle rotte Asia-Usa ed Europa-Usa e sulle rotte con il Far East s'affacceranno quelle di portata nominale superiore ai 20mila teu. Nella discussione effettuata a Venezia si ricomincia parlare con timidezza dell'isola offshore, chiamandola mini offshore, prevedendo le attrezzature portuali adeguate e l'esclusione di quella parte riguardante le rinfuse liquide, che bene verrebbero a Trieste a colmare il suo già importante ruolo in questo ambito. A buon intenditore poche altre parole.

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 4 novembre 2017

 

 

Elettrodotto Udine-Redipuglia - Arriva l'ok del Tar
Il Tar del Lazio ha rigettato il ricorso presentato da alcuni Comuni friulani contro l'elettrodotto Udine Ovest-Redipuglia, la nuova linea di Terna a 380 kilovolt, lunga 40 chilometri, in esercizio dallo scorso 29 settembre. «La sentenza conferma la correttezza dell'iter amministrativo che ha consentito l'avvio dell'opera», ha commentato il presidente di Confindustria Udine, Matteo Tonon, esprimendo «la soddisfazione degli industriali friulani» e ricordando che «sono occorsi 14 anni per giungere a questo risultato, che ha consentito un'opera indispensabile per la sicurezza di approvvigionamento di energia elettrica in Regione». Tonon annota che «Confindustria Udine, oltre a partecipare al confronto che si è svolto con il territorio, ha ritenuto che l'obiettivo fosse assicurare al territorio le necessarie opportunità di sviluppo, insieme a condizioni di effettiva sostenibilità a vantaggio sia delle famiglie che potranno fruire di energia meno cara che delle imprese, che potranno contare sull'efficientamento di rete». Terna fa sapere che proseguono i lavori preliminari alla demolizione di 110 km di vecchie linee: «Trenta Comuni della Bassa friulana e zone limitrofe vedranno smantellati circa 400 tralicci di vecchie linee, con sollievo anche di 680 edifici oggi a 100 metri dalle linee che saranno demolite. E 367 ettari di territorio saranno liberati dalla servitù di elettrodotto».

 

 

Legambiente - Incontro su Siderurgia e Ferriera

Il Circolo Verdeazzurro Legambiente di Trieste organizza un incontro pubblico sul tema "La siderurgia in Italia e il caso Ferriera di Trieste" venerdì 10 novembre alle 17 al Circolo della Stampa.

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 3 novembre 2017

 

 

Un piano antischianto per 78 grandi alberi - Intervento da 135mila euro del Comune «a tutela della pubblica incolumità»
Dalle querce ai platani su strade e dentro i parchi. Scattano le manutenzioni - gli alberi a rischio "schianto" nel comune di Trieste
Sono 78 gli alberi di Trieste su 122mila soggetti arborei (di cui circa 15mila censiti) che hanno più di un metro di diametro e che sono considerati - proprio così - "a rischio schianto". Le loro altezze variano tra i 9,5 e i 36 metri: si va dall'ippocastano della chiesa di Basovizza al platano di via del Follatoio passando ovviamente per le grandi piante dei vari parchi e giardini storici. Sono le cosiddette alberature in classe C, ovvero gli alberi "a rischio di schianto" con diametro superiore a un metro. L'amministrazione comunale, su proposta dell'assessore ai Lavori pubblici Elisa Lodi, ha di recente approvato un progetto esecutivo da 135mila euro (sui 150mila inizialmente previsti) di manutenzione straordinaria delle grandi alberature per l'anno in corso. Il lavoro, inserito nel programma triennale delle opere 2017-2019, è interamente finanziato con avanzo economico. «Il progetto - si legge espressamente nella delibera - risponde alla necessità, nell'ambito della generale gestione delle alberature presenti lungo i viali cittadini, nei parchi e nei giardini pubblici, di provvedere anche alla preminente esigenza di tutela della pubblica incolumità di persone e cose».Sono 280 i giorni di lavori previsti. Il cronoprogramma dei pagamenti per l'operazione prevede: 100mila euro nel 2018 e 35.554 nel 2019. A firmare il progetto esecutivo è il dottore forestale Francesco Panepinto assieme al perito agrario Renato Ravara. «Il progetto - si fa sapere - prevede di eseguire la manutenzione straordinaria degli alberi in classe C di propensione al cedimento di cui al protocollo della Società italiana di arboricoltura (rischio moderato di schianto) i cui diametri abbiano valori uguali o superiori a 100 centimetri misurati a 130 centimetri dal suolo». In questo modo si è arrivati a censire 78 esemplari con queste caratteristiche presenti sul territorio del Comune di Trieste. Di questi quattro sono stati dichiarati "monumentali". Si tratta dei due platani che stanno nel Giardino pubblico "Muzio de Tommasini" e che hanno un diametro superiore ai 160 centimetri (il record assoluto per Trieste), della Zelkova carpinifolia (originaria del Caucaso) del parco di Villa Sartorio (111 centimetri di diametro e 22 metri di altezza) e del pino di Aleppo di Villa Revoltella (110 centimetri di diametro e 20 metri di altezza). Ma non sono i soli a vantare un elevato "pregio ornamentale e storico culturale" e una fragilità soprattutto legata al castello, che richiede una potatura di selezione, e alle condizioni fitosanitarie. Un approccio, in ogni caso, improntato alla "tutela e alla conservazione". «Una decina di soggetti arborei presenti all'interno del Giardino Muzio de Tommasini, di età ormai prossime ai 160 anni, è stata messa in sicurezza mediante ancoraggi statici o dinamici che necessitano di essere revisionati e sostituiti essendo trascorsi gli anni di efficienza statica dei tiranti», si annota nel progetto. Fra i controlli previsti ci sono anche le prove di trazione mediante l'utilizzo di tensiometri e inclinometri per testare la capacità di ancoraggio della zolla radicale nonché la resistenza alla bora. Questi test saranno eseguiti soprattutto per gli ippocastani di piazza Libertà e di via Domenico Rossetti, tenuto conto degli schianti per ribaltamento avvenuti negli anni passati. Nel febbraio del 2015, per esempio, un ippocastano sotto l'effetto della bora era schiantato al suolo in piazza Libertà proprio per il ribaltamento della zolla radicale. Tra le piante di grandi dimensioni interessanti ci sono i bagolari di piazza Hortis, piazza della Cattedrale, via dei Capitelli, il tiglio selvatico del giardino pubblico, l'olmo siberiano di viale Raffaele Sanzio, i cedri dell'Atlante di Villa Revoltella, la sofora del Giappone del giardino "Wegner Engelmann", gli olmi montani del ricreatorio Pitteri. Se avanzeranno delle risorse, si fa sapere, l'indagine e gli interventi saranno estesi anche agli alberi con diametro inferiore a un metro di diametro presenti nel Giardino de Tommasini, in piazza Libertà, via Rossetti e nel Parco di Villa Revoltella. Ogni anno, comunque, vengono monitorati mediamente 4mila alberi dal punto di vista sia statico che sanitario. Alla fine dell'intervento dovrebbero restare in piedi solo grandi alberi a prova "di schianto". Nella speranza di non dover perdere per strada nessuna delle 78 piante attualmente censite.

Fabio Dorigo

 

 

Una petizione per la sicurezza dei pedoni - Sinistra per Trieste chiede al Comune di proteggere gli attraversamenti sulle strisce. Raccolta di firme

Garantire i pedoni che attraversano sulle strisce, «perché recentemente è iniziato quello che sembra essere un vero e proprio tiro al bersaglio». Assicurare i lavoratori sulla conservazione dei loro diritti e della retribuzione, anche in presenza di appalti al ribasso. “Sinistra per Trieste”, associazione «che non ha obiettivi elettorali», recentemente costituitasi «per la conservazione dei valori della vera sinistra», entra nel concreto della vita quotidiana. «La politica non è fatta solo di enunciazioni teoriche – ha spiegato ieri uno dei fondatori dell’associazione, Marino Sossi, rivolgendosi a una platea all’interno della quale si sono notati fra gli altri il senatore Francesco Russo e Gianfranco Carbone, per molti anni protagonista della scena politica triestina e regionale – perciò iniziamo con una raccolta di firme in calce a una petizione con la quale chiederemo al Comune di adottare tutte quelle misure che possano rendere meno pericoloso, per i pedoni, l’attraversamento delle strade in presenza delle strisce pedonali. Puntiamo alle 200 firme – ha aggiunto – con l’auspicio di essere ascoltati. Per quanto concerne gli appalti – ha proseguito Sossi – chiediamo che i contratti deboli non diventino strumento di sfruttamento. Non si possono tagliare le ore a piacimento del datore di lavoro. Proporremo perciò l’intervento della Commissione Trasparenza del Comune. Vogliamo la “clausola sociale” – ha precisato il portavoce di Sinistra per Trieste – che prevede la conservazione del trattamento precedente, anche in presenza del cambiamento del vincitore dell’appalto. Ma verificheremo anche se il Comune si è tarato sul nuovo Codice degli appalti, il quale prevede che si affidino direttamente alcuni servizi a soggetti noti, ovviamente rispettando determinate regole». Sossi ha poi accennato alle nuove iniziative già in cantiere: «Nelle prossime settimane – ha annunciato – parleremo anche degli orari dei bus notturni e dell’inquinamento dei pubblici giardini». A breve “Sinistra per Trieste” si presenterà ai triestini, allestendo banchetti in vari punti del centro, dove saranno illustrate le varie campagne in atto, anche per dare avvio alla stagione dei tesseramenti. «Vogliamo difendere soprattutto i più deboli – ha concluso Sossi – sempre più spesso costretti a vivere sotto la soglia della dignità».

Ugo Salvini

 

 

FIUME - Un orso  a caccia di cibo nel pieno centro di Crikvenica - Nella notte
FIUME - La serata di Halloween non ha portato solo le streghe a Crikvenica. Nella notte tra martedì e mercoledì la località turistica a sud-est di Fiume ha avuto un ospite inatteso: un orso che, noncurante di auto e passanti, ha percorso le vie del centro, quasi sicuramente alla ricerca di cibo. Il plantigrado, un esemplare adulto, ha approfittato del buio per calarsi nella città rivierasca, trotterellando dapprima lungo la centrale via Ante Starcevic e quindi nelle strade circostanti, fino ad arrivare a non più di un centinaio di metri dal palazzo comunale e dal commissariato di polizia. L'animale ha fatto scappare impaurite alcune persone che si trovavano nei paraggi, ma fortunatamente non è accaduto nulla di grave. Come ribadito dagli esperti, gli orsi sono particolarmente attivi in queste settimane, impegnati nella ricerca di cibo prima del letargo invernale. Forse proprio per questo l'orso è arrivato fino all'abitato. E si è poi mostrato in tutta la sua stazza anche in riva al mare, percorrendo il cosiddetto Molo Nero di Crikvenica. Anche in quel caso, fatta eccezione per la paura rimediata da alcune persone, non si è avuto il minimo incidente. Ricordiamo che una ventina di giorni fa, sempre a Crikvenica, un cinghiale era entrato nel cortile di un asilo d'infanzia, prima di venire abbattuto da alcuni cacciatori del posto. L'entroterra di Crikvenica pullula di orsi e cinghiali, ma mai finora questi animali selvatici si erano avventurati in pieno centro. Quasi superfluo aggiungere che gli abitanti sono molto preoccupati e chiedono l'aiuto delle autorità. Va ricordato infine che da Crikvenica e dintorni non sono stati pochi i plantigradi che negli ultimi vent'anni hanno raggiunto a nuoto l'isola di Veglia, facendo stragi di pecore e agnelli.

(a.m.)

 

 

FEDERACCIAI - Gozzi: la siderurgia Made in Italy cresce del 2%
ROMA - L'acciaio italiano sta vivendo «un momento buono», essendo un settore «ciclico, legato all'andamento della congiuntura». È l'analisi del presidente di Federacciai Antonio Gozzi, secondo il quale le acciaierie italiane producono «il secondo acciaio europeo per quantità e per qualità» e si preparano a chiudere l'anno con «una crescita del 2%». Un risultato che le pone «un pò più in alto della congiuntura nazionale», come evidenziano anche i conti trimestrali di Tenaris, con ricavi in crescita del 32% a 1,3 miliardi di dollari (1,11 mld di euro) ed un utile netto salito del 515% a 95 milioni di dollari (81,63 mln euro, RPT). Numeri che dimostrano come l'acciaio «continua ad essere un settore vitale - indica Gozzi - nel quale sono successe cose importanti». Tra queste l'orientamento dei produttori su «acciai di qualità». Quello italiano - spiega il numero uno di Federacciai - «strutturalmente lo è, grazie anche alle miniacciaierie (mini-mill), con forno elettrico e laminatoio attaccato», che sono una «invenzione italiana» e che consentono di «mettere insieme il massimo di efficienza e di qualità della produzione». Una realtà diversa ma complementare a quella del megaimpianto dell'Ilva di Taranto.

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 2 novembre 2017

 

 

LEGAMBIENTE - Dibattito pubblico sulla Ferriera

Il Circolo Verdeazzurro Legambiente Trieste invita a un incontro pubblico sulla siderurgia in Italia e il caso Ferriera. L'iniziativa si terrà venerdì 10 novembre 2017 presso il Circolo della Stampa di Trieste, Corso Italia 13, alle ore 17. Interverranno nella discussione Maria Maranò, della segreteria nazionale di Legambiente, Lino Santoro, chimico ambientale (Legambiente Trieste), Mario Mearelli, ecologo (Legambiente Trieste). Modera il dibattito il presidente del circolo verdeazzurro, Andrea Wehrenfennig.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 1 novembre 2017

 

 

Serracchiani rinsalda l'asse a sinistra - Dibattito a Trieste con gli ex Sel. «Prima dei nomi va messo a fuoco il programma»
TRIESTE - Debora Serracchiani ancora non si pronuncia sul suo probabile passaggio a Roma, né sulla tenzone per la candidatura alle prossime regionali. La presidente Fvg ha dialogato ieri al Caffè San Marco di Trieste con l'esponente di Territorio e Società Giulio Lauri sulla possibile alleanza alle consultazioni del 2018. Si è trattato dell'evento di esordio per la formazione che farà del sindaco di Udine Furio Honsell il suo portabandiera, e la vocazione al patto con il Partito democratico è stata evidente. Se per la sinistra sedevano in sala esponenti come l'assessore Loredana Panariti e il consigliere regionale Alessio Gratton, per il Pd c'erano la segretaria regionale Antonella Grim, il segretario provinciale Giancarlo Ressani, il consigliere Franco Rotelli e altri. La presidente ha delineato l'identità della futura coalizione: «Nella nostra visione c'è il Pd a fare da perno, c'è un centro civico o moderato, e c'è una sinistra di governo. Non mi riconoscerei in una sinistra di opposizione, che si limita a dire come si dovrebbe fare invece di mettersi alla prova. Il tema che dobbiamo porre è quello dell'identità della sinistra, perché abbiamo perso di vista la cultura che la identifica in Italia e in Friuli Venezia Giulia». Quanto al candidato, sia Lauri che Serracchiani hanno sottolineato l'urgenza di confrontarsi prima sui programmi. Ha detto Lauri: «Vorrei che ci dividessimo, se proprio ci dobbiamo dividere, su temi forti come sanità e trasporti, piuttosto che sui nomi. Se invece troveremo un punto di accordo sul programma, ragioneremo di candidati». La presidente ha assunto la medesima posizione, senza fare riferimento al proprio futuro politico: «Prima del nome dobbiamo sistemare il programma». Serracchiani ha poi rivendicato l'identità «di centrosinistra» della sua giunta e del suo operato: «Siamo stati i primi in Italia a introdurre la misura attiva di sostegno al reddito. Quando siamo arrivati gli utenti dei servizi sociali erano circa 5mila, dopo l'introduzione della misura sono saliti a 30mila. Il che significa che abbiamo risposto a una domanda reale». La presidente ha proseguito: «Non abbiamo mai tagliato, anzi abbiamo implementato, i fondi sociali. Abbiamo introdotto l'housing sociale, che da una risposta a chi è troppo "ricco" per l'Ater e troppo "povero" per comprare una casa. Abbiamo abbattuto le rette dei nidi». Serracchiani ha poi iscritto tra le politiche di sinistra «anche gli sforzi per la crescita»: «La terza corsia, il porto, l'edilizia scolastica. Da lungo tempo questa regione non vedeva politiche del genere». Lauri ha ripreso i concetti: «Sinistra è fare qualcosa che serva ai settori deboli della popolazione. Il sostegno al reddito è stato preso a spunto da altre Regioni e anche a livello nazionale». L'esponente di Territorio e Società ha poi osservato: «Per l'ambiente è stato fatto molto, oggi ad esempio non si parla più di rigassificatore a Trieste, ma si può e si deve fare di più». Quanto alle riforme, secondo il consigliere di Sel «anche per motivi di contesto, si è privilegiato la determinazione rispetto all'ascolto del territorio. Probabilmente abbiamo commesso l'errore di non confrontarci a sufficienza sui mondi in cui le riforme andavano a impattare». Ancora Lauri: «Franco Belci ci chiedeva di impostare il confronto sul tema della legge elettorale. Noi però dobbiamo confrontarci su quello che possiamo fare in questa regione, e non su Renzi, D'Alema». Serracchiani ha poi elencato alcuni punti da definire nel futuro programma: «Il sostegno al reddito dovrà essere strutturale, va consolidata la riforma della sanità, bisogna ottenere una maggiore autonomia della Regione in ambito scolastico». Il dibattito si è concluso con una contestazione del Comitato 5 Dicembre sulla Ferriera di Servola.

Giovanni Tomasin

 

 

Orzo, riso e frumento entrano in classe - Dedicata ai cereali la nuova edizione del progetto "Orto in condotta" voluto da Comune e Slow food
Coltivare un orto per vederlo crescere e prosperare, seguire l'evoluzione dei cicli naturali, capire al meglio il cibo che si porta in tavola e conoscerne i valori nutrizionali. Questo l'obiettivo del progetto "Orto in condotta - L'educazione alimentare nelle scuole triestine", il cui nuovo protocollo è stato presentato ieri dall'assessore all'Istruzione Angela Brandi, e da Andrea Gobet, responsabile per l'educazione nell'ambito della Condotta locale di Slow Food. Il Comune e Slow Food già da tempo collaborano per portare nelle scuole e nei ricreatori la cultura del gusto e di una giusta alimentazione. «In città - ha detto Brandi - sono da tempo operativi circa sessanta di orti. Questo nuovo protocollo rappresenta l'evoluzione di ciò che già esiste e che riteniamo sia di massima importanza per la formazione dei nostri giovani. Come amministrazione abbiamo stanziato 8mila euro, da distribuire in questo anno scolastico e nel prossimo - ha precisato l'assessore - vale a dire il doppio della dotazione dello scorso anno, perché crediamo nel progetto e intendiamo coinvolgere sempre di più anche gli insegnanti». Ogni anno viene scelto un tema specifico: quello attuale è dedicato ai cereali, nel 2016 era stato l'olio d'oliva. «Il tema è vasto - ha osservato Gobet - perché si va dalla valorizzazione della natura, alla riduzione degli sprechi, al gusto della corretta alimentazione. Operare per esperienza diretta - ha continuato - significa avvicinare i giovani all'argomento. I bambini diventano così soggetti attivi. Entrare nelle scuole e nei ricreatori è un passaggio fondamentale. La prossima settimana - ha ricordato il responsabile per l'educazione della Condotta triestina di Slow Food - è in programma la Festa nazionale dell'Orto in condotta, mentre a fine anno avremo il tradizionale Mercatino. Saranno tutte occasioni di approfondimento su argomenti che, in particolare nel mondo di oggi - ha concluso - sono fondamentali per una corretta crescita culturale dei nostri bambini e dei nostri giovani». Il Comune, in base al Protocollo, mette a disposizione del progetto i terreni per la realizzazione degli orti e l'acqua per l'irrigazione, nonché alcune attrezzature. In alcuni casi, si individua anche il "nonno ortolano", un volontario competente in materia, che si rende disponibile per affiancare i più piccoli nella gestione dell'orto.

(u.s.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 31 ottobre 2017

 

 

«Ferriera a ritmi ridotti finchè le emissioni non saranno nei limiti» - La governatrice vede i sindacati e rinnova i termini della diffida - Sollecitata la conclusione dell’iter per ampliare il laminatoio

«All’azienda abbiamo ribadito che la diffida a ridurre la produzione rimane in vigore finché non sarà accertata l'efficacia degli interventi sull'altoforno». Debora Serracchiani ripete che Siderurgica Triestina dovrà lavorare a ritmo ridotto finché non saranno risolti i problemi di emissione emersi negli ultimi tempi. La presidente è intervenuta ieri all'incontro fra azienda, sindacati, enti locali, Arpa e Autorità portuale, dove ha parlato anche delle coperture dei parchi minerari, indicando «con forza la necessità di procedere prontamente con tutte le azioni necessarie per metterli in sicurezza». I progetti dell'impresa verranno ora resi oggetto di istruttoria da parte del ministero dell'Ambiente, come prescritto dall'Aia. Il vertice, convocato da Serracchiani in quanto commissaria per l'Area di crisi di Trieste, è stato richiesto dalle confederazioni di Cgil, Cisl e Uil per approfondire le prospettive industriali, occupazionali e ambientali complessive della zona industriale triestina, verificando inoltre lo stato d'attuazione dell'accordo di programma sulla Ferriera. I sindacati hanno ottenuto che il problema sia affrontato in futuro nell'ambito di un ragionamento più ampio sull'industria triestina e per questo motivo l'incontro è servito anche a scandagliare le manifestazioni di interesse riguardanti il comprensorio dell'ex Ezit e dell'ex Arsenale. Serracchiani ha inoltre ricordato che «per il rilancio occupazionale ci sono i 27 milioni messi in campo per l'Area di crisi industriale complessa di Trieste». In una nota congiunta, Cgil, Cisl e Uil spiegano che «si è chiesto un punto di confronto periodico che metta assieme rappresentanza sindacale, rappresentanza datoriale, istituzioni e imprese dell'area per un confronto su progetti e dati oggettivi per stemperare conflitti sociali e per la discussione su altre progettualità future». Ma ciò che più conta è che stavolta i rappresentanti dei lavoratori ritengono che «il confronto e la messa a disposizione dei dati richiesti sono stati molto soddisfacenti». Il dialogo continuerà a metà dicembre, con un secondo incontro per aggiornare la discussione sui molti punti all'ordine del giorno, fra cui anche la verifica dell'attuazione dell'accordo con l'Istituto superiore di sanità per l'analisi dello stato di salute della popolazione residente nella zona. Se Dipiazza ha ribadito la necessità di giungere alla graduale chiusura dell'area a caldo, Serracchiani chiesto di velocizzare il più possibile l'iter per l'ampliamento del laminatoio, in quanto l'ultimo progetto presentato dall'azienda non rientrava nell'Accordo di programma. Sulla chiusura dell'area a caldo, la presidente ha evidenziato la necessità di rimanere nell'iter dell'Aia, ricordando che l'eventualità comporterebbe «lasciare in strada dall'oggi al domani quasi 500 famiglie», in una prospettiva di difficoltà di ricollocazione occupazionale. Sul nodo ambientale, Serracchiani ha richiamato infine la diffida e la sospensione delle attività dell'altoforno, rilevando come ogni volta in cui si siano registrati degli sforamenti ai limiti fissati dall'Aia la Regione sia sempre intervenuta. La presidente ha poi rimarcato come, da parte dell'azienda, siano state effettuate delle opere migliorative «che si possono toccare con mano: affermare il contrario sarebbe una rappresentazione incoerente della realtà».

Diego D'Amelio

 

 

Ecosistema, le città del Fvg si scoprono più "verdi" - Legambiente pone i quattro capoluoghi nella parte alta della classifica
Pordenone e Udine fanno da traino. Trieste fa il balzo in avanti più rilevante - La classifica dell'ecosostenibilita'
TRIESTE - Legambiente promuove le prestazioni ambientali del Friuli Venezia Giulia, anche se è la sola Pordenone a mantenere il passo delle prime città italiane in classifica entrando nella top ten. Lo studio, che ha visto la collaborazione fra l'associazione ambientalista, l'istituto di ricerca Ambiente Italia e Il Sole 24 Ore (che lo ha pubblicato ieri), ha messo sotto la lente d'ingrandimento 104 capoluoghi di provincia, tenendo conto di 16 indicatori all'interno di cinque diverse macroaree: aria, acqua, rifiuti, mobilità ed energia. L'indagine, che ha esaminato i dati del 2016 e ha portato alla redazione del 24esimo Rapporto ecosistema urbano, fotografa un territorio che sta provando ad accreditarsi fra le regioni virtuose in Italia anche dal punto di vista ambientale. I numeri raccontano di un generale passo in avanti, se si tiene conto che, rispetto al rapporto stilato nel 2016, Pordenone è passata dall'11.o al quinto posto, Udine dal 29.o al 12.o e Trieste - che resta comunque ultima in Fvg - dal 64.o al 39.o posto assoluto. Solo a Gorizia è andata peggio rispetto ai 12 mesi precedenti: è scivolata dalla 12.a posizione del 2016 alla 25.a del 2017. La classifica stilata da Legambiente, che ha visto Mantova, Trento, Bolzano e Parma occupare le prime quattro posizioni, e Viterbo, Brindisi ed Enna tenere alto il fanalino di coda della graduatoria, ha permesso un'analisi qualitativa dei dati di ogni singola città presa in esame.

La qualità dell'aria

Il biossido di azoto fa registrare una media regionale inferiore a quella del 2014 (al di sotto della media di tutti i capoluoghi, pari a 29,1 microgrammi per metro cubo), dato fortemente influenzato dal risultato di Trieste e in parte di Pordenone. Nessuna città supera il limite di legge, fissato a 40 microgrammi per metro cubo. La media regionale del Pm10, dopo l'incremento del 2015, è diminuita in tutte le città capoluogo. Gorizia e Trieste - dove la riduzione del particolato in 13 anni si deve in parte all'eliminazione del parco macchine più vecchio - registrano livelli pari al valore obiettivo per la salute (20 microgrammi per metro cubo) indicato dall'Organizzazione mondiale della sanità. La concentrazione di ozono, invece, mediamente non supera la soglia di protezione della salute umana, anche se si discosta il valore di Udine, forse determinato dal forte soleggiamento dei mesi estivi.

I consumi idrici

Calano in tutti i capoluoghi di provincia del Fvg. La media regionale, pur abbassandosi, resta però superiore (+4,8%) al valore medio italiano (152,7 litri al giorno pro capite). La dispersione della rete, ovvero la differenza tra l'acqua immessa e quella consumata, rimane invariata rispetto al 2015. Pordenone conferma il valore di eccellenza, rientrando tra le sei città virtuose d'Italia, con perdite inferiori al 15%. Trieste, invece, vede aumentare la sua percentuale oltre il 47%.

I rifiuti urbani

La produzione pro capite di rifiuti urbani ritorna a crescere in tutti i capoluoghi regionali, portando la media regionale oltre i 501 chilogrammi per abitante ogni anno. I dati di Arpa confermano questa tendenza. Cresce, e in questo caso è un dato positivo, anche la percentuale di raccolta differenziata, con Pordenone - al primo posto in Italia - che supera la soglia dell'80%, Gorizia e Udine che superano l'obiettivo del 65% e con Trieste che fa un passo avanti ma che non riesce a raggiungere ancora il 40%.

Trasporto pubblico e motorizzazione

Gli indicatori in questo caso presentano valori stazionari, con l'eccezione di Trieste che, con 308 viaggi per abitante ogni anno, cresce del 2,8%. Il capoluogo giuliano si classifica fra i più virtuosi in Italia anche quanto alle auto circolanti, con 52 mezzi ogni 100 abitanti.

La ciclomobilità

Cresce l'estensione dei percorsi ciclabili (+2,6%) ma non cresce il numero delle persone che si spostano in bicicletta, mentre risulta in leggerissimo aumento l'estensione media delle isole pedonali.

Rinnovabili e spazi verdi

Aumenta la diffusione (+4,25%) del solare termico e fotovoltaico installato in regione sulle strutture pubbliche. Lo studio di quest'anno, inoltre, introduce per la prima volta un indicatore che misura la disponibilità di alberi di proprietà pubblica ogni cento abitanti. Pordenone registra una disponibilità di 28,84 alberi, Gorizia di 26,13 e Udine di 24,12, a fronte di una media nazionale che si assesta sui 18 alberi ogni cento abitanti. Il dato di Trieste non è disponibile.

Luca Saviano

 

 

Allarme Onu: record di CO2 in atmosfera

L'anidride carbonica, il principale gas serra, prodotto dalle attività dell'uomo e responsabile del riscaldamento del pianeta, ha registrato una impennata record nel 2016. La maggiore negli ultimi trent'anni. Colpa del Nino, il periodico riscaldamento dell'Oceano Pacifico. Ma anche delle emissioni umane, soprattutto da energia e trasporti: 36 miliardi di tonnellate all'anno. A lanciare l'allarme è l'Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo), agenzia con sede a Ginevra. L'anno scorso la concentrazione di CO2 nell'atmosfera è passata dalle 400 parti per milione del 2015 a 403,3. Un aumento annuo di 3,3 parti per milione, il doppio dell'aumento medio annuale degli ultimi 10 anni. Una concentrazione che non si verificava da 800mila anni. «È il maggiore incremento che abbiamo osservato nei 30 anni dalla nostra attività», ha detto Oksana Tarasova, responsabile del programma globale di controllo dell'atmosfera terrestre in seno al Wmo. «Il precedente risale al 1997-1998 e fu di 2,7 parti per milione, contro i 3,3 tra il 2015 e 2016. Senza dimenticare che si tratta anche di un balzo del 50% sulla media dell'ultimo decennio». La causa immediata di questa impennata è il Nino del 2015-2016, fenomeno naturale di riscaldamento del Pacifico meridionale. Nel complesso, i paesi interessati da questo fenomeno l'anno scorso hanno emesso 2,5 miliardi di tonnellate di CO2 in più rispetto al 2011. Questa massa di gas di origine naturale si è andata a sommare ai 36 miliardi di tonnellate prodotte dalle attività umane. Di qui l'impennata della concentrazione, nonostante le emissioni di CO2 di origine umana non crescano da un paio d'anni. Foreste e oceani non riescono a smaltire l'enorme massa di gas che si accumula nell'atmosfera. Il risultato è l'effetto serra.

 

 

Torna a salire il Pil, rifiuti in aumento - Cresce la produzione di spazzatura: la mappa della differenziata. I dati dell'Ispra
ROMA - La produzione di rifiuti urbani torna a salire dopo anni di declino. In Italia è +2,0%. Questo si evince dal rapporto annuale redatto dall'Ispra (l'Istituto superiore per la prevenzione e ricerca ambientale del Ministero dell'Ambiente). Nel 2016 siamo tornati sopra la soglia "psicologica" dei 30 milioni di tonnellate. Il 2015 ci aveva fatto sperare in un disaccoppiamento fra dati del Pil e dei consumi (in ripresa) e dati dei rifiuti urbani (in calo). Nel 2016 cresce l'economia e tornano a aumentare i rifiuti. Ancora forti i differenziali regionali: la prima in classifica per produzione procapite, l'Emilia Romagna, con 653 kg ad abitante all'anno, quasi il doppio dell'ultima in classifica, la Basilicata, con 354. La raccolta differenziata è sopra il 50% del totale dei rifiuti come media nazionale. Al nord la percentuale è del 64,2% (migliore organizzazione e diffusione storica delle raccolte domiciliari), al centro al 48,6% e il sud è al 37,6%. Tassi di raccolta differenziata molto elevati restano tipici di comuni medio piccoli, in tutta Italia. Nelle grandi città è oggettivamente più difficile fare la differenziata, come conferma lo studio europeo sulle capitali, tutte con valori molto bassi. Col crescere delle raccolte differenziate aumenta il valore complessivo degli scarti non avviati a riciclaggio, pari a 2,5 milioni di tonnellate secondo Fise/Unire. Anche se la differenziata arrivasse al 70% avremo sempre circa il 15% di scarti da avviare a recupero energetico o in discarica. Ormai il riciclaggio è il principale destino dei rifiuti seguito dal conferimento in discarica dove finisce il 25% degli scarti, quasi interamente trattati prima di essere interrati. Il flusso in discarica è diminuito del 5% sul 2015, è nella media europea a 28%, ma è elevato: nei Paesi nord europei il valore è 1,5%. Il recupero di energia è attestato al 20%, "bruciati" 5,4 milioni di tonnellate di spazzatura, con una riduzione del 3,2% rispetto al 2015. Ridurre la discarica e aumentare riciclaggio e recupero di energia restano le priorità di un Paese che comunque sta facendo passi avanti. L'esportazione di rifiuti riguarda 433.000 tonnellate di rifiuti urbani; ne importiamo 208.000. Il costo ad abitante della gestione dei rifiuti urbani è salito "solo" dello 0,6% sul 2015, attestandosi su un valore medio di 218 euro ad abitante all'anno, circa 500 euro per famiglia media. La Tari copre ormai oltre il 98% dei costi del servizio (84% nel 2001). In 15 anni si è ridotto il sussidio pubblico dalla fiscalità e questo ha contribuito a spingere in alto le tasse locali, insieme all'aumento assoluto dei costi di gestione. L'Italia è entrata nella direzione dell'economia circolare, con due terzi del territorio che presenta performance d'eccellenza paragonabili al nord Europa. Il Rapporto Ispra ci dice che non esiste una strategia "rifiuti zero", che non scompaiono ma possono essere riciclati e avviati a recupero energetico, riducendo la discarica, ma sapendo che non si può riciclare tutto e serve un mix ragionevole di riciclaggio e incenerimento.

(a.d.g.)

 

La "guerra" dei rifiuti in centro e periferia finisce davanti al Tar - Impugnata da due realtà romagnole la gara da 9,3 milioni - AcegasApsAmga congela la procedura in attesa di verdetto
Un ricorso al Tar del Friuli Venezia Giulia "congela" l'appalto per lo spazzamento e per la raccolta dei rifiuti solidi nell'area urbana triestina: AcegasApsAmga ha quindi preferito, in regime di autotutela, prorogare fino al 30 aprile del prossimo anno gli attuali gestori del servizio, che sono Italspurghi e la coop Sole. Una gara di consistente rilevanza, sia per i 9,3 milioni in palio che per l'attenzione con cui l'utente/cittadino/contribuente guarda alla qualità ambientale. AcegasApsAmga aveva lanciato due bandi nella scorsa primavera, uno dedicato alla pulizia dell'area urbana e l'altro alla pulizia della periferia: gare differenti per topografia, caratteristiche operative, curricula aziendali, portata finanziaria. Infatti il bando "periferico" ammontava a 3,6 milioni di euro. Comunque un bell'impegno per l'utility, che appaltava complessivamente 13 milioni di attività ecoambientale a cinque anni di distanza dalla precedente gara svoltasi nel 2012. I termini per la presentazione delle offerte da parte delle imprese interessate scadevano in maggio, in estate le lettere di invito alle ditte, l'aggiudicazione era programmata tra settembre e ottobre. Diversi gli appalti, diversi gli esiti. Il forese (Circoscrizioni 1-2-6, zona Altipiano) non sembra aver sortito problemi per l'aggiudicazione: ha vinto il raggruppamento temporaneo di imprese (Rti) formato dalla capogruppo Querciambiente soc.coop., la coop Germano, la coop Franco Basaglia. Una gara riservata a operatori economici e a coop sociali il cui scopo principale «sia l'integrazione sociale professionale delle persone con disabilità o svantaggiate». Ha prevalso il gestore uscente, che quindi non avrà particolari problemi a proseguire nel lavoro già domani, giornata di Ognissanti. Per 3,6 milioni e per un biennio - rinnovabile per un ulteriore anno a discrezione di AcegasApsAmga - spazzamento manuale e meccanizzato, "porta a porta" della biomassa, ingombranti a domicilio, imballaggi di cartone, raccolta pile. Il discorso cambia con l'altra gara, quella che riguarda il Centro e l'immediata periferia cittadina. AcegasApsAmga non ha inteso fornire dettagli sui protagonisti della vicenda giudiziaria amministrativa. E'possibile una ricostruzione ufficiosa sulla base di informazioni raccolte negli ambienti imprenditoriali triestini: la gara sarebbe stata impugnata da un'associazione temporanea di imprese (ati) costituita da due importanti realtà romagnole, il gruppo Ciclat, con quartier generale a Ravenna, e il consorzio di coop sociali Formula Ambiente, basato a Cesena. Da quanto è dato sapere, entrambe sarebbero all'esordio in gare di tipo ecoambientale a Trieste. La questione, su cui si è bloccata l'aggiudicazione, riguarderebbe la quota riservata alla cooperazione sociale. L'ati romagnola sarebbe stata infatti esclusa nella fase di pre-qualifica dei "candidati" alla gara. E allora la decisione di adire alla giustizia amministrativa: a tale notizia AcegasApsAmga non ha proceduto all'apertura delle buste, che è stata così congelata in attesa della pronuncia da parte del Tar Fvg. Pronuncia che pare fissata per venerdì 10 novembre. Ciclat è presente su un'ampia porzione del territorio nazionale: Piemonte, Emilia, Toscana, Lazio, Puglia, Sicilia, Sardegna. Prudenza ha consigliato all'utility di concedere un'ampia proroga agli attuali gestori, che lavoreranno - come abbiamo premesso - fino alla fine dell'aprile 2018. AcegasApsAmga si è comunque tenuta la possibilità di recedere anticipatamente nel momento in cui dovesse maturare l'esito della gara temporaneamente sospesa. Sei mesi di proroga non sono certo pochi, ma è probabile che siano scattate ragioni di opportunità operativa: si va verso la stagione fredda con possibili precipitazioni (anche nevose), si veleggia verso il periodo di fine anno con tutto il lavoro che ne consegue, un eventuale cambio del gestore in corsa rischierebbe di ripercuotersi sulla qualità e sull'efficienza del servizio in una stagione sovente rognosa. La gara da 9,3 milioni si articola in due lotti. Il primo riguarda le Circoscrizioni 3° e 4°, il secondo coinvolge le Circoscrizioni 5° e 7°. Il bando richiede lo spazzamento manuale e meccanizzato del Centro e della periferia, raccolta "rsu", servizi accessori. Anche in questo caso il periodo è di 24 mesi, con la possibilità di un rinnovo annuale. Per entrambi i bandi l'aggiudicazione vede premiare il criterio di qualità, che ottiene 70 punti, rispetto a quello del prezzo (30).

Massimo Greco

 

Bagarre in aula sui rifiuti di San Dorligo - Scontro opposizione-giunta sul nuove gestore del servizio. Assemblea pubblica bis all'orizzonte
SAN DORLIGO DELLA VALLE - Toni accesi ieri mattina nel corso della seduta del Consiglio comunale di San Dorligo della Valle. A tenere banco, ancora una volta, il tema della raccolta delle immondizie sul territorio, da qualche mese competenza della "A & T 2000", spa che opera col sistema cosiddetto "in house", subentrata alla Italspurghi. Protagonisti di un confronto verbale, a tratti molto concitato, il sindaco, Sandy Klun, e il consigliere comunale, Boris Gombac, capogruppo di "Uniti nelle tradizioni", i cui rappresentanti siedono sui banchi dell'opposizione. Quest'ultimo ha presentato una mozione, firmata anche dall'altro consigliere di "Uniti nelle tradizioni", Massimiliano Dazzi, citando la recente assemblea convocata dal suo movimento per discutere dell'argomento rifiuti, per chiedere «l'abolizione del sistema dei 'sacchetti appesi', una più articolata distribuzione dei raccoglitori per il verde, l'eliminazione dei sacchetti di carta per l'umido».Il capogruppo, dopo aver definito "inadeguata" l'impresa incaricata del servizio e aver criticato «la gestione della movimentazione dei mezzi destinati alla raccolta delle immondizie», ha concluso pesantemente: «Questa maggioranza puzza come le immondizie sparse sul territorio».Klun ha replicato con forza: «Abbiamo operato ascoltando le richieste di tutti e stiamo provvedendo, cercando di soddisfare tutte le esigenze. Sul discorso del verde - ha aggiunto il sindaco - si sta ragionando, e ricordo che la "A & T 2000" ha grande esperienza, infatti sono moltissimi i cittadini soddisfatti". Danilo Slokar (Lega Nord) e Roberto Drozina (lista Territorio e Ambiente) hanno proposto a Gombac di ritirare la mozione e passare la palla alla competente commissione consiliare. Il capogruppo di "Uniti nelle tradizioni" non ha accettato, ma ha voluto andare al voto, che ha avuto esito netto: mozione bocciata da un secco "no", con l'unica ovvia eccezione del voto favorevole dello stesso Gombac. A breve però i cittadini di San Dorligo della Valle Dolina avranno la possibilità di esprimersi direttamente nei confronti del sindaco, della giunta e dei consiglieri, in quanto dovrebbe essere convocata una nuova pubblica assemblea, nel corso della quale si parlerà del tema della raccolta delle immondizie.

(u.s.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 30 ottobre 2017

 

 

Nasce il centro hitech anti-disastri petroliferi - Ultimata la ristrutturazione del Magazzino 23, da giovedì piena operatività
Nel polo per la robotica subacquea di Saipem-Sonsub anche un'Academy
Con la fine dei lavori di ristrutturazione del Magazzino 23, scatta giovedì 2 novembre l'operatività del Polo mondiale per la robotica subacquea che Saipem-Sonsub ha insediato in Porto vecchio nell'area dell'Adriaterminal. Un'operazione che quello che è uno dei più importanti contractor a livello mondiale del settore della costruzione e manutenzione delle infrastrutture al servizio dell'industria oil&gas con una operatività nei cinque continenti, ha voluto fare a Trieste e che negli ultimi mesi ha avuto uno sviluppo inatteso. Tale da far diventare il porto del capoluogo del Friuli Venezia Giulia l'hub internazionale per le operazioni di emergenza in tutto il pianeta, il playground dove saranno testate le attrezzature per le lavorazioni sottomarine più avanzate tecnologicamente, robot e droni in testa, e la sede dell'Academy dove verranno formati gli ingegneri e i tecnici che si specializzeranno nelle nuove professioni di questo settore ancora semisconosciute. «Abbiamo scelto Trieste per una serie di motivi - spiega l'ingegner Massimo Fontolan, vicepresidente di Sonsub, società innovativa interamente controllata da Saipem -: per la situazione logistica data da una banchina con fondali importanti e acqua chiara dove possono attraccare grandi imbarcazioni e dove possiamo effettuare i nostri test, per la presenza in quest'area di un supply chain adeguato, cioè un indotto di forniture e servizi indispensabili per la nostra catena di distribuzione e soprattutto per la possibilità di operare in regime di Punto franco. Tutte le nostre attività infatti si svolgono off shore e qui sono libere dall'aspetto doganale, mentre ad esempio a Marghera (dove Saipem ha una sede con 150 tecnici, ndr) per tutte le attrezzature che riportavamo a terra dovevamo sempre fare la procedura di importazione temporanea in Italia. Qui invece possono entrare e uscire liberamente e questo per noi è strategico. Ecco perché il nostro equipment lo abbiamo portato qui, ma dagli ultimi due anni (il primo sbarco è del 2010, ndr) non ci limitiamo ad attività di puro stoccaggio. Ora abbiamo restaurato completamente il Magazzino 23 (la cifra, non ufficiale, parla di un investimento di 3 milioni solo per questo, ndr) e vi abbiamo già insediato anche i nostri uffici. Ma probabilmente a breve dovremo espanderci ancora, faremo una serie di nuove assunzioni, sposteremo qui alcune attività che facciamo a Marghera». A Trieste saranno però assemblati anche i robot sottomarini. «Li costruivamo a Houston - confessa Fontolan -, abbiamo chiuso a Houston (la città del petrolio, ndr) e aperto a Trieste». Tutto questo ricorda anche ciò che sta avvenendo con Sèleco che grazie al Punto franco si sta trasferendo a Trieste. Ma l'operazione Saipem ancor meglio si inserisce nella filosofia di riconversione del Porto vecchio. «Noi non spostiamo grandi quantitativi di merce - spiega Fontolan - non è il nostro mestiere, né qui sarebbe possibile sviluppare un moderno terminal, ma attiriamo cervelli, sviluppiamo nuove tecnologie, prepariamo le professioni del futuro e Trieste lo ha capito meglio di altre città. Creeremo importanti interazioni con gli istituti tecnici, le università, le realtà scientifiche locali. Ospiti della nostra sede vi sono già ora tecnici inglesi, irlandesi, americani, norvegesi e di Singapore che vengono qui a istruirsi. Con l'Academy transiteranno ogni anno a Trieste decine e decine di professionisti e cresceranno le ricadute sul territorio (già ora si parla di una trentina di milioni all'anno, ndr)». Il primo elemento di svolta che ha fatto di Trieste una base di rilievo mondiale è stato l'Offset installation system (Ois), una gigantesca attrezzatura colorata in giallo ancora per qualche giorno visibile anche dalle Rive che è il carrier, cioè il "portatore" di un tappo in grado di chiudere, comandandolo da un chilometro di distanza, un pozzo petrolifero subacqueo a cui siano saltate tutte le valvole di sicurezza e impedire così la fuoriuscita di olio e gas in mare aperto. Di tappi esistenti in giro per il mondo ce ne sono quattro, ma l'unico "portatore" esistente sul pianeta è questo di Trieste. «Saipem - ribadisce Fontolan - ha vinto la gara per la sua realizzazione bandita dalle otto principali compagnie petrolifere al mondo».

Silvio Maranzana

 

L'azione a 4mila metri di profondità - Nel 2002 l'intervento per l'incidente della Prestige al largo delle coste spagnole
E un ulteriore salto di qualità è pronto per la base di Trieste nel campo dell'oil&gas. «Il nostro cliente - spiega ancora Massimo Fontolan, vicepresidente di Sonsub - ora non sarà più soltanto il gruppo delle prime otto società petrolifere del mondo che ci hanno commissionato la realizzazione dell'Ois, ma il consorzio che comprende tutte le società petrolifere. Stiamo trattando con loro infatti per portare a Trieste, il Centro per qualsiasi tipo di intervento nell'area del Mediterraneo. Qui infatti c'è già l'hub internazionale per le operazioni di emergenza in mare e tra le nostre credenziali possiamo vantare anche l'intervento fatto sulla petroliera Prestige». La Prestige era una petroliera monoscafo tipo Aframax che, affondando al largo delle coste spagnole il 19 novembre 2002 con un carico di 77mila tonnellate di petrolio, provocò un'immensa marea nera che colpì la vasta zona compresa tra il nord del Portogallo fino alle Landes, in Francia, causando un notevole impatto ambientale alla costa galiziana. L'intervento di Saipem consentì l'estrazione del combustibile dalla Prestige mediante un sistema di botti, detto anche "estrazione per gravità". Che consiste nel perforare lo scafo aprendo un foro di 70 centimetri di diametro per installare un sistema a doppia valvola che regoli l'uscita. Si aggancia una botte di alluminio marino che si riempie di combustibile (fino a 300 m³) per portarlo fino a 40 metri dalla superficie e trasferire il combustibile a una nave attraverso un tubo. Il costo stimato dell'operazione fu di 99,3 milioni di euro, ma un anno dopo il disastro, le spiagge galiziane contavano più bandiere azzurre di sempre. «Abbiamo operato con i nostri robot a quattromila metri di profondità», sottolinea Fontolan. Chiaro che a quelle profondità non possono scendere gli uomini, ma l'ingegner Giacomo Pellicioli ci tiene a sottolineare che «in Saipem gli infortuni non esistono perché viene prestata massima attenzione alla sicurezza e anche durante i sei mesi di lavori nel Magazzino 23, eseguiti da una ditta esterna, nessuno si è fatto nemmeno un graffio». Un grave disastro è invece alla base dell'iniziativa che ha indotto le compagnie petrolifere a bandire la gara per il famoso porta-tappo. È stato quello della piattaforma Deepwater Horizon, affiliata alla British Petroleum, con uno sversamento massiccio di petrolio nelle acque del Golfo del Messico in seguito a un incidente riguardante il Pozzo Macondo a oltre 1.500 metri di profondità. Lo sversamento è iniziato il 20 aprile 2010 ed è terminato 106 giorni più tardi, il 4 agosto 2010, con milioni di barili di petrolio sulle acque di fronte a Louisiana, Mississippi, Alabama e Florida, oltre al fatto che la frazione più pesante del petrolio ha formato grossi ammassi sul fondale marino. In seguito all'esplosione, 115 dei 126 uomini a bordo sono riusciti a mettersi in salvo (17 feriti), mentre 11 sono morti. Nonostante gli sforzi dei soccorritori per spegnere l'incendio, è risultato impossibile domare le fiamme e il 22 aprile 2010 la struttura della Deepwater Horizon è collassata, mentre una seconda esplosione ne ha causato l'affondamento. La tragica vicenda è narrata anche in un film di successo, "Deepwater, inferno sull'oceano". Con l'Offset installation system di Trieste, il disastro sarebbe stato fortemente ridotto.

(s.m.)

 

Il drone sottomarino che abbatterà i costi - Hydrone verrà assemblato, testato e lanciato a Trieste - Fontolan: «Rivoluzionerà le manutenzioni e le estrazioni»
C'è un nuovo avveniristico gioiello tecnologico di Saipem-Sonsub che a Trieste verrà assemblato, testato e lanciato: si chiama Hydrone ed è un drone marino unico al mondo, pilotato a distanza senza cavi cioè via wi-fi e in grado di arrivare dove l'uomo non può, non su pianeti sconosciuti, ma sott'acqua, se non ventimila leghe sotto i mari, certamente migliaia di metri sotto, per operare sulle condotte degli impianti di petrolio e gas. «Stiamo sviluppando Hydrone - spiega Massimo Fontolan, vicepresidente di Sonsub -, stiamo costruendo il prototipo, a Trieste lo rifiniremo e utilizzeremo quest'area come playground dove saranno anche realizzati simulacri per mimare le operazioni che poi faremo in tutto il mondo». I macchinari sono attualmente in fase di costruzione nella sede di Marghera che recentemente, per la prima volta, ha aperto le porte ai rappresentanti dei media. Il drone acquatico dotato di bracci meccanici è stato pensato anche per ridurre i costi e rendere autonoma la manutenzione degli impianti. Non ci sarà infatti più bisogno di una nave di supporto, come accade invece ora con il robot Innovator 2.0, attualmente in uso per la costruzione dei condotti e che è vincolato a un cavo lungo oltre sette chilometri, con costi molto elevati. «Hydrone è il primo esemplare al mondo di questa tipologia - ha ribadito Fontolan -, darà origine a una famiglia di modelli che limiteranno l'intervento umano e abbatteranno i costi per estrarre petrolio». L'azienda punta a rivoluzionare il modo stesso di estrazione per rendere conveniente lo sfruttamento dei giacimenti anche se il prezzo scende. Il futuro a lungo termine prevede lo spostamento di tutto il processo: dalla trivellazione al trattamento delle sostanze, sul fondo del mare. La tecnologia "Springs", sviluppata in collaborazione con i giganti francesi Total e Veolia, va in questa direzione e permette di trattare e pompare l'acqua marina per l'estrazione del petrolio attraverso filtri posti sul fondale, senza doverla trasportare da impianti sulla terraferma. Saipem ora punta a seguire tutte le fasi degli impianti sottomarini, dalla posa delle tubature alla manutenzione. E i piloti dei droni sottomarini si formeranno in Porto vecchio. «Chi saranno? Quali competenze dovranno possedere? Lo stiamo appena valutando - rivela il vicepresidente di Sonsub -, a formarli sarà l'Academy di Trieste». Ma in attesa di Hydrone che dovrebbe esordire operativamente nel 2019, Saipem-Sonsub utilizza Innovator 2.0, robot che dal Texas hanno trovato casa a Trieste. «Sono veicoli a controllo remoto di ultima generazione - aggiunge Fontolan -, sono stati testati a Trieste. Ne abbiamo una cinquantina, ma per fortuna oggi qui non se ne vede nemmeno uno, sono tutti a lavorare in giro per il mondo. Noi costruiamo infrastrutture sul fondo del mare, teste di pozzo, recuperiamo olio e gas, lo trattiamo e lo portiamo a terra. Loro, guidati a distanza, da una nave, fanno anche i montatori e gli installatori. Stanno operando in Africa, nel golfo del Messico, nel mare del Nord, nel Sud-Est asiatico e in altri siti ancora». Va rimarcato che nel 2017 Saipem ha raddoppiato il budget per la tecnologia passando da 30 a 60 milioni di euro fidando sul fatto che proporre soluzioni innovative ai committenti dell'oil and gas rappresenti uno degli elementi su cui scommettere per assicurarsi un vantaggio competitivo nel mercato. Non a caso, oltre alla mole di investimenti già messa in pista, dal 2012 al 2016, per lo sviluppo di nuove tecnologie (163 milioni, di cui 73 solo in innovazione pura), Saipem può vantare 36 nuovi brevetti solamente nel 2016 (l'anno scorso che peraltro è risultato essere quello più prolifico nella storia societaria), oltre ai 2308 già registrati nel corso del tempo, e 176 tecnologie proprietarie, distribuite tra raffinazione, petrolchimico e Snamprogetti.

(s.m.)

 

 

Albania, un maxi resort nell'area naturale protetta
Venti Ong, fra cui il Wwf, criticano il progetto destinato a sorgere in una laguna fra le più grandi del Mediterraneo. Ma la popolazione spera nei nuovi posti di lavoro
BELGRADO - I Balcani, terre ancora poco battute, nascondono gioielli più o meno sconosciuti. Il lago di Ohrid, Scutari, Kopacki Rit, il "deserto" di Deliblatska Pescara. Ma ci sono anche perle quasi ignote. E forse anche per questo più a rischio. Una di queste è una laguna fra le più grandi del Mediterraneo, dimora di decine di tipi di uccelli e pesci, 90 specie minacciate, 40 a rischio estinzione. È Karavasta, in Albania: parco nazionale da una decina d'anni, habitat perfetto per l'ormai raro pellicano crespo. Ma Karavasta è anche altro. Come Scutari, è l'obiettivo di grandi progetti immobiliari che potrebbero deturpare uno dei più preziosi ecosistemi d'Europa. La denuncia, non nuova, è stata rilanciata in questi giorni da Reporter, portale albanese braccio del Balkan Investigative Reporting Network e dal Courrier des Balkans (Cdb). Entrambi i media hanno messo il dito nella possibile futura piaga, un investimento che può mettere a rischio Karavasta: guardato con favore dalla popolazione locale che spera in posti di lavoro e sviluppo, ma visto come fumo negli occhi dagli ecologisti. L'investimento, ancora allo stato embrionale, è quello previsto per la costruzione di un grande villaggio turistico, il "Divjaka Resort": un'idea della Mabetex, colosso che fa capo al tycoon Behgjet Pacolli, attuale ministro degli Esteri kosovaro. Il progetto, se realizzato, «permetterà agli ospiti di apprezzare uno fra i più incantevoli panorami della riserva» in un villaggio che rispetterà «la qualità ambientale», promette la Mabetex dal suo sito.Il villaggio, hanno svelato gli ambientalisti, sarà composto da 370 ville e 2.400 appartamenti in edifici che si affacceranno sulla laguna, alti fino a venti piani, hotel, strade di accesso, e sulla costa un lungo frangiflutti. Secondo alcune organizzazioni locali, tra cui EcoAlbania, il resort potrebbe ospitare contemporaneamente fino a 18.000 ospiti al giorno, più del doppio degli abitanti della vicina cittadina di Divjake. Valore del possibile investimento - il maggiore di questo genere nel Paese - 1,5 miliardi di euro. L'ipotesi resort non è piaciuta a molti ambientalisti locali e soprattutto alla Mediterranean Wetlands Alliance, un network di una ventina di Ong - tra cui il Wwf - che nei mesi scorsi ha criticato in una lettera aperta indirizzata al premier Rama i piani di sviluppo. Divjaka-Karavasta è una delle più «importanti zone umide nel bacino del Mediterraneo, rappresenta un sito-chiave» per flora e fauna ed è «popolato ogni anno da milioni di uccelli che vi sostano durante la migrazione», oltre che sito importante per l'economia locale, in crescita grazie al turismo responsabile. Sito che potrebbe essere messo a rischio dal mega-resort, un progetto «estremamente negativo e inaccettabile». Ma a che punto è il progetto? «Persone dell'azienda ci hanno informato che stanno ancora lavorando al project design e hanno già sottoposto uno studio strategico preliminare di impatto ambientale al ministero dell'Ambiente», spiega al Piccolo Taulant Bino, presidente della Società ornitologica albanese. A ministero e premier invece «noi abbiamo chiesto» invece «di fermare il progetto. Non sappiamo» cosa accadrà, «quando ci rivolgiamo al ministero ci rispondono che nessuna decisione è stata presa, ma in ogni caso noi riteniamo che il progetto sia distruttivo». Non tutti sono così pessimisti. Una prima versione originale del progetto era «molto ambiziosa e pericolosa per l'ambiente», ma ora «hanno rivisto il progetto», assicura Jamarber Malltezi, professore di Agricoltura all'Università di Tirana. «Se il modello rivisitato e corretto sarà attuato, potrebbe portare a uno sviluppo sostenibile. Come ambientalisti abbiamo espresso le nostre preoccupazioni un anno e mezzo fa, su un piano che prevedeva la trasformazione in terreni edificabili della "core area" del parco. Ora hanno cambiato atteggiamento. Se il nuovo progetto sarà applicato e se le autorità monitoreranno» il tutto, allora potrà essere «un progetto di successo». E monitoraggio, soprattutto in questo caso, è la parola-chiave per salvare Karavasta

Stefano Giantin

 

 

«Così Banca Etica aiuta le startup triestine» - Enrico Trevisiol: «Non finanziamo solo il terzo settore. L'accordo con l'Area di ricerca è un esempio»
MILANO«Il territorio di Trieste è ricco di idee imprenditoriali innovative che si combinano bene con i nostri valori. Sarà un percorso di crescita condiviso». Enrico Trevisiol, direttore di Banca Etica a Trieste (attiva dal 2011), spiega così l'accordo con Innovation Factory, l'incubatore certificato di Area Science Park, per sostenere lo sviluppo delle startup. Un'iniziativa che conferma l'approccio particolare di questo istituto di credito, che senza rinunciare all'obiettivo di generare profitti - il primo semestre si è chiuso con un utile netto di 2,2 milioni di euro, impieghi per 770 milioni, raccolta diretta a 1,32 miliardi e indiretta a 584 milioni - guarda anche all'impatto sociale delle sue scelte strategiche. «Una startup può nascere - ha detto Fabrizio Rovatti, direttore di Innovation Factory - in modi diversi: da un'intuizione, un colpo di genio o in risposta a una reale esigenza. Ma per svilupparsi e crescere ha bisogno di supporto e sostegno. Supporto significa aiuto nella realizzazione di un percorso di avvicinamento al mercato che include tutti gli aspetti del progetto imprenditoriale. Sostegno, invece, significa avere a disposizione, quando necessario, strumenti finanziari idonei e personalizzati, fondamentali per la crescita. In questo Banca Etica è di certo uno dei partner ideali per le nostre startup». Trevisiol, come nasce l'accordo con Innovation Factory? I nostri programmi di microcredito e microfinanza sono imperniati sulla ricerca di partner locali, con una grande conoscenza dei rispettivi territori. Nell'Area Science Park di Trieste c'è un ecosistema in grado di cogliere le esperienze di gemmazione di imprese con grande taglio di innovazione e al tempo stesso in linea con il nostro modo di fare banca, cioè a sostegno di una nuova economia. Cosa intende? Tradizionalmente abbiamo sempre finanziato il terzo settore. Ora spostiamo l'asse verso l'economia di impatto sociale. Come funziona l'accordo? Finanzieremo le startup, cioè aziende costituite da non più di cinque anni e con massimo cinque dipendenti. Oltre ad associazioni con partita iva aventi le medesime caratteristiche e imprese in via di costituzione. I settori che vogliamo sostenere vanno dall'agricoltura biologica all'utilizzo di tecnologie inclusive, ai servizi sanitari di prossimità. Il credito può arrivare fino a 25mile e riguardare iniziative come acquisto di beni e servizi strumentali all'attività di business, retribuzione di nuovi lavoratori e frequenza dei corsi di formazione. Chi segnala le aziende da sostenere? Il processo può partire dalla nostra banca, così come da Innovation Factory. Dopo di che si fa un esame congiunto e la collaborazione prosegue anche dopo l'eventuale concessione del finanziamento per un monitoraggio continuo. Come le dicevo, puntiamo su percorsi condivisi con i territori per sviluppare una nuova economia.

Luigi Dell'Olio

 

 

LA RUBRICA NOI E L'AUTO - MEZZI ELETTRICI PER FAR RESPIRARE LE NOSTRE CITTÀ
Le recenti notizie sul blocco del traffico per inquinamento in alcune città dell'Italia del nord, mi hanno paradossalmente fatto ritornare più giovane. Mi sono, infatti, tornate in mente le così dette "targhe alterne", regolamentate da un decreto legislativo dell'ormai lontano aprile 1999, che consentivano la circolazione "alternativamente" un giorno ai veicoli con targa pari e il giorno successivo a quelli con targa dispari. Il provvedimento scattava all'indomani della segnalazione, da parte delle apposite centraline urbane, del superamento dei limiti previsti, per esempio, dell'anidride carbonica e delle particelle Pm 10.Evidentemente non ci sono stati in questi anni progressi risolutivi che abbiano definitivamente cambiato la situazione di inquinamento. Nel caso vengano prossimamente presi provvedimenti che vietino la circolazione di veicoli appartenenti, per esempio, alla categoria euro inferiore o uguale alla 5, ricordo che detta categoria è indicata sulla carta di circolazione sotto la voce V. 9, del riquadro 2. Peccato che tale sigla non sia riportata con chiarezza, ma c'è solo l'indicazione della normativa europea di riferimento, che va appena ricercata. Per dare un consiglio pratico a chi non è avvezzo a cercare i dati su internet, ricordo che i tutti i veicoli immatricolati dopo il 1° gennaio 2011 sono euro 5 e quelli immatricolati dal 1° settembre 2015 sono euro 6. Sempre sul tema inquinamento da motori, dal 1°gennaio 2019 non potranno più circolare i veicoli euro 0, che sono tutti quelli immatricolati prima del 1° gennaio 1993. Contrariamente a quello che si credeva in un primo momento, con grande spavento dei relativi proprietari, e cioè che il provvedimento riguardasse in generale tutti i veicoli, la prescrizione si riferisce solamente agli autobus ed ai veicoli con più di 8 posti, escluso il conducente. Il pensiero non può che andare alla necessità che si diffondano più rapidamente possibile i veicoli elettrici che, a questo punto, sono gli unici che potranno risolvere il problema inquinamento, pur essendo validi anche i veicoli ibridi. Ma ci vorrà ancora tanto tempo e tanta buona volontà da parte di tutti, istituzioni e privati.

Giorgio Cappel

 

L'ANALISI:  IL FUTURO SENZA BENZINA - Una scelta obbligata: cambiare o morire

L’INDUSTRIA DELL’AUTO SCHIERATA IN MODO COMPATTO LE PRIME MOSSE IN CINA, IL LUNGO ADDIO AL PETROLIO

E insieme crescono i livelli di anidride carbonica e delle polveri sottili, responsabili in parte di un inquinamento non più sostenibile. Una situazione che ormai viene affrontata a livello globale con politiche ambientali che dovrebbero contrastare questa deriva. A tutto questo si è aggiunto lo scandalo delle emissioni, noto come Dieselgate, scoppiato due anni fa proprio negli Stati Uniti d'America. Il caso delle emissioni truccate, però, ha avuto indubbiamente un lato positivo proprio per l'ambiente, visto che ha portato un'enorme accelerazione della mobilità a zero emissioni. Una rincorsa verso l'auto elettrica che finalmente ha coinvolto un po' tutti i grandi costruttori, a cominciare proprio dai colossi tedeschi che da subito hanno capito che bisognava dare una svolta all'automobile. In altre parole che andava cambiata oppure sarebbe stata destinata a sparire. E così eccoci davanti a nuovi scenari, francamente impensabili appena qualche anno fa. Con l'intera industria automobilistica schierata in formazione compatta per rivedere il sistema della mobilità. Una sfida gigantesca che vede coinvolti tutti e che sta partendo proprio dal più grande mercato del mondo, la Cina. Il paese della grande muraglia è di gran lunga la più grande piazza del mondo con i suoi 24 milioni di auto vendute ogni anno ed è qui, infatti, che i principali analisti del settore prevedono una crescita costante delle auto elettriche. A cominciare da AlixPartners, società globale di consulenza aziendale, secondo cui la corsa verso le "zero emissioni" sta finalmente prendendo velocità proprio grazie alla Cina con Europa e Nord America ancora non in grado di tenere il passo. Qualche numero per farsi un'idea più precisa: nel secondo trimestre del 2017, in Cina sono stati venduti veicoli per un'autonomia elettrica totale di 22,5 milioni di chilometri, mentre in Europa lo stesso dato si è attestato a poco più della metà, circa 12,6 milioni di chilometri, con l'Italia sedicesima in questa speciale graduatoria con 0,20 milioni di chilometri venduti. Entro il 2030, i veicoli elettrici e ibridi rappresenteranno oltre il 40% delle vendite di veicoli in Europa con la Cina, però, saldamente in testa nella classifica mondiale delle vendite. Insomma, la scossa è davvero arrivata. E nello stesso tempo è iniziato il lungo addio al diesel prima e alla benzina poi. Complici anche gli amministratori delle grandi città che hanno già pronti piani di azione progressiva per togliere le auto a carburante fossile prima dai centri storici e poi dall'intero territorio cittadino. I sindaci di Londra, Parigi, Berlino e altri ancora hanno già fatto le loro ordinanze, preso decisioni che difficilmente saranno modificabili. Ci vorranno ancora anni, forse non pochi, ma il processo è ormai partito. Anche perché dalle parte delle case automobilistiche c'è proprio questa consapevolezza e nei loro piani industriali cominciano a comparire progetti davvero innovativi. Dalla Volvo alla Mercedes, dalla Volkswagen alla Toyota sono tutti convinti che l'elettrificazione cambierà finalmente la faccia all'automobile. Le ridarà la dignità perduta in questi anni riposizionandola nelle città e ripulendola da quella "brutta immagine" di oggetto inquinante che negli ultimi anni ne stava decretando la fine. Per ricominciare, dunque, ci vorrà una vera rivoluzione. D'altronde per l'auto non c'era altra scelta: cambiare o morire.

VALERIO BERRUTI

 

La grande fuga dal petrolio - Energia elettrica e idrogeno i carburanti del futuro
IN MOSTRA PROTOTIPI LEGATI AL FUTURO PROSSIMO E A QUELLO REMOTO - BATTERIE, GUIDA AUTONOMA E CONNETTIVITÀ LE PAROLE D'ORDINE
Elettrico, connettività e guida autonoma saranno i grandi temi del Salone di Tokyo che ha appena aperto i battenti. Rispetto alle rassegne europee, Ginevra a marzo e Francoforte a settembre, l'indirizzo generale non cambia, ma protagonista è quasi esclusivamente la nutrita squadra dei costruttori nipponici, con un comune denominatore: la mobilità sostenibile in vista delle prossime Olimpiadi 2020 a Tokyo. L'auto del futuro secondo Toyota sarà a idrogeno perché, rispetto all'elettrico, permette un pieno in pochi minuti, come un modello benzina o diesel, ma assicura fino a 1.000 chilometri di autonomia. Il concept fuel-cell Fine-Comfort Ride (linea di carburante a basso consumo) anticipa un crossover di lusso dal design molto scolpito a coda tronca, che rappresenta un'evoluzione dell'attuale C-Hr ma può ospitare fino a sei passeggeri. In più, grazie alla guida autonoma, la configurazione degli interni diventa a salotto. In casa Lexus tengono a mantenere il segreto sino alla vigilia, ma pare essere pronta al debutto un'evoluzione del grande Suv Rx con tre file di sedili, mentre la variante di serie del crossover compatto Ux probabilmente slitterà a Ginevra 2018. E poi dovrebbe esserci un'ammiraglia fuel-cell, un dispositivo elettrochimico che combina idrogeno e ossigeno mediante un catalizzatore. Due prototipi per mostrare il futuro prossimo e il futuro remoto di Mazda. Il primo, vicino alla produzione dovrebbe anticipare la futura generazione della Mazda3 prevista per il 2018-2019. La prossima Mazda3 sarà anche il primo modello a impiegare una nuova architettura per le compatte e la nuova generazione di motori benzina Skyactive-X ad accensione comandata, che combina bassi consumi ed emissioni ridotte di un diesel pur bruciando benzina. Con un secondo modello di ricerca la casa di Hiroshima mostra l'evoluzione del linguaggio stilistico Kodo-design, lanciato per la prima volta nel 2012. Si tratta di una berlina-coupé dalle linee sensuali, esaltate da un lungo cofano che si innesta con il corpo centrale della vettura e chiude su una coda corta. A Tokyo sono protagoniste le visioni futuristiche di Suv e crossover come il piccolo e-Survivor della Suzuki, un off-road in taglia extrasmall, due posti secchi, trazione integrale hi-tech e motore elettrico indipendente per ciascuna ruota. Questo prototipo dovrebbe prefigurare i tratti della nuova Jimny attesa per il 2018. Dalla Mitsubishi un Suv-coupé, battezzato E-Evolution Concept, un concentrato di innovazione tecnologica e intelligenza artificiale che sarà anche l'apripista del futuro linguaggio stilistico della casa recentemente entrata a far parte dell'alleanza Renault-Nissan. Con l'Ev Concept, una quasi vettura di serie, la Honda aveva prefigurato al salone di Francoforte i contenuti dell'utilitaria elettrica prevista per il 2019, basata su una nuova piattaforma destinata a modelli a batteria in diversi segmenti. Alla rassegna nipponica è arrivata una piccola Honda elettrica: la Concept Sports Ev dalla silhouette compatta con linee dinamiche e sportive, tratteggiate da un lunotto avvolgente che appoggia su una coda tronca, evocativo della S600 degli anni Sessanta. Con la sorella Ev Concept oltre al telaio, la sportiva condivide anche i gruppi ottici posteriori quadrati. Non sembrano esserci legami tra il modello Ev che la Honda lancerà in Cina il prossimo anno e questi prototipi, e che genereranno delle gamme di prodotti per il Giappone e l'Europa. Sempre in tema di compatte sportive elettriche, a Tokyo la Nissan svelerà un concept che prefigura un'eventuale variante Nismo della seconda generazione della Leaf. La casa giapponese ha infatti deciso di investigare se l'idea di una compatta sportiva sia applicabile anche alle auto elettriche, immaginando una sorta di Ev Gti. Il secondo concept Nissan dovrebbe essere il tanto atteso crossover a batteria, per il momento presentato come contenitore di una strategia di "mobilità intelligente" che unisce elettrificazione con guida autonoma e connettività, ma destinato a entrare presto in produzione.

MARGHERITA SCURSATONE

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 29 ottobre 2017

 

 

Roghi in Piemonte, inquinamento record
TORINO - Una giornata senza vento ha consentito di fermare o rallentare il fronte degli incendi in Piemonte. Dal Canavese alle valli del Cuneese, la situazione è migliorata, ma l'allerta resta massima, ha ammonito il presidente della Regione, Sergio Chiamparino. Oggi, infatti, è previsto che torni a soffiare il vento, con raffiche - annuncia Arpa - «forti o molto forti» dalle Alpi Cozie alle Lepontine, una vasta regione che comprende anche le vallate devastate dai roghi di questa settimana. Il vento foenh potrebbe arrivare fino alle pianure. Continuerà quindi la battaglia contro roghi che hanno distrutto già migliaia di ettari di pascoli e foreste, minacciando aree di grande pregio ambientale, come il parco nazionale del Gran Paradiso, a rischio per le fiamme che si sono propagate a Locana in Valle Orco, e alla più vasta cembreta d'Europa, il bosco dell'Alevè, nel Saluzzese. Mentre si combatte l'emergenza, partono anche le indagini dei carabinieri forestali: a fare scoppiare i roghi potrebbe esserci stata anche la mano degli incendiari. Ma è rientrato l'allarme per i due sospetti inneschi trovati nei boschi di Cumiana (Torino): erano probabilmente solo mucchi di legna preparati per fare un barbecue, peraltro vietato dal 10 ottobre in Piemonte, quando è stato dichiarato lo stato di massima pericolosità per gli incendi boschivi. E mentre gli incendi continuano a interessare anche i boschi del Varesotto, il Lombardia, a Torino la concentrazione di polveri sottili nell'aria è arrivata a livelli mai raggiunti, 354 microgrammi al metro cubo: 7 volte superiore ai limiti di legge.

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 28 ottobre 2017

 

 

In fiamme 2mila ettari di boschi - Piemonte, il governatore Chiamparino chiede lo stato di emergenza
TORINO - Incendi senza tregua in Piemonte. La giornata di ieri è stata forse la peggiore, con la Valle di Susa in piena emergenza, intere frazioni evacuate e un allarme, poi rientrato, per una squadra di Vigili del fuoco accerchiata dalle fiamme. I roghi restano estesi anche in altre vallate della provincia di Torino, in particolare nel Canavese, in Valchiusella, e nel Cuneese. Alimentati dal vento, che ha soffiato fino a 137 km all'ora in alta quota, e favoriti dalla gravissima siccità, gli incendi hanno già distrutto oltre 2mila ettari di pinete, boschi e pascoli. Il fronte complessivo è esteso su 120 chilometri e la giunta regionale, presieduta da Sergio Chiamparino, ha formalizzato al governo la richiesta dello stato di emergenza. «L'allerta resterà massima anche la prossima settimana», ha spiegato Chiamparino. In Piemonte ieri hanno operato oltre 2.000 volontari, carabinieri forestali e vigili del fuoco. In azione 5 Canadair dei Vigili del fuoco, un elicottero e 50 squadre a terra. Oltre al fuoco, a spaventare è il denso fumo spinto dal vento a fondovalle: a Torino la concentrazione di polveri sottili ha sfiorato i 200 microgrammi al metro cubo, quattro volte oltre la soglia massima consentita. La fuliggine si è depositata in tutti i quartieri.

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 27 ottobre 2017

 

 

La Regione mette fretta ad Arvedi sui "parchi" - Dipiazza minaccia cause
Si acuiscono i contrasti sugli spolveramenti e la copertura dei parchi minerali della Ferriera di Servola. La Conferenza dei servizi ha stabilito che il progetto di fattibilità del Gruppo Arvedi per la copertura delle aree a parco passerà al vaglio del ministero dell'Ambiente, ma la Regione Fvg impone all'azienda, in attesa della realizzazione, la presentazione entro 90 giorni di un piano d'intervento per contenere gli spolveramenti. Una situazione che non trova però l'approvazione del sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, che annuncia il ricorso alle vie legali: «Non si può pensare di coprire i parchi minerali nel 2022». È quanto emerso ieri dalla terza seduta della Conferenza (della quale fanno parte Regione, Comune, Azienda sanitaria universitaria integrata di Trieste, Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente e Vigili del fuoco). Fa sapere la Regione: «La Conferenza, dopo aver valutato il progetto Arvedi, ha considerato come adempiute le prescrizioni imposte dall'Autorizzazione integrata ambientale (Aia), rimarcando però con vigore che i tempi per la progettazione e la realizzazione dell'intervento devono essere considerevolmente ridotti rispetto a quelli previsti dal cronoprogramma dell'azienda siderurgica». Nello specifico la Conferenza ha richiesto che il termine per la consegna degli elaborati definitivi del progetto venga fissato in 60 giorni rispetto ai 140 proposti da Arvedi e per gli elaborati esecutivi in 40 giorni contro i 130 previsti dalla proprietà dell'impianto. Il progetto, del valore stimato di 38 milioni di euro, prevede la realizzazione di due capannoni alti circa 40 metri e lunghi circa 280 metri, per progettare i quali e ottenere le autorizzazioni alla costruzione Arvedi stima un periodo di circa due anni, che si aggiungono ai due anni circa necessari alla realizzazione dell'opera. Intervenendo sul tema, l'assessore regionale all'Ambiente, Sara Vito, ha evidenziato che le migliorie apportate all'impianto «devono garantire una riduzione delle immissioni nell'atmosfera, ma è necessario intervenire rapidamente per evitare il ripetersi degli spolveramenti. Il progetto di copertura dei parchi, sul quale dovrà esprimersi il ministero, rappresenta una soluzione, ma la sua realizzazione richiederà tempi lunghi, quindi la Regione vuole che l'azienda individui e attui azioni concrete per risolvere il problema fino a che la struttura non sarà operativa».Commenta invece Dipiazza in un video su Fb: «Per l'ennesima volta il progetto sulla copertura dei parchi minerali appare come una presa per i fondelli da parte della proprietà a tutti noi in quanto il progetto di copertura parchi prevede la sua realizzazione nel 2022. Oltre ad aver diffidato la proprietà a seguire le tempistiche che abbiamo dettato capaci di ridurre di oltre la metà i tempi di progettazione, abbiamo anche chiesto di intervenire immediatamente per l'eliminazione degli episodi di spolveramento. In Conferenza dei servizi ho anche comunicato che il Comune di Trieste ha individuato l'avvocato che ci affiancherà nell'azione che stiamo portando avanti a tutela della salute dei lavoratori e dei cittadini».

(g.tom.)

 

 

INCONTRO A PARENZO - Collaborazione transfrontaliera tra Italia e Croazia sulla pesca

TRIESTE - La nuova collaborazione transfrontaliera tra regioni italiane dell'Alto Adriatico (Fvg, Veneto ed Emilia Romagna) e quelle croate è stata al centro dell'incontro tenuto a Parenzo (Croazia) alla fiera internazionale della pesca Crofish 2017 cui hanno partecipato anche l'assessore regionale Fvg alle Risorse ittiche, Paolo Panontin, il ministro dell'Agricoltura della Croazia, Tomislav Tolusic, e il presidente della Regione Istriana, Valter Flego. A margine Panontin ha evidenziato che «l'Adriatico si differenzia notevolmente dagli altri mari europei: è importante che, attraverso margini di flessibilità della normativa Ue, la gestione delle risorse e attività di pesca sia coordinata tra marinerie contigue e regioni transfrontaliere». Il rafforzamento della collaborazione transfrontaliera potrebbe consolidarsi in un tavolo tecnico istituzionale allargato a marinerie e esperti per soluzioni di tutela e incremento risorse ittiche. Tra i temi pure l'ipotesi di un nuovo programma strategico per la tutela delle risorse marine.

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 26 ottobre 2017

 

 

Ambiente -  La Regione mantiene le limitazioni alla Ferriera
Il gruppo Arvedi chiede alla Regione di revocare i limiti produttivi della Ferriera ma l'assessore all'Ambiente Sara Vito, replicando a un'interrogazione del consigliere grillino Andrea Ussai, risponde che la revoca potrà avvenire solo quando i valori saranno certificati e verificati dall'Arpa. La Vito ha ricostruito in sintesi la vicenda, partendo dal decreto di diffida 1998/2017, ricordando che le colate mensili non possono superare quota 290, che la marcia dell'altoforno deve restare entro le 34 mila tonnellate mensili, che la produzione di coke deve limitarsi alla stretta funzionalità della ghisa. E ha comunicato che sono state autorizzate «un numero maggiore di colate di minor durata» così da ottenere un miglioramento delle prestazioni ambientali dell'impianto. Lo scorso 13 ottobre Acciaieria Arvedi ha domandato la revoca della diffida, in quanto gli interventi realizzati in Ferriera - a cominciare dalla bocca da forno dell'altoforno - fanno ritenere che il rispetto dei valori sia immediatamente conseguibile. Quindi, il provvedimento limitativo non avrebbe più ragione di essere. Ma, come abbiamo visto, Sara Vito ha detto di non accontentarsi dell'annuncio, vuole avere certezza che gli interventi effettuati garantiscano il rispetto dei valori stabiliti dall'Aia. Per cui prima i controlli validati, poi l'eventuale superamento delle limitazioni produttive. Ussai ha commentato criticamente la risposta dell'esponente giuntale regionale. Contestando soprattutto la concessione di un numero maggiore di colate «in modo arbitrario e unilaterale ... Una decisione che calpesta i parametri previsti dall'Aia ... attraverso una Conferenza dei servizi». Il giudizio complessivo resta severo: «La giunta Serracchiani - scrive Ussai - continua a temporeggiare e a essere succube del gruppo Arvedi». Il consigliere del M5s chiede che venga definito un nuovo accordo di programma, tale da integrare l'area servolana con lo sviluppo portuale, così da superare la produzione "a caldo".

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 25 ottobre 2017

 

 

«Dalla green economy 3 milioni di posti»
La green economy ha già creato quasi 3 milioni di posto di lavoro green (2.972.000), ossia occupati che applicano competenze 'verdi'. Una cifra che corrisponde al 13,1% dell'occupazione complessiva nazionale, destinata a salire ancora entro dicembre. È quanto emerge dal rapporto GreenItaly 2017, ottavo rapporto di Fondazione Symbola e Unioncamere. Nello specifico dall'economia verde arriveranno quest'anno 320 mila green jobs e considerando anche le assunzioni per le quali sono richieste competenze green si aggiungono altri 863 mila occupati. Insieme all'occupazione, la green economy crea anche ricchezza: i quasi 3 milioni di green jobs italiani contribuiscono infatti alla formazione di 195,8 miliardi di euro di valore aggiunto, pari al 13,1% del totale complessivo.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 24 ottobre 2017

 

 

Ttp "allunga" le corse fino alla Marittima - L'ad Napp punta ad una sinergia con il settore crocieristico «I passeggeri dalle Rive potrebbero salire subito in Carso»
«Il tram è una piccola chicca a cui i triestini sono legatissimi e che si presta anche a una funzione turistica, ma il capolinea di piazza Oberdan è stato pensato 100 anni fa, in una zona che non è affatto turistica. Ecco perché un'idea interessante, secondo me, potrebbe essere collocare il capolinea stesso sulle Rive». Nel giro di proposte che in questi giorni arrivano dai triestini che stanno firmando le petizioni su carta e web per rivedere il tram "in moto" verso Opicina, c'è anche quella di Franco Napp come amministratore delegato di Ttp, la Trieste Terminal Passeggeri Spa. Un'idea, la sua, pensata nel momento della firma pro-trenovia, che l'ad di Ttp sigla per la seconda volta. La prima era stata nel 2014 in scia a un'iniziativa indetta dal Piccolo, dopo che il tram era stato fermo per oltre un anno. «Il Delfino verde al Molo quarto raccoglieva una presenza di passeggeri minore rispetto a quando è stato poi spostato sul molo Audace, con direzione Grado. Il capolinea per i visitatori è legato alla visibilità, non solo alla sua conoscenza», afferma Napp. Perché non pensare a qualcosa di più per sfruttare al meglio questo patrimonio, dunque? È quanto si chiede Napp, che aggiunge: « Ai triestini piacerebbe di sicuro, il progetto. Tutto è da verificare, ovviamente, non sono un tecnico ferroviario, ma sarebbe auspicabile che il tram transitasse sul lungomare, come accadeva con i tram urbani di un tempo. Questo mezzo deve essere visto anche in ottica turistica - sostiene Napp - pur mantenendo la fruibilità per i residenti, perché è un ottimo mezzo di trasporto». Il concetto di base sarebbe quello di far passare comunque la 2 per piazza Oberdan e farla arrivare a Opicina, sfruttando le vie interne, magari via Milano o via Valdirivo, dove, secondo Napp, «visto che la frequenza di passaggio del tram è abbastanza ridotta rispetto ai bus, non congestionerebbe il traffico». Sarebbe da rivedere poi, almeno in parte, pure la geografia dei parcheggi frontemare, gestiti proprio da Ttp. «Bisogna capire la fattibilità, i costi, i finanziamenti, dovrebbero aprire un tavolo il Comune e Trieste Trasporti, però credo che avendo noi a Trieste i massimi esperti del settore, che possono giudicare se sia o meno possibile la realizzazione, perché non provare. La rete tranviaria triestina è importante e ci sono tante città che hanno rivisto il trasporto su rotaia, quindi perché non valorizzare di più quello che già abbiamo?». L'ipotesi - ritiene sempre l'ad di Ttp - potrebbe interessare le compagnie di navi, che «farebbero un accordo con chi gestisce la trenovia - spiega - garantendo un numero sicuro di passeggeri che, una volta sbarcati, salirebbero direttamente a bordo del tram, per esempio su una corsa in partenza alle 9.30 dalle Rive e alle 12 da Opicina». «La compagnia compra i biglietti e li rivende ai suoi croceristi. La vendita integrata di biglietti si assiste di frequente nel mondo dei trasporti». E per non intasare il viavai di residenti, Napp propone anche un'altra soluzione: rendere fruibile ai turisti le vetture in orari non di punta. «Si potrebbe fare ricorso a più vetture, recuperandole un po' in giro per il mondo», suggerisce ancora l'ad di Ttp: «Quello su rotaia è un modo di viaggiare pulito, rispettoso dell'ambiente».

Benedetta Moro

 

 

Discarica record scoperta a Opicina - Recuperati a Pian del Grisa 152 copertoni abbandonati. A Banne spunta un proiettile della Grande Guerra
OPICINA - Oltre 150 copertoni di auto e camion recuperati in un'unica zona del Carso. È probabilmente una discarica da guinness dei primati quella che è stata smantellata dall'associazione ambientalista Sos Carso in un solo, intensissimo pomeriggio. "Armata" di guanti di lavoro, sacchi neri, un furgoncino e tantissima energia, una quindicina di volontari triestini ha ripulito infatti un'area verde in zona Pian del Grisa, vicino a Opicina. Un lavoraccio che ha riportato alla normalità una zona boschiva in cui si era accumulato, appunto, un qualcosa come 152 gomme gettate vergognosamente in una dolina. Come se non bastasse, nella stessa area, sono stati recuperati altri quattro manufatti - due frigoriferi, una lavatrice e un boiler - oltre ad una decina di sacchi neri riempiti con materiali in plastica e vetro. La giornata dei volontari di Sos Carso era iniziata in un'altra località del Carso triestino, più esattamente a Banne. Qui, all'interno di un bosco adiacente il sentiero Cai numero 2, sono state recuperate "solamente" 13 gomme di camion, assieme a ferraglia varia e materiale sparso in plastica e vetro, per un totale di una quindicina di sacchi neri. E proprio a Banne uno dei volontari si è ritrovato tra le mani un'incredibile sorpresa: un piccolo ordigno bellico risalente alla Prima guerra mondiale. Come emerso successivamente Fabio Mergiani, membro del Gest (il Gruppo escursionisti triestini), è incappato in un proiettile di cannone da 75 mm inesploso, a pochi metri dalla rete di recinzione dell'autostrada. Prontamente sono state chiamate le forze dell'ordine per recuperare l'oggetto. In poco tempo sono arrivate sul posto tre volanti che hanno messo al sicuro il reperto portandolo via in una speciale valigia. Una scoperta particolare, che ha vivacizzato le discussioni del pranzo dei volontari che dopo un buon piatto di gnocchi caldi, si sono spostati a Pian del Grisa, dove è stato effettuato il repulisti da record con oltre 150 gomme. «Ne abbiamo fatte diverse, di uscite ecologiche nel nostro amato Carso, ma questa giornata è stata davvero epica per noi: raccogliere 165 copertoni di auto e camion oltre ad una trentina di sacchi neri di spazzatura è stato un risultato davvero notevole, che al tempo stesso fa riflettere sulla mancanza di senso civico da parte di alcune persone», racconta Cristian Bencich, portavoce e cofondatore di Sos Carso. Intanto la pagina Fb dell'associazione, apartitica e apolitica, ha raggiunto grazie al suo encomiabile lavoro oltre 600 like in pochi mesi dalla sua nascita. «Noi come volontari possiamo fare tanto ma chiaramente non tutto - spiega Bencich - e per questo quando qualcuno va a passeggiare in Carso può sempre riempire almeno un sacchetto. Certo, noi possiamo riempire un bidone o anche due, ma per quanto riguarda i problemi grossi, vedi le ex discariche, onestamente confidiamo che in un prossimo futuro chi di competenza possa iniziare a fare qualcosa per rimediare». Il lavoro di Sos Carso rimane assolutamente volontario. Anche se le donazioni di guanti da lavoro e sacchi neri sono sempre ben accetti. «Entro l'anno vorremmo fare almeno ancora un'operazione di pulizia. Abbiamo in mente alcune zone che ci sono state segnalate da alcuni cittadini - conclude Bencich - e una di queste è quella di Fernetti, sul sentiero vicino all'autoporto».

Riccardo Tosques

 

È polemica a San Dorligo sulla nuova raccolta rifiuti - DOPO l'assemblea promossa dall'opposizione
SAN DORLIGO - «Sacchetti che si rompono», una «cattiva distribuzione dei raccoglitori sul territorio», e ancora «scarsa considerazione per le richieste della popolazione». Le acque sono sempre più agitate a San Dorligo della Valle sul tema della raccolta rifiuti. In risposta alla conferenza stampa tenuta dal sindaco, Sandy Klun, la scorsa settimana, nel corso della quale, assieme ai tecnici della "A & T 2000", la società "in house" che da luglio si occupa del servizio, il sindaco stesso aveva parlato di «dati confortanti nella raccolta rifiuti», va registrata la polemica presa di posizione del gruppo "Uniti nelle tradizioni" che in Consiglio comunale siede all'opposizione. I due rappresentanti del movimento, il capogruppo Boris Gombac e il consigliere Massimiliano Dazzi, hanno promosso e coordinato una pubblica assemblea che ha visto una folta partecipazione di cittadini, arrabbiati per la qualità del servizio, che hanno definito «scarsa», mentre Gombac e Dazzi hanno classificato «deliranti le parole con le quali Klun si è magnificato del proprio operato, vantando incredibili performance, basate solamente su previsioni». «Le lamentele della popolazione - così Gombac e Dazzi - dicono di un andamento della raccolta rifiuti molto peggiorato col nuovo gestore». I presenti hanno bocciato il sistema dei sacchetti appesi, preoccupati per «le conseguenze igieniche, di decoro e di degrado ambientale che tale soluzione comporta». L'assemblea si è espressa per il ritorno ai bidoncini colorati, nei quali inserire i sacchetti per le case unifamiliari, mentre per i condomini sono state proposte «isole ecologiche riservate, con raccoglitori da 1100 litri con chiavi in cui conferire i sacchetti». «Urgente» è stato definito il problema della raccolta del verde vegetale proveniente dallo sfalcio. «Sono tanti i nostri concittadini anziani - hanno ricordato Gombac e Dazzi - e non tutti automuniti. La richiesta, forte e rimarcata, è di dotare tutte le frazioni di appositi cassonetti per la raccolta del verde». Ribadita poi la necessità di «utilizzare sacchetti in plastica biodegradabile» e di «rimodulare la frequenza della raccolta, in modo che plastica e lattine siano prelevate settimanalmente».

Ugo Salvini

 

 

«Il rilancio passa dal recupero delle Noghere» - Il neosegretario del Pd di Muggia Micor: «Turismo, welfare e lavoro i primi temi da affrontare»
MUGGIA - Vigile urbano classe 1979, padre di due bambini, da sempre legato al centrosinistra. Il consigliere comunale Massimiliano Micor è il nuovo segretario del circolo muggesano del Pd. Micor, qual è lo stato di salute del circolo? Il circolo è il motivo per cui questo partito può essere il punto di riferimento per i muggesani che credono in determinati valori. I circoli sono la parte sana del partito, che purtroppo a livello dirigenziale si è chiuso in se stesso isolandosi dai militanti. Nel 2016 il Pd ha ottenuto a Muggia 1066 voti, oltre 750 in meno rispetto al 2011. Vede continuità tra l'operato di Nesladek e quello di Marzi?Gli scenari nei quali la Giunta attuale sta operando sono profondamente diversi rispetto al passato. Chi ci ha preceduto ha posato dei mattoni importanti per la costruzione della Muggia futura: adesso quest'opera deve essere terminata, visto che il progetto finale è condiviso. Ci sono prospettive di dialogo con l'opposizione? Abbiamo dimostrato che su alcuni temi possiamo convergere, tutti vogliamo il bene comune. Difficilmente però potremo trovarci in accordo quando si parla di unioni civili, Ius soli e diritto all'accoglienza. Tema sicurezza. Aumentare le videocamere è la soluzione? Spesso la percezione non corrisponde alla realtà, comunque credo che l'installazione di telecamere non sia la panacea di tutti i mali. A questa si deve affiancare un lavoro capillare di controllo del territorio. Alto Adriatico. Quale il futuro del piazzale? Per ora è una risorsa sprecata. Vista la posizione in cui sorge e visti i probabili futuri interventi su quell'arteria potrebbe diventare un'area polifunzionale. La sua opinione sul nuovo regolamento dei velocipedi in centro storico? Sono sempre stato scettico al riguardo, ma credo anche sia controproducente ridurre tutto il dibattito all'ordinanza in sé. Penso si debba calibrare le stessa in previsione di uno sviluppo del trasporto su bici fondamentale sia in ottica turistica sia di trasporto pulito. Sul fronte rifiuti dal 2018 partirà il "porta a porta". I muggesani sono pronti? Più si differenzia più si ricicla, più si ricicla più i rifiuti possono diventare una risorsa. Per raggiungere determinate percentuali di differenziazione si è scelta questa strada, la più coraggiosa. Inizialmente ci saranno delle criticità, ma la qualità dell'informazione sarà decisiva. I prossimi tre macro-temi che intende promuovere a livello politico-amministrativo? Turismo: bisogna terminare i lavori sulla costa e completare un percorso ciclabile che arrivi a Ospo. Sociale: difesa delle classi più deboli, pietra miliare della nostra politica. Lavoro: recupero dei terreni ex Ezit nella valle delle Noghere per mettere in moto un'opportunità di sviluppo.

(r.t.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 23 ottobre 2017

 

 

Nasce a San Dorligo una mail speciale per il "caso odori"
La Seconda commissione del Consiglio comunale di San Dorligo competente in materia di ambiente, che ha promosso il tavolo tecnico sulla "questione odori" riconducibili alla vicinanza degli insediamenti industriali e portuali alle case, ha istituito un indirizzo di posta elettronica «dedicato ai cittadini, al quale indirizzare segnalazioni riguardanti criticità di carattere ambientale pertinenti al territorio comunale di San Dorligo Della Valle - Dolina». Lo rende noto con un comunicato Roberto Potocco , consigliere comunale in quota Pd e presidente della stessa Seconda commissione Ambiente del Comune di San Dorligo, che prossimamente - in scia ai primi confronti riservati ad addetti ai lavori, istituzioni e rappresentanti delle aziende insediate sul territorio - convocherà una nuova riunione del tavolo tecnico sulla "questione odori" aperta però, in questo caso, alla cittadinanza.

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 22 ottobre 2017

 

 

«Il vertice dell'Ente porto non ci informò sull'amianto» - La testimonianza dell'ex sindacalista e dipendente dell'Eapt Giuliano Veronese
Il collega: «Nessuna prescrizione». Il tecnico Laureni: «L'amministrazione sapeva»
La testimonianza di Giuliano Veronese, già sindacalista della Cisl poi di Unionquadri e funzionario dell'Ente autonomo del porto (Eapt), si è rivelata molto importante nel giudizio civile che ha determinato la decisione sul risarcimento per le morti causate dall'amianto. «Da parte della direzione portuale - racconta Veronese, entrato giovanissimo in porto nel 1961 quando aveva 19 anni - non c'è mai stata alcuna prescrizione che avvertisse i lavoratori riguardo la pericolosità dell'amianto e che indicasse le misure da assumere perlomeno per limitare il pericolo». Nella prima metà degli anni Settanta Veronese era pesatore negli hangar di calata nel Porto nuovo, dove veniva sbarcato l'amianto: «Era imballato in sacchi di carta, sacchi che venivano sbarcati con le gru e successivamente spostati a mano dentro i magazzini. Spesso i sacchi si aprivano, quindi il contatto o l'aspirazione dell'asbesto erano altamente probabili». «Abbiamo saputo che il vertice portuale era a conoscenza di questi livelli di pericolosità e abbiamo saputo di lettere che furono scritte alle associazioni imprenditoriali - riprende Veronese - ma queste informazioni non raggiunsero mai i lavoratori». Una ricostruzione che coincide con i nitidi ricordi di Guido Ingrao, anch'egli "quadro" dell'amministrazione portuale, con una lunga gavetta sulle banchine. Classe 1946, prime esperienze con ditte di spedizione, poi l'assunzione all'Eapt dove è rimasto fino al 1998 «quando consegnai le chiavi del Molo VII agli olandesi di Ect». Anche Ingrao era pesatore negli anni '70: «Mi pare che gli sbarchi di amianto riguardassero gli hangar 51, 53, 62, 63. Probabilmente alcuni di questi sono stati abbattuti. Sacchi di carta vulnerabili, "nuvole" di polvere quando avveniva lo sbarco mediante gru fisse, che a loro volta montavano strutture in asbesto ... In giro per i magazzini si potevano trovare partite residue di minerale». E Ingrao conferma: «Nessuna prescrizione, nessuno sapeva. Perlomeno noi lavoratori non sapevamo. Non ricordo alcun controllo medico specifico». Poi il giovane pesatore salì di grado e venne assegnato ai traffici specializzati, dove ebbe la responsabilità operativa del terminal container: «Ma lì non c'erano problemi di amianto». Quando Veronese accenna a una lettera spedita dall'Eapt alle associazioni d'impresa, fa riferimento a un documento la cui copia è in possesso di Umberto Laureni, già manager dell'Asl e assessore all'Ambiente nella giunta Cosolini. La missiva risaliva al febbraio 1978 ed era firmata dall'allora direttore dell'Ufficio del lavoro portuale, Lorenzo Colautti: rappresentava il frutto di una serie di riunioni e di scritti susseguitisi nell'autunno 1977. L'oggetto della lettera, diretta ad armatori-agenti marittimi-spedizionieri-industriali, era inequivocabile: "Manipolazione dell'amianto nel porto di Trieste". La Compagnia portuale aveva chiesto all'Eapt quali misure di sicurezza adottare «stante la ravvisata pericolosità» della merce trattata. La «soluzione ottimale», secondo Colautti, consisteva in un imballaggio consono: o palettizzazione con ricopertura plastica oppure impiego del container. In questa maniera - scriveva Colautti - si sarebbero tutelati i lavoratori e si sarebbe evitato l'inquinamento dell'aria circostante.In realtà Colautti recepiva una prescrizione contenuta nella relazione del 7 dicembre 1977 preparata dal Servizio medicina del lavoro, che all'epoca era ancora una struttura amministrativa comunale. Struttura di cui faceva parte il neo-assunto ingegnere Umberto Laureni. «Non si può dire che l'amministrazione portuale non sapesse - rammenta Laureni - perché i problemi posti dalla manipolazione dell'amianto erano numerosi, dalle modalità meteo al vestiario, dalle raccomandazioni di non fumare all'igiene personale. Chi doveva sapere sapeva, perché noi avevamo provveduto ad avvisare».

Massimo Greco

 

 

Mobilità sostenibile energeticamente

Domani alle 10.45, all’Università in Sala Cammarata (piazzale Europa 1), verrà dato il via ai lavori del progetto Muse “Collaborazione transfrontaliera per la mobilità universitaria sostenibile energeticamente efficiente”.

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 21 ottobre 2017

 

 

Amianto killer in banchina - In arrivo altre due sentenze - In ballo richieste per un milione dopo i 645mila euro riconosciuti nel ricorso pilota
L'Autorità portuale rischia altri due maxirisarcimenti per decessi da amianto nell'arco di un paio di mesi. Il caso di Gino Gruber, l'ex dipendente della Compagnia portuale Terra morto nel 2015 per mesotelioma, non è l'unico: l'Authority, in questi giorni condannata in primo grado dal giudice del lavoro del Tribunale di Trieste a pagare 645mila euro, potrebbe presto incappare, dunque, in una doppia sentenza milionaria, attesa tra novembre e dicembre. I fascicoli in mano ai magistrati riguardano, in particolare, due ex operatori in sevizio all'allora Ente porto: assunti tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta, andati in pensione attorno al '90 e morti recentemente proprio a causa della continua esposizione al pericoloso materiale, avvenuta sulle banchine dello scalo durante le operazioni di scarico dei sacchi. In quell'epoca il traffico navale, per questo tipo di merce, abbondava: a Trieste, tra gli anni Sessanta e Novanta, erano approdate circa 600mila tonnellate di amianto. Quando le gru imbragavano la merce, una parte andava distrutta: i sacchi erano di carta. La polvere, così, si liberava nell'aria, depositandosi nei magazzini e sul resto degli stoccaggi. E veniva respirata, inevitabilmente, con rischi devastanti per l'organismo: d'altronde ogni grammo di amianto, come emerso nei processi, conteneva ben 10 milioni di fibre. E i portuali, ignari, lavoravano senza alcuna misura di sicurezza. Le altre due famiglie che hanno ingaggiato la loro battaglia contro l'Authority sono difese dall'avvocato Fulvio Vida, analogamente ai parenti di Gruber. Il legale è da anni uno specialista in questo genere di controversie. Se l'esito processuale dovesse concludersi a favore delle parti lese, l'Autorità portuale si troverebbe a saldare una cifra attorno al milione di euro. Circa 500mila euro per una delle due vittime, e 500mila per l'altra. Due casi, questi, che rientrano nelle tragiche statistiche sui decessi da amianto. L'ultimo report di giugno, che ha tenuto conto sia della provincia di Trieste che di quella di Gorizia, parlava di 273 vittime certificate. 196 nell'Isontino e 77 nel capoluogo giuliano. Ma ulteriori accertamenti ancora in corso su altre persone scomparse potrebbero far schizzare il dato a quota 380. Numero destinato a gonfiarsi ulteriormente, stando ai timori degli esperti, visto che l'incubazione della patologia ha un periodo trentennale. Non a caso i decessi avvenuti in tempi più recenti riguardano operatori che avevano svolto la propria attività professionale, per l'appunto, tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Novanta. Si stima peraltro che in quell'epoca sarebbero stati almeno duemila i portuali impiegati nelle operazioni di carico e scarico dalle navi e dai treni. Ora la sentenza sulla vicenda di Gino Gruber crea di fatto un precedente giudiziario di non poco conto: per Trieste si è trattato del primo maxirisarcimento per un lavoratore di una compagnia portuale. Il provvedimento del Tribunale ha infatti accertato la responsabilità diretta sulla salute delle persone dell'allora Ente porto. La compagnia non era una società esterna, ma incarnata nelle struttura logistica. Forniva manodopera in quantità per il lavoro sulle banchine. Nessuno dei manovali sapeva a cosa andava incontro. E chi sapeva, ai piani alti, non ha fatto nulla.

Gianpaolo Sarti

 

L'intervista - «Negli uffici dell'Ente non se ne parlava mai»
Ha vissuto con l'incubo dell'amianto per tutta la vita. Prima con la morte del padre, un ex artigiano specializzato negli impianti sanitari e di riscaldamento. Poi, più o meno consapevolmente, con il suo impiego in porto tra gli anni Settanta e Novanta. Gianmarco Misigoi, 65 anni, non era solo un gruista, a diretto contratto con chi si occupava delle operazioni di carico e scarico merci sulle banchine, ma ha fatto carriera anche come funzionario. «In amministrazione, in quegli anni, non ho mai sentito parlare di amianto», afferma. «Io, almeno, non ne ho avuto la percezione. Anche se il pericolo era ormai noto. I giornali ne scrivevano». Esattamente in quale periodo ha lavorato per l'Ente porto?Io sono stato assunto nel 1977. Ho lavorato come gruista fino al 1982, in quel periodo mi sono trovato diverse volte nelle banchine dove si sbarcava l'amianto. Successivamente ho fatto la carriera amministrativa. Come funzionario mi sono occupato dei contenziosi e del piano regolatore, mai di questioni connesse all'amianto. Cosa ricorda di quando faceva il gruista?Ricordo innanzitutto che un anno dopo la mia assunzione è morto mio padre, a 49 anni. Aveva un tumore al polmone. Una cosa fulminante, se n'è andato in tre mesi. Era un artigiano, un libero professionista specializzato negli impianti sanitari e di riscaldamento. Maneggiava amianto: perché le isolazioni dei tubi, specialmente nei locali caldaia, contenevano quel materiale. I medici dicevano che la causa della morte poteva essere l'esposizione all'amianto. «Ma come?», mi sono detto io, «è roba che maneggiamo in porto». Come veniva maneggiato?Era in sacchi di carta che si rompevano spesso durante le operazioni di scarico con le gru. La polvere andava dappertutto come nebbia. Io che lavoravo a 15-20 metri di altezza vedevo bene tutto. Nessun portuale era dotato di misure di sicurezza. Ma lei che poi ha fatto il funzionario, sa forse se negli ambienti amministrativi si discuteva del problema?La pericolosità era nota, anche perché iniziavano i primi casi e si leggeva di cosa succedeva sui giornali. Ma non ho avuto la percezione che negli uffici dell'Ente porto se ne discutesse seriamente. Si è mai occupato della sua salute?Certo, faccio periodicamente delle radiologie. Finora non mi è stata riscontrata alcuna placca.

(g.s.)

 

Gli ex portuali fra ricordi e ansia - «Fibre ovunque se soffiava bora»
Pende come "una spada di Damocle", che potrebbe scendere da un momento all'altro. «Certo, non ci pensi ogni venti minuti, soprattutto se non hai sintomi, altrimenti non vivi più, ma comunque è inevitabile che ti venga in mente». Va così la vita di Rosario Gallitelli, 59 anni. Ha lavorato per l'Ente porto dal 1979 al 2010, e qualche anno prima in una cooperativa, presente anche come sindacalista. La paura che il tempo trascorso a contatto con l'amianto gli possa provocare un mesotelioma, sì, ce l'ha anche lui. Non fa distinzione tra chi era direttamente al servizio dell'Ente porto e chi invece faceva parte delle varie Cooperative portuali, dove - in quest'ultimo caso - i soci lavoratori erano impiegati sull'imbarco o allo sbarco e maneggiavano l'asbesto. Anche se i primi non toccavano direttamente con mano l'amianto, incorrevano nel rischio di inalarlo lo stesso. «Bora, la movimentazione in generale...in qualche modo vi si veniva a contatto - spiega Gallitelli -. Un sacco rotto da 25 chili ad esempio, in mezzo al piazzale: con un po' di bora il materiale volava dappertutto, si sono trovate tracce di asbesto nei magazzini dopo dieci anni. Chi era nelle Compagnie era più esposto, ma lo erano anche i commessi, i gruisti, i pesatori, questi ultimi ad esempio contavano i sacchi ed erano sotto la virata, bastava l'inalazione delle fibre di amianto, che coinvolgevano tutto il porto. Gli operatori della Compagnia prendevano in mano i sacchi - conclude -, magari gli altri erano a due metri da loro. Soci e lavoratori dell'ente erano tutti sulla "stessa barca", per usare un eufemismo». Lui ha fatto il gruista e poi il polivalente, un operativo, «ero comunque coinvolto». Di persone perite per amianto, tra amici e colleghi, personalmente Gallitelli ne ha conosciute una decina, soprattutto della Compagnia ma anche dell'Ente. Il decennio '70-'80 è il periodo in cui c'è stato il maggior numero di scarichi, sottolineano alcuni, che hanno visto imbarchi e sbarchi quotidiani di questo composto. «Ho ancora le agendine dove mi segnavo su che nave e in che giorno lavoravo, e la materia che sbarcavamo o imbarcavamo, perché c'erano tariffe diverse e serviva per controllare se era stato rispettato il compito», ricorda un altro lavoratore impiegato nella Compagnia, Luciano del Rosso, 70 anni, in porto dal settembre del '70 al maggio del '94. «Sulle pagine di questo diario quindi - continua - ho anche scritto tante volte "asbesto", così come tanti altri miei coetanei. Ci sono le prove». Motivo per cui «tanti colleghi sono morti o comunque sono affetti da mesotelioma - aggiunge Gallitelli -, ma non è una novità, perché lo sappiamo che l'amianto arrivava alla rinfusa, non c'era alcuna protezione, ora l'unico elemento di novità è che c'è un risarcimento. Finora abbiamo avuto sentenze che riconoscono l'esposizione dei portuali per tutti coloro che sono andati in pensione dopo il '92. Ciò però rappresenta un elemento di questo contenzioso, perché si cerca di far valere questo diritto anche per chi è stato esposto prima del '92». Del Rosso apparteneva alla sezione di bordo, «preparavamo i sacchi». Motivo per cui si è iscritto subito al registro esposti all'amianto, quando è nata l'iniziativa attorno al 2005. «Noi tutti eravamo soggetti all'amianto. Ricordo le nuvole che uscivano dai contenitori quando si rompevano. Oggi i miei colleghi e io sappiamo di questo stillicidio, per non dire morìa, che forse è una parola davvero brutta». L'iscrizione comporta visite periodiche che però, avverte del Rosso, avvengono molto di rado, «perché per chiamare tutte le persone, c'è molto tempo d'attesa, io ho aspettato cinque anni tra una visita e l'altra, per fortuna sono risultato sempre negativo». Nonostante questo «si vive un po' con l'ansia». Tanto che «dei miei colleghi - racconta - non hanno nemmeno risposto al richiamo dell'Azienda sanitaria, invece secondo me bisogna prendere coraggio e fare i controlli sempre più spesso». Gli esami consistono nei raggi e nella spirometria. «La cosa positiva è che con questo tesserino ricevuto dopo l'iscrizione abbiamo l'esenzione dei costi dei raggi per determinate aree del corpo, ma questi esami normali non vanno così in profondità come le altre due prove». Del Rosso, ricorda, per fortuna si faceva la doccia al lavoro, ma «portavo la tuta a casa per lavarla, così anche mia moglie ha fatto comunque degli esami, sempre negativi». Se nei primi tempi non si faceva nulla, dopo aver compreso la gravità dell'esposizione all'amianto, «si lavorava con un certa tutela, con mascherine bianche. Ci davano da bere anche del latte, dicevano che faceva bene...».

Benedetta Moro

 

San Dorligo - Odori oltre i limiti di legge - Il tavolo si apre ai cittadini
SAN DORLIGO DELLA VALLE - È ben oltre i limiti di legge, in misura superiore al 2%, l'inquinamento da odore nel territorio comunale di San Dorligo della Valle. È questo il preoccupante dato emerso nel corso della prima riunione ufficiale sul "caso odori" in scia al tavolo tecnico organizzato dal Comune guidato dal sindaco Sandy Klun e promosso dalla Commissione consiliare per l'Ambiente, presieduta da Roberto Potocco. All'invito dell'amministrazione hanno aderito, fra gli altri, Alessio Tilli, direttore generale della Tal Oil Siot, Andrea Soldan, manager della Wärtsilä, Eric Marcone, dirigente dell'Autorità portuale, Maria Grazia Fornasiero, responsabile del Dipartimento di Trieste dell'Arpa, Lucio Petronio, dell'Azienda sanitaria universitaria integrata, nonché numerosi consiglieri comunali. «Un consesso ampio e qualificato - ha spiegato Potocco - perché il problema è grave, sussiste da tempo, da più di dieci anni per essere precisi, e, davanti alle proteste della cittadinanza, è ferma intenzione dell'amministrazione fare tutto ciò che è nelle proprie possibilità per contenere e ridurre il fenomeno». Il dato dell'inquinamento da odore è stato definito dai rappresentanti dell'Arpa che, nei primi mesi di quest'anno, ha effettuato le rilevazioni, coinvolgendo i residenti. Esiste dunque un disagio olfattivo conclamato a San Dorligo della Valle «perché, seguendo le linee guida predisposte dalla regione Lombardia - ha spiegato Alessandra Pillon dell'Arpa - e adottate in tutta Italia, il limite del parametro che lo configura è fissato al 2% e in questo Comune siamo ben al di sopra». Luciano Agapito, dirigente della Regione, ha ribadito a questo proposito che «anche in Friuli Venezia Giulia vigono le regole applicate dalla Regione Lombardia». Le sorgenti della "molestia" sono molto probabilmente individuabili nell'ambito delle attività produttive delle aziende che operano nel territorio. A conferma della generale situazione di disagio per le persone residenti, Lilli ha confermato che «il problema dei disturbi olfattivi è recepito anche all'interno della Siot da parte dei dipendenti», ricordando che negli ultimi 10 anni, comunque, l'azienda «ha investito più di un milione e 600mila euro per la mitigazione degli odori, affidando anche uno specifico studio alla locale Università». Il direttore della Siot ha infine precisato che «talvolta le segnalazioni riguardano emissioni che non provengono dalla Siot» stessa. Un altro tema toccato è stato quello che riguarda la qualità del greggio trattato dalla Siot, ma su questo Lilli ha sottolineato che «l'azienda non ha possibilità di scegliere il greggio». Soldan ha invece osservato che «l'impatto della Wärtsilä sull'ambiente, per quanto concerne gli odori, è trascurabile». Potocco, a fine seduta, ha annunciato che «a breve sarà nuovamente convocato il tavolo tecnico, stavolta alla presenza dei cittadini, che così potranno dire la loro».

 

 

 

 

LA REPUBBLICA.it - VENERDI', 20 ottobre 2017

 

 

Nove milioni di morti l'anno: l'inquinamento uccide 15 volte più delle guerre

Un sesto dei decessi mondiali causati dallo smog: tre volte più dell’effetto combinato di Aids, tubercolosi e malaria e 15 volte più di tutti conflitti armati e delle altre forme di violenza. I numeri vengono dal rapporto della Lancet Commission on Pollution & Health - L'inquinamento atmosferico causa mezzo milione di morti l'anno in Europa

ROMA - L'inquinamento è diventato la più grave minaccia per la salute. Nel 2015 ha causato 9 milioni di morti, un sesto del totale. E' tre volte più dell'effetto combinato di Aids, tubercolosi e malaria; 15 volte più di tutte le guerre e delle altre forme di violenza. I numeri vengono dal rapporto preparato dalla Lancet Commission on Pollution & Health firmato dalla Global Alliance on Health and Pollution e dell'Icahn School of Medicine del Monte Sinai (New York). Un prezzo molto alto non solo in termini di vite umane, ma anche dal punto di vista economico: le malattie legate all'inquinamento nei Paesi a reddito medio e basso si traducono in una riduzione annua del Pil che può arrivare al 2% e nei Paesi a reddito alto in un aggravio della spesa sanitaria dell'1,7%. Mentre le perdite di benessere derivanti dall'inquinamento sono stimate in 4,6 trilioni di dollari all'anno: il 6,2% della produzione economica mondiale. Tra i principali responsabili di questo quadro sanitario, anche per il legame sempre più stretto tra inquinamento e cambiamento climatico, figurano i combustibili fossili: il loro uso, sommato alla combustione della biomassa nei paesi a basso reddito, produce l'85% del particolato e una quota rilevante di altri inquinanti atmosferici. A fronte di questi dati allarmanti ci sono i vantaggi registrati grazie alle leggi di salvaguardia ambientale. I miglioramenti della qualità dell'aria negli Stati Uniti - testimonia lo studio - non solo hanno ridotto i decessi da malattie cardiovascolari e respiratorie, ma hanno anche prodotto 30 dollari di benefici per ogni dollaro investito dal 1970. In assenza di interventi efficaci, al 2050 l'aggravarsi del caos climatico sommato alla progressiva urbanizzazione provocherà però un aumento del 50% dell'inquinamento. "Possiamo evitarlo perché ci sono strategie ben testate e a basso costo che permettono di mantenere l'inquinamento sotto controllo: dobbiamo smettere di avvelenare noi stessi", commenta il copresidente della Commissione, Richard Fuller. "In particolare bisogna regolamentare l'uso di alcune sostanze chimiche particolarmente dannose, come i metalli pesanti e i distruttori endocrini che danneggiano l'apparato riproduttivo e il sistema neurologico. Purtroppo in Europa i progressi in questo campo vengono rallentati dall'azione delle lobby dei settori industriali coinvolti", aggiunge Roberto Bertollini, l'unico italiano presente nella Commissione.

ANTONIO CIANCIULLO

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 20 ottobre 2017

 

 

Amianto killer in Porto - Primo maxirisarcimento - Authority condannata a versare 645mila euro ai familiari di un operaio
L'uomo morì di mesotelioma dopo aver lavorato per 32 anni per una coop
L'Autorità portuale di Trieste è stata condannata a sborsare 645 mila euro per risarcire la famiglia di una vittima di amianto: Gino Gruber, nato nel '44 e morto nel 2015 a 71 anni per mesotelioma. Lo ha stabilito il Giudice del lavoro del Tribunale di Trieste, che ha pronunciato una sentenza storica, destinata a fare giurisprudenza. Per la prima volta nel capoluogo giuliano e la seconda in Italia (l'unico precedente riguarda Venezia), viene accertata infatti la responsabilità dell'allora Ente porto su un ex dipendente di una compagnia portuale. Finora era accaduto soltanto per chi in passato era stato al servizio diretto dell'Authority. Stando alle stime, il caso potrebbe fare ora da apripista per almeno un centinaio di vicende analoghe, vale a dire persone colpite dalla stessa patologia. E per chissà quante altre in futuro. L'incubazione, come noto, ha un periodo di almeno trent'anni. Infatti il caso su cui si è appena espresso in primo grado il Tribunale di Trieste risale a parecchio tempo fa, tra il '60 e il '92, quando Gruber era socio-lavoratore della Compagnia portuale Terra, una cooperativa che forniva allo scalo manodopera in appalto. Circostanza vietata dalle norme del codice di navigazione, ma su cui vigeva una deroga. Lui, come circa altri 2mila colleghi ignari della pericolosità dell'amianto, si occupava dello scarico del materiale delle navi provenienti dal Sudafrica. Dagli anni Sessanta fino al '92 a Trieste sono approdate 600 mila tonnellate di amianto, usato soprattutto come isolamento nell'edilizia e nella cantieristica. Ogni grammo contiene 10 milioni di fibre. Tutto veniva maneggiato senza protezione alcuna. Niente maschere, niente tute speciali. Il materiale di solito era contenuto in sacchi di carta da 25 kg ciascuno che si rompevano frequentemente. D'altronde il trasporto dalle imbarcazioni alle banchine avveniva con le gru che imbragavano la merce a piramide, per poi essere smistata a bordo dei treni o negli hangar. I racconti su cosa succedeva durante le operazioni hanno nutrito una folta letteratura giudiziaria: la polvere che fuoriusciva dagli imballaggi luccicava nell'aria, come neve a Natale. La respiravano tutti. L'inquinamento si riversava su qualsiasi altro prodotto accatastato nei magazzini. La polvere si puliva con la scopa, gli abiti con una spruzzata di aria compressa. Le fibre giravano ovunque. Ma l'amianto non era considerato pericoloso dai tabellari Inail, anche se una lettera del 6 febbraio del '78 (protocollo 1238) firmata dall'allora direttore dell'ufficio del lavoro portuale, Lorenzo Colautti, avvisava l'Associazione industriali, l'Unione spedizionieri internazionali, l'Unione agenti marittimi, l'Associazione armatori, la Camera di commercio e l'Ufficio di sanità marittima, della «ravvisata pericolosità che la manipolazione di detta merce poteva rappresentare». Visto che, si legge oggi nel testo, «le fibre possono determinare, per inalazione, gravissime malattie polmonari individuabili, oltre che nell'asbestosi, nei tumori e soprattutto nei mesoteliomi della pleura». La lettera del direttore suggeriva quindi l'uso di imballi adeguati, con la copertura di plastica e l'impiego di container. Ma i lavoratori delle compagnie erano stati adeguatamente informati? E le misure di sicurezza? Nulle. I rischi, come visto, sono già noti quella volta. Ma ai portuali viene fatto bere il latte. Gino Gruber inizia ad ammalarsi nel 2013, per un'attività in cui è stato impegnato fino a una ventina d'anni prima. Muore nel 2015. Agli eredi legittimi, cioè la moglie vedova, le due figlie e le due nipoti, la magistratura ha riconosciuto un risarcimento di 645.090,99 euro. Gli altri ex dipendenti non si sono finora fatti avanti per chiedere giustizia perché la società, negli anni, è andata in liquidazione. Contro chi potevano rivalersi? Ma adesso la sentenza ha sparigliato le carte: grazie anche alla testimonianza di un ex dirigente della Cisl, Giuliano Veronese, il Tribunale ha accertato la responsabilità passiva dell'Ente porto (attuale Autorità portuale) per malattia professionale e morte di un socio lavoratore di una compagnia. «Il pronunciamento - osserva l'avvocato della famiglia, Fulvio Vida - è basilare perché tutela le legittime aspettative dei partenti della persona deceduta». Il provvedimento potrebbe innescare effetti a catena.

Gianpaolo Sarti

 

 

A San Dorligo "vola" la differenziata - Balzo del 10% dopo l'introduzione del nuovo sistema di raccolta porta a porta
SAN DORLIGO - Un aumento del 10% nella differenziata passata, da luglio a settembre, dal 57 al 67%, soglia superiore a quella minima prevista per legge, fissata a 65. Un drastico calo nella produzione di rifiuti non riciclabili, quelli destinati all'inceneritore, passati da una media di 135 kg all'anno per abitante a 63. Un risultato quest'ultimo che permetterà di sottrarre, ogni anno, circa 420 tonnellate di rifiuti allo smaltimento. Sono confortanti i dati relativi al servizio di raccolta rifiuti a San Dorligo, riferiti dal sindaco Sandy Klun, che ha voluto tracciare un primo bilancio, dopo l'introduzione, da luglio, del nuovo sistema di raccolta "porta a porta controllato", promosso dalla società pubblica partecipata "A & T 2000 spa". «Avevamo già un buona gestione della raccolta rifiuti nel nostro territorio - ha commentato Klun - ma dopo l'arrivo della "A & T 2000 spa", le performance sono ulteriormente migliorate. Siamo stati i primi, nell'ambito della nostra provincia a utilizzare il sistema del "porta a porta!, che si sta rivelando molto efficace. Colgo l'occasione - ha sottolineato - per confermare che non trascuriamo chi protesta utilizzando il numero verde e che ascoltiamo tutti, perché anche le critiche possono contribuire a perfezionare ulteriormente il servizio. È migliorata anche la raccolta in occasione delle sagre paesane - ha continuato Klun - che nel nostro Comune sono piuttosto frequenti. Ritengo fondamentale la collaborazione della popolazione, che ha correttamente recepito le nuove regole, dopo le iniziali perplessità, causate dalle novità». Nel corso dell'incontro i rappresentanti della "A & T 2000 spa" hanno anche fatto osservare che ci sono stati evidenti miglioramenti nel dettaglio della differenziata. «Le analisi effettuate sugli imballaggi in plastica e sulle lattine indicano uno scarto del 14,1 per cento, il che significa che, su cento chili di rifiuti di questa tipologia, l'85,9 per cento è immediatamente riciclabile. Lo scarto scende all'1 per cento nell'organico umido mentre nel vetro si scende ulteriormente addirittura a meno dell'1 per cento».

(u.s.)

 

 

Rigassificatore a Veglia, nuovi dubbi - Opposizione della Regione croata a un impianto offshore. Il governatore: «Progetto stravolto, danno per il turismo»
FIUME - Sempre più lastricata di problemi la strada che porta al rigassificatore offshore di Castelmuschio (Omisalj), nell'isola quarnerina di Veglia. Ad appoggiare il "no" all'impianto galleggiante da parte della municipalità di Castelmuschio è stata anche la Regione del Quarnero e Gorski kotar. Nella recente seduta del suo parlamentino è stata ribadita la contrarietà al terminal offshore, giacché si tratterebbe di un progetto completamente diverso rispetto al piano iniziale. «Si è sempre parlato di rigassificatore sulla terraferma, nei pressi della località di Castelmuschio - ha osservato il governatore Zlatko Komadina - un impianto per così dire "incassato", che non avrebbe costituito un pugno all'occhio della popolazione locale e dei numerosi turisti che vengono a trascorrere le vacanze sull'isola di Veglia. Invece da Zagabria è arrivata mesi fa la notizia che si è deciso di dare la precedenza al rigassificatore in mare, una nave gigante lunga 300 metri, larga 100 e alta come un grattacielo di 17 piani. Un mostro, mi si consenta il termine, anche molto rumoroso e turisticamente non accettabile. Per tacere della questione del raffreddamento delle acque di mare, trattamento necessario al funzionamento dell'impianto». Stando a Komadina ci sono anche altri aspetti che alla Contea litoraneo-montana non piacciono affatto. La sede dell'impresa che dirigerà l'impianto, infatti, sarà dislocata a Zagabria e non invece a Fiume o in seconda battuta a Veglia città. E dunque «ci sentiamo ingannati perché le entrate relative alle tasse sui ricavi e sulle entrate finiranno nelle casse comunali zagabresi, mentre noi ci terremo i rischi ambientali. Non vogliamo - ha aggiunto Komadina - si ripeta il caso del Gorski kotar, con questa regione attraversata da centinaia di chilometri di gasdotto e altre tubature di proprietà ma senza alcun guadagno degno di nota. Anzi, il Gorski kotar si vede puntualmente obbligato a chiedere l'elemosina a Zagabria per andare avanti. La stessa sorte è stata riservata al Quarnero che però non ci sta». Anche il vice governatore della Regione, Marko Boras Mandic, è stato chiaro: «Noi non ci opponiamo al progetto di partenza, quel rigassificatore sulla terraferma che garantirebbe l'avvio di centinaia di posti di lavoro ed entrate non indifferenti per le autonomie locali. Il terminal offshore è invece poca cosa per Castelmuschio e la sua contea, in pratica poche migliaia di euro all'anno e una decina di occupati in più. Appoggiamo insomma le istanze del comune di Castelmuschio e le riteniamo giuste. Zagabria non può ignorare la nostra opposizione». A reagire è stata l'azienda statale Lng Croazia, alla quale è stata affidata la realizzazione del rigassificatore galleggiante, da posizionare nelle acque poco al largo di Castelmuschio. In un comunicato si spiega che l'interesse dei fruitori d'oltreconfine per l'impianto sulla terraferma è scarso e per questo motivo è stato deciso di puntare sull'offshore. «Sarà in funzione dal 2019 al 2029, mentre tre anni prima - così nel comunicato - partirà la costruzione del rigassificatore in mare, da attivare nel 2029». Intanto però i vertici del comune di Castelmuschio hanno ribadito ufficialmente l'opposizione al progetto bis. Anzi, la sindaca Mirela Ahmetovic ha fatto sapere che la municipalità è pronta a pagare dal suo bilancio affinché lo Stato croato rinunci alla mega-nave.

Andrea Marsanich

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 19 ottobre 2017

 

 

Sottopassi nel degrado -  Piano da 200mila euro per rimetterli in sesto

Manutenzione straordinaria fra Barcola, Sant’Anna e Valmaura - Quello della stazione rientrerà nel restyling di piazza Libertà

Trieste non è una città di sottopassi. Quelli esistenti si contano sulle dita di una mano. Tuttavia versano quasi tutti in condizioni pietose. Di un piano di manutenzione straordinaria si era parlato a lungo durante la giunta di Roberto Cosolini con l'assessore Andrea Dapretto. Ma non se ne è fatto nulla per il famigerato Patto di stabilità. Ora, a oltre un anno dall'insediamento della terza giunta Dipiazza, è stato approvato un accordo quadro per la manutenzione straordinaria dei sottopassaggi pedonali per un ammontare di spesa pari a 200mila euro. Nella lista ci sono i sottopassi di via Dell'Istria (zona cimitero di Sant'Anna), di via Miani e via Mafalda di Savoia (zona PalaTrieste) e di Barcola (piazzale 11 Settembre). Non c'è il sottopasso più famoso e più usato, quello della Stazione centrale, che, molto probabilmente, sarà compreso nei previsti lavori di riordino di piazza Libertà (in agenda nel 2018 con una spesa complessiva di quattro milioni di euro). L'iniziativa è prevista nel programma triennale delle opere pubbliche 2017-2016. Il cronoprogramma dei pagamenti per l'opera prevede due rate: 100mila euro nel 2018 e 100mila nel 2019. È previsto l'affidamento in appalto a un'unica impresa per 365 giorni di lavoro continuativi. L'intervento di manutenzione sui tre sottopassi, si legge nella delibera, si pone l'obiettivo «di renderli sicuri e accessibili a tutti i cittadini» oltre a eliminare lo stato di degrado in cui versano da anni. Quasi tutti i sottopassaggi stradali sono deturpati da graffiti. Verrà effettuata l'idropulizia delle parti lapidee, con la rimozione dei graffiti e il trattamento delle superfici con vernici "antiscritte" (sperando che siano efficaci). La manutenzione straordinaria contempla inoltre il rifacimento della pavimentazione, inclusi i gradini delle scale, il risanamento degli intonaci con tinteggiatura finale, la realizzazione, la sostituzione e la riparazione di cancelli, parapetti, inferriate, serramenti in ferro o alluminio. Saranno rifatti contestualmente gli impianti elettrici e gli impianti di illuminazione e di emergenza per la sicurezza, con le relative telecamere. È previsto anche il rifacimento delle opere di fognatura con revisione o sostituzione delle tubature con espurgo dei pozzetti per evitare problemi di allagamento. Il sottopasso di Barcola, in viale Miramare, è soggetto spesso ad allagamenti. Un problema causato anche dalle pompe, pur sostituite alcuni anni fa, che spesso si bloccano per la presenza di acqua marina. Quello di Barcola è il sottopasso che versa nelle peggiori condizioni. Più volte è stato segnalato all'amministrazione dalla Terza Circoscrizione. Dei tre, il sottopassaggio pedonale più frequentato è quello di via dell'Istria che collega la fermata dell'autobus al cimitero di Sant'Anna. Non si contano le segnalazioni sulle scale sdrucciolevoli e sulle barriere architettoniche che lo rendono inaccessibile ai disabili. A inizio anno è stata anche presentata una mozione da parte del Movimento 5 Stelle che impegnava il presidente della Settima circoscrizione «ad attivarsi presso l'assessore competente affinché il sottopassaggio sia reso sicuro ed accessibile a tutta la popolazione». Nel piano di manutenzione straordinaria non si fa cenno però alle barriere architettoniche.

Fabio Dorigo

 

A Longera rispunta il parcheggio dimenticato - Approvato dall'amministrazione il progetto esecutivo per 11 posti con un investimento da 50mila euro
A volte ritornano. Nel fiume carsico delle opere pubbliche è rispuntato il parcheggio di Longera. Stava nel piano triennale delle opere del 2010 (seconda giunta di Roberto Dipiazza) come una delle priorità rionali chiesta e ottenuta dalla Sesta circoscrizione (San Giovanni e Chiadino-Rozzol). Poi è scomparso fino e riemergere nel piano triennale 2014-2016 messo a punto dall'amministrazione Cosolini. E il 20 settembre scorso la terza giunta Dipiazza ha approvato il progetto definitivo ed esecutivo del parcheggio, con una spesa complessiva pari a 50 mila euro. Sarà realizzato a monte dell'abitato di Longera di Sopra poco oltre l'attraversamento del torrente Farneto con accesso da una stradina poderale di collegamento con la via Marchesetti. Non sarà necessario procedere ad alcun esproprio visto che l'area di intervento è di proprietà del Comune di Trieste. «Si prevedono di realizzare 11 stalli per autoveicoli a pettine di cui uno per guidatori con disabilità», si legge nel progetto. I lavori prevedono lo sbancamento dell'area adiacente alla stradina di collegamento tra Longera e via Marchesetti per circa un metro con riprofilatura del versante a monte del parcheggio che sarà risistemato a verde con la «piantumazione di specie arbustive di media taglia e ornamentali» quali il biancospino e cotinus coggirya ("sommacco") come espressamente richiesto dalla Commissione paesaggistica. Non c'è stato bisogno di una relazione idrogeologica. Le acque di pioggia verranno smaltite come avviene oggi, scivolando liberamente per l'intera area lasciata a verde e finendo nell'alveo del vicino torrente Farneto. L'intervento, infatti, non prevede la realizzazione di alcuna struttura di sostegno e neppure la realizzazione di reti di smaltimento delle acque piovane. Dopo l'approvazione del progetto esecutivo si potrà partire con la procedura di gara alla quale saranno invitate almeno 10 imprese. Il contratto stabilisce il termine di 90 giorni per l'ultimazione dei lavori. Il cronoprogramma dei pagamenti prevede la liquidazione dei 50mila euro entro quest'anno essendo l'opera inserita nel piano triennale opere 2014-2016. E così, dopo sette anni di attesa, Longera potrà avere un suo parcheggio pubblico.

(fa.do.)

 

Piano Paesaggistico - Forum architetti Fvg

L'Ordine degli Architetti ha avviato ieri il suo forum sul Piano paesaggistico regionale: ha coinvolto i 2.500 architetti del Fvg per l'avvio di gruppi di lavoro per produrre documenti di osservazioni.

 

 

FERRIERA - Citazione ad aprile per Siderurgica Triestina
La Procura di Trieste ha citato in giudizio, per l’ 11 aprile, responsabili e dirigenti di Siderurgica Triestina.

Fra le persone citate in giudizio - riferisce il senatore Lorenzo Battista (Articolo 1 - Mdp) - ci sono Giovanni Arvedi, Francesco Rosato, Andrea Landini, Umberto Fachinetti e Daniele Agapito. Le ipotesi di reato - rende noto Battista che ha presentato un'interrogazione pubblicata ieri sul sito del Senato - riguardano violazioni edilizie e ambientali in relazione alla realizzazione di un capannone per il nuovo laminatoio. L’Ufficio stampa di Siderurgica Triestina comunica che «l’evento citato fa riferimento unicamente alla tempistica di avvio delle opere preliminari e preparatorie riferite alla costruzione del laminatoio, per il quale sono state ottenute tutte le previste autorizzazioni. L’oggetto della contestazione è pertanto limitato e circoscritto e concerne esclusivamente i tempi di inizio delle opere propedeutiche alla costruzione del capannone. Per questo si è comunque provveduto all’opportuna regolarizzazione. È una fase che viene vissuta con assoluta serenità».

 

 

La rivolta contro i soffiatori «Alzano polveri e rifiuti» - I cittadini lamentano l'uso disinvolto dello strumento per la pulizia delle strade
Sotto accusa anche il rumore eccessivo e la mancata raccolta dei cumuli di foglie
Scatta a Trieste la rivolta contro i "soffiatori". I cittadini criticano lo strumento utilizzato dagli addetti alla pulizia delle strade che, a loro parere, non farebbe altro che sollevare nuvoloni di robaccia: polvere, sabbia, foglie e altri rifiuti. «L'uso disinvolto di questo mezzo di spazzamento - sostengono - deve essere proibito. Fa rumore e, soprattutto, alza nuvole di polveri creando grossi problemi a chi passa lì accanto e non solo». L'utilizzo dei soffiatori è previsto nell'appalto con il quale AcegasApsAmga assegna a Italspughi, cooperativa Sole e Quercia Ambiente la pulizia delle strade cittadine. Questo strumento che spinge con un forte getto d'aria fogliame, mozziconi di sigarette, cartacce, deiezioni canine e polvere viene utilizzato in molte zone della città e ha il vantaggio di riuscire a effettuare un'efficace pulizia anche sotto le automobili, raggiungendo punti che difficilmente una scopa riuscirebbe a ripulire. I cumuli di rifiuti spinti in un unico punto dai soffiatori vengono poi raccolti al passaggio dei mezzi aspiratori. I cittadini segnalano però l'utilizzo non sempre corretto di questi strumenti da parte di alcuni operatori, che con il loro "soffio" investirebbero i passanti o spingerebbero le foglie nelle caditoie. Altri denunciano cumuli di foglie che non sarebbero mai stati raccolti dall'aspiratore. «Non è giusto generalizzare - sostiene Luisa Polli, assessore all'Ambiente -, ma è ovvio che sta al singolo operatore lavorare con professionalità, onestà e sensibilità». Nelle vie più strette, dove i mezzi di aspirazione non passano facilmente, gli operatori continuano a utilizzare le scope. Alle proposte dei cittadini di bagnare il terreno prima dell'utilizzo del "diabolico" soffiatore o di usare degli aspiratori che raccolgono e non spingono i rifiuti e le polveri, l'assessore replica: «Se le foglie sono bagnate il soffiatore non riesce a fare il suo lavoro - spiega -, mentre gli aspiratori non risolvono il problema delle polveri, perché escono comunque dal sacco che contiene il raccolto. La classica "ramazza" - aggiunge - alza comunque polveri, richiede più tempo e di conseguenza i costi aumentano». Quasi un anno fa Polli aveva accolto una mozione del Movimento 5 Stelle dove si evidenziava il problema dell'utilizzo dei soffiatori a Servola, Valmaura e Chiarbola e si chiedeva all'amministrazione di passare dal sistema di pulizia con i soffiatori a quello del lavaggio stradale. Da alcune settimane Polli ha dato indicazioni di sospendere l'utilizzo dei soffiatori a Servola. «Non è provato che sollevando polvere i soffiatori provochino problemi alla salute, ma ho ritenuto doveroso raccogliere il disagio di chi abita a Servola, dove è conclamato sussista un grado di inquinamento da polveri superiore al resto della città, e far sospendere l'uso di questi strumenti in quella zona» specifica Polli. Italspurghi che ha in appalto la pulizia delle strade di Servola ha avviato ora l'utilizzo delle spazzatrici ad acqua con un operatore a terra che interviene dove il mezzo meccanico non arriva. Pulire le strade con questo metodo richiede più tempo. Il lavaggio stradale prevede una modifica al Pef che necessita dell'approvazione del Consiglio comunale. «Auspico un parere favorevole trasversale per dare risposte a questa gente - dichiara Polli -. In generale comunque si stanno valutando nuove modalità e tecnologie di pulizia delle strade».

Laura Tonero

 

Sale la differenziata - Duino Aurisina nel club dei virtuosi
La raccolta diversificata cresce in un anno dal 33% al 43% «Isole ecologiche meglio posizionate e cittadini più attenti»
DUINO AURISINA - Migliora la raccolta differenziata (la media mensile passa dal 33, 22% del 2016 al 43. 38% registrata quest'anno da gennaio ad agosto compreso). Cala il totale dei rifiuti prodotti (la media dei primi sette mesi del 2016 era di 515 tonnellate, quella dello stesso periodo di quest'anno è di 506). Duino Aurisina sta diventando un Comune virtuoso per quanto concerne la raccolta rifiuti. È questo l'esito della prima verifica sull'intero territorio compiuta da Isontina ambiente, la srl con sede a Ronchi dei Legionari che, dal febbraio dello scorso anno, gestisce lo smaltimento rifiuti nel Comune oggi guidato dal sindaco Daniela Pallotta. «I dati sono confortanti sotto tutti i profili - spiega Andrea Humar, l'assessore comunale titolare, fra le varie competenze, di quelle che riguardano i servizi sul territorio e l'ambiente - perché entrambi gli indicatori principali, cioè quelli che riguardano l'aumento della differenziata e il peso complessivo dei rifiuti prodotti, evidenziano un comportamento più attento e puntuale da parte dei residenti». Indubbiamente ci mette del suo anche Isontina ambiente: «Una migliore distribuzione nel territorio delle isole ecologiche - riprende Humar - sta favorendo un atteggiamento più responsabile da parte della popolazione». Che ha tutto da guadagnare fra l'altro da questa situazione, perché a fine anno, quando si farà il bilancio dei costi del servizio di asporto rifiuti, se i dati dell'intero 2017 confermeranno quanto reso noto ora, si potrà eventualmente pensare a una riduzione delle tariffe.«È molto presto per ipotizzare un taglio dei costi - sottolinea Humar - ma di certo a fine anno faremo una considerazione generale su questo servizio e valuteremo il da farsi». La normativa in materia oggi è molto chiara: i comuni devono pareggiare, a livello di bilancio, il servizio di raccolta rifiuti, nel senso che, dato un determinato costo complessivo, lo stesso va ripartito fra tutti i contribuenti. Ulteriore elemento di soddisfazione per il Comune il netto calo dei rifiuti abbandonati dai cosiddetti "depositanti in transito", quasi sempre imprese edili provenienti da altri comuni e dalla Slovenia, che trovano comodo abbandonare il risultato di lavori di demolizione nei pressi dei cassonetti del territorio di Duino Aurisina. Raffrontando il periodo che va da febbraio ad agosto del 2016 con lo stesso del 2017, si arriva alla conclusione che le tonnellate di rifiuti derivanti da lavori edili si sono ridotte di più di una decina di tonnellate: da 193, 7 a 183. «Questo è il risultato di una migliore disposizione delle isole ecologiche - precisa Humar - perché abbiamo tolto i cassonetti dalle strade principali, cioè quelle a maggior transito».In un panorama positivo, rimane un punto su cui la giunta dovrà invece lavorare con particolare attenzione, quello che riguarda il sensibile aumento dei rifiuti dell'indifferenziata nel periodo estivo. Quest'anno si è passati dalle 272, 8 tonnellate di giugno alle 298, 6 di luglio per arrivare alle 301, 8 di agosto. «Si tratta di un fenomeno legato alla presenza dei turisti - continua Humar - che non possono conoscere, alla pari dei residenti, la dislocazione delle isole ecologiche e quindi dei raccoglitori per la differenziata. Per la prossima estate - prosegue l'assessore - provvederemo a renderle più visibili».La prossima settimana intanto inizierà la distribuzione sul territorio, in particolare a Malchina, Medeazza e Visogliano, dei raccoglitori per il verde.

Ugo Salvini

 

LA PRESENTAZIONE - Oggi i dati degli ultimi tre mesi a San Dorligo alla luce del nuovo sistema di smaltimento
Saranno resi noti stamani, nel corso di una conferenza che inizierà alle 12, nella sala del Consiglio comunale di San Dorligo della Valle, i dati sui risultati ottenuti sul territorio, con il nuovo sistema di raccolta differenziata, negli ultimi tre mesi. Saranno inoltre analizzate la situazione attuale e le possibilità di ulteriore miglioramento. Alla presentazione dei nuovi dati parteciperanno pubblici amministratori e gestori del servizio. A San Dorligo della Valle, per la cronaca, nelle ultime settimane si erano registrate proteste da parte di alcuni residenti che avevano denunciato disservizi nella raccolta rifiuti.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 18 ottobre 2017

 

 

Il Carso che domina Barcola si rifà il look con 1,7 milioni

Il Comune stanzia una maxiposta con ex fondi provinciali per la messa in sicurezza e il recupero di 150 ettari da destinare a viti e olivi e per nuovi itinerari turistici
Centocinquanta ettari di pastini da ripristinare entro la fine del 2019 sul costone carsico, per consentire la coltivazione di vigneti e uliveti. Epicentro di questa operazione di riqualificazione paesaggistica i dintorni di Contovello.Il Consorzio di Bonifica "Pianura Isontina" ha ottenuto un milione e 742.966,37 euro, che originariamente erano stati assegnati alla Provincia di Trieste dalla Regione Fvg e dal Fondo Trieste, per l'ampliamento di una strada campestre e per il riassetto dei muri "a secco" che delimitano i terreni terrazzati. Verranno inoltre realizzate vasche in grado di contenere l'acqua piovana a scopo irriguo, collegate con la rete idrica gestita da AcegasApsAmga. «Una volta erano zone dove si arrivava con l'asino e la carriola - commenta il presidente del Consorzio Enzo Lorenzon - adesso bisogna infrastrutturarle per permettere un utilizzo economico adeguato». Sviluppo agricolo, recupero e valorizzazione di aree rurali abbandonate o semi-abbandonate, reintroduzione di coltivazioni «compatibili con evidenze naturalistiche di rilevanza sovraregionale» sono gli obiettivi del finanziamento ricevuto, come documentato dal Consorzio nel progetto presentato al Comune lo scorso 8 giugno dal titolo "Infrastrutturazione del costone carsico triestino 1°lotto". Per entrare in azione, il Consorzio isontino ha però preventiva occorrenza di una variante al Piano regolatore generale del Comune triestino, in quanto dovrà effettuare alcune espropriazioni. A tale riguardo la giunta, su proposta dell'assessore Luisa Polli, ha approvato una delibera che accende la procedura di adozione della variante, che sarà esaminata dal Consiglio comunale. Un iter che l'amministratrice leghista delegata alla Pianificazione territoriale conta di chiudere prima di Natale. Poi il Consorzio provvederà, come stazione appaltante, all'affidamento dei lavori, con l'obiettivo di consegnare al territorio triestino una Contovello doppiamente attrattiva, per l'investimento agricolo-produttivo e per il turismo carsico. Senza contare - ricorda la Polli - gli aspetti correlati alla tutela dell'ambiente. Un'operazione che interessa lo stesso Dipiazza, come sindaco e come responsabile dell'agricoltura per l'Uti giuliana: tant'è che il primo cittadino, insieme alla Polli, ha recentemente svolto un sopralluogo a Contovello. Poi l'assessore rammenta un altro argomento che rende importante il recupero di quella zona carsica: è il tema enologico legato alla Glera, in quanto un aumento della disponibilità di vigneto faciliterebbe l'ottenimento di quote produttive. Paesaggio, suolo, economia sono tre fattori - a giudizio della Polli - che meritano da parte del Consiglio, quando tratterà la variante, una linea di attenzione propositiva. Variante - ricorda la delibera 488 - che non è sottoposta a valutazione ambientale strategica e sulla quale i competenti uffici della Regioni Fvg hanno statuito che il progetto «non necessita di valutazione d'incidenza appropriata e può essere eseguito». Fu la Provincia di Trieste, con una delibera del giugno 2015, a delegare il Consorzio alla progettazione e all'esecuzione delle opere. Peccato che la Provincia non esista più nel momento in cui un'operazione importante come questa è in pista di decollo. Il finanziamento ha una storia lunga e tormentata - come si ricordava alcuni mesi fa - , avendo mosso i primi passi ai tempi della giunta regionale guidata da Riccardo Illy, quando assessore alle Risorse agricole era Enzo Marsilio. Dopo lunghi anni di "sonno", i fondi sono stati destati e destinati: la grande parte proviene dalla Regione Fvg (750 mila euro) e dal Fondo Trieste (440 mila euro). Da tempo il Consorzio della Pianura Isontina guarda con interesse al territorio triestino, come sottolinea il presidente Enzo Lorenzon, con una lunga milizia al volante dell'organismo di bonifica. Il Consorzio è già stato impegnato in un importante lavoro nel bacino di Montedoro, tra Muggia e San Dorligo.

Massimo Greco

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 17 ottobre 2017

 

 

Idee vincenti per evitare lo spreco d'acqua - Ai progetti di due studenti del Deledda-Fabiani i premi assegnati dall'evento nazionale "Water-Hack"
Cento studenti di tredici scuole italiane si sono incontrati e sfidati all'Istituto per ciechi di Milano, durante l'evento "Water-Hack", la prima maratona dedicata interamente al tema dell'acqua e della sua sostenibilità. Tra i cento giovani alunni, "armati" di idee e creatività, anche sei studenti dell'Its "Deledda-Fabiani" di Trieste, che hanno partecipato appunto all'importante iniziativa, promossa dal Miur per la scuola italiana. Un evento, che si è svolto in concomitanza con il forum internazionale "Rules of water, Rules for live". E tra tra i vincitori finali dell'hackaton figurano proprio due studenti del"Deledda-Fabiani: Emil Mastromauro, per il progetto "Link Sink", ha vinto grazie alla su originale "creatura": un rubinetto intelligente che, grazie a un sistema di flussometri, monitora e aiuta a ridurre gli sprechi quotidiani dell'acqua grazie a un'applicazione per smartphone che informa costantemente l'utente. Premiato anche un altro triestino, Giacomo Baldassi, che con il suo gruppo "Goccia a Goccia" ha trionfato con l'ambizioso progetto che ha l'obiettivo di mettere a confronto giovani tra i 18 e i 25 anni di Paesi in via di sviluppo e dei Paesi europei sui temi della gestione dell'acqua. C'è dunque grande soddisfazione per la vittoria dei due studenti triestini, ai quali sono stati assegnati due prestigiosi premi: il gruppo di Emil svolgerà un progetto di ricerca su biologia e zoologia marina in collaborazione con l'Università di Milano Bicocca presso il loro centro di ricerca alle Maldive; mentre il gruppo di Giacomo rappresenterà l'Italia dei giovani a una conferenza mondiale che si terrà dal 18 al 23 marzo nientemeno che a Brasilia. «È stata una lunga maratona progettuale - sottolinea entusiasta la docente Maria Zappalà - un evento importante per la centralità del tema affrontato, ovvero la salvaguardia delle risorse idriche. Quello che ci tengo maggiormente a sottolineare è però l'impegno degli studenti che si sono impegnati nella ricerca delle migliori soluzioni per affrontare il tema del risparmio dell'acqua: questo potrà servire sicuramente da modello per altri studenti e i giovani in generale». Perché, ricordano dalla scuola, è ai giovani che è affidato il futuro, e non solo quello dell'acqua.

Alexandra Del Bianco

 

 

AIDDA - Serracchiani parla di treni e ripresa

Sarà dedicata al tema "I treni della ripresa. Infrastrutture materiali e immateriali per competere in Europa" la conviviale dell'Aidda in programma oggi alle 19 all'hotel Riviera. Interverrà Debora Serracchiani

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 16 ottobre 2017

 

 

Ambiente - Convegno Ogs sui rischi naturali

"Pianificazione territoriale, prevenzione dei rischi naturali e strumenti per la tutela dell'ambiente" è il titolo di un convegno organizzato oggi alla Camera di commercio dall'Ogs. Inizia alle 8.30 e finisce alle 17.

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 15 ottobre 2017

 

 

Il domino della siderurgia Made in Italy - Gli scenari dall'Ilva alla ex Lucchini di Piombino. Intanto in Fvg l'export dei grandi gruppi (da Danieli a Pittini) è in ripresa
MILANO - Ultimo braccio di ferro per la siderurgia nazionale. Nel giro di qualche mese, e comunque entro il primo semestre 2018, dovrebbero concludersi le tutte vicende societarie, giudiziarie e ambientali, che hanno paralizzato a lungo l'acciaio Made in Italy. Stiamo parlando dell'Ilva di Taranto, ora alle prese con un piano industriale che riduce di un terzo la forza lavoro e impone sacrifici contrattuali a tutti i dipendenti e il "niet" da parte di governo e sindacati; la ex Lucchini di Piombino che dovrebbe essere rilevata, dopo un inconcludente interregno degli algerini di Issad Rebrab, dalla cordata che puntava all'Ilva (Arvedi e gli indiani di Jindal), e infine l'attesa rinascita dell'ex Alcoa ora nell'orbita degli svizzeri di Sider Alloys.Tutte vicende spinose e complicate, su cui non mancheranno le sorprese e i colpi di scena, ma che dopo anni di palude si avviano al rush finale. Intanto che è si va ricomponendo il mosaico dei siti produttivi, e non sarà un processo indolore, soprattutto sul fronte occupazionale, la siderurgia nazionale prosegue la sua lenta ma costante ripresa. Nei primi sette mesi dell'anno la produzione è aumentata dell'1,7%, pari a 14,4 milioni di tonnellate. Diminuiscono le importazioni e cresce l'export, che fa un passo in avanti dell'1,7%. A trainare il lavoro degli altoforni è la congiuntura positiva dell'industria italiana. L'acciaio infatti è un ottimo indicatore del ciclo economico: automotive, elettrodomestici, metalmeccanica sono i suoi più grandi consumatori. Un trend che si riflette anche sul Nordest e sulla vocazione internazionale del territorio. Basti pensare al balzo dell'export (+8,8%) segnalato, nel secondo trimestre dell'anno, da Confindustria Udine che vede il grande exploit della siderurgia locale, quella del gruppo Danieli e di Pittini di Osoppo, in aumento del 48%. Tant'è che a piccoli passi l'Italia torna nella top ten globale dei paesi produttivi d'acciaio, al decimo posto scalzando l'Ucraina ancora in trincea per le tensioni politiche all'interno del paese. Sarà comunque difficile per l'Italia mantenere questa posizione in graduatoria, perché gli altri paesi concorrenti crescono in modo molto più spedito, basti pensare all'Iran (+15%) e a Taiwan (+7%). La battaglia sui grandi volumi con le economie asiatiche è persa da tempo. l continente asiatico cuba oggi il 69% della produzione mondiale, contro il 10% dell' Europa. Perciò appare ormai segnata la strada di un acciaio delle specialità, e peraltro intrapresa da aziende italiane come il gruppo Danieli di Buttrio nella produzione di impianti siderurgici ad alto tasso tecnologico. In proposito la società friulana ha ospitato un summit internazionale nella prima settimana di ottobre il Dim-Danieli Innovaction Meeting, forum dei leader mondiali dell'acciaio nel quale ogni quattro anni si analizzano lo stato di salute e le dinamiche globali della siderurgia. Quest'anno il forum Danieli ha puntato le antenne su innovazione, tecnologie e competitività nel mercato dell'acciaio da qui al 2035, con particolare riferimento alle conseguenze delle politiche protezionistiche doganali e all'attuale situazione di "new normal periodo", cioè di "calma piatta" per quanto riguarda la richiesta di nuovi impianti siderurgici. La Pittini di Osoppo, a un anno dalla scomparsa del signore delle Ferriere, Andrea Pittini, deve confrontarsi con una mega multa da 43 milioni comminata dall'Antitrust per presunta concorrenza sleale. Una sanzione che, se confermata, metterebbe a dura prova il cammino di ripresa dell'industria siderurgica del territorio. C'è poi il tema ambientale che allunga le sue ombre su tutto il comparto dalle vicende Ilva fino alla Ferriera di Servola del gruppo Arvedi, e che potrà essere sanato solo con investimenti in tecnologie avanzate e sostenibili.

Christian Benna

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 14 ottobre 2017

 

 

La svolta verde di Lubiana: stop alle auto inquinanti
La stretta del governo: dal 2030 in vigore nuove regole per le immatricolazioni per abbattere le emissioni nocive. Via libera alla diffusione delle auto elettriche
BELGRADO - Basta auto inquinanti a diesel e a benzina. Sì a quelle elettriche e ibride plugin, è quello il futuro. Futuro prossimo che non è solo quello di Francia, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Norvegia, ma anche della vicina Slovenia. Che sta imboccando una strada sempre più 'verde' per il proprio sviluppo. Slovenia dove il governo ha annunciato giovedì la futura introduzione di nuove regole per l'immatricolazione di nuove automobili. «Dal 2030, non permetteremo la registrazione di macchine tradizionali», ha confermato Bojan Zlender, numero uno dell'ufficio ministeriale che si occupa delle politiche dei trasporti. Maggiori dettagli sono stati resi noti dall'agenzia di stampa slovena Sta, che ha specificato che lo stop alle vendite nel 2030 riguarderà auto diesel o a benzina «che producano più di 50 grammi di Co2 al chilometro». Già dal 2025, le auto dovranno inoltre avere una impronta inferiore ai 100g/km, come prescrivono gli obiettivi Ue. Non si tratta dunque di un «divieto totale», sul modello francese o britannico, ma che potrebbe avere conseguenze simili. Al momento, «solo veicoli elettrici e gli ibridi elettrici plug-in» (Phev), ricaricabili senza uso di motore a combustione, rispettano questo limite, ha ricordato infatti la Sta. Se nei prossimi anni nuove tecnologie abbatteranno le emissioni delle auto tradizionali, anche queste potranno continuare a essere registrate. In caso contrario - scenario più probabile - chi vorrà acquistare auto nuove dal 2030 dovrà puntare necessariamente su veicoli elettrici o Phev. È proprio a questo che mira Lubiana, ossia di «far salire al 17 per cento la quota» di auto verdi nel Paese, oggi un minuscolo 0,1% del parco macchine, già entro il 2030 e poi esponenzialmente negli anni successivi. Parliamo di grandi numeri, in una nazione che ha uno dei più alti tassi di motorizzazione in Europa. In Slovenia, sono infatti 523 le auto in circolazione ogni 1.000 abitanti. E se la quota del 17% sarà raggiunta, fra un decennio o poco più saranno già 200mila le auto elettriche o Phev. Auto che avranno bisogno di più colonnine di rifornimento di quelle oggi attive. Per questo, Lubiana ha pianificato di aumentarle dalle attuali 227 fino a 22.300 nel 2030. Tutte misure, quelle "anti-combustibili fossili", che sono contenute nella bozza della «Strategia per lo sviluppo 2030», adottata giovedì dal governo, che include anche altri punti importanti, come la riduzione del rapporto debito/Pil sotto il 60%. La strategia sarà sottoposta a un dibattito pubblico fino a novembre, per essere perfezionata, e poi messa in pratica. Ma la rotta è segnata. Rotta che non è troppo ambiziosa perché non copia «ad esempio il modello olandese, dove le emissioni ammesse» nel 2030 saranno «zero e non 50», spiega a Il Piccolo Ignac Zavrsnik, presidente dell'Associazione slovena per la mobilità elettrica (Dems). «Non è la stessa storia che in Norvegia o in Olanda, ma è un cambiamento», un passo avanti significativo che «ripercorre quelli dei Paesi più sviluppati». È un «passo nella direzione giusta», gli fa eco Greenpeace Slovenia. «Ma dobbiamo prestare attenzione da dove questi veicoli ricaveranno energia. Se essa arriverà dal carbone o dal nucleare - continua Greenpeace - diminuiamo solo un problema e ne prolunghiamo un altro. E l'elettrificazione deve andare a braccetto con «lo sviluppo delle rinnovabili».

Stefano Giasntin

 

 

Tonno da 150 kg spiaggiato a Muggia - La carcassa dell'esemplare di "pinna blu" è diventata una macabra attrazione aspettando la rimozione
MUGGIA - Quasi due metri di lunghezza per circa 150 chilogrammi di peso: l'enorme carcassa di un tonno rosso si è spiaggiata sul tratto del litorale posto poco prima del comprensorio che ospita la base logistica militare di Muggia. Il massiccio scombride, che da mercoledì giace senza vita sulla spiaggetta di sabbia, per ora non ha trovato alcuna autorità disposta a spostarlo, finendo col diventare una macabra attrazione. Non solo. Come emerso da una testimonianza fotografica, al momento del suo recupero in acqua avvenuto con una corda, il tonno aveva ancora la pinna, che successivamente è stata asportata da ignoti, forse come "trofeo". Tutta la vicenda fa veramente riflettere tenendo conto anche del fatto che questo pesce pelagico, il cui stato di conservazione è peraltro fortemente minacciato, è considerato estremamente pregiato. Il Paese che dall'Italia importa maggiormente il tonno rosso - detto anche pinna blu, e da non confondere con il pinna gialla che troviamo nelle classiche scatolette - è il Giappone, che lo utilizza in particolar modo per il sushi. Basti ricordare l'eclatante asta avvenuta a inizio anno a un mercato ittico nipponico che ha fatto il giro dei mass media mondiali. Al Tsukiji, il mercato del pesce di Tokyo, un esemplare di 212 kg è stato venduto per 74,2 milioni di yen, equivalenti a qualcosa come 560mila euro: 2860 euro al kg. «L'avessero raccolto subito e trattato a dovere, il tonno ritrovato sulla spiaggia della strada per Lazzaretto avrebbe potuto davvero sfamare tantissime persone», racconta basito il naturalista triestino Nicola Bressi. Invece così non è stato e la carcassa del pesce è praticamente andata in putrefazione. Anni fa, pare che di simili casistiche se ne occupasse la ditta Crismani. Ora invece la situazione è stata risolta con un intervento piuttosto impetuoso da parte dell'assessore alla Polizia locale Stefano Decolle: «Questa mattina (ieri, nd) non appena saputo che la carcassa era ancora lì, ho fatto una rapida verifica con i miei funzionari per trovare una soluzione. Entro la settimana una ditta proveniente da un altro comune della regione provvederà alla rimozione dell'animale morto». Ignoti, per ora, i costi dell'operazione.Lo spiaggiamento di un tonno di queste dimensioni è una cosa piuttosto rara come spiega lo zoologo Bressi: «Credo sia la prima volta che il corpo intero di un tonno venga rinvenuto su una spiaggia della nostra provincia. In diverse occasioni questo pesce è stato avvistato sul bagnasciuga, ma sempre smembrato». Al momento del suo ripescaggio il pesce era privo di testa, molto probabilmente perché mozzata dall'elica di un motoscafo. L'ultima considerazione su questa vicenda riguarda la minaccia di estinzione del tonno rosso. La sua presenza a Trieste non è certo eccezionale, ma negli ultimi anni si è fatta rara. Grazie ai fermo pesca decretati dall'Iccat, questo animale, praticamente estinto nel golfo di Trieste dopo la mattanza del 1954 che provocò la cattura di circa 800 tonni e la conseguente chiusura delle tonnare triestine, sta tornando pian piano a ripopolare le nostre acque

Riccardo Tosques

 

 

Passeggiata guidata nel Bosco Farneto a 200 anni dall'apertura del primo sentiero
Il Comune di Trieste e il Corpo Forestale regionale organizzano quest'oggi una camminata guidata nel Bosco Farneto per ricordare i 200 anni dall'apertura del suo primo sentiero escursionistico. Lo storico sentiero era stato aperto nel 1817 dal negoziante Ignazio Czeike con l'intento di collegare la città alla vetta del Cacciatore, allora sede del tiro al bersaglio. Tutta la cittadinanza fu invitata a partecipare alla passeggiata inaugurale e per l'occasione venne creato uno spiazzo per il gioco dei birilli e costruiti alcuni tavoli. Tutti sono invitati a partecipare alla passeggiata odierna, che inizierà alle 10 dal Ferdinandeo. La camminata toccherà il parco del Bosco Biasoletto e il Civico Orto Botanico dove si concluderà attorno alle 12 con l'organizzazione di un momento musicale nell'ambito della concomitante manifestazione "Come fogli(e) al vento".L'escursione è gratuita, ci si iscrive sul posto. In caso di maltempo la passeggiata verrà sospesa.

(m.l.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 13 ottobre 2017

 

 

Voce della Luna, a rischio l'estate 2018 - Decade dopo un anno di impasse la causa al Tar che bloccava il restyling. In bilico a questo punto anche la prossima stagione
Oltre al danno, la beffa. La società Bar Punta Faro srl di Lignano, che aveva presentato ricorso al Tar dopo essere arrivata seconda nella gara per l'assegnazione delle concessioni demaniali per la gestione dell'ex Voce della Luna, ad un giorno dall'udienza decisiva ha sventolato bandiera bianca e si è ritirata. Facendo perdere oltre un anno all'aggiudicataria Gmt sas e a tutta la città di Trieste, che attende da tempo di veder rinascere quella struttura, ridotta oggi a un cumulo di macerie. Da oggi la Gmt potrà serenamente lavorare per ottenere i permessi e avviare l'apertura del cantiere. Ma lo "scherzetto" giocato dai concorrenti ha fatto slittare di oltre un anno l'apertura della nuova Terrazza a Mare (così la struttura viene chiamata nel progetto vincente dello studio Metroarea degli architetti Tazio di Pretoro e Giulio Paladini), mettendo a rischio anche la prossima stagione balneare. Se tutto filasse liscio si potrebbe godere nuovamente del nuovo locale a fine estate 2018. Saranno i gestori a decidere se varrà la pena aprire comunque, quando la stagione balneare starà per tramontare, o se attendere la primavera del 2019. Quello che è certo è che tra pochi mesi, passeggiando a Barcola, si inizieranno a vedere i primi lavori destinati a trasformare quel che resta della Voce della Luna in quello che diventerà uno dei punti di riferimento barcolani di triestini e turisti. «Il 10 ottobre ovvero il giorno prima dell'udienza - specifica Elena Marchesi, legale della Gmt - hanno proposto una compensazione delle spese legali a fronte del deposito, da parte loro, della cessata materia de contendere». Quelli di Bar Punta Faro, da quanto si è saputo, avevano maturato da tempo la consapevolezza che il progetto vincente potesse avere una marcia in più. Nel corso del giudizio, infatti, era emerso come la proposta di Gmt avesse già ricevuto il parere favorevole da tutti gli uffici tecnici coinvolti, risultando pienamente conforme, mentre quella di Bar Punta Faro evidenziava incrementi volumetrici non conformi al Piano regolatore vigente. Nell'atto depositato al Tar nell'ottobre del 2016, Bar Punta Faro chiedeva in via principale che il Tribunale annullasse «previa adozione di ogni idonea misura cautelare, ivi compresa la sospensione degli effetti, tutti i provvedimenti impugnati» e che, conseguentemente, condannasse «l'amministrazione regionale ad aggiudicare la gara in questione alla ricorrente». In via subordinata la società friulana, che a Lignano gestisce un importante stabilimento, chiedeva che il Tar condannasse la Regione al risarcimento dei danni. Il Tar invece, in fase di procedimento cautelare, non ha trovato fondamenti per la sospensione d'urgenza dell'aggiudicazione in attesa del giudizio di merito conclusivo. L'intenzione di ostacolare la nascita della nuova Terrazza a Mar,e gli imprenditori friulani l'avevano manifestata già pochi minuti dopo l'esito della gara, annunciando il ricorso. Poi la sorpresa: a data fissata, 24 ore prima dell'ultima udienza, Bar Punta Faro ha ammainato le vele. «Si sono mossi con evidente scopo ostruzionistico - valuta l'avvocato di Gmt - e hanno bloccato la rinascita di uno dei biglietti da visita di Trieste».

Laura Tonero

 

AL POLO DI GORIZIA -  La tesi di laurea di tre neo architetti triestini per la riqualificazione del Gasometro di Broletto

Il gasometro del Broletto, vecchio e degradato? Ci pensano a ridargli dignità una ragazza, Beatrice Finocchiaro, e due ragazzi, Matej Dornik e Simone Huez. Freschi di laureati in Architettura all'Università di Trieste (sede di Gorizia), hanno realizzato come tesi (relatore Dimitri Waltritsch) un progetto per la riqualificazione dell'area, da via Caduti sul lavoro a via dei Lavoratori, che percorre tutta via d'Alviano. Perché avete scelto questa zona?Perché si presenta come un involucro vuoto, degradato e con una copertura - tutta in eternit- da smaltire, un raro esempio di archeologia industriale, non ancora valorizzato. Attorno a esso un'area industriale e di retroporto - con la sede di Trieste Trasporti e i magazzini dell'AcegasApsAmga - al confine con la città densamente abitata dei quartieri di San Giacomo e Chiarbola e sulla importante direttrice della mobilità San Vito-Servola, il tutto separato da un dislivello e da un muro di diversi metri. Il tutto è estremamente centrale nel contesto urbano della città, forse addirittura troppo per le funzioni che svolge attualmente.In che cosa consiste il vostro progetto?La nostra proposta è di un grande spazio pubblico a diversi livelli che va a ridisegnare la percorrenza ciclabile e pedonale esistente, potenziando quest'ultima attraverso un interscambio bus-auto-bici per renderla un efficace punto di collegamento con la esistente "Giordano Cottur". Le nuove volumetrie, composte da quattro nuovi edifici e dallo stesso Gasometro, andranno ad ospitare il nuovo polo universitario/scientifico della città, contenendo un incubatore per aziende, due edifici adibiti ad università, una casa dello studente. E cosa diventa l'interno del gasometro?Da edificio destinato a servire la città accumulando gas per l'illuminazione, vorremmo diventasse una biblioteca/auditorium. Viene ripresa la forma a cerchio, divisa in 14 spicchi. I diversi piani vanno a conformarsi seguendo questo disegno, collegato poi da una grande scala a spirale centrale, elemento caratterizzante del progetto. Quale sarebbe il concetto di fondo? Restituire questo frammento degradato di città alla città stessa, come inoltre già previsto dal piano regolatore. La soluzione individuata va a trasformare il dislivello in punto focale del progetto, rendendolo, tramite l'utilizzo di ampie gradinate che ne permettono la graduale discesa, uno spazio pubblico di lavoro/studio collettivo.

Benedetta Moro

 

 

Oggi in programma un convegno sull’energia con esperti di fama internazionale

Oggi dalle 14.30 alle 17.30, presso l'università di Trieste, (aula Magna edificio H3, Via Alfonso Valerio, 12/2 a Trieste), si terrà il primo convegno del Centro Interdipartimentale 'Giacomo Ciamician'. L'importante evento, che raccoglie a Trieste specialisti dell'energia di assoluta fama nazionale ed internazionale, si svolgerà nel pomeriggio secondo il seguente programma: indirizzi di saluto da parte di Giorgio Sulligoi collaboratore del Rettore dell’ università di Trieste e Coordinatore del Centro Interdipartimentale 'Giacomo Ciamician' su Energia, Ambiente, Trasporti e da parte di Stefano Casaleggi, direttore Generale di Area Science Park. Introduce Andrea Crismani, università degli Studi di Trieste. I temi trattati: la cooperazione tra i gestori di rete e di mercato (Alberto Pototschnig, direttore Acer - Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell'energia); I fabbisogni di energia per il sistema portuale (Mario Sommariva, segretario generale, Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale.;La tutela del consumatore e l’integrazione dei mercati (Sara Tommasi, Università del Salento); Interconnessione delle reti elettriche di Italia e Slovenia in ottica merchant line Massimo Carratù, direzione Energia Elettrica AcegasApsAmga Spa.

 

 

Giovani - #MaiDireMai in assemblea
Si terrà alle 17.30, nella sede di via Fabio Severo 31, l'assemblea dell'Associazione giovanile #MaiDireMai. #MaiDireMai nasce nel 2015 dall'esperienza di partecipazione attiva all'interno di Arci-Servizio civile formata dall'insieme di giovani operanti attualmente in progetti di servizio civile, giovani che hanno svolto attività in qualità di ex obiettori o ex volontari, che hanno fatto un loro percorso collaborando attivamente in varie iniziative. Dalla sua costituzione l'associazione organizza iniziative che vedono impegnati i giovani su temi quali la cooperazione, l'associazionismo, la pace, la solidarietà.

 

 

Alliance Française - L'emergenza clima in fotografia
Dodici immagini delle 44 vincitrici di un concorso fotografico internazionale sul cambiamento climatico saranno le protagoniste della mostra "Clima, stato di emergenza" che l'Alliance Française di piazza Sant'Antonio Nuovo 2 ha portato in città. L'esposizione è figlia di un'iniziativa della Fondation Alliance Française di Parigi nel 2015, in occasione del summit mondiale sul cambiamento climatico. I fotografi sono stati invitati a illustrare questioni e problemi relativi al clima e alle sue evoluzioni, di tracciare un ritratto dei suoi effetti sulla vita della gente e sulle soluzioni pubbliche e private, che nel proprio paese, vengono intraprese o anche solo immaginate per contrastare gli effetti negativi di queste evoluzioni. 105 Alliances Drançaises di 43 Paesi diversi hanno partecipato. La mostra verrà inaugurata alle 18; interverranno Furio Finocchiaro, ricercatore e docente al Dipartimento di matematica e geoscienze dell'Università di Trieste, e Alessandro Giadrossi, presidente del Wwf Trieste. Seguirà aperitivo. Ingresso libero.

 

 

 

 

COMUNICATO STAMPA - GIOVEDI', 12 ottobre 2017

 

 

RUTENIO IN VENETO E NORD ITALIA. SERENA PELLEGRINO ( SI): PROBLEMA RISCONTRATO ANCHE IN ALTRI PAESI EUROPEI

COSA SIA SUCCESSO NON LO SA NEMMENO L’AIEA. IL MINISTERO DELL’AMBIENTE RASSICURA SU ASSENZA RISCHI SANITARI E SU PROGRESSIVA DIMINUZIONE CONCENTRAZIONI.
Roma, 12 ottobre 2017. Le tracce del radionuclide Ru-106 registrate dalle stazioni di controllo della radioattività in aria delle sedi di Verona, Vicenza e Belluno non sono soltanto un fenomeno locale . Il Ministero dell’Ambiente ha oggi ammesso che oltre alla contaminazione registrata in Veneto, e precedentemente in Lombardia, segnalazioni sono giunte da altre regioni del Nord Italia. Inoltre, il problema e le relative preoccupazioni riguardano anche altri Stati europei, dove sono state effettuate analoghe registrazioni di rutenio in atmosfera, e c’è chi fra questi, in particolare la Francia, ipotizza che l’origine della radioattività segnalata in Europa si trovi in una regione a sud degli Urali. Al momento né Ministero dell’Ambiente né Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica sanno dire di più su cosa sia effettivamente accaduto e abbia determinato l’anomalia radiometrica. Lo dichiara la parlamentare Serena Pellegrino ( Sinistra Italiana) vicepresidente della commissione Ambiente che ha sollecitato un chiarimento sulle cause della presenza del radionuclide. In risposta all’interrogazione, è stato esplicitamente escluso il collegamento con incidenti in centrali nucleari , è stato evidenziato il dato della progressiva diminuzione delle concentrazioni nelle aree sotto controllo ed è stato infine assicurato il costante controllo dell’ISPRA che pubblica aggiornamenti periodici sulla problematica nel proprio sito web.

Serena Pellegrino

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 12 ottobre 2017

 

 

I pescatori croati: «Mare sempre più povero» - La categoria punta il dito contro dilettanti e sportivi. Zagabria annuncia un inasprimento dei controlli
FIUME - La pressione alieutica nel versante croato dell'Adriatico è diventata insostenibile: troppi i pescatori, a impoverire di anno in anno le risorse ittiche di un mare ormai allo stremo. È quanto ribadito a Porto Albona (Rabaz), in Istria, durante la riunione nazionale dei pescatori che ha visto i partecipanti lanciare non solo un grido d'allarme, ma anche chiedere misure concrete per migliorare una situazione a loro dire disperata. Fra le proposte è stata lanciata dunque quella di ridurre l'Iva sul pescato e di consentire ai pescatori professionisti di beneficiare di condizioni migliori per arrivare alla pensione. Dito puntato poi anche contro i pescatori sportivi e dilettanti, ritenuti tra i maggiori responsabili del depauperamento ittico. Il viceministro croato dell'Agricoltura con delega per la Pesca, Ante Misura, ha annunciato che d'ora in poi i controlli per questi ultimi saranno molto più rigorosi: «Queste due categorie dovranno contrassegnare i pesci catturati per impedirne la vendita. E per chi non si metterà in regola ci saranno ammende severe. Il ministero - ha aggiunto Misura - è impegnato nella tutela del nostro mare, ma ci sono sempre singoli pescatori professionisti che chiedono agevolazioni». A prestare ascolto al pescatore dalmata Igor Kralj di Bestonio (Baska Voda), più del 50% dei pescatori dilettanti opererebbe in modo abusivo: «Insenature e lunghissimi tratti costieri sono chiusi da reti e palamiti e disseminati da miriadi di nasse. Il livello critico di prelievo è stato superato da tempo, ma non succede niente e siamo vicini al punto di non ritorno». Gli ha fatto eco Mate Oberan, presidente della sezione Pesca alla Camera d'Economia croata: «Dobbiamo pescare di meno, rinunciare in parte o totalmente all'attività. Non so comunque se potrà bastare per risollevare le sorti dell'Adriatico». Anche Sanja Matic Skoko, biologa dell'Istituto oceanografico di Spalato, ha parlato di situazione catastrofica, che può essere migliorata solo con un'azione comune. Intanto però i dati degli ultimi anni sui pescati in Croazia sembrano non dare ragione a chi si lamenta per la continua riduzione delle biomasse di pesci, molluschi e crostacei. Lo scorso anno i professionisti croati hanno catturato 85mila tonnellate di pesce, con un aumento dello 0,9% sul 2015: il dominio come sempre è spettato alle sardelle con 54mila tonnellate (+7,6% annuo). Nel 2015 il pescato complessivo tra specie selvatiche e d'allevamento aveva toccato le 84 mila tonnellate, nel 2012 le 70mila e nel 2010 le 52mila tonnellate. Va detto che da anni nel Paese si operano più volte all'anno i fermi biologici su varie specie. Queste restrizioni hanno portato dei benefici al pesce azzurro, che viene pescato in quantità maggiori rispetto a una decina di anni fa.

(a.m.)

 

 

Rigassificatore a Veglia - Castelmuschio si ribella
Il Comune: nessuna contrarietà alla struttura ma nel progetto vanno previsti vantaggi economici per la popolazione. Pronto lo studio di impatto ambientale
FIUME - Il progetto del rigassificatore offshore a Veglia ha vissuto in questi giorni un'accelerazione con la chiusura del bando internazionale per l'acquisizione della nave-rigassificatore (l'unità galleggiante di stoccaggio e rigassificazione). Ma i responsabili del Comune interessato, quello di Castelmuschio (Omisalj in lingua croata), non ci stanno: si dicono delusi dagli effettivi benefici che la municipalità e la Regione quarnerina ricaveranno dal progettato terminal. A fare da portavoce al malcontento è stato il rappresentante di Castelmuschio nella Commissione per la valutazione dell'impatto ambientale. Zlatko Klobas, l'unico a votare contro la Proposta dello Studio di impatto ambientale del terminal, a nome del proprio Comune ha affermato infatti che Castelmuschio e i suoi abitanti non hanno avuto sino a questo momento la risposta che si aspettavano in merito alla domanda che ritengono basilare: quale sarà, per la località isolana e per il Quarnero, la convenienza che deriverà dalla presenza del rigassificatore galleggiante? Nel precisare che la municipalità vegliota non è contraria all'impianto, Klobas ha però aggiunto che non c'è alcun documento nel quale emergano dei dati precisi su questa tematica. «Sì, qualche piccolo incasso per noi arriverà, risulteranno occupate una decina di persone, ma nulla di più», ha detto Klobas rilevando che «in presenza di simili strutture, le comunità locali traggono ovunque vantaggi, magari sotto forma di gas a prezzo più basso per utenze private e industriali, o di investimenti atti a migliorare le condizioni di vita della popolazione. In questo caso non si vede invece niente». Dati alla mano, secondo gli atti disponibili al momento il Comune di Castelmuschio dal proprio campeggio potrà incassare introiti 15 volte superiori rispetto a quanto arriverà dal rigassificatore: «Invitiamo pertanto le autorità competenti - ha concluso il rappresentante della municipalità - a fare una riflessione per evitare che ciò accada. In caso contrario ci sentiremmo ingannati, con tutte le conseguenze possibili». Il documento definitivo dello studio di impatto ambientale sarà pronto entro un massimo di sette giorni e diverrà poi oggetto di dibattito pubblico. Sarà una fase molto delicata, nella quale emergerà sicuramente il malumore degli abitanti per la presenza di un impianto non certo adatto per lo sviluppo del turismo, oltre che - allo stato - non remunerativo per il Comune. Intanto Lng Croazia, l'azienda pubblica che gestisce il progetto, ha fatto sapere che al bando internazionale per l'acquisizione della nave-rigassificatore e delle relative infrastrutture si sono fatte avanti 27 imprese.Il contratto sarà firmato agli inizi del 2018, l'ultimazione del terminal è prevista entro il 2019: è questa infatti la condizione da rispettare per ottenere i 103 milioni di euro a fondo perduto promessi dall'Unione europea (su un costo progettuale complessivo di 360 milioni). Il terminal dovrebbe essere operativo negli ultimi mesi del 2020. La capacità di movimentazione della struttura sarà di 2,5 miliardi di metri cubi di gas all'anno.

Andrea Marsanich

 

 

Un eco-questionario per "sconfiggere" l'anidride carbonica
Dal 16 al 30 ottobre i triestini sono invitati a compilare un questionario online sul tema dei consumi energetici e della cosiddetta sostenibilità, che sarà reperibile al link "Ambiente. Comune. Trieste. it/Paes-Patto Sindaci". Trenta minuti di tempo per la scienza, dal momento che l'indagine rientra nel Piano di azione per l'energia sostenibile. L'ha annunciato ieri l'assessore comunale all'Ambiente Luisa Polli assieme all'assessore alla Comunicazione Serena Tonel. Ha spiegato Polli: «Il questionario servirà a fornire dati utili per capire come abbattere le emissioni di anidride carbonica. Abbatteremo il 20% delle emissioni entro il 2020 e raggiungeremo il 30% entro il 2030». Le ha fatto eco Tonel: «Fondamentale alla riuscita sarà la partecipazione dei cittadini, che è mia responsabilità sensibilizzare alla cittadinanza attiva. In vista di Esof 2020 Trieste deve dimostrare di essere all'avanguardia anche in tema di sostenibilità». L'iniziativa è promossa dal Comune di Trieste assieme a numerosi partner: Area Science Park, Regione, Università, Trieste Trasporti, Autorità portuale, Azienda sanitaria universitaria integrata di Trieste, Ater e AcegasApsAmga.

(l.g.)

 

 

Il "riciclo creativo" per rispettare la natura di scena al Centro visite della Val Rosandra
Nel pomeriggio di sabato prossimo, a partire dalle 15, al Centro visite della Val Rosandra - al civico 507 di Bagnoli della Rosandra - si terrà un laboratorio didattico, naturalmente a sfondo ecologico, finalizzato a far scoprire ai bambini l'arte del cosiddetto"riciclo creativo". Con gli addetti del Centro i piccoli partecipanti potranno così scoprire «come dare nuova vita - si legge in una nota di presentazione dell'appuntamento - ad alcuni materiali semplici, come i tappi di plastica delle bottiglie, che spesso vengono gettati dopo il loro utilizzo». I bambini realizzeranno a questo proposito «dei simpatici gadget naturalistici, da portare a casa, prendendo nel contempo consapevolezza dell'importanza del riciclo e della riduzione dei rifiuti». La partecipazione al laboratorio ludico didattico è gratuita. La durata prevista è di 90 minuti.

 

 

Natura in città - Con il Wwf caccia alle specie aliene - Oggi alla Canottieri Adria la presentazione del “safari urbano” di domenica

Tutti scienziati per un giorno, alla scoperta della "Natura in Città", avvistando e segnalando, a partire da una caccia al tesoro nei parchi cittadini in programma domenica con partenza alle 10 dal Pontile Istria, specie animali e vegetali "aliene" tramite una app sviluppata a Trieste dal Dipartimento di Scienze della vita dell'Università. Anche il capoluogo giuliano aderisce all'evento nazionale di Wwf Italia in collaborazione con il progetto Csmon-Life "Urban Nature" che vede i cittadini diventare "cittadini scienziati". Un incontro introduttivo con tre "pillole" di biodiversità aperto a tutti si terrà oggi alle 17.30 alla Società Canottieri Adria. Stefano Martellos di Csmon-Life in "Citizen science" illustrerà come si può aiutare la ricerca scientifica. «In "Città bestiali: ma chi glielo fa fare ad abitare in città?" e "Ma la libellula vale la zanzara? Gestire la biodiversità urbana" analizzeremo in modo discorsivo e coinvolgente - anticipa il naturalista e zoologo Nicola Bressi - il perché tanti animali vivono in città e come: in città gli animali vivono secondo natura, ma in un ambiente che naturale non è. È un po' come i giocatori che devono abituarsi ai campi sintetici: le regole sono le stesse, ma i match si affrontano su terreni diversi. L'uomo sempre più dovrà condividere l'ambiente urbano con gli animali. La soluzione? Aumentare le biodiversità: più spazio daremo alle specie "positive", più ne toglieremo a quelle "negative"». «Attraverso il biomonitoraggio e grazie alle nuove tecnologie - conclude il presidente di Wwf Trieste, Alessandro Giadrossi - tutti i cittadini diventano potenziali segnalatori». Iscrizioni: wwftrieste@gmail.com).

(g.t.)

 

 

Incontro col mugnaio Tuzzi

Al padiglione I - PArco di S. Giovanni (ex Opp) alle 18 incontro con Enrico Tuzzi mugnaio con un'esperienza di cinque generazioni per parlare di farina, e di economia solidale. Tiziana Cimolino introdurrà sul tema delle filiere di economia solidale nel nostro territorio.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 11 ottobre 2017

 

 

Torrenti da risanare, sbloccati 200mila euro - Cresce il livello di attenzione sui corsi d'acqua. Lo stanziamento era fermo dal 2012, ora è stato riattivato
Il Municipio ha alzato il livello di attenzione sulla manutenzione dei corsi d'acqua scoperti, che scorrono nel territorio comunale. Lo dimostra l'aver rispolverato il seguente iter amministrativo: c'era una volta una vecchia deliberazione giuntale, risalente alla stagione cosoliniana, che stanziava 200 mila euro per il primo lotto del risanamento dei torrenti scoperti. Era l'atto 445 del settembre 2012. Tra il 2015 e il 2016 una serie di operazioni contabili hanno fatto sì che quei quattrini non andassero in cavalleria e potessero essere utilizzati alla bisogna. E così il Documento unico di programmazione, varato a fine giugno, ha riconsiderato l'esecuzione dell'opera. Dal punto di vista finanziario, i lavori si avvalgono di due mutui contratti con Unicredit. Nella macchina comunale la vicenda è seguita da Enrico Cortese, dirigente del servizio spazi aperti-verde pubblico-strade. Gli elaborati progettuali sono stati aggiornati, anche perché intanto è entrato in vigore il nuovo codice degli appalti (d.lgs. 50/16). Il criterio di aggiudicazione scelto da Cortese è il minor prezzo mediante ribasso sull'importo posto a base di gara. L'impresa avrà a disposizione 180 giorni per completare i lavori. AcegasApsAmga e il Comune - lo ha ricordato recentemente il dirigente dell'utility Maria Mazzurco - sono in procinto di impostare uno studio sull'intero bacino idrografico dell'area comunale. Un lavoro che manca all'apparato tecnico-documentario del territorio e adesso viene considerato importante. Soprattutto alla luce di quanto è successo a Livorno, dove lo straripamento di corsi d'acqua secondari, in seguito a un violento nubifragio, hanno determinato la morte di otto persone. Lo spunto per una ricognizione dettagliata del contesto idrografico triestino è stato dato dalla prossima apertura del cantiere in via Carducci, che dovrà provvedere a risistemare la volta in arenaria sotto la quale passa il torrente Chiave, formato all'altezza del Portico di Chiozza dalla confluenza dei torrenti Farneto e Settefontane. Gli effetti delle acque piovane sono stati tra le cause dei gravi danni subiti dalla copertura del torrente. Cogliendo l'occasione di questo intervento, utility e amministrazione comunale mapperanno la situazione idrica a monte della città.

 

I giochi nel torrente Settefontane in via della Tesa alta - LA LETTERA DEL GIORNO di Livio Damini
Vorrei correggere parzialmente le interessanti informazioni sul torrente "Chiave" fornite dal signor Dino Cafagna e pubblicate con il titolo "Via Carducci, è sbagliato chiamare quel torrente Chiave" nella benemerita rubrica delle Segnalazioni su "Il Piccolo" del 5 ottobre scorso. Forse tratto in errore dal nome della via omonima, il Cafagna scrive: "il torrente Settefontane (o Klutz), proveniente da Cattinara (scorre sotto la via Settefontane e la via Carducci)...". Ciò non corrisponde alla realtà. Detto torrente scorre invece sotto la via della Tesa (foto) ovvero ciò che rimane di questa una volta importante arteria, che iniziava dallo slargo che ora si chiama largo Sonnino e, seguendo a zig-zag la linea della valle, saliva sino all'attuale piazza Foraggi. Il torrente scendeva sì, da Cattinara, ma seguiva il percorso naturale del fondo valle dell'attuale viale Ippodromo e quindi, via della Tesa. Un'anziana signora, ora non più con noi, che fu bambina all'inizio del secolo scorso, mi raccontava che con gli amichetti, giocava nel torrente Settefontane allora non ancora coperto, nella parte alta di via della Tesa.Tra la fine degli Anni '60 e i '70 del 1900, improvvise e copiose precipitazioni piovose fecero nascere impetuosi torrenti che, scorrendo da viale Ippodromo si infilavano nel loro "letto" naturale di via della Tesa provocando un allagamento di quasi un metro di altezza nella parte finale della strada, fino al Largo Mioni. Ancora oggi, malgrado i provvidenziali lavori operati dal Comune di Trieste (in quell'occasione vidi di persona il torrentello, venuto alla luce a causa dei lavori), con l'apertura di capaci "bocche di lupo" che, se non ostruite da terriccio e foglie trasportate dall'acqua, riducono la presenza del torrente in superficie, repentini fenomeni meteorici possono provocare l'accumularsi dell'acqua a valle della via. Un tanto per dimostrare che il torrente Settefontane scorreva lungo quella linea valliva che poi divenne la via della Tesa. L'attuale viale d'Annunzio costruito a metà degli Anni '30 (come viale Sonnino) segue un percorso innaturale ai fini del deflusso delle acque piovane e non viene mai allagato come succede invece in via della Tesa.

 

 

Nuovi treni regionali - Trenitalia presenta a Bologna i convogli del trasporto locale
BOLOGNA - È partito da Bologna, in piazza Maggiore, il road show di Trenitalia per far conoscere ai cittadini e ai pendolari i nuovi convogli della flotta regionale destinati, dal 2019, a rivoluzionare positivamente il trasporto locale. La prima regione dove arriveranno i nuovi treni pendolari sarà proprio l'Emilia Romagna (nei piani non c'è il Friuli Venezia Giulia, confermano fonti di Trenitalia): si tratta complessivamente di 86 convogli di cui 39 doppio piano pensato per un'alta frequentazione) e 47 mono piano per una media frequentazione. A livello nazionale, le nuove flotte dei treni regionali, 300 Rock prodotti da Hitachi Rail Italy e 150 Pop prodotti da Alstom, compongono la maxi fornitura da 450 nuovi convogli della commessa da oltre 4 miliardi di euro complessivi. «La musica sta cambiando - ha spiegato l'amministratore delegato di Fs Italiane, Renato Mazzoncini parlando dal palco allestito in piazza - sostituiremo nei prossimi anni il 50% della flotta regionale di tutta Italia. Il 20% l'abbiamo già sostituito negli ultimi due anni, quindi, ci troveremo con una flotta che sarà sicuramente la migliore d'Europa».

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 10 ottobre 2017

 

 

Amianto a Fiume - Si punta alla mappa dei siti a rischio - La stima del Comune: tetti in eternit per mille tonnellate
L'assessore allo Sviluppo: «No alle discariche abusive»
FIUME - Nonostante le operazioni di bonifica effettuate negli ultimi anni, i tetti in amianto a Fiume restano numerosi. Stando all'assessore municipale allo Sviluppo, urbanistica ed ecologia, Srdan Skunca, si stima che nel capoluogo del Quarnero vi siano ancora circa mille tonnellate di tetti in eternit, quantitativo ritenuto estremamente pericoloso per questa città di 130 mila abitanti. «Siamo consci che la situazione è tutt'altro che ideale - ha rilevato l'assessore - il materiale di amianto va progressivamente rimosso, smaltito correttamente e messo in condizioni di non nuocere. L'amministrazione comunale ha emanato tempo fa la delibera relativa all'obbligo per i cittadini di denunciare la presenza di tetti in amianto, specificandone il luogo in cui si trovano e la quantità». L'obiettivo dell'amministrazione è quello di arrivare a una sorta di mappatura dei siti pericolosi, aumentando nel frattempo la consapevolezza della popolazione in merito alla necessità di rimozione dei tetti in amianto. L'assessore ha lanciato anche un altro allarme: «Purtroppo - ha detto Skunca - la rimozione di questi tetti e la sostituzione con tegole sta avvenendo in modo non coordinato, disorganizzato, con il materiale che viene portato via da aziende o singoli non autorizzati. Durante operazioni di pulizia dell'ambiente, che a Fiume avvengono da decenni, si trovano spesso discariche abusive, piene di rifiuti di asbesto. I cittadini devono capire che gettando questi materiali nell'ambiente si rendono responsabili di un comportamento molto pericoloso. Sottoposti agli agenti atmosferici, questi rifiuti tendono a decomporsi, con l'amianto che va a disperdersi nell'ambiente. È a rischio per la salute dell'uomo anche la sistemazione provvisoria del materiale di amianto negli scoperti delle abitazioni». L'assessore della giunta di Vojko Obersnel ha rilevato come nel 2014 siano state raccolte 49 tonnellate di materiale edile a rischio; l'anno successivo si è arrivati a 81 tonnellate, mentre nel 2016 gli organismi comunali ne hanno raccolte 31. A detta dell'assessore, i differenti quantitativi raccolti negli ultimi tre anni indicano che il sistema non è ancora bene oliato, denuncia lacune e va migliorato per poter eliminare negli anni a venire le circa mille tonnellate di tetti in eternit ancora presenti a Fiume.

Andrea Marsanich

 

Legambiente - Opuscolo sui giardini inquinati

Oggi dalle 15 alle 17 nel Giardino pubblico di via Giulia i volontari di Legambiente distribuiranno ai cittadini l'opuscolo "Inquinamento dei giardini pubblici: cosa c'è da sapere".

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 9 ottobre 2017

 

 

A Duino la maglia nera degli incidenti stradali - I dati provinciali Aci. Il 76% dei casi più gravi fuori dagli abitati - Gli incidenti nella provincia di Trieste
TRIESTE - Sono le strade killer della provincia. Parliamo delle arterie lontane dai centri abitati, cioè le provinciali, le regionali, i tratti della grande viabilità. Sono loro a meritare questo triste primato, in base all'analisi degli incidenti verificatisi nel corso del 2016 fatta dalla delegazione di Trieste dell'Aci e dalla quale emerge anche che, fra i comuni della provincia, è quello di Duino Aurisina a vestire la maglia nera con un numero di schianti stradali molto più alto degli altri (al netto del dato sul territorio comunale di Trieste): 44 contro i 12 di San Dorligo della Valle, i 10 di Muggia, i 5 di Sgonico e i 3 di Monrupino. Dallo studio risulta che, nell'ambito dei 952 incidenti sotto la lente, il maggior tasso di gravità, pari al 46,51 per cento, è da attribuire a quelli che si sono verificati sui tratti autostradali, il 30% a quelli capitati nelle strade provinciali, regionali e statali. Conferma i risultati di questa analisi anche il tasso di mortalità, che arriva al 76,92% sui tratti autostradali del territorio provinciale. Se si entra poi nel dettaglio degli incidenti mortali, nove in tutto nel 2016, con un aumento rispetto al 2015 quando ce n'erano stati sette, emerge un altro elemento importante: sette dei nove si sono verificati nelle strade che circondano il territorio comunale di Trieste, poi uno a Duino Aurisina e uno a Muggia. Questa dunque l'ombra scura che si proietta sui dati diffusi dalla locale sezione dell'Aci. Dai quali emerge anche un altro fattore molto preoccupante: il 33,22 per cento degli incidenti vede, fra le "presunte circostanze", in sostanza le probabili cause, il mancato rispetto dei segnali stradali. Segue, nel 19,52% dei casi, l'alta velocità, e nel 14, 38% la guida distratta. Tre motivi omogenei che stanno a indicare che, quando ci sediamo al volante, la nostra attenzione è troppo spesso assorbita da tutto fuorché da ciò che dovrebbe contare di più, cioè il rispetto delle regole del Codice della strada. Telefonini, utilizzati per parlare o peggio per scrivere o leggere messaggi, navigatori, magari la necessità di accendere una sigaretta, cercandola nelle tasche, sono troppo spesso causa di disattenzioni che possono diventare fatali. Quello relativo alla distrazione o comunque a un atteggiamento troppo disinvolto quando si impugna il volante, è un fattore che trova conferma anche dall'analisi delle cause degli incidenti mortali: nel 42,86 per cento delle situazioni, a provocarli, sulle strade della provincia, è stato il mancato rispetto dei segnali, nel 28,57% la guida distratta, nel 14,29%, con sinistra omogeneità, sia l'eccessiva velocità sia la marcia contromano. Ulteriore elemento da valutare un altro dato reso noto dall'Aci: quando negli incidenti sono coinvolti pedoni, in più di due terzi dei casi, precisamente nel 67,66 per cento delle situazioni, gli stessi non hanno alcuna responsabilità. Ciò sta a significare che, per quanto sempre più spesso si notino, anche da parte di chi va a piedi, comportamenti non troppo corretti, la maggiore responsabilità ricade più di due volte su tre su chi sta alla guida. «Devo formulare un pubblico appello alla prudenza - dice Maura Lenhardt, direttore della sezione di Trieste dell'Aci - perché dai dati si evidenzia un progressivo peggioramento nell'atteggiamento delle persone quando si apprestano a guidare un mezzo, sia esso un'automobile, uno scooter, una motocicletta, un camion. Sono troppi oggi - aggiunge - i fattori che ci possono sottrarre all'attenzione che andrebbe invece prestata alla guida. I telefonini sono senz'altro da indicare come principale causa di distrazione - precisa la responsabile della sezione di Trieste dell'Aci - perché basta osservare gli automobilisti per notare quanto spesso abbiano all'orecchio un cellulare». Eppure esistono molti correttivi che, per pochi euro, metterebbero tutti in uno stato di maggiore sicurezza: se non si vuole spendere per un apparecchio di viva voce, è sufficiente acquistare, per una cifra relativamente modesta, un auricolare e indossarlo. Per sensibilizzare tutti a una maggiore attenzione sulle strade, nei giorni della Barcolana, l'Aci di Trieste è stata presente con uno stand, dove sono stati distribuiti opuscoli sul tema.

Ugo Salvini

 

TRASPORTI - Prenotazione dei taxi via app  Sistema attivo su 227 vetture
Il taxi a portata di clic. I triestini hanno iniziato in questi giorni a prendere dimestichezza con l'applicazione "It Taxi", il nuovo sistema di prenotazione dei taxi che fa risparmiare agli utenti tempo e denaro. Il progetto, unico in regione e costato 40mila euro, ha dotato di nuova tecnologia le 227 vetture della cooperativa Radio Taxi e di un nuovo potente sistema di smistamento delle chiamate la sede centrale. La app mette direttamente in contatto il cliente con il taxi a lui più vicino, senza dover comporre lo 040-307730 e tenendo conto non solo della distanza ma anche della percorrenza delle singole vie, offrendo così la soluzione più vantaggiosa per l'utente. «Un servizio che dà lustro alla nostra città e che nasce dalla lungimiranza di Radio Taxi», ha sottolineato l'assessore comunale allo Sviluppo economico, Maurizio Bucci, illustrando la novità della app. «Si tratta di un'iniziativa realizzata in autonomia dalla cooperativa - ha evidenziato - che va di pari passo con l'intenzione di questa amministrazione di rinnovare il sistema dei servizi al pubblico». «Per i grandi utenti come alberghi o società - spiega Davide Secoli, presidente Radio Taxi - è disponibile anche una specifica pagina web che facilita ulteriormente il loro lavoro. Per i clienti convenzionati - aggiunge - presto verrà introdotto un sistema di pagamento attraverso voucher elettronici gestito direttamente dall'applicazione». Applicazione che affianca il classico sistema di chiamata al centralino ed è disponibile anche in tedesco e inglese. «L'impennata turistica impone a chi offre servizi di modernizzarsi - ha osservato Enrico Eva, segretario di Confartigianato -, il turista è ingordo di tecnologia ed è giusto dare risposte concrete a queste esigenze». «Il sistema di "It Taxi" è semplice e intuitivo - ha spiegato Antonio Chersi, vicepresidente di Radio Taxi -, cliccando sull'app l'utente viene geolocalizzato e sullo schermo una mappa indica via e numero civico. Dopo aver dato conferma dell'indirizzo, selezionando la sezione "preferenze" è possibile scegliere una serie di opzioni e a quel punto si invia la richiesta». Una notifica avvisa il cliente del numero del taxi in arrivo e del tempo di attesa.

(l.t.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 8 ottobre 2017

 

 

Operazione restyling del Porto vecchio al traguardo in 6 anni -
L'accordo prevede la consegna dei lavori entro la fine del 2023 - Nessun intervento di recupero per Magazzino 23 e "Locanda"
«La riqualificazione dell'area del Porto vecchio di Trieste è un obiettivo di rilievo nazionale». È la premessa all'accordo operativo tra Ministero ai Beni culturali, Regione Fvg, Comune e Porto di Trieste, per la partecipazione al Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc) del Cipe all'interno del ciclo di programmazione 2014-2020 del Piano stralcio Cultura e Turismo. Un miliardo di euro destinato alla realizzazione di 33 interventi fra cui anche quello da 50 milioni per il Porto vecchio di Trieste approvato dal Cipe il 1° maggio 2016. «È la prima volta - si legge nella relazione introduttiva - che si affronta organicamente tutta la problematica e la prima volta che si dispone di risorse consistenti in grado di consentire il completamento funzionale di una parte dell'area». L'accordo operativo è stato firmato lo scorso 25 settembre nel palazzo della Regione da Dario Franceschini, Debora Serracchiani, Roberto Dipiazza e Zeno D'Agostino. Il 28 settembre è stato approvato dalla giunta comunale. Il protocollo d'intesa è stato invece sottoscritto il 28 maggio 2016 in Porto vecchio alla presenza dell'allora premier Matteo Renzi. Ora, dopo la pubblicazione sull'albo pretorio dell'accordo operativo, si possono scoprire i dettagli dell'operazione 50 milioni (molti inediti). «La stessa natura del Fondo Sviluppo e Coesione - si legge nella relazione - impone che l'ingente, anche se non esaustivo investimento, sia finalizzato a opere che producono impatti positivi sin dal loro completamento». Per questo motivo dai 50 milioni sono state escluse le opere di infrastrutturazione urbana non strettamente funzionali e connesse all'intervento come le bonifiche ambientali o lavori "di messa in sicurezza o di solo restauro". «Di conseguenza - si fa sapere - si escludono dal finanziamento le bonifiche dei torrente Chiave e Rio Martesin che impegnerebbero rispettivamente 11,5 e 4,5 milioni (16 milioni in totale)». L'obiettivo è stato fin dall'inizio di «concentrare gli interventi in un'area limitata dell'enorme compendio (60 ettari)» inglobando le ristrutturazioni già completate dell'ex Centrale idrodinamica, dell'ex Sottostazione elettrica e, parzialmente, del Magazzino 26. «Gli interventi previsti - si informa - assieme alle ristrutturazioni già completate, vengono a formare un importantissimo attrattore culturale in edifici di grande pregio architettonico adiacenti tra loro con un viabilità adeguata e con la sistemazione di una passeggiata a mare». Il fronte mare, tuttavia, non fa parte della sdemanializzazione e resta sotto l'Autorità portuale. Si comincerà dalla realizzazione della rotatoria di viale Miramare, dall'infrastrutturazione di questa porzione di Porto vecchio, dalla realizzazione del Museo del mare (nei Magazzini 24 e 25), dal trasferimento dell'Icgeb al Magazzino 26, dalla sistemazione dell'Ursus. Tra il protocollo di intesa del 2016 e l'accordo operativo del 2017 sono stati rivisti alcuni importi dei vari interventi. L'Ursus, per esempio, ha perso due milioni e mezzo (dei 5,5 inizialmente previsti) a favore soprattutto della viabilità (5 milioni). Il Museo del Mare è stato privato di due milioni (da 25 da 23) e pure del Magazzino 23 (inizialmente coinvolto). Il trasferimento dell'Icgeb al Magazzino 26 avverrà con due milioni in meno (da 12 a 10). È inoltre scomparso dall'orizzonte il restauro della vecchia "Locanda" - già protagonista in passato di set cinematografici - per il quale erano stati messi in conto 800mila euro.I 50 milioni non arriveranno tutti in una volta, ma in sei anni con le cifre importanti negli ultimi quattro: 1 milione di euro nel 2017, 2,5 milioni nel 2018, 11 milioni nel 2019, 11 milioni nel 2020, 11 milioni nel 2021 e 13,5 milioni nel 2022. I primi due anni, infatti, saranno dedicati alla progettazione. A incassare i fondi Cipe sarà la Regione. «Il soggetto attuatore degli interventi dovrà inviare alla Regione entro un anno dalla stipula dell'accordo (28 settembre 2018) il progetto di fattibilità tecnica e il cronoprogramma relativo». Le procedure di gara per l'appalto dei lavori devono essere avviate entro il 31 marzo 2019 e il termine di ultimazione degli stessi è stabilito al 31 dicembre 2023. Poco o nulla, insomma, sarà pronto per Esof 2020, Trieste capitale della scienza, che si terrà proprio in quell'area di Porto vecchio. Sarà sempre la Regione ad effettuare il "monitoraggio" dell'intervento. Qui l'accordo operativo riesce a inventarsi un calendario tutto suo. Al comma 4 dell'articolo 9 si legge: «Le relazioni sono inviate entro il 31 marzo e il 31 novembre di ogni anno a cominciare dalla prima scadenza successiva alla firma dell'accordo». "Trenta dì conta novembre con april...".

Fabio Dorigo

 

Museo del mare europeo da diecimila metri quadri - Contenitore culturale nei Magazzini 24 e 25. Costo degli adeguamenti 23 milioni
L'Icgeb va nel 26 ma i fondi sono meno della metà necessaria all’intero trasloco

La viabilità prima di tutto. Si comincerà con la realizzazione della rotatoria di viale Miramare ha fatto sapere Roberto Dipiazza all'atto della firma dell'accordo operativo da 50 milioni. Il sindaco è riuscito a ritagliarsi 5 milioni di euro per le strade in Porto vecchio limando gli altri interventi previsti. «La soluzione proposta per la viabilità carrabile interna al Porto vecchio - si legge nella relazione - prevede la realizzazione di un accesso da viale Miramare all'altezza del varco attualmente esistente, con la previsione di una rotatoria stradale». Oltre alle corsie di marcia ci sarà «la presenza di corsie ciclabili». Ma non basta. «La costruzione della nuova sede stradale - si fa presente - dovrà prevedere la rimozione degli elementi lapidei (lastre di arenaria, masegni) al fine di consentire un loro recupero e riutilizzo». Nessuna pietà, invece, per i binari ferroviari. «Nel caso non fosse possibile procedere con il lievo del fasciame di rotaie, dovrà essere individuata una soluzione tecnica che consenta il loro ricoprimento al fine di potere realizzare la pavimentazione stradale». La bretella, infatti, dovrebbe passare dietro la Centrale idrodinamica e la Sottostazione elettrica e quindi sopra i binari utilizzati dal Tramway. Si stima di poter fare tutto in 42 mesi. Le infrastrutture urbane (illuminazione e reti elettriche, idriche e fognarie) richiederanno 9 milioni. «L'area, in ragione della sua destinazione d'uso fino alla sdemanializzazione, risulta priva dei servizi minimi fondamentali e indispensabili». Un milione e 700mila euro saranno assorbiti dalla rete elettrica. Le opere idriche, invece, dovrebbero assorbire circa 700mila euro. Due milioni e 400mila euro sono previsti invece per la realizzazione della rete fognaria e di drenaggio urbano (acque bianche). Un milione e 300mila euro sono destinati agli impianti di illuminazione pubblica. Già scelti i lampioni. «I corpi illuminanti - si legge - saranno di tipo decorativo a pastorale "tipo Trieste"». Quelli, per capirsi, che fanno impazzire il sindaco Dipiazza. Per la rete del gas si prevede di spendere 705mila euro. Per i servizi tecnologici (rete internet) è previsto un investimento da 210mila euro. I tempi previsti sono di 42 mesi. Il Museo del mare in Porto vecchio, che ingloberà l'attuale Museo di Campo Marzio, avrà come sede i Magazzini 24 e 25, entrambi in pietra e acciaio, su tre piani, interamente da ristrutturare, con complessivi 10mila metri quadrati utilizzabili. Con le collezioni pubbliche (come quella del Lloyd Triestino) e private sarà possibile allestire - si legge nella relazione - «un importante nuovo grande museo del mare di livello europeo». Il progetto scientifico del museo è ancora però tutto da scrivere: 3,5 dei 23 milioni sono dedicati ai lavori di arredo ed allestimento. Il progetto assorbe quasi la metà dei 50 milioni stanziati dal Cipe (23 milioni) e prevede la sua realizzazione in 6 anni. La scelta dei Magazzini 24 e 25 (inizialmente c'era anche il 23) è stata determinata anche dal fatto che sono adiacenti al 26 e che sono affacciati sul mare (il bacino del Molo Zero) per il quale già si prevede «un successivo sviluppo di un'attività espositiva esterna sulle banchine od addirittura sullo specchio acqueo». Si parla da anni del possibile approdo a Trieste dell'incrociatore Vittorio Veneto e del sommergibile Fecia di Cossato. L'Icgeb (Centro internazionale per l'ingegneria genetica e le biotecnologie) troverà sede nel Magazzino 26, edificio realizzato nel 1870 che si sviluppa su 4 piani, 35mila metri quadrati di superficie, uno dei più grandi del Porto vecchio, completamento restaurato negli esterni e parzialmente negli interni (nel 2011 ha ospitato la Biennale diffusa di Sgarbi). L'Icgeb, diretto da Mauro Giacca, è attualmente collocato in Carso, all'interno dell'Area di ricerca di Padriciano. L'attuale giunta comunale avrebbe fatto volentieri a meno della sua presenza in Porto vecchio (a inizio mandato l'assessore Rossi aveva fatto trapelare un suo depennamento da parte del governo). Sono stati il ministero e la Regione a imporlo. L'Icgeb assorbirà circa 20mila metri quadrati e 10 dei 50 milioni (all'inizio erano 12) per l'adeguamento architettonico e impiantistico. Al piano terra dovrebbero essere realizzati la reception, una zona mostre, il ristorante e bar, oltre a depositi e magazzini. Ai piani primo e secondo troveranno posto i laboratori, uffici per ricercatori, la serra, la zona produzione farmaci, lo stabulario e spazi per le start-up. Al piano terzo saranno realizzati gli uffici della direzione e dell'amministrazione, una meeting room da 250 posti, una seminar room da 90 posti e laboratori didattici. Il costo complessivo per il restauro del Magazzino 26 per ospitare l'Icgeb è pari a 26 milioni: «Le risorse a disposizione (10 milioni) non consentono la realizzazione dell'intero intervento, ma rendono necessaria l'individuazione di due lotti funzionali. Il primo che consente l'attivazione dei laboratori e quindi il trasferimento dell'attività di ricerca vera e propria nell'area di Porto vecchio con la possibilità di utilizzare i locali già ristrutturati nel corpo iniziale del Magazzino 26 in accordo il Comune di Trieste». Nel Magazzino 26 dovrebbe trovare sede anche l'Immaginario scientifico che sta a Grignano e che detiene un contributo di 400mila euro dal Miur per il trasloco.

(fa. do.)

 

Ferstoria si appella alle Ferrovie: «Non si seppelliscano i binari cancellando il trenino»
Addio trenino in Porto vecchio. Una striscia d'asfalto seppellirà le rotaie. «Dove ora è esposta la Locotender a vapore Gr 880 e dove fino a qualche tempo fa correva il Tramway verrà edificata l'ennesima strada. Questo significa la fine del trasporto su rotaia in Porto vecchio» sentenziano i volontari di Ferstoria che si rivolgono al direttore di Fondazione Fs Luigi Francesco Cantamessa per scongiurare lo scempio ferroviario: «Può aiutarci a salvare questo collegamento con Trieste Centrale dalla cementificazione che il sindaco vuole fare eliminando le rotaie coprendole con asfalto e creando al suo posto una strada per altro già esistente qualche metro più in là?». Il progetto Tramway Porto vecchio Trieste sarebbe dovuto ripartire per la Barcolana e invece è rimasto fermo. L'intenzione di fare passare la bretella dietro la Centrale idrodinamica e la Sottostazione elettrica seppellisce i binari e di conseguenza il Tramway Pvt, quello che, ai tempi dell'ex sindaco Cosolini, sarebbe dovuto arrivare "quasi" a Barcola. Con il risultato di eliminare «l'unico collegamento ferroviario tra il Porto vecchio e la rete ferroviaria italiana, mettendo una pietra sopra al progetto di trasporto passeggeri via treno per il futuro terminal crociere di Adria Terminal».

(fa.do.)

 

Ascensore panoramico sull'Ursus - Tre milioni destinati allo storico pontone, gigante scelto come simbolo dell'area
Si dovrà accontentare di 3 milioni (erano 5 e mezzo quelli promessi inizialmente). L'Ursus, il pontone galleggiante varato nel 1914 e completato nel 1933, è destinato a diventare il simbolo del Porto vecchio. Era candidato anche a diventare la mascotte del Parco del Mare al molo Fratelli Bandiera. Sopravvissuta a un conflitto mondiale e messa a dura prova dalle raffiche di Bora, la gru è rimasta un chiodo fisso del piano Cipe da 50 milioni di euro. L'Ursus è rimasto operativo fino al 1994, poi fu abbandonato sino al 2004, quando la Fincantieri spa, ultima proprietaria, decise di non demolirlo, ma di donarlo alla Guardia Costiera ausiliaria. Nel luglio 2011 la Direzione regionale per i beni culturali decreta il pontone galleggiante Ursus di "interesse culturale" «quale importante testimonianza di archeologia industriale ed elemento rilevante del porto e della città di Trieste». Con un braccio a torre rotante su ralla di altezza di 75 metri con capacità di sollevamento di 150 tonnellate, l'Ursus è stato per molto tempo il pontone più potente. Inoltre è l'unico mezzo del genere interamente progettato e costruito in Italia. Nel 1975 l'Ursus venne sottoposto a importanti lavori con la sostituzione dei motori installati nel 1925 (uno dei quali è ancora visibile al Museo del mare di Trieste). Un gigante buono dell'archeologia industriale che qualcuno (il consigliere leghista Antonio Lippolis) considera un "obbrobrio" (e i soldi stanziati «buttati nel cesso») e che qualcun altro (Roberto Dipiazza) vorrebbe rottamare. «La prima notte di Bora taglierò gli ormeggi e lo lascerò libero di andare per l'Adriatico», ha dichiarato scherzando il primo cittadino il giorno della firma dell'accordo operativo. Le opere per l'Ursus riguardano il completo carenaggio, la messa in sicurezza dello scafo, la musealizzazione della sala macchine, di parte degli alloggi e delle aree comuni, il refitting della gru e l'installazione di un ascensore a scopo turistico (il pontone è alto 75 metri). «L'obiettivo principale del recupero del pontone gru - si legge nella relazione - è quello di poter rendere fruibile al pubblico il mezzo stesso, garantendone la sicurezza e il mantenimento dello stesso, portando a conoscenza le tecniche di costruzione» di inizio del secolo scorso. Inizialmente il costo stimato era pari a 5,5 milioni poi ridotto a 3. Si prevedono 38 mesi per il completamento dei lavori tra progettazione ed esecuzione. Poi l'Ursus, rimesso a nuovo, si offrirà anche come ascensore per il cielo.

(fa.do.)

 

 

Contovello reclama il "Pedibus" - La circoscrizione Ovest chiede al Comune l'attivazione del servizio per le scuole
PROSECCO - Arriva dalla circoscrizione di Altipiano Ovest al Comune l'invito a attivare nelle scuole primarie di Contovello, Prosecco e Santa Croce il "Pedibus", l'originale sistema di spostamento a piedi in modo organizzato per i bimbi in età scolare. Inventato e proposto dall'ambientalista David Engwicht nel 1992 in Australia, il Pedibus, ovvero Piedibus o Walking bus che dir si voglia, è stato apprezzato e riproposto in tante nazioni per la sua semplicità. Recarsi a scuola muovendosi a piedi guidati e accompagnati da insegnanti e genitori è innanzitutto un utile sistema volto a socializzare e a conoscere l'ambiente circostante. Inoltre il Pedibus tenta una prima risposta ai problemi di sedentarietà e obesità che sembrano ogni giorno di più avvilire i più giovani, catturati drammaticamente da televisori e telefonini e costretti, loro malgrado, a rimanere attaccati agli schermi per ore e ore senza muoversi. Se a questa situazione va a sommarsi un'alimentazione dove il fast food è per molti tragica pratica quotidiana, va da sé che pure piccoli stratagemmi come il Pedibus possano fare la differenza per una promozione di abitudine salutari attraverso l'esercizio fisico. Secondo il consigliere Simon Rozac (Lega Nord) che ha proposto al resto del consiglio la mozione rivolta all'attivazione del servizio, i costi sarebbero inesistenti visto che l'organizzazione del servizio ricade sul Comune, sulle associazione dei genitori e suo volontari. Dalla pratica del Pedibus gli scolari trarrebbero autostima e attitudine al dialogo, oltre a garantirsi migliori livelli di attenzione. Senza dimenticare che pure il traffico veicolare risulterebbe ridotto nei pressi delle scuole con grande beneficio per l'ambiente. «Il Consiglio circoscrizionale ha sposato all'unanimità la proposta del Pedibus per le nostre scuole - aggiunge la presidente del parlamentino Maja Tenze - un indirizzo che dà continuità a quanto già promosso dalla precedente giunta comunale, per un servizio che risulta già attivo in diverse scuole comunali. Per tutte queste ragioni chiediamo pertanto agli organi competenti del Comune di recepire questa proposta e di realizzare il Pedibus nelle scuole della prima circoscrizione».

(ma.lo.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 7 ottobre 2017

 

 

Il piano franco-indiano per l'Ilva: 4mila tagli - Il gruppo ArcelorMittal pronto a fare 10mila assunzioni: dura la reazione dei sindacati
ROMA - Parte in salita la vertenza sull'Ilva, acquisita dalla cordata Am InvestCo, controllata dal gruppo franco-indiano ArcelorMittal, in seguito al fallimento controllato del gruppo siderurgico italiano un tempo di proprietà della famiglia Riva. Ieri - a tre giorni dall'apertura del tavolo al Mise - i sindacati hanno ricevuto da Am InvestCo e dai commissari straordinari dell'Ilva la comunicazione richiesta dalla legge per la cessione del ramo d'azienda dove deve essere indicato il futuro dei dipendenti e le loro nuove condizioni giuridiche ed economiche. Anche se i numeri degli esuberi (4.000 circa) e di quelli che saranno assunti da Am InvestCo (10.000 in tutto, ma ci sono anche i 70 dipendenti delle due controllate francesi Socova e Tillet) erano già noti, la reazione dei sindacati è stata immediata, concorde e furibonda. A Cornegliano la Fiom minaccia di occupare la fabbrica e a Taranto ci si prepara alla mobilitazione. Mentre il viceministro Teresa Bellanova, che seguirà il Tavolo, calma gli animi: «La trattativa deve ancora cominciare». Per la Fiom, ArcelorMittal si è dimostrata «arrogante e inaffidabile». Il segretario generale Fiom Francesca Re Davide e Rosario Rappa bollano la comunicazione come «una provocazione» alla quale si può rispondere solo con «una forte azione conflittuale di tutte le lavoratrici e i lavoratori». Per Marco Bentivogli leader della Fim-Cisl, la trattativa «parte col piede sbagliato» e se non ci saranno passi indietro «la mobilitazione generale diventerà inevitabile». Rocco Palombella, segretario generale dei siderurgici della Uil, definisce «inaccettabili» le condizioni poste da Am InvestCo. I più arrabbiati sono i genovesi di Cornegliano dove i tagli previsti sono addirittura 600 su 1500. «Non possiamo permettere questo schiaffo alla città» attacca Armando Palombo della Rsu Fiom preannunciando «l'occupazione della fabbrica». Stessa rabbia da parte della Fiom genovese: «Una lettera vergognosa che cancella fra l'altro due leggi dello Stato: quella che prevede che in una cessione di ramo d'azienda passino automaticamente anche i dipendenti e una legge che si chiama accordo di programma e che dice che a Genova i livello occupazionali e i salari non si possono toccare» attacca il segretario della Fiom genovese Bruno Manganaro A far saltare in piedi i sindacati non sono stati solo i numeri (che potranno essere discussi al tavolo), ma soprattutto le condizioni che dovranno essere accettate dai lavoratori che passeranno alle dipendenze di Am InvestCo. Innanzitutto perderanno le garanzia dell'art.18 perché saranno riassunti con il contratto a tutele crescenti previsto dal Jobs Act, inoltre non ci sarà alcuna «continuità rispetto al rapporto di lavoro» precedente «neanche in relazione al trattamento economico e all'anzianità». Da quest'ultimo punto di vista Am InvestCo di dice a valutare «alcuni ulteriori elementi di natura retributiva riferibili ad elementi costituenti l'attuale retribuzione». Toccherà quindi ai sindacati trattare per riuscire a mantenere i livelli retributivi. Nel frattempo, dall'Antitrust europea si fa sapere, con un provvedimento, che l'operazione Ilva può «rientrare nell'ambito di applicazione del regolamento sulle concentrazioni».

 

 

 

 

GREENSTYLE.it - VENERDI', 6 ottobre 2017

 

 

Rinnovabili, IEA: in crescita fino al 2022, boom del fotovoltaico

Fotovoltaico in forte crescita tra le fonti energetiche e boom delle rinnovabili a livello globale nel 2016. Questo lo scenario delineato nel nuovo rapporto diffuso dalla IEA (International Energy Agency) e intitolato “Renewables 2017″, nel quale l’agenzia avrebbe corretto il tiro sulla stima delle fonti pulite dopo le polemiche divampate negli scorsi mesi in merito alla sottostima in cui sarebbero incorse per anni le rinnovabili.

Secondo le nuove stime IEA il fotovoltaico correrebbe più forte del carbone e di ogni altra fonte energetica, contando su 74 GW di nuova potenza installata nel 2016 (+50% rispetto al 2015) su un totale globale di 165 GW per quanto riguarda le fonti rinnovabili. Una prospettiva che avrebbe spinto il direttore dell’International Energy Agency, Fatih Birol, ad affermare che ci apprestiamo ad assistere alla “nascita di una nuova era del fotovoltaico”, destinata a proseguire nella sua corsa fino al 2022.

In funzione delle nuove stime elaborate dalla IEA lo scenario relativo al periodo 2017-2022 vedrà la comparsa di nuova potenza elettrica per un ammontare di 920 GW. Come prevedibile il fotovoltaico reciterà la parte del leone con 438 GW negli anni indicati, per una capacità complessiva al termine dell’arco temporale di 740 GW.
Prendendo in considerazione uno scenario particolarmente positivo per le fonti rinnovabili la quota raggiunta da quest’ultime potrebbe addirittura sforare i 1000 GW di nuova potenza elettrica al termine del 2022. Venendo ai numeri sulla produzione energetica IEA conferma la forte crescita attesa dal comparto “Green Energy” stimando intorno agli 8 mila TWh il suo contributo tra cinque anni. Più del gas naturale e vicinissimo al carbone (circa 10 mila TWh). La quota verde nel mix totale salirà dal 24 al 30%: in prima fila l’idroelettrico, seguito nell’ordine da eolico, fotovoltaico e bioenergie. Più lenta invece la crescita delle rinnovabili termiche, destinate alla produzione di acqua calda sanitaria, al riscaldamento, e ai processi industriali. La percentuale del contributo assicurato salirà secondo IEA appena del 2%, passando dal 9 del 2015 all’11% del 2022, senza quindi riuscire a impensierire in maniera netta le fonti fossili. Sarà praticamente congelato il quadro della quota energie pulite nel settore trasporti su strada in ottica 2022, ferme al 4,5% del mix, con i biocarburanti al 90% del totale e i veicoli elettrici ancora indietro nelle vendite.

Claudio Schirru

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 6 ottobre 2017

 

 

Il Centro visite del Wwf pronto alle ex Scuderie già all'inizio del 2018 - Sciolto il nodo degli ultimi 100mila euro necessari per l'opera
Diventerà un museo interattivo con molte specie "simulate"
Il cantiere è ancora in fieri ma la data o per lo meno il periodo di apertura del Centro visite dell'Area marina protetta di Miramare nell'ala destra delle ex Scuderie è ufficiale: sarà a inizio del 2018. La ditta che sta portando avanti i lavori di restauro, la Cramer Giovanni & Figli, sta lavorando a tutta birra affinché tutto sia pronto in tempo. Un investimento di 450mila euro per l'adeguamento funzionale, edile e di allestimento, dove il contributo più consistente proviene dal ministero dell'Ambiente, pari a 350mila euro, a cui si aggiungono 50mila euro di investimenti privati del Wwf, soggetto gestore della Riserva, e 50mila euro della Fondazione CRTrieste. Fondi, questi, che hanno dunque riempito il buco di 100mila euro che mancavano ancora all'appello nella scorsa primavera. «Erano in corso di erogazione all'epoca», specifica il direttore Maurizio Spoto. Tra le novità, il biglietto a pagamento per supportare le spese di gestione della struttura. L'esposizione non ricalcherà più il modello del Centro visite precedente nel Gartenhaus, il Castelletto del parco asburgico di Miramare. I due piani e mezzo, per un totale di 300 metri quadrati, dati in concessione per dieci anni dalla Soprintendenza Fvg a Wwf Italia, ospiteranno un museo interattivo all'insegna dell'etica, senza ricorrere dunque per forza alle specie animali vive. Un laboratorio didattico, una biblioteca, percorsi tematici di approfondimento sull'alimentazione, la riproduzione e così via, rivolti a piccoli e grandi con tante sorprese - assicura Sara Famiani della Riserva - seguono il concetto dell'allestimento ecosostenibile. Saranno rappresentate le circa 100 specie che costituiscono la biodiversità dell'Area marina di Miramare e quindi del Nord Adriatico. Meduse, pesci luna, verdesche e tanti altri vertebrati e invertebrati volteggeranno in queste stanze, realizzati però con materiale sintetico. Il progetto degli spazi interni di questo museo interattivo sfrutterà diorami, tecnologie 3D e multimediali ed è realizzato dalla Wild'Art di Roma, che ha lavorato anche per l'Acquario di Genova e il Museo civico di zoologia di Roma. Al piano terra, dove si troverà anche il laboratorio didattico per le attività educative, fatto apposta per mostrare dal vivo ai bambini analisi in diretta, ad esempio del plancton, verrà installato un percorso fisso che, inserito nella parte sinistra, «simulerà il fondale protetto marino roccioso - spiega Spoto -, fangoso e sabbioso, con i dorami, con tutta una serie di cassetti che si apriranno per mostrare alcune scoperte». Ci saranno quindi «modelli da toccare a partire da un ambiente di marea, con tanto di marangoni dal ciuffo». Per chi non lo sapesse, sono gli uccelli che salutano i visitatori dalla spiaggia dell'Area, non appena si solca il cancello del parco. E poi ci saranno gli animali di scogliere, come i pesci che caratterizzano la colonna d'acqua. Spunteranno le piante acquatiche come le fanerogame marine. In mezzo un pannello a forma di onda che ospiterà tutte le tipologie dell'ambiente pelagico, e in fondo le "touch tank", delle vasche tattili dove si potranno toccare con mano stelle marine, ricci, alghe e oloturie, in rappresentanza dell'ambiente di mare e della zona rocciosa, che non rischiano di essere danneggiate con il contatto umano. Questa sarà l'unica sezione "viva". Al primo piano, oltre a una saletta dedicata alle proiezioni e una biblioteca per la consultazione di libri per grandi e piccini, e un teatrino di marionette, sarà costruito un allestimento il cui obiettivo sarà di sensibilizzare il pubblico, con progetti che cambieranno periodicamente, sugli impatti ambientali a carico della biodiversità. Si partirà con le plastiche nel mare. Emblematico e a effetto il soffitto pieno di modelli di pesci e organismi mescolati a lattine e rifiuti. «Nel mare ci sono dei grandi vortici, dove le correnti hanno bassa intensità, con enormi quantità di plastiche di tutti i tipi: lenze, bottiglie, sacchetti e quant'altro - spiega Spoto -. Si frammentano anche in particelle, le "microlitter", confuse ad esempio dai gamberetti con il plancton. Rientrano quindi nel ciclo alimentare marino, arrivando fino a noi, e contengono varie sostanze chimiche che hanno effetto sulla salute, come gli ftalati, con cui la plastica viene mantenuta morbida. Le stesse tartarughe ingeriscono sacchetti, pensando invece siano meduse, rischiando così di soffocarsi. In questa sala ci sarà dunque la simulazione del vortice tra organismi e rifiuti».

Benedetta Moro

 

 

L'Enpa si prepara a curare anche la fauna goriziana
Alla soglia dei 20 anni di attività lo storico Centro di recupero per la fauna selvatica di Terranova, in comune di San Canzian d'Isonzo, potrebbe chiudere. E traslocare all'Enpa di Trieste. Un'eventualità concreta. La Provincia di Gorizia, che istituì il servizio a San Canzian riconoscendo la passione e la competenza di Damiano Baradel e della sua famiglia, non c'è più e il bando del Servizio Caccia e risorse ittiche della Regione ha di fatto puntato sul massimo ribasso del prezzo - 50mila euro per il territorio isontino - per la gestione del servizio nel 2018. Il criterio ha messo in difficoltà Baradel, che, non essendo un'associazione e non potendo contare su altre entrate (dal 5 per mille o donazioni), non è riuscito a scendere sotto la soglia di quanto percepito prima dalla Provincia e per il 2017 dalla Regione. C'è quindi la concreta possibilità che tale servizio venga rilevato dall'Enpa di Trieste, realtà che già gestisce, anche dal 2000, un suo Centro per il recupero della fauna selvatica e che ha deciso di presentare un'offerta anche per la provincia di Gorizia. L'ufficialità ancora non c'è, anche se l'aggiudicazione dovrebbe essere cosa fatta proprio in questi giorni, in base appunto al criterio del prezzo più basso. «Trovo davvero difficile comprendere come non si siano valutati anche altri aspetti, visto che stiamo parlando del benessere di animali, selvatici e che si trovano in una situazione di fragilità - afferma Baradel, profondamente scosso -. Non si sono presi in considerazione gli spazi e le strutture a disposizione, l'attività realizzata, il tasso di liberazione in natura degli esemplari recuperati, per noi superiore al 70%, la presenza di collaborazioni scientifiche con università o enti di ricerca». Nei primi nove mesi del 2017 il Centro di Terranova ha preso in carico oltre duemila animali. Tanti, pur senza avvicinarsi al record assoluto del 2015: 5.700, tra fauna selvatica ed esotica, di cui Baradel si occupa dal 2014 su incarico della Regione, unico in tutto il Friuli Venezia Giulia. «In quel caso il bando ha invece previsto dei criteri di qualità, ma un sostegno limitato all'acquisto di cibo e per le strutture», sottolinea Baradel, secondo cui l'eventuale perdita della cura della fauna selvatica inciderà anche sulla possibilità di occuparsi di quella esotica o degli animali affidatigli dalle forze dell'ordine in seguito a sequestri. In totale al momento nel centro è accolto un migliaio di esemplari di fauna selvatica. Gli animali che non si riusciranno a reintrodurre in natura entro il 31 dicembre con il primo gennaio potrebbero prendere per l'appunto la strada di Trieste, dalla cui realtà arriva la conferma della partecipazione alla procedura negoziata e il fatto che non ci sia ancora un esito ufficiale alla gara. «Abbiamo deciso di partecipare - spiega la presidente dell'Enpa Trieste, Patrizia Buffo - perché la Regione dava questa possibilità, le aree delle due ex Province sono tutto sommato contenute, e poi perché abbiamo alle spalle una lunga esperienza e un lungo accreditamento come Centro di recupero della fauna selvatica. Abbiamo inoltre le strutture adeguate: 80mila metri quadrati di superficie in parte boscata, voliere, recinti, un ambulatorio veterinario. Crediamo, insomma, di essere qualificati per effettuare questo tipo di recupero». All'Enpa, come rileva la presidente, si recuperano circa 1.500 animali selvatici all'anno. Compresi quelli d'affezione, si parla di quasi 39mila esemplari tra 2010 e 2017. A lasciare perplessa anche la presidente triestina dell'Enpa e non solo Baradel è la decisione della Regione di procedere all'affidamento per un solo anno. «Comprendo che però si tratta di un momento di transizione, vista la presa di consegna delle competenze dalla Provincia - afferma Buffo -. Pensando al benessere degli animali, spero si arrivi all'affidamento per più anni». Interpellato, l'assessore regionale alle Autonomie locali e caccia Paolo Panontin si riserva dal canto suo un approfondimento sul tema.

Laura Blasich

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 5 ottobre 2017

 

 

Rutenio nell'aria, niente rischi - L'Arpa precisa : piccole quantità. Nessuna conseguenza per la salute
TRIESTE - Il Centro regionale per la Radioprotezione (Arpa) ha rilevato negli ultimi giorni anche in Friuli Venezia Giulia, analogamente ad altri Paesi europei e al Nord Italia, piccoli quantitativi di Rutenio 106 (Ru 106) nei monitoraggi dell'atmosfera. Si tratta di modeste entità che non stanno allarmando le istituzioni competenti: «Il valore più alto misurato era di duecento volte al di sotto della soglia di attenzione - spiega Concettina Giovani, responsabile del Crr - cioè il tetto entro cui si comincia a parlare di elementi radioattivi. Siamo quindi veramente molto lontani da qualsiasi possibile problema». Generalmente il Rutenio 106 è un prodotto di fissione nucleare; tuttavia, in questo caso, non sono stati ravvisati altri prodotti di fissione tipici degli incidenti a impianti nucleari. «Questo lo possiamo escludere perché abbiamo trovato soltanto il Rutenio - aggiunge Giovani - ciò significa che probabilmente si è verificata una fuoriuscita da uno stabilimento industriale che produce l'elemento per l'utilizzo in campo medico, come la radioterapia. Parliamo dell'Est Europa, forse in Russia. Con la circolazione dell'aria, che nei giorni scorsi veniva da Est, siamo stati investiti anche noi».«Le quantità rilevate - ribadisce l'Arpa - sono molto modeste e non rappresentano pericolo alcuno per la popolazione e per l'ambiente. Tuttavia, l'Arpa ha intensificato i campionamenti e le analisi del particolato atmosferico, in coordinamento con Ispra e con gli altri laboratori territoriali». I risultati saranno comunicati non appena disponibili. Il Crr, si legge ancora nella nota Arpa, aveva riscontrato le tracce di Ru 106 in un campione di particolato atmosferico del 2 ottobre, riferito a un prelievo avvenuto a partire dal 29 settembre. La presenza dell'elemento ha reso necessario intensificare le misurazioni successive. Sono state quindi effettuati ulteriori rilievi tra il 2 e il 4 ottobre. La presenza di piccole quantità del radionuclide è stata confermata da vari laboratori in Italia, in Repubblica Ceca, Austria, Svezia, Polonia e Svizzera.

Gianpaolo Sarti

 

Incontro sul Radon a San Giovanni - Progetto al via

Iniziano oggi gli incontri su "Radon, misure in mille famiglie" di Arpa e Regione. Il primo incontro si terrà alle 17.30 al Teatro Basaglia di via Weiss 13. Ai partecipanti verrà consegnato gratis un "dosimetro" per misurare il gas.

 

 

L'ex Alto Adriatico svela una discarica - Pezzi d'armadio, sedie e pure una barca nella parte del piazzale finora nascosta dai carri. Decolle: «Potremmo chiudere l'area»
MUGGIA - Pezzi di armadio, uno stendibiancheria, un divano. Ma anche mensole, cuscini, valigie, sedie e, dulcis in fundo, una barca. Il contenuto della minidiscarica a cielo aperto rinvenuta nel piazzale ex Alto Adriatico ha quasi dell'incredibile. Quasi perché, purtroppo, l'escalation di gesti di inciviltà sono oramai all'ordine del giorno anche nella cittadina rivierasca. Ma come è possibile che questa discarica sia stata "scoperta" solamente ora, essendo collocata in una delle aree che fungono da biglietto da visita di Muggia? A raccontarlo è Mario Vascotto, presidente dell'Associazione delle compagnie del Carnevale di Muggia: «Ignoti hanno approfittato del fatto che durante l'estate parte del materiale dei nostri carri era stato lasciato nel piazzale durante i lavori di rifacimento dei portoni di accesso del magazzino comunale che ospita le compagnie». E proprio al momento di spostare gli attrezzi delle compagnie sono emersi tutti i lasciti operati da persone senza un minimo di rispetto né per l'ambiente né per il decoro pubblico. «Nella stessa area, circa un mese fa, dei ladri erano penetrati nella zona recintata del piazzale rubando il motore, la centralina, la pompa e l'impianto elettrico dell'ascensore utilizzato dalla compagnia dei Mandrioi per allestire la parte meccanica dei carri allegorici», ricorda Vascotto. Un furto del valore di circa 1000 euro. Se l'amarezza da parte del presidente del Carnevale dinanzi a quell'episodio era stata tanta, ora vige lo stupore nel constatare come l'area sia diventata una discarica. «Non appena ho saputo della cosa mi sono subito attivato: è ovvio che i lasciti presenti nell'area non appartengono alle compagnie, ciononostante ho incaricato una ditta di pulire l'area a nostre spese. Il tutto per il costo di 500 euro», racconta Vascotto. Il caso dell'ex Alto Adriatico è solo l'ultimo di una lunga serie. Dai vandalismi compiuti nella nuovissima Biblioteca comunale, al danneggiamento delle sedie sotto i portici del Municipio. Dai furti di piante da giardini pubblici ed orti privati ai rifiuti ingombranti lasciati ad Aquilinia ed in altre frazioni. Senza dimenticare il doppio blitz dei ladri ai danni del palazzetto dello sport di Aquilinia, sino al più clamoroso caso del parapetto in acciaio "asportato" lo scorso anno dal nuovo tratto della costiera. Da anni buona fetta dell'opposizione chiede a gran voce l'installazione di un maggior numero di videocamere di sorveglianza da dislocare in diverse aree della cittadina. La capogruppo di Meio Muja Roberta Tarlao avanza ancora un'altra proposta: «Per me il piazzale dovrebbe essere aperto e chiuso dagli agenti della polizia locale per evitare che le persone si intrufolino di notte». L'assessore Stefano Decolle non nasconde il proprio disappunto: «Come sempre accade assieme al presidente Vascotto è stata trovata una soluzione ad un problema che peraltro era stato provocato solo in minima parte dalle compagnie. Detto ciò posso dire che il piazzale ex Alto Adriatico è un'area che da troppo tempo sta dando dei problemi. Sarà mia cura dunque affrontare al più presto la questione con la Giunta e non escludo che parte dell'area possa essere chiusa al pubblico».

Riccardo Tosques

 

 

SEGNALAZIONI - Trenovia - Il futuroè una linea lunga

Sulle tormentate vicende relative al tram di Opicina, Coped-Camminatrieste ritiene opportuno proporre alcune considerazioni. Dopo il grave incidente verificatosi oltre un anno fa, e dopo che le venture sinistrate sono state rimesse in ordine, giunge notizia che il tram non potrà riprendere il suo percorso in conseguenza di altri inconvenienti, anche gravi, presenti sul tracciato (binari, impianti, componenti elettriche, ecc.).Viene quindi da porsi la domanda se i precedenti lavori siano stati condotti in modo adeguato e completo o no.È inutile nascondere che il danno, per la cittadinanza e in termini di visibilità turistica sia molto grave, anche in presenza della concomitante regata Barcolana. Il tram di Opicina è una delle principali attrattive turistiche della città, tant'è vero che era stato proposto di inserirlo tra i beni riconosciuti dall'Unesco. Semmai la linea dovrebbe essere prolungata fino alle Rive dal Porto vecchio (e Barcola) fino a Campo Marzio (Museo ferroviario), come più volte ribadito da Camminatrieste, nel corso della sua ultraventicinquennale attività.

Carlo Genzo, direttivo Coped-CamminaTrieste

 

 

 

 

MilanoFinanza - MERCOLEDI', 4 ottobre 2017

 

 

Gas Natural, ok a offerte Edison e 2i Rete Gas
Ieri a Madrid si è tenuto un cda del gruppo iberico che avrebbe deliberato di chiudere le trattative per la vendita dei suoi asset italiani con Edison (rileverà i clienti italiani di Gas Natural) e 2i Rete Gas (acquisirà il trasporto gas e la holding che si occupa di servizi). Sarebbe rimasta a mani vuote Italgas

Gli asset italiani di Gas Natural sono stati venduti. Ieri, secondo quanto risulta a Radiocor, a Madrid si è tenuto un consiglio di amministrazione del gruppo iberico che avrebbe deliberato di chiudere le trattative con Edison  e 2i Rete Gas. Sarebbe rimasta a mani vuote Italgas , mentre il fondo cinese Shanghai DaZhong che puntava all'intera azienda si era già ritirato dalla gara. L'obiettivo è arrivare alla firma già settimana prossima. Infatti nei prossimi giorni andranno limati alcuni dettagli per poi chiudere la cessione definitivamente entro fine anno.
L'operazione farà arrivare nelle casse di Gas Natural quasi 1 miliardo di euro con una plusvalenza superiore a 400 milioni di euro. Nello specifico, Edison  dovrebbe rilevare i clienti italiani di Gas Natural, 20.000 imprese e 460.000 clienti residenziali localizzati soprattutto nel Sud Italia, dopo avere superato la concorrenza di Engie  Italia, e il contratto gas a lungo termine che transiterà sul Tap proveniente dall'Azerbaijan.
Per quanto riguarda, invece, il trasporto gas (7300 km per 4600 punti di riconsegna e una Rab fra 500 e 600 milioni di euro) 2i Rete Gas l'avrebbe spuntata su Italgas . La controllata di F2i e partecipata da Ardian rileverà anche la holding italiana di Gas Natural che si occupa di servizi. In questo modo il riassetto delle attività italiane del gruppo spagnolo non avrà alcuna ricaduta occupazionale. Invece, a quanto pare è rimasto invenduto il progetto di Gas Natural per il rigassificatore di Trieste, un'infrastruttura ancora sulla carta.

Mentre alla borsa di Madrid Gas Natural segna un -2,06% a 18,04 euro, a Piazza Affari l'azione Edison  nella versione risparmio scende dello 0,43% a 0,926 euro e Italgas  dell'1,36% a quota 4,656 euro.

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 4 ottobre 2017

 

 

«Comune attento alle criticità del pedibus»
«L'amministrazione comunale è particolarmente attenta alla sicurezza dei percorsi pedonali e ai possibili interventi per favorire la mobilità pedonale», scrive in una nota l'assessore all'Urbanistica Luisa Polli, in risposta ai genitori che protestano in questi giorni per la mancata presa in carico delle criticità del progetto Pedibus di Rozzol. «È stata fatta la proposta di intervenire lungo il "pedibus" di Rozzol con particolare riferimento ad alcuni tratti particolarmente delicati». «In questo contesto - aggiunge - tuttavia, per tener conto delle esigenze di viabilità anche di chi è costretto a utilizzare l'autovettura per recarsi al lavoro al mattino, le possibilità sono parzialmente diverse da quanto richiesto dalla scuola nel corso di un sopralluogo e, in particolare, risulta perseguibile solo la chiusura della via Lucano». «Tale soluzione - conclude - è stata criticata da parte di alcuni soggetti coinvolti. Ritenendo la scuola il primo interlocutore, in quanto quotidianamente coinvolta nel progetto del "pedibus", cercheremo un incontro per avere un avallo dalla scuola circa la soluzione proposta, prima di intervenire».

 

 

Un cervo adulto avvistato di notte tra le case a Barcola - Due casi nelle zone verdi sotto strada del Friuli - «Non è pericoloso ma meglio non avvicinarsi» - vedi foto
Cervi a Barcola. Due incredibili avvistamenti sono stati fatti in questo ultimo periodo nella parte alta del rione, al confine con strada del Friuli. In entrambi i casi (è stato pure immortalato con una "fototrappola" notturna) si è trattato quasi sicuramente dello stesso esemplare, ossia di un maschio di oltre 100 chilogrammi, alto poco meno di due metri. «Confermo che gravitano nelle aree verdi adiacenti a Barcola, ma recentemente sono stati visti anche affacciarsi sul golfo nella zona del costone carsico di Santa Croce: può sembrare strano, ma in realtà il cervo non è un animale esclusivamente di montagna come tutti sono soliti pensare», racconta il naturalista triestino Nicola Bressi. I cervidi triestini provengono dai vicini boschi della Slovenia. Negli ultimi vent'anni, gradualmente, alcuni di loro - circa una cinquantina di esemplari - hanno deciso di rimanere in modo stanziale in alcune aree del Carso triestino. Tre sono i nuclei riproduttivi registrati ufficialmente. Il gruppo più numeroso risiede nella riserva naturale del monte Lanaro, a Sgonico, al confine con il Comune di Monrupino, in una dorsale molto ampia che sostanzialmente va dall'ex valico di confine di Comeno (Duino Aurisina) sino appunto alla zona del Lanaro. Una ventina di capi circa si trova invece nell'area più a nord-ovest di Duino Aurisina, ossia vicino al monte Ermada, in una fascia che copre anche il Goriziano andando dalla frazione di Ceroglie (Duino Aurisina) sino a Doberdò del Lago (Gorizia). Un nucleo minore che conta meno di dieci esemplari staziona invece a nord-est della nostra provincia, ossia attorno al monte Cocusso, in un'area tra Basovizza, Grozzana e Pese, a ridosso dunque dell'ex valico di Stato di Kosina. «Ma dobbiamo entrare nell'ordine delle idee che i cervi si spostano, soprattutto di notte. E pure di molto. Per questo si possono trovare in diverse zone del Carso e della periferia, come Barcola, Contovello, Prosecco, ma anche Muggia», racconta Bressi. Nei territori della cittadina rivierasca alcuni cervi sono stati avvistati in zona Noghere e Vignano. Soprattutto i maschi possono essere individui "erratici", che quindi sono soliti a girovagare ovunque ci sia un bosco tranquillo. I cervi, per la loro imponente mole, possono costituire un problema in caso di investimento stradale. Oltre al clamoroso incidente di 19 anni or sono, quando sulla strada statale tra Opicina e l'ex valico di Fernetti un frontale tra uno sfortunato automobilista e un cervo provocò gravi conseguenze al conducente - e al mammifero, il cui palco di corna è custodito al Museo civico di Storia naturale di via dei Tominz - si hanno notizie di investimenti a Monrupino, Opicina e Trebiciano. Anche a Gabrovizza, quest'estate, un esemplare adulto di femmina per poco non è stato investito da un'automobilista. «Per loro natura i cervi sono animali timidi e quindi per niente pericolosi per l'uomo: al di là dei possibili incontri sulle strade mentre si è al volante, sicuramente un maschio in amore può essere "intontito" e mentre bramisce può essere imprevedibile, quindi meglio non avvicinarsi troppo», spiega Bressi. Un'ultima analisi sulla presenza di questi grandi artiodattili: vista la loro mole, il possibile aumento dei cervi significherebbe di contrasto sempre meno spazio per i caprioli e per i cinghiali. Dato che potrebbe essere d'interesse soprattutto per gli agricoltori anche se anche i cervi, come caprioli e cinghiali, non disdegnano di far visita ai campi coltivati.

Riccardo Tosques

 

Legambiente - Un ebook sui giardini inquinati

Dalle 15 alle 17 in piazzale Rosmini Legambiente distribuisce ai cittadini l'ebook "Inquinamento dei giardini pubblici: cosa c'è da sapere", gratis scaricandolo dal sito dell'associazione.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 3 ottobre 2017

 

 

LA POLEMICA - «Soldi per le bonifiche solo alle grandi aziende»
La piccola impresa non ci sta e oggi alle 15, in occasione della riunione organizzata dalla Regione in sala Predonzani per spiegare come adire ai 15 milioni di Invitalia (ministero dello Sviluppo Economico) per le bonifiche nell'area di "crisi complessa", è intenzionata a far sentire la propria voce. La ragione è semplice: per candidarsi al riparto dei 15 milioni bisogna presentare programmi di investimento con spese ammissibili non inferiori a 1,5 milioni. Lo prevede al punto C la circolare 127402 data 28 settembre e firmata dal direttore ministeriale per gli incentivi alle imprese Carlo Sappino. Allora Dario Bruni, presidente di Confartigianato Trieste, solleva la questione: perchè con un barrage così elevato, nessuna azienda artigianale o "pmi" potrà permettersi di concorrere alla contribuzione Invitalia che finanzia interventi di carattere produttivo/ambientali. D'altronde la stessa griglia di valutazione, riportata all'allegato 3 della circolare-Sappino, riporta criteri e punteggi basati sull'incremento occupazionale, in termini impensabili per un'impresa di piccole dimensioni: fino a un massimo di 100 punti per chi genera oltre 89 posti di lavoro. Chiaro che non c'è biada per imprese il cui fatturato medio annuo non arriva a un milione di euro. Per attenuare il gap delle chance, Bruni propone due «canali contributivi», per cui 10 milioni su 15 verrebbero attribuiti a progetti con importi non inferiori a 1,5 milioni. Mentre 5 milioni - un terzo di quanto messo in palio da Invitalia - andrebbero a finanziare iniziative con un budget non inferiore a 300 mila euro, meglio abbordabili dalla piccola impresa. «Le pmi - scrive Bruni in un a nota - sono il volano per la riqualificazione industriale dell'area di crisi triestina e avrebbero così la possibilità di partecipare al bando». Confartigianato, cui sono iscritti la maggioranza degli operatori nel Sito di interesse nazionale (Sin), è sicura di rappresentare umori/malumori molto diffusi tra le imprese. L'area di "crisi complessa" - rammenta il punto B della circolare ministeriale - comprende l'ex Ezit in liquidazione, insieme alle aree demaniali in concessione a Siderurgica Triestina (Ferriera) con esclusione della piattaforma logistica, cui s'aggiunge l'area "ex Arsenale". Le domande debbono pervenire a Invitalia dalle ore12 del 31 ottobre alle ore 12 del 30 novembre. Entro 30 giorni dal termine di presentazione Invitalia formulerà la graduatoria di ammissione alla valutazione istruttoria. I 15 milioni partecipano al cosiddetto Prri (Piano di riconversione e riqualificazione industriale) dell'area di crisi industriale complessa triestina. Il provvedimento venne varato con il decreto legge 83 del giugno 2012 ma è divenuto realtà finanziariamente tangibile con l'Accordo di programma firmato lo scorso 27 luglio tra i ministeri dello Sviluppo Economico, del Lavoro, dell'Ambiente, dei Trasporti insieme alla Regione Fvg, al Comune triestino, all'Autorità portuale, a Invitalia. Le finalità, ricordate nella parte iniziale della circolare firmata dal direttore generale Sappino, riguardano il rilancio delle attività industriali, la salvaguardia dei livelli occupazionali, il sostegno dei programmi di investimento e sviluppo imprenditoriale nell'area di crisi. Per le 15 di oggi, in piazza Unità, la Regione ha convocato un'ampia platea di soggetti associativi e creditizi per la gestione della risorsa. Si vedrà se ci saranno i margini per la mediazione auspicata nella proposta-Bruni.

magr

 

Legambiente - Opuscolo sui giardini inquinati

Oggi dalle 15 alle 17 in piazzale Rosmini i volontari di Legambiente distribuiranno l'opuscolo "Inquinamento dei giardini pubblici: cosa c'è da sapere". Il martedi' successivo i volontari saranno al Giardino Pubblico.

 

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 2 ottobre 2017

 

 

In arrivo 15 milioni per le bonifiche nei terreni ex Ezit - Pubblicato il bando per accedere ai fondi stanziati dal Mise
Serracchiani: «Area di crisi industriale verso il rilancio»
Con un anno di ritardo, che non è certo poco, ma alla fine sono arrivati. Quindici milioni per le bonifiche: Invitalia, braccio operativo del ministero dello Sviluppo Economico Mise), li mette finalmente a disposizione per gli imprenditori che intendano operare sul recupero ambientale nell'area di crisi industriale "complessa" triestina. Si chiude, con fatica, il cerchio tracciato dall'Accordo di programma firmato a Roma alla fine del gennaio 2014. Una nota del Mise, diffusa l'altro giorno, informa che si è attivata la procedura di finanziamento che permetterà agli interessati di inoltrare le domande nel periodo compreso tra il 31 ottobre e il 30 novembre. Il comunicato ministeriale fornisce ulteriori indicazioni: le domande saranno ammissibili se riguarderanno progetti produttivo-ambientali con impegni non inferiori a 1,5 milioni di euro; debbono comportare un incremento degli addetti che lavorano nell'unità aziendale oggetto dell'investimento. Le agevolazioni - qui il testo si fa un po' confuso - si concretizzano nel contributo in conto impianti, nell'eventuale contributo diretto alla spesa, nel finanziamento agevolato. Invitalia imposterà poi un iter istruttorio che implicherà la verifica dei requisiti, la definizione di una graduatoria, la valutazione delle domande «sulla base di specifici criteri di merito».La Regione, ente partner nell'area di crisi "complessa" di cui è commissario la stessa presidente Debora Serracchiani, ha prontamente convocato un amplissimo tavolo tecnico-informativo per domani alle 15 in sala Predonzani, al pianterreno della sede in piazza Unità. Confindustria, Confartigianato, Confcommercio, Ezit, Confidi, Friulia, Mediocredito, istituti bancari: un vasto abbraccio associativo e creditizio per gestire al meglio una delle più ricche operazioni di supporto al territorio condotto con risorse pubbliche. «Con la pubblicazione dell'avviso pubblico del Mise entra nel vivo il progetto di riconversione e riqualificazione industriale dell'area di crisi industriale complessa di Trieste avviato grazie all'Accordo di programma del 2014 e all'atto aggiuntivo del 2017 - ha commentato Serracchiani -: questi 15 milioni di euro, che si aggiungono alle risorse messe in campo grazie alla legge regionale Rilancimpresa, permetteranno di rafforzare il tessuto produttivo locale attraverso la realizzazione di iniziative imprenditoriali e l'attrazione di nuovi investimenti».Si accennava alla chiusura del cerchio e al ritardo con cui i 15 milioni stanno entrando in circolazione. In realtà l'operazione avrebbe dovuto decollare in rapida sintonia con i 10,7 milioni di euro (poi cresciuti di altri 2 milioni) stanziati nella primavera di un anno fa dalla Regione Fvg e gestiti dalla Camera di commercio triestina. Invitalia e Regione si erano divise il compito: i quattrini regionali avrebbero privilegiato gli investimenti industriali, mentre la risorsa governativa avrebbe sostenuto le attività di carattere ambientale. Sembrava addirittura che si riuscisse a organizzare uno "sportello" unico per sveltire le procedure e agevolare le domande delle imprese. Quindi, il volume finanziario complessivo dell'aiuto pubblico destinato all'area critica triestina, tra centro & periferia, sfiora i 28 milioni. Poi le cose si sono allungate. Affinchè il dispositivo Invitalia decollasse, è stato necessario redigere, come abbiamo visto, un accordo di programma. Pareva che si riuscisse a definirlo già nell'estate del 2016 (come ricordava un articolo del luglio 2016), invece i tempi sono slittati considerevolmente. Comunque, adesso i soldi ci sono. La riunione, chiamata martedì prossimo dalla Regione, servirà per chiarire i meccanismi di richiesta e di erogazione. Nella primavera 2016 le domande, pervenute alla Camera di commercio, furono molto numerose, tanto da raggiungere i 60 milioni, sei volte in più dello stanziamento. Le piccole aziende, insediate a Trieste, fecero la parte del leone.

Massimo Greco

 

 

Al via la petizione per il Parco navale sommerso nel nostro golfo
Il varo di una campagna popolare, l'appoggio della giunta comunale e di alcuni "testimonial" di peso, ma soprattutto l'aspirazione di un supporto anche da parte del ministero dell'Ambiente. Parte da qui la nuova mobilitazione a sostegno del l "Parco Navale di Trieste", il progetto ideato e lanciato dall'Associazione Sommersa Diving a metà del 2010 che punta a trasformare il golfo di Trieste nella prima area in Italia in grado di ospitare operazioni di Scuttling, ovvero l'affondamento "controllato" di navi in disarmo ai fini del ripopolamento della flora e fauna marittima. Benefici per l'ambiente naturale, incentivo dei canali turistici e conseguenti nuove fonti di occupazione. Queste le "credenziali" che la Sommersa Diving fa mette sul piatto da anni per strutturare il progetto, tanto in eventi fuori dalla provincia come la fiera Eudi di Bologna, quanto in appuntamenti triestini di peso come MareNordest, la manifestazione specialistica di primavera giunta al suo sesto anno di vita. A schierarsi a sostegno del progetto anche politici come il parlamentare leghista Massimiliano Fedriga, a cui si deve un'interrogazione alla Camera sull'argomento, presentata a maggio.Il piano di promozione per il Parco Navale intanto prosegue. Dopo la mozione comunale presentata lo scorso agosto dal gruppo consiliare della Lega, si accende in questi giorni anche una campagna popolare a suon di firme (Bignami Sub in Piazza Libertà 6). Lo scopo? Coinvolgere la cittadinanza, perfezionare l'informazione tecnica e approdare poi alla corte del Ministero dell'Ambiente: «Questa raccolta firme è nata per rafforzare il progetto su vari fronti - ha ribadito Roberto Bolelli, tra gli ideatori del Parco Navale a Trieste - crediamo sia una idea da spiegare intanto al meglio alla cittadinanza, illustrandone i molti benefici e le importanti possibili ricadute sul territorio. Il vice sindaco Roberti ci crede ed ha abbracciato la causa - ha aggiunto - e con questo ulteriore passo delle firme intendiamo tornare a farci sentire in campo nazionale, auspicando proprio un incontro con il ministro dell'Ambiente, da fare possibilmente al più presto».

(fr.ca)

 

 

Roma boccia il ricorso "pro bici" - Respinto dal ministero il reclamo del dem Finocchiaro contro il divieto di pedalare in centro a Muggia
MUGGIA - Il ministero ha bocciato il ricorso proposto dal consigliere Pd Marco Finocchiaro contro l'ordinanza antibici del Comune di Muggia. Il verdetto è arrivato attraverso una lettera spedita dallo stesso ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti al Municipio rivierasco. L'ordinanza dirigenziale del 18 luglio scorso, con cui la Giunta Marzi ha decretato le nuove regole per la viabilità all'interno del centro storico, era stata impugnata dal consigliere comunale di maggioranza Finocchiaro, ex assessore ai Lavori pubblici. Il nodo della discordia, per l'esponente dem, era la limitazione alle bici, o meglio l'obbligo di spingere a mano i velocipedi, anche se solo in alcuni periodi dell'anno e in alcune zone del centro (corso Puccini, via Dante e piazza Marconi). Il ricorso di Finocchiaro è stato giudicato «inammissibile» da Roma. Il dirigente tecnico del ministero Francesco Mazziotta ha evidenziato come il consigliere Pd «non presenta una posizione giuridica qualificata tale da legittimarla ad esperire il gravame di cui trattasi». Inoltre il provvedimento impugnato - cioè l'ordinanza sindacale - «non è immediatamente lesivo della propria sfera giuridica». Per il ministero «la legittimazione ad agire per la tutela dello "ius ad officium" presuppone che vi sia una lesione diretta, concreta ed attuale delle proprie prerogative, che non sembra ricorrere nella fattispecie in questione». Insomma: il consigliere Pd non può ricorrere contro un atto generico dell'amministrazione a meno che questo non abbia dei risvolti personali. Curiosità. Il ricorso proposto da Finocchiaro è stato giudicato «peraltro irregolare sotto il profilo fiscale, non essendo stata assolta l'imposta di bollo, così come previsto dal Decreto ministeriale del 20 agosto 1982». Per quanto riguarda invece il braccio di ferro con il ministero in seguito al ricorso presentato da tre cittadini muggesani - Christian Bacci, Gaetano Maggiore e Carlo Canciani - e parzialmente accolto dal ministero, il Comune ha fornito a Roma i documenti necessari per avvalorare la necessità di una regolamentazione della presenza delle biciclette in alcune zone del centro storico. Rimane comunque un dato di fatto: che l'ordinanza non è più in vigore dal 30 settembre, essendo terminata la stagione estiva, e che i divieti scatteranno nuovamente a partire dal primo giugno del 2018. Ma il tema delle biciclette è di forte attualità a Muggia anche in un altro contesto. Sono infatti ben diciassette i velocipedi che giacciono nei magazzini comunali dallo scorso anno. Nove di questi sono stati rimossi dagli appositi portabiciclette lo scorso 24 febbraio trovandosi in divieto di sosta in seguito alla cosiddetta "ordinanza Carnevale". Le biciclette sono state rimosse da largo Amulia, piazza Repubblica, calle Bacchiocco e piazza Galilei. Per i proprietari si prospetta, come previsto dal Codice della strada, una sanzione pari a 41 euro (riducibile del 30% soltanto se pagata entro cinque giorni). Per ora una sola persona si è presentata all'ufficio del Comando della Polizia locale muggesana per pagare la sanzione e riavere indietro la propria bicicletta. Gli altri velocipedi rimangono in attesa.

Riccardo Tosques

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 1 ottobre 2017

 

 

La delibera -  Fondi regionali per il controllo la competitività della mitilicoltura
TRIESTE - Seicentomila euro per migliorare il controllo e aumentare di conseguenza anche la competitività della mitilicoltura di concerto, come già si è iniziato a fare qui, con gli stessi addetti ai lavori. Li stanzia la Regione per l'acquacoltura del Fvg e l'intervento interessa di riflesso anche il mare triestino. La giunta regionale ha infatti deliberato di dare attuazione alla misura "Sicurezza alimentare molluschi bivalvi" nell'ambito del Gac, il Gruppo di azione costiera. Le risorse finanziarie ammontano come detto a circa 600 mila euro. È prevista, così una nota della Regione, «l'adozione di un avviso pubblico per la selezione di un soggetto attuatore di un progetto pluriennale delle attività di autotutela degli operatori, relative alla sorveglianza periodica delle zone di raccolta, produzione e stabulazione dei molluschi bivalvi vivi, sull'arco costiero del Fvg». L'obiettivo è «garantire il maggior livello di sicurezza dei prodotti, mediante misure costanti di controllo e prevenzione unitamente ad azioni coordinate e condivise dagli operatori per la promozione dei prodotti, e per rafforzare la competitività delle imprese».

 

 

Dolina - San Dorligo - "Draga in festa" ci riprova
Sarà riproposta oggi la terza edizione di "Draga in festa", evento a ingresso libero dedicato all'agricoltura sostenibile, all'alimentazione, all'ambiente, in programma a Draga Sant'Elia e allestito in collaborazione con il Comune di San Dorligo. Promossa da Bioest e da Arci Servizio civile, la manifestazione si sarebbe dovuta svolgere domenica scorsa, ma il maltempo ne ha causato il rinvio a oggi. Dalle 10 alle 18 si apriranno le porte delle fattorie e delle case private, coinvolgendo gli ospiti in attività ed escursioni finalizzate alla conoscenza della fauna e della flora. Per i bambini sono previste attività ludiche.

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 30 settembre 2017

 

 

Aria d’Italia la più sporca d’Europa - Ogni anno 91mila morti premature sono dovute all’inquinamento atmosferico

ROMA - Fra i grandi Paesi europei l'Italia è quello con l'aria più inquinata, quello che vanta il record delle morti per inquinamento atmosferico. È il quadro sconfortante tracciato dal rapporto «La sfida della qualità dell'aria nelle città italiane», presentato ieri a Roma al Senato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, think tank presieduto dall'ex ministro dell'Ambiente Edo Ronchi. L'Italia, si legge nel rapporto, ha circa 91mila morti premature all'anno per inquinamento atmosferico (dati 2013), contro 86mila della Germania, 54mila della Francia, 50mila del Regno Unito, 30mila della Spagna. Il nostro Paese ha una media di 1.500 morti premature all'anno per inquinamento per milione di abitanti, contro una media europea di 1.000. La Germania è a 1.100, Francia e Regno Unito a 800, la Spagna a 600. Dei 91mila morti in Italia, 66.630 sono per le polveri sottili PM2, 5, 21.040 per il disossido di azoto, 3.380 per l'ozono, le tre sostanze più pericolose. Per le PM2, 5 si contano nel nostro Paese 1.116 morti all'anno per milione di abitanti, contro una media europea di 860. Le zone più inquinate sono la Pianura Padana (in particolare intorno a Milano e fra Venezia e Padova), poi Napoli, Taranto, l'area industriale di Priolo in Sicilia, il Frusinate, Roma. Il rapporto elenca le cause di questo record poco lusinghiero: troppe auto private in circolazione e troppo vecchie, trasporti pubblici insufficienti, scarsa diffusione di veicoli elettrici e ibridi, caldaie condominiali obsolete, uso eccessivo di legna e pellet (che producono polveri sottili e benzopirene). Il rapporto punta il dito anche contro un'agricoltura che produce troppa ammoniaca da concime e deiezioni animali (ammoniaca), e contro un'industria che ha ancora limiti di emissioni troppo bassi. In particolare, rileva il rapporto, il 35% delle PM10 di Milano viene proprio dalle coltivazioni. La ricerca della Fondazione offre un decalogo di cose da fare. In primo luogo una strategia nazionale che sostenga i Comuni, che devono farsi carico della qualità dell'aria, ma possono intervenire solo sul 40% delle fonti di inquinamento. Puntare sulla prevenzione e non sull'emergenza e considerare tutti gli inquinanti, non solo la Co2. Poi riduzione delle auto private, investimenti sul trasporto pubblico urbano, incentivi ai mezzi elettrici e ibridi, una vasta campagna di rinnovo degli impianti di riscaldamento, una riduzione dell'uso delle biomasse. Infine, introduzione in agricoltura delle tecniche già esistenti per ridurre le emissioni di ammoniaca e limiti più stringenti alle industrie.

 

Dosimetro in casa per misurare il radon - Arpa cerca volontari - L'Agenzia consegnerà gli strumenti alle famiglie interessate

Alte concentrazioni del gas naturale radioattivo in città e Fvg

Si chiama radon ed è un gas naturale radioattivo, la cui presenza in abitazioni e luoghi di lavoro richiede un attento monitoraggio e adeguate misure per scongiurare rischi per la salute, trattandosi di una sostanza classificata come cancerogena dall'Oms, che la considera la seconda causa di cancro ai polmoni dopo il fumo. Questo gas inodore e incolore, prodotto dal decadimento dell'uranio, sarà presto oggetto di rilevazioni in Friuli Venezia Giulia, grazie alla consegna a mille famiglie di un apposito dosimetro. L'iniziativa dell'Arpa sarà presentata a Trieste il 5 ottobre all'ex Opp, dove i volontari dovranno arrivare dopo essersi registrati sul sito della Regione. L'uranio è distribuito più o meno ovunque sulla crosta terrestre e il radon è perciò presente quasi dappertutto. Nel suolo le sue concentrazioni sono più elevate, mentre all'aperto il gas si diluisce rapidamente, ma negli ambienti chiusi il radon può raggiungere valori anche molto alti. Un problema di non poco conto in Fvg, dove l'Arpa segnala elevati livelli di radon indoor, con un valore medio pari a circa 100 Bq/m3 rispetto a una media italiana di 70 Bq/m3 e una europea di 40 Bq/m3. Per il direttore di Arpa, Luca Marchesi, «l'elevata concentrazione impone di intensificare controlli e prevenzione». Arpa ha già effettuato misure in oltre 3mila abitazioni e nelle 2mila strutture scolastiche regionali, pubbliche e private. Sono così stati risanati un centinaio di edifici. Chi si offrirà di ospitare un dosimetro in casa propria si renderà protagonista «di un progetto di "citizen science" - evidenzia l'assessore all'Ambiente Sara Vito - primo in questo campo in Italia. Un progetto ambizioso, con importanti ricadute sia per i cittadini, che potranno effettuare le misurazioni gratuitamente, sia per gli enti di controllo, che disporranno di nuovi dati sulla presenza del radon in Fvg». Il progetto, denominato "Radon, misure in 1000 famiglie" prevede l'organizzazione di un incontro informativo in ciascuna delle quattro città capoluogo e a Palmanova, nel corso dei quali saranno distribuiti gratuitamente i dosimetri per la misura passiva del radon in altrettante abitazioni private. Dopo sei mesi di esposizione, l'apparecchio dovrà essere riconsegnato all'Arpa per le analisi in laboratorio, al cui termine i risultati verranno comunicati alle famiglie, oltre a essere oggetto di presentazione pubblica.

Diego D'Amelio

 

 

Rigassificatore a Veglia - oltre 120 le imprese che mirano agli appalti
Impianto gnl: termini di scadenza dei bandi prorogati per agevolare la nascita di consorzi tra le aziende croate
FIUME - A meno di clamorose battute d'arresto, il rigassificatore off-shore piazzato nelle acque prospicienti la località di Castelmuschio (Omisalj), sull'isola di Veglia, entrerà in funzione tra due anni. Lo ha ribadito il direttore di Lng Croazia, Goran Francic, confermando che il bando internazionale per l'acquisizione della nave-rigassificatore (l'unità galleggiante di stoccaggio e rigassificazione) sarà prorogato rispetto al termine originariamente previsto per la giornata di ieri. Il termine ultimo sarà il 6 ottobre: una settimana in più per dare modo agli investitori croati di raggrupparsi in consorzi e reggere meglio l'urto della concorrenza straniera. Fino alla stessa data si potrà anche partecipare alla gara per la costruzione dell'ormeggio per il flottante e per le navi metaniere in arrivo e partenza dalle acque vegliote. «Finora a ritirare la documentazione attinente al concorso per la nave - ha sostenuto Francic - sono state una quarantina di imprese, di cui molte con sede all'estero. Altre 80 si sono fatte vive per l'approntamento del terminal di Castelmuschio, mentre una ventina di aziende si sono rivolte a Lng Croazia (che ha ottenuto la gestione del progetto, ndr) manifestando l'interesse per i futuri acquirenti del metano che dallo stato liquido tornerà a quello gassoso». L'impianto di Veglia ha un grosso vantaggio: la Commissione europea ha infatti accordato per la realizzazione del progetto sui 101,3 milioni di euro. Si tratta di un terzo del costo del progetto, il che lo renderà concorrenziale nei riguardi dei rigassificatori off-shore. «Grazie a questi 101 milioni a fondo perduto - ha aggiunto Francic - la Croazia potrà avere tariffe più convenienti. Del resto l'interesse palesato per la nostra nave-rigassificatore parla di un quantitativo doppio di quanto riuscirà a movimentare annualmente la nostra imbarcazione: la sua capacità sarà di 2,6 miliardi di metri cubi di gas all'anno ed è il limite massimo attribuito alla Croazia, le cui infrastrutture non possono assorbire più di quel quantitativo». Resta comunque ferma anche la prospettiva di realizzare un terminal metanifero anche sulla terraferma e sempre nella località isolana. Se non ci saranno intoppi, i lavori di costruzione in questo caso dovrebbero cominciare tra dieci anni.

Andrea Marsanich

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 29 settembre 2017

 

 

Salute e lavoro - Malattie da amianto Oltre diecimila casi fra esposti e familiari
MONFALCONE«Il mesotelioma è un male incorruttibile». Il direttore del Crua, Paolo Barbina, ha fatto ieri riecheggiare il drammatico refrein alla VII Conferenza regionale amianto: continuano i nuovi casi frutto della lunga incubazione da esposizione professionali. Dal palco del Teatro comunale di Monfalcone è anche passato un concetto: iniziano a farsi avanti casi di malattia senza collegamento a un'esposizione professionale. Sono le esposizioni domestiche. Quanto è emerso ieri pomeriggio, primo momento della due giorni di lavori articolati in tre sessioni, è stata una panoramica molto approfondita, dall'evidente approccio scientifico. Si è partiti con la sessione dedicata agli aspetti sanitari e gli esperti hanno convenuto: il mesotelioma continua a colpire nel Friuli Venezia Giulia. Il numero dei casi rimane ancora elevato, a fronte di un trend che si mantiene comunque stabile. L'aggiornamento fornito dal presidente della Commissione regionale amianto, Fernando Della Ricca, la dice lunga sulla situazione circa gli iscritti al Registro regionale amianto. Con l'area della fascia costiera a recitare il ruolo di primato. Ad oggi le domande riconosciute sono 10.155, di cui 6.556 nell'Azienda integrata di Trieste, 2.999 nell'Aas Isontino Bassa Friulana, per scendere a 300 nell'Azienda integrata di Udine, quindi 162 nella Ass 3 collinare Alto Friuli, 138 nell'Ass 5 Friuli Occidentale. E ancora: gli esposti per motivi professionali sono 6.574, quelli domestici 1.562, ambientali 2.071 e 7, addirittura, quelli per qualche hobby praticato. Della Ricca ha argomentato che «sta emergendo una situazione alla quale dovremmo prestare massima attenzione da subito, evitando di creare allarmismi: abbiamo registrato alcuni casi di esposizione, e quindi di iscrizione al Registro, di persone relativamente giovani, che non avrebbero dovuto subire esposizioni di asbesto post 1992 (quando intervenne la normativa a bandire l'uso di amianto, ndr), e di figli di esposti che sono affetti da patologie amianto correlate. La causa riteniamo sia imputabile ai genitori contaminati, che attraverso i vestiti portavano le fibre a casa. Sono pochi e circoscritti casi, comunque sarà necessario approfondire il fenomeno», ha concluso. Resta comunque su tutto il grande problema amianto da esposizione lavorativa. Significativo è lo scenario Fvg nel panorama italiano. Lo ha rappresentato Corrado Negro, della Medicina del lavoro presso l'Università di Trieste, che gestisce il Centro operativo regionale (Cor) afferente al Registro nazionale dei casi di mesotelioma (ReNaM). In ambito nazionale le aree geografiche con maggiore concentrazione di mesotelioma sono il Friuli Venezia Giulia, assieme alla Liguria, per la costruzione, riparazione e demolizioni navali. C'è quindi la Lombardia (provincia di Pavia) e il Piemonte, con Casale Monferrato e comuni limitrofi, dove c'erano le industrie del cemento amianto. E ancora, i cantieri navali rappresentato la terza fonte di esposizione all'amianto in Italia. Il numero di esposizioni professionali definite nei casi di malattia per mesotelioma certo, probabile o possibile, segnalati al ReNaM per categoria economica, tra il 1993 e il 2012, è infatti di 999 casi nel settore navale. Al primo posto c'è l'industria metalmeccanica, con 1.243 casi, seguita dall'industria tessile, con 1.009 casi. I casi complessivi sono 15.014 tenendo conto di tutte le categorie economiche. Rimane confermato il rapporto territoriale del Fvg circa l'incidenza dei mesoteliomi. Negro lo ha spiegato con un'altra slide: negli ultimi quindici anni sono stati censiti 1.109 casi di mesotelioma («quasi tutti sono deceduti»). Il 75% sono appannaggio dell'area isontina e giuliana. Altro elemento: l'età media alla diagnosi del mesotelioma è di 70 anni, senza evidenti differenze di genere (70,2 anni nelle donne, 68,8 negli uomini). Negro ha poi proiettato sul maxischermo una "torta": su 36 casi di mesotelioma da esposizione domestica, il 61% riguarda le mogli degli ex esposti amianto. E il 25% riguarda i figli. Le madri rappresentano il 9% e i fratelli il 5%.Elementi che hanno fatto eco a quanto esposto dal direttore del Centro regionale di riferimento unico dell'amianto, Paolo Barbina. Che peraltro ha esordito spiegando: «Oggi dovrò visitare un paziente con sospetto mesotelioma. Un paziente giovane». Il quinto di quattro casi già passati alla sua attenzione, donne risultate affette da tumore pleurico o placche pleuriche tra i 48 e i 61 anni. Barbina, che ha snocciolato una lunga serie di cifre e percentuali in ordine all'attività del Crua, alla fine ha tirato le somme: «La sorveglianza sanitaria degli ex esposti amianto serve», sebbene, è stato comunque osservato, si nota una diminuzione di persone che afferiscono alle visite di controllo. Barbina su tutto ha posto l'accento sul piano sociale: «La sorveglianza sanitaria va fatta al fine di poter instaurare corretti interventi non solo sanitari, ma anche dal punto di vista sociale». Il medico ha evidenziato che «uno sforzo notevole dev'essere fatto per semplificare i percorsi burocratico amministrativi per il riconoscimento della patologia ai fini previdenziali e assicurativi». E ha concluso: «È necessario un riordino normativo che non lasci l'amianto isolato rispetto alle restanti esposizioni agli agenti cancerogeni». Barbina ha esplicitato il concetto: «Io non esco dal lavoro con il camice. Così dev'essere per tutte le categorie professionali», ha detto facendo riferimento alle fibre artificiali vetrose.

Laura Borsani

 

"Incubazione" più lunga delle altre patologie
Corrado Magnani, professore dell'Università del Piemonte orientale, ha sintetizzato tre aspetti. È assodata la relazione per esposizione all'amianto e il mesotelioma. Inoltre, tanto maggiore è l'esposizione all'amianto accumulata nell'esperienza di vita quanto maggiore è il rischio di mesotelioma maligno. Quindi l'aspetto circa la latenza tra l'inizio dell'esposizione e la comparsa della malattia che per i mesoteliomi, pur non conoscendone le effettive motivazioni, è molto più lunga rispetto ad altre patologie. Per il 50% dei casi si parla di una latenza tra i 30 e i 40 anni. Una latenza particolarmente lunga per la tipologia tumorale da esposizione lavorativa e ambientale. Inoltre, studi più recenti rafforzerebbero il concetto secondo il quale l'accumulo di esposizione all'amianto è un fattore che incrementa il rischio di malattia, non dovuto quindi solo ad una esposizione iniziale.

 

Ambientalisti: nella centrale di Fianona il "carbone insanguinato" della Colombia
L'associazione "Zelena Istra-Istria verde" sostiene di avere le prove secondo le quali la Croazia importerebbe "carbone insanguinato" dalla regione del Cesar in Colombia, il quale viene poi utilizzato dalle centrali termoelettriche a Porto Fianona. Le informazioni sono scaturite da una ricerca condotta a fine luglio dalla "Zelena Istra-Istria verde" in Colombia, nei dipartimenti di Cesar e Magdalena, dove vivono le comunità legate alla Croazia dalla catena di fornitura del carbone insanguinato, il cui tragitto dalla Colombia all'Europa è segnato da violazioni dei diritti umani, violenza e interessi economici delle multinazionali del settore estrattivo. La ricerca è stata eseguita con il sostegno dell'organizzazione catalana Observatorio de la Deuda en la Globalizacion e l'associazione colombiana Tierra Digna. È il prosieguo del lavoro dell'associazione istriana nell'ambito del quale era stato scoperto che a Porto Fianona viene utilizzato il carbone estratto nella regione La Guajira, dove lo sfruttamento del carbone è la causa principale della mancanza di acqua potabile e di una grande povertà e crisi umanitaria, come pure dello sfollamento forzato degli abitanti nativi. Sempre secondo i dati raccolti dall'associazione istriana, la maggior parte del carbone importato dalla Croazia nel periodo tra il 2004 e il 2017 proviene proprio dalla regione di Cesar.

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 28 settembre 2017

 

 

Nasce a Duino Aurisina la Consulta del mare «Risorsa da valorizzare»

Istituzioni e associazioni chiamate a far parte della task-force Obiettivo: creare progetti e intercettare così i fondi europei

DUINO AURISINA - Valorizzare e promuovere tutte le attività legate al mare, dal turismo allo sport, dall'enogastronomia alla pesca. Questo l'obiettivo operativo della neocostituita "Consulta del mare", organismo creato dall'amministrazione guidata da Daniela Pallotta con una specifica delibera di giunta, che dovrà essere, negli intendimenti della giunta, «luogo di scambio di informazioni e proposte, di confronto e collaborazione con l'amministrazione per la definizione di programmi, indirizzi, proposte e iniziative». Un impegno notevole, visto che Duino Aurisina è una località che punta sullo sviluppo di tutto ciò che è legato al mare, per garantire una crescita economica del territorio. L'amministrazione sta pensando a una partecipazione allargata. Saranno invitati a entrare a far parte della compagine i rappresentanti di tutte le istituzioni pubbliche locali, dalla Regione alla Camera di commercio, dalla Capitaneria di porto agli ispettorati dell'agricoltura e delle foreste, dall'Ersa al Gal del Carso, per proseguire con i consorzi legati alla pesca, le associazioni nautiche che operano sul territorio e quelle che si occupano di immersioni, le associazioni ambientaliste e quelle dei consumatori. A presiedere la Consulta del mare sarà chiamato l'assessore per le Politiche del mare, Andrea Humar, ma sarà sempre invitato a partecipare anche il presidente della Commissione consiliare Ambiente. La Consulta sarà chiamata a riunirsi ogni due mesi. Il ragionamento fatto dalla giunta parte dal presupposto che esistono fondi strutturali di investimento europei, che operano grazie alla creazione del Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (Feamp) per il periodo 2014-2020. Tali fondi si integrano a vicenda e mirano a promuovere una ripresa basata sulla crescita e l'occupazione in Europa. Fondamentale anche la considerazione, contenuta nella stessa delibera, che valuta il mare e il relativo indotto come «una delle principali risorse del territorio, perché riguarda la pesca, l'itticoltura, la nautica, la Riserva marina delle Falesie, la balneazione e la tutela delle biodiversità». Il Comune fra l'altro fa parte del Gruppo di azione costiera del Fvg, organismo istituito nel 2012 con lo scopo di implementare sul territorio regionale di riferimento un Piano di sviluppo locale a beneficio del settore della pesca e dell'acquacoltura, le cui attività sono finanziate dal Programma operativo del Fondo europeo per la pesca del Fvg. Uno degli obiettivi del Comune è anche quello di entrare a far parte della Consulta delle città del mare, organismo promosso dall'Anci per formare una rete di sindaci dei comuni costieri al fine di costruire una voce più efficace nel dibattito sul demanio marittimo. «Con la Consulta - così Humar - intendiamo dare risposte a tutte le esigenze della parte costiera del nostro territorio, affrontando problemi come quelli legati a Castelreggio, alle barriere di difesa del Villaggio del pescatore, al regolamento della Riserva delle Falesie".

Ugo Salvini

 

 

Salta il tavolo sulla Ferriera, l'ira dei sindacati - Rinviato il confronto con le parti sociali atteso per oggi a Roma. Le sigle: «Piano industriale necessario»
Doveva essere il giorno della verità, il giorno in cui - per lo meno nelle aspettative dei lavoratori della Ferriera e dei loro rappresentanti - la proprietà avrebbe dovuto finalmente scoprire le carte e delineare quel piano industriale chiesto dai sindacati già nell'incontro che si era tenuto a Trieste lo scorso 4 settembre - dopo lo sciopero dei dipendenti sui nodi premi e sicurezza - e che l'azienda aveva appunto rimandato alla discussione che si sarebbe dovuta tenere proprio oggi a Roma in occasione dell'annunciato tavolo al ministero dello Sviluppo economico sul futuro dello stabilimento. E invece quel tavolo, in agenda oggi, è stato rinviato «a data da destinarsi». A darne conferma sono stati ieri gli stessi sindacati, con un breve comunicato stampa in cui «le segreterie territoriali di Fim, Fiom e Uilm, unitamente alle Rsu della Ferriera, stigmatizzano con estremo disappunto il rinvio, a data da destinarsi, del tavolo ministeriale con le organizzazioni sindacali previsto per domani 28 settembre (oggi, ndr) presso il Mise di Roma». «Questo a maggior ragione - incalza la nota diffusa dalla "triplice" dei metalmeccanici con i delegati di fabbrica - considerando l'incontro svoltosi ieri (martedì, ndr) presso il ministero dell'Ambiente che ha visto coinvolti gli stessi soggetti che si sarebbero dovuti sedere al tavolo con le parti sociali». «Alla luce della fermata in corso prevista per le manutenzioni e perdurando ancora l'incertezza sul piano industriale del gruppo, riteniamo non più rinviabile il confronto il sede ministeriale», il monito di Fim, Fiom e Uilm con le Rsu. Proprio martedì Regione e Comune avevano dato notizia di aver preso parte a un incontro al Mise alla presenza tra gli altri dei funzionari del ministero dell'Ambiente e dei rappresentanti della proprietà, in testa il cavalier Giovanni Arvedi. Un confronto che ha ribadito come sia in atto un delicato dibattito tra l'azienda pronta al riavvio dell'altoforno dopo gli attuali lavori di manutenzione straordinaria, la Regione che subordina l'eventualità al rispetto delle prescrizioni dell'Aia e il Comune secondo cui l'area a caldo va a chiusa. Forse è anche per l'esito dell'incontro di martedì che il tavolo, in programma da tempo, oggi non ci sarà.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 27 settembre 2017

 

 

Verde pubblico: l'operazione - Dai parchi alle aiuole spartitraffico - Il Comune lancia il Piano alberi
Un piano di manutenzione straordinaria degli alberi del Comune di Trieste. Dai parchi alle alberature lungo le strade. L'amministrazione comunale ha stanziato 600mila euro per l'anno in corso, divisi in quattro progetti esecutivi approvati nei giorni scorsi. La cifra, presente nel programma triennale delle opere 2017-2019, è finanziata mediante l'alienazione di titoli (ovvero azioni Hera). Il cronoprogramma dei pagamenti prevede 270mila euro nel 2018 e gli altri 330mila nel 2019. L'esecuzione dei lavori varia tra i 180 e i 420 giorni a partire dalla data del verbale di consegna dei lavori. Ora che la giunta ha approvato i quattro progetti esecutivi possono partire le gare di appalto. Il primo intervento di manutenzione ordinaria, da 200mila euro, riguarda le alberature lungo strada del Friuli, strada di Fiume, strada Nuova per Opicina, via San Pantaleone e via Flava. Oltre a queste saranno interessati anche tutti i tratti di strada di competenza comunale presenti nelle frazioni dell'altipiano. «Come avvenuto anche in passato - si legge nella relazione tecnica - saranno eseguiti interventi anche lungo la viabilità minore, spesso interessata dalla presenza di alberi e arbusti spontanei, a volte infestanti, causa di numerose interferenze con la circolazione stradale e pedonale oltreché con la segnaletica stradale». La manutenzione del verde lungo i bordi delle strade risponde all'esigenza di garantire un adeguato livello di sicurezza. Sono previsti gli abbattimenti di piante morte, malate o pericolose per la circolazione.Il secondo intervento di manutenzione, da 150mila euro, riguarda i tre parchi cittadini: Villa Giulia, Farneto (circa 97 ettari) e il parco attrezzato lungo la Strada Vicentina. Si tratta di tre siti di elevato pregio paesaggistico e naturalistico. Una cospicua parte delle risorse sarà destinata alla manutenzione straordinaria dei viali e delle cunette di sgrondo, attraverso la ricostituzione delle pavimentazioni danneggiate dagli agenti meteorici (in asfalto o in cubetti di arenaria). Un'altra importante parte sarà destinata alla completa sostituzione delle staccionate in legno sul piazzale del Ferdinandeo e sul parcheggio di via Marchesetti, vecchie di circa 16 anni. Non mancheranno interventi di arboricoltura e di miglioramento selvicolturale, «con il preciso obiettivo di prevenire schianti o caduta di rami in corrispondenza della viabilità interna ed esterna dei parchi». Per il Farneto è prevista inoltre la riqualificazione della viabilità adiacente all'Orto Botanico (Bosco Biasoletto) e l'asfaltatura del tratto che dà su piazzale Vivoda. Nel parco di villa Giulia sarà prolungata per 81 metri (220 metri quadrati) la pavimentazione in arenaria già esistente nel tratto che interseca via Monte San Gabriele. Saranno inoltre collocate due bacheche informative in legno agli ingressi del parco di Villa Giulia, di via dei Baiardi e via dei Muratori. Altri 150mila euro sono stati poi messi a disposizione per il rinnovo del patrimonio arboreo. L'intervento - come si apprende dalla relazione tecnica - «risponde alla necessita di reintegrare un'importante quota dei soggetti arborei abbattuti mediante la messa a dimora di 205 nuovi soggetti, con il principale obiettivo di ottenere una ricomposizione degli ambienti urbani interessati». Una goccia, ma importante, nel mare del verde cittadino. Si apprende, infatti, che le alberature presenti lungo i viali e nei parchi sono costituite da oltre 122mila soggetti arborei di cui circa 15mila censiti. Ogni anno vengono abbattuti mediamente 90 alberi ai quali si aggiungono 40 abbattimenti di piante disseccate o rese instabili da eventi meteorici. Nel corso della stagione 2016/2017 sono stati messi a dimora 270 alberi (dal giardino di piazza Libertà alle Rive, da Barcola a viale Miramare). Così in attesa di sostituzione sono rimasti circa 500 alberi. I 205 previsti dal nuovo piano riguardano il giardino di Villa Engelmann, quello di Villa Cosulich, colle di San Giusto, giardino Sartorio, parco pubblico di Altura, via Flavia, Prosecco e le vie di Borgo San Sergio.Il quarto intervento, da 100mila euro, riguarda la manutenzione straordinaria delle alberature nelle aree ex Ezit, lungo i bordi stradali, all'interno delle isole spartitraffico, nonché al di sotto dei cavalcavia della grande viabilità. Nel piano è prevista la potatura di tutti gli alberi di via Caboto oltre alla devitalizzazione delle ceppaie presenti all'interno delle aiuole che invadono i marciapiedi e a volte persino la carreggiata. Diversi alberi, pericolosi per la viabilità, saranno abbattuti.

Fabio Dorigo

 

L'esperto - Nimis: «La minaccia più grande arriva dalle specie infestanti»
Alcuni hanno nomi stravaganti, come Broussonetia papyrifera o Cameraria ohridella, altri decisamente più banali, come cancro dell'olmo o ailanto, ma tutti hanno in comune una cosa: sono i principali nemici del verde pubblico a Trieste. Si tratta di funghi e virus che attaccano gli arbusti fino a farli morire, ma anche di alberi infestanti, difficilissimi da estirpare, al punto che, se tagliati alle radici, acquistano nuova forza e si moltiplicano. A tracciare il quadro delle principali criticità presenti sul nostro territorio è il professor Pierluigi Nimis, docente di botanica sistematica all'Università di Trieste: «Il Comune fa benissimo a intervenire sugli alberi malati e pericolanti, che rischiano di crollare al primo colpo di bora - afferma -. Uno dei problemi più grossi del nostro territorio e che a mio avviso andrebbe affrontato quanto prima, però, è quello delle specie invasive arboree e in particolare dell'ailanto. Si tratta di un albero infestante che ha la tendenza a crescere sui muri ed è il responsabile di tanti crolli, ma anche della rottura di marciapiedi e pavimentazioni. A Trieste è diffusissimo».Il famigerato ailanto è molto difficile da estirpare e la sua eliminazione comporta costi elevati. «Non basta tagliarne le radici, anzi, facendolo si ottiene l'effetto opposto - sottolinea Nimis -. Faccio un esempio: nell'ottobre del 2015 il Comune aveva tagliato una pianta di ailanto su un muro in via Pendice Scoglietto. Risultato: nella primavera successiva ne erano cresciute altre dieci e adesso c'è un vero e proprio bosco». Per Nimis la soluzione, seppur non semplice è una sola: «Serve un piano per l'eliminazione delle specie invasive nelle aree in cui possono produrre danni futuri. Bisogna più che altro prevenirne la crescita, in sostanza». Oltre all'ailanto, un'altra specie infestante che si è diffusa in città è la Broussonetia papyrifera, conosciuta anche come "gelso da carta". La sua eliminazione, in questo caso, risulterebbe meno difficoltosa rispetto a quella dell'ailanto. Alle piante infestanti si aggiungono poi le malattie che colpiscono ippocastani, olmi e platani nei nostri parchi: «Tutti gli alberi che crescono in un ambiente urbano sono soggetti a malattie - precisa Nimis -. A Trieste diversi ippocastani sono stati infestati da un lepidottero, la Cameraria: solo nell'area del "Castelletto" abbiamo dovuto abbatterne quattro. Fa bene quindi il Comune a individuare gli arbusti malati e intervenire prima che diventino pericolosi».

Elisa Lenarduzzi

 

"Adotta un'aiuola" al via - E Duino Aurisina scopre il verde a misura di tutti
Varato dal Consiglio comunale un progetto che dà la possibilità a cittadini e associazioni di prendersi cura degli spazi pubblici
DUINO AURISINA - Adottare un'aiuola, per abbellirla, tenerla pulita, trasformarla in un elemento di attrazione del territorio. A Duino Aurisina ora si può. Grazie a una delibera approvata all'unanimità dal Consiglio comunale, associazioni, comunelle e imprese potranno d'ora in poi avanzare richieste che vanno in tale direzione e diventare gestori di piccole aree verdi. Obiettivo dichiarato dell'amministrazione quello di «favorire la partecipazione della cittadinanza nel processo di cura del territorio - si legge nel testo della delibera - per migliorare la qualità del verde pubblico e per ottimizzare la manutenzione delle numerose piccole aree verdi presenti nel territorio, affidandone la cura ad associazioni, comunelle e imprese locali».«Si tratta di una svolta sotto tutti i punti di vista - commenta l'assessore Andrea Humar, presentatore della proposta in aula - perché la valorizzazione del territorio, in un Comune come il nostro, che vede nel turismo una delle sue principali risorse, è fondamentale e questo è un piccolo ma significativo passo sulla strada della compartecipazione della collettività alla gestione di un bene comune come possono essere le aiuole». Ma non basta. Nello spirito di un ampliamento del concetto di condivisione, nel testo è prevista la possibilità di estendere la convenzione anche alle aree verdi situate nei pressi dei monumenti e alle fontanelle. «Ne abbiamo almeno una quindicina - riprende Humar, titolare, fra le altre, delle deleghe per i servizi sul territorio, l'ambiente e i parchi, riferendosi proprio alle fontanelle - e sono quasi tutte ferme. Ne funziona solo qualcuna. Vogliamo che tornino tutte a zampillare perché anch'esse, se ben curate, contribuiscono ad abbellire il territorio, a renderlo più attrattivo, capace di calamitare l'attenzione e l'interesse dei turisti». Anche in questo caso, i destinatari della proposta dell'amministrazione sono associazioni, comunelle e imprese. La convenzione che questi soggetti andranno a stipulare con l'amministrazione, che resterà in ogni caso regista delle varie operazioni di manutenzione che si andranno a eseguire, avrà durata di un anno ma sarà di volta in volta rinnovabile e comprenderà anche la indispensabile copertura assicurativa, a garanzia di tutti i soggetti coinvolti. Per il Comune tutte le operazioni che rientreranno in questo contesto saranno gratuite: il soggetto che si impegnerà a curare aiuole, fontanelle o aree verdi, lo farà utilizzando mezzi e attrezzature proprie e non potrà chiedere alcun compenso all'amministrazione. Ovviamente i soggetti incaricati potranno interrompere in qualsiasi momento la loro opera, dandone comunicazione all'amministrazione con un preavviso di 15 giorni. Il Comune, da parte sua, avrà sempre facoltà di revocare l'autorizzazione concessa, in caso di mancato rispetto delle regole contenute nel testo della convenzione. Eventuali interventi di straordinaria manutenzione dovranno essere preventivamente concordati con l'amministrazione. Le aiuole e le fontanelle che diventeranno oggetto della convenzione saranno appositamente segnalate con cartelloni che saranno realizzati dai soggetti incaricati della manutenzione.

Ugo Salvini

 

Mais Ogm - Assolto Fidenato
PORDENONE - Il leader di Agricoltori Federati paladino del mais transgenico Giorgio Fidenato è stato assolto ieri a Pordenone dal Tribunale penale dall'accusa di aver violato il divieto di semina di mais Ogm nel 2014 nei suoi terreni di Fanna e Vivaro (Pordenone). «È l'epilogo normale di quanto ha stabilito la settimana scorsa la Corte di giustizia europea - ha commentato - era scontato che venissi prosciolto visto che la sentenza comunitaria è preminente su quella nazionale».

 

 

Dossier Ferriera a Roma - Resta il braccio di ferro sul futuro dell'altoforno - La Regione: «Aia da rispettare». Il Comune: «Va chiuso»
Proprietà pronta al riavvio alla fine dei lavori all'impianto
Siderurgica Triestina intende riprendere la piena produzione ma per Roberto Dipiazza la chiusura dell'area a caldo della Ferriera dev'essere definitiva, mentre la Regione aspetta la valutazione Aia. Intanto l'Arpa ha reso noto che è pronta la nuova bocca per l'altoforno dell'impianto di Servola. È quanto emerso ieri a Roma al Ministero dello Sviluppo economico, dove si sono incontrati rappresentanti del Ministero dell'Ambiente, la Regione, il Comune di Trieste, l'Autorità portuale e Siderurgica Triestina. La riunione era stata convocata dal responsabile dell'unità di gestione vertenze imprese in crisi Gianpietro Castano, allo scopo di verificare lo stato dei lavori di ampliamento del laminatoio e di inserimento di un impianto di decapaggio nell'area a freddo. Durante l'incontro Siderurgica Triestina ha ribadito la necessità di ottenere l'autorizzazione per il laminatoio in tempi brevi e parallelamente ha assicurato di essere in grado di riprendere la piena produzione al compimento dei lavori sull'altoforno. A tal proposito Giovanni Arvedi si è espresso garantendo la tutela della salute delle persone e dei territori: «Le azioni svolte fino a questo momento sono state importanti. Da parte nostra c'è l'impegno a rispettare la salute e l'ambiente grazie anche a nuove tecnologie». Roma nel 2015 aveva autorizzato con un decreto l'azienda siderurgica ad avviare dei lavori di ampliamento del capannone dove si svolge l'attività a freddo, i quali prevedono l'inserimento di un impianto di decapaggio. Il procedimento autorizzativo risulta tuttavia sospeso in attesa del parere della Regione. Quest'ultima si riserva di pronunciarsi sul tema al termine del processo di valutazione di impatto ambientale, al momento in corso. Ha dichiarato l'assessore all'Ambiente Sara Vito: «L'intervento sarà giudicato solo al termine della valutazione sull'impatto ambientale. Appare in ogni caso come un'ipotesi sostenibile e al contempo un'occasione di rafforzamento dell'occupazione». E ha aggiunto: «La ripartenza della piena produzione, una volta finiti i lavori sull'altoforno, sarà possibile solo dopo la verifica del rispetto delle prescrizioni previste dall'Autorizzazione integrata ambientale». Sull'area a caldo, Vito ha ricordato che «a seguito degli sforamenti rilevati nelle deposizioni di giugno è stata ordinata la limitazione della produzione. Ciò ha comportato un'anticipazione degli interventi di manutenzione dell'altoforno: interventi che erano già programmati in precedenza e che adesso sono in corso di effettuazione». Il sindaco Roberto Dipiazza dal canto suo ha ribadito la necessità di chiudere definitivamente l'area a caldo. Ha affermato: «Siamo chiaramente favorevoli ai posti di lavoro che l'ampliamento del laminatoio potrà creare ma non ne possiamo più dell'area a caldo, che non è un problema solo per Trieste ma anche per Muggia e Capodistria, come abbiamo potuto vedere dagli spolveramenti di quest'estate». Ha proseguito il sindaco: «Abbiamo ribadito la nostra massima disponibilità per lo sviluppo della linea a freddo dello stabilimento, ma anche la posizione della città relativamente alla necessità della chiusura dell'area a caldo, visti i problemi che provoca». Al summit romano erano presenti anche il direttore generale del Comune Santi Terranova, il capo di Gabinetto Vittorio Sgueglia Della Marra e il segretario generale dell'Autorità portuale Mario Sommariva. Nel frattempo l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente ha reso noto che la nuova bocca dell'altoforno è arrivata: «Sarà installata nei prossimi giorni - ha fatto sapere attraverso un comunicato -. Lo spegnimento dell'altoforno è preceduto da una fase preparatoria di diversi giorni. Questo spiega i rumori sentiti a Servola la notte tra 24 e 25 settembre: durante la transizione possono ancora verificarsi delle sovrappressioni con l'apertura delle valvole di sicurezza. Sempre il 25 settembre è stata interrotta l'alimentazione dell'aria calda»

Lilli Goriup

 

 

Muggia e Barcolana unite nel segno delle bici  - Presentata la pedalata da piazza Marconi a Punta Sottile in programma nella domenica della regata

MUGGIA - Un inedito connubio fra barche a vela e biciclette. Questa la formula, denominata "Barcolana in bici", che saluterà, nel giorno della Barcolana, l'ingresso ufficiale del Comune di Muggia nella compagine organizzativa della Regata d'Autunno. Nella mattinata della Barcolana, domenica 8 ottobre, tutti i cicloamatori che avranno dato la loro adesione alla manifestazione arriveranno a punta Sottile, al termine di un percorso che inizierà in piazza Marconi, a Muggia. Potranno così salutare dalla riva i partecipanti alla regata, impegnati in uno dei passaggi più spettacolari, cioè quello attorno alla boa situata proprio di fronte a punta Sottile. Obiettivo degli organizzatori, quello di accomunare, in un ideale abbraccio, gli appassionati di due discipline che hanno entrambe come caratteristica l'amore per la natura. Ma il programma della giornata comprenderà anche altri momenti: già alle 9.30, coloro che amano i percorsi più lunghi in bici, potranno presentarsi all'appuntamento fissato dalla Fiab "Trieste Ulisse" in piazzale Valmaura, da dove si pedalerà per arrivare in piazza Marconi, in tempo per aggregarsi al gruppo che partirà dal centro di Muggia diretto a Punta Sottile, scattando in esatta contemporanea con il colpo di cannone che segna, tradizionalmente, la partenza della Barcolana. In piazza Marconi, a rendere ancor più suggestiva la partenza dei ciclisti, ci saranno i rappresentanti del Carnevale di Muggia, che stanno preparando per quella giornata festose sorprese per tutti. All'arrivo a punta Sottile ci sarà Maxino, per un breve concerto. Nell'arco della mattinata sarà conferito il premio "Morbìn" al bambino, alla donna e all'uomo che avranno indovinato la maschera più divertente e adatta alla situazione, nello spirito più autentico del Carnevale muggesano. «Muggia era ed è un interlocutore naturale della Barcolana - ha detto in sede di presentazione dell'evento Mitja Gialuz, presidente della Società velica Barcola Grignano, organizzatrice della Barcolana - e questo nuovo arrivo permette alla nostra regata di allargare i propri orizzonti. Il nostro ringraziamento per questa novità va a Laura Marzi, sindaco di Muggia, a Dario Motz, presidente del Circolo della vela di Muggia e a tutti coloro che si adopereranno per la riuscita dell'evento. Abbiamo anche messo in palio una bicicletta - ha aggiunto - che andrà al primo muggesano classificato nella classe "crociera", per dare un segnale in vista delle prossime edizioni. Il fatto che si sia scelta la formula della pedalata non competitiva - ha concluso - rispecchia appieno lo spirito della Barcolana». Marzi ha sottolineato «l'importanza dell'iniziativa per la promozione del territorio muggesano». All'organizzazione della "Barcolana in bici" partecipano anche Bora.La e Circolo della Vela di Muggia.

 

 

INIZIATIVA DIDATTICA - La Grande Macchina del Mondo per capire lo sviluppo sostenibile

Dopo il successo delle prime due edizioni, torna La Grande Macchina del Mondo, il programma gratuito di iniziative didattiche del Gruppo Hera e promosso da AcegasApsAmga. La proposta educativa che abbraccia i temi legati alla sostenibilità, è rivolta a tutte le scuole di Trieste, dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di primo grado. Dal 25 settembre, è possibile iscriversi fino a sabato 21 ottobre, compilando il modulo on-line all’indirizzo, sempre disponibile: www.gruppohera.it/scuole. Grazie a La Grande Macchina del Mondo gli insegnanti possono scegliere fra un catalogo di attività che spaziano su ambiente (recupero, riciclo, prevenzione della produzione del rifiuto), acqua ed energia: si tratta in tutto di 27 proposte, completamente gratuite per le scuole richiedenti. Una volta consultato il catalogo, disponibile sia on-line (area scuola del sito istituzionale www.acegasapsamga.it), che cartaceo presso la sede AcegasApsAmga, gli insegnanti potranno richiedere la partecipazione alle attività, iscrivendosi al link sopra indicato. La Grande Macchina del Mondo è realizzata in collaborazione con il Comune di Trieste e le cooperative sociali Atlantide e La Lumaca, oltre al WWF - Area Marina Protetta di Miramare che cura la parte didattica operativa nel territorio. Giunta alla sua 3° edizione, La Grande Macchina del Mondo, ha già dimostrato un ampio apprezzamento da parte degli insegnanti del territorio servito. Nella 2° edizione il progetto, nel solo Comune di Trieste, ha coinvolto circa 130 classi da oltre 30 scuole, per un totale di oltre 2.600 bambini sui 9.500 coinvolti in tutto il territorio servito da AcegasApsAmga. Il programma è frutto di un'ampia esplorazione effettuata dalla multiutility fra le maggiori e più quotate realtà nazionali operanti nel campo della didattica ambientale, si basa su un’offerta in grado di coinvolgere i bambini su temi strategici per il futuro del Pianeta.

 

 

 

 

BREVI - MARTEDI', 26 settembre 2017

 

 

Inquinamento delle acque e conseguenze sulla catena alimentare umana e sulle rotte marittime.
È il tema di un incontro organizzato dal Propeller Club di Trieste che si e' tenuto all’Hotel Greif Maria Theresia di Trieste con ill titolo “Un mare di plastica: inquinamento delle acque, conseguenze sulla catena alimentare umana e sulle rotte marittime”. I relatori hanno evidenziato che le conseguenze dell'inquinamento marino causato dalla plastica sono state recentemente riportate alla ribalta della cronaca quotidiana a seguito degli ultimi studi scientifici, che descrivono, di fatto, una catastrofe annunciata. Anche se il Mare Mediterraneo e l'Adriatico risultano tra i meno inquinati, la mappa della distribuzione delle microplastiche nelle acque del pianeta non lascia spazio a grossi dubbi sulla reale portata del fenomeno. Nel corso dell'incontro si e' accennato piu' volte alla questione delle “isole di plastica”, superfici di detriti estese quanto uno Stato europeo, tanto da essere note alle navi commerciali che talvolta deviano le proprie rotte per evitarle. Sono intervenuti: Maria Cristina Pedicchio, presidente dell'Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS), Paola Del Negro, direttrice della sezione di Oceanografia dell'OGS, Roberto Gasparetto, direttore generale dell'AcegasApsAmga, Mario Carobolante, presidente del Collegio Capitani di Trieste e Carlo Franzosini della Riserva di Miramare.

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 26 settembre 2017

 

 

In partenza la bonifica nei giardini inquinati - Priorità al nuovo manto erboso fuori dalle scuole don Chalvien e Biagio Marin. La "carta" del fito-rimedio
Scatta tra qualche giorno, ai primi di ottobre, il piano di bonifica del Comune per risolvere una volta per tutte l'annoso problema dei giardini inquinati. Si comincia con le due scuole in cui sono state rinvenute tracce di contaminazioni superiori ai limiti di legge: la don Chalvien di via Svevo e la Biagio Marin di via Marco Praga. Qui, hanno confermato in conferenza stampa gli assessori ai Lavori pubblici Elisa Lodi e all'Ambiente Luisa Polli, i tecnici procederanno con lo "scotico" (l'asportazione) di 20 centimetri di terreno e la successiva sostituzione con altri 30. Un modo per ricreare un nuovo manto erboso. In questa prima fase, ha precisato Lodi, si provvederà anche alla posa di ghiaia e zolle nelle aree gioco del Tommasini di via Giulia, di piazzale Rosmini e della pineta Miniussi di Servola. Le aree verdi, hanno garantito i due assessori, saranno sottoposte a interventi di pulizia e manutenzione a cadenza quadrimestrale. «I lavori delle scuole - così Lodi e Polli - saranno svolti in massima sicurezza, evitando rischi di contaminazioni di poveri inquinate, e si concluderanno entro 100 giorni. Gli interventi di manutenzione avranno invece una durata annuale». L'iter prevede anche un secondo step: la semina di piante capaci di assorbire le sostanze tossiche del terreno. È il fito-rimedio, tecnica su cui il Comune punta molto. A questo proposito il Municipio ha avviato uno studio, anche in collaborazione con l'Università e l'Arpa. Il progetto dovrebbe concludersi già tra la fine di ottobre e la prima metà di novembre, così da poter iniziare con le nuove piantumazioni nella prossima primavera. La soluzione del fito-rimedio è frutto della volontà espressa da commissioni e Consiglio comunale ed è stata approvata dal ministero della Sanità. «Il piano predisposto dall'amministrazione comunale in accordo con il tavolo tecnico regionale - ha rilevato Polli - è stato approvato dal ministero. Questo ci consente da una parte di partire con una pulizia immediata dei giardini della scuole e successivamente d'intervenire con il fito-rimedio nelle restanti parti verdi che sono state individuate. Tutto ciò rientra in uno stralcio del Piano regionale per l'inquinamento diffuso. Una volta effettuato il risanamento, attraverso il previsto monitoraggio che potrà contare sull'utilizzo di specifici deposimetri, sarà possibile anche verificare ed individuare le fonti inquinanti».

Gianpaolo Sarti

 

Giù le tasse a Muggia per chi si prende cura del verde pubblico
MUGGIA - L'area del monte Castellier, il castello di Muggia, il parcheggio della farmacia di Aquilinia, il campo di basket di Zindis, le aiuole di largo Caduti della libertà. Sono solo alcune delle zone che verranno curate da residenti e associazioni muggesane da ottobre a dicembre in cambio di uno sconto sulle tasse. In palio, da spalmare, ottomila euro. Il piano pulizie rientra nella cosiddetta "Cittadinanza attiva" promossa dal Comune. «La gestione dei beni comuni condivisa tra amministrazione e cittadini è tema di attualità in tutto il Paese: l'idea di un impegno civico costante si sta facendo strada anche nel nostro Comune e sono sicura che, oltre alle persone che hanno già aderito, ce ne sono molte altre pronte a dare una mano», racconta l'assessore Laura Litteri. Grazie a tanta buona volontà da ambo i lati, infatti, a Muggia non sono mancati esempi di collaborazioni riuscite. Ora, però, il Comune ha deciso di compiere un salto di qualità, sostenendo proposte progettuali di collaborazione di cittadini singoli e/o associati aventi ad oggetto "interventi complementari e sussidiari alle attività svolte dall'amministrazione comunale, volti a promuovere lo sviluppo della cittadinanza attiva, la cura del territorio e la tutela del decoro urbano". Le modalità per aderire? Semplici. Bisogna iscriversi all'albo della Cittadinanza attiva, descrivere brevemente quello che si intende fare e presentarlo agli uffici del Comune e poi sottoscrivere un Patto di collaborazione. Il Comune premierà il cittadino volonteroso con degli sconti sulle tasse locali. «Concretamente, il controvalore dei progetti sin qui definiti con la firma del Patto di collaborazione per il periodo ottobre-dicembre si attesta intorno agli ottomila euro», aggiunge Litteri. Tali esenzioni-riduzioni verranno applicate su imposte o canoni dovuti nell'anno successivo rispetto a quello in cui l'intervento viene realizzato, quindi nel 2018, e saranno determinate in ragione del valore economico e sociale del progetto proposto e definito nel Patto. Una volta conclusi gli interventi, quindi, gli interessati - attraverso un apposito modulo - ne daranno comunicazione al Comune che potrà procedere alle necessarie verifiche a seguito delle quali potranno essere riconosciute le detrazioni. Il Comune ha individuato per ora undici aree di intervento che possono costituire oggetto di presa in carico totale o parziale da parte dei cittadini. Ecco la mappa: Aquilinia (a fianco della farmacia), Montedoro (a fianco del market), spazio pubblico a Chiampore, via San Giovanni (i condomini a fianco della Coop), salita Muggia Vecchia, via Mazzini, incrocio tra via Frausin e via Matteotti, largo Caduti, giardino e area sotto il Castello, e infine l'area gioco della scuola di Zindis (parco Robinson). «Sono interventi prevalentemente di manutenzione e pulizia di aree verdi - conclude Litteri - con in alcuni casi l'abbellimento del verde, o interventi di pulizia e cura di spazi urbani, con opere di micromanutenzione quali ad esempio piccole riparazioni, pitturazioni, sistemazioni di panchine e pulizie della segnaletica».

Riccardo Tosques

 

 

PORTO VECCHIO - La firma sul rilancio - Il via dalla rotatoria -
Regione, Comune e Authority siglano l'intesa col ministero sui 50 milioni per l'antico scalo: polo museale, Icgeb e viabilità
Comincerà dalla realizzazione della rotatoria di viale Miramare il piano di riqualificazione del Porto vecchio, di cui è stato firmato ieri l'accordo operativo da 50 milioni da parte di Regione, Comune e Autorità portuale. Viene dunque messo nero su bianco l'impegno delle istituzioni locali, d'intesa con il ministero dei Beni culturali, ad attuare le prime misure previste dal Cipe nel 2016 per gli interventi legati alla creazione del polo museale, al trasferimento dell'Icgeb, alla sistemazione dell'Ursus e alle opere di viabilità e infrastrutturazione per il funzionamento dell'area. Le risorse sono state riconosciute dal governo con l'obiettivo di realizzare il Museo del mare nei 10mila metri quadrati dei magazzini 24 e 25, il cui restauro e successivo allestimento prevedono un costo complessivo di 23 milioni. La seconda parte del finanziamento - pari a 10 milioni - è destinata al trasferimento dell'International centre for genetic engineering and biotechnology al magazzino 26: la collocazione assorbirà 20mila metri quadrati su 35mila e la parte restante potrebbe essere occupata dall'Immaginario scientifico, di cui è allo studio il possibile trasloco. Le infrastrutture urbane (illuminazione e reti elettriche, idriche e fognarie) richiederanno 9 milioni e altri 5 saranno investiti sulla viabilità interna e sulla rotatoria da imboccare in viale Miramare. Gli ultimi 3 milioni sono assegnati al recupero dell'Ursus. Nel corso della stipula, la presidente Debora Serracchiani ha ribadito la sua intenzione di «sottoporre al Comune e all'Autorità portuale la proposta di costituire una società di scopo, che coinvolga anche le più importanti realtà economiche del territorio, per attrarre investimenti internazionali, idee e competenze per il recupero e il rilancio dell'intera area». Sarà questa società, nelle intenzioni delle istituzioni, a valutare le proposte che dovrebbero essere raccolte sulla base delle linee strategiche preparate da Ernst&Young, ma criticate ieri dal sindaco Roberto Dipiazza, secondo cui «è discutibile un piano costato 200mila euro e non tradotto in inglese».Dipiazza mostra comunque ottimismo: «È un momento molto importante per il presente e il futuro di Trieste, che non ha mai avuto il vento in poppa come ora. Lavoriamo tutti insieme, di comune accordo come non è mai successo». Gli uffici del Comune hanno approntato in estate la prima fase di progettazione, senza aspettare la firma dell'intesa. «In questo modo - spiega Dipiazza - già nel pomeriggio incontrerò il soprintendente del Fvg Corrado Azzollini, per affrontare il nodo della viabilità, a partire dalla rotonda a 500 metri dal ponte di ferro di Barcola». Al centro del confronto anche il parcheggio sul terrapieno, da destinare alle società nautiche. La progettazione esecutiva dovrà essere conclusa entro il 2019 e Dipiazza promette che «per il 2020 saremo pronti per l'arrivo degli scienziati di Esof». Il sindaco corre parecchio rispetto alle effettive possibilità di realizzazione, ma Serracchiani lo spalleggia: «Oggi apriamo il Porto vecchio e definiamo tempi e ruoli dei vari soggetti», tra cui quello della Regione che, in qualità di beneficiario del contributo, farà sostanzialmente da cassa, mentre Comune e Autorità portuale svolgeranno il ruolo di soggetti attuatori. Il presidente dello scalo, Zeno D'Agostino, ha rimarcato il valore dell'operazione: «Qualcuno diceva che i 50 milioni non c'erano e invece ci sono e ci saranno. Sono i primi 50 milioni necessari ed è chiaro che ne servono altri». Per la governatrice, «il lavoro da fare è molto e questo intervento riguarda solo un piccolo pezzo dell'area, ma cominciamo intanto a spendere i soldi che abbiamo ottenuto e intanto lavoriamo per attrarre nuove risorse». Per il capogruppo alla Camera, Ettore Rosato, «si tratta di un passo avanti importantissimo sul percorso che riguarda il futuro della nostra Trieste. Il governo ha investito molto sulla città e altre risorse potranno arrivare prossimamente, se sapremo dimostrare capacità di spendere presto e bene». Solo un elemento del piano divide Regione e Comune, con Dipiazza e Serracchiani lontani sul valore attribuito all'Ursus. La presidente ha puntualizzato che «l'unicità a livello europeo di Ursus verrà finalmente valorizzata, facendolo diventare un simbolo di Trieste, grazie a lavori che prevedono la musealizzazione della sala macchine e l'installazione sulla gru di un ascensore a scopo turistico». A suo tempo, il sindaco si era augurato l'affondamento dello storico pontone e anche ieri non ha risparmiato una frecciata: «La prima notte di bora taglierò gli ormeggi e lo lascerò libero di andare per l'Adriatico», ha scherzato, venendo subito rimbrottato altrettanto ironicamente da Serracchiani: «Ursus sarà guardato a vista».

Diego D'Amelio

 

Sèleco in Porto vecchio con 50 posti di lavoro - L'azienda produttrice di tv attratta dai vantaggi della zona franca di Trieste
Previsto a giorni il trasferimento in città anche della sede legale ora a Milano
Sèleco, lo storico marchio italiano produttore di elettrodomestici ed elettronica di consumo, trasferisce la sua sede legale e il suo stabilimento produttivo a Trieste. L'Autorità portuale ha appena rilasciato un'autorizzazione di anticipata occupazione del Magazzino 5 in Porto vecchio. È la prima azienda che opera in ambito non portuale a sbarcare a Trieste - prospettando una cinquantina di posti di lavoro -, attratta dall'accelerazione sul regime di zona franca. È l'inizio di un processo che il presidente dell'Autorità portuale dell'Adriatico Orientale, Zeno D'Agostino, aveva anticipato all'entrata in vigore del decreto che regolamenta le nuove free zone di Trieste. Allora infatti raccontò di una decina di investitori fortemente interessati alla zona extradoganale, aggiungendo che entro la fine dell'anno avremmo assistito ai primi insediamenti di nuove aziende che opereranno in regime di Punto franco anche per realizzare trasformazioni industriali. «L'anticipata occupazione è stata rilasciata per consentire alla Sèleco di iniziare immediatamente i lavori che permetteranno di mettere a norma quella struttura e di trasformarla nel loro stabilimento - precisa D'Agostino che non nasconde soddisfazione per la riuscita dell'operazione -, ora servono i tempi tecnici per sbrigare questioni amministrative e poi nell'arco di qualche settimana verrà rilasciata la concessione». A operare in attività non portuale in regime di zona franca c'è già anche Saipem, la società del gruppo Eni di carattere logistico-marino, titolare di una concessione decennale in forza della quale gestisce l'area su cui è operativo il capannone 23. Il magazzino 5 dove sbarcherà Sèleco è invece adiacente alla sede distaccata dei Vigili del fuoco in Punto franco vecchio, e vanta un'estensione di 6mila metri quadrati. Sèleco spa attualmente ha sede legale a Milano e strutture operative nel capoluogo lombardi e a Como. Ma il marchio di tv venne fondato nel 1965 a Pordenone. Nei mesi scorsi era stata annunciata la riapertura con rilancio proprio dello storico stabilimento produttivo di Pordenone. Un progetto che comunque non verrà abbandonato, precisano dell'azienda, anche se l'operazione Trieste ne farà inevitabilmente slittare i tempi. «Abbiamo deciso di ripartire proprio dal Fvg e da Trieste in particolare - spiega Aurelio Latella, consigliere di amministrazione delegato di Sèleco e di origini triestine - attratti certamente dal regime di Porto franco, ma anche dal fermento che si respira oggi in questa città che ha caratteristiche che incarnano il nostro progetto legato all'innovazione. Non si tratta però di un addio a Pordenone: la città si inserirà in un progetto più ampio». Entro una decina di giorni la sede legale verrà spostata a Trieste in uno studio professionale sulle Rive. «Siamo felicissimi per l'anticipata occupazione - dichiara Latella -, a breve partirà il progetto operativo per convertire il magazzino nello stabilimento in cui faremo progettazione, assemblaggio, stoccaggio e commercializzazione». Entro pochi mesi verranno aperti a Trieste gli uffici amministrativi della spa «mentre per l'inizio della produzione e l'entrata a regime dello stabilimento servirà più tempo ma meno di un anno», assicura. L'azienda avvierà anche nuove assunzioni. «A regime, nella prima fase, lavorerà una cinquantina di persone», valuta Latella. L'idea di spostare la sede a Trieste è nata di recente. «Ad agosto con esattezza - racconta il manager -, abbiamo colto che quell'area stava diventando il punto di massima energia del territorio, con opportunità incredibili, peculiarità uniche supportate anche da un grande sostegno delle istituzioni». Sèleco, nei mesi scorsi, ha affidato a dei professionisti triestini uno studio di valutazione sui vantaggi che l'azienda avrebbe tratto dall'operare in regime di zona extradoganale. Viste le prospettive, il cda ha deliberato per lo spostamento. «Devo sottolineare che le istituzioni, Autorità portuale e Comune, hanno dimostrato concretezza, competenza e rapidità: valori aggiunti per un'azienda che intende prendere una decisione così importante», aggiunge Latella. Il quale, in veste anche di imprenditore nell'ambito dell'innovazione e del design, anticipa che «Sèleco farà da apripista per altri progetti, ora allo studio, per quella zona». Il gruppo Sèleco, proprietario anche del marchio Magnadyne e produttore pure delle cuffie audio e radio Dab, ha da sempre una particolare sensibilità per lo sport. Oggi è sponsor della Lazio, del Napoli basket, della Pallanuoto Catania e con il marchio Magnadyne dell'Udinese e della Spal. Un aspetto che lascia intravedere la possibilità di veder comparire il logo Sèleco anche sulle maglie della Triestina calcio

Laura Tonero

 

 

«Recuperi saltuari» - Bocciato a San Dorligo il "porta a porta"
I residenti lamentano la scarsa frequenza del ritiro dei rifiuti - E alla fine c'è chi li carica in auto e cerca altrove un cassonetto
SAN DORLIGO DELLA VALLE - C'è malumore tra i residenti di San Dorligo della Valle per il nuovo sistema di raccolta differenziata introdotto dallo scorso 1° luglio: nel mirino, in particolare, il ritiro cadenzato dell'immondizia nei diversi giorni della settimana, prassi che costringe i residenti a tenere in casa, per giorni, i sacchetti pieni di rifiuti con tutti i problemi legati agli odori e alla presenza di insetti.«I passaggi degli addetti alla raccolta non sono frequenti e chi vive in appartamento, senza avere la possibilità di uno spazio all'esterno dove sistemare le immondizie, ha serie difficoltà: alcuni rifiuti puzzano» sostengono i residenti. «I sacchi appesi fuori dai cancelli per ore, poi, non sono certo uno spettacolo degno del nostro bel territorio. Senza contare che quando c'è Bora forte si spaccano» aggiungono. «Con un sistema così complesso c'è il rischio che i residenti si carichino i sacchi della spazzatura in automobile per gettarli nel primo bottino che incontrano sulla strada per Trieste» rincara la dose il consigliere comunale dell'opposizione Boris Gombac.La riorganizzazione della raccolta prevede che la A&T 2000, l'azienda incaricata del servizio, passi a raccogliere il secco, l'indifferenziata, che va posta nei sacchetti rosa, ogni mercoledì. Plastica e lattine vanno sistemati in sacchetti azzurri e vengono ritirati il giovedì. I sacchi vanno esposti entro le 7 del giorno di raccolta e vengono raccolti entro il pomeriggio. I residenti si sono dovuti dotare di diversi contenitori: quello del vetro viene svuotato il giovedì, ogni due settimane; quello dell'organico il martedì e il venerdì, mentre quello blu della carta ogni due settimane in giornate diverse a seconda della zona.«Noi viviamo in un condominio a Lacotisce - racconta Miriam, che nei giorni scorsi ha anche chiamato il Comune per sollecitare la sistemazione di isole ecologiche almeno in determinate zone - e non abbiamo parti comuni dove sistemare i contenitori. Di conseguenza tutti tengono le immondizie per giorni e giorni in casa con evidenti problemi di odori e insetti». «Chi ha dei bimbi è costretto a tenersi per giorni interi i pannolini nei sacchetti, idem chi, ad esempio, deve cambiare la lettiera al gatto: è evidente che andando verso Trieste o in Slovenia la tendenza è quella di liberarsi delle immondizie altrove, nel primo cassonetto che si trova».Nonostante le critiche, il sindaco Sandi Klun è convinto della strada intrapresa: «Serviranno dei mesi per abituarsi - ammette -, ma presto si inizieranno a vedere i risultati. Il rischio che qualcuno confluisca altrove le immondizie c'è - valuta -, ma siamo gente che ha rispetto del territorio: confido molto nella civiltà e nella serietà nei miei cittadini. Per rifiuti come i pannolini - precisa - è previsto che si possa usare un sacchetto verde, di materiale più grosso e coprente, con un passaggio extra il sabato». Klun spiega che il nuovo sistema è stato introdotto con la volontà di superare il 65% della raccolta differenziata (obiettivo imposto dalla legge già per il 2012) e di migliorare la qualità dei rifiuti raccolti per avviarli al recupero, ottenendo maggiori contributi dai consorzi della filiera Conai. «Il sistema attuale di raccolta è più serio di quello precedente - osserva -. Prima c'era troppa indifferenziata, con costi di smaltimento importanti da sostenere».

Laura Tonero

 

 

Capodistria-Divaccia - ok dal referendum - Il governo avvia l'iter
Nascerà la società 2TDK che gestirà il progetto del raddoppio e avrà una concessione di 45 anni sulla nuova infrastruttura
LUBIANA - Raddoppio della linea ferroviaria Capodistria-Divaccia, scampato pericolo e ora il governo di Lubiana va avanti per la sua strada. Al referendum di domenica, infatti, hanno vinto i favorevoli alla legge che era stata varata dall'esecutivo per la realizzazione dell'importante infrastruttura che dovrebbe dare ossigeno al Porto di Capodistria e garantirne lo sviluppo commerciale. La consultazione popolare ha visto prevalere, come detto, i favorevoli alla legge con il 53,46% mentre ai contrari è andato il 46,54% pari a 161.562 voti. Per abolire la legge ne servivano comunque 342.706 ovvero il 20% degli aventi diritto al voto e dovevano essere ovviamente superiori a chi si è espresso a favore. I promotori del referendum però non si arrendono e preannunciano battaglia in sede di Corte costituzione e di Corte dei conti. I contrari, infatti, sostengono che il piano finanziario contenuto nella norma è assolutamente fumoso e privo delle necessarie coperture per realizzare l'opera i cui costi si aggirano su 2 miliardi.Il premier Miro Cerar ha affermato che «la scarsa affluenza alle urne (ha votato il 20,48% degli aventi diritto ndr.) ha dimostrato che gli elettori sono stanchi dei giochetti politici e che desiderano che il governo faccia il suo lavoro, proprio come abbiamo progettato di fare, senza ritornare al passato, ma puntare al futuro con la realizzazione del secondo binario» lungo la Capodistria-Divaccia. «È giunto il momento - ha ribadito ancora il premier - che realizziamo quest'opera per il bene di Luka Koper (la società che gestisce il porto di Capodistria ndr.), delle Ferrovie della Slovenia e dell'economia della verde Slovenia». «Così il nostro Paese - ha concluso - sarà concorrenziale e visibile sulla carta geografica mondiale dei trasporti». Alle parole del premier fanno eco quelle del ministro delle Infrastrutture Peter Gaspersic il quale ha promesso agli elettori, a nome anche dell'intero governo, che «con il progetto lavoreremo in modo ottimale e trasparente, collaboreremo nella sua realizzazione con le istituzioni europee, la Commissione Ue e la Banca europea per gli investimenti (Bei) perché alcune cattive esperienze del passato non abbiano a ripetersi». Da un punto di vista operativo con la conferma della validità della legge sul secondo binario sancita dal voto referendario inizierà il lavoro della società 2TDK (istituita proprio dalla norma in oggetto) che si occuperà della progettazione dell'infrastruttura, del suo finanziamento e ne diventerà concessionario per 45 anni. Nelle prossime settimane saranno aperte le buste relative alle offerte per la preparazione dei lavori lungo la traccia Capodistria-Divaccia, mentre il Parlamento sarà chiamato ad esprimersi sull'ingresso di capitale ungherese, pari a 200 milioni, nella società 2TDK, passo questo sul quale in passato i socialdemocratici (Sd) e il Partito dei pensionati (Desus), entrambi parte della coalizione di governo, hanno però espresso ad alta voce seri dubbi. Anche se il Parlamento dovesse bloccare l'ingresso di capitali stranieri nella 2TDK il processo per la realizzazione dell'infrastruttura proseguirebbe, ma con un aggravio di costi per i bilanci dello Stato a causa dei maggiori interessi che si dovranno pagare a fronte di un accresciuto importo del debito da accendere per pagare i lavori, la cui somma principale dovrebbe essere erogata dalla Bei. Lubiana conta molto anche sui fondi europei visto poi che l'attuale commissario Ue ai Trasporti è la slovena Violeta Bulc, il che non guasta.«L'Ungheria - ha detto il consigliere della società 2TDK Metod Dragonja - ovviamente si aspetta di avere dei vantaggi dalla sua partecipazione allo sviluppo del progetto e questi consistono sostanzialmente a un più facile accesso all'infrastruttura». Ed è proprio questa "contropartita" che viene osteggiata con forza dai lavoratori di Luka Koper che hanno fermamente nei giorni scorsi dichiarato la loro contrarietà alla legge, peraltro domenica confermata dal referendum.

Mauro Manzin

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 25 settembre 2017

 

 

Senza petrolio? - Si può - LE ENERGIE PULITE OFFRONO RENDIMENTI SEMPRE PIÚ AFFIDABILI
Le risorse di gas non bastano, i pozzi di petrolio vanno verso il prosciugamento, le vene di carbone si esauriscono. I combustibili fossili che garantiscono - al caro prezzo dell'inquinamento globale e dell'effetto serra - energia per riscaldare case, avviare automobili, far marciare industrie non avranno vita eterna. Le previsioni sono tutt'altro che rosee: secondo l'ultima Statistical Review of World Energy del British Petroleum le riserve mondiali di petrolio (gas e condensati compresi) ci consentiranno di arrivare fino al 2067. Di lì in poi, addio auto a benzina, diesel o gpl. A meno che i consumi non si riducano nei prossimi decenni. Ed, ciò che sta già accadendo. Per il Fondo monetario internazionale (Fmi) - che ha pubblicato nei mesi scorsi un dossier - la ragione va ricercata nello sviluppo di nuove tecnologie: più affidabili, pulite, sicure ed economiche. Così, gli analisti - per la prima volta - hanno iniziato a sbilanciarsi, a scrivere che stiamo già vivendo «nell'ultima età del petrolio». Ma anche in quella del carbone, ritenuto ormai troppo inquinante, costoso e quindi in forte recessione. Tra i combustibili fossili regge solo il metano, pulito e disponibile in quantità. Ma per gli esperti resta una soluzione "locale" che diventa investimento esoso quando c'è da creare reti tra nazioni e continenti. Con il nucleare ormai sorpassato - per costi, tecnologia e, soprattutto, sicurezza - potrebbero essere le rinnovabili il vero motore della Terra nel prossimo futuro. Molte nazioni si stanno già muovendo: in Inghilterra nel 2016 l'eolico ha superato il carbone, la Francia conta di diventare totalmente verde nel 2040, la Germania nel 2020 e l'accordo di Parigi ha vincolato 195 paesi (gli Usa si sono tirati indietro in un secondo momento) all'utilizzo di strategie che prevedano la produzione di energia pulita. Ma può davvero esistere un mondo che marcia al 100% grazie alla forza prodotta dal sole, dal vento, da fiumi, mari o biomasse? Nel decennio scorso quasi la totalità della comunità scientifica avrebbe scosso la testa, perché le capacità di "produzione" di queste fonti erano molto ridotte; oggi invece una fetta sempre più consistente di scienziati e ricercatori si dice possibilista e lavora su ricerche a supporto di questa tesi. L'ultima, in ordine di tempo ed importanza, risale all'inizio del 2017. È uno studio dell'equipe guidata da Mark Jacobson, professore di ingegneria civile alla Stanford University, dove sono stati analizzati 139 paesi (i produttori del 99% delle emissioni di anidride carbonica sulla Terra). Per ogni nazione è stata stilata una tabella di marcia che prevede la totale conversione alle rinnovabili con centrali già esistenti o realizzate ex novo (costi sostenibili). Se applicate, le tabelle di marcia porterebbero l'intero pianeta alla totale produzione di energia pulita entro il 2050.

Rino Bucci

 

Armaroli (Cnr): «Non abbiamo scelta il futuro è questo»
La transizione verso un "mondo pulito" già è iniziata. Nei prossimi anni serviranno coscienza e lungimiranza per arrivare alla copertura dell'intero fabbisogno energetico con le sole fonti rinnovabili. Di rischi, nuove sfide e conversione abbiamo parlato con Nicola Armaroli, 51 anni, dirigente di ricerca del Cnr, esperto in nuovi materiali per la conversione dell'energia solare. Ha pubblicato oltre 200 lavori e sette libri ed è direttore della rivista "Sapere". Professore, arriveremo a soddisfare il fabbisogno energetico mondiale con le sole fonti rinnovabili? «È tecnicamente possibile e non vi è alternativa. Il sole invia sulla Terra, in un'ora, l'energia che l'umanità consuma in un anno. È l'unico apporto che la Terra riceve dall'esterno ed è la soluzione definitiva. La transizione è già incominciata ma serviranno almeno 30 anni». Stiamo vivendo l'ultima era del petrolio? «Il petrolio vive una crisi profonda. Il prezzo resta basso per una guerra tra produttori, terrorizzati all'idea che il trasporto elettrico prenda piede. I giacimenti di petrolio "facile" si svuotano, quelli nuovi sono ormai tutti "non convenzionali" (ad esempio a grande profondità in mare) con costi economici e ambientali enormi. I margini di guadagno sono ormai irrisori: i distributori si trasformano in negozi o bar. È il segnale che un'epoca sta per finire». Quali sono le fonti rinnovabili più promettenti e utilizzate? «Quasi tutte le rinnovabili derivano dal sole: ad esempio vento, flussi fluviali e biomasse sono solari indirette. Al consumatore servono elettricità e combustibili. Sulla prima siamo a buon punto, le rinnovabili coprono già il 25% della domanda elettrica mondiale con eolico e fotovoltaico in grande crescita. Sui combustibili siamo più indietro: dovremo spostarci sull'elettrico, a partire dai trasporti». Quali paesi stanno spingendo di più sull'energia pulita? «Quasi tutti, inclusi i paesi produttori di petrolio. La Cina è leader mondiale: le rinnovabili battono da anni carbone e nucleare. Il ritorno di Trump al carbone è un bluff, gli Usa non potranno rinunciare alla supremazia tecnologica nei settori energetici innovativi. L'India annuncia un grande piano per la mobilità elettrica. In Italia abbiamo raggiunto ottimi risultati, ma da tre, quattro anni stiamo frenando». L'uso del metano può frenare la corsa alle rinnovabili? «La frenesia italiana sul metano frena le rinnovabili. La strategia energetica nazionale è imperniata sul gas, che è un combustibile fossile meno inquinante degli altri ma non immacolato. Il metano è un potente gas serra e le perdite di rete hanno minato la sua reputazione». Le rinnovabili sono una soluzione per i paesi in via di sviluppo? «Sì, per molte ragioni. I costi sono in forte calo e i flussi (sole, vento, acqua) sono ovunque. Le rinnovabili elettriche possono operare su piccola scala in regioni remote senza la necessità di grandi infrastrutture». Ci sono ostacoli alla transizione energetica? «Il flusso solare è sterminato, ma va convertito in energia utile: occorrono convertitori e accumulatori, e per fabbricarli servono risorse minerarie, che si ottengono scavando la crosta terrestre come per i combustibili fossili. Le risorse sono limitate e la transizione energetica avrà successo solo se sapremo realizzare un'economia circolare».

Rino Bucci

 

 

Presentazione - Il piano operativo sui giardini inquinati

In programma oggi alle 10.30 nella Sala giunta del Comune, la conferenza stampa di presentazione del piano d'intervento operativo per risolvere il problema dei giardini inquinati. Interverranno gli assessori Elisa Lodi e Luisa Polli.

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 24 settembre 2017

 

 

Capodistria-Divaccia, Slovenia al voto - Gli elettori chiamati a confermare o bocciare la legge varata per gestire il raddoppio della strategica linea ferroviaria

LUBIANA - La Slovenia va oggi alle urne per decidere sul referendum abrogativo della legge varata dal governo e relativa alla realizzazione del secondo binario della ferrovia che collega Capodistria a Divaccia. Si tratta di un’opera di valore strategico con la quale si punta a rinvigorire l’asse di collegamento ferroviario da e verso l’unico porto del Paese, asse che, in base agli attuali andamenti dei traffici entro il 2019 rischia la saturazione, diventando così un vero e proprio “tappo” per l’incremento dei traffici nello scalo del Litorale. Potrà sembrare strano che tra l’opinione pubblica slovena si sia sentita la necessità di un referendum su un’opera di tale portata, ma sta di fatto che più che l’opera, il referendum vuole abrogare la legge ad hoc varata dall’esecutivo guidato dal premier Miro Cerar perché considerata, dai promotori del quesito referendario, assolutamente lacunosa per quanto concerne il reperimento dei finanziamenti necessari alla sua realizzazione e molto “fumosa” nella possibilità di ottenere l’iniezione di capitali stranieri, soprattutto relativamente a che cosa questi capitali riceverebbero in cambio. A votare per l’abolizione della norma saranno anche i lavoratori di Luka Koper, la società che gestisce il Porto di Capodistria, perché, a loro detta, il ministro delle Infrastrutture Peter Gašperšič ha ventilato la possibilità che ad eventuali investitori stranieri nell’opera (ungheresi su tutti) verrebbero concesse aree per la logistica che peraltro non sono parte della concessione di Luka Koper, ma proprietà del Porto. Il governo si difende sostenendo che la realizzazione del secondo binario, esaminando tutta la catena della logistica portuale e ferroviaria, creerebbe nuovi novemila posti di lavoro e sostiene l’assoluta necessità da parte dello scalo portuale di avere dei collegamenti ferroviari moderni e veloci con l’entroterra e verso l’Europa centrale. Per vincere i contrari alla legge sul secondo binario dovranno ottenere più di 342mila consensi pari al 20% degli aventi diritto al voto. È chiaro che la “partita” si giocherà tutta sull’astensionismo. Dovesse “cadere” la legge, il governo la seguirebbe a ruota. ©

Mauro Manzin

 

 

Plastica in mare - Esperti a confronto

Domani alle 18.30 all’Hotel Greif Maria Theresia il Propeller Club organizza un incontro dal titolo “Un Mare di plastica: inquinamento delle acque, conseguenze sulla catena alimentare umana e sulle rotte marittime”. Tra i relatori Maria Cristina Pedicchio e Paola DEl Negro dell’Ogg e Roberto Gasparetto di AcegasApsAmg.

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 23 settembre 2017

 

 

I tralicci di Conconello approdano sul Belvedere - Dall'abitato le antenne sono state spostate sul sentiero panoramico del monte
Regione e Comune in coro: «La salute dei cittadini ha la priorità sull'ambiente»
TRIESTE - Tre nuovi tralicci alti circa 30 metri posti a ridosso di uno dei sentieri panoramici più suggestivi di tutto il territorio regionale. Sono gli "effetti collaterali" della delocalizzazione dei ripetitori di Conconello. La novità ha lasciato sconvolti gli escursionisti e i cicloamatori recatisi in questi giorni sul sentiero del Cai n. 1 nella zona del monte Belvedere. Proprio sull'altura che domina splendidamente il golfo di Trieste, non a caso è considerato (al pari della Napoleonica) il sentiero più bello sul Carso con vista mare, sono in fase di conclusione i lavori di costruzione dei nuovi manufatti. Anche se tutta l'area del cantiere è delimitata e inaccessibile, da fuori è facile scorgere quanto già costruito. Per ora sono stati innalzati dei muretti di pietra con tanto di reti metalliche a fungere da delimitazione dei tre tralicci già ben eretti e ampiamente visibili da lontano. Le panchine in legno, prima presenti sullo spiazzo utilizzato dalle famiglie in gita nei weekend, sono state spostate a pochi passi dalla discesa del ciglione carsico. Non solo. Durante i lavori, la rosa dei venti, il manufatto che maggiormente contraddistingue l'area, è stata utilizzata, come emerso da una testimonianza fotografica, come base su cui poggiare un pallet. "Dulcis in fundo", dal nulla sono spuntati tre nuovi tralicci. Il tutto in un territorio che vede già la presenza dei ripetitori di Rai Way, Mediaset e Telecom spa. In molti si chiedono com'è possibile che si sia deciso di erigere tre megastrutture metalliche su un'area così di pregio e apprezzata da tanti triestini e turisti del Carso. I manufatti sono stati collocati in un terreno di proprietà comunale, sito appunto sul monte Belvedere, in seguito al protocollo d'intesa sottoscritto nel 2014 tra Regione, Comune di Trieste e tre soggetti privati: Radio Punto Zero srl, Gestione postazioni Nordest srl (riconducibile a Radio Radicale) e Monte Barbaria srl. Il protocollo è stato formalizzato con l'obiettivo di delocalizzare i ripetitori presenti nel centro abitato di Conconello, frazione che per circa quarant'anni ha lottato per allontanare i tralicci costruiti sopra le proprie teste. Dopo lunghi anni di attesa, nell'ottobre scorso la governatrice Debora Serracchiani, firmataria nel 2014 del documento d'intesa sottoscritto anche dagli assessori all'Ambiente Sara Vito (Regione) e all'epoca Umberto Laureni (Comune), confermava la soddisfazione per quello che risultava essere un obiettivo raggiunto: «Le antenne stanno sparendo dal centro abitato di Conconello. Il protocollo, prevedendo di delocalizzare i tralicci in un'area lontana dalle case, sta funzionando. In questo modo, nell'interesse dei cittadini e della salute pubblica, gli impianti radioelettrici saranno gestiti in modo assolutamente conforme alla normativa e nel pieno rispetto dell'ambiente, scongiurando i rischi di un potenziale inquinamento elettromagnetico». La decisione di traslocare gli impianti verso il monte Belvedere aveva trovato d'accordo anche le tre società private. Filippo Busolini, fondatore di Radio Punto Zero, già all'indomani della sottoscrizione del protocollo del 2014 aveva espresso il suo consenso nell'abbandonare la vecchia location, previa fideiussione bancaria di 150mila euro a garanzia dell'esecuzione dei lavori. Il sì alla delocalizzazione era motivato dal fatto che sul monte Belvedere erano garantiti spazi più adeguati per evitare il "sovraffollamento" che nel sito precedente, soprattutto nei mesi estivi, dava origine a surriscaldamenti dei sistemi, responsabili di rotture e danni alle apparecchiature presenti. Tutti d'accordo, insomma. Ora però è arrivata la doccia fredda per escursionisti e amanti del Carso, con i tre tralicci realizzati nel punto più visibile e frequentato del monte. Ieri mattina l'assessore regionale all'Ambiente, Sara Vito, ha confermato la bontà dell'intervento: «Per noi la questione della salute dei residenti di Conconello era primaria. Dopo anni siamo riusciti ad affrontare e risolvere il problema delocalizzando i tralicci. Abbiamo dato una risposta forte alla preoccupazione dei residenti. Spiace se questi siano stati collocati lungo il sentiero, ma per noi la questione della salute veniva e verrà sempre prima di tutto». Sulla stessa linea la sua omologa comunale Luisa Polli: «La gestione del procedimento è stata seguita dalla Regione. Detto questo ritengo sia di primaria importanza la tutela della salute dei residenti di Conconello. Le antenne lì non sono un bello spettacolo? Tutti però vogliono vedere la televisione oppure avere la ricezione con il telefonino e comunque, ripeto ancora, la salute viene prima di tutto, anche prima dell'ambiente».

Riccardo Tosques

 

LE REAZIONI - Escursionisti sbigottiti ma residenti soddisfatti
TRIESTE «Il sentiero più bello del Carso rovinato da degli ecomostri». Umberto Pellarini Cosoli, capogruppo della commissione sentieri dell'associazione Cai XXX Ottobre nonché coideatore del sentiero n.1, non riesce a capacitarsi dell'installazione dei tre tralicci sul monte Belvedere: «A titolo personale giudico questo intervento una schifezza, una ulteriore ferita, vista la presenza di altri ripetitori in zona. E pensare che noi non posizioniamo nemmeno i cartelli segnaletici sulle cime proprio per non creare fastidi al paesaggio. E ora ci troviamo di fronte a questo scempio». Pellarini Cosoli, che una quindicina di anni fa assieme ad altri membri del Cai lavorò per unire i vari sentieri che oggi sono stati tutti collegati sotto il n.1, evidenzia con stupore la situazione dell'area: «Capisco perfettamente che i tralicci andavano spostati dal centro abitato poiché è in ballo una questione relativa alla salute dei cittadini, ma non ho davvero parole e mi chiedo come sia possibile che la paesaggistica possa aver dato il suo nulla osta ad utilizzare quella zona del monte Belvedere, proprio accanto a uno dei sentieri più belli che esistano nel nostro territorio». Nicola Bressi, naturalista triestino della Società italiana di Scienze naturali di Milano, fornisce invece le conseguenze dell'intervento da un punto di vista prettamente scientifico: secondo lo zoologo vi saranno delle ripercussioni per quanto riguarda sia la fauna che la flora. «Proprio su quelle pendici si era consolidata la presenza dell'algiroide, una splendida lucertola con la gola di colore azzurro, (simbolo della Riserva naturale delle Falesie di Duino, ndr) presente in Italia solamente nel Carso. Con tutti i movimenti dei veicoli a motore, il trambusto dei lavori iniziali e ancora di più di quelli successivi legati alla manutenzione, questa specie verrà soppiantata dalla classica lucertola muraiola. Ma anche a livello di flora le cose muteranno. Tutti questi cambiamenti comporteranno ad esempio la sparizione di specie di pregio per lasciare spazio a specie invasive come l'ailanto». Ma cosa ne pensano a Conconello? Dimitri Ferluga, presidente della Vaska skupnost Ferlugi, l'associazione culturale della frazione triestina, è soddisfatto: «Messi in quella posizione i tralicci non sono una bellezza, anzi, sono proprio brutti, ma è altrettanto vero che per me li avrebbero potuti mettere anche sulla torre Eiffel. Meglio che stiano sul Belvedere piuttosto che sopra le nostre case». Per quasi quarant'anni i residenti hanno dovuto convivere forzatamente con i tralicci: «L'iter burocratico per riuscire a toglierci questi mostri è stato pazzesco. Nessuno voleva averli sui propri terreni e quindi alla fine la vicenda si è risolta con una porzione di terreno comunale posta sul monte». Ferluga racconta poi della valenza storica che ha quell'area per la popolazione di Conconello: «Molte generazioni di paesani hanno trascorso tante ore in quella zona. Anch'io ricordo che quando ero piccolo, appena si poteva, si andava lì a giocare o a stare in compagnia. Purtroppo si è dovuto fare di necessità virtù». Adesso Ferluga confida che rapidamente i tralicci e le antenne installate su di essi, ancora presenti nel centro abitato, vengano rimossi: «Per ora hanno costruito dei nuovi tralicci, ma quelli vecchi sono ancora qui. Mi auguro che i lavori sul monte Belvedere si concludano il prima possibile e che finalmente tirino via i nostri tralicci e tutte le antenne attaccate».

(tosq.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 22 settembre 2017

 

 

Linea dura contro la sosta irregolare - Proposta la sospensione della patente a chi si ferma su stalli per disabili e aree bus
Per dare un taglio ai soprusi la Lega Nord, con il consigliere comunale Giuseppe Ghersinich, propone la sospensione della patente per quindici giorni a chi in modo recidivo posteggerà sugli stalli riservati ai disabili o sulle fermate dei bus. La mozione, presentata nei giorni scorsi in sesta Commissione, punta dunque a limitare una volta per tutte questo comportamento, piuttosto diffuso viste le numerose multe che ogni anno rimpinguano le casse comunali. In particolare la sospensione della patente andrà comminata a chi per due volte in un biennio verrà sanzionato. Anche nelle aree in cui si fermano i mezzi pubblici, «perché - spiega l'autore - quando una persona disabile deve salire su un autobus o scendere non può farlo, se non c'è spazio per la sosta. Questo l'ho pensato anche in seguito alle ripetute segnalazioni di cittadini e della consulta per i disabili». Si tratta in generale di «una sanzione accessoria già presente per chi non ha le cinture di sicurezza», aggiunge Ghersinich. Il Codice stradale e precisamente l'articolo 158 comma "g" prevedono costi salati per i contravventori: si va da 85 a 338 euro per gli automobilisti e dai 40 ai 164 per i motociclisti con due punti in meno sulla patente per entrambe le categorie. Ma non bastano evidentemente, perché non c'è l'auspicato calo di trasgressori. Il dato delle ammende resta fisso, non diminuisce dal 2013. Le multe erano state 679 nel 2013, passando a 685 nel 2014 e a 671 nel 2015. Per il 2016 il dato-base di oltre 600 è sempre presente. Ecco dunque che Ghersinich lancia una nuova linea dura, accolta all'unanimità dalla Commissione. «Abbiamo dato tutti il parere favorevole», ha sottolineato il presidente Salvatore Porro (Fdi), segnalando la presenza del vicesindaco Pierpaolo Roberti, del comandante della Polizia locale Sergio Abbate e dei consiglieri comunali Fabiana Martini (Pd), Maria Teresa Bassa Poropat (Insieme per Trieste), Guido Apollonio ed Everest Bertoli (Fi), Michele Claudio (Lega Nord) e Francesco Bettio (Lista Dipiazza). L'idea è piaciuta anche se ora richiede, come sottolineato ancora da Porro, uno studio di fattibilità e poi ovviamente la discussione in aula. Ma non solo. Perché per modificare il Codice stradale sarà poi il sindaco Roberto Dipiazza a dover scrivere alle Camere parlamentari una nota con tale richiesta. «Il Codice della strada è una legge nazionale - sottolinea Roberti -, bisogna integrarla con un intervento che non può fare direttamente il Comune di Trieste, perciò si richiede al sindaco di fare domanda di modifica al Parlamento in modo da provvedere alla sospensione della patente per i recidivi». Inoltre, prima che la mozione passi in aula, «bisognerà fare un piccolo emendamento tecnico perché il testo prevedeva questa azione su tutto l'articolo 158 - spiega Ghersinich -, ma abbiamo deciso di non prevedere la sospensione per la sosta in altre aree». Durante la stessa Commissione si è discusso anche della proposta di rendere gratuito il biglietto dell'autobus per i "nonni paletta" per andare da casa al posto di lavoro, poiché, spiega Porro, «per questo utile servizio queste persone ricevono cinque euro al giorno ma devono fare quattro viaggi fra andata e ritorno. Non sappiamo però ancora se ci sono i soldi necessari, e anche questa idea è stata votata all'unanimità». È inoltre stato richiesto da Bettio di proseguire l'iter per il ripristino del fregio alabardato sul cappello della Polizia locale.

Benedetta Moro

 

Patto FIAB-Polli - Ciclisti "tester" sulle corsie riservate ai bus e nuove piste
Un percorso di educazione alla mobilità, condiviso e a favore di tutte le categorie di utenti della strada; un nuovo studio, questa volta del Comune, di fattibilità di una via ciclabile da Trieste a Muggia dopo quello effettuato dalle associazioni di categoria; il via a una sperimentazione di alcuni mesi dell'apertura ai ciclisti di alcune corsie riservate ai bus. Sono questi i punti principali discussi e concordati durante un incontro, ieri, tra l'assessore comunale con delega alla Mobilità e traffico Luisa Polli, due dirigenti tecnici del Municipio, il presidente locale della Fiab (Federazione italiana amici della bicicletta) e il suo coordinatore regionale Federico Zadnich. «Si tratta anzitutto - spiega l'assessore - di dare vita a un progetto condiviso di educazione ma anche e forse soprattutto di rieducazione e di sviluppo del senso civico generale di chi, a vario titolo, frequenta vie, piazze, marciapiedi e "zebre" a Trieste. Il metodo è di porre a sistema alcune iniziative già in corso, come le "lezioni" della Polizia locale nelle scuole, con altre da parte, a esempio, dei vari sodalizi come il Motoclub Trieste, e ancora di nuove». Il tutto, nelle intenzioni di Polli, per fare comprendere il concetto generale che «il tuo diritto finisce dove inizia il mio; la tua sicurezza deve essere anche la mia». Con un riguardo particolare agli adulti «poiché sembra a volte che vi sia anche sulle strade una sorta di analfabetismo di ritorno tra gli adulti, mentre bambini e ragazzini sono più permeabili alle sensibilizzazioni, se veicolate adeguatamente». Soddisfatti anche gli esponenti del mondo delle due ruote. «Tre i punti qualificanti concordati - afferma Zadnich -: il primo appunto l'educazione al reciproco rispetto tra le categorie di utenti. A proposito, come Fiab organizzeremo un grande evento il prossimo giugno. Poi, dopo avere presentato il nostro, seguiremo il progetto comunale per la pista Trieste-Muggia. Tra le due opzioni, quella attraverso via Flavia e l'altra impiegando via Caboto, siamo favorevoli alla prima, che permetterebbe di collegare Borgo San Sergio». Infine la Fiab metterà a disposizione i ciclisti-tester sulle corsie bus in via D'Azeglio, piazza Ospedale e via Tarabocchia.

(p.p.g.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 21 settembre 2017

 

 

Interrogazione al senato - Battista incalza il governo «Ispettori per la Ferriera»

Il senatore di Articolo 1 - Mdp Lorenzo Battista ha depositato un'interrogazione ai ministri della Salute e dell'Ambiente «sulla situazione allarmante circa i livelli di inquinamento presenti nello stabilimento di Servola» e sulla necessità di un'adozione del «principio di precauzione» a tutela della salute dei cittadini. Battista chiede di sapere «se i ministri siano consapevoli degli attuali livelli di inquinamento e se il ministro della Salute in particolare non intenda assumere iniziative volte a tutelare la salute dei cittadini della zona, che continuano ad essere investiti da una forma di inquinamento particolarmente grave e insidiosa, dato che le particelle di diametro pari o inferiore a 2,5 micropn (Pm 2,5) vengono classificate cancerogene di classe 1 da parte dello Iarc, ente dell'Organizzazione mondiale della sanità». Battista si domanda «se lo stesso ministero non ritenga di dover disporre un'ispezione presso la Asl di Trieste per verificare se nella stesura del parere di merito siano state assunte tutte le cautele e le responsabilità di fronte ad un caso tanto grave di inquinamento e di messa a repentaglio della salute pubblica».

 

 

AAA sub e volontari cercasi: sabato si puliscono i fondali
Tutti "armati" di maschere, boccaglio e bombole per una nuova pulizia dei fondali. Si intitola "Lascia il mare come vorresti trovarlo", l'operazione di bonifica subacquea in programma sabato 23 settembre, dalle 9 alle 13 circa, a cura del Circolo Ghisleri, in collaborazione con il Circolo sommozzatori Trieste ed il Circolo "Sacheta". Seconda edizione questa, nuovamente ambientata nelle zone di Riva Ottaviano Augusto. La missione dichiarata è semplice quanto intensa: ripulire quanto più possibile una zona dei fondali delle Rive, puntando su un buon numero di volontari dotati di brevetti da sub da impiegare in veste di "spazzini" marittimi per un giorno, alla caccia soprattutto di materiali inquinanti, come batterie, e contenitori di liquidi o gas. Partecipare alle operazioni in mare è relativamente semplice. Basta presentarsi sul posto attorno alle 8.30 muniti del brevetto da sub, della attrezzatura necessaria e della copia del certificato medico di abilitazione (anche non agonistica). L'adesione è gratuita. E per chi volesse dare una mano senza fare un bagno? Il tema è fattibile, in quanto l'evento richiede volontari da impegnare anche a terra, nella logistica o supportando i subacquei in diverse funzioni. Alla manifestazione hanno aderito inoltre i nuclei sommozzatori della Guardia di Finanza e dei Pompieri volontari. Alla fine dei lavori non mancherà l'assalto alla merenda sul campo. Per informazioni e adesioni, è attivo il numero 3356919561 e l'indirizzo maurizio.haligogna@gmail. com.

Francesco Cardella

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 20 settembre 2017

 

 

Rifiuti sulle spiagge - Al lavoro gli attivisti di "Greenpeace" - Situazione critica dopo le eccezionali sciroccate - decine di volontari mobilitati per la pulizia lungo le coste
SPALATO - La presenza della plastica rende sempre più difficile la situazione sulle spiagge croate, a causa di tonnellate di rifiuti che appaiono soprattutto durante le eccezionali sciroccate di fine estate e in autunno: è accaduto anche nei giorni scorsi, quando la costa è stata flagellata da scirocco e forte moto ondoso che hanno movimentato un ingente quantitativo di immondizie partito non solo dal Paese ma anche da Montenegro e Albania. Per questo è scattata una massiccia mobilitazione da parte di decine di volontari croati di Greenpeace, che nella Giornata internazionale della pulizia delle spiagge e dei fondali hanno ripulito la spiaggia Grabova, nel Parco nazionale dell'isola di Meleda (Mljet in croato), in Dalmazia, portando via decine e decine di sacchi di materiale aiutati da attivisti del Movimento per le isole della Croazia: non solo plastica ma anche tanti altri tipi di rifiuti. Lavoro uguale di pulizia è stato svolto dagli ambientalisti in contemporanea sulle spiagge delle isole di Pago, Solta e Brazza, così come a Spalato.Da Greenpeace è partito anche un appello: «Purtroppo - ha detto Mihaela Bogeljic, responsabile della campagna croata - aziende e cittadini lasciano parecchio a desiderare in fatto di coscienza ecologica, purtroppo la situazione è sempre grave malgrado il lavoro che portiamo avanti da anni». Per l'occasione sulla spiaggia di Meleda è apparsa anche una simbolica sirena, personificata da Suncana Paro Vidolin, a lanciare un appello affinché «l'Adriatico non si trasformi in uno stagno senza vita».Maja Jurisic, a capo del Movimento per le isole della Croazia, ha detto che in questo momento sono circa 1.455 le tonnellate di rifiuti di plastica che stanno galleggiando nel Mediterraneo, e in buona parte si trovano proprio nell'Adriatico. Jurisic ha ricordato il caso limite di alcuni anni fa, «quando una delle più belle spiagge adriatiche, quella di Sakarun sull'Isola Lunga, divenne irriconoscibile a causa dell'immondizia arrivata da meridione. Ci vollero settimane per rimetterla a posto».

Andrea Marsanich

 

 

Mercatini, escursioni e fattorie aperte a tutti - Domenica terza edizione di "Draga in festa"
Domenica torna per il terzo anno "Draga in Festa", evento promozionale a ingresso libero sull'agricoltura sostenibile, l'alimentazione e l'ambiente. Promossa e organizzata dall'associazione Bioest, la manifestazione si articolerà dalle 10 alle 18 in collaborazione con le realtà associative del territorio e con l'amministrazione comunale di San Dorligo. Si apriranno le porte di fattorie e case private, coinvolgendo gli ospiti in attività ed escursioni finalizzate alla conoscenzadi flora e fauna. Lo spirito dell'iniziativa è quello della convivialità e della condivisione, arricchite da un'attività ludica e informativa curata appunto dalle associazioni del territorio e con il contributo dei volontari Arci Servizio civile. Per tutta la giornata ci saranno banchetti informativi e promozionali e sarà allestito un mercatino di attività artigianali legate al territorio. Previsti incontri culturali, un'esposizione fotografica e, per i bimbi, attività ludiche (nella foto un incontro sul mangiare sano a Draga nel 2016).

(u.s.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 19 settembre 2017

 

 

Diselgate, in Italia 1.250 morti - le emissioni "taroccate" hanno provocato migliaia di vittime

ROMA - Il surplus di emissioni dei veicoli diesel, rispetto a quanto dichiarato dalle case automobilistiche, ha causato in Italia 1.250 morti all'anno. A quantificare le conseguenze del Dieselgate sono l'Istituto meteorologico norvegese e l'istituto internazionale Liasa, in uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Research Letters da cui emerge che il nostro Paese è il più colpito di tutta l'Europa. Stando agli esperti, sono 425mila le morti annue riconducibili all'inquinamento dell'aria nei 28 Paesi dell'Unione europea più Norvegia e Svizzera. Poco meno di 10mila decessi sono attribuibili alle emissioni di ossidi di azoto dei motori diesel e, di questi, 4.560 sono collegabili alle emissioni in eccesso rispetto ai limiti dichiarati dai produttori. In base allo studio, l'Italia è il Paese con il più alto numero di morti premature riconducibili alle polveri sottili generate dai veicoli diesel: 2.810 all'anno, di cui 1.250 legate al surplus di emissioni rispetto a quanto certificato dalle case automobilistiche nei test di laboratorio. Seguono la Germania, con 960 decessi annui correlati agli ossidi di azoto in eccesso, e la Francia con 680. Dal lato opposto della classifica ci sono Norvegia, Finlandia e Cipro. Il triste primato della Penisola «riflette la situazione molto negativa dell'inquinamento specie nel Nord Italia, densamente popolato», spiega l'autore della ricerca, Jan Eiof Jonson dell'Istituto norvegese di meteorologia. Sempre secondo lo studio, se i veicoli diesel avessero avuto emissioni basse come quelli a benzina, si sarebbero potuti evitare i tre quarti dei decessi prematuri: 7.500 all'anno in Europa e a 1.920 in Italia.

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 18 settembre 2017

 

 

Dal comico al politico - Tutti pazzi per i viaggi in sella alle due ruote
I vantaggi degli spostamenti in bici raccontati da ciclisti "vip" in occasione della Settimana Ue della mobilità sostenibile
È iniziata sabato la Settimana europea della mobilità sostenibile, un'occasione che ogni anno punta a promuovere l'uso delle bici e a sensibilizzare sui vantaggi degli spostamenti "green". Tanti i "testimonial" triestini della causa. Come Diego Manna, editore, scrittore, amante dei lunghi viaggi a pedali e tra gli organizzatori dell'evento sportivo Rampigada Santa. E come Antonio Parisi, anima degli eventi di Jotassassina. «Utilizzo sempre la bici, in estate ed inverno - racconta Parisi - sia di giorno sia di notte, per girare e muovermi anche tra i locali. È un mezzo comodo e il mio modello di bici rispecchia molto il mio carattere: vintage americano ed eccentrico». «La bici fa parte della mia quotidianità - dice Stefano Ceiner, speaker internazionale con base a Trieste - e la uso per percorrere i numerosi sentieri immersi nel Carso e anche per spostarmi in città, quando posso». Anche nel mondo politico la bici piace. «A dieci anni mi sono trasferito a Trieste e la prima cosa che ho portato con me è stata la bici - ricorda l'assessore ale Welfare Grilli - la trovo un mezzo meraviglioso e molto pratico. La uso costantemente per lavoro. Ci sono cose da migliorare, a partire dalla diffusione degli stalli, e piste ciclabili realizzate con criterio e capaci di assicurare collegamenti sicuri. Come giunta ci stiamo lavorando». «Nel 2017 ho totalizzato oltre 7.500 chilometri - sottolinea l'assessore al Personale Michele Lobianco - amo raggiungere e percorrere le strade d'Istria e quelle dell'altopiano, il piacere della libertà è unico. Per quanto riguarda la città, con la riqualificazione del Porto Vecchio ci sarà un itinerario ciclabile che, unito a quello delle Rive, darà una bella risposta agli utenti della bici». «La uso quotidianamente per spostarmi in città - dice anche la capogruppo del Pd Fabiana Martini - ma anche nel tempo libero e durante le vacanze. Con la famiglia ho fatto alcune bellissime ciclovacanze e il prossimo obiettivo è la Parigi-Londra. Cosa migliorare a Trieste? Mancano stalli, piste ciclabili, ma soprattutto una cultura degli spostamenti dolci». In molti usano la bici anche per lunghi viaggi, come il gruppo di amici "Ciclomonones", famosi per i tour goliardici su due ruote, come quello impegnativo da Trieste al Montenegro, o come il team rosa di "Fata la xe", che ha pedalato da Salisburgo al capoluogo giuliano. Si muove in bici in città anche l'attore e scrittore Alessandro Mizzi. Divertente poi il racconto di Maxino, che tra una canzone e l'altra confessa la passione recente per i pedali. «Mi tornava in mente "ciclicamente" - scherza - ed ogni volta mi scontravo con una dura realtà: vivo a Muggia, e per raggiungere casa devo fare una salita ripidissima. Avrei piuttosto fatto una raccolta firme per uno skilift. Poi un giorno, durante un appuntamento con Diego Manna, lo vedo arrivare a bordo di una bici elettrica. Ho pensato "Lui che va in giro per l' Europa pedalando, che ci fa su un "motorino?" E invece ho scoperto che tanto motorino sta cosa non è, mi sono lanciato e ne ho presa una, ora riesco a fare la famosa salita mortale di casa mia senza bisogno della rianimazione del 118. La uso molto, sia per portare in giro i bimbi, sia per fare la spesa. Non posso ancora andare a suonare con la bici perché la tastiera e l'impianto in spalla mi pesano ancora un po' troppo. Ma ci lavorerò. Magari - conclude il vulcanico cantante - bici elettrica e "precoliza", con muscolatura da incredibile Hulk e via, verso nuovi orizzonti».

Micol Brusaferro

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 17 settembre 2017

 

 

La "fame" senza fine di stalli per motorini -
Pedonalizzazioni e cantieri come quelli in via Carducci e Santa Caterina hanno eliminato centinaia di posteggi. Il Comune: «Correremo ai ripari»
A Trieste aumenta costantemente il numero di motocicli - passati nel giro di cinque anni da 40mila a poco più di 48mila -, e gli stalli non bastano più. Anche perchè, tra cantieri che aprono in continuazione e pedonalizzazioni sempre più estese nel centro, i posteggi riservati alle due ruote si sono ridotti in maniera significativa. I numeri non riescono cioè a soddisfare la "fame" di parcheggi che rende la vita sempre più difficili al popolo degli scooteristi. Ad aver "mangiato", di recente, storici spazi dedicati in precedenza ai motocicli sono state due interventi di grande impatto: l'avvio della ristrutturazione dell'ex sede della Ras in piazza della Repubblica e il consolidamento delle volte sotterranee di via Carducci messe a rischio dal passaggio dei torrenti Chiave e Settefontane. La prima operazione, finalizzata a trasformare il prestigioso edificio in un lussuoso albergo targato Hilton, ha portato alla sparizione del posteggio ricavato nell'adiacente via Santa Caterina, vera e propria valvola di sfogo per il parcheggio dei mezzi a due ruote in centro storico. Il secondo cantiere invece, destinato peraltro a durare più del previsto a causa della precaria stabilità delle coperture, ha di fatto spazzato via tutti gli stalli a destra della carreggiata lungo via Carducci in direzione piazza Oberdan. E ci sono poi i progetti per la creazione delle isole pedonali. Come quella, "temuta" appunto da molti centauri, di via XXX ottobre, strada che ha di recente subito pure un altro "scippo": l'eliminazione del parcheggio che fino a qualche anno fa rispondeva all'esigenza di spazi in una parte della città dove la richiesta è grande. Perdite importanti, insomma, per una città che, secondo una recente classifica basata sui numeri forniti dal ministero dei Trasporti, conta la concentrazione di motocicli in rapporto alla popolazione più alta di tutto il Nordest, e l'ottava in Italia. «Siamo consapevoli di quanto nutrito sia a Trieste il parco motorini - commenta il vicesindaco Pierpaolo Roberti -. E sappiamo bene anche quanto sia forte l'esigenza di spazi. Ricordo però che anche per le auto mancano posti e non è facile cambiare radicalmente lo stato delle cose. La necessità di creare nuovi stalli è sentita e come amministrazione abbiamo già provveduto in tal senso a migliorare le cose. Abbiamo pianificato la creazione di 300 parcheggi per motorini quest'anno: cento sono già stati realizzati, per esempio in via Imbriani o in via Carducci, prima di svoltare su via Battisti. Altri duecento saranno ricavati nei prossimi mesi. Andranno in parte a soddisfare sicuramente il bisogno di soste, anche se sappiamo che di motorini ce ne sono davvero tanti, ma al momento nel centro cittadino abbiamo fatto il possibile, compatibilmente anche con i cantieri in atto». Dopo le 8 del mattino, a detta di chi si reca nel centro per lavoro, è impossibile trovare uno spazio. C'è chi racconta di girare anche venti minuti ogni giorno, prima di riuscire a parcheggiare, altri ammettono senza mezzi termini di cercare soluzioni "fantasiose" per creare uno spazio anche dove non c'è, altri ancora lasciano il motociclo in aree dove non si potrebbe comunque stazionare, ma che vengono ormai utilizzate abitualmente da tutti. Oltre alle vie più centrali, disagi vengono segnalati anche in piazza Oberdan e nelle vie vicine, dove a chi lavora nei tanti uffici presenti, si aggiungono gli studenti del vicino liceo Dante-Carducci, che possono contare su una parte pedonale sotto i portici, dove la sosta è lecita, ma di fatto non è sufficiente, con la conseguenza che i motorini invadono anche il marciapiede. Stessa situazione attorno a piazza Hortis, con la "guerra" tra studenti del Nautico e lavoratori della zona. Zona in cui, complice anche la pedonalizzazione di Cavana e via Torino, gli stalli da tempo non bastano più. Risultato? Sosta selvaggia in via san Michele, che spesso ostacola la circolazione delle quattro ruote. Le eccezioni però non mancano. In alcune zone, ad esempio piazzale Straulino (di fatto non troppo lontano dal cuore della città), o lo spiazzo dietro alla Tripcovich, risultano però spesso vuoti o semivuoti, a conferma del fatto che chi si muove in motorino punta a lasciarlo proprio davanti all'ufficio. Triestini amanti delle due ruote, quindi, ma pure parecchio pigri.

Micol Brusaferro

 

 

Dal forno alla lavatrice - Spunta vicino a Opicina l'ennesima discarica - I volontari di Sos Carso in azione dopo una segnalazione Fb
L'altipiano restituisce un'altra zona verde invasa dai rifiuti
OPICINA - Elettrodomestici, ferraglia varia, bidoni, secchi, vetroresina, vetri e chi più ne ha più ne metta. Questo il prodotto dell'inciviltà che purtroppo continua a regnare impunita sul Carso triestino, in questo caso a Opicina. Durante la prima uscita ecologica di settembre del gruppo di volontari Sos Carso, nella dolina sotto il monte Gurca, in zona Campo, vicino a via dei Volpi, è stato infatti rinvenuto un po' di tutto. Il "censimento" ce lo racconta Cristian Bencich, portavoce dei volontari triestini: «Nella prima giornata abbiamo raccolto un'infinità di ferri vecchi, antenne tv, metri e metri di cavi d'antenna, ma anche due frigoriferi, un boiler, un forno, una lavatrice, due bidoni di ferro, plastiche, vetri, vetroresina e sedici sacchi di immondizie varie». Tutto il materiale raccolto è stato accatastato dai volontari vicino alla prima strada utile per poter collocare un cassone per l'asporto. «Data la notevole mole di immondizie in questo lavoro, a turno, saremo impegnati noi di Sos Carso ed un gruppo di residenti della zona che parteciperanno in maniera attiva alla pulizia del sito - prosegue Bencich - quindi, meteo permettendo, contiamo di ripulire il tutto entro un mesetto, facendo turnazioni di un paio di orette a settimana». Attuato in base ad una segnalazione giunta alla pagina Facebook del gruppo, il lavoro di "repulisti" della dolina adiacente al bosco Burgstaller-Bidischini ha dunque riportato alla luce una discarica risalente, secondo i volontari, addirittura agli anni Cinquanta. Una dolina che tuttora viene utilizzata da gente incivile come discarica a cielo aperto.«Ci è stato riferito che questa discarica è già stata segnalata, più volte, alle istituzioni, ma evidentemente con scarsi o anche nulli risultati purtroppo. A questo punto è stato deciso di mettere in programma anche questo lavoro, confidando nell'aiuto di altri volontari e residenti», conclude Bencich. Quest'estate Sos Carso era salita alla ribalta soprattutto per la riqualificazione della vedetta Scipio Slataper. In due giorni di lavoro volontario una decina di persone aveva di fatto rimesso a nuovo il manufatto collocato sulla vetta del monte San Primo a 278 metri di quota sul livello del mare, in località Santa Croce, nel Comune di Trieste. La parte più evidente aveva interessato la totale cancellazione delle scritte vergate con lo spray sulle pareti bianche della struttura. Di forte impatto anche la riqualificazione della rosa dei venti con i punti cardinali, i nomi dei venti e tutte le varie località indicate, da Muggia a Capodistria, da Barbana ad Aquileia. Un grosso lavoro, come sempre volontario. Ma il gruppo Sos Carso è molto attivo soprattutto per quanto riguarda la raccolta di rifiuti abbandonati in tutto l'arco dell'altipiano carsico triestino, da Medeazza fino a Lazzaretto. «La situazione complessiva in Carso è piuttosto preoccupante - conclude Bencich - e noi, da volontari, facciamo il nostro, ma ci vorrebbe anche un intervento da parte delle istituzioni»

Riccardo Tosques

 

FAREAMBIENTE - «Abbandono di ingombranti a livelli critici - Più sorveglianza da parte delle istituzioni»
La situazione riguardante l'«abbandono dei rifiuti ingombranti a Trieste nonostante le azioni intraprese dall'azienda incaricata e dal Comune», resta «molto critica». Tra centri urbani e periferie verdi il leitmotiv non cambia. Parola del coordinatore di FareAmbiente Giorgio Cecco, che annota come continuino «costantemente le segnalazioni dei cittadini alla nostra associazione, confermate dai rilievi in loco dei volontari. Dal monitoraggio effettuato negli ultimi mesi si evidenzia che ciò avviene in particolare nelle zone periferiche e del semicentro in prossimità dei cassonetti». La richiesta agli «enti preposti» è di «un maggior impegno per incrementare sorveglianza e informazione».

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 16 settembre 2017

 

 

PORTIS MEETING - Trieste progetta il super ufficio per la mobilità sostenibile
Sono tre gli obiettivi principali emersi a conclusione della tre giorni di "Trieste Portis Meeting", l'iniziativa europea che dopo Anversa ha toccato Trieste con la finalità di programmare e sperimentare soluzioni innovative di mobilità urbana sostenibile. Primo step da raggiungere è l'avvio di uno studio sulla mobilità attraverso l'elaborazione del Piano di mobilità sostenibile, poi lo sviluppo di applicazioni e programmi informatici per creare un'unica piattaforma fruibile da tutti i cittadini, per informazioni condivise in tema viabilità, aree perdonali o parcheggi, e infine la creazione di un ufficio unico di multigovernance, dove far confluire tutti i soggetti che in città si occupano di trasporti. Sul fronte delle novità tecnologiche saranno studiate, è stato precisato, anche idee in grado di raggiungere e coinvolgere gli anziani, che costituiscono un'ampia fetta della popolazione triestina. A trarre un bilancio dei vari incontri è stata ieri l'assessore comunale a Città e territorio Luisa Polli, insieme ai rappresentanti di altre città interessate dal progetto e dall'Ambassador di Trieste Portis, l'attore Lino Guanciale, che proprio in Porto vecchio ha girato una fiction. Il tema affrontato a Trieste è stato quello della comunicazione tecnologica, delle connessioni alle aree portuali e alla città, per fornire maggiori informazioni possibili per un utilizzo ragionato su come muoversi in modo "green" e coordinato, incentivando, ad esempio, l'utilizzo delle bici elettriche. Il progetto europeo "Civitas Portis" si concluderà entro il 2020. «Un'ulteriore sfida - ha rimarcato Polli - nel trovare soluzioni concrete sulla mobilità sostenibile quando la città sarà sede dell'Esof 2020, quale capitale europea della scienza, con quartier generale in Porto vecchio. Da qui la scelta in qualità di Ambassador di Lino Guanciale, interprete della fiction "La porta rossa", che ha contribuito a portare alla ribalta l'immagine di Trieste». Ieri mattina, sempre nell'ambito del progetto, oltre 400 studenti delle scuole medie sono stati guidati alla scoperta degli spazi del Porto vecchio.

di Micol Brusaferro

 

 

Gas Natural, avanzano i cinesi - Verso la stretta finale per la cessione degli asset italiani
MILANO - Stretta finale sulla cessione degli asset italiani di Gas Natural, che potrebbe realizzare un incasso vicino a 1 miliardo e una consistente plusvalenza in capo al bilancio della controllante spagnola (il valore di carico complessivo di tutte queste attività sfiora 450 milioni). A fare gola ai potenziali acquirenti, secondo Radiocor Plus, sono principalmente due asset: il quasi mezzo milione di clienti elettricità e gas e la distribuzione gas con circa 7.300 chilometri di rete e 460mila punti di riconsegna. Il termine per la presentazione delle offerte, che verranno raccolte dall'advisor Rothschild, è il 22 settembre. In realtà, negli ultimi giorni sembra prendere sempre maggiore consistenza l'ipotesi di un'offerta per tutto il pacchetto da parte del fondo cinese Shanghai DaZhong, che sul dossier è assistito da Macquarie: fonti accreditate parlano di un «reale interesse» per gli asset di Gas Natural e in generale per il Paese Italia. Per quanto riguarda invece i singoli asset, sui clienti (459mila residenziali e 19mila imprese), che fanno capo a Gas Natural Vendita Italia (iscritta nel bilancio 2016 della holding Gas Natural Fenosa International Sa per 56,9 milioni) si annuncia una lotta serrata tra due big come Edison ed Engie con A2A più defilata: sul mercato si ipotizzano offerte che potrebbero oscillare tra 200 e 250 milioni di euro. Sulla distribuzione gas, che fa capo a Nedgia spa e nel bilancio spagnolo vale 381 milioni, si prospetta un testa a testa tra Italgas e 2i Rete Gas. Per quanto riguarda gli altri asset, cioè il progetto per il rigassificatore di Trieste, la holding servizi e la fornitura gas ventennale che dovrà arrivare dall'Azerbaijan grazie al futuro Tap, gli esperti stimano un valore molto ridotto (pochi milioni) visto che si tratta di due progetti sulla carta. È plausibile, tuttavia, che nel caso di uno spezzatino Gas Natural chiederà ai vari acquirenti di rilevare anche questi asset.

 

 

Campo di mais devastato dalle nutrie - La denuncia del proprietario di un terreno vicino all'Ospo: «Sono un problema ma niente crudeltà. Vanno sterilizzate»
MUGGIA - «Mi complimento con il comitato "salva nutrie" di MujaVega per le 629 firme raccolte per salvare degli animali non autoctoni: peccato che non abbiano pensato di "salvare" anche gli agricoltori dal danno provocato da questi animali». Danilo Savron, ex consigliere comunale muggesano della Slovenska skupnost, descrive i danni provocati dalle nutrie, testimonianza che, di fatto, rappresenta il primo episodio "ufficiale" avvenuto nel territorio rivierasco protocollato al Comune. «Ho un appezzamento di 3mila metri quadrati vicino al rio Ospo, completamente recintato, sul quale semino varie colture: tra queste anche del mais, su circa metà del terreno, che è stato completamente distrutto dalle nutrie» racconta Savron. A conferma di quanto affermato ci sono le immagini dei campi quasi completamente sradicati. Savron ha dunque ricordato le parole dell'assessore alla Polizia locale di Muggia, Stefano Decolle, che aveva evidenziato come non erano mai state registrate ufficialmente denunce da parte dei muggesani per danni a coltivazioni private provocati dai castorini. «Ho invitato la prima cittadina Laura Marzi a recarsi personalmente sul posto per verificare il danno prodotto da questi animali. Purtroppo a causa di altri impegni non ha potuto fare il sopralluogo. Direi che le immagini parlino da sole», tuona Savron. A quanto ammonta il danno procurato? «Grazie alle nutrie non sono riuscito a salvare nemmeno la semenza del mais autoctona, vecchia più di cent'anni». Sulla vicenda è intervenuta l'assessore all'Ambiente, Laura Litteri: «Questa testimonianza ancora di più conferma il mio pensiero sulle nutrie. Questi animali, non autoctoni ma importati, costituiscono un problema in quanto si riproducono senza avere nemici naturali e quindi la loro crescita va controllata, evitando però inutili crudeltà. Sono favorevole dunque alla loro sterilizzazione». Intanto la petizione popolare dell'associazione animalista MujaVeg è arrivata sulla scrivania del presidente del Consiglio regionale Franco Iacop. Cristian Bacci, responsabile di MujaVeg, rimarca la convinzione di trovare una soluzione non cruenta nei confronti dei castorini: «In base all'attuale legge regionale di fatto è concesso l'uso di armi da sparo oppure di trappole e successivo abbattimento dell'animale mediante narcotici o armi. Noi siamo favorevoli a metodi ecologici non cruenti, che vanno quindi utilizzati in via prioritaria». In evidenza, ancora una volta, la linea guida per il controllo della nutrie dell'Ispra, che prevede uno studio per individuare e testare sistemi per ridurre le capacità riproduttive delle nutrie riducendo la fertilità degli animali. Ed è proprio notizia di questi giorni che una cucciolata di nutrie è stata individuata lungo gli argini del rio Ospo, forse l'ultima, a Muggia, prima dell'intervento della Regione.

Riccardo Tosques

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 15 settembre 2017

 

 

Siderurgica Triestina: «Nessuno sversamento in mare dalla Ferriera»
Siderurgica Triestina replica al Comune scrivendo di voler fare chiarezza riguardo notizie ritenute «strumentali». L'azienda - riporta una nota - «ha sempre comunicato agli enti ed al Commissario straordinario per l'area della Ferriera i lavori svolti e da svolgere». Ciò premesso - prosegue il comunicato - «non esistono sversamenti a mare». La società «ha avviato ogni processo per migliorare i requisiti dello stabilimento, e di conseguenza della qualità della vita dei cittadini nel circondario, dal giorno dell'insediamento del gruppo». Nel 2015 nel 2016, e tuttora 2017, lo stabilimento «ha mantenuto attivo il proprio sistema di emungimento e trattamento delle acque di falda mediante uno specifico impianto appositamente realizzato che prevede disoleazione, filtrazione e assorbimento su carboni attivi con riutilizzo delle acque nel processo produttivo senza alcuno scarico in mare. L'attività di emungimento e la progressiva pavimentazione e coperture - prosegue - «ha visto diminuire drasticamente il numero dei piezometri contaminati (da 19 a 2) toccando minimamente l'area interessata, sensibilmente ridotta rispetto all'area di contaminazione iniziale». Questa area interessata è una fascia in corrispondenza del piezometro PZ2 e chiamato "Hot Spot", per il quale l'azienda ha «effettuato una asportazione di diverse decine di mc di terreno contaminato, definito puntualmente l'area di contaminazione, effettuato una intensa campagna di monitoraggio, realizzato puntualmente la barriera idraulica così come autorizzata». Gli unici scarichi a mare - argomenta l'azienda - sono quelli autorizzati e previsti dall'Aia del gennaio 2016. «Tali scarichi vengono campionati con frequenza trimensile e non evidenziano alcun valore superiore ai limiti autorizzati e previsti dalla normativa vigente per gli scarichi in acque superficiali». Con riguardo alla tempistica Siderurgica Triestina risponde al Comune che in questi giorni sono in corso le prove di emungimento così come definite dal progetto approvato nella conferenza dei servizi del 19 ottobre 2016. «Si prevede l'avvio dell'emungimento a breve al termine delle prove che forniranno gli ultimi elementi progettuali». Sempre in tema Ferriera, interviene l'assessore regionale all'Ambiente Sara Vito. «La fermata dell'altoforno comunicata dall'azienda giunge dopo i provvedimenti con i quali la Regione, a seguito del peggioramento dei valori rilevati dai deposimetri dell'Arpa, aveva ordinato l'immediata limitazione della produzione», ha dichiarato l'esponente della giunta Serracchiani, in seguito all'avvio delle operazioni di fermata per manutenzione straordinaria dell'impianto siderurgico. «Va sottolineata ancora una volta - prosegue Vito - la costante attenzione che la Regione, avvalendosi anche del supporto tecnico di Arpa Fvg, rivolge all'impianto servolano».

 

 

Nasce il Geoparco del Carso - Cabina di regia alla Regione - Firmato il protocollo d'intesa con dodici Comuni dei territori triestino e isontino
Collaborazione con cinque Municipi sloveni. Tra gli obiettivi le ricadute turistiche
TRIESTE - Geoparco del Carso atto primo. Con la firma posta ieri dall'assessore regionale per l'Ambiente, Sara Vito, in calce al Protocollo d'intesa per l'istituzione di un geoparco sul territorio del Carso classico italiano, che vede tra i sottoscrittori i Comuni di Doberdò del Lago, Duino Aurisina, Fogliano Redipuglia, Monfalcone, Monrupino, Ronchi dei Legionari, Sagrado, San Dorligo della Valle - Dolina, San Pier d'Isonzo, Savogna d'Isonzo, Sgonico e Trieste, prende corpo una delle più importanti iniziative a favore dello sviluppo di quell'immenso patrimonio paesaggistico, storico e culturale che vive e pulsa a cavallo del confine fra Italia e Slovenia. «Con questa firma - ha detto Sara Vito - gli enti locali danno mandato alla Regione di redigere la proposta dell'Atto di istituzione del geoparco regionale, che delineerà, in modo dettagliato, i confini dell'area interessata, gli orientamenti di sviluppo e di tutela locale, oltre che gli aspetti finanziari della gestione». Sul piano tecnico, un geoparco è un territorio che possiede un patrimonio geologico particolare e una strategia di sviluppo sostenibile in tal senso. I vantaggi per il territorio di averne uno sono la possibilità di una valorizzazione senza vincoli, il riconoscimento dell'eccellenza, il potenziale rappresentato dello sviluppo di un turismo sostenibile, il notevole aumento delle possibilità di fruire di fondi comunitari. Attualmente, in Europa esistono 64 territori appartenenti alla rete mondiale dei geoparchi, dieci di essi sono in Italia. Quello del Carso classico avrà una caratteristica che lo renderà unico in tale contesto: sarà il solo a essere transfrontaliero. «La prospettiva prefigurata nel Protocollo è di ampiezza internazionale - ha confermato a questo proposito Vito -, all'articolo 6 è prevista la partnership della Regione per il geoparco transfrontaliero con il Comune di Sesana, rappresentante dei cinque Municipi della parte di Carso slovena. L'obiettivo - ha spiegato ancora l'assessore - è poi di entrare in futuro nella rete mondiale dei geoparchi, sotto il patrocinio dell'Unesco. Si tratta perciò di un percorso - ha precisato - che vede il territorio unito per far conoscere al mondo il nostro Carso classico, oltre che per valorizzare l'ambiente e generare ricadute positive in termini di sviluppo sostenibile, realizzando al contempo un grande progetto di educazione ambientale rivolto ai più giovani. Un passaggio fondamentale per arrivare al Protocollo di oggi - ha concluso l'assessore - è stata l'adozione della legge regionale 15 del 2016, finalizzata a valorizzare le geodiversità, il patrimonio geologico e speleologico e le aree carsiche». Luisa Polli, assessore all'Ambiente del Comune di Trieste, ha detto che «questa sarà anche l'occasione per valorizzare patrimoni che le giovani generazioni magari non conoscono, come il Carso classico». Sandy Klun, sindaco di San Dorligo della Valle, ha evidenziato «l'importanza della collaborazione con i Comuni sloveni, in particolare con quello di Sesana». Massimo Romita, assessore a Duino Aurisina, ha ricordato che «il Protocollo è il miglior viatico in vista del 2021, che sarà l'anno del Carsismo, per il quale ci prepareremo nella maniera più adeguata». Monica Hrovatin, sindaco di Sgonico, ha definito la nascita del Geoparco «il migliore strumento per aumentare il potenziale dell'iniziativa transfrontaliera»

Ugo Salvini

 

 

«Biodigestore, il progetto resiste» - L'assessore Litteri: «Vogliamo l'impianto di raccolta dei rifiuti organici a Muggia»
MUGGIA - «È nelle nostre intenzioni realizzare un biodigestore a Muggia cercando di coinvolgere anche i comuni limitrofi della Slovenia». L'assessore all'Ambiente Laura Litteri torna con forza sulla questione dell'impianto di raccolta dei rifiuti organici, progetto voluto dall'amministrazione Nesladek che sembrava essersi arenato con la nuova giunta Marzi. Litteri - ricordando come si fosse già occupata del problema ben prima della nomina ad assessore, elaborando all'interno di un gruppo di lavoro del Pd una proposta di raccolta porta a porta nella quale era stato inserito il trattamento dell'umido in un impianto di biodigestione - ha confermato così le intenzioni: «Fin dal giorno seguente all'insediamento della giunta Marzi ci siamo impegnati a portare avanti il progetto dell'impianto di trattamento dell'umido. Ad oggi abbiamo avuto tre incontri con la Nre, la società proponente la costruzione dell'impianto. È quindi assolutamente falso sostenere che il progetto non rientri più negli interessi dell'amministrazione». Evidenziando come la Net, la società friulana che si occuperà della raccolta dei rifiuti porta a porta a Muggia, diventerà effettivamente proprietaria dei rifiuti stessi, Litteri spiega il perché del momento di stallo sulla realizzazione della struttura, che porterebbe a Muggia decina di posti di lavoro: «L'unico motivo che al momento sta bloccando il progetto è che portare le frazioni di verde e umido al biodigestore, alle condizioni proposte, costerebbe di più. Saremmo ben felici di conferire l'umido in un impianto vicino alla nostra città, anche per seguire quelle che sono le indicazioni regionali in materia di smaltimento dei rifiuti, ma ciò, nell'interesse dei cittadini, non può essere più costoso di quanto stiamo pagando adesso». Comune, Net e Nre stanno dunque andando avanti: «Siamo in continuo contatto, sperando magari si possa arrivare ad una soluzione più amplia, coinvolgendo anche i comuni limitrofi della Slovenia nel conferimento dei rifiuti organici al futuro biodigestore». Poi la replica al consigliere Roberta Tarlao (Meio Muja), che aveva fortemente criticato l'operato dell'assessore Pd chiedendone le dimissioni. Così Litteri: «È falso che il costo dell'attuale servizio di smaltimento della Net risulti più caro di 29 euro a tonnellata rispetto a quello proposto dalla Nre. Anzi, pur considerando il trasporto, il costo proposto risulta comunque più elevato. Le cifre riportate dalla consigliera Tarlao non sono attuali e se si fosse presa la briga di andare ad informarsi negli uffici competenti, come sarebbe suo dovere di consigliere, prima di chiedere le mie dimissioni, le sarebbe stata spiegata, numeri alla mano, la situazione attuale».

Riccardo Tosques

 

 

Muggia - Politiche sulla mobilità - M5S attacca la giunta

Secondo il consigliere Emanuele Romano (M5S) «il Comune di Muggia non deve aderire alla Settimana europea della mobilità». Una provocazione che Romano collega alle scelte fatte dalla giunta, quali «le restrizioni alla circolazione delle bici in centro, la creazione di nuovi parcheggi e l'assenza di poste di bilancio dedicate alla mobilità sostenibile».

 

 

 

 

COMUNICATO STAMPA - GIOVEDI', 14 settembre 2017

 

 

OGM E SENTENZA CORTE DI GIUSTIZIA. SERENA PELLEGRINO (SI) : POLEMICHE INUTILI, HO PIU’ PAURA DELLE CONSEGUENZE DEL CETA SULLA SICUREZZA DELL’AGRICOLTURA E PER LA TUTELA DELLE ECCELLENZE AGROALIMENTARI ITALIANI.
LE QUESTIONI POSTE DALLA CORTE NON RIGUARDANO I DIVIETI OGM VIGENTI MA EVENTUALI PROVVEDIMENTI DI EMERGENZA NEGLI STATI MEMBRI.
"Sono molto più preoccupata delle conseguenze prodotte dall’approvazione del CETA sulla sicurezza e sulla qualità dei prodotti agro alimentari italiani che dalla sentenza della Corte di giustizia europea sulla faccenda Fidenato e mais OGM in Friuli, variamente e strumentalmente lanciata come una crisi al saldo sistema OGM FREE italiano. La crisi non esiste e abbiamo gli strumenti per continuare il buon lavoro già iniziato per vietare sementi OGM dai nostri campi e pure dalle nostre tavole.
Lo afferma la parlamentare Serena Pellegrino ( Sinistra Italiana) vicepresidente della Commissione Ambiente alla Camera dei Deputati.
“Il divieto alla coltivazione in Italia delle varietà di mais OGM autorizzate in UE e’ vigente e rintracciabile in maniera inequivocabile nelle norme italiane e nella serie di specifici atti indirizzati e accolti dall’Unione Europea.
La sentenza della Corte di giustizia europea si riferisce ad un procedimento penale collegato alla violazione del divieto a coltivare mais OGM MON 810 stabilito dal decreto interministeriale del 2013 e risponde ad una questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Udine.”
“Più specificatamente interviene sulle misure assunte da uno Stato membro, relative a divieti OGM assunti in condizione di emergenza e sulla base del principio di precauzione, sul comportamento che il giudice nazionale debba tenere quando sia chiamato a valutare la legittimità di tali misure, e sul fatto che la Commissione europea non è tenuta ad adottare misure di emergenza qualora uno Stato membro la informi ufficialmente sulla la necessità di adottare tali misure se non sia manifesto che il prodotto oggetto della misura, può presentare un grave rischio per la salute umana, per la salute degli animali o per l’ambiente.
Dal 2016 è vigente il DECRETO LEGISLATIVO 14 novembre 2016, n. 227, attuativo della direttiva (UE) 2015/412, che concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati (OGM) sul loro territorio.
L’Italia dunque ha definito le procedure per limitare o vietare la coltivazione di tutti gli organismi geneticamente modificati sul territorio nazionale. Sulla base di queste norme il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro della salute, dopo il parere positivo della Conferenza Stato-Regioni, ha trasmesso alla Commissione europea le richieste di esclusione dall’ambito geografico delle domande di autorizzazione già concesse o in via di concessione per sei mais geneticamente modificati, che sono state tutte accettate."
Conclude Pellegrino: "Quindi il problema non è discutere le modalità dell’emergenza e per di più con riferimento ad un contesto normativo, italiano e comunitario, completamente evoluto sulla spinta dei cittadini europei No OGM .
Quello che intendiamo conoscere, quanto prima, è a che punto siano le procedure per stabilire divieti di coltivazione di sementi ogm di altre specie vegetali coltivate nelle campagne italiane."
 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 14 settembre 2017

 

 

L'Europa gela l'Italia «Non può impedire le coltivazioni ogm» - Il verdetto

Secondo i giudici , qualora non sia accertato un pericolo per la salute umana, degli animali o per l’ambiente, gli stati UE non possono dire stop
TRIESTE - La Corte di giustizia europea bacchetta l'Italia sugli ogm, partendo da un caso "Made in Friuli Venezia Giulia". Tanto i coltivatori italiani quanto il governo e la Regione Fvg, però, assicurano che la coltivazione di piante geneticamente modificate è vietata e tale resterà. La sentenza, emessa ieri, parte dalla vicenda di Giorgio Fidenato, l'agricoltore che nel 2014 piantò mais ogm e fu perseguito penalmente per aver violato un decreto interministeriale che ne vietava la coltivazione. I giuristi europei hanno stabilito che, qualora non sia accertato che un prodotto geneticamente modificato possa comportare un grave rischio per la salute umana, degli animali o per l'ambiente, né la Commissione né gli Stati membri hanno la facoltà di adottare misure di emergenza quali il divieto della coltivazione, come fece l'Italia nel 2013. Quel decreto, afferma in sostanza la Corte, non era legittimo perché il "principio di precauzione" deve basarsi sulla certezza dell'esistenza del rischio, altrimenti non permette di eludere o di modificare le disposizioni previste per gli alimenti geneticamente modificati. Ma la posizione della Corte non convince tutti. In seguito a una direttiva approvata nel 2015, infatti, i Paesi membri possono vietare la semina di Ogm anche se autorizzata a livello Ue: l'Italia è tra i 17 Stati membri che hanno scelto questa possibilità. Lo ricorda la Coldiretti, il cui presidente Roberto Moncalvo aggiunge: «Per l'Italia gli organismi geneticamente modificati in agricoltura non pongono solo seri problemi di sicurezza ambientale, ma soprattutto perseguono un modello di sviluppo che è il grande alleato dell'omologazione e il grande nemico del "Made in Italy"». La sigla sottolinea poi che «quasi 8 cittadini su 10 (76 per cento) si oppongono oggi al biotech nei campi che in Italia è giustamente vietato in forma strutturale dalla nuova normativa». Sulla stessa linea anche il presidente regionale dell'associazione, Dario Ermacora. E pure la Regione Fvg. L'assessore alle politiche agricole Cristiano Shaurli dichiara: «In Italia le coltivazioni Ogm sono e restano vietate. Le battaglie individuali e attualmente anacronistiche sono argomenti che non possono riguardare gli interessi generali di una regione. La sentenza della Corte di giustizia europea, riguardante il singolo caso - che tra l'altro aveva risvolti di tipo penale - dell'agricoltore friulano, fa riferimento a norme abbondantemente superate dalla legislazione vigente». L'assessore ricorda ancora che l'Italia è fra i Paesi che «hanno richiesto e ottenuto l'esclusione dal loro territorio della coltivazione di sei varietà di mais, fra cui il Mon810». Le battaglie giudiziarie compiute dall'agricoltore Fidenato, conclude Shaurli, «si rivelano ora anacronistiche poiché fanno riferimento ad uno scenario che in questo momento è totalmente diverso. In Italia la coltivazione di mais Ogm è vietata. Finché questo orientamento non cambierà, nessuno potrà piantare mais transgenico in Friuli Venezia Giulia». Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia coglie la palla al balzo per tracciare un quadro a tinte fosche del futuro italiano, «schiavo delle multinazionali»: «Sulla base di questa sentenza i consumatori saranno ridotti a vere e proprie cavie, sulle quali sperimentare se gli Ogm fanno male o no. Per contrastare tale pericolosa assurdità mi auguro nasca un vasto movimento di popolo, composto da tutti coloro che hanno a cuore il valore della biodiversità e delle produzioni agricole tipiche». Incalza ancora Zaia: «Un grave assist alle multinazionali in un quadro generale nel quale il mondo scientifico è spaccato in due, tra chi valuta non pericolosi i prodotti geneticamente modificati e chi invece ne asserisce la rischiosità. Gravissimo è il danno che ne riceveranno l'Italia e il Veneto, rispettivamente con quattromilacinquecento e 350 prodotti tipici di alta qualità, che rischiano di essere spazzati via». Il presidente del Veneto auspica dunque un movimento di popolo, dicendo che «questa è l'Europa che non ci piace». L'attacco di Zaia non piace al ministro alle politiche agricole Maurizio Martina, che spiega: «Il governatore Zaia dovrebbe sapere che non potranno essere coltivati Ogm in Italia. Grazie al lavoro fatto dal 2014 siamo riusciti ad ottenere nuove norme europee che consentono legittimamente agli Stati di vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati. Cosa che l'Italia ha già fatto. È un risultato importante a tutela del nostro patrimonio unico di biodiversità». Sul tema intervengono anche i parlamentari del Movimento 5 Stelle delle commissioni Agricoltura di Camera e Senato: «Con questa sentenza viene calpestato il principio di precauzione, uno degli strumenti pilastro in difesa dell'ambiente e della salute dei Paesi membri e baluardo della normativa Ue contro i trattati di libero scambio come Ceta e Ttip». Spiegano ancora i parlamentari che «dal punto di vista operativo e legislativo non cambia nulla» per le ragioni sopra espresse, ma che la sentenza «ha dimostrato come sia pericoloso affidarsi al solo principio di precauzione, che per l'Unione europea è un concetto troppo labile, come abbiamo da sempre segnalato nelle nostre mozioni, interrogazioni e risoluzioni sul tema». Canta vittoria, per le stesse ragioni, l'associazione Luca Coscioni, di cui Fidenato è un iscritto. Scrive la Coscioni in un comunicato: «La decisione della Corte del Lussemburgo sull'atto di disobbedienza civile di Fidenato solleva l'enorme problema politico generale della necessità di porre al centro delle decisioni normative e politiche le evidenze scientifiche». Da adesso in poi, spiega, «non basterà invocare il "principio di precauzione" per proibire, ci vorranno delle evidenze scientifiche. Una decisione potenzialmente rivoluzionaria».

Giovanni Tomasin

 

«La battaglia continua - Ora mi risarciscano» l'intervista
TRIESTE - Si definisce un anarco-capitalista, «perché nessuno deve poter aggredire le persone per impossessarsi della proprietà altrui, nemmeno lo Stato quando esige il pagamento delle tasse». La sentenza della Corte di giustizia europea l'ha decretato vincitore di una battaglia, «ma non dell'intera guerra». Per questo Giorgio Fidenato, l'agricoltore friulano che nel 2014 e nel 2015 aveva deliberatamente seminato granoturco con il Dna modificato nella sua azienda di Vivaro, non arretra di un millimetro e rilancia: «Domani (oggi, ndr) comunicherò in una conferenza stampa, a Colloredo di Montalbano, come mi comporterò da qui in avanti». Fidenato, si aspettava questa sentenza?Ero moderatamente ottimista. A febbraio ero stato chiamato a Bruxelles, assieme al mio avvocato (Francesco Longo del Foro di Pordenone, ndr), per prendere parte a un dibattimento e già allora le cose sembravano poter prendere una piega positiva, dal momento che era emerso nettamente che alla base dei procedimenti penali a mio carico c'erano delle motivazioni politiche e non di carattere scientifico. Adesso cosa cambia? La mia posizione viene notevolmente alleggerita, ma in questo Paese rimangono vietate le coltivazioni Ogm. Bruxelles ha dichiarato illegittimo il decreto ministeriale del 2013, ma nel frattempo nel 2015 è stata approvata una direttiva che permette ai Paesi membri di vietare la semina Ogm anche quando questa è autorizzata a livello di Unione europea.Quale sentimento prevale in lei dopo questo pronunciamento?Non ho nessuno spirito di rivalsa. Il concetto di vendetta non mi appartiene. Mi dispiace solamente che i soldi dei contribuenti vengano buttati via in questa maniera. Lo sa quanto è costata alla collettività questa battaglia? No, me lo dica... Solo per sequestrarmi il granoturco, nel 2014, sono intervenute nella mia azienda un centinaio di persone, fra carabinieri, guardie forestali e finanzieri. Per bruciarlo nell'inceneritore di Trieste, poi, hanno buttato via seimila euro. Adesso cosa farà?Non mi sbilancio prima della conferenza stampa. Dico solo che non posso tollerare l'ignoranza e l'arroganza delle persone che vogliono prevaricare a tutti i costi. Questi atteggiamenti mi spingono ad andare avanti. In ballo ci potrebbe anche essere una richiesta di risarcimento?Certamente sì. Lo Stato deve pagare per quanto ho subito. Ci rimetterà nuovamente la collettività?Purtroppo sì, anche se è giunto il momento che i politici che firmano delle leggi che sono palesemente contrarie ai trattati europei si assumano la propria responsabilità civile, come accade a qualsiasi cittadino quando sbaglia. Per cosa sente di dover essere risarcito?I danni materiali sono poca cosa: si tratta sostanzialmente del mais andato distrutto. I danni morali sono stati quelli più pesanti, dal momento che mi hanno dipinto come uno sciagurato che non rispetta le leggi. Si sente il simbolo di una battaglia?Magari lo fossi. Magari gli agricoltori seguissero il mio esempio. In tanti mi appoggiano, ma hanno ancora paura. Eppure la libertà non viene regalata, bisogna conquistarsela. Lo sosteneva anche Gandhi: quando un provvedimento è iniquo, non va rispettato. Parla già come un capopopolo... Non ho questa ambizione, non voglio imporre la mia visione agli altri e non penso di salvare l'umanità. Deve essere il consumatore a decidere se comprare o no un mio prodotto. Io devo poterlo coltivare liberamente e dopo spetta al mercato promuoverlo o bocciarlo: alla faccia di certi totalitarismi. A cosa allude? Ai politici, quelli del Movimento 5 Stelle e quelli della Lega Nord. Io sono per delegittimare la politica che vuole imporre le proprie decisioni ai cittadini, togliendo loro la libertà. Suona un po' come un elogio all'anarchia... L'anarchia non è assenza di regole, ma è l'assenza di un padrone.

Luca Saviano

 

I CONSUMATORI - «La ricerca deve dare risposte»
TRIESTE - L'opinione di Barbara Puschiasis, presidente regionale della Federconsumatori, è articolata e chiede di non essere ingabbiata in una categoria schierata a favore o contro gli ogm. «Il discorso è complesso - spiega - e non si può liquidare con un semplice sì o no. Per noi sono prioritari la salute dei consumatori, l'ambiente che li circonda e la qualità di ciò che finisce sulle loro tavole». Spetta alla ricerca scientifica «dare delle risposte chiare sui possibili danni derivanti dagli ogm». L'Europa, a differenza degli Usa, utilizza il principio della precauzione. «Se un prodotto può essere potenzialmente pericoloso - rileva Puschiasis - non viene messo in circolazione. Credo che questo principio rimanga validissimo ed è la stessa sentenza della Corte di giustizia europea ad affermarlo».

(lu.sa.)

 

IL PRODUTTORE - «Tuteliamo le varietà locali»
TRIESTE - «In Italia abbiamo un patrimonio di biodiversità che ci invidia tutto il mondo. Pensiamo a recuperare, a tutelare e a valorizzare le varietà locali che, al contrario degli ogm, rappresentano il futuro e sono migliori dal punto di vista nutrizionale». Luigi Faleschini da quasi trent'anni produce a Pontebba ortofrutta biologica. La sua posizione, per cultura e vocazione professionale, è contraria a quella del collega Giorgio Fidenato. «Le colture locali - spiega - hanno già sviluppato nei secoli la loro resistenza e infatti si adattano molto bene al territorio di origine. Non è necessario avventurarsi nel campo delle modificazioni genetiche, anzi, può essere pericoloso. Vanno inoltre tutelati gli agricoltori che potrebbero venire danneggiati dai pollini ogm».

(lu.sa.)

 

LO SCIENZIATO - «Una vittoria del buonsenso»
TRIESTE - «Quella della Corte europea è una sentenza che dà ragione al buonsenso». Mauro Giacca, direttore generale dell'Icgeb, si schiera dalla parte degli ogm. «I presunti pericoli derivanti dal loro consumo - le sue parole - sono stati smentiti dal passare del tempo. Miliardi di pasti composti da prodotti ogm finiscono sulle tavole delle persone ogni anno e in tutto il mondo, eppure non è mai stato evidenziato scientificamente alcun problema per la salute di chi li consuma». Per Giacca il ricorso alle coltivazioni ogm rappresenta «l'unica soluzione sostenibile per sfamare un pianeta che ha una popolazione di oltre sette miliardi di persone». «Il dibattito sugli ogm in atto in Europa - conclude - fa ridere in America, Asia e Africa. Per la salute non c'è discussione: gli ogm non fanno male».

(lu.sa.)

 

La grande distribuzione - «Multinazionali da limitare»
TRIESTE - Fabio Bosco, titolare assieme al fratello dell'omonimo gruppo che si occupa della grande distribuzione alimentare, ha una visione pragmatica rispetto alla questione ogm. «Non sono contrario tout court - spiega -. Gli ogm permettono di sfamare milioni di persone, dal momento che si sono rivelati resistenti, ad esempio, alle condizioni climatiche avverse delle zone desertiche». A Bosco non piace, però, che il controllo delle manipolazioni genetiche rimanga nelle mani delle multinazionali. «Sono loro a disporre dei brevetti degli ogm - continua - ed è così che si rischia di perdere la tipicità di alcuni prodotti. Se in Italia si ritenesse utile lo sviluppo di un determinato ogm, mi piacerebbe che lo studio e il brevetto venissero portati a termine direttamente nel nostro Paese».

(lu.sa.)

 

L'ATTIVISTA - «Conseguenze alimentari»
TRIESTE - Luca Tornatore, attivista e ricercatore, è contrario agli ogm. «Si deve adottare un minimo principio della precauzione, per quanto riguarda l'impatto degli ogm sulla salute - le sue parole -. L'onere della prova spetta a chi sceglie di attivare una determinata produzione per business. Non lo devono dimostrare i consumatori con il proprio corpo». Secondo Tornatore la questione ogm rischia di trasformarsi in una sorta di privatizzazione alimentare. «Ridurre la varietà a una o due specie - spiega - può avere delle conseguenze dal punto di vista ecologico e alimentare». L'attivista triestino chiama in causa l'Onu, «che ha riconosciuto come gli ogm non abbiano un livello di produttività maggiore rispetto ad altre tecnologie di produzione no ogm. Allora a cosa servono?».

(lu.sa.)

 

L'ASSOCIAZIONE - «Ok contro la fame nel mondo»
TRIESTE - «Il nostro no agli ogm è dettato da opportunità economiche e culturali. Non è un pregiudizio nei confronti della scienza». Edi Bukavec, segretario dell'Assoagricoltori Fvg, contestualizza geograficamente il dibattito. «Non siamo favorevoli alla loro introduzione - spiega - perché preferiamo che venga valorizzata la biodiversità di questo territorio e la qualità dei suoi prodotti. Stiamo dalla parte del Terrano e della Vitovska». Bukavec ci tiene però a precisare che «la ricerca scientifica deve andare avanti», soprattutto se questa riesce a contrastare la piaga della fame nel mondo. «Siamo favorevoli - afferma - se la manipolazione genetica consente, ad esempio, di ottenere un frumento resistente alle condizioni climatiche avverse, così da sfamare le popolazioni povere».

(lu.sa.)

 

Ambiente - Patto Regione-sindaci per il Geoparco del Carso

Oggi nel palazzo della Regione alle 11 l'assessore regionale ad Ambiente ed Energia Sara Vito e i sindaci di Trieste, Monfalcone, Doberdò del Lago, Duino Aurisina, Fogliano, Redipuglia, Monrupino, Ronchi dei Legionari, Sagrado, San Dorligo, San Pier d'Isonzo, Savogna e Sgonico sottoscriveranno il protocollo d'intesa per l'istituzione di un Geoparco sul territorio del Carso.

 

 

La noce di mare mette in allarme la pesca - Giunta in Adriatico si nutre di uova e larve di pesci. La nave dell'Ogs in missione per studiarla
TRIESTE - Non presentano cellule urticanti come le meduse, sono innocue a contatto con l'epidermide. Ma le cosiddette noci di mare, che sempre più stanno invadendo l'Adriatico (conosciute anche come comb jelly o sea walnut), hanno un impatto negativo sull'ecosistema e sul comparto ittico. Lo spiega uno studio pubblicato dal Journal of Sea Research da un team scientifico internazionale di cui fanno parte alcuni ricercatori dell'Istituto nazionale di Oceanografia e geofisica sperimentale (Ogs) di Trieste. Per studiare ulteriormente questi organismi gelatinosi salperà oggi da Trieste la nave da ricerca Ogs Explora per una spedizione scientifica nell'Alto Adriatico sino a domenica. Le noci di mare «sono animali marini planctonici carnivori, quasi trasparenti eluminescenti», spiega Paola Del Negro, direttrice della sezione di Oceanografia dell'Ogs: «Originaria delle coste atlantiche americane, la specie è comparsa per la prima volta in Europa nel Mar Nero a inizio anni '80, trasportata dalle navi tramite le acque di zavorra. Ed è poi proliferata tanto da creare gravi danni al settore della pesca in quanto vorace predatore di zooplancton, uova e piccole larve di pesci, soprattutto di acciuga».Nel golfo di Trieste è stata segnalata per la prima volta nel 2005, ma solo nell'estate 2016 si è verificata una vera esplosione demografica, con presenze massicce nella laguna di Marano e Grado, lungo il litorale ovest dell'Istria e tutte le coste adriatiche italiane, fino a Pescara. Le noci di mare in pratica possono alterare lo sviluppo della catena alimentare, perché sottraggono cibo a molti pesci, come acciughe e sardine, e ne predano uova e larve. Ossia, «il principale impatto di questi organismi riguarda la loro capacità di competere per l'alimentazione con specie ittiche di interesse commerciale (soprattutto acciughe e sardine), nonché di predare i primi stadi di sviluppo (uova e larve) di questi stessi pesci e le larve di molluschi bivalvi come vongole e mitili». Sono adattabili in tutti gli ambienti a qualsiasi latitudine e a diversa salinità e per di più sono ermafroditi caratterizzati da un'impressionante capacità riproduttiva: un individuo può produrre migliaia di uova al giorno. Inoltre, così Del Negro, «questi organismi sono dannosi per alcuni sistemi di pesca peculiari delle lagune altoadriatiche in quanto ostacolano l'operatività degli attrezzi per occlusione meccanica»: essendo gelatinosi si attaccano alle reti con la conseguente impossibilità di proseguire le attività di pesca. «Se la noce di mare dovesse continuare a proliferare in maniera così massiva potrebbe essere compromessa la situazione di tutto il comparto ittico, dalla pesca alla molluschi coltura», sottolinea Del Negro ricordando che «nel Mar Nero hanno provocato un crollo della pesca realmente vertiginoso».

 

Tossina oltre i limiti nei molluschi di Duino - Divieto temporaneo di raccolta dell'Asuits - l'ordinanza
La fine dell'estate porta con sé il consueto ritorno delle restrizioni temporanee riguardanti la raccolta e la distribuzione, ai fini dell'immissione sul mercato alimentare, dei molluschi provenienti da alcuni degli allevamenti di mitili. Al momento a essere interdetta è la possibilità dell'«immissione al consumo dei molluschi bivalvi vivi estratti dalla zona "Ts 10 Zona A - Duino" fino a quando non risultino ripristinate le condizioni di idoneità biologica», si legge in un'ordinanza dell'Azienda sanitaria integrata dei giorni scorsi. Il motivo è l'eccedenza di una tossina, l'acido okadaico, rispetto ai limiti di legge. L'ordinanza resterà in vigore fino a quando i nuovi controlli non dimostreranno il rientro nella soglia di tali valori.

 

 

Stop a tempo per l'altoforno della Ferriera - Da lunedì la manutenzione straordinaria sollecitata dalla Regione. Dipiazza: «Che senso ha investire se l'impianto chiuderà?»
L'altoforno della Ferriera di Servola si ferma. Da lunedì prossimo 18 settembre, comunica Acciaieria Arvedi, partirà infatti la manutenzione straordinaria conseguenza della diffida della Regione mirata al rientro dell'attività dello stabilimento entro i parametri determinati al momento del rilascio dell'Aia, l'Autorizzazione integrata ambientale. All'avvertimento di fine giugno, con cui l'amministrazione regionale imponeva ad Arvedi di ridurre le produzione per il rientro delle polveri nei valori obiettivo previsti dal decreto, era seguito a metà agosto un nuovo invito della direzione Ambiente della stessa amministrazione regionale ad adottare ulteriori misure. Nonostante la limitazione della marcia degli impianti di cokeria e altoforno, scrivevano gli uffici regionali citando una nota dell'Arpa relativa al mese di luglio, i valori obiettivo erano stati infatti ancora superati. La stessa Arpa indicava, tra le ulteriori azioni possibili per ridurre efficacemente le emissioni di polveri, la fermata della produzione dell'altoforno in modo tale da anticipare quella già programmata per la sostituzione della bocca di carico. La risposta di Arvedi è la notizia dell'avvio «di operazioni di preparazione e fermata dell'altoforno della Ferriera» definite non ordinarie, ma appunto straordinarie. Uno stop presumibilmente di qualche settimana, ma il gruppo non comunica la durata dell'intervento. Quanto alla Regione, l'informativa è affidata a un comunicato tecnico che riassume le informazioni arrivate da Arvedi che contengono pure i risultati delle determinazioni ponderali delle deposizioni di agosto, in base ai quali risulta che anche lo scorso mese è stato superato il valore obiettivo fissato dall'Aia, pur in maniera minore rispetto a luglio. Un superamento confermato anche dall'Arpa, che ha però rilevato valori lievemente inferiori a quelli registrati dalla società. Nel periodo di chiusura dell'altoforno, fa sapere ancora la Regione stando a quanto scritto da Arvedi, «la marcia della cokeria» sarà ridotta al minimo tecnico per la salvaguardia e il mantenimento in sicurezza dell'impianto. Per le stesse attività di manutenzione verrà sospesa l'attività della centrale elettrica dal 2 al 16 ottobre e ciò comporterà l'accensione della torcia di emergenza per la combustione del gas eventualmente in eccesso. Inoltre, dal 30 settembre al 16 ottobre, sempre per l'esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria, verrà fermato l'impianto di agglomerazione. E infine, essendo stati rilevati valori nuovamente superiori all'obiettivo fissato dall'Aia, fino al fermo dell'altoforno continuerà la riduzione della produzione. Il tentativo di rientrare nei paletti dell'Aia è dunque esplicito e ben definito. Ma Roberto Dipiazza, nei giorni in cui il Comune ha svelato le sue più recenti contestazioni, quelle sul presunto inquinamento in mare della Ferriera, non condivide per nulla. Non per ragioni tecniche, ma di "filosofia": «Non è questo il modo per risolvere la questione». Secondo il sindaco, «si continua ad aggiungere errore a errore. In una situazione ormai insostenibile, con il ministero in campo per salvare le acque, in una città in cui l'area a caldo è evidentemente incompatibile, che senso ha fare altri investimenti? Che senso ha gettare denari al vento quando tutti sappiamo che, se non sarà quest'anno sarà il prossimo, Arvedi, quell'impianto, lo chiuderà?». Dipiazza assicura quindi che continuerà «la battaglia personale per consentire a Trieste il legittimo sviluppo in totale sicurezza». Il sindaco aveva in passato ipotizzato soluzioni di lavoro alternative per gli addetti della Ferriera. Stavolta si concentra sul nodo sanitario: «Non possiamo continuare a scambiare posti di lavoro con la salute di un'intera città, anzi, di un intero territorio. Sarebbe gravissimo mettere in ginocchio Trieste, Muggia e Capodistria per 300, 400 posti di lavoro».

Marco Ballico

 

 

Hestambiente a caccia di sorgenti d'acqua - Domani un sopralluogo in via Errera. Si cercano nuovi canali per "rifornire" il termovalorizzatore
Il gruppo Hera è veramente una grande multiutility, perché, ai tradizionali quattro settori in cui organizza le proprie attività, ha aggiunto la rabdomanzia. La controllata Hestambiente ha chiesto un paio di mesi fa alla Regione l'autorizzazione a cercare acque sotterranee in via Errera 11, indirizzo che coincide con lo stabilimento del termovalorizzatore. La pratica è seguita dal "servizio gestione risorse idriche" con sede a Gorizia. Domani - aggiunge una breve nota regionale ripresa dall'Albo Pretorio comunale - avverrà un sopralluogo al quale «potrà intervenire chiunque vi abbia interesse», con appuntamento alle 10 davanti all'inceneritore. Ma perché il termovalorizzatore triestino è "assetato"? Lo spiega il direttore della produzione di Herambiente Paolo Cecchin, ingegnere fiorentino 55enne, con precedenti lavorativi nell'Ansaldo, nella Knorr Bremse, nella Falck. «L'impianto - dice il manager - è un importante consumatore di acqua e la risorsa idrica è fornita dalla rete di AcegasApsAmga». Cioè, sgorga dai pozzi di prelievo vicini all'Isonzo e scorre lungo le tubature dell'utility triestino-padovano-isontino-udinese. «Si tratta di un percorso - riassume Cecchin - lungo e costoso, quindi, in una logica di risparmio energetico, cerchiamo di individuare fonti alternative di approvvigionamento». I volumi idrici "bevuti" dal termovalorizzatore sono cospicui: parliamo - calcola Cecchin - di 60mila metri cubi al mese, oltre 700mila all'anno. Quantità che classificano l'impianto di via Errera ai primissimi posti dell'utenza triestina, superato solo dalla Ferriera. Il manager si mantiene molto prudente su quello che si potrà trovare nel sottosuolo di via Errera: «Abbiamo commissionato uno studio in base al quale scaveremo un pozzo di prova. Al momento non siamo in grado di stimare quantità e qualità dell'acqua, è un test tutto da costruire. Quella che serve al funzionamento del termovalorizzatore è risorsa idrica non salina». Fonti aziendali ritengono che 700mila metri cubi di acqua possano rappresentare il consumo di un aggregato urbano da 3mila abitanti. La storia dei termovalorizzatori triestini comincia nel 1972 con l'inceneritore di Giarizzole, che servirà la città fino al 1999. Poi la stagione di via Errera, prima con due linee di incenerimento da 204 tonnellate cadauna di rifiuti bruciati al dì. Errera 2 divenne rapidamente Errera 3, con l'aggiunta di un'ulteriore linea dotata della stessa potenzialità produttiva. Tra la primavera e l'estate del 2015, a distanza di tre anni da quando Hera aveva acquisito AcegasApsAmga, la capogruppo decise di trasferire i termovalorizzatori di Trieste e di Padova in un'apposita società, Hestambiente: una srl, con un capitale sociale di un milione e 10mila euro, partecipata al 70% da Herambiente e al 30% da AcegasApsAmga. Insomma, si tratta di un asset Hera al 100%.

Massimo Greco

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 13 settembre 2017

 

 

«Acque di falda inquinate, il ministero sta con il Comune»
Il Comune chiama il ministero dell'Ambiente sostenendo che la Ferriera inquina il mare, e il ministero risponde chiamando Siderurgica triestina, cui viene chiesto di prendere provvedimenti per evitare proprio la diffusione di inquinanti in mare. Il "giro" di chiamate lo svela lo stesso Comune, cui per il momento la proprietà dello stabilimento di Servola non replica frontalmente ma si limita a osservare che «nelle dichiarazioni del sindaco» vi sono »approssimazioni». «In base a quanto evidenziato da Arpa lo scorso 31 luglio - si legge nella nota del Comune - abbiamo chiesto ad inizio settembre al ministero di valutare l'opportunità di adottare un provvedimento specifico per eliminare da parte della Ferriera 'immissione in mare delle acque di falda contaminate. Nella nota Arpa, infatti, si evidenziava come le analisi delle acque di falda in determinati pozzetti vicini al mare mostrano una pesante presenza dei cancerogeni benzene e benzo(a)pirene, accanto a naftalene ed altri idrocarburi. Siamo soddisfatti perché il ministero ha prontamente risposto chiedendo alla proprietà di procedere immediatamente a interrompere lo sversamento a mare», con «immediata attivazione dell'emungimento della barriera idraulica e ogni ulteriore misura di prevenzione necessaria ad impedire la diffusione dell'inquinamento». «Abbiamo illustrato anche - così Roberto Dipiazza - che l'attuale pianificazione delle analisi ridotta a trimestrale con l'Aia rilasciata nel 2016, con l'Aia del 2008 la rilevazione era mensile, non permette di riscontrare miglioramenti statisticamente significativi» e che il Comune «a fronte di queste allarmanti evidenze ha già presentato alla Regione la richiesta formale di riesame dell'Aia... rigettata dalla stessa Regione».«Nelle dichiarazioni del sindaco - si limitano a commentare dall'ufficio stampa di Siderurgica triestina - cogliamo alcune approssimazioni che ci riserviamo di approfondire nelle prossime ore». Eventuali repliche, quindi, arriveranno solo dopo una fase di approfondimento.

 

 

Un supercentro di ricerca dedicato all'energia - Inaugurata dall'ateneo la nuova struttura interdipartimentale che riunisce sette aree disciplinari
Dopo la Summer school intitolata al chimico triestino Giacomo Ciamician, che si sta svolgendo in questi giorni e che contempla tematiche sull'energia, e da quest'anno ambiente e trasporti, all'Università è stato battezzato ieri il Centro di ricerca interdipartimentale sulle stesse materie, anch'esso dedicato all'insigne scienziato, pioniere dell'energia solare. Ben sette aree disciplinari (Ingegneria e architettura, Scienze chimiche e farmaceutiche, Scienze economiche, aziendali, matematiche e statistiche, Scienze giuridiche, del linguaggio, dell'interpretazione e della traduzione, Scienze della vita, Matematica e geoscienze e Scienze politiche) all'interno di questo incubatore di idee, che ha sede per il momento nel dipartimento afferente al suo direttore, Giorgio Sulligoi, docente di Sistemi elettrici per l'energia all'interno di Ingegneria e architettura.Il centro si propone dunque di fare da punto focale tra la ricerca e il trasferimento delle conoscenze dall'ateneo al sistema industriale-scientifico del nostro territorio, ma non solo, secondo un approccio multidisciplinare. «C'è stato un processo che ha portato alla costituzione del centro - spiega Sulligoi - caratterizzato da competenze che intercettano quella ingegneristica, quella economica, e un domani auspicabilmente anche quella inerente alla medicina del lavoro, perché non c'è sul territorio regionale una struttura simile. In Italia esistono altri centri, come a Padova, con cui abbiamo intenzione di collaborare». L'adesione dei diversi ricercatori è legata ai progetti sui quali il team di studio lavorerà, che possono essere frutto di bandi o accordi quadro con istituzioni, o legati direttamente ad aziende o consorzi di imprese.«Questo centro consentirà anche di avviare interlocuzioni con grandi istituzioni quale ad esempio la Banca mondiale - specifica Sulligoi -, soggetti che è difficile interagiscano con il singolo ricercatore e invece necessitano di consultazioni verticali, dal chimico allo specialista di linee elettriche, all'economista». In questo modo il sistema non solo potrà fornire una consulenza completa, ad esempio nell'uso delle energie rinnovabili, dell'inserimento di progetti sul territorio o per l'impatto di questi sull'ambiente, ma «porterà anche benefici all'università stessa, sul modo di fare ricerca». E ciò rivolgendosi sia in ambito nazionale sia internazionale, e diventando un soggetto che può fornire la propria conoscenza coniugata a strategie regionali. «Ci poniamo così - conclude il professore - anche per raccogliere finanziamenti pubblici e privati e per entrare nei processi decisionali territoriali. In altre realtà l'università è nei grandi processi di urbanizzazione o industrializzazione: perché il sistema locale della scienza non può contribuire alle soluzioni?».

(b.m.)

 

 

Piu' di 600 firme per salvare le nutrie sull'Ospo - Consegnata in Regione la petizione di MujaVeg contro la legge che permette l'abbattimento violento.

MUGGIA - Esattamente 629 firme per salvare le nutrie del Friuli Venezia Giulia. Questo il risultato della petizione popolare "Salva Nutrie" consegnata al presidente del Consiglio della Regione Franco Iacop. La raccolta firme, partita dall'associazione animalista MujaVeg, chiede a chiare lettere la modifica delle disposizioni inserite nella Legge regionale n. 20 del 9 giugno scorso con cui la giunta Serracchiani ha previsto, entro l'anno, l'avvio del progetto di eradicazione delle nutrie attraverso abbattimento violento o eutanasia. La legge regionale "Misure per il contenimento finalizzato all'eradicazione della nutria (myocastor ciypus)" viene considerata dagli animalisti «dispensatrice di una morte cruenta per migliaia di nutrie sul territorio regionale». Di più, «cozza con la legge nazionale dell'11 febbraio n. 157, che prevede un controllo della specie praticato di norma mediante l'utilizzo di metodi ecologici su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica (oggi Ispra)». E solo «qualora l'Istituto verifichi l'inefficacia dei predetti metodi, le Regioni possono autorizzare piani di abbattimento». Come metodi ecologici si intendono pratiche non cruenti, «da utilizzare in via prioritaria». Metodi indicati nelle linea guida per il controllo della nutrie dell'Ispra. In questo senso si è «paradossalmente» mossa anche la Regione Friuli Venezia Giulia, che ha deciso di finanziare uno studio per individuare e testare sistemi per ridurre le capacità riproduttive delle nutrie. «Mi chiedo che senso abbia fare uno studio per ridurre la fertilità degli animali e contemporaneamente ordinare la fucilazione e la camera a gas di tutte le nutrie - incalza Cristian Bacci, responsabile di MujaVeg e primo firmatario della petizione -. E che fine faranno i cuccioli che rimarranno rifugiati nelle tane ad aspettare che la mamma torni per allattarli?». In base all'attuale legge regionale di fatto è concesso "l'uso di armi da sparo oppure trappolaggio e successivo abbattimento con metodo eutanasico dell'animale mediante narcotici, armi ad aria compressa o armi comuni da sparo". Solo come terza opzione vengono annoverati metodi e strumenti messi a disposizione dalla comunità scientifica. «La petizione firmata da 629 cittadini della regione - ancora Bacci - prevede di utilizzare in esclusiva questi metodi e non quelli che prevedono la morte per mano umana. Ora la palla passa alla Regione dove la proposta sarà discussa nella Commissione competente». Non è un caso che la petizione sia partita da Muggia, terra ricca di "castorini" che hanno colonizzato gli argini del rio Ospo. Una colonia che però «non ha mai fatto danni a coltivazioni private o ad altri soggetti», come ha ribadito spesso l'assessore alla polizia locale di Muggia, Stefano Decolle.

Riccardo Tosques

 

 

 

 

 

La Voce.info - MARTEDI', 12 settembre 2017

 

 

ENERGIA E AMBIENTE - Ricette anti-Co2: acqua, vento e sole non bastano

Uno studio spiega come si potrebbe arrivare nel 2050 a un sistema energetico mondiale basato solo su acqua, vento e sole. È uno scenario estremo, forse tecnicamente irrealizzabile. Soprattutto, non considera gli enormi costi di una simile soluzione. - leggi l'articolo su La Voce.info
Solo vento, acqua e sole
Mentre l’Italia lottava strenuamente contro il caldo agostano, la rivista Joule pubblicava un lavoro dal titolo “100% Clean and Renewable Wind, Water, and Sunlight All-Sector Energy Roadmaps for 139 Countries of the World”, realizzato da Mark Z. Jacobson con molti altri co-autori.
L’articolo propone una tesi molto suggestiva: la possibilità (e la desiderabilità) di una transizione (entro il 2050) dell’intero sistema energetico mondiale verso una soluzione che consideri unicamente “wind, water and sunlight”, ovvero vento, acqua e sole. Si tratta di una versione assai spinta dei tanti scenari di de-carbonizzazione che sono stati prodotti negli ultimi anni da diverse istituzioni. Ne mostra un aspetto peculiare, ed esplicitamente non prende in considerazione alcuni elementi spesso contenuti negli scenari ad alta de-carbonizzazione, come il settore nucleare, le biomasse, il confinamento geologico della CO2. L’articolo considera 139 paesi, ovvero quelli per i quali esistono statistiche rese disponibili dall’Agenzia internazionale dell’energia. Va aggiunto che i paesi in questione rappresentano il 99 per cento delle emissioni di CO2.
L’articolo – relativamente breve (14 pagine) – è accompagnato da un’appendice di oltre 150 pagine che presenta con maggiore dettaglio gli scenari proposti.
Lo studio è nato e si è sviluppato nell’Università di Stanford, cui appartengono 24 dei 27 citati ricercatori. Il lavoro – che in forme diverse circola da tempo – gira intorno alla figura di Mark Z. Jacobson, primo fra gli autori, l’unico non in ordine alfabetico e che gode di una certa notorietà, almeno negli Stati Uniti. Fra le sue apparizioni televisive, si ricorda un’intervista con David Letterman nel 2013 proprio su questo tema, ma limitato solo agli Stati Uniti e non al mondo nel suo complesso.
Il confronto con i dati Weo
Per cercare di valutare lo studio, seppur sommariamente, può essere utile confrontarlo con i dati contenuti dell’ultimo World Energy Outlook (Weo) pubblicato dall’Agenzia internazionale dell’energia nel 2016. Le due pubblicazioni usano dati espressi in unità di misura diverse – in termini energetici (Mtoe) per il Weo, in termini di potenza elettrica installata (GW) nel lavoro di Jacobson – che sono stati quindi uniformati per poterli confrontare. In più, il traguardo del Weo è il 2040, mentre lo studio Jacobson si spinge fino al 2050. Per ragioni di spazio ci limitiamo a considerare alcune macro tendenze (grafico 1).
Gli scenari tendenziali (che non mostriamo) sono sostanzialmente coincidenti per i due modelli. La principale differenza è tuttavia legata allo scenario alternativo. Nel caso Weo, anche quello più stringente (450 Scenario) vede un minimo incremento dell’offerta di energia al 2040, mentre nel caso Jacobson c’è invece una leggera riduzione della domanda totale di energia al 2050.
Se ci riferiamo solo al valore strettamente numerico, gli scenari non appaiono drasticamente differenti. Certo, al 2040 ci sono 2000 GW di differenza, ma mancano ancora dieci anni e la distanza potrebbe ridursi.
Il confronto è diverso se pensiamo che i risultati Jacobson sono ottenuti senza l’utilizzo di alcuni ingredienti presenti invece in abbondanza nella soluzione Weo che, nello scenario a massima de-carbonizzazione, prevede tra l’altro nucleare, biomasse, Ccs e tecnologie simili.
Stiamo guardando due torte apparentemente uguali, solo che quella di Jacobson non usa né uova, né farina. Si potrebbe avere qualche perplessità ad assaggiarla.
È quello che probabilmente ha pensato un gruppo di scienziati che a giugno hanno pubblicato per la prestigiosa Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America) uno studio in cui demoliscono il modello progenitore di quello che stiamo esaminando e che si limitava agli Stati Uniti e non a 139 paesi. Basti ricordare, in sintesi, che i paragrafi sono sobriamente intitolati “errori nell’analisi”, “errori nel modello”, “assunzioni implausibili” e così via: evidentemente, non hanno gradito la torta.
I costi
Probabilmente la soluzione proposta da Jacobson non è tecnicamente realizzabile. Certamente è troppo costosa e dunque non raggiungibile per ragioni economiche, politiche e sociali. Per quanto riguarda l’aspetto economico, ci sono altre soluzioni, sempre a impatto ambientale pressoché nullo, che molto probabilmente sono più convenienti e soprattutto più sicure rispetto a quelle proposte.
Si pensi, tanto per fare un esempio, al tema dei trasporti marittimi e soprattutto aerei: per passare all’elettrico integrale bisognerebbe, in poco più di trenta anni, rivoluzionare completamente il concetto stesso di trasporto, cambiando completamente le flotte e tutta l’infrastruttura di supporto. Si può probabilmente fare, ma a quale prezzo? Considerando che aerei e navi hanno una vita utile abbastanza lunga e che le tecnologie richiedono ancora almeno un decennio per lo sviluppo, si tratterebbe – entro il 2050 – di sostituire aerei e soprattutto navi ancora nuovi (i cui investimenti non sarebbero ammortizzati) a favore di mezzi a propulsione elettrica. Questa rivoluzione non sembra dietro l’angolo.

Alessandro Lanza

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 12 settembre 2017

 

 

Da Barcis a San Daniele al mare - Mille chilometri solo per le bici - Tre milioni spendibili nel triennio per rendere la regione a misura di cicloturista

Serviranno sia a realizzare nuovi tracciati che a potenziare quelli già costruiti
TRIESTE - La Regione scommette sulla ciclabilità e nel triennio 2017-2019, come indicato nell'assestamento di bilancio, prevede finanziamenti per oltre tre milioni di euro, mirati a interventi che porteranno alla realizzazione di nuove piste ciclabili e/o alla sistemazione di quelle esistenti. Una volontà di puntare sulla mobilità ecosostenibile alla luce dei tanti cittadini che in tutto il Friuli Venezia Giulia si muovono sempre più con la bici e del numero crescente di cicloturisti. Nuovi percorsi L'opera più consistente, in termini di costi, sarà il completamento dell'itinerario definito Fvg3, parallelo al tracciato ferroviario, con la costruzione della pista ciclabile nei comuni di Pinzano, Meduno, Cavasso, Montereale e Maniago, per complessivi 300mila euro, ai quali se ne aggiungeranno altrettanti per l'anello tra Maniago, Frisanco, Pala, Barzana, Andreis, Barcis e Montereale. Ammonta a 250mila euro un altro progetto tra i più onerosi, il percorso ciclopedonale Loch-Supizza, all'ex confine di Stato, la prosecuzione del percorso Bimobis. Segue, con 200mila euro di esborso, la realizzazione delle piste ciclabili interne che collegheranno le ciclabili Alpe Adria e Bimobis, e ancora, per lo stesso importo, la ciclovia Alpe Adria nel Comune di Pontebba. Tre le novità previste poi la pista ciclabile Basiliano-San Marco lungo la ex provinciale SP10, il percorso cicloturistico sul fiume Varmo, la nuova viabilità ciclabile Tolmezzo-Amaro, con il completamento della rete carnica, la viabilità ciclopedonale tra Moruzzo, Fagagna, Rive d'Arcano e San Daniele del Friuli. La pista ciclopedonale sopra l'argine del Tagliamento e il collegamento ciclabile tra Udine e Campoformido: le tempistiche per ogni singola novità non sono ancora state rese note, ma secondo il programma saranno completate o comunque avviate entro il 2019. La mappa La Regione Friuli Venezia Giulia sta realizzando la "Rete delle ciclovie di interesse regionale (ReCIR)", un sistema di ciclovie collegato anche con i tracciati dei paesi confinanti. I percorsi si possono visionare al link www.regione.fvg.it/rafvg/cms/RAFVG/infrastrutture-lavori-pubblici/infrastrutture-logistica-trasporti/ciclovie/. La ReCIR si compone di dieci ciclovie, per un totale di oltre di mille chilometri, dei quali 450 chilometri sono già stati realizzati e comprendono la ciclovia Alpe Adria, quella del mare Adriatico, la pedemontana e del Collio, quella della pianura e del Natisone, le ciclovie dell'Isonzo, del Tagliamento e del Livenza, quella della montagna carnica, quella della bassa pianura pordenonese e la Noncello-mare.Gli investimenti Oltre ai tracciati specifici indicati, 50mila euro vengono destinati in generale a potenziare i collegamenti tra siti archeologici e naturalistici della regione, ulteriori 100mila per la predisposizione di un programma comprensoriale di interventi su viabilità ciclabile e i sentieri. Altri 40mila figurano per la "riqualificazione dei parchi e delle zone naturalistiche dei Comuni dell'Unione Sile e Meduna, Parco di Torrate, Parco delle Dote, Laghi di Cesena, Parco Cornia, Borgo medioevale di Panigai e i relativi percorsi ciclopedonali di collegamento". Attenzione puntata anche ai ciclisti di montagna, con 3.500 euro mirati a creare e segnalare percorsi in quota per mountain bike. «Per la realizzazione dei tratti di "pista ciclabile-ciclopedonale" della ReCIR - viene sottolineato dalla Regione - si predilige l'utilizzazione dei tracciati ferroviari dismessi, delle stradine arginali, delle carrarecce di campagna e delle piste forestali». Le criticità Fiab Ulisse, che da anni si occupa di ciclabilità, sollecita la Regione su un intervento in particolare, per cui manca ancora l'ultimo tassello. Si tratta della pista ciclabile del Carso, da Monfalcone a Draga Sant'Elia. «Nell'aprile di quest'anno è stata inviata una lettera all'assessore Santoro alla quale non è seguita nessuna risposta. Si tratta di una novità già prevista nel 2009 con un finanziamento di due milioni e 900mila euro - ricorda Federico Zadnich, coordinatore regionale Fiab Fvg - ma poi tutto si è arenato e non è mai stato avviato il progetto esecutivo. Su questo noi avevamo raccolto 1.300 firme. Riassumendo, la Provincia ha realizzato il progetto esecutivo ma poi si è fermata, non ha fatto il bando per la realizzazione e nel frattempo è stata sciolta. Da un anno tutto è passato nelle mani della Regione che però non ha fatto il bando, quindi i 2,9 milioni di euro e il progetto sono in stand by. Questi ritardi danneggiano l'economia cicloturistica della provincia di Trieste». La tratta viene definita importante da Fiab Ulisse, che aveva indicato in un comunicato già un paio di anni fa, come fondamentale, «eseguire con priorità il lotto Monfalcone-Sistiana in modo da dare continuità alla ciclabile Grado-Monfalcone e consentire ai cicloturisti diretti a Trieste di percorre l'itinerario del Carso o in alternativa la più spettacolare strada costiera come stanno già facendo tutti i tour operator che operano nella nostra provincia». E se per alcuni collegamenti si attende ancora una risposta, per altri Fiab Ulisse annuncia una novità che vedrà la luce il prossimo anno. «Nel 2018 - spiega Zadnich - lanceremo la nuova ciclabile Ciclovia Aida, che attraverserà l'Italia, partirà proprio da Trieste per raggiungere Susa e toccherà la principali città del nord, un affascinante itinerario per chi viaggia in bici alla scoperta delle bellezze del nostro Paese».

Micol Brusaferro

 

LE SCELTE - «Più sicurezza per i cittadini»
«Investire sulle ciclabili significa investire non solo sul nuovo turismo, ma sulla sicurezza dei cittadini, che devono essere messi nelle condizioni di poter scegliere quale sia il mezzo di trasporto per loro più giusto e di poterlo utilizzare appunto in sicurezza». Così l'assessore regionale alle Infrastrutture e Territorio Mariagrazia Santoro, che sta seguendo in prima linea tutto ciò che riguarda la mobilità sostenibile e lo sviluppo della Rete delle ciclovie di interesse regionale. «Abbiamo una congiuntura favorevole - sottolinea - in cui le ciclabili delle province sono passate sotto la regia della Regione che, con il Piano paesaggistico, ha mappato l'esistente per fare un programma di investimenti che completano la rete. Contemporaneamente nelle intese per lo sviluppo delle Uti il finanziamento della progettualità per un nuovo sistema ciclistico è predominante».

( mi.b.)

 

LE RICHIESTE - «Trieste e Muggia da collegare»
Tra le priorità di Fiab Ulisse su Trieste c'è la ciclabile che colleghi la città capoluogo a Muggia, proposta presentata alcune settimane e messa a disposizione dei due Comuni. «Realizzabile in tempi rapidi e con risorse contenute - così Fiab coordinata in regione da Federico Zadnich (foto) - è una concreta possibilità che è stata elaborata in uno studio di fattibilità, che mette a disposizione di chi amministra». Un percorso di otto chilometri - insistono da Fiab - che collegherebbe la galleria di Montebello s Muggia con un itinerario ciclabile continuo, riconoscibile, veloce e sicuro, attraverso rioni molto popolati e senza particolari pendenze, dove sono presenti attività commerciali ed industriali. Un'infrastruttura che si trova lungo l'itinerario cicloturistico EuroVelo8 Cadice-Atene e che farebbe arrivare la ciclovia Parenzana fino al centro di Trieste.

( mi.b.)

 

Muggia "sfida" Roma - Torna in vigore l'ordinanza antibici
La giunta Marzi riabilita il provvedimento sospeso dal ministero - «In settimana spediremo le motivazioni della nostra scelta»
MUGGIA - «Abbiamo ripristinato l'ordinanza sospesa dal ministero: entro la settimana invieremo a Roma le motivazioni scritte sul perché della nostra decisione». Laura Marzi, sindaco di Muggia, non ci sta. Nella riunione di giunta svoltasi ieri pomeriggio l'amministrazione comunale ha deciso di proseguire per la propria strada per quanto concerne la cosiddetta "ordinanza antibici". Il documento che dallo scorso giugno regolamenta la viabilità del centro storico inserendo, tra i tanti punti, anche l'obbligo di spingere le biciclette a mano in tre zone del centro - corso Puccini, via Dante e piazza Marconi - era stato fortemente contestato dalla sezione muggesana di Fiab Ulisse, l'associazione di ciclisti presente sul territorio provinciale. Tramite l'ufficio legale dell'associazione lo scorso luglio tre cittadini muggesani, Christian Bacci, Gaetano Maggiore e Carlo Canciani, avevano presentato un ricorso al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti contro l'ordinanza sindacale di Muggia. Risultato? Il ministero ha inviato al Comune una nota con la sospensione del documento. Una sospensiva senza tempistiche precise, e con la possibilità da parte del Comune di appellarsi a motivi di sicurezza per un eventuale ripristino. Cosa che è puntualmente accaduta. «Quello del Ministero è stato un atto dovuto dinanzi ad un ricorso, ma non vi è presente alcun pronunciamento. Concretamente non c'è stata nessuna bocciatura, motivo per cui è stata data possibilità al Comune di ripristinare l'ordinanza, in caso di urgenza, fornendo delle controdeduzioni», racconta il sindaco Marzi. Da ieri, dunque, la giunta ha in effetti deciso di ripristinare l'obbligo di condurre la bici a spinta, un obbligo che per quest'anno sarà in vigore ancora sino al termine della "stagione estiva", ossia sino al 30 settembre, in determinati orari: dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 16 alle 20. I cartelli stradali, pertanto, non sono stati né tolti, né coperti. Anzi, sono pienamente in vigore. Ma perché il Comune ha deciso di proseguire con la sua ordinanza? «Semplice, perché per motivi di sicurezza i provvedimenti presi sono necessari. Negli ultimi anni, in particolar modo durante la stagione estiva, il numero di turisti è aumentato considerevolmente. Ed è aumentato anche il numero di velocipedi che soprattutto in piazza Marconi e nelle vie limitrofe, ossia corso Puccini e via Dante, tendono a sfrecciare troppo velocemente facendo slalom tra le persone», racconta sempre il sindaco Marzi.Il primo cittadino cerca poi di fare chiarezza, una volta per tutte, sulla viabilità ciclabile: «Nessuno, ripeto, nessuno, ha obbligato i ciclisti a prendere per forza la galleria come invece viene ancora sostenuto da più parti. Da ben prima della nostra ordinanza l'entrata dei ciclisti avveniva, spesso, contromano, nonostante vi fosse, e vi sia tuttora, un cartello che obbliga i ciclisti a scendere e a spingere a mano per qualche decina metri le proprie biciclette».Marzi, ribadendo l'importanza dell'ordinanza per quanto riguarda il pugno duro contro gli autoveicoli nell'area pedonale all'interno del centro storico di Muggia, spiega pure i prossimi passi del Comune: «Siamo venuti incontro alle esigenze e alle richieste pervenuteci nei mesi scorsi da parte di alcuni ciclisti, tanto è vero che abbiamo ampiamente limitato il raggio di divieto di pedalata per le biciclette, una misura, ricordiamolo, adottata per motivi di sicurezza. Il ricorso proposto dai tre cittadini mi ha lasciato davvero perplessa, ma la decisione presa dalla giunta è quella di mantenere i provvedimenti. Entro la settimana forniremo al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti le motivazioni della nostra scelta».

Riccardo Tosques

 

 

I permessi per le Falesie delegati ai circoli - L'amministrazione di Duino Aurisina cede il rilascio delle autorizzazioni per i diportisti: iter più snello
DUINO AURISINA - Saranno le società nautiche del territorio di Duino Aurisina, su delega dell'amministrazione comunale, a rilasciare, nel 2018, le autorizzazioni ai diportisti per poter entrare nello specchio d'acqua della Riserva marina delle Falesie. Questo radicale cambiamento nel Regolamento, che disciplina l'accesso a quel tratto di mare, è stato programmato in questi giorni dalla giunta guidata dal sindaco Daniela Pallotta, dopo una serie di incontri che hanno visto l'assessore comunale Andrea Humar verificare la disponibilità dei responsabili delle numerose realtà nautiche di Duino Aurisina. Lo specchio d'acqua della Riserva è diviso in tre zone: la A, interdetta a qualsiasi ingresso, la B, alla quale finora si accedeva solo se in possesso di un permesso finora concesso dal Comune, su richiesta degli interessati, e la C, destinata alla sola didattica. «Il permesso per entrare nella zona B - spiega Humar - era sì gratuito, ma per ottenerlo era necessario fare due domande su carta bollata, per una spesa complessiva di 32 euro. Inoltre bisognava presentare una serie di documenti. Insomma, una gratuità relativa e un appesantimento burocratico che hanno scoraggiato gli interessati - aggiunge Humar - al punto da originare una caduta verticale delle domande di accesso. Dopo i colloqui con le società nautiche locali, siamo giunti alla conclusione di delegare a loro, con il consenso della Federazione competente, la Fipsas, e ovviamente sulla base di un preciso Regolamento - precisa - il rilascio dei permessi. Queste scelta - sottolinea Humar - dovrebbe rendere molto più veloce l'operazione di rilascio. Confermeremo la gratuità dell'accesso. Se dovessimo optare per una diversa scelta, facendo pagare una piccolo prezzo d'ingresso - conclude l'assessore - lo faremo solo per destinare l'intero ricavato alle Scuole vela per i ragazzi».A insistere per una più libera fruizione della zona B della Riserva delle Falesie erano stati pochi giorni fa anche i Cittadini per il golfo, preoccupati per la progressiva crescita delle zone interdette al diporto. Nello stesso programma che riguarda la zona B, sono previsti progetti anche per la A e la C. Per quanto concerne la prima, che resterà comunque interdetta, di concerto con le associazioni dei pescatori si procederà con un'azione che Humar ha definito di «ripopolamento delle colonie di seppie e calamari». Infine, per la C, la giunta sta programmando un piano che coinvolga ancora una volta le società nautiche, stavolta assieme alla Riserva di Miramare, per portare sul posto le scolaresche, nell'ambito di corsi di educazione ambientale. «Vogliamo che la Riserva marina delle Falesie - è la chiosa di Humar - torni a essere un bene fruibile da parte della collettività, pur nel rispetto della sua originaria destinazione».

Ugo Salvini

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 11 settembre 2017

 

 

Riciclaggio dell'umido - L'ipotesi impianto in stand-by a Muggia - Nessuna notizia sul progetto ideato dalla giunta Nesladek
Tarlao (Mejo Muja) attacca l'assessore Litteri: «Si dimetta»
MUGGIA - Che fine ha fatto il progetto del biodigestore per lo smaltimento dei rifiuti organici, ossia la centrale di riciclaggio promossa dall'amministrazione Nesladek che avrebbe potuto prendere vita in zona Ezit? Da quanto è emerso in un recente scambio di comunicazioni istituzionali tra il consigliere comunale Roberta Tarlao (Meio Muja) e l'assessore all'Ambiente Laura Litteri (quota Pd), il progetto pare non rientrare più negli interessi dell'amministrazione Marzi. L'iter - È il 3 giugno del 2015 quando la costituenda Rti tra Gesin Coop e Nre research srl presenta al protocollo del Comune di Muggia un progetto per l'impianto della digestione anaerobica della cosiddetta Forsu (Frazione organica del rifiuto solido urbano), conosciuta anche come "umido" con produzione di energie rinnovabili nel territorio comunale. Un progetto realizzato interamente con fondi privati, che oltre a non gravare sulla finanza pubblica avrebbe avuto il pregio di far risparmiare al Comune circa 20-22 euro a tonnellata di rifiuti conferita. Un mese dopo, l'amministrazione comunale, retta allora dal sindaco Nerio Nesladek, con una delibera giuntale dichiara il preliminare interesse alla realizzazione di un impianto per il trattamento della frazione organica dei rifiuti solidi urbani, evidenziando peraltro «il notevole abbattimento dei costi di trasporto oggi sostenuti per l'invio a trattamento della suddetta frazione che incidono pesantemente sul costo di smaltimento».Il dispositivo della delibera indirizza gli uffici competenti a predisporre gli atti necessari alla stipula di una convenzione tra il Comune, la Rti e Net per definire le modalità di conferimento e i relativi costi. Il 28 luglio dello scorso anno, il nuovo sindaco Laura Marzi ribadisce nelle linee di mandato, poi votate dal Consiglio comunale, che «ci si spenderà per facilitare la realizzazione di un biodigestore» per gli stessi motivi enunciati dalla precedente giunta Nesladek. L'interrogazione - E si arriva al 19 luglio scorso: visto il posticipo dell'inizio della raccolta differenziata dei rifiuti, il capogruppo consigliare di Meio Muja, Roberta Tarlao, ha presentato un'interrogazione alla giunta Marzi per capire a che punto era arrivato l'iter per la realizzazione della struttura. «Sono imbarazzata dalla risposta dell'assessore all'Ambiente Litteri, perché ha scritto una serie di falsità inaudite» tuona Tarlao. «La prima? Che ci sarebbero maggiori costi, dimenticandosi però di sommare il costo del trasporto dell'attuale servizio che quindi risulta più caro di 29 euro a tonnellata» continua. Altra incongruenza segnalata da Tarlao, le tempistiche della delibera della Giunta, che secondo Litteri sarebbe stata realizzata prima dell'adesione a Net, dimenticandosi in realtà come nella delibera stessa si citi testualmente il parere favorevole di Net all'impianto. L'assessore all'Ambiente ha poi evidenziato come il futuro del biodigestore sia incerto in quanto il Comune non ha dei terreni a disposizione: anche qui, per Tarlao, si tratterebbe di uno scivolone, dal momento che la Rti ha messo a chiare lettere l'intenzione di acquistare di propria tasca un terreno da Ezit, senza che vi siano spese da parte del Comune. Anche a seguito dei ritardi nell'avvio della raccolta dei rifiuti "porta a porta" - posticipata al 2018, rispetto all'anno in corso, come preannunciato da Litteri in Commissione -, Tarlao ha chiesto «dinanzi alle falsità scritte nella risposta all'interrogazione» che l'assessore si dimetta. L'incontroPer ora dal Comune è trapelato che a brevissimo vi sarà un incontro con Net. E che tra gli argomenti all'ordine del giorno vi sarà anche la centrale di riciclaggio.

Riccardo Tosques

 

 

Legambiente: 7 milioni di italiani a rischio - Secondi i dati del Cnr dal 2010 al 2016 oltre 145 persone hanno perso la vita a causa di inondazioni
ROMA - Ci sono 7 milioni di italiani che ogni giorno vivono in aree a rischio frane e alluvioni, esposte a bombe d'acqua proprio come quella che si è abbattuta su Livorno. Che l'Italia debba fare i conti con la fragilità del suolo (per l'88%) lo dice Legambiente che in uno dei suoi report mette per esempio in evidenza come il 77% delle abitazioni siano costruite in zone "rosse" e nel 31% dei casi vi si trovano interi quartieri, tenendo presente che ci sono anche il 51% degli impianti industriali e spesso sono nelle zone potenzialmente franose sono presenti scuole o ospedali.«È una tragedia annunciata, quella di Livorno - racconta la presidente di Legambiente Rossella Muroni - ci sono 7 milioni di persone che vivono in aree a rischio e le nostre città sono sempre più esposte ai cambiamenti climatici. Gli amministratori dovrebbero dare più risposte, a cominciare da quelle che ci vengono chieste dalla Comunità europea. È necessario un nuovo approccio. Bisogna per esempio partire subito con i piani di adattamento. E smetterla di intubare torrenti e alzare argini; serve anche una corretta pianificazione degli spazi verdi». Dal 2010 a maggio di quest'anno, viene messo in evidenza nel dossier, sono 126 i Comuni italiani dove si sono registrati impatti rilevanti con 242 fenomeni meteo che hanno provocato danni al territorio e causato impatti diretti e indiretti sulla salute dei cittadini. In particolare ci sono stati 52 casi di allagamenti da piogge intense, 98 casi di danni alle infrastrutture da piogge intense con 56 giorni di stop a metropolitane e treni urbani nelle principali città italiane. Inoltre c'è da pagare il tributo in termini vite umane e di feriti: dal 2010 al 2016 - secondo il Cnr - sono oltre 145 le persone morte a causa di inondazioni e oltre 40mila quelle evacuate (dati Cnr). «Sembra assurdo doverne riparlare ogni volta che accade una disgrazia ma purtroppo ancora oggi manca una seria politica di riduzione del rischio - osserva ancora Muroni - nonostante si sia cominciato a destinare risorse per far partire interventi prioritari di messa in sicurezza, l'avvio di una politica di prevenzione complessiva stenta a decollare». Secondo la presidente di Legambiente questi temi «devono diventare centrali nella riflessione comune a tutti i livelli di governo del territorio, insieme con quello della prevenzione».

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 10 settembre 2017

 

 

Fondi bis per le biciclette elettriche - Dalla Regione altri 65mila euro. Contributo massimo di 200 euro
TRIESTE - Altri 65mila euro per sostenere l'acquisto di biciclette elettriche. Li ha stanziati a luglio la Regione, sommando i nuovi fondi ai 185mila euro già messi a bilancio a giugno. Dal 19 luglio, quando è stato riaperto il canale contributivo, a oggi sono state presentate alle Camere di commercio del Friuli Venezia Giulia 482 nuove domande per la concessione di incentivi all'acquisto di bici a pedalata assistita. Nel dettaglio, 224 domande sono state presentate all'ente camerale di Udine, 134 a quello di Trieste, 104 alla Cciaa di Pordenone e 20 a Gorizia. Il contributo è concesso per un importo pari al 30% del prezzo d'acquisto, fino a un massimo di 200 euro.Il dato emerge da una delibera della giunta regionale, con cui si è stabilito il riparto dei nuovi fondi tra le quattro Camere preposte alla gestione delle pratiche. La suddivisione è stata operata seguendo i criteri del regolamento di attuazione, la cui recente modifica ha previsto che il 70% del fondo sia distribuito sulla base al numero di residenti in ciascuna provincia, mentre il restante 30% tenga in considerazione la quantità di abitanti nei comuni appartenenti alle zone altimetriche di montagna e collina. Di conseguenza, Trieste ha ricevuto 18mila euro, Gorizia 7mila, Udine 26mila e Pordenone 14mila. Il sostegno all'acquisto di biciclette elettriche è previsto da una legge regionale del 2014, in un'ottica di tutela dell'ambiente e di sviluppo economico ecocompatibile. La norma stabilisce che la Regione, al fine di promuovere lo sviluppo di nuove strategie per un trasporto sostenibile e il miglioramento della vivibilità e fruibilità delle aree urbane, agevoli l'acquisto di questo tipo di mezzi dotati di un motore ausiliario elettrico con potenza nominale continua massima di 0,25 kW, la cui alimentazione è progressivamente ridotta e infine interrotta quando si raggiungono i 25 km all'ora.

 

Il ministero boccia lo stop alle bici nel centro di Muggia - Roma accoglie il ricorso di tre cittadini: «Va sospesa l'ordinanza su corso Puccini, via Dante e piazza Marconi»
MUGGIA - Il Comune di Muggia deve ripristinare la possibilità di andare in bicicletta nelle zone del centro storico dichiarate off limits. Colpo di scena nel braccio di ferro tra amministrazione comunale e ciclisti sulla cosiddetta "ordinanza antibici" emanata lo scorso giugno dalla giunta Marzi. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha infatti espresso il proprio parere avverso al Comune accogliendo il ricorso avanzato da tre cittadini muggesani, Christian Bacci, Gaetano Maggiore e Carlo Canciani. Lo scorso 18 luglio i tre residenti, grazie anche alla consulenza tecnica dell'Ufficio legale della Fiab, hanno infatti fatto ricorso al Ministero evidenziando la carenza di motivazioni nel divieto posto ai velocipedi di attraversare il centro storico, che viene invece permesso nelle aree pedonali dall'articolo 3 del Codice della strada. «Il Codice consente ai Comuni la possibilità di disporre "ulteriori restrizioni" solo in presenza di "particolari situazioni" che non sono state definite dal Comune di Muggia il quale, invece, in maniera del tutto illogica consente nell'ordinanza ai taxi e ai mezzi di scarico merci il transito nell'area pedonale» avevano evidenziato Bacci, Maggiore e Canciani. Nel ricorso era poi sottolineato come l'ordinanza sia in contrasto con il Piano regolatore generale vigente e con il finanziamento regionale appena ottenuto per il collegamento ciclabile dall'attracco del Delfino Verde al Rio Ospo che proprio per il centro storico dovrebbe passare. Preoccupazione massima dei ricorrenti infine per la questione sicurezza: «L'ordinanza obbliga di fatto i ciclisti a percorrere la stretta galleria a senso unico». Le motivazioni dei ricorrenti sono state accolte ma con parziale riserva da parte del Ministero. Il dirigente tecnico ingegner Mazziotta ha infatti rimarcato come sia necessario che il Comune di Muggia faccia pervenire «con corte sollecitudine» una serie di controdeduzioni al ricorso con esauriente relazione per ogni singolo motivo del ricorso stesso. In attesa del sopralluogo che dovrà essere compiuto dal Provveditorato interregionale con tanto di «esauriente relazione» da inviare al Ministero, da Roma è stato intimata al Comune la sospensione dell'ordinanza «salvo che ricorrano motivi d'urgenza», poiché in tale caso il Comune potrà deliberare un'esecuzione provvisoria dell'ordinanza con provvedimento da inviare al Ministero stesso. Sbalordita della novità il sindaco di Muggia Laura Marzi: «Sono stupita davvero, perché dinanzi a tutti i tentativi di mediazione avvenuti con Ulisse Fiab e con altri ciclisti ci troviamo di fronte ancora tutto questo ostracismo sfociato in un ricorso al Ministero». Marzi, comunque, appare serena: «La sospensiva del Ministero è un atto dovuto dinanzi a un ricorso. Indubbiamente ora l'ordinanza è congelata ma valuteremo a brevissimo cosa fare. E visto che il Ministero ha messo a chiare a lettere che in caso di urgenza il Comune può ripristinare l'ordinanza non escludo che sia questa la via che perseguiremo». Per ora, dunque, i cartelli che evidenziano l'obbligo di condurre la bici a spinta durante la stagione estiva (1 giugno-30 settembre) esclusivamente in corso Puccini, via Dante e piazza Marconi e peraltro solo in determinati orari (9.30-12.30 e 16-20) verranno per ora né rimossi né oscurati. Una battaglia, quella sulla piena libertà di movimento delle biciclette in tutto il centro storico, che dunque non ha avuto ancora un vero esito definitivo. Un (altro) ricorso contro l'ordinanza sulla regolamentazione della viabilità del centro storico era stata la scintilla decisiva che ha fatto scoppiare la deflagrazione nel rapporto tra il sindaco Marzi e il consigliere comunale del Pd Marco Finocchiaro. Questi, infatti, aveva espresso contrarietà al divieto di pedalata in alcune aree del centro storico. Ma se quel ricorso sembra essere finito nel nulla, quello proposto dai tre cittadini Christian Bacci, Gaetano Maggiore e Carlo Canciani pare davvero aver fatto centro. La prossima mossa spetta al Comune: entro mercoledì la telenovela potrebbe vivere l'ennesimo colpo di scena.

Riccardo Tosques

 

 

A Trieste oltre 200 geologi per un piano "salva ghiacci" - La comunità internazionale di esperti si riunisce in una cinque giorni targata Ogs
Obiettivo la definizione di linee guida da consegnare ai grandi decisori mondiali
TRIESTE - Le calotte polari ci dicono che un aumento di anidride carbonica e di temperatura così accelerato non si era ancora mai verificato nel passato, o perlomeno, negli ultimi 800mila anni. Oramai la comunità scientifica concorda sul fatto che a premere l'acceleratore sul riscaldamento globale sia l'uomo. Come sta rispondendo la calotta antartica, principale riserva di ghiacci del nostro pianeta, al cambiamento climatico e come potrebbe reagire ad un ulteriore aumento delle temperature e di CO2 nell'atmosfera? E quindi, quanto velocemente potrebbe innalzarsi globalmente il livello del mare? La comunità antartica internazionale, con oltre 200 esperti, si riunisce alla Stazione marittima di Trieste da oggi al 15 settembre per delineare le priorità e linee d'azione future nell'ambito della conferenza Past Antarctic Ice Sheet Dynamics (Pais), organizzata dall'Istituto nazionale di Oceanografia e di Geofisica sperimentale - Ogs, in collaborazione con l'Antarctic Research Center dell'Università di Wellington (Nuova Zelanda) e con il supporto dello Scar (Scientific Committee for Antarctic Research) e di altre istituzioni internazionali. L'obiettivo principale è fornire indicazioni più accurate possibili all'Ipcc (Intergovernamental Panel of Climate Change) per poter fare previsioni sul futuro climatico del nostro pianeta nell'ottica di contenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5-2°C, come sottoscritto dall'accordo di Parigi (COP21 Conference of Parties), firmato da 195 nazioni, tra cui non compaiono gli Stati Uniti. Spiega Laura De Santis, geofisica dell'Ogs, veterana delle spedizioni scientifiche in Antartide, all'attivo ben cinque missioni di cui l'ultima sulla nave Ogs Explora, per il Programma nazionale delle ricerche in Antartide, si è conclusa a marzo 2017: «Si tratta di un'importante occasione per presentare e discutere i più recenti risultati delle analisi e misure condotte in Antartide. Il fine è, integrando tali dati con le simulazioni numeriche, comprendere la relazione tra riscaldamento climatico, circolazione oceanica e stabilità della calotta antartica per cercare di capire come il nostro pianeta stia reagendo al cambiamento climatico». Al termine del convegno, sarà preparato un documento a cura degli scienziati con le linee guida destinate ai decisori politici mondiali. Rileva De Santis: «Stiamo assistendo ad un assottigliamento dei ghiacci abbastanza veloce in alcune zone dell'Antartide, non tutte per fortuna, solo quelle dove la calotta appoggia sul fondo del mare, più sensibili al riscaldamento dell'oceano. Però - prosegue la ricercatrice - se tutte queste aree a un certo punto rimanessero scoperte di ghiaccio, anche la parte terrestre più resistente e stabile, potrebbe diventare più vulnerabile perché non avrebbe la protezione della cintura dei ghiacci e, anche questa, sarebbe sottoposta a un processo di assottigliamento». L'Antartide è un luogo privilegiato per studiare i cambiamenti climatici, quest'area svolge un ruolo di primo piano nella regolazione del clima in quanto le masse d'acqua fredda che si formano qui sono i motori principali della circolazione oceanica terrestre. Entrambi i poli, Artico e Antartide, risentono di più del riscaldamento della temperatura e del cambiamento climatico, in altre parole sono più sensibili. Se infatti alle medie latitudini la temperatura aumenta di 1-2°C, alle alte latitudini cresce anche di 4-5°C, ciò è particolarmente drammatico per le aree polari perché qui si trovano i ghiacci. Lo scioglimento dell'enorme volume di ghiacci che si trova nelle aree continentali, soprattutto dell'Antartide, comporterebbe un aumento del livello del mare di diversi metri. «Quindi - commenta la ricercatrice - andare lì, è il modo migliore per poter prevedere i cambiamenti futuri anche grazie ai sedimenti del fondale marino, praticamente degli archivi paleoclimatici, che ci dicono cosa è successo in passato in condizioni climatiche più calde rispetto a quelle attuali». La Nave Ogs Explora ha effettuato l'ultima campagna di ricerca in Antartide da gennaio a marzo 2017 navigando il Mare di Ross, una ampia baia dell'Antartide, riepiloga De Santis: «Posto che serviranno almeno due anni per elaborare i dati scientifici, abbiamo delle scoperte importanti nel cassetto, di sicuro impatto. Proprio per la mancanza di ghiaccio (è stato un anno particolarmente caldo in Antartide anche per un fenomeno ciclico denominato El Niño, ndr) abbiamo navigato in zone del Mare di Ross mai raggiunte da nessuno e abbiamo acquisito dati importanti e unici che ci permetteranno di aggiungere un tassello al grande puzzle della calotta che attualmente è conosciuta solo in piccola parte».

Lorenza Masè

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 9 settembre 2017

 

 

Esperti a confronto per collegare la città al Porto vecchio - Si parte dai 2,8 milioni dell'Ue per la mobilità sostenibile

Dal 13 al 15 settembre se ne parla al Trieste Portis meeting
L'Unione europea ha stanziato 2,8 milioni di euro per ripensare gli spazi portuali e urbani di Trieste in direzione della mobilità sostenibile. Il finanziamento, che si inserisce all'interno del più ampio progetto Civitas Portis, sarà in larga parte investito nella riqualificazione del Porto vecchio. Dati e obiettivi sono stati riferiti ieri durante una conferenza stampa indetta dall'assessore all'Urbanistica e ambiente, Luisa Polli. Gli appuntamenti iniziano già la prossima settimana, con il Trieste Portis meeting: il 15 settembre l'attore Lino Guanciale, "ambasciatore" di Trieste Portis, sarà l'ospite d'eccezione del Porto vecchio. Un nuovo paradigma. Un vero e proprio «cambiamento culturale» è l'obiettivo che Polli si prefigge di realizzare grazie a Civitas Portis. Partner del Comune nel progetto sono l'Autorità portuale dell'Adriatico orientale, l'Area science park, la Trieste Trasporti e l'Università di Trieste. «La nozione di "traffico" è superata - ha detto l'assessore -. Redigeremo un Piano urbano di mobilità sostenibile: concetto in grado di rendere conto non solo delle automobili ma anche dei ciclisti, dei pedoni e delle persone con disabilità». La sfida, ha continuato Polli, sarà «integrare il Porto vecchio nel Piano urbano».Le altre misure annunciate sono: la creazione di una piattaforma informatica dei trasporti per fornire informazioni in tempo reale; la nascita di un ufficio tecnico "multigovernance" per lo sviluppo del Porto vecchio; la promozione della "soft-mobilità"; lo sviluppo di un sistema integrato di gestione dei parcheggi a pagamento; il monitoraggio delle merci e la regolamentazione degli accessi alle aree portuali. Tali misure saranno volte al «miglioramento dell'accessibilità alla zona costiera» e allo «sviluppo del mercato crocieristico con opzioni di mobilità urbana sostenibile per i turisti». Il progetto - Collegare i centri urbani ai loro porti, nel segno della mobilità sostenibile. Ecco in sintesi lo scopo del progetto europeo "Civitas portis", che nei prossimi quattro anni coinvolgerà sei realtà portuali internazionali per un totale di 33 partenariati: Trieste in Italia, Aberdeen in Inghilterra, Costanza in Romania, Klaipeda in Lituania e Anversa (coordinatrice dell'iniziativa) in Belgio fungeranno da "città-laboratorio". A queste si aggiunge Ningbo, porto affacciato sul mar Cinese orientale. Con il sostegno dell'Unione europea, le città coinvolte collaboreranno allo scopo di «implementare misure innovative e sostenibili per migliorare l'accesso a città e porto». L'iniziativa si concluderà nel 2020 e inizierà a concretizzarsi, nel capoluogo giuliano, già a partire dalla prossima settimana. Dal 13 al 15 settembre si svolgerà infatti il Trieste Portis meeting, una tre giorni cui parteciperanno sia esperti europei che normali cittadini e alunni delle scuole. La tre giorni - Le prime due giornate saranno riservate al personale tecnico, mentre venerdì 15 settembre gli appuntamenti per le scuole e per il pubblico concluderanno in bellezza la rassegna. "Data management", "governance" e "decision making" sono alcuni dei temi che saranno trattati al Savoia Excelsior Palace durante le sessioni di lavoro a porte chiuse, stando al programma. L'agenda del giorno 15, ambientata nella Centrale idrodinamica del Porto vecchio, è invece pensata per tutti: alle 9 visita guidata per gli studenti delle scuole medie; alle 15 premiazioni del concorso "Oggi mi muovo così, domani..." cui hanno partecipato i bambini dei ricreatori comunali; alle 16 reading di Nati per leggere, rivolto alle famiglie con bimbi dai 3 ai 6 anni. Alle 17, infine, l'ospite d'onore sarà Lino Guanciale. Il testimonial di Trieste Portis è l'attore protagonista de "La porta rossa", la serie ambientata nel capoluogo giuliano che ha esordito in televisione a febbraio. La mattina due eventi si svolgeranno anche nel palazzo del Comune: political meeting alle 9 e, alle 12, la conferenza stampa

Lilli Goriup

 

 

COMUNE - Doppia mossa a tutela dello stagno di Contovello
TRIESTE - Buone notizie per la comunità di Contovello e per coloro che si impegnano per la tutela e la valorizzazione dei beni ambientali. A seguito di un sopralluogo effettuato dal sindaco, è stato deciso di attivare nuove strategie per salvare l'antico stagno del paese. Attraverso la captazione delle acque piovane e la predisposizione di un attacco alla rete idrica si cercherà finalmente di tutelare un sito unico nel suo genere. Assieme all'area di Percedol e a quella di Trebiciano, il laghetto di Contovello è uno dei più grandi della provincia. Da tempo lo stagno giace in grave degrado, in perenne bisogno d'acqua, perché privato dalle sue vene sotterranee, in qualche modo deviate da alcuni vicini interventi edilizi. A complicare la situazione la perenne maleducazione e ignoranza di ignoti che, di continuo, hanno messo a repentaglio la vita delle creature autoctone di questo delicato ecosistema, immettendovi pesci rossi, tartarughe e vegetali estranei e inadatti. Accanto agli allarmi e le segnalazioni periodicamente lanciati dalla circoscrizione di Altipiano Ovest e dei naturalisti e tutori degli stagni, è recente l'intervento dalla presidente della Comunella di Trebiciano Katja Kralj per la salvezza del laghetto di quella località e di tutti quelli carsici, a forte rischio per le mutate condizioni ambientali e per gli evidenti cambiamenti climatici. Assieme alla presidente del primo parlamentino Maja Tenze, al rappresentante di AcegasApsAmga Federico Trevisan, il sindaco ha effettuato, come detto, un sopralluogo sul posto. «L'obiettivo - ha spiegato il sindaco - è ridare vita e dignità a questo antico stagno, rivitalizzando nel contempo l'intera area. L'intervento prevede la realizzazione di alcune griglie sugli assi principali che portano verso lo stagno, in maniera da captare e canalizzare le acque piovane. Inoltre verrà predisposto un attacco alla rete idrica. Vi potrà accedere solo personale tecnico nei periodi in cui siccità e calore metteranno a dura prova l'esistenza del bacino».

Maurizio Lozei

 

 

CLIMA IMPAZZITO - SI DEVE AGIRE
Cataclismi meteorologici in Florida e nei paradisi caraibici. In Usa nemmeno il tempo di riprendersi dallo sfacelo di Harvey ed è l'ora di correre ai ripari da Irma. Continua l'allerta nella sponda opposta dell'Atlantico, con situazioni apocalittiche. Nell'isola di Barbuda distrutto il 90 per cento degli edifici. Antille devastate. A Miami milioni di persone prese dalla disperazione e dalla paura sono in fuga verso nord. Anche il ciclone Josè al largo delle coste del Venezuela cresce d'intensità raggiungendo categoria 3. È in via di formazione una quarta perturbazione nel mare del Messico, Katia. Pur non essendoci una correlazione diretta tra cambiamento climatico e formazione degli uragani, esiste una incidenza sul potenziamento dell'intensità degli eventi, dovuta all'aumento di temperature e umidità. Se volgiamo il nostro sguardo a Est, purtroppo, il colore dei cieli non cambia. La catastrofe climatica incombe sull'Asia, dove durante l'estate per le piogge monsoniche migliaia di persone hanno perso la vita. Frane, crolli di edifici e ponti, inondazioni tra le peggiori mai viste nel secolo, provocando milioni di sfollati in intere aree. Scorriamo le notizie di questi ultimi mesi. In Cina, 7 luglio: le pesanti piogge che si sono abbattute nella provincia dello Hunan, ininterrottamente dal 22 giugno, hanno causato il peggior disastro naturale della zona negli ultimi 60 anni. Il 56 per cento dell'intera popolazione della contea ha subito danni ingenti. Le perturbazioni colpiscono il Giappone, 10 luglio: il governo di Tokyo ha dispiegato migliaia di uomini per far fronte all'emergenza. Poche ore dopo a molti chilometri di distanza, a New Delhi 11 luglio: un'ondata di maltempo ha colpito l'India nord-orientale causando la morte di almeno 24 persone. Le perturbazioni non risparmiano il Vietnam. Hanoi, 6 agosto: il comitato centrale per i disastri naturali ha reso noto che a causa del maltempo si registrano danni a strade, coltivazioni e impianti di irrigazione. Circa cinquemila persone tra soldati, agenti di polizia e volontari sono impegnati nelle ricerche dei dispersi. Pochi giorni fa, montagne del Nepal, 30 agosto 2017: «Le piogge di quest'anno sono state al di fuori delle nostre aspettative, non ci siamo preparati in modo adeguato. Siamo consapevoli delle sofferenze e del dolore delle persone colpite ma stiamo facendo il possibile per aiutarli» ha dichiarato un portavoce del governo di Katmandu durante la fase di soccorso alla popolazione. E mentre Harvey e poi Irma si infrangevano sulle coste degli Usa e i monsoni sbattevano sull'Asia, anche in Italia ci siamo trovati a fare i conti con un'altra crisi climatica. Colpiti da una siccità senza precedenti. Nell'estate di Lucifero il calo delle precipitazioni è stato imponente: -47,4% rispetto alla media. Raggiungendo punte estreme dell'80%, in meno. Un'aridità che si stima abbia provocato danni per oltre due miliardi di euro. Con molte regioni che hanno chiesto al governo lo stato di calamità naturale. Occorreranno mesi di pioggia per riportare il suolo italiano in condizioni normali e ricostituire le riserve di acqua persa negli ultimi otto mesi. In Medioriente manca acqua nei fiumi. Evapora il Mar Caspio, ad un ritmo tale che la parte settentrionale del più grande lago salato al mondo potrebbe sparire prima della fine del secolo. Mentre, proiezioni dell'Onu lanciano l'allarme per l'innalzamento del livello del mare di un metro nei prossimi decenni. Erosione della costa, desertificazione degli ambienti mediterranei, dissesto idrogeologico in ambienti a clima piovoso, sono tutti effetti del cambiamento climatico globale. È in corso una "tropicalizzazione del clima", e se non verranno prese misure per frenare il surriscaldamento climatico l'effetto sarà devastante, arrivando a interessare due persone su tre solo in Europa. In uno scenario che si prospetta drammatico. Per mettere in sicurezza il pianeta occorrono risorse e cooperazione, rispetto per l'ambiente e ricerca, applicare gli accordi internazionali, come Cop21. Muoviamoci

ALFREDO DE GIROLAMO

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 8 settembre 2017

 

 

Arrivano i pannelli solari sopra l'ex Pescheria - Affidato per 370mila euro l'appalto per l'installazione di una sottile guaina fotovoltaica a impatto zero
Si sblocca finalmente uno degli appalti "impossibili" del Comune di Trieste. L'ex Pescheria, il Salone degli incanti, si appresta ad essere coperta da una guaina fotovoltaica. Un progetto di sostenibilità energetica, finanziato con quasi 500 mila euro di fondi Pisus, che risale a sei anni fa ma che è finito bloccato prima dal famigerato Patto di stabilità e poi dalle modifiche del Codice sugli appalti. Ora, finalmente, si è arrivati all'aggiudicazione dell'appalto per la cifra complessiva di 370mila euro alla C.P. Costruzioni di Trieste che dovrà installare la guaina fotovoltaica sul tetto dell'ex Pescheria in 150 giorni. Il progetto, per capirsi, era stato approvato dalla giunta di Roberto Cosolini a metà novembre del 2011. L'intervento prevede l'installazione di una guaina fotovoltaica scura e non riflettente sulla copertura dell'ex Pescheria. Un'opera a impatto visivo pressoché nullo e dalla resa garantita anche nei giorni di cielo coperto. Il progetto era stato inserito tra le richieste di cofinanziamento in Regione dall'amministrazione cittadina nella cornice dei Pisus (ovvero i Piani integrati di sviluppo urbano sostenibile) attraverso i quali vengono veicolati una serie di fondi comunitari per «incrementare la qualità dell'ambiente urbano». Il progetto risulta finanziato al 77% dalla Regione (il restante 23% spetta al Comune). L'obiettivo è «l'installazione sulla copertura rifinita attualmente con guaina ardesiata» di «un sistema impermeabile fotovoltaico con caratteristiche innovative a film sottile a tripla giunzione». Una tecnologia, questa, grazie alla quale le componenti blu, verde e rossa «dello spettro della luce solare» possono essere assorbite proprio «in modo frazionato dai differenti strati presenti». Così «le celle producono energia anche con irraggiamento solare indiretto, con luce diffusa e con bassi livelli di insolazione». Il sistema insomma funziona «con qualsiasi condizione atmosferica». Ma c'è di più: la guaina - si legge nel prospetto tecnico - è talmente sottile (e pure removibile) da risultare praticamente invisibile. L'opera è stata progettata dall'Ufficio tecnico del servizio Lavori pubblici del Comune e porta la firma dell'architetto Carlo Nicotra. A lavoro terminate il Salone degli incanti diventerà un modello dal punto di vista del consumo energetico a emissione zero di Co2.

(fa.do.)

 

 

I cittadini di Zindis ripuliscono il loro rione - Adulti e bambini insieme hanno "lavorato" tra il parco Robinson e il campo giochi vicino all'istituto Zamola
MUGGIA - Quasi una risposta a tono, come a voler sottolineare che l'inciviltà non l'avrà mai vinta. Nel giorno in cui Muggia si risvegliava con l'ennesimo sfregio al suo patrimonio pubblico - i danneggiamenti compiuti da ignoti agli arredi della Biblioteca comunale - una quarantina di cittadini residenti a Zindis hanno deciso di tirarsi su le maniche e iniziare a ripulire parte del rione. Dal parco Robinson e dal vicino campo giochi a fianco della scuola Zamola è andata in onda martedì scorso una nuova edizione di "Pulizia partecipata", il tradizionale appuntamento che vede coinvolti, in collaborazione con il Servizio Ambiente del Comune di Muggia, la Microarea di Zindis con la Cooperativa sociale La Collina, i volontari del Cai, i bambini del Ricremattina e gli stessi abitanti di Zindis. Il lavoro si è concentrato vicino alla scuola. Muniti di cesoie, rastrelli e sacchi neri i bambini del Ricremattina, con i volontari del Cai-Sag di Muggia, hanno sistemato l'area verde del parco giochi e, dopo aver spazzato e rastrellato il campo, si sono divertiti a riempire di foglie secche i sacchi portati dagli adulti. Il tutto mentre altri volontari del Cai, con gli operai comunali, terminavano la pulitura di vistose scritte che negli ultimi giorni erano comparse a imbrattare alcune porte della scuola. La mattinata di lavoro in compagnia si è conclusa degnamente con un lauto rinfresco nella Microarea di Zindis realizzato dagli abitanti del rione e con la preziosa collaborazione del Gruppo Orto sociale Zindis. «Imbrattamenti, resti di merenda o "semplici" mozziconi nelle caditoie sono gesti ugualmente deplorevoli perché tutti vanno a danneggiare la cosa pubblica», così il sindaco di Muggia Laura Marzi: «Non esistono gesti incivili più o meno innocui, e chi "degrada" dovrebbe tenere a mente che in realtà "viene degradato" dal suo stesso agire. Prendersi cura insieme di un luogo pubblico è il modo più efficace per riappropriarsene. Bisogna cambiare la prospettiva della percezione del bene comune. Fare parte di una comunità vuol dire in qualche modo impegnarsi un po' per renderla migliore. Lo si può fare in tanti modi e ognuno è libero di scegliere quello più confacente ai propri interessi, al proprio tempo e alle proprie passioni, senza mai dimenticare però che Muggia siamo noi e, in un modo o nell'altro, siamo noi a fare la differenza».

Riccardo Tosques

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 7 settembre 2017

 

 

Alloggi e posti auto in Borgo Teresiano
Lo spostamento della zona di carico e scarico, la ridefinizione degli attraversamenti pedonali e poi la viabilità del tratto che da via Torrebianca porta verso via Machiavelli. Luisa Polli, assessore comunale all'Urbanistica, nell'illustrare nei dettagli la modifica al piano del traffico contenuta nella delibera di giunta dello scorso giugno a supporto del progetto di pedonalizzazione e pavimentazione di via XXX Ottobre, sottolinea come nell'adottare le modifiche si sia tenuto conto delle esigenze di commercianti, residenti, ciclisti e automobilisti. Il tratto che non verrà completamente pedonalizzato ma che godrà di una soluzione identica a quella proposta in via Trento, con il marciapiedi più ampio, sarà quello tra le vie di Torrebianca e Machiavelli. Una decisione pesa anche a fronte di un nuovo progetto immobiliare che a breve vedrà partire un nuovo cantiere in via Machiavelli dove, al civico 19, la Borgo Teresiano srl realizzerà 15 unità abitative e 20 posti macchina. «L'operazione di pavimentazione di via XXX Ottobre - ha spiegato Polli - toglie rispetto alla situazione attuale al massimo sette posti macchina, ovvero quelli nel tratto tra via di Torrebianca e via Machiavelli sul lato opposto agli uffici di Equitalia». I parcheggi sul lato dell'agenzia di riscossione resteranno. «Il resto della via era già in zona Ztl o pedonale - aggiunge - la soluzione adottata consentirà ad un maggior numero di pubblici esercizi di disporre di un dehors». All'incrocio con le vie Milano e Valdirivo verranno sistemati dei semafori e le strisce pedonali ridisegnate nella parte centrale dell'attraversamento, così come è stato fatto in via San Nicolò, anche per rendere più fluido l'attraversamento dei ciclisti. Nei mesi scorsi l'amministrazione comunale ha incontrato tutti gli esercenti di via XXX Ottobre che da anni si battevano per la completa pedonalizzazione e la pavimentazione di quella strada. «In questi giorni stanno ricevendo le lettere da parte del Comune che indica loro nel dettaglio quando devono ritirare i loro dehors, - spiega Elisa Lodi, assessore comunale ai Lavori Pubblici - tavolini, sedie ed espositori dovranno essere rimossi man mano che il cantiere proseguirà lungo la via». Il cantiere da 800 mila euro partirà il prossimo 11 settembre. Cinque i lotti nei quali è stato suddiviso l'intervento. Il primo riguarderà il tratto che dal via del Lavatoio si estende fino a via Milano. Il secondo partirà dopo il 9 ottobre, dopo la Barcolana, e riguarderà la parte che da via Milano arriva fino in via Valdirivo. «Con l'inizio del secondo lotto - precisa Polli - avverrà anche l'istituzione della nuova area di carico e scarico, concordata con i commercianti, e che sarà in via Mercadante».La terza fase dei lavori partirà a novembre e si concluderà agli inizi di febbraio e coinvolgerà la parte che da via Valdirivo arriva in via Torrebianca. Da gennaio a metà marzo sarà la volta del tratto finale della via che da via Machiavelli arriva in piazza Sant'Antonio. L'ultima fase dei lavori inizierà a marzo e si concluderà tra maggio e giugno 2018 e interesserà il tratto che da via Torrebianca raggiunge via Machiavelli.

Laura Tonero

 

 

C'è il "porta a porta" - Tassa sui rifiuti più salata a Muggia - Rincari sulla Tari fino al 30% in vista dell'avvio del servizio

Il Comune: «Bisogna coprire i costi per i nuovi contenitori»
MUGGIA - Aumenti sulla bolletta dei rifiuti. Questa la spiacevole sorpresa che nelle ultime settimane sta coinvolgendo i cittadini residenti a Muggia. L'incremento della Tari, ovviamente, non è passato inosservato. Anche perché i rincari hanno sfiorato in alcuni case anche il 30%. L'avvio della raccolta "porta a porta", inizialmente preannunciato entro l'inizio di autunno, è stato posticipato ai primi mesi del 2018, come ha spiegato di recente l'assessore all'Ambiente Laura Litteri.Il nuovo servizio, affidato alla partecipata Net, prevede dei corsi di formazione ad hoc nelle scuole muggesane che dovrebbero partire proprio con l'inizio del nuovo anno scolastico. Ai cittadini, invece, verrà consegnato del materiale informativo sulla nuova modalità di raccolta, ma soprattutto, a fine anno, verranno forniti alle famiglie, ai condomini e alle attività commerciali i nuovi bidoncini per differenziare l'immondizia e applicare concretamente la raccolta "porta a porta". E proprio i costi per l'acquisto di questi raccoglitori si sono ripercossi sulla bolletta come racconta l'assessore al Bilancio e ai Tributi di Muggia Mirna Viola: «Il prevedere l'ammortamento già da questo anno, al di là dei tempi di distribuzione dei raccoglitori, è servito a contenere l'aumento di imposta per gli anni successivi. Ovvio che distribuendo in un numero d'anni maggiore la spesa, l'incidenza dell'aumento annuo nelle tasche dei cittadini è minore». Per legge la Tari deve coprire per intero i costi del servizio di gestione dei rifiuti. «Un servizio che quest'anno prevede la raccolta dei rifiuti anche nel nuovo tratto di costa messo a disposizione alla collettività e l'intensificazione della raccolta in alcune località del territorio», puntualizza Viola. Un'estensione quantitativa di raccolta, quindi, che, di contro, «deve rispondere ad una riduzione del numero di coloro sui quali incide la distribuzione dei costi». Gli uffici comunali, in collaborazione con Insiel, hanno fatto poi delle nuove verifiche per avere esattamente la stima dei nuclei familiari presenti a Muggia nell'anno in corso: «È stata registrata una diminuzione rispetto alle statistiche precedenti. È sceso, cioè, il numero degli utenti sui quali, per legge, vanno distribuiti i costi del servizio. Anche questo dato - puntualizza Viola - ha ovviamente inciso sulla distribuzione dei costi per utenza domestica e non». L'altro elemento da tenere in considerazione, poi, è il rapporto quota fissa/variabile. Come evidenziato dai calcoli che si possono verificare nel Regolamento per l'applicazione dell'imposta unica comunale Iuc, pubblicato sul sito del Comune, la Tari è composta da una quota fissa (che si riferisce alla superficie) e da una variabile (che fa riferimento al numero di persone).«Il quadro economico del costo dei servizi, in base alle nuove modalità di raccolta e smaltimento, costituito secondo le norme di legge, viene a gravare maggiormente sulle voci che incidono sulla quota fissa che attiene all'ampiezza dei locali», spiega l'assessore. Non solo. «Il costo del servizio è suddiviso per il 62% sulle utenze domestiche e per il 38% su quelle non domestiche. Dai dati in possesso dell'Ufficio Tributi - conclude Viola - la Tari è rimasta comunque pari a quella del 2014 e diminuirà negli anni, man mano che si arriverà alla soglia di differenziata prevista dall'Ue».

Riccardo Tosques

 

 

Dai boschi di Piscianzi a Roiano - Il tour notturno del baby cinghiale
È sceso giù dai boschi di Piscianzi per una capatina in centro, magari alla ricerca di cibo o semplicemente per curiosità, vista la sua giovane età. L'incursione notturna di un cinghiale solitario nel rione di Roiano, a pochissime centinaia di metri in linea d'aria dalla stazione centrale dei treni, complice la tecnologia di oggi, non è riuscita proprio a passare inosservata. Il video, che in poche ore ha fatto il giro del web, immortala l'animale vicino alla chiesa dei Santi Ermacora e Fortunato Martiri, raggiunta probabilmente da via Sara Davis o da via dei Moreri. Dopo un rapido giretto attorno alla piazza il cinghiale ha poi svoltato a destra verso via Barbariga percorrendola tutta, prima sul marciapiede e poi lungo il centro della carreggiata. Una volta giunto all'incrocio con via Udine il video si è interrotto bruscamente, lasciando spazio all'immaginazione su quale possa essere stato il proseguimento della movimentata serata del robusto mammifero. Dalle immagini filmate si evince che l'esemplare protagonista della passeggiata cittadina è un maschio dell'età di poco inferiore all'anno, del peso di circa 40 chili, quasi sicuramente un giovane in dispersione, ossia in fase di allontanamento dalla famiglia. Vista la discreta confidenza con il tessuto urbano e la relativa tranquillità con cui si comportava nonostante la presenza delle persone durante la realizzazione del filmato, il giovane suino selvatico potrebbe essere un esemplare già «pasturato», ossia abituato ad essere nutrito appositamente dall'uomo. «Ho visto il video, e c'è poco da stupirsi: i cinghiali oramai sono più presenti in periferia che in Carso. Il prossimo step, molto probabilmente, sarà il centro cittadino», racconta Nicola Bressi, esperto naturalista triestino del Museo Civico di Storia di Naturale. La presenza di questi mammiferi è oramai capillare su tutto l'arco suburbano che va da Barcola a Longera. Tanti e in crescita, oramai, i casi eclatanti che hanno fatto "letteratura" a Trieste. Nel novembre del 2008 un cinghialotto di circa un anno si calò dal bosco del Farneto piombando in centro città e giungendo piazza Volontari Giuliani dopo aver percorso un tratto del viale XX Settembre. Solo dopo un inseguimento lungo e complesso, vista la sua agilità, una squadra di vigili del fuoco riuscì a immobilizzare il cucciolo. Nell'ottobre del 2015 un cinghiale scappò da un allevamento girovagando per il rione di Borgo San Sergio. Nella sua fuga "visitò" l'edicola di via Curiel, davanti al capolinea della 21, e fece poi razzia all'osteria "La Scaletta", dove venne poi sedato dalla Polizia ambientale dell'allora Provincia. Più recentemente un cinghiale di 60 chilogrammi, invece, venne ritrovato morto nelle acque davanti a bagno ferroviario. Quest'anno poi diversi maiali selvatici sono stati immortalati in strada del Friuli, sino al Faro della Vittoria, e in via Cumano, nella zona di Montebello. Una presenza sempre più massiccia che ha costretto a turni di superlavoro gli uomini del Corpo forestale. In sei mesi nelle zone urbane e suburbane (non in Carso, dunque) gli interventi effettuati sono stati circa una settantina. Interventi finalizzati peraltro non a contenere la specie, ma a garantire il ripristino della pubblica sicurezza. Le aree più gettonate dagli ungulati? Longera, Piscianzi, Melara, la zona dell'Università centrale e Cologna. Proprio qui, di recente, vennero sorpresi sei esemplari, tutti vispi e in piena salute, che passeggiavano allegramente nel giardino dell'istituto comprensivo Commerciale, a pochi passi quindi dalle porte delle aule dei piccoli alunni. Insomma, il tour a Roiano del cinghialotto star del we è solo l'ultima "prodezza" di una specie ormai sempre più abituata, anche a causa dei comportamenti umani, a lasciare i boschi dell'altipiano e a camminare sui marciapiedi dei rioni periferici, in cerca del cibo che molti umani lasciano a loro disposizione in maniera sconsiderata.

Riccardo Tosques

 

Quegli incroci con i maiali selvatici - Le scelte fatte per evitare l'estinzione hanno prodotto una specie molto resistente
«Verso la fine dell'Ottocento i cinghiali erano quasi estinti nelle nostre zone. Esistevano solo delle colonie nella parte orientale della Slovenia, in Toscana e in Sardegna. Per reintrodurre questa specie sono stati fatti diversi incroci con cinghiali provenienti da ceppi diversi, fattore che ha reso quella triestina una specie molto, molto resistente». Il naturalista Nicola Bressi non ha dubbi. Studi scientifici parlano di un vero e proprio dna modificato nei cinghiali triestini in seguito all'incrocio con i maiali selvatici provenienti dall'allora Jugoslavia centrale, già di per se stessi mescolati con cinghiali dell'Europa centro-orientale (Germania e Cecoslovacchia i paesi più gettonati). E poi c'è la storia più recente, quella degli anni Novanta, in cui vagonate di cinghiali arrivarono sull'altipiano carsico dal Centro Italia. I suini vennero rinchiusi inizialmente in un'area agricola adiacente alla cava Faccanoni, gestita prima dalla Sicat e poi dalla Fintour. L'uomo di riferimento era sempre uno però, Quirino Cardarelli, ex ufficiale dei corazzieri divenuto successivamente manager. La leggenda narra addirittura che quegli animali vennero regalati al Cardarelli niente meno che da un ex presidente della Repubblica: Giuseppe Saragat. In seguito ad un misterioso "incidente" (non si sa se voluto o meno), una trentina di cinghiali riuscì a scappare insediandosi liberamente nel Carso. «Quegli animali erano stati peraltro ibridati con i normali maiali: non a caso, normalmente, sono dicembre e gennaio i momenti migliori per gli accoppiamenti, mentre i nostri cinghiali sono praticamente sempre attivi, proprio per l'incrocio fatto con i maiali», aggiunge Bressi. Ma i cinghiali hanno vita facile nelle nostre zone anche per altri motivi. In primis questi mammiferi non hanno quasi più degli antagonisti naturali. Lupi e linci sono specie rare se non rarissime nelle nostre zone. Di fatto l'unico predatore del cinghiale è proprio l'essere umano. E nonostante vi siano sanzioni che vanno dai 516 ai 2mila 65 euro con possibile arresto dai 2 ai 6 mesi per chi viene trovato a dar da mangiare a questi mammiferi, nelle nostre zone, grazie all'uomo, questi animali trovano agevolmente da mangiare. «Alcuni esemplari si recano con più o meno facilità nei campi e negli orti non protetti, altri invece vengono addirittura sfamati direttamente da persone che non hanno capito che questo comportamento è da evitare assolutamente», puntualizza Bressi. L'ultima considerazione del naturalista riguarda il ruolo dei contadini: «Una volta c'era molta più fame di oggi. Chi abitava in Carso, se vedeva un cinghiale, non esitava a sparare per avere della carne da mettere sotto i denti. Ora le usanze sono cambiate». Loro, gli ungulati, ringraziano.

(r.t.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 6 settembre 2017

 

 

Settimana europea della mobilità orfana del Comune - Il municipio non conferma il sostegno. Ciclisti rammaricati - Polli: «Appoggiamo il contemporaneo progetto Portis»
Le associazioni del settore stanno comunque organizzando degli eventi: sabato apre il Rampigada Santa Village all’Obelisco

Il Comune di Trieste non aderirà alla Settimana europea della Mobilità sostenibile, in programma dal 16 settembre, con rammarico degli appassionati delle due ruote in città, pronti comunque a dar vita a diverse iniziative. Di risposta l’assessore comunale all’Ambiente Luisa Polli spiega che l’amministrazione ha scelto di valorizzare un altro evento, sempre a carattere europeo, che sarà presentato in una conferenza stampa venerdì. A Trieste la Settimana europea della Mobilità sostenibile si aprirà comunque sabato 16 settembre all’Obelisco, dalle 12, con il Rampigada Santa Village, stand dedicati appunto alla mobilità sostenibile con letture, presentazioni e musica, e domenica 17 settembre con la vera e propria Rampigada Santa, corsa o salita in bici su Scala Santa. Una festa per promuovere l’uso della bici in modo divertente, cui parteciperà il campione Simone Temperato, che completerà la salita su una ruota sola. «Al di là dell’ovvio rammarico per la non partecipazione del Comune alla Settimana europea della Mobilità – commenta Diego Manna, tra i promotori della Rampigada Santa e da sempre sostenitore dell’utilizzo delle bici in città – penso che arrivare a una mobilità sostenibile – precisa – rappresenta il futuro ed è un obiettivo condiviso da tutte le forze politiche, tanto che nel suo programma l’attuale sindaco Roberto Dipiazza ha dichiarato di voler arrivare nel medio termine a una bici ogni nove auto sulle strade di Trieste. La Settimana europea della Mobilità serve a ricordarci questo, e il suo messaggio è rivolto a tutti i cittadini d’Europa, prima che alle amministrazioni». Ma com’era organizzata a Trieste nelle annate precedenti la Settimana europea? «Il Comune promuoveva una riunione tra tutte le realtà che mettevano in campo iniziative a due ruote – ricorda Manna – per una sorta di coordinamento, mirato proprio a creare una serie di appuntamenti per i cittadini. Questa volta non c’è stato, anche se la rampigada può contare sul patrocinio dell’attuale amministrazione, ma nulla più. Dal Comune è evidente un disinteresse nei confronti delle bici, questa mancata partecipazione lo dimostra nuovamente, oltre a decisioni che negli ultimi tempi mostrano una certa avversità nei confronti dei ciclisti». Niente calendario con appuntamenti in bicicletta sostenuto dal Comune quindi, che spiega di aver scelto di promuovere un altro evento. «Si tratta del progetto Portis – annuncia Polli – in programma proprio quella settimana, a cui va dato spazio perché non avrà cadenza annuale, sarà un appuntamento speciale del 2017. Lo spiegheremo venerdì in una conferenza stampa. Aderire a entrambe le iniziative era impossibile, ma siamo aperti al dialogo con tutte le associazioni e le realtà che comunque si attiveranno sul fronte delle biciclette. Siamo d’accordo su tutti i principi da loro veicolati e ci piace anche la Rampigada Santa come evento e il grande movimento che crea. Ma per quest’anno – ribadisce – la nostra adesione ufficiale non può andare alla Settimana europea della Mobilità sostenibile». Manna, infine, approfitta per lanciare comunque un messaggio a tutti i cittadini: «Mi piacerebbe che i triestini rispondessero all’appello di questa settimana provando per sette giorni a usare meno l’auto e a spostarsi di più a piedi, in bici o col bus».

Micol Brusaferro

 

Il divieto alle bici va in Consiglio - Il leghista Lippolis non ritira la mozione in commissione. Forza Italia contraria
La mozione sui velocipedi del leghista Antonio Lippolis resta in pista e finirà per fare un giro in Consiglio comunale. Due ore e un quarto di discussione in VI Commissione non sono bastati a disinnescare il possibile divieto alle biciclette di transitare (se non a mano) nelle zone pedonali. «Solo fumo. Due ore e un quarto di fumo e fumo per una questione per la quale basta un po' di buon senso», spiega Salvatore Porro, presidente della Commissione con un passato da ciclista nelle file dell'associazione "Pedale triestino". Ovvero sarebbe sufficiente rispettare il Codice della strada che invita i ciclisti a scendere dal velocipede quando le zone pedonali sono troppo affollate. «Che nessuno si illuda che io ritiri la mozione - ribadisce Lippolis -. In Commissione si è svolta una lunga discussione sulla mia mozione sulle biciclette. Ho ribadito che il problema dei ciclisti maleducati e strafottenti esiste e che dovremo risolverlo. Il vicesindaco Roberti e l'assessore Polli ci stanno lavorando sopra e anche alcuni consiglieri si sono detti pronti, con le proposte alternative, a fare in modo che si vada nella direzione da me auspicata». L'opposizione, con il Pd in prima fila, ha già presentato una "contro mozione". La maggioranza però è tutt'altro che compatta sull'iniziativa leghista. Mentre la Lega frena, Forza Italia pedala. Gli azzurri Piero Camber (capogruppo), Michele Babuber e Alberto Polacco hanno ribadito ieri «la contrarietà alla proibizione» ricordando di avere presentato una mozione per «dotare la Polizia locale di migliori e più moderni mezzi e strumenti per il presidio del territorio, tra cui i monopattini elettrici del tipo di quelli che vengono noleggiati anche ai turisti». E quindi? «Prima di adottare ulteriori divieti risulterebbe quindi auspicabile l'implementazione delle reti ciclabili e il proficuo impiego degli agenti in bicicletta. Richiedere educazione è molto più da amministratori pubblici che il semplice proibire». I tre consiglieri azzurri inoltre avevano recentemente portato all'attenzione dell'amministrazione la proposta (condivisa anche con la Fiab) approvata all'unanimità in Consiglio comunale, per la realizzazione di una nuova pista ciclabile in Porto vecchio, nel tratto tra la sede della Svbg e il centro cittadino.

(fa.do.)

 

 

La Federcaccia "spara" sulla riforma Panontin - Previsti più poteri al Comitato faunistico rappresentato anche dagli ambientalisti
Le doppiette però non ci stanno. Intanto Confagricoltura dà l'ok ma la Lav tuona
TRIESTE - La proposta dell'assessore regionale alla Caccia, Paolo Panontin, per una nuova governance dell'attività venatoria, divide due dei principali portatori di interesse, Federcaccia e Confagricoltura, e scatena le ire della Lav Fvg. La Federcaccia regionale assume una posizione contraria, mentre la Confagricoltura del Friuli Venezia Giulia, anche a nome della altre associazioni agricole, si dice favorevole alle modifiche ipotizzate da Panontin. La proposta è stata avanzata dall'assessore in un convegno a Pozzuolo del Friuli, organizzato proprio dalla Federcaccia con la partecipazione di tutti le principali categorie coinvolte, al quale ha preso parte anche la presidente della Regione Debora Serracchiani. La questione prende le mosse da una sentenza con cui la Corte costituzionale ha cassato, nel 2009, parte dell'articolo 19 della legge regionale sulla caccia varata nel 2008, articolo che ometteva negli organi dell'Associazione unica dei cacciatori la presenza dei rappresentanti degli agricoltori, degli ambientalisti e degli enti locali. «Da allora - rileva Paolo Viezzi, presidente regionale della Federcaccia - tutto è rimasto fermo in Regione». Oltre a dare risposta della sentenza della Corte costituzionale, la proposta dell'assessore prevede di «ampliare le funzioni del Comitato faunistico regionale, nel quale sono rappresentati tutti i portatori di interesse, in modo che possa svolgere un effettivo ruolo di governance». Secondo Panontin il Comitato faunistico, presieduto dallo stesso assessore regionale alla Caccia, sarebbe costituito da 16 componenti (rispetto ai 15 attuali): cinque i rappresentanti delle associazioni venatorie riconosciute; cinque quelli delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative; tre i rappresentanti delle associazioni di protezione ambientale, e tre quelli degli enti locali. Viezzi sostiene che la soluzione proposta da Panontin «non è percorribile», sia per motivi giuridici sia di merito. «Sul piano giuridico - spiega il presidente - il Comitato faunistico è un organo consultivo e di natura pubblicistica, che opera con provvedimenti amministrativi, mentre l'Associazione unica dei cacciatori è un organismo privato che coordina altri organismi privati, che sono le riserve». Quanto al merito, sempre secondi Viezzi, «il criterio per individuare i componenti del mondo venatorio sono diversi da quelli per scegliere i rappresentanti degli agricoltori, degli ambientalisti e degli enti locali. Una differenza - rincara - che mostra la volontà dell'assessore di controllare le nomine che potrebbe fare il mondo venatorio. E questo è inaccettabile». Viezzi ricorda comunque che Panontin «si è detto disponibile a rivedere la proposta e a discuterne le modifiche», e ribadisce che Federcaccia è decisa a modificare le cose: «Partiamo da qui - afferma - per non restare qui».La proposta dell'assessore incontra invece il favore della Confagricoltura regionale, il cui presidente Giorgio Colutta, al convegno ha preso la parola a nome anche di tutte le altre associazioni agricole.«Siamo favorevoli - spiega Colutta - per due motivi. Innanzitutto Panontin ha proposto di attribuire al Comitato faunistico nuove funzioni operative in termini di gestione dell'attività venatoria. Il Comitato diverrebbe così il braccio operativo della Regione». Il secondo ordine di motivi sta nella riduzione del numero dei distretti venatori, che passerebbero da 15 a 4, e all'ingresso di ciascun distretto delle rappresentanze degli agricoltori, degli ambientalisti e degli enti locali, «distretti che ora vedono presenti solo i rappresentanti dei cacciatori». Una dura presa di posizione arriva infine dalla Lega antivivisezionista. «Nel Comitato faunistico si creerebbe un evidente e antidemocratico sbilanciamento in favore dei cacciatori - dichiara Guido Iemmi, responsabile istituzionale Lav Fvg -. Oltre ad essere fortemente sbilanciato in favore dei cacciatori, il Comitato faunistico appare anche gravemente antidemocratico. A livello regionale, infatti, i cacciatori rappresentano un'esigua minoranza, attorno all'1%, rispetto ai contrari alla caccia, che da sempre sono l'80% dei cittadini. La Regione - aggiunge - si appresta a violare ancora una volta le norme nazionali in materia di tutela della fauna selvatica».

Giuseppe Palladini

 

 

In secca le sorgenti del fiume Po - Niente acqua dal Monviso per il caldo: «È la seconda volta in 50 anni»
CUNEO - Neppure una goccia d'acqua alle sorgenti del Po, ai piedi del Monviso. Al Pian del Re, a 2.020 metri di altitudine, dove nasce il fiume più lungo d'Italia, tra le rocce sotto la targa "Qui nasce il Po" la vena si è completamente esaurita. Solo pietre asciutte. Non è la prima volta che succede, e poco più a valle il fiume si rianima, grazie ad altre fonti, ma è comunque un evento rarissimo. Sul "Re di pietra", come viene chiamato il Monviso, da anni non ci sono più ghiacciai e due mesi senza piogge hanno estinto anche i nevai lasciati da una primavera generosa. Aldo Perotti, gestore del rifugio "Albergo Pian del Re", conosce questi luoghi meglio di chiunque altro. La sua famiglia gestisce la locanda da oltre un secolo. «Nel corso della mia vita - racconta - avrò visto la sorgente del Po all'asciutto due o tre volte. Nell'ultimo mezzo secolo forse questa è la seconda volta che accade. Sopra il Pian del Re non c'è più un briciolo di neve, ed evidentemente le falde si sono abbassate». Per trovare l'acqua basta percorrere scendere qualche centinaio di metri. I piccoli rivoli che scendono dai laghi Fiorenza e Superiore alimentano il letto del Po e già pochi chilometri a valle, a Pian della Regina, è un torrente rigoglioso. «Decine di anni fa - racconta ancora Perotti - mio nonno provò a versare alcune sostanze coloranti nei laghi che si trovano a monte del Pian del Re, per capire da dove provenisse l'acqua della sorgente del Po. E scoprì che non arriva dai laghi, ma da una falda sotterranea alimentata in profondità, chissà dove sotto il Monviso. È acqua pura, cristallina, che sgorga in questo punto probabilmente da migliaia di anni». Quest'anno il caldo anomalo di maggio e giugno ha sciolto rapidamente gli accumuli di neve. L'estate ha fatto il resto. Praticamente - continua Perotti - non piove da due mesi. Lo zero termico è oltre i 4.000 metri. Le riserve di acqua e i ghiacci sotto le morene si sono sciolti e abbassati». Più a valle l'acqua c'è, perché il fiume è fatto di falde sotterranee che trasportano in pianura grandi quantità d'acqua, alimentando le risorgive, ma simbolicamente quella sorgente senza nemmeno una goccia d'acqua rappresenta il simbolo di un'estate senza pioggia che verrà ricordata a lungo, anche qui dove l'acqua non è mai mancata. In questo angolo di provincia di Cuneo, nel pianoro a quota 2.020 dove si narra sia transitato anche Annibale con il suo esercito di 30mila uomini e 40 elefanti, probabilmente è stata scritta un'altra pagina della storia sui cambiamenti climatici.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 5 settembre 2017

 

 

Tensione sindacati-Arvedi in attesa del tavolo a Roma - L'azienda apre sulla sicurezza ma di piano industriale si parla solo al ministero il 28
Confermato il pacchetto di scioperi in mano alle Rsu dopo l'incontro di ieri a Servola
Resta sul tavolo il pacchetto di 16 ore di sciopero ancora in mano ai sindacati per la Ferriera di Servola, dopo che ieri pomeriggio si è tenuto un incontro con l'azienda che le sigle concordano nel definire «meramente interlocutorio». Il faccia a faccia è avvenuto dopo che, venerdì scorso, i lavoratori dell'impianto avevano incrociato le braccia, consumando le prime otto ore del pacchetto di scioperi. I sindacalisti rilevano che ieri, al netto di un'apertura sul tema sicurezza, Siderurgica triestina ha rimandato la discussione sul piano industriale al 28 settembre (data dell'incontro al Ministero dello Sviluppo economico) e ha chiuso sul tema dei premi. Spiega Franco Palman della Uilm: «Le ore di sciopero proclamate dalle Rsu restano attive per diversi motivi. L'azienda si è detta disponibile a ragionare di sicurezza, ma quali siano le misure concrete che intendono adottare, e quale sia la velocità con cui dovrebbero tradursi in pratica, sono cose tutte da verificare».Per il sindacalista, però, il punto dolente è il futuro dell'area a caldo: «È una situazione imbarazzante. Durante il nostro ultimo incontro, quest'estate, avevano annunciato degli investimenti che ai nostri occhi sono di manutenzione ordinaria. Manca ancora uno sguardo più ampio sul futuro, sul piano industriale. Loro sono disposti a discuterne solo il 28 settembre a Roma, ma a nostro avviso è una risposta insufficiente». Infine, conclude l'esponente della Uilm, «anche l'aspetto dei premi deve essere sottoposto a un controllo più profondo». Interviene quindi Umberto Salvaneschi della Fim Cisl: «Questa riunione era assolutamente interlocutoria, non ha sciolto i problemi ma ha delineato un programma di ulteriori incontri per affrontarli. Questo però non ci permette di ritirare il pacchetto di ore di sciopero». Prosegue Salvaneschi: «Per Siderurgica triestina la sede opportuna per discutere di piano industriale è il ministero. Se è così noi ci presenteremo a quel tavolo chiedendo che vi partecipi il massimo rappresentante dell'azienda, e che illustri quali sono le prospettive dello stabilimento». Il sindacalista Fim Cisl chiede anche un maggiore crisma di ufficialità sul piano di investimenti annunciato nei mesi scorsi: «Chiediamo che venga ufficializzato con carta intestata, perché a noi l'hanno presentato in carta semplice. Riteniamo invece bisogni dare ufficialità alla cosa».Marco Relli per la Fiom Cgil pone l'accento sulla concordia dei sindacati: «Siamo unanimi sull'esito di questo incontro», dice. Gli unici potenziali risultati, secondo l'esponente Fiom, sono quelli ottenuti in ambito sicurezza: «Hanno accettato di aprire un tavolo che discuta tutte le necessità della Ferriera nel dettaglio. E hanno accettato anche la richiesta di individuare un Rls di sito». Ovvero un responsabile dei lavoratori per la sicurezza che abbia la facoltà di intervenire non soltanto sui dipendenti diretti di Siderurgica triestina, ma anche su chi lavora nelle ditte in appalto. L'obiettivo, precisa Relli, «è scongiurare situazioni come quella tragicamente conclusasi alla Wartsila qualche mese fa». Relli commenta anche la posizione dell'azienda sul tema dei premi: «Loro ribadiscono che la linea resta la stessa, rivendicando il premio di risultato. A nostro giudizio questo sistema divide le squadre, la cui unità è fondamentale in siderurgia». Anche la Fiom, infine, torna sul tema del piano industriale: «Di fronte all'ennesima domanda sul piano da parte dei sindacati, hanno demandato ancora una volta la questione a Roma. Si limitano a ribadire l'annuncio dei quattro milioni da investire in due anni - prosegue Relli - ma per noi sono insufficienti per garantire il futuro dell'area a caldo. Ci sembra un argomento che può essere discusso anche a livello locale, senza dover per forza trattarlo solo a Roma. Anche perché il contesto attuale di Trieste, penso allo sviluppo portuale, è essenziale per il destino dello stabilimento». Siderurgica triestina, contattata nel pomeriggio, non ha voluto commentare per il momento gli esiti dell'incontro di ieri con i sindacati.

Giovanni Tomasin

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 4 settembre 2017

 

 

«Rotonda sull'Ospo, Parenzana poco sicura» - Crescono le lamentele di autisti e ciclisti sulla pericolosità del punto interessato dai lavori per la rotatoria
MUGGIA - Il tratto della Parenzana in prossimità delle foci del rio Ospo è pericoloso. Le lamentele stanno giungendo sempre più numerose all'amministrazione comunale, in particolar modo a causa del maxicantiere che sta interessando la zona. Sotto il controllo della Regione, infatti, stanno proseguendo i lavori per la rotatoria nel tratto conclusivo dell'Ospo. La tabella di marcia sembra non aver ricevuto intoppi come conferma l'assessore ai Lavori pubblici Francesco Bussani: «Siamo sempre in contatto con i tecnici regionali e le ultime notizie confermano che la rotatoria dovrebbe essere conclusa entro il 2017, con qualche intervento extra che potrebbe slittare ai primissimi mesi del 2018». In attesa che il manufatto venga concluso, la viabilità sull'arteria rimane decisamente critica. Non solo per gli automobilisti costretti a porre molta attenzione lungo il percorso, compreso l'incrocio con strada per Farnei, ma in particolar modo per i ciclisti. Nell'area, infatti, sorge l'imbocco d'accesso alla Parenzana, diventata decisamente meno sicura rispetto a prima. «Siamo consapevoli della questione e confermo che la problematica esiste - spiega Bussani - motivo per cui già a marzo ci siamo incontrati con l'assessore alle Infrastrutture della Regione Mariagrazia Santoro evidenziandole le criticità giunteci sia dai nostri concittadini che quelle fatteci pervenire dai cicloturisti». Da qui sono partite alcune richieste per poter superare il problema con la realizzazione di qualche opera. La prima proposta è stata quella di creare una passerella ad hoc da collegare al ponte sull'Ospo per determinare in tale modo un passaggio sicuro per i ciclisti. L'idea, però, non è andata a buon fine: «Purtroppo, per problemi di sicurezza legati all'accertamento della verifica statica della tenuta del ponte stesso, la proposta, a mio modo di vedere e a quello di tanti altri valida, è stata cassata». Bussani allora ha rispolverato il progetto provinciale del secondo lotto che avrebbe come obbiettivo principale quello di allargare il ponte: «Rifacendo il ponte si potrebbe creare un percorso sicuro per i ciclisti collegando il loro percorso alla Parenzana». Almeno per ora questo progetto, però, rimarrà nel cassetto: la cifra prevista di due milioni, a cui si potrebbero aggiungere ulteriori oneri per la bonifica della zona, è stata giudicata attualmente non affrontabile. La terza e ultima proposta riguarda la realizzazione di una passerella parallela ma distaccata dal ponte attuale, dedicata al passaggio delle biciclette. Anche in questo caso l'idea pare rimarrà tale essendoci costi importanti in ballo. Bussani, comunque, non demorde: «I progetti ci sono e anche la volontà. Ora cercheremo di capire se magari attraverso l'Uti e la sinergia con i comuni di Trieste e San Dorligo vi sia la possibilità di creare un collegamento alternativo bypassando quindi la problematica». In attesa di capire la soluzione l'auspicio è che i lavori per la rotatoria possano effettivamente terminare entro l'anno.

(ri. to.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 3 settembre 2017

 

 

I fondali non tengono l'acqua - «I laghetti carsici muoiono» - I terreni poco compatti e la carenza di piogge stanno facendo scomparire gli stagni
Il più a rischio ora è quello di Trebiciano: l'appello della Comunella alle istituzioni
TRIESTE - È un disperato Sos quello che arriva dalla comunità di Trebiciano: «Dateci una mano, date una mano a tutte quelle realtà locali che gestiscono e cercano di salvare quei preziosi laghetti e stagni carsici che stanno dissecando». L'appello è di Katja Kralj, presidente della locale Comunella, ed è rivolto agli enti e alle amministrazioni locali e regionale. C'è di mezzo, infatti, la conservazione degli antichi e rari specchi d'acqua presenti sul Carso, nel caso specifico quello di Trebiciano, che, assieme a tanti altri, rischia appunto di scomparire sia per l'andamento climatico, rotto estemporaneamente dalle piogge di questo week-end, che soprattutto per una serie di problemi tecnici. Di fronte ad altri problemi di forte attualità che interessano la società, la preoccupazione per la salvezza di questi stagni sembrerebbe eccessiva. Ma è necessario rendersi conto di come queste rare conche, quasi tutte realizzate artificialmente per trattenere la preziosa acqua altrimenti inghiottita dalla fessurata superficie carsica, siano testimonianza di quella lotta per la sopravvivenza che nei secoli i residenti hanno ingaggiato con un territorio difficile eppure tanto amato. È di questi ultimi anni la messa a punto di un progetto finanziato con fondi comunitari per il mantenimento, a cavallo dei confini, di un "Museo dell'Acqua diffuso" che rientra nel programma di cooperazione transfrontaliera Italia-Slovenia. Il progetto, che ha coinvolto amministrazioni e istituzioni secondo strategie condivise e risulta finanziato per oltre tre milioni, ha avuto come obiettivo la valorizzazione del ciclo dell'acqua e il territorio carsico nelle aree a Est dell'Altipiano e ha previsto il recupero di storici manufatti come l'antica cisterna "Ciganka" di Gropada, la valorizzazione di aree e percorsi e la posa in opera di opportuna segnaletica. «Definire terribile questa stagione estiva è poco - afferma la presidente - ma il nostro vecchio kal (che sta per stagno in lingua slovena, ndr) sta morendo non solo per la tremenda siccità ma anche perché il fondo non riesce a trattenere l'acqua». La questione è nota e interessa con modalità diverse tutti i vecchi stagni carsici. Di fronte alla quasi totale permeabilità del Carso, alcune conche deputate a raccogliere l'acqua piovana riuscivano a mantenere il proprio livello grazie di un fondo reso compatto dall'argilla. Ed erano gli stessi animali con i propri zoccoli a compattare quasi quotidianamente il letto degli stagni. «Oggi purtroppo non ci sono più mucche e buoi a garantire questo servizio - riprende Kralj - con il risultato che il fondo degli stagni non riesce a trattenere l'acqua. Circa una decina d'anni fa avevamo cercato di ripristinarlo, finanziando in proprio il deposito di nuova argilla e il suo compattamento. Purtroppo il recupero non è riuscito a dovere e oggi il kal, complici pure le scarse precipitazioni degli ultimi anni, risulta completamente secco. Qui ci vuole un nuovo intervento e noi non siamo in grado di provvedervi. È per questa ragione che chiediamo alle istituzioni di aiutare le nostre comunità a salvare questi reperti del passato, le memorie di un passato rurale che rischiano di essere cancellate per sempre, con interventi risolutivi». «Con Percedol e Contovello, il laghetto di Trebiciano è storicamente tra i più importanti e grandi del Carso», spiega Nicola Bressi del Museo di Storia naturale: «Attorno alla fine degli anni '60, si era asciugato a causa di un pilone dell'Enel posizionato all'interno. Per ripristinarlo, venne consultato anche il sottoscritto che, a scanso d'equivoci, ribadisce quello che aveva suggerito. Visto che ormai il fondo non può essere più ricompattato dagli zoccoli del bestiame, consiglio la posa in opera di un telo artificiale in materia plastica impermeabilizzante come è già stato fatto in altri siti. Dobbiamo prendere coscienza che i tempi sono cambiati e che dunque sono necessari nuovi espedienti. Pastorelli e vacche sono rari e comunque confinati in zone ben determinate. E dunque la soluzione prevede l'utilizzo di questi materiali, se vogliamo veramente salvare questi stagni».

Maurizio Lozei

 

 

Mobilità elettrica - vale 800mila unità lavorative
La mobilità elettrica in Italia potrebbe attivare un fatturato fino a un massimo di 300 miliardi da qui al 2030, con 823.000 occupati e 160.000 imprese, considerando la filiera allargata. A stimare il potenziale dell'"e-mobility" e le opportunità sul sistema Paese è uno studio realizzato da The European House Ambrosetti e Enel, presentato a Cernobbio, con il gruppo elettrico che si dichiara pronto ad investire «da 100 a 300 milioni di euro nei prossimi tre anni», in favore di un numero di colonnine di ricarica per le auto elettriche che varia «tra 7.000 e 12.000 unità», come ha spiegato l'ad Francesco Starace (Foto). A livello mondiale, tra il 2005 e il 2016, il numero di autoveicoli a motore elettrico e ibridi elettrici plug-in è cresciuto ad un tasso medio annuo del 94% in termini di stock (superando i 2 milioni di unità nel 2016) e del 72% in termini di nuove immatricolazioni. Anche l'Italia è coinvolta nella «e-mobility revolution»: sebbene la strada verso la transizione elettrica del Paese sia ancora molto lunga - evidenzia lo studio - le immatricolazioni di auto elettriche sono cresciute ad un tasso medio annuo composto del 41% dal 2005 al 2016. La crescita è stata significativa anche per il parco auto, con 9.820 autoveicoli circolanti nel 2016 (+60% rispetto all'anno precedente). «Per cavalcare con successo la e-mobility revolution - viene evidenziato nel Rapporto -, l'Italia deve innanzitutto sviluppare una visione di medio-lungo termine, come fatto dai principali Paesi e adottare delle politiche nazionali volte a sostenere la domanda, la filiera industriale (incentivando soprattutto la ricerca) e la rete infrastrutturale di ricarica».

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 2 settembre 2017

 

 

Boom di vendite per le bici elettriche - Numeri raddoppiati in Friuli Venezia Giulia grazie agli incentivi regionali. Tra gli sportivi spopola la versione mountain bike
TRIESTE - Senza dubbio gli incentivi regionali stimolano l'acquisto. Ma, aiutini a parte, le bici elettriche hanno conquistato nell'ultimo anno, e in particolare durante i primi mesi del 2017, una fetta importante di italiani e residenti della regione. Si parla di un aumento già per l'anno scorso del 121,3% in Italia, che vuol dire una vendita di 124.400 pezzi contro i 56.200 del 2015, e di crescite superiori al 50% in Fvg. Si contraggono invece i dati della bicicletta tradizionale. Lo dice il settore dedicato alle due ruote di Confindustria, l'Associazione nazionale ciclo motociclo accessori (Ancma), che racconta come che è il Nord Est a trainare il settore e dunque a pedalare di più con il motore nel velivolo. Il Triveneto assieme all'Emilia-Romagna arriva a un 35% di ciclisti motorizzati, seguito dal Nord Ovest, che pratica per il 25% e dove il 18% è solo della Lombardia. Il resto della penisola invece si accontenta di un 45% di velocipedi a pedalata assistita, la percentuale più alta che comprende però il numero maggiore di regioni. È anche il secondo parametro, quello relativo all'import, che spiega nel 2016 la crescita delle Pedelec (Pedal electric cycle), il termine che indica appunto i veicoli che rispettano la normativa europea di non superare i 25 chilometri all'ora, i 250w di potenza e la possibilità di scegliere il livello di assistenza. Nel quarto trimestre del 2016 infatti l'Italia ha importato 40.800 mezzi di questo tipo, quasi uguale a quello dei primi nove mesi del 2015 pari a 60mila, diventando poi alla fine 108.800. «Segno - sottolinea Confindustria Ancma - che si è venduto parecchio nel 2016, ma che molto di quanto importato nel 2016 sarà venduto nel 2017». In linea generale ogni aspetto di questo mercato è aumentato. Esempi: la produzione made in Italy di 23.500 bici e le 8mila esportazioni. Il che vuol dire anche un'importante uscita di progettualità e brevetti dalle aziende del Bel Paese. Ma veniamo al Nord Est e in particolare al Friuli Venezia Giulia. Qui, come nel resto d'Italia, il prodotto più apprezzato è la mountain bike elettrica. Trieste, Gorizia e Pordenone hanno gli stessi clienti con i medesimi gusti. Fa eccezione un po' Udine, dove fa da padrone il modello city trekking. L'identikit degli acquirenti corrisponde agli over 40. Pochi i giovani invece che si affacciano a questo mezzo di trasporto innovativo. Ma la domanda che salta subito alla testa è: perché acquistare una bicicletta sportiva con il motore, se chi la utilizza dovrebbe usarla proprio per un'attività fisica? Bisogna mettere da parte per un attimo gli stereotipi. «Con questo tipo di bici si fa comunque fatica - commenta Michele Scaramuzza, responsabile di Sportler a Pordenone -, magari può essere d'aiuto per gli escursionisti che vogliono fare un percorso lungo, ma non sono allenati». Il target comprende anche mogli che così possono seguire i mariti su strade tortuose della montagna e della collina, anziani che riprendono un'attività fisica proprio grazie alle due ruote elettriche. «La E-mountain bike - aggiunge Loris Marin, responsabile di Sportler Trieste - può avere un doppio uso rispetto alla city bike elettrica, perché basta togliere i parafanghi e cambia la versione». I molteplici negozi del settore sparsi nelle quattro province raccontano di aumenti delle vendite, soprattutto quando ci sono gli incentivi. Si parla di una crescita che va dal 15% al 70% in diversi casi. Tra gli shop, Mathitech Bike Center, in viale Miramare, e Ones Ebike in via Torrebianca. Quest'ultimo negozio, aperto a maggio 2016, è specializzato in city-bike elettriche. «Quest'anno in due mesi - raccontano Bernardo Zerqueni e Giovanni Romich, titolare dell'attività - abbiamo già venduto le bici che l'anno scorso abbiamo distribuito in sei mesi e tra l'altro siamo il negozio che in Italia ha venduto il numero maggiore di queste tipo di due ruote. Quest'estate abbiamo organizzato di nuovo inoltre "Aloha", un aperitivo mobile, che abbiamo fatto a tappe in tre diversi momenti. Oggi è l'ultimo incontro, che si terrà al bar Buffet Borsa a Trieste dalle 19 alle 2, dove le bici si potranno provare fino alle 23. Il nostro obiettivo ora è sdoganare il fatto che questo mezzo sia solo per anziani, mentre è uno sostituto dello scooter con cui eviti i costi tra assicurazione e benzina e poi non inquina».Il motivo di un interesse sempre più crescente verso questo ciclo è dato sia dall'estetica, che rende questi veicoli sempre più simili a delle biciclette tradizionali, sia dalle dimensioni sempre più ridotte di motori e batteria e dalla loro integrazione con i telai. E poi va a 25 chilometri all'ora, ottima per gli spostamenti nel traffico.

Benedetta Moro

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 1 settembre 2017

 

 

L'acqua del Carso in mappa per imparare a proteggerla

Il Dipartimento di Matematica e Geoscienze in accordo con la Regione identifichera' le aree sede di acquiferi per creare un data base completo e omogeneo del territorio.

Tre quarti della superficie del nostro pianeta sono occupati dall'acqua che, evidenzia l'ultimo rapporto Unesco "Acqua per la gente, acqua per la vita", è costituita per il 97% da oceani e soltanto per il 2,5% è acqua dolce. Di questa, il 68,9% è contenuta nei ghiacciai e nelle nevi perenni, il 30,8% nelle falde sotterranee e solo il rimanente 0,3% si trova in laghi e fiumi. È evidente perciò il motivo per cui negli ultimi tre decenni la legislazione ambientale mondiale si è focalizzata sulla tutela degli elementi d'acqua dolce, prendendo in considerazione la scarsità idrica. Va in questa direzione anche l'accordo attuativo di collaborazione con l'Università di Trieste approvato dalla giunta regionale una decina di giorni fa, che prevede che l'Ateneo giuliano, attraverso il Dipartimento di Matematica e Geoscienze, si occupi di individuare e perimetrare le aree carsiche e le relative zone d'infiltrazione delle acque. L'accordo attuativo, parte di una convenzione quadro tra Università e Regione per progetti di comune interesse istituzionale in ambito ambientale ed energetico, stanzia intanto 32 mila euro per un anno di lavori.«Lo scopo di quest'iniziativa - spiega Francesco Princivalle, direttore vicario del Dipartimento di Matematica e Geoscienze - sarà quello d'individuare e studiare gli acquiferi carsici dai quali attingiamo l'acqua, per poi mettere in campo ragionamenti strategici sulla loro tutela e sugli utilizzi futuri». «Anche nel nostro territorio - spiega Chiara Calligaris, una dei quattro ricercatori del gruppo che si farà carico del progetto, coordinato dal professor Luca Zini - la maggior parte delle risorse idriche che già sfruttiamo è racchiusa nel sottosuolo: la città di Trieste è servita dalle acque della pianura isontina, ma non dimentichiamo che il 20% delle acque che scorrono nelle tubature del nostro acquedotto arrivano dall'acquifero carsico».«In questa prima fase - prosegue Calligaris - andremo a identificare in tutto il territorio regionale le aree carsiche, in rocce carbonatiche, fratturate e carsificate, sede di acquiferi di ottima qualità. L'idea è di avviare un percorso che ci permetta poi di pensare a una loro protezione. Si tratta infatti di aree molto vulnerabili, in cui l'acqua si infiltra attraverso le fratture e i condotti ad una velocità elevata, lo spessore del suolo è relativamente esiguo e inferiore rispetto a quello degli acquiferi di pianura e pertanto la vulnerabilità è maggiore». Studi di questo tipo iniziarono con il professor Franco Cucchi una trentina d'anni fa: da ultimo, nel 2015 si è concluso il progetto Interreg HYDROKARST. Realizzato dai ricercatori dell'Ateneo giuliano insieme ai colleghi sloveni, il progetto ha permesso di monitorare in maniera quantitativa e qualitativa le acque dell'acquifero carsico del Reka-Timavo nell'ottica di una gestione transfrontaliera congiunta. «In questo piccolo fazzoletto di territorio abbiamo due fiumi importanti, il Timavo e l'Isonzo, che insieme alle acque d'infiltrazione dovute alla pioggia vanno a ricaricare i nostri acquiferi», dice Calligaris. Ma non esiste a oggi una mappatura completa e una banca dati omogenea degli acquiferi carsici a livello regionale. «Per la creazione di un grande database georeferenziato regionale opereremo incrociando i dati già in nostro possesso attraverso carte geologiche, foto aeree e rilievi LIDAR, che combineremo con rilievi sul posto per la validazione dei dati», spiega la ricercatrice. Sarà quindi tracciata una mappatura dettagliata dei siti carsici, con dati di tipo geologico, geomorfologico e idrogeologico. Il database prevede inoltre l'inserimento delle sorgenti carsiche, così come l'individuazione dei punti di ricarica degli acquiferi. Questo lavoro, ha dichiarato l'assessore all'ambiente Sara Vito, servirà alla Regione per «disporre di un quadro conoscitivo il più ampio e circostanziato possibile sul quale basare le proprie attività istituzionali, in particolare quelle autorizzative»

Giulia Basso

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 31 agosto 2017

 

 

Mare - Nessuna cubomedusa in golfo

Ad oggi non sono state avvistate cubomeduse nelle aree balneabili di Trieste. Lo ha reso noto l'Arpa, dopo il recente avvistamento in aree non balneabili a Grado di alcuni esemplari questo tipo di medusa.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 30 agosto 2017

 

 

Servola - Nuovo spolveramento dalla Ferriera
Nuovo episodio di spolveramento nella giornata di lunedì dalla Ferriera di Servola. Ormai l'ennesimo di quest'estate: in corrispondenza di pressoché tutti i temporali con vento molto forte della stagione dallo stabilimento si è levata una nube scura di polveri. Il "neverin" di lunedì non è stato da meno, e ancora una volta il fenomeno è stato ripreso e documentato dai comitati per la difesa ambientale del quartiere, che denunciano il fenomeno. Il Comitato 5 Dicembre ha condiviso un video in cui si rileva come questi fenomeni ora siano frequentissimi, mentre un tempo erano molto rari. L'azienda comunica: «La gestione Arvedi è operativa ormai dal 2015, eppure è successo solo quest'anno. Le cause sono da cercarsi nelle condizioni meteo straordinarie».

 

 

«Riserva delle falesie, Comitato da ampliare»  - La proposta dei Cittadini per il golfo alla giunta di Duino Aurisina.  - «In questo modo si valorizza l’area»

DUINO AURISINA - Integrare il Comitato tecnico incaricato della gestione della Riserva delle falesie inserendo tre nuovi soggetti: uno in rappresentanza delle società nautiche operanti nella zona, un esponente della proprietà (la Baiaholiday), e uno individuato dai cittadini. Questa la proposta presentata dai Cittadini per il golfo all'assessore comunale Andrea Humar, titolare anche della delega che riguarda l'area delle falesie. Nel corso dell'incontro Danilo Antoni e Vladimir Mervic, portavoce del movimento dei Cittadini per il golfo, hanno evidenziato «la necessità di implementare il Comitato con la presenza di nuove voci, portatrici degli interessi delle categorie coinvolte e di un'analisi critica di alcune norme presenti nel regolamento che disciplina l'attività alle falesie. Non vogliamo incidere sulla qualità dei valori della Riserva - hanno precisato - ma crediamo che, pur nel rispetto del regolamento e del piano di conservazione e sviluppo, le nostre proposte potrebbero migliorare la fruizione della zona marina che attualmente, con la sola delimitazione di boe che non svolgono la loro funzione e il rilascio di permessi stagionali per lo stazionamento, non è inclusa in maniera adeguata nella rete turistico-ambientale dell'Alto Adriatico».«Per la zona a terra - hanno proseguito Antoni e Mervic - c'è la necessità di coinvolgere la proprietà, oltre che gli altri enti pubblici, in progetti di miglioramento e di gestione d'intesa con la cittadinanza e gli utilizzatori dell'area, per portare la Riserva delle falesie - hanno precisato - al livello di fruizione turistico-naturalistica migliore di quanto già presente nelle Riserve limitrofe e in ambito europeo. L'immagine e la promozione, la fruizione guidata del mare, la gestione della pineta e del fondale e la ricreazione devono ricevere un adeguato sostegno. Si potrebbe anche pensare - hanno concluso - alla creazione di un soggetto ad hoc per la gestione della Riserva». Humar, a nome dell'amministrazione comunale, ha confermato «la disponibilità a tenere conto delle esigenze di tutti i cittadini, partendo dalla conoscenza delle realtà attuale, nella prospettiva di individuare gli elementi indispensabili per dare vita, da subito, a un proficuo lavoro comune che coinvolga soprattutto i residenti».

(u.s.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 29 agosto 2017

 

 

Due balenottere avvistate al largo di Lussinpiccolo - Lunghe tra i 15 e i 17 metri erano in buone condizioni
Osservate dagli scienziati. Riemergevano ogni 15 minuti
FIUME - Nel mare a tre miglia a ovest di Lussino sono stati avvistati due grandi esemplari di balenottera comune, nome scientifico Balaenoptera physalus della famiglia Balaenopteridae. La notizia è stata diffusa dall'Istituto per le ricerche e la tutela del mare Plavi svijet (Mondo azzurro) con sede a Lussingrande. La loro lunghezza è stata stimata sui 17-18 metri e nella classifica degli animali più grandi al mondo tale specie occupa la seconda posizione. Gli studiosi del centro le hanno osservate dal loro battello a debita distanza per circa due, arrivando alla conclusione che erano in buona forma. Gli animali si spostavano verso sud alla velocità media di 3-4 nodi e riemergevano ogni 10-15 minuti per mantenersi in superficie circa un minuto. Durante l'osservazione gli studiosi hanno preso appunti sul loro comportamento, le hanno fotografate e prelevato dal mare campioni della loro pelle sgusciata per le analisi genetiche in laboratorio. Uno dei animali presentava ferite cicatrizzate sul dorso provocate dall'elica di qualche natante a conferma che le balene purtroppo spesso vengono investite dalle imbarcazioni e questa è una delle principali cause della loro morte. Anche se l'Adriatico non è un bacino marino nel quale tale specie si presenta in grande numero, singoli esemplari 2-3 al massimo, vengono puntualmente avvistati ogni anno. I dati fin qui raccolti indicano che tale specie fa la sua comparsa nell'Adriatico per lo più alla fine della primavera e dell'estate e gli avvistamenti più frequenti avvengono nelle acque dell'isola di Pelagosa e della Fossa di Pomo nell'Adriatico centrosettentrionale. In Croazia tali cetacei sono rigorosamente protetti dalla legge e gli studiosi dell'istituto per le ricerche marine sottolineano che hanno indole pacifica e assolutamente innocui per l'uomo qualora non vengono avvicinati e molestati. Considerato che le balene sono una specie minacciata l'istituto stesso invita i cittadini che le avvistassero a mandargli eventuali fotografie o riprese video che saranno sicuramente preziose ai fini della maggior comprensione della loro vita nel Mare Adriatico. La balenottera comune è di colore grigio-marrone con il ventre bianco, molto elegante e d'aspetto molto signorile, anche nei movimenti. Sono balene di notevoli dimensioni che raggiungono i 23 m di lunghezza con un peso stimato di 70.000 kg risultando il più grande cetaceo al mondo dopo la balenottera azzurra. Sicuramente la caratteristica più insolita della balenottera comune è la colorazione asimmetrica della mascella inferiore , che è di colore bianco o giallo crema sul lato destro mentre sul lato sinistro è di colore scuro. Questa colorazione asimmetrica si estende fino ai fanoni e alla lingua e sembra che questa diversa colorazione sia di aiuto nella cattura delle prede in circostanze di particolari tecniche di caccia. Hanno la testa a forma di V, piatta nella parte superiore, che presenta una sorta di cresta che va dallo sfiatatoio alla punta del rostro o mascella superiore. Sono dotate di una serie di scanalature (circa 85) che vanno dalla gola all'ombelico che servono alla balenottera comune per espandere la gola per contenere più cibo. La pinna dorsale alta circa 60 cm è molto incurvata e molto spostata caudalmente, le pinne pettorali sono piccole e affusolate e la pinna caudale è robusta, dotata di muscoli possenti che gli consentono di raggiungere la velocità di 37 chilometri orari. Può scendere a una profondità di 250 metri e rimanere immersa mediamente per 15 minuti.

Gabriele Sala

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 28 agosto 2017

 

 

Comune - urbanistica - Il restyling del centro storico parte da tetti, park e pianterreni
Il Centro storico viene diviso in 13 "scene urbane", 4 "tessuti insediativi", 207 isolati. L'esame dei singoli edifici si scompone in tre elementi: involucro esterno, sistema interno dei corpi di fabbrica, spazi esterni. Le priorità di intervento sono 6: coperture e sottotetti, parcheggi, trasformazione dei basamenti, archeologia, spazi e verde pubblici, incentivi per conservare/trasformare/riqualificare gli stabili. Il Piano particolareggiato del Centro storico (Ppcs), frutto del sedime alluvionale prodotto dalle amministrazioni succedutesi negli ultimi dieci anni, viene estratto dallo scaffale delle rimembranze: l'assessore all'Urbanistica, la leghista Luisa Polli, è intenzionata a portarlo all'attenzione del Consiglio comunale all'inizio del 2018, «in tempo - dice - per consentire a proprietari, professionisti e aziende di aprire i primi cantieri già in estate». A fine ottobre la Polli, insieme ai dirigenti Ave Furlan e Giulio Bernetti, condurrà una verifica del lavoro fin qui svolto insieme agli ordini professionali, «con i quali - sottolinea - abbiamo operato in un clima di stretta collaborazione». Poi, una volta sistemati gli ultimi dettagli, il viaggio verso l'Aula. «Smuovere il Ppcs - prosegue l'assessore - significa riguadagnare il tempo perduto, consentendo l'attivazione di quegli incentivi edili ed energetici che fanno girare risorsa e creano occupazione». «Il Ppcs diventa uno strumento utile anche per l'industria turistica, perchè permette il recupero di fabbricati destinabili all'ospitalità». Gli estensori hanno consultato una ventina di contributi pianificatori, tra piccoli e grandi centri: Vienna, Cagliari, Oristano, Mondovì, Pistoia, Ragusa, Modena... La novità di maggiore rilievo è l'individuazione di 13 scene urbane, definite negli indirizzi del Ppcs "quinte architettoniche ... risultato dell'interazione tra spazio pubblico e patrimonio edilizio». Le Rive, Cavana, l'asse di via Carducci, i tre borghi imperiali (Teresiano, Giuseppino, Franceschino) costituiscono la struttura fondante attorno alla quale si è organizzato il Centro. Proprio dalla specificità della "scena urbana" il Piano parte per dare ordine e razionalità alle operazioni di recupero edilizio, puntando su due chiavi di lettura, che interpretano le parti alte e basse degli edifici. In alto, promuovendo «veri e propri progetti unitari» nel riutilizzo dei tetti e dei sottotetti (pendenze, coperture, abbaini, lucernai, "vasche"), nella previsione addirittura di una "Carta": perchè l'immagine aerea - si rileva nella sintesi del Piano - suggerisce «un'immagine frammentata» del Centro. Il modello proviene da alcune grandi città europee, prima fra tutte Vienna, che hanno ripensato le volumetrie dei tetti. Ma la stessa Trieste presenta esempi virtuosi, a cominciare dalla terrazza del museo Revoltella progettata da Carlo Scarpa. Poi riflettori sulla parte bassa degli stabili, dove la trasformabilità dei piani-terra diventa un fattore di rivitalizzazione economica, attraverso l'insediamento di attività commerciali e artigianali, da stimolare con agevolazioni e incentivi mirati. Un tema delicato, vista ampiezza e ricchezza del sottosuolo triestino, riguarda l'approccio con l'archeologia. Anche su questo fronte il Piano propone la redazione di una "Carta" che perimetri i complessi messi in luce o riconosciuti da campagne di indagine, le aree di accertata consistenza, la concentrazione di materiali, le zone a medio/alto potenziale archeologico. Lo sforzo di conoscenza e di "codificazione", cui s'ispira il Ppcs, si estrinseca inoltre nel rapporto con gli spazi pubblici e con il verde, cui sarà dedicato un "Atlante" che indicherà il contenuto coerente di ogni scena urbana in materia di arredo urbano, dehors, pavimentazione. La sintesi del Ppcs si chiude con l'analisi della "premialità" offerta a seguito degli interventi di riqualificazione: proposta diversificata a seconda si tratti di energia, di eliminazione di «elementi incongrui», di corti interne, di progetto unitario del tetto. Crediti edilizi mediante aumento delle cubature concedibili, defiscalizzazioni, deroghe, semplificazioni sono gli strumenti per invogliare gli investimenti.

Massimo Greco

 

L'iter delle quattro modifiche al Prg - la variante
Entro l'anno Luisa Polli vuole chiudere l'iter della variante al Piano regolatore, messa in moto con la delibera 264 dello scorso giugno. «In autunno avremo il primo step, abbiamo già raccolto le istanze, non credo sia necessario tornare in Regione, quindi spero in un esito abbastanza rapido». Aspetti normativi, disciplina dei pastini, ricognizione degli errori, ricorsi davanti al Tar: ecco le linee guida della variante al Prg, messo a punto dalla giunta Cosolini ed entrato in vigore il 5 maggio dello scorso anno. L'esecutivo Dipiazza aveva affrontato il tema-variante già in aprile, quando si era espresso favorevolmente a proposito dell'adozione di alcuni correttivi rispetto allo strumento urbanistico varato un anno fa. Ecco sinteticamente i quattro punti che costituiranno il nocciolo duro della variante. Riguardo gli aspetti normativi, l'attenzione si concentrerà in particolare sugli incentivi per la riqualificazione energetica, alfine di renderli coerenti con altri strumenti di pianificazione e con la vigente normativa. Alcune «discrasie interpretative» infestano, stando ancora alla delibera, recupero e valorizzazione dei pastini, urge approfondire quanto emerso in sede applicativa. Terza esigenza, rilevata dall'atto giuntale, è la necessità di emendare errori materiali, incongruenze, refusi grafici e testuali nei quali gli uffici si sono imbattuti operando sul documento urbanistico. Il quarto punto è quello politicamente più caldo: si tratta dei ricorsi presentati da privati cittadini contro il Prg, ricorsi poi accolti dal Tar. «Andranno apportate - precisa la delibera - le necessarie modifiche azzonative» in quanto l'annullamento di alcune destinazioni urbanistiche ha di fatto cancellato la copertura pianificatoria dei siti interessati.

 

«Complimenti, è il lavoro nostro» - L'ironia dell'ex esponente di giunta Marchigiani. «Perché tenerlo fermo un anno?»
«Complimenti per la saggezza dimostrata. Mi sembra di capire che il Piano del Centro storico (Ppcs), portato avanti dall'attuale amministrazione comunale, sia quello preparato durante la giunta precedente, con la collaborazione dell'architetto Adriano Venudo». C'è un filo di ironia, per la verità neanche troppo celata, nel commento che Elena Marchigiani, predecessore di Luisa Polli all'Urbanistica, dedica alla riapertura del dossier Ppcs. «Mi congratulo - riattacca l'ex collaboratrice di Roberto Cosolini - che il Piano venga ripreso parola per parola, così come era stato concordato con gli ordini professionali. Peccato aver aspettato un anno prima di riaccendere la procedura su un documento la cui validità viene sostanzialmente confermata». E la Marchigiani rievoca a mente quelli che ritiene essere i passaggi più innovativi e caratterizzanti del lavoro dedicato al Centro storico triestino. Il concetto di "scena urbana", con lo stretto rapporto tra edifici e spazi aperti. Gli "attacchi" al cielo e a terra per quanto riguarda qualità e tipologia degli interventi su tetti e basamenti degli stabili. Il «costante» dialogo con gli ordini professionali interessati alla pianificazione territoriale.«Finalmente - prosegue l'architetto - la nuova giunta dà a Cesare quello che è di Cesare. Cosa che non sempre accade: come nel caso della recente inaugurazione del rifacimento di piazza Hortis, in occasione della quale il ruolo dei precedenti amministratori è stato dimenticato. Sia io che Andrea Dapretto (ex assessore ai Lavori Pubblici, ndr) ci siamo impegnati per risorse e progetto».«Ma l'attuale governo cittadino - continua Elena Marchigiani - ha ancora molto lavoro da fare in ambito pianificatorio, a cominciare dal regolamento dei crediti volumetrici, uno strumento importante nella riqualificazione degli edifici». Nella parte introduttiva della sintesi finale, i redattori del Ppcs ricordano come nella fase ricognitiva siano stati analizzati oltre 20 piani particolareggiati, per confrontarli con i Ppcs triestini messi a punto nel 2006 e nel 2009. E la pianificazione triestina sembra uscire in modo lusinghiero dalla comparazione, in quanto «(i piani) sono fra i pochi a possedere una vera e propria struttura semantica in grado di costruire "un linguaggio"». «Un solido apparato normativo, pianificatorio e progettuale - riprende la sintesi - dotato di un elevato livello di "autonomia"». Insomma, la buona qualità del lavoro svolto nel 2006 e 2009 è una valida base per il pianificatore del 2017, chiamato comunque ad aggiornare quel "telaio" con le innovazioni normative, con i nuovi strumenti pianificatori adottati dal Comune, con l'evoluzione economico-sociale del territorio urbano.

magr

 

Premi a chi posteggia nei grandi contenitori - Tariffe "calmierate", navette e agevolazioni per lo shopping - Il Municipio si confronta con Esatto, Silos, Saba e San Giusto
Nella redazione del Piano particolareggiato del Centro storico (Ppcs) c'è un aspetto che preme al sindaco Roberto Dipiazza. Aspetto sul quale il primo cittadino ha assegnato una chiara direttiva all'assessore Luisa Polli: eliminare quanto possibile il parcheggio automobilistico dalle superfici stradali, puntando a concentrare le soste soprattutto nei grandi contenitori, adesso sotto-utilizzati.«Il 30-40% degli stalli nei parking resta sguarnito - riprende la Polli - dobbiamo trovare la maniera di renderli attraenti». Per questo il Comune sta mettendo a punto una politica di incentivazione delle grandi autorimesse mezze vuote: tanto per cominciare, l'assessore ha mandato una lettera ai gestori (Esatto, Park San Giusto, Saba, Silos) invitandoli a uno sforzo coordinato per accrescere l'utenza. Alcuni spunti al vaglio, spesso già sperimentati in altre realtà urbane, riguardano le tariffe "calmierate" per i residenti e il servizio di navetta tra i parcheggi (come Silos e Foro Ulpiano) e le zone centrali. Un'idea più fresca prefigura il coinvolgimento dei commercianti, per promuovere la combinazione sosta/shopping: il cliente del parking, munito del regolamentare ticket, otterrà facilitazioni nell'acquisto di merci nei negozi del Centro. La questione-parcheggi viene genericamente recepita negli indirizzi del Ppcs. «Individuare grandi autorimesse, come nel caso del Park San Giusto - riporta il documento comunale - oppure intervenire attraverso l'individuazione di piccole "sacche" diffuse nel centro della città o, infine, prevedere una configurazione integrata di queste due tipologie»: insomma, un "1X2" che, per accontentare Dipiazza, abbisognerà di soluzioni più solide e meglio circostanziate. In tema di parcheggi privati, il Ppcs chiede inoltre che vengano definite le modalità di realizzazione, scegliendo tra sventramento interno di interi edifici o interventi puntuali sui basamenti. Il modello, cui ispirarsi, sembra essere quello del Park San Giusto, dove sono stati tutti venduti i 420 posti (170 stalli e 250 box) non a rotazione. Indicativamente la cifra richiesta per un posto auto si è aggirata attorno ai 43mila euro, mentre per un box a 52 mila. Nei primi tre livelli della struttura inaugurata nell'ottobre 2015 trovano posto i box e i posti macchina destinati al mercato privato. Ai due livelli inferiori ci sono invece i 312 stalli a rotazione (8 riservati a persone con disabilità) per la sosta pubblica a pagamento. Il cambiamento dell'assetto azionario di Park San Giusto, con l'assunzione della maggioranza da parte del colosso belga Interparking, ha determinato alcune novità a livello tariffario, scattate dall'inizio del mese. Dopo che a marzo è già stata adottata la nuova tariffa oraria, passata da 1,50 a 1,60 euro, il costo dell'abbonamento mensile è salito da 150 a 160 euro diventando però nominale e con keycard. Ricordiamo che la formazione del Ppcs è formalmente ripartita con un cosiddetto "verde" di giunta, approvato dall'esecutivo Dipiazza lo scorso 27 aprile su proposta dell'assessore Polli. Tra gli indirizzi progettuali fondanti sono esplicitate «le strategie per l'incremento della dotazione dei parcheggi».

magr

 

 

Il peso dell'inquinamento nella vita dei bebè - Lo analizzerà l'ospedale infantile di Trieste grazie al sostegno garantito da ministero e Regione
TRIESTE - La giunta regionale del Friuli Venezia Giulia ha dato il via libera all'accordo con il quale l'Istituto materno infantile Burlo Garofolo di Trieste potrà realizzare, grazie a un contributo di quasi 450mila euro ricevuto da parte del ministero della Salute, un progetto che ha l'obiettivo di studiare le esposizioni ambientali nei primi mille giorni di vita, proponendo piani di intervento nei contesti di forte inquinamento. «La proposta dell'ospedale triestino - ha spiegato l'assessore regionale alla Salute, Maria Sandra Telesca -, è entrata nel novero di progetti ritenuti finanziabili dal Ccm, il Centro nazionale per la prevenzione del controllo delle malattie che è l'organismo di coordinamento tra il ministero della Salute e le Regioni per le attività di gestione delle emergenze sanitarie». Il Centro elabora ogni anno un programma di interventi e per l'anno 2017 ha identificato tre ambiti sui quali focalizzare l'attenzione: le patologie trasmissibili, le patologie non trasmissibili e le azioni di sistema. L'iter di valutazione dei progetti si è concluso a luglio, con il comitato scientifico che, dopo un'attenta valutazione, ha assegnato un voto finale a ciascuna delle 43 iniziative. Sono risultate finanziabili nove proposte e, tra queste, il quinto posto è stato conquistato dallo studio del Burlo Garofolo denominato "Coorti di nuovi nati, esposizioni ambientali e promozione della salute nei primi 1000 giorni di vita: integrazione dei dati di esposizione con dati molecolari ed epigenetici". Le linee di intervento del Ccm, che rappresentano una priorità del Governo, sono coerenti con le disposizioni del Piano nazionale della prevenzione e con i recenti Piani nazionali approvati e coordinati dal ministero della Salute-Direzione generale della Prevenzione sanitaria, sono rilevanti per la sanità pubblica e presentano elementi, procedure e azioni la cui evidenzia di efficacia fa prevedere un impatto misurabile. Della disponibilità economica per il 2017, pari a 7.509.242 euro, salvo accantonamenti, il 50 per cento è stato ripartito a favore delle linee progettuali e il restante 50 per cento è stato destinato alle cosiddette azioni centrali.

(lu.sa.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 27 agosto 2017

 

 

La maggioranza si spacca sulle aree off limits alle bici - Niet di Forza Italia: «Sbagliato vietare». E la Fiab raccoglie 700 firme in poche ore
Il vicesindaco dà man forte a Lippolis: «Il problema esiste. Bisogna intervenire»
I velocipedi dividono la maggioranza. La mozione del leghista Antonio Lippolis (che vorrebbe vietare le biciclette nelle aree pedonali in barba al Codice della strada) non è stata neppure discussa (è attesa per martedì 5 settembre alle 9 in VI Commissione) che ha già sollevato un polverone politico e una petizione preventiva online (oltre 700 firme raccolte in poche ore). Persino il proponente appare meno convinto dell'iniziale posizione proibizionista e vira su un atteggiamento volterriano. «Si è accesa una bella discussione sul problema dei ciclisti maleducati e strafottenti - dichiara Lippolis -. Un problema da risolvere tutti insieme, con il vicesindaco, con gli altri consiglieri e con le associazioni. Non c'è da parte mia la volontà di andare avanti con le mie posizioni a testa bassa. La libertà dei ciclisti finisce dove inizia la libertà dei pedoni». Il vicesindaco Pierpaolo Roberti, che con Lippolis condivide lo stesso credo leghista, però non si tira indietro e cita l'esempio di Muggia che ha vietato le bici: «La mozione del consigliere Lippolis che mira a vietare la circolazione delle biciclette nelle aree pedonali affronta un problema reale e sentito. Ora non so se lo fa nel modo corretto e se questa sia la soluzione, ma senz'altro qualcosa bisogna fare. Sempre più spesso arrivano segnalazioni di pedoni che hanno evitato d'un soffio l'investimento da parte di qualche incivile e anche il consigliere Piero Camber solo un mese fa aveva posto l'attenzione sulla pericolosità delle biciclette che transitano sul marciapiedi a Barcola». In realtà il citato Camber, capogruppo di Forza Italia, si schiera al fianco dei velocipedi: «Non c'è dubbio che vi siano persone che utilizzano la bicicletta in maniera a dir poco disinvolta, per non dire fastidiosa, all'interno delle aree pedonali. Ma non è pensabile che tutti debbano pagare per colpa di pochi fessi. Forza Italia vede quindi con estremo favore l'utilizzo dei velocipedi, soprattutto quando questi suppliscano ad automobili e motorini. Ed è compito di un saggio amministratore non vietare ma educare, anche sanzionando, ad un uso corretto». Il consigliere forzista Michele Babuder arriva persino a postare la foto di lui in sella alla bicicletta in piazza Unità dichiarando il suo totale disaccordo con la Lega firmando la petizione della Fiab Ulisse: «Scusate ma io non sono d'accordo. Sarebbe come chiudere le strade perché alcuni automobilisti non rispettano il codice della strada». La petizione di Fiab Ulisse che dichiara un "no" preventivo alla mozione mieti parecchi consensi anche tra i politici. «Le diffuse aree pedonali di Trieste sono, per il momento, gli unici spazi dove si può pedalare in sicurezza vista la quasi totale assenza di piste ciclabili - si legge nel testo della raccolta firme -. L'approvazione della mozione sarebbe un colpo durissimo alla ciclabilità e al suo sviluppo e avrebbe forti ricadute negative anche sul cicloturismo in questi anni in forte espansione». L'opposizione è compatta contro il provvedimento. «A Trieste in media viene investita una persona ogni due giorni. Credo che la quasi totalità degli investimenti siano causati da automobili e motoveicoli. Mai mi sognerei di vietare la circolazione di veicoli a motore per diminuire il numero degli incidenti e degli investimenti. Per la Lega Nord locale il pericolo maggiore sono invece i ciclisti nelle zone pedonali e quindi pensa bene non di sanzionare gli indisciplinati ma di vietare a tutti la circolazione», denuncia Paolo Menis del M5S. «Colpirne 100, 1000 per educarne 1 o 10: potrebbe essere questo lo slogan della mozione anti-bici presentata dal consigliere Lippolis - dichiara Fabiana Martini, capogruppo del Pd -. Anziché pensare a delle azioni di sensibilizzazione della cittadinanza relativamente a un modo rispettoso di stare sulla strada anche per chi sceglie le due ruote o dare indirizzo alla Polizia locale di prestare particolare attenzione ai ciclisti maleducati, la maggioranza di centro destra vorrebbe vietare a chi pedala l'accesso nelle zone pedonali, nonostante sia previsto dal Codice della Strada e nonostante le poche piste ciclabili presenti (alcune, come quella di via Giulia, stoppate dall'amministrazione Dipiazza). Questa iniziativa - conclude la dem - è l'ennesima dimostrazione della schizofrenia di questa giunta».«Da una parte si promuove l'uso delle bici, dall'altra si cerca di ostacolarle. La mano destra non sa quello che fa la sinistra», sottolinea il consigliere socialista Roberto de Gioia a proposito dell'amministrazione. Ma c'entra l'ideologia? «Crede che le auto siano di destra e le bici di sinistra? - si infervora Lippolis -. Non è un problema ideologico è solo un problema da risolvere».

Fabio Dorigo

 

Sondaggio sul web, in testa i contrari - oltre 800 voti
L'offensiva anti-bici non scalda solo gli animi dei politici, ma divide anche i triestini. Nel pomeriggio di ieri, sul sito del Piccolo, abbiamo lanciato un sondaggio per chiedere ai nostri lettori se fossero favorevoli o contrari allo stop delle bici nelle aree pedonali di Trieste. Il resto recita, testualmente: "Una mozione presentata dalla Lega Nord intende impegnare il sindaco a emettere un'ordinanza che vieti la circolazione dei velocipedi (bici, ma anche monopattini) nelle zone pedonali. Ok al transito solo se le due ruote sono accompagnate a mano. E la proposta (che verrà discussa il 5 settembre nella VI Commissione consiliare) ha fatto scattare la rivolta dei fan delle due ruote e del web. E voi siete favorevoli o contrari allo stop?"In poche ore, il sondaggio ha raggiunto quota 843 voti (alle 21.23). In netto vantaggio, al momento, i lettori contrari all'eventuale "bando" dei velocipedi dalle aree pedonali, opzione scelta da 506 lettori contro i 327 che invece si sono detti a favore. Non manca qualche indeciso: 10 persone ha infatti cliccato sull'opzione "Non so". Intanto prosegue anche il secondo sondaggio attivo sul nostro sito e dedicato a uno dei temi più "caldi" del momento, quello delle possibili soluzioni per proteggere i centri storici da eventuali attacchi terroristici. Soluzioni allo studio anche a Trieste, città che si prepara a vivere tra poche settimane l'evento clou dell'anno, la Barcolana. In questo caso, i lettori sono chiamati a votare online esprimendo la propria preferenza tra sei opzioni proposte: alberi come proposto da Stefano Boeri, fioriere con base in cemento, barriere fisse con paletti a scomparsa, blocchi fissi in cemento, transenne, new jersey cioè blocchi rimovibili in plastica o nessuna barriera. Nella serata di ieri, in testa alle preferenze dei 1430 triestini che avevano votato fino alle 21.23, figuravano ancora gli alberi, scelti da 582 lettori. Medaglia d'argento alle fioriere (votate da 405 lettori), mentre sul gradino più basso del podio si piazzavano le barriere fisse con paletti a scomparsa con 195 voti.

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 26 agosto 2017

 

 

L'offensiva padana antibici innesca la rivolta dei ciclisti - Bufera sulla proposta del leghista Lippolis di bandire le due ruote dalle zone pedonali
Fiab Ulisse: «Inaccettabile». Ma Polli sposa l'iniziativa: «Stop alla maleducazione»
Trieste non è una città per "velocipedi". Questo tipo di mezzi rischia di finire fuorilegge. Una mozione presentata dal consigliere della Lega Nord Antonio Lippolis, in arrivo per il 5 settembre all'esame della IV Commissione, vorrebbe impegnare il sindaco «ad emettere un'ordinanza che vieti la circolazione di velocipedi nelle zone pedonali e ne consenta il transito solo se accompagnati a mano». Non solo le biciclette quindi. Il codice della strada considera come velocipedi anche i risciò, le biciclette a quattro ruote (quelle in uso nelle località turistiche marine), i monopattini, i carri leggeri a tre ruote montati sul retrotreno di una bicicletta. «In pratica, se qualcuno mi accompagna tenendomi per mano, posso pedalare» interpreta malizioso l'ex assessore Paolo Rovis. In realtà la mozione di Lippolis ha cominciato a far discutere prima ancora di essere presa in considerazione. «Si propone di "vietare la circolazione delle bici nelle aree pedonali", come invece concesso dall'articolo 3 del Codice della strada, senza dare alcuna motivazione» attacca Federico Zadnich dell'Associazione Fiab Trieste Ulisse. Il Codice della strada, infatti, definisce l'area pedonale come «zona interdetta alla circolazione dei veicoli, salvo quelli in servizio di emergenza, i velocipedi e i veicoli al servizio di persone con limitate o impedite capacità motorie, nonché eventuali deroghe per i veicoli ad emissioni zero aventi ingombro e velocità tali da poter essere assimilati ai velocipedi». E quindi? «Le diffuse aree pedonali di Trieste sono, per il momento, gli unici spazi dove si può pedalare in sicurezza vista la quasi totale assenza di piste ciclabili - spiega Zadnich -. L'approvazione della mozione sarebbe un colpo durissimo alla ciclabilità e al suo sviluppo e avrebbe forti ricadute negative anche sul cicloturismo in questi anni in forte espansione. Come già scritto è il Codice della Strada a consentire la circolazione dei velocipedi nelle aree pedonali, prevedendo in situazioni di forte presenza di pedoni di scendere dalla bicicletta e quindi basta solo applicarlo». Tra l'altro, fa presente l'associazione di cicloturisti e ciclisti urbani, le linee programmatiche del sindaco Dipiazza prevedevano come obiettivo a medio termine «un 10% in più di mobilità ciclabile». Un provvedimento simile è stato adottato dalla giunta di Muggia che, dopo le numerose proteste, ha però ridimensionato il divieto, prevedendolo solo all'interno di tre calli del centro storico. Per il momento la giunta Dipiazza non accoglie in modo integrale l'iniziativa di Lippolis. «La mozione, più che porre un divieto, vuole essere uno stimolo per migliorare i comportamenti. Pone un problema reale. Ci sono ciclisti educati e ciclisti maleducati. Vedo spesso turisti che scendono dalla bici e la portano a mano e altri ciclisti che invece sfrecciano a 50 all'ora per piazza della Borsa e Cavana. Ormai è diventato un problema di sicurezza», spiega l'assessore Luisa Polli che milita nello stesso partito di Lippolis. L'idea è quella di provvedere, magari, con dei divieti nelle aree più affollate di persone. «Carlo Grilli come farai a girare in bicicletta in centro adesso che la Lega vuole vietare l'utilizzo nelle zone pedonali?», domanda provocatoriamente il capogruppo M5S all'assessore ai Servizi sociali, che si reca al lavoro in via Mazzini in bicicletta. Lippolis, intanto, abbozza e respinge l'etichetta di politico antibici. «Certe zone pedonali sono sempre più piene di turisti, di cittadini e di bambini e sempre più ciclisti sfrecciano a tutta velocità facendo slalom tra i pedoni - spiega il consigliere leghista -. Non sono mica contro le biciclette! La bici è un mezzo meraviglioso ma... la mia libertà finisce dove inizia la tua! Anche i pedoni vanno tutelati. Bisogna fare qualcosa». Cominciando a vietare i velocipedi nelle zone pedonali. E via pedalare

di Fabio Dorigo

 

 

I nostri politici si impegnino di più contro il rigassificatore - La lettera del giorno di Silvano Baldassi
Qualche giorno fa "Il Piccolo" ci ha informati che la Croazia ha deciso di situare il rigassificatore di Veglia in mare aperto, come quelli, in Italia, di Porto Viro, di Livorno e di Porto Recanati (per ora sospeso). Evidentemente anche la Croazia ritiene opportuno tutelare la sicurezza delle popolazioni, le attività economiche di terraferma e l'ambiente. Per quanto riguarda Trieste, lo stato italiano va invece controcorrente, in quanto pretende di imporci un rigassificatore a Zaule, sulla terraferma, al centro di un'area densamente popolata e, soprattutto, scavalcando e ignorando le norme di sicurezza e le precauzioni adottate, oltre che in Italia per gli impianti sopra menzionati, anche in tutto il reso del mondo. Ne è la prova che la pratica sta procedendo con l'approvazione dei vari ministeri competenti. É perciò impossibile contraddire coloro che vanno dicendo che lo stato italiano vuole condannare la nostra popolazione a vivere in perenne pericolo, che vuole bloccare definitivamente lo sviluppo del nostro porto e l'economia della città, e vuole pure inquinare il nostro mare. Quindi, se il progetto di Gas Natural non viene definitivamente, ed entro breve tempo, bocciato ufficialmente, svaniscono tutte le speranze di valorizzare il porto e i relativi punti franchi. Ritengo inoltre che i nostri amministratori e parlamentari, non debbano limitarsi a ricorrere al Tar e a dichiarare la loro contrarietà, menzionando solo i danni economici che ne deriverebbero all'attività portuale, ma debbano anche, con forza e soprattutto senza paura, denunciare apertamente che questa scelta (del governo) va contro Trieste, la sua economia, la sicurezza dei cittadini e la salute del nostro mare, e imputare a chi ha dato il benestare all'impianto di aver colpevolmente ignorato i rilievi fatti, da oltre vent'anni, da scienziati, professori, tecnici, esperti, sull'assoluta incompatibilità dell'impianto con le caratteristiche del sito e sulle tante incongruenze rilevate nel progetto stesso (come ben descritto nella delibera del Consiglio comunale di Trieste nel 2012).

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 25 agosto 2017

 

 

La Regione si accolla parte delle bonifiche nei terreni inquinati - Ok dalla Conferenza dei servizi al ministero dell'Ambiente
Prevista la "pulizia" di 75 ettari su 500 al Canale navigabile
Settantacinque ettari su un totale di 500: una sorta di grande "U" che segue il percorso delle tre sponde attorno al Canale navigabile. Con 23 aziende interessate. Così una parte del Sin (Sito di interesse nazionale) diverrà Sir. Dove l'enne di "nazionale" lascia il posto all'erre di "regionale". Il gioco di parole annuncia - o meglio conferma - un'importante novità nello stagnante paesaggio delle bonifiche triestine, in quanto il Governo ha accettato che la Regione Fvg possa prendersi direttamente in capo la gestione delle procedure in una rilevante porzione del Sito. Lo ha fatto ieri mattina nel quadro della Conferenza dei servizi convocata sull'argomento dal ministero dell'Ambiente, partecipata anche mediante la videoconferenza allestita nella sede della direzione regionale competente. Insomma, dopo oltre 14 anni dalla perimetrazione descritta da un decreto del ministero dell'Ambiente risalente al febbraio 2003, un nuovo decreto dello stesso dicastero provvederà a ridefinire i confini del Sito inquinato, stabilendo cosa sarà di competenza regionale e cosa resterà di attribuzione governativa. L'auspicio dell'assessore Sara Vito è che il provvedimento ministeriale venga approntato in autunno, in modo tale che la Regione riesca a subentrare entro la fine dell'anno. Già in giugno la Regione Fvg aveva preso l'iniziativa politica e amministrativa dell'operazione con una dichiarazione della stessa Vito, sollecitata anche dal fatto che la medesima Regione aveva avocato a sè i compiti anticamente svolti dal liquidando Ezit. Per sbloccare un imbarazzante impasse che comprime volontà e opportunità espansive delle imprese, rallentate da un incredibile groviglio di passaggi burocratici, la giunta regionale ha imboccato l'impegnativa strada di farsi "sportello", accorciando parzialmente - perchè non tutto il Sito è coinvolto - le distanze tra le aziende e Roma. Finchè una delibera giuntale, votata lo scorso 17 luglio su proposta della Vito, metteva en forme la volontà politica: Trieste chiedeva a Roma di sostituirsi al ministero dell'Ambiente nella gestione delle pratiche bonificatorie riguardanti una zona circoscritta del Sin, quella che avvolge il Canale navigabile, dove sono insediate alcune importanti realtà produttive triestine (Sim, Frigomar, Autamarocchi, Redaelli, alcuni terminal portuali tra cui quello che era gestito da Italcementi e che dovrebbe passare, Tar permettendo, a Wärtsilä). Anche l'ex Ezit è interessato perchè titolare di terreni per 25 mila metri quadrati, concentrati nel grande piazzale alla radice del Canale. Alla Conferenza dei servizi hanno partecipato, oltre ai due riferimenti istituzionali, Inail, Autorità portuale, Ezit, Arpa, Comune di Muggia, Soprintendenza. Presenti anche rappresentanti delle imprese coinvolte. L'esito della Conferenza ha evidentemente soddisfatto Sara Vito: «Non faremo sconti nell'istruire le pratiche, ma se non altro le aziende, che operano attorno al Canale, risparmieranno un passaggio. Per la Regione è una "prima" e valuteremo come organizzarci per affrontare questo impegno».

Massimo Greco

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 24 agosto 2017

 

 

L'amianto ora colpisce i figli degli operai - L'emergenza
MONFALCONE - Il "male da amianto" sta intaccando una nuova frontiera generazionale. I figli degli ex lavoratori esposti alla fibra minerale. Si apre un nuovo capitolo, tutto ancora da studiare e approfondire. Bambini, dunque, oggi cinquantenni e sessantenni, che con l'eternit non avevano mai avuto a che fare. Ma che, semplicemente, giocavano assieme ai loro papà. Segnali importanti, forse, danno la misura di come il subdolo e tragico fenomeno dell'amianto non conosca ancora "confini" e induca a confermare quanto lo stesso dottor Claudio Bianchi aveva temuto, prospettando che questa "maledetta" iperbole sia lontana dalla sua fase discendente, quantomeno oltre quel 2020 a cui si erano comunque affidate le speranze.Il "salto generazionale" è emerso per la prima volta quest'anno. Lo confermano le visite di controllo eseguite al Centro regionale unico dell'amianto aperto il primo giugno 2013 all'ospedale San Polo di Monfalcone. Quattro i casi rilevati. Si tratta di donne. Due alle quali è stato diagnosticato il mesotelioma, una di 58 anni, l'altra solo 48. A una 51enne e a una 61enne sono state invece riscontrate placche pleuriche.«È un dato significativo - ha spiegato il direttore del Crua, dottor Paolo Barbina - che apre un fronte finora insondato. Per la prima volta, infatti, quest'anno abbiamo constatato la presenza di due casi di mesotelioma e altri due di placche pleuriche in persone effettivamente giovani. Malattie non professionali, avendo riscontrato piuttosto esposizioni nell'ambiente familiare. Si va a indagare approfonditamente la storia del paziente, procedendo per esclusione. Sono indicatori preoccupanti, considerato che le malattie legate all'amianto si stanno estendendo ad una nuova generazione». Sempre quest'anno sono stati registrati altri 4 casi di mesotelioma, in donne che lavavano quotidianamente le tute di lavoro dei propri mariti. Quanto agli ex lavoratori esposti, nel primo semestre 2017 sono stati rilevati al Crua 91 nuovi casi. Di questi, 47 riguardano la presenza di placche pleuriche, un paziente affetto da asbestosi, 15 casi di mesoteliomi e 23 di carcinoma polmonare. Quindi 2 casi relativi al carcinoma alla laringe e 3 di carcinoma al colon retto. I casi invece di pazienti già visitati e soggetti ai controlli risultano complessivamente 90, di cui 80 relativi a placche pleuriche, 4 ad asbestosi, un mesotelioma, 2 tumori polmonari e 3 carcinomi alla laringe. Purtroppo i malati di tumore non tornano al controllo.Il primo approccio alla visita al Crua di pazienti ai quali è stata diagnosticata la sospetta presenza di placche pleuriche consegna frequentemente gli stessi scenari. Pazienti che davanti a Barbina esordiscono: «Dottore ho l'amianto». Si sentono ormai "segnati", destinati alla malattia mortale. Le placche pleuriche come anticamera del tumore, il mesotelioma di fatto, ritenuto dai pazienti un'automatica evoluzione della malattia. Anche per questo accade che la paura derivante dalla consapevolezza di essere affetti dalle placche pleuriche frena i pazienti, indotti a rinunciare alla visita presso il Centro. Ma Barbina è stato molto chiaro: «Le placche pleuriche non rappresentano una lesione precancerosa, pertanto non si trasformano in una forma tumorale. Possono essere adeguatamente trattate. Attualmente sono disponibili ottime strumentazioni e terapie per migliorare la condizione del paziente, in particolare in merito alle difficoltà di carattere respiratorio. Le persone non si devono spaventare, non è stato scientificamente dimostrato il rapporto tra le placche e il tumore che, comunque, qualora comparisse costituisce una patologia distinta e parallela». Per questo Barbina invita le persone a rivolgersi al Crua e a intraprendere il percorso previsto, affidandosi al Centro e agli esperti. Sotto il profilo dell'attività svolta, il Crua esegue il 75% dei controlli in Friuli Venezia Giulia. Segno che su tutto ha assunto il ruolo di "sentinella dell'amianto", un riferimento diventato funzionale. Il Crua mantiene inoltre i rapporti con specialisti medici aziendali per la gestione "multidisciplinare" dei pazienti che richiedono appropriati riferimenti sanitari ai fini delle cure. Il Centro rappresenta infine la "piattaforma" documentale, elaborando e assemblando sia la storia clinica dei pazienti, sia gli atti necessari ad accompagnare gli utenti lungo l'iter di riconoscimento delle malattie asbesto correlate, comprendendo anche gli aspetti assistenziali, previdenziali, fino alle procedure delle esenzioni dal ticket e alla refertazione della malattia.

Laura Borsani

 

Boom di richieste d'aiuto - Oltre cento in un anno
Il punto sanitario inaugurato nell'estate 2016 continua a ricevere nuovi utenti - Il responsabile: «Questo andamento sta a significare che il problema resta»
TRIESTE - Più di cento contatti in meno di un anno di attività. Questo il lusinghiero bilancio del lavoro fatto dallo Sportello informativo sull'amianto, inaugurato nell'estate del 2016 al primo piano dell'ospedale Maggiore. Voluto dall'Associazione europea rischi amianto (Eara) e realizzato in collaborazione con l'Azienda sanitaria universitaria integrata di Trieste (Asuits) e con il sindacato Ali-Confsal, l'obiettivo del punto informativo è proprio quello di «dare assistenza a quanti non conoscono pienamente le normative in materia e magari abbisognano di consigli e indirizzi - aveva spiegato nel corso della cerimonia di inaugurazione Paolo Tomatis, presidente dell'Eara di Trieste - e in questa direzione va e andrà sempre il nostro impegno, perché sono troppe le famiglie che, a causa dell'amianto, hanno visto la loro vita stravolta». «Ebbene, a distanza di una decina di mesi - ha precisato in sede di bilancio Renato Milazzi, uno dei responsabili dell'Info point del Maggiore - siamo molto soddisfatti del lavoro portato a termine. Il fatto che un centinaio di famiglie si siano rivolte al nostro sportello - ha aggiunto - sta a significare che il problema è purtroppo ancora molto vivo, che ci sono migliaia di persone, nel nostro territorio, che non hanno trovato risposte ai loro interrogativi e noi cerchiamo di colmare questa lacuna». In sede di bilancio sono intervenute anche l'avvocato Emanuela Rosanò, esperta in materia di risarcimenti per danni causati dall'esposizione all'amianto, e Silvia Malandrin, esponente della Gestione crediti pubblici, prima società in Italia nella gestione del recupero crediti contro la Pubblica amministrazione. «Vogliamo innanzitutto precisare - ha detto quest'ultima - che non chiediamo somme in anticipo e per fondo spese a chi si rivolge allo sportello e alla "Gcp"e che misuriamo il nostro compenso, stabilendo una percentuale che sarà dovuta solo in caso di effettivo recupero del credito. Inoltre - ha proseguito Malandrin - cerchiamo di diminuire il più possibile i tempi di recupero del credito». A Trieste il tema dell'amianto è molto sentito. Pochi giorni fa era stato il segretario provinciale della Cgil, Michele Piga, a chiedere la riapertura dei termini per la presentazione delle domande, inizialmente fissato per il 16 settembre, per poter beneficiare delle agevolazioni contributive previste per coloro che sono stati esposti all'amianto nell'ambito della loro attività lavorativa. Trieste, com'è noto, presenta purtroppo un tasso di mortalità più elevato rispetto alla grande maggioranza dei Comuni italiani. Per questo motivo, la Cgil ha chiesto di aprire una finestra temporale, per favorire quei lavoratori esposti per almeno dieci anni che, in base alla legge, possono chiedere altri cinque anni di riconoscimento contributivo. I numeri sono chiari: dal 2010 al 2016 a Trieste si sono ammalate 686 persone, in un contesto di crescita di patologie. Fra gli obiettivi dello Sportello del Maggiore, c'è anche l'organizzazione di corsi per le giovani generazioni, per far loro conoscere il rischio amianto. «Il problema dell'amianto è molto grave soprattutto in Slovenia e in Croazia - è stato ribadito nel corso dell'incontro al Maggiore - dove le opere di bonifica non sono sempre eseguite alla perfezione». Milazzi ha ricordato che «l'apertura dello sportello deriva dalla richiesta di tante persone che non hanno un punto di riferimento. Intendiamo dare assistenza per l'iscrizione al registro esposti amianto - ha proseguito - per quanto concerne le norme di legge in materia e per le visite mediche. Il problema dell'amianto - ha continuato - i medici di base non lo possono risolvere da soli. Qui inoltre possiamo avvalerci anche della collaborazione dei colleghi di Monfalcone. Abbiamo anche partecipato - ha evidenziato Milazzi - alla stesura di "Abclean", manuale utile per difendersi dall'amianto». Rosanò ha reso noto che «l'aspetto giuridico del risarcimento danni per esposizione amianto è piuttosto complesso, per questo ci proponiamo per affiancare le famiglie delle persone che hanno subito danni, per guidarle cioè nella maniera corretta, in modo che possano avere ciò che è loro diritto ricevere». Lo sportello del Maggiore è aperto dalle 9 alle 12 nei primi due martedì di ogni mese (tel. 040. 3992262 o 040 2602203)

Ugo Salvini

 

 

Grado, la sabbia avanza e crea lagune - Le correnti spingono il grande banco in direzione della spiaggia principale. Si sta formando anche un piccolo specchio d'acqua
GRADO - Perché non consolidarla e trasformarla in una piccola oasi offrendo uno scenario diverso e unico ai frequentatori del litorale di Grado? Parliamo dello specchio di mare, per ora abbastanza limitato, a ridosso della spiaggia, che di fatto s'è trasformato in una sorta di piccola laguna (qualcuno l'ha già battezzata proprio così, "Piccola Laguna") formatasi tra il tratto libero della spiaggia nelle vicinanze della zona del bosco, davanti a quella che avrebbe dovuto o dovrebbe diventare la Grado3. In un primo tempo qualcuno aveva ipotizzato la realizzazione di piscine in mare, indubbiamente poteva anche andar bene, ma modificare ora ciò che si è formato e che è già frequentato da diversi volatili, a molti pare impensabile. Si tratta di un'area che s'è formata a seguito dello spostamento del banco sabbioso della Mula di Muggia il quale dall'area originale si sta muovendo in direzione della spiaggia principale. Ma si tratta anche anche del contestuale spostamento del cosiddetto "baroso", cioè di quell'area pressoché di impronta lagunare che si estendeva dalla foce del Primero fino al limite con Punta Barbacale. Certo è che i turisti si fermano oggi a guardare con ammirazione quanto da un anno all'altro si è venuto a creare e come si sta estendendo con la vegetazione sempre più folta e alta. I più affascinati sono i bambini, rapiti dagli uccelli, gabbiani, garzette, aironi che si fermano in quella zona. Vista dal mare è indubbiamente ancor più suggestiva.Il fenomeno di questi spostamenti è stato studiato in tutti i dettagli già 30 anni fa dal professor Antonio Brambati. Tuttavia, tranne per quanto è stato fatto davanti alla spiaggia di Pineta, lo studioso è stato forse preso un po' sottogamba. Anche perché gli interventi proposti sarebbero costati parecchio. È tuttavia una questione di indubbia rilevanza, tanto che anche la Protezione civile ne sta seguendo l'evoluzione. Tutto era iniziato per caso nel 2008, subito dopo il devastante tornado quando la Protezione civile eseguì un sorvolo con l'elicottero per verificare la situazione. Giuliano Felluga allora ebbe l'idea di effettuare un monitoraggio all'anno per verificare gli spostamenti, cosa che avviene normalmente durante il mese di settembre. Ad ogni modo ora pare proprio che non ci sia più tempo, che non si possa più aspettare. «È un fenomeno che noi abbiamo evidenziato già da tempo - afferma il presidente della Git, Alessandro Lovato -; oggi non ci tocca ma interessa altre componenti economiche di Grado e non possiamo essere sordi al richiamo di altri colleghi». La Git, dice Lovato, ha evidenziato la problematica al Comune e alla Regione. Sono pure stati fatti alcuni incontri, ma per il momento non è stato deciso nulla. «Se non viene eseguito qualche intervento - aggiunte Lovato - nei prossimi anni il problema toccherà anche noi; fino a qualche anno fa c'era il timore che si verificasse, ma si faceva riferimento sempre a decenni; ora invece è questione di anni». Per la Git non è, dunque, un tema sconosciuto tanto che stanno monitorando il fenomeno continuamente, anche con l'utilizzo del drone. È un problema davvero di grande respiro che, però, è soggetto a scuole di pensiero anche diverse. C'è la teoria del professor Brambati e di altri esperti i quali sono dell'idea di aggredire il fenomeno, mentre ci sono coloro che sostengono come che la natura debba andare avanti con il suo corso proponendo di studiare invece come si possono rendere fruibili gli spazi che si stanno formando.

Antonio Boemo

 

Spostamento a Ovest anche di 15 metri l'anno - il professor Ruggero Marocco
Lo spostamento della Mula di Muggia verso ovest è anche di 10-15 metri all'anno, specialmente la parte verso il mare, mentre i dossi di sabbia si spostano ancora più velocemente e arrivano direttamente in spiaggia. Lo precisa Ruggero Marocco, già professore di geologia dell'Università di Trieste ed ex vice presidente della Git, che continua a studiare il fenomeno trattato quando era docente all'ateneo triestino. «È un problema molto serio - dice Marocco - e va assolutamente affrontato. È una questione che vede coinvolti tutti, dal Ministero, alla Regione, al Comune...». Una questione davvero seria che Ruggero Marocco ha avuto modo di spiegare anche in tivù, a Linea Blu. Su cosa sia necessario fare, Marocco parte innanzitutto col dire che è necessario tornare a monitorare scientificamente il fenomeno perché i dati di allora potrebbero, anzi sicuramente lo sono, essere diversi. Oggi, rispetto ad allora, l'intervento si complica (anche sotto l'aspetto economico): «Se va avanti così il processo di spostamento, magari nei secoli, Grado sarà sormontata dalla Mula di Muggia». Altre soluzioni rispetto a quanto proposto tanti anni fa al momento non ci sono, se non quella per i bagnanti dei campeggi con la proposta di creare delle passerelle fino alla Mula di Muggia dove la sabbia è bellissima, creando magari anche delle piscine di fronte alle stesse strutture. Parliamo infine della "Piccola Laguna" o meglio del "baroso" che si è creato e pare si stia espandendo ancora. «Si potrebbe anche modificare questa area ma con interventi paurosi in termine di onerosità. Penso invece che lasciarla com'è sarebbe la cosa migliore: è un ambiente naturale perché trasformarlo? Meglio sfruttarlo per la bellezza che rappresenta».

(an.bo.)

 

Un fenomeno previsto già 30 anni fa - Lo studioso antonio Brambati

Lo "Studio sedimentologico e marittimo-costiero dei litorali del Friuli-Venezia Giulia" redatto una trentina di anni fa (è stato presentato ufficialmente nel giugno del 1987) dal professor Antonio Brambati per conto del servizio idraulica, direzione regionale Lavori pubblici della Regione, è indubbiamente lo studio più approfondito e completo che sia stato eseguito. Si tratta, però, come detto, di tanto tempo fa. Lo studio partiva dal Tagliamento per arrivare fino a Duino-Aurisina, compresi quindi i Lidi di Staranzano e Marina Julia. «Lo studio - dice Brambati - già allora prevedeva ciò che è successo e sta accadendo con l'insabbiamento di tutta la zona con una vera e propria emigrazione verso ovest». La conseguenza è stata anche lo spostamento del "baroso" che stazionava dalla foce del Primero fino al limite di Punta Barbacale a Pineta e, come s'è visto, si è già "trasferito" verso Grado ma, precisa Brambati, potrebbe proseguire ancora. Sul futuro, o meglio su quelle che potrebbero essere le soluzioni per il futuro, l'esperto dice innanzitutto che è necessario capire cosa si vuol fare delle spiagge. Comunque è un fenomeno che va indubbiamente anticipato prima che si accentui maggiormente. «Dobbiamo anticipare ciò che la natura sta già facendo - afferma infatti Brambati - e per quel che concerne le spiagge dobbiamo pensare a uno spostamento della linea di riva verso il mare». Nello studio di Brambati la soluzione per la spiaggia principale, oggi gestita dalla Git, ipotizzava la creazione di una nuova spiaggia ancorata alla Mula di Muggia, un arenile che avrebbe avuto un'ampiezza indicativa attorno ai 110 metri con una superficie di circa 26 ettari. In sintesi un raddoppio dell'attuale (quello di 30 anni fa e oggi ancor più ridotto) arenile.

(an.bo.)

 

Nuovi e futuri scenari - Gazzette, aironi e gabbiani hanno già trovato il loro habitat

GRADO - Garzette, aironi e gli immancabili gabbiani hanno già trovato un consono habitat, almeno per delle soste provvisorie, nella "Piccola Laguna". Ce ne sono anche altri, pur con meno frequenza si son visti in quell'area che sta diventando di particolare interesse, con i bagnanti a fermarsi per scattare fotografie. Passata la stagione turistica è probabile, data la vicinanza dell'oasi della Valle Cavanata e anche della laguna, che in questo "baroso" in costante espansione giungano altri uccelli. Potrebbero arrivare anche dei cigni che ormai sono decisamente molto numerosi e si trovano un po' dovunque in laguna, ma l'attuale profondità dei piccoli spazi d'acqua appare una grande limitazione. Se poi approdassero i fenicotteri rosa in spiaggia, quest'area assumerebbe un valore promozionale importante, da coltivare e incentivare. Magari, come hanno suggerito gli esperti riferendosi ad alcune valli da pesca della laguna, portando saltuariamente da mangiare per questi uccelli. Certo, c'è da vedere come si espanderà l'area e che sviluppi di vegetazione avrà questa nuova zona lagunare. Come pure l'evoluzione che ci sarà quanto alle maree.«Naturalmente - dice Fabio Perco, direttore della Stazione biologica dell'isola della Cona - sono per mantenere quest'area naturale e penso che i turisti ne possano godere. Poter osservare gli uccelli così da vicino non accade spesso». Sulla possibilità circa l'arrivo nell'area anche altri uccelli, Perco osserva che è molto probabile la presenza di limicoli, cioè di piccoli trampolieri. Non crede, almeno al momento, nella presenza di quelli di grandi dimensioni ma nemmeno lo esclude, dipende ovviamente da che sviluppi avrà l'area. «Tra i limicoli - aggiunge l'esperto - penso al chiurlo e soprattutto ai piovanelli che sono molto numerosi».

(an.bo.)

 

 

Ok all'accordo fra Regione e Università per la mappatura delle sorgenti in Carso
La giunta regionale, su proposta dell'assessore all'Ambiente, Sara Vito, ha approvato l'accordo attuativo con l'Università di Trieste per l'individuazione e la perimetrazione delle aree carsiche e delle relative zone di infiltrazione delle sorgenti d'acqua. Il documento, per la cui attuazione sono stati stanziati 32mila euro, «prevede - ha evidenziato Vito - che i ricercatori del dipartimento di Matematica e Geoscienze dell'ateneo giuliano, i quali sono già impegnati in questo tipo di attività e quindi dispongono delle tecnologie adatte, elaborino una metodologia per individuare e perimetrare le aree carsiche attraverso raccolta, sintesi ed omogeneizzazione di dati preesistenti ma anche attraverso nuove rilevazioni». Sarà quindi tracciata una mappatura dettagliata dei siti carsici con dati di tipo geologico, geomorfologico, idrogeologico, ambientale e paesaggistico che consentirà anche la caratterizzazione delle sorgenti e la definizione del loro grado di vulnerabilità.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 23 agosto 2017

 

 

Guerra del rumore fra Comune e Arvedi - Il Municipio chiede a ministero e Ispra verifiche sui rilievi acustici firmati dalla proprietà della Ferriera
Il Comune contesta il documento sull'impatto acustico della Ferriera, prodotto dalla proprietà attraverso appositi rilievi fonometrici. E per ottenere valutazioni più approfondite sul documento stesso coinvolge il ministero dell'Ambiente e l'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). Il sindaco Dipiazza ha infatti inviato una lettera ai due enti, chiedendo di fare "le opportune valutazioni su elementi anomali e sommari relativi al documento presentato, che fa riferimento all'Aia centrale termoelettrica dell'Acciaieria Arvedi". «Abbiamo evidenziato - spiega Dipiazza - l'assenza di una verifica dei livelli acustici differenziali generati dalla centrale. Ciò non consente ai valutatori di comprendere i reali valori acustici emessi dall'impianto e quindi di verificare la conformità o meno ai limiti previsti dalla normativa». Il sindaco precisa poi di aver messo in evidenza che «i rilievi sono stati eseguiti a livello del piano stradale invece che presso gli appartamenti e a quote determinate, che l'amministrazione aveva evidenziato nella conferenza dei servizi», tenuto conto delle schermature e riflessioni che si generano in determinati punti. Dipiazza osserva inoltre che la giustificazione addotta - "non è stato possibile accedere all'interno dei predetti stabili" non è plausibile e rileva che «la corretta verifica è fondamentale perché i rilievi eseguiti a quota strada non possono essere rappresentativi dei reali valori acustici nelle abitazioni». Nella sua lettera il sindaco fa poi notare al ministero e all'Ispra che «i valori acustici notturni rilevati in tutti i punti sono superiori ai limiti zonali e quindi fuori norma» e sottolinea che «il professionista della proprietà dello stabilimento non fornisce elementi giustificativi proprio perché non sono stati eseguiti i rilievi acustici differenziali. Il professionista, inoltre, dichiara che "il superamento dei limiti assoluti è imputabile esclusivamente al traffico veicolare nei pressi delle stazioni di misura"».«È paradossale - conclude Dipiazza - come non si tenga conto della sorgente emissiva predominante che è lo stabilimento, e non certamente il traffico veicolare, soprattutto nelle ore notturne». Pronta la replica della proprietà, attraverso il suo portavoce, il quale spiega che, come già anticipato nel documento inviato al ministero, la misurazione differenziale del rumore non è stata possibile in quanto avrebbe richiesto la fermata di tutti gli impianti. La misurazione verrà comunque effettuata a fine settembre, quando sarà fermata l'area a caldo per alcuni interventi di manutenzione straordinaria. Quanto alla richiesta di effettuare le misurazione ai piani alti degli edifici, l'azienda precisa poi di non avere i permessi per accedere alle abitazioni private. E aggiunge che le prescrizioni del ministero per i rilievi fonometrici non obbligano a farli ai piani alti, ma li ritengono solo preferibili.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 22 agosto 2017

 

 

Allarme all'Aquario per la moria di pesci -
Una trentina di esemplari morti in agosto. Troppo calda l'acqua presa in mare che viene riversata nelle vasche. Il Comune: subito interventi da 300mila euro
Un'incredibile moria di pesci si è verificata all'Aquario marino di Trieste in questo torrido agosto. Almeno una trentina degli esemplari più anziani (tra orate, branzini, saraghi e spigole) non è sopravvissuta al brodo marino in cui si è trasformata l'acqua (che ha raggiunto anche i 32 gradi) pescata nel Bacino di San Giusto nella prime due settimane di agosto. Una situazione anomala che ha creato problemi anche alle specie tropicali. Un'emergenza che non si è risolta neppure dopo l'abbassamento della temperatura regalato dalla Bora del fine settimana. «Sono morti anche alcuni pesci appena reinseriti. Stiamo tentando di refrigerare manualmente alcune vasche. Ma non è facile», spiegano gli addetti. È lo stesso problema che ha costretto il vicino Eataly a inizio mese a svuotare i frigoriferi visto che l'impianto di raffreddamento usa l'acqua di mare. La verità è che l'Aquario Marino è da rifare da cima a fondo. Realizzato nel 1933 all'interno dell'ex Pescheria centrale, preleva l'acqua dal mare alla base del molo Pescheria (circa 60 metri cubi al giorno). L'acqua di mare, mediante un sistema di pompaggio, viene spinta nella torre dell'orologio a circa 10 metri di altezza in una grande vasca di decantazione. Da qui, per caduta, l'acqua viene erogata alle 25 vasche dell'acquario. Un tempo veniva anche utilizzata per mantenere il pesce fresco sui banchi in pietra della Pescheria. D'inverno, invece, viene opportunamente scaldata per le vasche dell'acquario.«Il Bacino di San Giusto da cui noi peschiamo l'acqua è diventato una brodaglia praticamente. Colpa anche dei cambiamenti climatici. La presenza di molte barche ha poi peggiorato la qualità dell'acqua. Bisogna assolutamente pescare l'acqua fuori dal Bacino di San Giusto che è diventato una specie di palude calda», spiega Nicola Bressi, curatore dei civici musei scientifici di Trieste. E l'acqua più è calda meno contiene ossigeno e più sviluppa batteri risultando letale per i pesci. Così, dopo la strage di questo agosto, si è deciso di correre ai ripari. «Abbiamo messo a disposizione 300mila euro per un primo lotto di lavori: per pescare l'acqua più al largo e per rifare completamente alcune vasche (a partire da quella inutilizzata dei pinguini, ndr). Poi il prossimo anno troveremo altrettanti soldi. Il nostro Aquario è unico: fa un sacco di visitatori, ma ha una struttura alquanto vetusta. È venuto il momento di metterci mano - assicura l'assessore alla Cultura Giorgio Rossi -. È l'ultimo degli acquari storici sopravvissuto e va ripristinato. In un paio d'anni lo mettiamo a posto». Va anche detto, a beneficio degli animalisti, che l'Aquario di Trieste compra i pesci direttamente dai pescatori. «Li paghiamo il doppio del prezzo di mercato e così li salviamo da una morte sicura», aggiunge Bressi. Se poi muoiono nell'Aquario per il gran caldo dell'acqua marina, si tratta pur sempre di morte naturale. «Il nostro è l'unico acquario totalmente pubblico rimasto in Italia. I pochi acquari pubblici sono tutti dati in gestione ai privati - aggiunge Bressi -. Ed è il più antico in Italia e forse in Europa rimasto identico a come è stato fatto nel 1933. Uno dei pochi che utilizza l'acqua marina. È una specie di piccola fetta di mare interna. Da un certo punto di vista è perfettamente compatibile con il Parco del Mare alla Lanterna». L'ultimo e unico intervento all'Aquario risale al 1993 quando vennero sistemate le piastrelle e rafforzate le vasche. I segni del tempo ci sono tutti. Ieri mattina diverse vasche risultavano vuote e con la scritta "in manutenzione". Chiuse per lutto. Assenti la sarpa salpa e l'occhiata. Dal 27 ottobre scorso il biglietto di ingresso è stato abbassato a 3 euro (1 euro il ridotto) «a causa dei lavori di pulizia e riallestimento di alcune vasche al piano dei pesci» (nessun problema, invece, al rettilario del primo piano). Su Tripadvisor non mancano le critiche pesanti. «Assurdo pagare per vedere poco più di una pescheria». «Troppo piccolo». «Pessimo. Più serpenti che pesci». Resta il fatto che pur bistrattato l'Aquario Marino resta il sito museale che fa più visitatori a Trieste ed è in continua crescita (più 37% nel primo quadrimestre di quest'anno). Nel 2014 ha totalizzato 53.176 visitatori, migliore performance del decennio 2005-20014. Ieri mattina c'era una trentina di persone. La dimostrazione che l'Aquario di Trieste (con la "q") non passa mai di moda

Fabio Dorigo

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 21 agosto 2017

 

 

La minacciosa invasione delle "Noci di mare" - Simili a piccole meduse non sono urticanti ma possono spaventare i bagnanti
È allarme in Istria perché rappresentano un pericolo per l'ecosistema
POLA - Potrebbero sembrare delle piccole meduse ma non lo sono, non sono urticanti quindi nessuna insidia per i bagnanti, ma rappresentano una vera minaccia per l'ecosistema del Mare Adriatico e per la pesca. Stiamo parlando dei Ctenofori, noti comunemente come Noci di mare, una specie che popola che le nostre acque dall'anno scorso quando avevano impensierito non poco i bagnanti. Si chiamano anche Colloblasti poichè su di essi si appiccicano tutti gli organismi di cui si nutrono. La Voce del Popolo ha sentito su quella che rischia di trasformarsi in una vera emergenza Paolo Paliaga, ricercatore presso il Centro oceanografico Rudjer Boskovic di Rovigno: i ctenofori sono una specie molto invasiva che non si nota in superfice ma vive di preferenza in profondità dove si rifugiano quando il mare è molto agitato: «Temono molto il maltempo -chiarisce Paliaga- perchè non hanno molto sviluppata la capacità di muoversi non solo in senso orizzontale ma anche verticale, per calarsi in profondità».La specie arrivata nell'Adriatico settentrionale si chiama Mnemiopsis leidyi, inclusa nell'elenco delle cento specie invasive più dannose al mondo: «Sono una specie in grado di danneggiare l'ecosistema del mare -spiega Paolo Paliaga- perchè si nutrono di organismi molto piccoli, mangiano anche larve e uova di piccoli pesci. In 24 ore divorano tutte le sostanze nutrienti contenute in 100 litri d'acqua e consumano da una a quattro volte il proprio peso corporeo nell'arco di una giornata. A lungo andare il mare potrebbe trasformarsi in una specie di gelatina e per tutta una serie di effetti si moltiplicherebbero anche le mucillagini». Come combattere le noci di mare? Paolo Paliaga propone il trattamento delle acque di zavorra prima di venir scaricate in mare e questo secondo lui, è il primo passo che le istituzioni e i governi dovrebbero intraprendere poichè in quest'area operano tre grandi porti: Fiume, Capodistria e Trieste. «Un altro intervento -spiega Paliaga- sarebbe l'introduzione nelle nostre acque di una nuova specie la Beroe ovata che si nutre appunto di Ctenofori». Lo studioso sollecita la collaborazione con gli scienziati della Russia e dell'Ucraina che hanno già grande esperienza in questo tipo di lotta. Il Centro rovignese comunque continuerà a monitorare fino alla fine dell'autunno per acquisire maggiori conoscenze sull'entità del fenomeno. Al momento la presenza delle Noci di mare è di un esemplare su ogni 10 metri cubi d'acqua.

p.r.

 

 

 

 

COMUNICATO STAMPA - DOMENICA, 20 agosto 2017

 

 

Legambiente: con ARPA piena sintonia. Se non c’è alcun problema, perché allora l’intervento sulla Roggia San Giusto?
Non sappiamo più in quale lingua parlare, è esasperante questa polemica di metà agosto su presunte difformità di approccio al monitoraggio delle acque costiere tra Legambiente ed ARPA, tant’è che la collaborazione ed il reciproco riconoscimento di attendibilità tra i due organismi è collaudato e confermato.
Come sa benissimo chiunque conosce un minimo il problema e non è in malafede, è del tutto possibile che i dati di prelievi effettuati a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro risultino anche molto diversi (come nei fatti è accaduto ).
Questo dipende da vari fattori: piovosità, stagionalità, gioco delle correnti…
Altrimenti, perché, come ricorda oggi sul Piccolo, l’attuale Presidente di Irisacqua, tanto affannarsi per completare l’allacciamento alla rete fognaria degli scarichi che sversano direttamente nella Roggia S. Giusto e quindi nel Golfo di Panzano? Perché spendere ben cinque milioni di euro per un intervento così oneroso e complesso, se questo è ritenuto ininfluente per avere la garanzia che, non solo Goletta Verde, ma prima o poi magari anche Arpa, in uno dei suoi periodici monitoraggi, non trovino dei dati fuori norma?
Goletta Verde, come ripetuto in mille occasioni, non dà patenti di balneazione e non intende sostituirsi ad ARPA. Da trent’anni però, continua a segnalare situazioni puntuali di criticità che hanno contribuito in modo determinante a sollevare il problema della depurazione delle acque in Italia ed a fungere da stimolo alle amministrazioni per affrontarlo concretamente.
La segnalazione di un’analisi fuori norma a luglio, riscontrata da Goletta verde, dovrebbe essere presa proprio in tal senso, senza isterie e senza sottovalutazioni, con il comune obiettivo di risolvere definitivamente il problema. Se poi si preferisce alimentare sterili polemiche…
Legambiente - circolo “Ignazio Zanutto” Monfalcone
 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 20 agosto 2017

 

 

Svolta "veneta" per l'ex Maddalena - Lavori verso la ripresa a settembre - Immobili»il cantiere nel limbo
L'immobilismo in cui da anni è sprofondato il cantiere dell'ex Maddalena sembra avere le settimane contate. Un noto imprenditore veneto, conosciuto a Trieste per aver già promosso con successo alcune operazioni di carattere immobiliare, sembra intenzionato a intervenire al posto degli attuali soci per portare finalmente a termine l'intervento. Un cartello apposto di recente sul cancello principale che consente l'accesso all'area, con su scritto "Non parcheggiare dal 12 giugno per smontaggio ponteggi", aveva ridestato l'attenzione dei residenti, a lungo indispettiti per il degrado in cui da troppo tempo versa l'intera zona. Dopo l'improvvisa uscita di scena del gruppo francese Carrefour, nell'agosto del 2013, anche i soci di Generalgiulia 2, che nel 2006 avevano acquistato il comprensorio dall'Azienda sanitaria, sono entrati in crisi, bloccando di fatto l'intera operazione. «Quel cantiere non è più di competenza nostra - spiega Donato Riccesi, uno dei quattro soci di Generalgiulia 2 -. Da due anni c'è un liquidatore ed esiste una trattativa in stato avanzato con un acquirente». L'ingegner Alberto Modugno, nei panni del liquidatore, non smentisce, anzi, è pronto a rilanciare, anche se con toni prudenti: «Siamo vicini a una svolta - conferma -. La situazione è però molto articolata. Ci sono molti soggetti coinvolti e non vorrei che sorgessero delle difficoltà, anche perché di mezzo c'è il Tribunale». È lo stesso Modugno, poi, a gettare un po' di luce sulla vicenda attraverso una nota nella quale specifica che «l'avvocato Enrico Bran, che assiste Generalgiulia 2, sta definendo con i consulenti dell'imprenditore (il potenziale acquirente, ndr) i termini di un'operazione che la società confida di portare a buon fine nel mese di settembre, presentando al Tribunale di Trieste un piano di salvataggio che contemplerà la prosecuzione dell'intervento immobiliare grazie alla finanza portata dal nuovo imprenditore». Altre informazioni non trapelano. Nomi non se ne fanno. C'è da sperare che si tratti della tipica riservatezza che precede la conclusione di un grande affare, anche perché le persone che abitano o lavorano nelle vicinanze del cantiere iniziano a dare segnali di insofferenza. Le recinzioni, infatti, non riescono a fermare i ratti che quotidianamente percorrono via dell'Istria e che, evidentemente, nel cantiere trovano un riparo sicuro. «Non si tratta di decoro - spiega un'anziana signora che chiede di rimanere nell'anonimato -, ma di semplici norme di igiene». L'avvio del cantiere doveva rappresentare il primo passo verso la riqualificazione di un'area che, come denunciano i residenti, appare più periferica di quanto non lo sia realmente. L'assenza di servizi, il trasferimento dell'ospedale Burlo Garofolo all'orizzonte, il continuo viavai di richiedenti asilo: sono questi i punti principali sui quali convergono le lamentele di chi abita e frequenta questa zona. A questi aspetti si è aggiunta negli ultimi anni la grana dell'ex Maddalena, che dai più viene ormai interpretata come una promessa non mantenuta. Alcune falle nel cantiere, al di fuori di ogni metafora, sono state riparate. La recinzione che delimita l'area, a differenza del passato, appare oggi in buono stato e non consente un facile accesso. Le gru erano già state rimosse all'inizio dell'anno, dopo che una giornata particolarmente ventosa aveva costretto i Vigili del fuoco a chiudere precauzionalmente un tratto di via dell'Istria e a evacuare le sedi dell'Enaip, del Ciofs e dell'asilo delle suore dell'Oma. Il lago di acqua che fino a qualche mese fa aveva trasformato il fondo del cantiere in una piscina a cielo aperto, tanto da far concorrenza agli altri poli natatori cittadini, è scomparso, dopo che è stato riattivato il corretto funzionamento dei sistemi di deflusso dell'acqua. Il silenzio nel quale è ripiombato il cantiere, però, potrebbe venire squarciato nuovamente dai camion e dalle ruspe, nel giro di poco tempo, grazie a un imprenditore veneto che sembra intenzionato a far rivivere il comprensorio dell'ex Maddalena.

Luca Saviano

 

 

 

 

LA VOCE DEL POPOLO - SABATO, 19 agosto 2017

 

 

Noci di mare: una minaccia per l’Adriatico settentrionale
ROVIGNO - In questi giorni sono sempre più numerosi i turisti che manifestano il proprio scontento per la presenza nel mare, in prossimità delle spiagge, di piccoli animali trasparenti che spesso vengono erroneamente scambiati per meduse. Si tratta invece di Ctenofori, noti comunemente anche come Noci di mare, una specie che popola le nostre acque dall’anno scorso, quando avevano creato altrettanto turbamento tra i bagnanti nei mesi estivi.
Nessun pericolo per l’uomo
Il loro nome equivale a “portatori di pettini”, una definizione dovuta alle ciglia che utilizzano per il movimento e che assomigliano a 8 file di pettini. Non rappresentano un pericolo per l’uomo, perché a differenza delle meduse non hanno cellule urticanti, bensì adesive. “Si chiamano colloblasti e su di essi si appiccicano tutti gli organismi di cui si nutrono, utilizzando i due lobi posizionati vicino alla bocca, con i quali essi attirano l’acqua”, precisa Paolo Paliaga, ricercatore del Centro di ricerche marine di Rovigno dell’Istituto “Ruđer Bošković”, che sin dalla loro comparsa, l’anno scorso, studia e osserva il comportamento e la diffusione nell’Adriatico settentrionale, di questa specie altamente invasiva.
Impressionante capacità rigenerativa
“Tali ciglia, favoriscono inoltre un movimento sia orizzontale che verticale, cosa che li rende gli unici animali in natura con questo tipo di locomozione”, ci spiega Paliaga. In questo modo, per proteggersi dalla forza dalle onde, che li potrebbe distruggere, si spostano in profondità. Quindi, anche se non sono sempre visibili in superficie, sono eccome presenti in profondità, dove se ne possono incontrare a centinaia. “Sono esseri molto fragili che verrebbero distrutti dal maltempo, ma è appunto grazie a questa loro capacità di spostarsi verticalmente in profondità e proteggersi dalle onde che riescono a salvarsi e sopravvivere. Inoltre, hanno una grandissima capacità rigenerativa”.
Grave pericolo per l’ecosistema
La specie avvistata sulle nostre coste è la Mnemiopsis leidyi, inserita nell’elenco delle cento specie invasive, più dannose al mondo. Negli anni Ottanta la sua presenza era stata notata nel Mar Nero e quello è stato il primo caso in cui la Mnemiopsis leidyi aveva causato gravi danni, rendendo molto fragile l’ecosistema del mare, dove aveva continuato la sua crescita, a scapito degli zooplancton di cui si nutre. “Si tratta di organismi molto piccoli di cui si nutrono anche i pesci. Mangiano anche larve e uova di piccoli pesci. In 24 ore riescono a divorare tutti i nutrienti presenti in 100 litri d’acqua e consumano da una a quattro volte il proprio peso corporeo in un giorno”, avverte Paliaga.
Dopo il Mar Nero, ci sono stati altri due casi a oggi, dove l’ecosistema di un mare è stato reso estremamente fragile da questi organismi: il Mar d’Azov e il Mar Caspio, che hanno subito un grave deterioramento ambientale, dovuto al calo della diversità delle specie ittiche. Due casi meno gravi sono stati invece registrati nel Mar Egeo e nel Mar Baltico. “Il primo è un mare molto aperto e ciò non ha permesso loro di raggiungere una densità elevata, mentre il Mar Baltico è povero di nutrienti e di zooplancton”.
Forte presenza nell’Alto Adriatico
Nel 2005 erano stati avvistati nel Golfo di Trieste, dopodiché sono spariti, fino all’anno scorso, quando sono stati avvistati nuovamente anche nelle acque dell’Istria occidentale. “Nel nostro mare esiste anche una specie di Ctenofori autoctoni, chiamata Leucothea Multicornis, non pericolosa per l’ambiente, più grande ed estremamente fragile”.
Rispetto all’anno scorso, il loro numero è significativamente aumentato. Per tale motivo, abbiamo chiesto al dott. Paliaga di spiegarci come riescano a riprodursi così velocemente. “Sono esseri ermafroditi che possono autofecondarsi dando vita a 200-400 uova al giorno”. E questi sono soltanto i dati osservati nelle acque di Rovigno. “A Pirano, ad esempio, producono anche fino a 10mila uova al giorno”. Una situazione allarmante che ha colpito per ora soltanto l’Adriatico settentrionale. “Nel Golfo di Fiume non sono state avvistate e nemmeno in Dalmazia, tranne che nella parte occidentale delle isole di Sansego e Lussino, dove però è pocala presenza di organismi di cui si nutrono e quindi anche la loro presenza è di conseguenza, scarsa”.
Le acque di zavorra
Trattandosi di una specie proveniente dall’Atlantico, rimane aperta la domanda sul come sia riuscita ad ambientarsi in queste zone. “È impossibile che abbiano attraversato il tragitto fino a qui, perché laddove il mare si fa povero di nutrienti non riescono a sopravvivere. Attualmente stiamo operando analisi del DNA di questi Ctenofori, per comprendere le loro origini”. Secondo le teorie avanzate dal “Ruđer Bošković”, questi organismi sono arrivati con le acque di zavorra delle navi, di cui in questo territorio vengono scaricate annualmente circa 10 milioni di tonnellate.
“Le acque di zavorra andrebbero trattate, piuttosto che semplicemente scaricate nel mare. Le autorità dovrebbero rafforzare i controlli in questo senso per evitare che nel nostro mare vengano trasportate anche altre specie invasive. Questo è il primo passo che i governi dovrebbero intraprendere perché in questa zona operano tre grandi porti: Fiume, Capodistria e Trieste”.
Pericolo per pesca ed ecoturismo
Nonostante non urtichino la pelle dei bagnanti, rappresentano comunque un grave problema per il nostro mare. “La loro presenza potrebbe danneggiare a lungo termine l’ecosistema del Mare Adriatico. L’Alto Adriatico è invece il mare più produttivo di tutto il Mediterraneo, con un ecosistema unico e molto importante”, lamenta l’esperto, aggiungendo che il Centro di ricerche marine continuerà a monitorare la situazione fino a fine autunno e che, per ora, la maggior parte delle conoscenze è ancora basata sulla letteratura scientifica e altri casi registrati, ma se la situazione dovesse peggiorare, bisognerà intervenire.
Tali danni potrebbero riflettersi anche sul settore turistico perché, a lungo termine, la forte presenza di Ctenofori potrebbe trasformare il mare in una gelatina. Inoltre, senza gli zooplancton a nutrirsi dei fitoplancton, diventerebbero eccessive anche le mucillagini, che sono il prodotto delle sostanze polisaccaridiche rilasciate dai fitoplancton.
Come combatterle ?

L’intervento, spiega Paliaga, consisterebbe nell’introdurre nelle nostre acque una nuova specie, la Beroe Ovata che, per puro caso, era comparsa nel Mar Nero, riducendo dell’80 per cento il numero di Ctenofori di cui essa, appunto, si nutre. “Cercando di catturarli con le reti si andrebbero a danneggiare anche altre specie e quindi non possiamo considerarla una soluzione possibile”, puntualizza, spiegando pure che non si deve attendere troppo e che andrebbero operate al più presto analisi in collaborazione con gli scienziati della Russia e dell’Ucraina, che hanno già avuto esperienze nel combattere le pericolose invasioni di questa specie. Attualmente, la loro presenza in queste zone è di una frequenza di un esemplare su ogni 10m3 di acqua di mare.

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 19 agosto 2017

 

 

AMBIENTE - Ozono oltre i limiti anche oggi

Ancora oggi si verificherà nel territorio comunale di Trieste il superamento della soglia di attenzione (120 microgr/mc) di ozono atmosferico. Il Comune invita pertanto la cittadinanza, in particolare le fasce più sensibili della popolazione (bambini, anziani, chi svolge intensa attività fisica all'aperto, oltre ai soggetti a rischio: asmatici e persone con patologie polmonari e cardiologiche) ad adottare adeguate precauzioni limitando l'esposizione all'ozono atmosferico.

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 18 agosto 2017

 

 

Il rigassificatore di Veglia sarà un impianto off shore - Già partite le trivellazioni che proseguiranno fino al 25 settembre
Sorgerà nella baia di Sepen al largo di Castelmuschio. Lavori previsti nel 2018
VEGLIA - Il rigassificatore di Veglia si farà, ma non sarà operativo sulla terraferma bensì in mare. L'altro ieri sono cominciate nell'insenatura Sepen, a poca distanza da Castelmuschio (Omisalj in croato), le prospezioni del sottosuolo marino quale fase preliminare per il collocamento dell'impianto offshore, fortemente voluto dallo Stato croato e dai suoi Paesi alleati. Le ricerche proseguiranno fino al 25 settembre, eseguite dall'azienda croata Geokon. «Le trivellazioni sono necessarie per capire cosa abbiamo sotto il mare - ha dichiarato Goran Francic, direttore dell'impresa LNG Croazia, a cui è stato affidato il progetto - prospezioni erano state effettuate diversi anni fa, ma poi il governo croato ha virato verso il terminal offshore e sono state necessarie ulteriori ricerche. L'insenatura Sepen è stata scelta per ospitare l'impianto in quanto garantisce condizioni favorevoli sotto vari aspetti. L'incognita è rappresentata dal sottosuolo e dobbiamo accertare che non ci siano caverne o zone instabili, che potrebbero mettere a rischio il progetto. Nell'insenatura saranno posizionati il relativo scalo e la nave FSRU quale rigassificatore galleggiante». All'LNG Croazia hanno confermato che il terminal metanifero offshore avrà una capacità di movimentazione annua di circa 2 miliardi e mezzo di metri cubi di gas. Verrà a costare chiavi in mano sui 360 milioni di euro, di cui 103 milioni arriveranno a fondo perduto dall'Unione europea, che ha voluto sostenere finanziariamente questo progetto ritenuto molto importante per la Croazia e anche per gli Stati Uniti. Questi ultimi vogliono esportare gas in Europa, sottraendola parzialmente dall'influenza russa in questo comparto. Se tutto filerà liscio nei preparativi e nei concorsi, nel maggio 2018 potrebbe essere rilasciata la licenza edile. Subito dopo potrà essere dato il via ai lavori di approntamento del rigassificatore che - stando alle ottimistiche previsioni di LNG Croazia - potrebbe entrare in funzione nel 2019. Secondo gli esperti, sarà difficile portare a termine il progetto in due anni, anche perché non è stato ancora deciso se la nave rigassificatore sarà costruita ex novo oppure si provvederà all'acquisto di un'unità di seconda mano. Inoltre si dovranno individuare gli acquirenti di metano, naturalmente sul mercato internazionale, poiché i consumi in Croazia non sono bastevoli a rendere conveniente il rigassificatore isolano. Restando in tema, la presidente della Repubblica, Kolinda Grabar Kitarovic, ha esposto al premier australiano Malcolm Turnbull la lista di 150 progetti croati pronti ad essere sostenuti da finanziamenti d'oltreconfine.

Andrea Marsanich

 

 

FINO A domani - Scatta in città l'allarme ozono.

Il Comune di Trieste informa che fino a domani si verificherà nel territorio comunale di Trieste il superamento della soglia di attenzione (120 microgr/mc) di ozono atmosferico, con una prevista punta di 180 microgr/mc nella giornata di oggi. Si invita pertanto la cittadinanza, in particolare le fasce più sensibili della popolazione (bambini, anziani, chi svolge intensa attività fisica all'aperto, oltre ai soggetti a rischio: asmatici e persone con patologie polmonari e cardiologiche) ad adottare adeguate precauzioni (indicate nella nota dell'Azienda Sanitaria, reperibile integralmente anche nella pagina Ambiente del sito del Comune di Trieste) limitando l'esposizione all'ozono atmosferico.

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 17 agosto 2017

 

 

Guizzi e acrobazie - Lo show di sei delfini in mezzo al golfo - Avvistati verso Grado dagli attivisti dell'associazione DelTa
Sono una presenza stanziale «ma attenti a non stressarli»
Sei pinne dorsali hanno tagliato le acque del golfo, dando il via a uno spettacolo che è durato poco più di cinque minuti. Ad avvistare i cetacei, identificati come esemplari di Tursiops truncatus, sono stati alcuni componenti dell'associazione triestina DelTa - Delfini e tartarughe in Alto Adriatico, saliti a bordo del Delfino Verde proprio per una breve campagna di monitoraggio delle acque lungo la tratta Trieste-Grado. I taccuini degli ambientalisti sono rimasti chiusi fino a quando l'imbarcazione non è arrivata a una distanza di circa tre miglia marine dall'Isola d'Oro, all'altezza della boa meteo-oceanografica "Mambo 3". È in quella posizione che il cannocchiale di Tommaso De Lorenzi, vicepresidente dell'associazione, ha intercettato i tursiopi. «Sono saltati fuori dall'acqua all'improvviso - spiega De Lorenzi - e hanno continuato a nuotare senza intercettare la barca sulla quale ci trovavamo a bordo». L'avvistamento dei delfini nel golfo di Trieste è un'eventualità tutt'altro che rara. La loro presenza è stanziale, specie nelle acque slovene, come da diversi anni segnalano i ricercatori dell'associazione Morigenos di Pirano, che ne hanno monitorati e registrati oltre 200 esemplari.«Siamo rimasti in contatto visivo per circa sette minuti - continua De Lorenzi -, ammirando le loro evoluzioni. Abbiamo individuato anche un esemplare giovane, mentre la colorazione chiara della pinna dorsale di uno dei sei tursiopi ci fa supporre di aver intercettato un delfino noto, ovvero già inserito nei nostri data base. Ne avremo la conferma solo dopo aver analizzato attentamente le fotografie che abbiamo scattato». Il loro riconoscimento, infatti, viene di norma effettuato attraverso la fotosegnalazione, che tiene conto delle cicatrici o di altri segni distintivi presenti sulla pinna dorsale dell'animale avvistato. La specie tursiope è presente in tutti i mari del mondo ed è la stessa che, suo malgrado, si adatta alla cattività e alla vita nei delfinari.Le acque del golfo di Trieste, nonostante la loro scarsa profondità, sono state elette a definitiva residenza da questi cetacei eleganti e curiosi. Si nutrono di pesce azzurro, crostacei e molluschi, anche se vengono definiti «opportunisti», in quanto non è raro vederli al seguito dei pescherecci per intercettare il pescato fuoriuscito dalle reti. Sono degli ottimi bioindicatori di alcuni aspetti ambientali e la loro presenza sta a indicare che il nostro mare è sostanzialmente sano, anche se è importante non abbassare la guardia per quanto riguarda la loro tutela. La pressione sugli ambienti marini è infatti in aumento, a causa di un'eccessiva attività di pesca, di un forte incremento dei trasporti marittimi e, soprattutto, di un inquinamento sempre più invasivo.«L'inquinamento, anche quello sonoro, è una condizione che non favorisce la presenza e l'adattamento dei delfini», avverte però De Lorenzo. I delfini vanno quindi coccolati e tenuti in considerazione come un'importante risorsa del golfo. «La probabilità di avvistare un delfino - sottolineano gli attivisti dell'associazione DelTa - è direttamente proporzionale alle ore che vengono dedicate all'attenta osservazione del mare. Ci vuole pazienza: a volte è sufficiente una piccola distrazione per lasciarsi sfuggire un esemplare che in lontananza affiora dall'acqua». Una volta avvistato un delfino, però, è necessario rispettare alcune semplici regole comportamentali, onde evitare che l'incontro generi nell'animale una condizione di stress.«È importante rimanere paralleli alla loro rotta e non cercare di intercettarla - mette in guardia De Lorenzi - . Non bisogna avvicinarsi, se vogliono saranno loro a farlo. Una volta a terra, poi, è utile avvisare la Capitaneria di Porto e le realtà come la nostra o come Morigenos che si occupano di monitorare e registrare questi splendidi animali»

Luca Saviano

 

 

Tartaruga morta portata a riva a Santa Croce - La carcassa segnalata prima nelle acque della Riserva di Miramare e poi al porticciolo della frazione
L'avvistamento di una tartaruga nel Golfo di Trieste questa volta non è stata un'occasione di festa. L'animale, infatti, è stato ritrovato privo di vita nelle acque antistanti il porticciolo di Santa Croce, all'altezza della Tenda Rossa. Gli avvistamenti, in realtà, sono stati due. Il primo risale a lunedì, quando un passante, Olive Roy Bouila Massinsa, ha notato una tartaruga ormai morta nelle acque della Riserva marina di Miramare, poco lontano dal castello asburgico. Il giorno successivo, a Ferragosto, è toccato al giornalista Nicolò Giraldi imbattersi nel povero animale a Santa Croce. È probabile che la sfortunata protagonista dei due avvistamenti sia in realtà la stessa tartaruga, trasportata nel giro di ventiquattro ore dalla corrente marina. Non è stato possibile risalire alle cause della morte dell'animale. La Capitaneria di Porto, che è stata avvisata dell'accaduto, non ha escluso le cause naturali. La carcassa della testuggine, un esemplare apparentemente adulto, è stato restituito dal mare in stato di avanzata decomposizione. A riportarla a riva sono stati alcuni bagnanti, che in buona fede l'hanno adagiata sul bagnasciuga. In questa maniera, però, hanno costretto la Capitaneria di Porto a intervenire per rimuovere la carcassa dell'animale, in ottemperanza agli accordi che prevedono l'intervento solamente in caso di spiaggiamento. Il golfo di Trieste, fanno sapere dalla Riserva marina di Miramare, è considerato una zona di alimentazione per i giovani esemplari che trovano nelle acque basse dei suoi fondali il cibo di cui si nutrono: vegetali marini, crostacei, molluschi, piccoli pesci e meduse che afferrano con le mascelle prive di denti ma munite di becco tagliente. La riproduzione, invece, avviene lungo le spiagge di alcune isole greche da dove i piccoli, usciti dalle uova deposte in buche scavate nella sabbia, intraprendono il viaggio verso il golfo di Trieste. I maggiori pericoli alla loro sopravvivenza sono legati direttamente alle attività umane quali la pesca, con la cattura accidentale, e il diporto, con la collisione con scafi ed eliche di barche a motore. L'Area marina protetta di Miramare ha attivato ormai da anni un centro di recupero dove le tartarughe ferite vengono curate e riabilitate per essere poi riportate nel loro habitat marino.

(lu.sa.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 16 agosto 2017

 

 

Trieste, il giallo della tartaruga morta - Due avvistamenti in mare nella giornata di Ferragosto: prima a Miramare, poi a Santa Croce

Una tartaruga morta nel mare di Trieste. Ed è giallo sulle ragioni del decesso. Secondo la capitaneria di Porto di Trieste l'animale potrebbe essere morto per cause naturali, oppure ancora potrebbe essere stato ferito in maniera fatale da un'imbarcazione. Ad ogni modo l'avvistamento a Trieste ha incuriosito non poco i bagnanti nella giornata di Ferragosto. Le segnalazioni sono state due, ed è probabile che possa trattarsi dello stesso esemplare trascinato dalla corrente. Il primo avvistamento è avvenuto ieri nelle acque vicine al Castello di Miramare. Il secondo è avvenuto oggi, martedì 15 agosto, al porticciolo di Santa Croce in Costiera, all'altezza della Tenda Rossa. In entrambi i casi la carcassa dell'animale ha destato la curiosità dei bagnanti, che hanno segnalato al Piccolo l'episodio.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 15 agosto 2017

 

 

Polveri a Servola, la Regione incalza Arvedi - Monito al gruppo dopo gli sforamenti in luglio. «Servono misure ulteriori per rispettare i limiti dell'Aia»
Dopo la "diagnosi", eseguita nei giorni scorsi dagli esperti dell'Arpa, arriva ora l'indicazione della "terapia", firmata dall'amministrazione regionale. La direzione regionale Ambiente del Friuli Venezia Giulia ha inviato infatti all'Acciaieria Arvedi Spa una lettera contenente la disposizione di adottare ulteriori misure per il raggiungimento dei valori obiettivo fissati dall'Aia rilasciata per l'attività della Ferriera. La lettera della Regione richiama la nota diramata dall'Arpa regionale pochi giorni fa, precisamente l'11 agosto, con l'indicazione dei dati dei deposimetri relativi al mese di luglio 2017. Dati, come noto, tutt'altro che incoraggianti. Le rilevazioni dei tecnici, infatti, hanno evidenziato come, nonostante la limitazione della marcia degli impianti di cokeria ed altoforno dell'impianto di Servola imposti con il decreto regionale di diffida 1998/2017, le concentrazioni di polveri e agenti inquinanti nell'aria ha superato ancora una volta i valori obiettivo stabiliti dal decreto Aia 96/2016. Di lì la scelta dell'amministrazione regionale di richiamare la proprietà dello stabilimento siderurgico al rispetto degli impegni adottati. Nel dettaglio, si legge in una nota diramata dal Palazzo, «riscontrato che la misura della riduzione della produzione di ghisa e coke adottata a partire dal primo luglio 2017 non risulta sufficiente a rispettare i detti valori obiettivo, la Regione ricorda che la stessa Autorizzazione integrata ambientale prevede la riduzione della produzione come misura minima e ipotizza quindi un incremento delle misure da adottare fino al raggiungimento del rispetto del valore indicato».In fine l'avvertimento ancora più diretto e inequivocabile. «Alla luce dei dati acquisiti e in adempimento della normativa vigente - prosegue il comunicato -, la Regione Friuli Venezia Giulia ha disposto che l'Acciaieria Arvedi Spa adotti nei tempi tecnici necessari e comunque senza ritardo tutte le misure necessarie ad ottenere il rispetto dei valori obiettivo e ne dia contestuale comunicazione all'amministrazione regionale e all'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente, anche al fine di valutare la idoneità e la sufficienza delle misure adottate».

 

 

Chiazza sospetta in mare - Rivolta social contro la nave
La partenza di una nave da crociera evoca vacanze, viaggi lungo coste lontane, cene e ambienti lussuosi a bordo dove trascorrere piacevoli ore in relax e armonia. Forse sono questi i pensieri che accomunano le persone che, nell'udire i famosi tre colpi di sirena che indicano la partenza di una grande nave, come una sorta di saluto alla città, si fermano e in tanti volgono lo sguardo verso il mare. Uno sguardo e un sorriso, però, che sul viso di molti spettatori presenti alla partenza della Costa Luminosa, domenica scorsa intorno alle 13, si è pian piano affievolito vista l'imponente chiazza di colore scuro sull'acqua in prossimità della grande nave.In tanti, osservando stupiti la cospicua macchia di colore scuro sull'azzurro del mare, hanno immediatamente riversato sui social tutta la loro rabbia attraverso foto e post di indignazione per quella che in un primo momento è stato da moltissimi ritenuto uno sversamento in mare da parte della nave, subito dopo aver levato gli ormeggi. Com'è possibile immaginare, il presunto "insulto" al mare da parte di un colosso che può contare più di 4000 persone a bordo, tra equipaggio e passeggeri, è stato accolto malamente dagli internauti che hanno letto i primi post di indignazione, senza assistere e verificare in prima persona quanto accaduto alla partenza della crociera, e in breve tempo quindi una valanga di condivisioni si è diffusa sul web cittadino attribuendo, forse con troppa faciloneria, le cause della macchia incriminata alla nave in partenza.Chiaro il commento del comandante della Capitaneria di porto di Trieste, il capitano di fregata Giulio Giraud, che ha escluso categoricamente uno sversamento dalla nave in partenza o da altre navi ormeggiate nel porto di Trieste. «Ho assistito personalmente alla partenza e posso escludere con ogni forma di dubbio qualunque genere di sversamento da parte della Costa. Negli ultimi giorni, il vento girato da sud ha trasportato residui di legno, alghe e spazzatura di vario genere proveniente dall'Adriatico settentrionale fino a Trieste. C'era un po' di tutto: residui di legnetti, rifiuti e schiuma. Purtroppo è un fatto consueto e legato a quando gira il vento dal versante sud, ed è inevitabile che arrivino in porto questi residui».A detta degli esperti, a trarre in inganno le persone che hanno adocchiato la chiazza in mare attribuendola a uno sversamento, potrebbero essere state le potenti eliche della nave in manovra di partenza che, agitando l'acqua, hanno smosso i residui presenti appena sotto la superficie formando la macchia incriminata.

Enrico Ferri

 

Barche "espulse" dall'Isonzo - A Duino scoppia la protesta - Proposto il divieto di pesca e navigazione nell'area della foce e dell'isola della Cona
La replica dei Cittadini per il golfo: «È una delle poche zone di pace per i diportisti»
DUINO AURISINA - «Giù le mani dalle acque del golfo». Diventa sempre più aspro il conflitto fra i residenti di Duino Aurisina e le autorità istituzionali competenti per disciplinare le attività nel tratto di mare vicino alla costa. Dopo i contrasti, mai risolti, fra il Comitato dei Cittadini per il golfo e la precedente giunta comunale di Duino Aurisina a causa delle restrizioni nell'utilizzo della parte di mare sotto le falesie, ecco che - alla vigilia di Ferragosto - arriva una nuova scintilla ad alimentare il fuoco della polemica. È di questi giorni la proposta avanzata dal Comitato tecnico-scientifico che sovrintende l'area delle foci dell'Isonzo e dell'isola della Cona, emanazione diretta della Regione, che riguarda la Zona speciale di conservazione (Zsc) e che prevede il divieto di navigazione, di pesca e di pratica dell'attività diportistica nello specchio d'acqua prospiciente le foci dell'Isonzo. Certo, prima di arrivare all'approvazione definitiva, sarà necessario completare l'iter burocratico previsto, ma il solo annuncio ha scatenato l'immediata protesta dei Cittadini per il golfo. «Abbiamo appreso della proposta di creare un'area di interdizione totale nell'area dell'isola della Cona - scrive Danilo Antoni, portavoce dei Cittadini per il golfo -, tradizionale punto di riferimento del mondo diportistico locale. Dopo l'ennesima informazione su provvedimenti, progetti e iniziative che incidono drasticamente sulla vita del golfo di Trieste e sulle sue coste - aggiunge -, dopo l'ennesima informazione che arriva al pubblico nel periodo tra metà luglio e metà agosto, il nostro gruppo di lavoro, che segue le proposte di pianificazione e di progettazione delle aree connesse all'ambito acqueo e costiero del golfo - continua Antoni -, constata che il processo di verifica tecnico-politica ha di nuovo dimostrato gravi lacune procedurali che impediscono la partecipazione diretta e costruttiva a molti soggetti coinvolti nell'attuale fruizione diretta o indiretta delle aree costiere della Riserva naturale regionale della foce dell'Isonzo-Isola della Cona».«Per esse - insiste l'esponente dei Cittadini per il golfo - si propone un diverso sistema di fruizione, che contempla la totale interdizione su un'area che, fino a oggi, risultava essere ormai una delle poche zone di pace per i diportisti locali. A nostro avviso - conclude il portavoce dei Cittadini per il golfo - il provvedimento, proposto nella fase finale dell'iter della variante al Piano di conservazione e sviluppo della Riserva, non è confortato da opportuni studi e non è prodotto in sintonia con quanto stabilito per questi casi dall'Agenda 21, che prevede il sistematico coinvolgimento degli abitanti, dei fruitori e dei proprietari nelle decisioni di carattere gestionale e programmatiche che riguardano il territorio».

Ugo Salvini

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 14 agosto 2017

 

 

«Era recidiva e pericolosa» - Uccisa un'orsa in Trentino - La Forestale abbatte "KJ2" che aveva aggredito escursionisti in due occasioni
Il governatore: prima la sicurezza delle persone. Dura protesta degli animalisti

TRENTO - Alla fine è stata abbattuta. L'orsa KJ2 era ricercata ufficialmente dal 22 luglio scorso, dopo avere ferito abbastanza seriamente un uomo che passeggiava assieme al suo cane in un bosco nella zona dei laghi di Lamar, in Trentino. Il plantigrado è stato abbattuto da agenti del corpo forestale della provincia autonoma di Trento, che hanno agito in esecuzione di un'ordinanza del governatore Ugo Rossi, emessa per la sicurezza delle persone. L'orsa era accusata di avere ferito un altro escursionista, attaccato mentre stava compiendo un'escursione nella zona di Cadine nel 2015. L'abbattimento ha causato naturalmente molti commenti polemici da parte di protezionisti ed animalisti, ma a sostenere la necessità di questa misura estrema è intervenuto in maniera decisa, a cose fatte, il governatore Rossi: «Siamo qui a commentare l'abbattimento di un orso, ma se quest'esemplare avesse avuto un altro incontro, magari con un bambino e ci fosse stato un altro ferito o qualcosa di più grave, saremmo qui a fare altri commenti». «È chiaro - ha aggiunto Rossi - che in un periodo come questo, sotto Ferragosto ed in un'area popolata e fra quantità di turisti e di residenti, tutte le regole scientifiche e giuridiche indicano che ciò che è stato fatto era un'assoluta necessità». «In tutto il mondo - ha detto ancora Rossi - quando il pericolo sale oltre una certa soglia si procede all'abbattimento per garantire la sicurezza delle persone». Rossi ha assicurato che non abbandonerà il progetto Life Ursus che aveva reintrodotto l'orso in Trentino. «L'iniziativa, però, dovrà essere modificata: all'inizio - ha spiegato - si pensava che gli animali avrebbero popolato un'area più vasta, mentre oggi si dimostra il contrario. Nel frattempo - ha concluso il governatore - occorre usare la scienza, la coscienza ed il buonsenso per gestire gli esemplari più pericolosi». La vicenda ricorda da vicino un caso analogo, accaduto appena tre anni fa: allora a farne le spese fu Daniza, un esemplare di plantigrado morto dopo l'intervento delle guardie forestali. Allora però, l'animale morì non perché doveva essere abbattuto, ma per le complicazioni insorte mentre i guardacaccia tentavano di narcotizzarla con un apposito liquido. La sostanza, però, ebbe un effetto più potente del dovuto e così Daniza morì. Le spiegazioni del governatore, però, non convincono animalisti e ambientalisti «Questa uccisione non era necessaria, l'orsa è stata se stessa» è la reazione furibonda. Alle proteste si uniscono anche i Verdi che vogliono denunciare il presidente Ugo Rossi ma c'è anche chi propone un boicottaggio di prodotti tipici trentini. «Invocheremo chiarezza in tutte le sedi, politiche e giudiziarie, e non cesseremo di farlo finché non sapremo tutto quello che c'è da sapere», questo il commento dell'ex ministro Michela Vittoria Brambilla nonché presidente del Movimento animalista. «Ci aspettiamo che si faccia piena luce sulla vicenda consapevoli che il nostro Paese è più povero, non solo perché è stato abbattuto un esemplare di orso bruno alpino, ma perché in Trentino non siamo stati capaci di mettere in atto una strategia per la coesistenza con gli animali selvatici nonostante le nostre esperienze di conservazione della natura siano tra le più importanti in ambito europeo» dice Stefano Ciafani, direttore nazionale Legambiente, È dura anche la reazione del Wwf: «Se le autorità competenti non lavorano per eliminare le cause che portano ad episodi spiacevoli, a farne le spese saranno sempre gli orsi; non è accettabile. Valuteremo come procedere sul piano legale». Luana Zanella, esponente Verde, valuta una denuncia del presidente Rossi, «visto che si è constatato che l'animale era ricercato solo per aver risposto all'aggressione di un uomo con il suo cane».

Paola Targa

 

Parla l’etologo «Meglio soluzioni meno cruente»

Sugli orsi, e in generale per la coesistenza tra specie umana e animali selvatici come anche i lupi, «va definito con urgenza un protocollo per soluzioni meno cruente. L'uccisione di un esemplare è l'extrema ratio, l'ultima possibile linea d'azione per un esemplare già catturato che può essere perciò narcotizzato e portato in aree e situazioni di sicurezza per l'uomo». A chiedere con urgenza un protocollo di intervento sull'esempio di quelli in vigore all'estero, in Canada e negli Usa in particolare, è l'etologo Enrico Alleva, membro dell'Accademia dei Lincei e presidente della Federazione Italiana di Scienze della Natura e dell'Ambiente. Nel caso specifico, ha osservato, «ci vuole tempo per accertare la pericolosità del singolo soggetto e va detto che le dimensioni del territorio trentino non sono paragonabili con quelle delle grandi riserve Usa. Spesso poi ci sono orsi che hanno preso troppa dimestichezza perché per procacciare il cibo usano la scorciatoia di seguire i rifiuti e avvicinarsi pericolosamente ai centri abitati. In tal caso si pone con urgenza la gestione della coesistenza, per salvaguardare la sicurezza della popolazione e dei turisti che possono frequentare l'area. Ma di solito, sia negli Usa che in Canada, una volta catturato da personale formato ad hoc, l'orso viene addormentato e trasferito in aree controllate di un Parco e riserva ambientale. Inoltre la fase più impegnativa - ha sottolineato Alleva - è la cattura, utile alla individuazione genetica e all'apposizione del radiocollare. In Trentino l'orsa in questione era già stata catturata e radiocollarata, va ben compreso perché si è arrivati alla soluzione del problema più cruenta. Cerchiamo di definire presto - è l'appello di Alleva - un protocollo d'azione che individui esperti del comportamento degli ursidi e si dia priorità alla cattura degli orsi segnalati senza metterli in pericolo di vita. Se si ha la fortuna di vivere in un territorio che contempla questo campione di biodiversità - ha concluso - è fondamentale pianificare la cattura in modo da non mettere in pericolo cittadinanza, forestali e plantigradi».

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 13 agosto 2017

 

 

Mare inquinato, M5S in pressing - Romano sui dati di Goletta Verde: «A Muggia sistema di scarico da adeguare»
MUGGIA - «Puntuale come ogni anno ritorna il problema dell'inquinamento del mare: siamo stufi, la soluzione è mettere mano seriamente alla rete di scarico e depurazione ed adeguarla al ventunesimo secolo». Questo il commento del consigliere comunale del MoVimento 5 Stelle di Muggia Emanuele Romano ai dati forniti da Goletta Verde, che hanno rilevato una situazione di forte inquinamento sulla base dei prelievi effettuati anche nel canale di via Battisti a Muggia. «È uno dei punti del nostro programma: la scusa del Comune è che non ci sono soldi. Bisogna trovarli, ci sono i fondi europei, nazionali e regionali con cui finanziare una seria opera di riqualificazione. Vogliamo una Muggia vivibile per i residenti e accogliente per i turisti e non si può prescindere dalle qualità delle acque della costa», insiste il consigliere pentastellato. Romano va poi all'attacco anche sul Piano economico finanziario rifiuti: «Il Consiglio comunale ha approvato, con il voto favorevole di tutte le forze politiche tranne il M5S, Obiettivo comune e Mejo Muia, il Piano economico finanziario rifiuti 2017 basato su un fantomatico sistema porta a porta che prevede aumenti di costi del 10%. Come previsto il sistema slitta al 2018. Intanto i cittadini pagano una tariffa a metro quadro con aumenti che arrivano a superare il 30% e non godono di servizi adeguati». «Si poteva evitare questo aumento - aggiunge Romano - confermando per il 2017 il vecchio sistema e prevedendo l'avvio del nuovo contestualmente a una nuova tariffa basata sul principio "più crei rifiuti più paghi" - rimarca -. Lo abbiamo proposto sia all'assessore Litteri, sia in Commissione e infine durante due sedute del Consiglio. Purtroppo quando si vuol mettere la bandierina in fretta e furia, chiudendo il dialogo con le opposizioni e le associazioni, alla fine sono sempre i cittadini a dover sopportare l'aumento dei costi. Durante la discussione per l'approvazione del Pef - ricorda il consigliere del M5S - abbiamo fatto notare che il totale sembrava fosse stato costruito per dare un margine del 10% rispetto l'anno precedente, senza dettagli di costo che permettessero di valutare la struttura operativa del nuovo servizio».

 

 

SEGNALAZIONI - Inquinamento - Valori elevati delle polveri sottili

La sera di domenica 6 agosto l'ennesima nuvola di polveri (la sesta in pochi giorni), sollevata dal forte vento, si è alzata dalla Ferriera per depositarsi nell'intorno. Più che giustificata, quindi, l'esasperazione di chi vive nelle aree circostanti, densamente popolate. Aree che vanno ben al di là del rione di Servola. Oltre alle polveri sedimentabili, comunque inquinanti, protagoniste delle nuvole suddette, nei giorni scorsi si sono alzati di molto anche i valori delle polveri sottili pm10 e pm2,5, responsabili di gravi danni alla salute, come attestano da molti anni i rapporti dell'Organizzazione mondiale della sanità e dell'Agenzia europea dell'ambiente. Tra martedì 1 e sabato 5 agosto, per esempio, il limite di legge pari ad una media giornaliera di 50 microgrammi per metro cubo di pm10 è stato superato quattro volte nella centralina di via S. Lorenzo in Selva (55 ?g/mc il 1.o agosto, 57 giovedì 3, 70 venerdì 4 e 61 sabato 5) e il 4 agosto anche in quella di via del Ponticello (58 ?g/mc). I superamenti del limite di 50 ?g/mc in via S. Lorenzo in Selva sono già 32 nel 2017 (la legge ne ammette non più di 35 nel corso dell'anno). Il che forse spiega perché l'Aia rilasciata nel 2015 dalla regione alla Ferriera abbia elevato tale limite - per la sola centralina di via S. Lorenzo in Selva - da 50 a 70 ?g/mc, sicché i non pochi abitanti delle aree circostanti si trovano a respirare "legalmente" un'aria ben peggiore di quanto prescritto per legge. Oltre a ciò, bisogna tener conto anche dei valori di pm2,5, polveri ultrafini che penetrano in profondità negli alveoli polmonari trasportandovi sostanze cancerogene di ogni genere. Non esistono, in Italia, limiti di legge per questo inquinante, ma la Direttiva europea n. 50 del 2008 prescrive un limite annuo di 20 ?g/mc (da raggiungere entro il 1 gennaio 2020), il doppio dei 10 ?g/mc consigliati dall'Oms. Le centraline che a Trieste le misurano (in piazzale Rosmini, via Ponticello e via Pitacco, non in via S. Lorenzo in Selva...), registrano quasi ogni giorno valori ben superiori a quelli consigliati, mentre l'Eea calcola in 59.500 all'anno le morti premature attribuibili in Italia agli elevati livelli di pm2,5. Come si vede, valori elevati di polveri sottili nell'aria non sono prerogativa dei soli mesi invernali, quando i difensori delle industrie puntano il dito contro le caldaie domestiche, ma sono frequenti anche d'estate, sommandosi a valori elevati di ozono (altissimi da settimane anche a Trieste), e alle nuvole di polveri sollevate dal vento. Mancano invece adeguati avvertimenti alla popolazione e alle categorie più deboli (anziani, cardiopatici, bambini) nelle giornate critiche e soprattutto interventi risolutivi nei confronti di chi inquina.

Dario Predonzan

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 12 agosto 2017

 

 

Ambiente - La lente di Goletta Verde sul Fvg - Bocciate Muggia e Marina Julia

Tre degli otto punti analizzati non passano l’esame. Fra questi c’è anche la foce del fiume Stella -  «Fortemente inquinati» il canale di via Battisti nel comune rivierasco e la spiaggia di via delle Giarrette. La fotografia dei mari in Italia secondo Goletta Verde
TRIESTE - Tre su otto. È questo il bilancio del monitoraggio svolto dall'equipe tecnica di Goletta Verde, la storica campagna di Legambiente, dal quale è emerso come in ben tre punti, degli otto monitorati in Friuli Venezia Giulia, vengano superati i limiti di inquinamento previsti dalla legge. A finire sotto la lente d'ingrandimento dell'associazione ambientalista sono state le acque di Muggia, Trieste, Duino Aurisina, Monfalcone, Grado, Precenicco e Lignano Sabbiadoro. Se il mare che bagna la spiaggia libera di via delle Giarrette, a Marina Julia, è risultato "inquinato", la foce del fiume Stella, a Precenicco, e il canale di via Battisti, a Muggia, sono stati classificati con la dicitura "fortemente inquinati", presentando cariche batteriche evidentemente molto elevate. I prelievi e le analisi sono stati eseguiti dal laboratorio mobile di Legambiente il 4 e il 5 agosto scorsi. Sono stati indagati i parametri microbiologici (Enterococchi intestinali, Escherichia coli) e sono stati considerati come "inquinati" i risultati che superano i valori limite previsti dalla normativa sulle acque di balneazione vigente in Italia (Dlgs 116/2008 e decreto attuativo del 30 marzo 2010) e "fortemente inquinati" quelli che superano di più del doppio tali valori. La cattiva depurazione delle acque sembra essere alla base dell'inquinamento che è stato riscontrato nel corso dei campionamenti, dal momento che in Italia circa il 25% delle acque di fognatura viene scaricato in mare, nei laghi e nei fiumi senza essere depurato, nonostante siano passati oltre dieci anni dal termine ultimo che l'Unione europea ci aveva imposto per mettere a norma i sistemi fognari e depurativi. Ritardi che si ripercuotono anche sulle tasche dei cittadini, visto che le inadempienze dell'Italia nell'attuazione della direttiva comunitaria hanno portato a procedure di infrazione, in alcuni casi seguite da condanne che si sono tramutate in multe salatissime. In totale sono stati quattro i punti campionati in provincia di Trieste (canale di via Battisti a Muggia, lungomare Fratelli Bandiera, Barcola e Sistiana Castelreggio), due in provincia di Gorizia (Marina Julia e Grado, all'incrocio tra viale del Sole e via Svevo) e altrettanti in provincia di Udine (foce del fiume Stella a Precenicco e Lignano Sabbiadoro, sul lungomare Trieste all'incrocio con via Gorizia). Legambiente, oltre ai tre punti risultati inquinati, ha messo in evidenza anche la scarsità di informazioni che vengono messe a disposizione dei bagnanti. La cartellonistica sulle spiagge del Friuli Venezia Giulia, infatti, è risultata per lo più inesistente, nonostante dal 2014 sia diventata obbligatoria per tutti i comuni costieri. «Purtroppo in nessuno degli otto punti campionati - spiega Katiuscia Eroe, portavoce di Goletta Verde - i nostri tecnici hanno avvistato i cartelli informativi previsti dalla normativa, che hanno la funzione di divulgare al pubblico la classe di qualità del mare (in base alla media dei prelievi degli ultimi 4 anni), i dati delle ultime analisi e le eventuali criticità della spiaggia stessa. Anche quelli di divieto di balneazione sono completamente assenti. Inoltre in alcuni punti giudicati critici è stata registrata la presenza di bagnanti, soprattutto bambini, proprio nei pressi dei punti che sono stati presi in esame». Un altro tema forte affrontato in questa campagna di Goletta Verde è stata la presenza di rifiuti sulle spiagge italiane. Il 10% dei rifiuti spiaggiati proviene dagli scarichi dei nostri bagni. Il 9% di questi rifiuti è costituito da bastoncini per la pulizia delle orecchie che vengono impropriamente buttati nel wc.«Nella nostra regione - dichiara Gloria Catto per Legambiente Fvg - tra aprile e maggio i volontari hanno monitorato la spiaggia di Canovella degli Zoppoli, nel Comune di Duino Aurisina, nell'ambito dell'indagine sul beach litter. È stato sconcertante riscontrare la presenza, su un'area di 1200 metri quadri, di 665 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia, fra i quali diversi scarti delle attività di pesca».

Luca Saviano

 

MUGGIA - Il sindaco Marzi vuole indagare sugli «sversamenti nel Fugnan»
Il nome di Muggia compare nella lista dei cattivi e la cosa non può fare piacere a una cittadina che da anni si propone anche in chiave turistica. La sindaca Laura Marzi non si scompone più di tanto e prova a dare una lettura diversa da quella proposta da Legambiente, che punta il dito contro la cattiva depurazione che affligge tantissime aree del Paese. «Non so a quando facciano riferimento queste analisi - le sue parole -, ma credo che quei valori siano determinati dai fenomeni di pioggia e dagli sversamenti delle acque grigie nel torrente Fugnan». Da qualche parte qualcuno sversa impunemente, secondo la prima cittadina di Muggia. «Potrebbero essere sversamenti fatti anche oltreconfine - spiega -. Cercheremo di capirlo, anche se rimango perplessa sul fatto che queste analisi vengano svolte in una zona che comunque non è balneabile».

(lu.sa.)

 

Lo scorso anno 4.400 tonnellate di oli esausti raccolte e trattate - il Consorzio
Anche quest'anno il Consorzio nazionale per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati è main partner della campagna estiva di Legambiente. L'olio usato - che si recupera alla fine del ciclo di vita dei lubrificanti nei macchinari industriali, ma anche nelle automobili, nelle barche e nei mezzi agricoli - è un rifiuto pericoloso per la salute e per l'ambiente: 4 chili di olio usato, il cambio di un'auto, se versati in acqua inquinano una superficie grande come sei piscine olimpiche. Ma l'olio usato è anche un'importante risorsa perché può essere rigenerato tornando a nuova vita. Nel Fvg nel 2016 il Consorzio ha raccolto 4.440 tonnellate di oli usati. L'operato del Consorzio non solo evita una potenziale dispersione nell'ambiente di un rifiuto pericoloso, ma lo trasforma in una preziosa risorsa per l'economia.

(lu.sa.)

 

A Monfalcone si grida al complotto - Dati inattesi dopo quelli positivi dell'Arpa. «Siamo in crescita, diamo fastidio»
MONFALCONE - Per anni perseguitata da una scarsa qualità delle acque, Marina Julia, la spiaggia ormai non più solo dei monfalconesi, pensava di aver archiviato del tutto i suoi problemi di inquinamento. A sancirlo, dal 2014 a oggi, era stata anche la Goletta Verde di Legambiente, il cui ultimo verdetto si scontra in ogni caso con i dati dei rilevamenti di routine che sono stati eseguiti dall'Arpa Fvg a partire dal mese di aprile. La bocciatura ricevuta da Legambiente non è stata quindi per nulla digerita a Monfalcone, dove, in sostanza, non si esita a gridare al complotto. Per il litorale monfalconese, complice un meteo perfetto, l'estate 2017 ha segnato una vera e propria invasione di bagnanti, con migliaia di presenze (tra le 15 e le 20 mila nei fine settimana) dal territorio circostante, ma anche dalla vicina Slovenia, dalla Bassa friulana e dalla provincia di Trieste. La spiaggia di Monfalcone ha dalla sua parcheggi gratuiti posizionati a distanze accettabili dalla battigia, fondali sabbiosi e servizi crescenti, come pure la pulizia. In spiaggia quest'anno i frequentatori hanno trovato non solo i lettini e gli ombrelloni degli stabilimenti balneari, i bar e i "fritolini" , ma anche il campo da beach volley realizzato dal Comune, che ha pure disciplinato la pratica del kite surf. Già perché quando soffia la bora il mare si riempie di tavole e il cielo di vele colorate, attirando appassionati non solo dalla Slovenia ma anche dall'Austria. «È tanto strano pensare che iniziamo a dare fastidio a qualcuno?»,, si chiede l'assessore al Patrimonio e ai Servizi interni Paolo Venni, genovese trapiantato a Monfalcone per lavoro, che a Marina Julia ci vive. «Il dato del monitoraggio condotto da Legambiente - aggiunge Venni - è in controtendenza rispetto al controllo effettuato dall'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente nel corso di tutta la stagione. Sembra quindi ci sia un accanimento nei confronti della nostra spiaggia per il cui rilancio ci stiamo impegnando assieme ad altri soggetti». Vedi il nuovo gestore del Marina Julia camping village, affacciato sul mare monfalconese. Il network Club del Sole ha investito in questi ultimi mesi tre milioni per adeguare il villaggio, classificato quattro stelle, ai nuovi standard della domanda turistica ed ha già programma di investire altri due milioni per un ulteriore restyling da qui alla prossima stagione balneare (mentre l'attuale sta segnando un più 30% di presenze nel villaggio). «Sono ormai diversi anni che il Comune di Monfalcone sta lavorando con Irisacqua, il gestore del ciclo delle acque - ricorda l'assessore Venni - per adeguare la rete fognaria ed eliminare le criticità che esistevano. Rimane solo un ultimo problema da risolvere: quello della roggia San Giusto, in cui si riversano ancora degli scarichi e che sbocca nel bacino di Panzano, ma ci stiamo lavorando». Anche l'Associazione Marina Julia, da anni impegnata nel rilancio della località monfalconese e della spiaggia, anche attraverso il Summer festival che si concluderà la sera di Ferragosto, non ci sta. «I valori rilevati dall'Arpa sono sempre stati sotto i limiti, anche abbondantemente quest'anno - sottolinea Roberto Bidoli, componente del direttivo dell'associazione -. Allora chi sbaglia? Non lo so, ma viene da pensare male, anche perché forse Marina Julia inizia a dare fastidio con la sua capacità di attrarre tante persone». Solo il campionamento effettuato il 10 luglio ha rilevato un innalzamento della presenza di Escherichia coli (164 unità formanti colonia per 100 millilitri d'acqua contro un limite di 500) e di Enterococchi intestinali (42 contro un limite di 200 per 100 millilitri d'acqua). Non rimane che vedere l'esito del nuovo controllo di routine che l'Arpa dovrebbe avere effettuato proprio in questi giorni.

Laura Blasich

 

La maglia nera a quattro regioni - la fotografia
TRIESTE - Lungo le coste italiane ci sono "ben 38 malati cronici" di inquinamento, concentrati nel Lazio (8), in Calabria (7), in Campania e Sicilia (5 ciascuna): sono foci di fiumi, torrenti, canali o punti vicino a scarichi di depuratori che da almeno cinque anni riversano in mare batteri (enterococchi intestinali, Escherichia coli). Dopo «tanti appelli inascoltati e lanciati alle amministrazioni e agli enti competenti», Legambiente li ha segnalati alle Capitanerie di Porto presentando undici esposti - nelle varie regioni in cui sono stati riscontrati questi punti in cui la depurazione è carente - per inquinamento ambientale, reato previsto dal codice penale. "Malati cronici" a parte, il 40% dei campioni di acqua prelevati quest'anno alle foci di fiumi, torrenti, canali, fiumare, fossi o nei pressi di scarichi lungo i 7.412 chilometri di costa italiana da Goletta Verde di Legambiente è risultato inquinato, con cariche batteriche elevate. Cioè, su 260 punti esaminati 105 hanno mostrato batteri «oltre i limiti di legge», soprattutto per scarichi fognari non depurati. Presentando i risultati della Campagna 2017, al termine del viaggio del veliero compiuto dall'8 giugno all'8 agosto scorsi per verificare lo stato di qualità del mare e delle coste, il responsabile scientifico di Legambiente Giorgio Zampetti ha spiegato che 86 dei 105 campioni di acqua con cariche batteriche elevate, sono risultati «fortemente inquinati» (cioè con valori oltre il doppio di quelli previsti dalla legge sulle acque di balneazione) e 19 «inquinati» (oltre i limiti). I punti di prelievo con scarsa depurazione «si confermano i nemici numero uno del nostro mare»; solo il 13% dei campioni è stato prelevato vicino a spiagge affollate. La situazione migliore in assoluto è stata riscontrata in Sardegna e in Puglia. Nell'alto Adriatico - dove la siccità ha ridotto la portata dei fiumi e quindi dei detriti che si riversano in mare - hanno mostrato una buona performance Emilia Romagna e Veneto. L'Italia è agli ultimi posti in Europa per i problemi legati alla depurazione, rileva Legambiente ricordando che «abbiamo già due condanne e una terza procedura d'infrazione» per irregolarità, concentrate per il 60% in Sicilia, Calabria e Campania. Monitorando 135 spiagge, Legambiente ha trovato circa settemila cotton fioc su 46 lidi ma «anche assorbenti, blister, salviette, colpa della cattiva abitudine di buttarli nel wc» e poi di «scarichi non depurati che finiscono in mare» (Abruzzo, Sicilia, Campania e Lazio hanno mostrato criticità). Scarsa, infine, la presenza di cartelli di divieto di balneazione. La depurazione non in regola «è il peggior nemico del turismo. Sono circa dieci milioni gli italiani che ancora non hanno un adeguato servizio di depurazione e l'11% ne è ancora sprovvisto» osserva Utilitalia (la federazione delle imprese di acqua, ambiente e energia) avvertendo che sul trattamento delle acque reflue e sulla depurazione bisogna «investire» anziché «pagare» quegli stessi soldi in sanzioni comunitarie. «Molte delle aree "bacchettate" dall'Ue sono rinomate località turistiche del nostro Paese», aggiunge la federazione che al legame tra l'acqua e il turismo dedicherà una sessione del Festival dell'Acqua, in programma a Bari dall'8 all'11 ottobre prossimi. Tornando alle denunce di Legambiente, queste fanno leva sulla legge 68/2015, che inserisce i reati ambientali appunto nel codice penale e che in questi due anni di applicazione ha già consentito di sequestrare depuratori malfunzionanti, fermare l'inquinamento causato da attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, intervenire su situazioni di inquinamento pregresso o per fermare attività illegali di vario genere. I parametri indagati sono microbiologici e i tecnici di Goletta Verde hanno considerato come inquinati i risultati che superano i valori limite previsti dalla normativa sulle acque di balneazione vigente in Italia (decreto legislativo 116/2008 e decreto attuativo del 30 marzo del 2010) e fortemente inquinati - come già specificato - quelli che superano di più del doppio tali valori.

 

L'Unione europea chiede il conto all'Italia
La cattiva depurazione affligge purtroppo tantissime zone dell'Italia, nonostante siano passati oltre dieci anni dal termine ultimo che l'Unione europea aveva imposto al Paese per mettere a norma i sistemi fognari e depurativi. Le inadempienze dell'Italia nell'attuazione della direttiva comunitaria hanno portato a procedure di infrazione e anche ad alcune multe molto elevate. L'Italia, infatti, è soggetta a tre procedure di infrazione emanate dalla Commissione Europea nel 2004, nel 2009 e infine nel 2014; le prime due delle quali sono già sfociate in condanna. Per la procedura di infrazione 2004/2034 la sanzione prevista è pari a 62,7 milioni di euro, una tantum a cui si aggiungono 347mila euro per ogni giorno (facendo un rapido calcolo sono 61 milioni di euro a semestre) sino a quando non saranno sanate le irregolarità individuate.

(lu.sa.)

 

 

«La Ferriera anticipi lo stop all'altoforno» - L'Arpa, dati alla mano, chiede una fermata per limitare gli sforamenti. La proprietà: «Tutto risolto con i lavori di settembre»
Siderurgica triestina dovrebbe anticipare lo stop dell'altoforno per fermare gli sforamenti delle emissioni di polveri dall'impianto. È quanto consiglia Arpa al termine di una nota trasmessa ieri alla proprietà e alla Regione, con i risultati delle misure delle polveri rilevate nel mese di luglio nei deposimetri di Servola. Il rapporto evidenzia il mancato rispetto degli obiettivi di polverosità stabiliti nell'autorizzazione Aia in tre diverse postazioni di rilevamento. Nel frattempo il Comune fa sapere di aver ricevuto la lettera di Asuits in cui parla di un «problema per la salute della popolazione», ancorché non «immediato». Dal canto suo l'azienda fa sapere che «con i lavori di manutenzione straordinaria di settembre tutti questi problemi saranno risolti» e che si stanno «mettendo in campo misure per fermare anche il fenomeno degli spolveramenti delle ultime settimane». Partiamo però dalla nota di Arpa. Si legge: «Le misure messe in atto dal gestore, in attuazione della diffida della Regione dello scorso mese di giugno, non sono state dunque finora sufficienti a rispettare i valori obiettivo di polverosità». Ad avviso dell'Arpa, la principale causa del mancato rispetto dei valori obiettivo è il progressivo deterioramento della bocca di carico dell'altoforno. L'agenzia evidenzia pertanto «la necessità che il gestore individui ed attui, oltre alle azioni previste espressamente nell'Aia, ulteriori azioni in grado di ridurre le emissioni». Tra queste Arpa cita anche «la fermata della produzione dell'altoforno anticipando quella già programmata per la sostituzione della bocca di carico». Per l'assessore regionale all'Ambiente, Sara Vito, la richiesta «conferma l'efficacia del sistema dei controlli messo in campo dall'agenzia in attuazione dell'Aia». Osserva ancora Vito: «Il sistema di controlli permette di intercettare efficacemente e tempestivamente le criticità gestionali ed impiantistiche del complesso impianto siderurgico». L'altra novità di ieri viene invece dal Comune e dall'Azienda sanitaria. In un comunicato stampa il vicesindaco Pierpaolo Roberti fa sapere di aver ricevuto la lettera dell'azienda in cui, spiega, si conferma «un costante aumento delle deposizioni di polveri nell'area in esame nel primo semestre 2017, polveri contenenti idrocarburi aromatici policiclici». Questi ultimi sono sostanze potenzialmente cancerogene che, dice la lettera dell'azienda, «comportano un problema di salute per la popolazione espresso in incremento del rischio espositivo». In un altro passaggio, però, l'Azienda sanitaria aggiunge: «La rilevanza del fenomeno, pur non comportando immediati pericoli per la salute, impone un suo costante e approfondito monitoraggio». Commenta il vicesindaco: «Questa posizione rende pertanto impossibile l'emissione di un'ordinanza sindacale di fermo attività, ma conferma la bontà dell'azione promossa dal Comune di Trieste. Infatti, se lo strumento dell'ordinanza non può essere utilizzato in quanto mancanti gli elementi di urgenza, rimarca una criticità che deve essere affrontata seguendo un'altra via». Roberti chiede quindi alla Regione di annullare l'Aia, come fa anche il Comitato 5 Dicembre: «Questo parere sanitario conferma che l'Aia non ha risolto il problema. Se ne deduce che non è efficace nei confronti della popolazione ed è il motivo per cui andrebbe annullata: perché c'è un problema di salute pubblica acclarato e l'Aia non lo risolve. Ci auguriamo che la Regione l'annulli e che nel frattempo, come suggeriamo da mesi, il Comune di Trieste provveda a dotarsi di un supporto legale forte ed esterno al fine di ribattere prontamente a pareri a nostro avviso discutibili».

Giovanni Tomasin

 

 

Crolla la produzione di miele - Il caldo record spiazza le api - Perdite superiori al 50%. Operatori in ginocchio. Sollecitato l'aiuto della Regione

Negli alveari manca ormai il nettare necessario ad alimentare gli sciami di insetti - La primavera incerta, lo stress nei favi e la richiesta di indennizzi - Le tappe - Il freddo e le piogge di aprile e maggio, seguite dalle temperature bollenti e dell'assenza di piogge di questa estate, hanno impedito ai fiori di svilupparsi. E i fiori si sono rivelati privi di nettare. L'assenza di nettare ha impedito alle operaie di alimentarsi in maniera adeguata compromettendone il "lavoro" all'interno del favo al punto che viene ora alimentata l'ape regina per stimolare l'intera covata. Di fronte a queste condizioni proibitive, gli apicoltori fanno appello alla Regione, chiedendo la presa d’atto di quello che viene considerato un autentico stato di calamità e sollecitando l’erogazione di indennizzi.
TRIESTE«In trent'anni e più che esercito il mestiere di apicoltore non mi è mai capitato di vivere un'annata negativa come questa. E la cosa che più preoccupa è che arriva dopo altre quattro stagioni consecutive tutt'altro che positive». Parola di Fausto Settimi, uno dei produttori di miele più blasonati e preparati del comprensorio triestino. Come nel resto d'Italia, anche sul Carso triestino e sulle colline che circondano il centro storico gli apicoltori sono in ginocchio. L'annata 2017 verrà ricordata tra le più negative per le quantità prodotte, soprattutto per quella calura insopportabile che sta mettendo a dura prova la sopravvivenza negli alveari delle piccole operaie. «Le api sono delle autentiche sentinelle dello stato di salute dell'ambiente. La loro sofferenza è un chiaro indice di quei cambiamenti climatici che stanno avvenendo a grande velocità. C'è di che preoccuparsi - prosegue Settimi -, anche perché sono proprio le api a fecondare quei fiori che ci danno i frutti. Pochi se ne rendono conto ma, se muore l'ape, muore la nostra agricoltura. Il nostro mondo». C'è poco da stare allegri insomma: da tutte le parti del Bel Paese giungono brutte notizie sulla produzione mellifera. Complice una primavera dal tempo altalenante, le prime fioriture sono state poco frequentate dalle api. Al freddo e alle piogge di aprile e maggio ha fatto seguito un'estate bollente e siccitosa che ha impedito ai fiori di svilupparsi. E la piaga degli incendi ha fatto poi il resto. «Qui da noi la primavera prometteva bene - riprende Settimi -. Le fioriture erano superbe, gli alberi di robinia (acacia) grondavano di fiori profumati. Purtroppo due fattori hanno condizionato la produzione di uno dei mieli più richiesti: la fioritura anticipata delle acacie ha colto impreparate le api. Le successive piogge e il freddo hanno poi provocato un fenomeno che ci ha colto di sorpresa: i fiori erano privi di nettare». «Un fatto davvero strano - interviene Vilma Carboni, produttrice di Grozzana - che ha azzerato quasi completamente quella che è la nostra principale produzione, per l'appunto il miele d'acacia». «Abbiamo successivamente rialzato il capo con la produzione del miele di tiglio - sostiene il produttore carsolino Alessandro Podobnik -, ma le terribile calure di questa parte d'estate hanno progressivamente seccato i fiori compromettendo le altre produzioni. Ora siamo nelle condizioni di dover nutrire l'ape regina per stimolare la covata». Il poco miele presente negli alveari serve sempre di più a quelle api che, attraverso il proprio volo, cercano di disperdere la poca acqua che, con fatica, portano nell'alveare. Un impegno gravoso per tentare di mantenere all'interno della propria casa un clima vivibile. Per fare questo hanno bisogno di quelle scorte del miele che, oltre a rappresentare il carburante necessario al mantenimento attuale dell'arnia, serviranno a superare un inverno di cui ancora non si può conoscere l'entità del freddo. «Di fronte alla magra annata precedente, quella attuale presenterà delle perdite oltre il 50 per cento, con punte fino all'80% del prodotto. Se in tempi brevissimi non caleranno le temperature e non pioverà - spiega Ales Pernarcic, presidente del Consorzio Apicoltori triestini che conta un centinaio di produttori - dovremmo assolutamente alimentare le api». «Per evitare quanto successo nel 2003 - afferma Fausto Settimi - consiglio a tutti i colleghi di predisporre per tempo le scorte. So che alcuni di noi pensano di rifarsi con il frutto di una delle ultime fioriture, l'edera, ma non è possibile affidarsi a una speranza. Da parte mia ho già notato come in alcuni miei alveari le api non abbiano più del nettare con cui nutrirsi. Il passo successivo, se non si provvede, è che mancando il cibo le piccole operaie inizino a nutrirsi con le proprie larve, segnando così la fine di tutto l'alveare. Provvedere alle scorte comporta l'accollamento di notevoli spese - continua Settimi -. Ritengo che la Regione debba prendere atto di quello che ormai è un vero e proprio stato di calamità e aiutarci con degli indennizzi».

Maurizio Lozei

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 11 agosto 2017

 

 

L'operazione Microsoft apre il rilancio del ghetto - Il via al maxicantiere di Teorema foriero di disagi per chi abita e lavora in zona
Confronto esercenti-Comune per farne un'occasione di ripresa commerciale
Con il recente avvio del cantiere che trasformerà i civici 1 e 2 di piazza della Borsa nel quartier generale di Teorema, partner italiano di Microsoft specializzato in "innovation technology", ha preso il via, di fatto, anche il piano di restyling e rilancio del antico ghetto ebraico. Da mesi è iniziato un confronto tra esercenti della zona e amministrazione comunale per individuare le iniziative da adottare per limitare i disagi e i danni derivanti dai lavori di recupero e trasformazione del grande stabile tra piazza della Borsa e via delle Beccherie. Contemporaneamente, chi gestisce le attività commerciali del ghetto ha messo sul piatto una serie di richieste per ridare slancio a quell'area. Nuova cartellonistica, panchine, fioriere, possibilità per i rigattieri di esporre le merci e una più puntuale pulizia dell'area sono le esigenze di chi lavora e vive in quell'angolo di Trieste. Per anni il ghetto ebraico ha rappresentato a livello embrionale la zona di riferimento di quella che oggi è la cosiddetta movida triestina. Proprio lì sono nate le prime proteste dei residenti esasperati dall'assembramento di avventori fino a tarda notte. «Ma ora la movida ha preso altre direzioni - riscontra Stefano Lonza, titolare del locale Genuino e portavoce degli esercenti del ghetto - e questa zona sta scoprendo una nuova vocazione commerciale diurna, serale e soprattutto turistica». Da queste premesse nasce l'esigenza di un abbellimento di quelle stradine a due passi da piazza dell'Unità. Così una trentina di esercenti, a inizio estate, proprio in vista dell'avvio del cantiere da quattro milioni che interesserà a lungo il palazzo di proprietà della Fondazione Ananian, davanti alla preoccupazione per il conseguente montaggio di pedane e impalcature con polvere e rumore, hanno preso carta e penna e hanno scritto una lunga lettera indirizzata alla giunta Dipiazza. «Consapevoli dell'importanza della ristrutturazione di stabili parzialmente abbandonati in un'ottica comune di ripristino del patrimonio immobiliare - si legge nella missiva - è innegabile che nei prossimi 18, 24 mesi noi esercenti assisteremo ad un calo del fatturato del 30, 40 % causa la deviazione del passaggio pedonale che limiterà il flusso dei visitatori». E questo per il fatto che l'ingresso di via delle Beccherie già ora è bloccato in parte dalle impalcature utili al cantiere. A fronte di un ovvio disagio gli esercenti non si sono dati per vinti e, alle lamentele, hanno affiancato una serie di richieste per l'abbellimento del ghetto. Il loro piano di rilancio della zona è stato racconto dal consigliere comunale Michele Babuder che assieme ad altri colleghi di Fi, Piero Camber e Alberto Polacco, ha presentato una mozione in merito agli interventi utili a quell'area, approvata all'unanimità dal Consiglio comunale. «Abbiamo chiesto il nulla osta per esporre in concomitanza con gli accessi al ghetto delle targhe che indichino la zona, magari raccontandone anche la storia», spiega Lonza. «Vorremmo - aggiunge - che venga consentito ad antiquari e rigattieri di esporre in strada la loro mercanzia, ricreando quell'atmosfera tanto amata soprattutto dai turisti». «Stiamo dialogando inoltre con l'amministrazione per arredare il ghetto con fioriere e panchine creando così piacevoli angoli di sosta - spiegano gli esercenti - aumentando però anche i cestini per la raccolta della spazzatura».L'assessore Lorenzo Giorgi, che si è già confrontato con i commercianti del ghetto, ha avviato un dialogo con la Soprintendenza per ottenere intanto il via libera per il posizionamento della cartellonistica e ha organizzato per questi giorni un incontro tra le realtà coinvolte. Nell'immediato, per far fronte ai disagi del cantiere, gli esercenti hanno invece chiesto una riduzione della tassa di occupazione del suolo pubblico per i pubblici esercizi che gravitano in quella zona, un controllo severo delle emissioni acustiche derivanti dai lavori, il lavaggio delle strade coinvolte dal passaggio di mezzi edili, l'obbligo di disinfestazione dello stabile di via delle Beccherie 3, dove trovano riparo colombi, topi e insetti ,e l'abbellimento delle impalcature magari con immagini di come verrà trasformato quel palazzo dopo la ristrutturazione.

Laura Tonero

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 10 agosto 2017

 

 

Ferriera - Dipiazza: «Arvedi protetto dall'Aia»

Il sindaco Roberto Dipiazza replica alle dichiarazioni dell'assessore regionale all'Ambiente Sara Vito in merito alla diffida inviata dal Comune di Trieste con cui si chiede l'annullamento dell'Aia della Ferriera. «La grottesca e banale risposta dell'assessore potrebbe essere un invitante assist per facili battute, ma non mi interessa il ping pong istituzionale: mi preme, piuttosto, arrivare alla chiusura dell'area a caldo della Ferriera. La Vito farebbe bene a spiegare ai cittadini che l'Aia che la Regione ha concesso alla Ferriera è uno scudo normativo che permette alla proprietà dello stabilimento siderurgico di operare al di sopra e al di fuori della normale normativa in materia ambientale».

 

 

San Dorligo, via al tavolo anti odori molesti - Insediato il nuovo organismo composto da Municipio, Arpa, Asuits, Regione e Comune di Muggia
SAN DORLIGO DELLA VALLE - Inizia a San Dorligo della Valle la battaglia contro gli odori molesti. Dopo mesi di attesa, caratterizzati dalle proteste di centinaia di residenti, in particolare di coloro che vivono nei pressi dei serbatoi della Siot e dello stabilimento della Wärtsilä, si è insediato il tavolo tecnico che l'amministrazione comunale guidata dal sindaco Sandy Klun ha proposto di instaurare con la collaborazione dell'Arpa. L'istituzione del tavolo è la prima risposta concreta alla raccolta di firme promossa dai residenti. Klun, fin dall'inizio del mandato, ha istituito numerose commissioni consiliari con il coordinamento dell'assessore Franco Crevatin; fra esse anche quella che si occupa dell'ambiente, di cui è presidente Roberto Potocco (Pd). L'organo consiliare si è occupato del fenomeno delle molestie olfattive. Con l'apporto dei suoi componenti e la collaborazione di un nutrito gruppo di cittadini ha effettuato una raccolta dati per sei mesi, che ha ulteriormente evidenziato la vasta diffusione del fenomeno, giudicato insopportabile da molti residenti. Alla prima seduta hanno partecipato, oltre al sindaco Klun e ai componenti la commissione, esponenti dell'Arpa regionale e della sezione provinciale, del Dipartimento di prevenzione dell'Azienda sanitaria, dell'assessorato all'Ambiente di Muggia e della Regione. Questo primo appuntamento ha avuto quale tema principale l'indirizzo e le tematiche di carattere tecnico originate dalla carente legislazione relativa alle emissioni odorigene. «Il nostro Comune - ha ricordato Potocco - annovera nel suo territorio una meraviglia della natura, la riserva della Val Rosandra, ma al contempo ospita anche la più alta concentrazione di siti industriali della provincia. Come tavolo tecnico - ha aggiunto - porremo la massima attenzione al compromesso, oggi inevitabile, tra lavoro, salute e ambiente. Alle prossime riunioni - ha concluso - saranno invitati anche i responsabili delle realtà industriali del territorio e i rappresentanti dei cittadini». Sull'argomento va registrata un'interrogazione del consigliere regionale dell'Unione slovena, Igor Gabrovec: «A 50 anni dalla realizzazione del terminale petrolifero della Siot - ha scritto - gli abitanti del territorio comunale di San Dorligo della Valle Dolina continuano a dover pagare un prezzo troppo alto in termini ambientali, di salute e di vita quotidiana. Chiedo alla Regione - ha aggiunto - se sia in possesso di dati scientifici e aggiornati riguardanti l'impianto della Siot e cosa intende fare per tutelare i cittadini».

Ugo Salvini

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 9 agosto 2017

 

 

Il Comune diffida la Regione sulla Ferriera - Dipiazza firma la lettera: «Aia fuorilegge, va annullata». L'assessore Vito: «Mossa che crea solo caos»
Il Comune diffida la Regione, reclamandole l'annullamento dell'Aia - l'Autorizzazione integrata ambientale, che è appunto di competenza della Regione - rilasciata alla Ferriera. L'atto di diffida, firmato dal sindaco Roberto Dipiazza, oltre agli uffici competenti, è stato trasmesso ieri alla presidente Debora Serracchiani e all'assessore regionale all'Ambiente Sara Vito. Nella lettera, in sostanza, il Comune diffida la Regione, nella persona della sua presidente, di annullare per l'appunto l'Aia della Ferriera «per il difetto sostanziale - così si legge in un comunicato diffuso nel pomeriggio di ieri dal Municipio - del mancato recepimento del parere obbligatorio del sindaco, come previsto dal Testo Unico, delle leggi sanitarie». «In subordine», aggiunge il comunicato, il Comune chiede «il riesame dell'Aia sia al fine di dare applicazione al principio di precauzione per prevenire i rischi per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente, facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali interessi su quelli economici, sia al fine di acquisire i pareri dei soggetti firmatari gli accordi di programma, al fine della modifica dei termini contenuti nei medesimi ed integralmente richiamati nell'Aia», e tra questi soggetti firmatari pure i «competenti ministeri». Secca la replica della Regione, per bocca dell'assessore Vito: «Va ricordato che la massima autorità sanitaria è il sindaco, il quale potrebbe adottare, se ritiene ne ricorrano i presupposti, i provvedimenti di sua competenza. Viene da chiedersi perché tali provvedimenti, ad esempio ordinanze urgenti, non siano stati adottati, preferendo invece diffidare la Regione a farlo al posto suo». «È poi del tutto irricevibile - insiste Vito - l'insinuazione del Comune che un soggetto istituzionale come la Regione abbia potuto dare prevalenza agli interessi economici su quelli connessi alla protezione di salute e ambiente. Innumerevoli e tangibili iniziative dimostrano che mai è mancata l'attenzione primaria della Regione verso la salute di lavoratori e cittadini, e verso l'ambiente. E se occorressero prove ulteriori, basterebbe ricordare che a seguito dello scrupoloso rispetto delle norme ambientali posto in atto dalla Regione, che ha imposto un rallentamento della produzione, questa istituzione ha subito un ricorso avanti il Tar, mosso dall'Acciaieria Arvedi. Questo atteggiamento purtroppo non giova alla causa di far funzionare al meglio gli strumenti che abbiamo a disposizione, ma contribuisce solo a creare un clima confuso, in cui allo stesso tempo vengono illusi quanti vogliono che l'area a caldo della Ferriera sia chiusa e si sconcertano anche quanti sono convinti che possa continuare a produrre in modo sostenibile». «La diffida contiene degli elementi di natura tecnica che saranno esaminati dagli uffici - chiosa Vito - con l'usuale attenzione ed equilibrio».

 

 

Il porta a porta a Muggia slitta al 2018 - L'iter burocratico posticipa lo start da ottobre a inizio anno. Le lezioni a scuola, invece, partiranno subito
MUGGIA - Quando partirà effettivamente a Muggia il servizio della raccolta dei rifiuti porta a porta? E che fine ha fatto la campagna di informazione per i cittadini che avrebbe dovuto coinvolgere in primis gli studenti rivieraschi? Dopo diversi mesi di silenzio su uno degli argomenti più caldi dell'agenda politica della giunta Marzi, tema che toccherà estremamente da vicino i residenti di Muggia rivoluzionandone la vita quotidiana, è arrivata la conferma che il servizio slitterà rispetto al cronoprogramma preannunciato dalla giunta Marzi nello scorso aprile.«Il bando per l'acquisto dei bidoni e per l'affidamento del servizio è partito: i tempi previsti sono quelli di tutti i bandi di gara europei, che prevedono al massimo sei mesi, dunque con l'inizio del nuovo anno Muggia si affaccerà concretamente a questo nuovo tipo di raccolta», racconta l'assessore all'Ambiente Laura Litteri. Da autunno - il mese indicato originariamente in commissione era stato quello di ottobre - si è passati dunque ai primi mesi del 2018. Per quanto riguarda invece la formazione degli studenti muggesani, prevista per l'anno scolastico già terminato senza alcuna azione concreta, l'assessore Litteri rassicura: «Col nuovo anno scolastico avrà inizio, previo accordo organizzativo con le scuole, la campagna informativa proprio a partire dagli istituti scolastici. A seguire, poi, organizzeremo gli incontri con i cittadini». Litteri ha anche preannunciato riduzioni in vista: «Il nuovo servizio porta a porta vedrà una riduzione del costo di trattamento dei rifiuti, in quanto aumenteranno le percentuali delle frazioni che non hanno costi di smaltimento, come la carta, la plastica ed il vetro, mentre diminuirà la percentuale di rifiuto solido urbano il cui smaltimento costa 130 euro a tonnellata. Naturalmente, più bravi saranno i cittadini a differenziare, più si ridurranno tali costi». Ricordando come lo smaltimento dei rifiuti sia un servizio che viene finanziato con i soldi della Tari, «quindi in modo diretto, con il denaro dei cittadini», l'assessore fa presente che con il cambiamento del servizio cambierà, ovviamente, anche il suo costo: «Sia perché nel nuovo appalto stipulato con Net è previsto un notevole incremento nella frequenza di pulizia delle strade, sia perché la raccolta porta a porta richiede maggior manodopera oltre ovviamente al necessario acquisto di appositi bidoncini che verranno consegnati agli utenti». Un incremento che risponde, pertanto, a diversi fattori: «L'amministrazione comunale ha rivolto la massima attenzione non solo alle nuove dinamiche di raccolta ma anche, e soprattutto, alle tariffe in modo da incidere il meno possibile sulle tasche dei cittadini. In tal senso, per esempio, si colloca la scelta di spalmare in un arco di otto anni il costo per l'acquisto dei contenitori, scelta volta a ridurre al minimo gli aumenti della Tari».

Riccardo Tosques

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 8 agosto 2017

 

 

Servola - Nuvola rossa dalla Ferriera a causa del maltempo
La fumata rossastra che domenica sera, attorno alle 20, è uscita da uno dei camini della centrale era composta da polveri del processo di agglomerazione, sfuggita in atmosfera a causa del malfunzionamento dei filtri. Lo fa sapere la Siderurgica triestina il giorno dopo l'incidente. Il problema ha interessato infatti la cappa di aspirazione dell'agglomerato, laddove si fondono assieme le polveri più sottili del coke prodotto dalla cokeria. A causa di una mancanza di corrente i filtri hanno smesso di funzionare e il prodotto è uscito dal camino senza che gli abbattitori li trattenessero. La causa è stata appunto un calo di corrente causato dall'imminente temporale: tutto l'impianto lavora ad alta tensione, quindi è sufficiente che ci sia un problema sulla linea in Carnia perché si possano ingenerare effetti simili. In risposta, il Comitato 5 Dicembre è andato ieri pomeriggio davanti al Comune per incontrare il sindaco Roberto Dipiazza e il vicesindaco Pierpaolo Roberti, che dicono essere imminenti iniziative per arrivare alla chiusura dell'area a caldo. «Pubblicheremo presto i video dell'incontro», scrive il Comitato sulla sua pagina. Interviene nel frattempo anche il consigliere regionale M5S Andrea Ussai: «Insieme ai cittadini di Trieste e dei comuni limitrofi chiediamo ad Acciaieria Arvedi e alla giunta Serracchiani come intendano fare fronte subito a queste problematiche destinate a ripetersi costantemente ogni volta che il maltempo tornerà a interessare la nostra città». E ancora: «Non è più sufficiente che la Regione prosegua con la sola emissione di diffide e richieste di rispetto di tempistiche precise per la conclusione dei lavori. Alla luce degli spolveramenti sempre più frequenti e che non possono certo essere più definiti episodici, ricordiamo che la normativa nazionale prevede che si possano prendere misure ben più drastiche».

(g.tom.)

 

 

Colossi verdi sotto tutela in Fvg - Nascono i fondi di salvaguardia
La Regione è la prima in Italia ad aver varato un regolamento per interventi ad hoc su alberi ultrasecolari alti anche trenta metri e su arbusti più piccoli ma "storici"
TRIESTE - Il gigantesco platano del giardino pubblico Muzio de Tommasini a Trieste, il larice di Malga Lussari con i suoi cinque secoli di storia, il tiglio tricentenario che signoreggia a Rutte piccolo di Tarvisio, il tasso che accoglie i visitatori nel parco di Villa Manin a Passariano. Sono alcuni dei più famosi alberi monumentali del Friuli Venezia Giulia: anziani colossi della vegetazione, che vedranno la Regione impegnarsi economicamente per garantirne cura, mantenimento e valorizzazione. Il Fvg è primo in Italia a dotarsi di un regolamento che prevede contributi da cinquecento a cinquemila euro per i cosiddetti grandi arbusti, che necessitano di attenzioni particolari come ogni vegliardo che si rispetti. Con la differenza che, in paragone al ciclo di vita di un essere umano, qui si parla di secoli trascorsi a immobile guardia del territorio e di dimensioni che possono superare quelle di un palazzo di dieci piani. Niente di simile alla vertigine causata dalle sequoie americane o dai baobab africani, ma si tratta ad ogni modo di veri giganti verdi. È il caso della quercia visibile presso il bivio di Fossalon, lungo la strada provinciale Monfalcone-Grado, alta trenta metri e con una circonferenza di oltre quattro. Più alto e leggermente più magro è il pioppo nero piantato chissà quanto tempo fa nel parco Policreti, a Castel d'Aviano, con un'altezza di 36 metri. Un vero colosso si trova poi a Foro Boario, dove sorge un platano da 35 metri e più di 5 di circonferenza. Ma i record del Fvg si registrano a Villa Zorze Rossetti (Latisana), Villa Beni Rustici (Precenicco) e Camporosso: rispettivamente un olmo da 36 metri e ben sette di circonferenza, un tiglio alto 42 metri e con un giro vita da cinque, un faggio di 40 metri d'altezza e 5,3 di circonferenza. Giganti sì, ma soprattutto antichi e dunque bisognosi delle mani più accorte per continuare il proprio ciclo di vita di stagione in stagione. Alcuni non contano tanto per dimensioni ma per le vicende storiche cui sono legati. Come la magnolia piantata nel 1863 a Gorizia dagli irredentisti italiani: un arbusto sempreverde che in terra austriaca faceva sbocciare fiori bianchi e nascere frutti rossi, riproducendo così i colori della bandiera italiana, senza possibilità di censure imperiali. E, ancora, il pino che si trova nei pressi delle scuderie del parco di Miramare, basso ma dal tronco e dalla chioma imponenti, muto spettatore delle passeggiate romantiche di Massimiliano e Carlotta, così come del frettoloso andirivieni degli ufficiali angloamericani, che fecero del castello il proprio quartier generale. La delibera regionale prevede ora un contributo spese per gli interventi di potatura e di cura delle radici, consolidamenti, trattamenti della chioma, valutazioni sulla stabilità della pianta e sulla presenza di malattie. Prevenire è meglio che curare e la norma stabilisce anche il sostegno a miglioramenti del contesto ambientale che circonda l'albero, con interventi biologici sulle condizioni del suolo, installazione di sistemi parafulmine, posa di steccati e recinzioni, costruzione di pavimenti sollevati e areati che permettano di girare attorno all'albero evitando il compattamento del terreno. Non mancano la pulizia del sottobosco e la rimozione di piante infestanti. Il provvedimento punta infine alla valorizzazione a fini turistici e dunque ammette il supporto per iniziative di divulgazione. «Il Fvg - spiega l'assessore alle Infrastrutture Mariagrazia Santoro - è la prima Regione in Italia, insieme alla Sardegna, ad aver schedato gli alberi monumentali, operazione propedeutica alla salvaguardia di questo importante patrimonio naturale che, per le sue caratteristiche, assume anche valore storico e culturale. Riconosciamo un interesse pubblico legato alla loro salvaguardia e siamo la prima Regione in Italia che ha previsto degli appositi finanziamenti: alla base della nostra scelta c'è il fatto che abbiamo riconosciuto nell'operazione un importante riscontro sia di tipo naturalistico ambientale, sia turistico». Gli arbusti secolari richiamano infatti un numero crescente di appassionati e su internet non sono pochi i siti che raccolgono immagini e storie di questi alberi, che diventano simbolo di continuità per le comunità che si sono sviluppate negli anni attorno a essi. Questione di ecologia dunque, ma anche di memoria dei luoghi. La domanda di finanziamento va presentata entro trenta giorni dal proprietario del fondo in cui si trova l'albero monumentale. Il contributo è comunque strutturale e sarà possibile richiederlo entro il 31 gennaio di ogni anno. Il tetto dei cinquemila euro vale per gli interventi di potatura, cura delle ferite e delle radici, consolidamenti e trattamenti della chioma, mentre per il miglioramento del contesto ambientale non si potranno superare i duemila euro. Per le altre iniziative, il valore massimo sarà pari a cinquecento euro.

Diego D'Amelio

 

 

«Una guerra dietro i rifiuti bruciati» - L'ambientalista Ganapini: «Troppi incidenti si verificano negli impianti di deposito»
ROMA - L'hanno chiamata disattenzione, guasto al circuito elettrico, autocombustione. In realtà è una vera e propria guerra, divampata negli ultimi tre anni da nord a sud: in Italia 130 impianti di trattamento, stoccaggio o deposito dei rifiuti hanno preso misteriosamente fuoco, mandando in fumo insieme ai macchinari anche un intero comparto industriale. «Abbiamo perso tre milioni di tonnellate di capacità di riciclaggio: praticamente, ci siamo tagliati da soli una gamba», commenta Walter Ganapini, riconosciuta autorità in materia: se ne occupa dalla metà degli anni Settanta, quando chi parlava di rinnovabili o di economia circolare sembrava un marziano. Da tecnico, ha collaborato con amministrazioni di destra e di sinistra, risolvendo anche emergenze notevoli; questa è una delle più dure, e un tecnico può solo lanciare l'allarme. Il 27 luglio 2014 ad Albairate, nell'hinterland milanese, va a fuoco l'impianto destinato a trattare i rifiuti organici dell'Expo. Che inizierà 9 mesi dopo. «Le fiamme divampano in tre punti diversi, l'autocombustione è impossibile perché il compost non brucia da solo e perché la temperatura nel capannone non supera mai i 60 gradi. Ma mentre si indaga sulle cause, c'è un'emergenza da risolvere: bisogna cambiare destinazione dei rifiuti in fretta, perché all'Expo non manca molto, e naturalmente aumenta il costo in bilancio. È un segnale poderoso, una dichiarazione di guerra. Tre anni dopo, purtroppo, la trincea è dappertutto». Chi combatte contro chi? «Le possibilità per i rifiuti sono due: si recuperano oppure vanno in discarica. Alla comunità conviene recuperarne il più possibile, perché il rifiuto riciclato è una risorsa. I proprietari di discariche, invece, hanno l'interesse contrario, perché rischiano di restare senza lavoro. E se gli impianti di riciclaggio bruciano, la scelta è una sola: mandare ogni cosa in discarica, anche i rifiuti recuperabili. Non lo dico io, ma il magistrato Roberto Pennisi, della direzione nazionale antimafia: bruciare è la migliore scorciatoia, quando vuoi guadagnare di più». Non stanno bruciando solo gli impianti, ma anche i rifiuti riciclabili. «E questo è un altro problema. Dopo aver incassato gli incentivi pubblici per il riciclo, si è scoperto che molti imprenditori, anziché recuperare i rifiuti plastici, li spedivano in Cina. Ora che Pechino ha bloccato il flusso illegale, li bruciano. Se sei tra l'altro assicurato contro gli incendi, non ti viene la tentazione di far dare fuoco a tutto da qualcuno, mentre magari passi le vacanze a Cortina? Nessuno mi toglie dalla testa che anche i recenti fuochi sul Vesuvio siano serviti a occultare pratiche illegali. Del resto, basta guardare i posti e collegarli alle discariche, e ripensare a quando i tedeschi smisero di prendere le presunte ecoballe perché radioattive». Se è una guerra, lo Stato come si sta difendendo? «In alcune regioni, i carabinieri forestali stanno lavorando seriamente. Le forze dell'ordine sanno bene che il nodo da sciogliere è al livello superiore: ogni impianto che va in crisi, libera spazio per i traffici di altra natura, non gestiti dallo Stato ma delle mafie. E così, tanto per fare un esempio, bisogna capire quali siano gli interessi dei grandi clan in tutte le regioni del nord, perché la mano della criminalità organizzata in questa guerra dei rifiuti è una costante».

Andrea Sarubbi

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 7 agosto 2017

 

 

Unimpresa: «Mezzo milione di immobili in dissesto» - LA RICERCA
ROMA - In Italia ci sono quasi mezzo milione di immobili in dissesto, che risultano parzialmente o totalmente inutilizzabili. Si tratta per l'esattezza di 452.410 costruzioni classificate, secondo i parametri catastali, come degradate. A rivelarlo è Unimpresa, secondo la quale il rapporto rispetto agli edifici "sani", che in totale risultano essere 62.861.919, è pari allo 0,72%. Sono dieci le province più a rischio: la maggior parte sono situate nel Sud del Paese, anche se spiccano alcune realtà del Nord Ovest. In tutto il resto del Paese si contano 345.848 costruzioni degradate e 58.393.439 edifici "sani", con un rapporto medio dunque pari allo 0,58%.«Al di là delle preoccupazioni sul versante della sicurezza, l'area che abbiamo fotografato, ovvero degli immobili catastalmente rovinati, rappresenta una possibile fonte di sviluppo dell'economia, per il settore dell'edilizia e per tutto l'indotto, dall'arredamento agli accessori», commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara. «Bisogna insistere anche per quanto riguarda la valorizzazione di alcuni beni sul fronte artistico e culturale, con tutto quello che se ne può trarre anche per il turismo», aggiunge ancora Ferrara. Secondo l'analisi condotta da Unimpresa, basata su dati della Corte dei conti e dell'Agenzia delle Entrate aggiornati al 2015, le 10 province con il maggior numero di immobili degradati sono: Frosinone (28.596 degradati e 410.813 «sani», con un rapporto pari al 6,96%); Cosenza (1,90%); Cuneo (1,38%); Benevento (4,22%); Foggia (1,47%); Aosta (2,88%); Siracusa (1,87%); Piacenza (1,36%); Verbanio Cusio Ossola (1,99%); Vibo Valentia (2,74%).

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 6 agosto 2017

 

 

Bonifiche in area ex Ezit, la Regione accelera - Via libera della giunta all'analisi del rischio per liberare spazi a disposizione delle realtà produttive
Nuovo deciso passo avanti verso il riuso delle aree dell'ex Ente zona industriale di Trieste. La giunta del Friuli Venezia Giulia, su proposta dell'assessore regionale all'Ambiente ed energia Sara Vito, ha approvato la delibera per l'adozione del documento di analisi di rischio relativo ad alcune aree di proprietà già dell'Ezit ed aree alienate dallo stesso ente industriale a privati, localizzate nell'area della Valle delle Noghere e del Rio Ospo in territorio del Comune di Muggia. Il documento verrà trasmesso nei prossimi giorni al ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare per la Conferenza dei servizi e l'approvazione finale prevista dalla legge, che permetterà di rendere usufruibili alle imprese quelle zone nelle quali la modellizzazione di analisi di rischio o la caratterizzazione ambientale abbiano evidenziato il rispetto dei limiti stabiliti dalla normativa, mentre per le restanti aree sono state individuate le modalità con cui intervenire ai fini della bonifica. Su questi lotti industriali delle Valli delle Noghere e del Rio Ospo, la Regione, attraverso la direzione Ambiente, aveva iniziato a procedere con l'analisi del rischio all'inizio di quest'anno. Come ha sottolineato l'assessore Vito, questo atto della giunta è la prova della determinazione con la quale la Regione ha seguito l'iter per la soluzione di un problema che «attanaglia da molti anni le possibilità di crescita di questo territorio». «In attesa della Conferenza dei servizi al ministero - ha affermato l'esponente dell'esecutivo Serracchiani -, nella quale verrà affrontato il tema delle bonifiche alla luce del documento della Regione sulle analisi di rischio, l'obiettivo del riuso concreto di una significativa parte dell'area Ezit ha segnato un altro avanzamento a beneficio di quelli che sono i potenziali benefici a favore dello sviluppo economico». «Infine - ha concluso l'assessore regionale Vito -, per le altre aree, quelle che necessitano di un minimo intervento di bonifica e quelle che invece hanno bisogno di un'azione più importante, il percorso dei lavori è stato tracciato individuando le opere necessarie e i relativi costi».

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 5 agosto 2017

 

 

Raccolta differenziata a quota 40 per cento - Prosegue il trend virtuoso grazie alle campagne su umido e rifiuti ingombranti di AcegasApsAmga
Migliora sensibilmente la raccolta differenziata dei triestini che, dopo il trend in costante crescita registrato a partire dall'inizio del 2017, si è ora assestata a quota 40%. Un risultato importante, sottolinea AcegasApsAmga, frutto dell'impegno congiunto da parte di cittadini, multiutility e Comune. Due in particolare nel corso del 2017 le iniziative ritenute determinanti nell'ottica dell'incremento della raccolta differenziata. La prima è stata la nuova campagna anti-abbandono ingombranti, reclamizzata dall'immagine di un divano logoro sul marciapiede di una via notturna e la frase "non abbandonarli in mezzo a una strada". «È interessante notare come già dall'inizio del 2017, a solo un mese di distanza dall'inizio della campagna, si sia assistito ad un incremento dei conferimenti di rifiuti ingombranti nei centri di raccolta - si legge in una nota di AcegasApsAmga -: da gennaio a febbraio l'aumento è infatti stato del 14% e addirittura di circa il 50% da gennaio a marzo. Nei mesi successivi il dato si è assestato rimanendo fisso sopra le 200 tonnellate di ingombranti conferiti. Un altro importante fattore che ha permesso di superare la soglia del 40% di raccolta differenziata è risultato essere il rifiuto umido organico domestico che nel mese di maggio ha superato per la prima volta le 500 tonnellate. «Si tratta di una quantità mai raggiunta a Trieste dall'introduzione della raccolta differenziata per questo tipo di rifiuto per il quale AcegasApsAmga e Comune hanno realizzato molteplici iniziative per incentivare i triestini a conferirlo correttamente - prosegue il comunicato dell'ex municipalizzata -. In particolare, a cavallo dei mesi di aprile e maggio, AcegasApsAmga e Comune hanno realizzato una campagna di sensibilizzazione dedicata proprio al rifiuto umido domestico dal titolo "L'Umido che fa la differenza" durante la quale sono stati distribuiti più di 6 mila cestini per la raccolta domestica, un dato che evidenzia l'impegno dei triestini al conferimento corretto del rifiuto umido-organico». Sempre nell'ambito del rifiuto umido, anche gli sfalci e le ramaglie hanno visto un incremento di circa il 100% dei conferimenti rispetto allo stesso periodo del 2016, anche grazie al posizionamento in città di quasi 100 nuovi cassonetti per la raccolta stradale di sfalci e ramaglie derivanti dalle potature dei giardini domestici. Il buon andamento della raccolta differenziata della frazione organica risulta di particolare rilievo anche in vista del fatto che AcegasApsAmga ha avviato a recupero il 96,2% di quanto raccolto per produrre compost ed energia elettrica rinnovabile, come rendicontato dal report "Sulle Tracce dei Rifiuti".

 

 

Il Comune "mappa" gli incidenti - È via Crispi la regina dei sinistri - sicurezza stradale»il dossier
Ci sono 61 sfumature di pericolo stradale che consigliano autisti, pedoni, ciclisti, motociclisti e viandanti a vario titolo a un supplemento di prudenza. I 61 "warning" sono stati individuati dallo studio, che fa riferimento al quinquennio 2012-16, intitolato "Analisi sull'incidentalità degli assi viari". Il lavoro, che è stato condotto dal servizio comunale diretto dall'ingegner Giulio Bernetti, consentirà all'assessorato all'Urbanistica di varare nei prossimi mesi un Piano della sicurezza stradale. I 61 punti critici sono emersi al termine di un'analisi che è stata effettuata intrecciando un voluminoso reperto documentario che spazia dai verbali delle diverse polizie fino alle segnalazioni giunte dalle circoscrizioni. Si tratta di un lavoro che ha portato a dei risultati che hanno stupito gli stessi tecnici che lo hanno elaborato. Gli esiti sono in effetti sorprendenti. Avanti col primo quiz: qual è la via triestina con il più elevato tasso di incidentalità? Via Crispi. Difficile da indovinare, difficile anche pensare che lo stretto senso unico, che s'inerpica da via Carducci fino al Politeama Rossetti, sia un costante agguato alla sicurezza stradale. E come si evince la pericolosità della via dedicata allo statista siciliano? Lo staff di Bernetti ha sommato il numero di incidenti accaduti nel quinquennio (56) e lo ha messo in relazione con il traffico giornaliero medio (tgm). I 56 incidenti di via Crispi, in soldoni, "pesano" molto più dei 416 sinistri che nel quinquennio preso in considerazione si sono verificati in viale Miramare, strada che si è posizionata al quarto posto di questa speciale graduatoria. Questo perché il transito veicolare che interessa l'arteria che collega la stazione ferroviaria al castello asburgico, con 28.200 transiti giornalieri, è notevolmente più intenso rispetto al traffico che impegna via Crispi (2.500 transiti al dì). Dal rapporto stilato da Bernetti emerge quindi che via Crispi manifesta un'alta incidentalità alimentata dai numerosi incroci (via del Toro, via Nordio, via Timeus, via Paduina, via Brunner, via Gatteri, via Rossetti) e il rischio medio così calcolato suggerisce il punteggio di 1,23 (numero di incidenti ogni 100mila transiti): il più elevato tra le vie triestine monitorate. Tenendo conto che non vi è per forza un nesso tra l'intensità del traffico e la "patologia" incidentale, trova spiegazione la composizione del poco lusinghiero podio che, al secondo e terzo posto nella graduatoria "warning", vede rispettivamente via Cadorna e via Settefontane. Via Cadorna vanta una percorrenza veicolare piuttosto contenuta (3210/giorno) e un numero di incidenti che nel quinquennio in analisi ha raggiunto quota 63, con un rischio medio di 1,08. Ragionamento analogo per via Settefontane: 3370 "tgm" con 59 incidenti e un rischio medio che dà come parametro lo 0,96. Cadorna e Settefontane attraversano numerosi incroci: alle precedenze l'attenzione talvolta scema e le conseguenze - soprattutto se ci sono in ballo le due ruote - possono essere anche gravi. La top ten delle strade da affrontare con discernimento, dopo il già annunciato quarto posto di viale Miramare, prosegue con il quinto posto di via Valmaura, seguita da via Rossetti, da via San Francesco, da via Parini, da via Conti e da via Revoltella. Il dossier, dunque, raccoglie un'ampia casistica nell'area tra via Carducci, Barriera Vecchia e via Rossetti. Ma quali sono le vie meno afflitte da problemi legati alla sicurezza stradale? La capolista positiva, ovvero l'ultima nella graduatoria di pericolosità, è via Ghega, caratterizzata da un altissimo numero di passaggi (23650) ma, per fortuna, da pochi sinistri (46 in cinque anni). Più o meno per le stesse ragioni, sono percorribili (o attraversabili) con minore affanno riva Sauro, Rotonda del boschetto, via Battisti, San Giacomo, strada per Basovizza, strada nuova per Opicina, riva Ottaviano Augusto, viale dell'Ippodromo e corso Italia.«Questa graduatoria, che ci permetterà di stilare per la prima volta un Piano della sicurezza stradale per questo territorio, non è ancora operativa - spiega l'assessore Luisa Polli - . Condivideremo l'elenco con l'intero Consiglio comunale al rientro dalle ferie, prima di licenziarlo in giunta. Dopodichè individueremo gli interventi necessari per rendere maggiormente sicure le vie interessate. Per fare questo cercheremo di effettuare un'analisi qualitativa della situazione, cercando di capire, anche attraverso i verbali delle forse di polizia che sono intervenute in seguito ai sinistri, quali sono i motivi ricorrenti che causano tali incidenti». Nel frattempo alcuni interventi sul fronte della sicurezza stradale, richiesti con insistenza negli anni precedenti dai parlamentini rionali, sono già diventati esecutivi e sono ormai prossimi alle necessarie gare d'appalto: si tratta di attraversamenti, con annesse isole pedonali, che verranno predisposti in via Locchi, via Flavia e viale Miramare, in punti dove in passato si sono verificati degli investimenti.

Massimo Greco e Luca Saviano

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 4 agosto 2017

 

 

In treno a Fiume e Pola, bello e impossibile quanto a costi - La lettera del giorno di Fulvio Zonta
Periodicamente compare la proposta di nuovi treni viaggiatori su stazioni a noi care: ecco proposte per Fiume e Pola. Proviamo ad esaminare la fattibilità di tali treni. Prima soffermiamoci un attimo sulle regole. Con le nuove normative europee dal 1999 è caduto l'obbligo al trasporto ovvero quando bisognava trasportare tutto/tutti ovunque. Vige la convenienza economica che assieme alla richiesta di trasporto spinge un'impresa ferroviaria ad aprire un servizio. Il traffico locale è pesantemente penalizzato dai costi e tiene lontani i vettori. In Europa nessuno campa con i treni locali, servono alle volte per acquisire asset più appetibili. Ai tempi di Moretti i dati erano questi : Redditività trasporto locale ferroviario in Italia :0.12 cent/km/passeggero, su gomma 0,18 , in Europa 0,22 in Gran Bretagna 0.24 più la locomotiva. Moretti che si trovò una pesante eredità sosteneva di poter dare una buona offerta se la redditività su gomma fosse stata pagata come quella su strada. Dunque i vettori storici si tengono bene alla larga dal trasporto locale, le Regioni sovvenzionano una parte del costo del biglietto o acquistano materiale rotabile, alla fine generalmente alle gare compare solo Trenitalia. Vi ricordate i proclami di Montezemolo quando diceva che con Ntv sarebbe arrivato in Fvg ? Cinque anni dopo i suoi proclami avete visto qualche treno Ntv in regione ?Acquistare un treno Trieste Fiume o Pola vuol dire accedere con un pool di imprese alla conferenza oraria internazionale e richiedere le tracce, garantirne l'effettuazione per un numero congruo di giornate , sopportarne i costi da ammortizzare tra quanti viaggiatori ? Tra HZ (Ferrovie Croate), SZ (Ferrovie Slovene) e Trenitalia a chi gioverebbe il business ?Via ferrovia Trieste Pola sono 171km (+41% rispetto alla strada), Fiume km 127 (+67%) . In realtà il percorso orario via ferro è molto più lungo per le formalità ai transiti . Anche usando moderne motrici a trazione termica non andremmo lontano. Ultimo, ma non da meno, è necessario dotare le locomotive di un costosissimo sistema di sicurezza per poter viaggiare sui 31 km della Villa Opicina Trieste. Da non dimenticare la concorrenza di bus low cost che con efficacia svolgono il servizio. Quanto dovrebbe costare il biglietto ? Chi metterebbe la differenza tra il prezzo appetibile e i costi?

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 3 agosto 2017

 

 

Serracchiani al console sloveno - «La Regione è contraria al rigassificatore»

Non cambia la posizione della Regione Friuli Venezia Giulia rispetto al progetto di costruire un rigassificatore nel Golfo di Trieste. La decisa contrarietà dell'amministrazione regionale - riferisce la giunta regionale con una nota - è stata ribadita oggi, nel capoluogo giuliano, dalla presidente Debora Serracchiani durante l'incontro conoscitivo con il nuovo console generale della Repubblica di Slovenia a Trieste, Vojko Volk. Il punto di vista della Regione, ha spiegato Serracchiani, è motivato soprattutto dalle prospettive di sviluppo del Porto di Trieste, le cui attività non sono compatibili con la presenza in mare di un'infrastruttura di tale rilievo. Dal console è quindi giunto l'apprezzamento per l'orientamento della Regione che rende ancora più forte l'intesa tra la Slovenia e il Friuli Venezia Giulia. Volk ha infatti evidenziato come Lubiana tenga molto alla cooperazione transfrontaliera. «Veniamo da una collaborazione molto stretta - ha detto Serracchiani - che ci ha permesso di far ripartire le attività del Comitato congiunto tra la nostra regione e la vicina Repubblica».

 

 

«Il Parco del mare scommessa incerta per attrarre turisti» I dubbi degli esperti del “think tank” dell’ex sindaco Cosolini

Il principale problema sarebbe costituito dalla quantità minima di visitatori necessari per ottenere una redditivita' - Promossa invece la prospettiva del Centro congressuale

Dubbi sul Parco del mare, una visione ottimistica per il Centro congressi. Sono le due posizioni emerse dalla presentazione delle relazioni dell'incontro "L'impatto degli attrattori turistici: i casi Acquario e Centro congressi", organizzata nel luglio scorso dall'associazione Luoghi comuni, animata dall'ex sindaco e presidente Roberto Cosolini. All'incontro, di fronte a un pubblico di circa 150, intervennero oltre a Cosolini, il vicepresidente regionale Sergio Bolzonello e i ricercatori Vittorio Torbianelli e Gianfranco Depinguente.Le relazioni dei due tecnici sono state presentate ieri in un incontro al caffè San Marco e saranno disponibili da oggi sulla pagina Fb dell'associazione. Dice Cosolini: «Il nostro non è un "no" al Parco del Mare. Sottolineiamo dei nodi da sciogliere, anche se in questa città chi lo fa viene spesso fatto passare per chi non vuol fare le cose. Che poi non si realizzano proprio perché sono state affrontate con semplificazioni e unanimismi di facciata».Depinguente nel suo testo prende in analisi, criticandolo, il piano finanziario dell'acquario, e qualifica come improbabile l'afflusso da 800mila visitatori l'anno necessario alla sostenibilità del progetto. In ogni caso, spiega, la redditività della struttura non sarebbe tale da renderla attraente. Queste le sue conclusioni: «Il progetto nel suo insieme sembra presentare forti elementi di difficoltà che non lasciano prevedere una redditività appetibile per gli investitori. Sembra piuttosto un'opera pubblica alla ricerca di un gestore del servizio da svolgere». Un'opera pubblica, aggiunge, «che dovrebbe farsi carico delle perdite, permettendo invece al gestore utili non disprezzabili. Posto che le proprietà saranno diverse tra società di gestione e società di realizzazione, in pratica si ipotizza un utile per il privato investitore e una perdita per gli enti pubblici coinvolti. Il principale problema è costituito dalla quantità minima di visitatori necessari per ottenere una redditività. Infatti, con meno di 800mila visitatori, la gestione produrrebbe perdite. L'iniziativa è dunque a forte rischio di insuccesso». Nella sua relazione Torbianelli rileva come esistano modelli molto diversi di acquari in giro per il mondo, citando ad esempio l'esperienza di successo di un piccolo acquario giapponese dedicato alle meduse. Il tecnico rileva la necessità di «analisi costi-benefici integrate svolte da terzi secondo le prassi per gli investimenti pubblici e privati». La relazione di Torbianelli prende poi in analisi l'andamento positivo del mercato congressuale. Commenta Cosolini: «Il progetto del Centro congressi, visto anche il blocco del progetto Silos, merita in questa fase uno sforzo da parte delle istituzioni per costruire rapidamente le condizioni di una sua fattibilità». Quanto al Parco, il presidente di Luoghi comuni chiede di ragionare sulle «incognite economiche» della gestione e sulla posizione fra Porto Lido e Portovecchio: «Nel vecchio scalo sorgeranno Immaginario scientifico e Museo del Mare, teniamone conto». Questa la chiosa: «L'idea dell'acquario è del 2004. Dovrebbe aprire nel 2022 e pareggiare in vent'anni. Forse è meglio uscire da un impianto tradizionale che in questo tempo potrebbe rivelarsi obsoleto. La "sostenibilità etica" e le nuove tecnologie potrebbero portarci a fare qualcosa di veramente nuovo».

Giovanni Tomasin

 

 

I comitati smobilitano: «Mollati dal Comune» - Presidio anti Ferriera finito tra le polemiche. Dipiazza: «Procediamo verso la chiusura dell'area a caldo»
La rabbia e l'orgoglio. La rabbia: si sentono letteralmente presi in giro dal sindaco Roberto Dipiazza. Traditi dalle sue promesse. L'orgoglio: la lotta continuerà in altre forme, magari con una mega manifestazione sullo stile di quelle già viste a Trieste, con migliaia di cittadini in strada. Come annunciato, il popolo anti-Ferriera ieri ha concluso l'esperienza del presidio permanente, prima allestito in piazza Unità e poi in via delle Torri, per ben 43 giorni. Ma l'ascia di guerra, per la chiusura dell'area a caldo, è tutt'altro che sotterrata. Comitato 5 dicembre, No-smog e Fareambiente, dunque, non mollano. Le tre associazioni hanno preparato un dossier di 82 pagine che racchiude quanto il Comune ha messo o non messo in campo per fronteggiare l'annosa questione dell'inquinamento dello stabilimento. Ma cos'è accaduto nei rapporti con la giunta, fino a poco tempo fa idilliaci? «Siamo al punto zero», ha sintetizzato Alda Sancin di No-Smog. Andrea Rodriguez del Comitato 5 dicembre, parlando dal tendone di via delle Torri a fianco di Barbara Belluzzo, ha chiarito: «Il nostro presidio è nato da un accordo pubblico preso con il Comune durante l'assemblea del 24 maggio, secondo cui il Comune avrebbe dovuto far uscire un "atto forte" e noi l'avremmo supportato per fare in modo che la Regione accettasse di annullare l'Aia o di revisionarla. E portasse, durante questa revisione, la produzione ai minimi possibili».«Visto che questo atto non arrivava mai - si legge nel dossier - abbiamo deciso di partire lo stesso per smuovere l'immobilismo di tutti, Comune compreso». Nel corso dei 43 giorni si è visto di tutto, tra cui la diffida della Regione e i cinque spolveramenti. La giunta, di fronte a tutto ciò, «ha cominciato a prendere le distanze dalla protesta. Si è allontanata, fino a mollarci». Sono vari i quesiti sollevati. «Come mai - ha scandito Rodriguez - il Municipio non ha mai chiesto un supporto legale e medico esterno? Qual è la strategia del Comune? Non abbiamo mai ricevuto una risposta chiara. Forse non esiste». Dipiazza ha ribattuto: «L'azione del Comune è sempre incisiva e puntuale. Procediamo con gli atti per arrivare alla chiusura dell'area a caldo che non è compatibile con la salute dei cittadini e lavoratori. Le azioni messe in atto hanno già prodotto effetti importanti. Si procede con gli atti per la tutela della salute di cittadini e lavoratori».

Gianpaolo Sarti

 

 

I grillini lanciano le città verdi in Fvg - Proposta di legge: incentivi per alberi e innesto di piante su edifici
TRIESTE - Città con più alberi e dotate di edifici innovativi, con tetti e pareti ricoperti di vegetazione. Il Movimento 5 Stelle chiede di rendere maggiormente vivibili i contesti urbani del Friuli Venezia Giulia e l'aumento del verde non è considerato stavolta solo questione estetica o di aggregazione, ma anche cardine dell'azione di resistenza a riscaldamento globale e inquinamento. Una proposta di legge regionale, che i pentastellati hanno depositato e presentato ieri, prevede allora incentivi per l'impianto di nuovi alberi e per l'innesto di piante sulle superfici degli edifici nuovi o da ristrutturare. I grillini sognano in pratica di fare come a Liuzhou, nell'inquinata Cina, dove sta sorgendo un nucleo urbano nella forma di una vera e propria città-foresta, progettata dall'architetto italiano Stefano Boeri. Il piano è avveniristico e prevede che uffici, case, alberghi, ospedali e scuole siano interamente ricoperti di alberi e piante. Un'area verde popolata da 30mila abitanti, i cui edifici saranno capaci di assorbire Co2 e polveri sottili, producendo in cambio nuovo ossigeno. Facciate verdi non mancano peraltro a Berlino e Torino, per non dire di Madrid, dove il Comune ha piantato sul tetto di alcuni autobus pubblici.Il M5s non ha mire così rivoluzionarie ma tenta la politica green dei piccoli passi, lanciando un ponte verso il centrosinistra, invitato da Elena Bianchi a recepire la proposta, «perché sono evidenti le sintonie con il Piano paesaggistico regionale presentato poche settimane fa dalla giunta Serracchiani. Spesso rielaborano le nostre idee negando ogni attinenza: speriamo facciano così anche stavolta». Ilaria Dal Zovo evidenzia a sua volta che le piante «forniscono numerosi servizi ecosistemici, quali il controllo delle acque superficiali, la conservazione della biodiversità, la regolazione del microclima, la mitigazione del calore e il miglioramento della qualità dell'aria». La riflessione parte dalla considerazione che in città la temperatura è mediamente 4 gradi più alta del circondario e che le piante, trattenendo acqua e rilasciando umidità, possono diventare strumento di regolazione. Non manca il riferimento al «fitorimedio che potrebbe eliminare l'inquinamento dai terreni, come dimostra il caso dei giardini di Trieste», evidenzia Dal Zovo.Ai finanziamenti per l'impianto di alberi e la creazione di tetti e facciate green, la proposta somma l'organizzazione di corsi per amministratori e tecnici, incentrati sul rafforzamento delle aree verdi, degli spazi aperti, delle piste ciclabili, delle pedonalizzazioni e degli orti urbani. Di particolare rilevanza, da questo punto di vista, sarebbe pure l'impiego di un indice di qualità ambientale, già in uso a Bologna e Bolzano, denominato "Riduzione dell'impatto edilizio", con cui si potrebbe certificare la qualità della costruzione, valutando anzitutto il ruolo delle metodologie "green" eventualmente impiegate.

Diego D'Amelio

 

«La Regione paghi i danni dei cinghiali» Gli agricoltori triestini battono cassa con una lettera all'assessore Panontin: «Risarcimenti totali o dovremo lasciare i campi»
TRIESTE - L'Associazione Agricoltori chiede alla Regione di rifondere in toto i danni provocati alle colture dalla selvaggina. E lo fa con una lettera aperta, rivolta all'assessore regionale alla caccia e risorse ittiche, Paolo Panontin, in cui viene dettagliatamente descritta la delicata situazione in cui versano gli agricoltori triestini. «La selvaggina sta da tempo provocando seri danni a pascoli, colture e orti triestini - spiegano dall'associazione - e con il clima bollente di questi giorni dobbiamo prepararci all'incursione di uccelli, caprioli e cinghiali che, a causa della siccità, hanno già iniziato a cercare sollievo nelle vigne e in altri poderi». «Questa situazione si protrae ormai da una quindicina d'anni - si legge nel documento - con gli animali selvatici che incrementano di anno in anni le proprie incursioni sino alle porte del centro cittadino».«In alcuni punti del costone carsico e sulle colline che circondano il capoluogo - spiega il segretario regionale dell'associazione, Edi Bukavec - i cinghiali distruggono muretti a secco e recinzioni per ristorarsi sui terrazzamenti. È una situazione insostenibile, anche perché molte persone stanno meditando di abbandonare campi e vigneti per l'ingente ammontare dei danni provocati». Danni che, secondo l'associazione, la Regione indennizza con uno strumento, il "de minimis", che liquida l'agricoltore che ha subito delle incursioni per un importo non superiore ai 15mila euro in tre anni. Questo significa, per esempio, che se un viticoltore subisce perdite per 20mila euro, 5000 non potranno essere rifusi.«Il criterio è ingiusto - afferma il presidente dell'Associazione Agricoltori Fran Fabec - e deve essere rivisto. In seconda battuta chiediamo alla Regione di provvedere anche a una gestione oculata della selvaggina. Non chiediamo contributi e non vogliamo assistenzialismo - continua Fabec -, ma vogliamo che l'amministrazione responsabilizzi in modo incisivo i cacciatori, cioè coloro che devono mettere in pratica la gestione faunistica delle nostre aree naturali». Sta su questo versante, secondo l'associazione, il punto dolente della situazione odierna nelle campagne, con le riserve di caccia incapaci di rispettare i piani di abbattimento programmati. Senza dei puntuali prelievi venatori - secondo la Kmecka - si favorisce l'aumento della popolazione di cinghiali e caprioli che, inevitabilmente, insidiano colture e pascoli per poter sopravvivere. Agli ungulati si deve aggiungere ancora l'impatto esercitato su frutta e uva dai volatili, ora sempre più in difficoltà per le forti calure. «Per tutte queste ragioni - puntualizza Franc Fabec - chiediamo delle pronte risposte in merito alla gestione della selvaggina. Chiediamo attenzione pure al Prefetto e ai sindaci delle nostre comunità: così non è possibile continuare».

Maurizio Lozei

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 2 agosto 2017

 

 

«Parchi minerali coperti in quattro anni» - Annuncio del gruppo Arvedi alla Conferenza dei servizi. Il Comune: «Troppi». Il retroscena della guerra a colpi di lettere
Siderurgica triestina ha presentato ieri in conferenza dei servizi il piano per la copertura dei parchi minerali, che dovrebbero venire completati non prima di quattro anni. È il nuovo capitolo della partita che nelle ultime settimane ha visto un botta e risposta a suon di lettere tra azienda, Comune e Regione, mentre dallo stabilimento si sono alzate più volte nubi nere a oscurare il golfo. La copertura dei parchi minerali dovrebbe servire a impedire proprio questo fenomeno. Il progetto che la proprietà ha illustrato ieri a tutti i soggetti che hanno partecipato al procedimento di rilascio dell'Aia (oltre alla Regione, il Comune, l'Azienda sanitaria, l'Arpa e i vigili del fuoco) è stato presentato nei primi giorni di luglio, a seguito di diffida notificata il 7 marzo dalla Regione, dopo che un primo testo era stato ritenuto non idoneo. L'azienda ha spiegato che il progetto prevede due fasi di realizzazione: una prima fase (stimata in circa due anni) necessaria per l'elaborazione dei successivi livelli di progettazione e per l'ottenimento delle autorizzazioni; e una seconda fase (stimata sempre in due anni) per l'esecuzione delle opere. L'intervento prevede la realizzazione di due capannoni alti circa 40 metri e lunghi circa 280 metri. Il costo previsto è di oltre 28 milioni di euro. Tutti i presenti alla conferenza hanno chiesto chiarimenti e precisazioni. A settembre si terrà un'ulteriore incontro in cui tutti gli attori si esprimeranno sul progetto. Il Comune sospende il giudizio fino a quella data, anche se fa sapere di non ritenere accettabile il cronoprogramma presentato dall'azienda, ovvero l'idea che debba passare un quadriennio intero prima della conclusione dei lavori. I tecnici comunali hanno rivolto due domande a Siderurgica triestina. Per prima cosa hanno chiesto all'azienda come mai ha presentato ora un progetto di copertura, se mesi fa ciò non era considerato fattibile. La seconda domanda verteva su cosa intende fare il gruppo Arvedi per evitare nuovi spolveramenti in questi teorici quattro anni. Una richiesta a cui i rappresentanti della proprietà hanno risposto che si confronteranno con Arpa per identificare una posizione. Risposta che il Comune non considera soddisfacente. A tal proposito la Regione ricorda che, nel provvedimento di diffida del marzo scorso, «aveva anche esplicitamente disposto che nelle more della realizzazione la società adotti ulteriori ed efficaci misure di mitigazione dello spolveramento utili per il contenimento delle emissioni diffuse». A settembre i membri della Conferenza dovranno dire se il progetta risponde alle richieste dell'Aia. In caso di esito favorevole la proprietà potrà avviare l'iter autorizzativo, che prevede il coinvolgimento anche della Soprintendenza, dell'Agenzia delle Dogane e dei ministeri competenti. Nel frattempo la presidente della Regione Debora Serracchiani annuncia, dopo un incontro con la sindaca di Muggia Laura Marzi, che i monitoraggi sull'impatto della Ferriera verranno estesi anche alla cittadina istriana. Gli scambi fra i protagonisti della vicenda proseguono ormai da settimane. Risale al 10 luglio scorso una lettera, resa pubblica solo negli ultimi giorni, con cui il direttore dello stabilimento scrive a Serracchiani e al sindaco che la riduzione di produttività imposta dalla diffida «comporta un aggravio economico non sostenibile». L'azienda concludeva la lettera dicendo di ritenere «necessario e urgente» sapere «quanto prima come procedere in termini risolutivi di quanto imposto dalla diffida al fine di consentire una tempestiva comunicazione ufficiale alle organizzazioni sindacali». Al tempo stesso l'azienda presentava ai sindacati un prospetto biennale di interventi sull'area a caldo. Un documento ritenuto insufficiente dalle sigle. La missiva a Regione e Comune, dicono fonti d'azienda, non ha ricevuta risposta diretta. In compenso il Comune ha inviato una lettera (anch'essa resa pubblica da poco) in cui scrive alla Regione e per conoscenza a ministero e Presidente della Repubblica. «L'azienda prospetta palesemente un ricatto occupazionale per non ottemperare ad un requisito necessario ma, forse, non sufficiente alla tutela della salute pubblica». Chiede quindi l'avvio di un'azione legale per inadempienza contrattuale, la sospensione dei finanziamenti pubblici all'azienda, la «verifica delle garanzie fidejussorie prestate per una eventuale azione di bonifica» degli impolveramenti. Il confronto continua.

Giovanni Tomasin

 

Il "5 dicembre" rompe con Dipiazza - Si chiude oggi il presidio con la presentazione di un dossier critico verso la giunta
Il comitato 5 Dicembre annuncerà oggi in conferenza stampa la fine del suo presidio, proseguito per oltre un mese e mezzo nel centro città. E lo farà con un dossier di 80 pagine in cui riassume i rapporti comitato-Comune-Regione-Ferriera dell'ultimo anno. Si tratta di un documento molto critico nei confronti della giunta. Il comitato ricorda che il presidio nasceva da un accordo con l'ente: «Il Comune avrebbe fatto uscire un atto forte e noi l'avremmo supportato con la piazza in modo da fare in modo che la Regione accettasse di annullare l'Aia». Visto che questo atto non arrivava mai, prosegue il testo «abbiamo deciso di partire lo stesso per smuovere l'immobilismo di tutti, Comune compreso. In 43 giorni è successo di tutto: diffida della Regione, 5 spolveramenti con mostruose nubi di polvere, la lettera "segreta" del direttore di stabilimento». Dal canto suo, dice il comitato, il Comune «ha cominciato gradualmente a prendere le distanze dalla protesta. Più abbiamo chiesto la sua presenza, più si è allontanato fino a "mollarci" definitivamente, arrivando a non nominare neppure il presidio nell'ultimo consiglio comunale». Il comitato decide quindi di chiudere l'esperienza del presidio, rivendicando «l'accelerazione» impressa alla vicenda Ferriera e pubblicando il rapporto su quanto avvenuto negli ultimi 14 mesi: «È un documento completo ed esaustivo di ogni minima azione fatta e non fatta dal Comune con il quale abbiamo collaborato e che ora deve non solo a noi ma alla città intera un chiarimento parimenti completo ed esaustivo di tutte le già citate questioni irrisolte. Usciamo vincitori da 43 giorni che sono stati un'esperienza unica di lotta e di crescita e che ci faranno arrivare più determinati e forti che mai ad un autunno che si preannuncia caldissimo».

(g.tom.)

 

 

Nasce la rete bici degli operatori del Carso - Itinerari e pacchetti a misura di cicloturisti
È nata la rete bici degli operatori di Carso, Breg e Muggia, sviluppata con l'aiuto del Gal Carso. Si tratta di un primo passo di un progetto più ampio che, entro il 2020, punta ad aumentare la qualità dei servizi offerti a turisti e residenti, investire su almeno 50 bici elettriche a disposizione dei turisti, nonché a promuovere sul mercato europeo tour e pacchetti turistici organizzati dal tessuto economico locale. Concretamente ora i sette operatori della nuova rete bici del territorio iniziano, con il Gal, a pubblicizzare gli attuali punti bici costituiti dagli stessi operatori, una serie di itinerari "chiave" del territorio, le guide turistiche in bici a disposizione. Per questa attività di promozione saranno distribuiti flyer in tutte le strutture turistiche di campagna e città. Sarà attivata una prima campagna web e sui social media. Da settembre, partirà invece il lavoro per un nuovo sviluppo della rete bici con in calendario, tra le altre cose, la presenza a due fiere specializzate in Germania e in Austria.

 

 

Riattivare la ferrovia Trieste-Pola e Trieste-Fiume - La lettera del giorno di Paolo Radivo
Raggiungere Pola e Fiume via treno dall'Italia (e viceversa) è in pratica impossibile. Infatti, dopo la dissoluzione della Jugoslavia furono inopinatamente soppresse le tratte ferroviarie Trieste-Pola e Trieste-Fiume, non più ripristinate dopo l'ingresso della Slovenia (2004) e della Croazia (2013) nell'Ue. Appena nel dicembre 2013 venne riavviata la tratta Pola-Lubiana e dal dicembre 2015 la Opicina-Lubiana, anch'esse in precedenza cancellate. Così oggi per raggiungere dall'Italia Pola o Fiume bisogna prendere il treno, assai poco frequente, da Opicina (non da Trieste!) per Lubiana e poi la coincidenza, perdendo una quantità di tempo spropositata. Dunque una soluzione impraticabile. Meglio lasciar perdere e puntare sul pullman, se non si può o vuole usare l'auto. Si stava meglio quando si stava peggio. Infatti, cessata la Jugoslavia, l'adeguamento di Slovenia e Croazia agli standard politici europei ha corrisposto a un allontanamento tra Croazia e Italia (oltre che tra Slovenia e Italia) sul piano dei trasporti ferroviari, sia passeggeri sia merci. Un assurdo. Eppure le ottocentesche linee Trieste-Pola e Trieste-Fiume esistono ancora, sebbene risultino lente in quanto tortuose e perlopiù a binario unico e/o non elettrificate. Ma si potrebbe ammodernare e riattivare entrambe ricorrendo anche ai fondi Ue per progetti transfrontalieri tra Croazia, Slovenia e Italia. Così si ridurrebbe un po' il congestionamento ai valichi sloveno-croati istro-quarnerini, come pure il volume complessivo di traffico sulle strade specie in estate e nei fine settimana, nonché l'impatto ambientale. Inoltre s'intensificherebbero rapporti e scambi tra questi territori limitrofi, specie in vista dell'ingresso della Croazia nell'Area Schengen. Benefici anche per le località minori attraversate dalle due linee ferroviarie. Dunque un vantaggio non trascurabile per i pendolari, oltre che una valida alternativa per i turisti più ecologici. Perché non pensarci seriamente, invece d'insistere sull'impattante trasporto su gomma?

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 1 agosto 2017

 

 

Arvedi: «Venti assunzioni al laminatoio di Servola» L’azienda rassicura i sindacati durante l’incontro al ministero dello Sviluppo Conferenza dei servizi a breve.

Ieri a Roma il tavolo sulle prospettive occupazionali dello stabilimento industriale chiesto dai rappresentanti dei lavoratori - Il Municipio insiste sulla chiusura dell’area a caldo

Una ventina di nuovi addetti per il laminatoio di Siderurgica Triestina. Le attrezzature sono già arrivate nel comprensorio della Ferriera di Servola e ora si attende la Conferenza dei servizi per mettere a punto il progetto. Lo si è appreso ieri a Roma dove, su richiesta delle organizzazioni sindacali, si è tenuto, presso il ministero dello Sviluppo economico (Mise), un incontro con all’ordine del giorno proprio le prospettive dello stabilimento siderurgico della Ferriera di Servola. L’incontro - come si è saputo in serata quando è stato diffuso un lungo comunicato da parte della Regione - era finalizzato a comprendere le intenzioni della proprietà anche a seguito di due lettere in cui Siderurgica Triestina lamentava la riduzione di produzione imposta dalla Regione per ridurre le emissioni dell'area a caldo e un rallentamento del via libera all’ampliamento del laminatoio a freddo. Secondo i sindacati in entrambe le lettere veniva messo in discussione il futuro dell'impianto, con evidenti ricadute occupazionali. All'incontro romano hanno preso parte Giampiero Castano per il Mise, rappresentanti nazionali e locali dei sindacati, l'assessore regionale Paolo Panontin, il segretario generale del Comune di Trieste Santi Terranova e Francesco Rosato per Siderurgica Triestina. Il confronto di ieri fa seguito a quello di fine giugno tra gli stessi sindacati e la presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, nel corso del quale a Siderurgica triestina era stata sollecitata la presentazione di un piano industriale dettagliato, che renda possibile una valutazione approfondita rispetto agli impegni presi per tener fede alle previsioni dell'Autorizzazione integrata ambientale (Aia), specie per quel che riguarda la riduzione delle emissioni in atmosfera e dei rumori. In proposito, nell'incontro di ieri al Mise, Siderurgica Triestina ha ricordato che finora a Servola sono stati investiti 137 milioni di euro finalizzati ad ammodernare l'impianto e a rilanciarne l’attività. Sottolineando come la limitazione della produzione si traduca in un danno economico per il bilancio aziendale e in una difficoltà a programmare l’approvvigionamento delle materie prime, Siderurgica ha confermato che si stanno attuando e saranno completati entro settembre alcuni previsti interventi manutentivi sull'altoforno, che prossimamente sarà anche interessato come è noto da un breve blocco della produzione. Confermati anche altri interventi, previsti nel biennio 2018-2019, sempre nell'area a caldo, per quattro milioni di euro. C’è poi, invece, il nuovo progetto. Per quanto riguarda il laminatoio, l'azienda ha reso noto che le attrezzature sono ormai arrivate e si attende la convocazione della Conferenza dei Servizi per avviare un'opera in grado di dare occupazione a oltre una ventina di nuovi addetti. Se il direttore generale del Comune di Trieste Terranova ha annunciato il parere positivo all’ampliamento, pur ricordando che il Comune di Trieste ritiene che la chiusura dell'area a caldo vada nell’interesse della salute dei cittadini, secondo l’assessore Panontin, «in tutta questa vicenda la Regione ha mantenuto una posizione lineare e sempre coerente». Per Panontin infatti la Regione «fin dall'inizio ha definito come imprescindibile il rispetto delle regole imposte dall’Aia alla proprietà, nel prioritario interesse di tutela della salute dei cittadini e della salvaguardia dei livelli occupazionali e, parallelamente, attraverso la direzione dell’Ambiente ha diffidato la proprietà a ridurre la produzione quando, in presenza di sforamenti puntualmente rilevati dal monitoraggio continuo effettuato dall'Arpa, quelle regole non sono state rispettate». Meno lineare secondo l'assessore regionale - si legge nella lunga nota diffusa nella serata di ieri dall’amministrazione Serracchiani - la posizione del Comune di Trieste che, ha sottolineato Panontin, «nonostante le dichiarazioni sulla chiusura dell’area a caldo, poi è tenuto, come tutti, al rispetto delle regole e delle norme condivise». «Continuano naturalmente i controlli», la chiosa del rappresentante della giunta Serracchiani, il quale ha ricordato anche il recente accordo con l’Istituto superiore di sanità per analizzare lo stato di salute della popolazione residente nell’area. Riscontrando che sono in corso alcuni procedimenti, anche amministrativi, che riguardano il laminatoio e la copertura richiesta dei parchi minerali, il rappresentante del Mise ha assicurato che anche il ministero monitorerà attentamente la situazione e ha riconvocato l’odierno tavolo per il 28 settembre.

 

Nasce a Muggia l'alleanza bipartisan sull'ambiente
MUGGIA - «È davvero inconcepibile che nel 21esimo secolo l'incolumità di un intero territorio si trovi sotto scacco, come in una roulette russa, dalle polveri ed emissioni di uno stabilimento come quello della Ferriera di Servola». I consiglieri comunali muggesani Stefano Norbedo, Andrea Mariucci, Giulia Demarchi (Forza Muggia-Dpm), Nicola Delconte (Fratelli d'Italia) e Giulio Ferluga (Lega Nord) hanno commentato le ripercussioni delle polveri a Muggia «che non si possono più definire occasionali ma hanno assunto una frequenza inammissibile». Gli esponenti dell'opposizione hanno commentato le parole del sindaco Laura Marzi: «Se intenderà portare avanti un'azione concreta volta alla tutela della salute dei cittadini, potrà sicuramente contare sulla nostra collaborazione». E sul futuro dei lavoratori della Ferriera? Il centrodestra non ha dubbi: «Al tavolo tecnico indetto dal sindaco non dovrà mai venire meno l'attenzione verso di loro. Siamo certi che la loro ricollocazione, dovuta alla chiusura dell'area a caldo, sia praticabile anche alla luce delle nuove opportunità offerte dallo sblocco del porto».

(tosq.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 31 luglio 2017

 

 

Mare - I predatori del Golfo non demordono - Fuorilegge mezza tonnellata di pesce
TRIESTE - Un po' per ignoranza, un po' per spirito "d'avventura". D'altronde, una bella orata da portare a casa la sera, da servire con il contorno di patate, a chi non fa gola? La pesca subacquea "fai da te", a pochi metri dalle spiagge o, peggio, nelle zone marine protette, è un fenomeno tutt'altro che sconosciuto, nel Golfo di Trieste, da Muggia fino a Monfalcone. E capita pure che il pescato non sempre finisca nel forno di casa, ma vada dritto nei ristoranti o nelle pescherie. Ignoranza e voglia "d'avventura", insomma, ma a volte pure disonestà. Il caso del turista tedesco sorpreso pochi giorni fa dai bagnanti nello specchio d'acqua della Riserva di Miramare a Trieste, armato di fucile, ha alzato i livelli di allarme. Ma non è l'unico esempio di "predatore del mare". Tra il 2016 e questa prima parte del 2017 la Capitaneria di porto ha pizzicato trentacinque furbetti della domenica. A cominciare dall'anno scorso, quando in almeno tre circostanze i militari hanno sorpreso altrettanti sub alla ricerca di prelibatezze in acque vietate. Lo facevano nel tratto riservato alla balneazione, cioè all'interno dei 500 metri dalla battigia. Per tutti è scattata una sanzione di duemila euro, oltre al sequestro dell'attrezzatura. «Il motivo per cui vengono commessi questi illeciti - spiegano dalla Capitaneria di porto il capitano di vascello Ugo Foghini della Capitaneria e il capitano di fregata Marco Parascandolo, capo di servizio Polizia marittima - può derivare anche dalla mancata conoscenza delle norme. Questo capita soprattutto ai turisti stranieri o provenienti da altre regioni». Per lo stesso illecito, in un'area protetta come appunto Miramare, cioè tutto il perimetro delimitato della boe gialle che va dal porticciolo di Grignano fino al moletto che confina con lo stabilimento di Sticco, parte anche la denuncia all'autorità giudiziaria. Ammontano a trentadue, invece, le violazioni alle norme su pesca professionale e commercializzazione del pescato, compreso il "novellame". Qui, codice alla mano, c'è un po' di tutto: oltre alle zone vietate, rientrano pure le multe per l'utilizzo di attrezzi non consentiti, o la vendita nelle pescherie, nei locali, o addirittura attraverso il mercato ittico. Dove si pesca? Soprattutto a Barcola o nei pressi delle scogliere di Grignano e Santa Croce. O in porto: Siot, Molo Settimo, Ausonia, o nei paraggi della stessa Capitaneria. Branzini, orate, dentici, saraghi o vongole, in abbondanza e di qualità, nei punti più riparati. Come gli anfratti o, come avvenuto con il sub tedesco, le aree protette. O, ancora, nei dintorni degli allevamenti di mitili, da cui i pesci sono attratti.«Tutto ciò può finire in diversi canali - commenta Guido Doz, rappresentante dell'Associazione generale cooperative italiane pescatori - ma stiamo comunque parlando di un fenomeno che in passato era più importante, ma che ora grazie ai controlli è meno vistoso». C'è poco da scherzare: le sanzioni possono variare dai mille ai 75mila euro a seconda della quantità, con il rischio persino di chiusura dell'attività per le pescherie. Gli illeciti si scoprono con i controlli, tanto delle autorità militari quanto di quelle sanitarie, ormai piuttosto rigidi in termini di etichettature e tracciabilità. Circostanze, per quanto esistenti, che tendono tuttavia a calare, a sentire la Federazione italiana pubblici esercizi. «Sono finiti i tempi degli acquisti sottobanco: se c'è qualche pescatore abusivo che vende direttamente ai ristoranti parliamo di casi isolati», afferma in effetti il presidente provinciale della Fipe Bruno Vesnaver. «L'obbligo della tracciabilità del prodotto e le esigenze di sicurezza dello stesso esercente indirizzano il 99% dei gestori a rivolgersi solo a pescherie e grossisti». Anche la Capitaneria è convinta di trovarsi di fronte a situazioni comunque marginali. «Il Golfo di Trieste è una zona tendenzialmente tranquilla, anche se le infrazioni non mancano di certo. E c'è un controllo "sociale" molto elevato, come testimoniato da quanto accaduto davanti a Sticco l'altro giorno: i triestini sono i primi a segnalare situazioni particolari», annotano i due graduati della Capitaneria stessa. Tirando le somme, tra il 2016 e questa prima parte d'estate, le pattuglie hanno sequestrato una ventina di attrezzi da pesca e ben 442 chili di pescato privo della regolare etichettatura, oltre a un'imbarcazione. A cui si aggiungono i 258 chili di ricci di mare, scoperti recentemente, e ulteriori 665 chili di tonno messi in vendita ma non tracciabili. Tra le ipotesi di reato, sebbene non riscontrate a Trieste, figura pure l'asportazione di pezzi di fondale. La pesca dei datteri, ad esempio, è considerata a tutti gli effetti un danno ambientale. Ma i controlli in mare sono ben più estesi e non si limitano al pescato: investono pure i casi di occupazione abusiva del litorale. Una decina, in tutto, i reati contestati a questo proposito. La zona, come noto, è demaniale e non manca chi si rifà la scaletta per l'accesso al mare o il moletto. Anche una semplice passerella fai da te, non accompagnata dalle autorizzazioni previste, si configura come illecito, con tanto di denuncia all'autorità giudiziaria.

Gianpaolo Sarti e Pietro Comelli

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 30 luglio 2017

 

 

M5S denuncia i bluff di Dipiazza sulla Ferriera - Menis: «Non interviene nemmeno dopo gli spolveramenti». Le Rsu: «L'azienda rispetti l'ambiente»
«Il sindaco ha dimostrato che non intende intervenire con urgenza, nemmeno dopo gli spolveramenti degli ultimi tempi», dice Paolo Menis. Il gruppo del consiglio comunale del M5S, affiancato dal consigliere regionale Andrea Ussai, ha rivendicato ieri in conferenza stampa il contenuto della mozione urgente sulla Ferriera approvata da tutto il consiglio, eccezion fatta per l'astensione del Pd. Il capogruppo Menis ha dichiarato: «Dopo fatti tanti eclatanti e non più "episodici" ci aspettavamo il pugno di ferro e un'ordinanza sindacale. Invece Dipiazza si è limitato a elencare le lettere inviate ad altri enti perché facciano loro qualcosa». Tanto più, ha aggiunto, che «il decreto sul Porto franco apre nuove possibilità di sviluppo logistico per la proprietà» e quindi altre possibili riflessioni sul futuro dell'area a caldo. Ussai ha ricordato di aver presentato in consiglio regionale una mozione per la revisione dell'Aia. Ha dichiarato la consigliere Elena Danielis: «L'ordinanza del sindaco chiedeva ad Arvedi una relazione asseverata sull'impianto, ma quella pervenuta al Comune non lo è. Chiediamo lo stop all'area a caldo fino al suo arrivo». Così invece Cristina Bertoni: «Chiediamo anche l'intervento sui parchi minerali: non è possibile che la città sia invasa da nubi che portano sostanze cancerogene. È necessario inoltre un tavolo con tutte le istituzioni per il problema occupazionale». Ha concluso Gianrossano Giannini: «Abbiamo visitato di recente un impianto siderurgico di Linz, in Austria, per dimensioni analogo a quello triestino. Lì città e fabbrica convivono perché molti anni fa è stato avviato un processo di dialogo e confronto. Noi chiediamo la chiusura dell'area a caldo perché le condizioni per una svolta simile qui non ci sono più: gli investimenti andavano fatti molto prima e soprattutto manca l'atteggiamento. All'azienda interessa solo l'aspetto economico, non la salute né l'ambiente». Sul tema arriva anche un comunicato unitario delle Rsu della fabbrica: «Gli ultimi episodi non sono giustificabili. Chiediamo alla proprietà di mettere in campo tutte possibili contromisure per far in modo che non si verifichino più tali situazioni, e che si inizino immediatamente i lavori di contenimento del materiale a parco».

Giovanni Tomasin

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 29 luglio 2017

 

 

Area a caldo e polveri - Botta e risposta in aula sul futuro di Servola - Dipiazza rivendica la linea dura nei confronti della Ferriera
M5S: «Nessuna azione concreta». Il Pd: «Un grande bluff»
Una lunga lista delle azioni compiute nei confronti della Ferriera dall'inizio del mandato: è il rosario sgranato dal sindaco Roberto Dipiazza ieri mattina in Consiglio comunale, convocato dall'assemblea a presentare il lavoro fatto per la chiusura dell'area a caldo. Un elenco concluso, durante il dibattito con il capogruppo M5S Paolo Menis, da un monito dipiazziano: «Durante ogni mio mandato mi sono ritrovato a combattere questa battaglia. E visto che a settembre avremo un incontro importante credo che arriveremo a un obiettivo», ha detto il sindaco. Un annuncio sibillino, che però potrebbe alludere all'imminente apertura di un tavolo di confronto a cui siedano, come minimo, azienda, Regione e Comune. L'affiorare di una presa di un tentativo di contatto in corso in queste settimane.In aula Dipiazza ha elencato tutti gli atti compiuti dal 2016 a oggi: «In questi mesi, grazie a questa nostra azione di controllo, verifica e informazione molte cose sono mutate e quel muro iniziale che copre la realtà delle cose si sta via via sfaldando». Le diffide presentate dalla Regione negli ultimi tempi «sono dello stesso tenore di quelle da noi già richieste ma che all'epoca vennero rigettate. Le inottemperanze agli accordi che noi da tempo segnaliamo ora sono oggetto di diffida da parte della Regione». Dipiazza ha poi ricordato che solo la Regione può modificare l'Aia: «La nostra azione è rivolta anche affinché questo avvenga». Ha concluso: «A Trieste il gruppo Arvedi è il benvenuto e troverà la nostra disponibilità nello sviluppare, e le condizioni in questo momento ed in prospettiva a Trieste ci sono, un'attività industriale che non minacci la salute dei cittadini e dei lavoratori come sta accadendo ora con l'area a caldo». Ha commentato Menis: «Dopo un anno devo prendere anno che c'è un'assenza di azioni concrete. Non c'è stata nessuna comunicazione di atti in corso o che saranno fatti in futuro. Gli episodi degli ultimi giorni costituivano una base per una possibile ordinanza sindacale». Il consiglio ha poi approvato (con qualche astensione) una mozione del M5S in cui si chiede che «ove ci siano i presupposti di legge» (come imposto da un emendamento targato centrodestra), il sindaco emetta una ordinanza sindacale che sospenda l'attività dell'area a caldo e la messa in sicurezza del parco minerali, oltre a fare pressione sulla Regione. Così la segretaria regionale e consigliera del Pd Antonella Grim: «Sulla Ferriera Dipiazza e la sua maggioranza stanno facendo uno scomposto teatrino: vogliano far credere di aver realizzato qualcosa e mantenuto le promesse. In realtà non hanno fatto niente». Secondo Grim «Dipiazza millanta sforzi che non ha fatto: è tutta fuffa. Siamo addirittura arrivati alla farsa di discutere atti che non hanno alcuna valenza giuridica, giusto per fare spettacolo e simulare un po' di impegno. Sulla Ferriera è invece necessario essere seri. Se il sindaco vuole esercitare veramente il suo ruolo, faccia ciò che gli compete, cioè costruire un dialogo corretto e autorevole con la proprietà, cosa che sinora, tra video e chiacchiere, non ha mai fatto». Infine: «Dipiazza si ricordi che è sindaco di tutti: degli abitanti di Servola come dei lavoratori dello stabilimento. La smetta di dire che l'area a caldo si potrebbe chiudere con la bacchetta magica, che i lavoratori potrebbero fare gli impiegati in Comune dal giorno dopo, che tutto sarebbe a posto con un colpo di spugna. Questa città ha bisogno di serietà»

Giovanni Tomasin

 

 

Piano straordinario per i torrenti - Interventi di manutenzione e pulizia in sette corsi d'acqua dal Rio Corgnoleto agli affluenti del Farneto
Un piano da centocinquantamila euro per la manutenzione straordinaria e la pulizia dei torrenti e ruscelli scoperti di Trieste da attuarsi tra il 2018 e 2019. L'amministrazione comunale ha dato il via libera a metà luglio a una serie di lavori al fine garantire il regolare deflusso delle acque in questi corsi d'acqua diventati "ricettacolo di ogni sorta di immondizie". Nella maggioranza dei casi si tratta della pulizia degli alvei e della manutenzione delle sponde. Se infatti la pulizia dei torrenti coperti spetta alla società concessionaria del servizio di manutenzione e gestione della fognatura (ovvero AcegasApsAmga), la cura di quelli scoperti spetta al Comune, come pure i manufatti di captazione delle acque piovane che non sono direttamente allacciati alla rete fognaria e che non vengono indirizzati agli impianti di depurazione.«Le precipitazioni - spiega nella delibera l'assessore ai Lavori pubblici Elisa Lodi - causano il periodico riempimento degli alvei con una grossa quantità di inerti accompagnati spesso da legnami che, andando a riempire le briglie e i salti posti lungo gli alvei, possono creare situazioni di pericoli». Inoltre, ci sono alcuni manufatti come muri e briglie, posti a delimitazione dei torrenti, che risultano pericolanti o addirittura crollati. In molti casi, inoltre, l'acqua piovana non riesce ad affluire ai torrenti a causa di strade e muri creando pozze e pericoli di smottamento. L'importo dei lavori previsto di 150mila euro sarà finanziato tramite l'alienazione di titoli Hera. Il cronoprogramma dei pagamenti prevede la spesa di centomila euro nel 2018 e di cinquantamila euro nel 2019: la durata dei lavori è prevista in 365 giorni consecutivi, inclusi eventuali fermi causati dal maltempo. Il piano di manutenzione straordinaria e pulizia dei torrenti è inserito infatti nel programma triennale delle opere 2017-2019. Sono sette gli interventi previsti nel progetto esecutivo elaborato a maggio: Clivo Artemisio, Rio Corgnoleto, affluenti torrente Farneto, via Pertsch, Strada del Friuli, via Righetti e via Lavareto.  Nel caso del Clivo Artemisio si prevede la pulizia dell'alveo di Rio San Cilino per una lunghezza di trecento metri. Nel caso di Rio Corgnoleto è prevista la pulizia dell'ultimo tratto (trenta metri) oltre allo svuotamento della vasca in corrispondenza dell'ultima briglia. È in programma inoltre la pulizia dell'alveo degli affluenti di sinistra del torrente Farneto all'interno del Boschetto del Cacciatore. In questa occasione saranno risistemati anche alcuni manufatti murari che insistono sul corso d'acqua. In via Pertsch sarà pulito il torrente che incrocia Strada del Friuli per una lunghezza presunta di 350 metri. In via Righetti saranno puliti due tratti dell'alveo del torrente per 300 e 230 metri. Sarà pulito anche l'alveo del torrente Lavareto (200 metri) in corrispondenza con l'omonima via.

Fabio Dorigo

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 28 luglio 2017

 

 

Vertice romano sull'inquinamento a Servola - Riunione operativa con gli esperti dell'Istituto superiore di Sanità. Oggi Consiglio comunale ad hoc
Una riunione di carattere tecnico-scientifico per individuare le linee guida su cui elaborare sintesi scientifiche certe e mirate rispetto alle problematiche sanitarie e ambientali legate alla presenza della Ferriera di Servola. A parteciparvi gli esperti dell'Istituto superiore della Sanità, i vertici della Direzione regionale Salute, dell'AsuiTs e dell'Arpa. L'appuntamento romano, concordato lo scorso 9 giugno a Trieste nel primo incontro della cabina di regia su "Incidenza dei rischi ambientali sullo stato di salute della popolazione residente", rientra nel percorso di approfondimento scientifico voluto dalla presidente Debora Serracchiani, che vede coinvolto l'Istituto quale competente massimo in materia a livello nazionale. Nella prima parte della riunione sono stati esaminati le indagini epidemiologiche effettuate dal 1995 ad oggi sulla presenza di correlazioni tra le concentrazioni di inquinanti e le fonti di inquinamento presenti a Trieste e lo stato di salute della popolazione con particolare attenzione all'abitato di Servola; le attività di biomonitoraggio intraprese a partire dal 2007 dall'allora Azienda sanitaria per misurare le concentrazioni urinarie del marcatore di stress ossidativo cellulare 1idrossipirene tra i lavoratori della cokeria; la procedura di rinnovo dell'Aia della Ferriera e gli interventi impiantistici innovativi effettuati nell'ambito della stessa. Su questi temi gli esperti dell'Iss hanno richiesto alcune delucidazioni circa l'evoluzione nel tempo delle sorgenti inquinanti che insistono sull'area della Ferriera e la possibilità di implementare le indagini epidemiologiche effettuate in passato. Nella seconda parte dell'incontro sono stati individuate le caratteristiche di una messa a sistema che riguardi tutte le informazioni disponibili. È stato chiarito che bisogna definire l'area in esame, la popolazione target, i dati ambientali e sanitari disponibili, il profilo sanitario della popolazione interessata e gli inquinanti di interesse sanitario primario in grado di causare nel breve e nel lungo periodo effetti sulla salute della popolazione esposta. L'obiettivo è raccogliere e trasmettere le informazioni agli esperti dell'Istituto entro l'estate, in modo da poter organizzare entro la metà di ottobre un secondo incontro romano. E sempre di Ferriera si parlerà oggi in Consiglio comunale nel corso di una seduta straordinaria in programma a partire dalle 8.30.

 

 

Volpe affamata salvata a Padriciano - Barcollava nei pressi dell'Area di ricerca. Il veterinario dell'Enpa: «Si sta riprendendo, è vivace»
TRIESTE - Barcollava, disidratata e denutrita in pieno giorno nei pressi dell'Area di ricerca di Padriciano la volpe recuperata dall'Enpa di Trieste. Ricevuta la segnalazione da parte di una donna che si era accorta dell'incedere incerto del canide, il medico veterinario volontario Marco Lapia non ha trovato subito la volpe. Dopo qualche ricerca però, l'animale selvatico è stato individuato in non buone condizioni, come segnalato. Da qui la cattura con la rete e il trasporto nella sede di via Carlo De Marchesetti. «Si tratta di un esemplare giovane di due anni circa, si tratta di una femmina. Era molto magra e parecchio assetata. Comunque ha superato la prima notte mangiando in autonomia e il giorno dopo ha dato notevoli segnali di vivacità. Tutti segnali che fanno ben sperare per un pronto recupero dell'animale», racconta la presidente della sezione triestina dell'Enpa Patrizia Bufo. Verosimilmente il canide, che ora si trova in un ricovero chiuso (un intervento di prassi quando si tratta di volpi), rimarrà nella struttura dell'associazione animalista per circa un mesetto. Poi, se tutto andrà bene, avverrà il reinserimento nel suo habitat naturale. Nei primi sei mesi del 2017 l'Enpa ha svolto oltre duemila interventi nei confronti della fauna selvatica, domestica ed esotica in difficoltà. Quello di Padriciano è però solamente il terzo caso inerente la volpe: il primo intervento è stato registrato quest'inverno, era il 3 gennaio infatti. Decisamente curiosa la dinamica dell'accaduto. Una donna di Rupingrande aveva infatti segnalato che si era ritrovata una volpe nel giardino. L'animale, intrufolatosi furtivamente nella proprietà privata, ero stato scoperto ma nonostante i tentativi della donna non aveva alcuna intenzione di andarsene. «Si trattava di un maschio, in buone condizioni. Quando abbiamo cercato, per ben tre volte, di catturarlo con una trappola per poi liberarlo successivamente, l'esemplare è sempre riuscito a farla franca», racconta Bufo. E difatti il "caso" della volpe in casa si è risolto da sé: ovvero, con la decisione dell'animale di allontanarsi autonomamente dall'abitazione per tornare nel bosco da cui era arrivato. Il secondo intervento dell'Enpa risale invece alla sera del 19 marzo scorso. In quel caso un esemplare maschio era stato individuato in non buone condizioni lungo strada principale che attraversa l'abitato di Pese. «In quel caso l'intervento di recupero dell'animale era stato effettuato dal presidente regionale dell'Enpa Gianfranco Urso», puntualizza Bufo. Anche in questo caso l'animale era stato immediatamente portato in sede, curato e successivamente liberato nel suo habitat. La stessa sorte che, a meno di impreviste complicazioni, toccherà a questa giovane volpe di Padriciano.

Riccardo Tosques

 

L'airone e il germano tornano nel Rio Ospo - Di nuovo sani e liberi a tempo di record
Nel primo pomeriggio di ieri un airone cenerino e un germano reale sono stati liberati dai volontari triestini dell'Enpa in zona Rio Ospo, a Muggia. L'airone era stato recuperato dal medico veterinario Marco Lapia sei giorni or sono in seguito a una segnalazione giunta da una donna che aveva visto il volatile in chiara difficoltà lungo il corso d'acqua muggesano. Debilitato, l'airone è stato curato nella struttura di via Carlo De Marchesetti e in tempi record è tornato in libertà. Sorte simile per l'esemplare di germano reale femmina in cura dal primo luglio: l'anatide, recuperato dal responsabile regionale dell'Enpa Gianfranco Urso, giaceva in condizioni critiche proprio nel Rio Ospo. Il germano e l'airone cenerino sono dunque ritornati nel loro habitat naturale, quel Rio Ospo che nell'agosto dello scorso anno aveva destato grande preoccupazione per una moria di anatidi senza precedenti causata da un'infezione di botulino C poi arginatasi naturalmente.

(tosq.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 27 luglio 2017

 

 

Nubi scure da Servola - Muggia alza la guardia - Il sindaco Marzi chiede un incontro urgente a Serracchiani «Le polveri disperse non sono più un fenomeno sporadico»
MUGGIA - «Come sindaco non posso, nel modo più assoluto, ignorare quelli che non sono più sporadici fenomeni di dispersione delle polveri provenienti dai cumuli minerari della Ferriera di Servola che interessano il territorio del nostro Comune». Perentoria presa di posizione del sindaco di Muggia Laura Marzi sullo stabilimento industriale triestino da cui, in seguito alle condizioni meteo di forte vento degli ultimi giorni, si sono sollevate delle dense nubi che si sono riversate anche su parte del territorio muggesano, sito a circa un chilometro in linea d'aria da Servola. Marzi ha chiesto dunque «un incontro urgente» alla presidente della Regione Serracchiani per poter esprimere la propria preoccupazione «che è quella di tutti i cittadini muggesani che io rappresento». Parallelamente, Marzi ha evidenziato come non ci possa non essere una preoccupazione «per quanto riguarda l'occupazione e per quello che è il futuro di tutte le attività industriali del nostro territorio, che rappresentano un fattore determinante per la ripresa dell'economia». Ripresa che per Marzi «non può non comprendere anche la Ferriera». Pochi giorni fa la maggioranza di centrosinistra del consiglio comunale aveva detto "no" ai campionamenti dello strato superficiale del suolo nei giardini comunali muggesani per individuare eventuali inquinanti, bocciando la mozione firmata da Emanuele Romano (M5S). La richiesta del consigliere era stata avanzata in seguito alla relazione della qualità dell'aria 2016 redatta dall'Arpa in cui si era attestata una concentrazione media annua del materiale particolato sottile (Pm10) di 23 mg/metro cubo con 21 superamenti annui del limite giornaliero. A ciò si erano aggiunte "diverse segnalazioni di polveri e odori molesti". Sotto la lente d'ingrandimento, in particolare, gli effetti provocati proprio dalla Ferriera. La mozione sull'inquinamento a Muggia ha ricevuto l'appoggio solo da parte dell'opposizione. «Come promesso in consiglio - spiega Marzi - chiederemo che sia convocato rapidamente un tavolo congiunto con Arpa, Azienda sanitaria, Regione, Comuni di Trieste e San Dorligo e i rappresentanti di Arvedi, per poter fare la nostra parte nel sollecitare una soluzione che risolva il problema delle polveri provenienti dalla Ferriera. Su quel tavolo - conclude Marzi - si analizzeranno gli esiti dei monitoraggi». L'ultimo appello il sindaco di Muggia l'ha riservato ai propri concittadini: segnalare quanto riscontrabile sul territorio muggesano poiché tutti i dati raccolti verranno trasmessi all'Arpa.

Riccardo Tosques

 

 

Sosta selvaggia, arriva il vigile elettronico - Alla polizia locale altri tre apparecchi per stanare chi non paga assicurazioni e revisioni. Uno multerà all'istante le doppie file
Vita dura per i furbetti alla guida. A Trieste arriva un sistema capace di identificare in tempo reale chi non è a posto con l'assicurazione e la revisione di auto e scooter. Di più. Il meccanismo permette di "pizzicare" anche i mezzi in divieto e in doppia fila. La multa viene recapitata direttamente a casa. Il sistema, dopo una breve sperimentazione, sarà a regime da agosto. È stato il vicesindaco Pierpaolo Roberti a consegnare al corpo di Polizia locale i modernissimi Targa system: marchingegni simili a una telecamera in grado di verificare sul momento la regolarità dei veicoli, tanto quelli parcheggiati quanto quelli in movimento. I vigili erano già stati equipaggiati con due strumenti analoghi, solo che ora possono contare su altri tre nuovi modelli. Uno di questi, come hanno spiegato in conferenza stampa il vicesindaco Roberti, il vicecomandante Walter Milocchi e il direttore di servizio Paolo Jerman, è uno speciale Targa system 4.0 mobile + soste che rileva anche le soste selvagge. Non solo. La tecnologia dà la possibilità di accertare rapidamente eventuali veicoli rubati e sottoposti a fermi amministrativi o soggetti ad altre infrazioni al codice della strada. Il funzionamento è tutto sommato abbastanza semplice: la pattuglia non deve far altro che posizionare l'aggeggio a bordo dell'auto di servizio e azionarlo. Il Gps riesce così a immortalare le targhe dei mezzi e a identificarli attraverso le banche dati nazionali. Gli agenti, inoltre, hanno a disposizione un tablet per la gestione della strumentazione mobile e le varie funzionalità. Se il meccanismo si accorge di una vettura non regolare, fotografa la targa provvedendo poi al successivo inoltro della relativa contravvenzione. Questo per quanto riguarda i divieti di sosta, le doppie file o il parcheggio negli stalli riservati. Per le assicurazioni e le revisioni scattano ulteriori accertamenti sulla documentazione del proprietario del veicolo. «Come già detto nel caso degli autovelox - ha voluto precisare Roberti presentando la strumentazione - il nostro obiettivo non è quello di fare cassa o di infierire con l'inasprimento di sanzioni sui cittadini automobilisti, ma vogliamo prima prevenire e poi colpire tutti quei fenomeni che creano disagi e pericoli. Vogliamo che non ci siano più macchine senza assicurazione o revisione, che costituiscono i casi più pericolosi e che per questo vanno tolte dalla circolazione. Questo - ha insistito il leghista, che in giunta detiene la delega alla Sicurezza - è un fenomeno a cui vogliamo dare battaglia. Da questo punto di vista vige la tolleranza zero. Ciò che prima si faceva con molti agenti, ora lo facciamo con questo meccanismo. Ma intendiamo anche e soprattutto migliorare la vivibilità della città - ha aggiunto - andando a colpire chi sosta in doppia fila provocando rallentamenti e ingorghi alla circolazione, chi si mette in prossimità delle strisce pedonali e alle fermate dei bus. O, ancora, davanti ai cassonetti non permettendo così il regolare asporto dei rifiuti da parte di AcegasAps». A questo proposito è stato citato un recente rapporto da cui emerge che a giugno non sono stati svuotati ben 34 contenitori proprio a causa dei veicoli posteggiati irregolarmente. Le zone maggiormente sotto controllo, in cui i vigili hanno riscontrato problemi particolarmente accentuati di sosta selvaggia, sono soprattutto le vie Battisti, Giulia, del Teatro Romano, San Spiridione, Donota, Fabio Severo, Coroneo, riva Grumula e largo Barriera. Dopo un breve periodo di sperimentazione di circa una settimana, il Targa system 4.0 mobile + soste entrerà in funzione a tutti gli effetti. Di qui l'appello agli automobilisti, tanto del vicesindaco quanto del vicecomandante della Polizia locale, a non sostare in doppia fila per evitare spiacevoli sorprese. Il valore dei nuovi dispositivi ammonta a circa 7mila euro l'uno. L'investimento del Comune di Trieste è stato portato a termine grazie ai contributi della Regione

Gianpaolo Sarti

 

COMUNE E FIAB - Ok alle corsie per le biciclette nella galleria di Montebello
Incontro, ieri, tra il sindaco Dipiazza, il vicesindaco Roberti e la Fiab Trieste Ulisse rappresentata dal presidente Mastropasqua e dal consigliere Kosic. Sono stati affrontati numerosi temi relativi alla ciclabilità nella nostra città, con particolare focus sullo sviluppo del cicloturismo e sulla sicurezza. È stato affrontato anche il tema delle nuove rotatorie: Fiab ha fatto presente che costituiscono un serio pericolo per i ciclisti se non vengono adottati degli accorgimenti (ad esempio, un anello ciclabile) per agevolare il passaggio delle biciclette. Il sindaco si è impegnato perché nella progettazione vengano adottati i dovuti accorgimenti tecnici. Poi si è discusso della ciclabile Trieste-Muggia, che rientra nel progetto europeo di ciclabili internazionali Eurovelo e pertanto costituisce un'importante infrastruttura per lo sviluppo del cicloturismo in città che attualmente vede circa 20.000 cicloturisti (dato 2015) pernottare a Trieste per poi dirigersi verso sud. Qui Dipiazza ha dichiarato che chiederà un approfondimento ai tecnici del Comune per valutare meglio la fattibilità dell'opera. E dal momento che il naturale prolungamento di questo percorso in direzione del centro città è costituito dalla galleria di piazza Foraggi (che sarà presto oggetto di un importante intervento di risistemazione), il primo cittadino si è impegnato a far realizzare all'interno della galleria due ciclabili monodirezionali laterali esterne alla sede stradale, per consentire il collegamento ciclabile tra via dell'Istria e piazza Foraggi. Infine, per quanto riguarda Porto vecchio, il sindaco ha confermato l'impegno a realizzare una pista ciclabile le cui caratteristiche saranno meglio definite in fase di progettazione. Fiab, da parte sua, ha ribadito la necessità di un percorso ciclabile in sede propria.

 

 

 

 

GREENSTYLE.it - MERCOLEDI', 26 luglio 2017

 

 

Raccolta differenziata: i consigli del CIC per l’estate

Gestire correttamente i rifiuti attraverso la raccolta differenziata. Questa la chiave per città più pulite e luoghi turistici più accoglienti e curati secondo il CIC, Consorzio Italiano Compostatori, che ne su 25esimo anno di attività presenta un decalogo per ottimizzare il recupero della frazione organica e utilizzare al meglio il compost da essa ricavato.

Molti i fattori che durante l’estate possono danneggiare sia la raccolta differenziata che nello specifico quella dell’umido. Tra questi uno dei nemici principali è proprio il tipico caldo estivo, come sottolineato da Massimo Centemero, direttore del CIC: "durante la stagione calda occorre prestare ancora maggior attenzione alla raccolta differenziata dei rifiuti, dato che le temperature elevate possono provocare alcune criticità, come i cattivi odori".
L’Italia sta lavorando molto bene per sviluppare una filiera virtuosa del recupero del rifiuto organico e i cittadini stanno dimostrando sempre più attenzione nei confronti del tema della raccolta differenziata: nel 2015 sono state raccolte 4 milioni di tonnellate di umido, pari a circa 66 kg per abitante per anno, e oltre 2 milioni di tonnellate di verde, pari a ca. 34 kg/ab/a.
Proprio per consentire una più efficace raccolta e un miglior utilizzo del compost il CIC ha reso noto un suo decalogo per un corretto recupero della frazione organica:
Utilizzare il sacco giusto. Sembra scontato, ma una delle criticità possibili in caso di compostaggio è proprio un’errata scelta del sacchetto, che deve essere realizzato in materiale biodegradabile e compostabile (certificato a NORMA UNI EN 13432 in carta o in bioplastica). Riconoscerlo è semplice, basterà verificare che vi sia apposta la sigla dello standard europeo UNI EN 13432:2002 e il marchio di un ente come il CIC stesso. Da evitare assolutamente le buste di plastica tradizionale.
Contenitore aerato e traforato per la raccolta della frazione umida, così da evitare i cattivi odori in casa. Così facendo si favorirà l’eliminazione dell’umidità e degli odori, mentre si eviterà che i rifiuti fermentino e che si creino liquidi all’interno del sacchetto compostabile.
Al momento di buttare l’umido andranno prese alcune accortezze, come il non pressare i rifiuti, sgocciolarli e ridurre in pezzi quelli più voluminosi.
All’interno della frazione umida andranno conferiti scarti alimentari, i resti del cibo secco degli animali domestici, i fiori appassiti e tappi di sughero. Da evitare con attenzione l’inserimento di vetro, metallo, plastica, lattine oltre a scarti di legname trattato o verniciato.
Cosa si ottiene grazie all’organico può essere di grande importanza, sottolinea il CIC. Innanzitutto può dare vita al compost, un fertilizzante naturale in grado di contribuire a un circolo virtuoso per il nutrimento della terra. Altra prospettiva per la frazione umida è quella di essere impiegata nella produzione di biocarburanti.
Un altro punto del decalogo CIC riguarda il come usare il compost. Tra i possibili impieghi la concimazione di fondo dell’orto, per la quale il Consorzio indica un dosaggio di 2/3 kg a mq, segnalando che è inoltre necessario distribuire il compost sul terreno e interrarlo con una vanga nei primi 10-15 cm. Può essere impiegato anche come fertilizzante per piantare alberi e arbusti nonché per la pacciamatura: l’obiettivo è quello di ostacolare la comparsa delle erbe infestanti e mantenere una migliore umidità del terreno.
Bisogna inoltre cercare di produrre meno rifiuti, prestando attenzione alla conservazione del cibo e tenendo frutta e verdura in luoghi freschi e riparati dal sole.
Non solo una migliore conservazione degli alimenti, ma anche un loro più efficiente utilizzo in fase di preparazione dei cibi. Prima di gettare gli avanzi occorre chiedersi se possono ancora tornare utili, ad esempio per una macedonia di frutta o un’insalata ricca. Se i pomodori dovessero iniziare a presentare delle “rughe” potranno essere seccati in forno, oppure al sole, cosparsi di olio ed erbe e poi conservati poi in un barattolo coperti di olio.
Prestare attenzione alle modalità di raccolta e tenersi informati sulle specifiche relative alla gestione entro il proprio Comune di residenza o villeggiatura. Se necessario contattare l’agenzia di igiene urbana locale o il municipio per conoscere orari e giorni di raccolta delle varie frazioni.
Marchi di certificazione CIC, frutto di un programma di verifica volontaria della qualità del compost, realizzato dal Consorzio Italiano Compostatori. Da qui sono scaturiti due marchi: uno per il compost e l’altro per i manufatti compostabili; l’obiettivo è quello di rendere identificabili i prodotti che rispondono a requisiti di qualità fissati per un’impronta ecologica più leggera e sicura.

Claudio Schirru

 

 

La salute degli oceani e dei suoi pesci

Inquinamento, cambiamenti climatici, contaminazione delle acque: sono tante le minacce che aggravano le condizioni ambientali degli oceani. A giocare un ruolo fondamentale sono anche i metodi di pesca e di cattura intensivi, che mettono a repentaglio l’equilibrio dell’habitat marino e delle specie animali e vegetali che lo popolano.Ma perché il benessere degli oceani riveste un ruolo tanto importante per la vita umana? Proviamo a rispondere a questa domanda e a fornire qualche dato in più sullo stato di salute delle acque.

L’importanza di salvaguardare la salute ambientale degli oceani e della fauna marina
Gli oceani stanno vivendo un momento critico. Uno dei problemi più diffusi riguarda l’approvvigionamento eccessivo e sconsiderato delle risorse ittiche, spesso svolto secondo tecniche che superano di gran lunga i limiti della sostenibilità ambientale. Il risultato è un’alterazione dell’equilibrio della biodiversità marina, oltre che una progressiva estinzione delle specie già a rischio. Un cenno a parte è poi da riservarsi all’integrità dei fondali marini, messa a repentaglio dalla pesca in profondità e da altre operazioni di perforazione e scavo. Queste, aumentando i detriti in sospensione, contribuiscono ad alterare l’ambiente che permette a numerose specie di vivere, svilupparsi e riprodursi.
Come risposta al sovrasfruttamento dell’habitat marino in ogni sua forma di approvvigionamento, esiste oggi un’alternativa: la pesca sostenibile e certificata. Per essere dichiarata tale, l’attività di pesca deve essere svolta nel pieno rispetto della produttività e della biodiversità degli ambienti marini, secondo un approccio ecosistemico e, soprattutto, a lungo termine.
La salute ambientale del Mediterraneo
Il mar Mediterraneo rappresenta appena l’1% degli oceani di tutto il mondo. Eppure, è tra le acque più ricche e navigate in assoluto. Vi si affacciano ben diciannove nazioni, ospita più di 10.000 specie marine (tra le quali, diverse in via di estinzione), ed è fonte di cibo, lavoro e svago per milioni di persone. Trattandosi di un bacino semichiuso, richiede oltre 100 anni perché le sue masse d’acqua vengano pulite e rinnovate. Tradotto in altre parole: non si riprende così facilmente, né così rapidamente, da danni, inquinamento e sfruttamento ai quali è sottoposto.
Fulcro vitale di sostentamento e reddito, il Mediterraneo è, ad oggi, sempre più impoverito. Organismi ufficiali, come l’Agenzia europea dell’ambiente (EEA) e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), hanno portato alla luce un dato allarmante: oltre il 65% di tutti gli stock ittici del Mediterraneo è da considerarsi a rischio. Per tale ragione, gli esperti sostengono che fino al 50% delle sue acque dovrebbero essere “off limits” per qualsiasi tipo di attività distruttiva, pesca compresa. Alla minaccia della pesca intensiva e incontrollata, si aggiungono altri interventi di natura umana, come l’acquacoltura, l’allevamento del tonno rosso o l’uso di reti di cattura inadatte, che rischiano di intrappolare e danneggiare anche altre specie non bersaglio.
La situazione del Mediterraneo appare drammatica, ma, fortunatamente, possiamo fare molto per migliorare il suo stato di salute. Ad esempio, possiamo scegliere di evitare di inquinarlo, soprattutto riducendo al minimo l’uso di imballaggi in plastica, e assicurarci che i prodotti ittici che finiscono sulla nostra tavola provengano esclusivamente da pesca certificata, ossia realizzata con metodi responsabili e sostenibili.

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 26 luglio 2017

 

 

Restyling bis alla baia di Sistiana tra loft di lusso e marina per yacht - Territorio»il progetto
Riqualificazione della baia di Sistiana atto secondo. Con il decollo di Portopiccolo ormai consolidato - è stato venduto oltre il 70% degli oltre 450 appartamenti, in gran parte a stranieri - si apre il nuovo capitolo dell'intervento che fa capo al gruppo friulano Rizzani de Eccher, che a suo tempo ha rilevato le quote di maggioranza del complesso, e di alcune aree nella baia di Sistiana, dal Fondo Rilke. Il prossimo atteso intervento riguarda l'ex albergo austroungarico, in decadenza da decenni, la cui rinascita inizierà a breve. «Puntiamo a partire entro fine anno», spiega Claudio de Eccher, chief strategist e azionista, assieme al fratello Marco, del colosso delle costruzioni. Il gruppo de Eccher sta lavorando con il gruppo Marriott International, uno dei colossi mondiali dell'hotellerie (controlla anche Starwood Hotels&Resort, alla quale è affiliato il Falisia Resort di Portopiccolo) per un progetto «molto rispettoso dell'architettura e che allo stesso tempo valorizzi al massimo lo storico edificio». Il vincolo posto diversi anni fa sul più che centenario albergo prevede del resto un recupero integrale degli esterni, con minimi interventi nella parte posteriore. Si tratta di un intervento che richiederà due anni per essere portato a termine, con una spesa di alcune decine di milioni, e che comprende, a servizio dell'hotel, una darsena - prevista dal piano regolatore nel tratto fra la sede della Pietas Julia e il molo della baia - per una decina di yacht fino a 60 metri di lunghezza. «Sarà un albergo con appartamenti di lusso - precisa de Eccher -. Il lavoro che stiamo sviluppando con il gruppo Marriott punta più in generale a sviluppare le attività nella baia, mantenendone il carattere giovane e pieno di vita, un clima del tutto diverso da quello più tranquillo di Portopiccolo. Lasceremo quindi una parte importante della baia - aggiunge - per i tanti utenti abituali, elevandone comunque un po' il livello. Crediamo molto nelle potenzialità di questo territorio e di questo mare. Puntiamo ad andare avanti assieme ai vari operatori, privati e pubblici, per dare vita a un indotto economico importante».In questo discorso di sviluppo sia riguardo a Portopiccolo sia alla baia c'è però un problema importante legato alla viabilità, la connessione fra la strada che sale dalla baia e la regionale 14. Gli "stop" in quell'incrocio costituiscono un ostacolo non da poco per chi, soprattutto nelle giornate festive, deve uscire dalla baia. «Prima o poi - rimarca Claudio de Eccher - in quel punto andrà fatta una rotatoria. Le code che si formano in certe giornate, lunghe anche tre chilometri, sono una vergogna». Nella baia di Sistiana, è noto, sono presenti "da sempre" diversi altri attori: quattro società nautiche - Pietas Julia, Sistiana '89, Diporto Nautico Sistiana e Cupa -, che gestiscono diversi pontili in concessione nella parte est dello specchio acqueo, e la famiglia Fari, proprietaria della vasta area ovest della baia, con i noti locali Caravella e Cantera, e che, sempre attraverso la società Srs, opera anche con il Coiba e, in subconcessione dal Comune, gestisce la spiaggia e i servizi di ristorazione a Castelreggio.«Per il momento e a medio termine - dichiara Sergio Fari - non abbiamo in programma interventi nella nostra area. Vogliamo prima vedere come si sviluppano le cose». Va comunque detto che il progetto d'ambito A8, composto da numerosi lotti e approvato da diverso tempo, prevede nell'area della Caravella la ristrutturazione degli edifici esistenti, con un possibile loro ampliamento, e anche la costruzione di nuovi (non più alti di due piani) ma sempre con destinazione turistico-ricettiva/pubblici esercizi. Sempre nell'area della Caravella, a poca distanza dal costone roccioso sopra il quale corre il sentiero Rilke, funziona però da anni l'impianto di depurazione, proprietà del Comune, che in un'ottica di sviluppo e riqualificazione della baia andrà chiaramente trasferito. Un'operazione non da poco, sia a livello finanziario sia costruttivo, che dovrebbe prevedere il trasferimento dell'impianto o la sua eliminazione con il contestuale allacciamento della rete fognaria a quella di Trieste, dove si sta completando l'ampliamento del depuratore di Servola.

Giuseppe Palladini

 

Lo stallo senza fine di Castelreggio e l'incognita delle società nautiche
Quando inizierà la ristrutturazione dell'ex albergo austroungarico (durata due anni) che ne sarà dell'area a terra occupata dalla società Cupa, adiacente all'ex albergo e dove sono custodite le imbarcazioni degli atleti e della scuola vela? Posto che l'area stessa è proprietà della Rizzani de Eccher, non sarà difficile trovare uno spazio alternativo. Fra le possibilità c'è il complesso di Castelreggio, dove si sarebbero già dovute realizzare le sedi della stessa Cupa e di altre due società nautiche. Ma del complesso sono agibili solo la spiaggia e alcuni servizi. L'edificio principale è "off limits" da diversi anni. E i costi per ristrutturare l'area non sono certo contenuti. Con la precedente amministrazione, la gara per la concessione è andata deserta. Adesso la giunta guidata da Daniela Pallotta, insediatasi da poco più di un mese, è intenzionata a riprendere in mano la situazione. «Il progetto è da ritarare - spiega l'assessore ai Lavori pubblici Lorenzo Pipan - in base al bilancio di previsione che redigeremo nei prossimi mesi, verificando la disponibilità dei fondi».«È un peccato che non si possa sviluppare Castelreggio - osserva de Eccher - perchè le società nautiche hanno diritto ad avere una sede. È un problema che va risolto nell'interesse di tutti. Con le società siamo del resto in ottimi rapporti, abbiamo organizzato numerosi eventi assieme, e con esse vogliamo contribuire alla diffusione della vela in questo territorio e in questo mare di cui siamo innamorati e che ha potenzialità enormi». Lo sblocco della situazione potrebbe arrivare a settembre, quando la Regione dovrebbe approvare il nuovo Pud (Piano di utilizzo del Demanio). «A seguito di questo nuovo piano - precisa l'assessore Pipan - si potrà predisporre un nuovo bando di gara per Castelreggio, e anche vedere se è possibile ottenere una proroga della concessione, essendo già trascorsi sette anni dei venti previsti dalla concessione attuale».Che l'area sia in concessione al Comune non piace però a tutti. La soluzione, si dice, starebbe nel "passaggio" dell'amministrazione da concessionario a ente concedente. Un po' come avviene per il porto di Trieste dove un ente, l'Authority, dà in concessione le aree demaniali e i terminal agli operatori privati. Quel che è certo è che nel nuovo bando si dovrà ridurre l'ambito dell'intervento. Attualmente per rimettere a posto il complesso sembra servano almeno due milioni. Una cifra di cui il Comune non dispone, e che nessun imprenditore privato è disposto a investire senza elementi concreti che permettano di valutare la sostenibilità dell'intervento. «Una soluzione però va trovata - assicura Pipan -. Studieremo anche come inserire le società nautiche visto che parte dell'area è già destinata a loro. Entro la prossima estate qualcosa andrà fatto».

(g.p.)

 

Carso più sicuro dopo il restyling da un milione - Finiti i lavori su un chilometro e mezzo di ciglione - In arrivo 300mila euro per ulteriori 300 metri
TRIESTE - "Gli eroi del Carso". Definizione epica, quasi ancestrale, che rimanda a miti di altri tempi. Quei miti, in realtà, sono uomini moderni in carne ed ossa: sono i viticoltori ed in generale gli agricoltori che operano nelle aspre terre dell'altipiano carsico. Cristiano Shaurli, assessore regionale alle Risorse agricole, friulano doc, nell'affrontare il ciglione carsico sotto Prosecco, non ha potuto che definire eroico l'arduo lavoro svolto di chi ha deciso di dedicarsi alla cura della terra del Carso. La nobile sentenza è arrivata in occasione della visita effettuata nella tarda mattinata di ieri alla presenza di politici e tecnici per monitorare lo stato dei lavori effettuati da parte del Consorzio di bonifica della pianura isontina e dal Servizio gestione territorio montano della Regione. Lavori che, nel loro primo lotto, hanno totalmente ridato la possibilità ai viticoltori locali di operare in sicurezza lungo un percorso di circa 1400 metri, una strada che dalla parte alta di Prosecco conduce verso il mare, portando alle località di Contovello, a Est, e Santa Croce, verso Ovest. I finanziamenti messi sul piatto da parte della giunta Serracchiani per riqualificare i muretti di contenimento e allargare la strada sono stati di 500mila euro, che sommati ad un altro finanziamento risalente a circa dieci anni fa pari ad altri 500 mila euro, hanno fatto salire a circa un milione di euro il costo dell'operazione. Nella lenta marcia partita sotto un sole cocente dal monumento ai caduti della guerra di Liberazione di Prosecco, diversi volti noti hanno camminato in discesa lungo il sentiero principale. I consiglieri regionali Igor Gabrovec (Unione slovena) e Stefano Ukmar (Pd), assieme al sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, hanno passeggiato fianco a fianco nel verde Carso triestino, costeggiando il monastero di San Cipriano abitato dalle suore benedettine, addentrandosi sino ad arrivare alle vigne del viticoltore Sandi Skerk, forse il nome più noto dei diversi agricoltori presenti in zona. La vista aperta sul golfo di Trieste si è focalizzata ben presto sulla bellezza asburgica del Castello di Miramare. E anche i tecnici friulani presenti in loco non hanno potuto che rimanere estasiati dinanzi a cotanta bellezza triestina. A spiegare i lavori intrapresi dalla Regione è stato il direttore tecnico del Consorzio di bonifica della pianura isontina Daniele Luis: «Abbiamo messo in sicurezza un chilometro e 400 metri di strada, risistemando i muri di pietra crollati, allargando la carreggiata di un metro rispetto alla misura precedente (dai due metri preesistenti si è arrivati ai tre metri attuali, ndr), e posando la condotta dell'impianto Acegas per garantire la possibilità di irrigazione dei terreni circostanti. Inoltre operando sull'area abbiamo creato delle vere e proprie piste tagliafuoco che delimitano la parte boschiva alta dalla zona della sottostante ferrovia, oltre a creare delle piazzole adibite allo scambio dei mezzi agricoli».I lavori, iniziati nel novembre del 2016 e conclusisi poche settimane or sono, fanno parte di un primo lotto. «Da settembre a marzo proseguiremo nei lavori per altri 300 metri circa, grazie ad un assestamento di bilancio della Regione pari a circa 300mila euro, continuando ad allargare la strada e rimettendo a posto i muretti a secco», ha aggiunto Luis. L'obbiettivo dichiarato è di arrivare il prima possibile a raggiungere il collegamento con la frazione di Santa Croce e magari, come auspicato da Gabrovec, «a collegare tutte le zone del ciglione carsico da Est a Ovest attraverso un lavoro che sulla carta dovrebbe necessitare di un finanziamento pari a qualche decina di milioni di euro da reperire negli anni tramite fondi statali ed europei». Nella lenta risalita verso il punto d'incontro iniziale del sopralluogo è stato quindi messo in luce il lavoro svolto dal Servizio gestione territorio montano che si appresta per il terzo anno consecutivo a riqualificare la sentieristica che attraversa i boschi del Carso. Un plauso finale al lavoro svolto è arrivato da Dipiazza: «Complimenti davvero a tutti, perché dopo circa vent'anni sono stati ripuliti i torrenti che scendevano a valle creando disagi sino a Grignano e a Miramare, ma soprattutto ora i nostri viticoltori hanno a disposizione un'area per operare al meglio in grande sicurezza».

Riccardo Tosques

 

 

Ferriera - Torna con il "neverin" la nube su Servola
Con il "neverin" è tornata ieri sopra la Ferriera la nube scura già segnalata negli ultimi giorni proprio in concomitanza con il maltempo legato al vento forte. Il fenomeno è stato fotografato da diversi servolani, che hanno poi pubblicato le immagini sui social.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 25 luglio 2017

 

 

Doppio sollevamento di polveri dalla Ferriera
«Alla luce dell'intensificarsi della frequenza dei fenomeni di sollevamento di polveri dai parchi minerari fossili della Ferriera, appare sempre più urgente la realizzazione della loro copertura, unica soluzione per evitare il ripetersi di questi eventi». Lo ha rilevato in una nota la direzione regionale Ambiente, d'intesa con Arpa Fvg, dopo che ieri mattina, tra le 9 e le 10, si è verificato un sollevamento di polvere, causato da raffiche di vento intorno ai 70 km/h provenienti da Nord-Ovest, che hanno disperso il minerale sollevato nella zona sudorientale di Trieste. Un secondo sollevamento di polveri è avvenuto nel pomeriggio con l'arrivo a Trieste del "neverin" (a destra nella foto di Silvia del Bene). Sul caso è intervenuto anche il sindaco Roberto Dipiazza, che ha sottolineato come «sussistano gli elementi dal Testo Unico Ambientale con cui la Regione può procedere alla sospensione o revoca dell'Aia» e ha chiesto formalmente alla Regione come intenda procedere in tal senso.

 

 

Carso, maggiori controlli contro le discariche abusive - La lettera del giorno di Roberto Zorzut
Due giorni di tambureggiante informazione, su Il Piccolo, saranno bastati a far aprile gli occhi ai responsabili che dovrebbero controllare la pulizia sul nostro Carso, dove ormai le discariche a cielo aperto sono diventate una triste realtà? Questa è la speranza di tutti, dico speranza perché, come vanno ora le cose, non si può pretendere di più. Ci sono i "volontari per Trieste pulita" che si ritrovano con il passaparola su face book, bisognerebbe fare loro un monumento per quello che fanno. Questi volontari dedicano il loro tempo libero a fare un po' di pulizia sul nostro Carso, ma questo viene fatto dopo che il danno è stato consumato. Bisogna prevenire. Di chi questo compito? Il Corpo forestale, passato ora sotto l'Arma dei carabinieri, dovrebbe prendersi questa responsabilità. Disincentivare queste malsane abitudini di persone maleducate nei confronti dell'ambiente, dovrebbe essere la loro priorità. Non si può prendersela solo contro coloro che mettono delle reti per difendersi dai danni di caprioli e cinghiali e farle rimuovere, dopo dei loro "controlli capillari", ma lo stare sempre all'erta su tutto quello che succede e che fa male all'ambiente dovrebbe essere un loro lavoro di routine. Almeno, dove si può, ed i posti sono parecchi, dovrebbero mettere delle sbarre, così almeno i piccoli camioncini non avrebbero la possibilità di avvicinarsi troppo a delle discariche improvvisate dove ora scaricano calcinacci e tanto altro. Questo si può fare, ve lo dice uno che il Carso lo conosce parecchio. Ad ogni modo non siamo noi che dobbiamo suggerire loro un piano per combattere queste discariche abusive, ma la fantasia non basta e così, da subito, ci vorrebbe una loro presenza più costante ed il farsi vedere spesso, oltre alle sbarre, potrebbe essere un buon deterrente per mantenere la pulizia.

 

 

L'attesa è finita: apre il parco di Aquilinia - Venerdì l'inaugurazione dopo oltre un anno di stallo. Tredicimila metri quadrati con sentieri illuminati e giochi per bambini
MUGGIA - Il Parco urbano di Aquilinia è pronto per essere aperto al pubblico. Dopo oltre un anno di attesa, finalmente il nodo sull'utilizzo dell'area boschiva è stato sciolto. Il Comune di Muggia ha annunciato che lo spazio consegnato dalla Teseco verrà ufficialmente inaugurato venerdì 28 luglio alle 17.Collocato di fronte alla scuola primaria "Ada Loreti" e vicino all'ex caserma della Guardia di Finanza, il parco è stato realizzato dalla Teseco grazie a un finanziamento di 190mila euro che sono serviti per riqualificare tutta la zona. L'area, complessivamente, ha una superficie di 13mila mq e comprende lo spazio tra il muro di cinta dell'ex raffineria Aquila e via di Zaule, dalla sommità di via di Stramare fino a via Flavia di Stramare, includendo anche i vecchi campi da tennis e le scalette d'accesso all'area dalla strada. La situazione di stallo dell'area risaliva al 2016. A causa del maltempo di allora l'inaugurazione era stata posticipata al 6 giugno dello scorso anno. Una struttura completamente messa a nuovo con la realizzazione di sentieri dotati di illuminazione notturna, richiesti dall'amministrazione comunale anche per percorrere le arterie nel bosco in maggior sicurezza, e un nuovo parco giochi per i più piccoli. Nell'intervento Teseco aveva anche messo in sicurezza la viabilità sia dalla via di Zaule che dalla sottostante galleria. Come detto, però, la struttura è rimasta "bloccata" tanto da finire sull'agenda politica. Più volte Roberta Vlahov, consigliere comunale di Obiettivo comune per Muggia, aveva chiesto delucidazioni sull'apertura della struttura. In un'interrogazione la questione era finita in Consiglio comunale in seguito all'interessamento dei tre partiti del centrodestra. Nel testo, con capofirmatario Andrea Mariucci (Forza Muggia-Dpm) e sottoscritto anche dai consiglieri Stefano Norbedo e Giulia Demarchi (Forza Muggia-Dpm), Giulio Ferluga (Lega Nord) e Nicola Delconte (Fratelli d'Italia), si chiedeva come mai l'area, ancora interdetta al pubblico e contornata dal recinto di cantiere, fosse comunque abbondantemente illuminata. Nel marzo scorso il sindaco Laura Marzi, assumendosi la responsabilità dei ritardi, aveva evidenziato come la mancanza di un guardrail di sicurezza stesse ritardando l'apertura effettiva del parco. Per risolvere la questione era stata stornata una parte del denaro destinato alla realizzazione di 40 parcheggi, che forse verranno realizzati successivamente. Finalmente, nella giornata di ieri l'annuncio che venerdì il Parco urbano di Aquilinia verrà inaugurato: «Doverose verifiche sulla sicurezza fatte dai nostri uffici e lungaggini burocratiche dovute alla cessione del bene hanno ritardato la consegna di un ettaro di verde pubblico - ha commentato il sindaco -. Un ritardo che nulla toglie comunque alla soddisfazione di dare ai residenti una nuova area ricreativa e di svago».

Riccardo Tosques

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 24 luglio 2017

 

Il rifugio dell'Enpa amplia i recinti esterni - Via libera al progetto grazie al finanziamento disposto dalla Regione. Necessari lavori per 83mila euro
Potrà contare sul prezioso sostegno della Regione l'Ente protezione animali (Enpa) di Trieste, per l'ampliamento della zona esterna alla struttura di via Marchesetti, destinata a ospitare animali selvatici di taglia medio-grande, per offrire cure e primo soccorso. Un emendamento presentato in aula dal consigliere regionale del Pd, Franco Codega, ha fatto seguito alla visita alla struttura della governatrice, Debora Serracchiani, e ha così confermato il finanziamento finalizzato alla realizzazione dei necessari recinti esterni per animali. La richiesta di sostegno giunta alla Regione dall'Enpa è nata dal problema, segnalato dagli stessi volontari (che attualmente sono 25), dell'esiguità degli spazi, incapaci di accogliere un sempre maggior numero di "ospiti". Una vera emergenza per la struttura di via Marchesetti che offre un servizio prezioso al territorio triestino. Il progetto di ristrutturazione è ambizioso e stima in circa 83mila euro la somma necessaria a trasformare l'attuale spazio esterno del canile in un'area di ricovero di oltre 24mila metri quadri di spazi recintati in equilibrio tra aree boschive e aree libere, idonee alla riabilitazione di animali selvatici. Con l'aiuto finanziario della Regione, quindi, verrà finalmente realizzato il sogno della squadra di volontari e professionisti, guidata dalla presidente Patrizia Bufo, che quotidianamente si dedica alla cura di tanti amici a quattro o due zampe. Un servizio, quello garantito dalla "famiglia" dell'Enpa, che i triestini, da sempre grandi amanti degli animali, dimostrano di apprezzare molto. La prova si è avuta in occasione dell'ultima edizione di "Rifugi aperti" alla struttura di via Marchesetti, presa d'assalto da più di mille visitatori. Adulti e bambini hanno letteralmente preso d'assalto la struttura, sfidando anche il caldo opprimente pur di trascorrere qualche ora in quella specie di oasi verde a due passi dal centro cittadino. Un'esperienza entusiasmante specie per i visitatori più piccoli che, accompagnati dai volontari, hanno potuto girovagare tra recinti e gabbiette, familiarizzando con animali diversi, dai cerbiatti ai conigli passando per pennuti colorati, e scattando foto ricordo di quella giornata da dimenticare.

Alexandra Del Bianco

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 23 luglio 2017

 

 

Sub con la fiocina nella Riserva - Turista tedesco bloccato al "moletto" dalla Guardia costiera dopo l'allarme lanciato dai bagnanti
Insolito e decisamente pericoloso. Per fortuna non è usuale che un turista di nazionalità tedesca, che non ha visto o ha ignorato l'apposita segnaletica, si immerga durante un sabato pomeriggio estivo nelle acque della Riserva di Miramare o nell'area immediatamente attigua, con l'accompagnamento di un fucile subacqueo. Però ieri pomeriggio il fattaccio è accaduto: erano le 18.30, quando i bagnanti del moletto (anticamente soprannominato della "tetta rossa"), che segna l'inizio della Riserva marina di Miramare ed è confinante con lo stabilimento balneare "Sticco", hanno avvistato l'inquietante "visitor" e hanno allora celermente allertato la Guardia costiera, giunta sul posto. Nella serata di ieri l'intervento era ancora in corso, in quanto il confronto con l'incursore germanico non appariva agevole sotto il profilo linguistico. In particolare, i militari hanno dovuto rilevare se il Nettuno nordico abbia contenuto l'immersione con il suo equipaggiamento senza oltrepassare il limes con la Riserva o se invece il confine acqueo sia stato valicato. Nel primo caso - specificano fonti della Guardia costiera - il turista tedesco, di cui non è stata diffusa altra informazione anagrafica, rischia una pesante sanzione di 2000 euro, perchè comunque pescava entro i 500 metri di distanza dalla riva e l'idea, che avesse potuto sparare una fiocinata nelle acque antistanti "Sticco" non è certo rassicurante .Ma gli andrà molto peggio se la Guardia costiera avrà accertato l'ingresso nelle acque protette della Riserva: perchè la fattispecie porta dritto dritto nel perimetro penale, trattandosi di reati contro l'ambiente.«Ci sono cartelli plurilingue lungo l'intero limite della riserva, per cui un comportamento di questo tipo è inescusabile, quand'anche non ci fosse un'intenzione dolosa», commenta Maurizio Spoto, direttore della Riserva di Miramare per conto di Wwf Italia. «Se uno vuol vedere i pesci, indossa maschera e pinne, non gira con un fucile subacqueo». «Il forte sviluppo turistico di questi ultimi anni - continua il direttore - ha portato a Barcola molti visitatori di lingua tedesca. E può capitare di "intercettare" qualche turista che a bordo di una canoa entra nella zona protetta. Per questo, soprattutto nel fine settimana, cerchiamo di intensificare l'attività di controllo». «Tra i nostri migliori collaboratori, sia dalla parte di Grignano che da quella di "Sticco" - aggiunge Spoto - ci sono certamente gli stessi bagnanti, che ormai conoscono le regole con le quali si protegge la Riserva. Spesso sono proprio loro a svolgere il primo livello di informazione e, caso mai, di intervento. Come nella situazione verificatasi con l'incauto pescatore. E mi fa piacere la pronta risposta della Guardia costiera, significa che il mare è monitorato». Per i triestini, infatti, la Riserva non è certo una novità: l'area protetta è stata istituita con decreto il 12 novembre 1986 e ha quindi alle spalle un curriculum operativo che data oltre trent'anni fa.

Massimo Greco

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 22 luglio 2017

 

 

Arvedi svela il suo piano - I timori dei sindacati - Sigle dure sul piano della Ferriera: «Solo manutenzione. Ora un tavolo a Roma»
Nel frattempo l'altoforno chiuderà a fine mese e poi due settimane a settembre
«Il piano di investimenti 2018-2019 presentatoci da Siderurgica triestina non è una garanzia sul futuro dell'area a caldo, tutt'al più sono lavori di mantenimento». I sindacati triestini prendono una posizione ferma nei confronti della proprietà della Ferriera, che due giorni fa ha presentato in un incontro con le sigle gli interventi previsti per il prossimo biennio. Un foglio che i rappresentanti dei lavoratori ricevono con «preoccupazione» e «imbarazzo», chiedendo che la vicenda torni al tavolo del Mise, a Roma, in maniera da garantire una prospettiva pluriennale allo stabilimento. Critiche a cui l'azienda preferisce non replicare, comunicando invece che l'altoforno chiuderà «nel rispetto della diffida della Regione» dal 28 luglio al 1 agosto. Altri 15 giorni di chiusura arriveranno nella seconda metà di settembre, «nel rispetto dei lavori che l'Aia richiedeva entro tre anni».La presa di posizione delle sigle, invece, è stata comunicata in una conferenza stampa congiunta a cui hanno partecipato Franco Palman (Uilm), Umberto Salvaneschi (Fim), Marco Relli (Fiom), Christian Prella (Failms), Antonio Rodà (Uil), Thomas Trost (Fiom). Per l'azienda l'incontro fra dirigenti e sindacati «era volto a rassicurare i lavoratori sulla volontà di investire e mantenere aperta l'area a caldo». All'incontro erano presenti il direttore dello stabilimento, il responsabile del personale del Gruppo Arvedi e quello locale: hanno dato ai sindacati un elenco degli interventi da fare sull'area a caldo nel prossimo biennio, senza investimenti scritti o firme. I sindacati non si sono sentiti affatto rassicurati, dicono. Così Palman: «In questi tre anni, dalla concessione dell'Aia, le Rsu hanno dato tempo all'imprenditore per capire lo stabilimento e dare delle risposte». Ancora oggi però «l'incertezza rimane»: «Il piano 2018-2019 che ci hanno presentato è un passo piccolo, insufficiente a dare garanzie di continuità ai lavoratori». Oggi, ha aggiunto, «abbiamo il sospetto che l'imprenditore e la politica abbiano già dei programmi, e non vorremmo che un domani arrivi l'annuncio della chiusura dell'area a caldo, senza un piano per garantire l'occupazione». La richiesta è quindi l'apertura di un tavolo al ministero: «Lì chiederemo un piano industriale vero. Dopo tre anni ci sentiamo al punto di partenza, solo più stanchi». Nel suo intervento Salvaneschi si è rivolto al Comune: «Il sindaco dice che può assumere trecento persone in Comune: allora ne prenda trenta per dare un segnale concreto. Perché se noi provochiamo del fumo, lui lo vende». Per l'esponente Fim «la pressione politica per la chiusura dà un alibi all'azienda per non investire». Relli della Fiom ha osservato come la situazione attuale presenti «un disgregamento della compagine politica che aveva avviato l'operazione» e al contempo «un ritardo dell'imprenditore, cui contribuiscono anche questioni nazionali come Taranto». Nel piano presentato, secondo Relli, mancano alcuni punti fondamentali: «Non vedo ad esempio ancora la copertura dei parchi, intervento imprescindibile che costituirebbe un impegno economico serio da parte del gruppo». Per Prella «ad oggi non ci sono certezze che il progetto a lunga scadenza non ceda in pochissimo tempo. Abbiamo dichiarazioni di intenti ma non garanzie». Così Prella: «Da un paio di mesi l'azienda non prende nessun tipo di posizione. Prendiamo atto del documento ma per noi non è sufficiente, perché i documenti si lasciano scrivere mentre contano i fatti». E ancora: «L'azienda smentisce i nostri timori ma al contempo dice che non può dirci nulla sul piano industriale. Serve riportare la questione al ministero» Conclude Trost della Fiom: «Da anni le Rsu tengono un livello basso per non esasperare. Qui però c'è gente che lavora duro ogni giorno, gente che spesso ha situazioni difficili in famiglia. E non so quanto a lungo potremo ancora tenere basso quel livello».

Giovanni Tomasin

 

Il presidio del Comitato compie un mese - In piazza ormai dal 20 giugno: «Siamo lì da 30 giorni senza che le istituzioni abbiano dato risposte»
Compie un mese di vita il presidio permanente del Comitato 5 Dicembre per la chiusura dell'area a caldo. Un mese, dal 20 giugno a questi giorni, in cui il gazebo è stato presidiato 24 ore su 24, dando incarnazione concreta, fisica, al malessere di Servola nel pieno centro città. Il comitato ha scelto di comunicare esclusivamente attraverso i social media. Sul profilo di una dei suoi rappresentanti, Barbara Belluzzo, ci sono le considerazioni sulla ricorrenza: «Non è propriamente qualcosa di cui andar fieri. Sono passati 30 giorni e noi siamo ancora lì senza che le istituzioni ad oggi abbiano saputo risolvere la nostra richiesta di conciliare la salute, il lavoro e il diritto all'impresa». Il presidio, prosegue, «rappresenta l'apice di una protesta che parte tanto tempo fa e che colpevolmente la politica ha manipolato, contando probabilmente sull'effetto della rana nell'acqua calda». Un tentativo che secondo Belluzzo «non è andato a buon fine perché tante persone hanno mantenuta alta l'attenzione sul tema e, stanche e sfiduciate dai tempi della politica, hanno intrapreso una battaglia sul campo che, oltre ad aver portato a risultati concreti, ha anche un significato simbolico».In questo mese di presenza in piazza il Comitato rivendica di essersi confrontato praticamente con tutti: «Vescovo, presidente Serracchiani, funzionari regionali, parlamentari, prefetto, consiglieri comunali e regionali, lavoratori e sindacalisti della Ferriera». Confronti serrati che secondo Belluzzo consentiranno di porre una data di chiusura per l'area a caldo. Sulla pagina ufficiale del Comitato ci si interroga invece sull'annuncio di stop temporaneo dell'altoforno da parte di Siderurgica triestina: «È una sorta di segnale di protesta? O è una cosa tipo: "Guarda, non bevo nulla martedì, mercoledì, giovedì così poi venerdì se mi fermano ubriaco in macchina facendo la media rientro nei valori!"?». Questo il commento definitivo su queste giornate convulse: «Molto difficile capirci qualcosa a parte una cosa: che è vergognoso che la politica e i sindacati permettano all'imprenditore di continuare a essere così misterioso riguardo alle sue intenzioni sul destino dell'area a caldo. Ogni giorno che passa fanno una figura pessima».

(g.tom.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 21 luglio 2017

 

 

Via libera alla ciclabile Muggia-Parenzana - Approvato in Regione il finanziamento da 75mila euro per collegare il porticciolo al rio Ospo: l'allacciamento pronto in un anno
MUGGIA - Una pista ciclabile dal porticciolo di Muggia sino al rio Ospo per collegarsi alla Parenzana. Questo il nuovo progetto finanziato nell'assestamento del Bilancio regionale grazie all'emendamento presentato da alcuni consiglieri di maggioranza. Il capogruppo consiliare di Sel Giulio Lauri, capofirmatario dell'iniziativa, esulta: «Al Comune di Muggia arriveranno 75mila euro per potenziare una realtà locale che sta credendo con grandi risultati nel turismo ecosostenibile». I lavori di realizzazione del percorso ciclabile interesseranno circa un chilometro del tratto che andrà dall'approdo del Delfino Verde sino al collegamento con l'inizio della Parenzana, sul rio Ospo. «È un intervento in cui crediamo molto visto che Muggia è tra le principali mete del cicloturismo. Inoltre stiamo parlando di un'area altamente strategica dove l'Eurovelo (la rete ciclistica europea, ndr) trova un incrocio tra l'itinerario n. 8, la cosiddetta linea Est-Ovest che collega la Spagna con la Grecia, e l'itinerario n. 9, ossia la Nord-Sud che collega la Polonia con l'Istria croata». Insomma, un passaggio molto importante, quello del collegamento tra il porticciolo muggesano e la Parenzana, in attesa di vedere alla luce il tanto atteso tratto tra Muggia e Trieste. «Sappiamo che una pista ciclabile che colleghi le due realtà è fondamentale. Adesso non è ancora in previsione un lavoro di tale portata, ma si farà» conferma Lauri. Appresa la notizia, il sindaco di Muggia Laura Marzi non ha potuto che esternare la propria soddisfazione: «Quello finanziato dalla Regione è un tassello importantissimo per incrementare ulteriormente il nostro interesse verso la mobilità sostenibile. Di fatto si andrà a completare un discorso di appeal turistico che a Muggia sta toccando numeri importantissimi. Basti pensare che lo scorso anno i passaggi nel nostro territorio sono stati ben 15mila». Ringraziando dunque il «consigliere Lauri e chi ha creduto in questo progetto votandolo in Consiglio regionale», il sindaco Marzi ha poi colto la sfida del futuro collegamento tra Trieste e Muggia: «Il discorso è indubbiamente complesso poiché non è solo il Comune di Muggia a essere coinvolto. Detto questo posso dire che abbiamo in corso un ragionamento sull'area di via Flavia, in cui sono coinvolte anche le amministrazioni di Trieste e San Dorligo della Valle». Per Marzi la chiave di volta per l'aumento delle piste ciclabili sul territorio sarà l'Uti, che ha in previsione degli interventi legati al turismo slow. Tornando al tratto molo-Parenzana il finanziamento di 75mila euro dovrà essere impegnato dal Comune di Muggia entro la fine dell'anno. «Gli uffici si stanno già muovendo - conclude Marzi - e a breve il Comune farà l'impegno di spesa. Successivamente si affronterà il progetto. Diciamo che entro l'inizio della prossima estate il nuovo collegamento sarà pronto».

Riccardo Tosques

 

«Nuove indagini sanitarie a Servola» - Lettera di Dipiazza all'Asuits: «Allarmanti gli ultimi dati dell'Arpa sulle polveri»
Comune in pressing sull'Azienda sanitaria per far luce sugli sforamenti nei livelli di polveri nell'aria respirata dagli abitanti di Servola. Ad annunciare la nuova "offensiva" è stato ieri lo stesso sindaco Roberto Dipiazza, che ha inviato alle autorità sanitarie una lettera specifica sul caso. «A seguito degli ultimi dati forniti dall'Agenzia regionale della protezione per l'ambiente - afferma il primo cittadino - relativamente ai deposimetri nei punti di rilevamento collocati nello stabilimento nella Portineria operai, e nell'abitato di Servola in via Ponticello, la situazione è alquanto allarmante. Abbiamo, infatti, immediatamente inviato all'Azienda sanitaria cittadina la documentazione chiedendo un parere sanitario al fine di adottare le misure più opportune per la tutela della salute dei cittadini e dei lavoratori». L'obiettivo del Comune, chiarisce ancora il sindaco, è capire se esistano reali e nuovi pericoli per la salute dei residenti. «Dagli ultimi dati che ci sono stati forniti dall' Arpa, relativi al mese di giugno, la quantità di polvere sedimentata nei citati deposimetri evidenzia superamenti tra il 130% ed il 150% dei valori massimi consentiti dall'Aia (Autorizzazione integrata ambientale, ndr) per la Ferriera. Con questa richiesta di parere urgente - conclude Dipiazza - chiediamo all'organo competente, appunto l'AsuiTs, di accertare sul piano sanitario se tali sforamenti costituiscono una situazione di pericolo o di danno per la salute».

 

 

Scienze della vita - Pier Luigi Nimis: «Sulle Carniche alla scoperta della flora tipica»

La flora delle Alpi Carniche meridionali è talmente interessante, con le sue 1300 specie di piante, che la quarantina e oltre di ragazzi che faranno il loro viaggio d'istruzione nel Centro Studi di Botanica Alpina a 1400 metri d'altezza, sul passo del Pura, non potranno che restare estasiati. Perché ormai da 40 anni è negli usi e nei costumi del dipartimento di Scienze della vita condurre in quest'area i propri studenti, e in particolare ora quelli della triennale di Scienze ambientali e Biologia, e della specialistica di Ecologia dei cambiamenti globali, accompagnati in due turni, dal 30 luglio al 12 agosto, dal professore Pier Luigi Nimis, che insegna Botanica sistematica. Potranno passeggiare, come già fatto dai loro predecessori e come spiegato nella guida apposita realizzata da Nimis, Andrea Moro e Stefano Martellos, i prati aridi sui ghiaioni del versante meridionale del monte Nauleni, i substrati calcarei e silicei e tanti altri luoghi ameni. Il tutto finanziato dall'Università di Trieste. Come funziona, professor Nimis?«Ciascun gruppo fa cinque giorni di full immersion nella natura con escursioni, dove si raccolgono le piante e si guarda l'ambiente. Poi si va nel laboratorio, che si trova proprio accanto alla baita da 23 posti letto dove alloggiamo, fornito di tutti gli strumenti adatti per scoprire le specie. C'è anche Internet. È un modo diverso e utilissimo affinché i ragazzi socializzino tra loro e con i docenti». Com'è nata l'iniziativa? «È già da 40 anni che la Comunità montana della Carnia mette a disposizione per Units questi due edifici vicini e attrezzati di tutto. Pure io da studente c'ero stato. Il laboratorio è stato costruito dopo, perché la Comunità vedeva che ogni anno venivano un sacco di persone, è un modo anche per incentivare il turismo naturalistico». Non siete gli unici che sfruttano l'area...«No, tra glia altri, da quattro anni, vengono anche gli allievi dell'Università di Manchester, che usano il laboratorio ma dormono per due settimane nel rifugio vicino, il Tita Piaz, perché sono in 40 persone alla volta». Avete anche realizzato un'applicazione e delle guide sulla flora di questa zona?«Sì, oltre alle guide cartacee, siamo stati i primi in Europa a creare delle applicazioni per cellulari utilizzabili anche senza Internet, disponibili in 16 lingue».

Benedetta Moro

 

 

Ricercatori ed enti pubblici - "Eugenio Rosmann" e “Populus alba”: due premi per la salvaguardia dell’ambiente

L'associazione ambientalista "Eugenio Rosmann" di Monfalcone avvia la prima edizione di due premi "ambientali", l'uno rivolto agli studenti neolaureati e ai ricercatori universitari, l'altro alle pubbliche amministrazioni, entrambi resi possibili dal sostegno economico della Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia. Per quanto riguarda i giovani studiosi si può partecipare al concorso attraverso tesi, elaborati o ricerche universitarie volti alla tutela dell'ambiente e dei suoi contenuti naturalistici e alla manutenzione e gestione del territorio. L'ambito del concorso verte sul valore naturalistico nel contesto territoriale. Può aderirvi chi ha conseguito un titolo di laurea nel periodo dal primo aprile al 30 maggio di quest'anno in materie scientifiche naturalistiche e ambientali. In palio ci sono 1000 euro per il primo classificato e 500 per il secondo finalista. Per le pubbliche amministrazioni invece è stato organizzato il premio "Populus alba" ovvero il Pioppo bianco. "L'associazione invita - spiega il presidente Claudio Siniscalchi (foto) - le amministrazioni territoriali a fornire una testimonianza delle azioni ritenute meritevoli di menzione in campo ambientale. Info ambientalistimonfalcone.it.

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 20 luglio 2017

 

 

La Regione fa ricorso contro il gasdotto - Impugnato davanti al Tar del Lazio il decreto sulla compatibilità ambientale del collegamento Trieste-Grado-Villesse
TRIESTE - Debora Serracchiani, un mese fa, aveva annunciato l'impugnazione. Con lei, sulla stessa linea, l'assessore all'Ambiente Sara Vito. E ieri, nessuna sorpresa, la Regione ha eseguito, riconfermando la sua assoluta contrarietà al rigassificatore di Zaule e al metanodotto, due opere considerate un tutt'uno. Sul tavolo del Tar del Lazio arriva stavolta il ricorso contro il decreto con il quale il ministero dell'Ambiente, di concerto con il dicastero per i Beni e le attività culturali, lo scorso 12 giugno aveva stabilito la compatibilità ambientale del progetto di un metanodotto Trieste- Grado-Villesse, così come presentato da Snam Rete Gas. La posizione del Friuli Venezia Giulia non è mai mutata. E, dato che le due opere (la seconda è il rigassificatore di Zaule) sono sulla carta funzionalmente interconnesse, la Regione ribadisce con la via giudiziaria il suo secco altolà anche al metanodotto.«Come a suo tempo ci siamo opposti al rigassificatore - riassume Serracchiani -, chiedendo proprio al Tar del Lazio l'annullamento del decreto di compatibilità dell'opera per ragioni di sicurezza della navigazione, e in quanto ostacolo oggettivo alle prospettive di sviluppo del porto di Trieste, altrettanto adesso, fatti gli opportuni approfondimenti tecnici, abbiamo formalmente impugnato il decreto sul metanodotto». La vicenda, ricorda ancora la presidente, inizia nel 2004, quando Gas Natural avvia la procedura per l'autorizzazione alla costruzione di un impianto di rigassificazione che, «inspiegabilmente e illegittimamente - sottolinea Serracchiani - si è di fatto conclusa con un via libera ministeriale, contro il quale la Regione ha presentato il suo primo ricorso al Tar nell'aprile 2015». Nell'attesa del pronunciamento dei giudici amministrativi, all'interno del Piano energetico regionale il Friuli Venezia Giulia ha riconfermato la volontà di non autorizzare la realizzazione sul proprio territorio del rigassificatore «in quanto progetto sovradimensionato e in contrasto con il previsto incremento del traffico portuale, peraltro sancito dalla recente firma del decreto di porto franco, elemento epocale che ne accresce ulteriormente le potenzialità». Nulla di nuovo per il governo e in particolare per il ministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda, ripetutamente informato attraverso incontri e lettere. E nulla di nuovo nemmeno con l'atteso atto di ieri, in risposta al giudizio favorevole di compatibilità ambientale di giugno, un passaggio che ha invece sorpreso la Regione vista la precedente combinazione di pareri sfavorevoli: della stessa amministrazione regionale, dell'Autorità portuale (che nell'aprile 2016 ha approvato il nuovo piano regolatore evidenziando precise interferenze e incompatibilità), della quasi totalità dei Comuni interessati, a cominciare da Trieste. Nel ricorso, fa sapere la Regione, partendo dal presupposto che il metanodotto va considerato parte integrante di un'opera principale «che non s'ha da fare», viene anche contestata la mancata valutazione congiunta dei due progetti, che avrebbe consentito di accertare il complessivo impatto sull'ambiente. Oltre al Tar, il dossier è stato notificato anche agli enti pubblici interessati (tra questi anche al Comune di Trieste) per l'adozione di eventuali iniziative giudiziarie per la tutela degli interessi dei quali sono portatori, che potrebbero risultare compromessi dalla realizzazione del rigassificatore di Zaule e delle opere ad esso connesse. In ogni caso, conclude Serracchiani, «l'auspicio è che questa partita si chiuda definitivamente a breve, facendo calare il sipario su due opere che nessuno vuole».

Marco Ballico

 

No del Tar al terminal Teseco all'ex Aquila - Secondo i giudici l'azienda non ha esperienza nella gestione portuale e non è stata data sufficiente pubblicità al bando
MUGGIA - Il Tar del Friuli Venezia Giulia affonda il terminal traghetti Teseco all'ex Aquila, che prevedeva un investimento di 90 milioni. I giudici amministrativi hanno dichiarato nulla la concessione di 60 anni alla società pisana, formalizzata dall'Authority il 23 settembre 2014 dopo che il Comitato portuale l'aveva approvata il 26 luglio 2013, tutto sotto la presidenza di Marina Monassi. Zeno D'Agostino aveva già "congelato" il progetto da commissario del porto nel novembre 2015, allorché in una manifestazione pubblica aveva affermato: «Non posso permettere che si costruisca un terminal per poi farlo restare vuoto. Se non vi è la presenza di un operatore logistico, un progetto non può essere avviato». Ed è questo uno dei motivi che ha indotto il Tar a imporre lo stop, accogliendo il ricorso avanzato dalla società Seastock che, immediatamente a monte delle banchine, intendeva realizzare un deposito di Gpl, obiettivo poi decaduto. «È noto - rilevano i giudici - che Teseco è società specializzata nelle attività di recupero e trattamento dei rifiuti speciali e nelle attività di bonifica dei siti inquinati, ed è priva di specifica esperienza nella gestione di terminali portuali, di trasporti marittimi e di ogni altra operazione o servizio portuale». Si specifica anche che effettivamente «la società ha, sin dall'origine, manifestato l'intenzione di affidare a terzi, senza peraltro indicarne il nominativo, l'esercizio delle operazioni e dei servizi portuali in questione». Di conseguenza, si legge nella sentenza, «è evidente che non pare che alcun soggetto possa essere stato effettivamente sottoposto e avere positivamente superato la verifica in ordine alla rispondenza ai requisiti di legge». Tutto ciò a prescindere dalla grave situazione di crisi in cui si trova la stessa Teseco, che ha messo in cassa integrazione straordinaria per un anno 174 lavoratori fra amministrativi e operai specializzati.«Stiamo ora valutando come procedere assieme al nostro ufficio legale - specifica oggi D'Agostino, presidente dell'Adsp dell'Adriatico orientale - poiché quello era un project-financing. Il piano regolatore non vincola l'area a un terminal traghetti, ma ad attività logistico-portuali in senso ampio, siamo però in contatto anche con il commissario liquidatore di Teseco». La situazione di stallo pare comunque al termine e il pallino del gioco torna in mano all'Authority, con la conseguenza che l'area potrà ora venire effettivamente messa sul mercato degli operatori dello shipping, magari cinesi ma non solo. Motivo fondamentale dello stop alla concessione è però un altro, perché in realtà il Tar ha inchiodato il terminal Teseco sul punto in cui l'Unione europea, al contrario, aveva dato il via libera archiviando la procedura di preinfrazione, ovvero la mancanza di sufficiente pubblicità data al bando per la concessione. Archiviazione che aveva riguardato anche i casi delle concessioni per 60 anni a Trieste marine terminal per il Molo settimo e per 50 anni alla Siot per il terminal petrolifero, che però ora non rischiano essendo comunque scaduti i termini per ipotetici ricorsi.«Il Collegio è dell'avviso - si legge ancora - che, avuto riguardo alla durata della concessione (60 anni), all'estensione dell'area richiesta, alle opere previste, all'attività in progetto e alla possibilità di sfruttamento economico pressoché in regime di monopolio che deriva a favore del concessionario, che colà è autorizzato a realizzare ed esercire un terminal ro-ro e multipurpose, la forma di pubblicità in concreto osservata dall'Autorità Portuale (ovvero la mera pubblicazione all'albo pretorio on line del Comune di Muggia dell'istanza di concessione demaniale avanzata da Teseco nell'anno 2011, senza, peraltro, peritarsi di fornire pubblicità a tutte le successive integrazioni progettuali apportate alla medesima) non possa ritenersi idonea ad assolvere, nel caso specifico, né all'incombente posto dall'art. 18, comma 1, l. 84/1994, né, tanto meno, costituire adempimento sufficiente al fine di assicurare il rispetto di basilari principi nazionali e comunitari di trasparenza, pubblicità, imparzialità e proporzionalità».

Silvio Maranzana

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 19 luglio 2017

 

 

Mazzoncini: Ferrovie pronte a investire sul porto di Trieste -
L'ad: «Lo scalo sta crescendo più di tutti. Stiamo lavorando con il ministero per individuare gli interventi sul retroporto»
TRIESTE - Il porto di Trieste, insieme a quello di Genova, è lo scalo nazionale che registra il maggior livello di crescita. Allora, allo scopo di assecondare questo sviluppo, «stiamo lavorando con il ministero per individuare tutti gli investimenti nel retroporto necessari a garantire il deflusso delle merci verso Ovest e verso Nord». Parola di Renato Mazzoncini, amministratore delegato delle Fs, che ieri era a Trieste per l'avvio della riqualificazione della stazione di Campo Marzio. Il manager ha posto l'accento sul lavoro, impostato insieme al ministro Delrio, per rafforzare l'intermodalità binario-banchina. «Gli investimenti complessivi nel Friuli Venezia Giulia - ha osservato ancora Mazzoncini a margine dell'iniziativa triestina - sono diverse centinaia di milioni di euro». «Abbiamo un investimento - ha sottolineato - di 1,8 milioni per la velocizzazione della linea per Venezia, che consentirà di scendere a un'ora e cinque minuti». Anche la Regione Fvg annuncia un paio di mosse sulla scacchiera amministrativa, mosse tese ad agevolare opere pubbliche e avvio di attività economiche nel contesto portuale. Il cosiddetto "piano di armamento" - annuncia l'assessore Sara Vito - non avrà occorrenza di Valutazione di impatto ambientale (Via) se, prima dell'avvio del cantiere e durante la realizzazione dei lavori, verranno rispettate «precise prescrizioni per la tutela dell'ambiente». Si tratta - precisa una nota della Regione in merito al piano portuale - di «un esteso intervento di manutenzione straordinaria e ristrutturazione», mirato a potenziare la movimentazione dei moli V-VI-VII e a migliorare le connessioni con le infrastrutture ferroviarie. La decisione della giunta regionale, puntualizza l'assessore Vito, è stata presa per sveltire i tempi del cantiere. Le prescrizioni, per dribblare il Via, riguardano la cosiddetta "invarianza idrica" per compensare le aree di nuova impermeabilizzazione, la riduzione di emissioni in atmosfera mediante combustibili di nuova generazione ed energie rinnovabili, un piano di monitoraggio concordato con Arpa, l'abbattimento del rumore. La Regione promuove inoltre sia l'elettrificazione delle banchine che del movimento ferroviario (parzialmente). Ancora: allestimento di barriere mobili anti-polvere, nebulizzazione di acqua sulle aree di passaggio, utilizzo di mezzi pesanti "telonati" per il trasporto di materiali, lavaggio periodico della viabilità esterna al grande cantiere portuale.In questo scambio di cortesie l'Autorità portuale conferisce un ringraziamento per la proposta di esclusione dal Sin (Sito di interesse nazionale) delle aree a ridosso del Canale industriale triestino. L'idea della Regione Fvg, sottoposta al ministero dell'Ambiente, riguarda la possibilità che sia la stessa amministrazione regionale a gestire le procedure in questa specifica zona. Questo consentirebbe una più rapida gestione delle pratiche. Alla soddisfazione di Zeno D'Agostino - si ricordi che l'Ap sarà il perno del "nuovo Ezit" - si accompagna analogo sentimento del direttore dell'Area Science Park, Stefano Casaleggi, interessato a realizzare un "industrial innovation hub" che valorizzi la collaborazione tra ricerca, logistica, settori hi-tech, attraendo a Trieste investimenti industriali.

Massimo Greco

 

Il patto di Campo Marzio fa rinascere la stazione - Firmato il protocollo fra governo, Fs, Regione e Comune. Arrivano 4 milioni
Moretti rilancia e annuncia anche la copertura dei binari con altri investimenti
«Sarà una bellissima piazza coperta. Rifaremo anche il tetto a volta della Stazione di Campo Marzio. Costerà un paio di milioni di euro a spanne. La copertura metallica è stata data alla patria come l'oro. Ora potremmo richiederla indietro». Mauro Moretti, presidente della Fondazione Fs, non si limita ai contenuti del protocollo d'intesa parlando con il ministro ai Beni culturali Dario Franceschini, la governatrice Debora Serracchiani e il sindaco Roberto Dipiazza. La monumentale tettoia liberty a copertura dei binari manca dal 1942, quando fu demolita e il materiale utilizzato per l'industria bellica. Nel progetto di restauro completo di Campo Marzio, per il quale si parla di 18 milioni di euro, c'è anche la storica copertura dei binari. Moretti, confortato dal direttore Luigi Cantamessa, è l'unico a dare i numeri. «Questo di oggi è solo il primo passo. Servono 18 milioni e ora ne abbiamo solo sei» attacca l'ex ad delle Ferrovie dello Stato. «Ne abbiamo solo 4» viene corretto. «Motivo in più per trovare gli altri e fare il resto», attacca rivolto al suo successore alle Ferrovie (Renato Mazzoncini) al ministro, alla governatrice e al sindaco. I quattro milioni del protocollo d'intesa (2 milioni del Mibact, 1,5 delle Ferrovie dello Stato e 500mila euro della Regione) serviranno solo per salvaguardare l'ala su via Giulio Cesare dove è collocato il Museo ferroviario di Campo Marzio, che da ieri chiude nella speranza di riaprire in formato ridotto in primavera, e integralmente tra un anno. E nella futura gestione della Fondazione Fs ci saranno anche i volontari del Dopolavoro Ferroviario di Trieste, che per 43 anni hanno gestito il museo aperto ufficialmente nel 1984 e che ieri, dopo l'esclusione dagli inviti, sono stati omaggiati di encomi e ringraziamenti da parte di tutti. Oliviero Brugiati, presidente dell'Associazione nazionale Dlf, ha parlato pur non essendo presente nella scaletta degli interventi, ricordando come chi ora la prende in gestione qualche anno aveva messo in vendita la stazione di Trieste Campo Marzio. «Noi siamo riusciti a scongiurare questo pericolo e ora siamo felici che la Fondazione Fs la prenda in gestione», ricorda senza voler rovinare la «giornata storica» (parola di Serracchiani) o gli amarcord dei presenti. «Il Museo di Campo Marzio è straordinario. A differenza di Pietrarsa di Napoli è una vera stazione. E si può fare un giro su un treno storico. Un caso più unico che caro. Ho visitato questo museo nel 1994, quando accompagnai mia moglie a sostenere un esame di dottorato a Trieste. Dopo 25 anni sono qui a firmare per far ripartire il museo. Non ci posso credere», spiega l'ad di Ferrovie Mazzoncini che parla di "Rinascimento ferroviario".«Questo è il frutto di un lavoro prezioso con Ferrovie dello Stato e la Fondazione Fs grazie al quale il Friuli Venezia Giulia, a distanza di quattro anni, può essere considerata una regione che ha recuperato i ritardi del passato non solo sul trasporto delle merci e dei passeggeri ma anche su quelle tratte storiche che intercettano l'interesse e il gradimento di molti turisti», spiega la governatrice. «È la prima parte di recupero di questo luogo straordinario, con locomotive e treni di un'importanza assoluta, che conservano la memoria non soltanto di Trieste ma dell'Italia - insiste il ministro Franceschini -. È un grande progetto di riqualificazione urbana - prosegue anche con la possibilità di collegare la vecchia stazione di Campo Marzio con la stazione e il parco di Miramare. Veramente una grande sfida. Immagino cosa può voler dire per il turismo scolastico, per i viaggiatori da tutto il mondo visitare questo luogo di memoria unico».L'immaginazione non manca al sindaco Dipiazza: «Trieste dimostra di avere il vento in poppa. Questa Stazione ferroviaria diventerà veramente un museo molto interessante e probabilmente molto visitato, in un'area molto suggestiva e di valore per la nostra città, vicina a dove sorgerà il Parco del mare e che sarà interessata dallo spostamento del Mercato ortofrutticolo all'ingrosso dove sorgerà una Spa. Sto pensando di chiudere via Giulio Cesare al traffico e fare la viabilità sotterranea». Un programma che si aggiunge al compito affidato dal protocollo al Comune di Trieste, ovvero la rimozione delle "scovazze" dall'area di Campo Marzio

Fabio Dorigo

 

I big "battezzano" la linea storica - Le rotaie che collegano Trieste al Carso ripercorse con un convoglio d'epoca
Il primo di una lunga serie di percorsi con treni d'epoca alla scoperta di quei tratti ferroviari che circondano Trieste ma generalmente non sono aperti al traffico passeggeri. Così ieri mattina, prima della firma del protocollo per il restauro del Museo ferroviario di Campo Marzio fra Mibact, Regione, Ferrovie dello Stato, Fondazione Fs e Comune di Trieste, c'è stato un tour ferroviario inedito, con carrozze d'epoca, partendo dalla stazione di Miramare, quasi una prova generale di quel percorso che sarà operativo in tempi non ancora definiti. La giornata triestina del ministro dei Beni e della attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, ha avuto inizio con una passeggiata nel parco di Miramare per verificare i lavori di sistemazione della vasta area verde, da tempo in degrado. Ad accompagnarlo la governatrice Debora Serracchiani, il sindaco Roberto Dipiazza, l'amministratore delegato di Fs Renato Mazzoncini e il presidente della Fondazione Fs Mauro Moretti. Dopo aver "risalito" il parco, gli ospiti si sono diretti verso via Beirut, dove un convoglio storico di Fondazione Fs li attendeva nell'ottocentesca stazioncina di Miramare. Da lì il convoglio ha percorso tratte ferroviarie poco note concludendo il suo percorso al Museo ferroviario.Il treno ha iniziato il tragitto in direzione di Bivio di Aurisina e di Prosecco, per poi fermarsi a Villa Opicina, ricalcando quindi il percorso della vecchia Ferrovia Meridionale. Durante il percorso Luigi Cantamessa, direttore della Fondazione Fs, che da oggi gestirà il polo museale di Campo Marzio, ha intrattenuto i presenti con spiegazioni storico- tecniche sulla linea. Una volta giunto a Villa Opicina, il convoglio storico, trainato da locomotori diesel, ha cambiato direzione di marcia per iniziare la discesa verso Campo Marzio, attraverso la storica Transalpina, appena riaperta al traffico dopo nove mesi di lavori e una spesa pari a tre milioni di euro, sostenuta da Rfi. L'intervento ha riguardato la messa in sicurezza delle gallerie, il rifacimento di alcuni tratti dei binari, la sistemazione dei muri di contenimento e lo sfalcio della vegetazione. Durante il tragitto il convoglio ha sostato nei punti più suggestivi e panoramici, come il viadotto in prossimità di San Cilino, ad alcuni chilometri dall'arrivo alla stazione di Campo Marzio. Ciò che rende unica questa infrastruttura è il fatto che si tratta di una stazione allacciata alla rete ferroviaria in esercizio - oltre ad essere stata capolinea meridionale della Ferrovia Transalpina, nota anche come il secondo collegamento ferroviario di Trieste, inaugurata nel 1906 - con annesso un museo tematico. Quindi il suo futuro, una volta terminati i lavori di restauro, avrà una doppia valenza: da un lato sarà museo e dall'altro punto di arrivo e di partenza per treni storici. «Campo Marzio è speciale - ha rilevato Renato Mazzoncini, ad di Ferrovie dello stato - perché è arrivo e destinazione di una linea storica. Da qui i visitatori potranno viaggiare su treni storici e anche visitare il museo pagando un unico biglietto». Il futuro della stazione è dunque delineato, e in questa ottica l'antico "valico di Monrupino" sarà mantenuto in esercizio e potenziato. Sempre in tema di treni storici, Fondazione Fs intende incentivare anche un'altra linea ai scopi turistici, la pedemontana Gemona-Sacile.

Andrea Di Matteo

 

Primi cantieri entro un mese - La sfida coinvolge Miramare

Si punta in chiave turistica sul collegamento via rotaia attraverso Opicina e Rozzol - E verrà realizzato un percorso pedonale tra la stazione di Massimiliano e il Castello
Campo Marzio e Miramare. Un unico polo museale e turistico unito dalle rotaie. Ieri è stato compiuto il primo passo che vale 4 milioni di euro su un percorso che richiede almeno 18 milioni di euro. Ieri, attorno alle 13.20, al Museo ferroviario di Trieste Campo Marzio è stato sottoscritto il Protocollo attuativo che dà il via al progetto di restauro e di conservazione della prima parte del Museo ferroviario di Trieste Campo Marzio al suo riutilizzo come polo museale e turistico. Le firme sono quelle del ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo Dario Franceschini, della presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani, del sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza, dell'ad delle Ferrovie dello Stato Italiane, Renato Mazzoncini, e del presidente della Fondazione Fs Mauro Moretti. «Il protocollo - si legge all'articolo 2 - ha come fine la conservazione, la riqualificazione e la valorizzazione dei beni facenti parte del sito denominato "Complesso museale di Trieste Campo Marzio" quale iniziativa qualificante per lo sviluppo turistico della Regione e della città di Trieste». Non solo museo, insomma. L'inizio dei lavori? Non se ne parla del protocollo. Ma potrebbero partire entro 30 giorni. Il piano di recupero predisposto dalla Fondazione Fs prevede, in una prima fase, il restauro dell'area aperta al pubblico dove sarà esposta la collezione di cimeli ferroviari italiani e dell'ex impero austroungarico.Il Museo ferroviario, inaugurato nel 1984, resterà chiuso fino al termine dei lavori, previsti per un anno circa, e dopo il restauro sarà gestito dalla Fondazione con il supporto dei volontari del Dopolavoro ferroviario di Trieste. Non si esclude una riapertura parziale del museo la prossima primavera.Il contributo economico del Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo è di due milioni di euro, quello della Regione mezzo milione, quello del Gruppo Fs, proprietario dell'immobile, un milione e mezzo. Quattro milioni in tutto per partire. Il progetto però non c'è ancora. L'incarico per la progettazione esecutiva e l'esecuzione dei lavori è stato affidato a Rete ferroviaria italiana (Rfi).«Le parti si impegnano - si legge all'articolo 3 del protocollo - ad avviare nel breve termine un progetto di generale restauro del sito di Campo Marzio, in analogia con il "modello Museo nazionale ferroviario di Pietrarsa" sperimentato da Fondazione Fs, al fine di renderlo un polo "dinamico" e punto di partenza di itinerari turistici nel Friuli Venezia Giulia». A differenza di Pietrarsa, museo realizzato all'interno di un'ex officina, Campo Marzio funzionerà come stazione ferroviaria. Si potrà visitare il museo, ma anche prendere un treno. Nel protocollo c'è, infatti, l'impegno a «valorizzare il suggestivo itinerario "Trieste Campo Marzio-Villa Opicina-Bivio d'Aurisina-Castello di Miramare-Trieste Centrale" attraverso la circolazione di treni storici e turistici».E non solo. Il Museo ferroviario di Trieste, un caso unico in Europa, ha sede nell'ex stazione terminale dell'antica linea austroungarica Trieste-Vienna. Ed è ancora raccordato alla rete ferroviaria in esercizio. Per questo il museo può essere stazione di origine per viaggi con treni d'epoca all'interno della regione o verso l'Austria e la Slovenia, tramite l'antico valico di Monrupino che sarà mantenuto in esercizio e potenziato per questi scopi. La firma di ieri, infatti, è stata preceduta da una visita al parco e al castello di Miramare e dal viaggio inaugurale sul treno con carrozze d'epoca dalla stazione di Miramare a Villa Opicina e sull'antica ferrovia di Rozzol, ripristinata da Rete Ferroviaria Italiana (Gruppo Fs Italiane), con arrivo a Trieste Campo Marzio, un percorso di oltre 30 chilometri. Nel protocollo c'è pure un impegno che riguarda Miramare. Non per niente ieri era presente anche la nuova direttrice Andreina Contessa. «Le parti si impegnano - si legge - a valorizzare la fermata di Miramare (la stazione di Massimiliano d'Asburgo, ndr), sviluppando un nuovo collegamento pedonale con il parco e il museo del Castello di Miramare». Il Comune di Trieste, infine, dovrà «farsi carico della manutenzione delle aree verdi e della raccolta dei rifiuti nell'area del Museo Ferroviario di Trieste Campo Marzio». Tutti invece si dovranno impegnare a reperire risorse private e pubbliche, compresi eventuali fondi europei, per il completamento dell'opera. All'appello mancano 14 milioni di euro.

(fa.do.)

 

Mozione in Consiglio a difesa della collezione
Non era stato neppure firmato il protocollo per restauro della Stazione di Campo Marzio che in Comune era già stata depositata una mozione urgente. La firmano i consiglieri di Forza Italia Piero Camber, Alberto Polacco e Michele Babuder. A preoccupare è la futura gestione del museo e il destino della collezione. La mozione vuole impegnare «il sindaco, gli assessori competenti unitamente ai loro uffici, a farsi parte attiva presso la Regione Friuli Venezia Giulia nonchè Fondazione FS Italiane affinché l'Associazione Dopolavoro Ferroviario non venga esclusa dalla gestione del Museo ferroviario di Campo Marzio e a verificare a chi competa la vigilanza sulle collezioni ivi contenute, e per l'effetto a chi spetti la relativa responsabilità», nonchè a «vigilare affinché le collezioni ivi presenti non vengano smembrate, neppure temporaneamente, rappresentando le stesse uno dei principali richiami turistici di Trieste».

 

 

Regione in pressing su Arvedi per l’altoforno - Chiesta una relazione «nei tempi tecnici strettamente necessari» sui lavori di rifacimento dell’impianto

«I lavori di rifacimento della bocca di carica dell’altoforno sono indispensabili e improrogabili”. Ad affermarlo, in una lettera inviata all’Acciaieria Arvedi spa, è la direzione centrale Ambiente della Regione, che, attraverso questo documento, ha sollecitato l’azienda a inviare, «nei tempi tecnici strettamente necessari, una relazione sui lavori di rifacimento della bocca dell’altoforno dello stabilimento siderurgico triestino e il relativo cronoprogramma». In proposito va detto che si tratta di lavori di ordinaria manutenzione, già programmati per l’autunno, che comportano la fermata dell’impianto per alcune settimane. Tornando alla lettera inviata ad Arvedi, in essa la Regione precisa che i dati dei deposimetri relativi al mese di giugno 2017 «confermano la bontà del decreto regionale1998/2017 di diffida ad adempiere alla prescrizione di cui alla lettera C, punto 8, parte A - Condizioni preliminari dell'allegato B al decreto Aia 96/2016». Nello specifico, spiega l’amministrazione regionale, la diffida si concentrava sul fatto che, qualora dovesse risultare superato anche solo uno degli obiettivi di qualità relativi alle polveri fissati nel punto 8.A (obiettivi di monitoraggio della qualità dell'aria a San Lorenzo in Selva) oppure 8.B (obiettivi di monitoraggio qualità dell'aria in altre stazioni), l'azienda dovrà rispettare almeno le seguenti prescrizioni con effetto immediato: 1) contenere in 290 il numero massimo di colate mensili; 2) limitare la marcia dell'altoforno entro le 34mila tonnellate mensili e di pari passo la produzione di coke non dovrà essere maggiore di quella funzionale alla produzione di ghisa. «Riteniamo pertanto - si legge nella nota inviata ad Acciaieria Arvedi dalla Regione - che vada mantenuta la limitazione della marcia degli impianti di cokeria ed altoforno nei termini indicati nel succitato provvedimento di diffida, e che i lavori di rifacimento della bocca di carica dell’altoforno siano indispensabili e improrogabili». La riduzione della produzione di ghisa è già stata comunica alla Regione da Siderurgica triestina nei primi giorni di questo mese, rispondendo così alla diffida con cui a fine giugno l’ente regionale ha intimato alla proprietà di diminuire la produzione affinchè le polveri rientrino nei valori previsti dall’Aia.

 

 

La Regione multa il Comune «Ma è tutta colpa di Acegas»

Municipio e multiutility sanzionate per una violazione al depuratore di Basovizza - L'amministrazione Dipiazza non ci sta e va al Tar: «Responsabilità solo del gestore»
La Regione Fvg ha fatto pervenire una multa al Comune di Trieste e all'AcegasApsAmga in materia ambientale, avendo rilevato una violazione circa lo scarico del depuratore di Basovizza, avendo ritenuto l'ente e la società solidamente responsabili. Ma il Comune scuote energicamente il capo e non ci sta: ricorre al Tar contro l'atto regionale, in quanto, come proprietario dell'impianto, non si ritiene "colpevole" del superamento dei valori-limite di emissione segnalati a Basovizza. Perchè la responsabilità - sostiene la delibera 309 approvata dalla giunta comunale nella seduta del 10 luglio - è invece da attribuirsi interamente ad AcegasApsAmga, per la ragione che essa gestisce il depuratore di Basovizza sulla base di una concessione trentennale. Concessione - chiarisce la delibera votata all'unanimità (assenti gli assessori Lobianco e Giorgi) - che affida all'azienda manutenzione ordinaria e straordinaria dell'impianto «assumendosi tutti gli oneri della gestione». Quindi - argomenta ancora piccata la delibera preparata dall'avvocatura diretta da Maria Serena Giraldi - al Comune non può essere ascritta alcuna mancanza «nè tantomeno può essere sanzionato per omissioni e violazioni dell'ente gestore». Di conseguenza il Municipio propone ricorso contro l'ordinanza-ingiunzione n. 18/17 notificata dalla Regione. Detta notifica, avvenuta lo scorso 22 giugno, riguarda un verbale di accertamento e contestazione risalente al 14 settembre del 2012, ovvero a circa cinque anni fa (Cosolini consule). Saranno gli stessi legali comunali a patrocinare l'interesse dell'amministrazione avanti al Tar. Colpisce l'importo tutto sommato modesto dell'ingiunzione: si tratta di 3079 euro, che andrebbero spartiti con AcegasApsAmga. Evidentemente non è in gioco la somma, ma il principio: il Comune non vuole creare precedenti ed essere coinvolto in situazioni giuridicamente critiche che dipenderebbero solo dal gestore.La delibera fa sommario riferimento al fatto che «al Comune è stato ingiunto il pagamento unicamente in quanto proprietario dell'impianto, ritenendo che non si sia attivato con la dovuta tempestività al fine di assicurare i limiti tabellari di legge». Insomma, la Regione imputa al Comune un'omissione di intervento. Ma il Comune replica: non c'entriamo, avrebbe dovuto pensarci la concessionaria AcegasApsAmga, che è presieduta da Giovanni Borgna ed è diretta "sul campo" da Roberto Gasparetto. L'impianto di Basovizza partecipa, insieme alle strutture di Zaule, Servola e Barcola (ormai depotenziato), al sistema di depurazione triestino. Secondo una scheda di AcegasApsAmga, è costituito da "linea acque" (grigliatura fine, ossidazione biologica, sedimentazione finale, disinfezione, scarico nel sottosuolo) e "linea fanghi" (ricircolo, pompaggio, smaltimento mediante trasferimento a Zaule con autobotte). Il ricorso deliberato dalla giunta segna la terza occasione che nel giro di pochi mesi palesa qualche sintomo di malumore del Comune nei confronti dell'utility (controllata da Hera, a sua volta partecipata al 4,6% dallo stesso municipio triestino). Tra i precedenti ricordiamo gli arretrati del termovalorizzatore circa gli utenti non triestini; rammentiamo le contestate sanzioni per la scarsa pulizia di strade e aiuole.

Massimo Greco

 

Prosecco spinge per il ritorno al "vuoto a rendere"
PROSECCO - In tema di riciclaggio e di misure ecocompatibili, arriva dalla Prima circoscrizione l'invito all'amministrazione comunale di dotarsi del sistema "Pfand" da tempo utilizzato in Germania e, nelle sue diverse versioni, in altrettante nazioni del Nord Europa. La proposta è del consigliere Simon Rozac, adottata all'unanimità dal parlamentino, e si rifà a un sistema tanto semplice quanto efficace, che già da qualche anno viene praticato dalle nazioni più sensibili ai problemi ecologici. L'iniziativa di far restituire ai cittadini bottiglie di vetro e di plastica direttamente ai negozianti quali "vuoti a rendere", peraltro, era di norma sino a qualche decade fa anche nei nostri negozi.Il sistema "Pfand" perfeziona quell'indirizzo con qualche piccolo ma fondamentale accorgimento. Lo stato tedesco ha disposto un prezzo aggiuntivo per l'acquisto di bottiglie in pet (plastica), vetro e alluminio. L'acquirente può recuperarlo restituendo il vuoto direttamente al commerciante oppure depositandolo in appositi contenitori automatici che rilasciano uno scontrino per riavere il surplus. Questo processo innesca un comportamento virtuoso che, oltre a sensibilizzare la comunità sulla possibilità di riutilizzo dei contenitori, costringe l'industria al riciclaggio. Con il sistema "Pfand" si frena l'eccessivo consumismo che caratterizza le nostra società e si razionalizza il processo produttivo della plastica, costoso e inquinante. Lo "Pfand" ha raccolto da subito l'interesse a l'adesione dei cittadini tedeschi, obbligando le industrie locali a adattarsi al nuovo sistema. Nel documento inviato al Comune, il Consiglio di Altipiano Ovest chiede la messa a punto di un programma analogo, disponendo sperimentalmente i contenitori per la raccolta, non solo presso gli esercizi di vendita ma pure vicino alle scuole, incentivando così le nuove generazioni al senso civico e al decoro. Il nuovo sistema potrebbe inoltre stimolare una comunità, come quella triestina, che secondo l'Istituto superiore per la Protezione e la ricerca ambientale è ultima in regione per la raccolta differenziata con una quota del 35,29%.

Maurizio Lozei

 

 

A fuoco in una settimana quel che brucia in un anno - Lo rivela un rapporto della Commissione europea. Mattarella: «Azioni criminali»
Maremma: fiamme vicine alle case. A Napoli 20 persone bloccate in un'oasi Wwf
ROMA - Incendi nel Cosentino, nel Cilento, nell'oasi Wwf degli Astroni a Napoli, nel Casertano, sul litorale romano, in Maremma, nel Pisano, nel Pistoiese, in Liguria e nel Pavese. Non c'è solo il Vesuvio: le fiamme risalgono lo Stivale da Sud a Nord, lo divorano, sospinte dai cambiamenti climatici e dal clima siccitoso, innescate da piromani e criminali. Il monte Reixia, tra Genova e Arenzano brucia da quattro giorni: in un primo momento il fuoco sembrava domato, ma nel pomeriggio di lunedì ha ripreso forza e vigore. Drammatica la situazione in Maremma dove le fiamme lambiscono le case del borgo di Pietratonda. Bruciano rifiuti e sterpaglie, parchi nazionali e animali. Brucia tutto il Paese. Qualche numero per dare la misura del fenomeno: secondo la Commissione europea in Italia nella settimana dall'8 al 15 luglio 2015 sono andati in fumo 27.167 ettari, più dei circa 27mila stimati da Legambiente nel rapporto "Ecomafia" che riguarda lo scorso anno. Nella prima metà di luglio sono quasi 35mila gli ettari di terreno divorati dalle fiamme, sugli oltre 52mila censiti dall'inizio del 2017. Alle 18 di ieri i Vigili del fuoco erano intervenuti 1.220 volte. Maglia nera è la Campania con 260 interventi, seguita a ruota dal Lazio con 210, dalla Toscana con 150, dalla Puglia con 130 e dalla Calabria con 125. Al Sud sono al lavoro circa 3mila pompieri.Oltre ai numeri, però, c'è un patrimonio di qualità che rischia di andar perso. Da giorni ormai il Wwf cerca di richiamare l'attenzione sull'oasi degli Astroni, alle porte di Napoli, altro fronte aperto oltre quello del vulcano più famoso d'Italia. Qui le fiamme divampano da una settimana, ormai. È iniziato tutto dalla parte più alta dove la macchia mediterranea e una lecceta sono state ridotte in cenere. L'incendio ora è alle porte della riserva, e si avvicina alla parte del cratere, la più pregiata. Ma quello che spaventa di più è il destino di «una ventina di persone, compreso il personale Wwf, circondante dalle fiamme». La presidente dell'associazione, Donatella Bianchi, ha lanciato ieri l'ennesimo appello: «Da giorni siamo preoccupati per il rogo e chiediamo mezzi adeguati per spegnere un incendio sviluppatosi in un luogo dalle caratteristiche geomorfologiche molto difficili. Ora la priorità è mettere in salvo le persone». I primi esseri viventi colpiti dall'emergenza, però, sono habitat naturali e animali. Per questo la Lipu, in una manifestazione, è arrivata a chiedere «provvedimenti di posticipo dell'apertura della caccia per dare sollievo alla fauna duramente provata», tanto dalla scomparsa dei boschi, quanto dall'incombere della siccità. Gli amministratori in prima linea invocano aiuti. A cominciare dal governatore della Toscana, Enrico Rossi, che spiega che la regione «non può fare da sola perché occorre che ci sia un intervento ed una programmazione di carattere nazionale. Lo dico denunciando una situazione grave destinata a ripetersi perché i cambiamenti climatici ci sono». Il consiglio comunale di Napoli ha osservato un minuto di silenzio «per la devastazione causata dagli incendi in Campania e non solo». «La morte del Vesuvio per me equivale a un omicidio», ha spiegato il sindaco Luigi De Magistris. Dalla Valtellina è intervenuto anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che richiama l'attenzione sul lato giudiziario della tragedia. «Gli incendi - ha detto - sono spesso il risultato di azioni di criminali, da punire con forte determinazione e grande severità». Il capo dello Stato ha anche ricordato il lavoro dei «tanti servitori dello Stato che si stanno adoperando, con grande abnegazione e sacrificio per contrastare il fuoco appiccato da sciagurati». Per l'incendio della pineta di Castelfusano a Roma, dove secondo Legambiente sono bruciati ettari per l'equivalente di «65 campi da calcio» e che ha condizionato anche ieri la viabilità, la procura di Roma ha aperto un'indagine con l'ipotesi d'incendio doloso. In manette un 22enne di Busto Arsizio, per cui si chiederà presto la convalida dell'arresto. Gli investigatori sono alla ricerca di eventuali complici, dalle «mani inesperte» da quanto apprende l'Ansa da fonti vicine all'inchiesta.

Andrea Scutellà

 

Due roghi su tre appiccati con dolo - Il dossier dei Verdi: «Dal 2010 è stata distrutta un’area grande come il Molise»

ROMA - Quest'anno le fiamme hanno già bruciato decine di migliaia di ettari e causato danni per 900 milioni di euro. Cifra che arriva a 9 miliardi di euro se si prendono in considerazione i 447mila ettari bruciati dal 2010 a oggi. Per avere un'idea è come se fosse andata in fumo l'intera superficie del Molise. I dati, messi insieme in un dossier dei Verdi "Le mani sporche degli incendi", raccontano anche che «in questo scorcio d'estate le Regioni maggiormente colpite sono state la Sicilia con 18.613 ettari» andati a fuoco, «la Calabria con 10.829, la Campania con 5.858, la Puglia con 2.744 e il Lazio con 2.699». Secondo il dossier dei Verdi dal primo gennaio al 17 luglio «sono arrivate al Centro operativo aereo unificato del Dipartimento della Protezione civile ben 930 richieste di aiuto da parte delle Regioni». Gli incendi, in base alle statistiche della Guardia Forestale degli anni passati, «sono per la stragrande maggioranza causati dalla mano dell'uomo». Complessivamente, con riferimento al periodo 2000-2015, per il 60,4% sono stati appiccati per mano volontaria, il 9,7% involontariamente, il 2,5% per mano dubbia e solo l'1,2% per cause naturali; il rimanente 26,3% rimane non classificabile. Per il reato di incendio boschivo, nello stesso periodo, sono state segnalate all'Autorità giudiziaria 5.684 persone, di cui 181 tratte in arresto in flagranza di reato o sottoposte a misure di custodia cautelare. Il leader dei Verdi, Angelo Bonelli, fa presente come della «mancanza dei boschi ormai persi nei roghi ci accorgeremo alle prime piogge in autunno, quando i terreni non avranno più il sostegno della vegetazione», e si tornerà a parlare di dissesto idrogeologico. Ma Bonelli non risparmia critiche a una parte della riforma Madia, quella che ha portato la Forestale a essere inglobata in altri corpi di polizia. Ricorda, in proposito, sia la presentazione di un esposto in cui si parla di grave negligenza «per esempio per il mancato uso degli elicotteri anti-incendio» dell'ex Corpo Forestale «sia di depauperamento del patrimonio professionale» accumulato proprio dalla Forestale. La Coldiretti, invece, ci informa sui danni materiali degli incendi: «Ci vorranno almeno 15 anni per ricostruire i boschi andati a fuoco con danni all'ambiente, all'economia, al lavoro e al turismo. Per ogni ettaro di macchia mediterranea andato in fumo sono morti in media 400 animali tra mammiferi, uccelli e rettili».

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 18 luglio 2017

 

 

«Chi vigilerà sul Museo ferroviario?» - L'amarezza del Dlf escluso dopo 43 anni: «Chiusura inspiegabile senza un cantiere»
«È stato convenuto di scegliere tale data come giorno di chiusura del museo per permettere l'inizio dei lavori. Tale data coinciderà anche con il termine della gestione del museo da parte dall'Associazione dopolavoro ferroviario di Trieste. Ringrazio il Dlf per avere negli anni sostenuto l'attività del museo e avere curato la preservazione della sua importante collezione». La data è quella di oggi, 18 luglio, giorno del protocollo tra le istituzioni per il restauro della Stazione di Trieste Campo Marzio. A firmare la lettera, indirizzata a Oliviero Brugiati, presidente dell'Associazione nazionale Dlf, è Luigi Cantamessa, direttore della Fondazione Fs. Il Dlf ha appreso così due giorni fa di essere stato estromesso dopo 43 anni di onorato servizio dal museo che aveva fondato nel 1974. «Non si sa chi d'ora in poi vigilerà sulla collezione, e sul suo patrimonio, che è pure vincolata dalla Soprintendenza. Non capisce perché si debba chiudere il 18 luglio il museo nel mezzo della stagione turistica senza che ci sia un cantiere che apre. Un museo che fa seimila visitatori all'anno con tre giorni di apertura alla settimana» spiega Claudio Vianello, presidente del Dlf, il cui nome non risulta neppure tra gli inviti ufficiali della cerimonia odierna. «Non vogliamo fare polemiche. Abbiamo donato la collezione valutata un milione di euro alla Fondazione senza chiedere un centesimo. Solo che la donazione non è stata ancora formalizzata che noi siamo già stati estromessi». Il rischio concreto inoltre - secondo Vianello - è che la collezione di oltre quattromila pezzi finisca in dei container per cinque anni e magari prenda la via del museo ferroviario nazionale di Pietrarsa a Napoli. Senza ritorno.

(fa.do.)

 

 

A scuola con l'Ogs in aiuto al mare - A Trieste la Summer school insegna ad affrontare le sfide climatiche e ambientali
Durerà ancora fino a domani, dopo più di una settimana di approfondimenti di ogni tipo: Trieste ospita la Summer school dedicata a favorire lo sviluppo economico sostenibile e la crescita blu responsabile nell'area del Mediterraneo e del Mar Nero in linea con la strategia dell'Unione Europea chiamata "Blue Growth Initiative". È l'Ogs che organizza questa iniziativa di alta formazione, in materia di geofisica e scienze del mare, nell'ambito delle attività che gestisce, su incarico del Miur, in occasione della presidenza italiana del Dialogo 5+5, il forum geopolitico istituito per rafforzare la cooperazione in aree di interesse comune fra i paesi del bacino occidentale del Mediterraneo. «La Summer school è in linea con la Blue Growth Initiative, che riconosce nei mari e negli oceani un motore per la crescita economica e sociale del continente - spiega Maria Cristina Pedicchio, presidente dell'ente -, e vuole formare una nuova generazione di scienziati capaci di affrontare le nuove sfide climatiche, economiche e ambientali». Sono tantissimi i temi toccati in questi giorni da più di 40 studenti tra ricercatori, scienziati e manager di istituzioni, università e centri di ricerca, che hanno dai 25 ai 40 anni e che provengono da Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Egitto, Grecia, Israele, Italia, Malta, Montenegro, Palestina, Portogallo, Romania, Serbia, Spagna, Tunisia, Turchia e Ucraina. «Fin dalla prima giornata abbiamo parlato di diplomazia della scienza, poi abbiamo spaziato dai sistemi osservativi, cioè come raccogliere i dati sempre off-shore, con una tecnologia evoluta - spiega Mounir Ghribi, direttore della Summer School e responsabile delle attività di cooperazione internazionale dell'Ogs -, alla condivisione degli stessi». Ma non ci sono solo lezioni in classe, perché la Summer school ha previsto anche uscite didattiche a Grado-Marano, con tanto di visita culturale, e sulla nave Ogs Explora, al momento ferma nel porto di Trieste. Si è poi passati alla giornata dedicata alla geofisica e all'esplorazione dei fondali marini correlata da alcuni case-study. Per concludere con l'analisi dei vari tipi di inquinamento che possono disturbare l'ecosistema marino, da quello acustico a quello della plastica. «L'obiettivo principale di questa settimana - aggiunge Pedicchio - è quello di incrementare le capacità professionali e la qualità della ricerca per lo studio e la salvaguardia dell'ambiente marino e la gestione integrata delle aree costiere. Tenendo conto che l'economia blu è anche al centro del Dialogo 5+5». Quest'ultima iniziativa euro-mediterranea, come precisa Ghribi, mira a rafforzare la cooperazione nell'ambito di scienza e tecnologia, innovazione e alta formazione, tra Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Malta, Algeria, Tunisia, Marocco, Libia, Mauritania e l'Unione per il Mediterraneo (UfM). Nella serie di azioni in tale direzione l'Ogs organizza anche un master universitario internazionale, un programma dedicato alla mobilità internazionale e l'accesso alle infrastrutture di ricerca. La Summer school, sponsorizzata dal Miur, è organizzata da Ogs in collaborazione con l'Ictp, Twas, l'Università di Trieste, la Sissa e l'Iniziativa Centro Europea. Quest'ultima sovvenziona alcune borse di studio. La scuola gode inoltre del patrocinio della Regione Fvg.

Benedetta Moro

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 17 luglio 2017

 

 

Polo intermodale a ritmo serrato - Il cantiere procede a tutta velocità. Il secondo lotto al traguardo in febbraio
RONCHI DEI LEGIONARI - Era il 1988. Allora il polo intermodale dei trasporti di Ronchi dei Legionari veniva inserito nel piano regionale dei trasporti. Sono trascorsi 29 anni e solo il 23 gennaio scorso l'area di 20mila metri quadrati compresa tra l'aeroporto regionale e la linea ferroviaria Trieste-Venezia, ha ospitato la cerimonia per la posa della prima pietra di questa importantissima struttura. Dove, da quasi sei mesi, si lavora senza sosta. Un cantiere che procede a ritmo spedito, sia per quel che riguarda il primo, sia per quel che riguarda il secondo lotto dei lavori che, secondo cronoprogramma, dovranno concludersi entro il febbraio del 2018. La situazione che si evince dando un'occhiata al cantiere è quella di un'opera pubblica che procede a ritmo spedito. Il parcheggio multipiano, capace di contenere fino a 500 automobili, è ormai stato completato e, nelle prossime settimane, si procederà alla realizzazione dell'impianto elettrico e dei sottofondi. Anche il parcheggio a raso, quello che potrà ospitare mille vetture, è a buon punto, mentre si lavora anche sul fronte della realizzazione della stazione delle autocorriere e della fermata ferroviaria che, se tutto andrà con i ritmo che è stato tenuto sino ad oggi, potrà aprire a marzo del prossimo anno. Il cantiere, poi, si è spostato anche all'interno del "Trieste Airport" dove è iniziata la costruzione delle opere che serviranno all'approdo della passerella che, dallo scalo stesso, porterà sino al polo intermodale. Una struttura che, vale la pena ricordarlo, potrà servire anche all'utenza locale. Si pensa ad una serie di piste ciclabili. Ed è per questo motivo che l'amministrazione comunale di Ronchi dei Legionari ha appena avanzato alla Regione una richiesta di finanziamento di 247mila euro. Il collegamento alle banchine ferroviarie si concretizzerà nella realizzazione di una ciclabile di circa 520 metri, con larghezza di 3, mentre l'attraversamento denominato si attuerà nella revisione strutturale dell'attraversamento e la definizione del tratto ciclabile esistente. Una conquista per chi desidera utilizzare la bicicletta e potrà avere a disposizione collegamenti bus e ferroviari in un unico, importante sito. Il polo intermodale dei trasporti, dopo anni ed anni di tentennamenti, sta diventando realtà. Da sei mesi a questa parte la ditta che si è aggiudicata l'appalto, suddiviso in due lotti funzionali, tutti finanziati, da 10, 3 d 6, 9 milioni di euro, vale a dire la ronchese "Ici Coop", di strada ne ha fatta parecchia. I lavori procedono speditamente ed i tempi, stando proprio al massiccio impiego di forze lavoro, saranno sicuramente rispettati. Il progetto che si sta completando a tappe forzate comprende una nuova fermata ferroviaria che sarà conforme alla specifiche tecniche per l'interoperabilità ferroviaria concernenti persone a ridotta mobilità ed una nuova autostazione con 16 stalli in linea per gli autobus, una superficie pedonale di 2800 metri quadrati ed una sala d'aspetto climatizzata, ma anche un parcheggio multipiano con una capacità di 500 posti auto. Accanto ad esso un parcheggio a raso, della capacità complessiva di 1000 posti auto, di cui 320 dedicati agli utenti con abbonamento al trasporto pubblici locale e ferroviario, ovvero pendolari, a tariffa agevolata e, ancora, un collegamento pedonale tra l'aerostazione e le strutture del polo con una passerella sopraelevata, lunga 425 metri, accessibile con ascensori, scale mobili e scale di sicurezza, con tappeti mobili per facilitare la percorrenza.

(lu.pe.)

 

Parte il restauro del Museo ferroviario - Domani il ministro Franceschini, la governatrice Serracchiani e l'ad delle Fs Mazzoncini firmeranno l'avvio del cantiere
Non è un addio, bensì un arrivederci per il tempo strettamente necessario al rifacimento del look. Ora ci siamo: il Museo Ferroviario di Campo Marzio chiude ufficialmente l'accesso al pubblico per iniziare i tanto sospirati lavori di ristrutturazione indispensabili non solo per riportare l'edificio ai fasti di un tempo, ma soprattutto per evitare le copiose infiltrazioni d'acqua che negli ultimi tempi hanno intaccato il lato che si affaccia su via Giulio Cesare. La firma per l'avvio del cantiere del Museo Ferroviario è prevista domani, martedì 18, con una cerimonia ufficiale riservata alla stampa e agli addetti ai lavori, fra il ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (Mibact) rappresentato dal ministro Dario Franceschini, la presidente Debora Serracchiani per la Regione Friuli Venezia Giulia, il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, Renato Mazzoncini amministratore delegato di Fs e Mauro Moretti presidente di Fondazione Fs. Per l'occasione arriverà in città un convoglio storico della Fondazione Fs che trasporterà le autorità e gli invitati da Trieste Centrale a Miramare, per poi proseguire verso bivio Aurisina, Villa Opicina e raggiungere lo scalo di Campo Marzio attraverso la Transalpina, i cui lavori di messa in sicurezza si stanno completando. Quasi un buon auspicio affinché questa linea possa venir percorsa non solo da convogli storici, ma anche da quelli merci in arrivo ed uscita dallo scalo portuale visto l'aumento consistente di traffico portuale registrato negli ultimi mesi. Non sono ancora noti tutti i dettagli dell'intervento di recupero di Trieste Campo Marzio, ma sicuramente si procederà a lotti ed il primo riguarda proprio la zona che ospita l'area museale, di cui probabilmente sarà aumentata la parte a disposizione del pubblico con nuove sale tematiche. Dunque una svolta significativa per la vecchia stazione di Campo Marzio, inaugurata il 19 luglio 1906 come capolinea sud della linea Transalpina (Wocheiner Bahn o Bohinjska Proga), nota anche come "il secondo collegamento ferroviario" fra il porto degli Asburgo e Vienna: una strada ferrata realizzata proprio per collegare in modo veloce e diretto la città con il centro Europa, evitando così di utilizzare i servizi più costosi e lenti della "ferrovia Meridionale" (l'attuale stazione centrale di Piazza Libertà). Un edificio, quello che ospita il Museo Ferroviario, costruito tutto su un terreno da riporto sottratto al mare mediante un'operazione di interramento: infatti sul lato opposto della stessa via si può scorgere l'antica banchina frangi flutti, oggi utilizzata come basamento del muretto su cui poggia la cancellata del mercato ortofrutticolo. Con l'avvio dell'intervento di recupero dell'immobile, cambierà anche la conduzione del Museo: infatti la gestione, fino ad oggi curata dall'Associazione DopoLavoro Ferroviario di Trieste grazie ai soci volontari della Sat (Sezione Appassionati Trasporti), da mercoledì 19 luglio passerà sotto la amministrazione diretta della Fondazione Fs. Una lunga storia quella del Museo Ferroviario, iniziata nel 1974 per volontà di alcuni soci del locale Dlf che avevano iniziato a raccogliere vecchi cimeli e concretizzatasi successivamente nell'allestimento di una collezione permanente di foto, oggettistica, cimeli e rotabili proprio con l'apertura del museo stesso l'8 marzo 1984 alla presenza dell'allora ministro dei trasporti Claudio Signorile. «Per noi volontari di questa struttura - afferma Roberto Carollo, responsabile del Museo - questo avvenimento segna il riconoscimento ufficiale da parte delle Ferrovie e finalmente il nostro sogno diventa realtà. Una felicità non solo mia, ma di tutti i volontari che hanno a cuore questo luogo». Claudio Vianello, presidente dell'Associazione DopoLavoro Ferroviario di Trieste che fino ad oggi ha gestito l'immobile di Campo Marzio, è soddisfatto solo parzialmente: «Ritengo che la firma del protocollo - sostiene Vianello - sia positivo e rappresenta l'obiettivo che questa associazione ha perseguito per tanti anni: resto altresì perplesso rispetto alla chiusura del Museo al pubblico, visto che la donazione di tutto il patrimonio non è ancora stata siglata davanti ad un notaio. Con la chiusura del Museo non capisco come si possa osservare il vincolo posto da parte dalla Soprintendenza».

Andrea Di Matteo

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 16 luglio 2017

 

 

Da Sistiana a Muggia - le nove spiagge al top - Il Piccolo ha analizzato, grazie a un team di esperti, i principali lidi triestini
Tuffi al sicuro dall'inquinamento ma il concime per la vita sommersa latita - Le spiagge monitorate dal Piccolo
TRIESTE - Bagni tranquilli per tutti nel nostro mare in questa calda estate. Da Punta Sottile a Sistiana passando per Barcola e Grignano le acque del Golfo di Trieste sono pulite, anzi pulitissime. Pure troppo, al punto che se da un lato non si può parlare di inquinamento, dall'altro l'eccessiva depurazione delle acque urbane rischia di mandare in tilt la catena trofica per lo scarso apporto di nutrienti. Ma se mettiamo insieme i vari parametri come temperatura, salinità, ossigenazione e trasparenza scopriamo che la palma dell'acqua più adatta ai bagni la troviamo nella zona di Muggia, a Punta Sottile, là dove le correnti marine di questo scorcio di Adriatico mescolano l'acqua e la "puliscono". Virgolette d'obbligo, perché in senso strettamente biologico trasparenza e ricchezza dell'acqua non vanno sempre d'accordo. Ma tant'è, il mare che lambisce le nostre coste gode di discreta salute, non è inquinato da idrocarburi o altre componenti chimiche, e non soffre per la scarsa quantità di rifiuti urbani e non, che, soprattutto con le piene dei fiumi comunque si riversano con regolarità nelle sue acque. Ha però, questo mare, le sue sofferenze, le sue febbri, malesseri dovuti in gran parte - ma non solo - alla presenza e alle azioni dell'uomo. Tanto per fare un esempio, l'enorme e anomala quantità di meduse a spasso per il Golfo è un fenomeno ancora da capire ma che di certo sconta, da queste parti, un qualche inghippo nel fragile e complesso ecosistema marino. Sono questi, e altri ancora, i risultati di un'indagine che Il Piccolo ha effettuato con gli esperti tecnici e biologi marini della Cooperativa Shoreline, un team che, fra l'altro, svolge parte della sua attività nella Riserva marina di Miramare dove, per conto del Wwf e del ministero dell'Ambiente, gestisce ed organizza alcuni servizi e attività all'interno dell'area protetta. E se è vero che l'Arpa, l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente, monitora costantemente la salute del Golfo tramite numerose stazioni di campionamento e pubblica un esaustivo bollettino mensile on-line che fornisce indicazioni, in modo semplice ed immediato, sulle caratteristiche fisico-chimiche e biologiche dell'ambiente marino, è anche vero che non tutti gli angoli del Golfo sono coperti dai monitoraggi. Perciò con i professionisti della Shoreline siamo andati a effettuare alcuni campionamenti per implementare i valori acquisiti e per vedere come sta il mare in prossimità dei più frequentati luoghi di balneazione, tra stabilimenti balneari e segmenti di costa libera.Con Carlo Franzosini, presidente della Cooperativa Shoreline, Saul Ciriaco, vicepresidente, Marco Segarich e Lisa Faresi, a bordo di una motobarca appositamente attrezzata abbiamo, monitorato nove punti: Punta Sottile, Ausonia, Bagno Ferroviario, Barcola Pineta, Bagno Sticco - Miramare, Grignano uno e due, Canovella de' Zoppoli, Portopiccolo e Sistiana Caravella. Durante i sondaggi è stata utilizzata sia una sonda Ctd multiparametrica per raccogliere i dati relativi a temperatura, salinità e ossigeno con profilo in profondità, sia il disco di Secchi per misurare la trasparenza dell'acqua. In più sono stati effettuati monitoraggi con transetti lineari per la macrofauna planctonica per un tratto di mare lungo nove chilometri per sei metri di larghezza.«Nel complesso il nostro mare sta bene - dice Franzosini - anche se registriamo uno squilibrio negli apporti di nutrienti delle acque che sta portando, per esempio, alla sparizione delle praterie di fanerogame». «Paradossalmente - continua Franzosini - in buona parte questo è dovuto agli impianti di depurazione, sempre più avanzati, per cui eliminano dall'acqua degli scarichi azoti e fosfati che sono il concime base per la vita marina; le mucillagini, ad esempio, fioriscono proprio per lo squilibrio che c'è tra azoto e fosforo, e sono indicatori di stress per il mare. L'acqua troppo depurata rischia di trasformare il mare in una piscina nella quale non vive più niente». Anche fenomeni come le schiume che appaiono sottocosta specie quando venti e correnti rimescolano acque calde possono dipendere da disfunzioni trofiche di questo tipo.E poi c'è il mistero meduse. Nel transetto monitorato in navigazione oltre ad alcuni esemplari di salpe (tunicati coloniali) sono stati conteggiati ben 888 esemplari di Rhizostoma pulmo, il polmone o botta di mare, «una quantità importante», nota Ciriaco. Sul perché di tale diffusione sono in corso ricerche a livello europeo (in Italia i fondi per questo tipo di ricerca sono insufficienti), «ma di certo - aggiunge Ciriaco - influiscono una serie di concause che vanno dall'innalzamento delle temperature fino alla diminuzione dei predatori delle meduse a causa della pesca, che squilibrano la delicata rete trofica del nostro mare». Durante il nostro viaggio lungo le coste del Golfo le sorprese non sono mancate. A dispetto dell'acqua limpida e pulita, a Punta Sottile, a una profondità di sedici metri, la sonda rivela una percentuale di ossigeno pari a 66,375%. Un dato che rivela quanto lì l'acqua sia vicina all'anossia, cioè alla mancanza di ossigeno, che rischia di soffocare la vita sul fondo. Percentuale di poco più alta al Ferroviario, ma sempre pericolosa, ancora a sedici metri di profondità, mentre al contrario la palma del fondale più ossigenato spetta a Sistiana, con una percentuale di ossigeno sul fondo pari al 103,525%. «Dipende dalla stratificazione termica e salina - spiega Ciriaco - tipica del Golfo di Trieste in estate». Altra sorpresa, gli alieni. Davanti al Ferroviario ecco flottare alcuni esemplari di Mnemiopsis leidyi, nota anche come noce di mare. È uno ctenoforo, una specie di parente delle meduse, che qui non dovrebbe stare. La noce di mare, spiega Faresi, «è originaria dell'Atlantico Occidentale, qui nel Golfo la specie è stata segnalata per la prima volta nel 2005, ma solo durante l'anno scorso si è verificata una vera e propria esplosione demografica», che a quanto pare non accenna a diminuire. Arrivata nei nostri mari, come altre specie aliene, probabilmente portata dalle acque di sentina della navi. «La noce di mare - aggiunge Faresi - è un problema perché mangia le larve del pesce azzurro e si riproduce molto velocemente spesso intasando anche le reti dei pescatori». All'altezza di Sistiana scendiamo in acqua con maschera e pinne per dare un'occhiata da vicino ai fondali. Una bella sorpresa, a ridosso di Portopiccolo, sono i cavallucci marini che qua e là fanno la loro apparizione, mentre in zona Caravella spuntano dal fondo come tante statuine moderniste le Pinne nobilis, o sture, i più grandi bivalvi del Mediterraneo, una specie oggi protetta che ha fatto la sua ricomparsa nel Golfo di Trieste dopo una lunga assenza dovuta a chissà cosa. In quanto alle immondizie, sul fondo del nostro mare non mancano aree dove la concentrazione di rifiuti è piuttosto evidente, come a ridosso delle "pedocere", gli allevamenti di cozze. Ma si tratta di solito di corpi morti, vecchi ancoraggi, nasse e materiali di risulta dell'attività di pesca che presto la vita del mare ingloba e ricopre, con la capacità che ha di curare da sé i propri malanni. Sempre che l'uomo non ci metta del suo.

Pietro Spirito

 

A Punta Sottile la palma della trasparenza

Stilare una classifica del “bagno più bello” lungo la costiera triestina non è semplice e può apparire fuorviante, considerati i molti fattori che entrano in gioco quando si parla di buona qualità delle acque marine. Perciò volendo in linea puramente indicativa provare a dare un voto alle acque del mare si può prendere uno solo degli indicatori, quello della trasparenza. È un dato che viene misurato tramite un apparecchio apparentemente semplice, il disco di Secchi. Lo strumento fu inventato nel lontano 1865 da Padre Angelo Secchi, che lo utilizzò per la prima volta durante una crociera nel Mediterraneo. È un disco circolare di vari diametri, di solito 20, 30 centimetri, bianco o a quadranti bianchi e neri, che si immerge legato a una fune metrata finché non si riesce più a vedere. Così, come si vede nella tabella del grafico che riporta in metri la profondità in cui il disco “scompare”, la palma dell’acqua più limpida va a Punta Sottile mentre lo specchio di mare meno trasparente è risultato quello di fronte all’Ausonia.

 

I tecnici e i biologi della Shoreline da anni al servizio della natura - i professionisti della ricerca

La Cooperativa Shoreline è nata nel 1988 dall'iniziativa di un gruppo di professionisti del settore della biologia ed ecologia marina e costiera. La Shoreline è stata, fin dalla costituzione, il riferimento del Wwf-Italia per le problematiche marine a livello nazionale, operando nella gestione delle aree protette costiere del Wwf. La cooperativa svolge parte della sua attività presso la Riserva marina di Miramare. Formatasi con una grossa esperienza, tuttora in corso, di gestione "creativa" e di alta qualità per contenuti scientifici, professionali, organizzativi e gestionali, Shoreline si è sviluppata con servizi innovativi che continuano ad integrare ed ampliare il potenziale professionale della cooperativa. Nel 1996 si è insediata all'Area Science Park di Trieste, aprendovi il Laboratorio per la ricerca sulla qualità dell'ambiente marino e costiero (CeRQuAM). Toccando diverse tematiche scientifiche e rivolgendosi a diversi target di mercato, la Shoreline adotta come strategia la suddivisione in settori gestiti autonomamente ma comunicanti tra di loro. Le aree di attività vanno da ricerche in mare e acquacoltura alla consulenza per le aree protette marino-costiere, fino alle ricerche nell'ambito delle innovazioni e dei supporti legislativi nella pesca a fini divulgativi e formativi e alle attività di monitoraggio in aree naturali protette.

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 15 luglio 2017

 

 

L’Authority padrona del porto franco - Sottoscritto dal ministro Padoan il decreto annunciato a Trieste da Del Rio

Alla torre del Lloyd la gestione integrale e la definizione di piani e strategie

TRIESTE - Habemus decreto del porto franco. Il testo annunciato a fine giugno nel palazzo della Regione in piazza Unità ha concluso il suo iter amministrativo ed è uscito dal labirinto burocratico romano: è stato firmato dal ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan e approderà in breve sulla Gazzetta ufficiale. A una prima lettura, il decreto sembra rispondere adeguatamente all'annuncio fatto dal ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, dalla presidente Fvg Debora Serracchiani e dal presidente dell'Autorità portuale di sistema dell'Alto Adriatico Zeno D'Agostino: l'amministrazione del porto franco viene affidata interamente all'Autorità, che potrà autorizzare «la produzione di beni e servizi, anche a carattere industriale». Commenta Serracchiani: «Il presente e il futuro dello scalo portuale di Trieste passano per la sua unicità, che oggi è definitivamente confermata». La presidente sottolinea come si tratti di un passaggio fondamentale per tutta la regione, e aggiunge: «Il Porto di Trieste è veramente libero di rinascere a nuova vita» e il decreto «concretizza la possibilità di assistere all'insediamento di nuove aziende della manifattura industriale, della trasformazione delle merci e della logistica, le quali potranno godere dei vantaggi di un sistema doganale unico in Europa che consente la lavorazione dei prodotti nelle aree extra doganali». Serracchiani rimarca inoltre che l'opportunità «è fondamentale per rafforzare il ruolo del capoluogo del Fvg quale porta d'Oriente e snodo della nuova Via della Seta che collega l'estremo oriente con i mercati europei». In quest'ottica, secondo la presidente, è strategico che la Regione «continui lo sviluppo della rete di collegamento intermodale avviato in questi ultimi anni».Il presidente D'Agostino è altrettanto soddisfatto: «Vengono accentrati diversi poteri che consentiranno di costruire su misura il porto del futuro». Una caratteristica che rende Trieste appetibile per investitori e operatori logistici: «Il dinamismo operativo che il decreto ci consente si può trovare soltanto qui - dice D'Agostino -. Da quando c'è stata la notizia si sono palesati molti tanti potenziali investitori». Nei giorni scorsi Serracchiani ha rivelato che alla porta dell'Autorità non hanno bussato soltanto i cinesi, ma anche russi e americani: «E potremmo aggiungere austriaci, ucraini, iraniani - dice D'Agostino -. Sono molti i soggetti interessati ai punti franchi».Ora tra gli operatori portuali tanti si chiedono quali saranno gli effetti del decreto nella pratica. Poiché un conto è il testo così com'è scritto, ma l'espressione del suo potenziale può riservare sorprese o delusioni. Gli addetti ai lavori si interrogano sull'effetto che il testo avrà sui controlli doganali: «Da un lato le Dogane non avranno più l'intervento di tipo economico - dice il presidente dell'Ap - e quindi non potranno più effettuare le riscossioni. Dall'altro resta valida la funzione di conoscenza e controllo di quello che accade all'interno del porto».Quanto al testo, dice nero su bianco che «il porto franco di Trieste è amministrato dall'Autorità di sistema portuale». Ciò comporta la gestione delle aree di demanio marittimo, ma anche di tutte quelle legate funzionalmente e logisticamente alle attività portuali: è la nuova ottica delle Autorità di sistema. L'Ap triestina può autorizzare e limitare «la manipolazione delle merci», ma anche «la produzione di beni e servizi, anche a carattere industriale». È un passaggio fondamentale per le rivendicazioni fatte in queste settimane. Anche in questo caso, è richiesta l'intesa con l'Agenzia delle dogane. Il testo prosegue elencando tutti gli aspetti della vita portuale ricondotti all'Ap, inclusa la promozione e la formazione professionale. Molto spazio è dedicato al traffico su rotaia: «Al fine di promuovere lo sviluppo dei servizi ferroviari nel porto franco, tenuto conto del principio di libertà di transito, il presidente garantisce la libertà di accesso a tutti i vettori ferroviari. A tal fine potrà avvalersi dell'utilizzo di società strumentali, anche attraverso l'assunzione di partecipazioni societarie, ai sensi della disciplina vigente, finalizzate alla promozione di collegamenti logistici e intermodali funzionali allo sviluppo del sistema portuale». La parte successiva del testo stabilisce la pianificazione strategica del porto franco, condotta dall'Ap attraverso l'elaborazione di piani appositi. Il decreto attribuisce poi alla stessa Autorità portuale le autorizzazioni relative al transito degli automezzi e stabilisce che non ci saranno nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Ora non resta che attendere gli effetti nella pratica

Giovanni Tomasin

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 14 luglio 2017

 

 

Blitz dei vigili negli orti di Borgo San Sergio
Blitz all'interno degli orti urbani per il ripristino della legalità. A seguito di diverse segnalazioni pervenute al Comune e riguardanti persone che abusivamente occuperebbero alcuni lotti degli orti urbani siti nella zona cosiddetta de "Le Piane", a Borgo San Sergio, tra l'altro recando anche vari disagi ai locatari regolari e rivolgendo persino minacce e millantando presunti titoli e diritti quali "futuri locatori", l'amministrazione comunale, nella persona dell'assessore al Patrimonio Lorenzo Giorgi, è intervenuta ieri svolgendo innanzitutto un ampio sopralluogo nella zona, con una serie di puntuali verifiche, lotto per lotto, operando quindi immediatamente con degli interventi tecnici adeguati a riportare la situazione alla regolarità e al ripristino di una veste legale. A tal fine, l'assessore Giorgi, che ha documentato il blitz con una diretta Facebook, è stato accompagnato nell'"operazione" dalla Polizia locale e dai funzionari dell'ufficio gestione patrimonio immobiliare. Il risultato? Alla fine sono state rimosse le chiusure abusivamente collocate (circa una decina di catene e lucchetti) e apposti i lucchetti e le chiusure "regolari" del Comune, affiggendo infine i cartelli dell'amministrazione chiaramente indicanti la proprietà del Comune e lo stato di "lotto libero" (cioè ancora non assegnato). «Si è trattato di un'azione necessaria di fronte a una situazione che era da reputarsi grave, anche per l'asserita sussistenza di minacce e abusi verso gli assegnatari regolari - racconta Giorgi -. E a maggior ragione grave in quanto trattasi di beni pubblici e, com'è nello spirito di questi orti urbani, di significativa valenza sociale».

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 13 luglio 2017

 

 

La Fiom: «Alla Ferriera non faremo la fine di Piombino»
«Non faremo la fine dei 2150 lavoratori di Piombino che una volta dismessa la loro area a caldo, nonostante mille promesse, ora si trovano senza lavoro». Lo sottolinea in una nota il comitato degli iscritti della Fiom Cgil delle Acciaierie Arvedi Trieste congiuntamente alla Rsu Fiom. L'assemblea dell'altro giorno ha portato la Fiom a valutare negativamente la limitazione della produzione causata dall'ingiunzione istituzionale. «Nel contesto - scrivono - evidenziamo anche la risposta dell'azienda fornita a Regione e Comune che aggrava ancora di più la già difficile gestione sociale con probabili ricadute occupazionali, tuttavia consideriamo che detta decisione sia conseguenza della mancata chiarezza da parte dell'azienda sulla definizione del piano industriale almeno nel breve-medio periodo». Di qui la richiesta di un tavolo «dove impegnare le istituzioni, l'azienda e le parti sociali, per definire congiuntamente la strategia di continuità, nel pieno rispetto dell'accordo di programma e dell'Aia rilasciata». La Fiom, « nel pieno rispetto delle opinioni diverse», invita anche l piccolo gruppo di manifestanti in piazza Unità a togliere lo striscione "Area a caldo = Morte", considerandolo «gravemente lesivo della dignità dei lavoratori che anche adesso stanno operando nell'area a caldo dello stabilimento». «Non accetteremo qualsiasi ipotesi di soluzione che preveda la perdita di un solo posto di lavoro», concludono. In un'altra nota invece Andrea Ussai, consigliere regionale del Movimento 5 Stelle chiede alla presidente Serracchiani «di promuovere urgentemente la chiusura progressiva dell'area a caldo dell'impianto» e «di tutelare gli attuali livelli occupazionali della Ferriera nel processo di riconversione industriale, sfruttando le prospettive di sviluppo relative al porto di Trieste createsi recentemente con la firma dei decreti attuativi del Porto franco».

 

 

La legge bis antibici spacca il Pd a Muggia - La fronda spinge per una retromarcia prima della posa dei nuovi cartelli. Decolle: «Il problema è politico e non più tecnico»
MUGGIA - La regolamentazione della viabilità all'interno del centro storico di Muggia continua a scaldare senza sosta gli animi del Partito democratico rivierasco. L'ordinanza 57 del 2017 della Polizia locale muggesana sottoscritta pochi giorni fa, ma che entrerà in vigore una volta apposta l'apposita cartellonistica, ossia entro il mese di luglio, non va proprio giù al consigliere di maggioranza Marco Finocchiaro. L'ex assessore ai Lavori pubblici, che guida la fronda interna, punta il dito contro l'ordinanza che impone il divieto di transito per i velocipedi (esclusi quelli condotti da minori di 10 anni) in alcune arterie del centro, ossia corso Puccini, via Dante (nel tratto compreso tra il civico 1 e piazzetta Santa Lucia), calle Carducci e piazza Marconi. Il provvedimento sarà attivo ogni anno dal primo giugno al 30 settembre, nelle fasce orarie 9.30-12.30 e 16-24 (e non 16-20 come annunciato in precedenza), ma "in ogni caso in presenza di manifestazioni". Nelle aree interdette i velocipedi potranno essere esclusivamente spinti a mano. I trasgressori saranno puniti secondo il Codice della strada con sanzioni che andranno da un minimo di 41 ad un massimo di 168 euro. «Ribadisco la mia contrarietà in quanto la condivisione delle aree pedonali da parte dei ciclisti è già prevista dal Codice della strada ed impone anche la conduzione a mano in determinati situazioni a prescindere dalla stagionalità e dagli orari», racconta Finocchiaro. Secondo l'esponente dem sarebbe bastato «ribadire sotto il cartello dell'area pedonale queste norme per la condivisione della mobilità lenta senza porre in contrapposizione pedoni e ciclisti». Finocchiaro critica anche la decisione della giunta Marzi di apporre un divieto di sorpasso nella galleria di via Roma per tutelare i ciclisti: «A parte che nell'ordinanza non compare, lo ritengo un provvedimento del tutto insufficiente». Per Finocchiaro infatti sarebbe meglio «istituire una zona 30 strutturale su lungomare Venezia, via Roma e via Battisti, dotata di adeguata segnaletica verticale e orizzontale con corsie riservate, rallentatori di velocità, passaggi pedonali rialzati o altro. Solo così si sarebbe garantita una alternativa sicura all'attraversamento del centro storico delle bici e si sarebbe potuta adottare l'ordinanza restrittiva». La richiesta sottintesa, insomma, è di un'eventuale retromarcia prima che arrivi l'apposita segnaletica. Sulle parole di Finocchiaro l'assessore alla Polizia locale Stefano Decolle è perentorio: «A questo punto quello formulato da Finocchiaro non è più un problema di carattere tecnico ma è un problema di natura politica a cui sarebbe opportuno fornire una risposta da parte del segretario del Pd». Ed ecco quindi che Francesco Bussani, vicesindaco e segretario del Circolo del Pd muggesano, cerca di smorzare i toni: «Qualche settimana fa il Comune ha incontrato i rappresentanti di Ulisse Fiab decidendo assieme di intraprendere un percorso condiviso per l'intero territorio di Muggia che partirà con l'arrivo dell'autunno per trovare le soluzioni ai problemi dei ciclisti».Tutto confermato invece per i divieti alle auto. Nell'area vigerà il divieto di transito e sosta con rimozione forzata per tutti i veicoli a motore, con alcuni distinguo. I mezzi di privati residenti in centro storico con garanzia di rimessaggio in garage o cortili, mezzi di privati per scarico merci e mezzi di trasporto merci per le attività commerciali, operanti all'interno dell'area, potranno accedere dalle 6 alle 9. 30 e da novembre ad aprile anche dalle 19 alle 20. Potranno essere utilizzati esclusivamente mezzi fino a 35 quintali di massa, al massimo per 30 minuti e con velocità non superiore ai 10 chilometri all'ora. Potranno inoltre accedere al centro storico i mezzi di accompagnamento di funerali, matrimoni e unioni civili. Consentito anche il transito di mezzi a servizio delle manifestazioni autorizzate e delle persone disabili e per assistenza domiciliare, ma anche di taxi, mezzi di soccorso e per la consegna di combustibili. Il percorso a traffico limitato riguarderà via Dante (accesso da via Battisti), piazza Santa Lucia, la parte discendente di via Verdi e passo Marcuzzi.

Riccardo Tosques

 

 

Ambiente - Maxi crollo in Antartide - Nasce iceberg gigante
ROMA - Con una superficie di 5.800 chilometri quadrati, estesa quanto il Lazio, l'iceberg appena nato in Antartide era annunciato da tempo. Da molti anni la piattaforma di ghiaccio Larsen C era osservata da tanti gruppi di ricerca in tutto il mondo. È l'ultima di tre piattaforme che si trovano nella penisola antartica, indicate con le lettere A, B e C: la prima si è staccata nel 1995, la seconda è collassata nel 2002 e dalla Larsen C è nato il nuovo iceberg, chiamato A68. A dare la notizia è stato il progetto Midas, coordinato dall'università britannica di Swansea, che da anni è impegnato nello studio di questa grande piattaforma di ghiaccio. «Il distacco di questo iceberg è un segnale significativo di un processo avviato anni fa e continua a fare della piattaforma Larsen un vero e proprio sorvegliato speciale», osserva Massimo Frezzotti, glaciologo dell'Enea e presidente del Comitato glaciologico italiano. Da mesi le immagini dei satelliti controllavano la spaccatura che era lì da tempo e che solo nel gennaio 2016 aveva ripreso ad allungarsi progressivamente e in modo sempre più rapido. «Fino al 5 luglio la piattaforma era ancora attaccata per 5 chilometri, ma nell'ultima settimana - ha osservato Frezzotti - era stata registrata un'accelerazione». La fenditura appare ormai un taglio netto nelle immagini inviate a Terra dal satellite Sentinel 1, del programma Copernicus promosso da Commissione Europea e Agenzia Spaziale Europea (Esa), e da quelle del satellite Aqua della Nasa. Per Frezzotti questo distacco «di per sé non è un evento catastrofico, ma è il segnale significativo di un processo che si è avviato da tempo e bisognerà vedere l'andamento della situazione nei prossimi anni». Il distacco che è avvenuto finora corrisponde infatti a circa il 10% dell'intera piattaforma di ghiaccio, della quale restano ancora integri circa 50.000 chilometri quadrati. «Adesso - ha concluso Frezzotti - è molto importante continuare a monitorare il comportamento di questa piattaforma nei prossimi anni per capire se il processo di frammentazione si è arrestato o meno». Non si può ancora dire con certezza se il distacco dell'iceberg dalla piattaforma di Larsen C sia una conseguenza dei cambiamenti climatici, ma per l'associazione ambientalista Greenpeace è un segnale da non sottovalutare. Lo rileva in una nota Paul Johnston, capo della Science Unit di Greenpeace International. «Lo scioglimento dei ghiacci in Antartide - osserva Johnston - è stato sempre riconosciuto come un ammonimento a tutto il pianeta sui pericoli dei cambiamenti climatici. Il collasso di questa calotta di ghiaccio, il terzo registrato in questa regione negli ultimi anni, è verosimilmente un altro segnale dell'impatto globale del clima che cambia».

 

 

 

 

VoceArancio.it - MERCOLEDI', 12 luglio 2017

 

 

BANDIERA BLU 2017: ECCO LE 5 SPIAGGE ITALIANE PIÙ BELLE
È tempo di pensare alle vacanze: dalla Liguria alla Sicilia, ecco le 5 spiagge Bandiera Blu 2017 più rispettose dell’ambiente
Le vacanze estive si avvicinano: abbiamo già parlato dei consigli per risparmiare sui voli dell’estate, ma trovare la meta più adatta alle proprie esigenze non è facile, specialmente quando si tratta di spiagge. Una soluzione? Consultare l’elenco delle spiagge certificate Bandiera Blu del 2017 dalla FEE, la Fondazione per l’Educazione Ambientale con sede in Danimarca, che tiene conto di molti parametri, tra cui i seguenti, fondamentali per quanto riguarda l’ambiente:
Devono essere affisse informazioni sulla qualità delle acque di balneazione
Devono essere affisse informazioni relative a ecosistemi e a fenomeni ambientali rilevanti a livello locale
La spiaggia deve rispettare pienamente gli standard e i requisiti di analisi relativamente alla qualità delle acque di balneazione
Nessuno scarico di acque reflue (urbane o industriali) deve interessare l’area della spiaggia
La spiaggia deve rispettare i requisiti di Bandiera Blu per alcuni parametri fisici e chimici
La spiaggia deve essere pulita
Vegetazione algale o detriti naturali dovrebbero essere lasciati sulla spiaggia
Sulla spiaggia devono essere disponibili cestini per i rifiuti in numero adeguato che devono essere regolarmente mantenuti in ordine
Sulla spiaggia devono essere disponibili contenitori per la raccolta differenziata
L’accesso in spiaggia di cani e di altri animali domestici deve essere strettamente controllato.
Da nord a sud l’Italia è ricca di fantastiche località di mare: quali sono le 5 spiagge Bandiera Blu del 2017 più belle?
LIGURIA: LEVANTO, SPIAGGIA EST “LA PIETRA”
Levanto è un piccolo paesino della Liguria che si erge in una valle ricca di ulivi e pini. La maggior parte delle spiagge si concentrano nella zona sud. La composizione delle spiaggia “La Pietra” è di sabbia e pietre, naturalmente presenti in questo versante e la qualità delle acque è tra le migliori della Liguria, perfetta per chi ama rilassarsi immerso nella natura.
SARDEGNA: CAPRERA RELITTO
L’isola di Caprera fa parte dell’arcipelago de La Maddalena e annovera numerose spiagge in stile “caraibico”. La spiaggia del Relitto è famosa, oltre che per la sua sabbia bianca e sottile, per la presenza sulla riva di uno scheletro di una nave antica fatta arenare dopo un incendio scoppiato a bordo. Fare il bagno in questa spiaggia è un’esperienza suggestiva per il mare trasparente dal fondale sabbioso e per la vegetazione ricca di macchia mediterranea incontaminata.
ABRUZZO: FOSSACESIA
Fossacesia è un Comune in provincia di Chieti, apprezzata località balneare della Costa dei Trabocchi, bandiera blu dal 2004. Le spiagge di Fossacesia sono celebri per l’eterogeneità che contraddistingue la loro natura. In questa località i cani possono accedere alla spiaggia e, per il rispetto dell’ambiente e degli animali, l’amministrazione comunale sta lavorando per individuare e attrezzare un’area appositamente dedicata.
CALABRIA: ROCCELLA JONICA
Il comune rivierasco della Locride è ormai un habitué della Bandiera Blu con la sua spiaggia di finissima sabbia bianca che si affaccia su un mare cristallino ed incontaminato. Nella località calabra ci sono diversi stabilimenti balneari, ma, la parte di spiaggia libera e gratuita è pulita e ben attrezzata con docce e quanto serve per le esigenze dei bagnanti.
SICILIA: MARINA DI RAGUSA
Le spiagge di Marina di Ragusa si sviluppano lungo 50 km di costa, da Pozzallo fino a Scoglitti. In questo litorale si trovano alcune delle più belle spiagge dell’Italia: dalle quelle attrezzate delle località balneari più “in”, alle cale nascoste vicino a storici villaggi di pescatori. Tra le numerose spiagge, quella della Riserva Foce dell’Irminio è una spiaggia tranquilla, quasi vergine e ideale per rilassarsi godendo di un panorama mozzafiato.

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 12 luglio 2017

 

 

La schiuma sorprende i bagnanti in Costiera - Singolare fenomeno temporaneo al porticciolo della Tenda Rossa. Non è escluso che la causa sia un'alga
Sono giornate torride in cui ognuno s'ingegna per tentare di attutire gli effetti della canicola che continua a non dar tregua. Niente di meglio di un bel tuffo tra le onde per rinfrescarsi e difendersi dal solleone. Ma se spiaggia e mare non sono nelle migliori condizioni, la frustrazione aumenta. Per chi ieri si è recato di primo mattino al porticciolo della Tenda Rossa, una delle spiagge più gettonate della Costiera, c'era di che rimanere perplessi. In diverse parti della battigia, rappresa tra gli scogli, appariva una non ben identificata vaporosa schiuma, simile a quella che le nostre nonne usavano per fare il bucato. Anche se il mare era agitato, non si giustificavano i numerosi depositi della spuma rappresa. Inquinamento dovuto a degli scarichi non filtrati? Residui di qualche lavaggio effettuato in alto mare? Difficile dare una risposta. Trascurando la causa inquinamento, è plausibile pensare che il fenomeno possa essere attribuito a cause naturali, per esempio alla presenza in superficie di alghe o fanerogame che possono produrre torbidità o schiume saponose. Rimane il fatto che più di una persona, piuttosto perplessa di fronte alle spume rapprese, ha preferito abbandonare la spiaggia e riaffrontare la vertiginosa scalinata che riporta alla strada costiera. Episodi che comunque possono essere accomunati a un degrado, purtroppo evidente, di molti accessi al mare della Costiera triestina. È ormai normale incappare in tratti di spiaggia dove rifiuti di ogni genere rendono davvero poco gradevole la balneazione, rappresentando per i turisti un brutto biglietto da visita per il capoluogo regionale. Una situazione alla quale basterebbe davvero poco per porre rimedio, ovvero una presa di coscienza di tutta l'utenza nell'impegnarsi per l'asporto dei propri rifiuti nelle sedi consone. Diverso invece il discorso che riguarda la qualità e la salvaguardia del mare. Sul fronte delle verifiche e dei monitoraggi va segnalato il lavoro dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (Arpa), che segnala per le spiagge regionali una qualità dell'acqua pressoché eccellente. L'Arpa predispone con periodicità mensile un monitoraggio delle acque in 52 siti delle coste regionali, da Lignano Sabbiadoro a Muggia. Sono trenta i punti monitorati in provincia. Per saperne di più basta andare sul sito www.arpa.fvg.it e cliccare la voce acqua e balneazione.

Maurizio Lozei

 

 

La fototrappola "cattura" l'orsetto nei boschi del Carso - Il sistema ha registrato il passaggio tra Medeazza e Jamiano

L'esemplare, del peso di 80-90 kg, sarebbe di passaggio
«Negli anni ho fotografato cinghiali, caprioli, tassi, faine, volpi e pure sciacalli dorati. Ma quando ho visto l'orso ho strabuzzato gli occhi: quasi stentavo a crederci». Dalla Spagna, dove è attualmente in ferie, il cacciatore Maurizio Zulian racconta lo strepitoso fototrappolaggio effettuato alcuni giorni fa fa nei boschi del Carso, in una zona sita vicino all'oleodotto, a pochi passi dalla Slovenia, tra le frazioni di Medeazza (Duino Aurisina) e Jamiano (Doberdò del Lago). Un esemplare d'orso bruno, di poco più di due anni, quasi sicuramente maschio e del peso non di molto inferiore ai 100 chilogrammi, è stato immortalato dalla macchina fotografica notturna del 61enne di Jamiano. Immagini inequivocabili che attestano una volta di più la presenza del plantigrado nelle nostre aree. Pur non essendoci (ancora?) dei nuclei stanziali, le incursioni degli orsi nell'altipiano carsico, così come in altre zone del Friuli Venezia Giulia, sono oramai sempre più frequenti. «Potrei stimare che da circa vent'anni gli orsi attraversano la nostra regione, che è una vera e propria zona di passaggio soprattutto da parte dei maschi che vanno in cerca delle femmine» racconta il naturalista triestino Nicola Bressi.Il passaggio è duplice: da Ovest (Lombardia, Trentino Alto Adige e Veneto) gli orsi attraversano il Friuli Venezia Giulia in cerca di femmine che poi trovano in Slovenia. Più raramente, invece, i maschi sloveni si addentrano nel nostro territorio per poi spostarsi a Ovest verso le altre regioni italiane della fascia alpina. Vedere delle tracce inerenti il passaggio degli orsi, dunque, è cosa sì rara, ma non rarissima. È infatti emerso che pochi mesi fa un esemplare di orso è stato avvistato di giorno da parte di tre donne durante una passeggiata su un sentiero che collega Slivia ad Aurisina. La testimonianza è stata successivamente avvalorata dal Corpo Forestale regionale che ha individuato le fatte, ossia gli escrementi dell'animale, che hanno confermato il fatto che l'animale avvistato fosse proprio un orso.Nel maggio dell'anno scorso, invece, l'ex cacciatore di San Lorenzo (San Dorligo della Valle), David Fonda, che assieme alla madre Grosdana Gasperut stava percorrendo l'arteria stradale che collega San Lorenzo a Draga in direzione Pesek, fu protagonista di un avvistamento in pieno giorno: un orsetto di circa 50 chilogrammi toccato, senza conseguenze, dall'automobile che precedeva la coppia, era subito corso nei boschi facendo perdere le proprie traccia. Diverse poi le incursioni di orsi sloveni provenienti dal monte Cocusso, quasi sempre attratti dal miele prodotto a Grozzana.Memorabile il racconto di Virginio Abrami, gestore assieme alla moglie Vilma dell'Azienda agricola di apicoltura, che, convinto di trovarsi davanti a un grosso cinghiale, vide il plantigrado alzarsi su due zampe prima di scappare nuovamente nel bosco. Mediaticamente parlando, invece, il caso più eclatante è quello registrato nella primavera del 2015, quando le telecamere di sorveglianza del centro commerciale Ikea immortalarono un orso di circa 150 chilogrammi nel parcheggio del Tiare Shopping. In quell'occasione emerse che il plantigrado in questione era Madi, esemplare noto ai ricercatori dell'Università di Udine che nel maggio del 2013 lo avevano dotato di collare satellitare.Contattato dal Piccolo, il professore dell'Università di Udine Stefano Filacorda, tra i massimi esperti nazionali di orsi, racconta quello che potrebbe essere l'identikit dell'esemplare immortalato da Zulian tra Jamiano e Medeazza: «Dalle foto possiamo ipotizzare si tratti un cucciolo di 2 anni e mezzo, del peso di 80-90 chilogrammi. Quasi sicuramente si tratta di un orso in fase di dispersione dalla madre, ossia quel momento in cui il cucciolo viene allontanato dalla femmina essendo in corso la stagione degli amori». Filacorda tende ad escludere l'eventualità che il cucciolo fotografato possa essere una femmina, il che avrebbe significato la possibilità di porre virtualmente le basi per un nucleo fisso sul Carso giuliano: «È difficile dirlo con certezza, ma lo escluderei. Anche dopo essermi confrontato con i colleghi sloveni confermo che non risultano essere presenti femmine sul nostro Carso. Le più vicine si trovano invece nella Selva di Tarnova e sul monte Nevoso». Insomma, citando Franco Battiato, gli orsi, in Friuli Venezia Giulia, continuano ad essere almeno per ora... solo di passaggio.

Riccardo Tosques

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 11 luglio 2017

 

 

I bastioni veneziani di Zara e Sebenico patrimonio Unesco

Il "titolo" con Palmanova, Bergamo e Peschiera del Garda nel progetto congiunto di Italia, Croazia e Montenegro
ZARA - La conferma è arrivata dal vertice di Cracovia, in Polonia: anche i bastioni difensivi di Zara e la fortezza di San Nicola, situata in mare di fronte a Sebenico, sono stati inseriti nella Lista del patrimonio mondiale dell'Unesco. Lo ha deciso la competente commissione che ha preso in esame la proposta arrivata congiuntamente da Italia, Croazia e Montenegro di porre sotto tutela dell'Unesco le Opere di difesa veneziane tra il XVI ed il XVII secolo: "Stato di Terra - Stato di mare occidentale", un progetto guidato dalla città di Bergamo e che per un migliaio di chilometri si estende per il territorio italiano, croato e montenegrino. Le Mura Venete premiate, edificate dalla Serenissima dopo la scoperta della polvere da sparo e quale baluardo contro i vari nemici, in primis i turchi, possono essere visitate e ammirate in diverse zone e precisamente a Bergamo, Palmanova, Peschiera del Garda, a Zara e Sebenico in Dalmazia (Croazia) e a Cattaro in Montenegro. Va ricordato che le mura difensive di Zara, per una lunghezza complessiva di ben 3 chilometri, furono approntate dalla Repubblica di Venezia nel XVI secolo. Cingono - solenni e orgogliose - il nucleo storico zaratino, ossia la famosa penisola, per proteggerla (queste le intenzioni di cinque secoli fa) dagli attacchi delle forze turche che all'epoca stavano dominando nei Balcani. Ancora oggi piacciono per la loro imponenza, dando l'impressione di essere inconquistabili.Il discorso è valido anche per il forte di San Nicola, altra monumentale opera veneziana, edificata dalla Serenissima nel XVI secolo proprio all'imboccatura del canale di Sant'Antonio. Il motivo? Le paure, i pericoli che derivavano dall'avanzata dei turchi. La fortezza era stata approntata su progetto dell'ingegnere militare italiano, Michele Sanmicheli. È stata restaurata nell'ultimo biennio e dopo decenni di quasi totale abbandono. Nel corso dei lavori, è stata rispettata alla lettera l'antica struttura, senza interventi che potessero danneggiare la possente costruzione, una delle più belle in acque adriatiche. Va aggiunto che una ventina d'anni fa la polizia sebenzana fu costretta ad usare le maniera forti contro i cosiddetti datoleri, i raccoglitori abusivi di datteri di mare. Gli scavi a San Nicola per estrarre i molluschi avevano assunto dimensioni tale da mettere a rischio la statica dell'antica costruzione, uno dei simboli della presenza veneziana lungo le coste orientali dell'Adriatico. Per la Croazia è arrivato un altro importante riconoscimento: a far parte del Patrimonio mondiale dell'Unesco sono anche gli antichi faggeti dislocati nei parchi nazionali del Velebit (Alpi Bebie) settentrionale e della Paklenica. A Cracovia, dieci Paesi europei (Croazia, Italia, Austria, Slovenia, Belgio, Spagna, Bulgaria, Albania, Romania e Ucraina) hanno firmato l'allargamento del sito comprendente le antiche faggete dei Carpazi e di altre regioni del Vecchio Continente.

Andrea Marsanich

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 10 luglio 2017

 

 

La Fortezza di Palmanova è patrimonio dell'umanità - La decisione ieri a Cracovia, la scelta per le opere di difesa veneziane
Alla fine Palmanova ce l'ha fatta. La città stellata è entrata nel novero dei siti patrimonio mondiale dell'umanità dell'Unesco. Il verdetto è arrivato ieri mattina durante il summit del Comitato Unesco a Cracovia. Il progetto che ha portato la Fortezza all'ambito riconoscimento ha carattere di transnazionalità. Infatti «Opere di difesa veneziane tra il XVI ed il XVII secolo: Stato da Terra-Stato da Mar occidentale» ha visto la compartecipazione alla cordata delle opere di difesa presenti, con Palmanova, a Bergamo e Peschiera del Garda per l'Italia, a Zara e Sebenico per la Croazia, a Cattaro per il Montenegro. È questo l'ennesimo sito italiano entrato a far parte del Patrimonio mondiale Unesco, assieme a dieci antiche faggete italiane per una superficie complessiva di 2.127 ettari. La candidatura è il risultato di un certosino e complesso lavoro di équipe coordinato a livello centrale dal MiBact. Ma ripercorriamo la lunga strada che ha portato questo progetto transnazionale a far parte dei beni mondiali Unesco. Bergamo, capofila del progetto, ha iniziato nel 2008 il percorso di costruzione della candidatura all'Unesco World Heritage List. Nel 2011 Palmanova ha ottenuto l'inclusione della città Fortezza nella candidatura per la parte italiana, dopo che la visita della commissione ministeriale aveva sancito la valenza storico architettonica delle fortificazioni, supportata anche da un accurato dossier scientifico. Tra il 2011 e il 2013 è stata definita l'inclusione anche dei siti di Zara, Sebenico e Cattaro, oltre a Peschiera del Garda, già presente fin dall'inizio. Nel corso del 2013, si sono tenute a Palmanova alcune giornate di studio sulle fortificazioni e, nell'anno successivo, è stato organizzato un convegno internazionale "L'architettura militare di Venezia in terraferma e in Adriatico, tra XVI e XVII secolo". Un momento di confronto tra esperti internazionali del settore, una raccolta organica e articolata di tutte le ricerche svolte sul patrimonio fortificato della Serenissima, un studio volto a valorizzare le importanti testimonianze storiche, per salvaguardarle e ricercarne nuove destinazioni in un'ottica di riuso. L'iter, complesso e articolato, ha richiesto numerosi passaggi, dossier, valutazioni, sopralluoghi, visite nei paesi partner, incontri al Ministero e nel comune capofila. Nel febbraio 2014 la candidatura rientra nella Tentative list. L'anno successivo, a Bergamo, il sindaco di Palmanova Francesco Martines, assieme alla presidente della Regione Debora Serracchiani, firmano il protocollo nazionale a sostegno della candidatura Unesco che nel gennaio 2016 è stata definitivamente approvata e sostenuta come unica proposta italiana. A settembre la visita ispettiva. Nel 2017 il parere positivo da parte di Icomos, organismo dell'Unesco che, di fatto, ha spalancato le porte per il successo in terra polacca. Le Opere di difesa veneziane tra il XV e XVII secolo Stato da Terra-Stato da Mar occidentale, sono costituite da sei componenti fortificate situate in Italia, Croazia e Montenegro, che formano un sistema esteso per oltre mille chilometri tra la Regione Lombardia, in Italia, e la costa orientale adriatica. La serie nel suo complesso rappresenta una significativa rappresentazione tipologica delle fortificazioni costruite dalla Serenissima tra il XVI e il XVII secolo, un periodo molto importante nella lunga storia della Repubblica di Venezia. Al valore storico-architettonico del sito, contribuisce fortemente il contesto paesaggistico in cui si inseriscono le sei componenti, ciascuna in grado di offrire notevoli suggestioni visive. Per quanto riguarda specificatamente Palmanova, unico esempio di città di fondazione ancora intatta nella propria forma di stella a nove punte, è uno dei più importanti modelli di architettura militare in età moderna. Una struttura fortificata organizzata su tre cerchie difensive e un tessuto urbano disposto su assi radiali. L'accesso alla città è consentito dalle tre monumentali porte: Aquileia, un tempo chiamata Marittima, Udine e Cividale. Fu fondata dalla Serenissima Repubblica di Venezia con l'intento di contrastare le mire espansionistiche degli Asburgo d'Austria e le scorrerie dei Turchi. Il 7 ottobre 1593 venne posta la prima pietra della Fortezza. Furono costruite due linee difensive con bastioni e rivellini e al loro interno si realizzò l'impianto urbanistico della città. Una terza cinta fortificata fu aggiunta in epoca napoleonica. Con decreto del Presidente della Repubblica nel 1960 Palmanova è stata proclamata Monumento Nazionale. Negli ultimi anni è in atto una politica di riconversione da città militare a città di interesse storico culturale come elemento portante di nuovo sviluppo turistico e dei servizi. La caratteristica più importante della Fortezza, oltre chiaramente alla sua particolare geometria a pianta stellata, è la cinta bastionata, determinante ai fini della candidatura Unesco. Infatti, al valore del sito, contribuisce fortemente il contesto paesaggistico in cui si inseriscono le componenti dei bastioni realizzati con una funzione tattica nell'ambito del sistema complessivo.

ALFREDO MORETTI

 

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 9 luglio 2017

 

IL SENATORE Russo sfida il Pd «Dia un segnale di chiarezza sulla Ferriera»

«Se è una colpa essere stato l’unico esponente del centrosinistra ad accettare un confronto con cittadini che da settimane sono in piazza giorno e notte per manifestare il loro disagio allora sì, ammetto di essere colpevole. Ho affrontato una piazza arrabbiata e l’ho fatto senza cercare scorciatoie, difendendo il lavoro che il centrosinistra ha fatto negli ultimi anni sulla Ferriera». Lo afferma, in una nota, il senatore del Pd Francesco Russo in merito alla sua partecipazione all’incontro organizzato dai Comitati che si battono per la chiusura dell’area a caldo della Ferriera di Servola. «Al presidio del Comitato 5 Dicembre - aggiunge Russo - sono andato soprattutto per parlare di futuro. Non ho fatto facili promesse e a differenza di altri parlamentari non ho firmato petizioni e non ho promesso la chiusura dell’area a caldo in qualche settimana. Ho proposto, invece, un percorso concreto che partendo dallo sviluppo del porto e dalla riqualificazione di Porto vecchio crei le condizioni per arrivare in tempi certi alla chiusura dell’area a caldo. Che non lasci al loro destino i lavoratori (solo in Porto - ci dicono gli operatori - nei prossimi due anni, grazie anche al punto franco verranno creati fino a 1000 posti di lavoro) né un sito capace anche da abbandonato di essere una bomba ecologica». «Per questa posizione la governatrice Serracchiani mi dà del “Pierino” - aggiunge Russo - eppure le cose che ho detto sono quelle che il centrosinistra (lei compresa) ripete da sempre. E allora a Debora Serracchiani dico ben venga una verifica romana, se necessario. Prima però sarò io a proporre una verifica locale: durante la direzione regionale di giovedì presenterò un ordine del giorno per chiedere al Pd del Friuli Venezia Giulia di chiarire qual è la linea di azione sul sito di Servola».

 

 

 

 

COMUNICATO STAMPA - SABATO, 8 luglio 2017

 

 

#NoRifiutinelWC, un piccolo gesto per salvare il mare e le spiagge - Legambiente chiede la messa al bando dei cotton fioc in plastica

Con Goletta Verde prende il via la nuova campagna di Legambiente, sviluppata da Ogilvy Change, per stimolare il cambiamento dei cittadini ed arginare un problema di portata globale come il marine litter - Ogni anno 8 milioni di tonnellate di rifiuti finiscono dritti nei mari e negli oceani del mondo e di questi una percentuale tra l’80% e il 90% di questi rifiuti è plastica. In 46 spiagge monitorate trovati quasi 7mila cotton fioc, in pratica due ogni passo tra la sabbia Nel Lazio, presso la spiaggia di Levante a Terracina, conteggiati ben tre cotton fioc ogni metro. Legambiente chiede la messa al bando dei cotton fioc in plastica. Scopri la campagna su www.norifiutinelwc.it Qui il video della campagna: https://goo.gl/caY1sD

Qual è la distanza tra il nostro wc e il mare? Molto più che breve di quello che si immagina. Il 10% dei rifiuti presenti sulle spiagge italiane proviene, infatti, dagli scarichi dei nostri bagni. Rifiuti buttati nel wc che raggiungono il mare, anche a causa di sistemi di depurazione inefficienti, minacciando la fauna marina. Il 9% di questi rifiuti spiaggiati è costituito da bastoncini per la pulizia delle orecchie che vengono buttati nei Wc. In sole 46 spiagge lungo la penisola sono stati trovati quasi 7mila cotton fioc (monitorate da Legambiente tra il 2016 e il 2017 con l’indagine Beach Litter), in pratica due bastoncini per le orecchie ogni passo tra la sabbia. Il problema, purtroppo, non sono solo i cotton fioc. Sulle nostre spiagge c’è di tutto: blister, tamponi e assorbenti, medicazioni, deodoranti per wc, contenitori per le lenti a contato. Nel Lazio, ad esempio, presso la spiaggia di Levante a Terracina, i volontari di Legambiente hanno contato tre cotton fioc ogni metro durante l’indagine Beach litter 2017. E lo scorso anno furono migliaia i bastoncini cotonati trovati a Fiumicino, sulla spiaggia di Coccia di Morto. Tutti rifiuti buttati nel WC e che hanno raggiunto mare e spiagge, anche a causa di sistemi di depurazione inefficienti. Prevenire è possibile e anche molto semplice: basterebbe usare il cestino. Nasce per questo la campagna #NoRifiutinelWC, sviluppata da Legambiente e Ogilvy Change, la unit di Ogilvy & Mather che applica gli studi scientifici di economia comportamentale, psicologia cognitiva e psicologia sociale nella realizzazione di interventi finalizzati a orientare positivamente i comportamenti e le decisioni delle persone. Lo scopo della nuova campagna sociale è stimolare il cambiamento spontaneo e permanente di abitudini in un piccolo gesto quotidiano che, tuttavia, può contribuire ad arginare un problema di portata globale come il marine litter: si calcola, infatti, che ogni anno 8 milioni di tonnellate di rifiuti finiscono dritti nei mari e negli oceani del mondo e di questi una percentuale tra l’80% e il 90% di questi rifiuti è plastica. Il lancio della campagna è avvenuto in occasione del viaggio della Goletta Verde, la storica imbarcazione di Legambiente che da oltre 30 anni per monitorare le qualità delle acque marine e la presenza di rifiuti in mare, ma anche per denunciare le illegalità ambientali, l’inquinamento, la scarsa e inefficiente depurazione dei reflui, le trivellazioni di petrolio, le speculazioni edilizie e la cattiva gestione delle coste italiane. “Il problema del marine litter sta assumendo proporzioni sempre più allarmanti come ha dimostrato anche la Conferenza mondiale sugli Oceani organizzata dall’Onu lo scorso mese a cui abbiamo partecipato portando la nostra esperienza – dichiara Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente. La quasi totalità dei rifiuti, in una percentuale che oscilla tra l’80% e il 90%, è composta da plastica, che persiste nell’ambiente per centinaia di anni e accumula sostanze tossiche. Si tratta di rifiuti che creano problemi economici, ambientali e alla fauna marina, ma possono anche finire sulle nostre tavole visto che le microplastiche (generate anche dalla frammentazione dei rifiuti più grandi), vengono facilmente ingerite dai pesci. Se poi i sistemi di depurazione non ci sono o sono inefficienti, come denunciamo da anni con Goletta Verde, tutto quello che buttiamo nel WC finisce in mare. Possiamo e dobbiamo invertire questo trend e per farlo bastano anche piccoli gesti come scegliere prodotti meno inquinanti, prevenire i rifiuti, differenziarli al meglio per riciclarli, ma anche evitare di usare i nostri WC come se fossero cestini della spazzatura. Per far fronte all’invasione di bastoncini – conclude Ciafani - bisogna affrontare il problema anche dal punto di vista normativo, mettendo al bando i bastoncini per le orecchie non compostabili, sull’esempio di quanto l’Italia ha fatto con il bando ai sacchetti di plastica e in linea con la messa al bando dei cotton fioc voluta dalla Francia a partire dal 2020”. Il nostro Paese era già intervenuto legislativamente su questo aspetto. Infatti I bastoncini per la pulizia delle orecchie non biodegradabili erano stati banditi dall’art. 19 della legge 93/2001. Salvo essere poi riabilitati, in seguito ad una sentenza della Corte di giustizia europea del 2005 per motivazioni tecnico-normative. Siamo però convinti che oggi, alla luce dell’esperienza del bando sui sacchetti di plastica non compostabili vigente in Italia, e ora esteso anche in diversi Paesi europei e del Mediterraneo, e la maggiore conoscenza del problema ambientale causato dalla dispersione dei cotton fioc, specialmente nell’ambiente marino e costiero, non sia più rinviabile una disposizione normativa che tenga insieme la messa al bando dei cotton fioc di plastica non compostabili e al tempo stesso promuova l’obbligo di una migliore e più chiara informazione sullo smaltimento dei prodotti ad uso sanitario da apporre sulle confezioni stesse. “Tutti sanno che gettare rifiuti nel Wc è sbagliato, ma in tanti ancora lo fanno perché si tratta di un comportamento così radicato nella routine di molti italiani da essere diventato purtroppo automatico, istintivo e quindi molto difficile da cambiare – spiega Guerino Delfino, Chairman & Chief Executive Officer, Ogilvy & Mather –. La campagna #NoRifiutinelWC si pone l’obiettivo di indurre piccoli comportamenti virtuosi e automatici nella quotidianità delle persone. Questo grazie all’approccio che Ogilvy Change ha nell’ideazione dei suoi progetti di comunicazione: l’utilizzo delle tecniche di Nudging e degli Economical Behaviour porta a soluzioni che non hanno soltanto l’intenzione di comunicare un concetto, ma soprattutto di stimolare un’azione, o meglio, una reazione”. La campagna viaggerà anche sui canali social di Legambiente e Goletta Verde, con video, pillole informative, consigli e immagini delle conseguenze dei nostri comportamenti errati. Un ruolo fondamentale sarà quello degli stessi cittadini che potranno partecipare utilizzando l’hashtag #NoRifiutinelWC, postando foto di rifiuti trovati in spiaggia e in mare, ma comportamenti virtuosi assunti per risolvere il problema. Il viaggio di Goletta Verde quest’anno diventa ancor più prezioso e importante dopo la conferenza mondiale degli Oceani all’Onu dove Legambiente ha presentando un focus sul Mediterraneo. Da anni Legambiente sta, infatti, studiando grazie ai suoi volontari questo problema (www.legambiente.it/marinelitter): monitorando centinaia di spiagge e chilometri di mare per comprendere meglio la fonte dei rifiuti marini; facendo analisi sulla riciclabilità delle plastiche disperse in mare e in spiaggia; indagando la presenza di microplastiche nei mari e nei laghi italiani. Una grande esperienza di citizen science riconosciuta a livello mondiale. Scopri la campagna sul sito: www.norifiutinelwc.it

Ufficio Stampa Goletta Verde/Legambiente: Luigi Colombo – 347. 4126421 - golettaverde@legambiente.it

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 8 luglio 2017

 

 

La governatrice solleva il "caso Russo" - Il blitz sulla Ferriera con Fedriga e Battista finisce a Roma. Il senatore: «Ho difeso il centrosinistra»
TRIESTE - Francesco Russo si presenta in piazza Unità, proprio sotto il palazzo della giunta, assieme a Massimiliano Fedriga, destra, e Lorenzo Battista, sinistra. Parla di Ferriera e lo fa in mezzo ai comitati che chiedono la chiusura dell'area a caldo. «Un intervento a difesa della linea del centrosinistra», assicura lui. Ma Debora Serracchiani non condivide, non con quei compagni di viaggio, non in una fase delicata del processo di riqualificazione dell'area. E, a quanto risulta, apre il caso a Roma. Non è la prima volta che la presidente non approva l'autonomia del senatore triestino. Ma stavolta, dopo il blitz trasversale di lunedì scorso, il malumore è forte. Perché la convinzione di Serracchiani è che Russo non si dovesse infilare in una manifestazione di contestazione dell'operato della Regione e del Pd sulla Ferriera. Una questione su cui lei stessa, oltre che nel ruolo istituzionale e politico, è impegnata pure da commissario. Una competenza su più fronti che le ha consentito di ribadire in un'intervista al Piccolo che la Regione «ha fatto con rigore quello che doveva fare», che «la Ferriera deve rispettare i limiti di legge ed essere in grado di coesistere con la città» e che se l'area a caldo inquina, «occorrerà avviare un percorso che porti alla sua chiusura». Venuta a conoscenza di Russo fianco a fianco con il leghista Fedriga e lo scissionista Battista, oltre che con il sindaco Dipiazza e l'assessore Polli, Serracchiani non ha digerito. E, ricordata la posizione del Pd sulla Ferriera, avrebbe chiesto chiarimenti ai piani alti del partito sull'iniziativa di Russo, il "pierino" che già in passato aveva spiazzato i dem con l'accelerazione sulla città metropolitana e forzando le primarie a Trieste quando la ricandidatura di Roberto Cosolini sembrava cosa fatta. Senza dimenticare il pressing per un ricambio della segretaria regionale, Antonella Grim in testa, e pure nei confronti della presidente, sollecitata a più riprese a sciogliere le riserve in vista delle regionali 2018.«Serracchiani se l'è presa? Non mi risulta e, se anche fosse così, non me l'ha comunque detto - commenta Russo -. Quel che è certo è che lunedì sono andato in piazza a difendere quanto fatto dal centrosinistra, strappando qualche consenso che fino al giorno prima non avevamo». Nessuna facile promessa, assicura il senatore, «tanto che non ho firmato, contrariamente a Fedriga e Battista, la petizione di No Smog in cui si chiede alla Regione di avviare le procedure di chiusura dell'area a caldo. Ho semplicemente ripetuto quanto diciamo da sempre: il destino dei lavoratori e la salute dei cittadini non vanno contrapposti, si deve puntare in tempi certi a una riconversione sostenibile del sito di Servola. Alla chiusura, non in pochi giorni, ci si potrà arrivare partendo dallo sviluppo del porto, dalla riqualificazione di Porto vecchio e dalla città metropolitana».

(m.b.)

 

 

Il Pd contro lo stop alla ciclabile di via Giulia - La reazione dei consiglieri di opposizione. «Il progetto approvato dalla giunta precedente era sicuro»
«Ciccio no xe per barca e Dipiazza no xe per bici». I consiglieri comunali del Pd scelgono l'ironia dialettale per manifestare tutto il loro disappunto nei confronti della decisione della giunta Dipiazza di affondare il progetto della pista ciclabile di via Giulia ideato dall'amministrazione Cosolini, (progetto che l'assessore Polli non ha esitato a definire «allucinante»), preferendo investire il finanziamento nella realizzazione di una rotonda in piazza Volontari Giuliani e alcuni passaggi pedonali. Il Partito democratico, però, non ci sta e punta il dito contro questa e altre decisioni dell'attuale amministrazione in tema di mobilità, ricordando «la tanto sbandierata adesione del sindaco al Patto per la ciclabilità sottoscritto durante la campagna elettorale, una delle tante promesse non mantenute». Per quanto riguarda le dichiarazioni dell'assessore Luisa Polli sul progetto che portava la firma di Elena Marchigiani e Andrea Dapretto, i democratici mettono i puntini sulle "i" con una serie di precisazioni: «Innanzitutto la rotonda di piazza volontari Giuliani era già prevista nel progetto del 2015 - scrivono -; la corsia bus al centro di via Giulia (peraltro lascito della precedente amministrazione Dipiazza) era già stata eliminata e la pista ciclabile prevista non era insicura, trattandosi di percorso protetto e in sede propria progettato dagli uffici comunali dopo un confronto con i tecnici regionali. E infine gli attraversamenti pedonali protetti erano già stati previsti». Questa la conclusione alla quale sono giunti i consiglieri Pd: «Si butta via un progetto di percorso ciclabile che avrebbe permesso di ridurre il ricorso alle auto usando meglio il parcheggio del Giulia come scambiatore; si dirottano i fondi al rifacimento di marciapiedi, solitamente oggetto di manutenzione ordinaria; si rinuncia a un ulteriore passo verso una mobilità più sostenibile, scelta che non solo accontenta le persone che vorrebbero poter usare la bicicletta, ma consente anche di ridurre l'inquinamento». Lo stop alla ciclabile in via Giulia non trova d'accordo nemmeno l'associazione ciclisti urbani Fiab Ulisse , che si è dichiarata «sorpresa dello stop imposto dal sindaco».

 

 

L'Ungheria punta a ottenere il gas russo - L'intesa sulla fornitura siglata fra Budapest e Gazprom fa risorgere il vecchio progetto South Stream
BELGRADO - A Varsavia, riuniti intorno al presidente Trump, i Paesi dell'Est hanno discusso su come arginare l'influenza politica ed economica di Mosca, magari accettando il gas americano. Ma se ben si osserva, il fronte è già spaccato sul nascere. Spaccato a causa di un progetto che potrebbe riportare indietro le lancette al 2014, facendo salire di nuovo la tensione tra Ue, Usa e Russia. Il progetto è quello del defunto gasdotto South Stream, sponsorizzato da Mosca e riposto nel cassetto tre anni fa a causa delle pressioni di Bruxelles e della bufera provocata dalla crisi in Ucraina. Nel cassetto, ma non archiviato definitivamente, a quanto sembra. Lo confermano in particolare, dopo le voci circolate a giugno, le mosse dell'Ungheria e del colosso energetico russo Gazprom, che mercoledì hanno firmato a Mosca un'intesa sulle forniture di gas russo. Intesa, ha specificato il ministro degli Esteri magiaro, Peter Szijjarto, che immagina la costruzione di «una nuova rotta di trasporto per il gas naturale verso l'Ungheria». Rotta che dovrebbe arrivare da sud, via Balcani, ripercorrendo a grandi linee il percorso del controverso South Stream. Secondo Szijjarto «lo scenario più realistico» è quello di pensare infatti a un «collegamento» col futuro Turkish Stream, il gasdotto sponsorizzato da Mosca per portare gas via Mar Nero fino in Turchia, attraverso Bulgaria e Serbia. Il gasdotto «potrebbe cominciare ad essere operativo a fine 2019, portando» in Ungheria «fino a 8 miliardi di metri cubi di gas naturale».Il perché della scelta radicale di Budapest? Szijjarto lo ha messo nero su bianco, in una nota. L'Ungheria, come gli altri Paesi della regione, vuole avere sicurezza sul fronte delle forniture di energia e gas. E altre possibilità di rifornimento sono per ora solo chimere: come il gas che dovrebbe arrivare in Ungheria dalla Romania; e soprattutto «il terminal di gas liquido naturale» in Croazia, «non ancora in costruzione». Da qui l'idea di "resuscitare" South Stream sotto altro nome. Idea che sembra piacere anche nella vicina Serbia. Lo suggeriscono dichiarazioni del presidente serbo, Aleksandar Vucic, che ha confermato che anche Belgrado - e la Bulgaria - hanno interesse a un collegamento con Turkish Stream, «opportunità notevole di sviluppo». Che è in discussione sia con il Ceo di Gazprom, Alexey Miller, sia col premier bulgaro, Borisov.

Stefano Giantin

 

Carso - Legambiente e la notte sulla città
Alla scoperta della bellezza dei paesaggi attorno a Trieste. Un'escursione nei dintorni del paese di Banne illuminati dalla luna, per scoprire insieme a Legambiente la natura di notte in una passeggiata suggestiva ed emozionante. Partenza - alle 21.30 - dall'abitato storico di Banne e, passando attraverso il bosco della tenuta Burgstaller/Bidischini, saliremo sul ciglione carsico ad ammirare il luminoso panorama sulla città di Trieste, per inoltrarci tra gli spazi aperti della landa carsica, dove con un po' di fortuna potrete sentire il canto di qualche rapace notturno. Ritrovo nel parcheggio di fronte alla caserma (abbandonata) di Banne. Durata circa 3 ore, il percorso è facile. Meglio indossare abbigliamento sportivo con giacca a vento e scarpe comode. È obbligatorio portare con sé una torcia. Per prenotare: chiamare o scrivere un sms al 3333487130.

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 7 luglio 2017

 

 

Stop alla pista ciclabile lungo via Giulia - L'amministrazione Dipiazza modifica il progetto cosoliniano. Niente corsia per le bici, ok a rotonda e percorsi pedonali
«Sarebbe stata pericolosissima, bloccata giusto in tempo». Roberto Dipiazza era intervenuto il 14 ottobre scorso sul progetto della pista ciclabile di via Giulia che arrivava dopo il pasticcio di quella di Campo Elisi. E ora la giunta comunale ha messo definitivamente una pietra sopra al progetto dell'amministrazione precedente che portava la firma degli assessori Elena Marchigiani e Andrea Dapretto. La pista ciclabile di via Giulia non si farà. Al suo posto una rotonda (piazza Volontari Giuliani) e alcuni passaggi pedonali. Una delibera del 26 giugno scorso ha riconvertito l'intervento "itinerario ciclabile tra piazza Volontari Giuliani e via delle Torri" in uno nuovo denominato "interventi per la sicurezza dell'utenza debole in via Giulia, Piazza Volontari Giuliani e aree limitrofe" mettendo in sicurezza il finanziamento da 353mila euro già ottenuto dal ministero dell'Ambiente (programmi Pisus) per la mobilità sostenibile, spostandolo appunto dai ciclisti ai pedoni. Ora si punta decisamente a promuovere la mobilità pedonale, alla faccia del programma elettorale che l'amministrazione si era data. «Siamo tornati al progetto originario. Quella che si limitava alla rotonda di piazza Volontari Giuliani prevedendo la sistemazione dei marciapiedi e dei percorsi pedonali», spiega l'assessore Luisa Polli. Il piano, che prevede un costo complessivo pari a mezzo milione di euro, faceva parte inizialmente del progetto di bike sharing (Triestinbike) che puntava alla realizzazione di un itinerario ciclabile lungo l'asse di collegamento del rione di San Giovanni con le Rive. «In base agli indirizzi della nuova amministrazione e alle esigenze emerse dal territorio - si legge nella delibera - si è reso necessario modificare alcuni elementi di tale ultimo intervento con delle previsioni di intervento che contemplano comunque la realizzazione di una rotatoria stradale in piazza Volontari Giuliani (con relativo collegamento pedonale con l'adiacente viale XX Settembre), oltre ad alcuni interventi lungo l'asse di via Giulia e vie limitrofe, rivolti prevalentemente alla mobilità pedonale». L'intenzione è quella di risolvere alcune criticità rilevate dal Piano del traffico lungo l'asse di via Giulia in merito ad attraversamenti pedonali rischiosi. Per questo si è deciso di realizzare un itinerario pedonale lungo l'asse di via Giulia, nel tratto compreso tra via Battisti e piazza Volontari Giuliani, di collegamento tra le aree cittadine più centrali e il rione di San Giovanni, corredato di attraversamenti pedonali protetti, eliminazione delle barriere architettoniche, accesso sicuro ai diversi edifici scolastici presenti in zona attraverso lo sviluppo di futuri "pedibus". «Abbiamo cancellato le variazione allucinanti introdotte dalla giunta precedente. Era stata previsto persino il bus che passava in mezzo alle due corsie del traffico. Era stata prevista una pista ciclabile che passava davanti all'uscita dei mezzi della guardia di Finanza - aggiunge Polli -. Noi abbiamo preferito dare il massimo di attenzione ai pedoni in una via ad alto scorrimento com'è via Giulia dove ci sono diverse scuole». I lavori dovrebbero partire subito dopo il via libera alla rimodulazione dell'intervento. «Passiamo subito le carte all'assessorato ai Lavori pubblici e poi si potrà partire con la gara», assicura l'assessore a Urbanistica e Ambiente.Una scelta che non trova d'accordo l'associazione ciclisti urbani Fiab Trieste Ulisse che si è dichiarata subito sorpresa «dello stop che il sindaco ha imposto alla ciclabile di via Giulia». «Il progetto - hanno dichiarato i ciclisti della Fiab Ulisse - prevede oltre alla ciclabile due percorsi pedibus, cinque attraversamenti pedonali protetti e nuove alberature. La ciclabile di via Giulia è parte di uno dei tre assi portanti della futura rete ciclabile triestina: il Pi Greco. Il tratto di via Giulia assieme a viale XX Settembre, via Imbriani e via Mazzini: è il primo di questi tre assi nel quale i ciclisti urbani potrebbero pedalare con sufficiente sicurezza».

Fabio Dorigo

 

 

acegasapsamga - A maggio raccolta record per l'umido 500 tonnellate
Maggio record per i cosiddetti rifiuti organici, ovvero per la raccolta dell'umido organizzata da AcegasApsAmga nelle strade triestine con appositi contenitori. E' la stessa utility a comunicare il buon risultato conseguito attraverso questa nuova tipologia di differenziata: 500 tonnellate è la quota, mai raggiunta in precedenza, che AcegasApsAmga ha rendicontato nel mese di maggio. Potrebbe avere giocato un ruolo importante la campagna pubblicitaria lanciata dal Comune e dall'azienda, proprio tra aprile e maggio, intitolata significativamente «L'Umido che fa la differenza». Campagna svoltasi in 14 tappe itineranti tra supermercati e mercati rionali diffusi in tutto il territorio urbano: un messaggio che aveva raggiunto alcune migliaia di residenti.A contribuire nell'incremento del rifiuto umido domestico è statil raddoppio della raccolta stradale di sfalci e ramaglie, in presumibile correlazione con i nuovi 100 cassonetti posizionati da AcegasApsAmga nel maggio dello scorso anno: i risultati ottenuti evidenziano, non a caso, che le 520 tonnellate raccolte nei primi cinque mesi del 2016 sono diventate 1060 tonnellate nel periodo gennaio-maggio del 2017, registrando così un aumento pari al 103%.All'azienda preme sottolineare quantità e qualità della raccolta: infatti «i nuovi contenitori per sfalci e ramaglie sono stati posizionati per permettere ai cittadini di conferire questo rifiuto separatamente dai rifiuti umidi domestici che, invece, vanno conferiti nei contenitori con coperchio marrone». «Nel conferire i rifiuti differenziati - insiste un comunicato diffuso ieri mattina dalla controllata del gruppo Hera - oltre alla quantità è fondamentale prestare attenzione anche alla qualità, che significa conferire rifiuti non contaminati da altri materiali, come per esempio la plastica». «Nel caso delle potature e scarti di giardino - conclude la nota - la qualità triestina risulta particolarmente alta, permettendo in questo modo di mandare a recupero quasi il 100% di quanto conferito».

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 6 luglio 2017

 

 

Parchi minerari da coprire - Maxi investimenti di Arvedi - Lavori da decine di milioni per la realizzazione del progetto chiesto dalla Regione
Sul calo della produzione: «Siamo nei limiti Aia». Il Comitato 5 dicembre contesta
Siderurgica triestina annuncia interventi da «alcune decine di milioni» per la copertura dei parchi minerari della Ferriera di Servola. La rivelazione ha un peso particolare dopo l'episodio dello scorso 26 giugno, quando una nube scura si è sollevata dallo stabilimento oscurando la baia di Muggia. Un episodio che l'azienda attribuisce a un colpo di vento eccezionalmente forte, ma che ha riacceso l'attenzione proprio sul tema delle coperture. Siderurgica triestina rivela molti particolari del progetto di copertura in un comunicato emesso ieri, il giorno dopo l'invio alla Regione della comunicazione sulla riduzione della produzione di ghisa e del nuovo progetto. Due misure che l'ente pubblico aveva richiesto alla proprietà attraverso due distinte diffide nei mesi scorsi. L'azienda informa di aver mandato il progetto di copertura dei "parchi materie prime" alla Regione, al Comune di Trieste, ad Arpa, ai vigili del fuoco e all'Azienda sanitaria, come richiesto dalla diffida regionale del marzo scorso. «Si tratta di due aree ben distinte - recita il comunicato -, ciascuna di circa 25mila metri quadrati dedicate rispettivamente allo stoccaggio del minerale di ferro e del carbon fossile». Siderurgica triestina prosegue dando alcune informazioni sul materiale inviato agli enti pubblici: «La voluminosa documentazione presentata comprende numerose tavole grafiche, l'iter autorizzativo, il crono programma relativo alla progettazione esecutiva e all'ottenimento dei permessi, nonché il preventivo di massima, che allo stato attuale si può stimare di alcune decine di milioni». In particolare, aggiunge, «l'esecuzione delle opere prevede bonifiche, fondazioni, strutture portanti, tamponature, coperture e impianti tecnologici a servizio delle due aree coperte». Le soluzioni progettuali proposte, le tempistiche e l'iter autorizzativo saranno sottoposti alla valutazione e all'approvazione degli enti partecipanti alla Conferenza dei servizi, con eventuali prescrizioni. L'azienda ricorda poi che il decreto regionale, in attesa della realizzazione del progetto di copertura dei parchi, prevede degli interventi alternativi. Scrive l'ufficio stampa: «In accordo con Arpa Fvg è in fase di attuazione la nuova modalità operativa di irrorazione e filmatura dei materiali in fase di stoccaggio per la gestione del parco fossile e del parco minerali al fine di evitare spolveramenti».Nello stesso comunicato Siderurgica triestina ci tiene a sottolineare che intende ottemperare alle prescrizioni della Direzione regionale all'Ambiente in merito alla riduzione della produzione nell'area a caldo: l'azienda «conferma, come già anticipato la scorsa settimana, che i rilievi da parte dei tecnici sul monitoraggio in modalità di autocontrollo del deposimetro, nel mese di giugno hanno registrato una sensibile riduzione della polverosità».Il comunicato aggiunge «che gli interventi effettuati durante la fermata di manutenzione programmata di lunedì 3 luglio sull'altoforno, comporteranno il mantenimento di questi livelli entro i limiti imposti dall'Autorizzazione integrata ambientale».Da parte sua il Comitato 5 Dicembre reagisce con scetticismo all'annuncio del giorno precedente, con cui l'azienda faceva sapere di aver inoltrato i progetti. Sulla sua pagina Fb il comitato che chiede la chiusura dell'area a caldo dello stabilimento riporta le immagini del verbale di un incontro fra l'azienda e gli enti pubblici tenutosi nel gennaio di quest'anno, in cui Siderurgica triestina diceva di ritenere «non fattibile» la copertura dei parchi minerali dello stabilimento. Fra gennaio e oggi, però, è intervenuta la diffida della Regione. Il comitato chiede la convocazione di un incontro fra Giovanni Arvedi, il sindaco Roberto Dipiazza, e la presidente Debora Serracchiani, annunciando ulteriori presidi pur di ottenerlo.

Giovanni Tomasin

 

Partiti e sindacati - Area a caldo -  È polemica fra Russo e Belci
La Ferriera è la causa scatenante di uno scambio via Facebook tra il senatore dem Francesco Russo e l'esponente di Mdp Franco Belci. Mentre sullo stesso tema interviene anche la Cgil. Scrive Russo: «Caro Belci, in queste settimane di presidio in Piazza Unità credo di essere stato l'unico a difendere il lavoro svolto dal centrosinistra negli ultimi 5 anni: a differenza del tuo compagno di partito Lorenzo Battista (e di Fedriga), peraltro, non ho firmato la petizione proposta da No Smog. Perché quella sì, era demagogia». Scrive poi: «A differenza del passato, però, ho proposto un percorso concreto basato sull'equazione: sviluppo Porto + riqualificazione Porto vecchio + città metropolitana = chiusura area a caldo. Non è un iter che si concluderà in pochi giorni. Ma è una strada seria, praticabile». L'ex sindacalista ha risposto: «Caro Russo, non ho fatto altro che citare la tua posizione e non ho fatto, con te, alcuna polemica. Ho polemizzato invece con Battista, la cui posizione non condivido, e con il livello regionale di Mdp perché è da due mesi che chiedo una discussione sul tema che è stata sempre rimandata». Quanto alle linee guida di Russo, aggiunge: «Oggi i lavoratori dell'area a caldo hanno la certezza del posto di lavoro. Il percorso da te proposto è sicuramente praticabile, tranne, conosci la mia opinione, che per l'araba fenice della città metropolitana. Ma, come dici, è un percorso che ha tempi non definibili. Perciò, se non hai idee migliori per garantire l'occupazione, riparliamone quando le iniziative da te citate creeranno 300 posti di lavoro». Nel frattempo il segretario regionale Cgil Villiam Pezzetta e il provinciale Michele Piga scrivono: «Invitiamo tutti i soggetti coinvolti a proseguire sulla strada intrapresa, sia sul versante dei controlli, indispensabili per tutelare la salute e la qualità della vita dei cittadini, sia su quello degli investimenti per limitare l'impatto ambientale dello stabilimento, in linea con quanto previsto in sede di Aia e di accordo di programma. Investimenti che, a fianco di quelli necessari a sostegno del piano industriale atteso dai sindacati, rappresentano una precisa responsabilità del gruppo Arvedi».

(g.tom.)

 

 

Rimosse da aprile 23 bici "fuorilegge" - Due interventi a settimana dall'entrata in vigore delle misure sul decoro urbano
Chissà se avrà telefonato subito alla Polizia locale per chiedere se qualcuno aveva rubato la sua bicicletta. Comunque sia, il proprietario dell'unica bici che è stata reclamata dopo essere stata rimossa dalle forze dell'ordine perché d'intralcio dall'entrata in vigore del nuovo Regolamento, che vieta di parcheggiarle a casaccio, è anche l'unico che è stato per il momento multato con 100 euro (il minimo è 50, il massimo 300). Gli altri 22 velocipedi levati di mezzo da aprile in base al nuovo diktat del Comune (articolo 6, comma 4) invece sono finiti allo smaltimento rifiuti. Secondo il Comune, che li ha tolti dalle strade come promesso, erano comunque "vecchie carcasse" monche di ruote, manubri o sellini. In primis una decina in via Gioia, ma anche in via Galilei e in via Cassa di Risparmio. Una media di prelievo dunque, compreso il sequestro, di quasi due bici alla settimana. È scappata probabilmente alla mannaia invece - per motivi pratici, la mancanza di cesoie a portata di mano - una bici posizionata davanti a una panchina in zona Cavana, che impediva letteralmente l'altro ieri sera la possibilità di sedersi. «Questo ciclista viola il decoro ma soprattutto crea intralcio» hanno spiegato il vicesindaco Pierpaolo Roberti e il comandante della Polizia locale Sergio Abbate durante la commissione Trasparenza convocata ieri mattina dal consigliere comunale Roberto De Gioia (Verdi Psi) «per fare chiarezza e trovare il giusto equilibrio tra ciclisti in aumento e amministrazione». Intralcio e mancanza di decoro sono concetti però entrambi affidati alla discrezione di chi accerta l'infrazione. Dice il regolamento: no a biciclette agganciate a monumenti e barriere di protezione, a semafori, colonne e altri manufatti prospicienti gli immobili di rilevante valore architettonico, la bici parcheggiata "non deve arrecare intralcio o pericolo alla circolazione pedonale e veicolare", "non deve limitare gli accessi alle entrate dei negozi, a case, passi carrai, nonché la fruizione del marciapiedi".In ogni caso un po' di morbidezza pare adesso trasparire dall'amministrazione nei confronti delle bici che non sono parcheggiate negli appositi (ma carenti) stalli. «Diciamo che se non disturbano, le lasciamo», commenta Abbate. Sotto osservazione comunque, hanno fatto sapere ieri, ci sono ben 13 biciclette nella zona di via Giulia, quelli che, secondo il comma 2 dell'articolo 6, restano ininterrottamente per 60 giorni dopo l'accertamento effettuato dagli agenti o da altro personale incaricato al controllo. In tal caso scatta la rimozione. Ma come fanno a essere sicuri gli agenti che queste bici stiano ferme proprio senza staccarsi un attimo dal palo per due mesi? «Attraverso dei registri, uno per distretto - risponde Abbate -, segniamo le bici e le fotografiamo e vediamo così nel tempo se sono sempre lì. Ovviamente ci accorgiamo se qualcuno le ha spostate e poi rimesse nello stesso posto: a quel punto non sono più sotto osservazione». Le perlustrazioni avvengono in concomitanza con dei giri che hanno un altro scopo, sottolinea il vicesindaco. Su questo punto l'ex assessore alle Politiche sociali Laura Famulari (Pd) puntualizza: «La norma ci sta, è evidente che non si possano occupare stalli e spazi per 60 giorni, però mi sembra, considerato l'impegno della Polizia locale su tanti fronti ed essendo questa anche sotto organico, che tutto ciò crei un aggravio all'attività». Se Roberti in primis però si propone di cacciare i ciclisti a suo dire incivili, «senza accanirsi», ammette pure la «necessità di implementare gli stalli». Sono 194 in tutta la città, come sottolineato da Ulisse-Fiab, l'associazione degli amanti delle due ruote, rappresentata ieri da Giorgio Kosic, contro 3500 biciclette in circolazione, in base a un sondaggio di Swg. Per questo il forzista Piero Camber ha proposto un ordine del giorno sul bilancio per l'aumento di parcheggi per bici, magari anche grazie a «una sponsorizzazione degli esercenti vicini alle aree dove verranno installati».

Benedetta Moro

 

 

Ogs capofila nella lotta all'anidride carbonica - L'Istituto giuliano nella rete dei laboratori europei che dovranno "stoccare" nel sottosuolo la CO2
Ridurre le emissioni di gas a effetto serra per ridurre il riscaldamento globale. Per raggiungere questo obiettivo, la Comunità europea punta anche a confinare sotto la superficie terrestre o marittima la CO2. Per questo ha promosso la nascita di una rete di laboratori di eccellenza in materia di cattura e stoccaggio nel sottosuolo dell'anidride carbonica. Si tratta dell'European Carbon Dioxide Capture and Storage Laboratory Infrastructure (Eccsel) ed è un'infrastruttura di ricerca europea che riunisce laboratori di diversi Paesi impegnati nella messa a punto e nello studio di tecnologie all'avanguardia per poter catturare e immagazzinare in modo controllato la CO2 in formazioni geologiche profonde e contribuire così ad abbassare le emissioni industriali e combattere il cambiamento climatico. L'Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale (Ogs) di Trieste è stato nominato dal Miur referente e nodo nazionale del network e oggi ospita l'Info Day (nella sede di Borgo Grotta Gigante) per presentare i laboratori di ricerca messi a disposizione dal nostro Paese alla comunità scientifica internazionale per raggiungere questo importante traguardo. «Come nodo italiano, coordineremo l'accesso ai laboratori di Eccsel che si trovano sul territorio nazionale, promuoveremo l'inserimento di nuovi laboratori nel consorzio e le iniziative di formazione per i ricercatori» spiega Michela Vellico, tecnologa dell'Ogs e responsabile del nodo nazionale Eccsel. «Il confinamento geologico dell'anidride carbonica è riconosciuto in Italia e nel mondo, anche a livello politico, quale tecnologia da cui non si può prescindere se si vuole raggiungere l'obiettivo del contenimento dell'aumento di temperatura al 2050 entro i 2 C°» commenta Maria Cristina Pedicchio, presidente di Ogs. «Complessivamente - conclude Vellico - sono 5 le infrastrutture che Ogs mette a disposizione di Eccsel utili al monitoraggio dei siti di confinamento della CO2: oltre ai laboratori di Latera (in provincia di Viterbo, verrà inaugurato nel corso dell'estate) e Panarea, ci sono il Biomarine Lab di Trieste, il nostro aeromobile equipaggiato con strumenti per il telerilevamento, e il DeepLab Sea Floor Lander, uno strumento che consente di acquisire in continuo dati oceanografici a livello del fondale marino».

 

Specie esotiche e incendi minacciano la landa carsica - L’allarme dell’esperto Poldini: «Bisogna intervenire subito - La biodiversità del territorio è seriamente in pericolo»

Tra le soluzioni suggerite dal professore il rilancio della cosiddetta agricoltura multifunzionale e del terreno a pascolo.

È allarme per la progressiva scomparsa della landa carsica. Nel corso dell’ultimo secolo, sul Carso si è assistito a una perdita del patrimonio vegetale pari al 7,40%, con una relativa diminuzione della biodiversità a causa dell’aggressione di specie esotiche, con conseguenti danni all’agricoltura, mentre le lande - le cosiddette “gmajne” - si sono ridotte a meno del 9% della superficie totale del territorio. Il preoccupante fenomeno è stato segnalato da Livio Poldini, già docente di ecologia vegetale dell’Università di Trieste, nel corso della conferenza “Biodiversità: l’importanza della programmazione delle attività agricole per le differenti aree carsiche nel rispetto di una preventiva ed attenta analisi del territorio”, svoltasi nei giorni scorsi nella sala convegni della Banca del credito cooperativo del Carso di Opicina, all’interno della manifestazione “Infiorata di Opcina” promossa dall’associazione per la Difesa di Opicina. «La penetrazione di specie non autoctone, che costituiscono la seconda principale minaccia alla biodiversità, si è attestata oggi all’8,4%: si tratta – ha spiegato Poldini – di specie in alcuni casi pericolose e allergeniche, che portano a un’invasione nell’agricoltura con conseguente necessità di ricorrere ai pesticidi, con tutto quanto ne consegue. Dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi – ha aggiunto lo studioso – si è assistito a una pericolosa e costante perdita dell’habitat naturale per le specie autoctone e a una preoccupante contrazione delle lande carsiche». La soluzione risiederebbe a suo avviso nello sviluppo dell’asse silvo-pastorale, reintroducendo l’agricoltura e sviluppando pascolo e bosco. Poldini ha ricordato a riguardo la presenza di un piano specifico, redatto dallo stesso relatore ancora nel lontano 1984 e tuttora giacente. Tre le linee guida indicate: la conservazione della biodiversità, la diminuzione del rischio incendi e lo sviluppo degli impollinatori. «Pianificando la reintroduzione del terreno a pascolo e incentivando il ricorso a un’agricoltura multifunzionale, il residuo di landa carsica potrebbe essere riportato al 20%». Anche il problema degli incendi boschivi si potrebbe arginare attraverso «l’abbattimento di alberi come i pini, che appaiono attualmente per il 30-40% intaccati dai parassiti, incrementando la presenza di alberi d’alto fusto, che restituirebbero anche complessità strutturale ai boschi. Un’azione che porterebbe pure a una positiva ricaduta in termini turistici». «Il patrimonio naturale – ha concluso Poldini – rappresenta l’unica vera risorsa di una comunità e costituisce la base economica del territorio. È pertanto un bene insostituibile che va quindi salvaguardato: senza l’attuazione di una serie di misure atte a prevenire un ulteriore depauperamento di questi bene collettivi, parlare di sviluppo sostenibile appare come un semplice slogan privo di significati».

Gianfranco Terzoli

 

 

Referendum a settembre sulla Capodistria-Divaccia
LUBIANA - Dopo un acceso dibattito in Parlamento la Slovenia ha deciso per il suo "election day". Il prossimo 24 settembre, infatti, gli elettori si recheranno alle urne sia per scegliere il nuovo presidente della Repubblica, sia per esprimere il proprio parere in merito al referendum abrogativo della legge sul raddoppio della linea ferroviaria Capodistria-Divaccia. L'assemblea parlamentare di Lubiana ha ieri dato luce verde a tale disposizione con 50 voti a favore e 18 contrari. Non è stata una decisione facile, e ai deputati poco importava, dal tenore del dibattito in aula durato quasi cinque ore che, raggruppando le due chiamate alle urne, si sarebbe determinato un gran bel risparmio alle casse dello Stato. Da rilevare, al di là del dibattito in aula, che il Comune di Capodistria che, in prima istanza, si era schierato a favore del referendum abrogativo ha poi fatto marcia indietro quando il governo di Lubiana ha deciso di puntare non a un raddoppio della linea esistente ma a una vera e propria nuova tratta ferroviaria a doppio binario tra Capodistria e Divaccia. Linea ferroviaria che, ricordiamo, diventa assolutamente strategica per lo sviluppo dei traffici del Porto di Capodistria, unico scalo marittimo della Slovenia. Anche la commissione competente della Camera di Stato aveva indicato il 24 settembre come data per lo svolgimento del referendum, data peraltro non avversata neppure dal ministro delle Infrastrutture, Peter Gaspersic, il quale aveva dichiarato di rispettare la volontà popolare di porre la questione della ferrovia tra Capodistria-Divaccia al parere del corpo elettorale sloveno. Ovviamente i promotori del referendum hanno puntato tutto proprio sull'election day. In questo modo sperano, ovviamente, di poter contare su un'affluenza decisamente maggiore alle urne rispetto a quella cui avrebbero potuto contare se il voto referendario si fosse svolto in un'altra data. Insomma, chi voterà per il presidente della Repubblica sarà più "invogliato" a esprimere il proprio parere anche sulla legge ad hoc che l'esecutivo di Lubiana ha varato per la realizzazione della tanto agognata ferrovia veloce tra Divaccia e Capodistria. Da rilevare che le opposizioni in Parlamento che hanno votato contro l'election day avevano proposto quali dati indicative per lo svolgimento del referendum il 5 o il 12 di novembre. In base alla nuova legge sulle consultazioni popolari la legge sul raddoppio della Capodistria-Divaccia sarà abrogata se i "no" supereranno quota 340mila (prima bastava la maggioranza semplice di coloro i quali si fossero recati alle urne). Il referendum non contesta la realizzazione dell'infrastruttura, ma l'impianto legislativo, definito arruffato e privo di coperture finanziarie, proposto dal governo.

Mauro Manzin

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 5 luglio 2017

 

 

La Ferriera riduce la produzione di ghisa - Adottate le misure anti inquinamento contenute nella diffida della Regione. Pronto il piano di copertura dei parchi minerari
La Ferriera di Servola comunica di aver ridotto la produzione di ghisa dell'impianto e pure di aver approntato il progetto di copertura dei parchi minerari. Lo fa sapere la Regione Friuli Venezia Giulia, che ieri ha ricevuto appunto comunicazione ufficiale da parte di Siderurgica triestina. In questo modo la proprietà fa sapere di aver adempito alle richieste che l'amministrazione le ha rivolto negli ultimi mesi. Il tetto sulla ghisa è la risposta del privato alla diffida con cui, una settimana fa, l'ente regionale ha intimato alla proprietà di ridurre la produzione, affinché le polveri rientrassero nei valori obiettivo previsti dal decreto di autorizzazione integrata ambientale (Aia) del 2016.L'azienda ha inviato una nota all'amministrazione regionale con la quale assicura di aver ridotto la marcia dell'altoforno entro il limite prescritto di 34mila tonnellate mensili di ghisa, con la contestuale limitazione a 290 colate al mese. È stata ridotta di conseguenza anche la produzione della cokeria, che è stata limitata al fabbisogno di coke strettamente funzionale alla produzione dell'altoforno, fa sapere Siderurgica triestina. L'azienda ha inoltre presentato alla Regione il progetto di fattibilità tecnica ed economica della copertura dei parchi minerari dell'impianto: una mossa compiuta in ottemperanza alla diffida in merito che la Regione ha inviato al gruppo Arvedi nel marzo scorso. La realizzazione della copertura rientra tra le migliorie all'impianto previste dall'accordo di programma quadro e dall'autorizzazione integrata ambientale. La diffida per la riduzione della produzione della settimana scorsa aveva fatto discutere. Serracchiani aveva dichiarato in proposito, a margine di un incontro con i sindacati: «Il rispetto delle regole è un aspetto imprescindibile. Ed è proprio per questo che l'amministrazione regionale, con atto del direttore centrale dell'Ambiente, ha diffidato le acciaierie Arvedi a ridurre la produzione affinché le polveri rientrino nei valori obiettivo previsti dal decreto di autorizzazione integrata ambientale del 2016». Appena ricevuta la nota, Siderurgica triestina aveva fatto sapere di star effettuando «la valutazione dei profili tecnici e legali di tale prescrizione, con riserva di comunicare le azioni da intraprendere nel corso dei prossimi giorni». L'argomento, mai scomparso dall'attenzione dei triestini, ha visto nei giorni scorsi diverse prese di posizione. Il senatore del Partito democratico Francesco Russo si è schierato per la chiusura dell'area a caldo. Anche il parlamentare di Articolo 1 Lorenzo Battista (ex Movimento 5 Stelle) ha deciso di schierarsi per la «chiusura della Ferriera», che definisce «un obiettivo che deve unire la politica, movimenti e cittadini». La presa di posizione non è stata gradita dal portavoce di Mdp Franco Belci (vedi box a parte). Entrambi i parlamentari hanno partecipato, assieme al sindaco Roberto Dipiazza e al capogruppo alla Camera del Carroccio Massimiliano Fedriga, a un dibattito che si è svolto davanti al presidio che il Comitato 5 dicembre sta tenendo ormai da giorni in piazza Unità. In quell'occasione Dipiazza aveva affermato: «Sto aspettando l'appuntamento con Arvedi - ha affermato il primo cittadino - e ciò che vedo è che la politica adesso è tutta insieme e sta finalmente emergendo la verità: la ghisa non è il futuro. Ci sono altre opportunità, a cominciare dal Porto, per cui basta con l'area a caldo. E bisogna smetterla di dire che gli operai perderanno il lavoro. L'area a caldo era già ferma nel 2012-2013, poi qualcuno ha voluto portare Arvedi e questi sono i risultati. Anche Serracchiani se ne sta rendendo conto, perché non si può continuare a dire che va tutto bene quando sui davanzali dei cittadini di Servola si trova quello che si trova».

Giovanni Tomasin

 

Posizioni diverse in Mdp sull'area a caldo - E Belci si dissocia dalle parole di Battista
«Il profumo di elezioni sollecita protagonismi, editi e inediti, sul destino della Ferriera». L'ex segretario della Cgil Fvg Franco Belci, esponente di Mdp, si dissocia dalla presa di posizione del parlamentare del suo partito (ex M5S) Lorenzo Battista: «Dopo il misunderstanding tra vescovo e proprietà sulla chiusura dell'area caldo, i due senatori del centrosinistra, Russo e Battista, hanno ribadito la richiesta. Nella situazione di liquidità dei partiti, ognuno si sente legittimato a dire la propria: che però tale rimane». In casa Mdp non si è mai affrontato il tema, aggiunge, «nonostante le mie sollecitazioni ad assumere a livello regionale una posizione condivisa». Per Belci «la strada non può essere quella della demagogia, ma quella del rispetto integrale dell'accordo di programma». Intervengono anche il segretario regionale Cgil Viliam Pezzetta e il provinciale Michele Piga: «Su Servola è il momento delle scelte responsabili, non della demagogia. Il rischio: strumentalizzazioni politiche ed elettoralistiche».

 

 

Le discariche abusive minacciano il Carso - Viaggio nei boschi invasi dai rifiuti che i volontari puntano a ripulire
L'inciviltà colpisce persino il cimitero di Aurisina e il torrente di Moccò
Sulla strada che porta a "Cava Pietra Scoria", una laterale della Provinciale 11, in zona San Dorligo, non passano solo gli addetti ai lavori. L'accesso, in teoria, è vietato agli esterni, ma chiunque può entrarvi visto che, per il momento, non c'è l'ombra di possibili ostacoli. Incombono cartelli di presunte telecamere presenti nella zona, che non fanno però paura agli imperterriti dell'abbandono abusivo di immondizie che lasciano oggetti ingombranti nell'area verde adiacente: il terreno che costeggia la salita è pieno di rifiuti.La boscaglia e l'accesso stesso sono della Comunella di San Giuseppe della Chiusa, frazione del Comune di San Dorligo della Valle. Sotto invece ci sono le case di proprietà di residenti che si vedono arrivare giù un profluvio di masserizie. "Scivolano", fino ad arrivare appunto alla soglia delle abitazioni che si affacciano sulla stessa Provinciale 11, detriti di ogni tipo: monitor di computer, televisori, batterie, copertoni, mobili, cucine, termosifoni, piastrelle, videoregistratori, ferrame. A corredo, sull'altro lato, vestiti e scarpe. È al vaglio del proprietario della Cava l'ipotesi di mettere una sbarra, «che però di giorno resterebbe aperta», commenta Marino Scoria, «certo potrà essere un deterrente di notte e nei giorni festivi, ma il problema rimane: è la maleducazione». Questa "location" comunque è uno dei tanti punti che ormai a Trieste e nei comuni limitrofi sono diventati delle discariche a cielo aperto. Il Piccolo ha provato a fare una mappa delle principali aree di scarico abusivo. I luoghi privilegiati di coloro che decidono di riversare i rifiuti (urbani, inerti, ingombranti e non, contenitori di rifiuti tossici e infiammabili, residui industriali), e che possono essere privati cittadini o imprese, sono tanti, troppi. Le mete hanno una caratteristica comune: sono nascoste e preferibilmente leggermente pendenti, in modo che con i camioncini adatti, dalla parte posteriore, si possa buttare giù enormi quantità che poi la natura con il suo verde nasconde. Il gruppo dei "Volontari per Trieste pulita", che ha una pagina Fb, ha più volte operato in quella zona, vicino a San Giuseppe, così come in molte altre, con tanto di funi, per riuscire a raccogliere di tutto e di più. Ma ha in mente di attivarsi per un'altra parte che viene presa di mira dall'inciviltà, come riferisce Angelo Sorci, uno dei fondatori del team, sempre nelle vicinanze, questa volta a Moccò, altra frazione di San Dorligo. Il letto del torrente che attraversa la valle è invaso da frigoriferi, copertoni, cassette di plastica, rifiuti edili, reti di materasso, pezzi di eternit, grondaie, portiere di auto, secchi di ferro, tinozze in plastica, tubi, ante di dispense, infissi, lastre di metallo. Molte cose che il terreno si è quasi mangiato, segno che sono lì anche da molto tempo, arrugginite. Pure qui lo spazio per raggiungere il posto in auto c'è. La signora Susi li ha visti con i suoi occhi gli "scaricatori abusivi". Ha una campagna e, durante una delle rituali passeggiate con il cane, si è vista quasi investire da numerosi copertoni di auto, lanciati questa volta dalla strada. In un'altra occasione ha beccato una donna mentre trasbordava dei sacchi neri dalla sua auto sul fiumiciattolo. Le discariche abusive sono comunque davvero tanti, e in particolare sull'altipiano, ma non solo. A partire da quelle denunciate da Sorci & Co. nel bosco del Farneto, dove sembra ci sia un bivacco permanente attorniato di rifiuti. Ma anche quelle individuate da altri gruppi come "Sos Carso" e il "Raggruppamento di escursionisti speleologici triestini". Tutte persone che spesso organizzano campagne di pulizia, a cui partecipano associazioni come FareAmbiente, la stessa AcegasApsAmga, le varie forze di polizia competenti e altri triestini che hanno a cuore l'ambiente. Ulteriori punti critici sono segnalati anche da Christian Bencich di "Sos Carso". Tra i più noti l'area boschiva in zona Statale 58 tra Opicina e Fernetti, la Dolina dei Druidi sempre a Fernetti, il Bunker di Opicina, il Quadrivio e, ancora, le vicinanze delle foibe di Monrupino e Basovizza e del laghetto di Percedol, oltre che l'ex discarica di Trebiciano, forse la più vasta. Ma si può scendere anche tra Contovello e via Commerciale fino all'altro capo della città, via Salata, in zona via dell'Istria, per proseguire in via Pietraferrata e risalire poi verso il confine di San Servolo. E ci si può pure addentrare in alcuni sentieri a lato della Cottur. Ad Aurisina, infine, sono presenti scarichi illegali nel cimitero, accanto al deposito comunale, sul lato ferrovia, nei paraggi dell'ex campeggio Europa.

Benedetta Moro

 

Nel 2016 smaltite 88mila tonnellate - E quest'anno siamo già a oltre 58mila
Il trend di abbandono dei rifiuti ingombranti dal 2015 al 2016 è risultato in aumento, fanno sapere da AcegasApsAmga. Relativamente al 2017 il dato è riferito al solo primo semestre, una stima sarà quindi possibile a fine anno. «Quanto emerge dalla media mensile è che, nonostante gli abbandoni siano in aumento - rileva l'azienda - , la curva di crescita di tale tendenza appare in rallentamento, anche grazie ai diversi servizi e iniziative messe in atto da AcegasApsAmga per contrastare questo fenomeno». Ovvero: la campagna contro l'abbandono dei rifiuti ingombranti veicolata dall'inizio dell'anno sulle pensiline degli autobus, nel corso del mese di gennaio, e tramite la personalizzazione di circa trenta automezzi dei servizi ambientali che sono stati "vestiti" con la nuova campagna, e inoltre attraverso i Sabati ecologici, iniziativa itinerante realizzata in collaborazione con il Comune, attivata dal 2014. In queste occasioni i cittadini sono invitati nelle varie zone della città in cui si sono presenti gli operatori di AcegasApsAmga a portare tutti i rifiuti che ritengono ingombranti. Durante questa prima metà dell'anno sono state così raccolte 58.363,5 tonnellate di materiali (di cui 34.490 di ingombranti). Nel 2016 si è arrivati a 87.929,59 tonnellate, mentre nel 2015 si era raggiunta quota 80.016,6. «Un'operazione - sottolinea l'azienda - che ha avuto un grandissimo successo».

(b.m.)

 

Il Comune prepara il centro raccolta h24 - Prevista una quinta area ecologica a Rozzol Melara in aggiunta alle quattro esistenti e al servizio gratis a domicilio
La polizia locale e le guardie ambientali vigilano sui furbetti. Ma, evidentemente, non è mai troppo. E poi c'è il Comune, anzitutto, che spende, prelevando dalle casse della collettività, in media 500mila euro ogni anno - un extra rispetto a quanto entra dalla normale tassa sui rifiuti - per la raccolta da parte di AcegasApsAmga degli ingombranti abbandonati. Lasciati, dall'inciviltà galoppante, vicino ai cassonetti o nelle aree aperte del territorio triestino. Eppure, a disposizione della cittadinanza, proprio a Trieste ci sono ben quattro punti di raccolta gratuiti, a cui si aggiunge il servizio di ritiro a domicilio del gruppo Hera, eseguito da Quarciambiente, di materiale ingombrante fino a un volume di un metro cubo per volta (non è poco), attivabile semplicemente telefonando al call center: in un paio di minuti si concorda una data e nel giro di tre, quattro giorni il problema è risolto direttamente a domicilio. In previsione poi, come annuncia l'assessore all'Ambiente Luisa Polli, l'amministrazione cittadina prevede anche la realizzazione di un'ulteriore centro di raccolta, questa volta "h24", nell'area di Rozzol. I dettagli saranno definiti di concerto con Acegas. In ogni caso - vuoi perché viene ignorato questo sistema, vuoi perché di mezzo ci sono altri soggetti come imprese che lavorano in nero o che non possono o non vogliono affrontare i costi di smaltimento dei rifiuti di determinati quantitativi attraverso le ditte specializzate - sta di fatto che per questi motivi l'altipiano (ma non solo) è incessantemente colmo di rifiuti. «La logica giuridica si differenzia tra rifiuti urbani e quelli derivanti da attività industriale, commerciale e artigianale», spiega Fabrizio Pertot di Pertot ecologia e servizi, azienda specializzata che interviene anche per raccolta, trasporto, smaltimento e recupero di rifiuti urbani, speciali e ospedalieri, pericolosi e non, sia allo stato solido che liquido, che quindi non si possono conferire normalmente nelle sedi convenzionali dell'AcegasApsAmga. Chiunque debba smaltire come impresa degli scarti speciali che superano le misure consentite gratuitamente, è obbligato a presentare un formulario di identificazione. Ed è qui che casca l'asino: secondo quanto riportano i cittadini volontari che si adoperano per ripulire la città dalle montagne di detriti all'assessore all'Ambiente Luisa Polli. «Sono le ditte le maggiori responsabili di queste discariche, che non facendo interventi regolari non possono fare le bolle di smaltimento rifiuti e quindi riversano tutto abusivamente in giro per la città. Ma insieme a loro ci sono anche dei privati cittadini che fanno questo per mancanza di cultura ambientale», specifica Polli. Per disincentivare tutti questi comportamenti, vengono eseguiti appostamenti e svolte indagini contro chi commette queste azioni, che possono diventare reati. Sono 97 le multe effettuate nel 2016 dalle forze dell'ordine, escluse quelle a rilevanza penale. Dall'ambito amministrativo si passa al reato «quando vengono abbandonati rifiuti pericolosi, specialmente come i residui di demolizione e materiale edile. Normalmente viene fatta un'indagine - spiega il vicesindaco Pierpaolo Roberti - e poi il Nucleo di polizia giudiziaria stabilisce se si tratta di reato oppure no. Se tutti seguissero le norme di buon senso risparmieremmo tutti». Anche perché le stesse ammende partono dai 50 euro e arrivano anche e oltre i 500.

(b.m.)

 

A Ponziana la pulizia si fa a ritmo di musica - Alla festa itinerante del rione gli abitanti hanno tirato a lucido le strade assieme alla Banda Berimbau
C'è stato chi si è affacciato incuriosito alle finestre di casa, come accade per le grandi manifestazioni di piazza. E in effetti non erano in pochi gli abitanti che nelle settimane scorse hanno ripulito le strade del loro rione, durante la festa itinerante di Ponziana. Un esempio particolarmente originale, poiché si è trattato di una pulizia inusitata: a dettare il passo di marcia sono stati i percussionisti della Banda Berimbau, mentre un nutrito gruppetto di persone che vivono nella zona, armato di guanti di lattice e sacchetti di plastica, ha raccolto le immondizie abbandonate negli spazi pubblici del loro quartiere. Perché Ponziana è proprio un quartiere: anziani e ragazzine che si scattavano una foto con il cellulare mentre improvvisavano un passo di danza al ritmo dei tamburi; singoli individui e intere famiglie, con tanto di bambini appresso, anch'essi impegnati nell'operazione di cura del bene comune. C'erano un po' tutti. C'era pure la signora Silvana, che si faceva portare a spasso da Natz. Lui spingeva la sedia a rotelle di lei, che gli chiedeva, tra il serio e il faceto, in dialetto triestino: «Quanti passi ci sono da qui al Pakistan?». Erano tutti parte del quartiere. Sono partiti dalla sede della Microarea di via Lorenzetti per poi percorrere a ritroso quest'ultima e quindi le principali strade dei dintorni: via Zorutti, via Battera, via Orlandini. Lungo il loro cammino hanno tirato su da terra cartacce, mozziconi di sigaretta e quant'altro vi fosse depositato. In testa alla festosa processione c'erano gli artisti della Banda Berimbau, la più importante formazione musicale specializzata in percussioni brasiliane del panorama nazionale, con sede proprio a Trieste. «Da queste parti capita di rado che qualcuno si affacci alla finestra - hanno detto gli organizzatori -. Ecco perché è fondamentale la presenza della banda: cattura l'attenzione della gente, costringendola a interessarsi a quel che succede fuori. Il nostro scopo è sensibilizzare sui temi dell'ambiente e del suo rispetto: del senso civico, in poche parole». L'iniziativa è stata organizzata dalla Microarea di Ponziana, da Asuits, Comune e Ater, assieme alla cooperativa La quercia, all'associazione Avi e all'Ics - Ufficio rifugiati onlus.

Lilli Goriup

 

 

MUGGIA - Ciclisti contro la seconda ordinanza antibici
«L'ordinanza del Comune di Muggia che prevede la chiusura di corso Puccini, via Dante e piazza Marconi alle bici nei mesi estivi in ampie fasce orarie non va giù alla Fiab Trieste Ulisse, che esprime forte disappunto. «Nelle scorse settimane - scrive la Fiab - avevamo dato ampia disponibilità per affrontare il problema della convivenza tra pedoni e ciclisti», per «lavorare per accrescere nei cittadini la conoscenza del Codice della strada e il senso civico. Purtroppo la giunta Marzi ha scelto una strada che costituisce un freno allo sviluppo della mobilità ciclistica e potrebbe dimostrarsi un ostacolo allo sviluppo del cicloturismo. Siamo inoltre preoccupati per la scelta di concentrare nelle fasce orarie di chiusura del centro il traffico ciclistico e automobilistico nella lunga, stretta e non rettilinea galleria, perché sono le ore di maggior rientro dal mare. Pur prevedendo l'ordinanza una nuova segnaletica col divieto di sorpasso delle auto nei confronti delle bici, immaginare un adolescente, ce ne saranno tanti, che torna pedalando dal mare, tallonato nel tunnel da un automobilista frettoloso e indisciplinato, ce ne sono troppi, configura rischi ben più drammatici di quelli che l'ordinanza intendeva affrontare. Speriamo che il confronto possa riprendere a breve».

 

CONSIGLIO COMUNALE - In commissione il regolamento sulle bici
La Commissione comunale per la Trasparenza, presieduta dal consigliere Roberto De Gioia (Verdi-Psi), è convocata per questa mattina alle 10.30 nella sala del Consiglio comunale. All'ordine del giorno dei lavori c'è l'articolo 6 del Regolamento di Polizia urbana, che si riferisce all'abbandono ed aggancio di velocipedi. Alla seduta è stato invitato anche il vicesindaco Pierpaolo Roberti, per relazionare appunto sul testo in esame e per rispondere alle domande dei consiglieri. Secondo il regolamento della Polizia locale, approvato nei mesi scorsi, gli agenti possono tagliare le catene e aprire i lucchetti di tutte le biciclette agganciate a un palo, a un semaforo, a una ringhiera o a qualsiasi appiglio che non sia una rastrelliera regolare per bici. A fine maggio, proprio il numero due della giunta Dipiazza aveva osservato sul tema: «Finora sono state rimosse nove carcasse di biciclette - aveva fatto sapere il vicesindaco - mentre tante altre, anche se non abbiamo il numero preciso, sono state prelevate perché in posizioni non regolari, ma sono funzionanti e quindi vengono tenute in deposito. Quelle considerate al pari di rifiuti saranno smaltite, quelle in buono stato sono ferme, in attesa che il proprietario venga a reclamare il proprio mezzo, che potrà riavere dopo aver pagato la sanzione, da 30 euro se procurava intralcio fino a 100 se era abbandonato».

 

 

Fincantieri e Ge Power verso le crociere "green"
Siglato un accordo con il colosso americano: si punta allo sviluppo congiunto di una soluzione hi tech che riduca al minimo le emissioni di impianti e motori
MILANO - Fincantieri scalda i motori per il futuro delle crociere "verdi". Questo almeno è il senso dell'accordo siglato ieri tra il gruppo triestino e il colosso americano Ge Power per lo sviluppo congiunto di un sistema di controllo delle emissioni in campo marittimo. In pratica le due multinazionali, già unite da un memorandum of understanding firmato lo scorso autunno, inizieranno a lavorare assieme per portare a bordo delle navi da crociera la tecnologia Shipboard Pollutant Removal System. Si tratta di una soluzione hitech per ridurre al minimo le emissioni inquinanti come gli ossidi di zolfo e il particolato, prodotti dagli impianti energetici e dai motori delle imbarcazioni, e che va incontro alle nuove direttive Marpol (maritime pollution) che diventeranno effettive a partire dal 2020.Nel cantiere di progettazione saranno coinvolti i tecnici e gli ingegneri del centro di Trieste e quelli di Genova. E in una seconda fase, quella produttiva, per le nuove navi e per il refitting di quelle più vecchie, tutti gli stabilimenti del gruppo. A margine dell'intesa, l'amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono ha sottolineato come l'accordo sia «unico nel suo genere: mai prima d'ora un costruttore navale aveva stretto una partnership per l'abbattimento delle emissioni con un produttore di sistemi tra i leader mondiali nei settori in cui opera».Il nuovo prodotto, che servirà al controllo dei livelli di emissioni di SOx (ossidi di zolfo) e particolato, sarà sviluppato per le navi da crociera, con la possibilità di essere installato sulle unità che usano combustibile tradizionale, e consentirà agli armatori di raggiungere più alti standard di compatibilità ambientale riducendo i costi operativi delle navi. Non solo. L'accordo prevede infatti la commercializzazione sul mercato dello Shipboard Pollutant Removal, quindi anche per altri operatori. «Questa strategia - ha aggiunto Bono - ha come cardine la ricerca e l'innovazione ai massimi livelli. E ci consentirà di alzare ulteriormente l'asticella tecnologica a vantaggio del mercato crocieristico, in un ambito, come quello della riduzione dell'impatto ambientale, così determinante per i nostri clienti».A livello operativo, Fincantieri definirà i requisiti tecnici per progettare un sistema di controllo delle emissioni navali, che permetterà lo sviluppo di un prodotto competitivo nella prospettiva di una sua successiva commercializzazione. Ge Power, che vanta un'ampia offerta nel settore delle applicazioni per il trattamento di tutti i principali fattori inquinanti in campo energetico e industriale, definirà le caratteristiche necessarie per il sistema al fine di garantire i livelli di performance richiesti. «Questo accordo rafforza ulteriormente la relazione di lungo termine tra Ge e Fincantieri, e siamo orgogliosi di sviluppare un progetto così innovativo con uno dei maggiori costruttori navali al mondo», ha commentato Sandro De Poli, presidente e Ceo di Ge Italia. «Shipboard Prs sarà il risultato dell'esperienza nel settore navale di Fincantieri e quella fortemente specifica di Ge nelle tecnologie per la riduzione delle emissioni inquinanti in molteplici campi, come ad esempio quello della generazione elettrica e della siderurgia».

Christian Benna

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 4 luglio 2017

 

 

Tre parlamentari in piazza per lo stop dell'area a caldo - Mini delegazione bipartisan con il sindaco al presidio dei comitati anti Ferriera
Fedriga (Lega), Russo (Pd) e Battista (Mdp): «Serve una data certa per la chiusura»
La chiusura dell'area a caldo della Ferriera mette d'accordo i parlamentari triestini. Una parte, almeno, però stavolta bipartisan. L'appello per lo stop all'impianto dello stabilimento - con la pretesa di una data certa da stabilire nell'incontro tra la presidente Debora Serracchiani, il proprietario Giovanni Arvedi e il sindaco Roberto Dipiazza - è stato ripetuto ieri mattina in piazza Unità sotto il palazzo della giunta regionale davanti al tendone del presidio permanente organizzato da Comitato 5 dicembre, No Smog e FareAmbiente.Il sostegno alla battaglia è arrivato dal capogruppo alla Camera della Lega Massimiliano Fedriga, dal senatore Pd Francesco Russo e dal senatore di Articolo 1 - Mdp Lorenzo Battista, presenti insieme a Dipiazza e all'assessore Luisa Polli. Una cinquantina i cittadini che hanno ascoltato gli interventi degli onorevoli. Ma è stato il sindaco a dare il là: «Sto aspettando l'appuntamento con Arvedi - ha affermato il primo cittadino - e ciò che vedo è che la politica adesso è tutta insieme e sta finalmente emergendo la verità: la ghisa non è il futuro. Ci sono altre opportunità, a cominciare dal Porto, per cui basta con l'area a caldo. E bisogna smetterla di dire che gli operai perderanno il lavoro. L'area a caldo era già ferma nel 2012-2013, poi qualcuno ha voluto portare Arvedi e questi sono i risultati. Anche Serracchiani se ne sta rendendo conto, perché non si può continuare a dire che va tutto bene quando sui davanzali dei cittadini di Servola si trova quello che si trova». Fedriga ha ammesso le responsabilità della politica, tanto della destra quanto della sinistra. «E io, per quanto mi sia dato da fare, da questa responsabilità non mi tolgo - ha scandito il leghista - e, anzi ,vi chiedo scusa. Ci mettiamo umilmente a disposizione vostra», ha aggiunto rivolgendosi ai cittadini. «Adesso vogliamo che dall'incontro tra Arvedi e la Regione si decida una data sicura in cui si chiuderà l'area a caldo». Russo (Pd) ha annuito: «Servono tempi certi e su questo oggi registriamo l'unità di gran parte della politica. Ma questi tempi certi dipendono dallo sblocco di tutte le potenzialità che il capoluogo ha. Mi riferisco ai decreti attuativi dei punti franchi, al rilancio di Porto vecchio e della Città metropolitana, aggiungo io, che è la cornice per lo sviluppo di Trieste. Se tutto ciò parte insieme, sarà più facile concordare con Arvedi la data finale per la riconversione dell'area a caldo». Queste le condizioni dettate ieri, con cui peraltro il senatore dem ha motivato il rifiuto di sottoscrivere la petizione proposta da No Smog (ma non condivisa con il Comitato 5 dicembre). Un documento con cui si chiede alla Regione di mettere in atto le procedure per la chiusura e che Fedriga e Battista hanno firmato. «Se l'obiettivo è lo stop dell'area a caldo - ha rilevato il senatore di Articolo 1 - Mdp - non mi faccio alcun problema a mettere il mio nome».

Gianpaolo Sarti

 

 

Sciacallo dorato investito sul Carso - Una femmina adulta è stata trovata morta a Basovizza da un'automobilista sul bordo di una strada
Gli investimenti di animali selvatici sul Carso triestino, soprattutto in estate, sono praticamente all'ordine del giorno. Se purtroppo ricci, caprioli, volpi, tassi e "mustelidi" vari (in primis le faine) sono vittime più o meno abituali degli incidenti mortali provocati dalle automobili, l'investimento occorso l'altro giorno a Basovizza è stato decisamente più singolare. Una femmina adulta di sciacallo dorato, dell'età di circa tre anni, è stata infatti trovata morta al lato di una strada. L'allarme è stato dato da un ciclista che ha allertato anche l'ex direttore del Museo civico di Storia naturale di Trieste Nicola Bressi. «All'inizio non pensavo potesse essere davvero uno sciacallo dorato, invece la segnalazione giuntaci era corretta. Un investimento davvero sfortunato visto che la presenza di questo "canide" non è poi così copiosa sul nostro territorio, soprattutto se rapportata ad altre specie di fauna selvatica, soprattutto le volpi se pensiamo proprio ai "canidi"», racconta Bressi. In base ai dati forniti dal naturalista triestino, dati emersi in seguito a diverse indagini compiute da molti esperti del settore, sono complessivamente cinque i branchi di sciacalli dorati presenti sul Carso, di cui tre nell'altipiano triestino. Ogni famiglia ha circa cinque esemplari. I conti della presenza di questo animale a Trieste sono presto fatti: meno di una ventina di esemplari. «I primi "Canis aureus" arrivarono in Italia dai Balcani negli anni Ottanta del secolo scorso e sul Carso sono presenti ininterrottamente da quasi 30 anni - racconta Bressi -. Attualmente gli studi condotti dai musei di Storia naturale e dalle università della regione e della Slovenia attestano anche la presenza alcuni branchi sul Carso sloveno». A volte identificato erroneamente come un "temibile predatore", lo sciacallo dorato - oltre a nutrirsi di carogne, rifiuti, animali malati e moribondi - può arrivare a predare animali delle dimensioni di un cucciolo di capriolo o di pecora. «In realtà più frequentemente preda roditori come ratti e nutrie - puntualizza Bressi - ma la vera caratteristica di questo animale è che è certamente il più onnivoro tra i "canidi" europei, gradendo frutta, bacche e persino verdura». Tra le caratteristiche comportamentali di questa specie spicca infine l'assenza di aggressività nei confronti dell'uomo: «Non vi è alcun dato, neppure aneddotico, di sciacalli che abbiano aggredito persone. Mai, in nessuna parte del mondo, dove convivono da millenni con l'uomo dal Nord Africa all'India». Quanto narrato qualche giorno fa a San Michele del Carso, con la presunta aggressione di uno sciacallo ai danni di pollame locale, non convince affatto diversi naturalisti tra cui lo stesso Bressi: «È stato detto che l'esemplare ha predato le galline lasciate razzolare all'aperto, ma lo sciacallo non è affatto bravo a intrufolarsi nei pollai come fanno volpi e faine. Nel Triveneto, negli ultimi anni ben due sciacalli sono stati ritrovati feriti proprio perché cercavano di passare una recinzione. In realtà io e altri colleghi non siamo convinti che sia stato uno sciacallo dorato a provocare questi danni, si potrebbe invece ipotizzare la presenza di un cane randagio, ad esempio il lupo cecoslovacco, anche lui dotato di un manto grigio».

Riccardo Tosques

 

SAN DORLIGO - «Patto anti odori non sufficiente - Servono più controlli»
SAN DORLIGO DELLA VALLE - Le rassicurazioni del sindaco Sandy Klun e dell'assessore Franco Crevatin «non ci bastano, anzi rilanciamo la richiesta di effettuare monitoraggi molto più frequenti e puntuali, utilizzando per esempio i nasi elettronici». È forte la replica di Giorgio Jercog, del Comitato Salvaguardia del golfo, alle dichiarazioni fatte dai due esponenti dell'esecutivo di San Dorligo della Valle, in relazione alle problematiche dell'inquinamento atmosferico che sarebbe prodotto dalla presenza della Siot nel territorio comunale. «Il petrolio greggio - spiega Jercog - contiene diversi punti percentuali in peso di composti solforati. Essi non solo hanno un odore sgradevole - precisa - ma sono anche dannosi per l'ambiente e corrosivi, per questo devono essere in gran parte rimossi nel processo di raffinazione. Siamo anche in attesa - aggiunge - che l'azienda paghi il dovuto delle tasse comunali riguardo le immondizie. Per le segnalazioni poi, in occasione dei fenomeni più acuti di presenza di cattivi odori nella vicinanza delle case - continua Jercog - sarebbe da adottare il sistema Usma da telefonino, che avvisa contemporaneamente Comune, Arpa e Siot». Il Comune ha recentemente annunciato di voler allestire un tavolo tecnico sulle "molestie olfattive", che si riunirà nella seconda metà di questo mese, alla presenza di Arpa, Direzione ambiente ed energia della Regione, Azienda sanitaria integrata, Autorità portuale e Comune di Muggia. «Subito dopo - ha contestualmente precisato Crevatin - incontreremo Siot e Wartsila». «Tutto inutile - evidenzia Jercog - se prima non si adottano le necessarie misure per verificare origini dell'inquinamento e possibili conseguenze sulla salute dalla popolazione. Chiediamo invece all'amministrazione - conclude l'esponente del Comitato per la salvaguardia del golfo - di chiedere all'Asuits l'analisi sulla salute della popolazione e quella dell'impatto su terreni e orti esposti attorno alla struttura, come da interrogazione regionale a suo tempo presentata».

(u.sa.)

 

Circolo Fotografico - Quando l'ambiente viene violato
Fotografie che diventano spunto per un dibattito dedicato all'ambiente. Questo il contenuto dell'appuntamento di stasera (inizio alle 19) al Circolo fotografico triestino di via Zovenzoni 4, intitolato "L'ambiente violato". Saranno visionate e commentate circa 90 immagini presentate da 22 fotoamatori che, con punti di vista diversi, attraverso le immagini hanno indicato molteplici aspetti delle violazioni che l'uomo ha provocato e provoca sull'ambiente nel quale vive. Lo scopo della serata è di discutere di fotografia intesa come fonte di documentazione. Il reciproco confronto servirà a evidenziare la ricchezza degli impegni di pensiero individuali, rafforzando il senso della comunità, inteso come luogo di dialogo. È dunque auspicabile che anche la ricerca fotografica possa dare un contributo utile per renderci più attenti e responsabili.

 

 

Inquinamento - Acque "super" a Fiume per 17 siti sui 24 analizzati
FIUME - Non avrà il "marchio" di centro balneare come ad esempio Lussinpiccolo, Lesina, Macarsca e tante altre località, ma Fiume vanta comunque spiagge le cui acque di mare sono batteriologicamente sane. L'ultimo campionamento eseguito dagli esperti dell'Istituto regionale per la Salute pubblica ha evidenziato un'alta qualità in 17 spiagge, mentre nelle altre quattro i risultati sono stati considerati non più che soddisfacenti. Niente voto massimo per gli stabilimenti Cantrida est (ex bagno Riviera e dintorni), Cantrida ovest, Grcevo e Villa Nora, a Costabella. Si tratta di siti nei quali i controlli sfornano esiti tradizionalmente non eccellenti, anche se i valori in questo caso sono stati migliori di quelli registrati l'anno scorso. Beninteso, non si tratta di zone in cui la balneazione è proibita, ma di aree in cui la situazione è accettabile ma non ideale. Si può fare una nuotata anche a Cantrida, Grcevo e Villa Nora senza alcun rischio - è stato precisato dagli esperti - mentre i problemi maggiori riguardano la porzione orientale di Cantrida, soprattutto in presenza di piogge copiose. In una Fiume dove l'industria pesante è praticamente scomparsa, sono state due le spiagge a ottenere il prestigioso riconoscimento della Bandiera blu: sono quelle di Kostanj e la Baia dell'amore (Ploce in croato), a Costabella. Quest'anno per gli interventi di miglioria negli stabilimenti balneari fiumani sono stati stanziati dalle casse comunali circa 5 milioni di kune, pari a 676 mila euro.

(a.m.)

 

 

È ancora lunga la sfida al business delle Ecomafie - Il rapporto 2017 di Legambiente conferma l'efficacia della penalizzazione di questi reati
Oggi chi inquina, finalmente, inizia a pagare. In Italia, a circa due anni dall'inserimento dei delitti ambientali nel codice penale, qualcosa inizia a cambiare. I risultati resi noti dal Rapporto Ecomafie 2017 di Legambiente testimoniano come sia stato efficace inserire questa norma nell'impianto legislativo italiano, vista l'inversione di tendenza dei numeri in tutti i settori. Il dato complessivo legato agli illeciti ambientali (dati 2016) continua a scendere, passando da 27.745 a 25.889, il 7% in meno, un numero importante anche in virtù del fatto che è maggiore all'ultimo registrato: nel 2015, rispetto al 2014, gli illeciti scesero del 5,3%. Scende inoltre vertiginosamente il fatturato globale delle ecomafie, che dai 19,1 miliardi di euro del 2015 passa a 13 miliardi, con una riduzione del 32%, quando l'anno precedente era stata del 15%. Dati molto incoraggianti anche quelli in crescita: aumentano arresti (225 contro i 188 del 2015), denunce (28.818 contro 24.623) e sequestri (7.277 contro 7.055). La situazione, tuttavia, resta allarmante, e bisogna ancora fare molto perché l'Italia, dal punto di vista ambientale, si possa considerare davvero un Paese "normale". La criminalità organizzata è sempre ben radicata, e persiste nel considerare gli illeciti ambientali quale occasione di business e profitto, e non è un caso che, pur calando del 4% - dal 48% al 44% - le regioni dove si concentrano quasi la metà degli ecoreati italiani sono Campania, Sicilia, Puglia e Calabria, ovvero le stesse quattro del 2015 ma con la regione siciliana e quella pugliese che hanno scavalcato quella calabrese nell'infelice classifica. A livello provinciale invece, la classifica vede in testa sempre aree del Sud: Napoli (1.361 reati), Salerno (963) e Cosenza (816) occupano rispettivamente primo, secondo e quarto posto della classifica, che vede al terzo l'area metropolitana di Roma (820). Spesso i reati ambientali sono legati alla corruzione - Lazio e Lombardia in testa, con 49 e 44 inchieste di rilievo negli ultimi sei anni, sono le regioni più colpite - altro segnale che indica il forte radicamento della malavita a livello territoriale, e la necessità per le ecomafie di stabilire rapporti di corruzione con la classe politica e amministrativa locale. Un esempio sono i dati legati al ciclo illegale del cemento e quelli sull'abusivismo edilizio, anch'essi in calo (-10% gli illeciti sul ciclo illegale del cemento, mille in meno, 17.000 contro 18.000, gli immobili abusivi costruiti) ma che nonostante l'inversione di tendenza, rimangono una grande preoccupazione per un Paese ad alto rischio idrogeologico. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha specificato come «sicurezza ambientale, protezione dell'ambiente e lotta alla corruzione in materia ambientale sono sfide politiche enormi». Ma la lotta alle ecomafie passa anche per una maggiore selezione dei comportamenti da perseguire penalmente.A fronte di una reale criminalità organizzata, esiste in Italia un fenomeno di "reati di carta" frutto della complessità e disomogeneità normativa, di interpretazioni difformi delle leggi. Occorre, quindi, una grande operazione di semplificazione legislativa tesa a consentire agli operatori "sani" di agire e fare impresa in modo serio e tranquillo, evitando di ingolfare uffici di polizia e tribunali di procedure non legate a veri e propri reati da associazione criminale. Occorre investire in campagne di informazione e sensibilizzazione della popolazione e sulle agenzie regionali di protezione ambientale. Siamo sulla buona strada, ma la sfida ancora non è vinta.

ALFREDO DE GIROLAMO

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 3 luglio 2017

 

 

Monfalcone - Perdita di gas da una cisterna - Treni in tilt e binari evacuati
MONFALCONE - Rischio esplosione alla stazione ferroviaria di Monfalcone. Un convoglio merci-cisterna, in transito nella città dei cantieri, ieri pomeriggio, è stato sottoposto ai dovuti interventi di messa in sicurezza, dopo la perdita di gas argon. È subito scattato l'allarme e contestualmente la mobilitazione delle forze dell'ordine e dei vigili del fuoco. Evacuata la stazione ferroviaria, che è stata chiusa. Un vero e proprio black-out lungo le linee ferroviarie Trieste-Venezia e Udine-Venezia, desertificate per almeno due ore e mezza. Niente treni, tutto rigorosamente bloccato per evidenti motivi di sicurezza. Tutto è scaturito verso le 17.10 e le misure di emergenza hanno monopolizzato la stazione, al fine di scongiurare qualsivoglia incidente. Quello di ieri è stato un pomeriggio in crescendo, con i passeggeri trovatisi davanti allo sbarramento degli ingressi della stazione ferroviaria, tra sorpresa, interrogativi e, via via l'incalzare di richieste di chiarimenti e spiegazioni. Un'atmosfera che, per certi versi, ha rimandato al ricordo del terribile disastro ferroviario di Viareggio.Il convoglio 41853 di Rtc-Rail Traction Company, proveniente da Tarvisio e diretto verso Campo Marzio, a Trieste, una volta giunto a Monfalcone è stato "blindato" per consentire la necessaria messa in sicurezza, seguita dal ripristino del traffico ferroviario che è ripreso su entrambi i binari verso le 19.42, con la riapertura della stazione. Sono da chiarire le esatte cause dell'evento, tuttavia, secondo quanto è stato ipotizzato, il problema avrebbe riguardato la perdita di gas argon a causa di una valvola "difettosa" nell'ultimo vagone del convoglio Rtc. Una situazione indubbiamente critica per i rischi sottesi all'evento. Sul posto hanno fatto quadrato i vigili del fuoco che hanno lavorato a lungo per "disinnescare" ogni pericolo procedendo con gli interventi e la verifica delle cause. Accertamenti che restano al vaglio. Assieme agli uomini della Polfer anche le forze dell'ordine. A un certo punto, alcuni agenti sono usciti dalla stazione e hanno "transennato" l'edificio con il nastro rosso-blu. Una sorta di "sequestro" che dava la misura della delicatezza della situazione. I passeggeri che nel frattempo affollavano l'area esterna, non senza un certo disorientamento, quando non anche il forte malumore di fronte all'assenza di informazioni, si sono avvicinati agli agenti incalzandoli di domande per capire cosa stesse accadendo e che destino sarebbe loro spettato, ormai da quasi tre ore in balia dell'incertezza e delle preoccupazioni sul da farsi. Una donna straniera, diretta a Cervignano dove l'aspettava la ripresa del lavoro, continuava a chiedersi come sarebbe uscita dall'impasse. «Ero a Trieste con amici, in giornata libera. Alla stazione i treni non partivano, così ho preso una corriera. Pensavo che a Monfalcone i treni viaggiassero, invece, mi trovo qui, senza neppure il cellulare per avvertire del ritardo». C'era chi a tratti alzava la voce: «Chi deve darci spiegazioni? Cosa sta succedendo? Cosa dobbiamo fare, sono ormai quasi tre ore che aspettiamo». Una donna ha osservato: «Possibile che non ci sia personale addetto a fornire le informazioni?». C'è stato anche chi chiedeva lumi circa il rimborso del biglietto. C'era chi s'è seduto sul marciapiede in paziente attesa, chi invece ne approfittava per lavorare sul pc appoggiato alla valigia.Da Rfi, intanto, si ricercavano le soluzioni alternative. Prima i bus sostitutivi, un'impresa trovarne di disponibili. Meglio puntare sulla riapertura quantomeno di un binario, per iniziare a riavviare il transito dei treni bloccati e poter garantire le prime partenze e fermate. Ritardi che si accumulavano, fino a due ore. La situazione s'è sbloccata quando il convoglio è stato spostato in un binario esterno secondario. Di lì a poco è sopraggiunto il segnale "verde", con buona pace dei passeggeri. Verso le 19.30 sono stati riattivati tutti i binari con la riapertura della stazione ferroviaria. L'altoparlante emetteva i "bollettini" dei ritardi. Il regionale veloce 2215 delle 19.23 proveniente da Venezia e diretto a Trieste viaggia con 60 minuti di ritardo; il regionale veloce 1017 proveniente da Trieste e diretto a Venezia ritarda di 55 minuti. Sessantacinque minuti di ritardo accumulati per il Frecciarossa Trieste-Milano. Una sequela di avvisi mentre nel frattempo la stazione riacquistava la normalità e i treni avevano iniziato a riprendere il loro percorso, pur al "rallentatore" considerato che la velocità non poteva superare i 30 chilometri orari.

Laura Borsani

 

 

Si restringe la zona proibita alle bici - Varata a Muggia l'ordinanza della discordia: off limits solo corso Puccini, via Dante e piazza Marconi
MUGGIA - Bici a spinta obbligatoria in corso Puccini, via Dante e piazza Marconi, solamente in determinati orari e periodi dell'anno. Questo il compromesso ufficializzato dal Comune di Muggia per chiudere una volta per tutte la partita sulla cosiddetta "ordinanza antibiciclette". Il documento, che in realtà regolamenta la viabilità all'interno del centro storico vincolando fortemente l'accesso degli autoveicoli, è oramai ufficiale. L'annuncio arriva dal sindaco Laura Marzi: «Abbiamo rimodulato il testo originale alla luce di quanto emerso nell'ultimo mese, fatto di incontri e discussioni con cittadini e associazioni di ciclisti. Da amministratori avevamo il dovere di dare una risposta alle tante segnalazioni pervenuteci, soprattutto dai residenti del centro storico». A spinta Non si potrà dunque più pedalare in corso Puccini, via Dante e piazza Marconi. Il divieto sarà operativo esclusivamente nella "stagione estiva", ossia dal primo giugno al 30 settembre. Vi saranno anche degli orari precisi in cui il divieto sarà applicato, ossia dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 16 alle 20. Il divieto sarà inoltre applicato in concomitanza di manifestazioni in piazza Marconi. Rispetto al testo iniziale, dunque, è stata abolita l'idea di ampliare un'area prettamente pedonale all'interno del centro storico individuata in vie, calli e piazze ricadenti all'interno dell'antica cinta muraria e specificatamente racchiusa nelle vie Roma, Naccari, Manzoni e Sauro e in salita alle Mura. «Tutte le altre zone del centro storico al di fuori di corso Puccini, via Dante e piazza Marconi potranno essere regolarmente percorse con la bicicletta», puntualizza l'assessore alla Polizia locale Stefano Decolle. I trasgressori saranno puniti secondo il Codice della strada con sanzioni che andranno da un minimo di 41 ad un massimo di 168 euro. L'alternativa Una novità è stata proposta dalla giunta Marzi fondamentalmente per ovviare all'assenza di un percorso alternativo per i ciclisti provenienti da strada per Lazzaretto. Ribadendo il concetto che non si può entrare nel centro storico attraverso l'arco della cinta muraria del Mandracchio, essendo l'arteria a senso unico (anche se in verità i ciclisti che vanno contromano continuano a trasgredire il divieto), si creerà un percorso lungo calle Bacchiocco e piazzetta Galilei. Il percorso poi permetterà di costeggiare il Duomo permettendo di raggiungere successivamente piazzale Caliterna. In galleria Una nuova importante disposizione pro ciclisti è stata invece inserita per quanto riguarda il discorso sicurezza dei velocipedi. La giunta Marzi ha infatti deciso di installare il divieto di sorpasso all'interno della galleria. «Ci è stato evidenziato che spesso i ciclisti, posizionandosi a lato della carreggiata, venivano superati dalle automobili creando così una situazione carente in fatto di sicurezza per gli stessi ciclisti. D'ora in poi gli automobilisti dovranno pazientare lasciando ai ciclisti la possibilità di stare al centro della carreggiata», racconta Marzi. L'ordinanza entrerà ufficialmente in vigore non appena sarà pronta la cartellonistica. Questioni di giorni, insomma.

Riccardo Tosques

 

 

Troppi turisti a Plitvice - Il Wwf lancia l'allarme
Additati lo sfruttamento eccessivo dell'acqua e le decine di concessioni edilizie rilasciate in pochi anni: «Zagabria intervenga per evitare la distruzione del sito»
ZAGABRIA - Dopo l'Unesco, anche il Wwf lancia l'allarme Plitvice. Secondo la celebre organizzazione internazionale per la conservazione di natura, habitat e specie in pericolo, il parco croato di Plitvice è oggi minacciato dall'eccessiva attività dell'uomo. E il governo di Zagabria dovrebbe prendere delle misure prima che sia troppo tardi. Iscritto al patrimonio mondiale dell'Unesco già nel 1979, il complesso di laghi di Plitvice è una delle destinazioni turistiche più note della Croazia, e attira ogni anno oltre un milione di visitatori. Ma proprio la fama del sito e il suo utilizzo eccessivo da parte degli operatori turistici locali ne sta ora mettendo in pericolo la salvaguardia. «Una serie di decisioni male informate hanno sottoposto la più preziosa perla naturale della Croazia a un rischio senza precedenti», ha detto Irma Popovic Dujmovic del Wwf-Adria, avvertendo che «non possiamo rischiare di perdere l'icona croata della natura protetta e i moltissimi posti di lavoro, dai quali dipendono peraltro intere comunità locali».Le «decisioni male informate» citate dal Wwf riguardano diversi ambiti, a cominciare dall'«uso eccessivo dell'acqua», che secondo l'organizzazione ambientalista ha lasciato la grande cascata di Plitvice «con appena il 40 per cento della sua capacità massima di acqua». Ma un altro segnale chiaro dello sfruttamento del parco è rappresentato dal numero di permessi di permessi di costruzione accordati dal governo nell'area. «Negli ultimi anni - prosegue il Wwf - il ministero dell'Edilizia ha autorizzato la costruzione di 25 nuovi appartamenti, bed&breakfast e ristoranti». Cantieri che portano ogni giorno nella zona protetta decine di camion, in prospettiva di un numero sempre maggiore di visitatori.«A partire dal 2010 - nota il Wwf nel suo comunicato - il numero di soggiorni nell'area di Plitvice è aumentato di 12 volte arrivando a 39mila», rendendo necessaria una maggiore disponibilità di posti letto in una zona altrimenti poco attrezzata e storicamente priva di grandi strutture alberghiere. «Se un'azione urgente non viene intrapresa il Parco di Plitvice potrebbe essere iscritto nella Lista Wwf del patrimonio mondiale in pericolo», ammonisce il Wwf stesso, facendo eco a un avvertimento lanciato tempo fa dall'Unesco e dallo stesso direttore del parco. Lo scorso settembre infatti il direttore del parco nazionale Andelko Novosel aveva detto ai giornalisti del quotidiano Vecernji List di aver ricevuto «un messaggio chiaro» da parte dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, scienza e cultura (Unesco): «Se non proteggiamo il parco, lo toglieranno dalla lista dei Patrimoni naturali dell'umanità», aveva riferito Novosel, aggiungendo che «è da un po' di tempo che ci battiamo contro un numero eccessivo di turisti».Negli ultimi dieci anni il successo del complesso di laghi è stato sorprendente: dai 300mila visitatori dei primi anni Duemila si è passati agli attuali 1,3 milioni di ingressi, con picchi quotidiani di 15mila turisti contro gli 8mila imposti come tetto massimo dall'Unesco per salvaguardare al meglio il parco.Dopo il cartellino giallo ricevuto dall'Unesco (non solo per Plitvice ma anche per Dubrovnik, anch'essa sommersa dai turisti), tocca ora al Wwf invitare «il ministero dell'Edilizia croato a iniziare a lavorare con urgenza con il ministero della Protezione ambientale al fine di evitare la distruzione dei laghi di Plitvice». Coinvolgendo inoltre le comunità locali, prosegue il Wwf, si potrà «proteggere la bellezza e la biodiversità di Plitvice, promuovendo anche uno sviluppo sociale ed economico per tutti».

Giovanni Vale

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 2 luglio 2017

 

 

«Non sparate alle nutrie» - Muggia apripista in Fvg - Parte dalla cittadina rivierasca la petizione regionale contro la nuova legge
MujaVeg reclama il contenimento della specie solo con metodi non violenti
MUGGIA - No all'abbattimento violento, sì al contenimento tramite metodi ecologici. Parte da Muggia la petizione per far correggere il tiro alla giunta Serracchiani le disposizioni inserite nella legge regionale 20 del 9 giugno scorso che prevede l'eradicazione delle nutrie anche attraverso l'abbattimento.La storia Originaria della Patagonia, la nutria è un roditore introdotto nello scorso secolo in molti paesi sia nel Nord America che in Europa. I primi allevamenti commerciali per la produzione di pellicce sorsero in Italia (in Piemonte) alla fine degli anni Venti per giungere qualche decennio dopo anche a Muggia e in altre zone del Fvg. «La diffusione di questa attività si deve sia all'interesse commerciale della pelliccia, che, soprattutto nei primi anni, era abbastanza elevato, sia alla facilità con cui le nutrie potevano essere allevate: in seguito l'allevamento si rivelò pratica via via sempre meno remunerativa e venne gradualmente abbandonato», si legge nelle "Linee guida per il controllo della nutria", il testo scritto con il patrocinio del ministero dell'Ambiente dall'Istituto nazionale per la fauna selvatica "A. Ghigi". Iniziarono così a verificarsi le prime immissioni, quasi sempre volontarie, di nutrie in natura. Queste immissioni hanno consentito la formazione di nuclei naturalizzati in grado di autosostenersi come le nutrie muggesane del Rio Ospo, diventate un vero e proprio fenomeno popolar-mediatico grazie alla massiccia presenza dei roditori in zona Rabuiese.Le caratteristiche Ma quali sono le caratteristiche delle nutrie? Questi roditori ingeriscono da 700 a 1.500 grammi di materia vegetale al giorno. Una quantità che corrisponde circa al 25% del proprio peso corporeo. Gli alimenti più utilizzati sono piante acquatiche, radici, foglie, tuberi e rizomi. La nutria raggiunge la maturità sessuale in età molto precoce: già a 6 mesi i maschi sono in grado di riprodursi. Le femmine possono riprodursi in media 2,7 volte all'anno. Alla nascita il numero medio di neonati è pari a cinque. La legge «Il provvedimento di eradicazione delle nutrie nel Fvg con metodi selettivi intende tutelare le produzioni zoo-agro-forestali, l'idrografia e le opere idrauliche». Così Diego Moretti (Pd), relatore di maggioranza della legge in questione, ha spiegato la decisione della Regione di sterminare i roditori, compresi quelli presenti nel Rio Ospo. Per l'assessore regionale allla Caccia Paolo Panontin quella delle nutrie è una specie «invasiva, non originaria e dannosa». La giunta Serracchiani ha così votato una legge per applicare un Piano triennale di contenimento del costo di 60mila euro. Tra i metodi di soppressione impiegabili, "armi comuni da sparo" oppure "trappolaggio e successivo abbattimento con metodo eutanasico dell'animale mediante narcotici, armi ad aria compressa o armi comuni da sparo".La petizione «Per affrontare la questione nutrie la Regione ha completamente snobbato i possibili metodi ecologici contenuti nella legge 157 dell'11 febbraio 1992 proposti dall'Istituto nazionale per la fauna selvatica». Così Cristian Bacci, responsabile dell'associazione MujaVeg, racconta il perché della nascita della petizione popolare nella quale si chiede espressamente che le nutrie non soffrano durante la fase di eradicazione operata dalla Regione. Tra i metodi suggeriti quello invocato anche da altre associazioni ambientaliste: la sterilizzazione. In attesa di capire gli esiti dello studio dell'Università di Udine per individuare e testare sistemi che riducano le capacità riproduttive delle nutrie, studio finanziato proprio dalla Regione con uno stanziamento di 80mila euro, in cui si dovrebbero sperimentare dei prodotti sintetici che, aggiunti ad alimenti appetibili o sostanze naturalmente presenti nei vegetali siano in grado di contenere la specie, la raccolta firme è partita. La petizione, scaricabile sul sito www.mujaveg.it, potrà essere firmata o consegnata a Muggia (alla Gelateria Easy in riva de Amicis e alla Farmacia alla Marina in piazzale Foschiatti) oppure a Trieste (al Giardino Tergesteo e al Serra Hub in via Economo) entro il 30 agosto. Dopodiché le firme verranno consegnate alla Quarta commissione del Consiglio regionale. Intanto l'assessore alla Protezione civile Stefano Decolle conferma la non sussistenza del problema nutrie a livello muggesano: «Non so in regione, ma qui non abbiamo mai ricevuto segnalazioni di danni causati dalle nutrie». Resta ora da capire se e quando anche i roditori del Rio Ospo rientreranno nel piano di abbattimento

Riccardo Tosques

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 1 luglio 2017

 

 

BARCOLA - Park sul terrapieno, scatta la bonifica - Iniziato lo sfalcio del verde per la creazione di 500 posti auto. Dipiazza: «Il progetto per l'opera partirà entro fine anno»
Primo atto per il futuro parcheggio di Barcola. In questi giorni il Comune ha iniziato lo sfalcio dell'erba e degli arbusti che infestano la zona del terrapieno, dove il sindaco Roberto Dipiazza intende realizzare almeno cinquecento posti auto. Uno spazio che nelle previsioni sarà utilizzato soprattutto dalle società veliche che hanno sede nei paraggi e che necessitano di spazio per i propri mezzi, come pulmini e carrelli, per le trasferte delle regate e le varie competizioni. Un'esigenza si era manifestata già anni fa, ma che non aveva mai trovato risposte concrete da parte dell'Autorità portuale. Che, come noto, gestiva quelle aree demaniali. La conferma dell'avvio dei lavori è arrivata proprio ieri, pubblicamente, dalle parole del sindaco Dipiazza durante la presentazione della 49.ma edizione della Barcolana. «Abbiamo cominciato a togliere un po' di erba e arbusti», ha detto. E in effetti, come si può constatare da viale Miramare, gli interventi sono partiti. Nei mesi scorsi era stato proprio il primo cittadino ad andare sul posto, accompagnato dall'assessore ai Lavori pubblici Elisa Lodi, dai tecnici del Municipio e da un gruppo di delegati dei circoli, per un sopralluogo sull'area del terrapieno, entrata di recente nella disponibilità del Comune come gran parte del Porto vecchio. Dipiazza ha incaricato il suo staff a preparare un progetto vero e proprio. Il parcheggio sorgerà nell'area attualmente occupata dalla boscaglia spontanea, che negli anni si è fatta sempre più fitta, come si può scorgere per l'appunto transitando sempre lungo viale Miramare. Lo spazio che si potrà ricavare consentirà di creare posti auto per centinaia di persone. Cinquecento i posteggi stimati, in linea con quando stabilito dalle previsioni di legge.«Abbiamo iniziato lo sfalcio dell'erba - ha commentato Dipiazza - e questo è un modo per poter anche visionare la zona. Ma siamo pronti pure con il progetto per l'opera, che bisogna far partire entro il 30 di dicembre». L'assessore all'Urbanistica Luisa Polli conferma: «Abbiamo pensato di mettere le mani il prima possibile sulle zone di cui si può già usufruire - afferma l'esponente della giunta - anche perché ricordiamo che quel punto non è nella parte classificata inquinata». Il parcheggio, nello specifico, sarà realizzato nel sedime ferroviario. Dopo la pulizia del verde, si passerà al posizionamento di un "geo-tessuto", cioè una superficie isolante di tipo protettivo e contenitivo che farà da base al fondo.«Sopra metteremo della ghiaia - annuncia Polli - e in particolare una tipologia che consente di muoversi agilmente». Il posteggio, che nasce per le società nautiche ma potrà essere usato da tutti i cittadini, non verrà recintato. «Non c'è una concessione - ricorda l'assessore - perché non è previsto un utilizzo esclusivo. Ma è ovvio che ci andranno prevalentemente i soci delle società veliche o, ancora, chi fa canottaggio, gare, o chi ha bisogno di un punto di appoggio per usufruire dei servizi rivieraschi. Credo che difficilmente i triestini lo impiegheranno per andare a prendersi il gelato a Barcola. Comunque il tessuto che andremo a posizionare - sottolinea Polli - farà sì che il via vai della automobili non faccia disperdere la ghiaia».

Gianpaolo Sarti

 

 

ALTIPIANO EST - Trebiciano reclama le barriere antirumore
TRIESTE - Un'adeguata protezione antirumore lungo il tratto della Grande viabilità adiacente la frazione di Trebiciano. Lo richiede l'intero paese, in particolare le famiglie che da tempo risiedono nelle vicinanze dell'autostrada, sottoposte quotidianamente al frastuono provocato dal traffico. Sulla questione torna per l'ennesima volta la Circoscrizione Altipiano Est che sottolinea come questo disagio sussista da oltre vent'anni, ovvero da quando è stato costruito il collegamento autostradale nei pressi di Trebiciano. «Nonostante la comunità li chieda da sempre - osserva il presidente del parlamentino Marko De Luisa - mancano del tutto i dissuasori e le barriere antirumore. Sul tema la comunità ha presentato all'Anas, e per conoscenza alla precedente amministrazione comunale e alla prefettura, una petizione con allegata una raccolta di firme. Un'azione che tuttavia non ha sortito alcun effetto». I consiglieri sottolineano come già nella progettazione iniziale della Grande viabilità si sarebbe dovuto provvedere a tutte le infrastrutture necessarie. «Comunque sia - aggiunge il presidente - non è possibile che i residenti di Trebiciano debbano continuare a sopportare un inquinamento acustico che inficia sia la qualità di vita che la loro salute. Per questo abbiamo inviato al sindaco e agli assessori un documento con il quale chiediamo di attivarsi nei confronti dell'Anas, affinché si provveda una volta per tutte a realizzare l'adeguata protezione antirumore». Sempre dalla Seconda circoscrizione si chiede, con una mozione, di creare nell'area di Trebiciano conosciuta come "Rouna" una nuova isola ecologica. In questo modo, come da tempo reclamano i residenti, sarebbe possibile togliere i cassonetti per la raccolta dei rifiuti e della differenziata dalla piazza principale del borgo. Il provvedimento consentirebbe finalmente di riqualificare e valorizzare la piazza, con la sua chiesa, la canonica, la scuola materna e il monumento ai caduti nella lotta per la Liberazione.

Maurizio Lozei

 

 

 

 

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