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RASSEGNA STAMPA luglio - dicembre 2017
IL PICCOLO - DOMENICA, 31 dicembre 2017
Rifiuti pericolosi in Serbia, un affare da 8 miliardi -
È questa la cifra che il governo stima necessaria per adeguarsi agli standard Ue
Dalla battaglia alle discariche illegali alle pratiche di smaltimento
nelle città
BELGRADO - Per aspirare a entrare nel club più ambito, quello dell'Unione
europea, la Serbia deve portare avanti importanti riforme e soprattutto lanciare
il cuore oltre l'ostacolo siglando, il prima possibile, un accordo finale per la
"normalizzazione" dei rapporti con il Kosovo. Ma per Belgrado, prima
dell'adesione, c'è anche un altra questione, forse poco conosciuta e
sottostimata ma non per questo meno ardua da risolvere: è quella dello
smaltimento dei rifiuti, sia domestici, sia industriali, e dunque della
protezione ambientale in generale. Ed è un fronte che diventerà caldo nei
prossimi anni e costerà molto alle casse di Belgrado: almeno otto miliardi di
euro, nella stima dello stesso governo. A tenere alta l'attenzione sul tema,
alcune notizie che hanno molto colpito l'opinione pubblica in questo periodo.
Notizie come quelle sulle «centomila tonnellate di rifiuti pericolosi e non
adeguatamente custoditi», secondo le stime di Miodrag Mitrovic, presidente
dell'azienda Miteko, una delle imprese leader nel Paese nel management dei
rifiuti industriali e più nocivi per l'ambiente. Tonnellate che sono composte
«da sostanze chimiche» velenose, che «da anni sono ammassate», spesso in
«condizioni non idonee, in particolare nei «capannoni di imprese fallite», senza
contare poi «i terreni contaminati». In occasione di un forum sulla protezione
ambientale, Mitrovic ha ricordato anche che sono almeno 88 «le località con
inquinamento storico» a causa di rifiuti pericolosi, identificate dalle autorità
del Paese balcanico, che sono però riuscite finora a intervenire solo su nove di
esse. Ma non ci sono solo queste stime a far paura. Incutono, se possibile,
ancora più timore notizie come quelle arrivate nei giorni scorsi da Obrenovac,
città a un tiro di schioppo da Belgrado, dove le forze dell'ordine hanno
scovato, in un appezzamento privato, almeno 25 tonnellate di rifiuti chimici
altamente tossici, stoccati illegalmente in vecchi fusti da un imprenditore
senza scrupoli. E ieri il quotidiano belgradese Vecernje Novosti ha annunciato
la scoperta, sempre nello stesso terreno, di altri «cento barili» pieni di
sostanze chimiche velenose, con alta probabilità scarti industriali. Che non si
sia trattato di un ritrovamento di poco conto è confermato dalle dichiarazioni
del ministro dell'Ambiente, Goran Trivan, che ha apertamente parlato di rifiuti
che avrebbero potuto provocare una «catastrofe ecologica». Che almeno stavolta è
stata scongiurata. Ma non ci sono solo scarti industriali pericolosi. In Serbia,
Paese che non è un'eccezione nella regione, i rifiuti cittadini continua a
essere "smaltiti" attraverso lo schema «raccolta-trasporto in discarica», mentre
il riciclaggio non tocca l'8% a livello nazionale. E lì il terreno su cui si
deve lavorare al massimo, spiega l'esperto ambientale Dusan Jakovljevic, citando
numeri che non mentono. Per quanto riguarda i rifiuti comunali, sono «142 i
depositi» di rifiuti a livello nazionale, solo otto quelli che «rispettano gli
standard Ue». E, anche se le stime ufficiali riferiscono di 3.000, almeno dieci
volte tante sono le discariche illegali. Per mutare il quadro e avvicinarsi
all'Ue servono «due miliardi di euro e dieci anni, nell'ipotesi migliore». Ma
bisogna fare più in fretta, altrimenti l'apertura e chiusura del capitolo
negoziale numero 27, quello sull'ambiente, e di conseguenza l'adesione alla Ue
diventeranno chimere
Stefano Giantin
IL PICCOLO - SABATO, 30 dicembre 2017
Torna sui
binari il treno Trieste-Lubiana - Il collegamento nell'ambito della proroga del
contratto fra Regione e Trenitalia
UDINE - C'è anche il gran ritorno del Trieste-Lubiana nel "pacchetto"
contrattuale che rinnova per due anni l'accordo tra Regione Friuli Venezia
Giulia e Trenitalia per il servizio ferroviario regionale. Dal 2018, come
annunciato già in estate dal direttore del traffico passeggeri delle Ferrovie
slovene (Sz), Milos Rovsnik, la capitale della Slovenia sarà nuovamente
collegata con Trieste e, a quanto pare, pure con Venezia. Un ritorno, appunto.
Perché il Trieste-Lubiana, attivato nel dicembre 2003, era stato cancellato nel
2008 causa scarso interesse manifestato dall'utenza. Lo scenario è cambiato, a
quanto risulta, in conseguenza del progetto, in dirittura d'arrivo, del polo
intermodale di Ronchi: il treno, come avevano ipotizzato i vertici di Ferrovie
slovene, si dovrebbe infatti fermare anche nella nuova stazione in zona
aeroporto. L'iniziativa di ripristinare la tratta è stata proposta per la prima
volta nel 2015 dalla presidente Debora Serracchiani al ministro degli Esteri
sloveno Karl Erjavec in occasione della sessione inaugurale del Comitato
congiunto Fvg-Slovenia. Visto l'interesse pure del ministro delle Infrastrutture
Peter Gaspersic, la Regione si è poi attivata nelle sedi centrali e territoriali
di Rfi e di Trenitalia affinché predisponessero una serie di proposte tecniche
da condividere con gli omologhi sloveni e con il ministero sloveno competente.
Nell'agosto scorso la Regione anticipava quindi di voler coinvolgere la Regione
Veneto e il ministero italiano dei Trasporti «al fine di assicurare l'appoggio
di tutte le istituzioni per rendere pienamente operativo un servizio di
trasporto pubblico locale ai cittadini del Veneto, del Friuli Venezia Giulia e
della Slovenia, rafforzando al contempo le zone transfrontaliere dell'area
italo-slovena, che oggi sono servite esclusivamente dalla mobilità stradale».
Già a luglio Serracchiani, nel corso del vertice di Trieste sui Balcani
occidentali, aveva tra l'altro informato dell'idea progettuale il commissario
europeo ai Trasporti Violeta Bulc, ricevendone un forte incoraggiamento a
portarla avanti. «Sta adesso alle autorità slovene e ai gestori del programma
Italia-Slovenia - precisava ancora la Regione - fare in modo che un servizio
così strategico per imprese e cittadini delle nostre regioni possa essere
adeguatamente finanziato». A concretizzare il progetto - che dovrebbe decollare
nel secondo semestre del prossimo anno - mancavano le firme. E ieri è infine
arrivata l'ufficializzazione da parte dell'assessorato alle Infrastrutture
nell'ambito di un'informazione complessiva sulla proroga biennale (dall'1
gennaio 2018 al 31 dicembre 2019) del contratto con la compagnia ferroviaria
nazionale. Il Trieste-Lubiana (due ore e mezza di percorrenza) rientra in un
contesto di potenziamento nel quale rientrano anche il riavvio dei servizi
ferroviari, attivati a dicembre 2017 tra Sacile e Maniago, sull'intera linea, da
Sacile fino a Gemona e i potenziamenti estivi sulle direttrici
Sacile-Udine-Trieste e Tarvisio-Udine-Cervignano-Trieste. Quest'ultimo è mirato
a migliorare le connessioni con la ciclovia Alpe Adria, sfruttando la riapertura
della tratta Udine-Cervignano nei fine settimana prevista sempre nel corso del
2018, anche al fine di valorizzare la città di Palmanova, patrimonio Unesco.
Viene inoltre prevista anche la collaborazione di Trenitalia per la
realizzazione di treni storici nell'ambito di una specifica convenzione da
stipulare con Fondazione Fs. Più in generale, la delibera approvata dalla giunta
regionale nell'ultima seduta dell'anno su proposta di Mariagrazia Santoro è
funzionale a garantire la continuità dei servizi regionali nell'attesa delle
valutazioni sul nuovo affidamento dei trasporti ferroviari, alla luce delle
modifiche del quadro normativo di riferimento, delle recenti indicazioni delle
autorità di settore e della presentazione, nel corso del 2017, di due
manifestazioni di interesse, da parte di operatori del settore (secondo
indiscrezioni si tratta di Trenitalia e del gruppo Arriva). Concretamente, la
Regione dovrà decidere se procedere a un affidamento diretto o se andare a gara
Marco Ballico
Anas entra nel gruppo Ferrovie dello Stato - Nasce un
gigante europeo della mobilità
Grandi numeri per il nuovo gruppo che nasce dall'incorporazione dell'Anas
nelle Ferrovie dello Stato dopo il via libera all'aumento di capitale di 2,86
miliardi di euro mediante conferimento dell'intera partecipazione Anas detenuta
dal Tesoro. Dall'operazione nasce infatti un big player della mobilità in
Europa. Con il conferimento di Anas e 81mila dipendenti, il gruppo Fs è infatti
in grado di sviluppare nel 2018 un fatturato di 11,2 miliardi di euro e una
capacità di investimento di 8 miliardi, con un capitale investito di circa 50
miliardi. É stato stimato che la sola gestione integrata delle infrastrutture
produrrà in dieci anni risparmi operativi non inferiori a 400 milioni di euro.
L'ad di Fs, Renato Mazzoncini (nella foto), ha parlato non a caso di «di una
tappa fondamentale nella realizzazione del piano industriale del gruppo che vede
Fs come principale promotore della mobilità integrata su ferro e gomma a
vantaggio di tutti gli italiani. É l'ulteriore conferma che il ruolo di Fs sta
cambiando: non più impresa ferroviaria nazionale ma impresa europea di
mobilita».
IL PICCOLO - VENERDI', 29 dicembre 2017
Crolla un muro a Gretta - Danni a un'auto in sosta
Ancora un muro crollato dopo per effetto delle abbondanti piogge. È accaduto
ieri sera attorno alle 22 nel rione di Gretta, proprio dietro la chiesa. A
cedere il muretto di contenimento di un'abitazione disabitata in via Camaur 11,
già in precarie condizioni. Franando a terra le pietre hanno colpito un'auto in
sosta. Fortunatamente nessun ferito. Sul posto polizia locale e vigili del
fuoco, che hanno transennato l'area interessata dal cedimento.In mattinata le
piogge avevano creato disagi in varie parti della città interessate da tombini
intasati e strade allagate. Un autentico "lago" comparso in via Errera, in
particolare, ha reso la vita difficile ai dipendenti di una ditta della zona.
Scongiurato invece, almeno nel corso della giornata, il temuto rischio neve e
ghiaccio in Carso. Numerosi i mezzi messi in campo per cospargere di sale le
aree critiche, che, oltre all'Altipiano, riguardano anche alcuni punti del
centro e della periferia. Agenti della Polizia locale, personale
dell'AcegasApsAmga e di Trieste trasporti hanno tenuto costantemente monitorato
il territorio nel timore, appunto, che si avverassero le previsioni meteo legate
all'arrivo di un fronte atlantico sulla regione. Fronte puntualmente arrivato
intorno alle 4 di ieri mattina, con il suo carico di precipitazioni abbondanti
che, sopra i 400 metri, avrebbero potuto trasformarsi in nevicate. La coltre
bianca però, alla fine, non si è vista. «I bollettini meteo, emessi dalla
Protezione civile, e le altre informazioni diramate dalle nostre strutture - ha
dichiarato nel pomeriggio il vicesindaco Pierpaolo Roberti - continuano a dirci
che la quota-neve, ogni ora che passa, si sta abbassando sempre di più. Gli
ultimi dati suggeriscono la possibilità di nevicate nel corso della nottata
nelle zone più alte del Carso». Roberti ha sottolineato che, nel caso di
ulteriori peggioramenti con calo delle temperature, si dovranno render necessari
altri interventi anche in centro città e in particolare in alcune zone a
rischio, come le vie in pendenza o dove tendenzialmente l'aria è più fresca e
quindi potrebbero concentrarsi strati di ghiaccio. «La situazione è sotto
controllo - ha aggiunto il vicesindaco - Attendiamo che le piogge si attenuino
per consentire una più efficace salatura delle strade. Preferiamo aspettare che
le temperature si abbassino ancora un po' con l'arrivo dei primi fiocchi di
neve, spargere il sale». «Questo ci consentirà di garantire il meglio possibile
la circolazione proprio in quelle zone dove di solito fa più freddo, da Opicina
a tutti i vari paesi del Carso triestino - ha aggiunto Roberti - Siamo anche in
collegamento con l'Anas per le strade non di competenza comunale e abbiamo
l'ausilio di Trieste trasporti che, dai propri mezzi, è in grado di trasmettere
informazioni in tempo reale su tutto il territorio».
(e.f.)
ARPA - Centralina anti-rumore a ridosso della Ferriera
L'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente ha comunicato di aver
concluso il 15 dicembre scorso i lavori di installazione di una postazione
fonometrica fissa in prossimità dello stabilimento siderurgico della Ferriera di
Servola. La stazione fonometrica è gestita da remoto ed è quindi in grado di
fornire dati in continuo, senza la necessità di operatori in loco. I test di
verifica sono già iniziati e proseguiranno fino a inizio febbraio. Concluse le
verifiche i dati verranno pubblicati nell'apposita sezione dedicata del sito web
dell'Arpa. Il luogo dove è collocata la stazione fonometrica è stato scelto dopo
una attenta valutazione. La postazione, pur non collocata in facciata a
ricettori specifici per ragioni di sicurezza e di protezione dagli agenti
atmosferici, è direttamente esposta alle emissioni rumorose dell'impianto
siderurgico e consente l'acquisizione di misure di riferimento adatte a
riscontrare e valutare nel lungo termine le variazioni del clima acustico
esistente nell'area, anche a seguito di interventi di bonifica attuati sugli
impianti produttivi. Nella medesima posizione, l'Agenzia regionale per la
protezione dell'ambiente ha già effettuato a partire dal 2015 delle misurazioni
a campione e dispone delle serie storiche che potranno essere utilizzate nelle
future analisi ambientali.La comunicazione dell'Arpa arriva a pochi giorni di
distanza dall'avvio di un altro tipo di "progetto" legato sempre alla Ferriera
di Servola, quello di carattere legale voluto dall'amministrazione municipale.
La giunta Dipiazza ha infatti "ingaggiato" due avvocati veneti - Fabio Gusso del
Foro di Padova e Sebastiano Tonon di quello di Venezia -, con l'incarico di
studiare la situazione in vista della stesura di una specifica relazione
tecnica. Mansioni per quali i due legali percepiranno un compenso di 51mila euro
(cifra doppia rispetto a quella comunicata in un primo momento dall'esecutivo) a
fronte di cinque mese e mezzo di lavoro.
Nel mondo circolano più di due milioni di auto
elettriche
ROMA - Nel mondo circolano attualmente più di 2 milioni di veicoli
elettrici, grazie al boom che c'è stato nel 2016 anno in cui sono state
immatricolate oltre 750mila unità con questa tipologia di propulsione (erano
state 547.220 nel 2015). È quanto risulta da un recente rapporto
dell'International Energy Agency (Iea) che sottolinea come, nonostante la forte
crescita (+60%) al momento le auto elettriche costituiscano solo lo 0,2% del
parco circolante mondiale e, quindi, abbiano un limitatissimo impatto sulla
riduzione del gas serra che, secondo lo studio Intergovernmental Panel on
Climate Change, sono generati globalmente per il 14% dai mezzi di trasporto. A
livello di mercati, la Cina ha sorpassato nel 2016 gli Stati Uniti per acquisti
di veicoli elettrici, raggiungendo una diffusione dell'1,5% sul parco
complessivo e assorbendo il 40% di tutte le vendite. La Iea fa anche notare che
in Cina circolano 200milioni di mezzi elettrici a due ruote, e più di 300mila
autobus elettrici, che non vengono però computati in queste statistiche. In Usa
159.139 consegne (+37%) hanno permesso di raggiungere una quota dell'1,13%
(nelle passenger car), mentre in Europa è confermata l'importanza della
Norvegia, seguita da Olanda (6,4%) e Svezia (3,4%). Nello studio realizzato
dalla divisione Energy Technology Policy anche una previsione di quello che
potrebbe essere lo scenario elettrico nei prossimi anni: dagli attuali 2 milioni
- a seconda delle condizioni generali e locali e in base alla diminuzione dei
costi - si potrebbe arrivare ad un circolante elettrico tra 9 e 20 milioni di
unità nel 2020 e fra 40 e 70 milioni nel 2025.
IL PICCOLO - GIOVEDI', 28 dicembre 2017
La battaglia legale contro la Ferriera affidata a due veneti - Il dossier Servola nelle mani degli avvocati Gusso e Tonon - Compenso da 51mila euro per un incarico di cinque mesi
Sono Fabio Gusso del Foro di Padova e Sebastiano Tonon di quello di Venezia gli avvocati ingaggiati dal Comune per affiancare il sindaco nella "battaglia" sulla Ferriera. L'incarico, che impegnerà i due professionisti dal 15 gennaio al 30 giugno 2018, prevede «la promozione - si legge nel contatto stipulato tra l'amministrazione e i legali - di atti rivolti alla risoluzione delle problematiche sanitarie ed ambientali lamentate dalla cittadinanza relative alla Ferriera di Servola derivanti dall'area a caldo». «L'obiettivo è l'incisività, - sottolinea Dipiazza - io ho dato l'indirizzo politico, chiesto di cercare dei professionisti che mi potessero affiancare su questo tema e gli uffici hanno provveduto ad individuarli». Nella delibera di giunta approvata il 21 dicembre scorso, si specifica che i due avvocati sono stati scelti ad intuitu personae, prendendo dunque in considerazione le qualità personali, professionali dei due legali. Si specifica inoltre che a fine novembre, facendo riferimento proprio all'attivita di consulenza legale al sindaco in merito alla Ferriera, era stata richiesta la disponibilità a fornire un supporto legale anche all'Avvocatura del Comune. Cosa che non è stata possibile visto soprattutto l'elevato numero di contenziosi in essere (1096) e che l'Avvocatura si trova ad affrontare. La collaborazione di Tonon e Gusso - per la quale è previsto un compenso di 51mila euro (comprensivi di Iva, ritenute fiscali e previdenziali di legge, piu' oneri previdenziali) - prevede una serie di attività che si articolano secondo una scaletta indicativa che prevede - come inserito nello schema disciplinare di incarico - quattro fasi. La prima, della durata di 15-30 giorni, servirà allo studio della documentazione e dello stato di fatto delle iniziative già avviate dal Comune. Ulteriori 30-40 giorni, la seconda fase, saranno utili alla redazione delle diffide, di atti stragiudiziali e delle comunicazioni occorrenti per dare seguito alle iniziative già avviate dall'amministrazione comunale e per l'avvio delle eventuali ulteriori iniziative stragiudiziali che verranno eventualmente individuate. La terza fase della durata di una novantina di giorni, servirà invece ai due professionisti veneti all'elaborazione e alla messa in atto di ulteriori contromosse. L'ultimo step prevede la redazione di una relazione sullo stato di fatto della vicenda, corredata da un parere legale con indicazione di alcune possibili evoluzioni della situazione e di determinare azioni legali che, all'occorrenza, potrebbero venire promosse. L'incarico prevede anche la partecipazione di Gusso e Tonon ad alcuni incontri. Sebastiano Tonon, 47 anni, è stato componete della Commissione consultiva del Settore politiche ambientali della Provincia di Venezia, collaboratore dell'Ispra, organismo tecnico del ministero dell'Ambiente. È stato chiamato anche a supporto dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia per i contenziosi civili e penali interessanti la materia ambientale. Fabio Gusso, una specializzazione in diritto ed economia dei mercati finanziari presso la scuola di formazione Ipsoa, tra le sue competenze indica fusioni e acquisizioni, diritto societario, finanziamenti, contrattualistica commerciale, diritto amministrativo dei servizi pubblici, procedure competitive e concorrenza, immobiliare e transazioni.
Laura Tonero
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 27 dicembre 2017
Tuffi non più proibiti dopo dodici anni a Porto San
Rocco - Revocata l'ordinanza del 2005 che vietava la balneazione nel tratto di
mare davanti alla spiaggia del comprensorio
MUGGIA - Lo specchio acqueo davanti alla spiaggia di Porto San Rocco torna a
disposizione dei bagnanti. Dopo 12 lunghi anni di attesa la Capitaneria ha
deciso di revocare l'ordinanza risalente al 2005 che aveva di fatto vietato
l'accesso al mare di uno dei tratti più belli del litorale muggesano. L'area in
questione era interdetta alla balneazione in seguito appunto a un'ordinanza,
firmata dall'allora comandante Paolo Castellani, in cui si evidenziava come
proprio «nello specchio acqueo antistante il tratto di litorale prospiciente la
zona verde e il parcheggio pubblico di Porto San Rocco» risultassero essere
presenti «alcuni residui in ferro sommersi affioranti dal fondale del mare». Per
12 anni, quindi, non essendo stata mai eseguita una bonifica di tali residui
ferrosi, l'area è rimasta ufficialmente off-limits, anche se quasi sempre i
bagnanti hanno continuato a usufruire della zona, rischiando peraltro di
incappare in una sanzione pecuniaria che ai sensi dell'articolo 1164 del Codice
della navigazione va dai 100 ai 1000 euro. Durante la scorsa estate
l'ingombrante e pericolosa presenza di materiale ferroso era tornata agli onori
della cronaca, essendo visibile uno spuntone di ferro affiorante dal mare, in
particolar modo nelle giornate di bassa marea. Per cercare di porre rimedio alla
situazione era intervenuta la Scuba Tortuga, l'associazione sportiva subacquea
muggesana che si era proposta, tramite i suoi volontari, di ripulire
gratuitamente l'area inquinata. Dalla Capitaneria, però, era arrivato il diniego
ad operare in quel tratto di mare. Nel corso di un colloquio avvenuto nel mese
di giugno con i rappresentanti della Scuba Tortuga e con Francesco Pilato,
quest'ultimo nelle vesti di rappresentante del Supercondominio di Porto San
Rocco, anch'esso interessato alla bonifica dell'area, il comandante della
Capitaneria, il capitano di vascello Luca Sancilio, aveva sostenuto di aver
negato il permesso alla pulizia dei fondali perché la presenza di un centinaio
di subacquei in acque interdette per presenza di elementi ferrosi, spuntoni e
altro, avrebbe potuto costituire un pericolo, anche in considerazione del fatto
che i subacquei potevano non essere perfettamente al corrente dello stato dei
fondali. Quasi contemporaneamente, però, Sancilio aveva inviato a Comune e
Autorità portuale una nota con la quale invitava i due enti a verificare lo
stato dei fondali e a rimuovere eventuali rifiuti ferrosi. L'Autorità portuale
aveva quasi immediatamente affidato ad un'impresa di lavori subacquei le
operazioni di taglio e rimozione di elementi metallici depositati sul fondale.
Una volta bonificata l'area, la Capitaneria, a seguito dei lavori eseguiti, ha
revocato la vecchia ordinanza 35 del 2005. «Mai più avremmo pensato che in
pochissimi mesi Capitaneria, Autorità portuale e Comune, lavorando in sinergia,
avessero risolto un problema che si trascinava da oltre 12 anni: a tutti questi
soggetti pubblici e in particolare al comandante della Capitaneria Luca Sancilio
va il nostro ringraziamento», le parole di Marco Russo, presidente della Scuba
Tortuga.Raggiante anche il sindaco di Muggia, Laura Marzi: "È un altro grande
passo nella direzione dello sviluppo turistico della costa, che ci stiamo
impegnando a portare avanti su più fronti. Un valore aggiunto per tutta la
comunità, che si sta riappropriando, passo a passo, di tutta la sua zona a mare.
Un valore aggiunto anche nell'ottica del rilancio in chiave turistica di Porto
San Rocco, che ben si inserisce nel progetto di riqualificazione che lo sta
interessando».
Riccardo Tosques
Torna la minaccia dell'ailanto nei parchi - La pianta
infestante si diffonde. Il Comune: «Stiamo valutando le contromisure assieme ai
tecnici»
Nonostante il taglio effettuato mesi or sono, tornano, sempre più numerosi,
a far capolino nella parte nord del frequentatissimo Giardino Pubblico, gli
inquietanti Ailanti, alberi pericolosamente infestanti che continuano a
conquistare porzioni di territorio ai danni degli altri vegetali. Di piante
aliene che invadono orti, giardini e boschi se ne parla ormai da tempo, eppure
enti preposti e amministrazioni sembrano trascurare o minimizzare un problema
che va di pari passo con quei cambiamenti climatici che già oggi impongono
scelte di vita penalizzanti. L'Ailanto è uno di quegli alberi che, giovandosi
del caldo torrido estivo, sta colonizzando città, versanti collinari, periferie
più o meno degradate. A Trieste non occorre girare tanto per imbattervisi. Basta
osservare quel mini boschetto che, nella parte a monte del centralissimo
giardino pubblico "Muzio de Tommasini", spunta sulla superiore via Volta. Già
nel dicembre dello scorso anno, proprio da queste pagine, era partita la
segnalazione della presenza dell'Ailanto nel principale parco cittadino con le
osservazioni di Livio Poldini, professore emerito del Dipartimento di Scienze
della Vita dell'ateneo triestino, a evidenziare la nocività di questa pianta
infestante originaria dell'Asia. Il Comune, qualche tempo dopo la segnalazione,
ha avuto modo di perfezionare il taglio della macchia di ailanti che
prosperavano in una zona defilata del giardino pubblico. Purtroppo l'intervento
non è servito: negli ultimi mesi gli alberi tagliati sono tornati a nuova vita,
se possibile ancora più robusti e alti. Una delle caratteristiche dell'Ailanto è
di riprodursi negli spazi più accidentati e degradati. A Trieste lo si trova
oramai dovunque. Originario della Cina, venne introdotto nel XVIII secolo per
realizzare dei nuovi allevamenti di baco da seta dimostratisi non redditizi.
Abbandonata la cultura, l'Ailanto ha continuato a riprodursi sino a diventare
quel pericolo pubblico odierno che botanici e forestali continuano a denunciare.
«Una vera e propria macchina da guerra vegetale che fa il vuoto attorno a sé -
rincara il professore Poldini - e che ormai troviamo dovunque. Ogni Ailanto
maturo produce annualmente oltre 250. 000 semi! A favorire la sua diffusione, il
clima caldo che oramai caratterizza le nostre estati». Come neutralizzare questo
infestante? «È necessario tagliare la pianta sinché non indebolisca e muoia».
Per il Comune risponde l'assessore ai Lavori Pubblici Elisa Lodi: «Il problema è
noto e ci stiamo lavorando. Purtroppo non è di facile risoluzione, e il nostro
tecnico forestale sta valutando diverse ipotesi di intervento. Non sono ancora
in grado di fornire dei tempi, tuttavia la questione rimane assolutamente sotto
il nostro obiettivo».
Maurizio Lozei
GREENSTYLE.it - MARTEDI' 26 dicembre 2017
Come riciclare i rifiuti di Natale?
Le feste di Natale possono rappresentare un’occasione per dimostrarsi amici dell’ambiente, anche attraverso un corretto smaltimento dei rifiuti. Questo perché le cene in famiglia o con gli amici rischiano di trasformarsi in uno spreco di materiali riciclabili: secondo un’indagine statunitense il periodo natalizio fa registrare un incremento medio della quota “secco” o “indifferenziato” pari al 25%.
Non sono soltanto i normali rifiuti a preoccupare, ma anche quelli tipicamente associati al Natale. Tra questi luci e decorazioni, tappi di spumante e in diversi casi piatti, bicchieri e posate usa e getta acquistate per l’occasione. Meglio agire per tempo, selezionando prodotti facili da smaltire attraverso la raccolta differenziata e preparando prima dell’arrivo degli ospiti i vari secchi e sacchetti per ciascun materiale da riciclo (consultare per l’esatto conferimento la locale azienda di smaltimento e recupero).
Umido
Può sembrare un paradosso, ma anche una tra le più facili materie da smaltire come l’umido può finire impietosamente nell’indifferenziata. Accade soprattutto quando si utilizzando piatti e bicchieri di plastica usa e getta: gli eventuali avanzi di cibo presenti tendono a finire nel secco insieme ai loro contenitori, rappresentando un inutile spreco di risorse (che potrebbero diventare bioenergie o compost). Tenendo a portata di mano un sacchetto dell’umido e, soprattutto, ricorrendo alle stoviglie tradizionali, anche i più “scettici” saranno portati a separare gli avanzi da piatti e bicchieri. Discorso simile vale per i pezzetti di cibo rimasti sulla tovaglia, che spesso finiscono per l’essere gettati sul pavimento per poi essere raccolti con la scopa: così facendo però verranno mescolati a sporco e polvere, costringendo quindi a gettarli con gli altri rifiuti secchi nell’indifferenziata; con un po’ di attenzione si potranno far cadere direttamente nel sacchetto della frazione umida, minimizzando così il problema. Andranno conferiti nella frazione umida anche i tovaglioli di carta entrati a contatto con la frazione umida o utilizzati per pulirsi durante il pasto.
Piatti, bicchieri e posate “usa e getta”
Non è mai sbagliato ricordare che piatti, bicchieri e posate “di plastica” in
realtà devono essere conferite con l’indifferenziata e non con la plastica. Il
materiale di cui sono composte non è riciclabile insieme con altri rifiuti
precedentemente utilizzati come contenitori. Stesso discorso vale anche per
alcuni oggetti particolari come le palle dell’Albero di Natale o le lampadine
delle luminarie.
Luci e decorazioni
Entrando quindi nello specifico per quanto riguarda le luminarie, le luci
utilizzate durante le festività devono essere smaltite come rifiuti elettronici
e non gettate nell’indifferenziata o nella raccolta vetro. Come ricorda il
consorzio Ecolamp questi prodotti fanno parte del gruppo di RAEE noto con la
sigla R4, come tali quindi necessitano di essere conferite presso un’isola
ecologica o un apposito centro di smaltimento. Alcuni indirizzi di punti di
raccolta sono forniti dallo stesso consorzio attraverso il sito Internet
www.ecolamp.it/centri-raccolta.
Falsi amici e consigli utili
Dovranno finire tra i rifiuti inseriti nella raccolta indifferenziata, pena la
potenziale compromissione della “differenziata” erroneamente associata, anche
alcuni “falsi amici” come piatti e bicchieri di cristallo, prodotti in pyrex o
vetroceramica, così come ad esempio elementi in ceramica tra cui pirofile,
statuette del presepe, tazze e tazzine.
Secondo Tom Carpenter, direttore dei servizi di sostenibilità presso la Waste
Management, nel preparare i contenitori di prodotti ormai consumati non è
necessario che siano puliti alla perfezione e lavati con acqua, basterà
semplicemente togliere quanti più residui possibile con una posata: il rischio è
altrimenti uno spreco idrico superiore a quello generato dalla mancata pulizia.
Altro possibile motivo di “confusione” è il simbolo con le tre frecce
solitamente associato riciclo, presente su alcuni contenitori realizzati con
miscele in resina e in cui tale disegno serve unicamente per indicare il codice
di riferimento e non l’effettiva possibilità di recupero.
Ultima nota in merito alla carta da regalo utilizzata per incartare i pacchi natalizi. Spesso si tratta di fogli trattati e resi lucidi attraverso processi che ne rendono impossibile il riciclo. Meglio utilizzarne di prodotti con carta riciclata o magari utilizzare fogli di giornale per nascondere un dono atteso e gradito, così da aumentare ulteriormente la sorpresa in chi scarterà il pacchetto.
Claudio Schirru
IL PICCOLO - DOMENICA, 24 dicembre 2017
La Slovenia vince la battaglia per salvare le api
BELGRADO - Inquinamento, pesticidi e parassiti stanno mettendo a rischio le
api in tutto il mondo. Ma i piccoli insetti hanno da mercoledì un alleato a
sorpresa. È la Slovenia, che ha vinto una lunga e sentita battaglia per
sensibilizzare il mondo intero sull'importanza delle api, non solo per la
produzione di miele, ma soprattutto come impollinatrici. Vittoria che si è
concretizzata con il voto dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, dove 115
Paesi hanno recepito la proposta di Lubiana, nata da un'idea dell'Associazione
degli apicoltori sloveni, di dichiarare il 20 maggio «Giornata internazionale
delle api». Paesi - tra cui vi è la Cina, gli Usa, la Russia e tutti gli Stati
membri dell'Ue - che si sono così impegnati a «osservare» il giorno dedicato
alle api «attraverso educazione e attività pensate per aumentare la
sensibilizzazione sull'importanza delle api e di altri impollinatori, sulle
minacce che incombono e sul loro contributo a uno sviluppo sostenibile», ha
specificato l'agenzia di stampa slovena, Sta. Venti maggio, è stato precisato,
che è stato scelto sia perché in quel periodo dell'anno maggiore è l'attività
delle api nell'emisfero boreale, sia perché è la data di nascita del pioniere
dell'apicoltura nell'impero austro-ungarico, lo sloveno Anton Jansa (1734-1773).
Per Lubiana «la dichiarazione sulla Giornata delle api è primariamente un
obbligo», ha commentato il ministro sloveno dell'Agricoltura, Dejan Zidan,
«vogliamo fare di più per la protezione delle api e altri impollinatori» e per
la difesa «della biodiversità», ma anche per la lotta «alla fame» nel mondo,
dove un terzo del cibo prodotto a livello globale dipende appunto dal lavoro
d'impollinazione delle api. In Slovenia sarà anche aperta un'Accademia
internazionale d'apicoltura
s.g.
IL PICCOLO - SABATO, 23 dicembre 2017
«La prima pietra del Parco del mare entro la fine 2018»
- Paoletti fiducioso: «Iter amministrativo chiuso in estate» - Il Municipio
valuterà se ricorrere a una variante al Prg
Comune, Camera di commercio, Autorità portuale definiranno tra la fine di
gennaio e l'inizio di febbraio un accordo di programma, che costituirà la base
amministrativa per avviare il Parco del mare. Il documento, sul quale sono al
lavoro gli staff tecnici degli enti interessati, dettaglierà e ripartirà gli
interventi da eseguire. In particolare, il Municipio valuterà - ha riferito
l'assessore all'Urbanistica Luisa Polli - se ricorrere o meno alla variante al
Piano regolatore. L'altra mattina Antonio Paoletti, presidente della Camera di
commercio e principale assertore del progetto, ha accompagnato il sindaco
Roberto Dipiazza in un sopralluogo sul sito "candidato" ad accogliere il Parco
del mare: siamo nell'area ex Cartubi ed ex PortoLido, vicino alla Lanterna e al
"Pedocin" in molo fratelli Bandiera. Il progetto PortoLido, che era stato
lanciato da Italia Navigando (agenzia del ministero dello Sviluppo Economico), è
rimasto al palo e la controllata "Trieste Navigando", detentrice della
concessione deliberata dall'Autorità portuale, è stata acquisita dalla Camera di
commercio e dalla partner Fondazione CrT. Paoletti è parso fiducioso sul decollo
di un'iniziativa che, per una ragione o per l'altra, ha fatto discutere ed è
stata al centro del dibattito politico triestino. Il presidente camerale ritiene
possibile «sia la posa della rituale prima pietra entro la fine del prossimo
anno che l'espletamento dell'iter amministrativo entro l'estate 2018». Il clou
della procedura - ha riepilogato Paoletti - si sostanzierà in un bando integrato
che conterrà progetto, costruzione, gestione (perlomeno fino al rientro
dell'investimento effettuato nello spirito del project financing). La struttura
finanziaria dell'operazione resta confermata in 44 milioni di euro: la metà sarà
a cura di Camera, Fondazione, Regione Fvg, l'altra metà dovrà essere la dote
dell'investitore privato. Costa Edutainment, gerente dell'Acquario di Genova,
pare una possibile candidata, ma Paoletti non esclude la partecipazione di più
cordate alla gara. «Abbiamo ricevuto parecchie richieste per visitare il sito»,
gli piace chiarire. Il sopralluogo sembra aver ulteriormente convinto Dipiazza.
Nel senso che «è una delle zone più degradate di Trieste, se non la più
degradata». Quindi - sostiene il sindaco - chi si oppone al Parco del mare,
vuole lasciare nello sfacelo una zona centrale, affacciata sul mare, «che
diventerà un importante attrattore turistico». «Come si fa a dire - s'infervora
il primo cittadino - che il Parco del mare rovinerà un'area che oggi giace nel
completo abbandono?».Il Parco del mare consta essenzialmente in un grande
acquario. Un paio di anni fa la Fondazione aveva affidato al gruppo Acb uno
studio preparatorio dell'operazione. Studio che aveva esaminato tre scenari: la
proposta di Peter Chermayeff, l'ipotesi Lisbona, una versione ridotta che è poi
servita come "filo rosso" per le mosse successive. Comunque gli importi sono
significativi: 19 milioni per gli interni e gli impianti, quasi 16 milioni per
la realizzazione edile, poco meno di 4,5 milioni destinati alla progettazione. A
regime una settantina gli addetti.
Massimo Greco
«Duino Aurisina rischia la paralisi edilizia» - Comune
e agricoltori puntano il dito contro il Piano paesaggistico della Regione che
blocca di fatto ogni ampliamento
DUINO AURISINA - Niente ampliamenti di ville e appartamenti, nonostante il
Piano casa. Nessuna possibilità di ingrandire e ristrutturare costruzioni
dedicate alle attività agricole e alla viticoltura, stalle, depositi di
attrezzi. Rischia di bloccarsi quasi del tutto l'attività edilizia nel Comune di
Duino Aurisina. È questa la diretta e inattesa conseguenza dell'adozione, da
parte della Regione, del Piano paesaggistico per il Friuli Venezia Giulia. Un
documento che ha messo in allarme l'intera amministrazione comunale e
l'Associazione agricoltori del Carso. «Dovessimo applicare alla lettera il
dettato del Piano - spiega l'assessore per i Lavori pubblici, Lorenzo Pipan - il
95% della superficie del nostro territorio comunale ne sarebbe coinvolta, con la
drammatica conseguenza di un'immediata interruzione di numerose attività
economiche, in primis quella edile e quella legata all'agricoltura. Invece di
pensare alla valorizzazione del territorio - aggiunge - qui si va verso il
congelamento di qualsiasi progetto». Una reazione che vede l'esponente della
giunta sulla stessa linea di Edi Bukavec, segretario dell'Associazione degli
agricoltori del Carso: «Innanzitutto lamentiamo il fatto di non essere stati
convocati preventivamente - protesta Bukavec -, perché avremmo potuto esporre le
nostre ragioni prima di vedere adottato questo Piano. In secondo luogo -
prosegue - questo documento ci preoccupa perché va a condizionare l'intero
sviluppo del territorio del Carso».Il segretario dell'Associazione agricoltori,
da tempo impegnato nella battaglia per il recupero di aree dell'altipiano da
destinare alla viticoltura («bisognerebbe unire le forze di tutti i Comuni
coinvolti - precisa su questo fronte - per rinnovare il protocollo che
disciplina le attività legate alla produzione del Prosecco»), ha espresso le sue
ragioni in relazione al Piano paesaggistico regionale nel corso di un incontro
che ha visto presenti, fra gli altri, il sindaco di Duino Aurisina, Daniela
Pallotta, il suo vice, Walter Pertot, e l'assessore Andrea Humar. «Chiediamo
anche l'istituzione di uno Sportello - sottolinea Bukavec - al quale gli
agricoltori si possano rivolgere per qualsiasi autorizzazione necessaria per lo
svolgimento dell'attività, in modo da snellire la burocrazia».«Va ricordato -
riprende Pipan, tornando al Piano paesaggistico - che negare il diritto ad
ampliare, nelle aree che il Piano regolatore definiva edificabili,
significherebbe per l'amministrazione perdere un notevole gettito Imu. I
proprietari - continua l'assessore - non sarebbero più tenuti a versare le
aliquote maggiori, perché i loro terreni perderebbero la qualifica di
edificabili».«Scriverò alla presidente Serracchiani - annuncia intanto Pallotta
- per chiedere un incontro e cercare di chiarire questa complicata situazione».
Ugo Salvini
PISINO - Una mangiatoia per salvare dall'estinzione il
gipeto barbuto
PISINO - Anche in Croazia il gipeto barbuto uccello rapace della famiglia
Accipitridae noto anche come avvoltoio barbuto o avvoltoio degli agnelli, è in
pericolo di estinzione. Si calcola che ne siano rimaste in vita poco più di un
centinaio di coppie adulte e la drastica riduzione viene attribuita
all'abbandono delle forme tradizionali di agricoltura e alla riduzione
dell'allevamento estensivo. In questo modo si sono ridotti sensibilmente la
quantità di cibo disponibile e la superficie del loro habitat. In Istria per
correre ai ripari, sul Monte Maggiore è stata costruita una mangiatoia per il
gipeto barbuto poichè è risaputo che nel periodo dell'annidamento e nel primo
anno di vita questo rapace ha necessità di una fonte sicura e affidabile di
cibo. Come spiega il direttore del Parco del Monte Maggiore Egon Vasilic, la
mangiatoia è stata realizzata con i mezzi della donazione del Fondo per
l'ambiente.
(pr)
IL PICCOLO - VENERDI', 22 dicembre 2017
Ue: 84 milioni di aiuti illegali per l'Ilva - Chiusa
l'indagine dell'Antitrust. Calenda: soddisfatto, cifra contenuta. La commissaria
Vestager: «Avanti con la bonifica»
ROMA - L'Italia dovrà recuperare dall'Ilva 84 milioni di euro di aiuti di
Stato illegali, sugli oltre 2 miliardi di interventi messi in campo dal Governo
italiano dal 2014. Una cifra che lascia il ministro dello Sviluppo economico
Carlo Calenda molto soddisfatto, e che mette fine all'indagine approfondita che
la Commissione europea aveva aperto a gennaio 2016. Restano ora aperte la
procedura per aver disatteso le norme ambientali, di fatto in stand-by in attesa
della vendita, e l'esame dell'operazione di fusione con Arcelor Mittal, che deve
terminare entro il 4 aprile 2018. Intanto, ieri al Mise è stato convocato un
nuovo tavolo per riprendere la discussione con i sindacati sul piano industriale
dell'acquirente, mentre Bruxelles invita a procedere senza ritardi
nell'operazione di bonifica. L'indagine della Commissione riguardava cinque
misure di sostegno, per un totale di 2,4 miliardi. Soltanto due interventi
«hanno conferito all'Ilva un vantaggio indebito», nel 2015, cioè nel periodo
dell'apertura della procedura d'insolvenza. Illegali sono le condizioni
finanziarie di una garanzia statale su un prestito di 400 milioni di euro e di
un prestito pubblico di 300 milioni.«Tali importi sono stati utilizzati per
finanziare il fabbisogno di liquidità dell'Ilva relativo alle sue attività
commerciali e non per sopperire ai costi della bonifica ambientale. Entrambe le
misure sono state concesse a condizioni più favorevoli rispetto alle condizioni
di mercato e hanno avvantaggiato l'azienda rispetto agli altri produttori di
acciaio dell'Ue, che devono finanziare a proprie spese le operazioni correnti e
gli interventi di ristrutturazione», scrive la Ue. L'Ilva deve ora rimborsare
circa 84 milioni di euro di aiuti (interessi esclusi), corrispondenti alla
differenza tra le condizioni finanziarie del prestito e della garanzia di cui ha
beneficiato, e le condizioni prevalenti sul mercato. Il rimborso rimane una sua
responsabilità, e non può essere trasferito al nuovo acquirente. Per quanto
riguarda però il resto del sostegno, gli oltre 2 miliardi «non si qualificano
come aiuto di stato perché sono in linea con le condizioni del mercato, o perché
non coinvolgono fondi pubblici». Come gli 1,1 miliardi che i proprietari
dell'Ilva hanno trasferito alla società nel giugno 2017 e destinati alla
bonifica. Bruxelles riconosce poi che la procedura di vendita degli attivi di
Ilva «si è svolta in modo aperto, corretto e trasparente». La «grande
soddisfazione» di Calenda non è quindi solo per la cifra ridotta degli aiuti da
recuperare, ma anche «per il riconoscimento che la Commissione ha voluto
esprimere sulla conduzione da parte del governo italiano del processo di gara».
E la ritiene «una tappa significativa di un percorso lungo e complesso per
garantire il futuro del più grande sito siderurgico europeo». Da parte sua la
commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager ricorda che l'indagine sugli
aiuti non ha intralciato in alcun modo gli interventi di bonifica.
IL PICCOLO - GIOVEDI', 21 dicembre 2017
L'auto elettrica corre in Fvg - Piano Enel per 252 stazioni - Su scala nazionale previste 14 mila colonnine per la "ricarica"entro il 2022
In provincia di Trieste saranno 44. Asse con i Comuni e
le Regioni -
il piano nazionale ENEL per l'auto elettrica
TRIESTE - La rivoluzione dell'auto elettrica arriva anche in regione. Il
piano nazionale dell'Enel si propone di distribuire in modo uniforme nel Paese
le colonnine elettriche, simbolo del nuovo paesaggio urbano senza benzina. Un
flusso silenzioso di auto e mezzi pubblici che si ricaricherà grazie a 7mila
centraline entro il 2020 con l'obiettivo di arrivare a quota 14mila entro il
2022. Di fatto si ripresenta lo stesso scenario avvenuto con le rinnovabili che
una decina di anni fa sembravano un business di nicchia mentre oggi con una
produzione di 20mila megawatt solo in Italia diventano realtà e infrastruttura
nel Paese. La crescita della mobilità elettrica sembra inarrestabile anche se
siamo ancora all'inizio. Secondo la società di consulenza globale AlixPartner da
una quota di mercato frazionale (solo lo 0,21%) nel primo trimestre del 2013 si
è passati all'1,19% dei primi tre mesi di quest'anno. Nello stesso periodo di
tempo il numero di veicoli elettrici venduti è passato da 41.023 a 260.411. Le
colonnine di rifornimento elettrico oggi nel Paese sono relativamente poche
(circa 900) e distribuite in modo non uniforme. Il gruppo investirà così fino a
300 milioni di euro in 5 anni nella rivoluzione elettrica sulle ruote che nel
giro di qualche anno potrebbe sconvolgere il panorama della mobilità urbana nel
Paese e in Friuli Venezia Giulia. Nel quartier generale dell'Enel confermano
infatti che il piano nazionale per la mobilità elettrica lanciato
dall'amministratore delegato Francesco Starace prevede uno sbarco in forze anche
in Friuli Venezia Giulia. I numeri cominciano a essere importanti: 252 stazioni
elettriche da realizzarsi entro il 2022. Nella suddivisione per province al
primo posto c'è la provincia di Udine con 103 stazioni, segue Pordenone con 75,
Trieste con 44 e Gorizia con 30. Le tipologie di infrastrutture di ricarica che
saranno installate dall'Enel saranno di tipo Quick (con potenze fino a 22kw per
il traffico urbano) e Fast Recharge per i collegamenti extraurbani. Enel propone
tre modelli di ricarica di diversa potenza e con diverse velocità. Le più
rapide, destinate alle strade extraurbane, consentono di fare il pieno di
energia in 20-30 minuti. Le stazioni saranno distribuite non solo sulle strade.
Circa l'80% dei punti di ricarica verrà installato nelle zone cittadine, di cui
il 21% nelle grandi aree metropolitane e il 57% nelle altre città, e il restante
20% circa a copertura nazionale, per garantire gli spostamenti di medio e lungo
raggio, nelle zone extraurbane e nelle autostrade. La nuova colonnina elettrica,
progettata da Marco Susani e Defne Koz, aumenta le possibilità di interazione
con il cliente attraverso wifi e bluetooth: basterà una semplice applicazione.
Il Piano nazionale verrà sviluppato in collaborazione con i Comuni e le Regioni
interessate, dove Enel investirà direttamente nelle infrastrutture di ricarica,
e insieme ai soggetti privati che vorranno partecipare al progetto, con un
contributo da parte dell'azienda che potrà arrivare fino al 65%
dell'investimento. Si punta anche a incentivare i privati: supermercati,
ristoranti, garage. Di recente il gruppo elettrico ha siglato un protocollo
d'intesa con Enel che prevede l'installazione di circa 250 postazioni di
ricarica nei supermercati e centri commerciali dal Nord al Sud. «Siamo
fortemente impegnati a dare all'Italia un contributo decisivo all'evoluzione di
un sistema di mobilità sostenibile. Questo porterà grandi benefici per
l'ambiente, il sistema economico, le imprese e i cittadini. Il mondo energetico
sta attraversando una profonda fase di cambiamento che coinvolge tutti i suoi
aspetti e apre grandi opportunità grazie allo sviluppo di nuove tecnologie, come
quelle legate alla e-mobility, che cambiano le abitudini delle persone,
migliorandone la vita quotidiana all'interno e all'esterno delle aree urbane»,
ha detto Starace.
Piercarlo Fiumanò
Il ministero "blinda" l'ordinanza antibici nel centro
di Muggia - Respinto da Roma il ricorso presentato da tre cittadini - A giugno
2018 tre vie torneranno off-limits per le due ruote
MUGGIA - Il Ministero ha definitivamente bocciato il ricorso proposto da tre
cittadini contro l'ordinanza antibici del Comune di Muggia. Tramite una lettera
inviata al municipio rivierasco, il Ministero delle Infrastrutture e dei
trasporti ha dato dunque ragione all'amministrazione Marzi nella querelle sorta
dopo il ricorso presentato da tre cittadini muggesani - Christian Bacci, Gaetano
Maggiore e Carlo Canciani - contro l'ordinanza dirigenziale del 18 luglio
scorso, con cui la Giunta aveva decretato le nuove regole per la viabilità
all'interno del centro storico. Ma la partita potrebbe non essere ancora chiusa
del tutto. «Stiamo valutando se fare o meno ricorso al Tar del Friuli Venezia
Giulia» conferma Bacci. Sebbene l'ordinanza "della discordia" non sia più in
vigore dal 30 settembre, essendo terminata la stagione estiva, con i divieti che
scatteranno nuovamente dal primo giugno 2018, la lettera spedita dal Ministero
con la bocciatura totale del ricorso presentato dai tre cittadini ha di nuovo
riproposto la questione che aveva fortemente scaldato gli animi in estate.Il
documento, che dallo scorso giugno regolamenta la viabilità del centro storico
inserendo, tra i tanti punti, anche l'obbligo di spingere le biciclette a mano
in tre zone del centro - corso Puccini, via Dante e piazza Marconi - era stato
fortemente contestato dalla sezione muggesana di Fiab Ulisse, l'associazione di
ciclisti presente sul territorio provinciale. Tramite l'ufficio legale
dell'associazione Christian Bacci, Gaetano Maggiore e Carlo Canciani avevano
presentato a luglio un ricorso al Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti
contro l'ordinanza sindacale di Muggia. Inizialmente il Ministero aveva accolto,
seppur con riserva, il ricorso dei cittadini tanto da inviare al Comune una nota
con la sospensione del documento. Una sospensiva peraltro senza tempistiche
precise e con la possibilità da parte dell'amministrazione di appellarsi a
motivi di sicurezza per un eventuale ripristino. E non essendovi, infatti, alcun
pronunciamento, il Comune aveva ripristinato l'ordinanza fornendo delle
controdeduzioni. Dopo aver fornito a Roma i documenti necessari per avvalorare
la necessità di una regolamentazione della presenza delle biciclette in alcune
zone del centro storico il Comune ha ricevuto la risposta da parte del
Ministero: il ricorso proposto da Bacci, Maggiore e Canciani è stato respinto.
Ora i tre cittadini avranno 60 giorni di tempo per farsi valere davanti al Tar
del Friuli Venezia Giulia oppure 120 giorni per presentare un ricorso
straordinario al presidente della Repubblica. Soddisfatta il sindaco di Muggia,
Laura Marzi: «Fa indubbiamente piacere che il Ministero abbia ritenuto che la
nostra ordinanza tuteli la sicurezza di tutti i cittadini e non sia
discriminante nei confronti di alcuna categoria. Siamo consapevoli di non ledere
l'interesse di nessuno, anche perché l'ordinanza in questione è stata modulata
morbidamente attraverso stagionalità e orari precisi. Il parere del Ministero
non fa che confermare quanto di buono fatto».
Riccardo Tosques
Grignano - Muro crolla sulla scalinata del "Sentiero
Natura"
TRIESTE - Le forti piogge di metà dicembre continuano a creare problemi di
stabilità sui versanti collinari triestini. A farne le spese non solo condomini
e case, ma pure quegli antichi percorsi rurali che solcano boschi e valli. Tra
questi, decisamente mal ridotto, è il classico "Sentiero Natura" che dalla parte
alta di Grignano arriva a Contovello, grazie a una splendida e antica scalinata
in pietra che si inerpica attraverso la boscaglia regalando scorci incantati sul
parco di Miramare e sul golfo. Proprio in questi giorni un muretto di
contenimento sovrastante il sentiero è franato sulla scalinata rendendola
parzialmente inagibile. Non sarà purtroppo né il primo né l'ultimo pezzo di muro
che cadrà al suolo: buona parte delle strutture di contenimento dei pastini che
circondano il sentiero sono prossimi a cadere. Umidità e rovesci stanno
letteralmente gonfiando i muretti ed è probabile che altri smottamenti non
tarderanno a verificarsi. I danni sono notevoli e diffusi. Con il dissesto degli
antichi percorsi che dal mare portano al ciglione carsico, scalinate e sentieri
che servivano a pescatori e agricoltori per portare i frutti del proprio lavoro
nelle località carsoline, vanno a perdersi dei brani di storia contadina
tutt'altro che secondari. Nel caso del Sentiero Natura, che tra l'altro culmina
nell'area verde dell'altrettanto antico stagno di Contovello, si rischia di
perdere uno dei percorsi più belli e frequentati dai turisti. Tra questi,
infatti, non sono pochi gli ospiti dell'Ictp che si avventurano lungo questa
direttrice, con potenti obiettivi, per cogliere le bellezze del golfo. Accanto
al sentiero, risulta da tempo accidentata anche la scalinata in arenaria che
dall'inizio del "Natura" collega alla stazione ferroviaria di Miramare e
all'entrata a est del parco. Complessivamente un itinerario che ha pochi eguali
per chi insegue un turismo provinciale alternativo ricco di scorci e attrattive.
(m. l.)
Scatta sabato in Croazia il fermo pesca per l'«azzurro»
- Fino al 15 febbraio
FIUME - Scatterà sabato in Croazia il fermo pesca per sardelle, acciughe e
papaline, misura che dal 2006 viene applicata ogni anno in dicembre. Il
ministero dell'Agricoltura, in accordo con i pescatori professionisti istriani,
quarnerini e dalmati, ricorre al fermo biologico per tutelare le biomasse di
queste tre minuscole specie di azzurro che, grazie ai costi contenuti e alle
proprietà delle loro carni, sono le più acquistate nei mercati ittici delle
regioni orientali dell'Adriatico. Facendo tesoro di quanto avvenuto nel 2016,
quando il malumore di pescatori e Assoconsumatori colse nel segno, il divieto di
pesca è stato stabilito a partire dal 23 dicembre, il che vuol dire che per la
Vigilia di Natale si potrà avere a tavola l' azzurro di piccole dimensioni. Non
tutti in Croazia, dato il tenore di vita, possono permettersi il 24 dicembre di
avere a tavola pesci pregiati. Dopo la pescata (meteo permettendo) a cavallo tra
il 22 e il 23 dicembre il fermo durerà fino al 15 febbraio. In quel periodo
comunque non c'è alcun divieto nelle acque slovene e italiane: le sardelle
arriveranno così comunque a Fiume, anche se a prezzi naturalmente più alti.
(a.m.)
GREENSTYLE.it - MERCOLEDI', 20 dicembre 2017
Metalli tossici per l’uomo: quali sono
La tossicità dei metalli pesanti è una delle principali minacce per la salute dell’uomo e, ancora, dell’ecosistema in generale. Tra questi elementi ve ne sono alcuni in grado di esercitare un effetto tossico diretto, altri invece lentamente si accumulano in animali e piante che fanno parte della nostra catena alimentare, depositandosi poi nei tessuti e negli organi umani. I metalli pesanti sono inquinanti ambientali e la loro tossicità è un problema di crescente importanza per ragioni ecologiche, evolutive, nutrizionali e ambientali. A livello internazionale, sono state intraprese varie misure per controllare e soprattutto prevenire l’esposizione a queste sostanze.
Tra tutti i metalli, sono definiti pesanti quelli che
hanno una densità specifica superiore a 5g per centimetro quadro. In piccole
quantità sono necessari per mantenere una buona salute, ma in dosi maggiori
possono diventare tossici o pericolosi. I metalli a cui siamo esposti sono nel
complesso 35, di questi solo 23 sono definibili come pesanti: antimonio,
arsenico, bismuto, cadmio, cerio, cromo, cobalto, rame, gallio, oro, ferro,
piombo, manganese, mercurio, nichel, platino, argento, tellurio, tallio, stagno,
uranio, vanadio e zinco. Nella maggior parte dei casi, l’eccessiva esposizione a
questi elementi causa astenia e stanchezza eccessiva, danni cerebrali, ai
polmoni, ai reni, al fegato e anomale variazioni della composizione del sangue.
L’esposizione a lungo termine porta in genere a progressiva degenerazione
muscolare e neurologica, con l’insorgenza di sintomi e segni tipici anche di
altre gravi malattie degenerative come la sclerosi multipla, il morbo di
Parkinson, il morbo di Alzheimer e la distrofia muscolare, oltre ai tumori.
Vediamo alcune informazioni sui metalli pesanti più spesso coinvolti in gravi
avvelenamenti e quali sono i sintomi con cui si manifesta l’esposizione.
Arsenico
L’intossicazione, prima acuta e successivamente cronica, si verifica sia per
inalazione che per ingestione. La dose tossica è compresa tra 5 e 50 mg, in
dipendenza del peso del soggetto, mentre quella letale è di circa 120 mg,
corrispondenti a 1-2 mg per chilo di peso corporeo. Tra tutti i composti
dell’arsenico, il più tossico è l’arsenito di sodio, un sale molto solubile.
L’avvelenamento con questo metallo può avvenire per
ingestione. Gli alti livelli di arsenico nelle falde acquifere sono di origine
geologica e di inquinamento da attività industriali, dall’utilizzo di
antiparassitari, diserbanti e fertilizzanti. Il metallo passa anche facilmente
la barriera placentare e l’esposizione del feto è causa di danni anche gravi.
L’eccesso di arsenico viene eliminato per via renale, anche se ci vogliono circa
10 giorni affinché tutte le quantità vengano eliminate dopo una intossicazione
acuta. L’esposizione professionale può essere causa di avvelenamento cronico,
che si manifesta con sintomi dermatologici e neurologici, mentre l’avvelenamento
da gas arsenicali di solito si presenta con la classica triade: dolori
addominali, ittero e sangue nelle urine.
Piombo
L’intossicazione da piombo si presenta di solito con sintomi poco evidenti in
fase iniziale, tuttavia l’esposizione cronica è causa di encefalopatia acuta,
lesioni d’organo irreversibili e deficit cognitivi. Tutte le concentrazioni di
piombo nel sangue hanno effetti negativi sullo stato di salute, anche se il
rischio di deficit cognitivo si manifesta con concentrazioni di piombo nel
sangue maggiori di 10 microgrammi per decilitro. Coliche addominali, stipsi,
tremori e cambiamenti dell’umore si manifestano successivamente, e i segni di
encefalopatia si sviluppano a partire da una piombemia maggiore di 100
microgrammi per decilitro di sangue.
Mercurio
Tra tutti i composti chimici del mercurio, i più tossici sono quelli solubili.
L’80% del mercurio nell’ambiente deriva da fonti naturali, come ad esempio
l’erosione delle rocce, mentre il restante 20% è immesso nell’ambiente ad opera
dell’uomo soprattutto con l’inquinamento industriale. È invece ormai in disuso
l’impiego di questo metallo in agricoltura. Il mercurio che raggiunge falde,
fiumi e mari può trasformarsi in metilmercurio, che entra nella nostra catena
alimentare attraverso il consumo di pesce e vongole. L’avvelenamento acuto
causato da questo metallo si manifesta con gravi sintomi a carico dell’apparato
gastrointestinale, circolatorio, respiratorio e successivamente anche dei reni.
L’esito è spesso funesto. In caso di avvelenamento acuto per ingestione, è
consigliabile la somministrazione di latte e bianco d’uovo, che hanno dimostrato
di essere buoni antidoti, anche se la terapia è comunque di competenza del
medico che potrà decidere di impiegare sostanze che legano con il metallo, come
dimercaprolo, la penicillamina ed il succimer.
Cadmio
L’intossicazione acuta o cronica da cadmio può essere causata sia per inalazione
che per ingestione del metallo. In genere, l’esposizione al cadmio è di natura
professionale e ne sono coinvolti i lavoratori che operano nell’industria che
produce cuscinetti a sfere, accumulatori e cavi elettrici e cellule
fotoelettriche e reattori nucleari. I primi sintomi sono di natura respiratoria,
ma nel caso di esposizione cronica viene coinvolto tutto l’organismo.
Cromo
Sono tossici i composti solubili del cromo, come acido cromico, cromati e bicromati. Anche nel caso di questo metallo, l’esposizione è di solito di natura professionale e sono coinvolti coloro che operano nell’industria delle vernici, inchiostri, cemento ed elettronica.
Francesca Antonucci
IL FATTO QUOTIDIANO - MERCOLEDI', 20 dicembre 2017
Sacchettini per frutta e verdura dal 1° gennaio a pagamento nei supermercati. Il ministero: “No a buste riutilizzabili”
Dovranno essere tutti in plastica biodegradabile e compostabile, ma solo usa e getta e sempre a pagamento. La legge non dice quanto dovranno costare i sacchetti, ma ipotesi circolate in questi mesi parlano di una cifra compresa tra i 2 e i 5 centesimi
Sostenibilità sì, ma solo a metà. Dall’1 gennaio 2018 i
sacchetti che al supermercato usiamo per frutta e verdura dovranno essere tutti
in plastica biodegradabile e compostabile, ma solo usa e getta e sempre a
pagamento. Per gli alimenti sfusi, infatti, le buste riutilizzabili sono
bandite. A mettere nero su bianco il divieto è una lettera con cui il ministero
dell’Ambiente ha risposto ai dubbi della grande distribuzione: ambientalisti e
persone attente al portafogli dovranno mettersi l’animo in pace. Alternative non
ce ne sono a quello che a tutti gli effetti appare l’ennesimo balzello a carico
dei consumatori, nonostante in Europa ci siano supermercati in cui i sacchi
riutilizzabili sono ammessi e incentivati anche per frutta e verdura.
NO SACCHETTI RIUTILIZZABILI PER L’ORTOFRUTTA – La lettera del ministero, inviata
ai responsabili degli uffici legali di Coop, Conad e dell’associazione di
categoria Federdistribuzione, è chiara: “Non viene contemplata la possibilità di
sostituire con borse riutilizzabili le borse fornite a fini di igiene come
imballaggio primario per alimenti sfusi”, scrivono dagli uffici del ministro
Gian Luca Galletti. Così, se al posto delle buste per la spesa in bioplastica
alla cassa si possono usare borse riutilizzabili portate da casa, questo non
vale per i sacchi per confezionare gli alimenti sfusi nei reparti del
fresco.“Anche per un coordinamento con le regole di sicurezza alimentare e
igiene degli alimenti”, è la motivazione addotta dal ministero. Se è vero che
per carne, pesce e latticini l’uso di sacchi riutilizzabili potrebbe creare
problemi, per frutta e verdura la posizione del ministero è più difficile da
comprendere. Basta pensare ai mercati, dove in molti casi frutta e verdura non
vengono insacchettate per tipo e finiscono tutte insieme in un’unica busta.
SACCHETTI RIUTILIZZABILI PERMESSI IN SVIZZERA – A chiedere
all’Italia di ridurre l’uso di sacchetti in plastica tradizionale è l‘Europa. Ma
davvero non ci sono alternative alle bustine usa e getta, seppur biodegradabili
e compostabili? Nelle Fiandre, in alcuni punti vendita delle insegne principali
della grande distribuzione, è stato lanciato dall’associazione dei commercianti
un progetto pilota sull’introduzione di sacchetti riutilizzabili e nella Coop
svizzera in tutti i punti vendita i clienti sono incoraggiati a fare a meno dei
sacchetti in plastica. “Dal 6 novembre mettiamo a disposizione un sacchetto a
rete realizzato in fibra di cellulosa, lavabile e riutilizzabile. Permettiamo
anche ai nostri clienti di portare il proprio sacchetto o contenitore per
l’acquisto di ortofrutta. L’unico presupposto è che esso sia trasparente, in
modo da permettere al personale di cassa di vederne il contenuto. I clienti
possono anche mettere diversi tipi di ortofrutta nelle stesso sacchetto
apponendo più etichette”, spiega Guido Fuchs della Coop Svizzera a
ilfattoquotidiano.it.
“OCCASIONE MANCATA PER RIDURRE I RIFIUTI”- Per ridurre l’uso di bicchieri usa e
getta, la Coop elevetica ha anche sviluppato una tazza termica per le bevande
vendute nei propri punti vendita e ristoranti: “L’adozione di queste tazze che
sono in vendita ad un prezzo vantaggioso viene premiata con un piccolo sconto
sul prezzo della bevanda”, aggiunge Fuchs. E proprio nell’ottica di riduzione
dei rifiuti, la scelta italiana di bandire i sacchetti riutilizzabili per
l’ortofrutta viene vista da alcuni come un’occasione mancata. “Purtroppo,
nonostante le normative europee ci spingano a cambiare stili di vita e di
consumo e a ridurre i rifiuti, leggi nazionali come questa vanno, aldilà delle
buone intenzioni, in tutt’altra direzione”, spiega dall‘associazione dei Comuni
Virtuosi la responsabile Campagne Silvia Ricci, che dal 2010 con l’iniziativa
“Mettila in rete” propone alla grande distribuzione di affiancare ai normali
sacchetti per l’ortofrutta anche delle borse riutilizzabili.
NO DEROGHE E PROROGHE – La lettera del ministero agli operatori della grande distribuzione sgombra il campo anche da altri dubbi. Prima di tutto chiarisce “il divieto di distribuzione a titolo gratuito” delle nuove borse ultraleggere in bioplastica, senza deroghe né esenzioni. Non importa, spiegano dagli uffici del ministro Galletti, qual è il tipo di alimento sfuso, oppure se a confezionarlo sia un commesso o direttamente il consumatore. La legge non dice quanto dovranno costare i sacchetti, ma ipotesi circolate in questi mesi parlano di una cifra compresa tra i 2 e i 5 centesimi. Inoltre, non è chiaro cosa succederà se i supermercati decideranno di sostituire le buste in plastica trasparente con altre di carta: in quel caso i consumatori dovrebbero pagarle? Contattati da IlFatto.it, dal ministero non rispondono alla domanda. La lettera poi dice no a possibili proroghe: il divieto dei sacchettini in plastica trasparente scatterà dall’1 gennaio 2018 e sarà totale. Le scorte accumulate dai supermercati non potranno essere smaltite, ma dovranno essere subito tolte dalla circolazione: questa eventualità, scrive il ministero, “vanificherebbe l’obiettivo della norma volta alla riduzione effettiva del consumo delle borse” in plastica fossile.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 20 dicembre 2017
«La Regione sbarri la strada al rigassificatore» -
L'appello di Legambiente alla giunta Serracchiani per cancellare definitivamente
l'ipotesi impianto
«Per chiudere definitivamente con l'impianto di rigassificazione nella baia
di Zaule e con il metanodotto Trieste-Grado-Villesse, la giunta regionale deve
chiedere al governo un impegno esplicito contrario a queste opere e quindi in
tempi brevi la convocazione della conferenza dei servizi al Ministero dello
Sviluppo economico». È la richiesta del Circolo Verdeazzurro Legambiente
Trieste, che ieri in una conferenza ha fatto il punto sulla situazione dei due
impianti, chiedendo che Regione e governo si esprimano al più presto in modo
definitivo sui due progetti. È stato anche sottolineato come da un po' di tempo
l'attenzione non sia più puntata sulle due opere, dopo un interesse iniziale che
aveva suscitato un acceso botta e risposta tra pareri positivi e negativi per
mesi. «I cittadini pensano che il rigassificatore sia un progetto morto, ma ha
tutte le autorizzazioni ufficiali - è stato ricordato - nonostante l'espressa
contrarietà generale del territorio, delle amministrazioni locali e delle forze
politiche». Da qui la volontà di Legambiente di mettere la parola fine
all'ipotesi delle strutture, ricordando le parti che in passato hanno espresso
perplessità nei confronti delle due novità. «Come prima cosa gli amministratori
e i parlamentari del Friuli Venezia Giulia - è stato sottolineato - hanno già da
tempo constatato che i due progetti minerebbero lo sviluppo economico di
Trieste, la sicurezza dei cittadini e la salute del nostro ecosistema marino.
Come secondo aspetto, è stato recentemente pubblicato il documento definitivo
della Strategia energetica nazionale, che dichiara come non sia prevista la
realizzazione in Italia di altri impianti onshore, come quello di Zaule, o
offshore, perché quelli attuali sono già in grado di soddisfare le esigenze del
Paese. A suo tempo - rimarcano - il Ministero dello Sviluppo economico aveva
dichiarato che proprio l'impianto di Zaule non era più ritenuto strategico». Ma
secondo Legambiente questi due fattori non bastano, serve un impegno in prima
linea da parte della Regione, «che ora deve confermare la propria "non intesa"
ai due progetti, affinché siano definitivamente cancellati dall'agenda
riguardante il futuro del territorio triestino. È una scelta di cui la Regione
deve farsi carico - concludono - per essere coerente con gli impegni presi con i
cittadini e con quanto più volte affermato».
Micol Brusaferro
Putin dà il via libera a Vucic - Belgrado riesporterà
il gas russo - Su del 15% il metano diretto in Serbia
BELGRADO - La Serbia diventa un Paese "esportatore" di gas, gas russo.
Grazie agli amici di Mosca. È questo uno dei risultati più significativi della
visita in Russia del presidente serbo, Aleksandar Vucic, ieri per due ore al
tavolo del leader del Cremlino, Vladimir Putin. Russia e Serbia, proprio in
occasione della trasferta in terra russa di Vucic - che prima di partire aveva
promesso «buone notizie» in arrivo da Mosca - hanno firmato alcuni emendamenti a
un precedente accordo governativo del 2012 sulle forniture di gas dalla Russia
alla Serbia, che conteneva un espresso divieto di riesportare il metano di Mosca
fuori dai confini nazionali, superandolo. Divieto di utilizzare quel gas «solo
per il mercato serbo» che andrà a cadere, permettendo a Belgrado, fino al 2021 -
anno in cui scadrà l'intesa - di esportare e rivedere il gas russo. Non è
finita. Secondo quanto reso noto ieri da Mosca, la Serbia riceverà quantità di
gas maggiori già a partire dal prossimo anno. Il gigante dell'energia Gazprom,
infatti, ha già messo in conto di aumentare del 15% le esportazioni di metano
verso la Serbia. Secondo la presidenza russa, si tratta della conferma di una
cooperazione in positiva evoluzione con Belgrado, capitale verso la quale già
quest'anno l'export di gas è aumentato del 26%, superando i due miliardi di
metri cubi. Gazprom, nei giorni scorsi, aveva chiuso un accordo anche in
Republika Srpska, l'entità dei serbi di Bosnia, per la costruzione di un
impianto a gas liquefatto nei pressi di Zvornik, costo 70 milioni di euro,
finalizzato soprattutto a usi di riscaldamento e produzione di elettricità, che
potrebbe essere alimentato proprio dal metano in arrivo dalla Russia via Serbia.
Ma Vucic e Putin a Mosca hanno anche discusso d'altro; soprattutto di economia,
uno dei punti-chiave dell'incontro. E di come portare la cooperazione economica
tra i due Paesi «al più alto livello possibile», ha raccontato dopo il meeting
l'agenzia Tass, ricordando che l'interscambio commerciale tra Russia e Serbia è
cresciuto dell'1,3% nel 2016, raggiungendo gli 1,7 miliardi di dollari, mentre a
settembre 2017 la crescita è stata del 26,3%. Mosca, ha promesso Putin,
continuerà a sostenere la Serbia anche sull'agone internazionale, difendendo
«l'integrità territoriale» del Paese, un chiaro riferimento alla questione
Kosovo, da risolvere nell'ambito della risoluzione Onu 1244, ha ribadito il
leader russo. La Serbia, ha detto da parte sua Vucic, rimarrà grata a Mosca sia
per l'appoggio sul fronte Kosovo, sia per aver evitato che il Paese venisse
bollato come «genocida» per Srebrenica, grazie al veto posto a una risoluzione
Onu, sponsorizzata da Londra, dall'allora ambasciatore russo Vitaly Churkin,
morto a febbraio. E la cui vedova, Irina Churkina, ha ricevuto proprio dalle
mani leader serbo un'altissima onorificenza serba postuma. Gratitudine che, per
un Paese lanciatissimo verso l'integrazione nell'Ue ma - come evidente dai
contorni della visita di Vucic a Mosca - molto legato a Mosca, si tradurrà in
azioni concrete. Belgrado, ha infatti ribadito Vucic, mai accetterà di imporre
sanzioni contro la Russia, anche se Bruxelles dovesse chiederlo con rinnovato
vigore. Parole che evidenziano come i rapporti tra Belgrado e Mosca, che ha
assicurato di voler contribuire alla stabilità nei Balcani, si mantengano
ottimi. Rapporti che saranno ulteriormente approfonditi nel 2019, quando Putin
dovrebbe tornare a Belgrado, su invito di Vucic, per l'inaugurazione della
maestosa cattedrale ortodossa di San Sava, a cui la Russia ha contribuito con un
gigantesco mosaico per la cupola.
(s.g.)
Scontro sulla Ferriera - Il Comune ingaggia un pool di avvocati - Incarico ad uno studio di Padova. Spesa di 25mila euro - Le associazioni ambientaliste: «Necessario riaprire l'Aia»
--- leggi il documento delle associazioni e del comune di Trieste ---
Il Comune ha ingaggiato una squadra di avvocati di Padova per azioni legali in tutte le sedi in tema di Ferriera di Servola. E il sindaco Roberto Dipiazza si dice «moderatamente ottimista» sul futuro: «Nei primi mesi del 2018 potrebbero arrivare delle belle notizie. Penso sia ora di iniziare a pensare a un tavolo sul lavoro, perché la consapevolezza della necessità di chiudere l'area a caldo è sempre più condivisa». Sono le principali notizie emerse ieri sera durante la conferenza con cui il Comune e una serie di associazioni ambientaliste hanno tirato le somme dell'attività condotta nel corso dell'anno sullo stabilimento siderurgico. Le sigle presenti erano le sezioni locali di Legambiente, Fare Ambiente e la onlus No Smog. L'adozione dei nuovi consulenti legali, che comporterà una spesa di circa 25mila euro, è stata annunciata a inizio serata dall'assessore all'ambiente Luisa Polli: «Giovedì (domani ndr) approveremo in giunta la collaborazione con un pool di avvocati. Preso atto del fatto che su questo fronte la Regione non intende ascoltare i nostri appelli a un percorso comune, dobbiamo ricorrere a un'interlocuzione più asettica, quella che intercorre tra studi legali». Da qui la scelta di un gruppo di avvocati di Padova, «per allontanarci da pressioni territoriali». Dipiazza ha dichiarato: «Quella in corso è una dura battaglia, ci sentiamo dire dalla proprietà che a inquinare sono gli impianti di riscaldamento e l'autostrada. Ma l'obiettivo del sindaco è la chiusura dell'area a caldo. L'apporto delle associazioni è molto importante. Il mio invito è pensare a un tavolo sul lavoro, perché è giunto il momento di rifletterci. Chiunque vinca le elezioni, i primi sei mesi dell'anno prossimo potrebbero portare a una svolta». Durante la conferenza sono intervenuti il consulente del Comune Pierluigi Barbieri e i rappresentanti delle associazioni: Giorgio Cecco di Fare Ambiente, Lino Santoro e il professor Mario Mearelli per Legambiente, Alda Sancin di No Smog. Gli interventi vertevano sugli impatti ambientali sul benessere della popolazione derivanti dall'attività della Ferriera. A tal proposito è stato prodotto un dossier che verrà inviato a tutti gli enti coinvolti, dai ministeri alla Regione, passando per la prefettura. La richiesta è rimettere in discussione l'Aia e l'accordo di programma che definiscono l'attuale gestione dello stabilimento. Cecco ha dichiarato che «i problemi non si stanno risolvendo. Le segnalazioni continuano ad arrivare. L'unica soluzione è la chiusura dell'area a caldo, anche perché le alternative non sono economicamente sostenibili». Santoro ha ripercorso la storia degli accordi politici dal 2012 a oggi, ricordando come «ancora nel 2013 gli accordi in sede ministeriale avessero come obiettivo la riconversione dell'impianto, entrando anche nel dettaglio della trasformazione dell'area in spazio portuale. Il problema sta nell'ultimo accordo di programma, le cui contraddizioni sono sfociate nell'Aia».Il professor Mearelli si è dilungato sugli aspetti dell'Aia che, almeno in teoria, richiedono un ampio schieramento di analisi sulla salute della popolazione: «Misure in effetti necessarie, ma per le quali l'Aia non prevede ripercussioni in caso di mancata applicazione. Su questo presupposto, l'imperfezione dell'Aia stessa, è possibile chiedere la sua revisione». Sancin di No Smog ha proiettato immagini scattate dai residenti di Servola, ricordando le condizioni di vita nel quartiere e criticando a sua volta l'Aia. Barbieri ha esposto tutto il lavoro compiuto nella raccolta di dati, evidenziando come sia necessario un monitoraggio ben più centrato sull'area di Servola: «Etica pubblica richiede che non si eluda o ritardi la produzione tempestiva di informazione rilevante rispetto alle criticità segnalate dalla popolazione e per cui vi sono fondate ipotesi di severità. L'informazione deve essere utile a prendere decisioni tempestive e a fornire supporto alla cittadinanza per azioni di prevenzione anche in autotutela della salute».
Giovanni Tomasin
Pronti a giugno gli 83 alloggi all'ex Sadoch -
Sopralluogo dell'assessore regionale Santoro in viale Ippodromo. Per l'housing
sociale 71 unità
L'ex Sadoch, convertita a condominio solidale, sarà pronta a giugno 2018. Il
maxicantiere in viale Ippodromo si avvia alla conclusione. A fare il punto sullo
stato dei lavori, ieri, durante un sopralluogo dell'assessore regionale alle
Infrastrutture e territorio del Friuli Venezia Giulia, Mariagrazia Santoro, le
ditte che si stanno occupando dei vari interventi, l'Archest di Palmanova
insieme alla pordenonese Cooprogetti. La parte strutturale è stata completata,
così come gli impianti, e nei primi piani sono già presenti anche piastrelle e
controsoffitti. In totale saranno realizzati 83 appartamenti da un minimo di 70
a un massimo di 100 metri quadrati, 71 riservati all'housing sociale, mentre
sesto e settimo piano, per totali 12 appartamenti, saranno invece messi in
vendita a privati. Nella palazzina, completamente ristrutturata, tenendo conto
anche del vincolo della Soprintendenza per la facciata nord, troveranno spazio
anche due ambienti che gli inquilini potranno condividere, per attività di
aggregazione. Al piano terra e in quello interrato ci saranno i parcheggi, con
un ingresso da viale Ippodromo e uno in via del Pollaiuolo. La vecchia Sadoch,
chiusa oltre 20 anni fa, non verrà stravolta ma recuperata, senza cambiamenti
radicali nell'aspetto esterno. È stata conservata anche l'insegna originale, che
dopo il termine degli ultimi interventi in facciata, sarà riposizionata nella
sua tradizionale collocazione, a ricordo della storica realtà produttiva
triestina. Le ditte hanno sottolineato come la struttura fosse in ottime
condizioni e come sia stato quindi possibile rimodellare l'edificio senza grandi
problemi, nonostante i tanti anni di oblio successivi alla dismissione. «Un'area
della città che per molto tempo ha rappresentato uno spazio di degrado - ha
detto l'assessore Santoro - che oggi rinasce nell'ambito di un'iniziativa
abitativa rivolta a quella fascia di cittadini i quali hanno un reddito troppo
alto per le case popolari e che allo stesso tempo manifestano una difficoltà, o
per ragioni economiche o per l'assenza di un'offerta adeguata, di reperire un
alloggio nel mercato privato». Il Fondo Housing sociale Fvg è un fondo
immobiliare che investe prevalentemente in alloggi residenziali da destinare a
vendita e locazione convenzionate nel territorio regionale. Ad oggi, ha
ricordato l'assessore, gli interventi in corso corrispondono a un totale di 720
nuovi appartamenti.
(mi.br.)
Report Acegas - Differenziato e recuperato il 97 per
cento dei rifiuti
Verde, carta, organico, legno, plastica, ferro, vetro e metallo a Trieste
vengono effettivamente differenziati e il 97% finisce a recupero: è questo il
dato fondamentale che emerge dal report di AcegasApsAmga "Sulle Tracce dei
rifiuti". Il rapporto, giunto all'ottava edizione del Gruppo Hera, e alla quarta
nella multiutility del Nord-est, sfata da tempo il mito secondo cui i rifiuti
vengono conferiti tutti insieme: grazie ad una grafica intuitiva e, da
quest'anno, rinnovata è possibile seguire le tracce delle singole filiere dei
rifiuti e scoprire il percorso che attraversano per rinascere a una nuova vita.Il
documento fornisce un'ampia panoramica sui processi di economia circolare che si
attivano grazie all'impegno dei cittadini e dell'azienda per una corretta
raccolta differenziata: dal materiale immesso nelle filiere del recupero,
all'impatto positivo sui costi del servizio di raccolta. La versione di
quest'anno, che rendiconta i dati della raccolta differenziata del 2016, come
usuale è disponibile sul sito istituzionale con le informazioni di dettaglio,
fruibili anche grazie ai contenuti ricchi di infografiche. È così possibile
avere una visione chiara e immediata delle singole filiere della differenziata,
dei quantitativi raccolti in tutti i territori serviti da AcegasApsAmga e degli
impianti in cui i rifiuti dei triestini vengono mandati a recupero,
rendicontando nella massima trasparenza il percorso compiuto dai rifiuti a valle
dei contenitori.Il rapporto è anche disponibile in versione cartacea ed è
distribuito gratuitamente in questi giorni alla casina di Natale dell'Azienda
presente in piazza Sant'Antonio, insieme ad un kit per la raccolta differenziata
domestica composto da una pratica borsa tripartita e un cestino per la raccolta
differenziata. Nel merito "Sulle tracce dei rifiuti", dà conto dei risultati
raggiunti nell'avvio a recupero da AcegasApsAmga nei territori serviti in Fvg e
Veneto. Complessivamente, nel 2016 l'azienda ha mediamente destinato a recupero
a Trieste il 97% di quanto raccolto in modo differenziato (139 kg/abitante), a
dimostrazione di come gli sforzi di azienda, Comune e cittadini vadano
effettivamente a buon fine.
Trieste invoca lo "sconto" sui ticket online - Pressing
sulla giunta per eliminare la maggiorazione di 25 centesimi prevista per i
biglietti dei bus comprati in rete
TRIESTE - Piero Camber, capogruppo di Forza Italia in Comune a Trieste,
firma la mozione, approvata all'unanimità, che invoca l'allineamento delle
tariffe tra il biglietto dell'autobus acquistato online (1,50 euro), e quello
messo in tasca secondo modalità tradizionali (1,25 euro). La Regione prende atto
e fa sapere di essere pronta a ragionare al ritocco all'ingiù. «Sempre che i
gestori, che avevano imposto quel prezzo - si informa dall'assessorato -,
cambino idea». Il tema emerge a pochi giorni dalla definizione delle tariffe per
il 2018 del Trasporto pubblico locale, servizio ancora provinciale, nell'attesa
che decolli il modello unico in capo a Tpl Fvg Scarl, ancora nel mirino di
Busitalia, azienda nazionale che non accetta il secondo posto nella gara
regionale bandita nel 2014. Nella mozione azzurra si ricorda che in Fvg le
tariffe sono stabilite annualmente con delibera della giunta regionale (accadrà
anche quest'anno, tra Natale e Capodanno), si denuncia che «molto spesso i
biglietti non si riescono a trovare causa orari di chiusura dei rivenditori o
eccessiva distanza degli stessi dalla fermata» e si sottolinea che per questo
nel 2017 è stato introdotto l'acquisto online dei ticket tramite sms o app,
«servizio particolarmente apprezzato a Trieste». Ma la differenza non è da poco:
per il biglietto orario intera rete si spendono 25 centesimi in più via web,
«nonostante le aziende di trasporto non debbano accollarsi nemmeno i costi della
stampa». Di qui, ricordato che l'assessore regionale alle Infrastrutture
Mariagrazia Santoro «si era pubblicamente impegnata all'equiparazione delle
tariffe», la mozione sollecita sindaco e giunta a intervenire affinché il
prossimo anno l'acquisto del biglietto online e attraverso le emettitrici
automatiche sia lo stesso: 1,25 euro. La risposta della Regione? Di
disponibilità. Fermo restando che le aziende del Tpl siano disponibili allo
"sconto" dopo un anno sperimentale servito a verificare l'effettivo interesse
dell'utenza. Tra una decina di giorni, nell'ultima seduta del 2017, la giunta
deciderà nel merito. Un anno fa, con tariffe congelate rispetto al 2015, i
triestini si ritrovarono per la prima volta a pagare il biglietto dell'autobus
(non online) come nel resto della regione: 1,25 anziché 1,35. Novità nel
contesto di un Tpl che ha mantenuto comunque le agevolazioni per chi, lavoratori
e studenti, i mezzi pubblici li deve prendere quasi tutti i giorni. Sempre
l'anno scorso si è chiusa tra l'altro un'epoca storica, quella dell'accesso
gratuito per i minori fino a un metro di altezza, e se ne è aperta un'altra: a
viaggiare senza pagare un centesimo sono tutti gli under 10. Nell'attesa della
delibera di fine anno, è ancora Fi a intervenire sul tema. Il consigliere
regionale Bruno Marini, via interrogazione alla presidente Serracchiani e
all'assessore Santoro, chiede di prevedere la gratuità del tesserino d'identità
di trasporto. «Per il 2017 - rileva Marini - è stato previsto anche che le
aziende possono obbligare gli utenti a munirsi di un documento valido per cinque
anni al prezzo di 5 euro e che tale facoltà è obbligatoria per l'abbonamento
annuale». Trieste Trasporti, Saf di Udine e Atap di Pordenone, prosegue Marini,
«hanno deciso di avvalersi di questo tesserino, anche perché lo ritengono un
indispensabile strumento di prevenzione e di lotta all'evasione tariffaria. È
evidente però che si tratta di un onere aggiuntivo per quegli utenti onesti che
hanno sempre pagato la tessera mensile o annuale e non hanno mai pensato di
truffare le aziende».
Marco Ballico
Reti e new jersey ridisegnano il volto del Porto
vecchio
TRIESTE - L'area sdemanializzata di Porto vecchio, al centro di continue
idee per la sua rinascita, fa parte della città. Un dato di fatto che in questi
giorni viene sancito da una vera e propria barriera che funge da demarcazione
tra la zona comunale e il territorio portuale, ma anche da protezione per
eventuali vandalismi. Gli operai dell'Autorità portuale sono al lavoro per
realizzare tutta la linea, costruita con rete metallica molto resistente e new
jersey, che va dall'inizio, in largo Santos, fino allo sbocco su viale Miramare.
Le tute blu ne stanno realizzando un chilometro e mezzo, per il momento, con 700
dispositivi in calcestruzzo, che vengono installati a partire dall'area del Molo
zero fino all'arco dietro la stazione dei pullman, simbolo che designa l'entrata
nell'antico scalo. La prima parte dell'operazione terminerà in primavera.
«Questa recinzione, molto più efficiente di quella che c'era precedentemente,
cerca di risolvere i problemi di qualche mese fa, quando c'era un via vai
continuo di persone nell'area portuale e comunale - spiega il segretario
dell'Authority Mario Sommariva -. Si tratta di un intervento di messa in
sicurezza per evitare che si possa accedere ai magazzini. Ma si tratta anche di
un intervento più grande, che vede la recinzione come demarcazione portuale e
doganale, anche se la definizione delle due zone è già stata stabilita da tempo.
Abbiamo così limitato gli ingressi nei magazzini, anche quelli di area comunale.
Questa azione l'abbiamo decisa in accordo in una riunione con Prefettura, Comune
e Questura». Tutta la barriera è comunque fisicamente labile - ma non i confini
stabiliti dalle carte tra Comune e Autorità portuale -, si modificherà quando le
proposte di imprenditori, soprattutto stranieri, per insediarsi in Porto
vecchio, diventeranno realtà. «Di questa struttura ci facciamo carico noi,
quando verrà recuperata l'area, potrà cambiare», specifica Sommariva. Da una
parte la protezione, dall'altra una pioggia di studi di fattibilità, business
plan, progetti che stanno scolpendo il futuro del Porto vecchio. Sono tutti al
vaglio del Comune ma anche dalla Regione, che assieme hanno sottoscritto un
accordo di programma: «Ogni cosa deve avere una variante», specifica infatti il
sindaco Roberto Dipiazza. È lui ad accogliere l'andirivieni di possibili
investitori che avanzano prospetti sui 600mila metri quadrati. Ma lo stesso
primo cittadino azzarda qualche sogno. «Immaginate qui degli appartamenti agli
ultimissimi piani dei magazzini, come a Porto Madero, con la vista sul mare,
potrebbe essere un'idea che si realizza in pochi anni». Dal suo viaggio a Buenos
Aires ha colto alcuni spunti, supportati da foto: «Dovete vedere come loro hanno
saputo coniugare il residenziale con il resto delle attività», ha detto ieri
durante l'ufficializzazione della cessione in comodato gratuito della
Sottostazione elettrica alla Fondazione Internazionale Trieste per l'Esof 2020.
E lo ha detto proprio dalla terrazza della Sottostazione elettrica. Ma tutto
potrebbe cambiare ad esempio se Msc decidesse di insediare uno scalo in quella
fetta della città. Allora il residenziale dovrebbe lasciare spazio solo ad
attività commerciali. Tra le future ipotesi c'è anche una scuola di restauro
della Soprintendenza. La sede è il magazzino 20. La volontà è quella di farlo
diventare un centro di raccolta a livello regionale dei reperti archeologici di
competenza dell'ente al fine della catalogazione e del restauro. Il progetto,
ancora in divenire, è condiviso con la Regione e con il Comune e prevede anche
la realizzazione di una scuola di restauro dei beni archeologici al fine della
formazione di esperti nel campo. Il rilancio del Porto vecchio, nella mente del
Comune, passa anche per la Biennale di Architettura di Venezia del prossimo
anno. Perché non inserirvi un pezzetto in Porto vecchio, magari presentando
lavori di ricerca sul recupero dell'area? Il sindaco ha inviato una lettera al
curatore del padiglione Italia, Mario Cucinella. La risposta non è ancora
arrivata, ma da alcune indiscrezioni sembra ci siano ottime possibilità.
Benedetta Moro
La "cittadella" fa gola agli austriaci - Investitori
d'Oltralpe interessati agli spazi oggi in concessione alla Greensisam
TRIESTE - I primi cinque magazzini del Porto vecchio, che fanno parte della
cosiddetta cittadella Greensisam, in concessione a Pierluigi Maneschi, numero
uno del Molo Settimo e di Italia Marittima, sono sotto gli occhi di un gruppo di
austriaci. Ormai Trieste e i vicini d'Oltralpe non riescono più a staccarsi.
Ieri mattina il team di investitori, che per il momento rimane ancora
top-secret, ha presentato un progetto al sindaco Dipiazza, che ha subito inviato
alla Soprintendenza. Questi spazi nella mente dei foresti sono dedicati al
settore residenziale e alberghiero. Ma i sili numero 2A, 2, 1A, 4 e 3 hanno un
futuro fatto anche di grandi parchi. «Confermo che ci sono nuovi potenziali
acquirenti - aveva detto poco tempo fa Maneschi -, austriaci in particolare e
supportati anche da un fondo bavarese, intenzionati a rilevare la maggioranza
della società, mentre io terrei una quota di minoranza». I tempi per eventuali
sviluppi ancora non sono chiari. Anche perché, tra i vari inghippi da risolvere,
ci sono questioni legate alle opere di urbanizzazione e della bonifica del
torrente Chiave che spetterebbero alla parte pubblica e poi non sarebbe ancora
chiaro come si potrà passare dalla concessione alla vendita. Questa parte
dell'antico scalo è stata a lungo sede di tante ipotesi e soluzioni, che fino a
oggi non si sono concretizzate. Trentasettemila metri quadrati che da anni sono
in attesa di qualcuno che creda in un vero progetto e lo finanzi. Ma ci sono
anche novità sul fronte Immaginario Scientifico. I due milioni e 400 mila e
rotti euro che spettavano alla realizzazione dell'ex Meccanografico, in Campo
Marzio, sono destinati ufficialmente al Magazzino 26, quale sede idonea per
l'Immaginario scientifico, che dovrebbe trasferirvisi «sicuramente prima di
Esof, puntiamo al 2019», auspica la direttrice Serena Mizzau. Conferma anche che
i fondi che Miur e Regione hanno promesso verranno mantenuti tali e verranno
quindi traslati per la costruzione della nuova sede. Si parla di 400mila eruo
del Miur che servirebbero per gli allestimenti, e due milioni di euro invece per
la struttura. L'area centrale del Magazzino 26, di circa 3mila metri quadrati,
ospiterà la realtà scientifica che ormai da anni è ubicata a Grignano. «Che
aiuterebbero a non stare più stretti», aggiunge la direttrice. A cui si aggiunge
un centinaio di migliaia di euro del Fondo Trieste. «Sono in atto le procedure
amministrative per rendere questo passaggio possibile - conferma Mizzau -, siamo
fiduciosi».
(b.m.)
Il quartier generale di Esof debutta nella
Sottostazione - Consegnate dal sindaco le chiavi dell'edificio accanto alla
Centrale idrodinamica
Sale lettura e conference room per i componenti della task force del
gruppo Tesi
TRIESTE - Più ufficiale di così non si poteva. Il Comune ha consegnato le
chiavi della Sottostazione elettrica alla Fondazione Internazionale Trieste (Fit).
Sarà il quartier generale di Esof2020 in Porto vecchio. Nell'edificio ubicato
accanto alla Centrale idrodinamica opererà la squadra che organizza l'evento.
Nei suoi locali avranno luogo, in particolare, i lavori di Tesi (Trieste
Encounters for Science and Innovation), il formato messo a punto da una parte
per far aumentare la consapevolezza delle opportunità legate alla manifestazione
che si terrà fra due anni a Trieste e soprattutto nei paesi del Europa
Centro-Orientale, dall'altra di sostenere le proposte che ambiscono a diventare
progetti concreti prima e durante l'evento clou. In particolare Tesi servirà
anche a costruire gli eventi del programma ProEsof, l'insieme di attività che a
partire dal prossimo maggio e nei prossimi tre anni circa segneranno il percorso
di avvicinamento a luglio 2020, quando verrà inaugurato «l'Esof più bello della
storia», ha esclamato Stefano Fantoni, presidente della Fit. La concessione in
uso dell'immobile del Comune alla Fit è stata sancita ufficialmente ieri con la
"consegna delle chiavi" da parte del sindaco Roberto Dipiazza al presidente
Stefano Fantoni, presente anche l'assessore all'Educazione, Università e Ricerca
Angela Brandi. «Esof2020 -ha detto il sindaco Dipiazza- ci porterà sicuramente
una grande visibilità a livello internazionale, perciò abbiamo dato quello che
avevamo di meglio per gli scienziati che verranno a Trieste. È un momento
importante per la città: ieri abbiamo sottoscritto l'accordo con 18 milioni di
euro per Rozzol-Melara e questa mattina gli austriaci hanno presentato il
progetto per cinque magazzini del Porto Vecchio. La città sta correndo come non
mai e siamo tutti uniti sugli obiettivi da raggiungere».«Questa è una delle
giornate più importanti nell'ambito del percorso che ci porterà a Esof 2020 -ha
specificato Fantoni-. Il 14 luglio riceveremo da Tolosa il testimone di Trieste
Capitale europea della scienza e ora abbiamo già il nostro quartier generale
dove lavorare e tutto ciò è davvero molto importante. Da gennaio cominciamo
subito a lavorare qui, in un luogo che pullulerà di persone, con un centinaio di
scienziati ed esperti che stanno aspettando di poter lavorare. È una felicità
essere qua e poter veramente cominciare questa operazione che ci porterà al
2020». Le stanze per lavorare infatti ci sono eccome. La struttura al suo
interno è stata completamente restaurata da tempo. Ci sono librerie, sedie, sale
lettura, tutto arredato con gusto e sobrietà, conservando gli impianti
industriali esistenti e trasformando la struttura in una sede museale (che
resterà comunque aperta e fruibile al pubblico). Tavoli grandi sono a
disposizione di tutte le persone che contribuiranno a realizzare l'evento
importantissimo per Trieste. L'edificio è molto ampio, composto da seminterrato,
piano terra, primo piano, e piano copertura, in parte praticabile, ed è stato
costruito nel secondo decennio del XX secolo. Rappresenta una testimonianza di
estremo interesse del patrimonio storico di architettura industriale, mantenendo
ancora oggi al suo interno le apparecchiature originali. Le geometrie decorative
delle facciate ripetono i caratteri stilistici dell'architetto Giorgio
Zaninovich e ciò ha indotto diversi studiosi ad attribuirgli la paternità
dell'edificio. Il progettista - attivo a Trieste fra il 1902 e il 1923 - lavorò
nell'ufficio tecnico del Governo Marittimo ed entrò in contatto con la
Wagnerschule all'Accademia di Vienna, cogliendone le matrici stilistiche
ispirate alla fusione tra eredità classica rivisitata secondo principio
funzionali ed un rinascimento libero che dialoga con le architetture locali e
con le nuove tecniche costruttive.
(b.m.)
Plastica in mare - Passa la norma anti cotton-fiocc
Il mondo ambientalista esulta: la battaglia contro plastiche e microplastiche in mare sembra ormai vinta con l'approvazione dell'emendamento Pd alla manovra da parte della commissione Bilancio della Camera. Dal primo gennaio 2019 scatterà il divieto di commercializzare e produrre in Italia "cotton fioc" non biodegrabili, e dal 1 gennaio 2020, il divieto verrà esteso ai prodotti cosmetici da risciacquo ad azione esfoliante o detergente contenenti microplastiche. «L'Italia è il primo Paese al mondo a farlo: una vittoria contro il marine litter, a tutela di ambiente e cittadini» commenta Ermete Realacci, il presidente della Commissione Ambiente della Camera che ha firmato questo emendamento ricordando su 46 spiagge italiane il 91% dei rifiuti è fatto proprio dai bastoncini per la pulizia delle orecchie».
Stanziamento da 12 milioni per l'Ogs - Via libera in
commissione Bilancio alla Camera alla proposta Pd per la nuova nave
TRIESTE - La commissione Bilancio della Camera ha approvato un emendamento
alla legge di Bilancio a prima firma Tamara Blazina, deputata Pd, con il quale
vengono stanziati 12 milioni di euro a favore dell'Ogs di Trieste, per
l'acquisto di una nuova nave per la ricerca scientifica nelle aree polari.
L'unica imbarcazione da ricerca italiana che opera in zone polari oggi è l'Ogs
Explora, che però non potrà più essere utilizzata a tale fine dopo il 2019, cioè
dopo l'entrata in vigore del cosiddetto "Polar code".«La nuova imbarcazione -
commenta Blazina - risulta quindi uno strumento fondamentale per continuare a
sostenere la ricerca scientifica italiana, in coerenza con gli obiettivi del
Programma nazionale delle ricerca 2015-2020 e del Programma nazionale in
Antartide. Il finanziamento consentirà l'acquisto di una nave quale
infrastruttura di ricerca scientifica e di supporto alla base italiana
Antartica. Effettuerà attività di ricerca, a partire dalla raccolta di dati
scientifici, e servizi di logistica, incluso il rifornimento dei velivoli che
opereranno a servizio della base. «La disposizione non comporta nuovi o maggiori
oneri a carico della finanza pubblica prosegue - perché è a carico delle
disponibilità dello stanziamento dell'esercizio finanziario 2018 del Fondo
integrativo speciale per la ricerca». Grande soddisfazione per l'approvazione
dell'emendamento è stata espressa anche dalla segretaria regionale Pd Antonella
Grim. «Si tratta di un'altra testimonianza dell'attenzione verso il mondo della
ricerca dimostrata dal governo e dalla sua maggioranza, in particolare i
deputati Pd».
GREENSTYLE.it - MARTEDI', 19 dicembre 2017
Cotton fioc non compostabili: stop da gennaio 2019
È stata recuperata all’ultimo momento la normativa sulla cosmesi ecologica, una legge che si trovava bloccata al Senato. Il testo rischiava di non essere più preso in considerazione a causa della prossima fine della legislatura. Le norme sulle microplastiche nei cosmetici e sui cotton fioc non biodegradabili sono state però riprese grazie ad un emandamento della legge finanziaria.
L’emendamento è stato approvato alla Camera dalla commissione Bilancio e inserisce questo argomento tra quelli che dovranno essere discussi entro la fine della settimana. Sono diverse le novità previste in questo testo, a partire dal divieto di utilizzo di bastoncini per le orecchie non biodegradabili. La legge vieterà le attività di produzione e di messa in commercio dei cotton fioc realizzati con elementi in plastica. I produttori, che dovranno attenersi ai principi della cosmesi ecologica, avranno l’obbligo di indicare sulle confezioni anche dei dettagli precisi su come smaltire i cotton fioc, scrivendo delle diciture chiare sul divieto di smaltimento tramite i servizi igienici. È una normativa importante per evitare che vengono dispersi ancora bastoncini non biodegradabili in acqua, dei prodotti che secondo alcune analisi recenti rappresentano un vero e proprio problema per le nostre spiagge. L’inquinamento prodotto dai cotton fioc è davvero rilevante, considerando il rapporto di Legambiente sull’argomento, che ha messo in evidenza come il 91% dei rifiuti individuati su 46 spiagge del nostro Paese sia rappresentato proprio dai cotton fioc per la pulizia delle orecchie. A partire dal 2018 sarà lo stesso Ministero dell’Ambiente a mettere a punto una campagna di informazione con lo scopo di spiegare le motivazioni alla base di questa scelta e le conseguenze di un cattivo smaltimento dei prodotti non biodegradabili. Nello stesso testo di legge sulla cosmesi ecologica è previsto anche il divieto di utilizzo di microplastiche nei cosmetici, sempre per impedire l’inquinamento delle acque dei mari. L’Onu suggerisce che annualmente vengono riscontrati dei livelli di plastica molto elevati nelle acque di tutto il mondo, corrispondenti a 8 milioni di tonnellate. Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente alla Camera, commentando le nuove norme ha dichiarato: L’Italia è il primo Paese al mondo a farlo: una vittoria contro il marine litter, a tutela di ambiente e cittadini.
Gianluca Rini
Caldaie e pompe di calore: Legge di Bilancio 2018, le novità
Novità in arrivo per caldaie, pompe di calore e interventi condominiali. A introdurli sono due emendamenti alla Legge di Bilancio 2018, approvati sabato dalla Commissione Bilancio della Camera, relativi alle detrazioni fiscali che possono essere sfruttare per migliorare l’efficienza energetica degli immobili. In modo particolare sono interessati dal provvedimento i sistemi di riscaldamento che potranno usufruire dell’ecobonus.
Per quanto riguarda caldaie e pompe di calore sono positive le novità in arrivo con gli emendamenti alla Legge di Bilancio 2018 approvati sabato. Chi deciderà di aggiornare il suo sistema di riscaldamento con un impianto più efficiente manterrà la percentuale di detrazione fiscale al 65%, anziché al 50% come era stato approvato in Senato. Tre sono le possibilità di continuare a sfruttare l’ecobonus più “consistente”, ovvero sostituendo la vecchia caldaia o in generale l’impianto obsoleto con: impianti ibridi costituiti da pompa di calore integrata con caldaia a condensazione di classe A o superiore; generatori d’aria calda a condensazione; caldaie a condensazione di classe A o superiore abbinata sistemi di termoregolazione evoluti (appartenenti alle classi V, VI oppure VIII della comunicazione della Commissione 2014/C 207/02), ovvero termostati abbinati a sistemi modulanti. In caso di installazione di nuove caldaie, l’ecobonus verrà riconosciuto soltanto qualora i nuovi impianti risultino appartenere alla classe A. Venendo invece agli interventi nei condomini, il secondo emendamento porta all’85% (rispetto al precedente 80) la detrazione fiscale massima per interventi sulle “parti comuni” dei condomini i cui effetti risultano sia ridurre il rischio sismico che migliorare l’efficienza energetica. Per poter usufruire della percentuale maggiore di detrazione fiscale i condomini dovranno trovarsi in zone sismiche di livello 1, 2 e 3, l’opzione è alternativa alle altre agevolazioni e prevede due differenti scaglioni: riducendo il rischio sismico di due classi si otterrà uno sgravio dell’85%, se la classe ridotta sarà soltanto una allora la percentuale sarà dell’80%. Confermate le 10 quote annuali di pari importo per il recupero della spesa, il cui tetto massimo si otterrà moltiplicando la quota di 136 mila euro per il numero delle unità immobiliari presenti nel condominio.
Claudio Schirru
COMUNICATO STAMPA - MARTEDI', 19 dicembre 2017
Legambiente chiede che la Regione e il Governo si
esprimano in maniera definitiva contro il progetto di rigassificatore e
metanodotto a Zaule.
Al decreto di compatibilità ambientale del 2009 riguardante il progetto
del rigassificatore di Zaule proposto dalla Gas Natural, si è aggiunto il 12
giugno 2017 analogo decreto per il gasdotto marino della Snam.
È prassi e norma corrente che si eviti di collocare questi impianti in siti
che possano rappresentare un rischio per le popolazioni, un impatto negativo
sulle attività economiche e sull'ambiente. I due progetti sono antitetici allo
sviluppo del territorio di Trieste, cadrebbero in un’area densamente popolata e
in contrapposizione con l’ampliamento dei traffici portuali. È stato
recentemente pubblicato il documento definitivo della Strategia Energetica
Nazionale che prevede da una parte anche un possibile incremento dei traffici di
gas naturale in fase liquida da stoccare in impianti ancorati lontano dalla
costa, ma d’altra parte dichiara che non è prevista la realizzazione in Italia
di altri impianti onshore (come quello di Zaule) o offshore, perché quelli
attuali sono già in grado di soddisfare le esigenze del paese. A suo tempo da
parte del Mise (Ministero dello sviluppo economico) era stato dichiarato che
l’impianto di Zaule non è più ritenuto strategico. Riteniamo che questi due
elementi non siano sufficienti per rassicurare la popolazione sulla definitiva
rinuncia all’impianto di Zaule. Gli amministratori e i parlamentari della nostra
Regione hanno già da tempo constatato che i due progetti - l’impianto di
rigassificazione di Zaule e
il metanodotto Trieste-Grado-Villesse – minerebbero lo sviluppo economico di
Trieste, la sicurezza dei cittadini e la salute del nostro ecosistema marino. In
passato la Regione non aveva emesso un parere ufficiale di contrarietà al
metanodotto, eludendo la richiesta dal Ministero dell’ambiente. Le frequenti
dichiarazioni della Regione FVG sull’incompatibilità dei due progetti con i
traffici portuali non sono sufficienti a concludere questa decennale vertenza, e
i cittadini sono indotti dai media a credere che il rigassificatore di
Trieste-Zaule sia un progetto già morto. Ma il progetto ha tutte le
autorizzazioni ufficiali – nonostante l'espressa contrarietà generale del
territorio, delle amministrazioni locali e delle forze politiche - e per farlo
partire mancherebbe soltanto l’ultimo passaggio: l’autorizzazione unica in sede
di Conferenza dei servizi nazionale. Non esistono percorsi alternativi. Secondo
Legambiente, per chiudere definitivamente con l’impianto di rigassificazione
nella baia di Zaule e con il metanodotto Trieste-Grado-Villesse, la Giunta
regionale deve chiedere al Governo un impegno esplicito contrario a queste
opere, e quindi, in tempi brevi, la convocazione della Conferenza dei servizi
presso il Ministero dello sviluppo economico. Qui la Regione potrà confermare la
propria non intesa ai due progetti affinché siano definitivamente cancellati
dall’agenda riguardante il futuro del territorio triestino. È una scelta di cui
la Regione deve farsi carico per essere coerente con gli impegni presi con i
cittadini e con quanto più volte affermato.
Circolo Verdeazzurro LEGAMBIENTE Trieste
IL PICCOLO - MARTEDI', 19 dicembre 2017
Il porta a porta dei rifiuti a Muggia scatta da marzo -
L'annuncio dell'assessore Litteri in Consiglio comunale - Da metà gennaio
partirà la campagna informativa
MUGGIA - Finalmente c'è una data: la raccolta dei rifiuti "porta a porta" a
Muggia partirà il primo marzo 2018. La notizia è emersa dall'ultima seduta del
Consiglio comunale, riunitosi in seduta straordinaria. Un'interrogazione,
inserita nella nuova voce del question time, da parte del consigliere leghista
Giulio Ferluga, che chiedeva delucidazioni sullo stato attuale
dell'organizzazione della raccolta differenziata porta a porta nel territorio,
ha permesso ai muggesani di scoprire quando avverrà la tanto attesa
"rivoluzione" della raccolta dei rifiuti. «L'avvio della raccolta differenziata
secondo il modello "porta a porta" è fissato per il giorno primo marzo 2018 - ha
spiegato in aula l'assessore all'Ambiente, Laura Litteri -. L'attività di
informazione degli alunni delle scuole primarie e medie del territorio comunale
è in fase di svolgimento e sarà completata entro l'anno in corso. Gli incontri
di informazione con la cittadinanza si svolgeranno invece da metà gennaio a fine
febbraio 2018». L'esponente del Pd ha poi fornito altre informazioni sull'iter e
sulla filosofia che porterà all'inizio della nuova raccolta: «La consegna alle
famiglie dei contenitori e sacchetti per la differenziata, insieme al materiale
informativo e al calendario delle raccolte, sarà effettuata nei mesi di gennaio
e febbraio 2018. Il modello di raccolta "porta a porta" è stato sviluppato
tenendo conto delle peculiarità del territorio, diversificando la tipologia di
servizio per il centro storico e per le aree esterne al centro, e prevedendo la
possibilità di posizionare i cassonetti nelle aree condominiali in accordo con
le rispettive amministrazioni di condominio, al fine di agevolare il più
possibile l'utenza». Litteri ha voluto anche tranquillizzare i cittadini sul
fatto che non saranno abbandonati in questa avventura: «Durante i primi mesi di
avvio del nuovo sistema di raccolta sarà effettuato un attento monitoraggio
sull'andamento del nuovo servizio da parte dell'amministrazione comunale e di
Net spa, al fine di individuare tempestivamente e dare risposta a eventuali
problematiche che dovessero verificarsi». La notizia della partenza della
raccolta dei rifiuti "porta a porta" prevista per il primo marzo ha riacceso gli
animi politici, in particolar modo tra i banchi della lista civica Obiettivo
comune per Muggia: «Il fatto che si inizierà appena in marzo conferma le nostre
perplessità sul fatto che il Comune abbia applicato già nel 2016 un incremento
sulla Tari, che ha registrato in alcuni casi anche il 30% in più sulla
bolletta». L'aumento, come ha spiegato il Comune, è derivato dall'acquisto dei
bidoncini per la differenziata. «Il prevedere l'ammortamento già da questo anno,
al di là dei tempi di distribuzione dei raccoglitori, è servito a contenere
l'aumento di imposta per gli anni successivi - ha spiegato l'assessore al
Bilancio Mirna Viola -. Inoltre distribuendo in un numero d'anni maggiore la
spesa, l'incidenza dell'aumento annuo nelle tasche dei cittadini sarà alla fine
minore».
Riccardo Tosques
IL PICCOLO - LUNEDI', 18 dicembre 2017
Salta il blitz sulla Tap - No all'emendamento per
blindare i cantieri - Manovra: bocciata la norma anti-contestazioni del governo
- Via libera alla proroga della Cassa integrazione per l'Ilva
ROMA - Tap, salta l'emendamento anti-proteste del governo. Il presidente
della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, ha giudicato
inammissibile la proposta del governo di proteggere il cantiere del nuovo
gasdotto (Trans Adriatic pipeline), in corso di realizzazione nel Salento,
trasformandolo in «sito di interesse strategico nazionale». Con questa mossa
Palazzo Chigi puntava, replicando la strategia adottata con la Tav in Val di
Susa, a mettere l'opera al riparo dalle contestazioni. Con la "militarizzazione"
dell'area («al fine di garantire il regolare svolgimento dei lavori e tutelare
la sicurezza del personale impegnato per la realizzazione dell'infrastruttura»,
si legge nella norma messa a punto dal governo ma subito affondata) si sarebbero
potute applicare le pene previste contro chi, senza autorizzazione, avesse
travalicato i confini del cantiere o ne avesse impedito l'accesso. Il Codice
penale, in queste circostanze, prevede anche l'arresto, da tre mesi a un anno.
Il testo dell'emendamento, tra l'altro, rafforzava i poteri dell'Istituto
superiore per la protezione e la ricerca ambientale e dell'Istituto superiore di
sanità, in quanto «le ulteriori autorizzazioni amministrative in materia
ambientale e fitosanitaria vengono adottate dalle amministrazioni centrali con
l'ausilio dei due Istituti». «È stato evitato un abuso da parte di una politica
che scavalca qualunque processo democratico e calpesta le comunità locali in
ossequio alle grandi lobby delle fossili», è il commento del Movimento Cinque
Stelle che, insieme ad altre formazioni politiche, tra le quali Liberi e Uguali,
avevano alzato la voce contro la proposta. Ieri, intanto, la Camera ha dato il
via libera ad un altro un pacchetto di emendamenti. Tra questi, spicca la
proroga della Cassa integrazione straordinaria per i lavoratori dell'Ilva, con
un finanziamento di 24 milioni di euro. Nel testo di modifica alla manovra, con
l'ok del governo, anche lo stanziamento di altri 400 mila euro per gli
interventi straordinari di bonifica delle aree dismesse di Genova e Cornigliano.
Per quanto riguarda la scuola, invece, sono in arrivo 50 milioni per il
completamento del programma di costruzione di scuole innovative "per innalzare
il livello di sicurezza degli edifici scolastici". Nel corso della giornata, la
Commissione Bilancio di Montecitorio ha dato via libera anche ad un pacchetto di
emendamenti per il gli italiani all'estero: sul piatto 7 milioni. Nel dettaglio,
2 milioni, a decorrere dal 2018, per la promozione della lingua e cultura
italiana, 400mila euro a favore del Consiglio generale degli italiani
all'estero, 600mila euro per adeguare le retribuzioni del personale
dell'amministrazione degli affari esteri, 400mila euro a favore delle agenzie di
stampa specializzate per gli italiani all'estero e un milione a integrazione
della dotazione finanziaria per i contributi diretti in favore della stampa
italiana all'estero. Un altro milione e mezzo è stato stanziato a favore delle
Camere di Commercio italiane all'estero. Inoltre l'emendamento approvato prevede
un milione riservato agli italiani residenti in Venezuela in particolare
situazione di disagio e 270 mila euro sono destinati nel 2018 alla manutenzione
del cimitero italiano di Hammangi, a Tripoli. In tema di trasporti, un
emendamento prevede che i concessionari autostradali saranno obbligati a
sottoporre a gara il solo 60% dei contratti di lavori sulle tratte. Il codice
degli appalti prevede per i concessionari una soglia generica dell'80%, che nel
caso delle autostrade, appunto, scende ora al 60%. La modifica era stata
richiesta anche dai sindacati dei lavoratori autostradali, preoccupati per
l'impatto occupazionale delle norme del Codice.
Michele Di Branco
Stalla attaccata - Branco di lupi fa strage di pecore
nello Zaratino
ZARA - Una strage di pecore come non avveniva da decenni nello Zaratino. A
Murvica, villaggio a soli 5 chilometri da Zara, un branco di lupi è entrato
l'altra notte nella stalla di Valentino Zilic, in cui c'erano 120 pecore. La
stalla sta a 30 metri dall'abitazione del proprietario, ma né il fatto che la
costruzione fosse chiusa né la vicinanza dell'uomo hanno scoraggiato i lupi.
Come ricostruito da polizia e veterinari, sono state sgozzate e parzialmente
mangiate 8 pecore, mentre una quarantina hanno riportato ferite gravissime;
alcune sono scappate. «Ho aperto la stalla al mattino - ha riferito l'allevatore
- e la scena che mi si è presentata era terribile. Alcune delle mie bestie non
davano più segno di vita, altre si lamentavano, molte tacevano per lo choc».
Immediato l'allarme e l'arrivo di polizia e di una rappresentante della
Commissione consultiva croata per l'Agricoltura. L'episodio ha causato
inquietudine e paura tra la popolazione locale: si teme che gli animali,
calatisi dall'altura del Velebit, possano aggredire gli abitanti. I lupi sono
tutelati in Croazia e per il loro abbattimento servono permessi con lunghi tempi
di rilascio.
(a.m.)
IL PICCOLO - DOMENICA, 17 dicembre 2017
Italia patria del riciclo: oggi vale l'1% del nostro
Pil
ROMA - In fatto di riciclo dei rifiuti, l'Italia è all'avanguardia in
Europa. Il Belpaese ricicla la stessa percentuale di spazzatura della Germania,
il 79% di quella raccolta. Più della Francia (69%), molto più della media Ue
(51%). Le 10.500 aziende italiane del riciclo fatturano 23 miliardi di euro
all'anno, l'1% del Pil nazionale, e danno lavoro a 133.00 persone. I dati
emergono dal rapporto «L'Italia del Riciclo 2017», l'ottavo studio annuale
realizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile (presieduta dall'ex
ministro Edo Ronchi) e da Fise Unire, l'associazione delle aziende del recupero
rifiuti. Il rapporto di quest'anno è anche un'occasione per fare un bilancio sui
primi vent'anni del Decreto Ronchi, che nel '97 disciplinò per la prima volta il
settore dei rifiuti. Nel 2016 è aumentato il riciclo in tutti i settori, in
particolare dell'alluminio (+5% rispetto al 2015), dell'acciaio (+4%) e del
legno (+4%). Gli imballaggi sono arrivati al 67%, l'organico al 41,2%. In Italia
si ricicla l'80% della carta, negli olii minerali si arriva addirittura al 99%.
Crescono anche i settori più giovani, quello degli olii vegetali e quello del
tessile. Resta indietro il riciclo dei veicoli usati, all'84,7%, contro un
obiettivo al 2015 che era del 95%. A livello nazionale, la quantità di rifiuti
destinata al recupero è più che raddoppiata dal 1999 al 2015, passando da 29 a
64 milioni di tonnellate, mentre lo smaltimento in discarica si è drasticamente
ridotto, da 35 a 18 milioni di tonnellate. Nel 2015 il 55% dei rifiuti gestiti è
stato avviato a recupero, il 16% a smaltimento e il 29% a pretrattamenti, a
fronte di percentuali che nel 1999 erano, nell'ordine, 38%, 46% e 17%. Il
riciclo in Italia funziona e genera profitti e occupazione, ma i problemi sono
ancora numerosi.
IL PICCOLO - SABATO, 16 dicembre 2017
La produzione a Servola riparte a pieno ritmo -
Conclusi gli adeguamenti dell'altoforno imposti dopo gli sforamenti estivi
In arrivo 30 ulteriori assunzioni. Tra i clienti big del calibro di Bmw e
Ariston
La Ferriera di Servola, nel giro di qualche giorno, tornerà a produrre a
pieno ritmo. «Abbiamo ricevuto i dati sulle recentissime rilevazioni dell'Arpa,
che attestano come tutti i livelli delle emissioni siano tornati sotto i limiti
prescritti dall'Autorizzazione integrata ambientale - comunicano Alessandra
Barocci e Alessandro Casula consulenti del Gruppo Arvedi per gli aspetti
ambientali - ora si attende solo il formale via libera da parte della Regione».
Per ovviare a quelli che erano stati gli sforamenti dell'estate scorsa in
seguito ai quali la stessa giunta regionale aveva emesso una doppia nota di
diffida, i due esperti spiegano che «sono terminati i lavori di sistemazione
della nuova bocca dell'altoforno che è stata totalmente riprogettata. Era questo
- sostengono - l'unico problema che aveva provocato un aumento delle emissioni
rimaste comunque al di sotto delle soglie di emergenza sanitaria». L'operazione
è finita già da qualche settimana e successivamente Siderurgica Triestina ha
ripreso a far funzionare l'altoforno pur se a ritmo ridotto, mantenendosi cioè
al di sotto delle 34mila tonnellate mensili di ghisa. Ora però anche questa
barriera sta per cadere e, se da un lato sono prevedibili nuove proteste degli
abitanti e delle associazioni ambientaliste, dall'altro Siderurgica Triestina si
lancia definitivamente come player globale della siderurgia. L'accoppiata con
Cremona, come spiega Edoardo Tovo, da sette mesi nuovo direttore dello
stabilimento, permette il completamento di un ciclo che vede Trieste
protagonista del primo e del terzo e ultimo segmento, mentre in Lombardia viene
fatto quello intermedio. Con il favore della presenza della banchina qui infatti
arrivano via mare il coke e i minerali funzionali alla produzione dei pani di
ghisa, che poi con i treni raggiungono Cremona, quartier generale del Gruppo
Arvedi. In quella acciaieria nascono le gigantesche bobine d'acciaio, cioè i
coils, del peso di 25 tonnellate ciascuna, che poi vengono rispedite a Trieste.
Con 25 treni in ingresso e altrettanti in uscita ogni settimana, la tratta tra
queste due città è diventata la seconda più trafficata a livello nazionale nel
settore merci. Nel nuovo laminatoio a freddo di Servola l'acciaio viene
laminato, cioè trattato termicamente, eventualmente ridotto e reso più sottile,
confezionato e testato, pronto per servire l'automotive (industria
automobilistica), l'industria del bianco (elettrodomestici), la componentistica
dei tubi. Con il prodotto finito, Tir, treni e navi partono per mezzo mondo.
«Oltre all'Europa - spiega con entusiasmo Tovo - raggiungiamo Nord Africa, Stati
Uniti e Messico. Tra i nostri clienti vi sono i marchi più prestigiosi: Bmw,
Mercedes, Audi, Volkswagen, Fiat, Ariston». In laminatoio servono ancora braccia
e cervelli. «Se, come spero, riusciremo a brevissimo a inaugurare anche
l'impianto di decappaggio - spiega il direttore - avremo bisogno di altri due
turni di lavoro per cui tra gennaio e giugno contiamo di fare ulteriori trenta
assunzioni tra tecnici, manutentori e operai e così l'organico complessivo a
Servola passerà da 540 a 570 dipendenti diretti. Sempre che li troviamo
rapidamente. Per l'ultima figura professionale ci abbiamo messo tre mesi. In
questo periodo infatti il porto assorbe tanti lavoratori, dobbiamo contenderceli
con tutte le banchine». Il decappaggio è un'operazione chimica che consente di
rimuovere lo stato di ossido superficiale eliminando i residui di ruggine dalla
superficie dell'acciaio. Attualmente viene eseguito a Cremona, ma ora anche
questo anello della catena produttiva sarà spostato a Trieste incrementando
l'occupazione locale. «Il Gruppo Arvedi - spiega Alessandra Barocci - ha già
speso a Trieste oltre 150 dei 171 milioni previsti. Sono stati rimossi e
smaltiti 21,3 milioni di chili di rifiuti, le aree con problemi di acque
sotterranee si sono ridotte da 520mila a 40mila metri quadrati e i piezometri
(pozzi di osservazione, ndr) che hanno rivelato problemi sono passati da 19 a 1,
ma solo perché qui, nei pressi della cokeria, sono state scoperte vasche
interrate di benzolo che sembrano risalire al 1917. L'asfaltatura è salita dal
5% al 60% della superficie totale e sarà completata entro maggio 2018. Deve
invece ancora partire nel concreto - rileva Barocci - l'operazione della parte
pubblica, cioè Invitalia, che ha previsto una spesa di 41 milioni da impiegare
soprattutto nel barrieramento a mare»
Silvio Maranzana
Confronto sulla sicurezza dell'impianto tra
associazioni di residenti, Arpa e Regione - il tavolo
La sicurezza dello stabilimento, il sistema di aspirazione sul campo di
colata dell'altoforno, il miglioramento dello spegnimento del coke ai fini della
riduzione dell'inquinamento, il rumore generato dal sistema di abbattimento
dell'impianto di aspirazione della cokeria e, infine, la quantità di depositi a
parco del coke. Questi i temi affrontati nel corso dell'incontro che si è tenuto
a Trieste tra i presidenti del Circolo Miani, Maurizio Fogar, e del Comitato
Servola respira, Romano Pezzetta, e i vertici della direzione regionale Ambiente
(che fa capo all'assessore Sara Vito) e dell'Arpa. Temi sui quali la direzione e
la stessa Arpa si sono impegnate ad avviare una serie di approfondimenti i cui
risultati verranno presentati in occasione di un prossimo confronto. Il primo
tema affrontato è quello della sicurezza degli impianti ai fini della
prevenzione dei rischi di incidente rilevante (legge Seveso). Come è stato
spiegato da Arpa, l'entrata in vigore dei regolamenti comunitari Reach e Clp e
la conseguente riqualificazione delle sostanze, tra cui il catrame, ha favorito
un maggiore presidio da parte degli organismi di controllo attraverso la
validazione del rapporto di sicurezza e due visite ispettive (nel 2016 e nel
2017), svolte congiuntamente da Arpa, assieme a vigili del fuoco e Inail. A
seguito di ciò l'impianto è stato riclassificato a soglia superiore, con
l'obbligo della redazione del rapporto di sicurezza, che permetterà alla
Prefettura, per la prima volta, l'approvazione nelle prossime settimane del
piano di emergenza esterno.
«Il porto inquina più della fabbrica» - L'analisi del
super esperto Casula indicato come consulente dal gruppo Arvedi
«La qualità dell'aria a Trieste è molto buona e se c'è un fattore di
inquinamento, questo è il porto e non la Ferriera». Lo sostiene con uno studio
illustrato da Servola, Alessandro Casula, ingegnere chimico, come da curriculum
"esperto di impianti energetici, energie rinnovabili e assimilate,
autorizzazioni ambientali, prevenzione e controllo integrato dell'inquinamento,
valutazioni ambientali e formazione nel settore energia e ambiente", consulente
del Gruppo Arvedi. Casula ha affermato che, esaminando i riscontri offerti dalle
"numerosissime" centraline di controllo ambientale che si trovano sparse in
città, gli unici dati preoccupanti sono quelli che si riferiscono alla
concentrazione media annua di No2 (biossido di azoto) rilevati dalla centralina
di piazza Libertà. «Siamo in una zona attigua al porto - ha spiegato assieme
alla collega Alessandra Barocci -, e non solo è ben lontana dallo stabilimento
siderurgico, ma denuncia la presenza di una sostanza, il biossido di azoto, che
in nessun modo può fare riferimento a un'attività di tipo siderurgico». Riguardo
alla Ferriera, l'ingegnere ha riferito che su tutte le stazioni di monitoraggio
è ampiamente rispettato dal 2016 lo standard ambientale di 40 µg/m3 di
concentrazione media annua di Pm10, compresa quella contestata di San Lorenzo in
Selva. L'Aia fissa standard di qualità ambientali anche sulle deposizioni che,
ha riferito Casula, «sono stati ampiamente rispettati nel 2016 mentre nel
secondo quadrimestre 2017 si è verificato un temporaneo superamento dovuto al
ritardato intervento di rifacimento della bocca dell'altoforno». I due
consulenti ambientali hanno anche contestato il fatto che l'Aia concessa alla
Ferriera preveda l'obbligo da parte dell'azienda della copertura dei parchi
minerali, così come richiesto dal Comune e da alcune associazioni. «E' un falso
problema - hanno ribattuto gli esperti -. I parchi possono contribuire
all'inquinamento nella misura massima del 10% che viene sostanzialmente
annullata con una diversa conformazione dei parchi stessi e l'irrorazione e la
filmatura per evitare gli spolveramenti. Così è stato fatto, ma ciononostante,
come le è stato richiesto, l'azienda ha comunque presentato il progetto per la
loro copertura.
(s.m.)
Barbieri in scadenza - Scatta il nuovo bando - Al via
la "caccia" al tecnico chiamato ad affiancare la giunta - Il prossimo incarico
avrà durata fino alla fine del 2018
L'incarico di Pierluigi Barbieri, super-tecnico sulla Ferriera del Comune di
Trieste, scade a fine anno. L'ente locale non intende però privarsi
dell'appoggio di un esperto in materia, ed è già pronto il nuovo bando per
l'individuazione della persona più indicata. È prevedibile, salvo candidature a
sorpresa, che l'esperto che ha affiancato il Comune nell'ultimo anno sarà
nuovamente il prescelto. Fonti comunali spiegano che l'incarico di Barbieri,
iniziato al principio di quest'anno, aveva durata semestrale, rinnovabile.
Prolungato fino alla fine del 2017, non può essere ulteriormente rinnovato.
Ragion per cui il Comune ha dovuto varare un nuovo bando, in accordo con i
regolamenti sugli incarichi della pubblica amministrazione. Barbieri commenterà
pubblicamente nei prossimi giorni l'esito di questo anno di lavoro, ma per il
momento anticipa: «Abbiamo messo tantissima carne sul fuoco in questo periodo,
ci sono molti elementi che verranno utilizzati nelle sedi appropriate».Il nuovo
bando prevede un incarico di durata annuale e non più semestrale. Si legge nel
bando: «L'incarico verrà svolto presso il comune di Trieste nell'anno 2018 con
decorrenza dalla data di comunicazione dell'esecutività del provvedimento di
affidamento e sino al 31 dicembre 2018, anche nelle more di perfezionamento
degli atti contrattuali».Il che significa che l'avvio ci sarà proprio all'inizio
dell'anno. Piuttosto che varare il bando direttamente nel 2018, infatti, il
Comune ha preferito anticipare di un mese il procedimento, così da non
ritrovarsi con un tecnico "azzoppato" dalle necessità burocratiche, che
altrimenti potrebbero protrarsi per mesi. Le candidature verranno giudicate da
un'apposita commissione, in base a punteggi elencati con precisione all'interno
del bando.In cosa consiste il lavoro? In quanto fatto già da Barbieri nel corso
dell'ultimo anno: si tratta dell'incarico a «un esperto in inquinamento in
chimica dell'ambiente, per lo svolgimento dell'attività di supporto tecnico al
sindaco per la lettura e il controllo dei dati relativi a fumi e inquinamento
per quanto riguarda lo stabilimento siderurgico della Ferriera di Servola a
Trieste». Ciò deriva, si legge, dalla necessità dell'amministrazione «di
monitorare le emissioni ambientali della Ferriera in relazione ai rischi
dell'area a caldo oggetto di particolare attenzione nel mandato del sindaco».
Questo comporta, in termini tecnici, che «la prestazione professionale» del
consulente «consiste nel rendere un supporto di natura tecnica» nei procedimenti
che consentono al Comune «l'esercizio dei risultati di un'attività istituzionale
(istruttoria, sanzionatoria, di controllo eccetera) tramite l'acquisizione di
risultati di un'attività professionale» resa dal consulente stesso. Ai tempi, la
nomina di Barbieri fu una mossa a sorpresa da parte della giunta Dipiazza: il
tecnico era infatti l'assessore all'ambiente designato della potenziale
amministrazione Cosolini bis, annunciato dal Pd in campagna elettorale.
Giovanni Tomasin
La grande storia dell'Adriatico raccontata dai fondali
con relitti e piccoli tesori - LA MOSTRA - I CONTENUTI
I tesori del mondo sommerso riemergono dal profondo degli abissi con la
mostra "Nel mare dell'intimità", che con gli occhi dell'archeologia subacquea si
propone l'ambiziosa impresa di raccontare la storia dell'Adriatico,
dall'antichità ai giorni nostri. L'esposizione si inaugura oggi, alle 17.30, al
Salone degli Incanti (l'ex Pescheria) sulle Rive (domani l'apertura al
pubblico), dove grazie all'allestimento curato dall'architetto Giovanni Panizon
si trasformerà in un grande fondale sommerso, saranno esposti un migliaio di
reperti provenienti praticamente da ogni territorio bagnato da questo mare,
grazie ai prestiti di musei italiani, croati, sloveni e montenegrini. Relitti,
opere d'arte e oggetti della vita quotidiana, merci destinate alla vendita e
attrezzature di bordo ripescate dalle profondità del nostro mare saranno
proposti al pubblico in una visione d'insieme, con un'esposizione di 2000 metri
quadri in cui lo spettatore sarà virtualmente immerso. Ciascun reperto racconta
un pezzetto di storia dell'Adriatico, che si potrà poi approfondire grazie a un
dettagliato catalogo edito da Gangemi, curato da Rita Auriemma con la
progettazione grafica della Trart di Trieste. Negli abissi del mare
dell'intimità sono rimaste celate per lungo tempo storie di traffici
commerciali, di incroci tra popoli, di pace e di guerra. Le vicende degli uomini
che solcarono queste acque fin dall'antichità ci ricordano le difficoltà della
navigazione, il timore reverenziale con cui ci si approcciava a un mare che, per
quanto circoscritto e mappato, non si poteva considerare né conosciuto né
controllabile. Non a caso una delle dieci sezioni è dedicata al rapporto tra
l'andar per mare e il sacro: nella sua dimensione più inconscia la navigazione
incute soggezione non soltanto per i pericoli del mare, ma per quella dimensione
incerta che è lo spostamento, l'incontro con il diverso. «Esiste un singolare
paesaggio del sacro comune in tutto l'Adriatico, fatto di luoghi e di miti che
punteggiano l'interfaccia fra la terra e il mare - spiega Rita Auriemma,
archeologa subacquea e curatrice della mostra -. Qui l'homo religiosus consegna
i punti più significativi della terraferma ai segni del sacro, per offrire a chi
naviga un messaggio d'accoglienza, così come dalla riva verso il grande ignoto,
il navigatore affida al divino la speranza del viaggio, del buon approdo, del
ritorno. Particolare valenza simbolica e religiosa hanno dappertutto i luoghi -
promontori e isole, scogliere, falesie, approdi - a cui si affida la "memoria di
lungo corso" dei naviganti. In questo sistema i passaggi cruciali, che dalla
costa suggerivano ai marinai il rischio del morire in mare o la gioia d'averlo
scongiurato, erano naturalmente, profondamente, percepiti come luoghi sacri».
Durante tutta la storia dell'Adriatico e con maggior virulenza nel Secolo breve
ai pericoli della navigazione per mare si sommarono i conflitti. Li racconta la
sezione "La guerra sul mare", che raccoglie testimonianze di battaglie e storie
di pirati e corsari, che s'intrecciano con le guerre vere e proprie. L'Adriatico
fu infatti terreno di caccia per i pirati Uscocchi, cristiani cattolici
provenienti dai Balcani che si stabilirono sulle coste dell'Adriatico per
sfuggire all'avanzata dei Turchi. Ma fu anche teatro di tante battaglie: se ne
trova traccia nei reperti che ricordano, per esempio, gli scontri tra flotte
musulmane e cristiane durante la battaglia di Lepanto del 1571. O nei resti
della fregata francese Danae, che fra il 1811 e il 1812 fu impegnata in alcuni
scontri a fuoco contro unità inglesi in Adriatico, tra cui la battaglia di Lissa
del 13 marzo 1811. La Danae non cadde in battaglia, ma colò a picco per
un'esplosione, forse un sabotaggio, nel 1812, mentre era ormeggiata al molo San
Carlo, proprio nel porto di Trieste. Passando al Novecento e alle due guerre
mondiali in mostra si potranno anche vedere, per la prima volta, i reperti
recentemente ripescati dalla baia di Muggia, della corazzata austroungarica
Wien, affondata nel 1917 da due Mas italiani comandati da Luigi Rizzo. E ancora
la prua del sommergibile Medusa, affondato nel 1915 al largo di Venezia, e il
timone di coda del bombardiere B24, colpito dalla contraerea e precipitato in
mare al largo di Grado nel 1945. La mostra "Nel mare dell'intimità" è
organizzata dal Servizio di catalogazione, formazione e ricerca dell'Erpac e
dall'assessorato alla Cultura del Comune di Trieste. Si avvale della
collaborazione di oltre 60 istituzioni culturali italiane e internazionali, tra
le quali la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio e il Polo Museale
regionale.
GIULIA BASSO
L'archeologa subacquea Auriemma: «Trieste e il mare,
legame profondo» - L'INTERVISTA - LA CURATRICE
Per il più ampio focus sull'archeologia subacquea dell'Adriatico che a
memoria d'uomo si ricordi in Italia è stata scelta la città di Trieste, che
guarda nel grembo ultimo dell'Adriatico e vi si specchia, come una nave in
procinto di salpare. «Trieste è assolutamente coinvolta nell'intimità di questo
mare: basti pensare che l'ultimo dei santuari di Diomede, eroe adriatico per
eccellenza, si trova proprio a pochi passi da qui, dove oggi affiorano le
risorgive del Timavo», spiega Rita Auriemma, curatrice della mostra per conto
dell'Erpac e archeologa subacquea. L'esposizione "Nel mare dell'intimità"
getterà luce anche sul suo mestiere. Se l'archeologo terrestre è stato
raccontato al grande pubblico da George Lucas con Indiana Jones, la figura
dell'archeologo subacqueo rimane ancora avvolta da un alone di mistero. «Eppure
la prospettiva è comune, quella dell'archeologia dei paesaggi, che mira a
comprendere lo sviluppo storico del rapporto tra l'umano e l'ambiente in cui è
presente - spiega Auriemma -. A cambiare è lo scenario in cui si opera,
terrestre, costiero o subacqueo. In quest'ultimo caso la tecnologia oggi, grazie
allo sviluppo della robotica, ci fornisce soluzione operative d'avanguardia, che
ci consentono di ampliare le nostre ricerche a profondità impensabili fino a
poco tempo fa». Oggi grazie a veicoli robot subacquei come i Rov e gli Auv si
arrivano ad esplorare relitti profondi centinaia di metri. Non si tratta però di
tecnologia a buon mercato e in Italia ce n'è poca a disposizione
dell'archeologia subacquea. E' come se dopo i brillanti esordi dell'epoca di
Nino Lamboglia, mitico direttore del Centro Sperimentale di Archeologia
sottomarina di Albenga negli anni '50, sull'archeologia subacquea italiana fosse
calato il sipario. Ci sono delle eccezioni, come il lavoro sul relitto di Grado,
ben raccontato dalla mostra. Ma l'esposizione dimostra una volta di più come
oggi «l'unica strada percorribile per tutelare il patrimonio sommerso sia creare
una rete che non ha confini, se non quelli burocratici, nel trasferimento di
conoscenze e buone pratiche. La ricerca deve essere internazionale, la comunità
scientifica il più aperta possibile. Il "mare dell'intimità" in fondo è anche
questo: reperti da Italia, Croazia, Slovenia e Montenegro, ricercatori dei
rispettivi Paesi che si parlano e si scambiano informazioni da cui potrebbero
nascere futuri progetti. La mostra vuole essere anche un modo per rimettere in
moto le attività sul campo: il Navarca di Aquileia, spiega Rita Auriemma, è
stato restaurato per l'occasione e sarà esposto nel nuovo allestimento del museo
archeologico di Aquileia. La sezione della Nave di Grado, il lavoro
d'inventariato e catalogazione dei materiali originali del carico vivrà dopo la
mostra: è pensata per il museo della città di Grado. Quanto ai reperti in
esposizione, vale la stessa storia dei Bronzi di Riace. Al centro della
struttura espositiva troverete quattro statue di grande impatto visivo, l'Apoxyómenos,
il Principe ellenistico, il Navarca di Aquileia e l'Atleta di Barcola. Dal punto
di vista artistico sono pregevolissime. «Ma a me coinvolge altrettanto il bollo
di Calvia Crispinilla, con cui questa donna, proprietaria di ville e tenute, tra
cui anche la villa romana di Barcola, timbra alcune anfore di una sua proprietà
a Loron. E' un personaggio che mi irretisce. Tacito la racconta come donna dalla
reputazione scandalosa, colei che orchestrava i piaceri di Nerone. In realtà era
una donna libera e potente, di cui la storiografia ha forse dato un ritratto
peggiore del reale. Ma si sa, le donne di potere spaventano ancora oggi...»
Giulia Basso
IL TIRRENO - VENERDI', 15 dicembre 2017
LIVORNO - No al rigassificatore - Comitato al lavoro sul ricorso al Tar
ROSIGNANO - «Il ricorso al Tribunale amministrativo
regionale (Tar) è quasi pronto e verrà depositato entro la scadenza del 25
gennaio 2018, debitamente arricchito dalle ragioni del no derivanti dalla nuova
Strategia energetica nazionale (Sen), elementi che valutiamo potrebbero essere
molto utili ai fini di una sentenza a favore del no». Così il Comitato del No al
Rigassificatore che fa il punto sulla battaglia legale che lo vede impegnato nel
promuovere il ricorso al Tar contro il Decreto 215 del 14 luglio 2017. «Dopo la
positiva raccolta fondi conclusasi a circa metà settembre – prosegue il Comitato
– tramite l’avvocato di riferimento abbiamo costantemente monitorato la
pubblicazione del decreto sulla Gazzetta ufficiale (Guri) la cui data determina
i 60 giorni di tempo per la presentazione del ricorso al Tar. Stranamente per
ritardi tecnici nella trasmissione, ricezione e pubblicazione, che solitamente
avviene in circa una o due settimane, questa è avvenuta soltanto il 25 novembre,
ovvero con circa quattro mesi di ritardo. In questo arco di tempo è uscita la
nuova Strategia energetica nazionale, della quale alcuni contenuti, in estrema
sintesi utili a dare man forte alle ragioni del no al rigassificatore, sono
stati inseriti nel ricorso al Tar». Nel frattempo la seduta del Tar del 4
dicembre per discutere i vecchi ricorsi è stata rinviata a data da definire.
«Ringraziamo di nuovo tutti coloro i quali hanno
contribuito alla raccolta fondi e confermiamo a tutti che il ricorso è quasi
pronto e verrà depositato entro la scadenza del 25 gennaio 2018, debitamente
arricchito dalle ragioni del no derivanti dalla nuova Sen. Purtroppo i tempi di
questo procedimento sono estenuanti e lunghissimi»
IL PICCOLO - VENERDI', 15 dicembre 2017
Il nuovo depuratore parte a Natale - Ultime prove
tecniche per l'impianto di AcegasApsAmga costato oltre 50 milioni di euro
Entro la fine dell'anno, ovvero entro una quindicina di giorni, verrà
premuto dai tecnici di AcegasApsAmga l'interruttore del nuovo depuratore di
Servola. Il primo cantiere italiano, nella classifica dimensionale di questa
tipologia impiantistica ambientale, avrà conseguito il suo scopo prioritario:
cominciare gradualmente a funzionare, filtrando le acque fognarie derivanti da
190mila residenti e consentendo di arginare la procedura di infrazione attivata
troppi anni fa dalla Commissione Ue. La tempistica, annunciata nell'autunno
2015, è sostanzialmente rispettata. Il direttore generale dell'azienda
triestino-padovana-udinese, Roberto Gasparetto, può permettersi - premessa una
ricca dotazione scaramantica - di tirare il fiato: «Una volta la depurazione era
delegata al mare, ora la facciamo noi». I test sulla strumentazione installata
sono a buon punto: rotazione dei motori, circuito idraulico, funzionamento delle
paratoie, software di controllo ... Le tecnologie messe a punto da Veolia e
Suez, inserite nelle strutture edili costruite da Cmb, sono ormai prossime a
partire, dopo poco più di un anno di lavoro (al netto delle progettazioni)
iniziato nel novembre del 2016. L'acqua di prova ribolle nelle 40 vasche che si
aprono (ma saranno opportunamente coperte) sulla superficie dei 250 metri lungo
i quali si svolge la complessa struttura che garantirà la depurazione idrica. A
regime l'impianto servolano tratterà dagli 80 ai 100mila metri cubi giornalieri
di acqua fognaria. «Una lotta contro il tempo», commenta l'assessore regionale
all'Ambiente, Sara Vito, che pensa alla clessidra di Bruxelles. Perché gli
eurocrati non si accontenteranno del taglio del nastro, esigono un anno di
campionamenti. E non è detto - ammonisce l'assessore - che l'accensione del
depuratore annulli automaticamente la sanzione comunitaria, che al momento non
risulta ancora quantificata. Comunque, adesso il lavoro è stato completato e ha
previsto un investimento di 52,5 milioni di euro, che è pagato per tre quinti
con eurorisorse Fsc, cui si aggiungono un contributo pluriennale di 15 milioni
erogato dalla Regione Fvg e i proventi tariffari. La sola parte tecnologica ha
assorbito 30 milioni. Al vasto cantiere di quasi 35mila metri quadrati di
superficie, che continuerà a operare anche dopo la partenza dell'impianto, si
accede dal varco di scalo Legnami, provenendo da via Svevo. Due i tecnici che
hanno progettato e seguito i lavori, gli ingegneri Massimo Vienna, "conferito"
dalla capogruppo Hera, e Enrico Altran: hanno diretto l'impegno di 350 persone,
coinvolte nella realizzazione delle varie articolazioni della struttura
attraverso 36mila giornate/uomo. L'innovazione depurativa è multifasica e si
possono distinguere cinque passaggi-chiave: il pre-trattamento, che viene
espletato nel vecchio depuratore, il trattamento primario, il trattamento
secondario o biologico, il trattamento terziario, la disinfezione. Le acque
fognarie continuano ad arrivare nell'impianto "old" attraverso due grandi
collettori, quello "alto" e quello "basso": il primo parte da Barcola, sale in
via Udine, passa dal Tribunale, punta verso San Giacomo e da lì approda a
Servola, avendo ricevuto gli apporti delle condotte di via Baiamonti e di
Valmaura. Il secondo origina davanti alla Stazione centrale e fa rotta su
Servola transitando lungo le Rive. I liquidi, dopo aver affrontato l'iter
depurativo, vengono convogliati verso la vecchia condotta sottomarina di 7,5
chilometri, che scarica al largo: la differenza fondamentale è che l'opera di
abbattimento batterica sarà effettuata sulla terraferma, così come prevedono le
disposizioni della Ue. E l'abbattimento batterico, in collaborazione con l'Ogs,
sarà dosato a seconda delle esigenze dell'ecosistema marino. Hera ha affrontato
altri due rilevanti interventi ambientali legati all'Adriatico: il risanamento
fognario di Rimini e l'adeguamento di Cà Nordio, l'impianto che serve l'area di
Padova.
Massimo Greco
Ogni giorno in funzione per centomila metri cubi
Quaranta vasche alimentate da quattro maxi pompe che sollevano l'acqua in
arrivo dalla vecchia struttura. Macchine d'avanguardia, tre fasi di trattamento
Nel giro di un anno quella che era una distesa di terra divelta è diventata
una realtà tecnologica che il direttore di AcegasApsAmga Gasparetto, insieme
allo staff tecnico aziendale, definisce «al top delle conoscenze mondiali nel
settore». La visita al nuovo depuratore di Servola parte dalla civettuola
palazzina, a cura dello studio Altieri e di F&M Ingegneria, che ospiterà gli
uffici, la direzione del ciclo idrico gestito dall'utility, il laboratorio di
analisi in procinto di traslocare dal Broletto: in tutto vi lavoreranno una
quarantina di addetti. E'il perno dell'itinerario, perchè salendo le scale si
raggiungono la sala controllo e la "terrazza" delle 40 vasche. Scendendo, il
visitatore si inoltra invece nella "galleria tecnica", dove è possibile
osservare le macchine che, attraverso tre fasi fondamentali, concorreranno a
ripulire quasi 100 mila metri cubi di acqua al dì. Fondamentale la sala
controllo, presidiata dai tecnici Hera distaccati dal centro di Forlì, che
coordina l'operatività (e gli allarmi) di tutti gli impianti "fluidi" (acqua,
gas) del gruppo. Forlì è considerato il secondo polo di telecontrollo
funzionante in Europa: adesso anche Servola è connessa al sistema. Sui monitor
la mappa dei "possedimenti" Hera: Modena, Bologna, Ferrara, Romagna, Padova,
Trieste. Sotto le vasche - come si diceva - il cuore e il cervello del nuovo
depuratore: in circa duecento metri si addensa un investimento di 30 milioni, a
maggio di quest'anno si è iniziato a installare le apparecchiature e le
strumentazioni. L'acqua da trattare arriva dal vecchio impianto mediante cinque
attraversamenti sotterranei e viene sollevata verso le vasche, profonde 6-7
metri, utilizzando l'azione di quattro pompe. Ora comincia l'operazione
depurativa vera e propria, che raggiunge il punto più importante con il
cosiddetto "trattamento biologico", seguito nel "trattamento terziario"
dall'eliminazione di azoto, fosfato, ammoniaca. L'acqua è così pronta per
affrontare il viaggio di 7,5 chilometri verso il Golfo. La parte nord della
galleria è spoglia ma è predisposta per ospitare nuove apparecchiature quando il
depuratore di Zaule sarà dismesso e l'attività si concentrerà a Servola. Abbiamo
parlato di attraversamenti che consentono alle acque di defluire dal vecchio al
nuovo impianto: per realizzarli, è stato necessario ottenere le autorizzazioni
dii Rfi, perché queste opere passano sotto il binario ferroviario che collega
Campo Marzio con Aquilinia. Dal punto di vista amministrativo, si è trattato di
un passaggio fondamentale che è stato affrontato nei primi mesi dell'anno. Poi
in aprile sono iniziate sul campo le attività di perforazione e di "microtunnelling"
per collegare i due depuratori. L'operazione è stata portata a termine con una
macchina "talpa" schierata da un'azienda di Occhiobello, la Pato: ancora nel
giorno di San Nicolò era possibile vederla in lentissima azione, mentre apriva
l'ultimo varco per far passare l'acqua.
magr
Quando Bruxelles accese la procedura dieci anni fa
Tra depuratore e Ferriera, due delle più spinose grane ambientali del territorio vedono Servola nolente protagonista. Per quanto riguarda l'impianto di depurazione, la vicenda ebbe inizio nel 2008 quando la Commissione Ue esplose la procedura di infrazione, motivata dal fatto che la condotta sottomarina portava l'acqua fognaria direttamente in mare, senza che vi fosse un preventivo trattamento a terra. Trascorsi alcuni anni senza che Trieste rispondesse a Bruxelles, nell'ottobre 2015 il progetto del nuovo impianto venne presentato presso la presidenza della Regione Fvg dall'assessore Sara Vito, dall'amministratore delegato di Hera Stefano Venier, dall'allora sindaco di Trieste Roberto Cosolini. In verità già dal 2013 la macchina decisionale aveva cominciato a muoversi ed erano partiti i lavori di bonifica del terreno, lavori che assorbirono 8 milioni sul budget complessivo di 52,5. Il completamento dell'opera era previsto nel 2018: a dieci anni dal diktat della Commissione Ue.
(magr)
Recupero rifiuti: a Herambiente il 40% di Aliplast
É stato perfezionato l'acquisto da parte di Herambiente, società del gruppo
Hera leader in Italia nel trattamento e recupero dei rifiuti, di un ulteriore
40% delle azioni di Aliplast, primaria realtà nazionale nella raccolta e riciclo
della plastica e conseguente rigenerazione. Con questa operazione, che fa
seguito al primo passaggio effettuato il 3 aprile 2017, la quota azionaria di
Aliplast detenuta dal Gruppo Hera sale all'80%. Il restante 20% delle azioni
sarà rilevato entro giugno 2022.
Energia - Kosovo, ok alla centrale da un miliardo di
euro
BELGRADO - Luce verde a un progetto di grande portata, fondamentale per il
futuro di quel Paese. Ma anche controverso. Sorgerà in Kosovo una nuova, enorme
centrale termoelettrica a carbone, la "Kosovo e Re" (Nuovo Kosovo), che andrà a
sostituire l'ormai obsoleto e super-inquinante impianto per la produzione di
energia elettrica "Kosovo B", costruito ai tempi della Jugoslavia. Il via libera
è stato ufficializzato dal governo di Pristina, che ha specificato in una nota
il raggiungimento di un «accordo con l'azienda Contour Global», colosso
americano specializzato nel settore dell'energia, per la costruzione della nuova
centrale. «La firma dell'accordo commerciale è attesa nei prossimi giorni, con
essa in Kosovo sarà investito oltre un miliardo di euro, il maggiore
investimento nella storia del nuovo Kosovo», auto-dichiaratosi indipendente
dalla Serbia nel 2008. E un'altra indipendenza, quella «energetica», sarà
garantita una volta che la centrale entrerà a pieno regime, entro il 2023,
mentre i lavori inizieranno il prossimo anno, ha assicurato l'esecutivo.La
centrale, è stato annunciato, avrà un blocco unico di produzione e una capacità
di 500 MW. Non solo. "Kosovo e Re" sarà dotata di una componente per la
generazione di calore per teleriscaldamento, che permetterà «l'espansione della
rete di riscaldamento nelle città di Pristina, Obilic, Drenas (Glogovac) e Fushe
Kosova» (Kosovo Polje). Infine, la rassicurazione del governo del Kosovo, uno
fra i Paesi più inquinati dei Balcani ma il quinto più ricco al mondo di lignite
(14 miliardi di tonnellate da estrarre): la centrale, alimentata naturalmente a
carbone, «sarà costruita secondo le ultime tecnologie» disponibili portando così
alla «riduzione delle emissioni» e a una maggiore «protezione dell'ambiente». È
un «evento storico per la gente del Kosovo e il suo futuro», la promessa.Ma ora,
dopo le promesse, si dovrà passare alla prova dei fatti, perché "Kosovo e Re" è
da anni al centro di controversie e critiche. Critiche in passato arrivate anche
dell'autorevole organizzazione Bankwatch, che ha sostenuto, canalizzando la
posizione di Ong locali come Kosid, che l'impianto sarebbe «non necessario»,
perché eliminando le «perdite tecniche» della rete (15%) e i «furti» di
elettricità (18% della produzione), oltre che investendo in rinnovabili ed
efficienza energetica si potrebbe evitarne la costruzione. Costruzione che,
secondo Bankwatch, potrebbe avere effetti negativi su forniture idriche e
terreni agricoli. I prossimi anni diranno chi ha visto giusto.(s.g.)
IL PICCOLO - GIOVEDI', 14 dicembre 2017
L'ultimo viaggio di Vocci vagabondo senza confini - Si
è spento a 67 anni il fondatore di Laboratorio di Biologia marina e Circolo
Istria
È stato uno dei primi assessori all'Ambiente d'Italia e sindaco di Duino
Aurisina - (foto)
«Ho perso due grandi sopracciglia e un bel paio di baffi, ma soprattutto
quello che stava sotto: due occhi curiosi e una bocca sempre sorridente. E
aperta sulla meraviglia della bellezza». Martina Vocci ha annunciato così su
Facebook la scomparsa del padre Marino Vocci a 67 anni dopo una breve malattia,
a nome anche delle altre donne della famiglia, la madre Liliana e la sorella
Eva. A molti mancheranno quelle grandi sopracciglia, quei baffi che regalavano
un sorriso aperto sul mondo. Marino Vocci era nato nel 1950 a Caldania, Buie
d'Istria, vicino a Pirano. Nel 1954, a soli quattro anni, lascia la terra natia
con la famiglia. «Caldania - rappresenta un po' il simbolo del mio esodo. Dalla
campagna sono approdato a Trieste, in un mondo urbano, centroeuropeo. Ma anche
ostile e pieno di difficoltà. Mio padre aveva già portato via, qualche mese
prima, mia sorella Giuseppina che aveva 11 anni, perché voleva che frequentasse
le scuole italiane». Furono gli anni più difficili passati nel campo profughi di
Opicina. «Noi eravamo gli "istriani sbagliati" - ricorda Marino Vocci - e
avevamo una doppia difficoltà: eravamo visti con sospetto perché considerati dei
nemici. A Trieste eravamo dei traditori comunisti filotitini e amici degli s'ciavi.
In Istria, gli irredentisti fascisti italiani. Ma questo non era vero, io non
sono mai stato fascista». Ottiene il diploma di perito industriale all'Istituto
"Volta" di Trieste. Si iscrive a Lettere all'Università di Trieste ma non
termina gli studi. É pure un promettente calciatore dello Zarja e del Primorje.
Negli anni Settanta inizia a lavorare prima come guida al Museo della Risiera di
San Sabba e poi come insegnante nelle scuole medie inferiori. Nel 1977 fonda il
Laboratorio di Biologia marina e per vent'anni (fino al 1997) ci lavora. Dal
1980 al 1985 è uno dei primi assessori all'Ambiente d'Italia. Nel dicembre 1997
diventa sindaco di Duino Aurisina, il primo eletto nelle file dell'Ulivo. Nel
2002 si dimette per una questione ambientale. Poi, fino al pensionamento del
2012, lavora ai Civici musei scientifici di Trieste occupandosi soprattutto del
rilancio del Museo del Mare. È stato uno dei fondatori del Circolo di cultura
istro-veneta Istria (presidente per oltre 10 anni), di Legambiente, del Gruppo/Skupina
85, dell'Associazione Dialoghi Europei. Si è battuto contro il rimosso storico
del confine orientale. «Un vergognoso silenzio sia da destra sia da sinistra
perché era difficile ammettere che l'Italia era uscita sconfitta dalla guerra»
ricordava Vocci. Marino era un costruttore di ponti e uomo di dialoghi a partire
anche dalle taverne e osterie con la sua barca dei sapori approdata a
TeleCapodistria. Pure fiduciario di Slow Food uomo di amicizie uniche (Fulvio
Tomizza, Franco Basaglia, Alexander Langer, Diego de Castro e Fulvio Molinari).
A esprimere il cordoglio è stato ieri anche il presidente del Consiglio
regionale del Fvg Franco Iacop. Oggi in Consiglio comunale sarà commemorato da
Fabiana Martini. Il suo, come ricordava nel libro "Fughe e approdi", è stato «il
viaggio di un vagabondo curioso vissuto in mezzo a lingue e culture diverse, tra
il mare e la terra, tra il rovere e il leccio, tra ulivi e vigne di terra rossa
e i prati verdi delle montagne; tra il canto delle cicale, dei merli e degli
usignoli, tra le musiche di Bob Dylan, Guccini e De Gregori».
Fabio Dorigo
«Frana vicino a casa, abbiamo paura» - Allarme a Muggia
fra i residenti di strada per Lazzaretto 1 dopo lo smottamento. Ordinanza del
sindaco Marzi
MUGGIA - «Non penso proprio che chiuderò occhio questa notte: il fango si
muove continuamente, ora si iniziano a vedere anche le fondamenta della casa
sopra di noi». Trapelano paura e inquietudine dalle parole di una residente
nella casa di strada per Lazzaretto 1, l'edificio situato proprio sotto al
massiccio movimento franoso che da lunedì ha iniziato a riversarsi nell'area di
fronte al parcheggio di porto San Rocco. Nella mattinata di ieri due squadre
della Protezione civile, i Vigili del fuoco e i tecnici del Comune di Muggia
hanno fatto una serie di sopralluoghi nella zona, utilizzata come parcheggio dai
residenti (e già interdetta da lunedì), accertando come il movimento franoso sia
in continua evoluzione, ma sia fondamentalmente sotto controllo come ha spiegato
il sindaco Laura Marzi: «Potrebbero verificarsi degli ulteriori distacchi, ma
non c'è alcun rischio per i residenti». Da due giorni, nella zona "a valle"
della prima casa di strada per Lazzaretto, circa otto famiglie stanno vivendo
con il fiato in gola. Fango, terra, pietre, alberi, pezzi di recinzione sono
scivolati giù per circa una trentina di metri dalla collina, dove poco sopra si
trova un'abitazione, in strada per la Fortezza 24/c, ove risiede Maria Luisa
Valente, proprietaria dell'area franata: contattata telefonicamente, la donna ha
preferito non commentare l'accaduto. Intanto ieri la corsia lato collina di
strada per Lazzaretto è stata chiusa per una cinquantina di metri onde evitare
che la frana possa invadere la carreggiata della frequentata arteria stradale.
«Non siamo affatto tranquilli, anzi, io ho proprio paura - racconta la residente
di strada per Lazzaretto 1 -, si vedono le spaccature del terreno, le abbiamo
constatate utilizzando anche un drone. Ci è stato detto di chiuderci in casa, di
chiudere le persiane delle finestre sul lato monte. Non possiamo ovviamente più
parcheggiare le auto nel piazzale, non possiamo più muoverci per andare nelle
cantine, a lato della casa, e nemmeno dietro alla casa». Ieri pomeriggio il
sindaco Laura Marzi ha emanato un'ordinanza per affrontare la situazione:
«Abbiamo imposto alla proprietaria del terreno in cui si è sviluppato il fronte
di frana la messa in sicurezza dell'area in tempi rapidissimi. Per operare però
bisognerà attende la stabilizzazione delle condizioni meteo per garantire la
sicurezza a chi dovrà intervenire». Nell'ordinanza è stata confermata
l'interdizione dell'uso del parcheggio dei condomini di strada per Lazzaretto 1
ai quali è stato poi imposto di non utilizzare le cantine e di chiudere finestre
e persiane del piano terra e del primo piano. «In realtà la casa è abbastanza
lontana dal movimento franoso, ma in caso di possibile distacco, magari di un
masso, ci potrebbe essere il rischio che questo sfondi i vetri delle finestre: è
una precauzione, ma non è a rischio l'incolumità di nessuno», puntualizza Marzi.
Confermata infine la chiusura precauzionale per un tratto di circa 50 metri
della corsia lato collina di strada per Lazzaretto. La situazione venutasi a
creare tra strada per Lazzaretto e strada per la Fortezza ha sollevato le ire
politiche del capogruppo del M5S Emanuele Romano: «Il caso dello smottamento
avvenuto a Muggia dimostra ancora una volta come il territorio necessiti di
pianificazione. La maggioranza ha sempre bocciato i nostri emendamenti su
interventi straordinari e studi sul dissesto idrogeologico. Adesso le misure
speciali in votazione non rispettano né il principio "zero consumo di suolo", né
migliorano la sicurezza del nostro territorio». Pronta la replica di Marzi: «I
Prgc redatti sino a qualche anno fa hanno dimostrato poca attenzione per le
criticità idrogeologiche peraltro aumentate nel corso degli anni. La nostra
variante 31, invece, ha riservato assoluta attenzione a questa tematica, per cui
gli emendamenti del consigliere Romano non vanno a mutare minimamente né ad
aggiungere alcunché a quanto già previsto». «Mi chiedo come sia stato possibile
permettere di costruire una casa lassù. Il fango e la terra si stanno muovendo
continuamente. Nemmeno le reti di recinzione sono servite visto che sono state
travolte», aggiunge intanto la residente muggesana. E nella mente non possono
che riecheggiare i tragici fatti del 15 novembre 2014 in cui una frana travolse
mortalmente la 73enne Loreta Querel mentre era in casa al numero 59/p di strada
per Lazzaretto.
Riccardo Tosques
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 13 dicembre 2017
Austria, esplode impianto - Stop al gas diretto in
Italia - Calenda dichiara l'emergenza: «Scorte assicurate». Flusso ripristinato
nella notte
Scontro tra ministro e governatore pugliese: «Con il Tap non avremmo
problemi»
ROMA - L'allarme è durato una manciata di ore. Quanto è bastato per
confermare la fragilità del sistema energetico italiano, che importa il 90% del
gas di cui ha bisogno. Una esplosione avvenuta alle 8.45 all'interno del
terminal del gas di Baumgarten an der March, Austria orientale, uno dei
principali snodi di distribuzione di gas naturale in Europa con una capacità di
annua di 40 miliardi di metri cubi, ha provocato un morto e almeno 18 feriti,
determinando la sospensione delle attività del gasdotto Tag, che convoglia il
gas russo fino al nostro Paese attraverso il Tarvisio. Possibili interruzioni
del rifornimento anche per la Croazia, ha reso noto un portavoce dell'operatore
Gas Connect Austria. L'incendio divampato dopo la detonazione è stato spento, ma
le cause dell'esplosione restano ancora da chiarire. Il blocco ha costretto
l'Italia a dichiarare attorno alle 13 lo stato di emergenza. La fornitura ai
consumatori italiani - ha reso noto il ministero dello Sviluppo economico - è
comunque assicurata» con la «maggiore erogazione di gas dagli stoccaggi
nazionali in sotterraneo». L'emergenza è rientrata velocemente: durante la
notte, ha anticipato ieri sera il ministro Carlo Calenda, la rotta austriaca è
stata riaperta. «La tre linee del Trans Austria Gasleitung, il gasdotto che
porta il gas russo in Italia, non sono state impattate e ci aspettiamo il
riavvio dei flussi per la mezzanotte» ha annunciato attorno alle 20 il ceo di
Snam, Marco Alverà, sottolineando che il sistema italiano è «tra i più sicuri al
mondo» grazie anche a riserve che possono arrivare a 17 miliardi di metri cubi.
Ma è necessario diversificare, ha affermato Calenda, ribadendo l'importanza di
portare a termine il progetto del Tap, il gasdotto che porterà in Europa il gas
dell'Azerbaigian passando per la Puglia, ostacolato da ambientalisti e
amministrazioni locali, per diversificare l'approvvigionamento. «Emiliano - ha
attaccato il ministro - ha fatto ricorso al Tar pure su questo e lo ha perso. Se
avessimo avuto già oggi il Tap, non dovremmo dichiarare un'emergenza. È
inaccettabile». L'amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, ha chiarito
che Baumgarten assicura poco più del 30% del fabbisogno italiano (di questo Eni
ha l'80%) e che ieri avrebbe dovuto portare in Italia 57 milioni di metri cubi
di gas. Nonostante i numeri ha invitato a evitare allarmismi: «Se l'emergenza
finisse domani non è un problema. Ma anche se dovesse durare qualche settimana è
una cosa che possiamo compensare» ha detto, spiegando però che «il gas sta
salendo di prezzo. Dipende da quanto durerà il problema». Già ieri il costo
all'ingrosso in Italia è quasi raddoppiato. Il governatore pugliese Michele
Emiliano ha replicato duramente alle dichiarazioni di Calenda: «I fatti accaduti
in Austria hanno dimostrato che le preoccupazioni della Regione Puglia hanno un
fondamento evidente che ci obbligherà nei prossimi giorni a sottoporre alla
procura competente un esposto che mira a salvaguardare l'incolumità pubblica
dalla incosciente decisione del governo di ritenere non assoggettabile alle
direttive Seveso l'impianto Tap» ha detto, invitando il ministro a preoccuparsi
«prima delle persone e della loro salute e sicurezza e poi del resto». Il M5S
pugliese ha accusato Calenda di «strumentalizzare la tragedia», mentre secondo i
Verdi l'Italia dovrebbe liberarsi dalla «dipendenza dalle energie fossili» che
rendono «fragile» il sistema, e «costruire l'autonomia attraverso un piano 100%
rinnovabili».
Maria Rosa Tomasello
A Tarvisio la condotta che rifornisce la penisola -
L'impianto della Tag appartiene per quasi l'85% alla Snam con il 15% in mano a
Gas Connect
UDINE - Chi vive nel tarvisiano lo sa che di lì entra il gas russo in
Italia. La condotta sotterranea è segnalata in superficie da piccole tabelle,
seguendo le quali è possibile individuarne il tracciato, che non sempre è a
fondovalle. Nella zona di Moggio, per esempio, lo si ritrova nella Val Alba,
piuttosto arretrata rispetto al Canal del Ferro percorso dall'autostrada e dalla
statale Pontebbana. Da ieri mattina il flusso lungo quell'arteria sotterranea si
è interrotto o per lo meno ridotto, a causa dell'incidente avvenuto nella
stazione di compressione di Baumgarten an der March, uno dei nodi più importanti
della rete di distribuzione del gas nel Centro Europa. Lì arriva soprattutto
quello prodotto dalla Russia e destinato all'Austria, che a sua volta lo smista
all'Italia, alla Slovenia e alla Croazia. La condotta che percorre nel
sottosuolo la Val Canale è solo uno dei rami di questo sistema di
distribuzione.Baumgarten è situata a un paio di chilometri dal confine slovacco,
segnato sul terreno dal corso del fiume March, che poco più a valle, all'altezza
di Bratislava, si immette nel Danubio. La stazione di compressione del gas
esiste qui fin dal 1959, ma solo nel 1974 ha acquisito l'importanza che ha oggi,
quando è diventata lo snodo della rete di distribuzione del gas russo su tutto
il territorio nazionale e poi anche all'estero. Proprietario e gestore
dell'intero gasdotto è la Tag Srl (la sigla significa "Trans Austria
Gasleitung"), che ha sede a Weiden, il piccolo comune del Weinviertel austriaco,
di cui Baumgarten è frazione. Dal 2014 quasi l'85% del capitale appartiene
all'italiana Snam, che lo ha ereditato dall'Eni. Il restante 15,5% è della
società austriaca Gas Connect Austria Srl, i cui azionisti sono al 51% l'Omv Gas
& Power (società petrolifera analoga all'Eni italiana, proprietaria tra l'altro
di una rete di distributori di carburanti, tra cui l'ultimo lungo l'autostrada
prima di Tarvisio, in località Malborghetto) e di nuovo la Snam al 49%. In altre
parole, il gasdotto della Tag, compresa la stazione di compressione di
Baumgarten, dove è avvenuto lo scoppio, è quasi completamente italiano. La
società ha 265 dipendenti e un fatturato annuo di 309,5 milioni. Da Baumgarten
la condotta del gas russo attraversa la Bassa Austria, il Burgenland, la Stiria
per giungere infine in Carinzia, ad Arnoldstein, comune confinante con Tarvisio.
Marco Di Blas
Puglia, ritardi sul condotto della discordia - il
progetto contestato
Accompagnato dalle accese proteste di ambientalisti e comunità locali che
sono riusciti a tratti anche a bloccare o a rallentare i lavori del cantiere
dell'approdo salentino del Tap, il gasdotto che porterà in Europa gas
dall'Azerbaigian continua il suo percorso ad ostacoli puntellato anche dai
ricorsi amministrativi che ne accompagnano quasi ogni passaggio autorizzativo.
La multinazionale ne ha già superati diversi, ma altri sono pendenti promossi
dalle amministrazioni (in particolare la Regione Puglia) che sono contrarie
all'approdo sulla spiaggia di San Foca di Melendugno, una delle più belle e
rinomate del Salento. Un grosso scoglio è stato superato il 10 ottobre scorso
quando la Corte costituzionale ha giudicato inammissibile il conflitto sollevato
dalla Regione contro lo Stato per il procedimento seguito nell'autorizzazione
rilasciata al gasdotto. La Regione ha però altri due ricorsi pendenti: uno sarà
discusso dal Tar del Lazio, l'altro, bocciato in primo grado, andrà all'esame
del Consiglio di Stato. Dopo le fasi preparatorie, le prospezioni a terra e i
sondaggi in mare per verificare la compatibilità della condotta sottomarina (105
km tra l'Albania e la Puglia che correranno a una profondità massima di 820
metri) con l'ecosistema, i lavori a terra per la realizzazione dello snodo di
Melendugno sono stati avviati a marzo. La mobilitazione No Tap da allora è stata
massiccia e costante e i lavori, consistiti nell'eradicamento e trasferimento
temporaneo dal sito di oltre 200 ulivi, hanno suscitato proteste, blocchi
stradali e tafferugli.
Maltempo: la frana - Rischio crolli bis in via
Commerciale - Abitazioni inagibili per settimane
Via Commerciale è ancora a rischio. La muraglia crollata lunedì sera tra le
case dei civici 39 e 41, che ha schiacciato quattro automobili e che stava per
travolgere una persona, potrebbe provocare altri problemi. Tanto più con un
peggioramento delle condizioni meteo: la parte che ha resistito al cedimento è
pericolante; pioggia e vento di una certa intensità darebbero il colpo di
grazia. E non si possono escludere altri smottamenti del terreno, come
probabilmente è già avvenuto durante la notte. I vigili del fuoco, ieri in
sopralluogo, hanno confermato l'allarme e la zona resta transennata. Accedervi è
pericoloso. Rimangono inagibili anche gli edifici interessati dalla frana, a
cominciare dal numero 41, al cui interno sono stati evidenziati danni di non
poco conto causati dai massi precipitati sulla facciata esterna. Evacuate, per
ragioni di sicurezza, pure le due ville di Salita della Trenovia e di vicolo dei
Gattorno. Entrambe le abitazioni si trovano una a fianco all'altra nella parte
sopra a via Commerciale, quella da cui sono precipitati i detriti di terra e
pietra. La villa di Salita della Trenovia, come spiega l'ingegner Angelo Manna,
funzionario tecnico del Comando provinciale dei vigili del fuoco, ha peraltro
evidenziato una lesione sul basamento: «Si tratta di un distacco del terreno
posto tra il marciapiede e l'edificio - precisa - quindi in via cautelativa al
momento non è utilizzabile». Tirando le somme, sono dunque tre gli edifici
provvisoriamente inaccessibili, per un totale di otto famiglie sfollate. Le
persone sono state ospitate da parenti e amici. Ma in queste ore è sotto
osservazione soprattutto la sezione di muro che è rimasta miracolosamente in
piedi: «La parte non crollata, quella più prossima al punto franato,
probabilmente è instabile- precisa ancora l'ingegnere dei vigili del fuoco -
quindi l'abitazione a valle e l'area circostante non sono sicuri. Noi abbiamo
delimitato la zona visto che sono possibili ulteriori smottamenti. Ma non è
prevedibile se ci verificheranno effettivamente, né quando. Dipende da tanti
fattori, a iniziare dall'intensità della pioggia. Non a caso le abitazioni
coinvolte non possono essere fruibili, almeno provvisoriamente. Poi vedremo. Ma,
ripeto, l'intera zona circondata con il nastro è a rischio. L'area non è in
sicurezza». Impossibile stabilire tempi e modalità di intervento per sgomberare
le macerie e ripristinare la muraglia. Probabilmente ci vorranno mesi, con
annesse battaglie legali tra le rispettive proprietà. In linea di massima una
prima verifica sulla tenuta strutturale potrebbe riguardare proprio la parte di
muro "sana" che andrà messa in sicurezza in modo da evitare possibili ulteriori
crolli sulla casa di fronte, quella del civico 41 di via Commerciale. Sarebbe un
altro disastro. Poi, stando alla ipotesi di lavoro, si potrebbe procedere con
l'installazione di una serie di pali verticali e con una gettata di cemento per
"contenere" il terreno instabile durante le operazioni di scavo dei detriti
franati. Asportando quelli, infatti, le zolle della parte superiore potrebbero
rovinare verso il basso. Serve quindi creare una sorta di "argine" prima di
iniziare con il prelievo dei metri cubi di terra precipitati durante lo
smottamento. Chiaramente sarà necessario preparare un vero e proprio progetto
edilizio da affidare ai tecnici strutturisti. Il costo, ad oggi, è
incalcolabile. Così come eventuali responsabilità. I proprietari degli immobili
coinvolti, nel frattempo, stanno cercando di capire come orientarsi per avviare
le pratiche burocratiche necessarie ai futuri lavori. «Personalmente - afferma
Floriano Bellavia, uno dei residenti - ho già contattato gli amministratori per
accordarmi sulle procedure. Certo, non sarà facile». Il signor Bellavia è uno
dei due testimoni del terribile crollo. Quando il muro e il terreno sovrastante
sono franati, lui stava uscendo di casa. «Ho sentito il rumore e ho visto cosa
stava succedendo - ricorda - pazzesco. Ma ci siamo salvati».
Gianpaolo Sarti
A Roiano si sfalda un pezzo di strada - Il cedimento in
via Borghi nella parte alta del rione - Trascinati verso valle interi blocchi di
asfalto e detriti
La frana in via Commerciale, che ha aperto una vera e propria voragine tra
le case, è certamente il danno più eclatante e pericoloso. Ma il maltempo ha
provocato anche altri smottamenti nel territorio provinciale. Sia in questi
giorni che nelle ultime settimane. E sempre a causa della pioggia. A cominciare
da Roiano, dove i residenti hanno segnalato una strada che si è letteralmente
sbriciolata. È accaduto nella parte alta del rione, tra il reticolo di viuzze
attorno a via Sara Davis, precisamente in via Edoardo Borghi. L'asfalto ha
ceduto in prossimità del bordo, precipitando nella parte sottostante. Un punto
che dà sul parcheggio di un gruppo di abitazioni. Cadendo, il cemento ha
trascinato giù i blocchi di pietra che delimitavano l'orlo della via e il
terreno che lo sorreggeva. Saranno circa cinque metri in tutto. L'area è stata
transennata con la segnaletica dell'AcegasApsAmga e del Servizio strade del
Comune di Trieste. In quel punto, all'altezza del civico numero 7, adesso è
ancora impossibile transitare in automobile. Ma anche chi passa a piedi deve
fare bene attenzione a dove cammina. Secondo i residenti il crollo non è
avvenuto con il maltempo di questi ultimi giorni, ma con uno degli acquazzoni
che risalgono a qualche settimana fa o forse più. Ma che sarebbe peggiorato con
la pioggia di questo weekend. Il terreno, secondo chi abita da queste parti, ha
continuato a franare e l'asfalto a sbriciolarsi. Nulla, come detto, in confronto
con l'incidente di via Commerciale: ma il cedimento sta ostacolando la
viabilità, sebbene ridotta vista la zona. Via Borghi, in linea d'aria, si trova
peraltro a poche centinaia di metri dal luogo del crollo avvenuto l'altra sera
in via Commerciale. La strada, già di per sé piuttosto stretta, ora è bloccata.
E non si sa per quanto tempo. Trieste non è nuova a questo genere di episodi.
Frane e cedimenti di vario tipo si verificano quasi puntualmente in occasione di
ondate di maltempo particolarmente accentuato. È soprattutto la pioggia intensa
a determinare i danni più rischiosi, che spesso si verificano su muri, strade
scoscese, terreni impervi e pareti rocciose. A incidere, talvolta, pure
l'incuria, l'assenza di adeguate protezioni e la mancata manutenzione
strutturale. Il nutrito elenco di smottamenti e allagamenti registrati lunedì,
dopo la neve, l'acquazzone e l'improvviso aumento delle temperature, era
cominciato lunedì mattina a Barcola, in viale Miramare, nel tratto antistante il
Cedas: anche in quel caso è ceduto il muraglione di contenimento. Alcuni massi
hanno invaso la carreggiata creando non pochi disagi anche per il traffico.
Altri episodi analoghi, con diversi gradi di pericolosità, sono stati registrati
in Strada per la Fortezza, nei pressi Muggia, di fronte a Porto San Rocco.
Lunedì mattina il primo smottamento, che poi ieri pomeriggio si è allargato di
dimensione. Sul posto, per le verifiche del caso, i vigili del fuoco. Ma lunedì
si è resa necessaria la chiusura di Strada per Lazzaretto e la parte alta in
località Pianezzi, proprio a causa del riversamento a terra di circa tre metri
cubi di terra e detriti.
(g.s.)
«Colpa della mancata manutenzione» - Il geologo
Ravalico: «La zona costiera è molto fragile. Bisogna alzare la guardia»
«Siamo alla solite. Quella del dissesto idrogeologico è una storia che i
ripete». La diagnosi del geologo Mario Ravalico, per anni al servizio geologico
della Regione Friuli Venezia Giulia e poi consigliere comunale per il Pd, non è
del tutto negativa. «Trieste non si trova nelle grave condizioni di altri parti
del Paese - spiega -, tuttavia non è esente dai rischi causati dall'incuria e
dalla inesistente prevenzione». I cambiamenti climatici sono solo l'elemento
scatenante. Come se la passa il territorio triestino dal punto di vista
geologico? Il nostro territorio non è malandato, tuttavia bisogna tenere alta la
guardia affinché non si verifichino episodi come quelli di questi giorni. Cosa
manca? Manca una seria manutenzione del territorio. Non si fanno attività di
prevenzione del dissesto idrogeologico. Purtroppo in Italia non c'è questa
cultura per la messa in sicurezza del territorio. E neppure Trieste è un'isola
felice. Bisogna fare attenzione, anche perché, come si è visto, le frane non si
fermano a Duino. Le frane in via Commerciale e viale Miramare erano evitabili?
Non mi posso pronunciare sui due episodi. Non li ho visti direttamente. Posso
solo dire che se i manufatti hanno una manutenzione regolare, è molto difficile
che avvengano degli smottamenti o dei dissesti. La chiave di volta, mi pare di
capire, è la prevenzione... Con una manutenzione periodica, un'attenzione
particolare al deflusso delle acque, la pulizia delle caditoie non
succederebbero molti dei disastri di cui siamo costretti periodicamente a
rendere conto. Inoltre la prevenzione costa molto di meno. Rifare i muri
crollati in via Commerciale e viale Miramare costerà parecchio. I piccoli
interventi preventivi costano poco e permettono di ottenere un risultato ottimo.
L'area franata in viale Miramare era transennata da tempo... Appunto. C'erano i
già segnali per intervenire. E non si è fatto nulla. Qual è la fragilità
maggiore del territorio triestini? Dove si corrono i maggiori rischi? La parte
bassa, lunga la linea di cosa, costituiti dai terreni del famoso flysch, è la
zona più pericolosa. Le marne e le arenarie sono estremamente fragili. La parte
dell'altipiano, con i calcari carsici, è molto più stabile. Le frane peggiori a
Trieste e Muggia avvengono lungo la linea di costa. E in questo caso bisogno
porre l a massima attenzione al territorio. A Trieste c'è poi anche la questione
dei torrenti sotterranei. Infatti. Nel nuovo piano regolare è stato inserito un
allegato apposito sullo stato dei torrenti. Ogni corso d'acqua ha una sua scheda
che illustrato lo stato di salute e di degrado. Mi pare i torrenti siano
addirittura trentatré... Pare una cosa esagerata. Il comune cittadino pensa a
Trieste come Carso senza acqua. Esistono invece almeno 33 corsi d'acqua, molti
dei quali tombati e seppelliti all'edizione selvaggia degli anni '60 e'80. E qui
bisogna stare attenti. Può capitare l'evento eccezione che li fa esplodere. Come
è successo a Genova... Esatto. Vanno tenuti sotto controllo. E un rischio da non
sottovalutare per Trieste.
Fabio Dorigo
IL PICCOLO - MARTEDI', 12 dicembre 2017
Frana travolge le auto - Voragine tra le case - Crolla
un muro di contenimento in via Commerciale a causa delle forti piogge
Incredibilmente illesi passanti e residenti. Inagibili le abitazioni di
sette famiglie
Prima lo scricchiolìo. Poi il boato. A tarda sera non è ancora chiaro quanti
metri cubi di terra si siano effettivamente staccati dal muraglione di via
Commerciale 39 e 41. Quel che è certo è che non ci sono morti né feriti. Ma solo
per un soffio. La frana ha però travolto ben quattro auto. Schiacciate come
scatolette di latta. È successo tutto in pochi istanti, dopo ore e ore di
pioggia battente, in una giornata di maltempo già segnata da decine di
interventi dei vigili del fuoco e della polizia locale in ogni angolo della
città, per allagamenti e tombini tappati. L'emergenza comincia in viale Miramare
alle otto di mattina, a Barcola, all'altezza del Cedas: un muro di contenimento
crolla e i detriti invadono parte della carreggiata. L'incidente fortunatamente
non provoca conseguenze alle persone né danni. Ne risente però il traffico che a
quell'ora del mattino va rapidamente in tilt. Si tratta di una struttura che in
passato aveva già mostrato cenni di cedimento e per questo motivo era già stata
transennata tempo fa. Ma l'episodio di Barcola, risolto nell'arco di poche ore,
è nulla di fronte allo scenario da guerra in cui i soccorritori si imbatteranno
in via Commerciale a pomeriggio inoltrato. Lo scricchiolìo, dunque. Ore 16.45:
il muro che costeggia il caseggiato dei civici 39 e 41, stretto tra altri
edifici di pregio, si spacca di colpo. Non ha retto il peso del terreno intriso
d'acqua. Il signor Diego Allaix abita proprio lì. In quel momento è in giardino
accanto alla sua Audi Q3. Si accorge del rumore e decide di salire a bordo per
spostarla. Ma cambia rapidamente idea, scende e scappa. Un pietra lo prende di
striscio su una gamba. Poteva finire peggio. La valanga di detriti abbatte un
albero e distrugge le quattro automobili posteggiate nel giardino sotto: l'Audi
Q3, una Peugeot 206 e due Ford Fiesta. In quell'istante all'interno degli
abitacoli non c'è nessuno, come riescono ad accertare i proprietari dei mezzi.
Ma i soccorritori hanno la matematica certezza appena verso sera, attorno alle
otto, dopo gli scavi. I pompieri e il 118 piombano sul posto assieme alla
polizia immediatamente, a pochi minuti dall'allarme. Via Commerciale è tutta un
luccichìo di lampeggianti blu. La gente in auto, in fila, non capisce cosa stia
accadendo. Domandano, si informano: «Cosa succede?», chiede una signora al
volante di una Panda a un agente della municipale. Si sa ancora poco. Su, tra le
case, è un disastro: è franata non solo la muraglia davanti alle abitazioni dei
civici 39 e 41, dove vivono cinque famiglie per una ventina di persone, ma pure
la zolla di terra del giardino sovrastante, a un passo dalla fondamenta. È una
villa di Salita della Trenovia. Adesso sembra come sospesa nel vuoto. La
famiglia è stata evacuata per sicurezza. Lo smottamento ha sepolto i gradini che
portano all'abitazione. Ma in serata, dopo gli accertamenti, i vigili del fuoco
dichiarano inagibili le tre case che si trovano nella parte sovrastante e pure
quella sottostante. E' il civico 41 di via Commerciale: pianterreno, primo,
secondo piano e mansarda, dove vivono quattro famiglie.Gli scavi per la
successiva messa in sicurezza dell'area si prolungano fino a tardi. L'intera
zona resta transennata dai nastri rossi dei soccorritori. Gli interrogativi
permangono: perché la muraglia non ha tenuto? Dal muro di pietra, illuminato con
i fari, si scorgono le feritoie di scolo dell'acqua. Ma sembrano asciutte: la
pioggia non riesce a filtrare. Per i vigili del fuoco è piuttosto evidente.
Adesso si teme che anche il resto della struttura possa dare problemi. Con un
altro acquazzone, con il vento e con quella parte già divelta, il pericolo di un
ulteriore crollo è concreto.
Gianpaolo Sarti
Strada del Friuli off limits per ore - Bus deviati su
via Fabio Severo. Chiusa per allagamenti anche via Pietraferrata
Giornata campale per vigili del fuoco e polizia locale, chiamati a un
superlavoro ieri per svariati allagamenti in tutta la provincia che hanno
interessato anche diversi tratti della viabilità triestina. Oltre a
infiltrazioni e danni da acqua in cantine e abitazioni private, nonché in negozi
cittadini, numerose strade viari hanno subito importanti allagamenti con
conseguenti chiusure al traffico e rallentamenti. A Trieste in via Giulia,
all'altezza della Rotonda del Boschetto e in Strada del Friuli gli episodi più
importanti, avvenuti nella prima mattinata di ieri, intorno alle ore 8. Strada
del Friuli ha richiesto addirittura la chiusura, da via del Perarolo a Prosecco
in entrambi i sensi di marcia dal primo mattino fino alle 14.30. Deviate anche
di conseguenza le linee del bus 42 e 44 della Trieste trasporti, in entrambi i
sensi di marcia. Autobus fatti transitare per via Fabio Severo, Strada nuova per
Opicina e Prosecco. Intorno alle 11.45 è stato chiuso anche l'ultimo tratto di
via Pietraferrata, sempre per allagamenti. Un superlavoro per i vigili del
fuoco, chiamati a fronteggiare un cospicuo numero di interventi su tutta la
provincia di Trieste. Sia per i numerosi allagamenti e problemi provocati dalle
intense precipitazioni, sia per quanto riguarda gli incidenti stradali per i
quali sono stati chiamati a intervenire, a causa dei manti stradali resi
sdrucciolevoli per detriti, fogliame e ristagni d'acqua sulle carreggiate. La
Protezione civile del Friuli Venezia Giulia, a causa degli intensi piovaschi
delle scorse ore e sulla base delle previsioni meteo, prevede un aumento dei
livelli dei corsi d'acqua e ha diramato lo Stato di allerta "arancione" dalle 13
di ieri, fino alle 12 di domani, per piogge intense, vento forte e possibili
mareggiate. Sulle zone montane è stato diramato anche il pericolo valanghe fino
al "grado 4" (forte), con possibile interessamento delle vie di comunicazione,
delle infrastrutture e dei centri abitati sopra i 1000 metri. Allerta arancione
che si estende anche ai bacini dei fiumi Tagliamento -Torre, Isonzo e Vipacco
proprio a causa delle abbondanti piogge delle ultime 24 ore. Secondo le
previsioni, intorno alla tarda mattinata il fronte si sposterà verso la
Slovenia, con la conseguente attenuazione dell'intensità del vento e delle
precipitazioni.
Enrico Ferri
L'archeologia subacquea racconta con i suoi reperti la
storia dell'Adriatico
Presentata in Regione l'esposizione "Nel mare dell'intimità" che da
domenica sarà aperta al pubblico nell'ex Pescheria
Sarà la "Mille e una notte" dell'Adriatico, un rosario di racconti, un libro
aperto con le tante storie di uomini e donne che hanno attraversato con lo
sguardo l'Adriatico da una riva o dal ponte di una nave, che lo hanno invocato
per placarne le furie o sulle cui acque si sono avventurati alla ricerca di
venti propizi, imprese e fortuna. E' questa l'essenza della mostra "Nel mare
dell'intimità", che attraverso la voce narrante dell'archeologia subacquea si
propone di raccontare la storia dell'Adriatico dall'antichità ai giorni nostri.
L'esposizione, che da domenica 17 dicembre aprirà le porte al pubblico al Salone
degli Incanti, è dedicata alla memoria di Predrag Matvejevic, che nel suo
"Breviario Mediterraneo" definisce l'Adriatico proprio come "il mare
dell'intimità". Presentata ieri in conferenza stampa, la mostra è l'esito di
progetti di ricerca e di joint ventures dai risultati eccellenti, senza le quali
non sarebbe mai stata possibile. Perché al Salone degli Incanti riunirà, per la
prima volta nella storia, oltre mille reperti provenienti dai musei di quattro
Paesi europei: Italia, Croazia, Slovenia e Montenegro. «E' una grande opera
corale - sottolinea l'archeologa subacquea Rita Auriemma, curatrice
dell'esposizione per conto di Erpac -, che vuole essere il punto di partenza per
altre iniziative e progetti, e proporre una riflessione assolutamente necessaria
sul futuro del patrimonio sommerso e sull'archeologia subacquea oggi in Italia,
per fare in modo, dopo le pionieristiche esperienze del secolo scorso, che non
cali definitivamente il sipario su questa disciplina». La straordinarietà
dell'esposizione, sottolinea l'assessore alla cultura Gianni Torrenti, sta
proprio nella grande collaborazione riscontrata tra le oltre sessanta
istituzioni italiane e internazionali coinvolte nel progetto: «Il frutto di
questa cooperazione è un'esposizione di duemila metri quadrati dalla quale il
visitatore uscirà con una maggiore consapevolezza del dinamismo dei nostri
paesaggi costieri e dei traffici commerciali che li animavano, delle strade
liquide dell'Adriatico indispensabili per costruire rapporti tra i popoli e
creare una comunità e una cultura fortemente unitaria. Si tratta di un progetto
che non finirà quando la mostra chiuderà i battenti: rimarranno gli investimenti
fatti nei restauri, le idee per nuove esposizioni, i protagonisti di nuovi
allestimenti nei musei regionali». Sgravarsi dal provincialismo e fare rete è,
anche per l'assessore comunale alla cultura Giorgio Rossi, l'unico modo per dare
vita a iniziative come queste, che per il Comune sono indispensabili per tenere
sempre accese le luci in uno degli spazi espositivi più suggestivi della città.
«Le sinergie aiutano, le divisioni costano alla comunità», sottolinea anche
Tiziana Benussi, per la Fondazione CRTrieste. Mentre Luca Caburlotto, Direttore
del Polo museale del Fvg, enfatizza le iniziative rese possibili da questo
progetto, che consentiranno di dare nuova linfa ai musei della regione: «Sono
oltre trecento i pezzi in mostra provenienti dai musei del polo regionale -
spiega -. Grazie a questo progetto e alla sua curatrice si è completato il
restauro del Navarca di Aquileia, che a fine mostra tornerà al Museo
Archeologico Nazionale. Ed è stato inventariato il carico e ricostruita la
sezione dello scafo della Iulia Felix, che sarà il fulcro del costituendo Museo
di Grado». L'allestimento, curato dall'architetto Giovanni Panizon, trasformerà
Santa Maria del Guato in un fondale sommerso, che sarà lo scenario in cui
verranno presentati i macrotemi che compongono l'esposizione, attraversandola
temporalmente: lo spazio Adriatico, i porti e gli approdi, Le navi, Le merci,
Gli uomini, Le attività, Le guerre, I luoghi sacri, Le migrazioni e La ricerca
sotto il mare. Nel cuore del Salone degli Incanti, l'Agorà, troveranno spazio le
statue, tra cui anche la splendida copia, arrivata ieri mattina a Trieste,
dell'Apoxyomenos, l'opera bronzea nota anche come "l'atleta della Croazia",
rinvenuta nel 1999 a est dell'isola di Lussino a 45 metri di profondità, che ha
prestato il suo volto all'immagine guida dell'esposizione.
Giulia Basso
Allargare i marciapiedi per una città a misura di
pedoni - La lettera del giorno di Paolo Radivo
Malgrado le pedonalizzazioni degli ultimi vent'anni, Trieste continua a
penalizzare quasi ovunque i pedoni, privilegiando i veicoli a motore.
Da ciò l'inquinamento atmosferico e acustico, la circolazione disordinata, nonché la pericolosità e la sgradevolezza di muoversi al di fuori delle poche aree pedonali. Per risolvere strutturalmente questo annoso problema basterebbe allargare in forma sistematica i marciapiedi, spesso stretti, scomodi e sconnessi, onde consentire l'agevole passaggio simultaneo in entrambe le direzioni di almeno una persona con l'ombrello aperto, di una sedia a rotelle o di una carrozzina. Di conseguenza bisognerebbe, a seconda dei casi: 1) ridurre l'ampiezza delle carreggiate, laddove inutilmente eccessiva, diminuendo in tal modo la velocità esagerata di scorrimento dei veicoli e l'incidentalità; 2) trasformare gli stalli a pettine di autoveicoli (che occupano anche parti di marciapiede) in stalli di autoveicoli o di motoveicoli e motocicli paralleli ai marciapiedi; 3) trasformare gli stalli di autoveicoli paralleli ai marciapiedi in stalli di motoveicoli e ciclomotori paralleli ai marciapiedi; 4) trasformare gli stalli a pettine di motoveicoli e ciclomotori in stalli di motoveicoli e ciclomotori paralleli ai marciapiedi; 5) eliminare gli stalli per autoveicoli su uno dei due lati della via; 6) eliminare gli stalli per motoveicoli e ciclomotori su uno dei due lati della via. Allargare i marciapiedi non implicherebbe necessariamente ripavimentarli in pietra. Dunque i costi non sarebbero cospicui, anche perché i lavori, da spalmare su più anni, potrebbero venire effettuati in concomitanza con le cicliche riasfaltature e con gli scavi per i sottoservizi. Gli stalli ridotti o soppressi andrebbero trasferiti altrove, quando possibile, partendo comunque dal presupposto che i veicoli parcheggiati all'aperto occupano suolo pubblico e abbruttiscono l'estetica cittadina. È ora che i pedoni acquisiscano il diritto di camminare sui marciapiedi in sicurezza e comodità. Civiltà pedonale significa non solo incolumità, ma anche qualità della vita, dell'aria e dell'ambiente urbano, rispetto del prossimo, nonché sviluppo del commercio, del turismo e dei servizi. (nella foto il marciapiedi stretti di via Fonderia).
GREENSTYLE.it - LUNEDI', 11 dicembre 2017
Clima: riscaldamento globale, crescita record secondo nuovo studio
Il Carniege Institution for Science ha pubblicato nei giorni scorsi uno studio allarmante su Nature: le temperature mondiali potrebbero aumentare drasticamente del 15% in più rispetto a quando previsto a oggi. Se questo fosse tutto vero i Governi Mondiali dovrebbero correre ai ripari e modificare al più presto i loro piani di riduzione delle emissioni di gas serra.
Nello specifico il Carnegie Institution for Science ha spiegato che entro il 2100, se continuiamo a comportarci tutti allo stesso modo, la temperatura media terrestre potrebbe aumentare di 0,5 gradi e, sebbene sembri un numero piccolo, questo mezzo grado potrebbe complicare molto il raggiungimento degli obiettivi sul clima decisi dai Paesi partecipanti alla COP 21 di Parigi. Gli autori della ricerca, Patrick Brown e Ken Caldeira, hanno spiegato che la stabilizzazione della temperatura globale, visto questo ultimo allarme, necessiterà di riduzioni di gas serra molto più drastiche rispetto a quanto si era deciso in precedenza e gli impegni presi dai Governi, a oggi, sono troppo poco ambiziosi. Guardando così allo scenario peggiore, se le cose non dovessero cambiare le temperature potrebbero raggiungere i +4,8 gradi nel 2100, una situazione difficile da gestire con gravissime conseguenze per il nostro Pianeta che si troverebbe a rischio costante di alluvioni, con lo scioglimento dei ghiacci e un clima in continuo cambiamento.
Selena
Clima: AI for Earth, Microsoft investe altri 50 mln di dollari
Microsoft rinnova il suo impegno per la Terra investendo ulteriori 50 milioni di dollari, nei prossimi 5 anni, nella AI for Earth. La Microsoft Artificial Intelligence utilizzerà i fondi stanziati per sostenere università, ONG e imprese impegnate in progetti a sostegno del clima, delle risorse idriche, dell’agricoltura e per la tutela della biodiversità. Già 350 mila dollari sono stati stanziati a istituzioni e ricercatori in più di 10 Paesi nel mondo.
Il presidente e Chief Legal Officer della compagnia Brad Smith ha scelto il secondo anniversario degli Accordi di Parigi sul clima per annunciare l’espansione del programma Microsoft AI for Earth. Un ulteriore passo per l’azienda statunitense verso quella che è stata definita la “Democratizzazione dell’Artificial Intelligence”. Questo programma rappresenta inoltre un’ulteriore indicazione verso la ricerca della sostenibilità ambientale da parte di Microsoft. Parallelamente ad AI for Earth l’azienda ha incrementato progressivamente l’utilizzo di rinnovabili per l’alimentazione dei suoi datacenter, riducendo così le proprie emissioni di CO2. Microsoft AI for Earth vede tra i beneficiari anche il Politecnico di Milano. L’ateneo milanese è stato tra i primi in Italia a ottenere il finanziamento Microsoft, riconosciuto per il progetto di “monitoraggio del manto nevoso e alle previsioni di approvvigionamento idrico attraverso il Deep Learning”.
Claudio Schirru
COMUNICATO STAMPA - LUNEDI', 11 dicembre 2017
STRATEGIA ENERGETICA NAZIONALE: LA CENTRALE A CARBONE
VA CHIUSA ENTRO IL 2025
Lo scorso 10 novembre i Ministri Calenda e Galletti hanno firmato il
Decreto Ministeriale contenete la Strategia Energetica Nazionale (SEN) .
La nuova SEN era un atto atteso da tempo che, seppur ancora insufficiente,
traduce in maniera dettagliata gli impegni sottoscritti dal nostro paese alla
conferenza di Parigi del 2015 (COP21) riguardo alla riduzione delle emissioni di
gas-serra .
Questo fatto è passato sotto silenzio da parte dei media e delle istituzioni
locali, ma ha grande rilevanza poiché il Decreto per la prima volta indicata la
data del 2025 come il limite entro il quale dismettere tutte le centrali
elettriche alimentate a carbone in Italia.
Ci sembra ragionevole che la dismissione delle centrali a carbone inizi a
partire degli impianti più vetusti, e la centrale di Monfalcone con i sui 52
anni di attività è la seconda in Italia per anzianità di servizio (dopo quella
di Fusina in provincia di Venezia).
Auspichiamo quindi che per l'impianto di Monfalcone non si attenda il 2025, e
sollecitiamo le istituzioni locali, Comune e Regione, ad attivarsi con i
ministeri competenti e con A2A Energie Future affinché venga esplicitata una
data per la chiusura della centrale.
Ma come già in passato abbiamo più volte ribadito, la semplice chiusura non è
sufficiente. A nostro avviso sarebbe disastroso se si arrivasse alla chiusura
dell'impianto e solo poi iniziare a porsi il problema di cosa fare dei 30 ettari
su cui sorge e soprattutto quale futuro dare alle centinaia di lavoratori che vi
sono impiegati.
E' quindi urgente elaborare un piano di bonifica del sito (come noto nella
centrale sono presenti ingenti quantità di amianto), e un progetto di
riqualificazione e riutilizzo dell'area.
Per quanto ci riguarda suggeriamo che dopo decenni di danni ambientali dovuti
alle emissioni della centrale, sarebbe auspicabile che l'area dell'impianto
venisse almeno parzialmente utilizzata per attività di ricerca, sviluppo e
produzione nell'ambito delle energie rinnovabili, e per altre attività
compatibili con l'ambiente e con la stretta vicinanza con l'abitato della città
di Monfalcone. In questo modo, si potrebbe anche dare un futuro occupazionale ai
lavoratori attualmente impiegati.
Legambiente Circolo “Ignazio Zanutto” Comitato NO Carbone Isontino
IL PICCOLO - LUNEDI', 11 dicembre 2017
Scatta il maxi restyling per il "Quadrilatero" - Lavori
da 18 milioni di euro nel comprensorio in cui vivono 1.600 persone
Dal rifacimento di marciapiedi e impianti alla riorganizzazione dei
giardini
Un programma di 18 milioni di euro per rendere presentabile quello che
alcuni avevano definito il "falansterio" di Rozzol Melara, con evidente
riferimento all'opera di Charles Fourier. Se non ci sono intralci burocratici, i
lavori potranno partire - secondo un pronostico degli uffici comunali - entro la
metà del 2018. Marciapiedi, aree verdi, corridoi, impiantistica, amianto, vie di
accesso, marciapiedi, efficientamento energetico, illuminazione, serramenti,
autorimesse: Rozzol Melara si avvia verso una stagione di improcrastinabile
rinnovamento, non solo edile. Il direttore dell'Ater triestina, Antonio Ius, è
decisamente soddisfatto, perchè l'azienda può finalmente pianificare un
super-lifting dedicato alla sua proprietà immobiliare più grande: 650 alloggi
dove oggi vivono 1600 persone. Sembra quasi di festeggiare un anniversario:
infatti siamo a circa cinquant'anni di distanza, da quando nel 1969 l'Istituto
autonomo case popolari (Iacp), antenato dell'odierno Ater, decise la costruzione
di un grande complesso abitativo nella periferia orientale della città,
affidandone il progetto a un pool di architetti guidati dallo studio
Celli-Tognon. La realizzazione si protrasse fino ai primi anni '80. Adesso il
"Quadrilatero" ha non meno di quarant'anni effettivi, una carta d'identità che
necessita di sostanziosi interventi manutentivi e riqualificativi. Ater ci mette
11 milioni abbondanti, il Comune appoggia 6,7 milioni: entrambi fruiscono di un
robusto finanziamento governativo, che garantisce complessivamente circa 15
milioni sui 18 preventivati per l'impegnativo lifting. C'è anche un chip da 126
mila euro di AcegasApsAmga. L'annuncio dell'operazione-Quadrilatero era già
stato dato nell'agosto dello scorso anno, quando il Consiglio comunale, nei
primi mesi del terzo mandato Dipiazza, aveva detto sì alla partecipazione al
bando Prius, il Programma straordinario gestito da palazzo Chigi per la
riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie nelle città metropolitane
e nei municipi capoluoghi provinciali. La novità è che lo scorso 28 novembre la
Presidenza del Consiglio ha trasmesso al Comune la bozza di convenzione che
stabilisce attuazione e durata del programma, erogazione del finanziamento,
monitoraggio, tempi e cronoprogramma degli interventi. Con la rapidità di un
fulmine, due giorni dopo la bozza è stata girata in versione-delibera alla
giunta, che l'ha approvata su proposta dell'assessore Elisa Lodi. I lavori, di
parte comunale, sono inseriti nel Piano triennale delle opere 2017-19. Marina
Cassin fungerà da responsabile unico del procedimento, mentre a Beatrice
Micovilovich spetta il monitoraggio dell'operazione. Ora scattano alcune
scadenze tecniche, che vanno dalla sottoscrizione alla registrazione della
convenzione da parte della Corte dei Conti fino alla trasmissione dei progetti
esecutivi/definitivi a palazzo Chigi. Le firme dovranno essere quelle di Roberto
Dipiazza e del consigliere Paolo Aquilanti, segretario generale della Presidenza
del Consiglio. Il governo - dicono in Comune - tende sempre più spesso a
privilegiare il finanziamento di interventi complessi piuttosto che di singole
opere. Per mettere i classici ferri in acqua e non restare inerti ad attendere
l'avanzata procedurale, il direttore dei Lavori pubblici comunali, Enrico Conte,
sta predisponendo un gruppo di lavoro incaricato di preparare progetti e
cronoprogramma, così da essere pronti a partire non appena saranno evaporati i
passaggi burocratici: l'ambizione - come si anticipava all'inizio - è quella di
cominciare prima dell'estate 2018. A Conte piace l'idea che il Comune non si
limiterà alla betoniera, ma si preoccuperà anche degli aspetti sociali del
Quadrilatero: l'istituzione di una biblioteca ne è il segnale più forte. Il
direttore dell'Ater Ius coglie l'occasione della radicale riqualificazione per
lanciare un altro messaggio: «Ater non vende e non venderà gli appartamenti di
Rozzol Melara». Anche in passato, chi voleva acquistare, ne è stato dissuaso. La
prospettiva di gestire un condominio frammentato, di convocare assemblee con
decine/centinaia di piccoli proprietari, di trovare maggioranze in grado di
deliberare anche il più piccolo intervento manutentivo, renderebbe ingovernabile
il "falansterio"
Massimo Greco
San Marco - Oceani, il futuro scritto nell'acqua
Questo pomeriggio alle 18, al San Marco, Elisa Cozzarini dialoga con Sandro
Carniel, che presenta il suo libro "Oceani. Il futuro scritto nell'acqua"
(Hoepli). L'evento è organizzato da Legambiente. Il nostro pianeta è ricoperto
per più del 70% di acqua e di questa oltre il 95% è salata. Eppure del nostro
unico, interconnesso oceano sappiamo ancora poco, e quel poco non è percepito
nella sua importanza. Come si esplorano i nostri mari? Perché non li conosciamo
ancora? Quali forme di vita li popolano anche negli sconfinati e oscuri abissi?
Con quali minacce li stiamo aggredendo? Quale ruolo svolgono nella stabilità del
clima della Terra? Ecco un libro che farà capire quanto gli oceani siano
indispensabili nella vita di ogni giorno. E come sia necessario conoscerli
meglio sia per poter beneficiare dei loro prodotti sia per averli a lungo come
alleati nel contrasto ai cambiamenti climatici in atto. Ingresso libero.
IL PICCOLO - DOMENICA, 10 dicembre 2017
Copertoni e barattoli - Foiba di Basovizza "assediata"
dai rifiuti - Scoperte dai volontari di Sos Carso cinque piccole discariche a
distanza di poche decine di metri dall'area del monumento
TRIESTE - La più grande si trova a circa mezzo chilometro di distanza, le
altre stanno solo a 50 metri. Sono le discariche vicine al monumento nazionale
della Foiba di Basovizza rinvenute durante le perlustrazioni effettuate dal
gruppo ambientalista Sos Carso. «Entro la fine di dicembre contiamo di ripulire
l'area: posso stimare che andremo tranquillamente oltre i 100 sacchi neri di
immondizie», lamenta Cristian Bencich, il fondatore del gruppo. A cavallo tra
novembre e dicembre una decina di volontari ha operato in una dolina poco
lontana dalla foiba. «A maggio avevamo già ricevuto una segnalazione su una
minidiscarica, piuttosto datata, nei pressi del monumento. E visto che di
recente ce n'era arrivata un'altra su un recente scarico di mobili, circa un
centinaio di metri sulla destra dopo la foiba, abbiamo deciso di fare un giro
unico di ispezione», racconta Bencich. Se il cumulo di mobili era già stato
segnalato dalla Forestale con un nastro bianco-rosso, grosso scalpore hanno
destato invece altre mini discariche presenti lì vicino. «Purtroppo facendo un
giro nella zona, diciamo in un raggio di circa 500 metri, abbiamo trovato almeno
5-6 piccole discariche con all'interno centinaia di bottiglie, vetri, una decina
di pneumatici, bidoni e ferraglia varia: la più vicina dista solamente 50 metri
dal monumento nazionale. A nostro avviso una situazione grave e inaspettata -
racconta Bencich - alla quale abbiamo subito cercato di trovare soluzione».
Nella prima giornata, in due ore di lavoro, i volontari di Sos Carso hanno
raccolto dodici sacchi neri tra vetri e materiale vario, sei pneumatici e
diversi ferri e bidoni arrugginiti. Nella seconda uscita ecologica i volontari
hanno continuato con la pulizia della dolina riempiendo altri dieci sacchi neri
prevalentemente con bottiglie di vetro, qualche polistirolo, barattoli, un
pneumatico e la solita ferraglia varia. La vigilia del giorno di San Nicolò sono
stati riempiti ulteriori dieci sacchi. «Il giorno di San Nicolò, invece, abbiamo
iniziato a ripulire le immondizie sotterrate nel tempo riempiendo altri dieci
sacchi neri». Il portavoce dei volontari stila il cronoprogramma degli
interventi da effettuare per proseguire e completare i lavori di pulizia: «Si
pensava, visto la mole di rifiuti, di organizzare una raccolta anche con
gruppetti di due tre persone in questo mese e sino a tutto gennaio per
accatastare sul posto i sacchi e tutto il materiale ingombrante, in attesa di
fare un' uscita pubblica con più volontari per finire e asportare il tutto nel
febbraio del prossimo anno». Una volta conclusa questa operazione Sos Carso ha
intenzione di proseguire le ispezioni nel territorio dell'altipiano carsico sito
tra le amministrazioni comunali di Trieste e San Dorligo della Valle. «Ho la
brutta sensazione che quello che abbiamo trovato sia solamente una parte di
quello che si cela nelle doline attorno alla foiba di Basovizza - conclude
Bencich - speriamo sempre che le istituzioni possano darci una mano, ma sino ad
allora proseguiamo il nostro operato in totale autonomia basandoci solamente
sull'aiuto di qualche privato per l'acquisto di sacchi neri e guanti».
Riccardo Tosques
Raccolta differenziata e bagni chimici all'esame del
Consiglio comunale Muggia
Si parlerà di rifiuti anche nel corso della prossima seduta del Consiglio
comunale di Muggia, in programma mercoledì prossimo alle 19.30. Nel corso del
Question time, infatti, verrà discussa un'interrogazione sullo "stato di salute"
del sistema della raccolta differenziata porta a porta nel territorio comunale.
In menù anche un'interrogazione sull'assenza di bagni chimici durante i
festeggiamenti per San Martino e un'interpellanza sul futuro del comprensorio ex
Ezit. All'ordine del giorno poi sono state inserite alcune comunicazioni della
giunta sul Fondo di riserva, il bilancio di previsione dell'Uti e il recepimento
di misure speciali per il recupero del patrimonio edilizio.
I porti da denuclearizzare nella giornata dei diritti
umani - la lettera del giorno di Alessandro Capuzzo - Comitato pace e convivenza
Danilo Dolci
Oggi, Giornata mondiale dei Diritti umani, l'International Coalition Against
Nuclear weapons ICAN riceverà ad Oslo il premio Nobel per la Pace per il lavoro
compiuto assieme alle Nazioni Unite col nuovo Trattato per la messa al bando
delle bombe nucleari, ultima arma di distruzione di massa a essere espulsa dal
sistema delle relazioni internazionali. Una delegazione di attivisti italiani
della Coalizione Ican sarà presente alla cerimonia. Nello stesso giorno la Lega
delle Donne per la Pace e la Libertà (Wilpf) del nostro Paese, giungerà a Roma
con una Carovana che ha fatto conoscere alla popolazione il "Nuclear Ban Treaty"
approvato dalle Nazioni Unite. La mobilitazione presso il nostro nordest di
confine è iniziata con la consegna a New York, per il tramite della Wilpf, alla
Conferenza Onu istitutiva del Trattato, del documento "Proposta da Trieste di
case studies sui porti da denuclearizzare". Proposta che consiste nella
valorizzazione dell'eccellenza esistente in materia con la richiesta all'Agenzia
atomica internazionale di Vienna di affidare, alla sua Scuola di prevenzione
nucleare al Centro internazionale di fisica teorica di Miramare specifici studi
sulla denuclearizzazione a medio termine incardinata nel Trattato. Questa
possibilità nasce dall'esistenza a Trieste e Koper-Capodistria in Slovenia di
due porti nucleari di transito, militari e civili, dove la sussistenza dei
centri abitati accanto a zone industriali rende impossibile una seria
prevenzione delle emergenze; e la presenza del segreto militare determina ad
esempio l'assenza di riferimenti ai porti nucleari nella Valutazione d'impatto
ambientale sui progetti di rigassificatore. Alle amministrazioni comunali della
provincia che hanno espresso contrarietà al porto nucleare e/o hanno aderito a
Mayors for Peace, oggi verrà spedita una richiesta di promuovere la ratifica
italiana del Trattato, di formalizzare all'Agenzia atomica di Vienna la proposta
di case studies sui porti nucleari, a iniziare da Trieste e Capodistria, e di
intervenire alla Marcia per la Pace del 1° gennaio, raccogliendo l'appello di
papa Francesco a favore del nuovo Trattato in questione e il suo messaggio
d'augurio per il 2018, indirizzato alla maggior tutela di migranti e rifugiati.
SEGNALAZIONI - Mobilità sostenibile Dimenticare l'automobile
Il 7 dicembre sul Piccolo in prima pagina: "Pirata della strada presa al casinò. Alle slot di Lipizza dopo aver ucciso una passante". "Non me ne sono accorte". Ancora in prima: "Non ce l'ha fatta il vespista ricoverato a Cattinara. Lo schianto, 3 giorni d'agonia: addio a Diego, 17 anni. Incidente mentre portava pizze". Sempre il 7 dicembre, ma in Trieste Cronaca: "Pedone investito da una vettura in retromarcia". Ormai gli incidenti stradali, anche gravi, hanno cadenza giornaliera. Quest'anno CamminaTrieste ha deciso di dedicare i consueti auguri prenatalizi a una passeggiata informata ai criteri della mobilità sostenibile a misura di pedone, per promuovere anche a Trieste e nel Friuli Venezia Giulia un sistema di trasporto integrato, come quello realizzato con successo in Alto Adige, sull'esempio di Monaco di Baviera: Mobilcard, biglietto unico per tutti i mezzi di trasporto, pubblici e privati, che consente di lasciare in autorimessa l'auto risparmiando e utilizzandola in modo più proficuo e sicuro.
Luigi Bianchi - CamminaTrieste
SEGNALAZIONI - Trasporti - Il costo enorme dei treni storici
Trieste sta vivendo un momento di grande visibilità turistica. È certamente una metà interessante e con molte attrazioni, la stessa qualità della vita la rende appetibile. Ora con la riapertura di alcune linee ferroviarie chiuse alla circolazione si auspicano treni storici e turistici. Per quanto bella ed interessante Trieste non può offrire le attrattive dello Jungfrau e dunque difficilmente queste linee riuscirebbero ad avere un bilancio almeno in pareggio. Già ora il Trasposto Locale viene sovvenzionato dalla fiscalità. Non si dimentichi che gli introiti della vendita dei biglietti coprono solo il 28% dei costi, il tram di Opicina ha uno sbilancio annuo di due milioni. Dunque il viaggiare lento, il risalire le linee storiche su carrozze centoporte fa parte del libro dei sogni perché manca completamente un equilibrio economico. Chi pagherebbe il buco? Oppure dirottiamo i soldi dalle risorse per la Sanità? Poi il bello di certi business plan è la possibilità di scrivere qualunque dato. Tralasciamo poi i problemi tecnici, ma sappiamo tutti che l'Italia ha 60 milioni di allenatori e Trieste centomila esperti di trasporto ferroviari.
Fulvio Zonta - Attività Navalmeccaniche
IL PICCOLO - SABATO, 9 dicembre 2017
Turismo, tre piste ciclabili uniche con un tratto via
mare - La lettera del giorno di Fabio Denitto
Che ormai una parte del turismo si muova su due ruote è ormai evidente a
tutti. Prova ne siano i 10mila ciclisti che sono passati per Muggia o le
comitive numerosissime e internazionali che si incontrano sulla Parenzana.
Intercettare perciò questo flusso è diventato di fondamentale importanza per le
nuove prospettive dello sviluppo turistico della nostra città. Non mi sembra
tuttavia che la proposta di una pista ciclabile tra Trieste e Muggia vada in
questo senso. Anche perché questo percorso c'è già. Non vedo infatti il motivo
per il quale un cicloturista debba arrancare in una città piena di traffico e di
tubi di scappamento, quando può prendere il traghetto per Muggia regalandosi,
senza fatica, un'immagine unica della città vista dal mare. Da qui poi potrà
pedalare sulla nuova pista che la Regione ha finanziato poche settimane fa a
favore di quel Comune fino a Rio Ospo, da dove inizia quella Parenzana che sta
vivendo un vero e proprio boom. Ma c'è un altro tratto di ciclabile già
esistente: è quello che da Draga Sant'Elia arriva in città fino alle Rive dove è
ormeggiato il traghetto per Muggia. E cosa esiste di più bello da offrire al
cicloturista che le splendide visioni della Val Rosandra? Un altro tratto unico.
Il punto è come far arrivare gli amanti della bici da Monfalcone a Draga
Sant'Elia. Il progetto esiste già, si tratta solo di riprenderlo e finanziarlo:
la ciclabile del Carso. Un altro unicum con i suoi paesaggi e le sue tentazioni
enogastronomiche. Gli amanti infatti del turismo slow prediligono le esperienze
uniche e questi tre percorsi sarebbero effettivamente unici in Italia. In fondo
si tratta di razionalizzare l'esistente aggiungendovi ciò che manca a cominciare
dalla ciclabile del Carso, ma la Regione si è sempre dimostrata disponibile per
le vie ciclabili, anche perché il Friuli Venezia Giulia è al centro di percorsi
europei internazionali. Certo che anche arrancare su per viale D'Annunzio fra
macchine e smog è un'esperienza unica. Negativa però.
CICLOTURISMO E MOBILITA' ATTIVA
Alle 17.30 Fiab organizza un incontro pubblico per illustrare le proprie iniziative per promuovere a Muggia la mobilità attiva e il cicloturismo. L'incontro si svolgerà al Caffè del teatro Verdi di Muggia.
IL PICCOLO - VENERDI', 8 dicembre 2017
Shopping natalizio: park e bus gratuiti per snellire il
traffico - L'iniziativa ecologica sarà valida in dicembre da venerdì a sabato
dalle 16 alle 18 sia per residenti che per turisti
L'anno scorso era in fase sperimentale, ma gli ottimi risultati ottenuti
hanno fatto ripartire anche per questo periodo natalizio, dall'8 al 24 dicembre,
Park&Ride, il progetto all'insegna dell'ecologia targato Trieste Trasporti. La
tipologia del servizio veste questa volta ben due novità rispetto al 2016: più
tragitti senza spese. Per incentivare una mobilità maggiormente sostenibile e
ridurre l'incidenza del traffico veicolare in un periodo, come quello delle
festività, in cui i flussi sono particolarmente intensi, tutti i venerdì, sabato
e domenica, tra le 16 e le 18, si potrà lasciare l'automobile nelle aree
riservate (e delimitate) di quattro parcheggi semi-periferici e raggiungere
gratuitamente il centro città con gli autobus. L'iniziativa è rivolta a
residenti o turisti che visiteranno il centro nei week-end di dicembre, magari
approfittando della presenza del mercatino di Natale. Il servizio, completamente
gratuito, è svolto in collaborazione con il Comune, Esatto, Confcommercio e
Terziaria Trieste, quest'ultima addetta all'organizzazione di tutte le
bancarelle che la città accoglie da oggi al 24 dicembre.I posteggi interessati
sono quelli di Sant'Andrea (via Carli) e San Giovanni (viale Sanzio), e poi
quelli di via Flavia (piazzale Cagni) e Opicina (in corrispondenza del
quadrivio), park normalmente non a pagamento. All'interno dei contenitori gli
addetti dell'azienda di trasporti distribuiranno gratis ai clienti un biglietto
che permetterà il viaggio in autobus di andata e ritorno (da farsi entro le 21).
Per chi lascerà il veicolo nell'area di sosta di Sant'Andrea sarà operativo un
servizio di bus navetta: in partenza ogni 15 minuti da via Locchi, tra le 16 e
le 21, il mezzo compirà un percorso circolare fermando in piazza Goldoni, via
Mazzini, piazza Unità e Stazione Marittima. Il biglietto del Park&Ride, in
questo caso, sarà distribuito a bordo del mezzo pubblico. Chi invece opterà per
le zone di Opicina, San Giovanni e via Flavia potrà usufruire dei normali
servizi di linea (numeri 6 e 9 da San Giovanni, 2/ e 4 da Opicina e 19, 20, 21 e
23 da piazzale Cagni). Tutti i parcheggi sono gratuiti, compresi quelli di via
Carli e di viale Sanzio (normalmente a pagamento). «La mobilità - dice la
responsabile marketing di Trieste Trasporti Arianna De Luca, che ha coordinato
il progetto - è un elemento sempre più centrale per la qualità della vita nelle
città: incide sull'efficacia dei servizi, sul commercio, sul turismo, può essere
un valore aggiunto per la scuola, la cultura e lo sport. Questa nostra
iniziativa è un segnale di quanto Trieste Trasporti tenga e intenda partecipare
allo sviluppo sostenibile della mobilità a Trieste, e farlo in un periodo come
quello natalizio, in giornate di eventi e shopping, assume un significato ancora
maggiore». Grazie alla partecipazione di Confcommercio e Terziaria Trieste, il
biglietto del Park&Ride darà diritto anche a uno sconto a quasi tutti gli stand
del Mercatino di Natale che aderiscono all'iniziativa. Per informazioni si può
chiamare il numero verde di Trieste Trasporti (800.016675) o consultare il sito
internet www.triestetrasporti.it. Aggiornamenti in tempo reale sui social
network.
Benedetta Moro
L'acqua di sentina riciclata con l'impianto di ReOil -
La società ha acquistato un terreno da Italcementi vicino al Canale navigabile
Procedure e aspetti tecnologici sono allo studio di Area Science Park
Sarà, nel suo genere, l'impianto più importante dell'Adriatico: servirà a
separare le varie componenti rilevabili nell'acqua di sentina e in altre
tipologie idriche inquinanti, che riguardino l'industria o l'economia marittima.
In tutto l'Adriatico settentrionale pare non esista un'attività basata su questo
processo tecnico-fisico, dal quale trarre acqua depurata e olii riutilizzabili.Il
cliente? Ogni operatore ambientale, interessato ad abbattere i costi del
servizio. In che modo? Con una bettolina o con un autocisterna, perchè
l'indirizzo in Riva Giovanni da Verrazzano sul Canale navigabile è raggiungibile
in maniera plurimodale. Questa è solo la prima fase di un investimento che avrà
uno svolgimento più complesso, perchè in un secondo momento si occuperà del
trattamento delle acque di zavorra: gli aspetti tecnologici e dimensionali sono
allo studio nell'Area Science Park. Particolare non secondario: l'azienda, che
realizzerà questa struttura di dis/oleazione, si chiama ReOil e ha sede nel
perimetro dell'Area a Padriciano. Le principali cifre dell'operazione, sia pure
a livello ancora orientativo, sono sul tavolo: ReOil ha acquistato da
Italcementi un terreno immediatamente retrostante al Canale navigabile, subito
alle spalle della banchina che per quasi sessanta anni è stata usata dal gruppo
cementiero e che da qualche mese l'Autorità portuale ha temporaneamente concesso
a Wärtsilä, alle prese però con un ricorso al Tar presentato dalla stessa
Italcementi.In questo sito insiste un immobile di 3 mila metri quadrati che
ReOil provvederà a riqualificare e a equipaggiare con un investimento superiore
ai 7 milioni di euro. I lavori inizieranno già all'inizio del prossimo anno con
un cronoprogramma flessibile che va dai 24 ai 36 mesi. ReOil darà lavoro a una
trentina di addetti, le prime attività partiranno già nel 2019. Prenderà in
considerazione l'opportunità di adottare il regime di Punto franco. L'area
acquistata è posizionata dentro il cosiddetto Sir (sito di interesse regionale),
dove lo svolgimento delle procedure amministrative ambientali vengono sbrigate
dalla Regione e non dal ministero. Il lavoro preparatorio di ReOil, assai
discreto, dura da poco più di un anno e adesso, all'alba del decollo, viene
illustrato dai due protagonisti, Giovanni Rocelli e Angelo Boatto. Con curricula
e profili ben distinti. Amministratore delegato e azionista di riferimento è il
veneziano Rocelli, la cui famiglia si occupava fino a non molti anni fa di
terminalistica portuale a Marghera (multiservice) e a Chioggia (multipurpose).
Il padre, Gianfranco, è stato per cinque legislature deputato democristiano,
eletto nell'allora circoscrizione Venezia-Treviso. Boatto è a sua volta
capostipite di una famiglia imprenditoriale impegnata nel comparto dello
stampaggio di materie plastiche, con un importante insediamento industriale a
Fiume Veneto, nella Destra Tagliamento, che produce per grandi nomi
internazionali, da Ikea a Nestlè. La prossimità geografica, la base in Area
Science Park, l'attenzione verso un porto in crescita nel quale arrivano sempre
più navi: sono i motivi principali che hanno spinto Rocelli e Boatto verso lo
sbarco sul Canale navigabile. La volontà, espressa e insistita dai due
imprenditori, è quella di collaborare con le aziende del territorio: l'impianto
progettato non sottrae lavoro a chi già presidia la piazza, aggiunge - anzi -
un'opportunità di business a chi opera nel settore ecoambientale. L'annuncio di
ReOil segue di pochi giorni quello dello scorso sabato, quando l'indonesiana
Java Biocolloid ha comunicato la scelta del Canale navigabile per sbarcare,
immagazzinare, lavorare agar-agar, il polisaccaride ottenuto da alcuni tipi di
alghe rosse. Le rive Cadamosto e Verrazzano, il piazzale alla radice (che piace
al capitano Crismani) sembrano rivivere una stagione all'insegna del dinamismo
imprenditoriale.
Massimo Greco
IL PICCOLO - GIOVEDI', 7 dicembre 2017
Da Sofia al Montenegro la grande cappa dello smog -
Pm10 oltre i limiti contro la media Ue del 19%. A Skopje 1300 morti all'anno
Stufe a carbone, vecchi diesel e centrali obsolete. Il 78% dei bulgari
respira
BELGRADO - Aria fetida, una cappa che incombe sopra la testa. Non cambia,
nelle grandi città dei Balcani, il panorama di ogni inverno. Panorama dominato
dall'inquinamento da stufe a carbone, vecchi diesel e centrali a lignite. E
dagli allarmi sullo smog che come in ogni stagione fredda si sprecano, mentre
soluzioni concrete latitano. Allarmi come quello lanciato nei giorni scorsi in
Bulgaria, dove la locale Agenzia esecutiva per l'ambiente ha reso pubblico
l'ultimo rapporto annuale sulla qualità dell'aria. Un rapporto preoccupante, che
rivela che il 78% dei bulgari respira un livello di Pm10 superiore ai limiti,
contro una media Ue del 19%. Gli indiziati numero uno per l'aria avvelenata sono
sempre i soliti, comuni anche agli altri Paesi dell'area: «riscaldamento
domestico» (52%), spesso a carbone o nafta, ma anche i «mezzi di trasporto»
(16%), hanno segnalato i media locali. Fumi che, secondo dati contenuti
nell'ultimo rapporto dell'Agenzia europea per l'ambiente (Aea), nel 2014 hanno
contribuito a oltre 13mila morti prematuri per inquinamento nella sola Bulgaria,
sui 534mila stimati in tutta la Ue. Ma la Bulgaria non è un'eccezione negativa
in una regione dove secondo dati Oms del 2016 sei città balcaniche si collocano
nella classifica delle primi dieci con maggiorE inquinamento da Pm 2,5, con
Tetovo, Tuzla e Skopje sul podio. E Dimitrovgrad, Pljevlja e Bitola, in
Macedonia, a breve distanza. E un salto oltre il confine è proprio la Macedonia
a fare ancora peggio, con vari allarmi lanciati nelle scorse settimane per il
superamento costante dei limiti di inquinamento a Skopje, Tetovo, Bitola, in
particolare a causa del riscaldamento domestico, ha affermato giorni fa il
portavoce del governo, Mile Bosnjakovski, dopo un meeting interministeriale
dedicato proprio al problema smog a Skopje. Skopje dove ogni anno, secondo dati
dell'Oms, sono 1.300 le morti anticipate per inquinamento atmosferico. «L'aria è
così mefitica che si può sentire il sapore» dello smog «in bocca», racconta
Ljubica Dimishkovska, residente nella capitale macedone, esperto in una Ong
locale. E mamma. «Evitiamo di uscire il pomeriggio e proprio ieri ho comprato
una mascherina», aggiunge. Ljubica che teme per la figlia piccola. «Come
genitore mi sento impotente e sono arrabbiata con le autorità, che non fanno
nulla» per prevenire il problema. Poco è stato fatto finora anche nel vicino
Kosovo, dove solo un giorno su quattro l'anno scorso ha ottenuto il voto «buono»
secondo le misurazioni locali dell'aria, ha specificato in passato uno studio di
Peer Educators Network e Science for Change Kosovo. In Kosovo lunedì, in
occasione di un dibattito sul tema smog, il ministro dell'Ambiente Albena
Reshitaj ha specificato che nel Paese almeno «800 persone muoiono ogni anno per
l'alto grado di inquinamento». Anche in Montenegro i problemi sono seri, con «Podgorica
e Pljevlja», sede dell'unica centrale a carbone del Paese, dove «i limiti»
previsti dalla legge sulle particelle sottili «vengono regolarmente superati»
ogni giorno, ha confermato nei giorni scorsi Borko Bajic, dell'Istituto
montenegrino per la salute pubblica. E in Serbia, dove i morti prematuri per
smog, sempre secondo dati dell'Oms, sono 5.400 all'anno. Così come in Bosnia
(231 morti premature per smog su 100mila abitanti), dove ieri - non è una novità
- i dati sulla qualità dell'area variavano dal «non sano» di Tuzla al
«pericoloso» di Sarajevo. «La situazione è molto difficile e le autorità non
hanno una chiara strategia» per contrastare l'inquinamento, a parte qualche
passo avanti, come «il divieto di circolazione in caso di smog eccessivo» per i
veicoli più vecchi. Ma in inverno, «quando la gente deve usare carbone e legna,
siamo esposti a un livello altissimo di inquinamento», spiega al Piccolo Rijad
Tikvesa, presidente dell'Ong Ekotim. La cosa più grave, chiosa Tikvesa, è che
anche in Bosnia, così come in Serbia, si continua a puntare sul carbone. Con la
«firma di un accordo» per un prestito di 600 milioni di euro dalla Cina per
costruire un nuovo blocco della centrale termoelettrica di Tuzla. Già oggi una
delle città più inquinate dei Balcani.
Stefano Giantin
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 6 dicembre 2017
Autamarocchi investe nel trasporto green
Autamarocchi punta sul trasporto ecosostenibile e con un investimento da
oltre 7 milioni di euro, dopo i primi 20 mezzi alimentati a gas naturale,
metterà in strada altri 20 veicoli Liquid natural gas e 50 Euro 6 diesel di
ultima generazione. Con gli investimenti - spiega una nota - l'azienda con sede
principale a Trieste diventa «la flotta più green nel mondo del trasporto
container». L'obiettivo è stato illustrato da Ervino Harej anche di recente,
durante gli Stati generali della Logistica del Nordest.
Avvistata una lince nel centro di Vinodol. Andava a
caccia di cibo tra i rifiuti
Una lince in un centro urbano. Un esemplare di questa specie, in Croazia
tutelata da leggi e regolamenti molto severi essendo la sua popolazione ridotta
all'osso, è stato visto e fotografato nei giorni scorsi mentre si aggirava nel
cortile di una casa a Grizane, nel comune di Vinodol (nella Regione quarnerino -
montana) distante 32 chilometri da Fiume. La lince, attratta dall'odore dei
rifiuti, ha concentrato le sue attenzioni sul cassonetto delle immondizie del
cortile. Dopo avere arraffato qualcosa da mettere sotto i denti, si è dileguata
nel vicino bosco. Un suo ritorno nella zona visitata in ore diurne viene dato
per scontato dagli esperti. Il caso segue gli avvistamenti nel comune stesso di
altri animali selvatici, come orsi, cinghiali e sciacalli, apparsi negli ultimi
tempi senza il benché minimo timore dell'uomo. La preoccupazione tra gli
abitanti è molto alta, giacché su temono attacchi all'uomo.
(a.m.)
LO DICO AL PICCOLO - Il traliccio “aperto” nel bosco del Farneto
Vorrei con la presente segnalare che il traliccio di 23 metri d'altezza, installato nel bosco del Farneto all'entrata dell'intersezione della via Marchesetti con via Segre, gestito dalla Wind Telecomunicazioni spa e attivato l'anno scorso aveva originariamente gli allacciamenti chiusi in un armadio a due ante che li proteggeva dagli eventi atmosferici e da eventuali azioni di vandalismo. Dal mese di luglio una delle ante è stata sostituita con una torretta dove gli allacciamenti si trovano all'aperto e accessibili a chiunque. Il cartello con le norme per il primo soccorso agli infortunati non è facilmente leggibile e nel cartello che segnala i telefoni d'emergenza non appare nessun numero telefonico.Una domanda: questo tipo di sistemazione è a norma?
Oscar García Murga - vice presidente Circolo Verdeazzurro Legambiente
GREENSTYLE.it - MARTEDI', 5 dicembre 2017
Rinnovabili, Osservatorio FER: installazioni +20% nei dieci mesi 2017
Le fonti rinnovabili fanno segnare un +20% per quanto riguarda le installazioni di ottobre 2017. A rivelarlo è l’Osservatorio FER, che sottolinea inoltre come nei primi dieci mesi dell’anno la potenza installata complessiva relativamente a fotovoltaico, eolico e idroelettrico si sia attestata intorno ai 726 MW. Un quinto in più rispetto a quanto registrato nello stesso periodo del 2016.
Per quanto riguarda l’andamento delle rinnovabili nel singolo mese di ottobre 2017 il fotovoltaico ha fatto registrare installazioni per 29 MW, grazie alle quali ha raggiunto quota 352 MW nei primi dieci mesi dell’anno. Tale risultato fa segnare a questo comparto un +12% rispetto allo stesso periodo del 2016. Il 49% dei nuovi impianti appartiene, spiega l’Osservatorio FER, al fotovoltaico residenziale. A livello territoriale la crescita maggiore in termini di potenza si è avuta in Basilicata, Lazio e Lombardia, seguite da Piemonte, Toscana, Valle d’Aosta e Veneto; le flessioni più rilevanti si sono invece avute, nell’ordine, in Abruzzo, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Incremento di produzione più rilevante invece per Basilicata, Molise, Piemonte, Valle d’Aosta e Veneto; decremento più marcato in Abruzzo, Liguria, Marche, Sardegna, Trentino Alto Adige e Umbria. Positivo rispetto al 2016 anche il bilancio dell’eolico, che segna un +35% di installazioni. L’energia del vento ha raggiunto da inizio anno a oggi circa 315 MW, questo nonostante ottobre 2017 sia stato un periodo non troppo roseo (appena 1,9 MW installati). Si registra tuttavia un forte incremento nel numero di impianti attivi, +141%, grazie soprattutto al minieolico di taglia compresa tra 20 e 60 kW. È in questo caso il Sud Italia ha recitare la parte del leone, con il 92% della nuova potenza installata. Il 28% delle installazioni totali è relativo, fino a ottobre 2017, a impianti di potenza inferiore ai 60 kW; quelli invece superiori ai 200 kW rappresentano il 71% del totale. Venendo infine all’idroelettrico è positivo anche il bilancio di questa fonte rinnovabile, che grazie ai 6,9 MW installati a ottobre 2017 raggiunge un complessivo di 56 MW (+4% di nuova potenza installata rispetto ai primi 10 mesi del 2016). La spinta maggiore è arrivata da Regioni come Abruzzo, Marche, Molise, Sicilia e Veneto. Il 54% dei nuovi impianti idroelettrici connessi risulta di taglia inferiore a 1 MW, mentre un impianto da 3,2 MW è stato attivato in Lombardia (Provincia di Brescia).
Claudio Schirru
Ecobonus e ristrutturazioni: Legge di Bilancio, le novità in arrivo
L’approvazione ormai quasi imminente della Legge di Bilancio 2018 porterà diverse novità per quanto riguarda l’ecobonus e le ristrutturazioni edilizie. Alcune modifiche sono state introdotte dopo il passaggio nei giorno scorsi al Senato, ridisegnando parzialmente il quadro normativo tracciato dal provvedimento.
In virtù del maxi emendamento approvato dal Senato sono state introdotte modifiche sia per quanto riguarda alcune percentuali relative alla detrazione fiscale riconosciuta che per alcuni dei tetti massimi spettanti per ciascun intervento realizzato. Ecco quindi le indicazioni principali presenti nel nuovo testo, in attesa della definitiva approvazione da parte della Camera. Ecobonus: L’ecobonus è prorogato al 31 dicembre 2018, mentre viene ridotta dal 65 al 50% la detrazione per spese relative a finestre (comprensive di infissi e schermature solari), sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaie a condensazione e impianti di climatizzazione invernale alimentati da biomasse combustibili (tetto massimo detrazione pari a 30.000 euro). La detrazione fiscale verrà inoltre riconosciuta anche agli Istituti autonomi per le case popolari (IACP) e “agli altri enti che perseguono le medesime finalità”. Tra le altre modifiche all’ecobonus introdotte al Senato figura l’innalzamento del tetto massimo relativo alle detrazioni riconosciute per “interventi di riqualificazione energetica di parti comuni degli edifici condominiali”, a patto che la percentuale di involucro dell’edificio superi il 25% della “superficie disperdente lorda”. La lista degli interventi incentivabili si allunga per comprendere anche l’acquisto e la “posa in opera” di micro-cogeneratori in sostituzione di impianti esistenti. Detrazione massima riconosciuta pari a 100.000 euro, periodo in cui le spese devono essere sostenute tra il 1 gennaio e il 31 dicembre 2018. Il risparmio di energia primaria derivante dagli interventi dovrà essere almeno del 20%, come da Allegato III del Decreto Interministeriale 4 agosto 2011. I requisiti tecnici per ottenere l’ecobonus vengono rinviati ad apposito decreto del Ministero dello Sviluppo Economico, mentre i controlli verranno svolti da ENEA su “tutte le fattispecie agevolate previste dall’art. 14 del D.L. 63/2013″ e non più limitatamente alle parti comuni e condominiali. Ultima nota infine per quanto riguarda la Cessione del credito ai fornitori o ad altri soggetti privati, estesa a tutti gli interventi di riqualificazione energetica (anche per quelli non riguardanti le parti comuni degli edifici condominiali). Ristrutturazioni: Così come previsto per l’ecobonus proroga al 31 dicembre 2018 anche per questa seconda agevolazione e per il “bonus mobili”, relativo alle spese sostenute per l’acquisto di “mobili e grandi elettrodomestici” collegato a lavori di ristrutturazione edilizia con avvio a decorrere dal 1 gennaio 2017. Viene infine introdotto, come anticipato nelle scorse settimane, il “bonus giardini”. L’agevolazione permetterà di detrarre il 36% delle spese documentate sostenute per interventi di sistemazione delle aree verdi e per la realizzazione di coperture a verde di giardini pensili. Tetto massimo fissato in 5.000 euro per unità abitativa. La detrazione viene riconosciuta in caso di spese (comprese quelle di progettazione e manutenzione connesse) relative a interventi riguardanti: Aree scoperte private di edifici esistenti; Unità immobiliari, pertinenze o recinzioni; Impianti di irrigazione e realizzazione di pozzi; Interventi su parti comuni esterne di edifici condominiali. Anche per l’ultima voce, quella relativa alle parti comuni esterne, il tetto massimo è fissato a 5.000 euro per unità abitativa. Ciascun condomino può usufruire della detrazione, che verrà ripartita in dieci quote annuali di pari importo, nel limite della “quota a lui imputabile”. È posta in questo caso la condizione che la quota stessa sia stata effettivamente versata al condominio, utilizzando mezzi di pagamento tracciabili, entro i termini fissati per la presentazione della dichiarazione dei redditi.
Claudio Schirru
IL PICCOLO - MARTEDI', 5 dicembre 2017
Gli ecologisti di Mondo blu trovano casa a Lussino
In un'ex struttura dell'Armata popolare la nuova sede
dell'organizzazione che studia il mare e si cura anche della colonia di delfini
dell'isola
LUSSINPICCOLO - Tra una decina di giorni il ministro croato dei Beni
statali, Goran Maric, è atteso a Lussinpiccolo per portare al comune isolano
l'atto di donazione di due edifici un tempo di proprietà dell'Armata popolare
jugoslava, spazzata via dagli eventi bellici di un quarto di secolo fa nei
Balcani. I due immobili, ora appartenenti allo Stato croato, sono la sede delle
Dogane, in Riva dei Capitani lussignani; e l'ex Casa dell'Armata popolare
jugoslava, situata in zona Velopin, a stretto contatto col mare e immersa in una
fitta pineta. Circa un mese fa la commissione competente del dicastero dei Beni
statali aveva accettato la richiesta del comune di Lussinpiccolo di poter
riutilizzare le due strutture a scopi civili. Ora i responsabili
dell'amministrazione cittadina attendono con impazienza la tappa lussignana di
Maric, che segnerà il primo passo verso la trasformazione dell'edificio di
Velopin nel Centro per gli studi del mare dell'Istituto Mondo blu (Plavi svijet).
L'istituto, che è una ong, ha sede a Lussingrande, in un palazzo costruito nel
1826: si tratta di 160 metri quadrati nei quali addetti, volontari e studenti si
occupano fin dal 2003 di tutela dell'ambiente marino, organizzando conferenze,
sedute, laboratori e altre iniziative, molte delle quali di carattere
internazionale. In questi anni Mondo blu è stato visitato da circa centomila
persone, tra cui tanti turisti, e anche da 500 scolaresche, a conferma
dell'interesse che sta suscitando a Lussino e nel Quarnero, ma anche nel resto
del Paese. Dati gli spazi ristretti a Lussingrande, si è deciso dunque di
riutilizzare la struttura a Velopin: un progetto subito sposato dalla Città di
Lussinpiccolo e dal ministero croato del Turismo con l'appoggio di numerosi
atenei, istituti e organizzazioni di Croazia, Europa e di tutto il mondo. Per
riattare l'ex struttura militare ci vorranno almeno 12-14 milioni di kune
(1,59-1,85 milioni di euro), mezzi che potrebbero arrivare dai fondi comunitari
se Bruxelles darà l'ok. Attualmente l'edificio, abbandonato più di 25 anni fa, è
in uno stato decisamente fatiscente soprattutto per quanto riguarda gli interni,
che ormai cadono a pezzi. Ci sarà bisogno di una radicale ristrutturazione per
trasformare l'immobile nella futura casa di Mondo blu che, tra le varie
attività, si prende cura della colonia lussignana di delfini, che secondo gli
esperti conta circa 200 esemplari.«La donazione dello Stato alla municipalità di
Lussinpiccolo - ha detto il ministro del Turismo ed ex sindaco lussignano Gari
Cappelli - è un evento importante che avrà ricadute positive per l'economia
locale, in primo luogo quella turistica. Proprio per valorizzare l'ex struttura
dell'esercito jugoslavo a Velopin il comune aveva modificato nel 2015 il piano
regolatore municipale». Mentre non è stato ancora definito il futuro impiego
delle Dogane, dislocate nel pieno centro della città, è già formulato invece il
piano di riutilizzo di altri ex impianti militari. In primo luogo, e sempre a
Velopin, l'ex caserma militare sarà trasformata in un moderno marina, dove
potranno attraccare anche imbarcazioni di lusso. È stato predisposto un riuso in
chiave turistica o sociale di quelle che un tempo erano caserme o depositi
militari a Sanpiero (Ilovik), Unie e in località Stijene e Umpljak. L'impianto
Tovar, a Lussino, diventerà invece un poligono di tiro a segno e un centro
d'osservazione per il Soccorso alpino.
Andrea Marsanich
Lo tsunami di dighe che minaccia il cuore blu d'Europa
- La denuncia della ong "Save the Blue Hearth of Europe" - Dalla Slovenia alla
Grecia in progettazione 2.800 impianti
BELGRADO - Un'ondata di piccoli sbarramenti e mini-centrali idroelettriche
su fiumi spesso rimasti intatti come millenni fa, non guastati dalla mano
dell'uomo. Uno «tsunami di dighe» che rischia di danneggiare irreparabilmente
quello che ecologisti e ambientalisti hanno da tempo ribattezzato il «cuore blu»
dell'Europa, i Balcani. Tsunami che è ormai iniziato e procede a ritmi
incalzanti. La denuncia arriva da Save the Blue Heart of Europe, autorevole
campagna delle Ong Euronatur e Riverwatch che già negli anni passati avevano
lanciato forti allarmi, rimasti inascoltati. Save the Blue Heart of Europe ha
però fatto risuonare le sirene d'emergenza con un nuovo rapporto, realizzato
dalla studio internazionale di consulenza Fluvius e sviluppato sulla base di
immagini satellitari e dati delle autorità locali. Il rapporto segnala che sono
«circa 2.800 le centrali idroelettriche» in progettazione oggi «dalla Slovenia
alla Grecia»: generalmente di piccolissime dimensioni, ma non per questo meno
dannose per l'ambiente. Dannose anche perché «più di mille» (il 37% del totale),
si legge in una nota degli ecologisti, saranno costruite «in aree protette».
Quasi 120 saranno erette in «parchi nazionali» localizzati nei Paesi balcanici,
547 in aree "Natura 2000". Quest'ultima, come specificano documenti dell'Ue, è
una rete di siti naturali protetti sul territorio europeo, in genere «habitat
speciali», zone di sosta per uccelli migratori o dove vivono «specie rare» o a
rischio, ma che non godono del livello di protezione delle «riserve naturali,
dove ogni attività umana è esclusa». Il resto è pianificato in zone protette a
livello nazionale. Politiche miopi e insensibilità ambientale hanno alterato un
preziosissimo patrimonio naturale: ruspe e bulldozer non si sono fermati e
«circa 160-180 centrali idroelettriche» e sbarramenti sono stati innalzati dal
2015 a oggi, si legge nell'analisi di Save the Blue Heart of Europe. E proprio
dal 2015 «la velocità con cui va avanti la distruzione dei fiumi è aumentata»,
secondo l'analisi di Fluvius. Dai progetti, infatti, negli ultimi anni si è
passati all'azione. Sono infatti quasi duecento, 188 per la precisione, le
centrali oggi in costruzione, in particolare in Albania (81 sbarramenti per la
produzione idroelettrica), Serbia (30), Macedonia (22), Bosnia-Erzegovina (19).
Sono numeri che «visualizzano la dimensione del problema, uno tsunami di
sbarramenti che senza rispetto per la natura mette a rischio specie» animali e
pesci, «aree protette e persone» che vivono vicino ai corsi d'acqua, le cui
acque sono «deviate», con paesaggi che vengono «desertificati», ha specificato
Ulrich Eichelmann, numero uno di Riverwatch. Ma perché? «Le ragioni principali
sono corruzione, superficialità di istituzioni finanziarie internazionali» e
pochissima attenzione alla «protezione» della natura, gli ha fatto eco Gabriel
Schwaderer, presidente di Euronatur. Che ha avvisato: «Se non ci si ferma, il
cuore blu dell'Europa», come il colore dei fiumi balcanici, «rischia di fermarsi
per infarto». Le arterie fluviali della regione, in effetti, sembrano sempre più
in affanno, dopo che - solo negli ultimi 24 mesi - la velocità dell'apertura di
nuovi cantieri è più che triplicata (da 61 progetti in costruzione nel 2015 si è
passati a 188 nel 2017), senza dimenticare le 160-180 centrali già completate
negli ultimi 24 mesi. Progetti in fase d'attuazione - altro punto molto grave -
al 91% avviati senza che fossero stati preceduti da studi di impatto ambientale.
Questo perché, segnalano gli ecologisti, la maggior parte degli impianti ha una
capacità produttiva inferiore ai 10 megawatt, il limite oltre il quale scatta -
secondo le legislazioni nazionali - l'obbligo di analizzare quali possano essere
le conseguenze in aree delicate dal punto di vista ambientale. Delicate perché i
Balcani custodiscono ancor oggi alcuni fra i fiumi più incontaminati d'Europa,
dalla Sana in Bosnia al Valbona in Albania - per il quale da anni si protesta
con sempre maggior forza a Tirana per evitarne la devastazione con 14
mini-centrali - fino alla più maestosa Sava. Tesori spesso poco conosciuti, ma
da proteggere. Da uno tsunami artificiale, di dighe e centrali.
Stefano Giantin
Tre metri quadri di territorio cementificati ogni
secondo - i dati ispra
ROMA - Oggi è la Giornata Mondiale del Suolo, e l'Italia si presenta con un
dato poco incoraggiante. Il consumo di suolo, ovvero la copertura del territorio
con cemento o asfalto, avanza al ritmo di 3 metri quadrati al secondo, 30 ettari
al giorno. Lo certifica l'Ispra, il centro studi del Ministero dell'Ambiente. La
velocità del consumo di suolo è rallentata a causa della crisi economica. Nei
decenni passati era di 8 metri quadri al secondo. Con la ripresa dell'economia,
c'è il rischio che la cementificazione torni a questa velocità. Soprattutto in
mancanza di normative europee e nazionali che la controllino e la limitino. Al
2016 secondo l'Ispra risultano cementificati oltre 23 mila km2 (pari a Campania,
Molise e Liguria messe insieme), il 7,6% del territorio nazionale. Negli anni 50
era coperto solo il 2,7%. La Giornata Mondiale del Suolo è stata istituita nel
2014 dalla Fao, l'agenzia agroalimentare dell'ONU. Lo scopo, scrive la Fao sul
suo sito, è «richiamare l'attenzione sull'importanza di un suolo sano e
promuovere la gestione sostenibile delle risorse del terreno». Soprattutto nei
paesi in via di sviluppo, si assiste a una cementificazione crescente, con
migliaia di ettari di boschi e aree verdi spazzati via da palazzi, strade,
fabbriche. Un cambiamento in parte necessario, per dare case e benessere a
popolazioni in crescita. Ma in parte anche deleterio, perché selvaggio e
incontrollato, fonte di inquinamento e di distruzione di risorse. Anche la ricca
Europa lascia molto a desiderare su questo punto. Nella Ue manca un quadro
giuridico comune e vincolante per tutti i paesi sul consumo del suolo. Tanto è
vero che la rete «People 4 Soil», formata da ong ambientaliste, istituti di
ricerca e associazioni di agricoltori, ha raccolto oltre 212.000 firme (82.000
in Italia) per una petizione alla Commissione europea che chiede principi e
regole uguali per tutti.
«L'acqua di Trieste si conferma di qualità top» -
Online il nuovo report di Acegas e Asuits dopo quasi ventimila analisi:
«Rubinetto meglio della bottiglia»
È online la nona edizione del report che rendiconta la qualità dell'acqua
potabile nel territorio triestino servito da AcegasApsAmga: più di 53 analisi
effettuate ogni giorno e risultate conformi alla legge nel 99,98% dei casi. Il
titolo del rapporto è "In Buone Acque". Sono 19.300 le analisi realizzate da
Acegas e Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Trieste sull'acqua che
esce dai rubinetti cittadini. Spiega l'azienda: «Recandosi sul sito aziendale
www.acegasapsamga.it è possibile consultare il report in forma sintetica e
scoprire che il servizio idrico del Gruppo Hera punta sull'interconnessione
delle reti, sul telecontrollo, sul monitoraggio via satellite e sull'efficienza
energetica per garantire la continuità del servizio, una gestione efficiente e
un prodotto finale sicuro e di qualità». Oltre alla qualità dell'acqua, aggiunge
ancora Acegas, «all'interno di "In Buone Acque" è possibile ritrovare molteplici
informazioni di dettaglio tra cui le concentrazioni medie rilevate dalle analisi
sia dell'azienda sia dell'ente sanitario. In particolare, grazie alla nuova
veste grafica è possibile comparare le caratteristiche dell'acqua di rubinetto
con quelle dell'acqua minerale (un confronto effettuato con i dati indicati
nelle etichette di 17 acque minerali naturali presenti nei supermercati)».
L'invito all'utenza è a consumare l'acqua pubblica: «È possibile risparmiare
quasi 270 euro all'anno ed evitare all'ambiente milioni di bottiglie di plastica
bevendo acqua di rubinetto in alternativa a quella in bottiglia, oltre alla
praticità di riceverla direttamente a casa». L'acqua di Trieste infatti è
«oligominerale a basso tenore di sodio e grazie alle oltre 53 analisi al giorno
ne è confermata la qualità, qualora si riscontrasse l'odore di cloro, sarà
sufficiente lasciare riposare l'acqua in una caraffa o berla fredda». Conclude
l'azienda: «La nuova veste grafica del rapporto rende più fruibili le
informazioni anche grazie ai contenuti ricchi di infografiche. È così possibile
avere una visione chiara e immediata sulla rete acquedottistica di Trieste che
serve complessivamente 234.727 cittadini, attraverso una rete di 1.073 Km in
cui, nel 2016, sono stati immessi 43,7 milioni di metri cubi di acqua».
San Marco - La Terra “Con l’acqua alla gola”
Alle 18, al San Marco, Elisa Cozzarini dialoga con Daniele Pernigotti che presenta il suo libro “Con l’acqua alla gola” (ed. Giunti). L’evento è organizzato da Legambiente. Il “global warming” è un’emergenza che coinvolge tutti. Ha stravolto l’equilibrio ecologico e sta compromettendo il rapporto tra uomo e ambiente. Molti sono i responsabili di questa urgenza globale: gli scienziati negazionisti, i media che strillano false notizie, le lobby petrolifere, il fiasco delle politiche nazionali e internazionali, la scarsa educazione ambientale dei cittadini, la poderosa forza del mercato che impone una crescita economica senza freni. Per affrontare sul serio l’emergenza climatica ci sono soluzioni efficaci e praticabili. Questo libro ci dice cosa occorre fare, subito, per consegnare un pianeta sano e vivibile alle generazioni future: implementare energie alternative ai combustibili fossili, stimolare nei cittadini pratiche sostenibili, offrire risposte alternative al paradigma della crescita a ogni costo, promuovere economie a basso impatto ambientale
“Con l’acqua alla gola” alle 18 Info su www.giunti.it
NeMo, gli enti pubblici del Fvg useranno l'auto
elettrica - risorse europee per il progetto
PORDENONE - Sostituire circa 800 vetture a benzina o diesel con mezzi a
trazione elettrica, usando un servizio di car sharing. Ridurre le emissioni di
anidride carbonica e aumentare la produzione di energia elettrica da fonti
rinnovabili. Il tutto grazie a fondi Ue per 900mila euro in grado di produrre
investimenti per circa 15 milioni. Questi gli assi portanti del progetto NeMo
(New Mobility in Fvg) presentato ieri dalla Regione alle pubbliche
amministrazioni del Pordenonese e Udinese, e che sarà illustrato oggi a Gorizia
e Trieste. Oltre dalla Regione, lead partner, il team del progetto è composto da
Area Science Park, Università di Trieste, Bit, Aniasa e Promoscience. Noemix è
il nuovo servizio di car sharing per la Pa sviluppato da NeMo, progetto europeo
finanziato dal programma Horizon 2020. Il servizio sarà attivo dal 2019 grazie a
una partnership pubblico-privato con cui il Fvg si candida a essere la prima
regione in cui una quota ampia dei veicoli aziendali degli enti pubblici sarà
sostituita da veicoli elettrici. Aggregando le esigenze di pubbliche
amministrazioni diverse, si passerà dal modello attuale basato sull'acquisto
delle auto a uno imperniato su un "servizio centralizzato di mobilità elettrica"
gestito da operatori privati. Verso NeMo - ha detto l'assessore regionale
all'Ambiente, Sara Vito - «c'è grande interesse anche da parte di altre Regioni
d'Italia e Paesi europei. Per questo l'attività svolta in Fvg sarà un banco di
prova».
La stazione dell'impero mette in moto il futuro - Il
progetto delle Ferrovie volano di sviluppo per Trieste
Campo Marzio non rinasce solo come museo, ma come stazione, come area-chiave
di Trieste, come simbolo di una città europea e come snodo di un hinterland. Una
rivoluzione, che toglie dalle ortiche, dal degrado e dallo sconcio edilizio il
cuore antico del porto, quello che ruota attorno alla Lanterna. La stazione
potrà diventare il volano di una riqualificazione urbana indilazionabile (la
terra di nessuno fra viale Giulio Cesare, l'area dell'ortofrutticolo e il
parcheggio dei camion in Riva Traiana) e al tempo stesso terminal di un traffico
turistico su rotaia dalle potenzialità illimitate. Qualcosa che va al di là
persino di quanto la Fondazione Fs è riuscita a realizzare, pur magnificamente,
ai piedi del Vesuvio con il museo di Pietrarsa appena inaugurato. Sembra
impossibile, dopo decenni di inutili richiami e di progetti insensati, poter
immaginare qualcosa di concreto, capace di unire business e cultura, di
accontentare imprenditori e sognatori, ecologisti e amanti delle vaporiere. Ora
che il diaframma ferroviario di Monrupino è caduto ed è di nuovo possibile
viaggiare da Trieste-Campo Marzio in direzione di Dutovlje, Gorizia, Tolmino,
Bled, ecco che la linea magica della Transalpina si ricostituisce e riapre al
traffico turistico gli stessi binari che cent'anni fa legavano alla Baviera e al
resto del mondo tedesco il porto più settentrionale del Mediterraneo. Come
sempre, il futuro abita nel passato. Negli anni in cui persino i treni della
Canadian Pacific collegavano a Trieste le grandi città del Nord valicando le
Alpi con speciali vagoni panoramici. È venuto il tempo di pensare in grande, di
affrontare una spesa con una visione strategica; di andare oltre il cemento
(l'orrido edificio incompiuto accanto alla stazione!), le rotonde (ah quanto
costose!) e gli svincoli faraonici (Enemonzo!) che svuotano le casse regionali
con investimenti a pioggia. I cinque e passa milioni di euro per ridare dignità
all'ala museale della stazione sul lato di viale Giulio Cesare ci sono grazie al
finanziamento della Fondazione Fs, della Regione e del ministero dei Beni
culturali. Manca il necessario per completare il restauro dello scalo di Campo
Marzio e trasformarlo in stazione di testa di un traffico turistico e polo
culturale su scala europea. È per questo che gli uomini - motivatissimi, va
detto - della Fondazione Fs hanno aperto davanti al sindaco e alla presidente
della Regione le carte di un progetto che li mette di fronte a un'occasione
irripetibile. Ridare senso a Trieste, alla sua storia, alla sua posizione tra
Mediterraneo e Centro Europa. Il piano prevede soluzioni ambiziose: la copertura
della stazione con un "ombrello" quasi identico a quello originale (smantellato
durante la seconda guerra mondiale), ma in lega leggera e una tecnologia capace
di regolare le luminosità e l'acustica dell'ambiente, e una serie di piattaforme
mobili capaci, in determinate occasioni, di coprire le rotaie di testa e
trasformare la stazione in un grandioso auditorium per concerti e altri eventi
all'aperto. Se a tutto questo si aggiunge il rondò con treni storici già
collaudato quest'estate da Trieste-centrale a Campo Marzio via Miramare,
Aurisina, Opicina e Rozzol, e soprattutto il riaggancio di Trieste alla rete
nord-europea grazie al ripristino della linea transalpina a Monrupino, ecco che
il quadro si completa, ecco che appare evidente come il lavoro sulla stazione
lato viale Giulio Cesare non può e non deve restare incompiuto. Perché a questo
punto la città potrebbe offrire qualcosa di davvero speciale. E non ci vorrebbe
poi un grande sforzo di immaginazione per capire di cosa potrebbe fruire il
viaggiatore una volta in città. Una sequenza di meraviglie di facile accesso
senza uso di automobile e senza soluzione di continuità. Mettiamo un tedesco di
Monaco. Atterra a Ronchi, si trasferisce alla stazione in via di allestimento e
prende la navetta che lo porta direttamente in città. Alloggia in un hotel sulle
Rive o in un B&b del centro. Esce e raggiunge a piedi la zona del porto nautico
e nella stazione rimessa a nuovo legge il romanzo delle ferrovie di frontiera
nelle sale di un museo, poi sale sul treno turistico con i vagoni cento-porte e
circumnaviga Trieste dall'alto fino a Opicina, dove partono i binari dell'Est e
quelli per Bled, e dove può ridiscendere in città col vecchio tram (che si spera
nuovamente in esercizio) oppure continuare verso il bivio di Aurisina per
scendere con vista mozzafiato su Miramare. Qui il nostro viaggiatore può
scegliere ancora: tornare in città fino alla Centrale, oppure sbarcare alla
stazione che fu di Massimiliano d'Asburgo per scendere a piedi al parco
(finalmente in riassetto dopo anni di incuria) e al Castello di Miramare, dove
lo aspetta un'autocorriera anni Cinquanta che chiude il cerchio riportandolo al
punto di partenza di Campo Marzio. Il tutto con un biglietto unico. E magari con
una convenzione Fs che consentirebbe ai viaggiatori di visitare il museo
napoletano di Pietrarsa e quello di Trieste collegati da un treno notturno. E
tutto questo non è affatto un sogno. L'itinerario ha già una fetta di mercato
assicurata in particolare fra i cultori dei treni che sono già tanti in Italia e
ancora più numerosi in Austria, Germania e nell'area dell'ex impero asburgico.
«Non realizzare tutto questo sarebbe pazzesco», afferma l'ingegner Luigi
Cantamessa, entusiastico braccio operativo della Fondazione Fs, che in questi
giorni è venuto a batter cassa a Trieste per assicurarsi il completamento
dell'opera. Intanto le Ferrovie vanno avanti e fra tre mesi daranno il via al
restauro del museo, con la posa della prima pietra.
PAOLO RUMIZ
La “ricetta” di Giorgi per il clima Lo scienziato dell’Ictp, grande esperto mondiale della materia, ne studia i cambiamenti
I cambiamenti climatici rappresentano una delle principali sfide scientifiche, tecnologiche, socio-economiche e politiche del nostro secolo: secondo gli esperti gli eventi estremi, dalle piogge alla siccità, sono destinati a intensificarsi. Il professor Filippo Giorgi, uno dei massimi esperti mondiali di studi climatici, origini abruzzesi, laurea in fisica e dottorato negli Usa, dal 1998 è direttore della sezione di Fisica della Terra al Centro Internazionale di Fisica Teorica-Ictp di Trieste, dove studia tutt’ora i cambiamenti climatici e i modelli che aiutano a descriverli. L’ultimo riconoscimento a Giorgi, che dal 2002 al 2008 è stato l’unico scienziato italiano nel consiglio direttivo dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), l'istituzione delle Nazioni Unite incaricata di monitorare i cambiamenti climatici vincitrice del Premio Nobel per la pace 2007, è arrivato poche settimane fa. Si tratta della prestigiosa medaglia Alexander von Humboldt, un riconoscimento conferito dall’Unione Europea di Geoscienze (Egu) a scienziati le cui ricerche abbiano avuto portata internazionale e un impatto positivo sui Paesi emergenti e che sarà consegnata a Vienna il prossimo aprile in occasione della dell'Assemblea EGU 2018. Pioniere nel campo della modellizzazione climatica a scala regionale, Giorgi ha iniziato a studiare i cambiamenti climatici ben prima che venissero percepiti come un’emergenza, elaborando il modello RegCM che ha una comunità di utenti in tutto il mondo e il cui download e uso sono gratuiti. Il modello permette studi su scala regionale ed è utilizzato dalla paleoclimatologia fino alle simulazioni del clima futuro. A beneficiarne sono in particolare i ricercatori dei paesi in via di sviluppo, maggiormente esposti ai cambiamenti climatici e con meno risorse per attivare politiche di risposta, grazie anche ai numerosi workshop organizzati dal gruppo di ricerca di Giorgi in tutto il mondo per insegnare agli scienziati a capire meglio le dinamiche dei cambiamenti climatici e ad usare il modello RegCM, garantendo un costante supporto tecnico. Spiega lo scienziato che nel 2006 ha identificato il bacino del Mediterraneo come un hot spot, cioè aree che si stanno riscaldando più velocemente: «Se il riscaldamento globale continuerà al ritmo attuale, il clima del nostro Pianeta potrebbe essere completamente diverso. Con il riscaldamento globale le precipitazioni che interessano il Mediterraneo ad esempio si sposterebbero verso Nord. In centro e nord Europa dovrebbe piovere di più e in modo più intenso, mentre nell’area del Mediterraneo, in particolare quella meridionale, dovremmo assistere a un progressivo inaridimento». Una previsione confermata da oltre 25 anni di studi, modelli e dati osservati. Cosa possiamo fare? «Stiamo assistendo ad un trend di cambiamento e, se non si agirà prontamente, continuerà nelle prossime decadi - risponde Giorgi - causando l’aumento di eventi estremi, lo scioglimento dei ghiacci e l’innalzamento del livello del mare. Bisogna mantenere l’aumento globale di temperature sotto la soglia di pericolo identificata nell’accordo di Parigi, e cioè ben al di sotto dei 2 gradi e questo richiede una riduzione delle emissioni di gas serra, il parallelo sviluppo di energie rinnovabili sempre più competitive e una spinta verso la Green Economy».
Lorenza Masè
IL PICCOLO - LUNEDI', 4 dicembre 2017
L'ex fiera, i palazzi e il Porto vecchio - La calata
austriaca - Le mire sui 5 magazzini Greensisam dopo Montebello e il balzo dei
carichi merci. La città attira imprenditori
«Ebbene sì - ammette il sindaco Roberto Dipiazza -, Trieste è tornata ad
essere la terza città dell'Impero». Per capire quanto questo sia già concreta
realtà basta controllare su una carta geografica il fitto reticolo disegnato
dalle migliaia di treni carichi di merci che da qualche anno, con crescita
costante, arrivano e partono dal porto di Trieste: per il 90% sono a servizio
della mitteleuropa. Le ferrovie«I convogli ferroviari sono diretti a venti
principali destinazioni diverse - spiega Giuseppe Casini - e di queste, otto
rientrano nei confini dell'ex Impero Asburgico (perlopiù Austria, Ungheria,
Repubblica Ceca e Slovacchia), ma quasi tutte le altre gravitano ai margini di
quest'area, interessando la Baviera e l'ex Prussia in particolare». Casini è
amministratore unico di Adriafer, società di proprietà dell'Autorità di sistema
portuale dell'Adriatico orientale che, da miniaziendina intruppata nelle pastoie
della doppia manovra, grazie all'avvento della coppia Zeno D'Agostino - Mario
Sommariva ai vertici della Torre del Lloyd, è ora diventata una delle
"industrie" di Trieste con il maggior numero di dipendenti. «Siamo per
l'esattezza in 84 e quantitativamente abbiamo sorpassato la stessa Authority -
scherza Casini -, facciamo 152 treni alla settimana ai quali se ne aggiungono 48
della Ferriera diretti solitamente a Cremona. Ho in ballo una scommessa con
D'Agostino per vedere se scolliniamo quota novemila all'anno». Il boom - Su
questo versante tutti i porti italiani sono rimasti terribilmente indietro,
compresa La Spezia che fino a due anni fa aveva il primato. Ecco anche perché, a
cent'anni dalla fine della Prima guerra mondiale, Trieste nei fatti non è più
uno dei trenta porti italiani, ma è tornata ad essere lo scalo del Centroeuropa.
Attraverso i Moli Quinto, Sesto e Settimo e il terminal petroli dove arrivano a
frotte traghetti ro-ro, portacontainer e petroliere, tutta questa area
continentale è messa in collegamento diretto con il bacino del Mediterraneo,
Turchia in particolare ma anche Grecia, il Golfo Arabico, il Far East. E in
particolare il settore ferroviario merci sta diventando un polmone anche per
l'occupazione di manodopera e tecnici triestini. L'ultimo esempio è di qualche
giorno fa: con l'arrivo della maxi gru transtainer al terminale Samer i
dipendenti che sono già una novantina, a dispetto dei dodici di qualche anno fa,
cresceranno ancora. E l'Authority per gestire questa tumultuosa crescita ha
deciso di aprire addirittura al proprio interno una Direzione infrastrutture
ferroviarie con la prossima assunzione a tempo indeterminato di tredici addetti.
Ma è attraverso il porto di Trieste che l'Austria provvede anche al 90% del
proprio fabbisogno petrolifero, per il 100% addirittura la Baviera e il
Baden-Wurttemberg, per il 50% la Repubblica Ceca. Ciò grazie al terminal
marittimo della Siot dove arrivano ogni anno oltre 500 petroliere che sembrano
anch'esse in ulteriore crescita. Ma il porto è oggi soltanto un aspetto della
felice rivoluzione. L'ex Fiera di Montebello - L'Austria e le regioni contigue
sono tornate in realtà a mettere gli occhi sulla città intera e Trieste è
divenuta oggetto di attenzioni molto forti e anche di singoli benestanti
cittadini che acquistano una casa o una villa sull'Alto Adriatico. L'esempio più
clamoroso, già arrivato all'incasso, è quello dell'ampio comprensorio dell'ex
Fiera acquistato per 12 milioni di euro dalla Mid Holding GmbH di Klagenfurt di
cui è titolare Walter Mosser: un'area di 30mila metri quadrati che verrà
rivitalizzata con un investimento di 70 milioni e 540 nuovi posti di lavoro
previsti. «Attorno alla città c'è un fervore inimmaginabile - rivela Dipiazza -,
mi sono fatto spiegare dagli austriaci le ragioni alla base del loro intervento.
Mi hanno risposto: i prezzi attualmente bassi del mercato immobiliare e la
straordinaria bellezza della città». Porto vecchio e non solo - E pare si dovrà
ad acquirenti austriaci anche la fine del tormentone che riguarda il palazzo
delle Ferrovie di piazza Vittorio Veneto, stimato anch'esso 12 milioni e che dal
2008 attende invano un acquirente. Ma l'ultimo obiettivo dei finanzieri
d'Oltralpe sono i primi cinque magazzini del Porto vecchio, quelli della famosa
cittadella Greensisam, in concessione a Pierluigi Maneschi, numero uno del Molo
Settimo e di Italia Marittima. «Ritengo che quest'ultima trattativa potrà essere
chiusa entro il 31 dicembre», afferma il sindaco. «Confermo che ci sono nuovi
potenziali acquirenti, austriaci in particolare e supportati anche da un fondo
bavarese, intenzionati a rilevare la maggioranza della società, mentre io terrei
una quota di minoranza - dice Maneschi - ma non sono altrettanto ottimista sui
tempi del passaggio di mano. Non sono state risolte le questioni delle opere di
urbanizzazione e della bonifica del torrente Chiave che spettano alla parte
pubblica e poi non è ancora chiaro come si potrà passare dalla concessione alla
vendita». Oltre agli austriaci - Il fatto che la città sia ritornata in qualche
modo al centro della scena europea, sembra aver scatenato appetiti da ogni parte
del continente. Senza scomodare il Big Game con il quale le principali potenze
europee nel diciannovesimo secolo si contendevano l'Eurasia centrale, un Piccolo
gioco è in atto su Trieste. «A giorni - annuncia Dipiazza - pubblicheremo il
bando per Palazzo Carciotti sul quale credo metteranno le mani un fondo svizzero
e uno del Liechtenstein. Per quattro quinti sarà luxury hotel e per un quinto
residenze. Gli ospiti arriveranno in Ferrari, parcheggeranno nei due piani
sotterranei e con l'ascensore accederanno direttamente nelle suite. Ma non è
certo tutto - anticipa il sindaco -: i russi vogliono Palazzo Modello per farne
un altro albergo. Oggi lì dentro c'è l'Acegas, ma se l'offerta sarà buona
certamente non avremo problemi a spostarla. E poi ci sono anche gli inglesi:
hanno messo nel mirino l'ex Silos per farne un gigantesco outlet». Forse non per
nulla quando interessava ancora alle Coop Nordest si era parlato di Covent
garden sul mare.
Silvio Maranzana
IL PICCOLO - DOMENICA, 3 dicembre 2017
Esperti anti Ferriera dall'Austria - Al dibattito
organizzato dal M5S l'esperienza dei tecnici dell'acciaieria di Lienz
Stavolta arriva dall'Austria l'appello alla chiusura dell'area a caldo della
Ferriera. A farsi interprete di tale esigenza è stato ieri Cristoph Angermayer,
ingegnere che opera per conto della Voestalpine Ag, nell'ambito dell'impianto
siderurgico di Linz, dov'è stato effettuato un intervento di risanamento
ambientale. «L'operazione - ha detto parlando nel corso della conferenza
dibattito organizzata dal M5S - si è resa necessaria per tutelare i residenti
che vivono accanto ad uno stabilimento capace di produrre cinque milioni e mezzo
di tonnellate di ghisa, perché non è possibile che la persone che vivono vicino
all'acciaieria subiscano danni alla salute. Con l'intervento - ha aggiunto -
abbiamo messo in sicurezza l'intera area». C'e un solo problema: il
completamento dell'opera ha richiesto investimenti pari a un miliardo e 700
milioni di euro nell'arco di dieci anni. Una cifra che probabilmente per Servola
sarà difficile trovare. «L'area a caldo va chiusa perché non rappresenta il
futuro di Trieste - ha ribadito il consigliere regionale Andrea Ussai -perciò ci
siamo mobilitati in forze. Un dato è sufficiente per delineare la situazione: la
distanza della cockeria dai primi condomini di Servola è inferiore a quella
delle centraline. Quanto ai lavoratori della Ferriera pensiamo alla loro
riqualificazione nel laminatoio, nella portualità e nella logistica. Soluzioni
che Serracchiani e Dipiazza - conclude - non hanno finora mai affrontato». «Sono
anni che ci battiamo spiegando che non è possibile far convivere residenti e
area a caldo - ha confermato Alda Sancin, del Comitato No Smog Trieste - e i
dati relativi alla diffusione del benzopirene e delle pm 10 lo stanno a
dimostrare».
(u.s.)
Malore a Trieste, grave la "iena" Toffa - L'inviata di
Italia 1 soccorsa nella hall dell'hotel Victoria. Prognosi riservata. In serata
il trasferimento in elicottero a Milano
TRIESTE - L'inviata d'assalto delle Iene Nadia Toffa si è sentita male ieri
mentre si trovava nella hall dell'hotel Victoria a Trieste. Immediati i
soccorsi. La conduttrice tv è stata ricoverata in Terapia intensiva
dell'ospedale di Cattinara in condizioni gravi. Nella tarda serata di ieri è
scattato poi il trasporto con elisoccorso all'ospedale San Raffaele di Milano.
Toffa, 39 anni, volto noto di Mediaset, si è sentita male intorno alle 13.45 di
ieri, mentre si trovava nella hall dell'albergo triestino in via Oriani. I
dipendenti dell'hotel hanno immediatamente allertato i soccorsi attraverso il
numero unico di emergenza. Nel giro di pochissimi minuti un'auto medicalizzata e
un'ambulanza sono giunte sul posto. La conduttrice è stata trovata dai sanitari
priva di coscienza e in condizioni gravi, ed è stata trasportata in estrema
emergenza a Cattinara a Trieste, dove è scattato il ricovero in Terapia
intensiva. Il primo bollettino medico diramato dall'AsuiTs parlava di prognosi
riservata per patologia cerebrale in fase di definizione. Nella tarda serata il
trasferimento all'ospedale San Raffaele di Milano, realizzato attraverso il
Servizio di elisoccorso del nosocomio milanese. L'atterraggio dell'elicottero è
avvenuto all'aeroporto di Ronchi dei Legionari intorno alle 21. Troppo
proibitive le condizioni della forte Bora che ha soffiato su Trieste per tutta
la giornata di ieri. Un'ambulanza del soccorso sanitario regionale Sores, ha
quindi preso a bordo l'equipe medica del San Raffaele giunta in elisoccorso,
effettuandone il trasporto all'ospedale di Cattinara. Preparata intanto per il
trasferimento la nota conduttrice televisiva, è stata poi portata d'urgenza fino
all'elicottero e imbarcata insieme all'equipe medica, alla volta dell'ospedale
lombardo San Raffaele. Il secondo bollettino medico dell'AsuiTs, diffuso in
tarda serata, ha dato conto dell'avvenuto trasferimento, e definito le
condizioni della conduttrice televisiva «stazionarie», seppur ancora gravi. La
notizia del malore della "Iena" ha fatto immediatamente il giro dei social,
innescando migliaia e migliaia di messaggi di auguri di buona guarigione. Tra i
primi ad arrivare anche il post dei colleghi delle Iene, che hanno lasciato
questo messaggio su Facebook dopo la notizia del malore che ha colpito la
conduttrice: «La nostra Nadia non è stata bene. Ci stiamo tutti prendendo cura
di lei. Vi terremo informati». Non sono al momento noti i motivi per i quali
Toffa si trovasse a Trieste, città alla quale in passato ha dedicato diversi
servizi televisivi, soprattutto in merito allo stabilimento siderurgico della
Ferriera di Servola. Centinaia e centinaia di tweet, tra personaggi noti e non.
Nicola Savino, che con Nadia Toffa e Giulio Golia condivide la conduzione della
domenica de Le Iene su Italia 1 ha twittato: «Forza collega mia bella, ti
aspetto».
Enrico Ferri
È diventata la paladina dei servolani schierata a
fianco degli anti-Ferriera
TRIESTE - Nadia Toffa è conosciuta a Trieste come paladina dei cittadini
contrari alla Ferriera di Servola, di cui si è fatta portavoce attraverso il suo
ruolo nello spettacolo Le Iene.Il suo primo servizio a Trieste sul tema è del
marzo 2014. Si intitola eloquentemente "L'altra Ilva" e introduce al pubblico
italiano, spesso ignaro, la questione della Ferriera. Lo fa prendendo una
posizione ben precisa: «Sono anni che si parla dei veleni dell'Ilva di Taranto e
dell'impatto sulla salute dei cittadini. Ma in Italia c'è un'altra città che
ogni giorno respira i fumi di un impianto siderurgico di cui praticamente
nessuno parla». In quel primo reportage Toffa interloquisce con i cittadini del
rione e con diversi protagonisti del dibattito sullo stabilimento: Maurizio
Fogar del Circolo Miani, Alda Sancin dell'associazione No Smog, Romano Pezzetta
di Servola Respira, e l'allora sindaco Roberto Cosolini con ha un battibecco
ormai celebre. La volta successiva, nell'ottobre 2015, Toffa torna a Trieste. Le
Iene vanno all'attacco della posizione della presidente regionale Debora
Serracchiani sulle politiche industriali in Fvg, e in particolare a Servola. I
cittadini raccontano alle telecamere che in quell'ultimo anno le condizioni di
vita sono ulteriormente peggiorate. Toffa intercetta poi Serracchiani, con cui
si verifica un altro faccia a faccia burrascoso. Una decina di giorni dopo Le
Iene trasmettono un altro servizio: questa volta è da dentro la Ferriera, dove
la troupe di Toffa è stata invitata dalla proprietà di Siderurgica triestina.
Toffa ci entra con Pezzetta, operaio per trent'anni all'interno dello
stabilimento. La visita però non finisce granché bene, poiché alla troupe non è
concesso di arrivare all'altoforno. Chiosa Toffa al termine del servizio: «Oh
noi ci avevamo provato, a dire la verità ci eravamo illusi. Al primo tentativo
il no è stato secco, evidentemente la volontà della Ferriera di fare chiarezza
non è sufficiente». Invita poi Serracchiani a visitare l'altoforno prima di
concedere l'Aia allo stabilimento. La visita successiva è del febbraio 2016.
Stavolta le elezioni sono imminenti. L'inviata delle Iene rivendica le promesse
di risolvere il problema della Ferriera entro il dicembre dell'anno precedente.
Davanti al microfono ancora una volta Debora Serracchiani, cui Toffa regala le
polveri della Ferriera, e il sindaco Roberto Cosolini, affiancato dall'assessore
all'ambiente Umberto Laureni. L'ultimo servizio è di pochi mesi fa: maggio 2017.
Il titolo è "I politici cambiano, l'altra Ilva resta". Sottotitolo: "Nonostante
le promesse in campagna elettorale del nuovo sindaco di Trieste la ferriera
continua a inquinare". Stavolta a doversi confrontare con la combattiva Iena è
il nuovo primo cittadino Roberto Dipiazza, che assicura che «questa volta è la
volta buona». Anche Serracchiani è di nuovo interpellata. La storia, si spera,
continua.
Giovanni Tomasin
Focus sulla ciclabile Muggia-Trieste - Incontro tra
sindaco e vertici Fiab Ulisse per accelerare la realizzazione dell'opera
MUGGIA - Fiab Muggia Ulisse torna a puntare l'attenzione sul progetto della
pista ciclabile di collegamento con Trieste, presentato qualche mese fa, con un
incontro previsto martedì con il sindaco Marzi. Obiettivo velocizzare l'iter per
creare nuovi percorsi a due ruote, attesi da molti appassionati di bici a
livello locale, ma anche dai tanti turisti che soprattutto d'estate attraversano
la provincia.«Muggia ha un'invidiabile collocazione geografica che la porta a
far parte di tre percorsi cicloturistici nazionali e europei - spiega Federico
Zadnich di FIAB Muggia Ulisse - è attraversata dalla ciclovia Adriatica,
Bicitalia n°6, inserita da alcuni mesi dal Ministero delle Infrastrutture nel
Sistema delle Ciclovie Turistiche Nazionali, dal percorso EuroVelo 8 che corre
lungo la costa mediterranea dalla Spagna alla Grecia e dalla ciclovia Parenzana
realizzata su di una ferrovia dismessa che collegava Trieste a Parenzo. Il
passaggio attraverso il territorio muggesano di questi itinerari potrebbe
portare sempre maggiori ricadute sociali ed economiche. Ma per farlo vanno
realizzate infrastrutture con standard europei e servizi di qualità». Sul tavolo
di discussione anche altre richieste, che vanno anche a beneficio di quella
mobilità eco sostenibile da sempre promossa da Fiab. «Riteniamo - prosegue
Zadnich - che vada realizzato al più presto un collegamento ciclabile da Trieste
al centro di Muggia che poi prosegua lungo il litorale muggesano fino al valico
di San Bartolomeo. E' inoltre urgente la creazione delle condizioni di sicurezza
stradale per i ragazzi che si muovono in bicicletta, a cominciare dai percorsi
verso le scuole e verso gli impianti sportivi come già deliberato nel novembre
del 2015 dall'amministrazione comunale. Oltre a queste priorità il documento
tecnico di FIAB che presenteremo conterrà la richiesta di attuazione di un Piano
Quadro della Mobilità ciclistica, la promozione della mobilità ciclistica
casa-lavoro, la mobilità e la continuità dei percorsi di Muggia Centro-Centro
Storico, la revisione e l'adeguamento dell'attuale segnaletica orizzontale e
verticale».
(m.b.)
COMUNICATO STAMPA - SABATO, 2 dicembre 2017
Isonzo fiume sempre più sacrificato!
Da molti anni ormai, a cadenza periodica, sui quotidiani locali appare la
proposta di realizzare un bacino di rifasamento sul fiume Isonzo a monte di
Gorizia. Ricordiamo che la realizzazione di tale bacino fu proposta per la prima
volta nell’ambito del trattato di Osimo, con lo scopo di rifasare i rilasci
discontinui provocati dalla centrale idroelettrica di Salcano. Da allora molta
acqua è passata sotto i ponti, è proprio il caso di dirlo: il clima è cambiato e
la normativa in materia ambientale è progredita. Basti pensare alla Direttiva
Europea 2000/60 sulla gestione delle acque e alla più recente Legge Regionale
11/2015 sulla difesa del suolo, che impongono di mantenere un buono stato
ecologico dei corpi idrici e, di conseguenza, un minimo deflusso vitale. Inoltre
l’Autorità di Bacino dell’alto Adriatico, in collaborazione con la Regione, nel
2012 ha avviato un laboratorio, in cui sono stati coinvolti tutti i portatori di
interesse, proprio per discutere sulla fattibilità della diga di rifasamento.
Praticamente tutti i portatori di interesse si sono espressi negativamente, in
quanto la nuova diga avrebbe un costo eccessivo e stravolgerebbe il corso
d’acqua dal confine con la Slovenia a Gorizia, e quindi sono state formulate
proposte alternative. In tale contesto il comitato “Salviamo l’Isonzo” sta
portando avanti una petizione europea con l’obiettivo di coinvolgere le
Istituzioni dell’Unione Europea affinché si riesca ad imporre rilasci meno
discontinui da parte dei gestori della traversa di Salcano. Siamo convinti che i
cambiamenti climatici ci costringeranno a una ridefinizione delle risorse
idriche necessarie all’agricoltura, ma è importante prima ricordare alcuni
numeri. A valle del ponte VIII agosto vengono prelevati 26 mq/s di acqua dei
quali solo 6 vengono utilizzati dall’agro cormonese-gradiscano a fine agricolo,
mentre il canale De Dottori a Sagrado preleva 21 mq/s di acqua dei quali solo
8,5 vengono utilizzati dall’agro monfalconese. Il resto serve alla produzione di
energia idroelettrica. La portata minima rilasciabile dalla traversa di Salcano
è di 12,5mq/s quindi per ora il problema si pone solo per gli utilizzi
idroelettrici e soprattutto per il deflusso minimo vitale dell’Isonzo. Ma in un
domani più o meno prossimo forse l’Isonzo non sarà più in grado di garantire
l’acqua nemmeno per l’agricoltura, per cui sarà necessario rivedere le tecniche
irrigue, favorendo quelle più efficienti come l’irrigazione a goccia, e
limitarsi a coltivare piante meno idro-esigenti.
È importante infine sottolineare come sia fondamentale porre come primo
obiettivo il miglioramento dello stato ecologico del fiume Isonzo. Solo un corso
d’acqua in salute sarà in grado di fornire beni e servizi preziosi per la nostra
comunità nel lungo periodo.
Associazione Ambientalista Eugenio Rosmann, Associazione Fiume Isonzo,
Legambiente Gorizia, Legambiente Monfalcone.
IL PICCOLO - SABATO, 2 dicembre 2017
Fondi dalla Regione per i treni veloci verso Roma e
Milano - Con la prenotazione di 3,1 milioni la giunta proroga di un anno la
convenzione con Trenitalia. Carburanti, sconti fino a marzo
UDINE - La Regione conferma il suo impegno per i collegamenti veloci via
treno direzione Roma e Milano. La giunta Serracchiani delibera infatti una
prenotazione di fondi per 3,1 milioni di euro che consentirà di prorogare di un
anno la convenzione Regione-Trenitalia, nel rispetto della norma che autorizza
l'amministrazione a sostenere gli oneri del miglioramento del servizio
passeggeri di lunga percorrenza da Trieste e Udine. Con il finanziamento la
Regione continua a coprire di fatto i costi per 8 collegamenti delle Frecce,
andata a ritorno, verso le due principali città italiane. «In questi anni sono
stati effettuati molti interventi - commenta l'assessore ai Trasporti
Mariagrazia Santoro -, non solo sui contratti ma anche sulle infrastrutture e in
particolare sul miglioramento delle linee». L'ultima buona notizia è che dal 10
dicembre, data in cui entrerà in vigore l'orario invernale di Trenitalia (una
fotocopia di quello in vigore), verrà riattivato il collegamento della tratta
Sacile-Maniago che il prossimo anno sarà completata fino a Gemona. Nella seduta
di ieri l'esecutivo è intervenuto pure su un secondo fronte ferroviario. Sempre
su proposta di Santoro, uno stanziamento di 3,92 milioni di euro consentirà
l'estensione per tutto il 2018 dei servizi ferroviari affidati alle Ferrovie
Udine Cividale. Nel dettaglio, il finanziamento è ripartito in 1,5 milioni per i
servizi ferroviari transfrontalieri relativi al progetto MiCoTra di collegamento
tra Udine e Villaco e in 2,42 milioni per i servizi sulla linea Udine-Cividale
del Friuli. In particolare il MiCoTra, sottolinea ancora l'assessore, «è una
sigla che ormai per tutti corrisponde al treno delle biciclette e che alimenta
l'utilizzo della ciclovia Alpe Adria, la nostra più grande infrastruttura di
mobilità ciclabile tra l'Austria e il Friuli Venezia Giulia». Proprio
nell'ottica di potenziare l'interscambio treno-bici, Fuc ha presentato e vinto
un progetto europeo che consentirà di prolungare il servizio fino a Trieste.
Un'altra conferma riguarda lo sconto ai residenti per l'acquisto di benzina e
gasolio. Su proposta dell'assessore all'Energia Sara Vito, la giunta ha
prorogato fino al 31 marzo del 2018 gli incentivi sul carburante per
autotrazione, confermando il contributo. Si va dai 9 (gasolio) ai 14 (benzina)
centesimi in zona 2 ai 14 e 21 centesimi in zona 1. Su indicazione
dell'assessore alla Cultura Gianni Torrenti la giunta ha quindi approvato
l'inserimento in Finanziaria dell'esercizio del diritto di prelazione
sull'acquisto di una proprietà immobiliare aquileiese, giudicata di interesse
culturale dalla Fondazione Aquileia, del valore di 75mila euro, posta in vendita
dal ministero dei Beni e delle Attività culturali. «L'operazione - spiega
Torrenti - riveste rilevanza strategica nella programmazione degli interventi
previsti nel complesso archeologico, consentendo così di valorizzare e rendere
fruibile al pubblico una zona di interesse culturale ancora inesplorata».
Marco Ballico
Capodistria-Divaccia - pronti 800 milioni per il
secondo binario - La Commissione Ue approva un ulteriore finanziamento - Lavori
frenati da un ricorso, dovrà pronunciarsi l'Alta Corte
LUBIANA - Dopo tante polemiche e un referendum, vinto da chi il secondo
binario sulla linea ferroviaria Capodistria-Divaccia vuole costruirlo (leggi
governo Cerar), l'importante opera è vicina a partire. La Commissione europea ha
appena stanziato un finanziamento di 109 milioni di euro portando così i
finanziamenti comunitari per l'infrastruttura a quota 234 milioni di euro, somma
sufficiente per costruire gallerie per complessivi 16,7 chilometri comprese le
opere sussidiarie. Resta ancora da superare però, a livello
burocratico-legislativo, l'istanza presentata contro la nascita della società
2TDK - che dovrà per l'appunto realizzare l'opera - all'Alta corte da Vili
Kovacic, il leader del movimento civile "Noi che paghiamo le tasse non ci
arrendiamo". Facendo un po' di conti, come riporta il quotidiano Delo di
Lubiana, il governo sloveno avrebbe ora a disposizione 800 milioni di euro per
una infrastruttura che costerà fra gli 1,2 e gli 1,4 miliardi di euro.
Complessivamente, finora, dall'Europa sono arrivati 233,5 milioni; altri 200
milioni li ha messi a bilancio il governo della Slovenia; 300 milioni giungono
dal credito ottenuto dalla Banca europea per gli investimenti (Bei); ulteriori
200 milioni giungeranno dal governo ungherese mentre 54 milioni sono già stati
utilizzati.«Questo è un progetto che porta valore aggiunto all'intera Unione
europea - ha affermato il commissario Ue ai Trasporti, Violeta Bulc - e non solo
all'imprenditoria slovena, è un progetto che facilita la mobilità con basse
emissioni che creerà posti di lavoro e farà crescere l'economia». La
comunicazione per i bandi per i lavori di realizzazione sarà emessa nell'estate
del 2018, ha spiegato il sottosegretario delegato all'opera, Jure Leben,
aggiungendo che i ritardi fin qui accumulati per la realizzazione del secondo
binario sono dovuti soltanto all'ostilità riscontrata in Slovenia di parte
dell'opinione pubblica e della classe politica. «Mentre il progetto viene
seguito, finanziato e approvato da Bruxelles - ha detto - a causa di alcune
contrarietà in patria restiamo ancora fermi».Il direttore generale della 2TDK ha
infine spiegato che il progetto ha ricevuto un'ottima valutazione a Bruxelles
sia per la sua razionalità finanziaria che per gli aspetti tecnico realizzativi
dell'opera.
Mauro Manzin
«Un punto franco nell'area della Ferriera» - Confetra
Fvg: più facile un'eventuale riconversione parziale. Maneschi: tutelare il
lavoro
TRIESTE - Adibire una parte della Ferriera a punto franco, per facilitarne
la riconversione in un luogo di stoccaggio di materiali. È una delle idee emerse
dall'incontro "Con o senza Ferriera. Quali vantaggi per il porto?", organizzato
ieri a Trieste da Adriatic Sea Network. Sono intervenuti il presidente di Italia
Marittima Pierluigi Maneschi; il presidente di Confetra Fvg Stefano Visintin; il
presidente dell'Interporto di Trieste Giacomo Borruso e Vittorio Petrucco,
membro del Cda della piattaforma logistica di Trieste. A moderare il dibattito,
il senatore Lorenzo Battista (Articolo 1-Mdp).«L'aumento dei traffici portuali e
quello della produzione siderurgica - ha detto Visintin - sono compatibili.
Prima di parlare di chiudere la Siderurgica bisogna però considerarne i
risultati. Nel caso la Ferriera non aumentasse la produzione, allora saremmo
pronti a riconvertire una parte dello stabilimento». È a questo punto che si è
iniziata a prospettare l'eventualità di adibire a zona franca parte dell'area:
«In quel caso la banchina della Ferriera si potrebbe riutilizzare per lo
stoccaggio ma al momento è fuori dal punto franco», ha aggiunto Visintin. Il
presidente di Italia marittima ha dichiarato: «Industria e abitazioni civili
sono incompatibili ma l'industria è stata fatta prima. Bisogna trovare una
soluzione al problema ambientale in grado di salvaguardare il lavoro». E
riguardo alla possibilità di riconvertire l'area del laminatoio in deposito: «Si
potrebbe - ha aggiunto Maneschi - fare modernizzando il porto. Mancano banchine
in grado di reggere un flusso di merci sufficiente per creare posti di lavoro
capaci di riassorbire tutti i lavoratori della ferriera». Borruso si è detto
favorevole all'ipotesi che una parte dell'area della Ferriera sia riconvertita
in punto franco: «Il Porto è l'unica realtà in così forte crescita negli ultimi
anni». Riguardo una possibile collaborazione tra Interporto e Ferriera, sul
modello di quanto avviene con Wärtsilä, ha commentato: «Il passaggio non è
altrettanto automatico tuttavia si può immaginare, all'interno dell'area della
Ferriera, la riconversione di un terminale in area di attività logistica, dove
tenere carbone e materiali simili». Petrucco ha aggiornato sullo stato dei
lavori alla piattaforma logistica: «Saranno creati circa 200 posti di lavoro
entro giugno 2019. La sua specificità sarà una cassa di colmata per contenere i
futuri dragaggi del porto. Puntiamo a un collegamento diretto con la grande
viabilità, spostando la ferrovia e creando uno spazio da adibire a verde
pubblico nella zona di via Svevo».
Lilli Goriup
Marangoni e strolaghe da "vicino" - Escursione promossa
dal Wwf alla scoperta dell'avifauna locale
Alla scoperta dell'avifauna costiera. Domenica, all'interno della Riserva di
Miramare e della Costiera, lungo il confine terrestre dell'Area marina protetta,
si terrà una passeggiata dal titolo "Avifauna costiera, storie di vita e anelli
colorati". L'escursione fornirà l'occasione per osservare l'avifauna presente e
scoprire la storia di alcuni esemplari tra quelli marcati e tra i più assidui
frequentatori dell'Oasi del Wwf. L'utilizzo della marcatura con anelli colorati
e della telemetria ha permesso di fare luce sulla storia di questi migratori a
corto raggio, affascinante e fino a poco tempo fa per certi versi "misteriosa".
In questo periodo c'è molto movimento: c'è chi arriva, cioè le specie svernanti
come svassi e strolaghe, e chi è pronto a migrare a sud, come il marangone dal
ciuffo, in procinto di volare in Istria meridionale e Dalmazia per nidificare.
In anticipo rispetto alla maggior parte delle specie, attive solitamente da
marzo, questi eleganti uccelli mostrano già un bel ciuffo sulla fronte. «Potremo
vedere - spiega l'ornitologo Paolo Utmar - i marangoni dal ciuffo nei loro abiti
più belli e mentre sono più attivi e nella fase di corteggiamento. I marangoni
infatti nidificano d'inverno e questi sono gli unici mesi in cui da noi si
possono vedere questi uccelli in abito nuziale, poi infatti si spostano e quando
tornano a maggio sono senza ciuffo. Se avremo fortuna, vedremo alcuni
comportamenti tipici del corteggiamento. Essendo prevista bora, domenica forse
vedremo anche delle strolaghe, che vengono dalla tundra artica». La
partecipazione è gratuita, ritrovo alle 9.45 davanti alla caserma dei
carabinieri di Miramare. È consigliato portare il binocolo.
(g.t.)
IL PICCOLO - VENERDI', 1 dicembre 2017
Amianto in porto, maxirisarcimento bis. Nuova condanna a carico dell’Authority: dovrà sborsare 700mila euro ai familiari di un ex dipendente morto all’età di 64 anni
Un altro maxi risarcimento per amianto a carico dell’Autorità portuale. L’ente dovrà pagare ben 700 mila euro agli eredi di un ex dipendente deceduto quattro anni fa dopo una vita trascorsa a movimentare il pericoloso materiale nelle banchine, nei magazzini e nelle officine dello scalo. Solo un mese e mezzo fa l’Authority aveva perso una causa analoga, con altrettanti soldi. La nuova sentenza è stata appena pronunciata dal Tribunale (Sezione civile-controversie di lavoro), dopo un processo lampo cominciato a febbraio dell’anno scorso. Il caso riguarda il triestino Luigi Simoni morto nel dicembre 2013 all’età di sessantaquattro anni. L’uomo aveva lavorato in porto, a stretto contatto con l’amianto, dal 1973 al 1997. I sintomi del mesotelioma sono sorti nel 2012, dopo trentanove anni dalla prima esposizione con le fibre. È grosso modo il periodo medio di incubazione della malattia. La cifra stabilita della magistratura va a favore della famiglia, tutelata dall’avvocato Fulvio Vida: la vedova, le due figlie e i due nipoti. Come accertato durante le udienze, appena assunto l’ex dipendente aveva fatto il “pesatore” nelle operazioni di carico-scarico dei sacchi di amianto accatastati nelle navi e nei magazzini. Attività che si è prolungata per sette anni. Poi è passato a un incarico tecnico per la riparazione dei mezzi pesanti. In entrambe le circostanze il portuale, come tanti altri colleghi di quell’epoca, non utilizzava alcun tipo di dispositivo di protezione. La polvere di amianto, visibile dappertutto, veniva inalata soprattutto durante la movimentazione delle merci. Ma anche le mansioni in officina erano rischiose: in quel reparto, che era peraltro situato nei settori operativi in cui si manipolava il materiale, l’ex operaio doveva spesso utilizzare l’asbesto per la manutenzione dei macchinari. «In concreto - si legge negli atti processuali - rientrava nei compiti del reparto la frequentissima manutenzione degli impianti di frenatura dei mezzi pesanti impegnati per la movimentazione». Il riferimento è ai carrelli sollevatori, alle autogru e ad altri dispositivi normalmente utilizzati in porto. «Era pratica abituale - viene precisato ancora - procedere alla sostituzione dei ferodi (materiale con cui si rivestono frizioni, freni e innesti di autoveicoli, ndr) mediante aggiustatura di elementi di asbesto grossolanamente prestampati che venivano torniti e traforati in officina a seconda del vario utilizzo». Un lavoro che comportava la diffusione delle fibre di amianto, che galleggiavano letteralmente nell’aria, sopratutto quando si trattava di pulire pavimenti e banconi. O, ancora, quando si usava l’aria compressa per togliere la pericolosa polvere dagli abiti che il personale indossava. Tutto ciò, pure in questo caso, avveniva senza protezione alcuna. Ma le fibre si sollevavano anche quando i tecnici dovevano cospargere di isolante i giganteschi scarichi delle macchine operatrici. Pure quello conteneva tracce di asbesto. Prima di mettersi all’opera era però necessario rimuovere le parti esauste, con tanto di flex. Un lavoro, anche questo, che faceva diffondere le fibre negli ambienti. Tutta roba che gli operai si trovavano a inalare ogni giorno. «Durante dette operazioni - si puntualizza nel dispositivo processuale - la presenza di Simoni stante le sue funzioni, era abituale. Come abituale era la sua permanenza negli ambienti contaminati, tenuto conto che nell’officina motoristi dell’Eapt (l’allora Ente porto, ndr) non esistevano ambienti separati e isolati dalla diffusione delle fibre». Fatti emersi dalle deposizioni dei testimoni sentiti durante le udienze. Nulla di diverso rispetto a molti altri casi simili avvenuti in quegli anni, alcuni dei quali già piombati nelle aule di tribunale e in corso di giudizio.
Gianpaolo Sarti
D'Agostino chiede il supporto dello Stato - «Non può
essere la singola amministrazione a pagare le conseguenze di responsabilità del
passato»
La seconda sentenza di risarcimento nel giro di un mese e mezzo, con somme
prima di 645mila euro e ora di 700mila, costringe l'Autorità portuale a correre
ai ripari. Tanto più dinnanzi alle future cause che nei prossimi mesi potrebbero
arrivare a giudizio. Zeno D'Agostino, presidente dell'Autorità di Sistema
Portuale del Mare Adriatico Orientale, chiederà sostegno allo Stato. «Ogni causa
ha una storia - premette il numero uno dell'Authority - quindi non si può dare
un giudizio generale sul problema. Certo, è chiaro che è una questione
importante di cui bisogna prendere atto e farsene carico, ma dal punto di vista
economico può diventare un onere pesante per i nostri bilanci. Ritengo sia utile
che si faccia un ragionamento nazionale su questi temi. Non può essere la
singola Autorità portuale ad assumersi l'impegno di spesa su responsabilità che
risalgono a decenni fa. Le cause vanno come devono andare, ma da parte nostra -
aggiunge D'Agostino - è probabile che chiederemo un intervento nazionale per
capire se in qualche modo lo Stato si può assumere la responsabilità e, ripeto,
non la singola Autorità. L'ultima tegola risale a metà ottobre: l'Autorità
portuale di Trieste era stata condannata a sborsare 645 mila euro per risarcire
la famiglia di una vittima di amianto. È Gino Gruber, nato nel '44 e morto nel
2015 a 71 anni per mesotelioma. La sentenza pronunciata dal Giudice del lavoro
del Tribunale di Trieste è ritenuta "storica" dagli addetti ai lavori perché per
la prima volta nel capoluogo giuliano e la seconda in Italia (l'unico precedente
riguarda Venezia), è stata accertata la precisa responsabilità dell'allora Ente
porto su un ex dipendente di una compagnia portuale. Fino a quel momento era
accaduto solo per chi in passato è stato al servizio diretto dell'Authority. Un
caso che potrebbe fare da apripista per decine di altre vicende analoghe, cioè
persone colpite dalla stessa patologia. E per chissà quante altre in futuro.
Anche perché l'incubazione, come purtroppo noto, ha un periodo di almeno
trent'anni. La vicenda su cui a ottobre si era espresso in primo grado il
Tribunale di Trieste risale infatti a parecchio tempo fa, tra il '65 e il '90,
quando Gruber era socio-lavoratore della Compagnia portuale Terra, una
cooperativa che forniva allo scalo manodopera in appalto.
(g.s.)
Zagabria ci ripensa - Fianona 1 operativa ancora per
vent'anni - La Croazia vuole sfruttare al massimo gli impianti disponibili - Gli
ambientalisti: «Stop ai devastanti effetti sulla salute»
ALBONA - Sta avendo l'effetto di un fulmine a ciel sereno la notizia sul
prolungamento di altri 20 anni del funzionamento della vecchia centrale
termoelettrica a carbone Fianona 1 che si sarebbe dovuta chiudere per sempre
entro il 31 dicembre di quest'anno. A dire il vero al momento questa è solo la
proposta della HEP, l'azienda elettrica di Stato, sulla quale si dovrà
pronunciare il ministero per l'Ambiente e l'energetica. Comunque appare scontato
che i due enti stiano agendo di comune accordo e che alla fine il governo dirà
sì. La motivazione di tale mossa va ricercata nel fatto che al cospetto della
crescente domanda di energia elettrica sul mercato, il contestatissimo progetto
della centrale a carbone Fianona 3 sembra essere stato definitivamente cestinato
poiché in netta controtendenza con le sempre più rigorose direttive
antinquinamento in Europa. Quindi, così il ragionamento di Zagabria, è
necessario sfruttare al massimo gli impianti disponibili onde non incrementare
l'importazione di energia elettrica che già ora è pari a 400-500 milioni di euro
all'anno. Ecco dunque l'idea di mantenere in vita per altri due decenni la
Fianona 1 della potenza di 120 MW, entrata in funzione nel 1969, da anni
considerata una caffettiera fumante, estremamente inquinante. Per continuare a
funzionare dovrà adeguarsi alle norme comunitarie contro l'inquinamento, così
come di recente fatto per la Fianona 2 costruita nell'anno 2.000. In altre
parole si rende necessario installare il sistema Denox incaricato di rimuovere
gli ossidi di azoto dalle emissioni della ciminiera nell'atmosfera, basandosi
sulla tecnica della riduzione catalitica selettiva. Il costo dell'intervento
fatto sulla Fianona 2 inclusa la sostituzione della turbina è stato di 27
milioni di euro. Alla notizia arrivata da Zagabria ha subito reagito
l'associazione ambientalista Istria verde ricordando dalla sua entrata in
funzione a questa parte, la Fianona 1 ha avuto devastanti effetti sull'ambiente
e sulla salute degli abitanti dell'area. «Nel 2011 - spiega Istria verde - nello
studio d'impatto ambientale della nuova Fianona 3, la Fianona 1 era stata
giudicata obsoleta per cui si annunciava il suo smantellamento. E nel 2014 il
governo croato aveva disposto la sua definitiva chiusura se entro l'1 gennaio
del 2018 non venisse adeguata ai nuovi standard ecologici all'interno dell'Ue».
(p.r.)
CHERSO - Centrale solare che servirà 1.500 famiglie ad
Aquilonia
Probabilmente l'anno prossimo comincerà la realizzazione di uno dei più
grandi progetti infrastrutturali nell'arcipelago di Cherso e Lussino. È la
centrale solare di Aquilonia (Orlez), sull'isola di Cherso, che si estenderà su
una superficie di 17 ettari, con l'altezza dei pannelli che non supererà i 3
metri, adeguandosi dunque all'ambiente. Il progetto è stato illustrato agli
abitanti di Aquilonia (il maggiore abitato dell'interno dell'isola) da esperti
dell'istituto regionale per l'Assetto territoriale, i quali hanno precisato che
l'impianto sarà concordato con l'Agenzia regionale per l'energia Quarnero. La
centrale avrà una potenza di 6,5 MW e produrrà annualmente sugli 8 milioni e
mezzo di chilowattore. A detta degli esperti una simile produzione servirà al
fabbisogno di circa 1.500 nuclei familiari di Cherso e Lussino. Il sito di
Aquilonia era stato scelto anni fa e inserito nel Piano regolatore della Regione
quarnerino-montana nel 2013. Nel 2018 è previsto l'ottenimento della licenza per
l'uso della superficie, dopo di che dovrebbero partire i lavori di costruzione.
(a.m.)
Parco commerciale in Fiera - Spunta la grana
burocratica - Il progetto dell'austriaca Mid non combacia con piano regolatore e
del commercio
La giunta: «Già avviato l'iter di modifica». Ma servirà pure il via
libera della Regione
Sarà più tortuosa del previsto la nascita del grande centro commerciale che
l'acquirente austriaco del comprensorio dell'ex Fiera intende realizzare davanti
all'ippodromo. Per poterlo costruire, infatti, bisognerà modificare sia il piano
regolatore che il piano del commercio, dovendo ottenere per quest'ultimo anche
il via libera della Regione. La voce gira da tempo tra gli addetti ai lavori, e
viene ora confermata anche dal Comune. La società austriaca Mid ha acquistato
all'asta l'area nella primavera scorsa, e la proprietà è ora in mano alla
filiale italiana con sede a Bolzano. È delle settimane scorse l'annuncio che al
posto dell'ex fiera sorgerà un grande centro commerciale, un investimento da
circa 70 milioni di euro. Peccato che il piano regolatore parli chiaro. Le
destinazioni d'uso ammesse sono le seguenti: «Residenziale minimo 30&, massimo
60% del volume. Servizi e attrezzature collettive. Direzionale. Commerciale al
dettaglio. Artigianale di servizi (attività compatibili con la residenza).
Alberghiera. Parcheggi e autorimesse». Di residenziale, però, negli annunci
della società, non c'è ombra. Ciononostante la giunta comunale è ottimista. Nei
giorni scorsi ha approvato un'indicazione agli uffici (prodotta dagli assessori
al commercio e all'urbanistica Lorenzo Giorgi e Luisa Polli) per predisporre le
linee guida di una variante ai due piani. Spiega Polli: «La società ci chiede la
disponibilità di circa 15mila metri quadrati di superficie commerciale, su un
totale di 440mila ancora disponibile per il territorio di Trieste. In cambio
provvederanno, senza oneri per il Comune, a realizzare un giardino pubblico
interno, moltissimi parcheggi, oltre a riqualificare piazzale de Gasperi e la
viabilità interna». La rinuncia al residenziale, prosegue, «evita di influire
negativamente sul recupero del patrimoni esistente, per noi la soluzione
preferibile». La trafila che seguirà, però, è in parte tecnica e in parte
politica. La palla ora è passata agli uffici che dovranno produrre la variante.
Questa dovrà poi passare in giunta (che si è già dimostrata propensa a
procedere) e seguire il consueto iter di questi documenti: osservazioni da parte
dei cittadini e vaglio da parte del consiglio comunale. Nel caso del piano del
commercio, precisa Polli, sarà necessario anche il via libera della Regione: «La
giunta regionale potrà approvare la variante così com'è, oppure richiedere delle
ulteriori modifiche. Va detto che di solito il passaggio si svolge senza
intoppi», spiega Polli. È lecito chiedersi, a questo punto, quali saranno le
tempistiche per la conclusione dell'iter. Anche perché c'è in ballo un progetto
che interesserà un'area ampia della città e, almeno sulla carta, dovrebbe dare
lavoro a centinaia di edili.«Entro l'anno contiamo di aver pronta la delibera -
dice Polli - per arrivare all'adozione in primavera. Fermo restando che non
tutto il progetto è soggetto alla variante, sicché intanto il proprietario può
partire con quella parte del cantiere». La società Mid è specializzata nella
realizzazione e nella vendita di centri commerciali. Ha già costruito i Qlandia
di Nova Gorica e Maribor, oltre a condurre operazioni analoghe in altri paesi
dell'Europa centrale. Gli austriaci sono stati gli unici a partecipare all'asta
dell'aprile scorso per l'area della Fiera, risultando vincitori il 10 aprile.
Sul piatto hanno messo un gruzzolo di 12 milioni di euro, circa due in più
rispetto alla base d'asta. Da allora alla conclusione del rogito, effettuata il
12 settembre scorso, sono passati diversi mesi. È lecito supporre che lo iato
fra la destinazione prevista dal piano regolatore e le intenzioni della società
abbia indotto ad attente valutazioni.
Giovanni Tomasin
La sfida Ferriera secondo il M5S - Domani all'Ariston
il dibattito su ambiente, lavoro e stabilimento di Servola
Obiettivo dichiarato: far chiudere l'area a caldo della Ferriera di Servola.
Sono stati molto espliciti ieri i numerosi esponenti del Movimento 5 Stelle che
hanno presentato la conferenza dibattito in programma domani, a partire dalle
8.45, al cinema Ariston, nel corso della quale, alla presenza di due ingegneri
esperti in materia e di referenti dell'associazione NoSmog, si discuterà delle
misure da adottare per evitare che «l'area a caldo continui a inquinare e
danneggiare l'ambiente di tutto il golfo di Trieste». «La nostra linea - ha
detto il consigliere regionale M5S Andrea Ussai - prevede che si vada oltre
l'area a caldo. I lavori di bonifica e l'intervento della Regione non hanno
finora prodotto risultati. Domani - ha aggiunto - cercheremo di fare un
ragionamento complessivo che coniughi lo sviluppo economico della città e la
tutela della salute». Ilaria Dal Zovo, a sua volta in carica in Consiglio
regionale, ha ricordato che «come M5S abbiamo allestito un calendario di date
per parlare, in tutta la Regione, di vari temi. A Trieste partiamo con
l'ambiente e spiegheremo cosa abbiamo fatto finora, ma vogliamo anche
confrontarci con i cittadini e gli esperti del tema. Vogliamo far sapere quali
sono i problemi e le criticità individuate - ha proseguito - ma anche presentare
le nostre soluzioni in merito». La collega Eleonora Frattolin ha parlato di
«utilità di una mobilitazione dell'opinione pubblica, affinché si faccia
pressione sui pubblici amministratori». Cristina Bertoni, che rappresenta il M5S
in Consiglio comunale a Trieste, ha detto che «all'Ariston riproporremo il tema
della tutela ambientale, perché le emissioni di sostanze nocive sono aumentate a
dismisura. Il bisogno di lavorare è forte ovunque, ma stiamo cercando di capire
come far convivere questa necessità con quella della salute delle persone».
Paolo Menis, anch'egli consigliere a Trieste, ha detto che «destra e sinistra
non hanno risolto il problema Ferriera, cercheremo di farlo noi, che siamo
l'unica forza politica che può tentare di fare qualcosa».
Ugo Salvini
Incontro - Comunicare il cambiamento climatico
Il Centro Ukmar "Miro" di Domio ospiterà oggi alle 20 l'incontro "Comunicare il cambiamento climatico", promosso da Comune di San Dorligo e Legambiente. Partecipa il rettore Maurizio Fermeglia.
IL PICCOLO - GIOVEDI', 30 novembre 2017
SEGNALAZIONI - SERVOLA - Gli odori del depuratore
Il giorno 23 mi trovavo a transitare col bus 8 verso le 19 diretto a Servola vicino ai depuratori dei liquami, in pochi secondi l'aria nel bus è diventata insostenibile (almeno per me) al punto di dovermi tappare il naso col fazzoletto causa l'odore di prodotti chimici adoperati. Ciò che mi ha lasciato a dir poco sconcertato è il fatto che per la gente che c'era sul bus (scesa poi quasi tutta in via Pitacco di fronte alla Ferriera) era come se niente fosse, respirava normalmente. Ora io capisco la mia forte sensibilità al problema odori specie quelli non naturali, ma non vedere nessuno che si lamentasse o si tappasse il naso mi ha fatto capire quanto quella povera gente sia straintossicata dalla Ferriera che dal depuratore. Inviterei qualche esponente politico o sanitario a provare l'aria che ho respirato io, si renderanno conto che i soldi che si spenderanno in futuro per cercare di guarire almeno in parte migliaia di concittadini saranno talmente tanti da costruire un'altra Ferriera ex novo con annesso depuratore dei liquami.
Silvio Stagni
SEGNALAZIONI - FERRIERA - Il superamento dell'area a caldo
Ritengo indispensabile, completare il mio pensiero riguardo quanto già espresso sui destini dei lavoratori della ferriera. Animato da buone intenzioni, da molti anni il sindaco Dipiazza si batte per la chiusura almeno della cosiddetta "area a caldo". Ma l'eco-mostro è un malato grave, che non si può curare con l'aspirina o un po' di antibiotico, ma bensì va accompagnato verso una dolce morte. Il gruppo Arvedi, oltre a un eccellente capitale umano, possiede un grande tesoro, che consiste nella concessione pluriennale di un'imponente area demaniale, posta a fronte mare, e dotata di moli per l'attracco di navi Una tale concessione, è di sicuro goloso interesse per un gran numero di imprenditori, con i quali Arvedi potrebbe associarsi per iniziare una nuova avventura non inquinante, portando ovviamente con sé un gran numero dei dipendenti attuali, una volta riqualificati. In questo lasso di tempo, dovrebbero intervenire degli ammortizzatori sociali a sostegno del reddito, mentre dovrebbe iniziare la dismissione delle infrastrutture, procedendo alla contestuale bonifica del terreno. Lavoro certamente lungo e complesso, al quale però, buona parte delle maestranze attuali potrebbe partecipare.
Vladimiro Marella
M5S - Conferenza-dibattito sulla Ferriera
"L'area a caldo della Ferriera non è il futuro di Trieste": è questo il titolo della conferenza-dibattito sull'impianto siderurgico di Servola che si terrà sabato 2 dicembre, dalle 8.45, al cinema Ariston in via Romolo Gessi 14. L'iniziativa verrà presentata alla stampa oggi, alle 13, negli uffici del Gruppo del M5S in Consiglio regionale (piazza Oberdan 6, terzo piano), dai consiglieri regionali del M5s e quelli comunali di Trieste e Muggia.
La campagna "Spreco Zero" festeggia il vignettista e
super testimonial Altan
C'è molta Trieste e molto Fvg nei premi "Vivere a spreco zero" consegnati a
Bologna martedì pomeriggio: li promuove Last Minute Market, fondato
dall'agroeconomista triestino Andrea Segrè, nell'ambito della campagna Spreco
Zero, e i testimonial degli ultimi anni sono stati Susanna Tamaro, Paolo Rumiz e
infine, per questa edizione, il cartoonist Francesco Tullio Altan, attivo ad
Aquileia, che dal 2010 illustra con le sue vignette le iniziative promosse in
chiave antispreco fra Bologna, l'Italia e l'Europa. Le prime due edizioni del
Premio si erano svolta proprio a Trieste, nell'ambito di Next, poi la
manifestazione ha fatto tappa due anni a Padova e quest'anno a Bologna. Altan
ieri ha annunciato che devolverà integralmente il gettone del premio (800 euro)
per il sostegno a una borsa di studio dell'Università di Udine finalizzata al
sostegno di una tesi per strategie di comunicazione dell'impegno contro lo
spreco alimentare, nell'ambito del progetto nazionale "Reduce".
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 29 novembre 2017
Muggia "allunga" la pista ciclabile fino alla Parenzana
- Via libera ai lavori per la nuova tratta tra il porto e il rio Ospo - Posta ad
hoc dalla Regione. Cantiere operativo in primavera
MUGGIA - Nuovo importante passo avanti per la realizzazione dell'itinerario
ciclabile di collegamento tra il porto di Muggia e la ciclovia Parenzana
Eurovelo 8. La giunta Marzi ha approvato il progetto di fattibilità
tecnico-economico dell'intervento che è stato finanziato grazie ad una posta ad
hoc inserita nell'assestamento di bilancio regionale. Fondamentale a tale
proposito l'emendamento presentato da alcuni consiglieri di maggioranza, con
l'esponente di Sel Giulio Lauri primo firmatario. Il cantiere che verrà aperto
entro la prossima primavera interesserà circa un chilometro del percorso che,
dall'approdo del Delfino Verde, arriva fino al collegamento con l'inizio della
Parenzana accanto al rio Ospo. Costo dell'operazione? Circa 75mila euro
stanziati appunto dalla Regione con un chiaro obiettivo: potenziare
ulteriormente il turismo ecosostenibile. La conferma arriva dal sindaco di
Muggia Laura Marzi: «Nel ringraziare la Regione non possiamo non constatare e
ribadire che il finanziamento giunto dall'amministrazione Serracchiani
costituisce di fatto un prezioso tassello per quel quadro che è la mobilità
sostenibile in cui la nostra amministrazione crede fermamente». Marzi ha poi
parlato di vero e proprio «appeal turistico» offerto dalle due ruote, mezzi
ecologici per eccellenza. La conferma arriva dal numero di cicloturisti che, nel
2016, hanno toccato quota 15 mila presenze. Muggia, insomma, pare essersi
guadagnata un posto di primo piano tra le località inserite nei circuiti del
cicloturismo regionale e non solo. Il potenziamento del collegamento con il
centro storico rivierasco è un'ulteriore conferma dell'importanza dell'Eurovelo,
ossia la rete ciclistica europea, che proprio in queste terre trova un incrocio
tra l'itinerario numero 8, la cosiddetta linea Est-Ovest che collega la Spagna
con la Grecia e l'itinerario numero 9, ossia la Nord-Sud, che collega la Polonia
con l'Istria croata. In termini più generali si evidenzia ancora una volta
l'importanza del turismo slow a Muggia. Sono passati infatti poco più di sei
mesi da quando la presidente della Regione Debora Serracchiani ha inaugurato
assieme a Laura Marzi il primo tratto della pista ciclabile sul lungomare tra
porto San Rocco e il confine con la Slovenia, nel lembo più meridionale del
territorio regionale. Nello specifico, con la somma di circa un milione di euro,
sono stati realizzati 600 metri tra punta Olmi e il molo a "T".A questo tratto,
che scorre lungo la Strada provinciale n.14, è già in progetto un ulteriore
allungamento di circa un chilometro. Tornando al tratto porto di
Muggia-Parenzana, l'itinerario ha ottenuto ora l'ok da parte della giunta Marzi
per il proprio progetto di fattibilità tecnico-economico. Accertato l'impegno di
spesa da parte del Comune, pari a circa 75 mila euro (di cui 56 mila euro a base
di gara), i lavori partiranno entro pochissimi mesi. L'obiettivo dichiarato dal
sindaco Laura Marzi è chiaro: entro l'inizio della prossima estate il nuovo
collegamento tra la ciclovia Parenzana Eurovelo 8 e il porto di Muggia sarà
pronto.
Riccardo Tosques
Il ritorno alla terra di nonni e bambini con Orto in
condotta
MUGGIA - Stagionalità, sementi, didattica all'aperto: sono alcune delle
parole chiave del progetto "Orto in condotta", frutto della convenzione tra
Comune di Muggia, istituto comprensivo "Lucio" e Slow Food. «Si tratta di uno
strumento utile per l'educazione ambientale, alimentare e del gusto e si può ben
integrare con le attività realizzate in questo ambito, a partire da quelle
legate al miglioramento del servizio mensa», racconta l'assessore alle Politiche
sociali Luca Gandini. A fronte di una spesa complessiva di 6 mila euro, il
progetto, rivolto alle scuole muggesane con lingua d'insegnamento italiano,
prevede, la creazione dell'Orto in condotta, un luogo dedito alla coltivazione
di alcuni prodotti. Due gli indicatori essenziali che l'orto dovrà rispettare:
la coltivazione dovrà seguire processi produttivi ecologici e le varietà
coltivate dovranno prevedere ortaggi del territorio, scelti in particolare tra
quelli catalogati nell'Arca del Gusto e nel progetto dei Presìdi Slow Food. Tra
gli obiettivi, ovviamente, anche favorire tra gli alunni la conoscenza dei
prodotti coltivati, mettendo a disposizione, ove possibile, cucina e personale
della mensa, locali e attrezzature del refettorio per la degustazione dei piatti
realizzati con i prodotti in questione, secondo quanto previsto dalla normativa
vigente. Anche in questa progettualità acquisisce dunque un ruolo significativo
il rapporto intergenerazionale, da anni al centro di diverse iniziative portate
avanti dal Comune di Muggia. In questo caso, in collaborazione con Slow Food e
l'Ic "Giovanni Lucio", sarà valorizzata la figura del "nonno-ortolano" che, in
qualità di esperto volontario, si occuperà della gestione ordinaria dell'orto e
si renderà disponibile almeno un giorno a settimana, nelle ore e nei modi
concordati con gli insegnanti, per le attività in aula e in giardino. «Non solo
i nonni, ma anche i genitori e l'intera comunità, insieme a studenti e
insegnanti, saranno gli attori del progetto, andando a costituire la cosiddetta
comunità dell'apprendimento per la trasmissione alle giovani generazioni dei
saperi legati alla cultura del cibo e alla salvaguardia dell'ambiente», ha
specificato Gandini. Il progetto prevede, infatti, anche l'elaborazione di una
didattica e un programma pluridisciplinare per l'educazione alimentare collegata
all'Orto in condotta e in tal senso è prevista pure l'organizzazione di un corso
di aggiornamento, rivolto agli insegnanti, inerente l'educazione ambientale,
alimentare, sensoriale e del gusto, gestione dell'orto e progettazione didattica
delle attività in aula e all'aperto. «L'obiettivo è quello di sviluppare nei
bambini, negli insegnanti e nelle famiglie una sensibilità verso una corretta
alimentazione, un approccio rispettoso all'ambiente, basandosi in modo
significativo sull'attivazione di una rete di comunità», ha aggiunto Gandini. Le
scuole saranno peraltro anche inserite nella rete degli orti scolastici Slow
Food, favorendo gli scambi nazionali e internazionali di esperienze. In questa
fase organizzativa rimane ora l'individuazione dell'area destinata ad ospitare
il progetto e le classi coinvolte in modo da poter iniziare i lavori ad inizio
2018.
(r.t.)
IL PICCOLO - MARTEDI', 28 novembre 2017
Studio, sport e teatri - Trieste al sesto posto per
qualità della vita - Quattro posizioni scalate in un anno e primato Fvg - Le
note dolenti: i reati, la sicurezza e la demografia
A Trieste si vive bene per tanti motivi. Perché è la prima città per numero
di start up e perché si fa tanta attività fisica. La cultura la fa da padrona,
con un buon background di studio per gli over 25. Buone novelle giungono dunque,
poiché il capoluogo giuliano si piazza al sesto posto della classifica sulla
Qualità della vita curata dal Sole 24 Ore, che misura il benessere economico e
sociale delle 110 province italiane. Non mancano però le note dolenti che
emergono dalle graduatorie specifiche su giustizia e sicurezza e sul divario
percentuale fra popolazione anziana e giovanissimi. Tuttavia ItaliaOggi domenica
collocava Trieste in tutt'altra posizione, al 70° posto, spiazzando un po' gli
amanti delle statistiche e mettendo contro destra e sinistra triestine. Litigi a
parte, Trieste guadagna quattro posti rispetto al 2016 e si avvicina con
celerità al podio, che per ora è occupato da Belluno, Aosta e Sondrio. Seguono
Bolzano e Trento. Una sfilza di località tutte al Nord (per vedere la prima
provincia del Sud e Isole bisogna scendere fino al 52° posto di Oristano), in
cui al nono e decimo posto si inseriscono altre due province del Fvg: Gorizia e
Udine. Pordenone invece resta al 13°. L'analisi è articolata in sei macro aree,
a loro volta formate da 42 indicatori. Vediamo dove Trieste riesce a dare il
meglio di sé. Primato innanzitutto per quanto riguarda l'indice di sportività.
Così come, spostandoci di area, Trieste è al top per numero di start up
innovative, che sono 45 ogni mille società di capitale. Per parlare di cultura,
i teatri sono pieni zeppi di spettacoli: 132 ogni 100mila abitanti. E la spesa
media pro capite dei turisti stranieri è pari a 1.730 euro: ottimo risultato se
si pensa che a Crotone è di 60 euro circa. Nel settore ambiente e servizi il
punteggio vola alle stelle (secondo posto) grazie alla spesa sociale pro capite
degli enti locali per minori, disabili e anziani equivalente a 113 euro. Reggio
Calabria, ad esempio, ne concede solo 4,6. Gli internauti possono dormire sonni
tranquilli perché il 70% della popolazione è coperto dalla banda larga che
galoppa a 30 megabyte. Bene anche per la presenza di sportelli Atm e Pos attivi,
che sono 49 ogni mille abitanti. Non a caso, spostandoci nel girone della
ricchezza e dei consumi, sono pingui i depositi bancari dei triestini, con una
media mensile di 33.520 euro (terzo posto), il che spinge a spendere anche
online (11.a piazza con 46 ordini all'anno per 100 abitanti). Exploit sul saldo
migratorio interno (3,6 persone per mille abitanti), così come sul numero medio
di anni di studio, 12, per la popolazione over 25. Non passano tanto tempo in
tribunale i triestini perché solo il 5% delle cause totali pendenti supera i tre
anni. Nel campo della giustizia comunque non gira buona aria. I dati sono molto
sconfortanti per rapine (87° posto con 39 ogni 100mila abitanti), truffe e frodi
informatiche (ultimo posto con 399 ogni 100mila abitanti), scippi e borseggi
(469 ogni 100mila abitanti). Ancora furti in abitazioni (469 ogni 100mila
abitanti) e di autovetture (293 ogni 100mila abitanti). Non bene nemmeno il
reparto demografia e società. Scontate forse alcune etichette: 6,4% è il tasso
di natalità per mille abitanti (vince Bolzano con il 10,4%) e 110.a piazza in
base all'indice di vecchiaia, a causa del rapporto tra gli over 64 e la fascia
d'età 0-14 anni. I tanti dati positivi diventano motivo di vanto
dell'amministrazione di turno o bersagli se si parla della controparte. «Anche
se mi fa piacere la classifica del Sole 24 Ore sulla qualità della vita -
afferma il sindaco Roberto Dipiazza, che sottolinea i molti interventi avviati
fino a oggi - quello che mi interessa è lavorare per i triestini, solo questo è
importante». Segue il concetto il vicesindaco Pierpaolo Roberti, tenendo conto
anche della classifica di ItaliaOggi: «Di lavoro da fare ce n'è ancora
tantissimo e quel settantesimo posto deve essere uno stimolo a fare ancora di
più e meglio». Frecciate al primo cittadino dal Pd: «Quando governavamo noi -
affermano Antonella Grim, consigliere comunale e segretaria regionale dem, e
Giancarlo Ressani, segretario provinciale -, Dipiazza ripeteva che Trieste era
il regno del degrado e dell'insicurezza. Per farlo, si serviva spesso di
classifiche come queste, che, lo sappiamo, non sono affatto dogmi. Davanti allo
scenario schizofrenico proposto dalle due graduatorie, vorremmo sapere cosa ne
pensa il sindaco: le userebbe ancora come metro di giudizio? Cosa direbbe del
fatto che i giornali bocciano la città sul fronte della sicurezza nell'ultimo
anno? Non era questo uno dei suoi cavalli di battaglia?».
Benedetta Moro
AcegasApsAmga - Il Rifiutologo "scaricato" 1800 volte
Sono passati 2 anni dal lancio, sui territori serviti da AcegasApsAmga, della app per smartphone e tablet sui servizi ambientali: il Rifiutologo. Dal 2015 sono stati oltre 10.200 i download effettuati, di cui 1.800 a Trieste.
Glifosato, l'Ue rinnova l'utilizzo - Il controverso
erbicida potrà essere usato per altri cinque anni. Contrarie Roma e Parigi
BRUXELLES - Alla fine, i Paesi dell'Unione Europea hanno votato per
rinnovare per cinque anni l'autorizzazione del controverso erbicida glifosato. A
favore si sono espressi diciotto paesi, nove i contrari e un astenuto. L'Italia
è tra quelli che hanno votato contro. «Adottiamo già disciplinari produttivi che
limitano l'uso a soglie inferiori del 25% rispetto a quelle definite in Europa
al fine di portare il nostro Paese all'utilizzo zero del glifosato entro il
2020», ha dichiarato il ministro delle Politiche agricole, alimentari e
forestali Maurizio Martina. Anche il presidente francese Emmanuel Macron ha
annunciato di aver chiesto al suo governo di «assumere le disposizioni
necessarie affinché l'uso del glifosato venga vietato in Francia non appena
verranno trovate delle alternative, al più tardi tra tre anni». A spostare gli
equilibri è stato il voto positivo della Germania. Rispetto alla riunione del 9
novembre scorso, in cui i Paesi non erano riusciti a trovare un accordo, si sono
espresse a favore anche Romania, Bulgaria e Polonia, che in precedenza si erano
astenute. Con Francia e Italia si sono invece opposti Belgio, Grecia, Ungheria,
Lussemburgo, Lettonia, Cipro e Malta. Astenuto il Portogallo. Oltre a rinnovare
la licenza dell'erbicida, la decisione ribadisce le misure di salvaguardia e le
raccomandazioni già approvate dall'Ue nel 2016, come il divieto di prodotti
contenenti miscele di glifosato e poe-tallowamine, l'obbligo di ridurre al
minimo l'utilizzo dell'erbicida in aree come parchi e giardini pubblici, campi
sportivi e aree ricreative, e le limitazioni agli usi in fase di pre-raccolta.
Soddisfatto il commissario Ue alla salute Vytenis Andriukaitis. «Il voto di oggi
- afferma - dimostra che siamo in grado di condividere la responsabilità
collettiva nel processo decisionale». Gli Stati membri «hanno fatto orecchie da
mercante alla richiesta del Parlamento europeo di eliminare gradualmente il
glifosato», attacca il gruppo dei socialisti dell'Eurocamera. È stata una
«decisione scellerata che non tiene conto di accreditati studi scientifici sulla
potenziale dannosità del pesticida» attacca Marco Zullo (M5S). All'opposto altri
gruppi politici, come i conservatori dell'Ecr, per i quali il voto è stato «una
vittoria della scienza su chi semina paure». Con il rinnovo della licenza la
Commissione europea e molti governi hanno «tradito la fiducia dei cittadini»,
sostiene la direttrice delle politiche alimentari di Greenpeace Europa Franziska
Achterberg.
Panchine da pic-nic ai laghetti delle Noghere - Il
Comune di Muggia vince il concorso a premi di Bricocenter. Bussani: «Valorizzata
tutta l'area»
MUGGIA - «Grazie a questo progetto i laghetti delle Noghere offriranno ora
ben cinque panchine da pic-nic site miratamente nei punti più suggestivi
dell'area e a disposizione di tutti coloro che vorranno godersi ancor più un
ambiente che sembra esistere al di là dello spazio e del tempo». Francesco
Bussani, vicesindaco di Muggia, annuncia l'arricchimento di arredi urbani posti
nel biotopo muggesano. L'installazione delle panchine è stato possibile grazie
al progetto "Pic-Nic ai Laghetti" presentato dal Comune di Muggia al Concorso a
premi promosso da Bricocenter Italia srl denominato "Insieme per il nostro
quartiere". «Un concorso destinato a progettualità mirate al quartiere della
città in cui si risiede e nelle cui vicinanze sia presente un punto vendita
Bricocenter, che per regolamento dovevano rispondere a requisiti di utilità
sociale e dovevano essere realizzabili con piccoli lavori di fai da te come
riparazione, manutenzione e abbellimento», ha puntualizzato Dario Formigoni,
direttore del punto vendita muggesano. Muggia, con il suo progetto del pic-nic,
si è aggiudicato il premio. «Non possiamo che ringraziare per questa preziosa
opportunità Bricocenter, che ancora una volta ha offerto un servizio alla
comunità», ha commentato l'assessore Bussani, ricordando anche la preziosa
collaborazione avvenuta in occasione della vendita di piantine il cui ricavato
era andato all'accoglienza degli studenti dell'Istituto comprensivo del Tronto e
Val Fluvione durante il Carnevale estivo. I laghetti delle Noghere rappresentano
una realtà storico-geomorfologica di particolare interesse nell'ecosistema della
valle delle Noghere, presentandosi come uno splendido esempio di
naturalizzazione di un'area antropizzata a scopi industriali in un passato
recente. Formatisi dopo gli anni Settanta - quando chiuse la fornace e venne
abbandonata la cava d'argilla presente lungo il corso del vicino rio Ospo - i
laghetti delle Noghere sono un insieme di otto laghetti, profondi al massimo 7
metri, che offrono ospitalità a anatre, aironi e cormorani minori durante le
migrazioni, ma anche ad anfibi e rettili. Ad essi si affiancano pesci di acqua
dolce e tartarughe europee e della Florida. «Quell'area è suggestiva dal punto
di vista paesaggistico - conclude Bussani - offrendo ai visitatori un ambiente
selvaggio e lussureggiante».
Riccardo Tosques
IL PICCOLO - LUNEDI', 27 novembre 2017
Qualità della vita ok a Nordest - Trieste e Gorizia
fuori top ten -
vedi l'indagine di Italia Oggi
ROMA - È Bolzano la provincia italiana dove si vive meglio, seguita da
Trento. Nella top-ten - dove c'è molto Nordest - figurano Pordenone e Udine con
Belluno, Vicenza e Treviso; ma Gorizia e Trieste si piazzano parecchio più in
giù. Trapani il fanalino di coda. La classifica di ItaliaOggi per qualità della
vita dà anche in forte risalita Roma, dall'88.o gradino del 2016 al 67.o
attuale. L'indagine, pubblicata integralmente sul quotidiano oggi in edicola, è
stata curata dal Dipartimento di statistiche economiche dell'Università La
Sapienza di Roma col supporto di Cattolica Assicurazioni. Gli indicatori
considerati sono: affari e lavoro, ambiente, criminalità, disagio sociale e
personale, popolazione, servizi finanziari e scolastici, sistema salute, tempo
libero, tenore di vita. Quanto al Fvg, tutte le province perdono posizioni:
Pordenone si piazza nona (era quarta), Udine decima (era settima), Gorizia
scende dall'11.o al 30.o posto, Trieste chiude al 70.o (rispetto al 51.o del
2016). Il capoluogo regionale resta ottavo (primo in Fvg) per il sistema salute,
dove Gorizia è al 40.o; e avanza di una posizione, al 5.o, nel settore affari e
lavoro, seguita da Udine 15.a, Pordenone 22.a e Gorizia 54.a. Sul fronte
criminalità, se Udine si porta dal 5.o al 2.o posto Trieste scende dal 99.o al
101, e Gorizia dall'8.o al 45.o. Al 31.o posto il capoluogo isontino sul fronte
dell'ambiente, dove invece Trieste chiude la classifica regionale all'87.o
posto.
Convegno - «Esposti all'amianto - Ricerca
prioritaria»
Spazio e fiducia alla ricerca, ma ancora più valore agli aspetti psicologici
e alla forza d'animo. Due i temi, o meglio, gli appelli al centro del quinto
convegno a cura dell'Aea - Associazione esposti amianto del Fvg, svoltosi
nell'Auditorium del Molo IV nell'ambito delle iniziative per il ventennale della
fondazione della sede sociale di Trieste attualmente diretta da Aurelio
Pischianz. I lavori, introdotti dalla giornalista Silvia Stern e moderati dal
direttore della Chirurgia toracica dell'Asuits, Maurizio Cortale, e da Paola De
Micheli della Medicina del Lavoro - hanno (ri)posto l'accento sulle conseguenze
medico-legali dell'esposizione all'amianto in campo lavorativo, ma spostando
l'attenzione dai numeri alle prospettive e dalle statistiche alle soluzioni. Un
quadro che si è avvalso del contributo di Stefan Schoeftner, docente
all'Università di Trieste (Scienze della Vita) e portavoce di PreCanMed,
progetto di ricerca di frontiera e medicina di precisione nel Fvg e nel Tirolo,
finanziato dall'Unione Europea. L'innovativo progetto di ricerca si basa sullo
studio dei profili molecolari delle forme tumorali più diffuse (colon, mammella
e polmoni) sul territorio, dando così vita a una sorta di banca-dati genomici
dei pazienti in grado, potenzialmente, di aprire nuove strade in chiave di
terapie personalizzate. «L'esposizione all'amianto in ambienti lavorativi può
rappresentare un duplicatore, anzi un moltiplicatore - ha precisato Schoeftner
-, specie per quanto riguarda le problematiche ai polmoni» .La ricerca ha
bisogno di tempo, ma tuttavia i pazienti chiedono ancora altro tempo. Ed è qui
che si racchiude il secondo nocciolo della questione, un tema non sempre
conciliabile con le frontiere della scienza. Il convegno dell'Aea ha dunque dato
respiro anche all'importanza dell'impatto psicologico e alle modalità con cui
insistere e resistere, specie nel caso di "convivenza" con il mesotelioma, il
killer reclutato dall'amianto. «La cultura della ricerca fa parte dei nostri
obiettivi sin dal 2000 - ha ricordato Aurelio Pischianz, presidente dell'Aea Fvg
-, ma attualmente tutte le cure disponibili sono soltanto palliative. Serve
allora migliorare il "modus vivendi" e saper dire: d'accordo, ho un male ma devo
e voglio affrontarlo. In qualsiasi maniera». Magari anche raccontandolo. Sì,
perché la sfida si gioca anche lontano dagli ambulatori, coniugando memoria,
lacrime e speranza. Vedi il libro di Santina Pasutto Persich, "Amianto - Oggi va
un po' meglio...", opera a offerta libera edita dall'Aea.
Francesco Cardella
IL PICCOLO - DOMENICA, 26 novembre 2017
Allarme incendio al termovalorizzatore - Pompieri ieri
mattina in via Errera. Fiamme causate da un guasto elettrico in una cabina. Stop
all'impianto, oggi la ripresa
Incendio, ieri mattina, al termovalorizzatore di via Errera in zona
industriale. L'impianto, gestito da Hestambiente srl, società del Gruppo Hera,
ha subìto un problema tecnico a un condensatore di una delle cabine elettriche.
L'incidente, che si è verificato attorno alle 7, ha fatto scattare
immediatamente gli allarmi e le procedure di emergenza. Non risulta alcun
ferito. Le fiamme sono state domate dai vigili del fuoco alle 7 e 40: i pompieri
sono intervenuti sul posto con due mezzi di soccorso. Il danno è comunque
circoscritto ai quadri elettrici della cabina e non ha interessato la spazzatura
depositata. Ma per ragioni di sicurezza tutte e tre le linee si sono bloccate.
Dovrebbero ripartire già questa mattina, anche perché il guasto è stato riparato
ieri pomeriggio dal personale della società. Ciascuna linea è formata da un
forno e una caldaia, oltre che da un sistema di trattamento dei fumi di
combustione. Che, per effetto dell'incendio, è andato progressivamente
esaurendosi per poi spegnersi del tutto. Il fumo avvistato nella zona da parte
dei cittadini è stato causato dal vapore acqueo proveniente dalle caldaie. Una
dinamica, spiegano ancora dalla società, determinata dal blocco del sistema. Il
fumo sprigionato dall'incendio, invece, si è alzato soltanto nei minuti in cui è
avvenuto l'incidente. I danni comunque non appaiono troppo gravi. Anche se, come
detto, si attendono precisazioni dagli accertamenti.Il termovalorizzatore di
Trieste è in buona sostanza un impianto di smaltimento dei rifiuti che segue un
processo di combustione ad alta temperatura. Il calore sviluppato da questo
processo viene riutilizzato per produrre energia. Sono vari gli step di cui si
compone il meccanismo di termovalorizzazione: in buona sostanza, la ricezione e
lo stoccaggio dei rifiuti, la combustione e la generazione di vapore. Complessi
anche i processi di depurazione fumi, che seguono alcuni passaggi precisi:
l'abbattimento degli ossidi di azoto, il trattamento dei gas acidi, l'iniezione
di carbone attivo per l'abbattimento dei microinquinanti e dei metalli pesanti;
e, ancora, il riscaldamento dei fumi attraverso una temperatura di 120°C per
mezzo di uno scambiatore ad hoc. L'ultimo intervento riguarda la "cogenerazione
di energia elettrica e termica": l'impianto, tecnicamente, è dotato di un'unica
turbina a vapore a servizio delle tre linee, accoppiata ad un alternatore
destinato alla produzione di energia elettrica. La potenza elettrica lorda
generata teorica è di 14,9 megavatt. Le tre linee di incenerimento, va detto,
funzionano indipendentemente l'una dall'altra in modo da garantire il processo
di incenerimento anche in caso di stop di una di queste.
Gianpaolo Sarti
A Trieste la festa del volontariato - Ambiente, arte,
sport e società tutti presenti a "Voci in piazza"
Gli attori del volontariato locale scendono in campo per dare vita a una
giornata di sensibilizzazione, colore e condivisione. Succede oggi, all'interno
di "Voci in piazza", manifestazione a cura dell'associazione culturale Naica in
programma in piazza Hortis dalle 11 alle 20.Edizione numero 3, copione nel
complesso consolidato. "Voci in piazza" rappresenta infatti una fiera del
volontariato, iniziativa che punta a dare spazio e respiro a sigle
ambientaliste, animaliste, sociali, ma anche a gruppi impegnati nello sport e
nell'arte. Insomma, una piccola "Woodstock" del volontariato, quello
possibilmente non all'insegna del fai da te, dove poter entrare in contatto
diretto con la gente e far conoscere temi, obiettivi, sviluppi e prospettive. La
terza edizione di "Voci in piazza" pone dunque l'accento sull'importanza
dell'informazione ma non disdegna altri risvolti, ancor più concreti e di
impatto. In primo piano infatti anche le raccolte fondi ma pure la propaganda
della cucina vegana, con degustazioni (salate, dolci e senza glutine),
proiezioni di documentari e punti informativi sui percorsi del veganesimo. La
manifestazione si tinge di caratteri a carattere new age con vetrine riservate
ai canali delle tecniche energetiche e al Reiki, ma non scorda anche la
solidarietà nei confronti degli animali, riservando degli stand in grado di
fornire informazioni sul tema delle adozioni e alcune linee guida sulla cura di
cani, pappagalli e conigli. Con il Natale oramai alle porte, la manifestazione
accoglie al suo interno anche altri richiami tipici del momento, come il
mercatino, con spazio all'usato, alla bigiotteria, all'uncinetto,
all'artigianato e alle varie possibili idee regalo. Non è tutto. Il villaggio
del volontariato apre anche ai bimbi (con il gioco a premi Big Memory) e alle
forme di creatività alternativa, tra tatuaggi e acconciature di trecce.
Ulteriori informazioni su www.naica.it.
Francesco Cardella
IL PICCOLO - SABATO, 25 novembre 2017
I 120 anni dalla nascita dell'altoforno che divide - La
prima colata nell'impianto di Servola nel novembre 1897
La fabbrica era pronta da un anno, ma è il 24 novembre 1897 che la Ferriera
di Servola vide scorrere la sua prima colata. Era l'inizio di una lunga storia,
fatta di lavoro, sicurezze, fatica, dolore e proteste, che prosegue ancora oggi.
Nel momento in cui suonava la prima sirena della fabbrica, buona parte
dell'Europa era ancora parte degli Imperi centrali, Trieste era lo sbocco al
mare dell'Austria Ungheria, lo zar aveva ancora vent'anni di regno innanzi a sé.
Oggi il mondo è mutato: l'Europa è unita non sotto una corona ma nel segno di
Bruxelles, il porto sta tornando vitale per il Centro Europa dopo un ciclo
durato cent'anni, Trieste ha cambiato volto, ma la Ferriera di Servola è sempre
lì, affacciata sul golfo. Non è più la stessa di centoventi anni fa, ma continua
a fare il suo mestiere. Con tutto ciò che esso comporta in termini di
occupazione e ambiente, due aspetti ineliminabili, che a volte la politica ha
messo in contrapposizione. Chi tesse le lodi dell'effetto sull'occupazione è
sicuramente Osvaldo Bianchini, quasi 79 anni, ex dipendente dell'impianto:
«Prima di me ci ha lavorato mio padre, per 35 anni, ricorda. Poi ci sono entrato
anch'io, dopo aver studiato al Nautico». Furono proprio quegli studi
marinareschi che gli valsero il soprannome di "capitano" presso i suoi colleghi:
«Con gli anni sono diventato prima capoturno e poi caporeparto. Quand'ero
capoturno in fonderia ho visto quanto duro fosse il lavoro degli operai, ma
anche quanta solidarietà ci fosse». Bianchini ricorda un lavoratore di Belluno
«che aveva lavorato vent'anni in cava e poi era arrivato in fonderia»: «Lui
aveva quasi sessant'anni e io trenta. A volte montava il turno di notte e non
arrivava del tutto lucido. Chiedevo ai suoi colleghi cosa dovessi farne e loro
rispondevano "lascialo tranquillo, il suo lavoro lo facciamo noi"». Secondo
Bianchini quel mondo fa parte anche del futuro: «Si parla di chiudere l'area a
caldo, ma io spero che la amplino. Arvedi ha le competenze per farlo in modo
moderno e porterebbe molti posti di lavoro».Il segretario di Fiom Marco Relli la
vede così: «C'è un articolo del 1918 del Corriere della Sera, in cui si parla di
Roma e si dice che non è una città industriale, a differenza di "Milano, Torino,
Trieste"». Era l'effetto della politica industriale austriaca: «La ferriera era
parte di una filiera a quei tempi. Poi è stata marginalizzata come Trieste, ma
comunque oggi resta l'unico impianto oltre a Taranto a circuito integrale, dove
arriva minerale ed esce metallo». L'unica possibilità per il futuro, aggiunge,
«è modernizzare radicalmente gli impianti, che ora sono quelli degli anni
Sessanta». Alda Sancin del comitato No Smog, tra le anime storiche
dell'opposizione all'area a caldo, commenta: «Centoventi anni spiegano molto.
L'impianto è nato per fare "quattro secchi" di ghisa e lentamente si è
allargato. Mentre nel frattempo lo faceva anche l'antichissimo abitato di
Servola». Prosegue: «Nella mia infanzia l'impatto era diverso. C'era un po' di
polvere, puzza di zolfo, ma niente di paragonabile agli effetti della produzione
di oggi. Una volta i ragazzi passavano sotto alla ferrovia e andavano al "bagno
della Ferriera". Oggi è inimmaginabile». Conclude: «Una cokeria a cento metri
dalle case nel 2018 è impensabile, l'impianto continua a operare come una volta:
il sistema altoforno-cokeria è un'idea dell'Ottocento. Anche nei paesi in via di
sviluppo si è capito che la ghisa si può fare diversamente. Ma nella città della
scienza, la scienza si ferma ai Campi Elisi». Aggiunge Giorgio Cecco di
FareAmbiente: «In tanti a Trieste hanno vissuto di Ferriera. Mio padre ci
lavorava dagli anni Sessanta». Ora, però, il mondo è cambiato: «I lavoratori non
sono più 1400, e penso che quelli rimasti meriterebbero un'alternativa di lavoro
più salubre. Anche perché l'area a caldo, ormai, necessiterebbe di investimenti
troppo ingenti. Meglio sarebbe puntare sul laminatoio e sugli sviluppi portuali.
Sarebbe bello fare una lotta unitaria, lavoratori e cittadini, per uno sviluppo
sostenibile».
Giovanni Tomasin
GLI ULTIMI ACCADIMENTI - La petizione nel lungo
dibattito su occupazione e ambiente
A centoventi anni di distanza dall'accensione dell'altoforno, lo
stabilimento di Servola non è più soltanto luogo di magnifiche sorti e
progressive dell'industria moderna, ma simbolo del dibattito sulla compatibilità
fra un certo tipo di produzione, salvaguardia dell'occupazione e difesa
dell'ambiente e della salute. Di questi giorni la petizione con cui gli operai
della fabbrica hanno chiesto rispetto, decidendo di rompere il silenzio «perché
esasperati dalla continua e gratuita violenza verbale», di cui si sentono
vittime da quando imperversano le proteste sulla chiusura dell'area a caldo. «Ci
sentiamo presi di mira per un lavoro che viene portato avanti onestamente»,
spiega una promotrice della raccolta di firme, che domanda di cessare gli
attacchi da parte dei comitati e dello stesso sindaco. «Chiediamo e ci
appelliamo a tutti coloro che, con buona volontà, vogliono costruire un percorso
condiviso e rispettoso nei nostri confronti, per migliorare l'ambiente e la
salute - così il documento firmato dai lavoratori - di confrontarsi con noi
nelle iniziative che promuoveremo senza urla, senza ostilità, offese o
preconcetti». L'iniziativa ha provocato la reazione del Comitato 5 dicembre che,
pur premettendo che «il dialogo tra noi cittadini e gli operai sia
fondamentale», ha parlato di «protesta a nostro avviso completamente pretestuosa
e infondata di certi operai» e di «un'operazione mediatica scorrettissima
dell'ufficio stampa della proprietà». Il Comitato No Smog ha a sua volta
manifestato comprensione per la condizione di disagio dei siderurgici,
invitandoli a non vedere gli attivisti anti Ferriera come nemici: «Siamo
disposti anche noi al dialogo, ma se fino ad adesso non c'è stato è perché i
lavoratori hanno lanciato fuoco contro noi residenti di Servola».
(d.d.a.)
Nella battaglia per i rifiuti soccombe AcegasAps
L'utility triestina ha perso il primo round davanti al Tar, accolto il
ricorso della romagnola Ciclat che era stata esclusa da un appalto da 9,3
milioni
Nella battaglia per aggiudicarsi spazzamento e raccolta dei rifiuti solidi
nell'area urbana triestina, la romagnola Ciclat, in associazione temporanea
d'impresa(ati) con l'altra romagnola Formula Ambiente, ha vinto il primo round
con l'appaltante AcegasApsAmga. Una gara da 9,3 milioni, bandita nella scorsa
primavera, dalla quale la coppia romagnola era stata esclusa nella fase di
pre-qualifica dei candidati. AcegasApsamga, che preferisce parlare il meno
possibile della vicenda, conferma comunque per le vie ufficiose che di recente
il Tar del Friuli Venezia Giulia ha dato ragione alla ricorrente. L'utility
triestina-padovana-udinese non demorde e impugnerà l'avversa sentenza davanti al
Consiglio di Stato. L'azienda del gruppo Hera, prefigurando i lunghi tempi della
decisione giudiziale, ha congelato il verdetto della gara, prorogando gli
attuali gestori del servizio - Italspurghi e cooperativa Sole - fino al 30
aprile 2018. Sempre in modo ufficioso, sembrano chiarirsi anche le ragioni
dell'impugnazione del bando e della conseguente sconfitta di AcegasApsAmga in
sede Tar. Alla base vi sarebbe il riferimento, nel testo del bando, al contratto
nazionale cosiddetto Fise, che regola i rapporti tra le utilities e i
lavoratori. Ciclat è una società cooperativa, che probabilmente applica
contratti alternativi/diversi da quelli Fise. Questo avrebbe motivato
l'esclusione di Ciclat e dell'alleata Formula Ambiente dalla gara. Allora il
giudice potrebbe aver eccepito la scelta di AcegasApsAmga in una duplice
direzione: perchè restringe l'ambito concorrenziale e perchè l'adozione di un
contratto di lavoro dal costo meno impegnativo rende meno onerosa la spesa per
l'effettuazione del servizio. Un automatismo: costa meno l'appalto, si riduce
l'incidenza sulla tariffa. Quindi si alleggerisce la Tari. Alla fine, inserendo
la ricorrente Ciclat, la gara avrebbe un più elevato livello di competizione con
l'eventualità di costi minori a vantaggio dell'utenza finale. Cioè, la bolletta
del cittadino. Per intendersi: il costo orario per addetto con contratto Fise si
aggira attorno ai 23-24 euro, il costo di una tipologia contrattuale differente
scende a 17-18 euro. Il servizio di spazzamento e raccolta rifiuti richiede il
lavoro di una sessantina di unità. Tra gli operatori triestini questa linea
interpretativa ha suscitato attenzione. Perchè la vicenda di AcegasApsAmga,
seguita in questo contenzioso dalla capogruppo Hera, potrebbe diventare un
classico caso di scuola, applicabile in altre procedure di gara. A questo punto
la società triestina attenderà il responso di Palazzo Spada, ma intanto dovrà
valutare il punto di caduta: consentire ai ricorrenti romagnoli di partecipare
alla lizza già bandita o azzerare l'iter e riformulare il testo? Se il Consiglio
di Stato confermerà l'indirizzo del Tar Fvg, le altre aziende in gara potrebbero
ritenere che le loro offerte, modulate sul contratto Fise, diverrebbero meno
competitive. Che fare? Ciclat è una realtà importante del settore, che fattura
poco meno di 150 milioni di euro. Ha sede a Ravenna ma opera in gran parte del
territorio nazionale. Sua partner nell'inedita operazione Trieste era la vicina
Formula Ambiente di Cesena. Interessante notare che sui siti è apparsa
recentemente la notizia secondo cui Ciclat è disponibile a eventuali
collaborazioni con Hera per affrontare l'imminente maxi-gara, per un servizio
della durata di quindici anni, mirato alla raccolta rifiuti in provincia di
Ravenna e nel territorio cesenate. E'stato lo stesso amministratore delegato di
Ciclat Ambiente, Cesare Bagnari, a prospettare questa eventualità. Avversari a
Trieste e alleati in Romagna? Tornando alla gara triestina, il valore ammonta a
9,3 milioni di euro e si organizza su due lotti, che coprono le Circoscrizioni
3°, 4°, 5°, 7°. Il periodo è piuttosto compresso, in quanto la durata è di due
anni, allungabile di un terzo. Non è ammesso il subappalto e sono richiesti
mezzi con determinati requisiti. E'stata invece aggiudicata la gara che riguarda
l'Altopiano, dove ha prevalso la cooperativa sociale Querciambiente insieme a
Germano e Basaglia
Massimo Greco
IL PICCOLO - VENERDI', 24 novembre 2017
Pressing del M5S - «Uno studio ambientale sull'area di
punta Olmi»
MUGGIA - Assegnare in tempi rapidi lo studio sulla tutela idrogeologica e
delle specie viventi locali site nell'area tra punta Olmi e punta Sottile.
Emanuele Romano, capogruppo consigliare del Movimento 5 Stelle, rispolvera un
tema ambientale affrontato nell'ultimo mandato della precedente amministrazione
comunale retta dall'allora sindaco Nerio Nesladek. «Nel 2014 il Comune di Muggia
aveva pubblicato un avviso per una consulenza sulle aree in questione, a cui
risposero due professionisti in grado di soddisfare tutti i requisiti richiesti.
E nel 2015 il Consiglio comunale aveva impegnato l'amministrazione a
commissionare uno studio ad hoc. Nonostante tutte queste premesse, però lo
studio non venne mai affidato», tuona Romano. Il grillino ha lamentato poi la
scarsa trasparenza da parte del Comune. «La delibera in oggetto, la numero 55
del 2015, non è consultabile nella sezione "Trasparenza" del sito del Comune.
Gli uffici da noi interpellati - spiega il consigliere del M5S - hanno risposto
che la presente ricerca di mercato non avrebbe configurato avviso di gara né
proposta contrattuale, non avrebbe altresì comportato l'instaurarsi di posizione
giuridiche o il sorgere di obblighi negoziali». Romano dunque entra nel vivo
della questione: «I motivi per cui volevamo consultare lo studio erano legati
alla volontà di approfondire i temi della tutela idrogeologica e delle specie
viventi locali. Se la ricerca non configurava obblighi negoziali, quale impegno
scaturisce dalla delibera 55? E se si vuole tener fede al principio
dell'efficienza ed economicità dell'azione amministrativa è sbagliato sprecare
il lavoro fatto in inutili ricerche di mercato. Così come è sbagliato - aggiunge
Romano - sbandierare in Consiglio improbabili accessi a fondi europei: se non ci
sono gli studi e i progetti, queste risorse economiche europee difficilmente
arriveranno a Muggia». Pronta la replica del sindaco di Muggia Laura Marzi
presente anche nella scorsa amministrazione comunale: «L'area tra punta Olmi e
punta Sottile è ben tutelata dal Piano regolatore generale del Comune di Muggia,
riconosciuto come un documento innovativo proprio anche in virtù del fatto che
ha recepito e tutelato gli aspetti paesaggistico-ambientali del territorio» .
Ricordando come all'interno del Prgc sia stato inserito «un Rapporto ambientale
in cui vengono analizzati nello specifico gli aspetti relativi all'ambiente
muggesano» e che nelle Norme tecniche di attuazione si trovino «anche le
direttive per la salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio», Marzi ha
puntualizzato come «la ricerca di mercato non presupponeva nessun obbligo per
l'Amministrazione precedente, che, ponderata attentamente la situazione ha
valutato di non proseguire l'iter per il Sito di interesse comunitario, il
cosiddetto Sic».
Riccardo Tosques
Italia Nostra Trieste festeggia 55 anni
Domani Italia Nostra celebrerà il 55°anniversario della fondazione della sezione di Trieste. Per festeggiare, domani i soci visiteranno la mostra sul Liberty e il parco di Miramare e la mostra Biennale Internazionale Donna al Magazzino 26. Qui, alle 16, si terrà la celebrazione del 55° anniversario alla presenza di Rodolfo Corrias di Italia Nostra nazionale.
IL PICCOLO - GIOVEDI', 23 novembre 2017
Piantati fiori e arbusti nella Giornata dell'albero
Da piazza Hortis a Ponziana, è stata una Giornata degli alberi ricca di
appuntamenti per Elisa Lodi e Angela Brandi, assessori rispettivamente ai Lavori
pubblici e all'Educazione. Sono state coinvolte le circoscrizioni e le scuole
comunali, mentre le associazioni "Tra fiori e piante" e "Trieste bella" hanno
contribuito alla realizzazione di alcune iniziative. Un doppio evento mattutino
si è svolto nel giardino di piazza Hortis, di recente riqualificato dal Comune.
Le scuole della quarta circoscrizione hanno piantato alcuni bulbi da fiore nel
parco, mentre i volontari delle due associazioni hanno appeso dei cartellini
identificatori su alcuni alberi, con tanto di nome comune, nome scientifico e
area di diffusione di ogni specie. Prima di presenziare alla cerimonia in piazza
Hortis, Lodi e Brandi sono state all'asilo nido comunale Piccoli passi, dove è
stato piantato un Biancospino. Più tardi altri esemplari dello stesso albero
sono stati messi a dimora nell'area verde in prossimità della rotonda del
Boschetto, nonché a Basovizza e a Ponziana, nella scuola dell'infanzia Stella
marina. Entro domani altri Biancospini saranno piantati a Gretta, nella primaria
Saba, nel giardino di Altura "Falcone e Borsellino" e vicino al laghetto di
Contovello. «Per omaggiare simbolicamente i bambini nati quest'anno, di entrambi
i sessi, abbiamo donato due alberi a ognuna delle sette circoscrizioni - ha
spiegato Lodi -, circoscrizioni che sono state così incluse per la prima volta
nella Giornata degli alberi. E a tal proposito invito i cittadini a visitare il
sito verdepubblico.comune.trieste.it». «Quest'anno abbiamo coinvolto soprattutto
le scuole, per sensibilizzare i più piccoli al concetto di albero come corpo,
come vita - ha aggiunto Brandi -. Ricordo, tra gli altri, il progetto "Orto
condotta", ovviamente coltivato dagli studenti, per ribadire la nostra
attenzione al tema dell'ecologia». La Giornata nazionale degli alberi è stata
riconosciuta dalla legge italiana nel 2013 e costituisce un'occasione di
sensibilizzazione dell'opinione pubblica sull'importanza del patrimonio arboreo
e boschivo.
(l.g.)
Tre "new entry" sulle rive del laghetto di Contovello
TRIESTE - Il Comune si prepara a piantare tre piccoli alberi, due
biancospini e un tiglio, nell'area verde vicina all'antico stagno di Contovello.
La breve cerimonia avrà corso domani alle 9.30 e si inserisce nelle iniziative
della Giornata nazionale degli alberi. «La messa a dimora delle tre "new entry"
- spiega la presidente della circoscrizione di Altipiano Ovest Maja Tenze -
rappresenta un valore aggiunto e un primo passo decisivo nel percorso
complessivo di rivalutazione di uno degli angoli più rappresentativi e
pittoreschi del Carso. Accanto ai due biancospini voluti dal Comune, abbiamo
aggiunto anche un tiglio, simbolo della comunità slovena. Un primo piccolo
intervento sulla strada della riqualificazione di uno stagno e di un'area che
rappresentano un valore non solo per la comunità locale, ma anche per coloro che
qui giungono per percorrere uno dei sentieri più belli di tutta la provincia».
Dal laghetto di Contovello infatti parte quel sentiero "Natura" che,
attraversando i boschi del costone carsico, raggiunge l'entrata a monte del
Parco di Miramare. Da diversi anni il primo parlamentino, incalzato dalla
comunità di Contovello, chiedeva la salvaguardia dello stagno devastato
dall'incuria e, in particolare, privato di quell'acqua che è la sua parte
essenziale. Causa calure estive e prosciugamento delle vene d'acqua durante la
realizzazione di alcuni complessi edilizi, il vecchio "kal"(stagno in sloveno)
era ormai ridotto ai minimi termini. A completare il degrado, l'immissione di
piante e animali del tutto inadeguati a uno stagno carsolino. Sul finire
dell'estate, finalmente, la presa di coscienza del Comune e la decisione della
giunta di ridare dignità e decoro all'area naturalistica. L'intervento di
recupero consiste nella realizzazione di alcune griglie di captazione delle
acque piovane e, opera fondamentale, di una presa d'attacco alla rete idrica
territoriale, accessibile ai tecnici nei periodi di forte siccità, al fine di
recuperare l'acqua utile a rivitalizzare lo stagno.
(m.l.)
Premiato il volontariato di TriesteAltruista - La onlus
entra a far parte del circuito nazionale la "Mappa dell'Italia che dona". È
l'unica in regione
"TriesteAltruista", l'organizzazione triestina di volontariato senza fini di
lucro e indipendente, fondata nel 2012 da soggetti privati e che oggi conta più
di mille aderenti, è entrata a far parte, unico soggetto dell'intero Friuli
Venezia Giulia, della "Mappa dell'Italia che dona". Un importante riconoscimento
per il gruppo che ha, come obiettivo istituzionale, quello di creare, in
collaborazione con le onlus, gli enti pubblici e le aziende, significative
opportunità di volontariato, che siano flessibili e da svolgere in gruppo,
adatte anche a chi ha poco tempo e non può garantire continuità. L'ingresso
dell'associazione triestina nel novero nazionale è avvenuta nell'ambito della
"Giornata del dono", tenutasi a Milano, nel corso della quale privati,
istituzioni, associazioni di volontariato sono stati chiamati a proporre
iniziative per sensibilizzare la cultura del dono. «TriesteAltruista ha ottenuto
l'ammissione alla Mappa - ha spiegato nel dettaglio Gennaro Andino Castellano,
uno dei fondatori dell'associazione - in virtù della presentazione del corso di
formazione per capi progetto dal titolo "Donatori del proprio tempo e artefici
del cambiamento"». «Il dono è diventato un patrimonio della Repubblica - ha
detto il presidente dell'Istituto italiano della donazione, Edoardo Patriarca -
e la Giornata istituita dal Parlamento due anni fa è servita a liberare energie
e idee che stanno migliorando l'Italia». Le scuole e i giovani sono stati i
protagonisti del Giorno del Dono 2017: 10mila studenti di 64 istituti scolastici
sono stati coinvolti. Quasi 150 invece le amministrazioni comunali che hanno
partecipato alla campagna, raddoppiate rispetto al 2016, con iniziative o
adesioni morali. Oltre 250 gli enti del terzo settore che hanno dato il loro
contributo con iniziative o adesioni e circa 20 le imprese che hanno voluto
celebrare il Giorno del Dono. «Insieme a MilanoAltruista e Romaltruista - ha
precisato Castellano - siamo affiliati come membri alla rete HandsOn, una no
profit di origine statunitense, presente in 250 città americane e in 16 paesi
del mondo. In questo modo - conclude il co-fondatore di TriesteAltruista -
avremo sempre maggiori opportunità di contatto e interazione con vari soggetti e
potremo ampliare il nostro raggio d'azione».
Ugo Salvini
I fondali raccontano la storia dell'Adriatico - Relitti
e opere d'arte - Il 17 dicembre sbarcherà al Salone degli Incanti una curata
esposizione sull'archeologia subacquea
Il nostro mare Adriatico è come uno scrigno, custode di storie millenarie
che aspettano soltanto d'essere riportate in superficie. «Ci sono più relitti
sul fondo del mare rispetto alle navi che lo solcano», diceva lo scrittore e
saggista croato bosniaco Predrag Matvejevic, grande cantore delle civiltà del
Mediterraneo e degli incroci tra i popoli che s'affacciavano sulle sue acque.
E'ispirata proprio alle sue parole e alla sua concezione del Mediterraneo come
"mare che unisce" la straordinaria mostra che aprirà i battenti il 17 dicembre
al Salone degli Incanti, trasformandolo per cinque mesi in un grande mare, in
cui il pubblico potrà idealmente immergersi per scoprire un'infinità di storie
che per lungo tempo, a volte secoli, a volte millenni, sono rimaste celate sotto
le acque. Storie di pace e di guerra, di scambi e traffici commerciali, di
incroci di genti e di merci, perfino storie di pirati. A raccontarle sarà la
mostra "Nel mare dell'intimità - L'archeologia subacquea racconta l'Adriatico",
che per la prima volta, con un'esposizione di 2000 metri quadri, offrirà al
pubblico in una visione d'insieme relitti, opere d'arte e oggetti della vita
quotidiana, merci destinate alla vendita e attrezzature di bordo letteralmente
ripescate dai fondali del nostro mare. Saranno circa un migliaio i reperti in
mostra, ciascuno con la propria storia, provenienti dai numerosi giacimenti
sommersi e prestati per l'occasione da musei italiani, croati, sloveni e
montenegrini. A collaborare a questa mostra, che è organizzata dal Servizio di
catalogazione, formazione e ricerca dell'Erpac (Ente Regionale per il Patrimonio
Culturale Fvg e dall'assessorato alla Cultura del Comune di Trieste), sono
infatti oltre 60 istituzioni culturali italiane e internazionali, tra le quali
la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio e il Polo Museale
regionale, con il coinvolgimento di 50 studiosi e una fortissima presenza di
reperti provenienti dalla Croazia, che grazie anche a un accordo bilaterale fra
i due Ministeri della Cultura ha messo a disposizione quasi la metà dei pezzi in
esposizione, provenienti da 17 diversi musei. Come simbolo dell'esposizione è
stato scelto proprio un reperto croato: l'Apoxyomenos o "Atleta di Lussino",
antica opera scultorea greca in bronzo, databile tra il I e il II secolo dopo
Cristo, di cui a Trieste verrà esposta una copia perfetta. L'ex Pescheria di
Trieste, grazie all'allestimento curato dall'architetto Giovanni Panizon, si
trasformerà in un paesaggio d'acqua, un fondale sommerso che permetterà di
leggere in maniera più esaustiva l'intensità degli scambi culturali e dei
traffici commerciali, la specificità della costruzione navale antica, la
ricchezza delle infrastrutture e il dinamismo dei paesaggi costieri, le storie
degli uomini che hanno attraversato questo mare intimo. Ad accogliere il
visitatore all'ingresso della mostra sarà un'installazione che simula la forma e
le correnti dell'Adriatico, permettendo una visione simultanea di ben 22 diversi
modelli d'imbarcazioni che nel corso dei secoli hanno solcato il nostro mare.
Lasciatosi alle spalle il mare, il pubblico raggiungerà uno spazio espositivo
che riproduce in negativo lo scafo di una nave antica, nel quale saranno
posizionati i reperti archeologici marini. Saranno dieci le sezioni della
mostra, ciascuna corrispondente a un tema: Lo spazio Adriatico, I porti e gli
approdi, Le navi, Le merci, Gli uomini, I lavori del mare, La guerra sul mare,
Il mare e il sacro, L'Adriatico delle migrazioni e La ricerca sotto il mare."Nel
mare dell'intimità" si pone l'ambizioso obiettivo di raccontare la storia
dell'Adriatico dall'antichità ai nostri giorni con gli occhi dell'archeologia
subacquea. «E' una disciplina poco nota al grande pubblico, che non gode della
giusta attenzione - afferma la curatrice della mostra, l'archeologa Rita
Auriemma, direttrice del Servizio catalogazione, formazione e ricerca dell'Ente
Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia -. Con questa
mostra vogliamo far capire alla gente cosa significa fare archeologia subacquea
e spiegare il valore di una ricerca in gran parte sommersa e sotterranea che
annoda legami antichissimi». L'esposizione è frutto di un intenso e coordinato
lavoro di ricerca, reso possibile dai contatti e dalle relazioni tra ricercatori
dei diversi Paesi che s'affacciano sull'Adriatico. E lungi dal rappresentare un
punto d'arrivo, mira piuttosto a incoraggiare una riflessione legata alla tutela
e alla ricerca dei beni sommersi e a fornire un contributo in tal senso,
offrendosi come trampolino di lancio per nuove ricerche e progetti. E' questo il
caso, per esempio, della Iulia Felix, imbarcazione romana del III secolo
ritrovata nel 1987 a 16 metri di profondità sui fondali marini al largo di
Grado. L'imbarcazione, lunga 18 e larga 5-6 metri, è stata rinvenuta intatta con
il suo carico di 560 anfore. In mostra a Trieste ci sarà la riproduzione della
sezione trasversale della nave di Grado, che è stata progettata dagli archeologi
e dal maestro d'ascia Gilberto Penzo, che hanno studiato lo scafo e il carico di
questo relitto. Questa preziosa ricostruzione a grandezza reale finita la mostra
costituirà il primo nucleo espositivo del Museo archeologico di Grado. Nella
sezione saranno stivate le anfore originali del carico, che contenevano prodotti
alimentari, principalmente pesce e conserve ittiche, e una riproduzione della
botte che racchiudeva i frammenti di vasellame vitreo trasportati per essere
rifusi, un sistema di riciclaggio già praticato nell'antichità perché più
economico rispetto alla produzione di vetro ex novo. Trasportava sempre vetro,
ma anche collane, candelabri, lampadari, campane di bronzo, lingotti di piombo,
coloranti, bicchieri di cristallo e rotoli di seta preziosa la Gagliana Grossa,
o relitto di Gnalic, una galea di mercato affondata in Croazia nel 1583 con un
carico di lusso ed estremamente variegato, che spedito da Venezia avrebbe dovuto
arrivare via mare al sultano ottomano Murad III. A quel tempo tra la Serenissima
e l'Impero Ottomano era guerra aperta, ma nonostante le ostilità le due potenze
continuavano a intrattenere rapporti commerciali. La nave, del peso di circa 720
tonnellate, fu fatta costruire a Venezia da Lazzaro Mocenigo, Benedetto da Lezze
e Piero Basadonna e venne varata nel 1569. Caduta nelle mani degli Ottomani nel
luglio del 1571 presso l'isola di Saseno (Albania), trascorse i successivi dieci
anni al loro servizio, prima di venire acquistata, nel 1581 a Costantinopoli,
dalla famiglia Gagliano. Per questa ragione, all'epoca del naufragio, la nave
portava il nome di Gagliana Grossa.A bloccarne la traversata e farla finire sul
fondo del mare, a sud di Zara, fu una tempesta, facilitata dall'eccesso di
carico. Ma i resti di questo naufragio, custoditi nei fondali marini e riportati
alla luce dagli archeologi subacquei nel corso di diverse campagne condotte dal
1967 ai giorni nostri, oggi costituiscono una sorta di finestra sulla storia
degli anni successivi alla Battaglia di Lepanto, che nel 1571 fermò il dominio
turco nel Mediterraneo. Il carico della nave era composto da materiale
eterogeneo di produzione artigianale, con molte merci di uso comune e con una
particolare abbondanza di materiale vitreo, per un totale di più di 5500
oggetti. Una variegata selezione di questi reperti sarà esposta al Salone degli
Incanti. Ogni pezzo in mostra racconterà una storia: per approfondirle una a una
è stato realizzato un accurato catalogo
GIULIA BASSO
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 22 novembre 2017
Ciclabile del Carso - Fiab Ulisse in pressing sulla
Regione
TRIESTE - Fiab Trieste torna sul progetto della Ciclabile del Carso e
sollecita nuovamente la Regione, con l'intento di smuovere la situazione, ferma
ormai da tempo. «Il progetto della Ciclabile del Carso che prevede un itinerario
di 35 chilometri da Draga Sant'Elia a Monfalcone - riepiloga Federico Zadnich di
Fiab Trieste Ulisse - ha ormai quasi dieci anni. L'ormai soppressa Provincia di
Trieste nel 2009 ha avuto un finanziamento di due milioni e 900mila euro per
realizzarla. Nel 2009 erano stati fatti un progetto di massima ed una Conferenza
dei servizi. Poi tutto si era arenato». Due anni fa Fiab aveva raccolto pure
1.300 firme e ottenuto dalla Provincia la promessa di un sostegno, una strada
che sembrava in discesa e che allora aveva portato alla stesura del documento
esecutivo. Poi più nulla. Da gennaio 2017 la competenza è passata alla Regione e
il sodalizio triestino, che promuove la mobilità sostenibile, è tornato alla
carica. «Nel recente incontro tra l'assessore regionale alle Infrastrutture
Mariagrazia Santoro e una delegazione del Coordinamento regionale Fiab -
prosegue Zadnich - è stato chiesto un aggiornamento sull'iter. Il Rup
(Responsabile unico del progetto, ndr) ha detto che prima di passare al bando
per i due lotti della Ciclabile, uno da Draga a Sistiana e l'altro da Sistiana
al canale di Moschenizza, ci sono tre passi procedurali da superare: rifare
documentazioni predisposte nel passato e nel frattempo "scadute", realizzare un
piano particellare e in seguito avviare accordi con i proprietari dei terreni
attraversati dalla Ciclabile o gli espropri». Nell'incontro Fiab ha chiesto
all'assessore Santoro che, per ridurre i tempi, si parta contemporaneamente con
tutti i due lotti nella realizzazione di questi passaggi e non in sequenza, come
attualmente ipotizzato. Fiab aveva già sollecitato la Regione ad accelerare le
procedure alcuni mesi fa, quando l'ente aveva annunciato la chiara volontà di
scommettere sugli spostamenti "green" sul territorio, con un assestamento di
bilancio che, nel triennio 2017-2019, prevede finanziamenti per oltre tre
milioni di euro mirati a interventi per la creazione di nuove piste ciclabili o
la sistemazione di quelle esistenti. «In definitiva la strada per pedalare sulla
Ciclabile del Carso è ancora lunga - conclude Zadnich - ma Fiab Trieste auspica
che la Regione e i suoi tecnici possano nel minore tempo possibile concludere i
necessari passaggi procedurali e il bando. Una ciclabile da Draga Sant'Elia a
Monfalcone promuoverebbe stili di vita sani tra i triestini e sarebbe
un'importantissima infrastruttura per il cicloturismo, un settore in forte
espansione che potrebbe essere sempre di più un'opportunità di sviluppo
economico sostenibile per Trieste e il Carso».
Micol Brusaferro
Le Falesie di Duino riaprono le loro porte grazie a un
patto a tre - Al vaglio del Consiglio l'intesa tra Comune, Wwf e club nautici
per rendere accessibile l'area con progetti didattici e turistici
DUINO AURISINA - Le Falesie di Duino tornano a disposizione della
collettività, in particolare degli studenti e delle scolaresche, dei turisti e
dei diportisti, nell'ambito di un nuovo progetto di valorizzazione del
territorio predisposto dal Comune di Duino Aurisina. Va in questa direzione il
Protocollo d'intesa che l'amministrazione guidata dal sindaco Daniela Pallotta
si appresta a sottoscrivere avendo come partner l'Area marina protetta di
Miramare da un lato e le società nautiche locali dall'altro. Il testo sarà
sottoposto stamani al vaglio del Consiglio comunale, dopo aver già superato,
qualche giorno fa, l'esame in sede di Commissione Ambiente. «Abbiamo varato un
programma di educazione ambientale destinato ai giovani e ai giovanissimi -
spiega l'assessore Andrea Humar - che prevede una stretta collaborazione con i
tecnici e gli esperti del Wwf, i quali condurranno le scolaresche nella Riserva
marina delle Falesie, per utilizzare quello straordinario paesaggio a scopo
didattico. Ma non abbiamo dimenticato i diportisti - aggiunge Humar - e per
favorirli intendiamo alleggerire l'iter burocratico che garantisce il diritto a
entrare nella Riserva marina delle Falesie, in virtù di uno specifico permesso.
A questo scopo - precisa l'esponente della giunta Pallotta - abbiamo già
contattato la Regione. L'obiettivo è di coinvolgere le società nautiche del
territorio, affinché possano essere loro a consegnare direttamente i permessi,
sulla base di una delega del Comune, peraltro senza dover sopportare il costo
dei bolli, come avviene attualmente». Le scelte della giunta vanno nella
direzione di un generale utilizzo delle aree a mare: «Nel piano della
valorizzazione - dice Chiara Puntar, presidente della Commissione consiliare che
ha la competenza sull'Ambiente - sono comprese anche l'area risorgiva del Timavo
e la Costa dei Barbari, perché intendiamo segnare una svolta rispetto alle
politiche del passato, tornando a dare alle zone indicate un preciso ruolo
nell'ambito dello sviluppo turistico, della didattica nelle scuole, nello sport.
Le società nautiche del territorio - prosegue Puntar - saranno invitate a creare
una rete didattico-turistica, in cui uno specifico compito di divulgazione
scientifica sarà riservato ai tecnici del Wwf che operano nel contesto della
Riserva marina di Miramare. Siamo al cospetto - ribadisce - di una vera e
propria rivoluzione nella modalità di utilizzo della Riserva delle Falesie,
oltre che delle risorgive del Timavo e della Costa dei Barbari». Nel corso della
recente campagna elettorale, da molte voci si erano alzate le richieste di una
sostanziale riapertura di tali siti al pubblico utilizzo. «Vogliamo dare una
risposta a tali istanze - riprende Puntar - pur prestando la massima attenzione
alla tutela dell'ambiente e del territorio. Determinati divieti per quanto
concerne l'avvicinamento alla costa da parte dei diportisti rimarranno -
continua la presidente della Commissione Ambiente - perché come amministrazione
intendiamo assicurare la conservazione del bellissimo patrimonio paesaggistico
del nostro Comune».«Tuttavia - conclude - è anche giusto che la popolazione
residente e i turisti possano godere e beneficiare delle bellezze del nostro
territorio, trovando il giusto equilibrio fra le diverse esigenze».
Ugo Salvini
GREENSTYLE.it - MARTEDI', 21 novembre 2017
Nube radioattiva: Russia ammette, livelli 986 volte oltre la norma
Il servizio meteorologico russo ha confermato i livelli record di Rutenio-106 nella nube radioattiva che si è diffusa in Europa. Sebbene il governo russo abbia più volte smentito le responsabili riguardo l’incidente, il meteo Rosgidromet ha confermato la presenza dell’isotopo radioattivo in diverse zone del Paese e in particolare Tatarstan e nel sud della Russia. L’Europa sarebbe stata attraversata dal fenomeno tra il 27 settembre e il 13 ottobre 2017 mentre dal 29 settembre avrebbe raggiunto, sostiene il quotidiano britannico The Guardian: “Tutti i Paesi europei, a partire dall’Italia e poi verso il Nord Europa”. Allarme nube radioattiva scattato il 9 novembre 2017 e diffuso dall’Istituto per la Sicurezza nucleare francese, che aveva rilevato la presenza anomala di Rutenio-106 e individuato la fonte della contaminazione in un punto situato tra il Volga e gli Urali. Se allora le autorità russe hanno negato ogni coinvolgimento, ora sembrano verificarsi le prime parziali aperture. In particolare sembra che il valore 986 superiore al normale sia stato registrato ad Argayash, villaggio nella regione di Chelyabinsk. A circa 30 km da lì si trova inoltre il sito di Mayak, luogo simbolo per il disastro nucleare verificatosi nel 1957 e tutt’ora utilizzato quale impianto di riprocessamento del combustibile esaurito. Greenpeace ha chiesto in via formale al Rosatom l’apertura di un’inchiesta e la pubblicazione di tutti i dati disponibili. Sulla questione è infine intervenuto anche Jan Van De Putte, Greenpeace Belgio, che ha chiarito la sua opinione in merito alle possibili cause che hanno portato alla diffusione della nube radioattiva: È pericoloso a livello locale, diciamo nella zona intorno a Mayak, ma la radioattività viene diluita enormemente attraverso distanze così vaste, e questo naturalmente riduce molto i rischi qui in Europa occidentale. Il rutenio 106 è usato per lo più nel settore medico, nella cura del cancro, e una delle ipotesi è che potrebbe trattarsi di un macchinario fuso in un’unità di riciclo del metallo, per esempio. Questo è uno dei percorsi possibili per una fuga così imponente di rutenio.
Claudio Schirru
IL PICCOLO - MARTEDI', 21 novembre 2017
Piazza Libertà e Montebello - Entro il mese il via alle
gare - Nello spazio davanti alla Stazione cantiere aperto a metà del prossimo
anno
Slitta al 2019 la riqualificazione della galleria tra piazza Foraggi e
via Salata
Due dei più lenti cantieri della recente storia amministrativa triestina
stanno per mettersi in moto allo scadere del 2017. Riflettori puntati su Piazza
Libertà e su Galleria Montebello, entrambe bisognose - a diverso titolo - di
energici lifting. Partiranno prima i lavori di riqualificazione in Piazza
Libertà, l'ampio spazio che si estende davanti alla Stazione Centrale. Il Comune
bandirà la gara internazionale nelle prossime settimane, perchè AcegasApsAmga ha
recapitato i progetti relativi ai cosiddetti sotto-servizi (allacciamento delle
reti). Quindi il quadro degli interventi da svolgere è completato: la
tempistica, ipotizzata dai Lavori Pubblici municipali, prevede l'avvio effettivo
dei lavori prima dell'estate 2018 da concludersi nel giro di un anno alla metà
del 2019, con uno slittamento di circa sei mesi rispetto all'annuncio risalente
allo scorso marzo. L'operazione, che sarà seguita in qualità di "rup" da Enrico
Cortese, è finanziata da oltre 4 milioni di euro, provenienti soprattutto da
antiche poste del governo centrale (2,3 milioni) e della Regione (1,5 milioni).
La notizia è emersa ieri mattina, a margine del dibattito in II e IV commissione
consiliare coordinato dai presidenti Cason (Lista Dipiazza) e Babuder (FI),
dedicato a una sessantina di modifiche del Piano triennale delle opere contenute
nella variazione di bilancio che andrà probabilmente in aula la prossima
settimana. I principali interventi sono stati illustrati dall'assessore Elisa
Lodi e dal direttore dei Lavori pubblici Enrico Conte. Proprio sulla
riqualificazione di piazza Libertà, nel 2017 viene applicato un avanzo vincolato
di oltre 1,8 milioni di euro. La "cosmesi" di piazza Libertà danza sui tavoli
comunali da 13 anni: il progetto, presentato a marzo, prospetta alcune
innovazioni che riguarderanno l'inizio di viale Miramare, l'utilizzo di via
Ghega, l'ampliamento dei marciapiedi, lo spostamento delle fermate dei bus.
Sempre a margine della commissione, un secondo annuncio ha riguardato la
galleria Montebello, che collega piazza Foraggi a via Salata, un'infrastruttura
fondamentale nella comunicazione tra il centro cittadino e la periferia
meridionale. Anche in questo caso decollerà entro fine mese una gara per
l'affidamento della progettazione: sarà un incarico decisamente corposo per un
valore di circa 800 mila euro, che riguarderà un cantiere da 13 milioni, forse
il più impegnativo tra quelli gestiti dal Comune. E anche in questo caso sarà
inevitabile uno slittamento: l'avvio dei lavori si sposterà verso il 2019. Una
storia infinita quella della galleria, che necessita da anni di un intervento
che le pesanti ripercussioni sul traffico urbano, gli "spazi finanziari" imposti
dalla legge di stabilità, gli adeguamenti procedurali e progettuali hanno
continuamente costretto/consigliato di procrastinare. Si pensi che il primo
progetto era stato messo a punto nella primavera 2015. Così il dossier è
rimbalzato dal Dipiazza 2° a Cosolini e da Cosolini al Dipiazza 3°. Adesso siamo
alla stretta, perlomeno progettuale, che dovrà tenere conto di un fattore
determinante: Dipiazza, per evitare ricadute difficilmente governabili sulla
circolazione di auto e di bus (altrimenti dirottati su via dell'Istria, su via
Baiamonti, sulla Grande Viabilità), ha preteso che i lavori all'interno della
galleria si svolgano su una corsia e che il tunnel non venga chiuso. Non solo:
in occasione di un incontro con l'associazione ciclisti Fiab, lo stesso sindaco
ha assicurato che la galleria sarà dotata di due corsie per le biciclette.
Infine, tra i principali interventi su cui la giunta chiede via libera al
consiglio, c'è il completamento della ristrutturazione riguardante l'ex istituto
Carli in via del Teatro romano: in particolare, saranno risistemate le soffitte,
che accoglieranno la sede delle rappresentanze sindacali. Spesa di 700 mila
euro.
Massimo Greco
IL PIANO - Priorità per Porto vecchio tra recinzione e
parcheggi
Cimitero, Porto vecchio, parcheggi, cultura, turismo, sport: la delibera,
che apporta una sessantina di modifiche al Piano triennale delle opere e che è
stata discussa ieri mattina da due commissioni riunite (la II e la IV), sembra
proprio un provvedimento omnibus, che affronta antichi fascicoli e nuove
richieste formulate dal sindaco, dalla giunta, dalla maggioranza. Tra le nuove
opere, su esplicita sollecitazione di Dipiazza, c'è l'acquisto del nuovo forno
crematorio da inserire nel cimitero di Sant'Anna: il costo presunto, riportato
nell'apposita casella dell'allegato, parla di 600 mila euro, in gran parte
finanziato dall'avanzo vincolato.Il progressivo passaggio degli asset di Porto
vecchio dall'Autorità al Comune consiglia il nuovo proprietario a disporre una
serie di interventi manutentivi sui beni ricevuti o in via di recezione. Si
comincia dal refitting dedicato alla lunga recinzione che in viale Miramare
perimetra l'area ex portuale. Anche questo è un cavallo di battaglia del
sindaco, che nel recente passato aveva suscitato polemiche perchè aveva
ipotizzato il coinvolgimento lavorativo di rifugiati e richiedenti asilo
ospitati a Trieste. Ma la manutenzione straordinaria, che costerà circa 78 mila
euro, necessita di un preventivo vaglio della Soprintendenza e di aziende
specializzate nell'esecuzione di opere relative ai beni culturali. Al termine
del Porto vecchio il sindaco ha voluto che fosse realizzato un parcheggio sul
terrapieno di Barcola: anche questa è una new entry, sulla quale il Comune
investirà 530 mila euro, drenati attraverso un finanziamento dell'Uti, l'avanzo
vincolato, la vendita di titoli. In tema di viabilità un finanziamento di 150
mila euro consentirà la manutenzione straordinaria di Pontebianco e Ponteverde,
le strutture che sulle Rive scavalcano il Canal Grande dalla parte del mare.
Alcuni significativi interventi sono programmati tra cultura e turismo. A
cominciare dalla ristrutturazione e ampliamento dell'Aquario, il primo lotto
viene integrato con quasi 300 mila euro, cosicchè il ripristino del contenitore
avrà a disposizione quasi 600 mila euro ed evidenzia una prioritaria rilevanza
nella programmazione comunale. Recentemente si erano levate proteste tra i
visitatori per le precarie condizioni in cui versa la struttura. A supporto
dell'offerta culturale - ma non solo - il finanziamento, che serviva a
incrementare la segnaletica turistica, viene invece dimezzato a 100 mila euro.
In ambito sportivo è lo stadio Rocco a ricevere rinforzi con un nuovo
stanziamento pari a 340 mila euro per la ristrutturazione, riqualificazione e
adeguamenti normativi. sarà lo stesso direttore dei Lavori Pubblici, Conte, a
fungere da responsabile del procedimento. Un'altra iniezione di risorse, pari a
260 mila euro, rafforza l'intervento sulla copertura della piscina Bianchi. A
dire il vero qualche impianto ci rimette: è il caso del vecchio stadio Ferrini a
Ponziana, che vede l'originaria dotazione di 450 mila euro scendere a 100 mila
euro. Infine, gli uffici hanno raschiato un po' di soldi per un lotto di 107
mila euro destinato ai serramenti delle scuole, un tema assai popolare per
sicurezza e igiene degli edifici. Piazza Hortis avrà una nuova recinzione con 90
mila euro.
magr
Il verde pubblico è ancora poco - Meglio al Nord ma la
percentuale resta bassa. Serve manutenzione
ROMA Il verde pubblico, un tempo semplice indice della qualità urbanistica
degli spazi costruiti, oggi rappresenta un indicatore dello sviluppo urbano
sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. È ormai
ampiamente condivisa la consapevolezza che la presenza di spazi verdi aperti può
migliorare la salute e contribuire alla qualità della vita, tutelando
l'ecosistema urbano, mitigando i rischi dei cambiamenti climatici e
dell'inquinamento e contribuendo alla sicurezza alimentare e idrica: rendendo le
nostre città più resilienti. Non a caso la Nuova Agenda Urbana dell'Onu al 2030
inserisce tra gli indicatori chiave per il futuro delle città sostenibili la
presenza di spazi verdi, e la Commissione Europea ha lanciato il tema delle
infrastrutture verdi. Simbolo del nostro verde sono gli alberi, ai quali dal
2013 ormai è dedicata una Giornata Nazionale, fissata per ogni 21 novembre. Gli
alberi sono ricchezza, salute e spesa sociale, agricoltura, industria del legno,
turismo ambientale, ma anche storia e identità. A giudicare dal rapporto sulla
qualità urbana di Ispra - l'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca
Ambientale del ministero dell'Ambiente - per fotografare la situazione, c'è
ancora molto da fare, in quanto nei 116 Comuni capoluogo presi in
considerazione, in ben otto su dieci il verde pubblico non incide per più del
5%, con particolare riferimento alle città del sud e delle isole. Tra le città
infatti con poca disponibilità pro capite di aree verdi e basso valore anche
nella percentuale generale di verde, troviamo L'Aquila, Barletta, Crotone, Enna,
Foggia, Isernia, Lecce, Olbia, Siracusa, Taranto e Trani, oltre però anche ad
alcuni capoluoghi con alta densità cementizia nel nord, come Genova, Imperia e
Savona. Spiccano con alta densità di verde urbano Gorizia, Pordenone, Sondrio e
Trento al Nord, Matera e Potenza al Sud. Le città "più verdi" sono quelle con
più alti valori nelle aree protette: Messina, Venezia e Cagliari. Da segnalare
naturalmente che alcune grandi città come Milano, Torino e Roma registrano una
discreta percentuale di verde sulla superficie comunale pur venendo certificati
valori di disponibilità pro capite medio-bassi in relazione alla popolosità, con
la Capitale che risulta essere la città con la maggiore estensione di aree
naturali protette (il 30,5%, quasi 400 milioni di metri quadrati), grazie alla
presenza di polmoni verdi come Villa Borghese e Villa Pamphili. Dalla sua
istituzione la Giornata Nazionale degli Alberi ha riscontrato interesse da parte
dei Comuni: l'84,5% delle città la celebrano piantando nuovi alberi; il 58,6% ha
dato il via a campagne di sensibilizzazione rivolte ai cittadini per far
crescere la cultura del verde, mentre il 24% ha previsto percorsi formativi per
addetti alla manutenzione del verde. Un dato, quest'ultimo, la cui crescita è
fondamentale, dal momento che la qualità delle nostre aree verdi non può
prescindere dall'efficienza della manutenzione e dall'attenzione dei Comuni
verso quelle professioni qualificate a mantenere il nostro ambiente ben tenuto.
Alfredo De Girolamo
Le sfide di Bolzonello tra Ferriera e alleati - il tour
in FVG
TRIESTE - Sergio Bolzonello chiude il mini tour regionale auspicando
un'alternativa all'area a caldo della Ferriera, nel corso dell'ultimo incontro
con gli iscritti al Partito democratico tenutosi ieri a Trieste. Alla fine di un
serrato discorso di autopresentazione della propria candidatura alla guida della
Regione, il vicepresidente e assessore alle Attività produttive si è smarcato in
parte dalla linea della giunta Serracchiani, spiegando di ritenere «fondamentale
la difesa dei lavoratori», ma aggiungendo che «le alternative all'area a caldo
potrebbero essere messe a disposizione di un ragionamento: oggi questa
alternativa non c'è e serve un piano per riconvertire l'area alla funzione
logistica. Si può ragionare con l'imprenditore, senza demonizzare l'area a caldo
ma pensando anche a scenari diversi, senza blaterare come ha fatto qualcuno». E
la stoccata al sindaco Roberto Dipiazza è chiara. Bolzonello parla per quaranta
minuti. Si alza in piedi dopo la presentazione del segretario provinciale
Giancarlo Ressani e impugna lo stesso foglio di appunti che aveva in mano
all'assemblea regionale in cui ha annunciato l'intenzione di candidarsi alla
guida di un'alleanza di centrosinistra. Quel foglio è diventato una coperta di
Linus e al centro vi campeggia la parola «unità» da cui l'ex sindaco di
Pordenone fa partire tre frecce. «Unità del partito, della coalizione e dei
territori del Friuli Venezia Giulia». Per Bolzonello l'unità dell'alleanza deve
superare «la scissione dell'atomo della sinistra: non sottovaluto le cause della
difficoltà di rapporti col Pd, ma abbiamo il dovere di arrivare fino all'ultimo
minuto per trovare unità su valori e programmi». Seguono l'appello ad approvare
lo ius soli e l'applauso del centinaio di presenti. L'unità è pure quella dei
territori, con la sottolineatura che «il Fvg è la più grande piattaforma
logistica d'Italia, con un porto che va da Trieste a San Giorgio, un porto
franco che darà sviluppo a tutta la regione e i tre interporti di Cervignano,
Udine e Pordenone. A Trieste abbiamo investito sul porto e sui cluster della
nautica e dello smart health, ma ricordo anche che due anni fa la Wärtsilä
sembrava se ne andasse e invece ne abbiamo ottenuto il rilancio, così come
abbiamo garantito l'80% di rimborso ai risparmiatori Coop». Vista l'assenza di
candidature alternative, l'assemblea del 27 indicherà Bolzonello come la scelta
del Pd, dandogli mandato di costruire programma e coalizione. Il vicepresidente
ricorda allora che «la comunità cui appartengo non è solo il Pd ma quella che si
fonda sui diritti della persona e che non lascia indietro nessuno: dobbiamo
camminare tutti assieme e non avere paura del domani, come diceva un noto
filosofo che si chiama Bob Marley». Per farlo, Bolzonello propone di «rimettere
al centro i fondamentali come scuola e lavoro: solo così si rimette al centro
l'individuo». Poi la conferma dell'intenzione di chiedere a Roma le competenze
sulla scuola, come in Trentino. Bolzonello sa che la campagna elettorale si
giocherà su sanità, Uti e profughi. Ed è sulle Unioni territoriali che ricerca
la discontinuità: «Dalle Uti non si torna indietro ma dobbiamo dare risposte
agli amministratori dopo aver corso troppo. Qualcosa faremo già in finanziaria».
Il vicepresidente tiene invece il punto sui migranti: «Servono accoglienza
diffusa, regole precise e integrazione attraverso il lavoro. Bene l'azione di
Minniti».La chiusura dell'incontro vede Bolzonello chiamare vicino a sé Roberto
Cosolini, secondo cui «Sergio è in campo per vincere e noi dobbiamo essere in
campo con lui». Il candidato in pectore parla di «amicizia e grande stima» per
l'ex sindaco: un potenziale assessore è già stato scelto.
(d.d.a.)
Festa dell’albero alle 15.30, in piazza Hortis.
Riconoscimento degli alberi monumentali della piazza in 8 mosse attraverso una app per tablet e smartphone presentata da Pierluigi Nimis (Università di Trieste) e letture sotto l’albero a cura dell’associazione L’una e l’altra”.
IL PICCOLO - LUNEDI', 20 novembre 2017
Fondi bis per la bonifica di Acquario - In arrivo dalla
Regione 400mila euro per il terrapieno di Muggia. Si punta ad aprire parcheggi e
accesso al mare entro l'estate
MUGGIA - «Entro l'inizio della prossima estate garantiremo i parcheggi e
l'accesso al mare per i bagnanti di Acquario». Francesco Bussani, assessore ai
Lavori pubblici di Muggia, strappa la promessa ai propri concittadini dopo la
notizia ufficiale di un nuovo finanziamento per la riqualificazione del
terrapieno. La Regione ha infatti deliberato uno stanziamento al Comune di
Muggia, attraverso l'Uti Giuliana, pari a 400 mila euro da utilizzare per i
lavori di bonifica del sito inquinato di Acquario. Una somma fondamentale per
portare a termine il cantiere avviato da qualche mese. Attualmente il terrapieno
è interessato dalla messa in sicurezza permanente del primo lotto. L'area
interessata si riferisce ai 900 metri che formano la passeggiata a mare
prospiciente la scogliera. Ma non solo. Sono in fase di allestimento anche due
aree parcheggio per un totale di quasi 100 stalli: uno all'inizio e l'altro alla
fine del terrapieno. La spesa complessiva del primo lotto di lavori si aggirava
attorno al milione di euro: con il finanziamento giunto dalla Regione la
chiusura del cantiere sarà garantita al 100%, con possibilità anche che parte
dell'avanzo venga utilizzato per il secondo più impegnativo lotto che dovrà
interessare il terrapieno vero e proprio. «Il cantiere sta procedendo bene e
sicuramente il finanziamento giunto tramite le Uti è il primo tassello
necessario per chiudere tutta la questione Acquario», puntualizza Bussani. Gli
interventi sul terrapieno, a lungo interdetto a causa di complesse vicende
giudiziarie legate all'inquinamento dell'area, sono stati sbloccati dopo 13 anni
di attesa a metà del 2015 quando la Conferenza di servizi regionale ha approvato
il progetto definitivo per la sua messa in sicurezza e bonifica. Gli attuali
cantieri sono la prosecuzione del recupero del lungomare muggesano iniziato lo
scorso marzo con i lavori di riqualificazione del tratto costiero tra Porto San
Rocco e Punta Olmi. Già realizzato anche il primo tratto della pista ciclabile
sul lungomare tra Porto San Rocco e l'ex confine. Nello specifico sono stati
interessati 600 metri tra Punta Olmi e il Molo T, per la cui realizzazione è
stato speso un milione di euro. «A questo tratto, che scorre lungo la Strada
provinciale 14, si sta aggiungendo ora un ulteriore segmento di circa un
chilometro con altri interventi di supporto all'offerta turistica, in
particolare la creazione di un'area parcheggio con un centinaio di posti auto
suddivisa in due zone che renderà fruibile la prima parte di Acquario», precisa
Bussani. Per quanto riguarda invece il secondo e più cospicuo lotto relativo al
"cuore" del terrapieno, si attende conferma dei cospicui finanziamenti che la
Regione dovrebbe assegnare all'Uti Giuliana (si parla di circa 2 milioni di
euro) da cui il Comune dovrebbe poter attingere la somma necessaria per chiudere
uno dei capitoli più difficili della storia amministrativa rivierasca.
Riccardo Tosques
Scontro sulla Ferriera, il Pd invoca buon senso -
L'appello di Codega: «Comitati e istituzioni diano prova di responsabilità».
Domani dibattito a Muggia
«L'appello degli operai della Ferriera ha evidenziato in maniera palese una
conduzione poco responsabile della problematica relativa all'impianto di
Servola. Gli operai e le loro famiglie ne pagano lo scotto più pesante e fanno
bene a denunciarlo». A intervenire nel dibattito innescato dalla petizione
lanciata dai lavoratori è il consigliere regionale del Partito democratico
Franco Codega. «Serve più responsabilità - aggiunge l'esponente democratico - da
parte di gruppi e associazioni che continuano a denunciare stati e livelli gravi
di inquinamento che non vengono poi suffragati dagli studi e dalle rilevazioni
degli enti preposti (come lo studio del 2014 dell'Osservatorio ambiente e salute
e i dati del "Focus Ferriera" dell'Arpa). Denunce che poi vengono opportunamente
strumentalizzate da forze politiche per averne un ritorno meramente elettorale.
La conseguenza - spiega Codega - è di rendere insopportabile il rapporto tra i
residenti del quartiere e le maestranze dello stabilimento, con il giusto
risentimento delle stesse». Di qui l'appello al buon senso e alla prudenza da
parte di tutti gli attori coinvolti, prima di tutto quelli che ricoprono ruoli
istituzionali. «Ci vuole responsabilità da parte delle istituzioni, in primis
dalla Regione, che hanno il compito di monitorare il rispetto dell'Aia da parte
della Siderurgica Triestina - continua Codega - . E dobbiamo dire che questa è
stata finora opportunamente esercitata attraverso i monitoraggi, le prescrizioni
e le diffide messe in campo. Di fronte a due beni preziosi quale la salute dei
cittadini e il lavoro per centinaia di operai, è evidente la necessità di
mantenere un fermo equilibrio e una forte responsabilità, affinchè ambedue i
valori vengano salvaguardati. E tale responsabilità va misurata con la verifica
delle cose fatte e non alzando polveroni emotivi». Del caso Ferriera, e della
difficoltà di far convivere diritto al lavoro e diritto alla salute, si parlerà
anche a Muggia nel corso di un incontro in programma domani alle 17.30 in Sala
Millo. Insieme al sindaco Laura Marzi e all'assessore all'Ambiente Laura
Litteri, interverranno Luca Marchesi, direttore generale Arpa Fvg, Franco
Sturzi, direttore tecnico scientifico dell'Arpa e Fulvio Stel di Sos Qualità
dell'aria.
IL PICCOLO - DOMENICA, 19 novembre 2017
È spaccatura a Servola sull'appello degli operai -
Comitati dei cittadini critici dopo la richiesta dei lavoratori di abbassare i
toni
Apertura dalle istituzioni. Martedì tavolo con le sigle sindacali al
ministero
Dopo tanto tempo i lavoratori della Ferriera si sono esposti attraverso una
petizione. Per chiedere da una parte rispetto e dall'altra un'apertura a un
dialogo disteso con le associazioni in campo e tutta la comunità. Le risposte
all'appello non si sono fatte attendere. Ma hanno avuto tenori diversi fra loro.
Istituzioni solidali nei confronti degli operai, dalla Regione al Comune. Così
come FareAmbiente. Il Comitato 5 dicembre invece non ha appoggiato la proposta,
lanciando una controffensiva. Più placida la risposta di No Smog. «Se avessimo
visto degli insulti sul web agli operai, li avremmo condannati - esordisce
Barbara Belluzzo del Comitato 5 dicembre -. Se esistono, vorremmo vedere gli
screenshot: altrimenti per noi questa degli insulti è una bufala creata ad arte
per dividere cittadini e operai». Sembra dunque che il gruppo non abbia evidenza
del fatto che nel corso degli anni i dipendenti di Arvedi siano stati
«dileggiati», come afferma invece la promotrice della petizione, Erika Bozieglau,
la moglie di uno delle centinaia di lavoratori della Ferriera. Il Comitato
ammette sì che «il dialogo tra noi cittadini e gli operai sia fondamentale» ma
rileva come in questo caso si tratti di «una protesta a nostro avviso
completamente pretestuosa e infondata di certi operai» e «un'operazione
mediatica scorrettissima dell'ufficio stampa della proprietà». Comprensione da
"No Smog" che chiede ai lavoratori anche di fare un passo in avanti verso i
problemi che affliggono i residenti di Servola: «Capiamo che quel posto di
lavoro sia la loro fonte di reddito e che si trovino in una condizione di forte
disagio a ricoprire il loro ruolo - spiega la presidente Alda Sancin -, ma il
tasso di inquinamento a cui noi e loro stessi siamo sottoposti lo dice
l'Organizzazione mondiale della sanità che è cancerogeno». Se poi un dialogo
vero e proprio non ci sia stato sin qui, la colpa per Sancin è soprattutto dei
lavoratori. «Non ci devono vedere come nemici - spiega -, siamo disposti anche
noi al dialogo, ma se fino ad adesso non c'è stato è perché loro hanno lanciato
fuoco contro noi residenti di Servola». Il possibile terreno comune di confronto
tra loro, per Sancin, comunque riguarda «le istituzioni in primis e l'azione di
bonifica dell'area». Dal versante istituzionale ha fatto sentire la propria
vicinanza agli operai la presidente della Regione Debora Serracchiani. «Quando
ci guardiamo in faccia e pensiamo alle singole famiglie di ogni lavoratore della
Ferriera - ha affermato -, a ogni storia che è nascosta o banalizzata dietro uno
slogan, diventa più difficile nascondere sentimenti e preoccupazioni». Ha
sottolineato come «la petizione dei lavoratori della Ferriera di Servola sia una
forte richiesta di ascolto e di attenzione da parte di tutti. Le letture a senso
unico non sono un'opzione accettabile». Serracchiani ha inoltre chiamato in
causa le stesse istituzioni: «Le tensioni sullo sviluppo industriale di Trieste
esistono da tanto tempo e accendono gli animi, ma - ha affermato la presidente -
il compito delle istituzioni è evitare che il confronto anche serrato travalichi
nella mancanza di rispetto verso le persone e verso il loro lavoro. Le emozioni
- ha concluso - e le inquietudini delle persone in carne e ossa che ogni giorno
entrano nello stabilimento chiedono, anzi impongono rispetto. L'estremizzazione
dello scontro sulla Ferriera si è sviluppata sulle teste di queste centinaia di
persone, alle quali è stata riservata la parte di scomodi e sacrificabili
comprimari. Non è giusto». Dalla parte dei lavoratori anche il sindaco Roberto
Dipiazza, non senza qualche riserva nei confronti dell'impianto: «Nella mia vita
ho solo creato posti di lavoro e non li ho distrutti, però ricordiamoci sempre
il tema ambientale. Sono 21 anni, dal '96, che mi dicono che il prossimo anno
migliorerà l'area a caldo - ha spiegato -. Rispetto dunque non solo i lavoratori
ma anche la loro salute oltre a quella dei cittadini, le problematiche della
Ferriera riguardano proprio loro». Si allontana da qualsiasi accusa di possibile
scherno verso i dipendenti: «Io non li ho mai dileggiati, credo che questo sia
opera di qualche cretino che li vessa attraverso Facebook. Condivido la
posizione dei lavoratori che non devono essere colpevolizzati, è l'azienda che
obiettivamente deve chiudere l'area a caldo. Per questo ho chiesto alla Regione
più volte un tavolo sul lavoro. E martedì saremo a Roma al Mise con i
sindacati». A intervenire anche Giorgio Cecco, coordinatore regionale di
FareAmbiente: «Serve un fronte comune per la tutela della salute e della qualità
del lavoro, certo non polemiche e prese di posizione che alla fine penalizzano
proprio i più deboli ed esposti, quindi in primis gli operai e gli abitanti».
Condivide la strada del dialogo tra le parti Salvatore Porro (FdI), il
presidente della VI commissione consiliare del Comune a cui verrà consegnata la
petizione. L'azienda del gruppo Arvedi, contattata, ha preferito non intervenire
Benedetta Moro
Il popolo della fabbrica tra rabbia e disillusione - I
firmatari della lettera invocano rispetto: «Persino i nostri figli vengono
offesi»
Ma in molti hanno perso le speranze: «Le cose non cambiano, lavoriamo e
basta»
«Stiamo lavorando, non facciamo male a nessuno. Per protestare ci sono altri
canali e quello giusto non è sicuramente offendere la dignità e il lavoro delle
famiglie delle persone che vengono qui mattina, pomeriggio e notte, sabati e
domeniche compresi. Non ne vale la pena, chi fa così dimostra un'innata
ignoranza». La pensa così Diego Rapisarda, una delle tante voci che si alza
dalla Ferriera per dire basta alle ingiurie e alle offese che girano sul web.
Offese rivolte ai lavoratori della Siderurgica Triestina anche semplicemente
quando dicono «lavoro in Ferriera». Per questo hanno deciso in molti di aderire
alla petizione lanciata da Erika Bozieglau, la moglie di uno dei tanti operai
della Ferriera, pronta assieme ad altri familiari a sostenere i lavoratori dello
stabilimento servolano. Ma non tutti sono d'accordo. O meglio, non tutti credono
nella possibilità che la gente smetta di lanciare offese. E molti non ripongono
alcuna fiducia in un dialogo che, a parer loro, per troppo tempo non ha portato
ad alcun miglioramento per l'impianto. «Io sono di una ditta esterna - afferma
Massimiliano Coslovich -, ma tanto tutti siamo visti male all'esterno. È facile
dare la colpa sempre alla ditta e ai lavoratori, in realtà è tutta politica. È
vero che la Ferriera inquina, ma come tutti gli stabilimenti e noi veniamo per
prendere il nostro pezzo quotidiano di pane, grazie a Dio c'è lavoro». Sul
dialogo però non è d'accordo: «Il sistema non cambierà». «Io invece penso che il
dialogo sia costruttivo - dice un altro operaio -. A patto che si parli del
futuro di questo posto e che si smetta di fare campagna elettorale su questo
posto». Ha fiducia in un'apertura dei dipendenti verso la cittadinanza e le
istituzioni Roberto Decarli, ex operaio a Servola ed ex consigliere comunale
(Trieste cambia), che ha anche aiutato i promotori della petizione. «I
lavoratori sono pronti a parlare di Ferriera senza urla e toni accesi, senza
espressioni come quelle del sindaco Dipiazza che definisce lo stabilimento "un
cancro". Si può parlare di tutto, di inquinamento, di lavoro, ma senza offendere
nessuno, perché chi ha sofferto e pagato questa situazione sono i dipendenti che
hanno vissuto in un continuo limbo tra striscioni "No Ferriera" e il sindaco che
ogni due per tre intimava la chiusura. Sono 20 anni che sfrutta politicamente la
Ferriera. L'area a caldo - continua Decarli - per me dovrebbe andare avanti
viste le misure che sta prendendo Arvedi, è la prima volta che si vedono
interventi di riqualificazione di questo tipo. Ormai - conclude - le persone,
anche dei comitati, che vogliono chiudere la Ferriera sono quelle che sono in
cerca di una poltrona». Le invettive lanciate contro gli operai pare comunque
esistano davvero. Le mostra da Facebook sul cellulare un lavoratore, che ha
firmato la petizione ma preferisce rimanere nell'anonimato. "Devi morir", scrive
un utente. Qualcuno su social riporta il numero della sede della Siderurgica
Triestina. E poi: "Telefonemoghe in massa in continuo rompendoghe i coioni come
lori li rompi a noi. Guera aperta". Eppure, sottolinea l'operaio, «al 90 per
cento dei dipendenti piace questo lavoro, qui vengono in continuazione persone a
consegnare il proprio curriculum». «Ci dicono che portiamo la morte», aggiunge
un altro. A qualcuno non interessa nemmeno sentire parlare dell'appello: «Penso
solo a lavorare». Oppure: «È inutile perdersi in queste cose, ci sono problemi
più grandi». E ancora: «Non m'interessa quello che dicono le persone».Fulvio
Gorza è convinto invece che «la petizione debba seguire il suo corso. È da anni
che pensavamo di fare un'iniziativa di questo tipo, non possiamo fare baruffa
ogni volta che ci muoviamo. I nostri figli - aggiunge - vanno a scuola, i
professori dicono loro che noi uccidiamo tutti e che moriremo. Non è bello ed è
ora di dire basta. Speriamo che smetta di bombardare anche Dipiazza, soprattutto
durante le elezioni perché poi la gente pensa che sia colpa nostra. Ma non sono
d'accordo di aprire al dialogo, non ci siamo mai riusciti finora». Pensa alle
famiglie che non c'entrano nulla anche Stefano Plet. Ha firmato la petizione
pure Rocky Leo: «Chiediamo un dialogo più aperto anche per gli operai, abbiamo
scritto la petizione anche per dire ai cittadini che non siamo contro di loro».
Gli fa eco Giovanni Degrassi, che aggiunge: «C'è un clima di malessere perché ci
sentiamo bersagliati, anche senza nessuna colpa. Facciamo il lavoro il meglio
possibile e siamo visti come untori».
(b.m.)
Il doppio "flop" dei terreni in vendita di Rio Martesin
- L'asta è andata deserta due volte davanti un notaio romano - Chiesti 1,4
milioni. I progetti bloccati dal Consiglio di Stato
Il titolo è sufficientemente anodino: "vendita all'asta terreno edificabile
in Trieste". Segue un corposo elenco di particelle catastali, poi le due
giornate scelte per l'asta ovvero martedì 31 ottobre in prima battuta e martedì
14 novembre nel caso il primo tentativo fosse andato deserto. Appuntamento
sempre alle ore 15. La vendita senza incanto, previa presentazione di buste
chiuse possibile fino al giorno prima, era nell'agenda del notaio Giacomo
Laurora, che ha il suo studio in piazza Bologna 2, tra la stazione Tiburtina e
la Nomentana, non lontano da villa Torlonia. Il primo prezzo era fissato a 1
milione 600 mila euro, il secondo si abbassava a 1 milione 400 mila euro, in
entrambi i casi erano possibili rilanci a 10 mila euro al colpo. Deposito
cauzionale di 50 mila euro. Ma nessuno ha portato buste chiuse al notaio Laurora
per acquistare i terreni che si estendono a partire dal rio Martesin in
direzione di Scala Santa. E il professionista romano non sa se ci sarà una terza
volta, se il venditore saggerà ancora il mercato o cambierà strategia. Il dato,
che può interessare la platea triestina, è che, dopo dieci anni di scontri
giudiziari e politici, l'area verde tra Roiano e Gretta, dove a un certo punto
era prevista la realizzazione di 7 palazzine e 109 appartamenti, è andata
all'asta e finora nessun operatore l'ha voluta comprare. In apparenza si
potrebbe arguire che Gestione italiana appartamenti (gia srl) e Airone 85, le
due società romane intenzionate a varare la vasta operazione immobiliare nella
stretta valle del rio Martesin, abbiano gettato la spugna.Sul "caso Rio
Martesin", dopo le serrate polemiche del Dipiazza 2° e della prima parte
dell'era cosoliniana, era caduto la pesante cortina del silenzio. I rimandi
degli archivi redazionali si fermano addirittura al 2014. Ma la vicenda ebbe
inizio perlomeno nel 2007, allorquando la Gia srl acquistò il dibattuto terreno
dall'impresa di costruzioni Perco snc. L'area ricadeva in zona denominata B4
della variante 66 del Piano regolatore , entrata in vigore nel 1997, Illy
imperante.Le prime avvisaglie della guerra si ebbero proprio a partire dal 2007,
quando i residenti raccolsero 300 firme per protestare contro la paventata
cementificazione della valletta, formata dalle acque del torrente Martesin. Ci
si arriva in auto da via Cormons, dove conviene parcheggiare e proseguire a
piedi. Una verde plaga non molto conosciuta di Trieste, nonostante sorga a pochi
passi da via Giusti e da Strada del Friuli. Ma lo scontro vero e proprio si
accese nel 2009 in occasione della presentazione dei progetti elaborati da Gia e
Airone 85, che - come abbiamo visto - prevedevano la costruzione di 109
appartamenti. A tale fine il 13 luglio 2009 il Comune di Trieste rilasciava tre
permessi per la realizzazione di 109 appartamenti, collegati alla viabilità
maggiore da centinaia di metri di asfalto. Tre permessi distinti per tre
progetti distinti, così da restare sotto la quota di 10 mila metri cubi, sopra
la quale sarebbe invece scattata la Valutazione di impatto ambientale. Ma la
somma dei tre dà 11.300 mc.I residenti non accettarono e impugnarono,
patrocinati dall'avvocato Gianfranco Carbone, i permessi avanti il Tribunale
amministrativo del Friuli Venezia Giulia, che però respinse l'istanza. Tre
cittadini, abitanti in zona, non si rassegnarono e andarono al Consiglio di
Stato: Dario Ferluga, Luciana Comin, Giorgio Bragagnolo. Palazzo Spada diede
loro ragione e annullò i permessi a costruire rilasciati dal Comune: non solo,
la sentenza, depositata l'antivigilia di Natale del 2010, dispose che i pastini
della valletta non fossero toccati. Inoltre Gia e Airone 85 avrebbero dovuto
ripristinare la situazione antecedente ad alcuni lavori già eseguiti. Non era
comunque finita perchè nella primavera del 2011 i costruttori chiesero al
Municipio 4 milioni di risarcimento. E nel 2012 un nuovo progetto - dieci
edifici a un solo piano - planava sui tavoli comunali: la Soprintendenza rispose
no. Terzo tentativo nel 2014, con pollice verso della III circoscrizione.
Massimo Greco
COP23 A BONN - Passi avanti sul clima ma strada in salita
Alcuni passi avanti ma ancora tanta strada da fare per onorare gli impegni presi a Parigi due anni fa. Potrebbero essere sintetizzati così i risultati della Conferenza sul clima che si è tenuta a Bonn (Coop 23) e che si è chiusa ieri dopo una maratona notturna di negoziati sui dettagli tecnici dell'applicazione dell'Accordo di Parigi. Sono state, infatti, definite le procedure per arrivare alla revisione degli impegni degli Stati per il taglio delle emissioni di gas serra. Questi impegni, presi a Parigi due anni fa, sono insufficienti per raggiungere l'obiettivo dell'Accordo stesso (mantenere il riscaldamento globale entro i 2 gradi, meglio se 1,5) e vanno aggiornati. L'aggiornamento dei target nazionali di decarbonizzazione dovrà permettere all'Accordo di Parigi, quando entrerà in vigore nel 2020, di raggiungere almeno il suo obiettivo minimo. Il premier delle Fiji, Frank Bainimarama, che ha presieduto la conferenza, si è detto soddisfatto per la messa a punto delle regole per l'applicazione dell'accordo di Parigi e del percorso per i paesi per aumentare i loro obiettivi per la riduzione delle emissioni di gas serra. Il presidente nel documento finale ha istituto un tavolo di discussione che partirà nel gennaio del 2018 per definire gli aggiornamenti dei target nazionali in vista della Cop24. Ma resta aperta la spinosa questione del fondo - non ancora istituito - per aiutare i paesi poveri a combattere il "global warming".
Amanti della bicicletta a colazione - Mattinata nel
segno delle due ruote in Cavana. Spazio per lo scambio di accessori
Chi va in bicicletta e sceglie la mobilità sostenibile va premiato. Questo
il pensiero della Fiab che ieri in Cavana ha dato vita alla seconda edizione di
"Bike Breakfast" offrendo bevande calde a chi si è presentato con il proprio
mezzo a due ruote. «La bicicletta "funziona" in tante situazioni diverse - ha
sottolineato Federico Zadnich della Fiab -: per il benessere quotidiano, se si
vuole stare meglio, per gli spostamenti urbani, veloce e non inquina, anche per
togliere congestione dalle nostre strade urbane, e perché dieci biciclette
occupano lo spazio di un'auto. Anche per questa edizione autunnale del Bike
Breakfast, l'idea è quella di creare un momento di incontro e scambio di
informazioni sui temi della mobilità sostenibile tra chi è disposto a muoversi
in città lasciando a casa la macchina, scegliendo uno stile di vita più leggero
e più amico della terra». A chi si è fermato quindi nel punto allestito con uno
stand, è stata offerta la colazione. La mattinata è proseguita anche con altri
appuntamenti. È stato spiegato come attrezzare una bici per un cicloviaggio,
sono stati forniti consigli su come scegliere la bici giusta, mettendo a
confronto le differenti caratteristiche di quelle da montagna, da città e le
innovative ebike. Spazio poi alle foto di una cicloesperienza a New York, ai
trucchi da mettere in campo per ripartire dopo una foratura, in più durante
tutta la mattinata è stato predisposto uno spazio del dono e dello scambio di
accessori e ricambi per la bicicletta. «Bike Breakfast - ricorda ancora Zadnich
- nasce dall'incontro di due associazioni impegnate in città su temi diversi ma
complementari, unite dall'urgenza di invertire la rotta dello sviluppo
incontrollato per garantire un futuro al nostro pianeta: Fiab Trieste Ulisse,
associazione di cicloturisti e ciclisti urbani, e Senza Confini Brez Meja,
associazione che promuove il commercio equo e solidale, il consumo critico e le
pratiche per uno stile di vita amico dell'ambiente».
Micol Brusaferro
Come tutelare chi ci dà la vita - Cinque giorni di
incontri per dare ossigeno agli alberi
Educazione ambientale, simbolo di appartenenza e fonte di aggregazione e
creatività. Sono i valori che provano a dare forza alla celebrazione della
Giornata degli alberi, ricorrenza su scala nazionale accolta anche a Trieste, a
cura del Comune (assessorati all'Educazione e ai Lavori pubblici) e delle varie
circoscrizioni, nell'ambito di una programmazione disegnata da domani al 24
novembre. Laboratori e incontri e soprattutto molto spazio alle buone pratiche,
formula con cui poter coinvolgere sul campo le scolaresche della provincia,
dagli asili agli istituti superiori. Si parte domani entrando nell'Istituto
d'arte Nordio teatro nel pomeriggio, dalle 15 alle 17, a cura del Comune di
Trieste, Area Lavori pubblici, di un incontro riservato agli studenti delle
classi quarte e quinte dell'indirizzo architettonico, incontro disegnato da tre
segmenti tematici: "Alla scoperta della foresta urbana di Trieste", con il
docente Pierluigi Nimis, "La tutela del verde urbano e il verde ornamentale
nella progettazione urbanistico-edilizia" (Francesco Panepinto, Servizio Spazi
aperti) e "Cambiamenti climatici e ambiente urbano, multifunzionalità del verde
ornamentale" spunto affidato al docente universitario Giovanni Bacaro.È nella
giornata di martedì che vanno in scena le iniziative più significative, più
coinvolgenti sul piano del significato autentico della festa dell'albero.
Seminare, accudire, curare. La simbologia dell'albero va insomma nutrita, spunto
destinato a concretizzarsi con la messa a dimora di bulbi in varie sedi
scolastiche cittadine, dall'asilo Piccoli passi di via Frescobaldi (alle 9.30),
in piazza Hortis (10.30), nell'area verde di strada di Guardiella/viale al
Cacciatore (alle 11.30) e alla scuola dell'infanzia Stella Marina di Ponziana,
qui con la cerimonia fissata alle 14.30. La "semina" proseguirà il 22 e il 24
novembre, coinvolgendo la IV e la V circoscrizione, da Basovizza a Gretta,
toccando Altura e il laghetto di Contovello.
Francesco Cardella
IL PICCOLO - SABATO, 18 novembre 2017
Gli operai della Ferriera alzano la voce - Raccolte 236 firme contro gli «insulti quotidiani a lavoratori e famiglie. Serve un dialogo rispettoso». La petizione al Comune
Sono rimasti quasi sempre sullo sfondo di una battaglia, quella per la chiusura dell’area a caldo della Ferriera di Servola, che ha visto il coinvolgimento di migliaia di triestini e che, di fatto, ha spostato gli equilibri delle ultime elezioni amministrative. Hanno deciso di rompere il silenzio, «perché esasperati dalla continua e gratuita violenza verbale» di cui si sono sentiti vittime, attraverso una petizione popolare che verrà presentata martedì prossimo nel corso della seduta della Sesta commissione consiliare. Sono i lavoratori dello stabilimento siderurgico di Servola che, sostenuti dalle rispettive famiglie, hanno scelto di uscire allo scoperto e di rivolgersi direttamente «all’assise più rappresentativa della città». La petizione, che in poco tempo ha raccolto 236 firme, è stata proposta da Erika Bozieglau, la moglie di uno delle centinaia di lavoratori della Ferriera. «Ci sentiamo presi di mira per un lavoro che viene portato avanti onestamente – le parole della signora –. Siamo stanchi di leggere sui social le minacce e le parole pesanti che vengono rivolte ai lavoratori e alle loro famiglie». Quello rappresentato dai firmatari del documento è uno scatto d’orgoglio che si è reso necessario dal momento che «veniamo quotidianamente e vergognosamente dileggiati e offesi da pseudo associazioni e singoli cittadini, financo dallo stesso sindaco, attraverso dichiarazioni stampa, messaggi in rete e manifesti». Le persone che hanno confermato la propria adesione alla petizione hanno così voluto rivendicare «tutta la dignità che è stata forgiata dal nostro duro lavoro», un sentimento «che ci appartiene come lavoratori ma anche come cittadini». «Ci rifiutiamo – si legge nel documento – di fare il gioco di certi politici e di quelle associazioni che alimentano con violenza, finora verbale, la contrapposizione fra lavoratori e cittadini. Abbiamo ricevuto e stiamo ricevendo minacce e offese, ma di questo si occuperà la magistratura». Il confine del confronto civile sembra essere stato ampiamente superato soprattutto sulle pagine dei social, dove non è difficile imbattersi in dei cani sciolti che abbaiano senza alcun ritegno la propria rabbia. Va dato atto agli organizzatori delle proteste, infatti, di aver sempre cercato di evitare la contrapposizione con i lavoratori dello stabilimento servolano. «Chiediamo e ci appelliamo a tutti coloro che, con buona volontà, vogliono costruire un percorso condiviso e rispettoso nei nostri confronti, per migliorare l’ambiente e la salute – così il documento firmato dai lavoratori –, di confrontarsi con noi nelle iniziative che promuoveremo senza urla, senza ostilità, offese o preconcetti. Con la stessa dignità e determinazione che manifestiamo con questa petizione, lavoreremo per salvaguardare sempre di più l’ambiente e il lavoro in questa città». L’apertura al dialogo viene confermata dalla stessa ispiratrice dell’appello: «Rispettiamo chi difende l’ambiente e le proprie convinzioni – sostiene Bozieglau –, a patto che il medesimo sentimento sia reciproco». I lavoratori, insomma, si sono stufati di venir additati da più parti come degli «assassini», diventando puntualmente «l’oggetto di ogni campagna elettorale». «Noi vogliamo lavorare in tranquillità – puntualizzano i firmatari della petizione –, senza che i nostri figli temano per la nostra salute. Siamo gente tenace e abituata a un lavoro che sappiamo duro, ma esigiamo che le nostre famiglie non vengano toccate o terrorizzate ed è per questo che, stanchi di questa inaccettabile situazione, vogliamo farci sentire in modo forte e chiaro». Una posizione, quella rivendicata dai lavoratori, che chiama in causa la politica, «nonostante l’ostilità dimostrata in passato da alcuni consiglieri comunali». «Auspichiamo il sostegno da parte del Consiglio comunale – la loro conclusione –. Se ciò non sarà possibile, avremo comunque portato alla pubblica attenzione lo stato d’animo nostro e delle nostre famiglie».
Luca Saviano
Uil in pressing su sicurezza e buste paga - L’appello del sindacato alle istituzioni per ottenere risposte. «Pronti a coinvolgere pure la Prefettura»
Pronti a rivolgersi alla Prefettura, pur di ottenere ascolto. I rappresentanti sindacali della Uilm chiederanno a breve un incontro con la massima autorità istituzionale del territorio «per evidenziare l’inaccettabile silenzio della proprietà della Ferriera su una serie di problemi che stiamo sottolineando - ha spiegato ieri il segretario provinciale della sigla, Antonio Rodà - e alle quali il gruppo Arvedi non sembra intenzionato a dare risposte». Non più tardi dello scorso settembre, la Uil aveva indetto uno sciopero per manifestare «il disagio derivante dall’atteggiamento della proprietà». «E ora siamo costretti a tornare in prima linea - ha ribadito ieri Rodà - perché Siderurgica Triestina non sembra avere a cuore un argomento fondamentale come quello della sicurezza, pur essendo consapevole delle necessità dei lavoratori. L’azienda ci aveva garantito che sarebbe stato dato uno specifico incarico a una società specializzata per definire le varie problematiche legate alla sicurezza. Ma fino a oggi - ha aggiunto il segretario provinciale - pur in presenza di nostre frequenti sollecitazioni, nulla ci è stato detto su questo fronte. Abbiamo poi più volte ricordato ai nostri dirigenti che c’è forte bisogno, in vari reparti, di nuove attrezzature. In sede locale ci viene detto che si agirà di conseguenza - prosegue Rodà - poi nulla accade sul piano concreto». Sul tavolo anche problematiche di natura economica: «Ci è stato comunicato - riprende il sindacalista della Uilm - che i premi di produzione saranno ridotti, si parla di circa 65 euro a trimestre, in conseguenza del calo di produzione originato dal recente provvedimento della Regione, che ha limitato a 34 tonnellate al mese la quantità di ghisa che può uscire dall’altoforno. Ma i lavoratori - ha protestato Rodà - non hanno alcuna responsabilità in questo campo». Per il segretario provinciale della Uilm «da tutte queste premesse, l’unica conclusione che possiamo trarre - ha osservato - è che evidentemente non c’è la volontà di avere relazioni con le rappresentanze dei lavoratori. Assistiamo a una continua logica di rimando. Come Uilm - ha concluso - riteniamo doveroso a questo punto rendere noto all’opinione pubblica quale sia la situazione nella quale ci ritroviamo. Se necessario, andremo in Prefettura». Uno scorcio dello stabilimento di Servola
(u.s.)
In carcere la banda dei datteri di mare - La Corte
suprema croata conferma le pene detentive. I sei condannati dovranno risarcire
lo Stato con 357 mila euro
FIUME - È stato un chiaro e duro segnale all'indirizzo di chi raccoglie e
vende datteri di mare, mollusco tutelato in Croazia da leggi molto rigorose e
che prevedono anche il carcere. La Corte suprema croata ha dato ragione al
Tribunale regionale di Fiume che nel dicembre 2016 aveva condannato a pene
detentive un gruppo di sei persone residenti in Istria, ritenute colpevoli di
pesca e vendita di datteri di mare, conosciuti anche con il nome di "datoli". I
sei erano ricorsi in appello ma la Corte suprema ha confermato i verdetti, i più
severi in Croazia da quando il dattero di mare, ormai un quarto di secolo fa, è
stato inserito nella lista delle specie protette. Per avere raccolto nell'estate
2015 almeno 539 chili del proibitissimo mollusco bivalve, pesca avvenuta nelle
acque dei dintorni di Pola e nel Canale di Leme, Cedomil Bozic, 64 anni di
Umago, è stato condannato a 4 anni e mezzo di reclusione, con identica sentenza
per Drazen Curcevic, 45 anni di Pola. Jordan Ambrozic, 49 anni di Sissano, è
stato condannato a 3 anni, mentre 2 anni sono toccati al 70enne Milorad
Marinkovic di Valbandon. Per il 53enne Serco Ivinic di Valbandon e Branislav
Mihajlik di Pola è stata confermata la condanna a un anno di carcere, con la
condizionale di 4 anni. L'atto d'accusa era stato sollevato inizialmente contro
altre tre persone che però hanno patteggiato la pena, ammettendo tutti gli
addebiti. La 57enne Ksenija Makovac di Umago, Mirko Kresic, 54 anni di Buie e
Veselin Anastasijevski, 48 anni di Umago, si sono visti infliggere 12 mesi di
carcere, pena trasformata in lavori socialmente utili, sempre della durata di un
anno. Durante il processo erano stati ascoltati in qualità di testi. Non è
tutto. Oltre alla reclusione, i sei istriani dovranno rimborsare allo Stato
croato i danni causati all'ambiente e quelli relativi alla vendita: sono 2,7
milioni di kune, pari a circa 357 mila euro. La somma deriva dal computo
stabilito dalla legge in materia, secondo cui per ogni chilogrammo di dattero
raccolto e messo in commercio si pagano 5mila kune, pari a 660 euro.La polizia
istriana e l'Uskok hanno ricostruito quanto avvenuto tra giugno e settembre di
due anni fa: Bozic doveva organizzare il trasporto e la vendita dei datteri in
Slovenia, per la precisione a Capodistria e Portorose, dove venivano acquistati
a 30 euro al chilo. Curcevic era invece incaricato di organizzare la pesca
proibita e aveva in Ambrozic il proprio braccio destro. Questi aveva ingaggiato
tre persone, Marinkovic, Ivinic e Mihajlik, che agivano come detto nel Canale di
Leme, nelle vicinanze di Rovigno, e lungo le coste del Polese. Quanto agli
affari in Slovenia, Bozic operava da solo o con Makovac, a Kresic e
Anastasijevski. L'unico aspetto positivo per i sei condannati è che non dovranno
versare al bilancio statale - a differenza del verdetto emanato dal tribunale
fiumano - i 14.400 euro di profitti realizzati con la vendita abusiva
Andrea Marsanich
IL PICCOLO - VENERDI', 17 novembre 2017
Il nuovo patto contro il rigassificatore - Il Comune di
Muggia impugna il timbro di Roma sul metanodotto con Regione e Ancarano. Si
accoderà pure San Dorligo
MUGGIA - Nuova crociata ambientale in arrivo per il Comune di Muggia.
L'amministrazione Marzi ha annunciato pubblicamente ieri di aver presentato
ricorso al Tar del Lazio contro il ministero dell'Ambiente per esprimere il
proprio no al progetto del metanodotto Trieste-Grado-Villesse proposto dalla
Società Snam Rete Gas Spa, considerato un vero e proprio progetto "costola" del
nuovo terminale Gnl. Al fianco del Comune di Muggia, con ricorsi paralleli ed
individuali, si sono schierati contro il metanodotto sia la Regione che il
vicino Comune di Ancarano. E se San Dorligo della Valle sta preparando gli
ultimi incartamenti per prendere parte a questa battaglia ambientale, il grande
silenzioso assente, per ora, pare essere il Comune di Trieste. Trentadue pagine,
riempite grazie all'alacre lavoro dell'avvocatura civica del Comune muggesano
formato dagli avvocati Walter Coren e Antonella Gerin, sono l'ossatura del
ricorso che si prefigge punto per punto il progetto proposto da Snam Rete Gas.
La problematica più eclatante si evidenzia dalle mappe allegate al ricorso, in
cui si ricorda come il braccio di mare coinvolto sia già interessato da un
notevole traffico navale - soprattutto a servizio delle strutture del Porto,
sulla costa settentrionale - ed è soprattutto limitrofo a zone costiere
densamente abitate. Come già denunciato nei precedenti tre ricorsi contro il
rigassificatore, il Comune rivierasco ha rimarcato appunto la presenza di
numerosi impianti industriali presenti nell'area, anche a rischio di incidente
rilevante, quali ad esempio i depositi costieri di carburante nell'area dell'ex
raffineria Aquila, i diversi impianti attivi in Zona industriale, tra cui il
termovalorizzatore, a ridosso del Canale navigabile, i pontili per l'attracco
delle navi petroliere con gli allacci alle condutture dell'oleodotto transalpino
gestito dalla Siot, nonché la Ferriera. Inoltre - sostiene il ricorso - il
progetto del metanodotto andrebbe a cozzare direttamente con il Piano regolatore
del Porto che contempla l'ulteriore sviluppo delle attività mediante la
realizzazione di nuove infrastrutture quali l'estensione del molo VII, la
realizzazione del nuovo molo VIII e i lavori di realizzazione del Terminal ro-ro
all'ex Aquila. Insomma: un'area già destinata ad un considerevole incremento dei
transiti, specie delle navi porta-container. Ma è la questione della sicurezza
nei confronti della cittadinanza che mette maggiormente sotto accusa il
progetto. «Le tubazioni del metanodotto risultano molto a ridosso della costa
muggesana: stiamo parlando di una distanza di soli 75 metri dal molo Cristoforo
Colombo e quindi dal nostro centro storico», stigmatizza il sindaco di Muggia
Laura Marzi. Non secondaria sarebbe poi la presenza di navi gasiere lunghe 200
metri e larghe 50 che dovrebbero necessariamente transitare attraverso la parte
più stretta del Vallone di Muggia - tra i pontili della Siot e lo stesso molo
Colombo - ovvero in un tratto di 630 metri. «Una distanza peraltro già quasi
coperta come spazio di manovra dalle navi petroliere che vengono ormeggiate ai
pontili del Terminal olii e che non tiene conto del futuro traffico di navi del
Terminal ro-ro», tuona ancora Marzi. L'assessore all'Ambiente Laura Litteri
ricorda poi le problematiche legate ai fondali «risaputamente inquinati, che se
smossi dunque provocherebbero delle gravi conseguenze», fermo restando che «il
futuro dello sviluppo energetico non può essere riconducibile ad un metanodotto
ma alle energie rinnovabili». Marzi evidenzia infine la filosofia portante del
ricorso contro il ministero dell'Ambiente: «La sicurezza della popolazione ed il
rispetto per l'ambiente sono per noi preponderanti rispetto ai benefici che si
ipotizzano derivare dalla realizzazione di un metanodotto e di un
rigassificatore»
Riccardo Tosques
E adesso manca solo il ricorso del capoluogo -
Capigruppo già in pressing su Dipiazza
«Tutti i capigruppo del Consiglio comunale di Trieste hanno firmato una
mozione urgente che impegna il sindaco Dipiazza a presentare ricorso contro il
Decreto ministeriale con cui è stata disposta la compatibilità ambientale del
progetto del metanodotto presentato da Società Snam Rete Gas spa». Piero Camber,
capogruppo Fi, rassicura che il capoluogo farà la sua parte nella battaglia
contro il metanodotto. Nell'ultima seduta del Consiglio un testo a firma Pd, per
effetto anche dell'input del sindaco di Muggia Marzi (foto), è stato sottoposto
all'attenzione dei capigruppo, che senza distinguo hanno deciso di sottoscrivere
all'unanimità la richiesta di intervento di Dipiazza contro il progetto di Snam
Rete Gas. «Il documento non è stato votato subito, durante l'ultima riunione del
Consiglio, esclusivamente per motivi di tempo», rassicura Camber. Insomma: dopo
Muggia, Ancarano, Regione e San Dorligo , anche Trieste è pronta a sottoscrivere
un ricorso contro il metanodotto.
(tosq.)
IL PICCOLO - GIOVEDI', 16 novembre 2017
FERRIERA - Esposto bis di Battista alla Procura
Il senatore triestino Lorenzo Battista, eletto nel M5s poi passato al gruppo
Articolo 1-Mdp, ha presentato un nuovo esposto alla Procura della Repubblica
triestina «per conoscere quali attività siano state svolte da Siderurgica
Triestina (o da Acciaierie Arvedi9 per la preventiva messa in sicurezza dei
suoli e per la bonifica ambientale dell'area, nonchè per sapere se le procedure
attuate rispondano alle novità in materia ambientale introdotte dalla legge
68/2015 in materia di ecoreati». Battista fa riferimento - prosegue la nota -
«alle attività previste dall'accordo di programma, con precise indicazioni di
spesa» in particolare per i 25 milioni di euro destinate alle preliminari
operazioni di bonifica ambientale e risanamento dei suoli. L'azienda - scrive
ancora il parlamentare - si è impegnata ad attivare interventi di prevenzione
«presentando progetti per la messa in sicurezza dei suoli e acque di falda».
Battista chiede inoltre che le istituzioni competenti si attivino per
velocizzare le coperture dei parchi minerali.
Il governo spinge i trasporti su rotaia: traffici
quadruplicati - Il bilancio del ministro Delrio: «La cura del ferro funziona»
Il ruolo strategico dei porti del Nord Adriatico con Trieste
ROMA - Ad un anno esatto, il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture
Graziano Delrio, ritorna a Pietrarsa per tracciare un bilancio della cura del
ferro. Un 2017 «molto intenso» che registra «un incremento del trasporto merci
su ferro» e un'azione del Governo efficace che ha consentito di mettere
incentivi ulteriori per il rinnovo dei carri ferroviari e finanziare
completamente i corridoi merci. Delrio è intervenuto al forum al Museo Nazionale
Ferroviario di Pietrarsa a Portici (Napoli) dove i rappresentanti dei diversi
settori hanno fatto il punto sui risultati della cura del ferro che il Governo
sta implementando. Numeri importanti: 80 miliardi di fatturato sui corridoi
logistici, incremento del traffico a 49,23 milioni di treni chilometro; crescita
del traffico ferroviario merci quadrupla rispetto a quella del Pil (dal 2014 al
2017 +8,9% contro un +2% del prodotto). Plaude anche l'ad di Rete Ferroviaria
Italiana, Maurizio Gentile: «il traffico merci su ferro continua ad aumentare.
Dal minimo di 43 milioni di treni chilometro siamo già risaliti nel 2016 ai 47.
Ora siamo quasi a fine novembre e il 2017 si va attestando intorno a 49,23
milioni di treni chilometro». A fronte dei risultati raggiunti, vi è ancora
strada da percorrere: «Siamo in Europa il fanalino di coda con una quota modale
del ferro sul trasporto terrestre del 13%, anche se le imprese private del
settore stanno conquistando notevoli quote» dice Guido Gazzola, presidente di
Assofer «Per il futuro dobbiamo aumentare tale quota in modo sensibile
attraverso molte azioni da sviluppare quali l'efficientamento del materiale
rotabile, oltre a sostenere le industrie che investono sul trasporto su ferro».
Per Ennio Cascetta, alla guida di Ram, la società per le autostrade del mare:
«Dal 2014 al 2017 il traffico ferroviario merci è cresciuto del +8,9%, quattro
volte più del Pil, che è cresciuto del 2%». «Necessario è integrarsi con
l'industria» afferma Nereo Marcucci, presidente di Confetra. «Confetra e
Confindustria devono essere player nazionali in un mercato europeo». Al tavolo
di discussione hanno offerto i loro contributi anche Stefan Pan, vice presidente
di Confindustria, Marco Gosso ad di Mercitalia Logistics, Zeno D'Agostino,
presidente dell'Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico Orientale,
Giancarlo Laguzzi, presidente FerCargo. «Stiamo vedendo per la prima volta, che
tutti i porti del Nord Adriatico hanno una crescita importante dal punto di
vista dei traffici. Il primo elemento da analizzare è questo: c'è un corridoio
marittimo Adriatico al servizio dei traffici internazionali, che sta diventando
un corridoio di riferimento», ha sottolineato D'Agostino. Trieste ha appena
assunto la presidenza del Napa, associazione dei porti del Nord Adriatico,
Merkel, ambiente a rischio - Appello
BONN - La comunità internazionale deve lavorare con «serietà», «fiducia» e
«affidabilità» per l'attuazione dell'accordo di Parigi sul cambiamento
climatico, perchè il riscaldamento globale riguarda il «destino del pianeta e
nessuno può o deve ignorarlo». Così la cancelliera tedesca, Angela Merkel, si è
rivolta ai rappresentanti di oltre 200 paesi e ai capi di stato e di governo
riuniti alla Cop23, la conferenza sui cambiamenti climatici, che si è aperta
oggi a Bonn. Merkel ha riconosciuto che la Germania dipende ancora molto dal
carbone ma ha aggiunto che le energie rinnovabili sono «un pilastro
fondamentale» nel mix energetico tedesco. La Ue è cosciente delle sue
responsabilità nella lotta contro il surriscaldamento globale e ogni stato
membro deve «dare il suo contributo», ha aggiunto.
GREENSTYLE.it - MERCOLEDI', 15 novembre 2017
Ambiente a rischio, allarme scienziati: situazione quasi irreversibile
La comunità scientifica della Union of Concerned Scientists ha lanciato un avvertimento preoccupante per quanto riguarda l’ambiente: la crescita esponenziale dell’umanità, il cambiamento climatico, la deforestazione e la riduzione della biodiversità stanno mettendo a dura prova la salute del nostro Pianeta. Già nel 1992 era stato redatto il World Scientists’ Warning to Humanity, un documento in cui si metteva in guardia dall’impatto troppo invasivo dell’uomo sull’ambiente, e oggi la situazione è notevolmente peggiorata.
William J. Ripple, uno dei 15000 ricercatori che fa parte
della Union of Concerned Scientists, professore della Università dell’Oregon, e
altri 1500 scienziati hanno deciso di fare il punto della situazione aggiornando
il documento del 1992. Ciò che è emerso è preoccupante: l’umanità non ha
adottato in questi anni le misure necessarie per salvaguardare la nostra
biosfera che, a oggi, è in tremendo pericolo. Le problematiche ambientali emerse
25 anni fa come l’estinzione di specie animali rare, la distruzione della
biodiversità e l’inquinamento non sono state risolte, anzi: sono peggiorate.
Secondo i ricercatori stiamo andando verso una situazione quasi irreversibile.
L’acqua potabile presente sul nostro Pianeta è ridotta del 26%, le zone
cosiddette morte degli oceani sono aumentate del 75%, abbiamo perso quasi 300
milioni di ettari di foresta, l’emissione di anidride carbonica è aumentata e le
temperature sono anch’esse in crescita. Cresce inoltre il numero della
popolazione umana del 35% anche se le risorse per il sostentamento diminuiscono
e il 29% di animali presenti sul nostro pianeta è sparito negli ultimi anni. A
chi attacca i ricercatori definendoli “allarmisti”, gli scienziati rispondono
spiegando che questi sono dati concreti e oggettivi, nati da studi reali che
dimostrano come l’uomo stia vivendo una vita insostenibile. A questo si aggiunge
così l’immediata necessità di aprire un nuovo dibattito sulle questioni
ambientali, prima che sia davvero troppo tardi.
Selena
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 15 novembre 2017
Negozi, ristoranti e wellness - Nuovo volto chic per la
Fiera
Al posto del cadente comprensorio di oggi sorgerà entro il 2021 un
moderno centro su due piani di colore bianco con 6400 metri quadrati di verde
più 800 posti auto
Nel 2021 - se la sequenza di iter amministrativo, cantiere, allestimento si
sarà dimostrata virtuosa - al posto dell'attuale cadente ex Fiera sarà sorto un
complesso su due piani di quasi 20 mila metri quadrati, di colore bianco e
«dalla forma morbida e dinamica», arricchito da uno spazio verde pubblico
pensile di 6400 metri quadrati, che avrà l'ingresso principale in via Rossetti e
sarà raggiungibile anche da piazzale De Gasperi attraverso una rampa. La vecchia
Fiera sarà completamente demolita e l'edificio, che prenderà il suo posto,
ospiterà esercizi commerciali, attività artigianali, ristoranti, un centro
wellness. In programma 800 posti auto. Non sono invece previsti appartamenti. Il
gruppo austriaco Mid Gmbh di Klagenfurt, mediante la filiale altoatesina, sarà
costruttore e poi gestore del compendio. I lavori dureranno
complessivamente tre anni e poggeranno su un investimento di circa 65 milioni di
euro. La realizzazione assorbirà l'impegno di 300 lavoratori, mentre si stimano
oltre 500 assunzioni permanenti all'interno del futuro "recinto" imprenditoriale.Il
progetto, presentato ieri mattina in Municipio alla presenza dell'amministratore
di Mid Walter Mosser e del sindaco Roberto Dipiazza, non limita i suoi effetti
alla pur ampia superficie dell'ex area espositiva, ma coinvolge anche la
viabilità esterna con particolare riferimento alla parte finale di via Domenico
Rossetti, per la quale si pensa di tornare all'antico doppio senso. L'architetto
Francesco Morena, allievo di Aldo Rossi, impegnato in passato nell'ex Pescheria
e nel polo logistico Pacorini, recentemente attivo in Cina e in Arabia Saudita,
progettista della sede della Popolare Cividale, definisce questo intervento di
riqualificazione urbana «delicato», perchè implica una notevole opera di scavo
svolta in una zona a elevata densità abitativa. Non ci sarà bisogno di
autorizzazioni della Soprintendenza, ma sarà necessario stendere uno studio di
impatto ambientale. Saranno divelti 108.905 metri cubi di strutture edilizie,
con un volume di scavo pari a quasi 90 mila metri cubi: stoccare terra e inerti
è uno dei problemi maggiori da affrontare e fa parte dell'agenda messa a punto
dal sindaco e dagli investitori, riunitisi subito dopo la presentazione tenutasi
in Salotto Azzurro. Come soluzione Dipiazza ha pensato alle disponibilità di
Cava Faccanoni. Alla presentazione erano presenti, a sottolineare la rilevanza
dell'operazione per il settore edile del territorio, due esponenti dell'Ance, il
presidente regionale Andrea Comar e e il presidente di Pordenone-Trieste Donato
Riccesi. Comar, direttamente coinvolto nella realizzazione con la sua azienda,
ha insistito sull'importante ricaduta che il progetto eserciterà sull'indotto
edile giuliano. Professionisti, tecnici, aziende, maestranze saranno proposte
dal territorio. Al ridisegno di questa parte della città Dipiazza crede molto.
Innanzitutto perchè riscrive e rivitalizza l'area ormai fatiscente dell'ex
Fiera. Poi perchè ritiene il progetto «attrattivo»: «Non è vero - attacca il
sindaco, mettendo le mani avanti rispetto alle possibili critiche - che avrà
ripercussioni negative sulle attività commerciali esistenti, anzi sarà un
magnete di nuove iniziative imprenditoriali. Non mi è parso, visitando le strade
prossime all'ex Fiera, di aver notato tutto questo fervore: via del Ghirlandaio
è piena di serrande abbassate». Ma spera che il grande poligono ex fieristico
tra via Rossetti, via Revoltella, via Sette Fontane, piazzale De Gasperi sappia
trainare la qualità sociale complessiva di un rione un po' sulle ginocchia.
Pensa a rimettere in sesto piazzale De Gasperi «uno spazio urbano non
all'altezza di quanto stiamo facendo a Trieste». Auspica che anche il vicino
asse di via Costantino Cumano, in passato zona ad alta intensità castrense,
possa trovare una nuova e più vivace identità, tale da abbracciare le sedi
museali allestite nell'ex caserma "Duca delle Puglie", come il museo di Storia
Naturale e come il museo Diego de Henriquez.
Massimo Greco
La scommessa da 60 milioni dell'avvocato di Klagenfurt
«Trieste è una delle città più belle della Penisola, era una città
dell'impero asburgico, non è lontana dalla nostra sede aziendale di Klagenfurt.
Crediamo che sia una realtà dove vi sia ancora molto da recuperare rispetto ad
altre parti d'Italia. Abbiamo visto che era stata bandita un'asta per la
cessione della Fiera e abbiamo deciso di parteciparvi. L'Italia non è famosa per
la rapidità delle procedure burocratiche, ma noi siamo fiduciosi della
collaborazione da parte delle istituzioni triestine». Walter Mosser, fondatore
del gruppo carinziano Mid che costruirà e gestirà il futuro dell'ex comprensorio
fieristico, ha voluto illustrare in prima persona le ragioni dell'investimento a
Trieste. Lo ha fatto in modo asciutto, ricordando di aver in cantiere altre
iniziative imprenditoriali nel nostro Paese. Era accompagnato dal rappresentante
di Mid Immobiliare srl, la controllata italiana del gruppo con sede a Bolzano,
Armin Harnatschek. Sessantotto anni, Mosser è nato a Villaco e si è laureato in
legge nell'Università di Graz. Inizialmente ha svolto l'attività forense a
Klagenfurt, poi alla fine degli anni '80 - informa il sito di Mid - ha
cominciato a sviluppare il suo primo progetto immobiliare e nel 1995 ha fondato
la holding, dove sono concentrate le sue attività. In un arco temporale quasi
trentennale ha realizzato oltre 70 immobili tra centri commerciali e parcheggi,
operando nell'area centro-europea (Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia,
Ungheria, Slovenia, Croazia). Per un totale di investimenti - riporta la
brochure diffusa ieri mattina nel corso della presentazione in Salotto Azzurro -
di oltre 1,2 miliardi di euro. Così sono sorti l'Europark di Budapest; i Qlandia
sloveni a Nova Gorica, a Novo Mesto, a Kranj, a Maribor; i Qlandia croati a
Zagabria. La realizzazione più vicina a Trieste è dunque Nova Gorica,
«frequentata da molti italiani - dice Mosser - ma non comparabile con quanto
vogliamo fare a Trieste, perchè di dimensioni minori». Sul dossier c'è il
dichiarato impegno di Dipiazza, il quale ha garantito la sollecitudine dei
passaggi autorizzativi.Il mandato all'architetto Francesco Morena attiene alla
costruzione di un edificio «ad alta efficienza energetica, impiegando materiali
riciclabili ed ecologicamente compatibili e tecnologie come il fotovoltaico e la
geotermia». L'avventura triestina di Mosser ha avuto inizio in aprile, quando la
sua offerta di 13 milioni 318,44 euro aveva migliorato di un paio di milioni la
base d'asta comunale per l'acquisto dell'ex Fiera. Già in quell'occasione
l'imprenditore carinziano, annunciando l'intenzione di investire oltre 60
milioni nell'operazione immobiliare del comprensorio di Montebello, aveva
evidenziato il vantaggio competitivo geografico di Trieste con «un'ottima
posizione sul confine con la Slovenia». Ad aiutare in modo decisivo la riuscita
della vendita, concorse il nuovo Piano regolatore, che consentì di inserire
nuove possibilità di intervento. Le innovazioni urbanistiche consentirono anche
una sensibile lievitazione del valore immobiliare dell'area, che salì dagli
originari 7 a oltre 10 milioni. La cifra al metro quadrato - aveva riferito
l'assessore al Patrimonio Lorenzo Giorgi - era stata stimata dagli uffici
comunali a 2119 euro al metro quadrato. Il rogito, che trasferiva la proprietà
alla Mid Immobiliare, era stato firmato a Trieste in settembre avanti il notaio
Ruan.
magr
A "lezione" di differenziata per rispettare l'ambiente
- nelle scuole di Duino Aurisina, Sgonico e Monrupino
DUINO AURISINA Trasmettere ai bambini la cultura della tutela ambientale,
insegnando loro le basi di una intelligente e oculata gestione dei rifiuti.
Questo l'obiettivo dell'iniziativa promossa dalla Isontina ambiente, la Srl che,
da qualche mese, gestisce la raccolta delle immondizie nei territori dei Comuni
di Duino Aurisina, Sgonico e Monrupino. Per l'intero anno scolastico in corso,
saranno organizzati percorsi di avvicinamento alle diverse tematiche ambientali,
proponendo ai più piccoli attività da vivere in prima persona. Tre i filoni sui
quali si articolerà il programma: visite, eventi e concorsi, lezioni in aula.
Ogni sezione sarà modulata in base all'età dei partecipanti, che potranno
beneficiare di questa novità a titolo del tutto gratuito. Per coloro che vanno
dai 6 ai 13 anni saranno allestite visite all'impianto di compostaggio di Moraro,
dove sarà possibile assistere a quel processo che riesce a trasformare i rifiuti
dell'umido in sostanze utili per l'uomo. Al termine della visita, della durata
di un'ora, ai ragazzi sarà consegnato un campione di compost da utilizzare a
casa. Sempre a Moraro sarà possibile visitare l'impianto di selezione e
riciclaggio, dove si potrà spiegare come sono suddivise le varie tipologie di
rifiuti prima di trattarli. Un momento di gioco e divertimento abbinato
all'apprendimento sarà la "Festa dello scambio", nel corso della quale tutti i
partecipanti porteranno uno o più oggetti, altrimenti destinati al cestino, per
scambiarli con altri. «Lo scopo - spiegano dall'Isontina ambiente - è di educare
diffondendo la cultura del riuso e del riciclo, in luogo dell'abitudine al
consumo». Il materiale, formato principalmente da capi d'abbigliamento e
accessori, giocattoli, complementi d'arredo, dovrà essere preventivamente
portato dai bambini e dai ragazzi nelle scuole di competenza, dove gli addetti
della Isontina ambiente andranno a catalogarli, attribuendo a ciascuno elemento
un punteggio in stelline, in base alla qualità delle condizioni generali. Al
termine della festa, sarà compilata una classifica; chi ne avrà accumulate di
più riceverà un riconoscimento. Ma il progetto della Isontina ambiente prevede
anche lezioni per imparare a differenziare i rifiuti utilizzando i contenitori
corretti, per capire il funzionamento del porta a porta, quali errori devono
essere evitati per essere considerati buoni cittadini, sotto il profilo della
gestione del tema rifiuti. Al termine dell'anno scolastico sarà effettuato un
test e ai bambini che lo supereranno sarà consegnato un diploma. "È questa
un'iniziativa che apprezziamo molto - ha commentato Daniela Pallotta, sindaco di
Duino Aurisina - perché è da piccoli che bisogna assimilare questo tipo di
cultura".
Ugo Salvini
«Stop al rigassificatore nel golfo del Quarnero» -
Ancora una bocciatura da parte della Regione : «Troppi rischi per l'ambiente
Lo Stato croato prima risani l'area dell'ex impianto petrolchimico Dina»
FIUME - Ancora una bocciatura della Regione quarnerino-montana nei riguardi
del rigassificatore offshore che dovrebbe venire dislocato nelle acque di fronte
alla località vegliota di Castelmuschio (Omisalj), nel golfo del Quarnero. Dopo
il "no" opposto dal comune di Castelmuschio, è stato il governatore della
regione fiumana, Zlatko Komadina, ad esporre in conferenza stampa la propria
contrarietà al progetto che ha già l'appoggio delle autorità statali croate. «La
contea - ha detto Komadina - sostiene la municipalità di Castelmuschio, specie
la sua richiesta che, se rigassificatore galleggiante deve essere, lo Stato
croato provveda a risanare l'area del vicino ex impianto petrolchimico della
Dina, dove sono depositate decine di tonnellate di sostanze tossiche. Non
possiamo avventurarci in nuovi rischi ambientali senza avere risolto quelli
vecchi. In riva al Quarnero siamo consci del fabbisogno energetico della
Croazia, ma contemporaneamente Zagabria deve essere sensibile nei riguardi di
Castelmuschio e della nostra contea». A prendere la parola è stata anche
Koraljka Vahtar Jurkovic, assessore regionale all'Ambiente e membro della
commissione incaricata di studiare lo studio d'impatto ambientale del terminal
metanifero. «La decisione finale riguardante lo studio d'impatto ambientale
spetterà all'assemblea regionale, che si esprimerà in merito nella sua sessione
del 23 novembre. Il documento viene sottoposto a pubblico dibattito e
personalmente posso dire che non ha la mia approvazione. Non rispetta quattro
presupposti e cioè valori adeguati di impatto ambientale, ecologia, economia,
energia ed estetica». Per Vahtar Jurkovic, il rigassificatore avrà un impatto
negativo sull'ambiente marino, dalla clorazione agli scavi del fondale, per
tacere delle emissioni e dai rumori prodotti 24 ore su 24. Inoltre sarà la più
grande costruzione visibile nel golfo fiumano, pari ad un grattacielo di 17
piani. Considerato poi che l' impianto offshore è sempre accompagnato da una
nave da carico, generalmente lunga sui 300 metri, allora si possono capire le
preoccupazioni degli ambientalisti. «La struttura galleggiante - ha aggiunto
Vahtar Jurkovic - influenzerà maggiormente l'ambiente rispetto ad un
rigassificatore incassato sulla terraferma, il cui impatto risulterebbe di gran
lunga più sopportabile». Ha infine invitato gli interessati a prendere parte al
comizio pubblico che si terrà oggi a Castelmuschio, dedicato al progetto dell'
impianto Lng.
Andrea Marsanich
GREENSYTLE.it - MARTEDI', 14 novembre 2017
Nube radioattiva sull’Europa: la sorgente tra Russia e Kazakhistan - radioattivita' anche in Friuli
Sarebbero state individuate delle tracce di radioattività, in seguito all’espansione di una nube radioattiva, nell’atmosfera nel periodo compreso tra il 27 settembre e il 13 ottobre. L’Istituto di Radioprotezione e di Sicurezza Nucleare francese avrebbe individuato delle tracce di rutenio-106 nell’atmosfera di tutta l’Europa e in Italia.
Secondo i dati forniti dall’ente francese i livelli
raggiunti dal materiale radioattivo non avrebbero conseguenze né sull’ambiente
né sulla salute. Si sa che la sorgente della nube radioattiva dovrebbe trovarsi
in Russia o in Kazakhistan. In Italia l’ISPRA ha attivato la sua rete di
monitoraggio della radioattività. Insieme alla Protezione Civile la situazione è
stata tenuta sotto controllo e i valori di rutenio-106 non hanno destato
particolare allarme. In varie Regioni è stata riscontrata la presenza di
materiali radioattivi nell’aria, in particolare in Friuli, in Lombardia, in
Piemonte, in Emilia Romagna e in Toscana.
L’emissione della nube radioattiva sarebbe avvenuta nell’ultima settimana di
settembre. Tutto sarebbe derivato da un presumibile incidente, anche se non ci
sono informazioni certe al riguardo. Nessun Paese ha diramato un allarme per
fughe radioattive. Secondo l’Istituto di Radioprotezione e di Sicurezza Nucleare
francese, non ci sarebbero nemmeno pericoli per la sicurezza alimentare, a
partire da prodotti importati dalla zona in cui avrebbe avuto origine la nube
radioattiva. Viene raccomandato di effettuare dei controlli a campione per
escludere ogni rischio di eventuale contaminazione.
Gli esperti tengono in considerazione diverse ipotesi. Il rutenio-106 può
trovarsi in centri per il trattamento di tumori e nella sede di agenzie
spaziali. Viene utilizzato in medicina e nei satelliti artificiali, per cui si
presume anche che tutto potrebbe aver avuto origine dalla ricaduta a terra di un
vecchio satellite. Gli esperti ritengono che non potrebbe essersi trattato di un
incidente che ha coinvolto direttamente una centrale nucleare, perché altrimenti
nell’atmosfera sarebbero state individuate anche altre sostanze radioattive.
Gianluca Rini
COMUNICATO STAMPA - MARTEDI', 14 novembre 2017
Trieste: Piazzale Rosmini, M5S Quarta Circoscrizione:
"La situazione è intollerabile. Non c'è stato ancora alcun intervento sui
terreni e nessuna messa in sicurezza"
Poche settimane dopo la nostra elezione, il 13 giugno del 2016, avevamo
presentato in Quarta Circoscrizione una mozione con la quale avevamo messo in
evidenza la situazione di piazzale Rosmini, impegnando il sindaco Dipiazza e la
sua giunta ad attivarsi per capire la causa dell'inquinamento di quell'area, a
informare i cittadini sui tempi di bonifica e su quelli di riapertura e a
trovare nuovi spazi ricreativi sicuri per i cittadini. Lo scorso 29 agosto,
inoltre, abbiamo depositato anche una interrogazione rivolta al presidente della
Quarta Circoscrizione. Attraverso questo atto pubblico abbiamo voluto esortare
il presidente a interpellare il sindaco Dipiazza e gli assessori competenti per
ottenere informazioni finalmente chiare sulle modalità di bonifica (fitorimedio)
e sui tempi di esecuzione, per chiedere l'applicazione di tutte le soluzioni
possibili per la messa in sicurezza immediata di piazzale Rosmini, per
pretendere una seria politica di abbattimento degli inquinanti diffusi e per
salvaguardare le attività che gravitano attorno al giardino. Le risposte non
sono mai arrivate. Anzi, ad oggi il giardino di piazzale Rosmini appare
abbandonato a se stesso. Non c'è stato alcun intervento sul terreno e nessuna
messa in sicurezza; i cartelli che indicavano i pericoli e i comportamenti da
tenere sono consunti e rotti, mentre le barriere sono state divelte e
abbandonate nei cespugli. Il giardino con tutto il suo carico di composti
tossici, caratterizzati da una forte presenza di cloro, diossine e furani, giace
nel silenzio autunnale, ospitando bambini e famiglie su tutta la sua superficie.
Ci chiediamo come una situazione così grave possa essere ancora tollerata. Tutta
la città continua a registrare zone pesantemente inquinate e sono giornaliere le
proteste da parte sia dei singoli cittadini che delle associazioni in genere che
chiedono a gran voce delle soluzioni. La zona industriale, la valle delle
Noghere, Servola, il terrapieno di Barcola, le grotte del Carso, il centro
cittadino, i giardini, tutti in qualche modo sono stati colpiti. Crediamo sempre
che la priorità debba essere la salute, in ogni circostanza, per questo il
monitoraggio delle misure di sicurezza deve essere costante, l'informazione
capillare e le soluzioni rapide e durature nel tempo. Per questi motivi
chiediamo ancora una volta al sindaco e ai suoi assessori di iniziare una
politica seria che combatta l'inquinamento in tutta la città e in tutti quei
poli di aggregazione che poi sono anche il valore aggiunto di benessere,
sicurezza ed economia dei vari rioni cittadini.
Gianluca Pischianz, Dania Bianco e Adriana Panzera - consiglieri
circoscrizionali del MoVimento 5 Stelle - Quarta circoscrizione Comune di
Trieste
IL PICCOLO - MARTEDI', 14 novembre 2017
Il tecnico del clima dell'Ictp - Giuliani individua le
applicazioni tecnologiche più valide per la ricerca
Laureato in Fisica a Roma, Graziano Giuliani lavora all'Ictp dal 2010. Alle
spalle ha un'ottima esperienza perché, oltre allo studio, per diversi anni ha
lavorato anche per un'azienda internazionale che produceva software per
l'agenzia spaziale europea. «Dopo questo periodo però sono voluto tornare alla
ricerca», dice. Quindi si trasferisce prima all'Aquila, poi al Cnn di Firenze e
infine approda a Trieste, all'Ictp. Il team di cui fa parte ha propositi
formativi: «Il mio ruolo è piuttosto tecnico, mi occupo dello sviluppo del
modello climatologico a scala regionale. Un lavoro in precedenza affrontato da
Filippo Giorgi negli anni '80». Nello specifico il ruolo di Graziani va ad
assolvere esigenze di applicazione tecnologica: «La ricerca è abituata ad
usufruire strumenti sempre più raffinati, più veloci, richiede delle
competenze», ma solo i ricercatori che si sono formati negli ultimi cinque, sei
anni hanno avuto accesso a un percorso formativo in tal senso: «Per cui la mia
figura, che ha spaziato anche nel campo industriale, ha acquisito queste
pratiche che permettono ai ricercatori di affrontare tecnicamente la loro
ricerca». Competenze che hanno a che fare con la formazione: «Individuare cioè
il modo migliore con cui un nuovo oggetto tecnologico può essere utilizzato ai
fini dello studio». Graziano Giuliani fa parte anche del comitato scientifico
del Master in Hight Performance Computing dell'Ictp e della Sissa, un progetto
che offre un percorso formativo oltre la laurea specialistica: «Serve sia agli
studenti che vogliono utilizzare strumenti ad alta prestazione, sia alle
aziende». Al di fuori della sua attività Giuliano Graziani si dedica alla
famiglia: «Il figlio più piccolo mi impegna molto, suona il piano e gioca a
rugby. Spesso sono io ad accompagnarlo sia al Conservatorio che agli
allenamenti, anzi ormai naturalmente sono diventato un tifoso della squadra di
rugby di Trieste. E poi c'è la lettura, mi appassiona molto, soprattutto i libri
di storia».
Mary B. Tolusso
GREENSTYLE.it - LUNEDI', 13 novembre 2017
Rifiuti marini: riciclo beach litter possibile, le novità da Ecomondo
Sono perlopiù cotton fioc, oggetti e imballaggi sanitari, frammenti plastici, tappi e cannucce tra i rifiuti marini più presenti. A denunciarlo sono i risultati delle indagini sul “Beach litter” presentate a Ecomondo 2017 e promosse dall’Istituto per la Promozione delle Plastiche da Riciclo in collaborazione con Legambiente ed ENEA.
Nel documento viene inoltre evidenziato quanto in molti spesso non sanno, ovvero che tali materiali potrebbero essere avviati al riciclo con ripercussioni positive sia economiche che ambientali. La presentazione del rapporto ha rappresentato un punto d’incontro tra istituti di ricerca, associazioni e imprese sulla “caratterizzazione del beach litter presente sulle spiagge”, così da poter poi sviluppare un piano di riciclo per questi materiali. Necessario inoltre individuare modalità efficaci di sensibilizzazione rivolte a consumatori e imprese, affinché prestino maggiore attenzione alla gestione quotidiana dei rifiuti. Fondamentale sradicare cattive abitudini come il gettare i cotton fioc nel water o richiamare a una più sostenibile gestione dei pellet di plastica per la pre-produzione industriale. Sulla base dei campionamenti effettuati dai tecnici di Goletta Verde, iniziativa operata da Legambiente, i ricercatori hanno evidenziato come la percentuale di plastica rinvenuta nel “beach litter” sia superiore al 90% in entrambi i punti di prelievo del litorale tirrenico (la spiaggia di Coccia di Morto in Provincia di Roma e la spiaggia della Feniglia in Provincia di Grosseto). Come riportato nello studio i campioni raccolti rispecchiano le “specificità delle due spiagge”, che hanno caratteristiche differenti per: tipologia; flusso di bagnanti; vicinanza ad insediamenti urbani/industriali; facilità di accesso. Polipropilene (PP) e Polietilene (PE) i polimeri plastici maggiormente presenti, che insieme costituiscono rispettivamente il 79% (Coccia di morto) e il 66% del totale (Feniglia). Come ha dichiarato Angelo Bonsignori, presidente IPPR e direttore generale Federazione Gomma-Plastica: «Lo studio rappresenta solo il primo passo per affrontare il problema del beach litter. Abbiamo recentemente costituito il “Tavolo permanente per il riciclo di qualità” per analizzare, anche attraverso il coinvolgimento delle aziende di riciclo, la concreta fattibilità di recupero dei materiali presenti sulle nostre spiagge.» Specialmente per quella frazione degradata o composta da diversi polimeri che non possono tornare tal quali nelle rispettive filiere. Intendiamo inoltre promuovere una prima campagna di raccolta del beach litter in alcuni Comuni costieri in accordo con le Amministrazioni e studiare la realizzazione di un impianto pilota per il riciclo di questi materiali. A margine della presentazione è intervenuto anche Loris Pietrelli, ricercatore ENEA, che ha dichiarato: «Quelli che erano i punti di forza delle plastiche, leggerezza, durabilità e costi contenuti oggi rappresentano il limite di questi materiali che permangono nell’ambiente per decenni prima che si degradino. Comunque è importante ricordare che non si può demonizzare la plastica, perché con questo termine si identificano centinaia di materiali polimerici, con caratteristiche molto diverse, di cui non possiamo più fare a meno.» Il risultato principale di questa prima ricerca riguarda la composizione dei materiali raccolti. La netta prevalenza di materiali termoplastici quali polietilene e polipropilene, facilita il recupero ed il riutilizzo del materiale spiaggiato. È necessario inoltre ricordare che le plastiche arrivano da terra e quindi sono il risultato di una cattiva gestione dei rifiuti solidi urbani. Ad esempio, l’enorme quantità di cotton fioc rinvenuta lungo le spiagge rappresenta un “caso” emblematico soprattutto se si pensa che nei primi anni del 2000 la commercializzazione dei bastoncelli non biodegradabili era vietata. Un invito a prendere in sempre maggiore considerazione il problema del beach litter arriva da Stefano Ciafani, direttore generale Legambiente, che sottolinea l’importanza assoluta di una corretta sensibilizzazione al riguardo: «Questo studio rappresenta una prima importante collaborazione tra istituti di ricerca, associazioni e imprese per affrontare il problema del marine litter. Un fenomeno che sta assumendo proporzioni sempre più allarmanti come ha dimostrato anche la Conferenza mondiale sugli Oceani organizzata dall’ONU a cui abbiamo partecipato, raccontando la nostra esperienza di monitoraggi scientifici considerata come una delle esperienze più avanzate al mondo della citizen science.» Purtroppo la cattiva gestione dei rifiuti e l’abbandono consapevole restano le principali cause del fenomeno. Al tempo stesso i dati evidenziano come buona parte di questi rifiuti potrebbero essere riciclati. I risultati, sebbene preliminari, mostrano dati incoraggianti circa la qualità del blend ottenuto mescolando i rifiuti spiaggiati. Una novità assoluta che dimostra come sia fondamentale sia prevenire il problema attuando campagne di sensibilizzazione, sia lavorando sull’innovazione di processo e di prodotto e sull’avvio di una filiera virtuosa del riciclo.
Claudio Schirru
IL PICCOLO - LUNEDI', 13 novembre 2017
A San Dorligo nasce il contest per i sacchi di rifiuti anti bora
Comune e A&T lanciano una gara rivolta alle scuole con
l'obiettivo di scovare il modo per evitare che i contenitori del porta a porta
volino per strada in caso di vento forte
SAN DORLIGO DELLA VALLE - L'appello è: fate ricorso alla fantasia. Questa la
richiesta che Comune di San Dorligo della Valle e A&T Servizi ambientali -
l'azienda che, dallo scorso primo luglio, gestisce la raccolta rifiuti nel
territorio amministrato dalla giunta guidata dal sindaco Sandy Klun - hanno
formulato agli alunni delle quarte e quinte delle scuole elementari e a quelli
delle medie del territorio. L'obiettivo? Invitare i bambini e i ragazzi a
individuare una soluzione che permetta di evitare che, quando soffia forte la
bora a San Dorligo della Valle, i sacchetti delle immondizie pronti alla
raccolta differenziata porta a porta, appesi a cancelli, reti divisorie, muri,
attraverso gli appositi ganci forniti dalla stessa A&T Servizi ambientali,
prendano il volo. Il premio per le due soluzioni che un'apposita commissione
giudicherà essere le più meritevoli consisterà in una visita al Museo della bora
di via Belpoggio 9. Ma non basta. Gli alunni delle due classi migliori vedranno
i loro progetti, di cui sarà valutata non solo la funzionalità ma anche
l'ingegnosità e la simpatia, proposti sul sito internet della A&T Servizi
ambientali. «E speriamo - dicono dall'azienda che si occupa della raccolta
rifiuti a San Dorligo - che siano anche progetti facilmente praticabili. In tal
caso non esiteremmo a utilizzarli». Da una decina di anni sul territorio è
attiva la raccolta porta a porta, attraverso l'uso di contenitori assegnati a
ciascun utente. Nel tempo, i cittadini hanno spontaneamente adottato soluzioni
che prevedono l'utilizzo di ganci, catene o altro, per evitare la dispersione
dei contenitori, quando si alza la bora. Ecco allora nascere l'iniziativa comune
dell'amministrazione e dell'azienda, che va a stimolare i cittadini più piccoli,
tradizionalmente dotati di grande fantasia e inventiva, per coinvolgerli in un
compito che ha uno scopo molto serio ma che a scuola può diventare un gioco
divertente e istruttivo.Il Comune di San Dorligo è formato da un notevole numero
di frazioni, sparse su un territorio che va dalla piana di Bagnoli alle colline
di San Giuseppe della Chiusa. Un paesaggio vario, nel quale i residenti hanno
costruito seguendo diversi criteri; ecco che i partecipanti al concorso potranno
veramente esercitare la fantasia, cercando soluzioni che potranno essere
applicate in base alla situazione locale.Il regolamento prevede che le classi
documentino sistemi efficaci, intelligenti, originali, curiosi e simpatici «per
gestire la raccolta rifiuti attraverso bidoni o sacchetti nelle giornate di
bora. I lavori potranno essere presentati fino al 28 febbraio 2018 e inviati,
corredati di foto, video, informazioni e tutto ciò che permette di valutare la
proposta nel suo insieme, alla mail scuole@aet2000.it. Per poter avere tutte le
indicazioni utili per poter partecipare a questa gara di fantasia si può
scrivere alla stessa e mail utile per la presentazione dei lavori o telefonare
allo 0432 691062.
Ugo Salvini
L'APOCALISSE CLIMATICA
Le polveri sottili? Sotto il tappeto. Hanno fatto un giro di valzer nei
caffè quando infuriava la siccità che in questo 2017 è stata più lunga del
solito. Poi ha piovuto, pioggia acidissima, oltre tutto, perché attraversava
un'atmosfera gonfia di veleni, e del respiro che ci uccide non parlerà più
nessuno fino al prossimo allarme. Un proverbio orientale dice che il saggio
indica la Luna, lo sciocco guarda il dito. La differenza è notevole. Come quella
tra chi considera i cambiamenti climatici una sventura di là da venire e chi
ribatte che abbiamo già il cappio al collo. Ad esempio il rapporto Ispra
pubblicato dal National Geographic. Inverni più caldi in Italia di 2,15 gradi,
in media, rispetto agli ultimi trent'anni. Più caldo e meno acqua dove c'è
sempre stata. E quali sono le reazioni? Trump se ne frega, smarcando l'America
che dovrebbe avere un ruolo-guida. La Cina, dove The Donald si trova in questi
giorni, l'argomento non viene sfiorato: il combinato disposto
comunismo-consumismo impone di produrre a testa bassa turandosi il naso.
L'Europa organizza summit, ultimo il Cop23 a Bonn, portando a casa briciole.
Intanto anche i negazionisti ormai si convincono che il pericolo c'è.
Un'ottobrata anomala ha armato la mano di piromani vigliacchi. Roghi dolosi
hanno stuprato le meraviglie del Creato in Val di Susa e nelle Prealpi lombarde.
Cacciatori assatanati si appostavano in attesa che animali di pregio uscissero
allo scoperto dai boschi in fiamme, per dire di che cosa è capace l'homo
sapiens. I giornali hanno pubblicato le foto del sole malato sopra le cappe di
smog a Milano e a Torino. Ci dovrebbero finire i volti di straordinari imbecilli
che sguazzano nella tragedia di una foresta annientata e di una fauna in fuga.
Numeri: la concentrazione di anidride carbonica nella quale siamo immersi è pari
al 145 per cento rispetto al 1750, il livello più elevato degli ultimi 800mila
anni. Lo ha sentenziato il Wmo, massima organizzazione meteorologica mondiale.
Il confronto tra epoche tanto distanti svela che il passaggio dai 790 milioni di
abitanti sulla Terra prima del boom industriale e i 7,5 miliardi di oggi ha
avuto il suo peso, è chiaro. Ma ci dice anche un'altra cosa: i problemi
attribuibili alla crescita si affrontano, il nuovo mondo non lo sa fare. Nel
sermone di Ognissanti il nuovo arcivescovo di Milano monsignor Delpini si è
chiesto fino a quando l'umanità evoluta continuerà a farsi del male. Papa
Francesco nell'enciclica "Laudato sì" aveva scritto: «Mai abbiamo maltrattato e
offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli.. Molto facilmente
l'interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare
l'informazione per non vedere colpiti i propri progetti». Eccolo il più grande
dilemma dei nostri giorni: maneggiamo l'arma delle potenti tecnologie, ma non
sappiamo calmierare regole di vita che prospettano l'Apocalisse climatica.
Scienza e politica si scoprono in antitesi. Considerando la colpevole inerzia
degli Stati, alcuni studiosi propongono di raffreddare la Terra con uno scudo di
nubi artificiali e di scaricare massicce dosi di ferro nel mare per rigenerare
plancton. Soluzioni fantasiose a parte, è ferma la convinzione che la partita
dei cambiamenti climatici sia ancora una questione di umana ragionevolezza e di
decisionale fermezza. Le energie alternative sono state individuate. La
situazione di Sorella Terra non è buona. Nemmeno delle sue creature. Si vive di
più perché abbiamo la possibilità di arginare malattie. Sicuri che una sorta di
nemesi storica non colpirà le generazioni future a causa delle intemperanze di
quelle passate? Due immagini drammatiche sono finite sui social negli ultimi
anni. La prima: nove orsi polari che si fracassano sulle rocce, traditi dal loro
amico naturale, il ghiaccio sciolto lassù in cima al mondo. La seconda: trenta
balene spiaggiate in Norvegia perché hanno ingoiato sacchetti di plastica,
perdendo l'orientamento. Le avevano scambiate per calamari. La stessa cosa che
sta accadendo all'umanità.
GIANNI SPARTÀ
Arci Servizio civile in Slovenia e Croazia volontari in arrivo all’Unione italiana
Prenderà il via oggi, dopo due mesi di formazione a Trieste, l'attività all'estero di quattro volontari dell’Arci Servizio civile nell'ambito del progetto “Culture di Confine”. Due volontari provenienti da Bari e da Trento e due in arrivo da Ferrara e Torino prenderanno servizio negli uffici dell’Unione Italiana, il massimo organo rappresentativo della Comunità nazionale italiana in Slovenia e Croazia, nelle sedi di Capodistria e Fiume (foto). Ad annunciarlo è Arci Servizio civile Fvg. Attraverso scuole, istituzioni e associazioni di promozione, diffusione e mantenimento della cultura e della lingua italiana nell’area, il progetto intende contribuire allo sviluppo ulteriore dell’integrazione della minoranza italiana in Istria e Quarnero, incrementando le opportunità di scambio fra le diverse comunità, anche attraverso la diffusione della cultura della comunità italiana. Arci Servizio Civile, associazione di promozione sociale, è la più grande associazione di scopo italiana dedicata esclusivamente al servizio civile.
IL PICCOLO - DOMENICA, 12 novembre 2017
La Sala Tripcovich? È venuto il momento di demolirla
Abbiamo letto sul Piccolo del degrado della sala Tripcovich, realizzata in
deroga al piano regolatore vigente nel 1992, stravolgendo la stazione delle
corriere progettata da Umberto Nordio, edificio che era dignitoso ma non
eccelso. La sala doveva essere provvisoria in attesa del restauro del teatro
Verdi e per legge la deroga al piano regolatore doveva valere per un anno
prorogabile al massimo di altri due. La provvisorietà della sala comportò la
mancanza di camerini, ricavati in degli orrendi container sul retro, ora per
fortuna eliminati e dalla mancanza di un impianto di condizionamento e di un
bar. L'associazione Triestebella ritiene, come propose anche l'architetto Mario
Botta, che tale brutto edificio debba essere demolito perché non corrisponde più
per niente all'originale stazione. La sua demolizione consentirebbe di
realizzare una bella unità di spazio nella piazza, aggiungendo al giardino il
sedime della sala. Oltre ad avere così un'area verde di maggior respiro, Trieste
offrirebbe a chi vi arriva una più degna accoglienza. Per unificare il giardino
sarebbe bene anche eliminare i tratti che lo attraversano di via Flavio Gioia e
corso Cavour, come era previsto nel progetto dell'architetto Zagari vincitore
del concorso del 2002 per la sistemazione delle Rive. La piazza potrebbe
diventare una grande rotatoria eliminando i semafori e snellendo il consistente
traffico.
Roberto Barocchi - architetto Associazione Triestebella
Il porto fluviale di Belgrado che mina l'oasi naturalistica
Ambientalisti in lotta contro il nuovo progetto per il
quale la Serbia punta ai capitali cinesi: nell'area di 900 ettari vivono
numerose specie protette
BELGRADO - Il progresso e lo sviluppo economico hanno il loro prezzo. A
Belgrado potrebbero costare la distruzione di una zona dove da sempre decine di
specie di uccelli vivono o sostano durante le migrazioni. È Beljarica, un'area
verde sulle sponde del Danubio, a venti minuti d'auto dal centro della
metropoli: terre umide battezzate dagli ambientalisti "l'Amazzonia di Belgrado",
per i loro canali interni e la vegetazione che cresce rigogliosa, natura
incontaminata. Proprio lì, secondo i piani delle autorità locali, dovrà sorgere
un nuovo grande porto fluviale, molto probabilmente con capitali cinesi,
un'altra tessera del megaprogetto "One Belt One Road", la Nuova via della seta.
E l'Amazzonia in miniatura sarebbe a rischio di completa devastazione. La
denuncia circola da tempo nel Paese ed è stata canalizzata in una petizione
online promossa dalla Lega serba per l'azione ornitologica - che dal 2010 si
batte per proteggere l'area - allarmata dalla possibile cancellazione di una
riserva di gran pregio. Petizione in cui si ricorda che Belgrado ha quello «che
altre capitali non hanno, un'oasi inalterata a un passo dal centro della città».
Oasi che dà rifugio ai pesci di fiume per i quali Beljarica è «un importante
luogo per la riproduzione», a circa «60 specie di mammiferi e 137 di uccelli, di
cui 109 protette a livello nazionale», conferma al Piccolo l'ecologo e
ornitologo Dragan Simic. Specie come linci, nutrie, cinghiali, sciacalli dorati,
coppie di aquile dalla coda bianca, il "re della nebbia", fra gli esemplari più
maestosi della specie in Europa. Al riparo ma ancora per poco, secondo i
promotori della sottoscrizione che chiedono che l'area sia dichiarata zona
protetta. E che non vi sia costruito, come annunciato già nell'agosto dell'anno
scorso - così si legge nel testo della petizione - «il nuovo porto di Belgrado»,
un'operazione che potrebbe portare alla «completa distruzione» di un'area che
«da secoli salva Belgrado dalle inondazioni» del Danubio, giacché rappresenta
un'area di sfogo per le acque.Il porto, con migliaia di metri cubi di cemento e
asfalto, coprirà quasi «tutti i 900 ettari» di Beljarica, hanno denunciato gli
ecologisti chiedendo ai belgradesi di reagire così come fecero i viennesi che
nel 1984 scesero in piazza contro la costruzione della centrale idroelettrica
Hainburg sul Danubio. Ai tempi, furono 353mila quelli che firmarono una
petizione simile a quella lanciata in Serbia, che però, almeno per ora, non ha
raggiunto le 10mila sottoscrizioni, anche se le firme sono in crescita
nell'ultimo periodo. E potrebbero aumentare nei prossimi mesi, quando ci sarà
maggiore chiarezza sul destino di Beljarica, già in passato indicata dai media
locali come area di sviluppo del nuovo porto. Indicazioni che tutto andrà in
questa direzione sono contenute in una mappa del Consiglio urbanistico della
città di Belgrado, che segna in giallo il perimetro di Beljarica come area
edificabile, in rosso le nuove arterie stradali e ferroviarie. La zona è a un
tiro di schioppo dalla superstrada e dal ponte "cinese" Mihajlo Pupin, aperto
tre anni fa, lungo 1.482 metri, finanziato da un prestito della EximBank cinese
di 226 milioni di dollari che ha coperto l'85% del costo totale dell'opera. E
Pechino sarà con alta probabilità coinvolta anche nel nuovo progetto del porto,
conferma la "Strategia per lo sviluppo 2021" approvata dalla municipalità di
Belgrado, dove si legge che le fonti di finanziamento dell'opera, almeno 350
milioni di euro, saranno oggetto di «negoziati tra la Repubblica di Serbia» e
quella Popolare cinese. L'opera non a caso è voluta vicino al ponte Pupin, dove
dovrebbe sorgere anche il grande parco industriale promesso a maggio dal sindaco
di Belgrado, Sinisa Mali, col coinvolgimento sempre della Cina, parco in cui
dovrebbero insediarsi decine di aziende cinesi. Gli interventi potrebbero
distruggere Beljarica «definitivamente», aggiunge Simic precisando che «non ci
sono informazioni ufficiali su contratti firmati», ma bisogna chiedersi «se
serve un porto da 900 ettari, in parte serbo, in parte cinese». Soprattutto in
una piccola ma preziosa "Amazonija".
Stefano Giantin
IL PICCOLO - SABATO, 11 novembre 2017
Intervento - Il ritorno prepotente sulla scena del
rigassificatore di Zaule
Segnali inquietanti nella baia di Zaule. Addio al RoRo in area ex Aquila,
dopo la cacciata della Teseco; si vocifera di futuri ampliamenti ai depositi
petroliferi; in via Errera si pensa ad un'ipotesi di costruzione di un impianto
per la produzione di gas dal trattamento di rifiuti e, ciò che più preoccupa, il
ritorno in pista del rigassificatore della Gas Natural, dopo l'approvazione del
gasdotto marino della Snam del 12 giugno 2017.A proposito del rigassificatore le
preoccupazioni sono giustificate anche dal fatto che nell'analisi di impatto
della regolamentazione (A.I.R.), collegata al decreto attuativo del Porto
Franco, tra gli " Obiettivi a medio e lungo periodo" elencati, a pagina 4 punto
C/2, viene imposto di monitorare l'incremento del traffico LNG con cadenza
biennale (traffico di LNG è legato al rigassificatore). A tutto ciò possiamo
aggiungere che nella conferenza stampa indetta a conclusione dei lavori della
sessione plenaria del Comitato dei ministri di Italia e Slovenia (copresieduta
dall'onorevole Angelino Alfano) il ministro sloveno Erjavec ha ribadito che la
Slovenia è contraria al rigassificatore di Zaule. Da ciò si deduce che durante
l'incontro se ne sia parlato e che sia stato il nostro ministro a riesumare
l'argomento. Quindi, mentre in tutto il mondo i siti indicati per l'ubicazione
di questi impianti vengono scelti in funzione della tutela delle popolazioni,
delle attività economiche e dell'ambiente, per quanto riguarda Trieste, si va
invece controcorrente, in quanto si pretende di imporre un rigassificatore a
Zaule, sulla terraferma, al centro di un'area densamente popolata e,
soprattutto, scavalcando e ignorando le norme di sicurezza e le precauzioni
adottate, oltre che in Italia per gli impianti già esistenti (Porto Viro e
Livorno), anche in tutto il resto del mondo. Sembra proprio che lo Stato
italiano voglia condannare la nostra popolazione a vivere in perenne pericolo,
bloccare definitivamente lo sviluppo del nostro porto e l'economia della città e
rendere il nostro mare tossico e infruibile. Martedì 31 ottobre si è svolto un
incontro al quale ha partecipato il Comitato con l'assessore regionale
all'ambiente Vito, per conoscere lo stato dell'arte del progetto e quali
interventi, a breve termine, la Regione intenda attuare, anche in vista
dell'imminente presentazione del Piano energetico nazionale .Le risposte sono
state vaghe e indefinite per cui, visto anche che le conferenze dei servizi al
Mise rischiano di effettuarsi in piena campagna elettorale, riteniamo opportuno
ribadire la nostra posizione e cioè:Amministratori e parlamentari della nostra
Regione devono denunciare apertamente, senza paura e con forza che questa scelta
(del governo) va contro Trieste, la sua economia, la sicurezza dei cittadini e
la salute del nostro mare ed imputare a chi ha dato il benestare all'impianto,
di aver colpevolmente ignorato i rilievi fatti, da oltre dieci anni, da
scienziati, professori, tecnici, esperti, sull'assoluta incompatibilità
dell'impianto con le caratteristiche del sito e sulle tante incongruenze
rilevate nel progetto stesso (come ben descritto nella delibera del consiglio
comunale di Trieste del 2012). Restare silenti, limitarsi a dichiarare
periodicamente la propria contrarietà menzionando solamente l'incompatibilità
con le attività del porto e attendere le decisioni del Tar, sono scelte
assolutamente infruttuose.
Giorgio Jercog - Comitato per la salvaguardia del Golfo di Trieste
In treno all'aeroporto dal 19 marzo - Settanta convogli
giornalieri alla fermata del polo intermodale. Nuovo sportello UniPoste. E
arriva anche Flixbus
TRIESTE - La data è stata fissata. Approderà il 19 marzo prossimo il primo
treno alla fermata ferroviaria che si sta realizzando al polo intermodale dei
trasporti di Ronchi dei Legionari. E, da allora, saranno ben 70 i convogli
giornalieri che viaggeranno nelle due direzioni, quella di Trieste e di Venezia,
compresi quelli ad alta velocità che, verosimilmente, dovranno far ripensare
tutto il sistema di fermate lungo la linea. L'annuncio è stato dato ieri, in
occasione della visita che la presidente della giunta regionale, Debora
Serracchiani, ha compiuto al vasto cantiere che, dal gennaio scorso, interessa
l'area tra lo scalo aereo e la linea ferroviaria. Serracchiani, assieme al
presidente ed al direttore generale di Trieste Airport, Antonio Marano e Marco
Consalvo ed al sindaco di Ronchi dei Legionari, Livio Vecchiet, ha anche
inaugurato la nuova filiale di UniPoste, società privata che ha aperto il suo
nuovo sportello. Trieste Airport, che chiuderà il 2017 con oltre 800mila
passeggeri, guarda anche al futuro ed annuncia, dall'estate prossima, nuovi
collegamenti per la Germania, Francoforte in primis. Il polo intermodale sta
diventando una realtà e Ronchi dei Legionari sarà il primo aeroporto in Italia a
disporre, in un così ristretto spazio, di tutti i sistemi di trasporto integrati
tra loro. Al terminal autobus, capace di ospitare ben 17 stalli di sosta,
arriverà anche la low cost Flixbus che, qui, farà una sosta lungo la linea
Nizza-Pola. «In questi mesi abbiamo corso, ci siamo presi un impegno che sta
andando in modo spedito - ha detto Serracchiani - e di questo non posso che
ringraziare tutti coloro che sono impegnati in questo vasto cantiere. Il polo è
un ponte per il futuro, un'opera che serve al territorio e che, sono sicura,
potrà attrarre altri utili investimenti». L'importo complessivo delle opere in
appalto alla Ici Coop ed alle ditte ad essa collegate è di 13,6 milioni di euro
e ad oggi sono stati eseguiti lavori per un totale di 3.880.000 euro per quanto
riguarda il primo lotto, ultimato al 57%, e di 1.500.000 euro per il secondo
lotto, completato al 23%. Entro marzo, come detto, dovrà essere tutto finito e
Trieste Airport guarda proprio al completamento dei lavori come una tappa
importante per il rilancio dei collegamenti e per la crescita dei passeggeri. Le
strutture in cemento armato del parcheggio multipiano sono già state ultimate ed
è in corso la realizzazione degli impianti, mentre nei parcheggi a raso verranno
a breve completati gli stalli in cemento drenante e l'impianto di illuminazione.
Per quanto riguarda la passerella sono in corso di montaggio le strutture verso
la fermata ferroviaria, mentre il varo del ponte sulla linea è previsto per la
seconda metà di dicembre. Per quanto riguarda l'autostazione degli autobus, è
stata completata la torre di collegamento verticale con la passerella e sono in
fase di realizzazione la sala d'aspetto, i locali tecnici e i servizi. Lo scalo
ronchese, infine, inizia ad essere attrattivo anche per l'insediamento di nuove
attività commerciali. Ieri, alla presenza del suo presidente, Francesco Paduano,
ha aperto il suo sportello, aperto dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 18.30,
UniPoste. Si tratta di un operatore postale privato che propone servizi di
pagamento, servizi di finanziamento ed assicurativi, ma anche servizi turistici,
telefonici e prodotti informatici. L'azienda possiede una rete commerciale
articolata su due canali, quello diretto e la rete di franchising, con 21 punti
vendita. UniPoste punta ad una decisa crescita con un fatturato previsionale per
il 2018 pari a 7,4 milioni di euro.
Luca Perrino
«Trieste e Capodistria da record per i treni
intermodali» - Forum di Alpe Adria Business International
TRIESTE - «Il numero dei treni intermodali che fanno settimanalmente i porti
di Trieste (200) e Capodistria (120) supera quello dei treni operati da
Rotterdam (250)». Lo ha detto il presidente dell'Autorità di Sistema Portuale
del Mare Adriatico Orientale, Zeno D'Agostino, intervenendo al Sdgz Alpe Adria
Business forum, alla Stazione Marittima di Trieste, la cui sessione conclusiva
si è focalizzata su un confronto tra i due vicini scali di Trieste e di
Capodistria (Slovenia), e le opportunità di sviluppo che possono apportare alla
regione Alpe Adria. Due porti in competizione, ma che collaborano su molti
fronti. D'Agostino ha più volte rimarcato il ruolo importante che può svolgere
il Napa, associazione porti Nord Adriatico, anche alla luce del recente rientro
del porto dell'Emilia Romagna nell'associazione che vede tra i membri anche
Trieste, Capodistria, Venezia e Fiume (Croazia) e che ha visto proprio il
passaggio del semestre di presidenza da Capodistria a Trieste. «Il Ruolo del
Napa - ha puntualizzato D'Agostino - diventa strategico anche alla luce dei dati
statistici che stiamo raccogliendo nel 2017. Stiamo vedendo per la prima volta,
che tutti i porti del Nord Adriatico hanno una crescita importante dal punto di
vista dei traffici. Il primo elemento da analizzare è questo: il corridoio
marittimo Adriatico è sempre più centrale nei traffici internazionali».«In uno
scenario in cui i volumi di traffico del porto di Trieste, assieme a quelli
degli altri scali dell'Alto Adriatico, registrano una forte crescita, la sfida,
strutturata dal lavoro compiuto in questi ultimi anni dalla Regione, è quella di
sviluppare le aree retroportuali del Friuli Venezia Giulia estendendone
l'attività alla Carinzia, alla Slovenia e alla Croazia»: così l'assessore
regionale alle Attività produttive, Sergio Bolzonello.
Tassa rifiuti “gonfiata” in molti Comuni - L’applicazione su garage, soffitte e cantine fa lievitare le bollette. A scovare l’errore un deputato M5S
ROMA - Molti Comuni hanno moltiplicato illegittimamente la tassa sui rifiuti, la Tari. Hanno applicato più volte su un singolo immobile, applicandola anche su garage, soffitte e cantine, la quota variabile che caratterizza questo tributo. Risultato: il balzello è così stato complessivamente gonfiato, in alcuni casi fino a raddoppiare. Il problema non è di poco conto, visto che riguarda molti Comuni, alcuni anche grandissimi. Un primo check alle delibere l’ha fatto il Sole24Ore scoprendo che a “inciampare” sono state anche grandi realtà: Milano e Genova, Napoli e Catanzaro, Cagliari e Ancona, Rimini e Siracusa, prescindendo dal colore politico. Il merito di aver strappato a livello parlamentare il velo su questo “errore”, dando così l’avvio a una campagna di rimborsi che potrebbe valere anche molti milioni, va comunque al deputato M5S, il pugliese Giuseppe L’Abbate. Il suo commercialista gli aveva segnalato l’anomalia commessa nel Comune dove risiede, Polignano a Mare. Lui ha quindi chiesto chiarimenti con una interrogazione alla quale il ministero dell’Economia in Commissione Finanze ha dato una risposta chiarissima nel senso e nelle conseguenze. «La parte variabile della tariffa – ha spiegato il sottosegretario Pierpaolo Baretta – va computata solo una volta considerando l’intera superficie dell’utenza composta sia dalla parte abitativa che dalle pertinenze situate nello stesso comune». L’esempio portato dall’interrogazione era quello di un appartamento di 100 metri, con un garage di 30 metri e una cantina di 20 metri. In concreto il Comune aveva applicato i 2 euro della quota fissa sui 100 metri e sul 50% della superficie di garage e cantina. Ma poi aveva applicato su ogni singolo cespite catastale i 141 euro della quota variabile, che così veniva moltiplicata per tre. Risultato: una stangata di 673 euro contro i 391 che, in base al chiarimento del ministero dell’Economia, dovranno essere pagati. «Siamo partiti dal confronto dal basso e dalla verifica di quanto riferito dai cittadini – afferma L’Abbate – Ci danno degli incompetenti, ma poi siamo noi, con lo studio e l’approfondimento, a risolvere gravi problemi a livello nazionale causati dalle altre forze politiche». Ora si apre la strada per i rimborsi. I Comuni interessati potrebbero essere moltissimi, vista l’incertezza normativa oramai dissolta. Per comprendere se si è pagato di più bisognerà prendere i bollettini di pagamento che riportano anche i calcoli della tariffa applicata sulle singole unità immobiliari e sulle pertinenze: quest’ultime non devono contenere la quota variabile. Se questa invece è riportata si può richiedere il rimborso. C’è tempo fino a 5 anni e il Comune può compensare il dovuto sulle bollette future o restituire il maggior importo pagato in 180 giorni. «Meglio tardi che mai», commenta L’Abbate. «Pensare – aggiunge – che l’interrogazione l’avevo presentata nel 2016 e che la risposta è arrivata un anno dopo. L’errore si sarebbe potuto correggere prima».
A Rovigno fondi Ue per l'ambiente - Da Bruxelles 21
milioni: col nuovo sistema di depurazione le acque reflue riutilizzate per
l'irrigazione
ROVIGNO - Una volta ultimato il sistema di raccolta, smaltimento e
depurazione delle acque reflue, Rovigno sarà la seconda città nel Paese - dopo
Parenzo - ad avere risolto il problema in maniera integrale. Le acque depurate
ottenute saranno cioè riutilizzate per l'irrigazione delle aree verdi:
operazione che porterà rilevanti risparmi sulla bolletta, visto che ora invece
per l'irrigazione si attinge dalla rete idrica pubblica. Il progetto -
sicuramente uno dei più importanti sul fronte degli interventi infrastrutturali
di Rovigno - è stato presentato nel palazzo municipale dal sindaco Marko Paliaga
assieme al direttore dell'azienda municipalizzata "Epurazione acquee" Ognjen
Pulic. Il valore complessivo dell'operazione è di 30 milioni di euro, 21 dei
quali ottenuti dal Fondo di coesione dell'Unione europea. Quest'ultimo,
istituito nel 1994, fornisce finanziamenti per progetti nel settore
dell'ambiente e delle reti transeuropee, mentre dal 2007 le risorse possono
essere utilizzate anche per progetti in settori connessi allo sviluppo
sostenibile, fra cui l'efficienza energetica e le energie rinnovabili. Per quel
che riguarda Rovigno l'obiettivo è quello della rimozione dei contaminanti dalle
acque reflue di origine urbana e industriale, così da renderle compatibili con
l'ambiente al momento del loro sversamento nei punti prescelti senza che vengano
a crearsi dei danni all'ecosistema. Va ricordato che la costruzione dei primi
impianti del progetto è iniziata 11 anni fa: ora però si punta ad accelerare per
portare a termine l'intera operazione entro la fine del 2019, quando al sistema
saranno allacciati tutti gli abitanti e le aziende di Rovigno e di Villa di
Rovigno. Si tratta di un totale di 63mila utenze, comprese le centinaia di
migliaia di villeggianti che d'estate soggiornano sul territorio. In questo
momento i cantieri sono concentrati tutti nella zona di Villa di Rovigno, dove
sono in corso di posa 1.100 metri di tubature. A partire da febbraio si lavorerà
invece nella zona dell'ospedale di Rovigno e del rione di Borik, dove verranno
deposti 24 chilometri di tubature che consentiranno 700 nuovi allacciamenti. I
lavori verranno interrotti nel corso della stagione estiva, per poi riprendere
nell'autunno del 2018. Giù entro questo mese intanto verrà risanato il
collettore di 2,5 chilometri che collega il rione di Lamanova al nuovo
depuratore di Cuvi attraversando la zona di Valbruna. La posa del collettore
costiero tra il Gandusio e il porto è invece programmata per l'anno prossimo.Il
progetto comprende anche la costruzione di sette stazioni di pompaggio. A lavori
ultimati - dunque tra circa due anni - saranno eliminati anche i cattivi odori
che a volte serpeggiano tra le vie e le piazze di Rovigno. L'appalto del
cantiere è stato affidato all'azienda edile Krk di Veglia. La città di Rovigno -
è stato detto in sede di presentazione - sta dunque compiendo un passo
importante nel miglioramento della qualità della vita dei suoi abitanti e dei
villeggianti, grazie soprattutto al Fondo di coesione europeo che ha creduto
nella validità del progetto.
(p.r.)
IL PICCOLO - VENERDI', 10 novembre 2017
FERRIERA - Miani e Servola respira ricevuti in Regione
«Un incontro costruttivo, a seguito del quale sono stati presi alcuni impegni basati sulla collaborazione e la comunicazione relativamente alle problematiche di carattere ambientale afferenti all’attività della Ferriera». Questo - come riporta una nota della Regione - il concetto espresso dall’assessore all’Ambiente Sara Vito che ha incontrato ieri, con i vertici della Direzione centrale Ambiente e dell’Arpa, i presidenti del Circolo Miani e del Comitato Servola respira, Maurizio Fogar e Romano Pezzetta. Dopo l’incontro Vito ha dato mandato agli uffici «di approfondire i temi che saranno segnalati da Miani e Servola respira nell’ottica di un confronto puntuale e trasparente con il territorio». Oggi invece al Circolo della Stampa di Corso Italia, Legambiente organizza un incontro pubblico su «La siderurgia in Italia e il caso Ferriera».
Bonifiche, al via due appalti per 1,4 milioni - Aggiudicate le gare per l’analisi di terreni e acque e per il progetto contro l’inquinamento delle falde
Un nuovo passo in avanti nel lungo iter burocratico riguardante le bonifiche all’interno del cosiddetto Sin, il Sito di interesse nazionale della Zona industriale di Trieste, “affare” che attualmente ricade tra le competenze della presidente della Regione Debora Serracchiani in veste di commissario straordinario per l’attuazione dell’accordo di programma per l’area della Ferriera di Servola. Invitalia, braccio operativo del ministero dello Sviluppo economico che funge da stazione appaltante, ha completato infatti - informa una nota della Regione stessa - le procedure di affidamento per due gare d’appalto. Alla prima, che ha come obiettivo l’analisi dei terreni e delle acque per valutarne il livello di inquinamento, hanno partecipato 13 operatori economici e, tecnicamente, si riferisce all’affidamento dei servizi di esecuzione della campagna di indagini geognostiche e idrogeologiche. La prima procedura ha determinato alla fine l’aggiudicazione ad un Rti, un Raggruppamento temporaneo d’imprese, formato da Theolab Spa, Geosyntech Srl, Geoalpina Srl e Lgt Laboratorio Geotecnico, per un importo di 363.177,70 euro più Iva (di cui 36.347,71 euro per oneri della sicurezza non soggetti a ribasso) per un ribasso pari al 60,02%. La seconda gara riguarda invece la progettazione per la realizzazione di un barrieramento finalizzato a impedire il deflusso di eventuali falde acquifere inquinate e per la costruzione di un apposito impianto di trattamento delle acque. Nel dettaglio, alla fase di selezione del secondo bando hanno partecipato 12 operatori economici e il contratto riguarda l’affidamento dei servizi di progettazione definitiva, rilievo plano-altimetrico e progettazione esecutiva proprio delle opere di messa in sicurezza della falda. In questo caso l'aggiudicazione è andata ad un Rti costituito da Studio Altieri Spa, Sqs Servizi Qualità e Sicurezza Srl, Progettando Srl, Arcomai Snc e studio geologico Andrea Borgia, per un importo complessivo di 904.032,94 euro Iva esclusa (di cui 4.241,58 euro per oneri della sicurezza non soggetti a ribasso) per un ribasso finale risultato pari al 31,23%. Lo stanziamento totale per la realizzazione delle opere di bonifica del Sin tra analisi, progettazioni e lavori - ricorda ancora la nota della Regione - ammonta a 41,5 milioni di euro.
Ancora tutti divisi sul glifosato L’accordo non c’è
È stallo in Europa sul glifosato. I Paesi Ue, per l’ennesima volta, non sono riusciti o a esprimere una maggioranza qualificata pro o contro il rinnovo per 5 anni della licenza per l’erbicida, accusato di avere effetti nocivi anche gravi sulla salute umana. L’ultima occasione sarà il comitato d’appello, che la Commissione potrebbe convocare il 27 o 28 novembre. Senza un’indicazione chiara l’Esecutivo potrebbe decidere di adottare la sua proposta senza l’avallo degli Stati. Dopo i giorni scorsi, in cui le diplomazie si erano mosse alla ricerca di compromessi e alleanze, nel voto di ieri si sono riproposte le divisioni che scandiscono la vicenda glifosato ormai da quasi due anni: 14 paesi hanno votato a favore, 9, tra cui l’Italia, contro e 5 si sono astenuti. Rispetto al sondaggio sul rinnovo a 10 anni condotto dalla Commissione a fine ottobre, due paesi (Romania e Bulgaria) hanno cambiato posizione da favorevoli ad astenuti, perché considerano troppo breve una licenza di 5 anni. Francia e Italia hanno votato no (con Belgio, Grecia, Malta, Ungheria, Cipro, Lussemburgo e Austria).
Sono i polmoni bis del pianeta - Alghe "star" al
superconvegno - Oggi e domani a Trieste il più importante meeting scientifico
sulla materia
«Grazie a loro possiamo conoscere la salute dei mari. E qui le
monitoriamo dal 1986»
TRIESTE - Quando si parla del più grande polmone verde del mondo il pensiero
va immediatamente alla foresta amazzonica. Eppure c'è un altro importantissimo
polmone verde, fondamentale per contribuire all'abbattimento dell'anidride
carbonica in atmosfera. È costituito dalle praterie di alghe presenti nei nostri
mari: a livello mondiale, infatti, a produrre il 50% dell'ossigeno del pianeta
grazie alla fotosintesi clorofilliana sono proprio le alghe e, soprattutto, le
microalghe. Che sono organismi molto piccoli, delle dimensioni di alcuni micron,
ma molto numerosi e ad alta efficienza: sono la base della catena alimentare del
mare e uno strumento essenziale a disposizione dei ricercatori per tenere
monitorata la qualità dell'ecosistema marino in relazione ai cambiamenti
climatici. Sempre di più, inoltre, si sta studiando il loro impiego come fonti
rinnovabili di energia e come materie prime nei settori della farmaceutica,
della cosmesi, della nutraceutica e dell'alimentazione. Si occuperà proprio di
questi temi la Riunione scientifica annuale del Gruppo di algologia della
Società botanica italiana, il più importante convegno a livello nazionale
dedicato allo studio sulle alghe, in programma oggi e domani nella Sala Maggiore
della Camera di Commercio. Quest'anno il convegno, organizzato dall'Ogs, dalle
università di Trieste e di Udine e dal Wwf - Area Marina Protetta di Miramare,
con il patrocinio del Comune e della Regione, vedrà la partecipazione di circa
100 esperti di algologia nazionali e internazionali e sarà l'occasione per
analizzare lo stato dell'arte della ricerca e le nuove metodologie per lo studio
delle alghe. Ne abbiamo approfittato per fare il punto con gli esperti sulla
salute del nostro Golfo, che viene continuamente monitorata proprio attraverso
il controllo delle modificazioni della comunità micro e macroalgale.«L'aumento
della temperatura delle acque è il primo dei fattori che influenzano la
struttura della comunità algale - spiega Marina Cabrini, ricercatrice dell'Ogs e
coordinatrice del Comitato organizzatore del convegno -: il monitoraggio a lungo
termine delle alghe presenti nel nostro Golfo ci dice molto sugli effetti dei
cambiamenti climatici. A Trieste siamo fortunati, perché, grazie all'istituzione
a Miramare della prima Area marina protetta d'Italia, siamo la città che dispone
della più lunga serie temporale di dati: è dal 1986 che, ogni mese, raccogliamo
dati su alghe e microalghe presenti in loco». I cambiamenti climatici,
sottolinea la ricercatrice, hanno un impatto consistente sull'ecosistema marino,
di cui le alghe rappresentano un tassello fondamentale. «Con una maggiore
quantità di anidride carbonica, che dall'aria si "scioglie" nell'acqua, si ha il
fenomeno dell'acidificazione degli oceani, ovvero un abbassamento del ph
dell'acqua che favorisce alcune specie di alghe e ne danneggia altre. Ciò si
riflette nella combinazione della comunità fitoplanctonica marina, portando a
uno squilibrio dell'ecosistema e a una diminuzione della biodiversità», spiega
la ricercatrice. Tra le diverse tipologie di microalghe presenti nel nostro
Golfo, ve ne sono alcune di potenzialmente tossiche, anche se la principale
criticità per il nostro mare in questo momento non è rappresentata dalle alghe:
«C'è un problema più grosso, legato alla presenza importante dall'estate scorsa
di piccoli organismi gelatinosi, le noci di mare (Mnemiopsis leidyi), che non
sono urticanti come le meduse, ma hanno un impatto negativo sull'ecosistema -
spiega Paola Del Negro, direttrice della sezione di Oceanografia dell'Ogs -.
Sono organismi "alieni" arrivati fin qui con le acque di sentina delle navi,
carnivori ed estremamente voraci: mangiano plancton ma anche uova e larve di
pesce e a lungo andare potrebbero causare una diminuzione del pesce azzurro
presente nel nostro mare. Nutrendosi anche dei predatori delle alghe, inoltre,
potrebbero paradossalmente favorirne uno sviluppo massivo». Quanto alle alghe
tossiche, invece, nel nostro Golfo ce ne sono due, di specie sotto osservazione:
una è la Dinophysis, che produce una tossina che si accumula nei mitili,
divoratori di questa microalga, che se mangiati possono causare all'uomo
problemi gastrointestinali. «La presenza di questa microalga è limitata ad
alcuni periodi dell'anno - racconta Del Negro - ma nel tempo ha messo in
ginocchio la miticoltura, perché obbliga a sospendere la raccolta e la
commercializzazione dei mitili per mesi».L'altra microalga sotto osservazione è
la Ostreopsis Ovata, che produce una tossina che nell'uomo può causare problemi
respiratori. Ma non c'è da allarmarsi, perché finora non ha mai raggiunto
concentrazioni tali da rappresentare un rischio per la salute pubblica.
Giulia Basso
Osservatorio sull’economia del mare - Progetto della Regione con fondi Ue per la creazione di un polo tecnico-professionale
TRIESTE - Analizzare le nuove esigenze delle imprese dell’economia del mare per impostare percorsi di orientamento, formazione e apprendistato capaci di proiettare i giovani lavoratori nella transizione epocale dell’industria 4.0. Con questo obiettivo la Regione Friuli Venezia Giulia darà vita all’Osservatorio sui fabbisogni del comparto, creato grazie a un finanziamento europeo di 300mila euro e inserito nel Polo tecnico-professionale dell’economia del mare del Fvg, che interessa oggi cantieristica, nautica da diporto, produzioni offshore, trasporti marittimi e logistica. All’iniziativa parteciperanno Maritime technology cluster, Associazione piccole e medie industrie, Ires Fvg e Confindustria. Come spiegato dall’assessore al Lavoro, Loredana Panariti, «l’iniziativa ha l’obiettivo di rilevare e analizzare le necessità formative e occupazionali delle imprese di questa filiera, strategica per lo sviluppo del territorio». L’osservatorio lavorerà con i soggetti pubblici e privati interessati allo sviluppo di percorsi di formazione che possano preparare a mestieri che oggi esistono solo a livello teorico e che la rivoluzione produttiva in atto renderà invece indispensabili. Saranno coinvolte scuole, enti di formazione e imprese, di cui si analizzeranno fatturati, competenze richieste e disponibilità a ospitare esperienze di alternanza scuola-lavoro. «Lo scopo è la riprogettazione della formazione», ha concluso Panariti. In Fvg si rafforza dunque la creazione di un sistema di istruzione e formazione ad alta specializzazione professionale e tecnologica in un'ottica di rete che intensifichi i rapporti tra sistema di formazione e realtà produttive, aumentando la possibilità degli studenti di trovare un lavoro adatto al proprio profilo. L’indagine riguarderà anche le imprese che partecipano indirettamente all’economia del mare, come ad esempio le aziende friulane dell’impiantistica e degli allestimenti. Verranno inoltre realizzate azioni di orientamento per favorire la conoscenza delle filiere produttive e delle professioni del comparto, l’alternanza scuola lavoro, la certificazione delle competenze, nonché la revisione e integrazione dell'offerta scolastica e formativa.
(d.d.a.)
COMUNICATO STAMPA - GIOVEDI', 9 novembre 2017
CAMBIAMENTO CLIMATICO E ATTIVAZIONE SOCIALE. SERENA
PELLEGRINO (SINISTRA ITALIANA): PARTE IN ITALIA, IN CONTEMPORANEA A COP 23, #CLIMATECHANGINME.
I CITTADINI DEVONO ESSERE COINVOLTI NELLA LOTTA AL CAMBIAMENTO CLIMATICO,
LA POLITICA DEVE PUNTARE AL CUORE DEL PROBLEMA, CIOE' IL FALLIMENTARE SISTEMA
FONDATO SUL BUSINESS E NON SULLA VERA ECONOMIA, NORMA DELLA CASA COMUNE.
CONFERENZA STAMPA A MONTECITORIO CON ASSOCIAZIONE “A SUD”.
“Di fronte alla crisi dell’impegno e della coerenza in materia ambientale
dei partiti storici e mentre subiamo la crescente pressione del cambiamento
climatico, i corpi intermedi ed il loro impegno si rivelano importantissimi, né
è prova il fatto che le associazioni ambientaliste danno molto fastidio, devono
compiere tra mille ostacoli un lavoro enorme per diffondere le notizie mentre la
grande stampa, collegata come sappiamo solo ad alcuni nomi e cognomi, non fa
passare le informazioni. In particolare, l’apparato mediatico ufficiale non dice che il parlamento ha una
committenza, cioè il popolo, ed il Governo ne ha un’altra, cioè il potere
economico e le lobbies, e che quanto più un governo è forte tanto più è oggetto
di concrete interferenze da parte delle multinazionali. Destabilizzare l’
architettura istituzionale, affermando in maniera demagogica che le relative
articolazioni e livelli di rappresentanza sono brutti e cattivi, è un regalo
inestimabile a chi governa il mercato globale, quello che gestisce il business
in rotta di collisione con la norma della casa comune, cioè la reale economia
del pianeta, fondata sulle leggi ecosistemiche. La lotta al cambiamento
climatico non può prescindere da queste consapevolezze.”
L’ha dichiarato la parlamentare Serena Pellegrino presentando oggi in conferenza
stampa alla Camera dei Deputati, assieme all’on Mirko Busto ( M5S), in
contemporanea all’analoga iniziativa di COP23 a Bonn, la campagna internazionale
#ClimateChangingMe, promossa in Italia dall'Associazione A Sud che ha realizzato
anche l’istant-book intitolato "Trova le Differenze. L'Italia tra il dire e il
fare nella lotta ai cambiamenti climatici", disponibile on line.
“Lo scopo di azioni come queste, definite oggi di attivazione sociale, che
abbiamo convintamente voluto promuovere dalla sede parlamentare, è pienamente
condivisibile ed è enorme l’urgenza di realizzarle. Il tema del cambiamento
climatico è lontano dalle persone , è percepito come troppo tecnico, materia da
scienziati: invece bisogna rendere tutti consapevoli di quanto la crisi
climatica sia purtroppo assolutamente democratica e coinvolga senza sconti ogni
essere vivente sul pianeta, dobbiamo far riflettere sull’esperienza diretta che
ognuno di noi quotidianamente affronta per gestire le conseguenze del
cambiamento climatico, e soprattutto renderci individualmente partecipi sia
delle azioni e dei progetti a contrasto dei diversi fenomeni, sia dei processi
decisionali che devono risalire fino al cuore del problema, cioè la
trasformazione del modello economico che è la causa principale della crisi del
pianeta.“
IL PICCOLO - GIOVEDI', 9 novembre 2017
Via libera al laminatoio bis della Ferriera - La Regione dà l'ok al piano per l'impianto di decapaggio. Il comitato 5 Dicembre: «Prima bisogna chiudere l'area a caldo»
La Regione da il via libera al progetto per l'impianto di decapaggio della Ferriera di Servola. La struttura rientra nel disegno di ampliamento del laminatoio, quindi della parte a freddo dell'impianto, presentato da Siderurgica triestina e ora al vaglio delle istituzioni. La scelta della Regione suscita la riprovazione del comitato 5 Dicembre, che stigmatizza la scelta di dare il via libera «prima di aver garantito la chiusura dell'area a caldo». La Commissione regionale tecnico consultiva di valutazione di impatto ambientale si è riunita ieri a Trieste, fa sapere la Regione, e «ha espresso parere favorevole con due prescrizioni». Lo screening di Via (valutazione di impatto ambientale) è stato avviato in relazione alla collocazione urbana della ferriera dopo che Siderurgica Triestina aveva presentato istanza al ministero dell'Ambiente per ampliare il capannone dove si svolge l'attività a freddo e inserirvi un impianto di decapaggio. Il decapaggio è un'operazione effettuata attraverso degli agenti chimici, che abradono la parte superficiale del metallo, rendendola porosa e quindi adatta ad essere ricoperta con un altro metallo. Il direttore generale della direzione regionale Ambiente ed Energia ha firmato ieri il decreto con il quale il parere favorevole viene trasmesso al ministero dell'Ambiente. La Commissione ha verificato che «non sussistono problemi di impatto», afferma la Regione, «ma ha comunque indicato prescrizioni per il rumore e per gli scarichi»: «L'impatto acustico dell'impianto di decapaggio dovrà essere verificato al termine del piano di risanamento del rumore già previsto per l'insediamento industriale, così da verificare che la sua incidenza sia contenuta. Anche gli scarichi di cloruri, secondo prescrizione, andranno monitorati». Aggiunge ancora l'ente regionale: «Alla Commissione non sono pervenute indicazioni dal Comune di Trieste in merito agli interventi oggetto della riunione di ieri». L'azienda prende atto della notizia e attende l'invio ufficiale del documento prima di commentare la scelta della Regione. Commenta il comitato 5 Dicembre: «Assurdo che la Regione autorizzi nuove parti d'impianto prima di aver verificato che i lavori fatti sull'area a caldo portino a migliorie sostanziali». E ancora: «Il Comune continua ad essere nei fatti assente disattendendo tutte le promesse fatte, a dimostrazione del suo allineamento con la linea della Serracchiani». Conclude il comitato: «L'ampliamento del laminatoio avrebbe dovuto essere autorizzato dopo aver fissato la data di chiusura dell'area a caldo. Ricordiamo infine che la costruzione del capannone è oggetto di indagine da parte della magistratura».
Giovanni Tomasin
La Lista Dipiazza replica all’opposizione «Il Pd permette alla fabbrica di inquinare»
La Lista Dipiazza replica al centrosinistra sul tema Ferriera, dopo che il Pd aveva attaccato i «bluff» del sindaco: «I consiglieri del Pd hanno perso un'altra occasiona buone per tacere. Probabilmente l'ultima batosta elettorale siciliana, in ordine di tempo, ha annebbiato la mente facendo scordare loro che sono gli unici protagonisti del problema Ferriera e facendoli cadere nel qualunquismo». Lo si legge in un comunicato firmato dal capogruppo Vincenzo Rescigno. «Il Pd ormai privo di contenuti oltre a scadere nel dileggio, con il più becero del qualunquismo e con la spocchia di sempre, cavalca la giusta insofferenza e rabbia dei cittadini verso la Ferriera che, è bene ricordarlo, il Pd ha deciso di portare avanti dopo che nel 2012 era stata decisa da tutti la chiusura. Non contenti di questo il Pd ha sottoscritto accordi di programma e rilasciato un'Aia allo stabilimento che permette alla Ferriera di agire al di fuori della normale normativa ambientale, intossicando la qualità di vita dei cittadini».
Tesoretto da un milione per Porto vecchio - Passerà
dalla Prefettura al Comune. Russo: «Va usato per creare la società di scopo». Ma
Dipiazza pensa al futuro di Esof
Rispunta un tesoretto da un milione di euro per il Porto vecchio.
Attualmente è in mano alla Prefettura e finirà nelle casse del Comune: i
particolari verranno discussi in un incontro che si terrà domani in piazza Unità
fra i due enti. I soldi sono quelli che il senatore dem Francesco Russo recuperò
tempo addietro nelle pieghe di una finanziaria. Come verranno impiegati? Lo
stesso Russo predilige l'idea che vadano a costituire la base per la società
incaricata di gestire il recupero dell'antica area portuale. Secondo il sindaco
Roberto Dipiazza, però, «la costituzione della società non è fonte di
preoccupazione» e sarà meglio impiegare il milione per porre le basi del
progetto di Trieste Capitale europea della Scienza - Esof 2020. È un aspetto,
quest'ultimo, su cui il Comune si sta mobilitando proprio in questi giorni, con
un'indagine preliminare di mercato da completare entro l'anno: l'obiettivo è
trovare un partner interessato a partecipare al progetto di edificazione del
centro congressi necessario a ospitare l'evento, e che sia interessato poi a
gestirlo nella fase post-Esof. Commenta il sindaco Dipiazza: «Non mi preoccupa
dover finanziare la società. Se possibile, preferiremmo traslocare questo
milione alla Capitale europea della Scienza. Si tratta di un progetto da dieci
milioni, per cui anche qualsiasi contributo è il benvenuto». Dipiazza si
riferisce all'idea, già presentata nei mesi scorsi, di realizzare un doppio
centro congressi nei magazzini prossimi alla centrale idrodinamica: «L'evento
della Città della Scienza è importante ma è necessario che resti qualcosa per la
città anche dopo. Secondo noi il centro congressi potrebbe rispondere a questa
esigenza e il milione farebbe comodo. Il nostro piano A è ampio, se poi non sarà
possibile realizzarlo abbiamo già pronto un piano B». I soldi verranno affidati
al Comune ed è all'ente locale che spetterà decidere che farne di preciso,
purché resti in ambito di Porto vecchio. Il senatore Russo, però, è l'uomo che i
soldi li ha raggranellati: «Vengono dalla legge di bilancio di due anni fa,
furono destinati con un decreto apposito. L'intento con cui sono stati destinati
è la creazione della start up della società pubblica di gestione del Porto
vecchio». L'indicazione di gestire l'operazione attraverso uno strumento del
genere, prosegue il parlamentare, provenne a suo tempo dal presidente
dell'Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone: «Ottimizza la
possibilità di gestione con strumenti manageriali più raffinati - dice Russo -,
ed evita al Comune di essere travolto da una partita che è politica ma anche
molto tecnica». L'ipotesi a cui si sta lavorando, dice Russo, è «una società
molto snella, con un manager di grande esperienza internazionale, che avrà
l'opportunità di raccontare l'area in giro per il mondo e costruire il bando in
modo da renderlo potabile alle forme di interesse che si sono manifestate».
L'idea, conclude, «è andare un po' a copiare quel che hanno fatto le zone di
rigenerazione urbana simili alla nostra in altri paesi».
Giovanni Tomasin
Natura - "Salviamo le nutrie", incontro a Muggia
Domani pomeriggio alle 18.30, al Caffè teatro Verdi di Muggia, incontro sul
tema delle nutrie. L'incontro ha come scopo quello di far conoscere questo
animale, i motivi per cui si trova qui, le sue abitudini, le sue peculiarità e
il perché si è trovato sotto le luci della ribalta a causa di una legge che
prevede, se venisse approvata, la sua completa eradicazione tramite metodi
cruenti. Il programma della serata prevede - alle 18.30 - la proiezione del
documentario "The invasion, a coypumentary" della Silos production. Alle 19.30
seguirà l' introduzione del biologo Sergio Dolce sul territorio del Rio Ospo e
dei laghetti delle Noghere. Si proseguirà con l'intervento del biologo Samuele
Venturini, che negli ultimi anni si è occupato dello studio delle nutrie e delle
possibili soluzioni alternative all'abbattimento. Già in altre zone, come Torino
e Perugia, si è deciso di intervenire in maniera non violenta, e di controllare
le colonie di animali presenti sul territorio. In particolare, nella zona del
rio Ospo, da anni vive una colonia di nutrie, che non si è mai diffusa più di
tanto, e salvo rari casi (mai veramente accertati), non ha mai arrecato danni a
argini o a colture contigue. La serata è organizzata in collaborazione con
l'Associazione vegetariani e vegani di Muggia. Ingresso libero e aperto a tutti.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 8 novembre 2017
Il gruppo Pd attacca i bluff di Dipiazza sulla Ferriera
«Tutti stanno scaricando il sindaco Dipiazza perché si sono accorti di
quanto noi avevamo detto sin dall'inizio: le sue erano false promesse, un bluff
giocato sulla pelle dei lavoratori, degli abitanti di Servola e dei triestini».
È l'affondo sferrato dai consiglieri comunali del Partito democratico di
Trieste, all'indomani della dura presa di distanza ufficializzata dal Comitato 5
dicembre nei confronti di Roberto Dipiazza, accusato dal gruppo di cittadini No
Ferriera di aver fatto disatteso completamente gli annunci fatti in periodo
elettorale. «Un punto, questo, che ci differenzia nettamente dall'attuale giunta
- proseguono gli eletti dem -. Noi, durante l'amministrazione Cosolini, abbiamo
governato in modo serio e responsabile, senza mai vendere fumo alla gente: forse
lo abbiamo pagato in termini elettorali?». Il problema, proseguono gli esponenti
della forza dell'opposizione, è l'atavica tendenza a strumentalizzare lo
stabilimento siderurgico di Servola. «Purtroppo la Ferriera è stata sfruttata
come merce elettorale troppe volte nella storia della nostra città - prosegue il
gruppo Pd -. Il sindaco Dipiazza lo ha fatto tante volte, promettendo risultati
irraggiungibili. Molti cittadini componenti dei comitati gli hanno creduto. Ora
comprendiamo - continuano i consiglieri comunali - che il tradimento di un finto
alleato bruci. Lo stesso Comitato oggi dice che sarebbe stato meglio avere a che
fare con un avversario schietto piuttosto che con un falso amico». Un assist
vero e proprio, quello del Comitato, che l'opposizione sfrutta quindi a pieno.
«Non ci stancheremo mai di ribadirlo - concludono i consiglieri democratici:
sulla Ferriera serve un progetto serio che coniughi salute, ambiente e lavoro.
Noi lo abbiamo cercato e voluto con forza, senza illudere le persone. Dobbiamo
contenere l'impatto ambientale e garantire che tutti gli standard siano
scrupolosamente rispettati, ma allo stesso tempo è indispensabile mantenere i
livelli occupazionali. Trieste non può permettersi un sindaco che fa il finto
tonto».
Nuova rete fognaria a Noghere e Crociata - Lavori per
otto mesi - Via all'estensione degli impianti oggi in uso a San Dorligo - Opera
da 1,2 milioni. Disagi ridotti allo stretto necessario
SAN DORLIGO DELLA VALLE - Partirà entro questo mese il cantiere
dell'AcegasApsAmga che porterà, entro la prossima estate, all'estensione della
rete fognaria di San Dorligo della Valle, fino a comprendere anche le zone di
Noghere e Crociata. I reflui potranno così confluire al depuratore di Zaule,
permettendo la dismissione di quello di Prebenico, con un deciso miglioramento
degli standard ambientali. L'allacciamento sarà obbligatorio per le utenze
interessate da quest'intervento. Le abitazioni ubicate in prossimità della
condotta fognaria sono in tutto una trentina. I lavori, che comporteranno un
investimento complessivo di circa un milione e 200mila euro, sono inseriti nel
più ampio contesto del nuovo progetto generale di razionalizzazione del sistema
fognario a servizio del comprensorio comunale di San Dorligo della Valle.Il
progetto permetterà di completare il collegamento tra questo sistema e quello
triestino, che fa riferimento al depuratore di Zaule. «Tale passaggio risulta
fondamentale - spiega un comunicato dell'AcegasApsAmga - perché permetterà di
mandare in pensione il piccolo depuratore di Prebenico che, pur essendo a norma,
in termini di trattamento presenta concrete difficoltà gestionali. Si tratta di
un'opportunità di riqualificazione urbana - continua il testo - che è uno degli
obiettivi del progetto di realizzazione di una nuova condotta fognaria». Il
progetto è stato presentato alla cittadinanza nel corso di una pubblica
assemblea, svoltasi a Caresana: partirà dalla località Noghere e proseguirà
lungo la strada provinciale 13 in direzione di Crociata. L'AcegasApsAmga e
l'amministrazione comunale di San Dorligo lavoreranno d'intesa per programmare
un cantiere capace di garantire il miglior scorrimento possibile del traffico.
Si stima che gli interventi di allaccio delle abitazioni alla fognatura
avverranno a Noghere entro il mese di giugno, mentre a Crociata il cantiere si
chiuderà il mese successivo. Eventuali variazioni nelle tempistiche saranno
condivise con l'amministrazione e comunicate alla popolazione residente.
Entrando nel dettaglio, in corrispondenza di ogni civico coinvolto,
l'AcegasApsAmga realizzerà il cosiddetto "pozzetto d'ispezione", un punto di
consegna, sul limite della proprietà privata, a cui dovranno allacciarsi gli
impianti privati delle abitazioni. Per la realizzazione di tale allacciamento
non sarà richiesto alcun onere ai cittadini. Una volta realizzato il pozzetto
d'ispezione, ogni utenza dovrà invece provvedere all'esecuzione degli eventuali
interventi impiantistici ed edili sull'area privata necessari per adeguare lo
scarico, deviandolo fino al pozzetto realizzato al confine della proprietà. Una
volta terminati i lavori e prima dell'attivazione dell'allacciamento, i
cittadini dovranno richiedere alla stessa AcegasApsAmga il rilascio del nulla
osta allo scarico, per il quale sarà richiesto il pagamento di 113 euro. Le
opere saranno realizzate sotto terra, quindi non incideranno sull'aspetto
paesaggistico. I lavori saranno inoltre realizzati prevalentemente su area
stradale. Non si prevedono inquinamenti e disagi e anche le limitazioni al
traffico saranno ridotte all'essenziale.
Ugo Salvini
Venezia dice stop alle grandi navi - Basta passaggi
davanti a San Marco, approdi a Marghera
VENEZIA - Basta "inchini" dei giganti del mare davanti a San Marco. Le
grandi navi da crociera dovranno dire addio al passaggio scenografico di fronte
al centro storico di Venezia, e ripiegare su un approdo meno glamour a Marghera.
Lo ha deciso a Roma il "Comitatone" interministeriale per Venezia, dopo 6 anni
di discussioni. L'annuncio è giunto dal ministro dei Trasporti Graziano Delrio.
Nell'arco di 3-4 anni - ha spiegato - andranno a Marghera tutte le navi oltre le
55mila tonnellate di stazza. Dopo le rotte alternative bocciate nel tempo, la
soluzione presa dal Governo, e condivisa da Comune e Regione Veneto, è quella
proposta dall'Autorità Portuale: le grandi navi non entreranno più dalla bocca
di Porto del Lido passando in bacino san Marco e nel canale della Giudecca, ma
lo faranno dalla bocca di Porto di Malamocco e, lungo il canale dei Petroli, si
fermeranno a Marghera. Per il sottosegretario Baretta è «un punto di equilibrio
tra tutela ambientale, sviluppo territoriale e attività imprenditoriale». Le
navi extra-lusso, di categoria più piccola e "green" continueranno a arrivare
alla Marittima. L'indirizzo del Comitatone è bocciato da ambientalisti e
movimento "No Grandi navi-laguna bene comune" come la «peggiore soluzione
possibile».
Il mare restituisce 100 anni dopo i segreti della
corazzata "Wien"
Archeologi subacquei riporteranno in superficie i resti della nave
austroungarica affondata il 10 dicembre 1917 da due motoscafi italiani nella
baia di Muggia
TRIESTE - Un pezzo di storia di Trieste si prepara a riemergere dal mare,
sotto la superficie dell'acqua del canale navigabile. Nei prossimi giorni
verranno riportati a galla alcuni dei resti della nave da battaglia della classe
Monarch della Marina militare dell'impero austroungarico, la corazzata Wien,
affondata nella notte del 10 dicembre 1917, mentre si trovava nella baia di
Muggia. A quasi un secolo di distanza, quindi, si riapre un capitolo che nel
tempo è stato oggetto di interesse da parte di storici, archeologi e semplici
curiosi. Dagli anni '50 il relitto è stato più volte oggetto di spedizioni
organizzate per prelevare ciò che era rimasto. Poi per lungo tempo è stato
dimenticato e lasciato nell'oblio dell'acqua torbida dove lentamente si è
deteriorata. Qualche anno fa è stato individuato nuovamente il punto esatto dove
è rimasta adagiata, ormai quasi sepolta dal fango, con l'idea di conservare
ancora qualche frammento, a testimonianza di un episodio che ha segnato la
storia della città. A breve quindi si procederà con il "salvataggio" di alcuni
elementi, che poi faranno parte di un'ampia mostra, in programma a dicembre.
L'operazione di recupero si svolgerà nei prossimi giorni nello specchio d'acqua
antistante Muggia, e sarà condotta dall'archeologa subacquea Rita Auriemma,
direttore del Servizio catalogazione, formazione e ricerca dell'Erpac-Ente
regionale per il Patrimonio culturale della Regione Friuli Venezia Giulia, sotto
la direzione scientifica della di Paola Ventura, funzionario archeologo della
Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia e
grazie alla collaborazione del nucleo Sommozzatori del Corpo dei vigili del
fuoco e della Capitaneria di Porto di Trieste. La nave da battaglia era stata
varata nel 1895 e classificata come unità da difesa costiera. Nell'agosto del
1917, assieme alla gemella Budapest, era stata assegnata a Trieste. Il 6
novembre aveva attaccato la batteria costiera italiana di Cortellazzo, alle foci
del Piave, azione che aveva convinto i comandi italiani a neutralizzare
definitivamente sia il Wien sia il Budapest. Il compito era stato quindi
affidato al sottotenente di vascello Luigi Rizzo, che la sera del 10 dicembre
era partito al comando di due motoscafi Mas, il Mas 9 e il Mas 13, con
l'obiettivo di colpire le due navi austriache, ancorate nel Vallone di Muggia e
di eliminarle. Durante la notte, superata la diga ed elusa la sorveglianza
armata, era riuscito a oltrepassare il varco e attaccare nell'oscurità le navi
alla fonda, con due siluri lanciati contro il Wien e altrettanti contro il
Budapest. Solo i primi colpi erano andati a segno e la corazzata Wien affondò in
appena cinque minuti, portando con sè 33 uomini d'equipaggio, mentre i naufraghi
sopravvissuti con difficoltà avevano guadagnato la riva nuotando nel buio. Sono
molti i triestini a ricordare quel naufragio, in particolare i parenti di chi
all'epoca era a bordo, si è salvato e ha poi ha tramandato i racconti di un
disastro improvviso. Nel 1925 sono stati recuperati dal relitto lo sperone di
prua e il frammento della poppa con il nome della corazzata, il primo è stato
regalato a D'Annunzio per il suo Vittoriale, mentre l'altro si trova oggi al
Museo Storico navale di Venezia. Nel decennale dell'azione, nel 1927, lo stesso
Luigi Rizzo indossò lo scafandro da palombaro e scese sul relitto della nave che
aveva affondato. La demolizione della corazzata è proseguita poi nel tempo a
fasi alterne, con l'impiego dei palombari fino ai primi anni '50. Oggi gli
ultimi resti rimangono sui fondali, a circa 20 metri di profondità, dove si
preparano a essere riportati sulla terra ferma, prima delle operazioni di
pulizia e sistemazione, per esporli al pubblico. L'intervento infatti mira alla
valorizzazione di un patrimonio storico definito di grande valore, e i frammenti
erratici che verranno recuperati saranno restaurati e faranno parte della mostra
"Nel mare dell'intimità. L'archeologia subacquea racconta la storia
dell'Adriatico", che sarà allestita al Salone degli Incanti dal 17 dicembre al 1
maggio 2018, organizzata dall'Erpac-Servizio di catalogazione, formazione e
ricerca e dal Comune di Trieste, in collaborazione con la Soprintendenza
Archeologia, Belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia, il Polo museale
del Friuli Venezia Giulia, e oltre sessanta partner italiani e internazionali.
La mostra gode del patrocinio del Mibact, dei ministeri della Cultura e del
Turismo croati, del ministero della Cultura Sloveno e di Promoturismo Fvg
(www.nelmaredellintimita.it).
Micol Brusaferro
IL PICCOLO - MARTEDI', 7 novembre 2017
Rottura definitiva tra i No Ferriera e Dipiazza -
Attacco frontale del Comitato 5 dicembre: «Si è rivelato un falso alleato che
non mantiene la parola»
«Sulla Ferriera, Dipiazza non racconta la verità e quindi non può incontrare
i cittadini per un confronto pubblico». Il Comitato 5 dicembre prende
ufficialmente le distanze dal sindaco, considerato inadempiente rispetto agli
impegni presi in passato. «Cosolini si confrontò con la cittadinanza sul destino
di Servola - osservano in una nota i portavoce del comitato -. Dipiazza ora non
può farlo perché sta tradendo completamente la promessa fatta agli suoi elettori
di intraprendere subito tutte le azioni necessarie per far chiudere l'area a
caldo della Ferriera. Purtroppo, dopo aver annunciato nei primi mesi successivi
alla sua elezione l'avvio di azioni politiche e legali nei confronti
dell'azienda, il sindaco ha sospeso ogni iniziativa, a dimostrazione del fatto
che si trattava di impegni di facciata privi della reale volontà di inchiodare
alle proprie responsabilità Arvedi e la Regione».«Dipiazza si tiene stretta la
delega alla Ferriera - prosegue il Comitato -. E lo fa perché la sua reale
intenzione è tenere tutto fermo. Vuole fare in modo che le migliaia di cittadini
scese in piazza finiscano per demoralizzarsi, smettendo di tenere alta
l'attenzione sul tema Ferriera». Di qui la pesante accusa di immobilismo mossa
nei confronti dell'amministrazione comunale. «Dipiazza - continua il 5 dicembre
- detesta dover rendere conto alla città di quello che fa: un atteggiamento che
si vede anche su altre questioni come il tram o i richiedenti asilo. Anche il
tavolo con noi e le altre associazioni si è rivelato una mossa di facciata.
All'inizio Dipiazza credeva che avrebbe potuto raccontarci quello che voleva ma
quando ha capito che noi cittadini non potevamo essere controllati ma, al
contrario, volevamo vederci chiaro e controllare che il Comune agisse, ha
cominciato a tagliarci fuori». Inevitabile, a questo punto, il "divorzio" dalla
giunta municipale. «Noi continueremo ad auto-organizzarci tra cittadini,
prendendo ogni distanza possibile da un sindaco che, viste le tante promesse non
mantenute, dovrebbe dimettersi. Cosa che però, non essendo una persona di
parola, di certo non farà. Spera di far calare il silenzio sulla Ferriera e poi,
con calma quando il problema si risolverà fisiologicamente o per merito di
altri, tenterò di attribuirsi meriti inesistenti. Cosolini fu un avversario
dichiarato - conclude la nota. Dipiazza un falso alleato, il che è peggio».
Onu, il 2017 sarà l'anno più caldo di sempre -
L'allarme alla conferenza di Berlino: «Ma dopo l'uscita degli Usa gli accordi di
Parigi non sono a rischio»
ROMA - Il 2017 sarà molto probabilmente uno dei tre anni più caldi di
sempre. Il dato, emerso da uno studio dell'Organizzazione metereologica
mondiale, fa da monito all'apertura dei lavori della conferenza mondiale delle
Nazioni Unite sul clima a Bonn. E la responsabile del segretariato dell'Onu
Patricia Espinosa ha spronato presenti e non: «Adesso dobbiamo agire». L'accordo
di Parigi va mantenuto e rispettato, ha aggiunto Frank Bainimarama, premier
delle isole Fiji, che presiedono il vertice, ospitato solo tecnicamente dalla
Germania. Il summit è ritenuto in effetti decisivo per puntellare l'accordo di
Parigi e procedere verso i regolamenti per attuarlo, dopo la clamorosa decisione
di Washington di uscirne. Il temuto «effetto domino», però, non c'è stato: Usa e
Siria sono gli unici paesi delle Nazioni unite a essersi chiamate fuori
dall'intesa. E anche sugli Stati Uniti la speranza di un ripensamento rispetto
al passo indietro non è affatto sepolta: tecnicamente, come è noto, non potranno
uscirne prima del 2020, c'è tempo, e tante cose possono ancora accadere, ha
affermato la ministra tedesca dell'Ambiente, Barbara Hendricks. La Germania
intanto, attraverso la delegata del governo Merkel, ha annunciato di voler
stanziare altri 50 milioni di euro per le isole a rischio: ne aveva già
destinati 190 al fondo concepito per questa emergenza. E da Berlino arriva anche
la volontà di diminuire le emissioni del 40% rispetto al 1990, entro il 2020.
Mentre circa 25 mila persone, provenienti da 195 Paesi del mondo, prendono parte
al cosiddetto Cop23 (23/ima Conferenza delle parti) nella ex capitale, a Berlino
l'allarme sul clima crea un chiaro rimbombo sulle trattative in corso fra Unione
Liberali e Verdi per formare un eventuale governo dai colori Giamaica. L'Fdp ha
sempre detto di riconoscersi negli obiettivi di Parigi, ma pur volendo
rispettare gli obiettivi posti per il 2030 e quelli per il 2050, vorrebbe
rallentare le politiche per gli obiettivi del 2020. I Verdi, dall'altro lato,
non demordono: «Il clima va tutelato, altrimenti i colloqui termineranno
velocemente», ha ribattuto la Verde Simone Peter. Ma anche Angela Merkel ha a
cuore le politiche sul clima: è stata lei a evitare contagi, al G20 di Amburgo,
isolando gli Usa sulla scelta di Parigi.
SLOWFOOD.it - MARTEDI', 7 novembre 2017
«Un miliardo di rifugiati climatici entro il 2050»
«Il cambiamento climatico è già una realtà, purtroppo. Possiamo ancora – se ci daremo da fare molto velocemente – limitare i danni, ma gli effetti del riscaldamento globale sono già visibilissimi. Basti pensare, guardando a casa nostra, all’alternarsi di siccità e bombe d’acqua; lo vediamo – e lo vedremo sempre più spesso – nel boom dei fenomeni migratori legati al cambiamento climatico o ai suoi effetti»
Resta alta l’attenzione dei media per le conseguenze del
clima che cambia. Per fortuna a parlarne siamo in buona compagnia come dimostra
questo articolo a cura di Roberto Giovannini uscito ieri su La Stampa. Vogliamo
riprenderlo perché pone l’accento su una delle conseguenze forse più
sottovalutate, o comunque volutamente ignorate da chi condanna e chiude ai
flussi migratori senza se e senza ma per il proprio tornaconto politico.
Purtroppo tra i danni causati dalla scelta occidentale di un modello che tende
alla crescita infinita senza nessuna riflessione sulle conseguenze, c’è anche il
dramma di chi è costretto ad abbandonare casa proprio a causa dei gravi disastri
causati dal riscaldamento globale. «Tra gennaio e settembre del 2017, si legge
in un rapporto di Oxfam International, ben 15 milioni di persone hanno dovuto
abbandonare le loro case per fuggire un evento meteo estremo: di questi, in 14
milioni provenivano da Paesi a basso reddito. Tra il 2008 e il 2016, in media, i
rifugiati climatici sono stati 21,8 milioni l’anno. Tra i Paesi più colpiti il
Bangladesh, l’India e il Nepal, che lo scorso agosto hanno subìto rovinose
inondazioni, che hanno colpito 43 milioni di persone e prodotto oltre 1200
vittime. Ma anche le piccole isole del Pacifico, con i cicloni Pape e Winston
del 2015, che nelle Isole Fiji hanno messo in fuga 55 mila persone, e ridotto
del 20% il prodotto interno lordo nazionale. » scrive Giovannini che tra le sue
fonti cita il rapporto di Lancet Countdown che parla di un miliardo di rifugiati
climatici entro il 2050 e il documento con cui il ministero della Salute
italiano ha preparato il G7 dei ministri della Salute che si è aperto il 5
novembre a Milano. «Ci sono alternative a questo futuro così inquietante?» si
chiede Giovannini che risponde mettendo in evidenza le risposte della scienza
(leggi qui l’articolo completo), sì rispondiamo anche noi se tutti ci mettiamo
d’impegno nel nostro quotidiano – riducendo gli sprechi inanzitutto, consumando
meno carne, scegliendo produzioni artigianali e privilegiando varietà locali – e
se lavoriamo per avviare e rafforzare quelle economie resilienti che da sempre
Slow Food sostiene. Ecco come ci stiamo impegnando nella lotta al cambiamento
climatico, aiutaci anche tu, dona ora.
Roberto Giovannini, «Un miliardo di rifugiati climatici entro il 2050», La
Stampa del 6 novembre 2017
IL PICCOLO - LUNEDI', 6 novembre 2017
ROMANIA - L'antica foresta tutelata dall'Unesco sparita
nel nulla - La "mafia dei boschi" ha tagliato e prelevato alberi di valore
radendo al suolo un'area protetta di più di cinquanta ettari
LE ZONE GREEN - Le riserve occupano il 5% del Paese - Le aree protette
della Romania occupano 1.234.710 ettari pari al 5,18% del territorio. Sono
distinte in parchi nazionali e naturali, riserve scientifiche e naturali,
monumenti naturali, riserve della biosfera e siti Ramsar - LA FAUNA - Lupi,
orsi, falchi sacri e grandi rapaci - La natura della Romania è una delle più
incontaminate d'Europa. Nelle sue foreste domina la vita selvatica: lupi, linci,
orsi, cervi, volpi, cinghiali e camosci, ma anche molti uccelli come falchi
sacri e grandi rapaci - IL PARCO - Canyon mozzafiato e faggi storici - Il parco
di Semenic Cheile Carasului, nei Carpazi meridionali, ospita una delle faggete
più belle d'Europa. Punto privilegiato di partenza per gli escursionisti che
vogliono raggiungere le gole di Carasului è il paese di Semenic
BELGRADO - Immaginate un celebre e imponente parco nazionale, creato in una delle aree montuose più affascinanti e delicate del Paese, nei Carpazi meridionali, area protetta fin dal 1982. Ora figuratevi una delle cime dei monti del parco, coperta da una fitta foresta di alti e antichi faggi. Poi, chiudete gli occhi, riapriteli e un bosco assai vasto, di almeno cinquanta ettari, non c'è più. Scomparso nel nulla. Sembra impossibile, ma è quanto accaduto in Romania, nel parco nazionale Semenic-Cheile Carasului, nella parte occidentale del Paese, non lontano dal Danubio e dalla frontiera con la Serbia. A denunciare il caso è stato un video postato di recente su YouTube, girato con un drone, che mostra un'ampia porzione del parco completamente spoglia, rasata a zero. Video che ha raggiunto diffusione nazionale, creando scandalo, dopo essere stato ripreso dalla Tv Digi24, che ha dato ampio risalto al caso. Ricordando che Semenic è un vero gioiello, custode di una delle più grandi foreste vergini di faggio in Europa, quasi 5mila ettari inclusi nella lista dei patrimoni dell'Unesco solo la scorsa estate. Ma cosa è successo, a Semenic? Quello che da decenni avviene in tutto il Paese, in parchi naturali e non: disboscamento selvaggio da parte di ignoti. Arrivati nel parco con seghe elettriche e camion, tagliano e portano via alberi di grande valore. Disboscamento che, nel caso di Semenic, ha spinto il governo romeno a promettere azioni rapide e rigorose per affrontare il grave problema, facilitato anche dall'inazione delle autorità preposte alla salvaguardia del territorio. Manca infatti ancora, ha denunciato Digi24, «un piano per limitare il taglio degli alberi» nel parco. Concorda Corneliu Sturza, attivista del gruppo ecologico Gea Nera, sottolineando che «abbiamo chiesto al ministero» dell'Ambiente di fare i conti con la questione «ben tredici anni fa». Qualche colpa ce l'avrebbe anche l'amministrazione della zona protetta, che non avrebbe «mai trasmesso il piano di management» al ministero, hanno scritto i media locali citando il dicastero dell'Ambiente di Bucarest. Denunce corroborate in televisione dalla Guardia forestale di Timisoara, che ha confermato di non poter far nulla in assenza di un piano di management del parco, limitandosi a «mettere a dimora» nuove piante per colmare i grandi vuoti causati dalla deforestazione. E il problema della «mafia dei boschi», così l'hanno definita alcuni media di Bucarest, è tutt'altro che inedito, come attestano le denunce estive di gruppi ambientalisti. Che proprio a Semenic avevano individuato altri "buchi" causati dall'azione barbarica dell'uomo. Disboscamento selvaggio che non è circoscritto a Semenic, tutt'altro. È invece un problema nazionale. E molto serio, come confermato dal presidente Klaus Iohannis, che l'anno scorso - dopo che a migliaia erano scesi in piazza in segno di protesta - ha firmato una legge che dichiara «minaccia alla sicurezza nazionale» il disboscamento illegale, mentre Ong e associazioni in passato hanno chiesto persino una «moratoria» totale al disboscamento, incluso quello legale. Disboscamento che mette a rischio anche le comunità montane, sempre più a rischio di frane e alluvioni per la scomparsa del patrimonio boschivo. Fenomeno gravissimo, per la Romania - Paese che conserva il 65% delle foreste vergini in Europa - che dal 2000 al 2012 ha perso «tre ettari di foreste all'ora», ha denunciato Greenpeace in uno studio qualche anno fa, sottolineando che il 49% delle «superfici de-forestate» era localizzato in aree protette. Sempre Greenpeace, ha ricordato di recente il portale Balkan Insight, ha rivelato che sono «quasi diecimila i casi di disboscamento illegale» scoperti solo l'anno scorso, con un danno per lo Stato di circa nove milioni di euro. E di cinque miliardi di euro dalla caduta del regime di Ceausescu a oggi, secondo il gruppo Agent Green. Oltre ad almeno una preziosissima foresta, nel cuore di Semenic.
Stefano Giantin
Parco delle Incoronate: piano Ue da 6,5 milioni - UN
VASTO PROGETTO DI FRUIZIONE TURISTICA E CULTURALE
SEBENICO - L'Unione europea apre il portafoglio per il varo di programmi che
miglioreranno l'offerta del Parco nazionale delle Incoronate, in Dalmazia,
destinazione che ogni anno ospita migliaia di diportisti italiani, specie del
Nordest del Paese. Il governo croato ha infatti deciso l' assegnazione di 49
milioni di kune (circa 6 milioni e mezzo di euro) a fondo perduto, di cui ben
l'85 per cento arriverà dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale e il
restante 15 dai comuni di Stretto (Tisno) e Murter - Incoronate. Queste
municipalità hanno voluto assumere il ruolo di partner del parco nazionale per
il progetto intitolato Rediviva Kurnata: promozione della fruizione sostenibile
dell'eredità naturale nel Parco nazionale delle Incoronate. Il direttore del
parco, Josip Zanze, ha fatto sapere che entro il 2021 questa istituzione potrà
contare su tre nuovi centri, strutture grazie alle quali i visitatori potranno
sia ammirare le bellezze paesaggistiche di questo angolo di paradiso adriatico,
sia conoscere i ristoranti e i negozi di souvenir del parco. A Betina,
sull'isola di Murter, verrà aperto lo «Scrigno del tesoro», nell'omonimo
capoluogo dell'isola sarà a disposizione la «Coronata», mentre sulla principale
isola dell'arcipelago, Incoronata, gli ospiti potranno fruire della «Casa del
mare incoronato». «Grazie a questo progetto, che ci permetterà di aprire 20
nuovi posti di lavoro - ha rilevato Zanze - potremo non solo migliorare l'
infrastruttura del parco ma anche garantire una maggiore sicurezza ai
visitatori. Inoltre Rediviva Kurnata ci consentirà di controllare con maggiore
efficienza l' entrata e uscita dei vacanzieri, migliorando il sistema di
pagamento dei biglietti. Offriremo insomma servizi più qualitativi, a tutto
vantaggio dei diportisti». L'ex caserma militare presente sull'Incoronata sarà
trasformata nella Casa del mare incoronato. Ci sarà una mostra permanente sugli
aspetti specifici della vita degli isolani in questo splendido arcipelago. La
struttura disporrà inoltre di bar, servizi igienico-sanitari e una rivendita di
souvenir delle Incoronate. Lo Scrigno del tesoro a Betina rappresenterà la
soluzione ideale per coloro che vogliono scoprire e ammirare flora e fauna
terrestre e marina di questa manciata di isole e scogli, 89 per la precisione.
a.m.
IL PICCOLO - DOMENICA, 5 novembre 2017
Il "gigantismo navale" mette fuori gioco l'Adriatico -
La lettera del giorno di Ladi Minin - Isanav (Istituto per lo studio delle
attività navalmeccanIche)
Qualche giorno fa si è insediata a Venezia la cabina di regia
tecnico-politica per la portualità del Nord Adriatico, con il dichiarato
intendimento di far collaborare i porti di Ravenna, Venezia e Trieste e creare
le condizioni logistiche per intercettare, in particolare, i traffici mercantili
con la Cina e inserirsi così in quella grande strategia finanziaria-industriale,
funzionale all'espansionismo economico cinese, sintetizzabile nella cosiddetta
"nuova Via della Seta". Ammirevole iniziativa, che però non prende
sufficientemente in considerazione l'ennesima esplosione del gigantismo navale,
insito nelle leggi del capitale, che portano anche alla concentrazione delle
grandi società del trasporto marittimo. Nelle condizioni attuali, il problema
vero ed escluso anche dal recente riordino della portualità italiana è che i
porti italiani sono fuori gioco, essendo inadeguati a ricevere e gestire queste
navi e questi volumi di container. Nel prossimo futuro è prevedibile che le
ultra-mega portacontainer da 14-18mila teu verranno spostate sulle rotte
Asia-Usa ed Europa-Usa e sulle rotte con il Far East s'affacceranno quelle di
portata nominale superiore ai 20mila teu. Nella discussione effettuata a Venezia
si ricomincia parlare con timidezza dell'isola offshore, chiamandola mini
offshore, prevedendo le attrezzature portuali adeguate e l'esclusione di quella
parte riguardante le rinfuse liquide, che bene verrebbero a Trieste a colmare il
suo già importante ruolo in questo ambito. A buon intenditore poche altre
parole.
IL PICCOLO - SABATO, 4 novembre 2017
Elettrodotto Udine-Redipuglia - Arriva l'ok del Tar
Il Tar del Lazio ha rigettato il ricorso presentato da alcuni Comuni
friulani contro l'elettrodotto Udine Ovest-Redipuglia, la nuova linea di Terna a
380 kilovolt, lunga 40 chilometri, in esercizio dallo scorso 29 settembre. «La
sentenza conferma la correttezza dell'iter amministrativo che ha consentito
l'avvio dell'opera», ha commentato il presidente di Confindustria Udine, Matteo
Tonon, esprimendo «la soddisfazione degli industriali friulani» e ricordando che
«sono occorsi 14 anni per giungere a questo risultato, che ha consentito
un'opera indispensabile per la sicurezza di approvvigionamento di energia
elettrica in Regione». Tonon annota che «Confindustria Udine, oltre a
partecipare al confronto che si è svolto con il territorio, ha ritenuto che
l'obiettivo fosse assicurare al territorio le necessarie opportunità di
sviluppo, insieme a condizioni di effettiva sostenibilità a vantaggio sia delle
famiglie che potranno fruire di energia meno cara che delle imprese, che
potranno contare sull'efficientamento di rete». Terna fa sapere che proseguono i
lavori preliminari alla demolizione di 110 km di vecchie linee: «Trenta Comuni
della Bassa friulana e zone limitrofe vedranno smantellati circa 400 tralicci di
vecchie linee, con sollievo anche di 680 edifici oggi a 100 metri dalle linee
che saranno demolite. E 367 ettari di territorio saranno liberati dalla servitù
di elettrodotto».
Legambiente - Incontro su Siderurgia e Ferriera
Il Circolo Verdeazzurro Legambiente di Trieste organizza un incontro pubblico sul tema "La siderurgia in Italia e il caso Ferriera di Trieste" venerdì 10 novembre alle 17 al Circolo della Stampa.
IL PICCOLO - VENERDI', 3 novembre 2017
Un piano antischianto per 78 grandi alberi - Intervento
da 135mila euro del Comune «a tutela della pubblica incolumità»
Dalle querce ai platani su strade e dentro i parchi. Scattano le
manutenzioni -
gli alberi a rischio "schianto" nel comune di Trieste
Sono 78 gli alberi di Trieste su 122mila soggetti arborei (di cui circa
15mila censiti) che hanno più di un metro di diametro e che sono considerati -
proprio così - "a rischio schianto". Le loro altezze variano tra i 9,5 e i 36
metri: si va dall'ippocastano della chiesa di Basovizza al platano di via del
Follatoio passando ovviamente per le grandi piante dei vari parchi e giardini
storici. Sono le cosiddette alberature in classe C, ovvero gli alberi "a rischio
di schianto" con diametro superiore a un metro. L'amministrazione comunale, su
proposta dell'assessore ai Lavori pubblici Elisa Lodi, ha di recente approvato
un progetto esecutivo da 135mila euro (sui 150mila inizialmente previsti) di
manutenzione straordinaria delle grandi alberature per l'anno in corso. Il
lavoro, inserito nel programma triennale delle opere 2017-2019, è interamente
finanziato con avanzo economico. «Il progetto - si legge espressamente nella
delibera - risponde alla necessità, nell'ambito della generale gestione delle
alberature presenti lungo i viali cittadini, nei parchi e nei giardini pubblici,
di provvedere anche alla preminente esigenza di tutela della pubblica incolumità
di persone e cose».Sono 280 i giorni di lavori previsti. Il cronoprogramma dei
pagamenti per l'operazione prevede: 100mila euro nel 2018 e 35.554 nel 2019. A
firmare il progetto esecutivo è il dottore forestale Francesco Panepinto assieme
al perito agrario Renato Ravara. «Il progetto - si fa sapere - prevede di
eseguire la manutenzione straordinaria degli alberi in classe C di propensione
al cedimento di cui al protocollo della Società italiana di arboricoltura
(rischio moderato di schianto) i cui diametri abbiano valori uguali o superiori
a 100 centimetri misurati a 130 centimetri dal suolo». In questo modo si è
arrivati a censire 78 esemplari con queste caratteristiche presenti sul
territorio del Comune di Trieste. Di questi quattro sono stati dichiarati
"monumentali". Si tratta dei due platani che stanno nel Giardino pubblico "Muzio
de Tommasini" e che hanno un diametro superiore ai 160 centimetri (il record
assoluto per Trieste), della Zelkova carpinifolia (originaria del Caucaso) del
parco di Villa Sartorio (111 centimetri di diametro e 22 metri di altezza) e del
pino di Aleppo di Villa Revoltella (110 centimetri di diametro e 20 metri di
altezza). Ma non sono i soli a vantare un elevato "pregio ornamentale e storico
culturale" e una fragilità soprattutto legata al castello, che richiede una
potatura di selezione, e alle condizioni fitosanitarie. Un approccio, in ogni
caso, improntato alla "tutela e alla conservazione". «Una decina di soggetti
arborei presenti all'interno del Giardino Muzio de Tommasini, di età ormai
prossime ai 160 anni, è stata messa in sicurezza mediante ancoraggi statici o
dinamici che necessitano di essere revisionati e sostituiti essendo trascorsi
gli anni di efficienza statica dei tiranti», si annota nel progetto. Fra i
controlli previsti ci sono anche le prove di trazione mediante l'utilizzo di
tensiometri e inclinometri per testare la capacità di ancoraggio della zolla
radicale nonché la resistenza alla bora. Questi test saranno eseguiti
soprattutto per gli ippocastani di piazza Libertà e di via Domenico Rossetti,
tenuto conto degli schianti per ribaltamento avvenuti negli anni passati. Nel
febbraio del 2015, per esempio, un ippocastano sotto l'effetto della bora era
schiantato al suolo in piazza Libertà proprio per il ribaltamento della zolla
radicale. Tra le piante di grandi dimensioni interessanti ci sono i bagolari di
piazza Hortis, piazza della Cattedrale, via dei Capitelli, il tiglio selvatico
del giardino pubblico, l'olmo siberiano di viale Raffaele Sanzio, i cedri
dell'Atlante di Villa Revoltella, la sofora del Giappone del giardino "Wegner
Engelmann", gli olmi montani del ricreatorio Pitteri. Se avanzeranno delle
risorse, si fa sapere, l'indagine e gli interventi saranno estesi anche agli
alberi con diametro inferiore a un metro di diametro presenti nel Giardino de
Tommasini, in piazza Libertà, via Rossetti e nel Parco di Villa Revoltella. Ogni
anno, comunque, vengono monitorati mediamente 4mila alberi dal punto di vista
sia statico che sanitario. Alla fine dell'intervento dovrebbero restare in piedi
solo grandi alberi a prova "di schianto". Nella speranza di non dover perdere
per strada nessuna delle 78 piante attualmente censite.
Fabio Dorigo
Una petizione per la sicurezza dei pedoni - Sinistra per Trieste chiede al Comune di proteggere gli attraversamenti sulle strisce. Raccolta di firme
Garantire i pedoni che attraversano sulle strisce, «perché recentemente è iniziato quello che sembra essere un vero e proprio tiro al bersaglio». Assicurare i lavoratori sulla conservazione dei loro diritti e della retribuzione, anche in presenza di appalti al ribasso. “Sinistra per Trieste”, associazione «che non ha obiettivi elettorali», recentemente costituitasi «per la conservazione dei valori della vera sinistra», entra nel concreto della vita quotidiana. «La politica non è fatta solo di enunciazioni teoriche – ha spiegato ieri uno dei fondatori dell’associazione, Marino Sossi, rivolgendosi a una platea all’interno della quale si sono notati fra gli altri il senatore Francesco Russo e Gianfranco Carbone, per molti anni protagonista della scena politica triestina e regionale – perciò iniziamo con una raccolta di firme in calce a una petizione con la quale chiederemo al Comune di adottare tutte quelle misure che possano rendere meno pericoloso, per i pedoni, l’attraversamento delle strade in presenza delle strisce pedonali. Puntiamo alle 200 firme – ha aggiunto – con l’auspicio di essere ascoltati. Per quanto concerne gli appalti – ha proseguito Sossi – chiediamo che i contratti deboli non diventino strumento di sfruttamento. Non si possono tagliare le ore a piacimento del datore di lavoro. Proporremo perciò l’intervento della Commissione Trasparenza del Comune. Vogliamo la “clausola sociale” – ha precisato il portavoce di Sinistra per Trieste – che prevede la conservazione del trattamento precedente, anche in presenza del cambiamento del vincitore dell’appalto. Ma verificheremo anche se il Comune si è tarato sul nuovo Codice degli appalti, il quale prevede che si affidino direttamente alcuni servizi a soggetti noti, ovviamente rispettando determinate regole». Sossi ha poi accennato alle nuove iniziative già in cantiere: «Nelle prossime settimane – ha annunciato – parleremo anche degli orari dei bus notturni e dell’inquinamento dei pubblici giardini». A breve “Sinistra per Trieste” si presenterà ai triestini, allestendo banchetti in vari punti del centro, dove saranno illustrate le varie campagne in atto, anche per dare avvio alla stagione dei tesseramenti. «Vogliamo difendere soprattutto i più deboli – ha concluso Sossi – sempre più spesso costretti a vivere sotto la soglia della dignità».
Ugo Salvini
FIUME - Un orso a caccia di cibo nel pieno centro
di Crikvenica - Nella notte
FIUME - La serata di Halloween non ha portato solo le streghe a Crikvenica.
Nella notte tra martedì e mercoledì la località turistica a sud-est di Fiume ha
avuto un ospite inatteso: un orso che, noncurante di auto e passanti, ha
percorso le vie del centro, quasi sicuramente alla ricerca di cibo. Il
plantigrado, un esemplare adulto, ha approfittato del buio per calarsi nella
città rivierasca, trotterellando dapprima lungo la centrale via Ante Starcevic e
quindi nelle strade circostanti, fino ad arrivare a non più di un centinaio di
metri dal palazzo comunale e dal commissariato di polizia. L'animale ha fatto
scappare impaurite alcune persone che si trovavano nei paraggi, ma
fortunatamente non è accaduto nulla di grave. Come ribadito dagli esperti, gli
orsi sono particolarmente attivi in queste settimane, impegnati nella ricerca di
cibo prima del letargo invernale. Forse proprio per questo l'orso è arrivato
fino all'abitato. E si è poi mostrato in tutta la sua stazza anche in riva al
mare, percorrendo il cosiddetto Molo Nero di Crikvenica. Anche in quel caso,
fatta eccezione per la paura rimediata da alcune persone, non si è avuto il
minimo incidente. Ricordiamo che una ventina di giorni fa, sempre a Crikvenica,
un cinghiale era entrato nel cortile di un asilo d'infanzia, prima di venire
abbattuto da alcuni cacciatori del posto. L'entroterra di Crikvenica pullula di
orsi e cinghiali, ma mai finora questi animali selvatici si erano avventurati in
pieno centro. Quasi superfluo aggiungere che gli abitanti sono molto preoccupati
e chiedono l'aiuto delle autorità. Va ricordato infine che da Crikvenica e
dintorni non sono stati pochi i plantigradi che negli ultimi vent'anni hanno
raggiunto a nuoto l'isola di Veglia, facendo stragi di pecore e agnelli.
(a.m.)
FEDERACCIAI - Gozzi: la siderurgia Made in Italy cresce
del 2%
ROMA - L'acciaio italiano sta vivendo «un momento buono», essendo un settore
«ciclico, legato all'andamento della congiuntura». È l'analisi del presidente di
Federacciai Antonio Gozzi, secondo il quale le acciaierie italiane producono «il
secondo acciaio europeo per quantità e per qualità» e si preparano a chiudere
l'anno con «una crescita del 2%». Un risultato che le pone «un pò più in alto
della congiuntura nazionale», come evidenziano anche i conti trimestrali di
Tenaris, con ricavi in crescita del 32% a 1,3 miliardi di dollari (1,11 mld di
euro) ed un utile netto salito del 515% a 95 milioni di dollari (81,63 mln euro,
RPT). Numeri che dimostrano come l'acciaio «continua ad essere un settore vitale
- indica Gozzi - nel quale sono successe cose importanti». Tra queste
l'orientamento dei produttori su «acciai di qualità». Quello italiano - spiega
il numero uno di Federacciai - «strutturalmente lo è, grazie anche alle
miniacciaierie (mini-mill), con forno elettrico e laminatoio attaccato», che
sono una «invenzione italiana» e che consentono di «mettere insieme il massimo
di efficienza e di qualità della produzione». Una realtà diversa ma
complementare a quella del megaimpianto dell'Ilva di Taranto.
IL PICCOLO - GIOVEDI', 2 novembre 2017
LEGAMBIENTE - Dibattito pubblico sulla Ferriera
Il Circolo Verdeazzurro Legambiente Trieste invita a un incontro pubblico sulla siderurgia in Italia e il caso Ferriera. L'iniziativa si terrà venerdì 10 novembre 2017 presso il Circolo della Stampa di Trieste, Corso Italia 13, alle ore 17. Interverranno nella discussione Maria Maranò, della segreteria nazionale di Legambiente, Lino Santoro, chimico ambientale (Legambiente Trieste), Mario Mearelli, ecologo (Legambiente Trieste). Modera il dibattito il presidente del circolo verdeazzurro, Andrea Wehrenfennig.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 1 novembre 2017
Serracchiani rinsalda l'asse a sinistra - Dibattito a
Trieste con gli ex Sel. «Prima dei nomi va messo a fuoco il programma»
TRIESTE - Debora Serracchiani ancora non si pronuncia sul suo probabile
passaggio a Roma, né sulla tenzone per la candidatura alle prossime regionali.
La presidente Fvg ha dialogato ieri al Caffè San Marco di Trieste con
l'esponente di Territorio e Società Giulio Lauri sulla possibile alleanza alle
consultazioni del 2018. Si è trattato dell'evento di esordio per la formazione
che farà del sindaco di Udine Furio Honsell il suo portabandiera, e la vocazione
al patto con il Partito democratico è stata evidente. Se per la sinistra
sedevano in sala esponenti come l'assessore Loredana Panariti e il consigliere
regionale Alessio Gratton, per il Pd c'erano la segretaria regionale Antonella
Grim, il segretario provinciale Giancarlo Ressani, il consigliere Franco Rotelli
e altri. La presidente ha delineato l'identità della futura coalizione: «Nella
nostra visione c'è il Pd a fare da perno, c'è un centro civico o moderato, e c'è
una sinistra di governo. Non mi riconoscerei in una sinistra di opposizione, che
si limita a dire come si dovrebbe fare invece di mettersi alla prova. Il tema
che dobbiamo porre è quello dell'identità della sinistra, perché abbiamo perso
di vista la cultura che la identifica in Italia e in Friuli Venezia Giulia».
Quanto al candidato, sia Lauri che Serracchiani hanno sottolineato l'urgenza di
confrontarsi prima sui programmi. Ha detto Lauri: «Vorrei che ci dividessimo, se
proprio ci dobbiamo dividere, su temi forti come sanità e trasporti, piuttosto
che sui nomi. Se invece troveremo un punto di accordo sul programma, ragioneremo
di candidati». La presidente ha assunto la medesima posizione, senza fare
riferimento al proprio futuro politico: «Prima del nome dobbiamo sistemare il
programma». Serracchiani ha poi rivendicato l'identità «di centrosinistra» della
sua giunta e del suo operato: «Siamo stati i primi in Italia a introdurre la
misura attiva di sostegno al reddito. Quando siamo arrivati gli utenti dei
servizi sociali erano circa 5mila, dopo l'introduzione della misura sono saliti
a 30mila. Il che significa che abbiamo risposto a una domanda reale». La
presidente ha proseguito: «Non abbiamo mai tagliato, anzi abbiamo implementato,
i fondi sociali. Abbiamo introdotto l'housing sociale, che da una risposta a chi
è troppo "ricco" per l'Ater e troppo "povero" per comprare una casa. Abbiamo
abbattuto le rette dei nidi». Serracchiani ha poi iscritto tra le politiche di
sinistra «anche gli sforzi per la crescita»: «La terza corsia, il porto,
l'edilizia scolastica. Da lungo tempo questa regione non vedeva politiche del
genere». Lauri ha ripreso i concetti: «Sinistra è fare qualcosa che serva ai
settori deboli della popolazione. Il sostegno al reddito è stato preso a spunto
da altre Regioni e anche a livello nazionale». L'esponente di Territorio e
Società ha poi osservato: «Per l'ambiente è stato fatto molto, oggi ad esempio
non si parla più di rigassificatore a Trieste, ma si può e si deve fare di più».
Quanto alle riforme, secondo il consigliere di Sel «anche per motivi di
contesto, si è privilegiato la determinazione rispetto all'ascolto del
territorio. Probabilmente abbiamo commesso l'errore di non confrontarci a
sufficienza sui mondi in cui le riforme andavano a impattare». Ancora Lauri:
«Franco Belci ci chiedeva di impostare il confronto sul tema della legge
elettorale. Noi però dobbiamo confrontarci su quello che possiamo fare in questa
regione, e non su Renzi, D'Alema». Serracchiani ha poi elencato alcuni punti da
definire nel futuro programma: «Il sostegno al reddito dovrà essere strutturale,
va consolidata la riforma della sanità, bisogna ottenere una maggiore autonomia
della Regione in ambito scolastico». Il dibattito si è concluso con una
contestazione del Comitato 5 Dicembre sulla Ferriera di Servola.
Giovanni Tomasin
Orzo, riso e frumento entrano in classe - Dedicata ai
cereali la nuova edizione del progetto "Orto in condotta" voluto da Comune e
Slow food
Coltivare un orto per vederlo crescere e prosperare, seguire l'evoluzione
dei cicli naturali, capire al meglio il cibo che si porta in tavola e conoscerne
i valori nutrizionali. Questo l'obiettivo del progetto "Orto in condotta -
L'educazione alimentare nelle scuole triestine", il cui nuovo protocollo è stato
presentato ieri dall'assessore all'Istruzione Angela Brandi, e da Andrea Gobet,
responsabile per l'educazione nell'ambito della Condotta locale di Slow Food. Il
Comune e Slow Food già da tempo collaborano per portare nelle scuole e nei
ricreatori la cultura del gusto e di una giusta alimentazione. «In città - ha
detto Brandi - sono da tempo operativi circa sessanta di orti. Questo nuovo
protocollo rappresenta l'evoluzione di ciò che già esiste e che riteniamo sia di
massima importanza per la formazione dei nostri giovani. Come amministrazione
abbiamo stanziato 8mila euro, da distribuire in questo anno scolastico e nel
prossimo - ha precisato l'assessore - vale a dire il doppio della dotazione
dello scorso anno, perché crediamo nel progetto e intendiamo coinvolgere sempre
di più anche gli insegnanti». Ogni anno viene scelto un tema specifico: quello
attuale è dedicato ai cereali, nel 2016 era stato l'olio d'oliva. «Il tema è
vasto - ha osservato Gobet - perché si va dalla valorizzazione della natura,
alla riduzione degli sprechi, al gusto della corretta alimentazione. Operare per
esperienza diretta - ha continuato - significa avvicinare i giovani
all'argomento. I bambini diventano così soggetti attivi. Entrare nelle scuole e
nei ricreatori è un passaggio fondamentale. La prossima settimana - ha ricordato
il responsabile per l'educazione della Condotta triestina di Slow Food - è in
programma la Festa nazionale dell'Orto in condotta, mentre a fine anno avremo il
tradizionale Mercatino. Saranno tutte occasioni di approfondimento su argomenti
che, in particolare nel mondo di oggi - ha concluso - sono fondamentali per una
corretta crescita culturale dei nostri bambini e dei nostri giovani». Il Comune,
in base al Protocollo, mette a disposizione del progetto i terreni per la
realizzazione degli orti e l'acqua per l'irrigazione, nonché alcune
attrezzature. In alcuni casi, si individua anche il "nonno ortolano", un
volontario competente in materia, che si rende disponibile per affiancare i più
piccoli nella gestione dell'orto.
(u.s.)
IL PICCOLO - MARTEDI', 31 ottobre 2017
«Ferriera a ritmi ridotti finchè le emissioni non saranno nei limiti» - La governatrice vede i sindacati e rinnova i termini della diffida - Sollecitata la conclusione dell’iter per ampliare il laminatoio
«All’azienda abbiamo ribadito che la diffida a ridurre la produzione rimane in vigore finché non sarà accertata l'efficacia degli interventi sull'altoforno». Debora Serracchiani ripete che Siderurgica Triestina dovrà lavorare a ritmo ridotto finché non saranno risolti i problemi di emissione emersi negli ultimi tempi. La presidente è intervenuta ieri all'incontro fra azienda, sindacati, enti locali, Arpa e Autorità portuale, dove ha parlato anche delle coperture dei parchi minerari, indicando «con forza la necessità di procedere prontamente con tutte le azioni necessarie per metterli in sicurezza». I progetti dell'impresa verranno ora resi oggetto di istruttoria da parte del ministero dell'Ambiente, come prescritto dall'Aia. Il vertice, convocato da Serracchiani in quanto commissaria per l'Area di crisi di Trieste, è stato richiesto dalle confederazioni di Cgil, Cisl e Uil per approfondire le prospettive industriali, occupazionali e ambientali complessive della zona industriale triestina, verificando inoltre lo stato d'attuazione dell'accordo di programma sulla Ferriera. I sindacati hanno ottenuto che il problema sia affrontato in futuro nell'ambito di un ragionamento più ampio sull'industria triestina e per questo motivo l'incontro è servito anche a scandagliare le manifestazioni di interesse riguardanti il comprensorio dell'ex Ezit e dell'ex Arsenale. Serracchiani ha inoltre ricordato che «per il rilancio occupazionale ci sono i 27 milioni messi in campo per l'Area di crisi industriale complessa di Trieste». In una nota congiunta, Cgil, Cisl e Uil spiegano che «si è chiesto un punto di confronto periodico che metta assieme rappresentanza sindacale, rappresentanza datoriale, istituzioni e imprese dell'area per un confronto su progetti e dati oggettivi per stemperare conflitti sociali e per la discussione su altre progettualità future». Ma ciò che più conta è che stavolta i rappresentanti dei lavoratori ritengono che «il confronto e la messa a disposizione dei dati richiesti sono stati molto soddisfacenti». Il dialogo continuerà a metà dicembre, con un secondo incontro per aggiornare la discussione sui molti punti all'ordine del giorno, fra cui anche la verifica dell'attuazione dell'accordo con l'Istituto superiore di sanità per l'analisi dello stato di salute della popolazione residente nella zona. Se Dipiazza ha ribadito la necessità di giungere alla graduale chiusura dell'area a caldo, Serracchiani chiesto di velocizzare il più possibile l'iter per l'ampliamento del laminatoio, in quanto l'ultimo progetto presentato dall'azienda non rientrava nell'Accordo di programma. Sulla chiusura dell'area a caldo, la presidente ha evidenziato la necessità di rimanere nell'iter dell'Aia, ricordando che l'eventualità comporterebbe «lasciare in strada dall'oggi al domani quasi 500 famiglie», in una prospettiva di difficoltà di ricollocazione occupazionale. Sul nodo ambientale, Serracchiani ha richiamato infine la diffida e la sospensione delle attività dell'altoforno, rilevando come ogni volta in cui si siano registrati degli sforamenti ai limiti fissati dall'Aia la Regione sia sempre intervenuta. La presidente ha poi rimarcato come, da parte dell'azienda, siano state effettuate delle opere migliorative «che si possono toccare con mano: affermare il contrario sarebbe una rappresentazione incoerente della realtà».
Diego D'Amelio
Ecosistema, le città del Fvg si scoprono più "verdi" -
Legambiente pone i quattro capoluoghi nella parte alta della classifica
Pordenone e Udine fanno da traino. Trieste fa il balzo in avanti più
rilevante -
La classifica dell'ecosostenibilita'
TRIESTE - Legambiente promuove le prestazioni ambientali del Friuli Venezia
Giulia, anche se è la sola Pordenone a mantenere il passo delle prime città
italiane in classifica entrando nella top ten. Lo studio, che ha visto la
collaborazione fra l'associazione ambientalista, l'istituto di ricerca Ambiente
Italia e Il Sole 24 Ore (che lo ha pubblicato ieri), ha messo sotto la lente
d'ingrandimento 104 capoluoghi di provincia, tenendo conto di 16 indicatori
all'interno di cinque diverse macroaree: aria, acqua, rifiuti, mobilità ed
energia. L'indagine, che ha esaminato i dati del 2016 e ha portato alla
redazione del 24esimo Rapporto ecosistema urbano, fotografa un territorio che
sta provando ad accreditarsi fra le regioni virtuose in Italia anche dal punto
di vista ambientale. I numeri raccontano di un generale passo in avanti, se si
tiene conto che, rispetto al rapporto stilato nel 2016, Pordenone è passata
dall'11.o al quinto posto, Udine dal 29.o al 12.o e Trieste - che resta comunque
ultima in Fvg - dal 64.o al 39.o posto assoluto. Solo a Gorizia è andata peggio
rispetto ai 12 mesi precedenti: è scivolata dalla 12.a posizione del 2016 alla
25.a del 2017. La classifica stilata da Legambiente, che ha visto Mantova,
Trento, Bolzano e Parma occupare le prime quattro posizioni, e Viterbo, Brindisi
ed Enna tenere alto il fanalino di coda della graduatoria, ha permesso
un'analisi qualitativa dei dati di ogni singola città presa in esame.
La qualità dell'aria
Il biossido di azoto fa registrare una media regionale inferiore a quella del 2014 (al di sotto della media di tutti i capoluoghi, pari a 29,1 microgrammi per metro cubo), dato fortemente influenzato dal risultato di Trieste e in parte di Pordenone. Nessuna città supera il limite di legge, fissato a 40 microgrammi per metro cubo. La media regionale del Pm10, dopo l'incremento del 2015, è diminuita in tutte le città capoluogo. Gorizia e Trieste - dove la riduzione del particolato in 13 anni si deve in parte all'eliminazione del parco macchine più vecchio - registrano livelli pari al valore obiettivo per la salute (20 microgrammi per metro cubo) indicato dall'Organizzazione mondiale della sanità. La concentrazione di ozono, invece, mediamente non supera la soglia di protezione della salute umana, anche se si discosta il valore di Udine, forse determinato dal forte soleggiamento dei mesi estivi.
I consumi idrici
Calano in tutti i capoluoghi di provincia del Fvg. La media regionale, pur abbassandosi, resta però superiore (+4,8%) al valore medio italiano (152,7 litri al giorno pro capite). La dispersione della rete, ovvero la differenza tra l'acqua immessa e quella consumata, rimane invariata rispetto al 2015. Pordenone conferma il valore di eccellenza, rientrando tra le sei città virtuose d'Italia, con perdite inferiori al 15%. Trieste, invece, vede aumentare la sua percentuale oltre il 47%.
I rifiuti urbani
La produzione pro capite di rifiuti urbani ritorna a crescere in tutti i capoluoghi regionali, portando la media regionale oltre i 501 chilogrammi per abitante ogni anno. I dati di Arpa confermano questa tendenza. Cresce, e in questo caso è un dato positivo, anche la percentuale di raccolta differenziata, con Pordenone - al primo posto in Italia - che supera la soglia dell'80%, Gorizia e Udine che superano l'obiettivo del 65% e con Trieste che fa un passo avanti ma che non riesce a raggiungere ancora il 40%.
Trasporto pubblico e motorizzazione
Gli indicatori in questo caso presentano valori stazionari, con l'eccezione di Trieste che, con 308 viaggi per abitante ogni anno, cresce del 2,8%. Il capoluogo giuliano si classifica fra i più virtuosi in Italia anche quanto alle auto circolanti, con 52 mezzi ogni 100 abitanti.
La ciclomobilità
Cresce l'estensione dei percorsi ciclabili (+2,6%) ma non cresce il numero delle persone che si spostano in bicicletta, mentre risulta in leggerissimo aumento l'estensione media delle isole pedonali.
Rinnovabili e spazi verdi
Aumenta la diffusione (+4,25%) del solare termico e fotovoltaico installato in regione sulle strutture pubbliche. Lo studio di quest'anno, inoltre, introduce per la prima volta un indicatore che misura la disponibilità di alberi di proprietà pubblica ogni cento abitanti. Pordenone registra una disponibilità di 28,84 alberi, Gorizia di 26,13 e Udine di 24,12, a fronte di una media nazionale che si assesta sui 18 alberi ogni cento abitanti. Il dato di Trieste non è disponibile.
Luca Saviano
Allarme Onu: record di CO2 in atmosfera
L'anidride carbonica, il principale gas serra, prodotto dalle attività dell'uomo e responsabile del riscaldamento del pianeta, ha registrato una impennata record nel 2016. La maggiore negli ultimi trent'anni. Colpa del Nino, il periodico riscaldamento dell'Oceano Pacifico. Ma anche delle emissioni umane, soprattutto da energia e trasporti: 36 miliardi di tonnellate all'anno. A lanciare l'allarme è l'Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo), agenzia con sede a Ginevra. L'anno scorso la concentrazione di CO2 nell'atmosfera è passata dalle 400 parti per milione del 2015 a 403,3. Un aumento annuo di 3,3 parti per milione, il doppio dell'aumento medio annuale degli ultimi 10 anni. Una concentrazione che non si verificava da 800mila anni. «È il maggiore incremento che abbiamo osservato nei 30 anni dalla nostra attività», ha detto Oksana Tarasova, responsabile del programma globale di controllo dell'atmosfera terrestre in seno al Wmo. «Il precedente risale al 1997-1998 e fu di 2,7 parti per milione, contro i 3,3 tra il 2015 e 2016. Senza dimenticare che si tratta anche di un balzo del 50% sulla media dell'ultimo decennio». La causa immediata di questa impennata è il Nino del 2015-2016, fenomeno naturale di riscaldamento del Pacifico meridionale. Nel complesso, i paesi interessati da questo fenomeno l'anno scorso hanno emesso 2,5 miliardi di tonnellate di CO2 in più rispetto al 2011. Questa massa di gas di origine naturale si è andata a sommare ai 36 miliardi di tonnellate prodotte dalle attività umane. Di qui l'impennata della concentrazione, nonostante le emissioni di CO2 di origine umana non crescano da un paio d'anni. Foreste e oceani non riescono a smaltire l'enorme massa di gas che si accumula nell'atmosfera. Il risultato è l'effetto serra.
Torna a salire il Pil, rifiuti in aumento - Cresce la
produzione di spazzatura: la mappa della differenziata. I dati dell'Ispra
ROMA - La produzione di rifiuti urbani torna a salire dopo anni di declino.
In Italia è +2,0%. Questo si evince dal rapporto annuale redatto dall'Ispra
(l'Istituto superiore per la prevenzione e ricerca ambientale del Ministero
dell'Ambiente). Nel 2016 siamo tornati sopra la soglia "psicologica" dei 30
milioni di tonnellate. Il 2015 ci aveva fatto sperare in un disaccoppiamento fra
dati del Pil e dei consumi (in ripresa) e dati dei rifiuti urbani (in calo). Nel
2016 cresce l'economia e tornano a aumentare i rifiuti. Ancora forti i
differenziali regionali: la prima in classifica per produzione procapite,
l'Emilia Romagna, con 653 kg ad abitante all'anno, quasi il doppio dell'ultima
in classifica, la Basilicata, con 354. La raccolta differenziata è sopra il 50%
del totale dei rifiuti come media nazionale. Al nord la percentuale è del 64,2%
(migliore organizzazione e diffusione storica delle raccolte domiciliari), al
centro al 48,6% e il sud è al 37,6%. Tassi di raccolta differenziata molto
elevati restano tipici di comuni medio piccoli, in tutta Italia. Nelle grandi
città è oggettivamente più difficile fare la differenziata, come conferma lo
studio europeo sulle capitali, tutte con valori molto bassi. Col crescere delle
raccolte differenziate aumenta il valore complessivo degli scarti non avviati a
riciclaggio, pari a 2,5 milioni di tonnellate secondo Fise/Unire. Anche se la
differenziata arrivasse al 70% avremo sempre circa il 15% di scarti da avviare a
recupero energetico o in discarica. Ormai il riciclaggio è il principale destino
dei rifiuti seguito dal conferimento in discarica dove finisce il 25% degli
scarti, quasi interamente trattati prima di essere interrati. Il flusso in
discarica è diminuito del 5% sul 2015, è nella media europea a 28%, ma è
elevato: nei Paesi nord europei il valore è 1,5%. Il recupero di energia è
attestato al 20%, "bruciati" 5,4 milioni di tonnellate di spazzatura, con una
riduzione del 3,2% rispetto al 2015. Ridurre la discarica e aumentare
riciclaggio e recupero di energia restano le priorità di un Paese che comunque
sta facendo passi avanti. L'esportazione di rifiuti riguarda 433.000 tonnellate
di rifiuti urbani; ne importiamo 208.000. Il costo ad abitante della gestione
dei rifiuti urbani è salito "solo" dello 0,6% sul 2015, attestandosi su un
valore medio di 218 euro ad abitante all'anno, circa 500 euro per famiglia
media. La Tari copre ormai oltre il 98% dei costi del servizio (84% nel 2001).
In 15 anni si è ridotto il sussidio pubblico dalla fiscalità e questo ha
contribuito a spingere in alto le tasse locali, insieme all'aumento assoluto dei
costi di gestione. L'Italia è entrata nella direzione dell'economia circolare,
con due terzi del territorio che presenta performance d'eccellenza paragonabili
al nord Europa. Il Rapporto Ispra ci dice che non esiste una strategia "rifiuti
zero", che non scompaiono ma possono essere riciclati e avviati a recupero
energetico, riducendo la discarica, ma sapendo che non si può riciclare tutto e
serve un mix ragionevole di riciclaggio e incenerimento.
(a.d.g.)
La "guerra" dei rifiuti in centro e periferia finisce
davanti al Tar - Impugnata da due realtà romagnole la gara da 9,3 milioni -
AcegasApsAmga congela la procedura in attesa di verdetto
Un ricorso al Tar del Friuli Venezia Giulia "congela" l'appalto per lo
spazzamento e per la raccolta dei rifiuti solidi nell'area urbana triestina:
AcegasApsAmga ha quindi preferito, in regime di autotutela, prorogare fino al 30
aprile del prossimo anno gli attuali gestori del servizio, che sono Italspurghi
e la coop Sole. Una gara di consistente rilevanza, sia per i 9,3 milioni in
palio che per l'attenzione con cui l'utente/cittadino/contribuente guarda alla
qualità ambientale. AcegasApsAmga aveva lanciato due bandi nella scorsa
primavera, uno dedicato alla pulizia dell'area urbana e l'altro alla pulizia
della periferia: gare differenti per topografia, caratteristiche operative,
curricula aziendali, portata finanziaria. Infatti il bando "periferico"
ammontava a 3,6 milioni di euro. Comunque un bell'impegno per l'utility, che
appaltava complessivamente 13 milioni di attività ecoambientale a cinque anni di
distanza dalla precedente gara svoltasi nel 2012. I termini per la presentazione
delle offerte da parte delle imprese interessate scadevano in maggio, in estate
le lettere di invito alle ditte, l'aggiudicazione era programmata tra settembre
e ottobre. Diversi gli appalti, diversi gli esiti. Il forese (Circoscrizioni
1-2-6, zona Altipiano) non sembra aver sortito problemi per l'aggiudicazione: ha
vinto il raggruppamento temporaneo di imprese (Rti) formato dalla capogruppo
Querciambiente soc.coop., la coop Germano, la coop Franco Basaglia. Una gara
riservata a operatori economici e a coop sociali il cui scopo principale «sia
l'integrazione sociale professionale delle persone con disabilità o
svantaggiate». Ha prevalso il gestore uscente, che quindi non avrà particolari
problemi a proseguire nel lavoro già domani, giornata di Ognissanti. Per 3,6
milioni e per un biennio - rinnovabile per un ulteriore anno a discrezione di
AcegasApsAmga - spazzamento manuale e meccanizzato, "porta a porta" della
biomassa, ingombranti a domicilio, imballaggi di cartone, raccolta pile. Il
discorso cambia con l'altra gara, quella che riguarda il Centro e l'immediata
periferia cittadina. AcegasApsAmga non ha inteso fornire dettagli sui
protagonisti della vicenda giudiziaria amministrativa. E'possibile una
ricostruzione ufficiosa sulla base di informazioni raccolte negli ambienti
imprenditoriali triestini: la gara sarebbe stata impugnata da un'associazione
temporanea di imprese (ati) costituita da due importanti realtà romagnole, il
gruppo Ciclat, con quartier generale a Ravenna, e il consorzio di coop sociali
Formula Ambiente, basato a Cesena. Da quanto è dato sapere, entrambe sarebbero
all'esordio in gare di tipo ecoambientale a Trieste. La questione, su cui si è
bloccata l'aggiudicazione, riguarderebbe la quota riservata alla cooperazione
sociale. L'ati romagnola sarebbe stata infatti esclusa nella fase di
pre-qualifica dei "candidati" alla gara. E allora la decisione di adire alla
giustizia amministrativa: a tale notizia AcegasApsAmga non ha proceduto
all'apertura delle buste, che è stata così congelata in attesa della pronuncia
da parte del Tar Fvg. Pronuncia che pare fissata per venerdì 10 novembre. Ciclat
è presente su un'ampia porzione del territorio nazionale: Piemonte, Emilia,
Toscana, Lazio, Puglia, Sicilia, Sardegna. Prudenza ha consigliato all'utility
di concedere un'ampia proroga agli attuali gestori, che lavoreranno - come
abbiamo premesso - fino alla fine dell'aprile 2018. AcegasApsAmga si è comunque
tenuta la possibilità di recedere anticipatamente nel momento in cui dovesse
maturare l'esito della gara temporaneamente sospesa. Sei mesi di proroga non
sono certo pochi, ma è probabile che siano scattate ragioni di opportunità
operativa: si va verso la stagione fredda con possibili precipitazioni (anche
nevose), si veleggia verso il periodo di fine anno con tutto il lavoro che ne
consegue, un eventuale cambio del gestore in corsa rischierebbe di ripercuotersi
sulla qualità e sull'efficienza del servizio in una stagione sovente rognosa. La
gara da 9,3 milioni si articola in due lotti. Il primo riguarda le
Circoscrizioni 3° e 4°, il secondo coinvolge le Circoscrizioni 5° e 7°. Il bando
richiede lo spazzamento manuale e meccanizzato del Centro e della periferia,
raccolta "rsu", servizi accessori. Anche in questo caso il periodo è di 24 mesi,
con la possibilità di un rinnovo annuale. Per entrambi i bandi l'aggiudicazione
vede premiare il criterio di qualità, che ottiene 70 punti, rispetto a quello
del prezzo (30).
Massimo Greco
Bagarre in aula sui rifiuti di San Dorligo - Scontro
opposizione-giunta sul nuove gestore del servizio. Assemblea pubblica bis
all'orizzonte
SAN DORLIGO DELLA VALLE - Toni accesi ieri mattina nel corso della seduta
del Consiglio comunale di San Dorligo della Valle. A tenere banco, ancora una
volta, il tema della raccolta delle immondizie sul territorio, da qualche mese
competenza della "A & T 2000", spa che opera col sistema cosiddetto "in house",
subentrata alla Italspurghi. Protagonisti di un confronto verbale, a tratti
molto concitato, il sindaco, Sandy Klun, e il consigliere comunale, Boris Gombac,
capogruppo di "Uniti nelle tradizioni", i cui rappresentanti siedono sui banchi
dell'opposizione. Quest'ultimo ha presentato una mozione, firmata anche
dall'altro consigliere di "Uniti nelle tradizioni", Massimiliano Dazzi, citando
la recente assemblea convocata dal suo movimento per discutere dell'argomento
rifiuti, per chiedere «l'abolizione del sistema dei 'sacchetti appesi', una più
articolata distribuzione dei raccoglitori per il verde, l'eliminazione dei
sacchetti di carta per l'umido».Il capogruppo, dopo aver definito "inadeguata"
l'impresa incaricata del servizio e aver criticato «la gestione della
movimentazione dei mezzi destinati alla raccolta delle immondizie», ha concluso
pesantemente: «Questa maggioranza puzza come le immondizie sparse sul
territorio».Klun ha replicato con forza: «Abbiamo operato ascoltando le
richieste di tutti e stiamo provvedendo, cercando di soddisfare tutte le
esigenze. Sul discorso del verde - ha aggiunto il sindaco - si sta ragionando, e
ricordo che la "A & T 2000" ha grande esperienza, infatti sono moltissimi i
cittadini soddisfatti". Danilo Slokar (Lega Nord) e Roberto Drozina (lista
Territorio e Ambiente) hanno proposto a Gombac di ritirare la mozione e passare
la palla alla competente commissione consiliare. Il capogruppo di "Uniti nelle
tradizioni" non ha accettato, ma ha voluto andare al voto, che ha avuto esito
netto: mozione bocciata da un secco "no", con l'unica ovvia eccezione del voto
favorevole dello stesso Gombac. A breve però i cittadini di San Dorligo della
Valle Dolina avranno la possibilità di esprimersi direttamente nei confronti del
sindaco, della giunta e dei consiglieri, in quanto dovrebbe essere convocata una
nuova pubblica assemblea, nel corso della quale si parlerà del tema della
raccolta delle immondizie.
(u.s.)
IL PICCOLO - LUNEDI', 30 ottobre 2017
Nasce il centro hitech anti-disastri petroliferi -
Ultimata la ristrutturazione del Magazzino 23, da giovedì piena operatività
Nel polo per la robotica subacquea di Saipem-Sonsub anche un'Academy
Con la fine dei lavori di ristrutturazione del Magazzino 23, scatta giovedì
2 novembre l'operatività del Polo mondiale per la robotica subacquea che
Saipem-Sonsub ha insediato in Porto vecchio nell'area dell'Adriaterminal.
Un'operazione che quello che è uno dei più importanti contractor a livello
mondiale del settore della costruzione e manutenzione delle infrastrutture al
servizio dell'industria oil&gas con una operatività nei cinque continenti, ha
voluto fare a Trieste e che negli ultimi mesi ha avuto uno sviluppo inatteso.
Tale da far diventare il porto del capoluogo del Friuli Venezia Giulia l'hub
internazionale per le operazioni di emergenza in tutto il pianeta, il playground
dove saranno testate le attrezzature per le lavorazioni sottomarine più avanzate
tecnologicamente, robot e droni in testa, e la sede dell'Academy dove verranno
formati gli ingegneri e i tecnici che si specializzeranno nelle nuove
professioni di questo settore ancora semisconosciute. «Abbiamo scelto Trieste
per una serie di motivi - spiega l'ingegner Massimo Fontolan, vicepresidente di
Sonsub, società innovativa interamente controllata da Saipem -: per la
situazione logistica data da una banchina con fondali importanti e acqua chiara
dove possono attraccare grandi imbarcazioni e dove possiamo effettuare i nostri
test, per la presenza in quest'area di un supply chain adeguato, cioè un indotto
di forniture e servizi indispensabili per la nostra catena di distribuzione e
soprattutto per la possibilità di operare in regime di Punto franco. Tutte le
nostre attività infatti si svolgono off shore e qui sono libere dall'aspetto
doganale, mentre ad esempio a Marghera (dove Saipem ha una sede con 150 tecnici,
ndr) per tutte le attrezzature che riportavamo a terra dovevamo sempre fare la
procedura di importazione temporanea in Italia. Qui invece possono entrare e
uscire liberamente e questo per noi è strategico. Ecco perché il nostro
equipment lo abbiamo portato qui, ma dagli ultimi due anni (il primo sbarco è
del 2010, ndr) non ci limitiamo ad attività di puro stoccaggio. Ora abbiamo
restaurato completamente il Magazzino 23 (la cifra, non ufficiale, parla di un
investimento di 3 milioni solo per questo, ndr) e vi abbiamo già insediato anche
i nostri uffici. Ma probabilmente a breve dovremo espanderci ancora, faremo una
serie di nuove assunzioni, sposteremo qui alcune attività che facciamo a
Marghera». A Trieste saranno però assemblati anche i robot sottomarini. «Li
costruivamo a Houston - confessa Fontolan -, abbiamo chiuso a Houston (la città
del petrolio, ndr) e aperto a Trieste». Tutto questo ricorda anche ciò che sta
avvenendo con Sèleco che grazie al Punto franco si sta trasferendo a Trieste. Ma
l'operazione Saipem ancor meglio si inserisce nella filosofia di riconversione
del Porto vecchio. «Noi non spostiamo grandi quantitativi di merce - spiega
Fontolan - non è il nostro mestiere, né qui sarebbe possibile sviluppare un
moderno terminal, ma attiriamo cervelli, sviluppiamo nuove tecnologie,
prepariamo le professioni del futuro e Trieste lo ha capito meglio di altre
città. Creeremo importanti interazioni con gli istituti tecnici, le università,
le realtà scientifiche locali. Ospiti della nostra sede vi sono già ora tecnici
inglesi, irlandesi, americani, norvegesi e di Singapore che vengono qui a
istruirsi. Con l'Academy transiteranno ogni anno a Trieste decine e decine di
professionisti e cresceranno le ricadute sul territorio (già ora si parla di una
trentina di milioni all'anno, ndr)». Il primo elemento di svolta che ha fatto di
Trieste una base di rilievo mondiale è stato l'Offset installation system (Ois),
una gigantesca attrezzatura colorata in giallo ancora per qualche giorno
visibile anche dalle Rive che è il carrier, cioè il "portatore" di un tappo in
grado di chiudere, comandandolo da un chilometro di distanza, un pozzo
petrolifero subacqueo a cui siano saltate tutte le valvole di sicurezza e
impedire così la fuoriuscita di olio e gas in mare aperto. Di tappi esistenti in
giro per il mondo ce ne sono quattro, ma l'unico "portatore" esistente sul
pianeta è questo di Trieste. «Saipem - ribadisce Fontolan - ha vinto la gara per
la sua realizzazione bandita dalle otto principali compagnie petrolifere al
mondo».
Silvio Maranzana
L'azione a 4mila metri di profondità - Nel 2002
l'intervento per l'incidente della Prestige al largo delle coste spagnole
E un ulteriore salto di qualità è pronto per la base di Trieste nel campo
dell'oil&gas. «Il nostro cliente - spiega ancora Massimo Fontolan,
vicepresidente di Sonsub - ora non sarà più soltanto il gruppo delle prime otto
società petrolifere del mondo che ci hanno commissionato la realizzazione dell'Ois,
ma il consorzio che comprende tutte le società petrolifere. Stiamo trattando con
loro infatti per portare a Trieste, il Centro per qualsiasi tipo di intervento
nell'area del Mediterraneo. Qui infatti c'è già l'hub internazionale per le
operazioni di emergenza in mare e tra le nostre credenziali possiamo vantare
anche l'intervento fatto sulla petroliera Prestige». La Prestige era una
petroliera monoscafo tipo Aframax che, affondando al largo delle coste spagnole
il 19 novembre 2002 con un carico di 77mila tonnellate di petrolio, provocò
un'immensa marea nera che colpì la vasta zona compresa tra il nord del
Portogallo fino alle Landes, in Francia, causando un notevole impatto ambientale
alla costa galiziana. L'intervento di Saipem consentì l'estrazione del
combustibile dalla Prestige mediante un sistema di botti, detto anche
"estrazione per gravità". Che consiste nel perforare lo scafo aprendo un foro di
70 centimetri di diametro per installare un sistema a doppia valvola che regoli
l'uscita. Si aggancia una botte di alluminio marino che si riempie di
combustibile (fino a 300 m³) per portarlo fino a 40 metri dalla superficie e
trasferire il combustibile a una nave attraverso un tubo. Il costo stimato
dell'operazione fu di 99,3 milioni di euro, ma un anno dopo il disastro, le
spiagge galiziane contavano più bandiere azzurre di sempre. «Abbiamo operato con
i nostri robot a quattromila metri di profondità», sottolinea Fontolan. Chiaro
che a quelle profondità non possono scendere gli uomini, ma l'ingegner Giacomo
Pellicioli ci tiene a sottolineare che «in Saipem gli infortuni non esistono
perché viene prestata massima attenzione alla sicurezza e anche durante i sei
mesi di lavori nel Magazzino 23, eseguiti da una ditta esterna, nessuno si è
fatto nemmeno un graffio». Un grave disastro è invece alla base dell'iniziativa
che ha indotto le compagnie petrolifere a bandire la gara per il famoso
porta-tappo. È stato quello della piattaforma Deepwater Horizon, affiliata alla
British Petroleum, con uno sversamento massiccio di petrolio nelle acque del
Golfo del Messico in seguito a un incidente riguardante il Pozzo Macondo a oltre
1.500 metri di profondità. Lo sversamento è iniziato il 20 aprile 2010 ed è
terminato 106 giorni più tardi, il 4 agosto 2010, con milioni di barili di
petrolio sulle acque di fronte a Louisiana, Mississippi, Alabama e Florida,
oltre al fatto che la frazione più pesante del petrolio ha formato grossi
ammassi sul fondale marino. In seguito all'esplosione, 115 dei 126 uomini a
bordo sono riusciti a mettersi in salvo (17 feriti), mentre 11 sono morti.
Nonostante gli sforzi dei soccorritori per spegnere l'incendio, è risultato
impossibile domare le fiamme e il 22 aprile 2010 la struttura della Deepwater
Horizon è collassata, mentre una seconda esplosione ne ha causato
l'affondamento. La tragica vicenda è narrata anche in un film di successo,
"Deepwater, inferno sull'oceano". Con l'Offset installation system di Trieste,
il disastro sarebbe stato fortemente ridotto.
(s.m.)
Il drone sottomarino che abbatterà i costi - Hydrone
verrà assemblato, testato e lanciato a Trieste - Fontolan: «Rivoluzionerà le
manutenzioni e le estrazioni»
C'è un nuovo avveniristico gioiello tecnologico di Saipem-Sonsub che a
Trieste verrà assemblato, testato e lanciato: si chiama Hydrone ed è un drone
marino unico al mondo, pilotato a distanza senza cavi cioè via wi-fi e in grado
di arrivare dove l'uomo non può, non su pianeti sconosciuti, ma sott'acqua, se
non ventimila leghe sotto i mari, certamente migliaia di metri sotto, per
operare sulle condotte degli impianti di petrolio e gas. «Stiamo sviluppando
Hydrone - spiega Massimo Fontolan, vicepresidente di Sonsub -, stiamo costruendo
il prototipo, a Trieste lo rifiniremo e utilizzeremo quest'area come playground
dove saranno anche realizzati simulacri per mimare le operazioni che poi faremo
in tutto il mondo». I macchinari sono attualmente in fase di costruzione nella
sede di Marghera che recentemente, per la prima volta, ha aperto le porte ai
rappresentanti dei media. Il drone acquatico dotato di bracci meccanici è stato
pensato anche per ridurre i costi e rendere autonoma la manutenzione degli
impianti. Non ci sarà infatti più bisogno di una nave di supporto, come accade
invece ora con il robot Innovator 2.0, attualmente in uso per la costruzione dei
condotti e che è vincolato a un cavo lungo oltre sette chilometri, con costi
molto elevati. «Hydrone è il primo esemplare al mondo di questa tipologia - ha
ribadito Fontolan -, darà origine a una famiglia di modelli che limiteranno
l'intervento umano e abbatteranno i costi per estrarre petrolio». L'azienda
punta a rivoluzionare il modo stesso di estrazione per rendere conveniente lo
sfruttamento dei giacimenti anche se il prezzo scende. Il futuro a lungo termine
prevede lo spostamento di tutto il processo: dalla trivellazione al trattamento
delle sostanze, sul fondo del mare. La tecnologia "Springs", sviluppata in
collaborazione con i giganti francesi Total e Veolia, va in questa direzione e
permette di trattare e pompare l'acqua marina per l'estrazione del petrolio
attraverso filtri posti sul fondale, senza doverla trasportare da impianti sulla
terraferma. Saipem ora punta a seguire tutte le fasi degli impianti sottomarini,
dalla posa delle tubature alla manutenzione. E i piloti dei droni sottomarini si
formeranno in Porto vecchio. «Chi saranno? Quali competenze dovranno possedere?
Lo stiamo appena valutando - rivela il vicepresidente di Sonsub -, a formarli
sarà l'Academy di Trieste». Ma in attesa di Hydrone che dovrebbe esordire
operativamente nel 2019, Saipem-Sonsub utilizza Innovator 2.0, robot che dal
Texas hanno trovato casa a Trieste. «Sono veicoli a controllo remoto di ultima
generazione - aggiunge Fontolan -, sono stati testati a Trieste. Ne abbiamo una
cinquantina, ma per fortuna oggi qui non se ne vede nemmeno uno, sono tutti a
lavorare in giro per il mondo. Noi costruiamo infrastrutture sul fondo del mare,
teste di pozzo, recuperiamo olio e gas, lo trattiamo e lo portiamo a terra.
Loro, guidati a distanza, da una nave, fanno anche i montatori e gli
installatori. Stanno operando in Africa, nel golfo del Messico, nel mare del
Nord, nel Sud-Est asiatico e in altri siti ancora». Va rimarcato che nel 2017
Saipem ha raddoppiato il budget per la tecnologia passando da 30 a 60 milioni di
euro fidando sul fatto che proporre soluzioni innovative ai committenti dell'oil
and gas rappresenti uno degli elementi su cui scommettere per assicurarsi un
vantaggio competitivo nel mercato. Non a caso, oltre alla mole di investimenti
già messa in pista, dal 2012 al 2016, per lo sviluppo di nuove tecnologie (163
milioni, di cui 73 solo in innovazione pura), Saipem può vantare 36 nuovi
brevetti solamente nel 2016 (l'anno scorso che peraltro è risultato essere
quello più prolifico nella storia societaria), oltre ai 2308 già registrati nel
corso del tempo, e 176 tecnologie proprietarie, distribuite tra raffinazione,
petrolchimico e Snamprogetti.
(s.m.)
Albania, un maxi resort nell'area naturale protetta
Venti Ong, fra cui il Wwf, criticano il progetto destinato a sorgere in
una laguna fra le più grandi del Mediterraneo. Ma la popolazione spera nei nuovi
posti di lavoro
BELGRADO - I Balcani, terre ancora poco battute, nascondono gioielli più o
meno sconosciuti. Il lago di Ohrid, Scutari, Kopacki Rit, il "deserto" di
Deliblatska Pescara. Ma ci sono anche perle quasi ignote. E forse anche per
questo più a rischio. Una di queste è una laguna fra le più grandi del
Mediterraneo, dimora di decine di tipi di uccelli e pesci, 90 specie minacciate,
40 a rischio estinzione. È Karavasta, in Albania: parco nazionale da una decina
d'anni, habitat perfetto per l'ormai raro pellicano crespo. Ma Karavasta è anche
altro. Come Scutari, è l'obiettivo di grandi progetti immobiliari che potrebbero
deturpare uno dei più preziosi ecosistemi d'Europa. La denuncia, non nuova, è
stata rilanciata in questi giorni da Reporter, portale albanese braccio del
Balkan Investigative Reporting Network e dal Courrier des Balkans (Cdb).
Entrambi i media hanno messo il dito nella possibile futura piaga, un
investimento che può mettere a rischio Karavasta: guardato con favore dalla
popolazione locale che spera in posti di lavoro e sviluppo, ma visto come fumo
negli occhi dagli ecologisti. L'investimento, ancora allo stato embrionale, è
quello previsto per la costruzione di un grande villaggio turistico, il "Divjaka
Resort": un'idea della Mabetex, colosso che fa capo al tycoon Behgjet Pacolli,
attuale ministro degli Esteri kosovaro. Il progetto, se realizzato, «permetterà
agli ospiti di apprezzare uno fra i più incantevoli panorami della riserva» in
un villaggio che rispetterà «la qualità ambientale», promette la Mabetex dal suo
sito.Il villaggio, hanno svelato gli ambientalisti, sarà composto da 370 ville e
2.400 appartamenti in edifici che si affacceranno sulla laguna, alti fino a
venti piani, hotel, strade di accesso, e sulla costa un lungo frangiflutti.
Secondo alcune organizzazioni locali, tra cui EcoAlbania, il resort potrebbe
ospitare contemporaneamente fino a 18.000 ospiti al giorno, più del doppio degli
abitanti della vicina cittadina di Divjake. Valore del possibile investimento -
il maggiore di questo genere nel Paese - 1,5 miliardi di euro. L'ipotesi resort
non è piaciuta a molti ambientalisti locali e soprattutto alla Mediterranean
Wetlands Alliance, un network di una ventina di Ong - tra cui il Wwf - che nei
mesi scorsi ha criticato in una lettera aperta indirizzata al premier Rama i
piani di sviluppo. Divjaka-Karavasta è una delle più «importanti zone umide nel
bacino del Mediterraneo, rappresenta un sito-chiave» per flora e fauna ed è
«popolato ogni anno da milioni di uccelli che vi sostano durante la migrazione»,
oltre che sito importante per l'economia locale, in crescita grazie al turismo
responsabile. Sito che potrebbe essere messo a rischio dal mega-resort, un
progetto «estremamente negativo e inaccettabile». Ma a che punto è il progetto?
«Persone dell'azienda ci hanno informato che stanno ancora lavorando al project
design e hanno già sottoposto uno studio strategico preliminare di impatto
ambientale al ministero dell'Ambiente», spiega al Piccolo Taulant Bino,
presidente della Società ornitologica albanese. A ministero e premier invece
«noi abbiamo chiesto» invece «di fermare il progetto. Non sappiamo» cosa
accadrà, «quando ci rivolgiamo al ministero ci rispondono che nessuna decisione
è stata presa, ma in ogni caso noi riteniamo che il progetto sia distruttivo».
Non tutti sono così pessimisti. Una prima versione originale del progetto era
«molto ambiziosa e pericolosa per l'ambiente», ma ora «hanno rivisto il
progetto», assicura Jamarber Malltezi, professore di Agricoltura all'Università
di Tirana. «Se il modello rivisitato e corretto sarà attuato, potrebbe portare a
uno sviluppo sostenibile. Come ambientalisti abbiamo espresso le nostre
preoccupazioni un anno e mezzo fa, su un piano che prevedeva la trasformazione
in terreni edificabili della "core area" del parco. Ora hanno cambiato
atteggiamento. Se il nuovo progetto sarà applicato e se le autorità
monitoreranno» il tutto, allora potrà essere «un progetto di successo». E
monitoraggio, soprattutto in questo caso, è la parola-chiave per salvare
Karavasta
Stefano Giantin
«Così Banca Etica aiuta le startup triestine» - Enrico
Trevisiol: «Non finanziamo solo il terzo settore. L'accordo con l'Area di
ricerca è un esempio»
MILANO«Il territorio di Trieste è ricco di idee imprenditoriali innovative
che si combinano bene con i nostri valori. Sarà un percorso di crescita
condiviso». Enrico Trevisiol, direttore di Banca Etica a Trieste (attiva dal
2011), spiega così l'accordo con Innovation Factory, l'incubatore certificato di
Area Science Park, per sostenere lo sviluppo delle startup. Un'iniziativa che
conferma l'approccio particolare di questo istituto di credito, che senza
rinunciare all'obiettivo di generare profitti - il primo semestre si è chiuso
con un utile netto di 2,2 milioni di euro, impieghi per 770 milioni, raccolta
diretta a 1,32 miliardi e indiretta a 584 milioni - guarda anche all'impatto
sociale delle sue scelte strategiche. «Una startup può nascere - ha detto
Fabrizio Rovatti, direttore di Innovation Factory - in modi diversi: da
un'intuizione, un colpo di genio o in risposta a una reale esigenza. Ma per
svilupparsi e crescere ha bisogno di supporto e sostegno. Supporto significa
aiuto nella realizzazione di un percorso di avvicinamento al mercato che include
tutti gli aspetti del progetto imprenditoriale. Sostegno, invece, significa
avere a disposizione, quando necessario, strumenti finanziari idonei e
personalizzati, fondamentali per la crescita. In questo Banca Etica è di certo
uno dei partner ideali per le nostre startup». Trevisiol, come nasce l'accordo
con Innovation Factory? I nostri programmi di microcredito e microfinanza sono
imperniati sulla ricerca di partner locali, con una grande conoscenza dei
rispettivi territori. Nell'Area Science Park di Trieste c'è un ecosistema in
grado di cogliere le esperienze di gemmazione di imprese con grande taglio di
innovazione e al tempo stesso in linea con il nostro modo di fare banca, cioè a
sostegno di una nuova economia. Cosa intende? Tradizionalmente abbiamo sempre
finanziato il terzo settore. Ora spostiamo l'asse verso l'economia di impatto
sociale. Come funziona l'accordo? Finanzieremo le startup, cioè aziende
costituite da non più di cinque anni e con massimo cinque dipendenti. Oltre ad
associazioni con partita iva aventi le medesime caratteristiche e imprese in via
di costituzione. I settori che vogliamo sostenere vanno dall'agricoltura
biologica all'utilizzo di tecnologie inclusive, ai servizi sanitari di
prossimità. Il credito può arrivare fino a 25mile e riguardare iniziative come
acquisto di beni e servizi strumentali all'attività di business, retribuzione di
nuovi lavoratori e frequenza dei corsi di formazione. Chi segnala le aziende da
sostenere? Il processo può partire dalla nostra banca, così come da Innovation
Factory. Dopo di che si fa un esame congiunto e la collaborazione prosegue anche
dopo l'eventuale concessione del finanziamento per un monitoraggio continuo.
Come le dicevo, puntiamo su percorsi condivisi con i territori per sviluppare
una nuova economia.
Luigi Dell'Olio
LA RUBRICA NOI E L'AUTO - MEZZI ELETTRICI PER FAR
RESPIRARE LE NOSTRE CITTÀ
Le recenti notizie sul blocco del traffico per inquinamento in alcune città
dell'Italia del nord, mi hanno paradossalmente fatto ritornare più giovane. Mi
sono, infatti, tornate in mente le così dette "targhe alterne", regolamentate da
un decreto legislativo dell'ormai lontano aprile 1999, che consentivano la
circolazione "alternativamente" un giorno ai veicoli con targa pari e il giorno
successivo a quelli con targa dispari. Il provvedimento scattava all'indomani
della segnalazione, da parte delle apposite centraline urbane, del superamento
dei limiti previsti, per esempio, dell'anidride carbonica e delle particelle Pm
10.Evidentemente non ci sono stati in questi anni progressi risolutivi che
abbiano definitivamente cambiato la situazione di inquinamento. Nel caso vengano
prossimamente presi provvedimenti che vietino la circolazione di veicoli
appartenenti, per esempio, alla categoria euro inferiore o uguale alla 5,
ricordo che detta categoria è indicata sulla carta di circolazione sotto la voce
V. 9, del riquadro 2. Peccato che tale sigla non sia riportata con chiarezza, ma
c'è solo l'indicazione della normativa europea di riferimento, che va appena
ricercata. Per dare un consiglio pratico a chi non è avvezzo a cercare i dati su
internet, ricordo che i tutti i veicoli immatricolati dopo il 1° gennaio 2011
sono euro 5 e quelli immatricolati dal 1° settembre 2015 sono euro 6. Sempre sul
tema inquinamento da motori, dal 1°gennaio 2019 non potranno più circolare i
veicoli euro 0, che sono tutti quelli immatricolati prima del 1° gennaio 1993.
Contrariamente a quello che si credeva in un primo momento, con grande spavento
dei relativi proprietari, e cioè che il provvedimento riguardasse in generale
tutti i veicoli, la prescrizione si riferisce solamente agli autobus ed ai
veicoli con più di 8 posti, escluso il conducente. Il pensiero non può che
andare alla necessità che si diffondano più rapidamente possibile i veicoli
elettrici che, a questo punto, sono gli unici che potranno risolvere il problema
inquinamento, pur essendo validi anche i veicoli ibridi. Ma ci vorrà ancora
tanto tempo e tanta buona volontà da parte di tutti, istituzioni e privati.
Giorgio Cappel
L'ANALISI: IL FUTURO SENZA BENZINA - Una scelta obbligata: cambiare o morire
L’INDUSTRIA DELL’AUTO SCHIERATA IN MODO COMPATTO LE PRIME MOSSE IN CINA, IL LUNGO ADDIO AL PETROLIO
E insieme crescono i livelli di anidride carbonica e delle polveri sottili, responsabili in parte di un inquinamento non più sostenibile. Una situazione che ormai viene affrontata a livello globale con politiche ambientali che dovrebbero contrastare questa deriva. A tutto questo si è aggiunto lo scandalo delle emissioni, noto come Dieselgate, scoppiato due anni fa proprio negli Stati Uniti d'America. Il caso delle emissioni truccate, però, ha avuto indubbiamente un lato positivo proprio per l'ambiente, visto che ha portato un'enorme accelerazione della mobilità a zero emissioni. Una rincorsa verso l'auto elettrica che finalmente ha coinvolto un po' tutti i grandi costruttori, a cominciare proprio dai colossi tedeschi che da subito hanno capito che bisognava dare una svolta all'automobile. In altre parole che andava cambiata oppure sarebbe stata destinata a sparire. E così eccoci davanti a nuovi scenari, francamente impensabili appena qualche anno fa. Con l'intera industria automobilistica schierata in formazione compatta per rivedere il sistema della mobilità. Una sfida gigantesca che vede coinvolti tutti e che sta partendo proprio dal più grande mercato del mondo, la Cina. Il paese della grande muraglia è di gran lunga la più grande piazza del mondo con i suoi 24 milioni di auto vendute ogni anno ed è qui, infatti, che i principali analisti del settore prevedono una crescita costante delle auto elettriche. A cominciare da AlixPartners, società globale di consulenza aziendale, secondo cui la corsa verso le "zero emissioni" sta finalmente prendendo velocità proprio grazie alla Cina con Europa e Nord America ancora non in grado di tenere il passo. Qualche numero per farsi un'idea più precisa: nel secondo trimestre del 2017, in Cina sono stati venduti veicoli per un'autonomia elettrica totale di 22,5 milioni di chilometri, mentre in Europa lo stesso dato si è attestato a poco più della metà, circa 12,6 milioni di chilometri, con l'Italia sedicesima in questa speciale graduatoria con 0,20 milioni di chilometri venduti. Entro il 2030, i veicoli elettrici e ibridi rappresenteranno oltre il 40% delle vendite di veicoli in Europa con la Cina, però, saldamente in testa nella classifica mondiale delle vendite. Insomma, la scossa è davvero arrivata. E nello stesso tempo è iniziato il lungo addio al diesel prima e alla benzina poi. Complici anche gli amministratori delle grandi città che hanno già pronti piani di azione progressiva per togliere le auto a carburante fossile prima dai centri storici e poi dall'intero territorio cittadino. I sindaci di Londra, Parigi, Berlino e altri ancora hanno già fatto le loro ordinanze, preso decisioni che difficilmente saranno modificabili. Ci vorranno ancora anni, forse non pochi, ma il processo è ormai partito. Anche perché dalle parte delle case automobilistiche c'è proprio questa consapevolezza e nei loro piani industriali cominciano a comparire progetti davvero innovativi. Dalla Volvo alla Mercedes, dalla Volkswagen alla Toyota sono tutti convinti che l'elettrificazione cambierà finalmente la faccia all'automobile. Le ridarà la dignità perduta in questi anni riposizionandola nelle città e ripulendola da quella "brutta immagine" di oggetto inquinante che negli ultimi anni ne stava decretando la fine. Per ricominciare, dunque, ci vorrà una vera rivoluzione. D'altronde per l'auto non c'era altra scelta: cambiare o morire.
VALERIO BERRUTI
La grande fuga dal petrolio - Energia elettrica e
idrogeno i carburanti del futuro
IN MOSTRA PROTOTIPI LEGATI AL FUTURO PROSSIMO E A QUELLO REMOTO -
BATTERIE, GUIDA AUTONOMA E CONNETTIVITÀ LE PAROLE D'ORDINE
Elettrico, connettività e guida autonoma saranno i grandi temi del Salone di
Tokyo che ha appena aperto i battenti. Rispetto alle rassegne europee, Ginevra a
marzo e Francoforte a settembre, l'indirizzo generale non cambia, ma
protagonista è quasi esclusivamente la nutrita squadra dei costruttori
nipponici, con un comune denominatore: la mobilità sostenibile in vista delle
prossime Olimpiadi 2020 a Tokyo. L'auto del futuro secondo Toyota sarà a
idrogeno perché, rispetto all'elettrico, permette un pieno in pochi minuti, come
un modello benzina o diesel, ma assicura fino a 1.000 chilometri di autonomia.
Il concept fuel-cell Fine-Comfort Ride (linea di carburante a basso consumo)
anticipa un crossover di lusso dal design molto scolpito a coda tronca, che
rappresenta un'evoluzione dell'attuale C-Hr ma può ospitare fino a sei
passeggeri. In più, grazie alla guida autonoma, la configurazione degli interni
diventa a salotto. In casa Lexus tengono a mantenere il segreto sino alla
vigilia, ma pare essere pronta al debutto un'evoluzione del grande Suv Rx con
tre file di sedili, mentre la variante di serie del crossover compatto Ux
probabilmente slitterà a Ginevra 2018. E poi dovrebbe esserci un'ammiraglia
fuel-cell, un dispositivo elettrochimico che combina idrogeno e ossigeno
mediante un catalizzatore. Due prototipi per mostrare il futuro prossimo e il
futuro remoto di Mazda. Il primo, vicino alla produzione dovrebbe anticipare la
futura generazione della Mazda3 prevista per il 2018-2019. La prossima Mazda3
sarà anche il primo modello a impiegare una nuova architettura per le compatte e
la nuova generazione di motori benzina Skyactive-X ad accensione comandata, che
combina bassi consumi ed emissioni ridotte di un diesel pur bruciando benzina.
Con un secondo modello di ricerca la casa di Hiroshima mostra l'evoluzione del
linguaggio stilistico Kodo-design, lanciato per la prima volta nel 2012. Si
tratta di una berlina-coupé dalle linee sensuali, esaltate da un lungo cofano
che si innesta con il corpo centrale della vettura e chiude su una coda corta. A
Tokyo sono protagoniste le visioni futuristiche di Suv e crossover come il
piccolo e-Survivor della Suzuki, un off-road in taglia extrasmall, due posti
secchi, trazione integrale hi-tech e motore elettrico indipendente per ciascuna
ruota. Questo prototipo dovrebbe prefigurare i tratti della nuova Jimny attesa
per il 2018. Dalla Mitsubishi un Suv-coupé, battezzato E-Evolution Concept, un
concentrato di innovazione tecnologica e intelligenza artificiale che sarà anche
l'apripista del futuro linguaggio stilistico della casa recentemente entrata a
far parte dell'alleanza Renault-Nissan. Con l'Ev Concept, una quasi vettura di
serie, la Honda aveva prefigurato al salone di Francoforte i contenuti
dell'utilitaria elettrica prevista per il 2019, basata su una nuova piattaforma
destinata a modelli a batteria in diversi segmenti. Alla rassegna nipponica è
arrivata una piccola Honda elettrica: la Concept Sports Ev dalla silhouette
compatta con linee dinamiche e sportive, tratteggiate da un lunotto avvolgente
che appoggia su una coda tronca, evocativo della S600 degli anni Sessanta. Con
la sorella Ev Concept oltre al telaio, la sportiva condivide anche i gruppi
ottici posteriori quadrati. Non sembrano esserci legami tra il modello Ev che la
Honda lancerà in Cina il prossimo anno e questi prototipi, e che genereranno
delle gamme di prodotti per il Giappone e l'Europa. Sempre in tema di compatte
sportive elettriche, a Tokyo la Nissan svelerà un concept che prefigura
un'eventuale variante Nismo della seconda generazione della Leaf. La casa
giapponese ha infatti deciso di investigare se l'idea di una compatta sportiva
sia applicabile anche alle auto elettriche, immaginando una sorta di Ev Gti. Il
secondo concept Nissan dovrebbe essere il tanto atteso crossover a batteria, per
il momento presentato come contenitore di una strategia di "mobilità
intelligente" che unisce elettrificazione con guida autonoma e connettività, ma
destinato a entrare presto in produzione.
MARGHERITA SCURSATONE
IL PICCOLO - DOMENICA, 29 ottobre 2017
Roghi in Piemonte, inquinamento record
TORINO - Una giornata senza vento ha consentito di fermare o rallentare il
fronte degli incendi in Piemonte. Dal Canavese alle valli del Cuneese, la
situazione è migliorata, ma l'allerta resta massima, ha ammonito il presidente
della Regione, Sergio Chiamparino. Oggi, infatti, è previsto che torni a
soffiare il vento, con raffiche - annuncia Arpa - «forti o molto forti» dalle
Alpi Cozie alle Lepontine, una vasta regione che comprende anche le vallate
devastate dai roghi di questa settimana. Il vento foenh potrebbe arrivare fino
alle pianure. Continuerà quindi la battaglia contro roghi che hanno distrutto
già migliaia di ettari di pascoli e foreste, minacciando aree di grande pregio
ambientale, come il parco nazionale del Gran Paradiso, a rischio per le fiamme
che si sono propagate a Locana in Valle Orco, e alla più vasta cembreta
d'Europa, il bosco dell'Alevè, nel Saluzzese. Mentre si combatte l'emergenza,
partono anche le indagini dei carabinieri forestali: a fare scoppiare i roghi
potrebbe esserci stata anche la mano degli incendiari. Ma è rientrato l'allarme
per i due sospetti inneschi trovati nei boschi di Cumiana (Torino): erano
probabilmente solo mucchi di legna preparati per fare un barbecue, peraltro
vietato dal 10 ottobre in Piemonte, quando è stato dichiarato lo stato di
massima pericolosità per gli incendi boschivi. E mentre gli incendi continuano a
interessare anche i boschi del Varesotto, il Lombardia, a Torino la
concentrazione di polveri sottili nell'aria è arrivata a livelli mai raggiunti,
354 microgrammi al metro cubo: 7 volte superiore ai limiti di legge.
IL PICCOLO - SABATO, 28 ottobre 2017
In fiamme 2mila ettari di boschi - Piemonte, il
governatore Chiamparino chiede lo stato di emergenza
TORINO - Incendi senza tregua in Piemonte. La giornata di ieri è stata forse
la peggiore, con la Valle di Susa in piena emergenza, intere frazioni evacuate e
un allarme, poi rientrato, per una squadra di Vigili del fuoco accerchiata dalle
fiamme. I roghi restano estesi anche in altre vallate della provincia di Torino,
in particolare nel Canavese, in Valchiusella, e nel Cuneese. Alimentati dal
vento, che ha soffiato fino a 137 km all'ora in alta quota, e favoriti dalla
gravissima siccità, gli incendi hanno già distrutto oltre 2mila ettari di
pinete, boschi e pascoli. Il fronte complessivo è esteso su 120 chilometri e la
giunta regionale, presieduta da Sergio Chiamparino, ha formalizzato al governo
la richiesta dello stato di emergenza. «L'allerta resterà massima anche la
prossima settimana», ha spiegato Chiamparino. In Piemonte ieri hanno operato
oltre 2.000 volontari, carabinieri forestali e vigili del fuoco. In azione 5
Canadair dei Vigili del fuoco, un elicottero e 50 squadre a terra. Oltre al
fuoco, a spaventare è il denso fumo spinto dal vento a fondovalle: a Torino la
concentrazione di polveri sottili ha sfiorato i 200 microgrammi al metro cubo,
quattro volte oltre la soglia massima consentita. La fuliggine si è depositata
in tutti i quartieri.
IL PICCOLO - VENERDI', 27 ottobre 2017
La Regione mette fretta ad Arvedi sui "parchi" -
Dipiazza minaccia cause
Si acuiscono i contrasti sugli spolveramenti e la copertura dei parchi
minerali della Ferriera di Servola. La Conferenza dei servizi ha stabilito che
il progetto di fattibilità del Gruppo Arvedi per la copertura delle aree a parco
passerà al vaglio del ministero dell'Ambiente, ma la Regione Fvg impone
all'azienda, in attesa della realizzazione, la presentazione entro 90 giorni di
un piano d'intervento per contenere gli spolveramenti. Una situazione che non
trova però l'approvazione del sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, che annuncia
il ricorso alle vie legali: «Non si può pensare di coprire i parchi minerali nel
2022». È quanto emerso ieri dalla terza seduta della Conferenza (della quale
fanno parte Regione, Comune, Azienda sanitaria universitaria integrata di
Trieste, Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente e Vigili del fuoco).
Fa sapere la Regione: «La Conferenza, dopo aver valutato il progetto Arvedi, ha
considerato come adempiute le prescrizioni imposte dall'Autorizzazione integrata
ambientale (Aia), rimarcando però con vigore che i tempi per la progettazione e
la realizzazione dell'intervento devono essere considerevolmente ridotti
rispetto a quelli previsti dal cronoprogramma dell'azienda siderurgica». Nello
specifico la Conferenza ha richiesto che il termine per la consegna degli
elaborati definitivi del progetto venga fissato in 60 giorni rispetto ai 140
proposti da Arvedi e per gli elaborati esecutivi in 40 giorni contro i 130
previsti dalla proprietà dell'impianto. Il progetto, del valore stimato di 38
milioni di euro, prevede la realizzazione di due capannoni alti circa 40 metri e
lunghi circa 280 metri, per progettare i quali e ottenere le autorizzazioni alla
costruzione Arvedi stima un periodo di circa due anni, che si aggiungono ai due
anni circa necessari alla realizzazione dell'opera. Intervenendo sul tema,
l'assessore regionale all'Ambiente, Sara Vito, ha evidenziato che le migliorie
apportate all'impianto «devono garantire una riduzione delle immissioni
nell'atmosfera, ma è necessario intervenire rapidamente per evitare il ripetersi
degli spolveramenti. Il progetto di copertura dei parchi, sul quale dovrà
esprimersi il ministero, rappresenta una soluzione, ma la sua realizzazione
richiederà tempi lunghi, quindi la Regione vuole che l'azienda individui e attui
azioni concrete per risolvere il problema fino a che la struttura non sarà
operativa».Commenta invece Dipiazza in un video su Fb: «Per l'ennesima volta il
progetto sulla copertura dei parchi minerali appare come una presa per i
fondelli da parte della proprietà a tutti noi in quanto il progetto di copertura
parchi prevede la sua realizzazione nel 2022. Oltre ad aver diffidato la
proprietà a seguire le tempistiche che abbiamo dettato capaci di ridurre di
oltre la metà i tempi di progettazione, abbiamo anche chiesto di intervenire
immediatamente per l'eliminazione degli episodi di spolveramento. In Conferenza
dei servizi ho anche comunicato che il Comune di Trieste ha individuato
l'avvocato che ci affiancherà nell'azione che stiamo portando avanti a tutela
della salute dei lavoratori e dei cittadini».
(g.tom.)
INCONTRO A PARENZO - Collaborazione transfrontaliera tra Italia e Croazia sulla pesca
TRIESTE - La nuova collaborazione transfrontaliera tra regioni italiane dell'Alto Adriatico (Fvg, Veneto ed Emilia Romagna) e quelle croate è stata al centro dell'incontro tenuto a Parenzo (Croazia) alla fiera internazionale della pesca Crofish 2017 cui hanno partecipato anche l'assessore regionale Fvg alle Risorse ittiche, Paolo Panontin, il ministro dell'Agricoltura della Croazia, Tomislav Tolusic, e il presidente della Regione Istriana, Valter Flego. A margine Panontin ha evidenziato che «l'Adriatico si differenzia notevolmente dagli altri mari europei: è importante che, attraverso margini di flessibilità della normativa Ue, la gestione delle risorse e attività di pesca sia coordinata tra marinerie contigue e regioni transfrontaliere». Il rafforzamento della collaborazione transfrontaliera potrebbe consolidarsi in un tavolo tecnico istituzionale allargato a marinerie e esperti per soluzioni di tutela e incremento risorse ittiche. Tra i temi pure l'ipotesi di un nuovo programma strategico per la tutela delle risorse marine.
IL PICCOLO - GIOVEDI', 26 ottobre 2017
Ambiente - La Regione mantiene le limitazioni
alla Ferriera
Il gruppo Arvedi chiede alla Regione di revocare i limiti produttivi della
Ferriera ma l'assessore all'Ambiente Sara Vito, replicando a un'interrogazione
del consigliere grillino Andrea Ussai, risponde che la revoca potrà avvenire
solo quando i valori saranno certificati e verificati dall'Arpa. La Vito ha
ricostruito in sintesi la vicenda, partendo dal decreto di diffida 1998/2017,
ricordando che le colate mensili non possono superare quota 290, che la marcia
dell'altoforno deve restare entro le 34 mila tonnellate mensili, che la
produzione di coke deve limitarsi alla stretta funzionalità della ghisa. E ha
comunicato che sono state autorizzate «un numero maggiore di colate di minor
durata» così da ottenere un miglioramento delle prestazioni ambientali
dell'impianto. Lo scorso 13 ottobre Acciaieria Arvedi ha domandato la revoca
della diffida, in quanto gli interventi realizzati in Ferriera - a cominciare
dalla bocca da forno dell'altoforno - fanno ritenere che il rispetto dei valori
sia immediatamente conseguibile. Quindi, il provvedimento limitativo non avrebbe
più ragione di essere. Ma, come abbiamo visto, Sara Vito ha detto di non
accontentarsi dell'annuncio, vuole avere certezza che gli interventi effettuati
garantiscano il rispetto dei valori stabiliti dall'Aia. Per cui prima i
controlli validati, poi l'eventuale superamento delle limitazioni produttive.
Ussai ha commentato criticamente la risposta dell'esponente giuntale regionale.
Contestando soprattutto la concessione di un numero maggiore di colate «in modo
arbitrario e unilaterale ... Una decisione che calpesta i parametri previsti
dall'Aia ... attraverso una Conferenza dei servizi». Il giudizio complessivo
resta severo: «La giunta Serracchiani - scrive Ussai - continua a temporeggiare
e a essere succube del gruppo Arvedi». Il consigliere del M5s chiede che venga
definito un nuovo accordo di programma, tale da integrare l'area servolana con
lo sviluppo portuale, così da superare la produzione "a caldo".
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 25 ottobre 2017
«Dalla green economy 3 milioni di posti»
La green economy ha già creato quasi 3 milioni di posto di lavoro green
(2.972.000), ossia occupati che applicano competenze 'verdi'. Una cifra che
corrisponde al 13,1% dell'occupazione complessiva nazionale, destinata a salire
ancora entro dicembre. È quanto emerge dal rapporto GreenItaly 2017, ottavo
rapporto di Fondazione Symbola e Unioncamere. Nello specifico dall'economia
verde arriveranno quest'anno 320 mila green jobs e considerando anche le
assunzioni per le quali sono richieste competenze green si aggiungono altri 863
mila occupati. Insieme all'occupazione, la green economy crea anche ricchezza: i
quasi 3 milioni di green jobs italiani contribuiscono infatti alla formazione di
195,8 miliardi di euro di valore aggiunto, pari al 13,1% del totale complessivo.
IL PICCOLO - MARTEDI', 24 ottobre 2017
Ttp "allunga" le corse fino alla Marittima - L'ad Napp
punta ad una sinergia con il settore crocieristico «I passeggeri dalle Rive
potrebbero salire subito in Carso»
«Il tram è una piccola chicca a cui i triestini sono legatissimi e che si
presta anche a una funzione turistica, ma il capolinea di piazza Oberdan è stato
pensato 100 anni fa, in una zona che non è affatto turistica. Ecco perché
un'idea interessante, secondo me, potrebbe essere collocare il capolinea stesso
sulle Rive». Nel giro di proposte che in questi giorni arrivano dai triestini
che stanno firmando le petizioni su carta e web per rivedere il tram "in moto"
verso Opicina, c'è anche quella di Franco Napp come amministratore delegato di
Ttp, la Trieste Terminal Passeggeri Spa. Un'idea, la sua, pensata nel momento
della firma pro-trenovia, che l'ad di Ttp sigla per la seconda volta. La prima
era stata nel 2014 in scia a un'iniziativa indetta dal Piccolo, dopo che il tram
era stato fermo per oltre un anno. «Il Delfino verde al Molo quarto raccoglieva
una presenza di passeggeri minore rispetto a quando è stato poi spostato sul
molo Audace, con direzione Grado. Il capolinea per i visitatori è legato alla
visibilità, non solo alla sua conoscenza», afferma Napp. Perché non pensare a
qualcosa di più per sfruttare al meglio questo patrimonio, dunque? È quanto si
chiede Napp, che aggiunge: « Ai triestini piacerebbe di sicuro, il progetto.
Tutto è da verificare, ovviamente, non sono un tecnico ferroviario, ma sarebbe
auspicabile che il tram transitasse sul lungomare, come accadeva con i tram
urbani di un tempo. Questo mezzo deve essere visto anche in ottica turistica -
sostiene Napp - pur mantenendo la fruibilità per i residenti, perché è un ottimo
mezzo di trasporto». Il concetto di base sarebbe quello di far passare comunque
la 2 per piazza Oberdan e farla arrivare a Opicina, sfruttando le vie interne,
magari via Milano o via Valdirivo, dove, secondo Napp, «visto che la frequenza
di passaggio del tram è abbastanza ridotta rispetto ai bus, non congestionerebbe
il traffico». Sarebbe da rivedere poi, almeno in parte, pure la geografia dei
parcheggi frontemare, gestiti proprio da Ttp. «Bisogna capire la fattibilità, i
costi, i finanziamenti, dovrebbero aprire un tavolo il Comune e Trieste
Trasporti, però credo che avendo noi a Trieste i massimi esperti del settore,
che possono giudicare se sia o meno possibile la realizzazione, perché non
provare. La rete tranviaria triestina è importante e ci sono tante città che
hanno rivisto il trasporto su rotaia, quindi perché non valorizzare di più
quello che già abbiamo?». L'ipotesi - ritiene sempre l'ad di Ttp - potrebbe
interessare le compagnie di navi, che «farebbero un accordo con chi gestisce la
trenovia - spiega - garantendo un numero sicuro di passeggeri che, una volta
sbarcati, salirebbero direttamente a bordo del tram, per esempio su una corsa in
partenza alle 9.30 dalle Rive e alle 12 da Opicina». «La compagnia compra i
biglietti e li rivende ai suoi croceristi. La vendita integrata di biglietti si
assiste di frequente nel mondo dei trasporti». E per non intasare il viavai di
residenti, Napp propone anche un'altra soluzione: rendere fruibile ai turisti le
vetture in orari non di punta. «Si potrebbe fare ricorso a più vetture,
recuperandole un po' in giro per il mondo», suggerisce ancora l'ad di Ttp:
«Quello su rotaia è un modo di viaggiare pulito, rispettoso dell'ambiente».
Benedetta Moro
Discarica record scoperta a Opicina - Recuperati a Pian
del Grisa 152 copertoni abbandonati. A Banne spunta un proiettile della Grande
Guerra
OPICINA - Oltre 150 copertoni di auto e camion recuperati in un'unica zona
del Carso. È probabilmente una discarica da guinness dei primati quella che è
stata smantellata dall'associazione ambientalista Sos Carso in un solo,
intensissimo pomeriggio. "Armata" di guanti di lavoro, sacchi neri, un
furgoncino e tantissima energia, una quindicina di volontari triestini ha
ripulito infatti un'area verde in zona Pian del Grisa, vicino a Opicina. Un
lavoraccio che ha riportato alla normalità una zona boschiva in cui si era
accumulato, appunto, un qualcosa come 152 gomme gettate vergognosamente in una
dolina. Come se non bastasse, nella stessa area, sono stati recuperati altri
quattro manufatti - due frigoriferi, una lavatrice e un boiler - oltre ad una
decina di sacchi neri riempiti con materiali in plastica e vetro. La giornata
dei volontari di Sos Carso era iniziata in un'altra località del Carso
triestino, più esattamente a Banne. Qui, all'interno di un bosco adiacente il
sentiero Cai numero 2, sono state recuperate "solamente" 13 gomme di camion,
assieme a ferraglia varia e materiale sparso in plastica e vetro, per un totale
di una quindicina di sacchi neri. E proprio a Banne uno dei volontari si è
ritrovato tra le mani un'incredibile sorpresa: un piccolo ordigno bellico
risalente alla Prima guerra mondiale. Come emerso successivamente Fabio Mergiani,
membro del Gest (il Gruppo escursionisti triestini), è incappato in un
proiettile di cannone da 75 mm inesploso, a pochi metri dalla rete di recinzione
dell'autostrada. Prontamente sono state chiamate le forze dell'ordine per
recuperare l'oggetto. In poco tempo sono arrivate sul posto tre volanti che
hanno messo al sicuro il reperto portandolo via in una speciale valigia. Una
scoperta particolare, che ha vivacizzato le discussioni del pranzo dei volontari
che dopo un buon piatto di gnocchi caldi, si sono spostati a Pian del Grisa,
dove è stato effettuato il repulisti da record con oltre 150 gomme. «Ne abbiamo
fatte diverse, di uscite ecologiche nel nostro amato Carso, ma questa giornata è
stata davvero epica per noi: raccogliere 165 copertoni di auto e camion oltre ad
una trentina di sacchi neri di spazzatura è stato un risultato davvero notevole,
che al tempo stesso fa riflettere sulla mancanza di senso civico da parte di
alcune persone», racconta Cristian Bencich, portavoce e cofondatore di Sos
Carso. Intanto la pagina Fb dell'associazione, apartitica e apolitica, ha
raggiunto grazie al suo encomiabile lavoro oltre 600 like in pochi mesi dalla
sua nascita. «Noi come volontari possiamo fare tanto ma chiaramente non tutto -
spiega Bencich - e per questo quando qualcuno va a passeggiare in Carso può
sempre riempire almeno un sacchetto. Certo, noi possiamo riempire un bidone o
anche due, ma per quanto riguarda i problemi grossi, vedi le ex discariche,
onestamente confidiamo che in un prossimo futuro chi di competenza possa
iniziare a fare qualcosa per rimediare». Il lavoro di Sos Carso rimane
assolutamente volontario. Anche se le donazioni di guanti da lavoro e sacchi
neri sono sempre ben accetti. «Entro l'anno vorremmo fare almeno ancora
un'operazione di pulizia. Abbiamo in mente alcune zone che ci sono state
segnalate da alcuni cittadini - conclude Bencich - e una di queste è quella di
Fernetti, sul sentiero vicino all'autoporto».
Riccardo Tosques
È polemica a San Dorligo sulla nuova raccolta rifiuti -
DOPO l'assemblea promossa dall'opposizione
SAN DORLIGO - «Sacchetti che si rompono», una «cattiva distribuzione dei
raccoglitori sul territorio», e ancora «scarsa considerazione per le richieste
della popolazione». Le acque sono sempre più agitate a San Dorligo della Valle
sul tema della raccolta rifiuti. In risposta alla conferenza stampa tenuta dal
sindaco, Sandy Klun, la scorsa settimana, nel corso della quale, assieme ai
tecnici della "A & T 2000", la società "in house" che da luglio si occupa del
servizio, il sindaco stesso aveva parlato di «dati confortanti nella raccolta
rifiuti», va registrata la polemica presa di posizione del gruppo "Uniti nelle
tradizioni" che in Consiglio comunale siede all'opposizione. I due
rappresentanti del movimento, il capogruppo Boris Gombac e il consigliere
Massimiliano Dazzi, hanno promosso e coordinato una pubblica assemblea che ha
visto una folta partecipazione di cittadini, arrabbiati per la qualità del
servizio, che hanno definito «scarsa», mentre Gombac e Dazzi hanno classificato
«deliranti le parole con le quali Klun si è magnificato del proprio operato,
vantando incredibili performance, basate solamente su previsioni». «Le lamentele
della popolazione - così Gombac e Dazzi - dicono di un andamento della raccolta
rifiuti molto peggiorato col nuovo gestore». I presenti hanno bocciato il
sistema dei sacchetti appesi, preoccupati per «le conseguenze igieniche, di
decoro e di degrado ambientale che tale soluzione comporta». L'assemblea si è
espressa per il ritorno ai bidoncini colorati, nei quali inserire i sacchetti
per le case unifamiliari, mentre per i condomini sono state proposte «isole
ecologiche riservate, con raccoglitori da 1100 litri con chiavi in cui conferire
i sacchetti». «Urgente» è stato definito il problema della raccolta del verde
vegetale proveniente dallo sfalcio. «Sono tanti i nostri concittadini anziani -
hanno ricordato Gombac e Dazzi - e non tutti automuniti. La richiesta, forte e
rimarcata, è di dotare tutte le frazioni di appositi cassonetti per la raccolta
del verde». Ribadita poi la necessità di «utilizzare sacchetti in plastica
biodegradabile» e di «rimodulare la frequenza della raccolta, in modo che
plastica e lattine siano prelevate settimanalmente».
Ugo Salvini
«Il rilancio passa dal recupero delle Noghere» - Il
neosegretario del Pd di Muggia Micor: «Turismo, welfare e lavoro i primi temi da
affrontare»
MUGGIA - Vigile urbano classe 1979, padre di due bambini, da sempre legato
al centrosinistra. Il consigliere comunale Massimiliano Micor è il nuovo
segretario del circolo muggesano del Pd. Micor, qual è lo stato di salute del
circolo? Il circolo è il motivo per cui questo partito può essere il punto di
riferimento per i muggesani che credono in determinati valori. I circoli sono la
parte sana del partito, che purtroppo a livello dirigenziale si è chiuso in se
stesso isolandosi dai militanti. Nel 2016 il Pd ha ottenuto a Muggia 1066 voti,
oltre 750 in meno rispetto al 2011. Vede continuità tra l'operato di Nesladek e
quello di Marzi?Gli scenari nei quali la Giunta attuale sta operando sono
profondamente diversi rispetto al passato. Chi ci ha preceduto ha posato dei
mattoni importanti per la costruzione della Muggia futura: adesso quest'opera
deve essere terminata, visto che il progetto finale è condiviso. Ci sono
prospettive di dialogo con l'opposizione? Abbiamo dimostrato che su alcuni temi
possiamo convergere, tutti vogliamo il bene comune. Difficilmente però potremo
trovarci in accordo quando si parla di unioni civili, Ius soli e diritto
all'accoglienza. Tema sicurezza. Aumentare le videocamere è la soluzione? Spesso
la percezione non corrisponde alla realtà, comunque credo che l'installazione di
telecamere non sia la panacea di tutti i mali. A questa si deve affiancare un
lavoro capillare di controllo del territorio. Alto Adriatico. Quale il futuro
del piazzale? Per ora è una risorsa sprecata. Vista la posizione in cui sorge e
visti i probabili futuri interventi su quell'arteria potrebbe diventare un'area
polifunzionale. La sua opinione sul nuovo regolamento dei velocipedi in centro
storico? Sono sempre stato scettico al riguardo, ma credo anche sia
controproducente ridurre tutto il dibattito all'ordinanza in sé. Penso si debba
calibrare le stessa in previsione di uno sviluppo del trasporto su bici
fondamentale sia in ottica turistica sia di trasporto pulito. Sul fronte rifiuti
dal 2018 partirà il "porta a porta". I muggesani sono pronti? Più si differenzia
più si ricicla, più si ricicla più i rifiuti possono diventare una risorsa. Per
raggiungere determinate percentuali di differenziazione si è scelta questa
strada, la più coraggiosa. Inizialmente ci saranno delle criticità, ma la
qualità dell'informazione sarà decisiva. I prossimi tre macro-temi che intende
promuovere a livello politico-amministrativo? Turismo: bisogna terminare i
lavori sulla costa e completare un percorso ciclabile che arrivi a Ospo.
Sociale: difesa delle classi più deboli, pietra miliare della nostra politica.
Lavoro: recupero dei terreni ex Ezit nella valle delle Noghere per mettere in
moto un'opportunità di sviluppo.
(r.t.)
IL PICCOLO - LUNEDI', 23 ottobre 2017
Nasce a San Dorligo una mail speciale per il "caso
odori"
La Seconda commissione del Consiglio comunale di San Dorligo competente in
materia di ambiente, che ha promosso il tavolo tecnico sulla "questione odori"
riconducibili alla vicinanza degli insediamenti industriali e portuali alle
case, ha istituito un indirizzo di posta elettronica «dedicato ai cittadini, al
quale indirizzare segnalazioni riguardanti criticità di carattere ambientale
pertinenti al territorio comunale di San Dorligo Della Valle - Dolina». Lo rende
noto con un comunicato Roberto Potocco , consigliere comunale in quota Pd e
presidente della stessa Seconda commissione Ambiente del Comune di San Dorligo,
che prossimamente - in scia ai primi confronti riservati ad addetti ai lavori,
istituzioni e rappresentanti delle aziende insediate sul territorio - convocherà
una nuova riunione del tavolo tecnico sulla "questione odori" aperta però, in
questo caso, alla cittadinanza.
IL PICCOLO - DOMENICA, 22 ottobre 2017
«Il vertice dell'Ente porto non ci informò
sull'amianto» - La testimonianza dell'ex sindacalista e dipendente dell'Eapt
Giuliano Veronese
Il collega: «Nessuna prescrizione». Il tecnico Laureni:
«L'amministrazione sapeva»
La testimonianza di Giuliano Veronese, già sindacalista della Cisl poi di
Unionquadri e funzionario dell'Ente autonomo del porto (Eapt), si è rivelata
molto importante nel giudizio civile che ha determinato la decisione sul
risarcimento per le morti causate dall'amianto. «Da parte della direzione
portuale - racconta Veronese, entrato giovanissimo in porto nel 1961 quando
aveva 19 anni - non c'è mai stata alcuna prescrizione che avvertisse i
lavoratori riguardo la pericolosità dell'amianto e che indicasse le misure da
assumere perlomeno per limitare il pericolo». Nella prima metà degli anni
Settanta Veronese era pesatore negli hangar di calata nel Porto nuovo, dove
veniva sbarcato l'amianto: «Era imballato in sacchi di carta, sacchi che
venivano sbarcati con le gru e successivamente spostati a mano dentro i
magazzini. Spesso i sacchi si aprivano, quindi il contatto o l'aspirazione
dell'asbesto erano altamente probabili». «Abbiamo saputo che il vertice portuale
era a conoscenza di questi livelli di pericolosità e abbiamo saputo di lettere
che furono scritte alle associazioni imprenditoriali - riprende Veronese - ma
queste informazioni non raggiunsero mai i lavoratori». Una ricostruzione che
coincide con i nitidi ricordi di Guido Ingrao, anch'egli "quadro"
dell'amministrazione portuale, con una lunga gavetta sulle banchine. Classe
1946, prime esperienze con ditte di spedizione, poi l'assunzione all'Eapt dove è
rimasto fino al 1998 «quando consegnai le chiavi del Molo VII agli olandesi di
Ect». Anche Ingrao era pesatore negli anni '70: «Mi pare che gli sbarchi di
amianto riguardassero gli hangar 51, 53, 62, 63. Probabilmente alcuni di questi
sono stati abbattuti. Sacchi di carta vulnerabili, "nuvole" di polvere quando
avveniva lo sbarco mediante gru fisse, che a loro volta montavano strutture in
asbesto ... In giro per i magazzini si potevano trovare partite residue di
minerale». E Ingrao conferma: «Nessuna prescrizione, nessuno sapeva. Perlomeno
noi lavoratori non sapevamo. Non ricordo alcun controllo medico specifico». Poi
il giovane pesatore salì di grado e venne assegnato ai traffici specializzati,
dove ebbe la responsabilità operativa del terminal container: «Ma lì non c'erano
problemi di amianto». Quando Veronese accenna a una lettera spedita dall'Eapt
alle associazioni d'impresa, fa riferimento a un documento la cui copia è in
possesso di Umberto Laureni, già manager dell'Asl e assessore all'Ambiente nella
giunta Cosolini. La missiva risaliva al febbraio 1978 ed era firmata dall'allora
direttore dell'Ufficio del lavoro portuale, Lorenzo Colautti: rappresentava il
frutto di una serie di riunioni e di scritti susseguitisi nell'autunno 1977.
L'oggetto della lettera, diretta ad armatori-agenti
marittimi-spedizionieri-industriali, era inequivocabile: "Manipolazione
dell'amianto nel porto di Trieste". La Compagnia portuale aveva chiesto all'Eapt
quali misure di sicurezza adottare «stante la ravvisata pericolosità» della
merce trattata. La «soluzione ottimale», secondo Colautti, consisteva in un
imballaggio consono: o palettizzazione con ricopertura plastica oppure impiego
del container. In questa maniera - scriveva Colautti - si sarebbero tutelati i
lavoratori e si sarebbe evitato l'inquinamento dell'aria circostante.In realtà
Colautti recepiva una prescrizione contenuta nella relazione del 7 dicembre 1977
preparata dal Servizio medicina del lavoro, che all'epoca era ancora una
struttura amministrativa comunale. Struttura di cui faceva parte il neo-assunto
ingegnere Umberto Laureni. «Non si può dire che l'amministrazione portuale non
sapesse - rammenta Laureni - perché i problemi posti dalla manipolazione
dell'amianto erano numerosi, dalle modalità meteo al vestiario, dalle
raccomandazioni di non fumare all'igiene personale. Chi doveva sapere sapeva,
perché noi avevamo provveduto ad avvisare».
Massimo Greco
Mobilità sostenibile energeticamente
Domani alle 10.45, all’Università in Sala Cammarata (piazzale Europa 1), verrà dato il via ai lavori del progetto Muse “Collaborazione transfrontaliera per la mobilità universitaria sostenibile energeticamente efficiente”.
IL PICCOLO - SABATO, 21 ottobre 2017
Amianto killer in banchina - In arrivo altre due
sentenze - In ballo richieste per un milione dopo i 645mila euro riconosciuti
nel ricorso pilota
L'Autorità portuale rischia altri due maxirisarcimenti per decessi da
amianto nell'arco di un paio di mesi. Il caso di Gino Gruber, l'ex dipendente
della Compagnia portuale Terra morto nel 2015 per mesotelioma, non è l'unico:
l'Authority, in questi giorni condannata in primo grado dal giudice del lavoro
del Tribunale di Trieste a pagare 645mila euro, potrebbe presto incappare,
dunque, in una doppia sentenza milionaria, attesa tra novembre e dicembre. I
fascicoli in mano ai magistrati riguardano, in particolare, due ex operatori in
sevizio all'allora Ente porto: assunti tra la fine degli anni Sessanta e
l'inizio degli anni Settanta, andati in pensione attorno al '90 e morti
recentemente proprio a causa della continua esposizione al pericoloso materiale,
avvenuta sulle banchine dello scalo durante le operazioni di scarico dei sacchi.
In quell'epoca il traffico navale, per questo tipo di merce, abbondava: a
Trieste, tra gli anni Sessanta e Novanta, erano approdate circa 600mila
tonnellate di amianto. Quando le gru imbragavano la merce, una parte andava
distrutta: i sacchi erano di carta. La polvere, così, si liberava nell'aria,
depositandosi nei magazzini e sul resto degli stoccaggi. E veniva respirata,
inevitabilmente, con rischi devastanti per l'organismo: d'altronde ogni grammo
di amianto, come emerso nei processi, conteneva ben 10 milioni di fibre. E i
portuali, ignari, lavoravano senza alcuna misura di sicurezza. Le altre due
famiglie che hanno ingaggiato la loro battaglia contro l'Authority sono difese
dall'avvocato Fulvio Vida, analogamente ai parenti di Gruber. Il legale è da
anni uno specialista in questo genere di controversie. Se l'esito processuale
dovesse concludersi a favore delle parti lese, l'Autorità portuale si troverebbe
a saldare una cifra attorno al milione di euro. Circa 500mila euro per una delle
due vittime, e 500mila per l'altra. Due casi, questi, che rientrano nelle
tragiche statistiche sui decessi da amianto. L'ultimo report di giugno, che ha
tenuto conto sia della provincia di Trieste che di quella di Gorizia, parlava di
273 vittime certificate. 196 nell'Isontino e 77 nel capoluogo giuliano. Ma
ulteriori accertamenti ancora in corso su altre persone scomparse potrebbero far
schizzare il dato a quota 380. Numero destinato a gonfiarsi ulteriormente,
stando ai timori degli esperti, visto che l'incubazione della patologia ha un
periodo trentennale. Non a caso i decessi avvenuti in tempi più recenti
riguardano operatori che avevano svolto la propria attività professionale, per
l'appunto, tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Novanta. Si
stima peraltro che in quell'epoca sarebbero stati almeno duemila i portuali
impiegati nelle operazioni di carico e scarico dalle navi e dai treni. Ora la
sentenza sulla vicenda di Gino Gruber crea di fatto un precedente giudiziario di
non poco conto: per Trieste si è trattato del primo maxirisarcimento per un
lavoratore di una compagnia portuale. Il provvedimento del Tribunale ha infatti
accertato la responsabilità diretta sulla salute delle persone dell'allora Ente
porto. La compagnia non era una società esterna, ma incarnata nelle struttura
logistica. Forniva manodopera in quantità per il lavoro sulle banchine. Nessuno
dei manovali sapeva a cosa andava incontro. E chi sapeva, ai piani alti, non ha
fatto nulla.
Gianpaolo Sarti
L'intervista - «Negli uffici dell'Ente non se ne
parlava mai»
Ha vissuto con l'incubo dell'amianto per tutta la vita. Prima con la morte
del padre, un ex artigiano specializzato negli impianti sanitari e di
riscaldamento. Poi, più o meno consapevolmente, con il suo impiego in porto tra
gli anni Settanta e Novanta. Gianmarco Misigoi, 65 anni, non era solo un
gruista, a diretto contratto con chi si occupava delle operazioni di carico e
scarico merci sulle banchine, ma ha fatto carriera anche come funzionario. «In
amministrazione, in quegli anni, non ho mai sentito parlare di amianto»,
afferma. «Io, almeno, non ne ho avuto la percezione. Anche se il pericolo era
ormai noto. I giornali ne scrivevano». Esattamente in quale periodo ha lavorato
per l'Ente porto?Io sono stato assunto nel 1977. Ho lavorato come gruista fino
al 1982, in quel periodo mi sono trovato diverse volte nelle banchine dove si
sbarcava l'amianto. Successivamente ho fatto la carriera amministrativa. Come
funzionario mi sono occupato dei contenziosi e del piano regolatore, mai di
questioni connesse all'amianto. Cosa ricorda di quando faceva il gruista?Ricordo
innanzitutto che un anno dopo la mia assunzione è morto mio padre, a 49 anni.
Aveva un tumore al polmone. Una cosa fulminante, se n'è andato in tre mesi. Era
un artigiano, un libero professionista specializzato negli impianti sanitari e
di riscaldamento. Maneggiava amianto: perché le isolazioni dei tubi,
specialmente nei locali caldaia, contenevano quel materiale. I medici dicevano
che la causa della morte poteva essere l'esposizione all'amianto. «Ma come?», mi
sono detto io, «è roba che maneggiamo in porto». Come veniva maneggiato?Era in
sacchi di carta che si rompevano spesso durante le operazioni di scarico con le
gru. La polvere andava dappertutto come nebbia. Io che lavoravo a 15-20 metri di
altezza vedevo bene tutto. Nessun portuale era dotato di misure di sicurezza. Ma
lei che poi ha fatto il funzionario, sa forse se negli ambienti amministrativi
si discuteva del problema?La pericolosità era nota, anche perché iniziavano i
primi casi e si leggeva di cosa succedeva sui giornali. Ma non ho avuto la
percezione che negli uffici dell'Ente porto se ne discutesse seriamente. Si è
mai occupato della sua salute?Certo, faccio periodicamente delle radiologie.
Finora non mi è stata riscontrata alcuna placca.
(g.s.)
Gli ex portuali fra ricordi e ansia - «Fibre ovunque se
soffiava bora»
Pende come "una spada di Damocle", che potrebbe scendere da un momento
all'altro. «Certo, non ci pensi ogni venti minuti, soprattutto se non hai
sintomi, altrimenti non vivi più, ma comunque è inevitabile che ti venga in
mente». Va così la vita di Rosario Gallitelli, 59 anni. Ha lavorato per l'Ente
porto dal 1979 al 2010, e qualche anno prima in una cooperativa, presente anche
come sindacalista. La paura che il tempo trascorso a contatto con l'amianto gli
possa provocare un mesotelioma, sì, ce l'ha anche lui. Non fa distinzione tra
chi era direttamente al servizio dell'Ente porto e chi invece faceva parte delle
varie Cooperative portuali, dove - in quest'ultimo caso - i soci lavoratori
erano impiegati sull'imbarco o allo sbarco e maneggiavano l'asbesto. Anche se i
primi non toccavano direttamente con mano l'amianto, incorrevano nel rischio di
inalarlo lo stesso. «Bora, la movimentazione in generale...in qualche modo vi si
veniva a contatto - spiega Gallitelli -. Un sacco rotto da 25 chili ad esempio,
in mezzo al piazzale: con un po' di bora il materiale volava dappertutto, si
sono trovate tracce di asbesto nei magazzini dopo dieci anni. Chi era nelle
Compagnie era più esposto, ma lo erano anche i commessi, i gruisti, i pesatori,
questi ultimi ad esempio contavano i sacchi ed erano sotto la virata, bastava
l'inalazione delle fibre di amianto, che coinvolgevano tutto il porto. Gli
operatori della Compagnia prendevano in mano i sacchi - conclude -, magari gli
altri erano a due metri da loro. Soci e lavoratori dell'ente erano tutti sulla
"stessa barca", per usare un eufemismo». Lui ha fatto il gruista e poi il
polivalente, un operativo, «ero comunque coinvolto». Di persone perite per
amianto, tra amici e colleghi, personalmente Gallitelli ne ha conosciute una
decina, soprattutto della Compagnia ma anche dell'Ente. Il decennio '70-'80 è il
periodo in cui c'è stato il maggior numero di scarichi, sottolineano alcuni, che
hanno visto imbarchi e sbarchi quotidiani di questo composto. «Ho ancora le
agendine dove mi segnavo su che nave e in che giorno lavoravo, e la materia che
sbarcavamo o imbarcavamo, perché c'erano tariffe diverse e serviva per
controllare se era stato rispettato il compito», ricorda un altro lavoratore
impiegato nella Compagnia, Luciano del Rosso, 70 anni, in porto dal settembre
del '70 al maggio del '94. «Sulle pagine di questo diario quindi - continua - ho
anche scritto tante volte "asbesto", così come tanti altri miei coetanei. Ci
sono le prove». Motivo per cui «tanti colleghi sono morti o comunque sono
affetti da mesotelioma - aggiunge Gallitelli -, ma non è una novità, perché lo
sappiamo che l'amianto arrivava alla rinfusa, non c'era alcuna protezione, ora
l'unico elemento di novità è che c'è un risarcimento. Finora abbiamo avuto
sentenze che riconoscono l'esposizione dei portuali per tutti coloro che sono
andati in pensione dopo il '92. Ciò però rappresenta un elemento di questo
contenzioso, perché si cerca di far valere questo diritto anche per chi è stato
esposto prima del '92». Del Rosso apparteneva alla sezione di bordo,
«preparavamo i sacchi». Motivo per cui si è iscritto subito al registro esposti
all'amianto, quando è nata l'iniziativa attorno al 2005. «Noi tutti eravamo
soggetti all'amianto. Ricordo le nuvole che uscivano dai contenitori quando si
rompevano. Oggi i miei colleghi e io sappiamo di questo stillicidio, per non
dire morìa, che forse è una parola davvero brutta». L'iscrizione comporta visite
periodiche che però, avverte del Rosso, avvengono molto di rado, «perché per
chiamare tutte le persone, c'è molto tempo d'attesa, io ho aspettato cinque anni
tra una visita e l'altra, per fortuna sono risultato sempre negativo».
Nonostante questo «si vive un po' con l'ansia». Tanto che «dei miei colleghi -
racconta - non hanno nemmeno risposto al richiamo dell'Azienda sanitaria, invece
secondo me bisogna prendere coraggio e fare i controlli sempre più spesso». Gli
esami consistono nei raggi e nella spirometria. «La cosa positiva è che con
questo tesserino ricevuto dopo l'iscrizione abbiamo l'esenzione dei costi dei
raggi per determinate aree del corpo, ma questi esami normali non vanno così in
profondità come le altre due prove». Del Rosso, ricorda, per fortuna si faceva
la doccia al lavoro, ma «portavo la tuta a casa per lavarla, così anche mia
moglie ha fatto comunque degli esami, sempre negativi». Se nei primi tempi non
si faceva nulla, dopo aver compreso la gravità dell'esposizione all'amianto, «si
lavorava con un certa tutela, con mascherine bianche. Ci davano da bere anche
del latte, dicevano che faceva bene...».
Benedetta Moro
San Dorligo - Odori oltre i limiti di legge - Il tavolo
si apre ai cittadini
SAN DORLIGO DELLA VALLE - È ben oltre i limiti di legge, in misura superiore
al 2%, l'inquinamento da odore nel territorio comunale di San Dorligo della
Valle. È questo il preoccupante dato emerso nel corso della prima riunione
ufficiale sul "caso odori" in scia al tavolo tecnico organizzato dal Comune
guidato dal sindaco Sandy Klun e promosso dalla Commissione consiliare per
l'Ambiente, presieduta da Roberto Potocco. All'invito dell'amministrazione hanno
aderito, fra gli altri, Alessio Tilli, direttore generale della Tal Oil Siot,
Andrea Soldan, manager della Wärtsilä, Eric Marcone, dirigente dell'Autorità
portuale, Maria Grazia Fornasiero, responsabile del Dipartimento di Trieste
dell'Arpa, Lucio Petronio, dell'Azienda sanitaria universitaria integrata,
nonché numerosi consiglieri comunali. «Un consesso ampio e qualificato - ha
spiegato Potocco - perché il problema è grave, sussiste da tempo, da più di
dieci anni per essere precisi, e, davanti alle proteste della cittadinanza, è
ferma intenzione dell'amministrazione fare tutto ciò che è nelle proprie
possibilità per contenere e ridurre il fenomeno». Il dato dell'inquinamento da
odore è stato definito dai rappresentanti dell'Arpa che, nei primi mesi di
quest'anno, ha effettuato le rilevazioni, coinvolgendo i residenti. Esiste
dunque un disagio olfattivo conclamato a San Dorligo della Valle «perché,
seguendo le linee guida predisposte dalla regione Lombardia - ha spiegato
Alessandra Pillon dell'Arpa - e adottate in tutta Italia, il limite del
parametro che lo configura è fissato al 2% e in questo Comune siamo ben al di
sopra». Luciano Agapito, dirigente della Regione, ha ribadito a questo proposito
che «anche in Friuli Venezia Giulia vigono le regole applicate dalla Regione
Lombardia». Le sorgenti della "molestia" sono molto probabilmente individuabili
nell'ambito delle attività produttive delle aziende che operano nel territorio.
A conferma della generale situazione di disagio per le persone residenti, Lilli
ha confermato che «il problema dei disturbi olfattivi è recepito anche
all'interno della Siot da parte dei dipendenti», ricordando che negli ultimi 10
anni, comunque, l'azienda «ha investito più di un milione e 600mila euro per la
mitigazione degli odori, affidando anche uno specifico studio alla locale
Università». Il direttore della Siot ha infine precisato che «talvolta le
segnalazioni riguardano emissioni che non provengono dalla Siot» stessa. Un
altro tema toccato è stato quello che riguarda la qualità del greggio trattato
dalla Siot, ma su questo Lilli ha sottolineato che «l'azienda non ha possibilità
di scegliere il greggio». Soldan ha invece osservato che «l'impatto della
Wärtsilä sull'ambiente, per quanto concerne gli odori, è trascurabile». Potocco,
a fine seduta, ha annunciato che «a breve sarà nuovamente convocato il tavolo
tecnico, stavolta alla presenza dei cittadini, che così potranno dire la loro».
LA REPUBBLICA.it - VENERDI', 20 ottobre 2017
Nove milioni di morti l'anno: l'inquinamento uccide 15 volte più delle guerre
Un sesto dei decessi mondiali causati dallo smog: tre volte più dell’effetto combinato di Aids, tubercolosi e malaria e 15 volte più di tutti conflitti armati e delle altre forme di violenza. I numeri vengono dal rapporto della Lancet Commission on Pollution & Health - L'inquinamento atmosferico causa mezzo milione di morti l'anno in Europa
ROMA - L'inquinamento è diventato la più grave minaccia per la salute. Nel 2015 ha causato 9 milioni di morti, un sesto del totale. E' tre volte più dell'effetto combinato di Aids, tubercolosi e malaria; 15 volte più di tutte le guerre e delle altre forme di violenza. I numeri vengono dal rapporto preparato dalla Lancet Commission on Pollution & Health firmato dalla Global Alliance on Health and Pollution e dell'Icahn School of Medicine del Monte Sinai (New York). Un prezzo molto alto non solo in termini di vite umane, ma anche dal punto di vista economico: le malattie legate all'inquinamento nei Paesi a reddito medio e basso si traducono in una riduzione annua del Pil che può arrivare al 2% e nei Paesi a reddito alto in un aggravio della spesa sanitaria dell'1,7%. Mentre le perdite di benessere derivanti dall'inquinamento sono stimate in 4,6 trilioni di dollari all'anno: il 6,2% della produzione economica mondiale. Tra i principali responsabili di questo quadro sanitario, anche per il legame sempre più stretto tra inquinamento e cambiamento climatico, figurano i combustibili fossili: il loro uso, sommato alla combustione della biomassa nei paesi a basso reddito, produce l'85% del particolato e una quota rilevante di altri inquinanti atmosferici. A fronte di questi dati allarmanti ci sono i vantaggi registrati grazie alle leggi di salvaguardia ambientale. I miglioramenti della qualità dell'aria negli Stati Uniti - testimonia lo studio - non solo hanno ridotto i decessi da malattie cardiovascolari e respiratorie, ma hanno anche prodotto 30 dollari di benefici per ogni dollaro investito dal 1970. In assenza di interventi efficaci, al 2050 l'aggravarsi del caos climatico sommato alla progressiva urbanizzazione provocherà però un aumento del 50% dell'inquinamento. "Possiamo evitarlo perché ci sono strategie ben testate e a basso costo che permettono di mantenere l'inquinamento sotto controllo: dobbiamo smettere di avvelenare noi stessi", commenta il copresidente della Commissione, Richard Fuller. "In particolare bisogna regolamentare l'uso di alcune sostanze chimiche particolarmente dannose, come i metalli pesanti e i distruttori endocrini che danneggiano l'apparato riproduttivo e il sistema neurologico. Purtroppo in Europa i progressi in questo campo vengono rallentati dall'azione delle lobby dei settori industriali coinvolti", aggiunge Roberto Bertollini, l'unico italiano presente nella Commissione.
ANTONIO CIANCIULLO
IL PICCOLO - VENERDI', 20 ottobre 2017
Amianto killer in Porto - Primo maxirisarcimento -
Authority condannata a versare 645mila euro ai familiari di un operaio
L'uomo morì di mesotelioma dopo aver lavorato per 32 anni per una coop
L'Autorità portuale di Trieste è stata condannata a sborsare 645 mila euro
per risarcire la famiglia di una vittima di amianto: Gino Gruber, nato nel '44 e
morto nel 2015 a 71 anni per mesotelioma. Lo ha stabilito il Giudice del lavoro
del Tribunale di Trieste, che ha pronunciato una sentenza storica, destinata a
fare giurisprudenza. Per la prima volta nel capoluogo giuliano e la seconda in
Italia (l'unico precedente riguarda Venezia), viene accertata infatti la
responsabilità dell'allora Ente porto su un ex dipendente di una compagnia
portuale. Finora era accaduto soltanto per chi in passato era stato al servizio
diretto dell'Authority. Stando alle stime, il caso potrebbe fare ora da
apripista per almeno un centinaio di vicende analoghe, vale a dire persone
colpite dalla stessa patologia. E per chissà quante altre in futuro.
L'incubazione, come noto, ha un periodo di almeno trent'anni. Infatti il caso su
cui si è appena espresso in primo grado il Tribunale di Trieste risale a
parecchio tempo fa, tra il '60 e il '92, quando Gruber era socio-lavoratore
della Compagnia portuale Terra, una cooperativa che forniva allo scalo
manodopera in appalto. Circostanza vietata dalle norme del codice di
navigazione, ma su cui vigeva una deroga. Lui, come circa altri 2mila colleghi
ignari della pericolosità dell'amianto, si occupava dello scarico del materiale
delle navi provenienti dal Sudafrica. Dagli anni Sessanta fino al '92 a Trieste
sono approdate 600 mila tonnellate di amianto, usato soprattutto come isolamento
nell'edilizia e nella cantieristica. Ogni grammo contiene 10 milioni di fibre.
Tutto veniva maneggiato senza protezione alcuna. Niente maschere, niente tute
speciali. Il materiale di solito era contenuto in sacchi di carta da 25 kg
ciascuno che si rompevano frequentemente. D'altronde il trasporto dalle
imbarcazioni alle banchine avveniva con le gru che imbragavano la merce a
piramide, per poi essere smistata a bordo dei treni o negli hangar. I racconti
su cosa succedeva durante le operazioni hanno nutrito una folta letteratura
giudiziaria: la polvere che fuoriusciva dagli imballaggi luccicava nell'aria,
come neve a Natale. La respiravano tutti. L'inquinamento si riversava su
qualsiasi altro prodotto accatastato nei magazzini. La polvere si puliva con la
scopa, gli abiti con una spruzzata di aria compressa. Le fibre giravano ovunque.
Ma l'amianto non era considerato pericoloso dai tabellari Inail, anche se una
lettera del 6 febbraio del '78 (protocollo 1238) firmata dall'allora direttore
dell'ufficio del lavoro portuale, Lorenzo Colautti, avvisava l'Associazione
industriali, l'Unione spedizionieri internazionali, l'Unione agenti marittimi,
l'Associazione armatori, la Camera di commercio e l'Ufficio di sanità marittima,
della «ravvisata pericolosità che la manipolazione di detta merce poteva
rappresentare». Visto che, si legge oggi nel testo, «le fibre possono
determinare, per inalazione, gravissime malattie polmonari individuabili, oltre
che nell'asbestosi, nei tumori e soprattutto nei mesoteliomi della pleura». La
lettera del direttore suggeriva quindi l'uso di imballi adeguati, con la
copertura di plastica e l'impiego di container. Ma i lavoratori delle compagnie
erano stati adeguatamente informati? E le misure di sicurezza? Nulle. I rischi,
come visto, sono già noti quella volta. Ma ai portuali viene fatto bere il
latte. Gino Gruber inizia ad ammalarsi nel 2013, per un'attività in cui è stato
impegnato fino a una ventina d'anni prima. Muore nel 2015. Agli eredi legittimi,
cioè la moglie vedova, le due figlie e le due nipoti, la magistratura ha
riconosciuto un risarcimento di 645.090,99 euro. Gli altri ex dipendenti non si
sono finora fatti avanti per chiedere giustizia perché la società, negli anni, è
andata in liquidazione. Contro chi potevano rivalersi? Ma adesso la sentenza ha
sparigliato le carte: grazie anche alla testimonianza di un ex dirigente della
Cisl, Giuliano Veronese, il Tribunale ha accertato la responsabilità passiva
dell'Ente porto (attuale Autorità portuale) per malattia professionale e morte
di un socio lavoratore di una compagnia. «Il pronunciamento - osserva l'avvocato
della famiglia, Fulvio Vida - è basilare perché tutela le legittime aspettative
dei partenti della persona deceduta». Il provvedimento potrebbe innescare
effetti a catena.
Gianpaolo Sarti
A San Dorligo "vola" la differenziata - Balzo del 10%
dopo l'introduzione del nuovo sistema di raccolta porta a porta
SAN DORLIGO - Un aumento del 10% nella differenziata passata, da luglio a
settembre, dal 57 al 67%, soglia superiore a quella minima prevista per legge,
fissata a 65. Un drastico calo nella produzione di rifiuti non riciclabili,
quelli destinati all'inceneritore, passati da una media di 135 kg all'anno per
abitante a 63. Un risultato quest'ultimo che permetterà di sottrarre, ogni anno,
circa 420 tonnellate di rifiuti allo smaltimento. Sono confortanti i dati
relativi al servizio di raccolta rifiuti a San Dorligo, riferiti dal sindaco
Sandy Klun, che ha voluto tracciare un primo bilancio, dopo l'introduzione, da
luglio, del nuovo sistema di raccolta "porta a porta controllato", promosso
dalla società pubblica partecipata "A & T 2000 spa". «Avevamo già un buona
gestione della raccolta rifiuti nel nostro territorio - ha commentato Klun - ma
dopo l'arrivo della "A & T 2000 spa", le performance sono ulteriormente
migliorate. Siamo stati i primi, nell'ambito della nostra provincia a utilizzare
il sistema del "porta a porta!, che si sta rivelando molto efficace. Colgo
l'occasione - ha sottolineato - per confermare che non trascuriamo chi protesta
utilizzando il numero verde e che ascoltiamo tutti, perché anche le critiche
possono contribuire a perfezionare ulteriormente il servizio. È migliorata anche
la raccolta in occasione delle sagre paesane - ha continuato Klun - che nel
nostro Comune sono piuttosto frequenti. Ritengo fondamentale la collaborazione
della popolazione, che ha correttamente recepito le nuove regole, dopo le
iniziali perplessità, causate dalle novità». Nel corso dell'incontro i
rappresentanti della "A & T 2000 spa" hanno anche fatto osservare che ci sono
stati evidenti miglioramenti nel dettaglio della differenziata. «Le analisi
effettuate sugli imballaggi in plastica e sulle lattine indicano uno scarto del
14,1 per cento, il che significa che, su cento chili di rifiuti di questa
tipologia, l'85,9 per cento è immediatamente riciclabile. Lo scarto scende all'1
per cento nell'organico umido mentre nel vetro si scende ulteriormente
addirittura a meno dell'1 per cento».
(u.s.)
Rigassificatore a Veglia, nuovi dubbi - Opposizione
della Regione croata a un impianto offshore. Il governatore: «Progetto
stravolto, danno per il turismo»
FIUME - Sempre più lastricata di problemi la strada che porta al
rigassificatore offshore di Castelmuschio (Omisalj), nell'isola quarnerina di
Veglia. Ad appoggiare il "no" all'impianto galleggiante da parte della
municipalità di Castelmuschio è stata anche la Regione del Quarnero e Gorski
kotar. Nella recente seduta del suo parlamentino è stata ribadita la contrarietà
al terminal offshore, giacché si tratterebbe di un progetto completamente
diverso rispetto al piano iniziale. «Si è sempre parlato di rigassificatore
sulla terraferma, nei pressi della località di Castelmuschio - ha osservato il
governatore Zlatko Komadina - un impianto per così dire "incassato", che non
avrebbe costituito un pugno all'occhio della popolazione locale e dei numerosi
turisti che vengono a trascorrere le vacanze sull'isola di Veglia. Invece da
Zagabria è arrivata mesi fa la notizia che si è deciso di dare la precedenza al
rigassificatore in mare, una nave gigante lunga 300 metri, larga 100 e alta come
un grattacielo di 17 piani. Un mostro, mi si consenta il termine, anche molto
rumoroso e turisticamente non accettabile. Per tacere della questione del
raffreddamento delle acque di mare, trattamento necessario al funzionamento
dell'impianto». Stando a Komadina ci sono anche altri aspetti che alla Contea
litoraneo-montana non piacciono affatto. La sede dell'impresa che dirigerà
l'impianto, infatti, sarà dislocata a Zagabria e non invece a Fiume o in seconda
battuta a Veglia città. E dunque «ci sentiamo ingannati perché le entrate
relative alle tasse sui ricavi e sulle entrate finiranno nelle casse comunali
zagabresi, mentre noi ci terremo i rischi ambientali. Non vogliamo - ha aggiunto
Komadina - si ripeta il caso del Gorski kotar, con questa regione attraversata
da centinaia di chilometri di gasdotto e altre tubature di proprietà ma senza
alcun guadagno degno di nota. Anzi, il Gorski kotar si vede puntualmente
obbligato a chiedere l'elemosina a Zagabria per andare avanti. La stessa sorte è
stata riservata al Quarnero che però non ci sta». Anche il vice governatore
della Regione, Marko Boras Mandic, è stato chiaro: «Noi non ci opponiamo al
progetto di partenza, quel rigassificatore sulla terraferma che garantirebbe
l'avvio di centinaia di posti di lavoro ed entrate non indifferenti per le
autonomie locali. Il terminal offshore è invece poca cosa per Castelmuschio e la
sua contea, in pratica poche migliaia di euro all'anno e una decina di occupati
in più. Appoggiamo insomma le istanze del comune di Castelmuschio e le riteniamo
giuste. Zagabria non può ignorare la nostra opposizione». A reagire è stata
l'azienda statale Lng Croazia, alla quale è stata affidata la realizzazione del
rigassificatore galleggiante, da posizionare nelle acque poco al largo di
Castelmuschio. In un comunicato si spiega che l'interesse dei fruitori
d'oltreconfine per l'impianto sulla terraferma è scarso e per questo motivo è
stato deciso di puntare sull'offshore. «Sarà in funzione dal 2019 al 2029,
mentre tre anni prima - così nel comunicato - partirà la costruzione del
rigassificatore in mare, da attivare nel 2029». Intanto però i vertici del
comune di Castelmuschio hanno ribadito ufficialmente l'opposizione al progetto
bis. Anzi, la sindaca Mirela Ahmetovic ha fatto sapere che la municipalità è
pronta a pagare dal suo bilancio affinché lo Stato croato rinunci alla
mega-nave.
Andrea Marsanich
IL PICCOLO - GIOVEDI', 19 ottobre 2017
Sottopassi nel degrado - Piano da 200mila euro per rimetterli in sesto
Manutenzione straordinaria fra Barcola, Sant’Anna e Valmaura - Quello della stazione rientrerà nel restyling di piazza Libertà
Trieste non è una città di sottopassi. Quelli esistenti si contano sulle dita di una mano. Tuttavia versano quasi tutti in condizioni pietose. Di un piano di manutenzione straordinaria si era parlato a lungo durante la giunta di Roberto Cosolini con l'assessore Andrea Dapretto. Ma non se ne è fatto nulla per il famigerato Patto di stabilità. Ora, a oltre un anno dall'insediamento della terza giunta Dipiazza, è stato approvato un accordo quadro per la manutenzione straordinaria dei sottopassaggi pedonali per un ammontare di spesa pari a 200mila euro. Nella lista ci sono i sottopassi di via Dell'Istria (zona cimitero di Sant'Anna), di via Miani e via Mafalda di Savoia (zona PalaTrieste) e di Barcola (piazzale 11 Settembre). Non c'è il sottopasso più famoso e più usato, quello della Stazione centrale, che, molto probabilmente, sarà compreso nei previsti lavori di riordino di piazza Libertà (in agenda nel 2018 con una spesa complessiva di quattro milioni di euro). L'iniziativa è prevista nel programma triennale delle opere pubbliche 2017-2016. Il cronoprogramma dei pagamenti per l'opera prevede due rate: 100mila euro nel 2018 e 100mila nel 2019. È previsto l'affidamento in appalto a un'unica impresa per 365 giorni di lavoro continuativi. L'intervento di manutenzione sui tre sottopassi, si legge nella delibera, si pone l'obiettivo «di renderli sicuri e accessibili a tutti i cittadini» oltre a eliminare lo stato di degrado in cui versano da anni. Quasi tutti i sottopassaggi stradali sono deturpati da graffiti. Verrà effettuata l'idropulizia delle parti lapidee, con la rimozione dei graffiti e il trattamento delle superfici con vernici "antiscritte" (sperando che siano efficaci). La manutenzione straordinaria contempla inoltre il rifacimento della pavimentazione, inclusi i gradini delle scale, il risanamento degli intonaci con tinteggiatura finale, la realizzazione, la sostituzione e la riparazione di cancelli, parapetti, inferriate, serramenti in ferro o alluminio. Saranno rifatti contestualmente gli impianti elettrici e gli impianti di illuminazione e di emergenza per la sicurezza, con le relative telecamere. È previsto anche il rifacimento delle opere di fognatura con revisione o sostituzione delle tubature con espurgo dei pozzetti per evitare problemi di allagamento. Il sottopasso di Barcola, in viale Miramare, è soggetto spesso ad allagamenti. Un problema causato anche dalle pompe, pur sostituite alcuni anni fa, che spesso si bloccano per la presenza di acqua marina. Quello di Barcola è il sottopasso che versa nelle peggiori condizioni. Più volte è stato segnalato all'amministrazione dalla Terza Circoscrizione. Dei tre, il sottopassaggio pedonale più frequentato è quello di via dell'Istria che collega la fermata dell'autobus al cimitero di Sant'Anna. Non si contano le segnalazioni sulle scale sdrucciolevoli e sulle barriere architettoniche che lo rendono inaccessibile ai disabili. A inizio anno è stata anche presentata una mozione da parte del Movimento 5 Stelle che impegnava il presidente della Settima circoscrizione «ad attivarsi presso l'assessore competente affinché il sottopassaggio sia reso sicuro ed accessibile a tutta la popolazione». Nel piano di manutenzione straordinaria non si fa cenno però alle barriere architettoniche.
Fabio Dorigo
A Longera rispunta il parcheggio dimenticato -
Approvato dall'amministrazione il progetto esecutivo per 11 posti con un
investimento da 50mila euro
A volte ritornano. Nel fiume carsico delle opere pubbliche è rispuntato il
parcheggio di Longera. Stava nel piano triennale delle opere del 2010 (seconda
giunta di Roberto Dipiazza) come una delle priorità rionali chiesta e ottenuta
dalla Sesta circoscrizione (San Giovanni e Chiadino-Rozzol). Poi è scomparso
fino e riemergere nel piano triennale 2014-2016 messo a punto
dall'amministrazione Cosolini. E il 20 settembre scorso la terza giunta Dipiazza
ha approvato il progetto definitivo ed esecutivo del parcheggio, con una spesa
complessiva pari a 50 mila euro. Sarà realizzato a monte dell'abitato di Longera
di Sopra poco oltre l'attraversamento del torrente Farneto con accesso da una
stradina poderale di collegamento con la via Marchesetti. Non sarà necessario
procedere ad alcun esproprio visto che l'area di intervento è di proprietà del
Comune di Trieste. «Si prevedono di realizzare 11 stalli per autoveicoli a
pettine di cui uno per guidatori con disabilità», si legge nel progetto. I
lavori prevedono lo sbancamento dell'area adiacente alla stradina di
collegamento tra Longera e via Marchesetti per circa un metro con riprofilatura
del versante a monte del parcheggio che sarà risistemato a verde con la
«piantumazione di specie arbustive di media taglia e ornamentali» quali il
biancospino e cotinus coggirya ("sommacco") come espressamente richiesto dalla
Commissione paesaggistica. Non c'è stato bisogno di una relazione idrogeologica.
Le acque di pioggia verranno smaltite come avviene oggi, scivolando liberamente
per l'intera area lasciata a verde e finendo nell'alveo del vicino torrente
Farneto. L'intervento, infatti, non prevede la realizzazione di alcuna struttura
di sostegno e neppure la realizzazione di reti di smaltimento delle acque
piovane. Dopo l'approvazione del progetto esecutivo si potrà partire con la
procedura di gara alla quale saranno invitate almeno 10 imprese. Il contratto
stabilisce il termine di 90 giorni per l'ultimazione dei lavori. Il
cronoprogramma dei pagamenti prevede la liquidazione dei 50mila euro entro
quest'anno essendo l'opera inserita nel piano triennale opere 2014-2016. E così,
dopo sette anni di attesa, Longera potrà avere un suo parcheggio pubblico.
(fa.do.)
Piano Paesaggistico - Forum architetti Fvg
L'Ordine degli Architetti ha avviato ieri il suo forum sul Piano paesaggistico regionale: ha coinvolto i 2.500 architetti del Fvg per l'avvio di gruppi di lavoro per produrre documenti di osservazioni.
FERRIERA - Citazione ad aprile per Siderurgica
Triestina
La Procura di Trieste ha citato in giudizio, per l’ 11 aprile,
responsabili e dirigenti di Siderurgica Triestina.
Fra le persone citate in giudizio - riferisce il senatore Lorenzo Battista (Articolo 1 - Mdp) - ci sono Giovanni Arvedi, Francesco Rosato, Andrea Landini, Umberto Fachinetti e Daniele Agapito. Le ipotesi di reato - rende noto Battista che ha presentato un'interrogazione pubblicata ieri sul sito del Senato - riguardano violazioni edilizie e ambientali in relazione alla realizzazione di un capannone per il nuovo laminatoio. L’Ufficio stampa di Siderurgica Triestina comunica che «l’evento citato fa riferimento unicamente alla tempistica di avvio delle opere preliminari e preparatorie riferite alla costruzione del laminatoio, per il quale sono state ottenute tutte le previste autorizzazioni. L’oggetto della contestazione è pertanto limitato e circoscritto e concerne esclusivamente i tempi di inizio delle opere propedeutiche alla costruzione del capannone. Per questo si è comunque provveduto all’opportuna regolarizzazione. È una fase che viene vissuta con assoluta serenità».
La rivolta contro i soffiatori «Alzano polveri e
rifiuti» - I cittadini lamentano l'uso disinvolto dello strumento per la pulizia
delle strade
Sotto accusa anche il rumore eccessivo e la mancata raccolta dei cumuli
di foglie
Scatta a Trieste la rivolta contro i "soffiatori". I cittadini criticano lo
strumento utilizzato dagli addetti alla pulizia delle strade che, a loro parere,
non farebbe altro che sollevare nuvoloni di robaccia: polvere, sabbia, foglie e
altri rifiuti. «L'uso disinvolto di questo mezzo di spazzamento - sostengono -
deve essere proibito. Fa rumore e, soprattutto, alza nuvole di polveri creando
grossi problemi a chi passa lì accanto e non solo». L'utilizzo dei soffiatori è
previsto nell'appalto con il quale AcegasApsAmga assegna a Italspughi,
cooperativa Sole e Quercia Ambiente la pulizia delle strade cittadine. Questo
strumento che spinge con un forte getto d'aria fogliame, mozziconi di sigarette,
cartacce, deiezioni canine e polvere viene utilizzato in molte zone della città
e ha il vantaggio di riuscire a effettuare un'efficace pulizia anche sotto le
automobili, raggiungendo punti che difficilmente una scopa riuscirebbe a
ripulire. I cumuli di rifiuti spinti in un unico punto dai soffiatori vengono
poi raccolti al passaggio dei mezzi aspiratori. I cittadini segnalano però
l'utilizzo non sempre corretto di questi strumenti da parte di alcuni operatori,
che con il loro "soffio" investirebbero i passanti o spingerebbero le foglie
nelle caditoie. Altri denunciano cumuli di foglie che non sarebbero mai stati
raccolti dall'aspiratore. «Non è giusto generalizzare - sostiene Luisa Polli,
assessore all'Ambiente -, ma è ovvio che sta al singolo operatore lavorare con
professionalità, onestà e sensibilità». Nelle vie più strette, dove i mezzi di
aspirazione non passano facilmente, gli operatori continuano a utilizzare le
scope. Alle proposte dei cittadini di bagnare il terreno prima dell'utilizzo del
"diabolico" soffiatore o di usare degli aspiratori che raccolgono e non spingono
i rifiuti e le polveri, l'assessore replica: «Se le foglie sono bagnate il
soffiatore non riesce a fare il suo lavoro - spiega -, mentre gli aspiratori non
risolvono il problema delle polveri, perché escono comunque dal sacco che
contiene il raccolto. La classica "ramazza" - aggiunge - alza comunque polveri,
richiede più tempo e di conseguenza i costi aumentano». Quasi un anno fa Polli
aveva accolto una mozione del Movimento 5 Stelle dove si evidenziava il problema
dell'utilizzo dei soffiatori a Servola, Valmaura e Chiarbola e si chiedeva
all'amministrazione di passare dal sistema di pulizia con i soffiatori a quello
del lavaggio stradale. Da alcune settimane Polli ha dato indicazioni di
sospendere l'utilizzo dei soffiatori a Servola. «Non è provato che sollevando
polvere i soffiatori provochino problemi alla salute, ma ho ritenuto doveroso
raccogliere il disagio di chi abita a Servola, dove è conclamato sussista un
grado di inquinamento da polveri superiore al resto della città, e far
sospendere l'uso di questi strumenti in quella zona» specifica Polli.
Italspurghi che ha in appalto la pulizia delle strade di Servola ha avviato ora
l'utilizzo delle spazzatrici ad acqua con un operatore a terra che interviene
dove il mezzo meccanico non arriva. Pulire le strade con questo metodo richiede
più tempo. Il lavaggio stradale prevede una modifica al Pef che necessita
dell'approvazione del Consiglio comunale. «Auspico un parere favorevole
trasversale per dare risposte a questa gente - dichiara Polli -. In generale
comunque si stanno valutando nuove modalità e tecnologie di pulizia delle
strade».
Laura Tonero
Sale la differenziata - Duino Aurisina nel club dei
virtuosi
La raccolta diversificata cresce in un anno dal 33% al 43% «Isole
ecologiche meglio posizionate e cittadini più attenti»
DUINO AURISINA - Migliora la raccolta differenziata (la media mensile passa
dal 33, 22% del 2016 al 43. 38% registrata quest'anno da gennaio ad agosto
compreso). Cala il totale dei rifiuti prodotti (la media dei primi sette mesi
del 2016 era di 515 tonnellate, quella dello stesso periodo di quest'anno è di
506). Duino Aurisina sta diventando un Comune virtuoso per quanto concerne la
raccolta rifiuti. È questo l'esito della prima verifica sull'intero territorio
compiuta da Isontina ambiente, la srl con sede a Ronchi dei Legionari che, dal
febbraio dello scorso anno, gestisce lo smaltimento rifiuti nel Comune oggi
guidato dal sindaco Daniela Pallotta. «I dati sono confortanti sotto tutti i
profili - spiega Andrea Humar, l'assessore comunale titolare, fra le varie
competenze, di quelle che riguardano i servizi sul territorio e l'ambiente -
perché entrambi gli indicatori principali, cioè quelli che riguardano l'aumento
della differenziata e il peso complessivo dei rifiuti prodotti, evidenziano un
comportamento più attento e puntuale da parte dei residenti». Indubbiamente ci
mette del suo anche Isontina ambiente: «Una migliore distribuzione nel
territorio delle isole ecologiche - riprende Humar - sta favorendo un
atteggiamento più responsabile da parte della popolazione». Che ha tutto da
guadagnare fra l'altro da questa situazione, perché a fine anno, quando si farà
il bilancio dei costi del servizio di asporto rifiuti, se i dati dell'intero
2017 confermeranno quanto reso noto ora, si potrà eventualmente pensare a una
riduzione delle tariffe.«È molto presto per ipotizzare un taglio dei costi -
sottolinea Humar - ma di certo a fine anno faremo una considerazione generale su
questo servizio e valuteremo il da farsi». La normativa in materia oggi è molto
chiara: i comuni devono pareggiare, a livello di bilancio, il servizio di
raccolta rifiuti, nel senso che, dato un determinato costo complessivo, lo
stesso va ripartito fra tutti i contribuenti. Ulteriore elemento di
soddisfazione per il Comune il netto calo dei rifiuti abbandonati dai cosiddetti
"depositanti in transito", quasi sempre imprese edili provenienti da altri
comuni e dalla Slovenia, che trovano comodo abbandonare il risultato di lavori
di demolizione nei pressi dei cassonetti del territorio di Duino Aurisina.
Raffrontando il periodo che va da febbraio ad agosto del 2016 con lo stesso del
2017, si arriva alla conclusione che le tonnellate di rifiuti derivanti da
lavori edili si sono ridotte di più di una decina di tonnellate: da 193, 7 a
183. «Questo è il risultato di una migliore disposizione delle isole ecologiche
- precisa Humar - perché abbiamo tolto i cassonetti dalle strade principali,
cioè quelle a maggior transito».In un panorama positivo, rimane un punto su cui
la giunta dovrà invece lavorare con particolare attenzione, quello che riguarda
il sensibile aumento dei rifiuti dell'indifferenziata nel periodo estivo.
Quest'anno si è passati dalle 272, 8 tonnellate di giugno alle 298, 6 di luglio
per arrivare alle 301, 8 di agosto. «Si tratta di un fenomeno legato alla
presenza dei turisti - continua Humar - che non possono conoscere, alla pari dei
residenti, la dislocazione delle isole ecologiche e quindi dei raccoglitori per
la differenziata. Per la prossima estate - prosegue l'assessore - provvederemo a
renderle più visibili».La prossima settimana intanto inizierà la distribuzione
sul territorio, in particolare a Malchina, Medeazza e Visogliano, dei
raccoglitori per il verde.
Ugo Salvini
LA PRESENTAZIONE - Oggi i dati degli ultimi tre mesi a
San Dorligo alla luce del nuovo sistema di smaltimento
Saranno resi noti stamani, nel corso di una conferenza che inizierà alle 12,
nella sala del Consiglio comunale di San Dorligo della Valle, i dati sui
risultati ottenuti sul territorio, con il nuovo sistema di raccolta
differenziata, negli ultimi tre mesi. Saranno inoltre analizzate la situazione
attuale e le possibilità di ulteriore miglioramento. Alla presentazione dei
nuovi dati parteciperanno pubblici amministratori e gestori del servizio. A San
Dorligo della Valle, per la cronaca, nelle ultime settimane si erano registrate
proteste da parte di alcuni residenti che avevano denunciato disservizi nella
raccolta rifiuti.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 18 ottobre 2017
Il Carso che domina Barcola si rifà il look con 1,7 milioni
Il Comune stanzia una maxiposta con ex fondi
provinciali per la messa in sicurezza e il recupero di 150 ettari da destinare a
viti e olivi e per nuovi itinerari turistici
Centocinquanta ettari di pastini da ripristinare entro la fine del 2019 sul
costone carsico, per consentire la coltivazione di vigneti e uliveti. Epicentro
di questa operazione di riqualificazione paesaggistica i dintorni di Contovello.Il
Consorzio di Bonifica "Pianura Isontina" ha ottenuto un milione e 742.966,37
euro, che originariamente erano stati assegnati alla Provincia di Trieste dalla
Regione Fvg e dal Fondo Trieste, per l'ampliamento di una strada campestre e per
il riassetto dei muri "a secco" che delimitano i terreni terrazzati. Verranno
inoltre realizzate vasche in grado di contenere l'acqua piovana a scopo irriguo,
collegate con la rete idrica gestita da AcegasApsAmga. «Una volta erano zone
dove si arrivava con l'asino e la carriola - commenta il presidente del
Consorzio Enzo Lorenzon - adesso bisogna infrastrutturarle per permettere un
utilizzo economico adeguato». Sviluppo agricolo, recupero e valorizzazione di
aree rurali abbandonate o semi-abbandonate, reintroduzione di coltivazioni
«compatibili con evidenze naturalistiche di rilevanza sovraregionale» sono gli
obiettivi del finanziamento ricevuto, come documentato dal Consorzio nel
progetto presentato al Comune lo scorso 8 giugno dal titolo "Infrastrutturazione
del costone carsico triestino 1°lotto". Per entrare in azione, il Consorzio
isontino ha però preventiva occorrenza di una variante al Piano regolatore
generale del Comune triestino, in quanto dovrà effettuare alcune espropriazioni.
A tale riguardo la giunta, su proposta dell'assessore Luisa Polli, ha approvato
una delibera che accende la procedura di adozione della variante, che sarà
esaminata dal Consiglio comunale. Un iter che l'amministratrice leghista
delegata alla Pianificazione territoriale conta di chiudere prima di Natale. Poi
il Consorzio provvederà, come stazione appaltante, all'affidamento dei lavori,
con l'obiettivo di consegnare al territorio triestino una Contovello doppiamente
attrattiva, per l'investimento agricolo-produttivo e per il turismo carsico.
Senza contare - ricorda la Polli - gli aspetti correlati alla tutela
dell'ambiente. Un'operazione che interessa lo stesso Dipiazza, come sindaco e
come responsabile dell'agricoltura per l'Uti giuliana: tant'è che il primo
cittadino, insieme alla Polli, ha recentemente svolto un sopralluogo a
Contovello. Poi l'assessore rammenta un altro argomento che rende importante il
recupero di quella zona carsica: è il tema enologico legato alla Glera, in
quanto un aumento della disponibilità di vigneto faciliterebbe l'ottenimento di
quote produttive. Paesaggio, suolo, economia sono tre fattori - a giudizio della
Polli - che meritano da parte del Consiglio, quando tratterà la variante, una
linea di attenzione propositiva. Variante - ricorda la delibera 488 - che non è
sottoposta a valutazione ambientale strategica e sulla quale i competenti uffici
della Regioni Fvg hanno statuito che il progetto «non necessita di valutazione
d'incidenza appropriata e può essere eseguito». Fu la Provincia di Trieste, con
una delibera del giugno 2015, a delegare il Consorzio alla progettazione e
all'esecuzione delle opere. Peccato che la Provincia non esista più nel momento
in cui un'operazione importante come questa è in pista di decollo. Il
finanziamento ha una storia lunga e tormentata - come si ricordava alcuni mesi
fa - , avendo mosso i primi passi ai tempi della giunta regionale guidata da
Riccardo Illy, quando assessore alle Risorse agricole era Enzo Marsilio. Dopo
lunghi anni di "sonno", i fondi sono stati destati e destinati: la grande parte
proviene dalla Regione Fvg (750 mila euro) e dal Fondo Trieste (440 mila euro).
Da tempo il Consorzio della Pianura Isontina guarda con interesse al territorio
triestino, come sottolinea il presidente Enzo Lorenzon, con una lunga milizia al
volante dell'organismo di bonifica. Il Consorzio è già stato impegnato in un
importante lavoro nel bacino di Montedoro, tra Muggia e San Dorligo.
Massimo Greco
IL PICCOLO - MARTEDI', 17 ottobre 2017
Idee vincenti per evitare lo spreco d'acqua - Ai
progetti di due studenti del Deledda-Fabiani i premi assegnati dall'evento
nazionale "Water-Hack"
Cento studenti di tredici scuole italiane si sono incontrati e sfidati
all'Istituto per ciechi di Milano, durante l'evento "Water-Hack", la prima
maratona dedicata interamente al tema dell'acqua e della sua sostenibilità. Tra
i cento giovani alunni, "armati" di idee e creatività, anche sei studenti dell'Its
"Deledda-Fabiani" di Trieste, che hanno partecipato appunto all'importante
iniziativa, promossa dal Miur per la scuola italiana. Un evento, che si è svolto
in concomitanza con il forum internazionale "Rules of water, Rules for live". E
tra tra i vincitori finali dell'hackaton figurano proprio due studenti del"Deledda-Fabiani:
Emil Mastromauro, per il progetto "Link Sink", ha vinto grazie alla su originale
"creatura": un rubinetto intelligente che, grazie a un sistema di flussometri,
monitora e aiuta a ridurre gli sprechi quotidiani dell'acqua grazie a
un'applicazione per smartphone che informa costantemente l'utente. Premiato
anche un altro triestino, Giacomo Baldassi, che con il suo gruppo "Goccia a
Goccia" ha trionfato con l'ambizioso progetto che ha l'obiettivo di mettere a
confronto giovani tra i 18 e i 25 anni di Paesi in via di sviluppo e dei Paesi
europei sui temi della gestione dell'acqua. C'è dunque grande soddisfazione per
la vittoria dei due studenti triestini, ai quali sono stati assegnati due
prestigiosi premi: il gruppo di Emil svolgerà un progetto di ricerca su biologia
e zoologia marina in collaborazione con l'Università di Milano Bicocca presso il
loro centro di ricerca alle Maldive; mentre il gruppo di Giacomo rappresenterà
l'Italia dei giovani a una conferenza mondiale che si terrà dal 18 al 23 marzo
nientemeno che a Brasilia. «È stata una lunga maratona progettuale - sottolinea
entusiasta la docente Maria Zappalà - un evento importante per la centralità del
tema affrontato, ovvero la salvaguardia delle risorse idriche. Quello che ci
tengo maggiormente a sottolineare è però l'impegno degli studenti che si sono
impegnati nella ricerca delle migliori soluzioni per affrontare il tema del
risparmio dell'acqua: questo potrà servire sicuramente da modello per altri
studenti e i giovani in generale». Perché, ricordano dalla scuola, è ai giovani
che è affidato il futuro, e non solo quello dell'acqua.
Alexandra Del Bianco
AIDDA - Serracchiani parla di treni e ripresa
Sarà dedicata al tema "I treni della ripresa. Infrastrutture materiali e immateriali per competere in Europa" la conviviale dell'Aidda in programma oggi alle 19 all'hotel Riviera. Interverrà Debora Serracchiani
IL PICCOLO - LUNEDI', 16 ottobre 2017
Ambiente - Convegno Ogs sui rischi naturali
"Pianificazione territoriale, prevenzione dei rischi naturali e strumenti per la tutela dell'ambiente" è il titolo di un convegno organizzato oggi alla Camera di commercio dall'Ogs. Inizia alle 8.30 e finisce alle 17.
IL PICCOLO - DOMENICA, 15 ottobre 2017
Il domino della siderurgia Made in Italy - Gli scenari
dall'Ilva alla ex Lucchini di Piombino. Intanto in Fvg l'export dei grandi
gruppi (da Danieli a Pittini) è in ripresa
MILANO - Ultimo braccio di ferro per la siderurgia nazionale. Nel giro di
qualche mese, e comunque entro il primo semestre 2018, dovrebbero concludersi le
tutte vicende societarie, giudiziarie e ambientali, che hanno paralizzato a
lungo l'acciaio Made in Italy. Stiamo parlando dell'Ilva di Taranto, ora alle
prese con un piano industriale che riduce di un terzo la forza lavoro e impone
sacrifici contrattuali a tutti i dipendenti e il "niet" da parte di governo e
sindacati; la ex Lucchini di Piombino che dovrebbe essere rilevata, dopo un
inconcludente interregno degli algerini di Issad Rebrab, dalla cordata che
puntava all'Ilva (Arvedi e gli indiani di Jindal), e infine l'attesa rinascita
dell'ex Alcoa ora nell'orbita degli svizzeri di Sider Alloys.Tutte vicende
spinose e complicate, su cui non mancheranno le sorprese e i colpi di scena, ma
che dopo anni di palude si avviano al rush finale. Intanto che è si va
ricomponendo il mosaico dei siti produttivi, e non sarà un processo indolore,
soprattutto sul fronte occupazionale, la siderurgia nazionale prosegue la sua
lenta ma costante ripresa. Nei primi sette mesi dell'anno la produzione è
aumentata dell'1,7%, pari a 14,4 milioni di tonnellate. Diminuiscono le
importazioni e cresce l'export, che fa un passo in avanti dell'1,7%. A trainare
il lavoro degli altoforni è la congiuntura positiva dell'industria italiana.
L'acciaio infatti è un ottimo indicatore del ciclo economico: automotive,
elettrodomestici, metalmeccanica sono i suoi più grandi consumatori. Un trend
che si riflette anche sul Nordest e sulla vocazione internazionale del
territorio. Basti pensare al balzo dell'export (+8,8%) segnalato, nel secondo
trimestre dell'anno, da Confindustria Udine che vede il grande exploit della
siderurgia locale, quella del gruppo Danieli e di Pittini di Osoppo, in aumento
del 48%. Tant'è che a piccoli passi l'Italia torna nella top ten globale dei
paesi produttivi d'acciaio, al decimo posto scalzando l'Ucraina ancora in
trincea per le tensioni politiche all'interno del paese. Sarà comunque difficile
per l'Italia mantenere questa posizione in graduatoria, perché gli altri paesi
concorrenti crescono in modo molto più spedito, basti pensare all'Iran (+15%) e
a Taiwan (+7%). La battaglia sui grandi volumi con le economie asiatiche è persa
da tempo. l continente asiatico cuba oggi il 69% della produzione mondiale,
contro il 10% dell' Europa. Perciò appare ormai segnata la strada di un acciaio
delle specialità, e peraltro intrapresa da aziende italiane come il gruppo
Danieli di Buttrio nella produzione di impianti siderurgici ad alto tasso
tecnologico. In proposito la società friulana ha ospitato un summit
internazionale nella prima settimana di ottobre il Dim-Danieli Innovaction
Meeting, forum dei leader mondiali dell'acciaio nel quale ogni quattro anni si
analizzano lo stato di salute e le dinamiche globali della siderurgia.
Quest'anno il forum Danieli ha puntato le antenne su innovazione, tecnologie e
competitività nel mercato dell'acciaio da qui al 2035, con particolare
riferimento alle conseguenze delle politiche protezionistiche doganali e
all'attuale situazione di "new normal periodo", cioè di "calma piatta" per
quanto riguarda la richiesta di nuovi impianti siderurgici. La Pittini di
Osoppo, a un anno dalla scomparsa del signore delle Ferriere, Andrea Pittini,
deve confrontarsi con una mega multa da 43 milioni comminata dall'Antitrust per
presunta concorrenza sleale. Una sanzione che, se confermata, metterebbe a dura
prova il cammino di ripresa dell'industria siderurgica del territorio. C'è poi
il tema ambientale che allunga le sue ombre su tutto il comparto dalle vicende
Ilva fino alla Ferriera di Servola del gruppo Arvedi, e che potrà essere sanato
solo con investimenti in tecnologie avanzate e sostenibili.
Christian Benna
IL PICCOLO - SABATO, 14 ottobre 2017
La svolta verde di Lubiana: stop alle auto inquinanti
La stretta del governo: dal 2030 in vigore nuove regole per le
immatricolazioni per abbattere le emissioni nocive. Via libera alla diffusione
delle auto elettriche
BELGRADO - Basta auto inquinanti a diesel e a benzina. Sì a quelle
elettriche e ibride plugin, è quello il futuro. Futuro prossimo che non è solo
quello di Francia, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Norvegia, ma anche della vicina
Slovenia. Che sta imboccando una strada sempre più 'verde' per il proprio
sviluppo. Slovenia dove il governo ha annunciato giovedì la futura introduzione
di nuove regole per l'immatricolazione di nuove automobili. «Dal 2030, non
permetteremo la registrazione di macchine tradizionali», ha confermato Bojan
Zlender, numero uno dell'ufficio ministeriale che si occupa delle politiche dei
trasporti. Maggiori dettagli sono stati resi noti dall'agenzia di stampa slovena
Sta, che ha specificato che lo stop alle vendite nel 2030 riguarderà auto diesel
o a benzina «che producano più di 50 grammi di Co2 al chilometro». Già dal 2025,
le auto dovranno inoltre avere una impronta inferiore ai 100g/km, come
prescrivono gli obiettivi Ue. Non si tratta dunque di un «divieto totale», sul
modello francese o britannico, ma che potrebbe avere conseguenze simili. Al
momento, «solo veicoli elettrici e gli ibridi elettrici plug-in» (Phev),
ricaricabili senza uso di motore a combustione, rispettano questo limite, ha
ricordato infatti la Sta. Se nei prossimi anni nuove tecnologie abbatteranno le
emissioni delle auto tradizionali, anche queste potranno continuare a essere
registrate. In caso contrario - scenario più probabile - chi vorrà acquistare
auto nuove dal 2030 dovrà puntare necessariamente su veicoli elettrici o Phev. È
proprio a questo che mira Lubiana, ossia di «far salire al 17 per cento la
quota» di auto verdi nel Paese, oggi un minuscolo 0,1% del parco macchine, già
entro il 2030 e poi esponenzialmente negli anni successivi. Parliamo di grandi
numeri, in una nazione che ha uno dei più alti tassi di motorizzazione in
Europa. In Slovenia, sono infatti 523 le auto in circolazione ogni 1.000
abitanti. E se la quota del 17% sarà raggiunta, fra un decennio o poco più
saranno già 200mila le auto elettriche o Phev. Auto che avranno bisogno di più
colonnine di rifornimento di quelle oggi attive. Per questo, Lubiana ha
pianificato di aumentarle dalle attuali 227 fino a 22.300 nel 2030. Tutte
misure, quelle "anti-combustibili fossili", che sono contenute nella bozza della
«Strategia per lo sviluppo 2030», adottata giovedì dal governo, che include
anche altri punti importanti, come la riduzione del rapporto debito/Pil sotto il
60%. La strategia sarà sottoposta a un dibattito pubblico fino a novembre, per
essere perfezionata, e poi messa in pratica. Ma la rotta è segnata. Rotta che
non è troppo ambiziosa perché non copia «ad esempio il modello olandese, dove le
emissioni ammesse» nel 2030 saranno «zero e non 50», spiega a Il Piccolo Ignac
Zavrsnik, presidente dell'Associazione slovena per la mobilità elettrica (Dems).
«Non è la stessa storia che in Norvegia o in Olanda, ma è un cambiamento», un
passo avanti significativo che «ripercorre quelli dei Paesi più sviluppati». È
un «passo nella direzione giusta», gli fa eco Greenpeace Slovenia. «Ma dobbiamo
prestare attenzione da dove questi veicoli ricaveranno energia. Se essa arriverà
dal carbone o dal nucleare - continua Greenpeace - diminuiamo solo un problema e
ne prolunghiamo un altro. E l'elettrificazione deve andare a braccetto con «lo
sviluppo delle rinnovabili».
Stefano Giasntin
Tonno da 150 kg spiaggiato a Muggia - La carcassa
dell'esemplare di "pinna blu" è diventata una macabra attrazione aspettando la
rimozione
MUGGIA - Quasi due metri di lunghezza per circa 150 chilogrammi di peso:
l'enorme carcassa di un tonno rosso si è spiaggiata sul tratto del litorale
posto poco prima del comprensorio che ospita la base logistica militare di
Muggia. Il massiccio scombride, che da mercoledì giace senza vita sulla
spiaggetta di sabbia, per ora non ha trovato alcuna autorità disposta a
spostarlo, finendo col diventare una macabra attrazione. Non solo. Come emerso
da una testimonianza fotografica, al momento del suo recupero in acqua avvenuto
con una corda, il tonno aveva ancora la pinna, che successivamente è stata
asportata da ignoti, forse come "trofeo". Tutta la vicenda fa veramente
riflettere tenendo conto anche del fatto che questo pesce pelagico, il cui stato
di conservazione è peraltro fortemente minacciato, è considerato estremamente
pregiato. Il Paese che dall'Italia importa maggiormente il tonno rosso - detto
anche pinna blu, e da non confondere con il pinna gialla che troviamo nelle
classiche scatolette - è il Giappone, che lo utilizza in particolar modo per il
sushi. Basti ricordare l'eclatante asta avvenuta a inizio anno a un mercato
ittico nipponico che ha fatto il giro dei mass media mondiali. Al Tsukiji, il
mercato del pesce di Tokyo, un esemplare di 212 kg è stato venduto per 74,2
milioni di yen, equivalenti a qualcosa come 560mila euro: 2860 euro al kg.
«L'avessero raccolto subito e trattato a dovere, il tonno ritrovato sulla
spiaggia della strada per Lazzaretto avrebbe potuto davvero sfamare tantissime
persone», racconta basito il naturalista triestino Nicola Bressi. Invece così
non è stato e la carcassa del pesce è praticamente andata in putrefazione. Anni
fa, pare che di simili casistiche se ne occupasse la ditta Crismani. Ora invece
la situazione è stata risolta con un intervento piuttosto impetuoso da parte
dell'assessore alla Polizia locale Stefano Decolle: «Questa mattina (ieri, nd)
non appena saputo che la carcassa era ancora lì, ho fatto una rapida verifica
con i miei funzionari per trovare una soluzione. Entro la settimana una ditta
proveniente da un altro comune della regione provvederà alla rimozione
dell'animale morto». Ignoti, per ora, i costi dell'operazione.Lo spiaggiamento
di un tonno di queste dimensioni è una cosa piuttosto rara come spiega lo
zoologo Bressi: «Credo sia la prima volta che il corpo intero di un tonno venga
rinvenuto su una spiaggia della nostra provincia. In diverse occasioni questo
pesce è stato avvistato sul bagnasciuga, ma sempre smembrato». Al momento del
suo ripescaggio il pesce era privo di testa, molto probabilmente perché mozzata
dall'elica di un motoscafo. L'ultima considerazione su questa vicenda riguarda
la minaccia di estinzione del tonno rosso. La sua presenza a Trieste non è certo
eccezionale, ma negli ultimi anni si è fatta rara. Grazie ai fermo pesca
decretati dall'Iccat, questo animale, praticamente estinto nel golfo di Trieste
dopo la mattanza del 1954 che provocò la cattura di circa 800 tonni e la
conseguente chiusura delle tonnare triestine, sta tornando pian piano a
ripopolare le nostre acque
Riccardo Tosques
Passeggiata guidata nel Bosco Farneto a 200 anni
dall'apertura del primo sentiero
Il Comune di Trieste e il Corpo Forestale regionale organizzano quest'oggi
una camminata guidata nel Bosco Farneto per ricordare i 200 anni dall'apertura
del suo primo sentiero escursionistico. Lo storico sentiero era stato aperto nel
1817 dal negoziante Ignazio Czeike con l'intento di collegare la città alla
vetta del Cacciatore, allora sede del tiro al bersaglio. Tutta la cittadinanza
fu invitata a partecipare alla passeggiata inaugurale e per l'occasione venne
creato uno spiazzo per il gioco dei birilli e costruiti alcuni tavoli. Tutti
sono invitati a partecipare alla passeggiata odierna, che inizierà alle 10 dal
Ferdinandeo. La camminata toccherà il parco del Bosco Biasoletto e il Civico
Orto Botanico dove si concluderà attorno alle 12 con l'organizzazione di un
momento musicale nell'ambito della concomitante manifestazione "Come fogli(e) al
vento".L'escursione è gratuita, ci si iscrive sul posto. In caso di maltempo la
passeggiata verrà sospesa.
(m.l.)
IL PICCOLO - VENERDI', 13 ottobre 2017
Voce della Luna, a rischio l'estate 2018 - Decade dopo
un anno di impasse la causa al Tar che bloccava il restyling. In bilico a questo
punto anche la prossima stagione
Oltre al danno, la beffa. La società Bar Punta Faro srl di Lignano, che
aveva presentato ricorso al Tar dopo essere arrivata seconda nella gara per
l'assegnazione delle concessioni demaniali per la gestione dell'ex Voce della
Luna, ad un giorno dall'udienza decisiva ha sventolato bandiera bianca e si è
ritirata. Facendo perdere oltre un anno all'aggiudicataria Gmt sas e a tutta la
città di Trieste, che attende da tempo di veder rinascere quella struttura,
ridotta oggi a un cumulo di macerie. Da oggi la Gmt potrà serenamente lavorare
per ottenere i permessi e avviare l'apertura del cantiere. Ma lo "scherzetto"
giocato dai concorrenti ha fatto slittare di oltre un anno l'apertura della
nuova Terrazza a Mare (così la struttura viene chiamata nel progetto vincente
dello studio Metroarea degli architetti Tazio di Pretoro e Giulio Paladini),
mettendo a rischio anche la prossima stagione balneare. Se tutto filasse liscio
si potrebbe godere nuovamente del nuovo locale a fine estate 2018. Saranno i
gestori a decidere se varrà la pena aprire comunque, quando la stagione balneare
starà per tramontare, o se attendere la primavera del 2019. Quello che è certo è
che tra pochi mesi, passeggiando a Barcola, si inizieranno a vedere i primi
lavori destinati a trasformare quel che resta della Voce della Luna in quello
che diventerà uno dei punti di riferimento barcolani di triestini e turisti. «Il
10 ottobre ovvero il giorno prima dell'udienza - specifica Elena Marchesi,
legale della Gmt - hanno proposto una compensazione delle spese legali a fronte
del deposito, da parte loro, della cessata materia de contendere». Quelli di Bar
Punta Faro, da quanto si è saputo, avevano maturato da tempo la consapevolezza
che il progetto vincente potesse avere una marcia in più. Nel corso del
giudizio, infatti, era emerso come la proposta di Gmt avesse già ricevuto il
parere favorevole da tutti gli uffici tecnici coinvolti, risultando pienamente
conforme, mentre quella di Bar Punta Faro evidenziava incrementi volumetrici non
conformi al Piano regolatore vigente. Nell'atto depositato al Tar nell'ottobre
del 2016, Bar Punta Faro chiedeva in via principale che il Tribunale annullasse
«previa adozione di ogni idonea misura cautelare, ivi compresa la sospensione
degli effetti, tutti i provvedimenti impugnati» e che, conseguentemente,
condannasse «l'amministrazione regionale ad aggiudicare la gara in questione
alla ricorrente». In via subordinata la società friulana, che a Lignano gestisce
un importante stabilimento, chiedeva che il Tar condannasse la Regione al
risarcimento dei danni. Il Tar invece, in fase di procedimento cautelare, non ha
trovato fondamenti per la sospensione d'urgenza dell'aggiudicazione in attesa
del giudizio di merito conclusivo. L'intenzione di ostacolare la nascita della
nuova Terrazza a Mar,e gli imprenditori friulani l'avevano manifestata già pochi
minuti dopo l'esito della gara, annunciando il ricorso. Poi la sorpresa: a data
fissata, 24 ore prima dell'ultima udienza, Bar Punta Faro ha ammainato le vele.
«Si sono mossi con evidente scopo ostruzionistico - valuta l'avvocato di Gmt - e
hanno bloccato la rinascita di uno dei biglietti da visita di Trieste».
Laura Tonero
AL POLO DI GORIZIA - La tesi di laurea di tre neo architetti triestini per la riqualificazione del Gasometro di Broletto
Il gasometro del Broletto, vecchio e degradato? Ci pensano a ridargli dignità una ragazza, Beatrice Finocchiaro, e due ragazzi, Matej Dornik e Simone Huez. Freschi di laureati in Architettura all'Università di Trieste (sede di Gorizia), hanno realizzato come tesi (relatore Dimitri Waltritsch) un progetto per la riqualificazione dell'area, da via Caduti sul lavoro a via dei Lavoratori, che percorre tutta via d'Alviano. Perché avete scelto questa zona?Perché si presenta come un involucro vuoto, degradato e con una copertura - tutta in eternit- da smaltire, un raro esempio di archeologia industriale, non ancora valorizzato. Attorno a esso un'area industriale e di retroporto - con la sede di Trieste Trasporti e i magazzini dell'AcegasApsAmga - al confine con la città densamente abitata dei quartieri di San Giacomo e Chiarbola e sulla importante direttrice della mobilità San Vito-Servola, il tutto separato da un dislivello e da un muro di diversi metri. Il tutto è estremamente centrale nel contesto urbano della città, forse addirittura troppo per le funzioni che svolge attualmente.In che cosa consiste il vostro progetto?La nostra proposta è di un grande spazio pubblico a diversi livelli che va a ridisegnare la percorrenza ciclabile e pedonale esistente, potenziando quest'ultima attraverso un interscambio bus-auto-bici per renderla un efficace punto di collegamento con la esistente "Giordano Cottur". Le nuove volumetrie, composte da quattro nuovi edifici e dallo stesso Gasometro, andranno ad ospitare il nuovo polo universitario/scientifico della città, contenendo un incubatore per aziende, due edifici adibiti ad università, una casa dello studente. E cosa diventa l'interno del gasometro?Da edificio destinato a servire la città accumulando gas per l'illuminazione, vorremmo diventasse una biblioteca/auditorium. Viene ripresa la forma a cerchio, divisa in 14 spicchi. I diversi piani vanno a conformarsi seguendo questo disegno, collegato poi da una grande scala a spirale centrale, elemento caratterizzante del progetto. Quale sarebbe il concetto di fondo? Restituire questo frammento degradato di città alla città stessa, come inoltre già previsto dal piano regolatore. La soluzione individuata va a trasformare il dislivello in punto focale del progetto, rendendolo, tramite l'utilizzo di ampie gradinate che ne permettono la graduale discesa, uno spazio pubblico di lavoro/studio collettivo.
Benedetta Moro
Oggi in programma un convegno sull’energia con esperti di fama internazionale
Oggi dalle 14.30 alle 17.30, presso l'università di Trieste, (aula Magna edificio H3, Via Alfonso Valerio, 12/2 a Trieste), si terrà il primo convegno del Centro Interdipartimentale 'Giacomo Ciamician'. L'importante evento, che raccoglie a Trieste specialisti dell'energia di assoluta fama nazionale ed internazionale, si svolgerà nel pomeriggio secondo il seguente programma: indirizzi di saluto da parte di Giorgio Sulligoi collaboratore del Rettore dell’ università di Trieste e Coordinatore del Centro Interdipartimentale 'Giacomo Ciamician' su Energia, Ambiente, Trasporti e da parte di Stefano Casaleggi, direttore Generale di Area Science Park. Introduce Andrea Crismani, università degli Studi di Trieste. I temi trattati: la cooperazione tra i gestori di rete e di mercato (Alberto Pototschnig, direttore Acer - Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell'energia); I fabbisogni di energia per il sistema portuale (Mario Sommariva, segretario generale, Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale.;La tutela del consumatore e l’integrazione dei mercati (Sara Tommasi, Università del Salento); Interconnessione delle reti elettriche di Italia e Slovenia in ottica merchant line Massimo Carratù, direzione Energia Elettrica AcegasApsAmga Spa.
Giovani - #MaiDireMai in assemblea
Si terrà alle 17.30, nella sede di via Fabio Severo 31, l'assemblea
dell'Associazione giovanile #MaiDireMai. #MaiDireMai nasce nel 2015
dall'esperienza di partecipazione attiva all'interno di Arci-Servizio civile
formata dall'insieme di giovani operanti attualmente in progetti di servizio
civile, giovani che hanno svolto attività in qualità di ex obiettori o ex
volontari, che hanno fatto un loro percorso collaborando attivamente in varie
iniziative. Dalla sua costituzione l'associazione organizza iniziative che
vedono impegnati i giovani su temi quali la cooperazione, l'associazionismo, la
pace, la solidarietà.
Alliance Française - L'emergenza clima in fotografia
Dodici immagini delle 44 vincitrici di un concorso fotografico
internazionale sul cambiamento climatico saranno le protagoniste della mostra
"Clima, stato di emergenza" che l'Alliance Française di piazza Sant'Antonio
Nuovo 2 ha portato in città. L'esposizione è figlia di un'iniziativa della
Fondation Alliance Française di Parigi nel 2015, in occasione del summit
mondiale sul cambiamento climatico. I fotografi sono stati invitati a illustrare
questioni e problemi relativi al clima e alle sue evoluzioni, di tracciare un
ritratto dei suoi effetti sulla vita della gente e sulle soluzioni pubbliche e
private, che nel proprio paese, vengono intraprese o anche solo immaginate per
contrastare gli effetti negativi di queste evoluzioni. 105 Alliances Drançaises
di 43 Paesi diversi hanno partecipato. La mostra verrà inaugurata alle 18;
interverranno Furio Finocchiaro, ricercatore e docente al Dipartimento di
matematica e geoscienze dell'Università di Trieste, e Alessandro Giadrossi,
presidente del Wwf Trieste. Seguirà aperitivo. Ingresso libero.
COMUNICATO STAMPA - GIOVEDI', 12 ottobre 2017
RUTENIO IN VENETO E NORD ITALIA. SERENA PELLEGRINO ( SI): PROBLEMA RISCONTRATO ANCHE IN ALTRI PAESI EUROPEI
COSA SIA SUCCESSO NON LO SA NEMMENO L’AIEA. IL
MINISTERO DELL’AMBIENTE RASSICURA SU ASSENZA RISCHI SANITARI E SU PROGRESSIVA
DIMINUZIONE CONCENTRAZIONI.
Roma, 12 ottobre 2017. Le tracce del radionuclide Ru-106 registrate dalle
stazioni di controllo della radioattività in aria delle sedi di Verona, Vicenza
e Belluno non sono soltanto un fenomeno locale . Il Ministero dell’Ambiente ha
oggi ammesso che oltre alla contaminazione registrata in Veneto, e
precedentemente in Lombardia, segnalazioni sono giunte da altre regioni del Nord
Italia. Inoltre, il problema e le relative preoccupazioni riguardano anche altri
Stati europei, dove sono state effettuate analoghe registrazioni di rutenio in
atmosfera, e c’è chi fra questi, in particolare la Francia, ipotizza che
l’origine della radioattività segnalata in Europa si trovi in una regione a sud
degli Urali. Al momento né Ministero dell’Ambiente né Agenzia Internazionale per
l’Energia Atomica sanno dire di più su cosa sia effettivamente accaduto e abbia
determinato l’anomalia radiometrica. Lo dichiara la parlamentare Serena
Pellegrino ( Sinistra Italiana) vicepresidente della commissione Ambiente che ha
sollecitato un chiarimento sulle cause della presenza del radionuclide. In
risposta all’interrogazione, è stato esplicitamente escluso il collegamento con
incidenti in centrali nucleari , è stato evidenziato il dato della progressiva
diminuzione delle concentrazioni nelle aree sotto controllo ed è stato infine
assicurato il costante controllo dell’ISPRA che pubblica aggiornamenti periodici
sulla problematica nel proprio sito web.
Serena Pellegrino
IL PICCOLO - GIOVEDI', 12 ottobre 2017
I pescatori croati: «Mare sempre più povero» - La
categoria punta il dito contro dilettanti e sportivi. Zagabria annuncia un
inasprimento dei controlli
FIUME - La pressione alieutica nel versante croato dell'Adriatico è
diventata insostenibile: troppi i pescatori, a impoverire di anno in anno le
risorse ittiche di un mare ormai allo stremo. È quanto ribadito a Porto Albona (Rabaz),
in Istria, durante la riunione nazionale dei pescatori che ha visto i
partecipanti lanciare non solo un grido d'allarme, ma anche chiedere misure
concrete per migliorare una situazione a loro dire disperata. Fra le proposte è
stata lanciata dunque quella di ridurre l'Iva sul pescato e di consentire ai
pescatori professionisti di beneficiare di condizioni migliori per arrivare alla
pensione. Dito puntato poi anche contro i pescatori sportivi e dilettanti,
ritenuti tra i maggiori responsabili del depauperamento ittico. Il viceministro
croato dell'Agricoltura con delega per la Pesca, Ante Misura, ha annunciato che
d'ora in poi i controlli per questi ultimi saranno molto più rigorosi: «Queste
due categorie dovranno contrassegnare i pesci catturati per impedirne la
vendita. E per chi non si metterà in regola ci saranno ammende severe. Il
ministero - ha aggiunto Misura - è impegnato nella tutela del nostro mare, ma ci
sono sempre singoli pescatori professionisti che chiedono agevolazioni». A
prestare ascolto al pescatore dalmata Igor Kralj di Bestonio (Baska Voda), più
del 50% dei pescatori dilettanti opererebbe in modo abusivo: «Insenature e
lunghissimi tratti costieri sono chiusi da reti e palamiti e disseminati da
miriadi di nasse. Il livello critico di prelievo è stato superato da tempo, ma
non succede niente e siamo vicini al punto di non ritorno». Gli ha fatto eco
Mate Oberan, presidente della sezione Pesca alla Camera d'Economia croata:
«Dobbiamo pescare di meno, rinunciare in parte o totalmente all'attività. Non so
comunque se potrà bastare per risollevare le sorti dell'Adriatico». Anche Sanja
Matic Skoko, biologa dell'Istituto oceanografico di Spalato, ha parlato di
situazione catastrofica, che può essere migliorata solo con un'azione comune.
Intanto però i dati degli ultimi anni sui pescati in Croazia sembrano non dare
ragione a chi si lamenta per la continua riduzione delle biomasse di pesci,
molluschi e crostacei. Lo scorso anno i professionisti croati hanno catturato
85mila tonnellate di pesce, con un aumento dello 0,9% sul 2015: il dominio come
sempre è spettato alle sardelle con 54mila tonnellate (+7,6% annuo). Nel 2015 il
pescato complessivo tra specie selvatiche e d'allevamento aveva toccato le 84
mila tonnellate, nel 2012 le 70mila e nel 2010 le 52mila tonnellate. Va detto
che da anni nel Paese si operano più volte all'anno i fermi biologici su varie
specie. Queste restrizioni hanno portato dei benefici al pesce azzurro, che
viene pescato in quantità maggiori rispetto a una decina di anni fa.
(a.m.)
Rigassificatore a Veglia - Castelmuschio si ribella
Il Comune: nessuna contrarietà alla struttura ma nel progetto vanno
previsti vantaggi economici per la popolazione. Pronto lo studio di impatto
ambientale
FIUME - Il progetto del rigassificatore offshore a Veglia ha vissuto in
questi giorni un'accelerazione con la chiusura del bando internazionale per
l'acquisizione della nave-rigassificatore (l'unità galleggiante di stoccaggio e
rigassificazione). Ma i responsabili del Comune interessato, quello di
Castelmuschio (Omisalj in lingua croata), non ci stanno: si dicono delusi dagli
effettivi benefici che la municipalità e la Regione quarnerina ricaveranno dal
progettato terminal. A fare da portavoce al malcontento è stato il
rappresentante di Castelmuschio nella Commissione per la valutazione
dell'impatto ambientale. Zlatko Klobas, l'unico a votare contro la Proposta
dello Studio di impatto ambientale del terminal, a nome del proprio Comune ha
affermato infatti che Castelmuschio e i suoi abitanti non hanno avuto sino a
questo momento la risposta che si aspettavano in merito alla domanda che
ritengono basilare: quale sarà, per la località isolana e per il Quarnero, la
convenienza che deriverà dalla presenza del rigassificatore galleggiante? Nel
precisare che la municipalità vegliota non è contraria all'impianto, Klobas ha
però aggiunto che non c'è alcun documento nel quale emergano dei dati precisi su
questa tematica. «Sì, qualche piccolo incasso per noi arriverà, risulteranno
occupate una decina di persone, ma nulla di più», ha detto Klobas rilevando che
«in presenza di simili strutture, le comunità locali traggono ovunque vantaggi,
magari sotto forma di gas a prezzo più basso per utenze private e industriali, o
di investimenti atti a migliorare le condizioni di vita della popolazione. In
questo caso non si vede invece niente». Dati alla mano, secondo gli atti
disponibili al momento il Comune di Castelmuschio dal proprio campeggio potrà
incassare introiti 15 volte superiori rispetto a quanto arriverà dal
rigassificatore: «Invitiamo pertanto le autorità competenti - ha concluso il
rappresentante della municipalità - a fare una riflessione per evitare che ciò
accada. In caso contrario ci sentiremmo ingannati, con tutte le conseguenze
possibili». Il documento definitivo dello studio di impatto ambientale sarà
pronto entro un massimo di sette giorni e diverrà poi oggetto di dibattito
pubblico. Sarà una fase molto delicata, nella quale emergerà sicuramente il
malumore degli abitanti per la presenza di un impianto non certo adatto per lo
sviluppo del turismo, oltre che - allo stato - non remunerativo per il Comune.
Intanto Lng Croazia, l'azienda pubblica che gestisce il progetto, ha fatto
sapere che al bando internazionale per l'acquisizione della nave-rigassificatore
e delle relative infrastrutture si sono fatte avanti 27 imprese.Il contratto
sarà firmato agli inizi del 2018, l'ultimazione del terminal è prevista entro il
2019: è questa infatti la condizione da rispettare per ottenere i 103 milioni di
euro a fondo perduto promessi dall'Unione europea (su un costo progettuale
complessivo di 360 milioni). Il terminal dovrebbe essere operativo negli ultimi
mesi del 2020. La capacità di movimentazione della struttura sarà di 2,5
miliardi di metri cubi di gas all'anno.
Andrea Marsanich
Un eco-questionario per "sconfiggere" l'anidride
carbonica
Dal 16 al 30 ottobre i triestini sono invitati a compilare un questionario
online sul tema dei consumi energetici e della cosiddetta sostenibilità, che
sarà reperibile al link "Ambiente. Comune. Trieste. it/Paes-Patto Sindaci".
Trenta minuti di tempo per la scienza, dal momento che l'indagine rientra nel
Piano di azione per l'energia sostenibile. L'ha annunciato ieri l'assessore
comunale all'Ambiente Luisa Polli assieme all'assessore alla Comunicazione
Serena Tonel. Ha spiegato Polli: «Il questionario servirà a fornire dati utili
per capire come abbattere le emissioni di anidride carbonica. Abbatteremo il 20%
delle emissioni entro il 2020 e raggiungeremo il 30% entro il 2030». Le ha fatto
eco Tonel: «Fondamentale alla riuscita sarà la partecipazione dei cittadini, che
è mia responsabilità sensibilizzare alla cittadinanza attiva. In vista di Esof
2020 Trieste deve dimostrare di essere all'avanguardia anche in tema di
sostenibilità». L'iniziativa è promossa dal Comune di Trieste assieme a numerosi
partner: Area Science Park, Regione, Università, Trieste Trasporti, Autorità
portuale, Azienda sanitaria universitaria integrata di Trieste, Ater e
AcegasApsAmga.
(l.g.)
Il "riciclo creativo" per rispettare la natura di scena
al Centro visite della Val Rosandra
Nel pomeriggio di sabato prossimo, a partire dalle 15, al Centro visite
della Val Rosandra - al civico 507 di Bagnoli della Rosandra - si terrà un
laboratorio didattico, naturalmente a sfondo ecologico, finalizzato a far
scoprire ai bambini l'arte del cosiddetto"riciclo creativo". Con gli addetti del
Centro i piccoli partecipanti potranno così scoprire «come dare nuova vita - si
legge in una nota di presentazione dell'appuntamento - ad alcuni materiali
semplici, come i tappi di plastica delle bottiglie, che spesso vengono gettati
dopo il loro utilizzo». I bambini realizzeranno a questo proposito «dei
simpatici gadget naturalistici, da portare a casa, prendendo nel contempo
consapevolezza dell'importanza del riciclo e della riduzione dei rifiuti». La
partecipazione al laboratorio ludico didattico è gratuita. La durata prevista è
di 90 minuti.
Natura in città - Con il Wwf caccia alle specie aliene - Oggi alla Canottieri Adria la presentazione del “safari urbano” di domenica
Tutti scienziati per un giorno, alla scoperta della "Natura in Città", avvistando e segnalando, a partire da una caccia al tesoro nei parchi cittadini in programma domenica con partenza alle 10 dal Pontile Istria, specie animali e vegetali "aliene" tramite una app sviluppata a Trieste dal Dipartimento di Scienze della vita dell'Università. Anche il capoluogo giuliano aderisce all'evento nazionale di Wwf Italia in collaborazione con il progetto Csmon-Life "Urban Nature" che vede i cittadini diventare "cittadini scienziati". Un incontro introduttivo con tre "pillole" di biodiversità aperto a tutti si terrà oggi alle 17.30 alla Società Canottieri Adria. Stefano Martellos di Csmon-Life in "Citizen science" illustrerà come si può aiutare la ricerca scientifica. «In "Città bestiali: ma chi glielo fa fare ad abitare in città?" e "Ma la libellula vale la zanzara? Gestire la biodiversità urbana" analizzeremo in modo discorsivo e coinvolgente - anticipa il naturalista e zoologo Nicola Bressi - il perché tanti animali vivono in città e come: in città gli animali vivono secondo natura, ma in un ambiente che naturale non è. È un po' come i giocatori che devono abituarsi ai campi sintetici: le regole sono le stesse, ma i match si affrontano su terreni diversi. L'uomo sempre più dovrà condividere l'ambiente urbano con gli animali. La soluzione? Aumentare le biodiversità: più spazio daremo alle specie "positive", più ne toglieremo a quelle "negative"». «Attraverso il biomonitoraggio e grazie alle nuove tecnologie - conclude il presidente di Wwf Trieste, Alessandro Giadrossi - tutti i cittadini diventano potenziali segnalatori». Iscrizioni: wwftrieste@gmail.com).
(g.t.)
Incontro col mugnaio Tuzzi
Al padiglione I - PArco di S. Giovanni (ex Opp) alle 18 incontro con Enrico Tuzzi mugnaio con un'esperienza di cinque generazioni per parlare di farina, e di economia solidale. Tiziana Cimolino introdurrà sul tema delle filiere di economia solidale nel nostro territorio.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 11 ottobre 2017
Torrenti da risanare, sbloccati 200mila euro - Cresce
il livello di attenzione sui corsi d'acqua. Lo stanziamento era fermo dal 2012,
ora è stato riattivato
Il Municipio ha alzato il livello di attenzione sulla manutenzione dei corsi
d'acqua scoperti, che scorrono nel territorio comunale. Lo dimostra l'aver
rispolverato il seguente iter amministrativo: c'era una volta una vecchia
deliberazione giuntale, risalente alla stagione cosoliniana, che stanziava 200
mila euro per il primo lotto del risanamento dei torrenti scoperti. Era l'atto
445 del settembre 2012. Tra il 2015 e il 2016 una serie di operazioni contabili
hanno fatto sì che quei quattrini non andassero in cavalleria e potessero essere
utilizzati alla bisogna. E così il Documento unico di programmazione, varato a
fine giugno, ha riconsiderato l'esecuzione dell'opera. Dal punto di vista
finanziario, i lavori si avvalgono di due mutui contratti con Unicredit. Nella
macchina comunale la vicenda è seguita da Enrico Cortese, dirigente del servizio
spazi aperti-verde pubblico-strade. Gli elaborati progettuali sono stati
aggiornati, anche perché intanto è entrato in vigore il nuovo codice degli
appalti (d.lgs. 50/16). Il criterio di aggiudicazione scelto da Cortese è il
minor prezzo mediante ribasso sull'importo posto a base di gara. L'impresa avrà
a disposizione 180 giorni per completare i lavori. AcegasApsAmga e il Comune -
lo ha ricordato recentemente il dirigente dell'utility Maria Mazzurco - sono in
procinto di impostare uno studio sull'intero bacino idrografico dell'area
comunale. Un lavoro che manca all'apparato tecnico-documentario del territorio e
adesso viene considerato importante. Soprattutto alla luce di quanto è successo
a Livorno, dove lo straripamento di corsi d'acqua secondari, in seguito a un
violento nubifragio, hanno determinato la morte di otto persone. Lo spunto per
una ricognizione dettagliata del contesto idrografico triestino è stato dato
dalla prossima apertura del cantiere in via Carducci, che dovrà provvedere a
risistemare la volta in arenaria sotto la quale passa il torrente Chiave,
formato all'altezza del Portico di Chiozza dalla confluenza dei torrenti Farneto
e Settefontane. Gli effetti delle acque piovane sono stati tra le cause dei
gravi danni subiti dalla copertura del torrente. Cogliendo l'occasione di questo
intervento, utility e amministrazione comunale mapperanno la situazione idrica a
monte della città.
I giochi nel torrente Settefontane in via della Tesa
alta - LA LETTERA DEL GIORNO di Livio Damini
Vorrei correggere parzialmente le interessanti informazioni sul torrente
"Chiave" fornite dal signor Dino Cafagna e pubblicate con il titolo "Via
Carducci, è sbagliato chiamare quel torrente Chiave" nella benemerita rubrica
delle Segnalazioni su "Il Piccolo" del 5 ottobre scorso. Forse tratto in errore
dal nome della via omonima, il Cafagna scrive: "il torrente Settefontane (o
Klutz), proveniente da Cattinara (scorre sotto la via Settefontane e la via
Carducci)...". Ciò non corrisponde alla realtà. Detto torrente scorre invece
sotto la via della Tesa (foto) ovvero ciò che rimane di questa una volta
importante arteria, che iniziava dallo slargo che ora si chiama largo Sonnino e,
seguendo a zig-zag la linea della valle, saliva sino all'attuale piazza Foraggi.
Il torrente scendeva sì, da Cattinara, ma seguiva il percorso naturale del fondo
valle dell'attuale viale Ippodromo e quindi, via della Tesa. Un'anziana signora,
ora non più con noi, che fu bambina all'inizio del secolo scorso, mi raccontava
che con gli amichetti, giocava nel torrente Settefontane allora non ancora
coperto, nella parte alta di via della Tesa.Tra la fine degli Anni '60 e i '70
del 1900, improvvise e copiose precipitazioni piovose fecero nascere impetuosi
torrenti che, scorrendo da viale Ippodromo si infilavano nel loro "letto"
naturale di via della Tesa provocando un allagamento di quasi un metro di
altezza nella parte finale della strada, fino al Largo Mioni. Ancora oggi,
malgrado i provvidenziali lavori operati dal Comune di Trieste (in
quell'occasione vidi di persona il torrentello, venuto alla luce a causa dei
lavori), con l'apertura di capaci "bocche di lupo" che, se non ostruite da
terriccio e foglie trasportate dall'acqua, riducono la presenza del torrente in
superficie, repentini fenomeni meteorici possono provocare l'accumularsi
dell'acqua a valle della via. Un tanto per dimostrare che il torrente
Settefontane scorreva lungo quella linea valliva che poi divenne la via della
Tesa. L'attuale viale d'Annunzio costruito a metà degli Anni '30 (come viale
Sonnino) segue un percorso innaturale ai fini del deflusso delle acque piovane e
non viene mai allagato come succede invece in via della Tesa.
Nuovi treni regionali - Trenitalia presenta a Bologna i
convogli del trasporto locale
BOLOGNA - È partito da Bologna, in piazza Maggiore, il road show di
Trenitalia per far conoscere ai cittadini e ai pendolari i nuovi convogli della
flotta regionale destinati, dal 2019, a rivoluzionare positivamente il trasporto
locale. La prima regione dove arriveranno i nuovi treni pendolari sarà proprio
l'Emilia Romagna (nei piani non c'è il Friuli Venezia Giulia, confermano fonti
di Trenitalia): si tratta complessivamente di 86 convogli di cui 39 doppio piano
pensato per un'alta frequentazione) e 47 mono piano per una media
frequentazione. A livello nazionale, le nuove flotte dei treni regionali, 300
Rock prodotti da Hitachi Rail Italy e 150 Pop prodotti da Alstom, compongono la
maxi fornitura da 450 nuovi convogli della commessa da oltre 4 miliardi di euro
complessivi. «La musica sta cambiando - ha spiegato l'amministratore delegato di
Fs Italiane, Renato Mazzoncini parlando dal palco allestito in piazza -
sostituiremo nei prossimi anni il 50% della flotta regionale di tutta Italia. Il
20% l'abbiamo già sostituito negli ultimi due anni, quindi, ci troveremo con una
flotta che sarà sicuramente la migliore d'Europa».
IL PICCOLO - MARTEDI', 10 ottobre 2017
Amianto a Fiume - Si punta alla mappa dei siti a
rischio - La stima del Comune: tetti in eternit per mille tonnellate
L'assessore allo Sviluppo: «No alle discariche abusive»
FIUME - Nonostante le operazioni di bonifica effettuate negli ultimi anni, i
tetti in amianto a Fiume restano numerosi. Stando all'assessore municipale allo
Sviluppo, urbanistica ed ecologia, Srdan Skunca, si stima che nel capoluogo del
Quarnero vi siano ancora circa mille tonnellate di tetti in eternit,
quantitativo ritenuto estremamente pericoloso per questa città di 130 mila
abitanti. «Siamo consci che la situazione è tutt'altro che ideale - ha rilevato
l'assessore - il materiale di amianto va progressivamente rimosso, smaltito
correttamente e messo in condizioni di non nuocere. L'amministrazione comunale
ha emanato tempo fa la delibera relativa all'obbligo per i cittadini di
denunciare la presenza di tetti in amianto, specificandone il luogo in cui si
trovano e la quantità». L'obiettivo dell'amministrazione è quello di arrivare a
una sorta di mappatura dei siti pericolosi, aumentando nel frattempo la
consapevolezza della popolazione in merito alla necessità di rimozione dei tetti
in amianto. L'assessore ha lanciato anche un altro allarme: «Purtroppo - ha
detto Skunca - la rimozione di questi tetti e la sostituzione con tegole sta
avvenendo in modo non coordinato, disorganizzato, con il materiale che viene
portato via da aziende o singoli non autorizzati. Durante operazioni di pulizia
dell'ambiente, che a Fiume avvengono da decenni, si trovano spesso discariche
abusive, piene di rifiuti di asbesto. I cittadini devono capire che gettando
questi materiali nell'ambiente si rendono responsabili di un comportamento molto
pericoloso. Sottoposti agli agenti atmosferici, questi rifiuti tendono a
decomporsi, con l'amianto che va a disperdersi nell'ambiente. È a rischio per la
salute dell'uomo anche la sistemazione provvisoria del materiale di amianto
negli scoperti delle abitazioni». L'assessore della giunta di Vojko Obersnel ha
rilevato come nel 2014 siano state raccolte 49 tonnellate di materiale edile a
rischio; l'anno successivo si è arrivati a 81 tonnellate, mentre nel 2016 gli
organismi comunali ne hanno raccolte 31. A detta dell'assessore, i differenti
quantitativi raccolti negli ultimi tre anni indicano che il sistema non è ancora
bene oliato, denuncia lacune e va migliorato per poter eliminare negli anni a
venire le circa mille tonnellate di tetti in eternit ancora presenti a Fiume.
Andrea Marsanich
Legambiente - Opuscolo sui giardini inquinati
Oggi dalle 15 alle 17 nel Giardino pubblico di via Giulia i volontari di Legambiente distribuiranno ai cittadini l'opuscolo "Inquinamento dei giardini pubblici: cosa c'è da sapere".
IL PICCOLO - LUNEDI', 9 ottobre 2017
A Duino la maglia nera degli incidenti stradali - I
dati provinciali Aci. Il 76% dei casi più gravi fuori dagli abitati - Gli
incidenti nella provincia di Trieste
TRIESTE - Sono le strade killer della provincia. Parliamo delle arterie
lontane dai centri abitati, cioè le provinciali, le regionali, i tratti della
grande viabilità. Sono loro a meritare questo triste primato, in base
all'analisi degli incidenti verificatisi nel corso del 2016 fatta dalla
delegazione di Trieste dell'Aci e dalla quale emerge anche che, fra i comuni
della provincia, è quello di Duino Aurisina a vestire la maglia nera con un
numero di schianti stradali molto più alto degli altri (al netto del dato sul
territorio comunale di Trieste): 44 contro i 12 di San Dorligo della Valle, i 10
di Muggia, i 5 di Sgonico e i 3 di Monrupino. Dallo studio risulta che,
nell'ambito dei 952 incidenti sotto la lente, il maggior tasso di gravità, pari
al 46,51 per cento, è da attribuire a quelli che si sono verificati sui tratti
autostradali, il 30% a quelli capitati nelle strade provinciali, regionali e
statali. Conferma i risultati di questa analisi anche il tasso di mortalità, che
arriva al 76,92% sui tratti autostradali del territorio provinciale. Se si entra
poi nel dettaglio degli incidenti mortali, nove in tutto nel 2016, con un
aumento rispetto al 2015 quando ce n'erano stati sette, emerge un altro elemento
importante: sette dei nove si sono verificati nelle strade che circondano il
territorio comunale di Trieste, poi uno a Duino Aurisina e uno a Muggia. Questa
dunque l'ombra scura che si proietta sui dati diffusi dalla locale sezione dell'Aci.
Dai quali emerge anche un altro fattore molto preoccupante: il 33,22 per cento
degli incidenti vede, fra le "presunte circostanze", in sostanza le probabili
cause, il mancato rispetto dei segnali stradali. Segue, nel 19,52% dei casi,
l'alta velocità, e nel 14, 38% la guida distratta. Tre motivi omogenei che
stanno a indicare che, quando ci sediamo al volante, la nostra attenzione è
troppo spesso assorbita da tutto fuorché da ciò che dovrebbe contare di più,
cioè il rispetto delle regole del Codice della strada. Telefonini, utilizzati
per parlare o peggio per scrivere o leggere messaggi, navigatori, magari la
necessità di accendere una sigaretta, cercandola nelle tasche, sono troppo
spesso causa di disattenzioni che possono diventare fatali. Quello relativo alla
distrazione o comunque a un atteggiamento troppo disinvolto quando si impugna il
volante, è un fattore che trova conferma anche dall'analisi delle cause degli
incidenti mortali: nel 42,86 per cento delle situazioni, a provocarli, sulle
strade della provincia, è stato il mancato rispetto dei segnali, nel 28,57% la
guida distratta, nel 14,29%, con sinistra omogeneità, sia l'eccessiva velocità
sia la marcia contromano. Ulteriore elemento da valutare un altro dato reso noto
dall'Aci: quando negli incidenti sono coinvolti pedoni, in più di due terzi dei
casi, precisamente nel 67,66 per cento delle situazioni, gli stessi non hanno
alcuna responsabilità. Ciò sta a significare che, per quanto sempre più spesso
si notino, anche da parte di chi va a piedi, comportamenti non troppo corretti,
la maggiore responsabilità ricade più di due volte su tre su chi sta alla guida.
«Devo formulare un pubblico appello alla prudenza - dice Maura Lenhardt,
direttore della sezione di Trieste dell'Aci - perché dai dati si evidenzia un
progressivo peggioramento nell'atteggiamento delle persone quando si apprestano
a guidare un mezzo, sia esso un'automobile, uno scooter, una motocicletta, un
camion. Sono troppi oggi - aggiunge - i fattori che ci possono sottrarre
all'attenzione che andrebbe invece prestata alla guida. I telefonini sono
senz'altro da indicare come principale causa di distrazione - precisa la
responsabile della sezione di Trieste dell'Aci - perché basta osservare gli
automobilisti per notare quanto spesso abbiano all'orecchio un cellulare».
Eppure esistono molti correttivi che, per pochi euro, metterebbero tutti in uno
stato di maggiore sicurezza: se non si vuole spendere per un apparecchio di viva
voce, è sufficiente acquistare, per una cifra relativamente modesta, un
auricolare e indossarlo. Per sensibilizzare tutti a una maggiore attenzione
sulle strade, nei giorni della Barcolana, l'Aci di Trieste è stata presente con
uno stand, dove sono stati distribuiti opuscoli sul tema.
Ugo Salvini
TRASPORTI - Prenotazione dei taxi via app Sistema
attivo su 227 vetture
Il taxi a portata di clic. I triestini hanno iniziato in questi giorni a
prendere dimestichezza con l'applicazione "It Taxi", il nuovo sistema di
prenotazione dei taxi che fa risparmiare agli utenti tempo e denaro. Il
progetto, unico in regione e costato 40mila euro, ha dotato di nuova tecnologia
le 227 vetture della cooperativa Radio Taxi e di un nuovo potente sistema di
smistamento delle chiamate la sede centrale. La app mette direttamente in
contatto il cliente con il taxi a lui più vicino, senza dover comporre lo
040-307730 e tenendo conto non solo della distanza ma anche della percorrenza
delle singole vie, offrendo così la soluzione più vantaggiosa per l'utente. «Un
servizio che dà lustro alla nostra città e che nasce dalla lungimiranza di Radio
Taxi», ha sottolineato l'assessore comunale allo Sviluppo economico, Maurizio
Bucci, illustrando la novità della app. «Si tratta di un'iniziativa realizzata
in autonomia dalla cooperativa - ha evidenziato - che va di pari passo con
l'intenzione di questa amministrazione di rinnovare il sistema dei servizi al
pubblico». «Per i grandi utenti come alberghi o società - spiega Davide Secoli,
presidente Radio Taxi - è disponibile anche una specifica pagina web che
facilita ulteriormente il loro lavoro. Per i clienti convenzionati - aggiunge -
presto verrà introdotto un sistema di pagamento attraverso voucher elettronici
gestito direttamente dall'applicazione». Applicazione che affianca il classico
sistema di chiamata al centralino ed è disponibile anche in tedesco e inglese.
«L'impennata turistica impone a chi offre servizi di modernizzarsi - ha
osservato Enrico Eva, segretario di Confartigianato -, il turista è ingordo di
tecnologia ed è giusto dare risposte concrete a queste esigenze». «Il sistema di
"It Taxi" è semplice e intuitivo - ha spiegato Antonio Chersi, vicepresidente di
Radio Taxi -, cliccando sull'app l'utente viene geolocalizzato e sullo schermo
una mappa indica via e numero civico. Dopo aver dato conferma dell'indirizzo,
selezionando la sezione "preferenze" è possibile scegliere una serie di opzioni
e a quel punto si invia la richiesta». Una notifica avvisa il cliente del numero
del taxi in arrivo e del tempo di attesa.
(l.t.)
IL PICCOLO - DOMENICA, 8 ottobre 2017
Operazione restyling del Porto vecchio al traguardo in
6 anni -
L'accordo prevede la consegna dei lavori entro la fine del 2023 - Nessun
intervento di recupero per Magazzino 23 e "Locanda"
«La riqualificazione dell'area del Porto vecchio di Trieste è un obiettivo
di rilievo nazionale». È la premessa all'accordo operativo tra Ministero ai Beni
culturali, Regione Fvg, Comune e Porto di Trieste, per la partecipazione al
Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc) del Cipe all'interno del ciclo di
programmazione 2014-2020 del Piano stralcio Cultura e Turismo. Un miliardo di
euro destinato alla realizzazione di 33 interventi fra cui anche quello da 50
milioni per il Porto vecchio di Trieste approvato dal Cipe il 1° maggio 2016. «È
la prima volta - si legge nella relazione introduttiva - che si affronta
organicamente tutta la problematica e la prima volta che si dispone di risorse
consistenti in grado di consentire il completamento funzionale di una parte
dell'area». L'accordo operativo è stato firmato lo scorso 25 settembre nel
palazzo della Regione da Dario Franceschini, Debora Serracchiani, Roberto
Dipiazza e Zeno D'Agostino. Il 28 settembre è stato approvato dalla giunta
comunale. Il protocollo d'intesa è stato invece sottoscritto il 28 maggio 2016
in Porto vecchio alla presenza dell'allora premier Matteo Renzi. Ora, dopo la
pubblicazione sull'albo pretorio dell'accordo operativo, si possono scoprire i
dettagli dell'operazione 50 milioni (molti inediti). «La stessa natura del Fondo
Sviluppo e Coesione - si legge nella relazione - impone che l'ingente, anche se
non esaustivo investimento, sia finalizzato a opere che producono impatti
positivi sin dal loro completamento». Per questo motivo dai 50 milioni sono
state escluse le opere di infrastrutturazione urbana non strettamente funzionali
e connesse all'intervento come le bonifiche ambientali o lavori "di messa in
sicurezza o di solo restauro". «Di conseguenza - si fa sapere - si escludono dal
finanziamento le bonifiche dei torrente Chiave e Rio Martesin che impegnerebbero
rispettivamente 11,5 e 4,5 milioni (16 milioni in totale)». L'obiettivo è stato
fin dall'inizio di «concentrare gli interventi in un'area limitata dell'enorme
compendio (60 ettari)» inglobando le ristrutturazioni già completate dell'ex
Centrale idrodinamica, dell'ex Sottostazione elettrica e, parzialmente, del
Magazzino 26. «Gli interventi previsti - si informa - assieme alle
ristrutturazioni già completate, vengono a formare un importantissimo attrattore
culturale in edifici di grande pregio architettonico adiacenti tra loro con un
viabilità adeguata e con la sistemazione di una passeggiata a mare». Il fronte
mare, tuttavia, non fa parte della sdemanializzazione e resta sotto l'Autorità
portuale. Si comincerà dalla realizzazione della rotatoria di viale Miramare,
dall'infrastrutturazione di questa porzione di Porto vecchio, dalla
realizzazione del Museo del mare (nei Magazzini 24 e 25), dal trasferimento
dell'Icgeb al Magazzino 26, dalla sistemazione dell'Ursus. Tra il protocollo di
intesa del 2016 e l'accordo operativo del 2017 sono stati rivisti alcuni importi
dei vari interventi. L'Ursus, per esempio, ha perso due milioni e mezzo (dei 5,5
inizialmente previsti) a favore soprattutto della viabilità (5 milioni). Il
Museo del Mare è stato privato di due milioni (da 25 da 23) e pure del Magazzino
23 (inizialmente coinvolto). Il trasferimento dell'Icgeb al Magazzino 26 avverrà
con due milioni in meno (da 12 a 10). È inoltre scomparso dall'orizzonte il
restauro della vecchia "Locanda" - già protagonista in passato di set
cinematografici - per il quale erano stati messi in conto 800mila euro.I 50
milioni non arriveranno tutti in una volta, ma in sei anni con le cifre
importanti negli ultimi quattro: 1 milione di euro nel 2017, 2,5 milioni nel
2018, 11 milioni nel 2019, 11 milioni nel 2020, 11 milioni nel 2021 e 13,5
milioni nel 2022. I primi due anni, infatti, saranno dedicati alla
progettazione. A incassare i fondi Cipe sarà la Regione. «Il soggetto attuatore
degli interventi dovrà inviare alla Regione entro un anno dalla stipula
dell'accordo (28 settembre 2018) il progetto di fattibilità tecnica e il
cronoprogramma relativo». Le procedure di gara per l'appalto dei lavori devono
essere avviate entro il 31 marzo 2019 e il termine di ultimazione degli stessi è
stabilito al 31 dicembre 2023. Poco o nulla, insomma, sarà pronto per Esof 2020,
Trieste capitale della scienza, che si terrà proprio in quell'area di Porto
vecchio. Sarà sempre la Regione ad effettuare il "monitoraggio" dell'intervento.
Qui l'accordo operativo riesce a inventarsi un calendario tutto suo. Al comma 4
dell'articolo 9 si legge: «Le relazioni sono inviate entro il 31 marzo e il 31
novembre di ogni anno a cominciare dalla prima scadenza successiva alla firma
dell'accordo». "Trenta dì conta novembre con april...".
Fabio Dorigo
Museo del mare europeo da diecimila metri quadri -
Contenitore culturale nei Magazzini 24 e 25. Costo degli adeguamenti 23 milioni
L'Icgeb va nel 26 ma i fondi sono meno della metà necessaria all’intero
trasloco
La viabilità prima di tutto. Si comincerà con la realizzazione della rotatoria di viale Miramare ha fatto sapere Roberto Dipiazza all'atto della firma dell'accordo operativo da 50 milioni. Il sindaco è riuscito a ritagliarsi 5 milioni di euro per le strade in Porto vecchio limando gli altri interventi previsti. «La soluzione proposta per la viabilità carrabile interna al Porto vecchio - si legge nella relazione - prevede la realizzazione di un accesso da viale Miramare all'altezza del varco attualmente esistente, con la previsione di una rotatoria stradale». Oltre alle corsie di marcia ci sarà «la presenza di corsie ciclabili». Ma non basta. «La costruzione della nuova sede stradale - si fa presente - dovrà prevedere la rimozione degli elementi lapidei (lastre di arenaria, masegni) al fine di consentire un loro recupero e riutilizzo». Nessuna pietà, invece, per i binari ferroviari. «Nel caso non fosse possibile procedere con il lievo del fasciame di rotaie, dovrà essere individuata una soluzione tecnica che consenta il loro ricoprimento al fine di potere realizzare la pavimentazione stradale». La bretella, infatti, dovrebbe passare dietro la Centrale idrodinamica e la Sottostazione elettrica e quindi sopra i binari utilizzati dal Tramway. Si stima di poter fare tutto in 42 mesi. Le infrastrutture urbane (illuminazione e reti elettriche, idriche e fognarie) richiederanno 9 milioni. «L'area, in ragione della sua destinazione d'uso fino alla sdemanializzazione, risulta priva dei servizi minimi fondamentali e indispensabili». Un milione e 700mila euro saranno assorbiti dalla rete elettrica. Le opere idriche, invece, dovrebbero assorbire circa 700mila euro. Due milioni e 400mila euro sono previsti invece per la realizzazione della rete fognaria e di drenaggio urbano (acque bianche). Un milione e 300mila euro sono destinati agli impianti di illuminazione pubblica. Già scelti i lampioni. «I corpi illuminanti - si legge - saranno di tipo decorativo a pastorale "tipo Trieste"». Quelli, per capirsi, che fanno impazzire il sindaco Dipiazza. Per la rete del gas si prevede di spendere 705mila euro. Per i servizi tecnologici (rete internet) è previsto un investimento da 210mila euro. I tempi previsti sono di 42 mesi. Il Museo del mare in Porto vecchio, che ingloberà l'attuale Museo di Campo Marzio, avrà come sede i Magazzini 24 e 25, entrambi in pietra e acciaio, su tre piani, interamente da ristrutturare, con complessivi 10mila metri quadrati utilizzabili. Con le collezioni pubbliche (come quella del Lloyd Triestino) e private sarà possibile allestire - si legge nella relazione - «un importante nuovo grande museo del mare di livello europeo». Il progetto scientifico del museo è ancora però tutto da scrivere: 3,5 dei 23 milioni sono dedicati ai lavori di arredo ed allestimento. Il progetto assorbe quasi la metà dei 50 milioni stanziati dal Cipe (23 milioni) e prevede la sua realizzazione in 6 anni. La scelta dei Magazzini 24 e 25 (inizialmente c'era anche il 23) è stata determinata anche dal fatto che sono adiacenti al 26 e che sono affacciati sul mare (il bacino del Molo Zero) per il quale già si prevede «un successivo sviluppo di un'attività espositiva esterna sulle banchine od addirittura sullo specchio acqueo». Si parla da anni del possibile approdo a Trieste dell'incrociatore Vittorio Veneto e del sommergibile Fecia di Cossato. L'Icgeb (Centro internazionale per l'ingegneria genetica e le biotecnologie) troverà sede nel Magazzino 26, edificio realizzato nel 1870 che si sviluppa su 4 piani, 35mila metri quadrati di superficie, uno dei più grandi del Porto vecchio, completamento restaurato negli esterni e parzialmente negli interni (nel 2011 ha ospitato la Biennale diffusa di Sgarbi). L'Icgeb, diretto da Mauro Giacca, è attualmente collocato in Carso, all'interno dell'Area di ricerca di Padriciano. L'attuale giunta comunale avrebbe fatto volentieri a meno della sua presenza in Porto vecchio (a inizio mandato l'assessore Rossi aveva fatto trapelare un suo depennamento da parte del governo). Sono stati il ministero e la Regione a imporlo. L'Icgeb assorbirà circa 20mila metri quadrati e 10 dei 50 milioni (all'inizio erano 12) per l'adeguamento architettonico e impiantistico. Al piano terra dovrebbero essere realizzati la reception, una zona mostre, il ristorante e bar, oltre a depositi e magazzini. Ai piani primo e secondo troveranno posto i laboratori, uffici per ricercatori, la serra, la zona produzione farmaci, lo stabulario e spazi per le start-up. Al piano terzo saranno realizzati gli uffici della direzione e dell'amministrazione, una meeting room da 250 posti, una seminar room da 90 posti e laboratori didattici. Il costo complessivo per il restauro del Magazzino 26 per ospitare l'Icgeb è pari a 26 milioni: «Le risorse a disposizione (10 milioni) non consentono la realizzazione dell'intero intervento, ma rendono necessaria l'individuazione di due lotti funzionali. Il primo che consente l'attivazione dei laboratori e quindi il trasferimento dell'attività di ricerca vera e propria nell'area di Porto vecchio con la possibilità di utilizzare i locali già ristrutturati nel corpo iniziale del Magazzino 26 in accordo il Comune di Trieste». Nel Magazzino 26 dovrebbe trovare sede anche l'Immaginario scientifico che sta a Grignano e che detiene un contributo di 400mila euro dal Miur per il trasloco.
(fa. do.)
Ferstoria si appella alle Ferrovie: «Non si
seppelliscano i binari cancellando il trenino»
Addio trenino in Porto vecchio. Una striscia d'asfalto seppellirà le rotaie.
«Dove ora è esposta la Locotender a vapore Gr 880 e dove fino a qualche tempo fa
correva il Tramway verrà edificata l'ennesima strada. Questo significa la fine
del trasporto su rotaia in Porto vecchio» sentenziano i volontari di Ferstoria
che si rivolgono al direttore di Fondazione Fs Luigi Francesco Cantamessa per
scongiurare lo scempio ferroviario: «Può aiutarci a salvare questo collegamento
con Trieste Centrale dalla cementificazione che il sindaco vuole fare eliminando
le rotaie coprendole con asfalto e creando al suo posto una strada per altro già
esistente qualche metro più in là?». Il progetto Tramway Porto vecchio Trieste
sarebbe dovuto ripartire per la Barcolana e invece è rimasto fermo. L'intenzione
di fare passare la bretella dietro la Centrale idrodinamica e la Sottostazione
elettrica seppellisce i binari e di conseguenza il Tramway Pvt, quello che, ai
tempi dell'ex sindaco Cosolini, sarebbe dovuto arrivare "quasi" a Barcola. Con
il risultato di eliminare «l'unico collegamento ferroviario tra il Porto vecchio
e la rete ferroviaria italiana, mettendo una pietra sopra al progetto di
trasporto passeggeri via treno per il futuro terminal crociere di Adria
Terminal».
(fa.do.)
Ascensore panoramico sull'Ursus - Tre milioni destinati
allo storico pontone, gigante scelto come simbolo dell'area
Si dovrà accontentare di 3 milioni (erano 5 e mezzo quelli promessi
inizialmente). L'Ursus, il pontone galleggiante varato nel 1914 e completato nel
1933, è destinato a diventare il simbolo del Porto vecchio. Era candidato anche
a diventare la mascotte del Parco del Mare al molo Fratelli Bandiera.
Sopravvissuta a un conflitto mondiale e messa a dura prova dalle raffiche di
Bora, la gru è rimasta un chiodo fisso del piano Cipe da 50 milioni di euro.
L'Ursus è rimasto operativo fino al 1994, poi fu abbandonato sino al 2004,
quando la Fincantieri spa, ultima proprietaria, decise di non demolirlo, ma di
donarlo alla Guardia Costiera ausiliaria. Nel luglio 2011 la Direzione regionale
per i beni culturali decreta il pontone galleggiante Ursus di "interesse
culturale" «quale importante testimonianza di archeologia industriale ed
elemento rilevante del porto e della città di Trieste». Con un braccio a torre
rotante su ralla di altezza di 75 metri con capacità di sollevamento di 150
tonnellate, l'Ursus è stato per molto tempo il pontone più potente. Inoltre è
l'unico mezzo del genere interamente progettato e costruito in Italia. Nel 1975
l'Ursus venne sottoposto a importanti lavori con la sostituzione dei motori
installati nel 1925 (uno dei quali è ancora visibile al Museo del mare di
Trieste). Un gigante buono dell'archeologia industriale che qualcuno (il
consigliere leghista Antonio Lippolis) considera un "obbrobrio" (e i soldi
stanziati «buttati nel cesso») e che qualcun altro (Roberto Dipiazza) vorrebbe
rottamare. «La prima notte di Bora taglierò gli ormeggi e lo lascerò libero di
andare per l'Adriatico», ha dichiarato scherzando il primo cittadino il giorno
della firma dell'accordo operativo. Le opere per l'Ursus riguardano il completo
carenaggio, la messa in sicurezza dello scafo, la musealizzazione della sala
macchine, di parte degli alloggi e delle aree comuni, il refitting della gru e
l'installazione di un ascensore a scopo turistico (il pontone è alto 75 metri).
«L'obiettivo principale del recupero del pontone gru - si legge nella relazione
- è quello di poter rendere fruibile al pubblico il mezzo stesso, garantendone
la sicurezza e il mantenimento dello stesso, portando a conoscenza le tecniche
di costruzione» di inizio del secolo scorso. Inizialmente il costo stimato era
pari a 5,5 milioni poi ridotto a 3. Si prevedono 38 mesi per il completamento
dei lavori tra progettazione ed esecuzione. Poi l'Ursus, rimesso a nuovo, si
offrirà anche come ascensore per il cielo.
(fa.do.)
Contovello reclama il "Pedibus" - La circoscrizione
Ovest chiede al Comune l'attivazione del servizio per le scuole
PROSECCO - Arriva dalla circoscrizione di Altipiano Ovest al Comune l'invito
a attivare nelle scuole primarie di Contovello, Prosecco e Santa Croce il
"Pedibus", l'originale sistema di spostamento a piedi in modo organizzato per i
bimbi in età scolare. Inventato e proposto dall'ambientalista David Engwicht nel
1992 in Australia, il Pedibus, ovvero Piedibus o Walking bus che dir si voglia,
è stato apprezzato e riproposto in tante nazioni per la sua semplicità. Recarsi
a scuola muovendosi a piedi guidati e accompagnati da insegnanti e genitori è
innanzitutto un utile sistema volto a socializzare e a conoscere l'ambiente
circostante. Inoltre il Pedibus tenta una prima risposta ai problemi di
sedentarietà e obesità che sembrano ogni giorno di più avvilire i più giovani,
catturati drammaticamente da televisori e telefonini e costretti, loro malgrado,
a rimanere attaccati agli schermi per ore e ore senza muoversi. Se a questa
situazione va a sommarsi un'alimentazione dove il fast food è per molti tragica
pratica quotidiana, va da sé che pure piccoli stratagemmi come il Pedibus
possano fare la differenza per una promozione di abitudine salutari attraverso
l'esercizio fisico. Secondo il consigliere Simon Rozac (Lega Nord) che ha
proposto al resto del consiglio la mozione rivolta all'attivazione del servizio,
i costi sarebbero inesistenti visto che l'organizzazione del servizio ricade sul
Comune, sulle associazione dei genitori e suo volontari. Dalla pratica del
Pedibus gli scolari trarrebbero autostima e attitudine al dialogo, oltre a
garantirsi migliori livelli di attenzione. Senza dimenticare che pure il
traffico veicolare risulterebbe ridotto nei pressi delle scuole con grande
beneficio per l'ambiente. «Il Consiglio circoscrizionale ha sposato
all'unanimità la proposta del Pedibus per le nostre scuole - aggiunge la
presidente del parlamentino Maja Tenze - un indirizzo che dà continuità a quanto
già promosso dalla precedente giunta comunale, per un servizio che risulta già
attivo in diverse scuole comunali. Per tutte queste ragioni chiediamo pertanto
agli organi competenti del Comune di recepire questa proposta e di realizzare il
Pedibus nelle scuole della prima circoscrizione».
(ma.lo.)
IL PICCOLO - SABATO, 7 ottobre 2017
Il piano franco-indiano per l'Ilva: 4mila tagli - Il
gruppo ArcelorMittal pronto a fare 10mila assunzioni: dura la reazione dei
sindacati
ROMA - Parte in salita la vertenza sull'Ilva, acquisita dalla cordata Am
InvestCo, controllata dal gruppo franco-indiano ArcelorMittal, in seguito al
fallimento controllato del gruppo siderurgico italiano un tempo di proprietà
della famiglia Riva. Ieri - a tre giorni dall'apertura del tavolo al Mise - i
sindacati hanno ricevuto da Am InvestCo e dai commissari straordinari dell'Ilva
la comunicazione richiesta dalla legge per la cessione del ramo d'azienda dove
deve essere indicato il futuro dei dipendenti e le loro nuove condizioni
giuridiche ed economiche. Anche se i numeri degli esuberi (4.000 circa) e di
quelli che saranno assunti da Am InvestCo (10.000 in tutto, ma ci sono anche i
70 dipendenti delle due controllate francesi Socova e Tillet) erano già noti, la
reazione dei sindacati è stata immediata, concorde e furibonda. A Cornegliano la
Fiom minaccia di occupare la fabbrica e a Taranto ci si prepara alla
mobilitazione. Mentre il viceministro Teresa Bellanova, che seguirà il Tavolo,
calma gli animi: «La trattativa deve ancora cominciare». Per la Fiom,
ArcelorMittal si è dimostrata «arrogante e inaffidabile». Il segretario generale
Fiom Francesca Re Davide e Rosario Rappa bollano la comunicazione come «una
provocazione» alla quale si può rispondere solo con «una forte azione
conflittuale di tutte le lavoratrici e i lavoratori». Per Marco Bentivogli
leader della Fim-Cisl, la trattativa «parte col piede sbagliato» e se non ci
saranno passi indietro «la mobilitazione generale diventerà inevitabile». Rocco
Palombella, segretario generale dei siderurgici della Uil, definisce
«inaccettabili» le condizioni poste da Am InvestCo. I più arrabbiati sono i
genovesi di Cornegliano dove i tagli previsti sono addirittura 600 su 1500. «Non
possiamo permettere questo schiaffo alla città» attacca Armando Palombo della
Rsu Fiom preannunciando «l'occupazione della fabbrica». Stessa rabbia da parte
della Fiom genovese: «Una lettera vergognosa che cancella fra l'altro due leggi
dello Stato: quella che prevede che in una cessione di ramo d'azienda passino
automaticamente anche i dipendenti e una legge che si chiama accordo di
programma e che dice che a Genova i livello occupazionali e i salari non si
possono toccare» attacca il segretario della Fiom genovese Bruno Manganaro A far
saltare in piedi i sindacati non sono stati solo i numeri (che potranno essere
discussi al tavolo), ma soprattutto le condizioni che dovranno essere accettate
dai lavoratori che passeranno alle dipendenze di Am InvestCo. Innanzitutto
perderanno le garanzia dell'art.18 perché saranno riassunti con il contratto a
tutele crescenti previsto dal Jobs Act, inoltre non ci sarà alcuna «continuità
rispetto al rapporto di lavoro» precedente «neanche in relazione al trattamento
economico e all'anzianità». Da quest'ultimo punto di vista Am InvestCo di dice a
valutare «alcuni ulteriori elementi di natura retributiva riferibili ad elementi
costituenti l'attuale retribuzione». Toccherà quindi ai sindacati trattare per
riuscire a mantenere i livelli retributivi. Nel frattempo, dall'Antitrust
europea si fa sapere, con un provvedimento, che l'operazione Ilva può «rientrare
nell'ambito di applicazione del regolamento sulle concentrazioni».
GREENSTYLE.it - VENERDI', 6 ottobre 2017
Rinnovabili, IEA: in crescita fino al 2022, boom del fotovoltaico
Fotovoltaico in forte crescita tra le fonti energetiche e boom delle rinnovabili a livello globale nel 2016. Questo lo scenario delineato nel nuovo rapporto diffuso dalla IEA (International Energy Agency) e intitolato “Renewables 2017″, nel quale l’agenzia avrebbe corretto il tiro sulla stima delle fonti pulite dopo le polemiche divampate negli scorsi mesi in merito alla sottostima in cui sarebbero incorse per anni le rinnovabili.
Secondo le nuove stime IEA il fotovoltaico correrebbe più forte del carbone e di ogni altra fonte energetica, contando su 74 GW di nuova potenza installata nel 2016 (+50% rispetto al 2015) su un totale globale di 165 GW per quanto riguarda le fonti rinnovabili. Una prospettiva che avrebbe spinto il direttore dell’International Energy Agency, Fatih Birol, ad affermare che ci apprestiamo ad assistere alla “nascita di una nuova era del fotovoltaico”, destinata a proseguire nella sua corsa fino al 2022.
In funzione delle nuove stime elaborate dalla IEA lo
scenario relativo al periodo 2017-2022 vedrà la comparsa di nuova potenza
elettrica per un ammontare di 920 GW. Come prevedibile il fotovoltaico reciterà
la parte del leone con 438 GW negli anni indicati, per una capacità complessiva
al termine dell’arco temporale di 740 GW.
Prendendo in considerazione uno scenario particolarmente positivo per le fonti
rinnovabili la quota raggiunta da quest’ultime potrebbe addirittura sforare i
1000 GW di nuova potenza elettrica al termine del 2022. Venendo ai numeri sulla
produzione energetica IEA conferma la forte crescita attesa dal comparto “Green
Energy” stimando intorno agli 8 mila TWh il suo contributo tra cinque anni. Più
del gas naturale e vicinissimo al carbone (circa 10 mila TWh). La quota verde
nel mix totale salirà dal 24 al 30%: in prima fila l’idroelettrico, seguito
nell’ordine da eolico, fotovoltaico e bioenergie. Più lenta invece la crescita
delle rinnovabili termiche, destinate alla produzione di acqua calda sanitaria,
al riscaldamento, e ai processi industriali. La percentuale del contributo
assicurato salirà secondo IEA appena del 2%, passando dal 9 del 2015 all’11% del
2022, senza quindi riuscire a impensierire in maniera netta le fonti fossili.
Sarà praticamente congelato il quadro della quota energie pulite nel settore
trasporti su strada in ottica 2022, ferme al 4,5% del mix, con i biocarburanti
al 90% del totale e i veicoli elettrici ancora indietro nelle vendite.
Claudio Schirru
IL PICCOLO - VENERDI', 6 ottobre 2017
Il Centro visite del Wwf pronto alle ex Scuderie già
all'inizio del 2018 - Sciolto il nodo degli ultimi 100mila euro necessari per
l'opera
Diventerà un museo interattivo con molte specie "simulate"
Il cantiere è ancora in fieri ma la data o per lo meno il periodo di
apertura del Centro visite dell'Area marina protetta di Miramare nell'ala destra
delle ex Scuderie è ufficiale: sarà a inizio del 2018. La ditta che sta portando
avanti i lavori di restauro, la Cramer Giovanni & Figli, sta lavorando a tutta
birra affinché tutto sia pronto in tempo. Un investimento di 450mila euro per
l'adeguamento funzionale, edile e di allestimento, dove il contributo più
consistente proviene dal ministero dell'Ambiente, pari a 350mila euro, a cui si
aggiungono 50mila euro di investimenti privati del Wwf, soggetto gestore della
Riserva, e 50mila euro della Fondazione CRTrieste. Fondi, questi, che hanno
dunque riempito il buco di 100mila euro che mancavano ancora all'appello nella
scorsa primavera. «Erano in corso di erogazione all'epoca», specifica il
direttore Maurizio Spoto. Tra le novità, il biglietto a pagamento per supportare
le spese di gestione della struttura. L'esposizione non ricalcherà più il
modello del Centro visite precedente nel Gartenhaus, il Castelletto del parco
asburgico di Miramare. I due piani e mezzo, per un totale di 300 metri quadrati,
dati in concessione per dieci anni dalla Soprintendenza Fvg a Wwf Italia,
ospiteranno un museo interattivo all'insegna dell'etica, senza ricorrere dunque
per forza alle specie animali vive. Un laboratorio didattico, una biblioteca,
percorsi tematici di approfondimento sull'alimentazione, la riproduzione e così
via, rivolti a piccoli e grandi con tante sorprese - assicura Sara Famiani della
Riserva - seguono il concetto dell'allestimento ecosostenibile. Saranno
rappresentate le circa 100 specie che costituiscono la biodiversità dell'Area
marina di Miramare e quindi del Nord Adriatico. Meduse, pesci luna, verdesche e
tanti altri vertebrati e invertebrati volteggeranno in queste stanze, realizzati
però con materiale sintetico. Il progetto degli spazi interni di questo museo
interattivo sfrutterà diorami, tecnologie 3D e multimediali ed è realizzato
dalla Wild'Art di Roma, che ha lavorato anche per l'Acquario di Genova e il
Museo civico di zoologia di Roma. Al piano terra, dove si troverà anche il
laboratorio didattico per le attività educative, fatto apposta per mostrare dal
vivo ai bambini analisi in diretta, ad esempio del plancton, verrà installato un
percorso fisso che, inserito nella parte sinistra, «simulerà il fondale protetto
marino roccioso - spiega Spoto -, fangoso e sabbioso, con i dorami, con tutta
una serie di cassetti che si apriranno per mostrare alcune scoperte». Ci saranno
quindi «modelli da toccare a partire da un ambiente di marea, con tanto di
marangoni dal ciuffo». Per chi non lo sapesse, sono gli uccelli che salutano i
visitatori dalla spiaggia dell'Area, non appena si solca il cancello del parco.
E poi ci saranno gli animali di scogliere, come i pesci che caratterizzano la
colonna d'acqua. Spunteranno le piante acquatiche come le fanerogame marine. In
mezzo un pannello a forma di onda che ospiterà tutte le tipologie dell'ambiente
pelagico, e in fondo le "touch tank", delle vasche tattili dove si potranno
toccare con mano stelle marine, ricci, alghe e oloturie, in rappresentanza
dell'ambiente di mare e della zona rocciosa, che non rischiano di essere
danneggiate con il contatto umano. Questa sarà l'unica sezione "viva". Al primo
piano, oltre a una saletta dedicata alle proiezioni e una biblioteca per la
consultazione di libri per grandi e piccini, e un teatrino di marionette, sarà
costruito un allestimento il cui obiettivo sarà di sensibilizzare il pubblico,
con progetti che cambieranno periodicamente, sugli impatti ambientali a carico
della biodiversità. Si partirà con le plastiche nel mare. Emblematico e a
effetto il soffitto pieno di modelli di pesci e organismi mescolati a lattine e
rifiuti. «Nel mare ci sono dei grandi vortici, dove le correnti hanno bassa
intensità, con enormi quantità di plastiche di tutti i tipi: lenze, bottiglie,
sacchetti e quant'altro - spiega Spoto -. Si frammentano anche in particelle, le
"microlitter", confuse ad esempio dai gamberetti con il plancton. Rientrano
quindi nel ciclo alimentare marino, arrivando fino a noi, e contengono varie
sostanze chimiche che hanno effetto sulla salute, come gli ftalati, con cui la
plastica viene mantenuta morbida. Le stesse tartarughe ingeriscono sacchetti,
pensando invece siano meduse, rischiando così di soffocarsi. In questa sala ci
sarà dunque la simulazione del vortice tra organismi e rifiuti».
Benedetta Moro
L'Enpa si prepara a curare anche la fauna goriziana
Alla soglia dei 20 anni di attività lo storico Centro di recupero per la
fauna selvatica di Terranova, in comune di San Canzian d'Isonzo, potrebbe
chiudere. E traslocare all'Enpa di Trieste. Un'eventualità concreta. La
Provincia di Gorizia, che istituì il servizio a San Canzian riconoscendo la
passione e la competenza di Damiano Baradel e della sua famiglia, non c'è più e
il bando del Servizio Caccia e risorse ittiche della Regione ha di fatto puntato
sul massimo ribasso del prezzo - 50mila euro per il territorio isontino - per la
gestione del servizio nel 2018. Il criterio ha messo in difficoltà Baradel, che,
non essendo un'associazione e non potendo contare su altre entrate (dal 5 per
mille o donazioni), non è riuscito a scendere sotto la soglia di quanto
percepito prima dalla Provincia e per il 2017 dalla Regione. C'è quindi la
concreta possibilità che tale servizio venga rilevato dall'Enpa di Trieste,
realtà che già gestisce, anche dal 2000, un suo Centro per il recupero della
fauna selvatica e che ha deciso di presentare un'offerta anche per la provincia
di Gorizia. L'ufficialità ancora non c'è, anche se l'aggiudicazione dovrebbe
essere cosa fatta proprio in questi giorni, in base appunto al criterio del
prezzo più basso. «Trovo davvero difficile comprendere come non si siano
valutati anche altri aspetti, visto che stiamo parlando del benessere di
animali, selvatici e che si trovano in una situazione di fragilità - afferma
Baradel, profondamente scosso -. Non si sono presi in considerazione gli spazi e
le strutture a disposizione, l'attività realizzata, il tasso di liberazione in
natura degli esemplari recuperati, per noi superiore al 70%, la presenza di
collaborazioni scientifiche con università o enti di ricerca». Nei primi nove
mesi del 2017 il Centro di Terranova ha preso in carico oltre duemila animali.
Tanti, pur senza avvicinarsi al record assoluto del 2015: 5.700, tra fauna
selvatica ed esotica, di cui Baradel si occupa dal 2014 su incarico della
Regione, unico in tutto il Friuli Venezia Giulia. «In quel caso il bando ha
invece previsto dei criteri di qualità, ma un sostegno limitato all'acquisto di
cibo e per le strutture», sottolinea Baradel, secondo cui l'eventuale perdita
della cura della fauna selvatica inciderà anche sulla possibilità di occuparsi
di quella esotica o degli animali affidatigli dalle forze dell'ordine in seguito
a sequestri. In totale al momento nel centro è accolto un migliaio di esemplari
di fauna selvatica. Gli animali che non si riusciranno a reintrodurre in natura
entro il 31 dicembre con il primo gennaio potrebbero prendere per l'appunto la
strada di Trieste, dalla cui realtà arriva la conferma della partecipazione alla
procedura negoziata e il fatto che non ci sia ancora un esito ufficiale alla
gara. «Abbiamo deciso di partecipare - spiega la presidente dell'Enpa Trieste,
Patrizia Buffo - perché la Regione dava questa possibilità, le aree delle due ex
Province sono tutto sommato contenute, e poi perché abbiamo alle spalle una
lunga esperienza e un lungo accreditamento come Centro di recupero della fauna
selvatica. Abbiamo inoltre le strutture adeguate: 80mila metri quadrati di
superficie in parte boscata, voliere, recinti, un ambulatorio veterinario.
Crediamo, insomma, di essere qualificati per effettuare questo tipo di
recupero». All'Enpa, come rileva la presidente, si recuperano circa 1.500
animali selvatici all'anno. Compresi quelli d'affezione, si parla di quasi
39mila esemplari tra 2010 e 2017. A lasciare perplessa anche la presidente
triestina dell'Enpa e non solo Baradel è la decisione della Regione di procedere
all'affidamento per un solo anno. «Comprendo che però si tratta di un momento di
transizione, vista la presa di consegna delle competenze dalla Provincia -
afferma Buffo -. Pensando al benessere degli animali, spero si arrivi
all'affidamento per più anni». Interpellato, l'assessore regionale alle
Autonomie locali e caccia Paolo Panontin si riserva dal canto suo un
approfondimento sul tema.
Laura Blasich
IL PICCOLO - GIOVEDI', 5 ottobre 2017
Rutenio nell'aria, niente rischi - L'Arpa precisa :
piccole quantità. Nessuna conseguenza per la salute
TRIESTE - Il Centro regionale per la Radioprotezione (Arpa) ha rilevato
negli ultimi giorni anche in Friuli Venezia Giulia, analogamente ad altri Paesi
europei e al Nord Italia, piccoli quantitativi di Rutenio 106 (Ru 106) nei
monitoraggi dell'atmosfera. Si tratta di modeste entità che non stanno
allarmando le istituzioni competenti: «Il valore più alto misurato era di
duecento volte al di sotto della soglia di attenzione - spiega Concettina
Giovani, responsabile del Crr - cioè il tetto entro cui si comincia a parlare di
elementi radioattivi. Siamo quindi veramente molto lontani da qualsiasi
possibile problema». Generalmente il Rutenio 106 è un prodotto di fissione
nucleare; tuttavia, in questo caso, non sono stati ravvisati altri prodotti di
fissione tipici degli incidenti a impianti nucleari. «Questo lo possiamo
escludere perché abbiamo trovato soltanto il Rutenio - aggiunge Giovani - ciò
significa che probabilmente si è verificata una fuoriuscita da uno stabilimento
industriale che produce l'elemento per l'utilizzo in campo medico, come la
radioterapia. Parliamo dell'Est Europa, forse in Russia. Con la circolazione
dell'aria, che nei giorni scorsi veniva da Est, siamo stati investiti anche
noi».«Le quantità rilevate - ribadisce l'Arpa - sono molto modeste e non
rappresentano pericolo alcuno per la popolazione e per l'ambiente. Tuttavia,
l'Arpa ha intensificato i campionamenti e le analisi del particolato
atmosferico, in coordinamento con Ispra e con gli altri laboratori
territoriali». I risultati saranno comunicati non appena disponibili. Il Crr, si
legge ancora nella nota Arpa, aveva riscontrato le tracce di Ru 106 in un
campione di particolato atmosferico del 2 ottobre, riferito a un prelievo
avvenuto a partire dal 29 settembre. La presenza dell'elemento ha reso
necessario intensificare le misurazioni successive. Sono state quindi effettuati
ulteriori rilievi tra il 2 e il 4 ottobre. La presenza di piccole quantità del
radionuclide è stata confermata da vari laboratori in Italia, in Repubblica
Ceca, Austria, Svezia, Polonia e Svizzera.
Gianpaolo Sarti
Incontro sul Radon a San Giovanni - Progetto al via
Iniziano oggi gli incontri su "Radon, misure in mille famiglie" di Arpa e Regione. Il primo incontro si terrà alle 17.30 al Teatro Basaglia di via Weiss 13. Ai partecipanti verrà consegnato gratis un "dosimetro" per misurare il gas.
L'ex Alto Adriatico svela una discarica - Pezzi
d'armadio, sedie e pure una barca nella parte del piazzale finora nascosta dai
carri. Decolle: «Potremmo chiudere l'area»
MUGGIA - Pezzi di armadio, uno stendibiancheria, un divano. Ma anche
mensole, cuscini, valigie, sedie e, dulcis in fundo, una barca. Il contenuto
della minidiscarica a cielo aperto rinvenuta nel piazzale ex Alto Adriatico ha
quasi dell'incredibile. Quasi perché, purtroppo, l'escalation di gesti di
inciviltà sono oramai all'ordine del giorno anche nella cittadina rivierasca. Ma
come è possibile che questa discarica sia stata "scoperta" solamente ora,
essendo collocata in una delle aree che fungono da biglietto da visita di
Muggia? A raccontarlo è Mario Vascotto, presidente dell'Associazione delle
compagnie del Carnevale di Muggia: «Ignoti hanno approfittato del fatto che
durante l'estate parte del materiale dei nostri carri era stato lasciato nel
piazzale durante i lavori di rifacimento dei portoni di accesso del magazzino
comunale che ospita le compagnie». E proprio al momento di spostare gli attrezzi
delle compagnie sono emersi tutti i lasciti operati da persone senza un minimo
di rispetto né per l'ambiente né per il decoro pubblico. «Nella stessa area,
circa un mese fa, dei ladri erano penetrati nella zona recintata del piazzale
rubando il motore, la centralina, la pompa e l'impianto elettrico dell'ascensore
utilizzato dalla compagnia dei Mandrioi per allestire la parte meccanica dei
carri allegorici», ricorda Vascotto. Un furto del valore di circa 1000 euro. Se
l'amarezza da parte del presidente del Carnevale dinanzi a quell'episodio era
stata tanta, ora vige lo stupore nel constatare come l'area sia diventata una
discarica. «Non appena ho saputo della cosa mi sono subito attivato: è ovvio che
i lasciti presenti nell'area non appartengono alle compagnie, ciononostante ho
incaricato una ditta di pulire l'area a nostre spese. Il tutto per il costo di
500 euro», racconta Vascotto. Il caso dell'ex Alto Adriatico è solo l'ultimo di
una lunga serie. Dai vandalismi compiuti nella nuovissima Biblioteca comunale,
al danneggiamento delle sedie sotto i portici del Municipio. Dai furti di piante
da giardini pubblici ed orti privati ai rifiuti ingombranti lasciati ad
Aquilinia ed in altre frazioni. Senza dimenticare il doppio blitz dei ladri ai
danni del palazzetto dello sport di Aquilinia, sino al più clamoroso caso del
parapetto in acciaio "asportato" lo scorso anno dal nuovo tratto della costiera.
Da anni buona fetta dell'opposizione chiede a gran voce l'installazione di un
maggior numero di videocamere di sorveglianza da dislocare in diverse aree della
cittadina. La capogruppo di Meio Muja Roberta Tarlao avanza ancora un'altra
proposta: «Per me il piazzale dovrebbe essere aperto e chiuso dagli agenti della
polizia locale per evitare che le persone si intrufolino di notte». L'assessore
Stefano Decolle non nasconde il proprio disappunto: «Come sempre accade assieme
al presidente Vascotto è stata trovata una soluzione ad un problema che peraltro
era stato provocato solo in minima parte dalle compagnie. Detto ciò posso dire
che il piazzale ex Alto Adriatico è un'area che da troppo tempo sta dando dei
problemi. Sarà mia cura dunque affrontare al più presto la questione con la
Giunta e non escludo che parte dell'area possa essere chiusa al pubblico».
Riccardo Tosques
SEGNALAZIONI - Trenovia - Il futuroè una linea lunga
Sulle tormentate vicende relative al tram di Opicina, Coped-Camminatrieste ritiene opportuno proporre alcune considerazioni. Dopo il grave incidente verificatosi oltre un anno fa, e dopo che le venture sinistrate sono state rimesse in ordine, giunge notizia che il tram non potrà riprendere il suo percorso in conseguenza di altri inconvenienti, anche gravi, presenti sul tracciato (binari, impianti, componenti elettriche, ecc.).Viene quindi da porsi la domanda se i precedenti lavori siano stati condotti in modo adeguato e completo o no.È inutile nascondere che il danno, per la cittadinanza e in termini di visibilità turistica sia molto grave, anche in presenza della concomitante regata Barcolana. Il tram di Opicina è una delle principali attrattive turistiche della città, tant'è vero che era stato proposto di inserirlo tra i beni riconosciuti dall'Unesco. Semmai la linea dovrebbe essere prolungata fino alle Rive dal Porto vecchio (e Barcola) fino a Campo Marzio (Museo ferroviario), come più volte ribadito da Camminatrieste, nel corso della sua ultraventicinquennale attività.
Carlo Genzo, direttivo Coped-CamminaTrieste
MilanoFinanza - MERCOLEDI', 4 ottobre 2017
Gas Natural, ok a offerte Edison e 2i Rete Gas
Ieri a Madrid si è tenuto un cda del gruppo iberico che avrebbe
deliberato di chiudere le trattative per la vendita dei suoi asset italiani con
Edison (rileverà i clienti italiani di Gas Natural) e 2i Rete Gas (acquisirà il
trasporto gas e la holding che si occupa di servizi). Sarebbe rimasta a mani
vuote Italgas
Gli asset italiani di Gas Natural sono stati venduti.
Ieri, secondo quanto risulta a Radiocor, a Madrid si è tenuto un consiglio di
amministrazione del gruppo iberico che avrebbe deliberato di chiudere le
trattative con Edison e 2i Rete Gas. Sarebbe rimasta a mani vuote Italgas ,
mentre il fondo cinese Shanghai DaZhong che puntava all'intera azienda si era
già ritirato dalla gara. L'obiettivo è arrivare alla firma già settimana
prossima. Infatti nei prossimi giorni andranno limati alcuni dettagli per poi
chiudere la cessione definitivamente entro fine anno.
L'operazione farà arrivare nelle casse di Gas Natural quasi 1 miliardo di euro
con una plusvalenza superiore a 400 milioni di euro. Nello specifico, Edison
dovrebbe rilevare i clienti italiani di Gas Natural, 20.000 imprese e 460.000
clienti residenziali localizzati soprattutto nel Sud Italia, dopo avere superato
la concorrenza di Engie Italia, e il contratto gas a lungo termine che
transiterà sul Tap proveniente dall'Azerbaijan.
Per quanto riguarda, invece, il trasporto gas (7300 km per 4600 punti di
riconsegna e una Rab fra 500 e 600 milioni di euro) 2i Rete Gas l'avrebbe
spuntata su Italgas . La controllata di F2i e partecipata da Ardian rileverà
anche la holding italiana di Gas Natural che si occupa di servizi. In questo
modo il riassetto delle attività italiane del gruppo spagnolo non avrà alcuna
ricaduta occupazionale. Invece, a quanto pare è rimasto invenduto il progetto di
Gas Natural per il rigassificatore di Trieste, un'infrastruttura ancora sulla
carta.
Mentre alla borsa di Madrid Gas Natural segna un -2,06% a 18,04 euro, a Piazza Affari l'azione Edison nella versione risparmio scende dello 0,43% a 0,926 euro e Italgas dell'1,36% a quota 4,656 euro.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 4 ottobre 2017
«Comune attento alle criticità del pedibus»
«L'amministrazione comunale è particolarmente attenta alla sicurezza dei
percorsi pedonali e ai possibili interventi per favorire la mobilità pedonale»,
scrive in una nota l'assessore all'Urbanistica Luisa Polli, in risposta ai
genitori che protestano in questi giorni per la mancata presa in carico delle
criticità del progetto Pedibus di Rozzol. «È stata fatta la proposta di
intervenire lungo il "pedibus" di Rozzol con particolare riferimento ad alcuni
tratti particolarmente delicati». «In questo contesto - aggiunge - tuttavia, per
tener conto delle esigenze di viabilità anche di chi è costretto a utilizzare
l'autovettura per recarsi al lavoro al mattino, le possibilità sono parzialmente
diverse da quanto richiesto dalla scuola nel corso di un sopralluogo e, in
particolare, risulta perseguibile solo la chiusura della via Lucano». «Tale
soluzione - conclude - è stata criticata da parte di alcuni soggetti coinvolti.
Ritenendo la scuola il primo interlocutore, in quanto quotidianamente coinvolta
nel progetto del "pedibus", cercheremo un incontro per avere un avallo dalla
scuola circa la soluzione proposta, prima di intervenire».
Un cervo adulto avvistato di notte tra le case a
Barcola - Due casi nelle zone verdi sotto strada del Friuli - «Non è pericoloso
ma meglio non avvicinarsi» -
vedi foto
Cervi a Barcola. Due incredibili avvistamenti sono stati fatti in questo
ultimo periodo nella parte alta del rione, al confine con strada del Friuli. In
entrambi i casi (è stato pure immortalato con una "fototrappola" notturna) si è
trattato quasi sicuramente dello stesso esemplare, ossia di un maschio di oltre
100 chilogrammi, alto poco meno di due metri. «Confermo che gravitano nelle aree
verdi adiacenti a Barcola, ma recentemente sono stati visti anche affacciarsi
sul golfo nella zona del costone carsico di Santa Croce: può sembrare strano, ma
in realtà il cervo non è un animale esclusivamente di montagna come tutti sono
soliti pensare», racconta il naturalista triestino Nicola Bressi. I cervidi
triestini provengono dai vicini boschi della Slovenia. Negli ultimi vent'anni,
gradualmente, alcuni di loro - circa una cinquantina di esemplari - hanno deciso
di rimanere in modo stanziale in alcune aree del Carso triestino. Tre sono i
nuclei riproduttivi registrati ufficialmente. Il gruppo più numeroso risiede
nella riserva naturale del monte Lanaro, a Sgonico, al confine con il Comune di
Monrupino, in una dorsale molto ampia che sostanzialmente va dall'ex valico di
confine di Comeno (Duino Aurisina) sino appunto alla zona del Lanaro. Una
ventina di capi circa si trova invece nell'area più a nord-ovest di Duino
Aurisina, ossia vicino al monte Ermada, in una fascia che copre anche il
Goriziano andando dalla frazione di Ceroglie (Duino Aurisina) sino a Doberdò del
Lago (Gorizia). Un nucleo minore che conta meno di dieci esemplari staziona
invece a nord-est della nostra provincia, ossia attorno al monte Cocusso, in
un'area tra Basovizza, Grozzana e Pese, a ridosso dunque dell'ex valico di Stato
di Kosina. «Ma dobbiamo entrare nell'ordine delle idee che i cervi si spostano,
soprattutto di notte. E pure di molto. Per questo si possono trovare in diverse
zone del Carso e della periferia, come Barcola, Contovello, Prosecco, ma anche
Muggia», racconta Bressi. Nei territori della cittadina rivierasca alcuni cervi
sono stati avvistati in zona Noghere e Vignano. Soprattutto i maschi possono
essere individui "erratici", che quindi sono soliti a girovagare ovunque ci sia
un bosco tranquillo. I cervi, per la loro imponente mole, possono costituire un
problema in caso di investimento stradale. Oltre al clamoroso incidente di 19
anni or sono, quando sulla strada statale tra Opicina e l'ex valico di Fernetti
un frontale tra uno sfortunato automobilista e un cervo provocò gravi
conseguenze al conducente - e al mammifero, il cui palco di corna è custodito al
Museo civico di Storia naturale di via dei Tominz - si hanno notizie di
investimenti a Monrupino, Opicina e Trebiciano. Anche a Gabrovizza,
quest'estate, un esemplare adulto di femmina per poco non è stato investito da
un'automobilista. «Per loro natura i cervi sono animali timidi e quindi per
niente pericolosi per l'uomo: al di là dei possibili incontri sulle strade
mentre si è al volante, sicuramente un maschio in amore può essere "intontito" e
mentre bramisce può essere imprevedibile, quindi meglio non avvicinarsi troppo»,
spiega Bressi. Un'ultima analisi sulla presenza di questi grandi artiodattili:
vista la loro mole, il possibile aumento dei cervi significherebbe di contrasto
sempre meno spazio per i caprioli e per i cinghiali. Dato che potrebbe essere
d'interesse soprattutto per gli agricoltori anche se anche i cervi, come
caprioli e cinghiali, non disdegnano di far visita ai campi coltivati.
Riccardo Tosques
Legambiente - Un ebook sui giardini inquinati
Dalle 15 alle 17 in piazzale Rosmini Legambiente distribuisce ai cittadini l'ebook "Inquinamento dei giardini pubblici: cosa c'è da sapere", gratis scaricandolo dal sito dell'associazione.
IL PICCOLO - MARTEDI', 3 ottobre 2017
LA POLEMICA - «Soldi per le bonifiche solo alle grandi
aziende»
La piccola impresa non ci sta e oggi alle 15, in occasione della riunione
organizzata dalla Regione in sala Predonzani per spiegare come adire ai 15
milioni di Invitalia (ministero dello Sviluppo Economico) per le bonifiche
nell'area di "crisi complessa", è intenzionata a far sentire la propria voce. La
ragione è semplice: per candidarsi al riparto dei 15 milioni bisogna presentare
programmi di investimento con spese ammissibili non inferiori a 1,5 milioni. Lo
prevede al punto C la circolare 127402 data 28 settembre e firmata dal direttore
ministeriale per gli incentivi alle imprese Carlo Sappino. Allora Dario Bruni,
presidente di Confartigianato Trieste, solleva la questione: perchè con un
barrage così elevato, nessuna azienda artigianale o "pmi" potrà permettersi di
concorrere alla contribuzione Invitalia che finanzia interventi di carattere
produttivo/ambientali. D'altronde la stessa griglia di valutazione, riportata
all'allegato 3 della circolare-Sappino, riporta criteri e punteggi basati
sull'incremento occupazionale, in termini impensabili per un'impresa di piccole
dimensioni: fino a un massimo di 100 punti per chi genera oltre 89 posti di
lavoro. Chiaro che non c'è biada per imprese il cui fatturato medio annuo non
arriva a un milione di euro. Per attenuare il gap delle chance, Bruni propone
due «canali contributivi», per cui 10 milioni su 15 verrebbero attribuiti a
progetti con importi non inferiori a 1,5 milioni. Mentre 5 milioni - un terzo di
quanto messo in palio da Invitalia - andrebbero a finanziare iniziative con un
budget non inferiore a 300 mila euro, meglio abbordabili dalla piccola impresa.
«Le pmi - scrive Bruni in un a nota - sono il volano per la riqualificazione
industriale dell'area di crisi triestina e avrebbero così la possibilità di
partecipare al bando». Confartigianato, cui sono iscritti la maggioranza degli
operatori nel Sito di interesse nazionale (Sin), è sicura di rappresentare
umori/malumori molto diffusi tra le imprese. L'area di "crisi complessa" -
rammenta il punto B della circolare ministeriale - comprende l'ex Ezit in
liquidazione, insieme alle aree demaniali in concessione a Siderurgica Triestina
(Ferriera) con esclusione della piattaforma logistica, cui s'aggiunge l'area "ex
Arsenale". Le domande debbono pervenire a Invitalia dalle ore12 del 31 ottobre
alle ore 12 del 30 novembre. Entro 30 giorni dal termine di presentazione
Invitalia formulerà la graduatoria di ammissione alla valutazione istruttoria. I
15 milioni partecipano al cosiddetto Prri (Piano di riconversione e
riqualificazione industriale) dell'area di crisi industriale complessa
triestina. Il provvedimento venne varato con il decreto legge 83 del giugno 2012
ma è divenuto realtà finanziariamente tangibile con l'Accordo di programma
firmato lo scorso 27 luglio tra i ministeri dello Sviluppo Economico, del
Lavoro, dell'Ambiente, dei Trasporti insieme alla Regione Fvg, al Comune
triestino, all'Autorità portuale, a Invitalia. Le finalità, ricordate nella
parte iniziale della circolare firmata dal direttore generale Sappino,
riguardano il rilancio delle attività industriali, la salvaguardia dei livelli
occupazionali, il sostegno dei programmi di investimento e sviluppo
imprenditoriale nell'area di crisi. Per le 15 di oggi, in piazza Unità, la
Regione ha convocato un'ampia platea di soggetti associativi e creditizi per la
gestione della risorsa. Si vedrà se ci saranno i margini per la mediazione
auspicata nella proposta-Bruni.
magr
Legambiente - Opuscolo sui giardini inquinati
Oggi dalle 15 alle 17 in piazzale Rosmini i volontari di Legambiente distribuiranno l'opuscolo "Inquinamento dei giardini pubblici: cosa c'è da sapere". Il martedi' successivo i volontari saranno al Giardino Pubblico.
IL PICCOLO - LUNEDI', 2 ottobre 2017
In arrivo 15 milioni per le bonifiche nei terreni ex
Ezit - Pubblicato il bando per accedere ai fondi stanziati dal Mise
Serracchiani: «Area di crisi industriale verso il rilancio»
Con un anno di ritardo, che non è certo poco, ma alla fine sono arrivati.
Quindici milioni per le bonifiche: Invitalia, braccio operativo del ministero
dello Sviluppo Economico Mise), li mette finalmente a disposizione per gli
imprenditori che intendano operare sul recupero ambientale nell'area di crisi
industriale "complessa" triestina. Si chiude, con fatica, il cerchio tracciato
dall'Accordo di programma firmato a Roma alla fine del gennaio 2014. Una nota
del Mise, diffusa l'altro giorno, informa che si è attivata la procedura di
finanziamento che permetterà agli interessati di inoltrare le domande nel
periodo compreso tra il 31 ottobre e il 30 novembre. Il comunicato ministeriale
fornisce ulteriori indicazioni: le domande saranno ammissibili se riguarderanno
progetti produttivo-ambientali con impegni non inferiori a 1,5 milioni di euro;
debbono comportare un incremento degli addetti che lavorano nell'unità aziendale
oggetto dell'investimento. Le agevolazioni - qui il testo si fa un po' confuso -
si concretizzano nel contributo in conto impianti, nell'eventuale contributo
diretto alla spesa, nel finanziamento agevolato. Invitalia imposterà poi un iter
istruttorio che implicherà la verifica dei requisiti, la definizione di una
graduatoria, la valutazione delle domande «sulla base di specifici criteri di
merito».La Regione, ente partner nell'area di crisi "complessa" di cui è
commissario la stessa presidente Debora Serracchiani, ha prontamente convocato
un amplissimo tavolo tecnico-informativo per domani alle 15 in sala Predonzani,
al pianterreno della sede in piazza Unità. Confindustria, Confartigianato,
Confcommercio, Ezit, Confidi, Friulia, Mediocredito, istituti bancari: un vasto
abbraccio associativo e creditizio per gestire al meglio una delle più ricche
operazioni di supporto al territorio condotto con risorse pubbliche. «Con la
pubblicazione dell'avviso pubblico del Mise entra nel vivo il progetto di
riconversione e riqualificazione industriale dell'area di crisi industriale
complessa di Trieste avviato grazie all'Accordo di programma del 2014 e all'atto
aggiuntivo del 2017 - ha commentato Serracchiani -: questi 15 milioni di euro,
che si aggiungono alle risorse messe in campo grazie alla legge regionale
Rilancimpresa, permetteranno di rafforzare il tessuto produttivo locale
attraverso la realizzazione di iniziative imprenditoriali e l'attrazione di
nuovi investimenti».Si accennava alla chiusura del cerchio e al ritardo con cui
i 15 milioni stanno entrando in circolazione. In realtà l'operazione avrebbe
dovuto decollare in rapida sintonia con i 10,7 milioni di euro (poi cresciuti di
altri 2 milioni) stanziati nella primavera di un anno fa dalla Regione Fvg e
gestiti dalla Camera di commercio triestina. Invitalia e Regione si erano divise
il compito: i quattrini regionali avrebbero privilegiato gli investimenti
industriali, mentre la risorsa governativa avrebbe sostenuto le attività di
carattere ambientale. Sembrava addirittura che si riuscisse a organizzare uno
"sportello" unico per sveltire le procedure e agevolare le domande delle
imprese. Quindi, il volume finanziario complessivo dell'aiuto pubblico destinato
all'area critica triestina, tra centro & periferia, sfiora i 28 milioni. Poi le
cose si sono allungate. Affinchè il dispositivo Invitalia decollasse, è stato
necessario redigere, come abbiamo visto, un accordo di programma. Pareva che si
riuscisse a definirlo già nell'estate del 2016 (come ricordava un articolo del
luglio 2016), invece i tempi sono slittati considerevolmente. Comunque, adesso i
soldi ci sono. La riunione, chiamata martedì prossimo dalla Regione, servirà per
chiarire i meccanismi di richiesta e di erogazione. Nella primavera 2016 le
domande, pervenute alla Camera di commercio, furono molto numerose, tanto da
raggiungere i 60 milioni, sei volte in più dello stanziamento. Le piccole
aziende, insediate a Trieste, fecero la parte del leone.
Massimo Greco
Al via la petizione per il Parco navale sommerso nel
nostro golfo
Il varo di una campagna popolare, l'appoggio della giunta comunale e di
alcuni "testimonial" di peso, ma soprattutto l'aspirazione di un supporto anche
da parte del ministero dell'Ambiente. Parte da qui la nuova mobilitazione a
sostegno del l "Parco Navale di Trieste", il progetto ideato e lanciato
dall'Associazione Sommersa Diving a metà del 2010 che punta a trasformare il
golfo di Trieste nella prima area in Italia in grado di ospitare operazioni di
Scuttling, ovvero l'affondamento "controllato" di navi in disarmo ai fini del
ripopolamento della flora e fauna marittima. Benefici per l'ambiente naturale,
incentivo dei canali turistici e conseguenti nuove fonti di occupazione. Queste
le "credenziali" che la Sommersa Diving fa mette sul piatto da anni per
strutturare il progetto, tanto in eventi fuori dalla provincia come la fiera
Eudi di Bologna, quanto in appuntamenti triestini di peso come MareNordest, la
manifestazione specialistica di primavera giunta al suo sesto anno di vita. A
schierarsi a sostegno del progetto anche politici come il parlamentare leghista
Massimiliano Fedriga, a cui si deve un'interrogazione alla Camera
sull'argomento, presentata a maggio.Il piano di promozione per il Parco Navale
intanto prosegue. Dopo la mozione comunale presentata lo scorso agosto dal
gruppo consiliare della Lega, si accende in questi giorni anche una campagna
popolare a suon di firme (Bignami Sub in Piazza Libertà 6). Lo scopo?
Coinvolgere la cittadinanza, perfezionare l'informazione tecnica e approdare poi
alla corte del Ministero dell'Ambiente: «Questa raccolta firme è nata per
rafforzare il progetto su vari fronti - ha ribadito Roberto Bolelli, tra gli
ideatori del Parco Navale a Trieste - crediamo sia una idea da spiegare intanto
al meglio alla cittadinanza, illustrandone i molti benefici e le importanti
possibili ricadute sul territorio. Il vice sindaco Roberti ci crede ed ha
abbracciato la causa - ha aggiunto - e con questo ulteriore passo delle firme
intendiamo tornare a farci sentire in campo nazionale, auspicando proprio un
incontro con il ministro dell'Ambiente, da fare possibilmente al più presto».
(fr.ca)
Roma boccia il ricorso "pro bici" - Respinto dal
ministero il reclamo del dem Finocchiaro contro il divieto di pedalare in centro
a Muggia
MUGGIA - Il ministero ha bocciato il ricorso proposto dal consigliere Pd
Marco Finocchiaro contro l'ordinanza antibici del Comune di Muggia. Il verdetto
è arrivato attraverso una lettera spedita dallo stesso ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti al Municipio rivierasco. L'ordinanza dirigenziale
del 18 luglio scorso, con cui la Giunta Marzi ha decretato le nuove regole per
la viabilità all'interno del centro storico, era stata impugnata dal consigliere
comunale di maggioranza Finocchiaro, ex assessore ai Lavori pubblici. Il nodo
della discordia, per l'esponente dem, era la limitazione alle bici, o meglio
l'obbligo di spingere a mano i velocipedi, anche se solo in alcuni periodi
dell'anno e in alcune zone del centro (corso Puccini, via Dante e piazza
Marconi). Il ricorso di Finocchiaro è stato giudicato «inammissibile» da Roma.
Il dirigente tecnico del ministero Francesco Mazziotta ha evidenziato come il
consigliere Pd «non presenta una posizione giuridica qualificata tale da
legittimarla ad esperire il gravame di cui trattasi». Inoltre il provvedimento
impugnato - cioè l'ordinanza sindacale - «non è immediatamente lesivo della
propria sfera giuridica». Per il ministero «la legittimazione ad agire per la
tutela dello "ius ad officium" presuppone che vi sia una lesione diretta,
concreta ed attuale delle proprie prerogative, che non sembra ricorrere nella
fattispecie in questione». Insomma: il consigliere Pd non può ricorrere contro
un atto generico dell'amministrazione a meno che questo non abbia dei risvolti
personali. Curiosità. Il ricorso proposto da Finocchiaro è stato giudicato
«peraltro irregolare sotto il profilo fiscale, non essendo stata assolta
l'imposta di bollo, così come previsto dal Decreto ministeriale del 20 agosto
1982». Per quanto riguarda invece il braccio di ferro con il ministero in
seguito al ricorso presentato da tre cittadini muggesani - Christian Bacci,
Gaetano Maggiore e Carlo Canciani - e parzialmente accolto dal ministero, il
Comune ha fornito a Roma i documenti necessari per avvalorare la necessità di
una regolamentazione della presenza delle biciclette in alcune zone del centro
storico. Rimane comunque un dato di fatto: che l'ordinanza non è più in vigore
dal 30 settembre, essendo terminata la stagione estiva, e che i divieti
scatteranno nuovamente a partire dal primo giugno del 2018. Ma il tema delle
biciclette è di forte attualità a Muggia anche in un altro contesto. Sono
infatti ben diciassette i velocipedi che giacciono nei magazzini comunali dallo
scorso anno. Nove di questi sono stati rimossi dagli appositi portabiciclette lo
scorso 24 febbraio trovandosi in divieto di sosta in seguito alla cosiddetta
"ordinanza Carnevale". Le biciclette sono state rimosse da largo Amulia, piazza
Repubblica, calle Bacchiocco e piazza Galilei. Per i proprietari si prospetta,
come previsto dal Codice della strada, una sanzione pari a 41 euro (riducibile
del 30% soltanto se pagata entro cinque giorni). Per ora una sola persona si è
presentata all'ufficio del Comando della Polizia locale muggesana per pagare la
sanzione e riavere indietro la propria bicicletta. Gli altri velocipedi
rimangono in attesa.
Riccardo Tosques
IL PICCOLO - DOMENICA, 1 ottobre 2017
La delibera - Fondi regionali per il controllo la
competitività della mitilicoltura
TRIESTE - Seicentomila euro per migliorare il controllo e aumentare di
conseguenza anche la competitività della mitilicoltura di concerto, come già si
è iniziato a fare qui, con gli stessi addetti ai lavori. Li stanzia la Regione
per l'acquacoltura del Fvg e l'intervento interessa di riflesso anche il mare
triestino. La giunta regionale ha infatti deliberato di dare attuazione alla
misura "Sicurezza alimentare molluschi bivalvi" nell'ambito del Gac, il Gruppo
di azione costiera. Le risorse finanziarie ammontano come detto a circa 600 mila
euro. È prevista, così una nota della Regione, «l'adozione di un avviso pubblico
per la selezione di un soggetto attuatore di un progetto pluriennale delle
attività di autotutela degli operatori, relative alla sorveglianza periodica
delle zone di raccolta, produzione e stabulazione dei molluschi bivalvi vivi,
sull'arco costiero del Fvg». L'obiettivo è «garantire il maggior livello di
sicurezza dei prodotti, mediante misure costanti di controllo e prevenzione
unitamente ad azioni coordinate e condivise dagli operatori per la promozione
dei prodotti, e per rafforzare la competitività delle imprese».
Dolina - San Dorligo - "Draga in festa" ci riprova
Sarà riproposta oggi la terza edizione di "Draga in festa", evento a
ingresso libero dedicato all'agricoltura sostenibile, all'alimentazione,
all'ambiente, in programma a Draga Sant'Elia e allestito in collaborazione con
il Comune di San Dorligo. Promossa da Bioest e da Arci Servizio civile, la
manifestazione si sarebbe dovuta svolgere domenica scorsa, ma il maltempo ne ha
causato il rinvio a oggi. Dalle 10 alle 18 si apriranno le porte delle fattorie
e delle case private, coinvolgendo gli ospiti in attività ed escursioni
finalizzate alla conoscenza della fauna e della flora. Per i bambini sono
previste attività ludiche.
IL PICCOLO - SABATO, 30 settembre 2017
Aria d’Italia la più sporca d’Europa - Ogni anno 91mila morti premature sono dovute all’inquinamento atmosferico
ROMA - Fra i grandi Paesi europei l'Italia è quello con l'aria più inquinata, quello che vanta il record delle morti per inquinamento atmosferico. È il quadro sconfortante tracciato dal rapporto «La sfida della qualità dell'aria nelle città italiane», presentato ieri a Roma al Senato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, think tank presieduto dall'ex ministro dell'Ambiente Edo Ronchi. L'Italia, si legge nel rapporto, ha circa 91mila morti premature all'anno per inquinamento atmosferico (dati 2013), contro 86mila della Germania, 54mila della Francia, 50mila del Regno Unito, 30mila della Spagna. Il nostro Paese ha una media di 1.500 morti premature all'anno per inquinamento per milione di abitanti, contro una media europea di 1.000. La Germania è a 1.100, Francia e Regno Unito a 800, la Spagna a 600. Dei 91mila morti in Italia, 66.630 sono per le polveri sottili PM2, 5, 21.040 per il disossido di azoto, 3.380 per l'ozono, le tre sostanze più pericolose. Per le PM2, 5 si contano nel nostro Paese 1.116 morti all'anno per milione di abitanti, contro una media europea di 860. Le zone più inquinate sono la Pianura Padana (in particolare intorno a Milano e fra Venezia e Padova), poi Napoli, Taranto, l'area industriale di Priolo in Sicilia, il Frusinate, Roma. Il rapporto elenca le cause di questo record poco lusinghiero: troppe auto private in circolazione e troppo vecchie, trasporti pubblici insufficienti, scarsa diffusione di veicoli elettrici e ibridi, caldaie condominiali obsolete, uso eccessivo di legna e pellet (che producono polveri sottili e benzopirene). Il rapporto punta il dito anche contro un'agricoltura che produce troppa ammoniaca da concime e deiezioni animali (ammoniaca), e contro un'industria che ha ancora limiti di emissioni troppo bassi. In particolare, rileva il rapporto, il 35% delle PM10 di Milano viene proprio dalle coltivazioni. La ricerca della Fondazione offre un decalogo di cose da fare. In primo luogo una strategia nazionale che sostenga i Comuni, che devono farsi carico della qualità dell'aria, ma possono intervenire solo sul 40% delle fonti di inquinamento. Puntare sulla prevenzione e non sull'emergenza e considerare tutti gli inquinanti, non solo la Co2. Poi riduzione delle auto private, investimenti sul trasporto pubblico urbano, incentivi ai mezzi elettrici e ibridi, una vasta campagna di rinnovo degli impianti di riscaldamento, una riduzione dell'uso delle biomasse. Infine, introduzione in agricoltura delle tecniche già esistenti per ridurre le emissioni di ammoniaca e limiti più stringenti alle industrie.
Dosimetro in casa per misurare il radon - Arpa cerca volontari - L'Agenzia consegnerà gli strumenti alle famiglie interessate
Alte concentrazioni del gas naturale radioattivo in città e Fvg
Si chiama radon ed è un gas naturale radioattivo, la cui presenza in abitazioni e luoghi di lavoro richiede un attento monitoraggio e adeguate misure per scongiurare rischi per la salute, trattandosi di una sostanza classificata come cancerogena dall'Oms, che la considera la seconda causa di cancro ai polmoni dopo il fumo. Questo gas inodore e incolore, prodotto dal decadimento dell'uranio, sarà presto oggetto di rilevazioni in Friuli Venezia Giulia, grazie alla consegna a mille famiglie di un apposito dosimetro. L'iniziativa dell'Arpa sarà presentata a Trieste il 5 ottobre all'ex Opp, dove i volontari dovranno arrivare dopo essersi registrati sul sito della Regione. L'uranio è distribuito più o meno ovunque sulla crosta terrestre e il radon è perciò presente quasi dappertutto. Nel suolo le sue concentrazioni sono più elevate, mentre all'aperto il gas si diluisce rapidamente, ma negli ambienti chiusi il radon può raggiungere valori anche molto alti. Un problema di non poco conto in Fvg, dove l'Arpa segnala elevati livelli di radon indoor, con un valore medio pari a circa 100 Bq/m3 rispetto a una media italiana di 70 Bq/m3 e una europea di 40 Bq/m3. Per il direttore di Arpa, Luca Marchesi, «l'elevata concentrazione impone di intensificare controlli e prevenzione». Arpa ha già effettuato misure in oltre 3mila abitazioni e nelle 2mila strutture scolastiche regionali, pubbliche e private. Sono così stati risanati un centinaio di edifici. Chi si offrirà di ospitare un dosimetro in casa propria si renderà protagonista «di un progetto di "citizen science" - evidenzia l'assessore all'Ambiente Sara Vito - primo in questo campo in Italia. Un progetto ambizioso, con importanti ricadute sia per i cittadini, che potranno effettuare le misurazioni gratuitamente, sia per gli enti di controllo, che disporranno di nuovi dati sulla presenza del radon in Fvg». Il progetto, denominato "Radon, misure in 1000 famiglie" prevede l'organizzazione di un incontro informativo in ciascuna delle quattro città capoluogo e a Palmanova, nel corso dei quali saranno distribuiti gratuitamente i dosimetri per la misura passiva del radon in altrettante abitazioni private. Dopo sei mesi di esposizione, l'apparecchio dovrà essere riconsegnato all'Arpa per le analisi in laboratorio, al cui termine i risultati verranno comunicati alle famiglie, oltre a essere oggetto di presentazione pubblica.
Diego D'Amelio
Rigassificatore a Veglia - oltre 120 le imprese che
mirano agli appalti
Impianto gnl: termini di scadenza dei bandi prorogati per agevolare la
nascita di consorzi tra le aziende croate
FIUME - A meno di clamorose battute d'arresto, il rigassificatore off-shore
piazzato nelle acque prospicienti la località di Castelmuschio (Omisalj),
sull'isola di Veglia, entrerà in funzione tra due anni. Lo ha ribadito il
direttore di Lng Croazia, Goran Francic, confermando che il bando internazionale
per l'acquisizione della nave-rigassificatore (l'unità galleggiante di
stoccaggio e rigassificazione) sarà prorogato rispetto al termine
originariamente previsto per la giornata di ieri. Il termine ultimo sarà il 6
ottobre: una settimana in più per dare modo agli investitori croati di
raggrupparsi in consorzi e reggere meglio l'urto della concorrenza straniera.
Fino alla stessa data si potrà anche partecipare alla gara per la costruzione
dell'ormeggio per il flottante e per le navi metaniere in arrivo e partenza
dalle acque vegliote. «Finora a ritirare la documentazione attinente al concorso
per la nave - ha sostenuto Francic - sono state una quarantina di imprese, di
cui molte con sede all'estero. Altre 80 si sono fatte vive per l'approntamento
del terminal di Castelmuschio, mentre una ventina di aziende si sono rivolte a
Lng Croazia (che ha ottenuto la gestione del progetto, ndr) manifestando
l'interesse per i futuri acquirenti del metano che dallo stato liquido tornerà a
quello gassoso». L'impianto di Veglia ha un grosso vantaggio: la Commissione
europea ha infatti accordato per la realizzazione del progetto sui 101,3 milioni
di euro. Si tratta di un terzo del costo del progetto, il che lo renderà
concorrenziale nei riguardi dei rigassificatori off-shore. «Grazie a questi 101
milioni a fondo perduto - ha aggiunto Francic - la Croazia potrà avere tariffe
più convenienti. Del resto l'interesse palesato per la nostra
nave-rigassificatore parla di un quantitativo doppio di quanto riuscirà a
movimentare annualmente la nostra imbarcazione: la sua capacità sarà di 2,6
miliardi di metri cubi di gas all'anno ed è il limite massimo attribuito alla
Croazia, le cui infrastrutture non possono assorbire più di quel quantitativo».
Resta comunque ferma anche la prospettiva di realizzare un terminal metanifero
anche sulla terraferma e sempre nella località isolana. Se non ci saranno
intoppi, i lavori di costruzione in questo caso dovrebbero cominciare tra dieci
anni.
Andrea Marsanich
IL PICCOLO - VENERDI', 29 settembre 2017
Salute e lavoro - Malattie da amianto Oltre diecimila
casi fra esposti e familiari
MONFALCONE«Il mesotelioma è un male incorruttibile». Il direttore del Crua,
Paolo Barbina, ha fatto ieri riecheggiare il drammatico refrein alla VII
Conferenza regionale amianto: continuano i nuovi casi frutto della lunga
incubazione da esposizione professionali. Dal palco del Teatro comunale di
Monfalcone è anche passato un concetto: iniziano a farsi avanti casi di malattia
senza collegamento a un'esposizione professionale. Sono le esposizioni
domestiche. Quanto è emerso ieri pomeriggio, primo momento della due giorni di
lavori articolati in tre sessioni, è stata una panoramica molto approfondita,
dall'evidente approccio scientifico. Si è partiti con la sessione dedicata agli
aspetti sanitari e gli esperti hanno convenuto: il mesotelioma continua a
colpire nel Friuli Venezia Giulia. Il numero dei casi rimane ancora elevato, a
fronte di un trend che si mantiene comunque stabile. L'aggiornamento fornito dal
presidente della Commissione regionale amianto, Fernando Della Ricca, la dice
lunga sulla situazione circa gli iscritti al Registro regionale amianto. Con
l'area della fascia costiera a recitare il ruolo di primato. Ad oggi le domande
riconosciute sono 10.155, di cui 6.556 nell'Azienda integrata di Trieste, 2.999
nell'Aas Isontino Bassa Friulana, per scendere a 300 nell'Azienda integrata di
Udine, quindi 162 nella Ass 3 collinare Alto Friuli, 138 nell'Ass 5 Friuli
Occidentale. E ancora: gli esposti per motivi professionali sono 6.574, quelli
domestici 1.562, ambientali 2.071 e 7, addirittura, quelli per qualche hobby
praticato. Della Ricca ha argomentato che «sta emergendo una situazione alla
quale dovremmo prestare massima attenzione da subito, evitando di creare
allarmismi: abbiamo registrato alcuni casi di esposizione, e quindi di
iscrizione al Registro, di persone relativamente giovani, che non avrebbero
dovuto subire esposizioni di asbesto post 1992 (quando intervenne la normativa a
bandire l'uso di amianto, ndr), e di figli di esposti che sono affetti da
patologie amianto correlate. La causa riteniamo sia imputabile ai genitori
contaminati, che attraverso i vestiti portavano le fibre a casa. Sono pochi e
circoscritti casi, comunque sarà necessario approfondire il fenomeno», ha
concluso. Resta comunque su tutto il grande problema amianto da esposizione
lavorativa. Significativo è lo scenario Fvg nel panorama italiano. Lo ha
rappresentato Corrado Negro, della Medicina del lavoro presso l'Università di
Trieste, che gestisce il Centro operativo regionale (Cor) afferente al Registro
nazionale dei casi di mesotelioma (ReNaM). In ambito nazionale le aree
geografiche con maggiore concentrazione di mesotelioma sono il Friuli Venezia
Giulia, assieme alla Liguria, per la costruzione, riparazione e demolizioni
navali. C'è quindi la Lombardia (provincia di Pavia) e il Piemonte, con Casale
Monferrato e comuni limitrofi, dove c'erano le industrie del cemento amianto. E
ancora, i cantieri navali rappresentato la terza fonte di esposizione
all'amianto in Italia. Il numero di esposizioni professionali definite nei casi
di malattia per mesotelioma certo, probabile o possibile, segnalati al ReNaM per
categoria economica, tra il 1993 e il 2012, è infatti di 999 casi nel settore
navale. Al primo posto c'è l'industria metalmeccanica, con 1.243 casi, seguita
dall'industria tessile, con 1.009 casi. I casi complessivi sono 15.014 tenendo
conto di tutte le categorie economiche. Rimane confermato il rapporto
territoriale del Fvg circa l'incidenza dei mesoteliomi. Negro lo ha spiegato con
un'altra slide: negli ultimi quindici anni sono stati censiti 1.109 casi di
mesotelioma («quasi tutti sono deceduti»). Il 75% sono appannaggio dell'area
isontina e giuliana. Altro elemento: l'età media alla diagnosi del mesotelioma è
di 70 anni, senza evidenti differenze di genere (70,2 anni nelle donne, 68,8
negli uomini). Negro ha poi proiettato sul maxischermo una "torta": su 36 casi
di mesotelioma da esposizione domestica, il 61% riguarda le mogli degli ex
esposti amianto. E il 25% riguarda i figli. Le madri rappresentano il 9% e i
fratelli il 5%.Elementi che hanno fatto eco a quanto esposto dal direttore del
Centro regionale di riferimento unico dell'amianto, Paolo Barbina. Che peraltro
ha esordito spiegando: «Oggi dovrò visitare un paziente con sospetto
mesotelioma. Un paziente giovane». Il quinto di quattro casi già passati alla
sua attenzione, donne risultate affette da tumore pleurico o placche pleuriche
tra i 48 e i 61 anni. Barbina, che ha snocciolato una lunga serie di cifre e
percentuali in ordine all'attività del Crua, alla fine ha tirato le somme: «La
sorveglianza sanitaria degli ex esposti amianto serve», sebbene, è stato
comunque osservato, si nota una diminuzione di persone che afferiscono alle
visite di controllo. Barbina su tutto ha posto l'accento sul piano sociale: «La
sorveglianza sanitaria va fatta al fine di poter instaurare corretti interventi
non solo sanitari, ma anche dal punto di vista sociale». Il medico ha
evidenziato che «uno sforzo notevole dev'essere fatto per semplificare i
percorsi burocratico amministrativi per il riconoscimento della patologia ai
fini previdenziali e assicurativi». E ha concluso: «È necessario un riordino
normativo che non lasci l'amianto isolato rispetto alle restanti esposizioni
agli agenti cancerogeni». Barbina ha esplicitato il concetto: «Io non esco dal
lavoro con il camice. Così dev'essere per tutte le categorie professionali», ha
detto facendo riferimento alle fibre artificiali vetrose.
Laura Borsani
"Incubazione" più lunga delle altre patologie
Corrado Magnani, professore dell'Università del Piemonte orientale, ha
sintetizzato tre aspetti. È assodata la relazione per esposizione all'amianto e
il mesotelioma. Inoltre, tanto maggiore è l'esposizione all'amianto accumulata
nell'esperienza di vita quanto maggiore è il rischio di mesotelioma maligno.
Quindi l'aspetto circa la latenza tra l'inizio dell'esposizione e la comparsa
della malattia che per i mesoteliomi, pur non conoscendone le effettive
motivazioni, è molto più lunga rispetto ad altre patologie. Per il 50% dei casi
si parla di una latenza tra i 30 e i 40 anni. Una latenza particolarmente lunga
per la tipologia tumorale da esposizione lavorativa e ambientale. Inoltre, studi
più recenti rafforzerebbero il concetto secondo il quale l'accumulo di
esposizione all'amianto è un fattore che incrementa il rischio di malattia, non
dovuto quindi solo ad una esposizione iniziale.
Ambientalisti: nella centrale di Fianona il "carbone
insanguinato" della Colombia
L'associazione "Zelena Istra-Istria verde" sostiene di avere le prove
secondo le quali la Croazia importerebbe "carbone insanguinato" dalla regione
del Cesar in Colombia, il quale viene poi utilizzato dalle centrali
termoelettriche a Porto Fianona. Le informazioni sono scaturite da una ricerca
condotta a fine luglio dalla "Zelena Istra-Istria verde" in Colombia, nei
dipartimenti di Cesar e Magdalena, dove vivono le comunità legate alla Croazia
dalla catena di fornitura del carbone insanguinato, il cui tragitto dalla
Colombia all'Europa è segnato da violazioni dei diritti umani, violenza e
interessi economici delle multinazionali del settore estrattivo. La ricerca è
stata eseguita con il sostegno dell'organizzazione catalana Observatorio de la
Deuda en la Globalizacion e l'associazione colombiana Tierra Digna. È il
prosieguo del lavoro dell'associazione istriana nell'ambito del quale era stato
scoperto che a Porto Fianona viene utilizzato il carbone estratto nella regione
La Guajira, dove lo sfruttamento del carbone è la causa principale della
mancanza di acqua potabile e di una grande povertà e crisi umanitaria, come pure
dello sfollamento forzato degli abitanti nativi. Sempre secondo i dati raccolti
dall'associazione istriana, la maggior parte del carbone importato dalla Croazia
nel periodo tra il 2004 e il 2017 proviene proprio dalla regione di Cesar.
IL PICCOLO - GIOVEDI', 28 settembre 2017
Nasce a Duino Aurisina la Consulta del mare «Risorsa da valorizzare»
Istituzioni e associazioni chiamate a far parte della task-force Obiettivo: creare progetti e intercettare così i fondi europei
DUINO AURISINA - Valorizzare e promuovere tutte le attività legate al mare, dal turismo allo sport, dall'enogastronomia alla pesca. Questo l'obiettivo operativo della neocostituita "Consulta del mare", organismo creato dall'amministrazione guidata da Daniela Pallotta con una specifica delibera di giunta, che dovrà essere, negli intendimenti della giunta, «luogo di scambio di informazioni e proposte, di confronto e collaborazione con l'amministrazione per la definizione di programmi, indirizzi, proposte e iniziative». Un impegno notevole, visto che Duino Aurisina è una località che punta sullo sviluppo di tutto ciò che è legato al mare, per garantire una crescita economica del territorio. L'amministrazione sta pensando a una partecipazione allargata. Saranno invitati a entrare a far parte della compagine i rappresentanti di tutte le istituzioni pubbliche locali, dalla Regione alla Camera di commercio, dalla Capitaneria di porto agli ispettorati dell'agricoltura e delle foreste, dall'Ersa al Gal del Carso, per proseguire con i consorzi legati alla pesca, le associazioni nautiche che operano sul territorio e quelle che si occupano di immersioni, le associazioni ambientaliste e quelle dei consumatori. A presiedere la Consulta del mare sarà chiamato l'assessore per le Politiche del mare, Andrea Humar, ma sarà sempre invitato a partecipare anche il presidente della Commissione consiliare Ambiente. La Consulta sarà chiamata a riunirsi ogni due mesi. Il ragionamento fatto dalla giunta parte dal presupposto che esistono fondi strutturali di investimento europei, che operano grazie alla creazione del Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (Feamp) per il periodo 2014-2020. Tali fondi si integrano a vicenda e mirano a promuovere una ripresa basata sulla crescita e l'occupazione in Europa. Fondamentale anche la considerazione, contenuta nella stessa delibera, che valuta il mare e il relativo indotto come «una delle principali risorse del territorio, perché riguarda la pesca, l'itticoltura, la nautica, la Riserva marina delle Falesie, la balneazione e la tutela delle biodiversità». Il Comune fra l'altro fa parte del Gruppo di azione costiera del Fvg, organismo istituito nel 2012 con lo scopo di implementare sul territorio regionale di riferimento un Piano di sviluppo locale a beneficio del settore della pesca e dell'acquacoltura, le cui attività sono finanziate dal Programma operativo del Fondo europeo per la pesca del Fvg. Uno degli obiettivi del Comune è anche quello di entrare a far parte della Consulta delle città del mare, organismo promosso dall'Anci per formare una rete di sindaci dei comuni costieri al fine di costruire una voce più efficace nel dibattito sul demanio marittimo. «Con la Consulta - così Humar - intendiamo dare risposte a tutte le esigenze della parte costiera del nostro territorio, affrontando problemi come quelli legati a Castelreggio, alle barriere di difesa del Villaggio del pescatore, al regolamento della Riserva delle Falesie".
Ugo Salvini
Salta il tavolo sulla Ferriera, l'ira dei sindacati -
Rinviato il confronto con le parti sociali atteso per oggi a Roma. Le sigle:
«Piano industriale necessario»
Doveva essere il giorno della verità, il giorno in cui - per lo meno nelle
aspettative dei lavoratori della Ferriera e dei loro rappresentanti - la
proprietà avrebbe dovuto finalmente scoprire le carte e delineare quel piano
industriale chiesto dai sindacati già nell'incontro che si era tenuto a Trieste
lo scorso 4 settembre - dopo lo sciopero dei dipendenti sui nodi premi e
sicurezza - e che l'azienda aveva appunto rimandato alla discussione che si
sarebbe dovuta tenere proprio oggi a Roma in occasione dell'annunciato tavolo al
ministero dello Sviluppo economico sul futuro dello stabilimento. E invece quel
tavolo, in agenda oggi, è stato rinviato «a data da destinarsi». A darne
conferma sono stati ieri gli stessi sindacati, con un breve comunicato stampa in
cui «le segreterie territoriali di Fim, Fiom e Uilm, unitamente alle Rsu della
Ferriera, stigmatizzano con estremo disappunto il rinvio, a data da destinarsi,
del tavolo ministeriale con le organizzazioni sindacali previsto per domani 28
settembre (oggi, ndr) presso il Mise di Roma». «Questo a maggior ragione -
incalza la nota diffusa dalla "triplice" dei metalmeccanici con i delegati di
fabbrica - considerando l'incontro svoltosi ieri (martedì, ndr) presso il
ministero dell'Ambiente che ha visto coinvolti gli stessi soggetti che si
sarebbero dovuti sedere al tavolo con le parti sociali». «Alla luce della
fermata in corso prevista per le manutenzioni e perdurando ancora l'incertezza
sul piano industriale del gruppo, riteniamo non più rinviabile il confronto il
sede ministeriale», il monito di Fim, Fiom e Uilm con le Rsu. Proprio martedì
Regione e Comune avevano dato notizia di aver preso parte a un incontro al Mise
alla presenza tra gli altri dei funzionari del ministero dell'Ambiente e dei
rappresentanti della proprietà, in testa il cavalier Giovanni Arvedi. Un
confronto che ha ribadito come sia in atto un delicato dibattito tra l'azienda
pronta al riavvio dell'altoforno dopo gli attuali lavori di manutenzione
straordinaria, la Regione che subordina l'eventualità al rispetto delle
prescrizioni dell'Aia e il Comune secondo cui l'area a caldo va a chiusa. Forse
è anche per l'esito dell'incontro di martedì che il tavolo, in programma da
tempo, oggi non ci sarà.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 27 settembre 2017
Verde pubblico: l'operazione - Dai parchi alle aiuole
spartitraffico - Il Comune lancia il Piano alberi
Un piano di manutenzione straordinaria degli alberi del Comune di Trieste.
Dai parchi alle alberature lungo le strade. L'amministrazione comunale ha
stanziato 600mila euro per l'anno in corso, divisi in quattro progetti esecutivi
approvati nei giorni scorsi. La cifra, presente nel programma triennale delle
opere 2017-2019, è finanziata mediante l'alienazione di titoli (ovvero azioni
Hera). Il cronoprogramma dei pagamenti prevede 270mila euro nel 2018 e gli altri
330mila nel 2019. L'esecuzione dei lavori varia tra i 180 e i 420 giorni a
partire dalla data del verbale di consegna dei lavori. Ora che la giunta ha
approvato i quattro progetti esecutivi possono partire le gare di appalto. Il
primo intervento di manutenzione ordinaria, da 200mila euro, riguarda le
alberature lungo strada del Friuli, strada di Fiume, strada Nuova per Opicina,
via San Pantaleone e via Flava. Oltre a queste saranno interessati anche tutti i
tratti di strada di competenza comunale presenti nelle frazioni dell'altipiano.
«Come avvenuto anche in passato - si legge nella relazione tecnica - saranno
eseguiti interventi anche lungo la viabilità minore, spesso interessata dalla
presenza di alberi e arbusti spontanei, a volte infestanti, causa di numerose
interferenze con la circolazione stradale e pedonale oltreché con la segnaletica
stradale». La manutenzione del verde lungo i bordi delle strade risponde
all'esigenza di garantire un adeguato livello di sicurezza. Sono previsti gli
abbattimenti di piante morte, malate o pericolose per la circolazione.Il secondo
intervento di manutenzione, da 150mila euro, riguarda i tre parchi cittadini:
Villa Giulia, Farneto (circa 97 ettari) e il parco attrezzato lungo la Strada
Vicentina. Si tratta di tre siti di elevato pregio paesaggistico e
naturalistico. Una cospicua parte delle risorse sarà destinata alla manutenzione
straordinaria dei viali e delle cunette di sgrondo, attraverso la ricostituzione
delle pavimentazioni danneggiate dagli agenti meteorici (in asfalto o in cubetti
di arenaria). Un'altra importante parte sarà destinata alla completa
sostituzione delle staccionate in legno sul piazzale del Ferdinandeo e sul
parcheggio di via Marchesetti, vecchie di circa 16 anni. Non mancheranno
interventi di arboricoltura e di miglioramento selvicolturale, «con il preciso
obiettivo di prevenire schianti o caduta di rami in corrispondenza della
viabilità interna ed esterna dei parchi». Per il Farneto è prevista inoltre la
riqualificazione della viabilità adiacente all'Orto Botanico (Bosco Biasoletto)
e l'asfaltatura del tratto che dà su piazzale Vivoda. Nel parco di villa Giulia
sarà prolungata per 81 metri (220 metri quadrati) la pavimentazione in arenaria
già esistente nel tratto che interseca via Monte San Gabriele. Saranno inoltre
collocate due bacheche informative in legno agli ingressi del parco di Villa
Giulia, di via dei Baiardi e via dei Muratori. Altri 150mila euro sono stati poi
messi a disposizione per il rinnovo del patrimonio arboreo. L'intervento - come
si apprende dalla relazione tecnica - «risponde alla necessita di reintegrare
un'importante quota dei soggetti arborei abbattuti mediante la messa a dimora di
205 nuovi soggetti, con il principale obiettivo di ottenere una ricomposizione
degli ambienti urbani interessati». Una goccia, ma importante, nel mare del
verde cittadino. Si apprende, infatti, che le alberature presenti lungo i viali
e nei parchi sono costituite da oltre 122mila soggetti arborei di cui circa
15mila censiti. Ogni anno vengono abbattuti mediamente 90 alberi ai quali si
aggiungono 40 abbattimenti di piante disseccate o rese instabili da eventi
meteorici. Nel corso della stagione 2016/2017 sono stati messi a dimora 270
alberi (dal giardino di piazza Libertà alle Rive, da Barcola a viale Miramare).
Così in attesa di sostituzione sono rimasti circa 500 alberi. I 205 previsti dal
nuovo piano riguardano il giardino di Villa Engelmann, quello di Villa Cosulich,
colle di San Giusto, giardino Sartorio, parco pubblico di Altura, via Flavia,
Prosecco e le vie di Borgo San Sergio.Il quarto intervento, da 100mila euro,
riguarda la manutenzione straordinaria delle alberature nelle aree ex Ezit,
lungo i bordi stradali, all'interno delle isole spartitraffico, nonché al di
sotto dei cavalcavia della grande viabilità. Nel piano è prevista la potatura di
tutti gli alberi di via Caboto oltre alla devitalizzazione delle ceppaie
presenti all'interno delle aiuole che invadono i marciapiedi e a volte persino
la carreggiata. Diversi alberi, pericolosi per la viabilità, saranno abbattuti.
Fabio Dorigo
L'esperto - Nimis: «La minaccia più grande arriva dalle
specie infestanti»
Alcuni hanno nomi stravaganti, come Broussonetia papyrifera o Cameraria
ohridella, altri decisamente più banali, come cancro dell'olmo o ailanto, ma
tutti hanno in comune una cosa: sono i principali nemici del verde pubblico a
Trieste. Si tratta di funghi e virus che attaccano gli arbusti fino a farli
morire, ma anche di alberi infestanti, difficilissimi da estirpare, al punto
che, se tagliati alle radici, acquistano nuova forza e si moltiplicano. A
tracciare il quadro delle principali criticità presenti sul nostro territorio è
il professor Pierluigi Nimis, docente di botanica sistematica all'Università di
Trieste: «Il Comune fa benissimo a intervenire sugli alberi malati e
pericolanti, che rischiano di crollare al primo colpo di bora - afferma -. Uno
dei problemi più grossi del nostro territorio e che a mio avviso andrebbe
affrontato quanto prima, però, è quello delle specie invasive arboree e in
particolare dell'ailanto. Si tratta di un albero infestante che ha la tendenza a
crescere sui muri ed è il responsabile di tanti crolli, ma anche della rottura
di marciapiedi e pavimentazioni. A Trieste è diffusissimo».Il famigerato ailanto
è molto difficile da estirpare e la sua eliminazione comporta costi elevati.
«Non basta tagliarne le radici, anzi, facendolo si ottiene l'effetto opposto -
sottolinea Nimis -. Faccio un esempio: nell'ottobre del 2015 il Comune aveva
tagliato una pianta di ailanto su un muro in via Pendice Scoglietto. Risultato:
nella primavera successiva ne erano cresciute altre dieci e adesso c'è un vero e
proprio bosco». Per Nimis la soluzione, seppur non semplice è una sola: «Serve
un piano per l'eliminazione delle specie invasive nelle aree in cui possono
produrre danni futuri. Bisogna più che altro prevenirne la crescita, in
sostanza». Oltre all'ailanto, un'altra specie infestante che si è diffusa in
città è la Broussonetia papyrifera, conosciuta anche come "gelso da carta". La
sua eliminazione, in questo caso, risulterebbe meno difficoltosa rispetto a
quella dell'ailanto. Alle piante infestanti si aggiungono poi le malattie che
colpiscono ippocastani, olmi e platani nei nostri parchi: «Tutti gli alberi che
crescono in un ambiente urbano sono soggetti a malattie - precisa Nimis -. A
Trieste diversi ippocastani sono stati infestati da un lepidottero, la Cameraria:
solo nell'area del "Castelletto" abbiamo dovuto abbatterne quattro. Fa bene
quindi il Comune a individuare gli arbusti malati e intervenire prima che
diventino pericolosi».
Elisa Lenarduzzi
"Adotta un'aiuola" al via - E Duino Aurisina scopre il
verde a misura di tutti
Varato dal Consiglio comunale un progetto che dà la possibilità a
cittadini e associazioni di prendersi cura degli spazi pubblici
DUINO AURISINA - Adottare un'aiuola, per abbellirla, tenerla pulita,
trasformarla in un elemento di attrazione del territorio. A Duino Aurisina ora
si può. Grazie a una delibera approvata all'unanimità dal Consiglio comunale,
associazioni, comunelle e imprese potranno d'ora in poi avanzare richieste che
vanno in tale direzione e diventare gestori di piccole aree verdi. Obiettivo
dichiarato dell'amministrazione quello di «favorire la partecipazione della
cittadinanza nel processo di cura del territorio - si legge nel testo della
delibera - per migliorare la qualità del verde pubblico e per ottimizzare la
manutenzione delle numerose piccole aree verdi presenti nel territorio,
affidandone la cura ad associazioni, comunelle e imprese locali».«Si tratta di
una svolta sotto tutti i punti di vista - commenta l'assessore Andrea Humar,
presentatore della proposta in aula - perché la valorizzazione del territorio,
in un Comune come il nostro, che vede nel turismo una delle sue principali
risorse, è fondamentale e questo è un piccolo ma significativo passo sulla
strada della compartecipazione della collettività alla gestione di un bene
comune come possono essere le aiuole». Ma non basta. Nello spirito di un
ampliamento del concetto di condivisione, nel testo è prevista la possibilità di
estendere la convenzione anche alle aree verdi situate nei pressi dei monumenti
e alle fontanelle. «Ne abbiamo almeno una quindicina - riprende Humar, titolare,
fra le altre, delle deleghe per i servizi sul territorio, l'ambiente e i parchi,
riferendosi proprio alle fontanelle - e sono quasi tutte ferme. Ne funziona solo
qualcuna. Vogliamo che tornino tutte a zampillare perché anch'esse, se ben
curate, contribuiscono ad abbellire il territorio, a renderlo più attrattivo,
capace di calamitare l'attenzione e l'interesse dei turisti». Anche in questo
caso, i destinatari della proposta dell'amministrazione sono associazioni,
comunelle e imprese. La convenzione che questi soggetti andranno a stipulare con
l'amministrazione, che resterà in ogni caso regista delle varie operazioni di
manutenzione che si andranno a eseguire, avrà durata di un anno ma sarà di volta
in volta rinnovabile e comprenderà anche la indispensabile copertura
assicurativa, a garanzia di tutti i soggetti coinvolti. Per il Comune tutte le
operazioni che rientreranno in questo contesto saranno gratuite: il soggetto che
si impegnerà a curare aiuole, fontanelle o aree verdi, lo farà utilizzando mezzi
e attrezzature proprie e non potrà chiedere alcun compenso all'amministrazione.
Ovviamente i soggetti incaricati potranno interrompere in qualsiasi momento la
loro opera, dandone comunicazione all'amministrazione con un preavviso di 15
giorni. Il Comune, da parte sua, avrà sempre facoltà di revocare
l'autorizzazione concessa, in caso di mancato rispetto delle regole contenute
nel testo della convenzione. Eventuali interventi di straordinaria manutenzione
dovranno essere preventivamente concordati con l'amministrazione. Le aiuole e le
fontanelle che diventeranno oggetto della convenzione saranno appositamente
segnalate con cartelloni che saranno realizzati dai soggetti incaricati della
manutenzione.
Ugo Salvini
Mais Ogm - Assolto Fidenato
PORDENONE - Il leader di Agricoltori Federati paladino del mais transgenico
Giorgio Fidenato è stato assolto ieri a Pordenone dal Tribunale penale
dall'accusa di aver violato il divieto di semina di mais Ogm nel 2014 nei suoi
terreni di Fanna e Vivaro (Pordenone). «È l'epilogo normale di quanto ha
stabilito la settimana scorsa la Corte di giustizia europea - ha commentato -
era scontato che venissi prosciolto visto che la sentenza comunitaria è
preminente su quella nazionale».
Dossier Ferriera a Roma - Resta il braccio di ferro sul
futuro dell'altoforno - La Regione: «Aia da rispettare». Il Comune: «Va chiuso»
Proprietà pronta al riavvio alla fine dei lavori all'impianto
Siderurgica Triestina intende riprendere la piena produzione ma per Roberto
Dipiazza la chiusura dell'area a caldo della Ferriera dev'essere definitiva,
mentre la Regione aspetta la valutazione Aia. Intanto l'Arpa ha reso noto che è
pronta la nuova bocca per l'altoforno dell'impianto di Servola. È quanto emerso
ieri a Roma al Ministero dello Sviluppo economico, dove si sono incontrati
rappresentanti del Ministero dell'Ambiente, la Regione, il Comune di Trieste,
l'Autorità portuale e Siderurgica Triestina. La riunione era stata convocata dal
responsabile dell'unità di gestione vertenze imprese in crisi Gianpietro
Castano, allo scopo di verificare lo stato dei lavori di ampliamento del
laminatoio e di inserimento di un impianto di decapaggio nell'area a freddo.
Durante l'incontro Siderurgica Triestina ha ribadito la necessità di ottenere
l'autorizzazione per il laminatoio in tempi brevi e parallelamente ha assicurato
di essere in grado di riprendere la piena produzione al compimento dei lavori
sull'altoforno. A tal proposito Giovanni Arvedi si è espresso garantendo la
tutela della salute delle persone e dei territori: «Le azioni svolte fino a
questo momento sono state importanti. Da parte nostra c'è l'impegno a rispettare
la salute e l'ambiente grazie anche a nuove tecnologie». Roma nel 2015 aveva
autorizzato con un decreto l'azienda siderurgica ad avviare dei lavori di
ampliamento del capannone dove si svolge l'attività a freddo, i quali prevedono
l'inserimento di un impianto di decapaggio. Il procedimento autorizzativo
risulta tuttavia sospeso in attesa del parere della Regione. Quest'ultima si
riserva di pronunciarsi sul tema al termine del processo di valutazione di
impatto ambientale, al momento in corso. Ha dichiarato l'assessore all'Ambiente
Sara Vito: «L'intervento sarà giudicato solo al termine della valutazione
sull'impatto ambientale. Appare in ogni caso come un'ipotesi sostenibile e al
contempo un'occasione di rafforzamento dell'occupazione». E ha aggiunto: «La
ripartenza della piena produzione, una volta finiti i lavori sull'altoforno,
sarà possibile solo dopo la verifica del rispetto delle prescrizioni previste
dall'Autorizzazione integrata ambientale». Sull'area a caldo, Vito ha ricordato
che «a seguito degli sforamenti rilevati nelle deposizioni di giugno è stata
ordinata la limitazione della produzione. Ciò ha comportato un'anticipazione
degli interventi di manutenzione dell'altoforno: interventi che erano già
programmati in precedenza e che adesso sono in corso di effettuazione». Il
sindaco Roberto Dipiazza dal canto suo ha ribadito la necessità di chiudere
definitivamente l'area a caldo. Ha affermato: «Siamo chiaramente favorevoli ai
posti di lavoro che l'ampliamento del laminatoio potrà creare ma non ne possiamo
più dell'area a caldo, che non è un problema solo per Trieste ma anche per
Muggia e Capodistria, come abbiamo potuto vedere dagli spolveramenti di
quest'estate». Ha proseguito il sindaco: «Abbiamo ribadito la nostra massima
disponibilità per lo sviluppo della linea a freddo dello stabilimento, ma anche
la posizione della città relativamente alla necessità della chiusura dell'area a
caldo, visti i problemi che provoca». Al summit romano erano presenti anche il
direttore generale del Comune Santi Terranova, il capo di Gabinetto Vittorio
Sgueglia Della Marra e il segretario generale dell'Autorità portuale Mario
Sommariva. Nel frattempo l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente ha
reso noto che la nuova bocca dell'altoforno è arrivata: «Sarà installata nei
prossimi giorni - ha fatto sapere attraverso un comunicato -. Lo spegnimento
dell'altoforno è preceduto da una fase preparatoria di diversi giorni. Questo
spiega i rumori sentiti a Servola la notte tra 24 e 25 settembre: durante la
transizione possono ancora verificarsi delle sovrappressioni con l'apertura
delle valvole di sicurezza. Sempre il 25 settembre è stata interrotta
l'alimentazione dell'aria calda»
Lilli Goriup
Muggia e Barcolana unite nel segno delle bici - Presentata la pedalata da piazza Marconi a Punta Sottile in programma nella domenica della regata
MUGGIA - Un inedito connubio fra barche a vela e biciclette. Questa la formula, denominata "Barcolana in bici", che saluterà, nel giorno della Barcolana, l'ingresso ufficiale del Comune di Muggia nella compagine organizzativa della Regata d'Autunno. Nella mattinata della Barcolana, domenica 8 ottobre, tutti i cicloamatori che avranno dato la loro adesione alla manifestazione arriveranno a punta Sottile, al termine di un percorso che inizierà in piazza Marconi, a Muggia. Potranno così salutare dalla riva i partecipanti alla regata, impegnati in uno dei passaggi più spettacolari, cioè quello attorno alla boa situata proprio di fronte a punta Sottile. Obiettivo degli organizzatori, quello di accomunare, in un ideale abbraccio, gli appassionati di due discipline che hanno entrambe come caratteristica l'amore per la natura. Ma il programma della giornata comprenderà anche altri momenti: già alle 9.30, coloro che amano i percorsi più lunghi in bici, potranno presentarsi all'appuntamento fissato dalla Fiab "Trieste Ulisse" in piazzale Valmaura, da dove si pedalerà per arrivare in piazza Marconi, in tempo per aggregarsi al gruppo che partirà dal centro di Muggia diretto a Punta Sottile, scattando in esatta contemporanea con il colpo di cannone che segna, tradizionalmente, la partenza della Barcolana. In piazza Marconi, a rendere ancor più suggestiva la partenza dei ciclisti, ci saranno i rappresentanti del Carnevale di Muggia, che stanno preparando per quella giornata festose sorprese per tutti. All'arrivo a punta Sottile ci sarà Maxino, per un breve concerto. Nell'arco della mattinata sarà conferito il premio "Morbìn" al bambino, alla donna e all'uomo che avranno indovinato la maschera più divertente e adatta alla situazione, nello spirito più autentico del Carnevale muggesano. «Muggia era ed è un interlocutore naturale della Barcolana - ha detto in sede di presentazione dell'evento Mitja Gialuz, presidente della Società velica Barcola Grignano, organizzatrice della Barcolana - e questo nuovo arrivo permette alla nostra regata di allargare i propri orizzonti. Il nostro ringraziamento per questa novità va a Laura Marzi, sindaco di Muggia, a Dario Motz, presidente del Circolo della vela di Muggia e a tutti coloro che si adopereranno per la riuscita dell'evento. Abbiamo anche messo in palio una bicicletta - ha aggiunto - che andrà al primo muggesano classificato nella classe "crociera", per dare un segnale in vista delle prossime edizioni. Il fatto che si sia scelta la formula della pedalata non competitiva - ha concluso - rispecchia appieno lo spirito della Barcolana». Marzi ha sottolineato «l'importanza dell'iniziativa per la promozione del territorio muggesano». All'organizzazione della "Barcolana in bici" partecipano anche Bora.La e Circolo della Vela di Muggia.
INIZIATIVA DIDATTICA - La Grande Macchina del Mondo per capire lo sviluppo sostenibile
Dopo il successo delle prime due edizioni, torna La Grande Macchina del Mondo, il programma gratuito di iniziative didattiche del Gruppo Hera e promosso da AcegasApsAmga. La proposta educativa che abbraccia i temi legati alla sostenibilità, è rivolta a tutte le scuole di Trieste, dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di primo grado. Dal 25 settembre, è possibile iscriversi fino a sabato 21 ottobre, compilando il modulo on-line all’indirizzo, sempre disponibile: www.gruppohera.it/scuole. Grazie a La Grande Macchina del Mondo gli insegnanti possono scegliere fra un catalogo di attività che spaziano su ambiente (recupero, riciclo, prevenzione della produzione del rifiuto), acqua ed energia: si tratta in tutto di 27 proposte, completamente gratuite per le scuole richiedenti. Una volta consultato il catalogo, disponibile sia on-line (area scuola del sito istituzionale www.acegasapsamga.it), che cartaceo presso la sede AcegasApsAmga, gli insegnanti potranno richiedere la partecipazione alle attività, iscrivendosi al link sopra indicato. La Grande Macchina del Mondo è realizzata in collaborazione con il Comune di Trieste e le cooperative sociali Atlantide e La Lumaca, oltre al WWF - Area Marina Protetta di Miramare che cura la parte didattica operativa nel territorio. Giunta alla sua 3° edizione, La Grande Macchina del Mondo, ha già dimostrato un ampio apprezzamento da parte degli insegnanti del territorio servito. Nella 2° edizione il progetto, nel solo Comune di Trieste, ha coinvolto circa 130 classi da oltre 30 scuole, per un totale di oltre 2.600 bambini sui 9.500 coinvolti in tutto il territorio servito da AcegasApsAmga. Il programma è frutto di un'ampia esplorazione effettuata dalla multiutility fra le maggiori e più quotate realtà nazionali operanti nel campo della didattica ambientale, si basa su un’offerta in grado di coinvolgere i bambini su temi strategici per il futuro del Pianeta.
BREVI - MARTEDI', 26 settembre 2017
Inquinamento delle acque e conseguenze sulla catena
alimentare umana e sulle rotte marittime.
È il tema di un incontro organizzato dal Propeller Club di Trieste che si e'
tenuto all’Hotel Greif Maria Theresia di Trieste con ill titolo “Un mare di
plastica: inquinamento delle acque, conseguenze sulla catena alimentare umana e
sulle rotte marittime”. I relatori hanno evidenziato che le conseguenze
dell'inquinamento marino causato dalla plastica sono state recentemente
riportate alla ribalta della cronaca quotidiana a seguito degli ultimi studi
scientifici, che descrivono, di fatto, una catastrofe annunciata. Anche se il
Mare Mediterraneo e l'Adriatico risultano tra i meno inquinati, la mappa della
distribuzione delle microplastiche nelle acque del pianeta non lascia spazio a
grossi dubbi sulla reale portata del fenomeno. Nel corso dell'incontro si e'
accennato piu' volte alla questione delle “isole di plastica”, superfici di
detriti estese quanto uno Stato europeo, tanto da essere note alle navi
commerciali che talvolta deviano le proprie rotte per evitarle. Sono
intervenuti: Maria Cristina Pedicchio, presidente dell'Istituto Nazionale di
Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS), Paola Del Negro, direttrice
della sezione di Oceanografia dell'OGS, Roberto Gasparetto, direttore generale
dell'AcegasApsAmga, Mario Carobolante, presidente del Collegio Capitani di
Trieste e Carlo Franzosini della Riserva di Miramare.
IL PICCOLO - MARTEDI', 26 settembre 2017
In partenza la bonifica nei giardini inquinati -
Priorità al nuovo manto erboso fuori dalle scuole don Chalvien e Biagio Marin.
La "carta" del fito-rimedio
Scatta tra qualche giorno, ai primi di ottobre, il piano di bonifica del
Comune per risolvere una volta per tutte l'annoso problema dei giardini
inquinati. Si comincia con le due scuole in cui sono state rinvenute tracce di
contaminazioni superiori ai limiti di legge: la don Chalvien di via Svevo e la
Biagio Marin di via Marco Praga. Qui, hanno confermato in conferenza stampa gli
assessori ai Lavori pubblici Elisa Lodi e all'Ambiente Luisa Polli, i tecnici
procederanno con lo "scotico" (l'asportazione) di 20 centimetri di terreno e la
successiva sostituzione con altri 30. Un modo per ricreare un nuovo manto
erboso. In questa prima fase, ha precisato Lodi, si provvederà anche alla posa
di ghiaia e zolle nelle aree gioco del Tommasini di via Giulia, di piazzale
Rosmini e della pineta Miniussi di Servola. Le aree verdi, hanno garantito i due
assessori, saranno sottoposte a interventi di pulizia e manutenzione a cadenza
quadrimestrale. «I lavori delle scuole - così Lodi e Polli - saranno svolti in
massima sicurezza, evitando rischi di contaminazioni di poveri inquinate, e si
concluderanno entro 100 giorni. Gli interventi di manutenzione avranno invece
una durata annuale». L'iter prevede anche un secondo step: la semina di piante
capaci di assorbire le sostanze tossiche del terreno. È il fito-rimedio, tecnica
su cui il Comune punta molto. A questo proposito il Municipio ha avviato uno
studio, anche in collaborazione con l'Università e l'Arpa. Il progetto dovrebbe
concludersi già tra la fine di ottobre e la prima metà di novembre, così da
poter iniziare con le nuove piantumazioni nella prossima primavera. La soluzione
del fito-rimedio è frutto della volontà espressa da commissioni e Consiglio
comunale ed è stata approvata dal ministero della Sanità. «Il piano predisposto
dall'amministrazione comunale in accordo con il tavolo tecnico regionale - ha
rilevato Polli - è stato approvato dal ministero. Questo ci consente da una
parte di partire con una pulizia immediata dei giardini della scuole e
successivamente d'intervenire con il fito-rimedio nelle restanti parti verdi che
sono state individuate. Tutto ciò rientra in uno stralcio del Piano regionale
per l'inquinamento diffuso. Una volta effettuato il risanamento, attraverso il
previsto monitoraggio che potrà contare sull'utilizzo di specifici deposimetri,
sarà possibile anche verificare ed individuare le fonti inquinanti».
Gianpaolo Sarti
Giù le tasse a Muggia per chi si prende cura del verde
pubblico
MUGGIA - L'area del monte Castellier, il castello di Muggia, il parcheggio
della farmacia di Aquilinia, il campo di basket di Zindis, le aiuole di largo
Caduti della libertà. Sono solo alcune delle zone che verranno curate da
residenti e associazioni muggesane da ottobre a dicembre in cambio di uno sconto
sulle tasse. In palio, da spalmare, ottomila euro. Il piano pulizie rientra
nella cosiddetta "Cittadinanza attiva" promossa dal Comune. «La gestione dei
beni comuni condivisa tra amministrazione e cittadini è tema di attualità in
tutto il Paese: l'idea di un impegno civico costante si sta facendo strada anche
nel nostro Comune e sono sicura che, oltre alle persone che hanno già aderito,
ce ne sono molte altre pronte a dare una mano», racconta l'assessore Laura
Litteri. Grazie a tanta buona volontà da ambo i lati, infatti, a Muggia non sono
mancati esempi di collaborazioni riuscite. Ora, però, il Comune ha deciso di
compiere un salto di qualità, sostenendo proposte progettuali di collaborazione
di cittadini singoli e/o associati aventi ad oggetto "interventi complementari e
sussidiari alle attività svolte dall'amministrazione comunale, volti a
promuovere lo sviluppo della cittadinanza attiva, la cura del territorio e la
tutela del decoro urbano". Le modalità per aderire? Semplici. Bisogna iscriversi
all'albo della Cittadinanza attiva, descrivere brevemente quello che si intende
fare e presentarlo agli uffici del Comune e poi sottoscrivere un Patto di
collaborazione. Il Comune premierà il cittadino volonteroso con degli sconti
sulle tasse locali. «Concretamente, il controvalore dei progetti sin qui
definiti con la firma del Patto di collaborazione per il periodo
ottobre-dicembre si attesta intorno agli ottomila euro», aggiunge Litteri. Tali
esenzioni-riduzioni verranno applicate su imposte o canoni dovuti nell'anno
successivo rispetto a quello in cui l'intervento viene realizzato, quindi nel
2018, e saranno determinate in ragione del valore economico e sociale del
progetto proposto e definito nel Patto. Una volta conclusi gli interventi,
quindi, gli interessati - attraverso un apposito modulo - ne daranno
comunicazione al Comune che potrà procedere alle necessarie verifiche a seguito
delle quali potranno essere riconosciute le detrazioni. Il Comune ha individuato
per ora undici aree di intervento che possono costituire oggetto di presa in
carico totale o parziale da parte dei cittadini. Ecco la mappa: Aquilinia (a
fianco della farmacia), Montedoro (a fianco del market), spazio pubblico a
Chiampore, via San Giovanni (i condomini a fianco della Coop), salita Muggia
Vecchia, via Mazzini, incrocio tra via Frausin e via Matteotti, largo Caduti,
giardino e area sotto il Castello, e infine l'area gioco della scuola di Zindis
(parco Robinson). «Sono interventi prevalentemente di manutenzione e pulizia di
aree verdi - conclude Litteri - con in alcuni casi l'abbellimento del verde, o
interventi di pulizia e cura di spazi urbani, con opere di micromanutenzione
quali ad esempio piccole riparazioni, pitturazioni, sistemazioni di panchine e
pulizie della segnaletica».
Riccardo Tosques
PORTO VECCHIO - La firma sul rilancio - Il via dalla
rotatoria -
Regione, Comune e Authority siglano l'intesa col ministero sui 50 milioni
per l'antico scalo: polo museale, Icgeb e viabilità
Comincerà dalla realizzazione della rotatoria di viale Miramare il piano di
riqualificazione del Porto vecchio, di cui è stato firmato ieri l'accordo
operativo da 50 milioni da parte di Regione, Comune e Autorità portuale. Viene
dunque messo nero su bianco l'impegno delle istituzioni locali, d'intesa con il
ministero dei Beni culturali, ad attuare le prime misure previste dal Cipe nel
2016 per gli interventi legati alla creazione del polo museale, al trasferimento
dell'Icgeb, alla sistemazione dell'Ursus e alle opere di viabilità e
infrastrutturazione per il funzionamento dell'area. Le risorse sono state
riconosciute dal governo con l'obiettivo di realizzare il Museo del mare nei
10mila metri quadrati dei magazzini 24 e 25, il cui restauro e successivo
allestimento prevedono un costo complessivo di 23 milioni. La seconda parte del
finanziamento - pari a 10 milioni - è destinata al trasferimento
dell'International centre for genetic engineering and biotechnology al magazzino
26: la collocazione assorbirà 20mila metri quadrati su 35mila e la parte
restante potrebbe essere occupata dall'Immaginario scientifico, di cui è allo
studio il possibile trasloco. Le infrastrutture urbane (illuminazione e reti
elettriche, idriche e fognarie) richiederanno 9 milioni e altri 5 saranno
investiti sulla viabilità interna e sulla rotatoria da imboccare in viale
Miramare. Gli ultimi 3 milioni sono assegnati al recupero dell'Ursus. Nel corso
della stipula, la presidente Debora Serracchiani ha ribadito la sua intenzione
di «sottoporre al Comune e all'Autorità portuale la proposta di costituire una
società di scopo, che coinvolga anche le più importanti realtà economiche del
territorio, per attrarre investimenti internazionali, idee e competenze per il
recupero e il rilancio dell'intera area». Sarà questa società, nelle intenzioni
delle istituzioni, a valutare le proposte che dovrebbero essere raccolte sulla
base delle linee strategiche preparate da Ernst&Young, ma criticate ieri dal
sindaco Roberto Dipiazza, secondo cui «è discutibile un piano costato 200mila
euro e non tradotto in inglese».Dipiazza mostra comunque ottimismo: «È un
momento molto importante per il presente e il futuro di Trieste, che non ha mai
avuto il vento in poppa come ora. Lavoriamo tutti insieme, di comune accordo
come non è mai successo». Gli uffici del Comune hanno approntato in estate la
prima fase di progettazione, senza aspettare la firma dell'intesa. «In questo
modo - spiega Dipiazza - già nel pomeriggio incontrerò il soprintendente del Fvg
Corrado Azzollini, per affrontare il nodo della viabilità, a partire dalla
rotonda a 500 metri dal ponte di ferro di Barcola». Al centro del confronto
anche il parcheggio sul terrapieno, da destinare alle società nautiche. La
progettazione esecutiva dovrà essere conclusa entro il 2019 e Dipiazza promette
che «per il 2020 saremo pronti per l'arrivo degli scienziati di Esof». Il
sindaco corre parecchio rispetto alle effettive possibilità di realizzazione, ma
Serracchiani lo spalleggia: «Oggi apriamo il Porto vecchio e definiamo tempi e
ruoli dei vari soggetti», tra cui quello della Regione che, in qualità di
beneficiario del contributo, farà sostanzialmente da cassa, mentre Comune e
Autorità portuale svolgeranno il ruolo di soggetti attuatori. Il presidente
dello scalo, Zeno D'Agostino, ha rimarcato il valore dell'operazione: «Qualcuno
diceva che i 50 milioni non c'erano e invece ci sono e ci saranno. Sono i primi
50 milioni necessari ed è chiaro che ne servono altri». Per la governatrice, «il
lavoro da fare è molto e questo intervento riguarda solo un piccolo pezzo
dell'area, ma cominciamo intanto a spendere i soldi che abbiamo ottenuto e
intanto lavoriamo per attrarre nuove risorse». Per il capogruppo alla Camera,
Ettore Rosato, «si tratta di un passo avanti importantissimo sul percorso che
riguarda il futuro della nostra Trieste. Il governo ha investito molto sulla
città e altre risorse potranno arrivare prossimamente, se sapremo dimostrare
capacità di spendere presto e bene». Solo un elemento del piano divide Regione e
Comune, con Dipiazza e Serracchiani lontani sul valore attribuito all'Ursus. La
presidente ha puntualizzato che «l'unicità a livello europeo di Ursus verrà
finalmente valorizzata, facendolo diventare un simbolo di Trieste, grazie a
lavori che prevedono la musealizzazione della sala macchine e l'installazione
sulla gru di un ascensore a scopo turistico». A suo tempo, il sindaco si era
augurato l'affondamento dello storico pontone e anche ieri non ha risparmiato
una frecciata: «La prima notte di bora taglierò gli ormeggi e lo lascerò libero
di andare per l'Adriatico», ha scherzato, venendo subito rimbrottato altrettanto
ironicamente da Serracchiani: «Ursus sarà guardato a vista».
Diego D'Amelio
Sèleco in Porto vecchio con 50 posti di lavoro -
L'azienda produttrice di tv attratta dai vantaggi della zona franca di Trieste
Previsto a giorni il trasferimento in città anche della sede legale ora a
Milano
Sèleco, lo storico marchio italiano produttore di elettrodomestici ed
elettronica di consumo, trasferisce la sua sede legale e il suo stabilimento
produttivo a Trieste. L'Autorità portuale ha appena rilasciato un'autorizzazione
di anticipata occupazione del Magazzino 5 in Porto vecchio. È la prima azienda
che opera in ambito non portuale a sbarcare a Trieste - prospettando una
cinquantina di posti di lavoro -, attratta dall'accelerazione sul regime di zona
franca. È l'inizio di un processo che il presidente dell'Autorità portuale
dell'Adriatico Orientale, Zeno D'Agostino, aveva anticipato all'entrata in
vigore del decreto che regolamenta le nuove free zone di Trieste. Allora infatti
raccontò di una decina di investitori fortemente interessati alla zona
extradoganale, aggiungendo che entro la fine dell'anno avremmo assistito ai
primi insediamenti di nuove aziende che opereranno in regime di Punto franco
anche per realizzare trasformazioni industriali. «L'anticipata occupazione è
stata rilasciata per consentire alla Sèleco di iniziare immediatamente i lavori
che permetteranno di mettere a norma quella struttura e di trasformarla nel loro
stabilimento - precisa D'Agostino che non nasconde soddisfazione per la riuscita
dell'operazione -, ora servono i tempi tecnici per sbrigare questioni
amministrative e poi nell'arco di qualche settimana verrà rilasciata la
concessione». A operare in attività non portuale in regime di zona franca c'è
già anche Saipem, la società del gruppo Eni di carattere logistico-marino,
titolare di una concessione decennale in forza della quale gestisce l'area su
cui è operativo il capannone 23. Il magazzino 5 dove sbarcherà Sèleco è invece
adiacente alla sede distaccata dei Vigili del fuoco in Punto franco vecchio, e
vanta un'estensione di 6mila metri quadrati. Sèleco spa attualmente ha sede
legale a Milano e strutture operative nel capoluogo lombardi e a Como. Ma il
marchio di tv venne fondato nel 1965 a Pordenone. Nei mesi scorsi era stata
annunciata la riapertura con rilancio proprio dello storico stabilimento
produttivo di Pordenone. Un progetto che comunque non verrà abbandonato,
precisano dell'azienda, anche se l'operazione Trieste ne farà inevitabilmente
slittare i tempi. «Abbiamo deciso di ripartire proprio dal Fvg e da Trieste in
particolare - spiega Aurelio Latella, consigliere di amministrazione delegato di
Sèleco e di origini triestine - attratti certamente dal regime di Porto franco,
ma anche dal fermento che si respira oggi in questa città che ha caratteristiche
che incarnano il nostro progetto legato all'innovazione. Non si tratta però di
un addio a Pordenone: la città si inserirà in un progetto più ampio». Entro una
decina di giorni la sede legale verrà spostata a Trieste in uno studio
professionale sulle Rive. «Siamo felicissimi per l'anticipata occupazione -
dichiara Latella -, a breve partirà il progetto operativo per convertire il
magazzino nello stabilimento in cui faremo progettazione, assemblaggio,
stoccaggio e commercializzazione». Entro pochi mesi verranno aperti a Trieste
gli uffici amministrativi della spa «mentre per l'inizio della produzione e
l'entrata a regime dello stabilimento servirà più tempo ma meno di un anno»,
assicura. L'azienda avvierà anche nuove assunzioni. «A regime, nella prima fase,
lavorerà una cinquantina di persone», valuta Latella. L'idea di spostare la sede
a Trieste è nata di recente. «Ad agosto con esattezza - racconta il manager -,
abbiamo colto che quell'area stava diventando il punto di massima energia del
territorio, con opportunità incredibili, peculiarità uniche supportate anche da
un grande sostegno delle istituzioni». Sèleco, nei mesi scorsi, ha affidato a
dei professionisti triestini uno studio di valutazione sui vantaggi che
l'azienda avrebbe tratto dall'operare in regime di zona extradoganale. Viste le
prospettive, il cda ha deliberato per lo spostamento. «Devo sottolineare che le
istituzioni, Autorità portuale e Comune, hanno dimostrato concretezza,
competenza e rapidità: valori aggiunti per un'azienda che intende prendere una
decisione così importante», aggiunge Latella. Il quale, in veste anche di
imprenditore nell'ambito dell'innovazione e del design, anticipa che «Sèleco
farà da apripista per altri progetti, ora allo studio, per quella zona». Il
gruppo Sèleco, proprietario anche del marchio Magnadyne e produttore pure delle
cuffie audio e radio Dab, ha da sempre una particolare sensibilità per lo sport.
Oggi è sponsor della Lazio, del Napoli basket, della Pallanuoto Catania e con il
marchio Magnadyne dell'Udinese e della Spal. Un aspetto che lascia intravedere
la possibilità di veder comparire il logo Sèleco anche sulle maglie della
Triestina calcio
Laura Tonero
«Recuperi saltuari» - Bocciato a San Dorligo il "porta
a porta"
I residenti lamentano la scarsa frequenza del ritiro dei rifiuti - E alla
fine c'è chi li carica in auto e cerca altrove un cassonetto
SAN DORLIGO DELLA VALLE - C'è malumore tra i residenti di San Dorligo della
Valle per il nuovo sistema di raccolta differenziata introdotto dallo scorso 1°
luglio: nel mirino, in particolare, il ritiro cadenzato dell'immondizia nei
diversi giorni della settimana, prassi che costringe i residenti a tenere in
casa, per giorni, i sacchetti pieni di rifiuti con tutti i problemi legati agli
odori e alla presenza di insetti.«I passaggi degli addetti alla raccolta non
sono frequenti e chi vive in appartamento, senza avere la possibilità di uno
spazio all'esterno dove sistemare le immondizie, ha serie difficoltà: alcuni
rifiuti puzzano» sostengono i residenti. «I sacchi appesi fuori dai cancelli per
ore, poi, non sono certo uno spettacolo degno del nostro bel territorio. Senza
contare che quando c'è Bora forte si spaccano» aggiungono. «Con un sistema così
complesso c'è il rischio che i residenti si carichino i sacchi della spazzatura
in automobile per gettarli nel primo bottino che incontrano sulla strada per
Trieste» rincara la dose il consigliere comunale dell'opposizione Boris Gombac.La
riorganizzazione della raccolta prevede che la A&T 2000, l'azienda incaricata
del servizio, passi a raccogliere il secco, l'indifferenziata, che va posta nei
sacchetti rosa, ogni mercoledì. Plastica e lattine vanno sistemati in sacchetti
azzurri e vengono ritirati il giovedì. I sacchi vanno esposti entro le 7 del
giorno di raccolta e vengono raccolti entro il pomeriggio. I residenti si sono
dovuti dotare di diversi contenitori: quello del vetro viene svuotato il
giovedì, ogni due settimane; quello dell'organico il martedì e il venerdì,
mentre quello blu della carta ogni due settimane in giornate diverse a seconda
della zona.«Noi viviamo in un condominio a Lacotisce - racconta Miriam, che nei
giorni scorsi ha anche chiamato il Comune per sollecitare la sistemazione di
isole ecologiche almeno in determinate zone - e non abbiamo parti comuni dove
sistemare i contenitori. Di conseguenza tutti tengono le immondizie per giorni e
giorni in casa con evidenti problemi di odori e insetti». «Chi ha dei bimbi è
costretto a tenersi per giorni interi i pannolini nei sacchetti, idem chi, ad
esempio, deve cambiare la lettiera al gatto: è evidente che andando verso
Trieste o in Slovenia la tendenza è quella di liberarsi delle immondizie
altrove, nel primo cassonetto che si trova».Nonostante le critiche, il sindaco
Sandi Klun è convinto della strada intrapresa: «Serviranno dei mesi per
abituarsi - ammette -, ma presto si inizieranno a vedere i risultati. Il rischio
che qualcuno confluisca altrove le immondizie c'è - valuta -, ma siamo gente che
ha rispetto del territorio: confido molto nella civiltà e nella serietà nei miei
cittadini. Per rifiuti come i pannolini - precisa - è previsto che si possa
usare un sacchetto verde, di materiale più grosso e coprente, con un passaggio
extra il sabato». Klun spiega che il nuovo sistema è stato introdotto con la
volontà di superare il 65% della raccolta differenziata (obiettivo imposto dalla
legge già per il 2012) e di migliorare la qualità dei rifiuti raccolti per
avviarli al recupero, ottenendo maggiori contributi dai consorzi della filiera
Conai. «Il sistema attuale di raccolta è più serio di quello precedente -
osserva -. Prima c'era troppa indifferenziata, con costi di smaltimento
importanti da sostenere».
Laura Tonero
Capodistria-Divaccia - ok dal referendum - Il governo
avvia l'iter
Nascerà la società 2TDK che gestirà il progetto del raddoppio e avrà una
concessione di 45 anni sulla nuova infrastruttura
LUBIANA - Raddoppio della linea ferroviaria Capodistria-Divaccia, scampato
pericolo e ora il governo di Lubiana va avanti per la sua strada. Al referendum
di domenica, infatti, hanno vinto i favorevoli alla legge che era stata varata
dall'esecutivo per la realizzazione dell'importante infrastruttura che dovrebbe
dare ossigeno al Porto di Capodistria e garantirne lo sviluppo commerciale. La
consultazione popolare ha visto prevalere, come detto, i favorevoli alla legge
con il 53,46% mentre ai contrari è andato il 46,54% pari a 161.562 voti. Per
abolire la legge ne servivano comunque 342.706 ovvero il 20% degli aventi
diritto al voto e dovevano essere ovviamente superiori a chi si è espresso a
favore. I promotori del referendum però non si arrendono e preannunciano
battaglia in sede di Corte costituzione e di Corte dei conti. I contrari,
infatti, sostengono che il piano finanziario contenuto nella norma è
assolutamente fumoso e privo delle necessarie coperture per realizzare l'opera i
cui costi si aggirano su 2 miliardi.Il premier Miro Cerar ha affermato che «la
scarsa affluenza alle urne (ha votato il 20,48% degli aventi diritto ndr.) ha
dimostrato che gli elettori sono stanchi dei giochetti politici e che desiderano
che il governo faccia il suo lavoro, proprio come abbiamo progettato di fare,
senza ritornare al passato, ma puntare al futuro con la realizzazione del
secondo binario» lungo la Capodistria-Divaccia. «È giunto il momento - ha
ribadito ancora il premier - che realizziamo quest'opera per il bene di Luka
Koper (la società che gestisce il porto di Capodistria ndr.), delle Ferrovie
della Slovenia e dell'economia della verde Slovenia». «Così il nostro Paese - ha
concluso - sarà concorrenziale e visibile sulla carta geografica mondiale dei
trasporti». Alle parole del premier fanno eco quelle del ministro delle
Infrastrutture Peter Gaspersic il quale ha promesso agli elettori, a nome anche
dell'intero governo, che «con il progetto lavoreremo in modo ottimale e
trasparente, collaboreremo nella sua realizzazione con le istituzioni europee,
la Commissione Ue e la Banca europea per gli investimenti (Bei) perché alcune
cattive esperienze del passato non abbiano a ripetersi». Da un punto di vista
operativo con la conferma della validità della legge sul secondo binario sancita
dal voto referendario inizierà il lavoro della società 2TDK (istituita proprio
dalla norma in oggetto) che si occuperà della progettazione dell'infrastruttura,
del suo finanziamento e ne diventerà concessionario per 45 anni. Nelle prossime
settimane saranno aperte le buste relative alle offerte per la preparazione dei
lavori lungo la traccia Capodistria-Divaccia, mentre il Parlamento sarà chiamato
ad esprimersi sull'ingresso di capitale ungherese, pari a 200 milioni, nella
società 2TDK, passo questo sul quale in passato i socialdemocratici (Sd) e il
Partito dei pensionati (Desus), entrambi parte della coalizione di governo,
hanno però espresso ad alta voce seri dubbi. Anche se il Parlamento dovesse
bloccare l'ingresso di capitali stranieri nella 2TDK il processo per la
realizzazione dell'infrastruttura proseguirebbe, ma con un aggravio di costi per
i bilanci dello Stato a causa dei maggiori interessi che si dovranno pagare a
fronte di un accresciuto importo del debito da accendere per pagare i lavori, la
cui somma principale dovrebbe essere erogata dalla Bei. Lubiana conta molto
anche sui fondi europei visto poi che l'attuale commissario Ue ai Trasporti è la
slovena Violeta Bulc, il che non guasta.«L'Ungheria - ha detto il consigliere
della società 2TDK Metod Dragonja - ovviamente si aspetta di avere dei vantaggi
dalla sua partecipazione allo sviluppo del progetto e questi consistono
sostanzialmente a un più facile accesso all'infrastruttura». Ed è proprio questa
"contropartita" che viene osteggiata con forza dai lavoratori di Luka Koper che
hanno fermamente nei giorni scorsi dichiarato la loro contrarietà alla legge,
peraltro domenica confermata dal referendum.
Mauro Manzin
IL PICCOLO - LUNEDI', 25 settembre 2017
Senza petrolio? - Si può - LE ENERGIE PULITE OFFRONO
RENDIMENTI SEMPRE PIÚ AFFIDABILI
Le risorse di gas non bastano, i pozzi di petrolio vanno verso il
prosciugamento, le vene di carbone si esauriscono. I combustibili fossili che
garantiscono - al caro prezzo dell'inquinamento globale e dell'effetto serra -
energia per riscaldare case, avviare automobili, far marciare industrie non
avranno vita eterna. Le previsioni sono tutt'altro che rosee: secondo l'ultima
Statistical Review of World Energy del British Petroleum le riserve mondiali di
petrolio (gas e condensati compresi) ci consentiranno di arrivare fino al 2067.
Di lì in poi, addio auto a benzina, diesel o gpl. A meno che i consumi non si
riducano nei prossimi decenni. Ed, ciò che sta già accadendo. Per il Fondo
monetario internazionale (Fmi) - che ha pubblicato nei mesi scorsi un dossier -
la ragione va ricercata nello sviluppo di nuove tecnologie: più affidabili,
pulite, sicure ed economiche. Così, gli analisti - per la prima volta - hanno
iniziato a sbilanciarsi, a scrivere che stiamo già vivendo «nell'ultima età del
petrolio». Ma anche in quella del carbone, ritenuto ormai troppo inquinante,
costoso e quindi in forte recessione. Tra i combustibili fossili regge solo il
metano, pulito e disponibile in quantità. Ma per gli esperti resta una soluzione
"locale" che diventa investimento esoso quando c'è da creare reti tra nazioni e
continenti. Con il nucleare ormai sorpassato - per costi, tecnologia e,
soprattutto, sicurezza - potrebbero essere le rinnovabili il vero motore della
Terra nel prossimo futuro. Molte nazioni si stanno già muovendo: in Inghilterra
nel 2016 l'eolico ha superato il carbone, la Francia conta di diventare
totalmente verde nel 2040, la Germania nel 2020 e l'accordo di Parigi ha
vincolato 195 paesi (gli Usa si sono tirati indietro in un secondo momento)
all'utilizzo di strategie che prevedano la produzione di energia pulita. Ma può
davvero esistere un mondo che marcia al 100% grazie alla forza prodotta dal
sole, dal vento, da fiumi, mari o biomasse? Nel decennio scorso quasi la
totalità della comunità scientifica avrebbe scosso la testa, perché le capacità
di "produzione" di queste fonti erano molto ridotte; oggi invece una fetta
sempre più consistente di scienziati e ricercatori si dice possibilista e lavora
su ricerche a supporto di questa tesi. L'ultima, in ordine di tempo ed
importanza, risale all'inizio del 2017. È uno studio dell'equipe guidata da Mark
Jacobson, professore di ingegneria civile alla Stanford University, dove sono
stati analizzati 139 paesi (i produttori del 99% delle emissioni di anidride
carbonica sulla Terra). Per ogni nazione è stata stilata una tabella di marcia
che prevede la totale conversione alle rinnovabili con centrali già esistenti o
realizzate ex novo (costi sostenibili). Se applicate, le tabelle di marcia
porterebbero l'intero pianeta alla totale produzione di energia pulita entro il
2050.
Rino Bucci
Armaroli (Cnr): «Non abbiamo scelta il futuro è questo»
La transizione verso un "mondo pulito" già è iniziata. Nei prossimi anni
serviranno coscienza e lungimiranza per arrivare alla copertura dell'intero
fabbisogno energetico con le sole fonti rinnovabili. Di rischi, nuove sfide e
conversione abbiamo parlato con Nicola Armaroli, 51 anni, dirigente di ricerca
del Cnr, esperto in nuovi materiali per la conversione dell'energia solare. Ha
pubblicato oltre 200 lavori e sette libri ed è direttore della rivista "Sapere".
Professore, arriveremo a soddisfare il fabbisogno energetico mondiale con le
sole fonti rinnovabili? «È tecnicamente possibile e non vi è alternativa. Il
sole invia sulla Terra, in un'ora, l'energia che l'umanità consuma in un anno. È
l'unico apporto che la Terra riceve dall'esterno ed è la soluzione definitiva.
La transizione è già incominciata ma serviranno almeno 30 anni». Stiamo vivendo
l'ultima era del petrolio? «Il petrolio vive una crisi profonda. Il prezzo resta
basso per una guerra tra produttori, terrorizzati all'idea che il trasporto
elettrico prenda piede. I giacimenti di petrolio "facile" si svuotano, quelli
nuovi sono ormai tutti "non convenzionali" (ad esempio a grande profondità in
mare) con costi economici e ambientali enormi. I margini di guadagno sono ormai
irrisori: i distributori si trasformano in negozi o bar. È il segnale che
un'epoca sta per finire». Quali sono le fonti rinnovabili più promettenti e
utilizzate? «Quasi tutte le rinnovabili derivano dal sole: ad esempio vento,
flussi fluviali e biomasse sono solari indirette. Al consumatore servono
elettricità e combustibili. Sulla prima siamo a buon punto, le rinnovabili
coprono già il 25% della domanda elettrica mondiale con eolico e fotovoltaico in
grande crescita. Sui combustibili siamo più indietro: dovremo spostarci
sull'elettrico, a partire dai trasporti». Quali paesi stanno spingendo di più
sull'energia pulita? «Quasi tutti, inclusi i paesi produttori di petrolio. La
Cina è leader mondiale: le rinnovabili battono da anni carbone e nucleare. Il
ritorno di Trump al carbone è un bluff, gli Usa non potranno rinunciare alla
supremazia tecnologica nei settori energetici innovativi. L'India annuncia un
grande piano per la mobilità elettrica. In Italia abbiamo raggiunto ottimi
risultati, ma da tre, quattro anni stiamo frenando». L'uso del metano può
frenare la corsa alle rinnovabili? «La frenesia italiana sul metano frena le
rinnovabili. La strategia energetica nazionale è imperniata sul gas, che è un
combustibile fossile meno inquinante degli altri ma non immacolato. Il metano è
un potente gas serra e le perdite di rete hanno minato la sua reputazione». Le
rinnovabili sono una soluzione per i paesi in via di sviluppo? «Sì, per molte
ragioni. I costi sono in forte calo e i flussi (sole, vento, acqua) sono
ovunque. Le rinnovabili elettriche possono operare su piccola scala in regioni
remote senza la necessità di grandi infrastrutture». Ci sono ostacoli alla
transizione energetica? «Il flusso solare è sterminato, ma va convertito in
energia utile: occorrono convertitori e accumulatori, e per fabbricarli servono
risorse minerarie, che si ottengono scavando la crosta terrestre come per i
combustibili fossili. Le risorse sono limitate e la transizione energetica avrà
successo solo se sapremo realizzare un'economia circolare».
Rino Bucci
Presentazione - Il piano operativo sui giardini inquinati
In programma oggi alle 10.30 nella Sala giunta del Comune, la conferenza stampa di presentazione del piano d'intervento operativo per risolvere il problema dei giardini inquinati. Interverranno gli assessori Elisa Lodi e Luisa Polli.
IL PICCOLO - DOMENICA, 24 settembre 2017
Capodistria-Divaccia, Slovenia al voto - Gli elettori chiamati a confermare o bocciare la legge varata per gestire il raddoppio della strategica linea ferroviaria
LUBIANA - La Slovenia va oggi alle urne per decidere sul referendum abrogativo della legge varata dal governo e relativa alla realizzazione del secondo binario della ferrovia che collega Capodistria a Divaccia. Si tratta di un’opera di valore strategico con la quale si punta a rinvigorire l’asse di collegamento ferroviario da e verso l’unico porto del Paese, asse che, in base agli attuali andamenti dei traffici entro il 2019 rischia la saturazione, diventando così un vero e proprio “tappo” per l’incremento dei traffici nello scalo del Litorale. Potrà sembrare strano che tra l’opinione pubblica slovena si sia sentita la necessità di un referendum su un’opera di tale portata, ma sta di fatto che più che l’opera, il referendum vuole abrogare la legge ad hoc varata dall’esecutivo guidato dal premier Miro Cerar perché considerata, dai promotori del quesito referendario, assolutamente lacunosa per quanto concerne il reperimento dei finanziamenti necessari alla sua realizzazione e molto “fumosa” nella possibilità di ottenere l’iniezione di capitali stranieri, soprattutto relativamente a che cosa questi capitali riceverebbero in cambio. A votare per l’abolizione della norma saranno anche i lavoratori di Luka Koper, la società che gestisce il Porto di Capodistria, perché, a loro detta, il ministro delle Infrastrutture Peter Gašperšič ha ventilato la possibilità che ad eventuali investitori stranieri nell’opera (ungheresi su tutti) verrebbero concesse aree per la logistica che peraltro non sono parte della concessione di Luka Koper, ma proprietà del Porto. Il governo si difende sostenendo che la realizzazione del secondo binario, esaminando tutta la catena della logistica portuale e ferroviaria, creerebbe nuovi novemila posti di lavoro e sostiene l’assoluta necessità da parte dello scalo portuale di avere dei collegamenti ferroviari moderni e veloci con l’entroterra e verso l’Europa centrale. Per vincere i contrari alla legge sul secondo binario dovranno ottenere più di 342mila consensi pari al 20% degli aventi diritto al voto. È chiaro che la “partita” si giocherà tutta sull’astensionismo. Dovesse “cadere” la legge, il governo la seguirebbe a ruota. ©
Mauro Manzin
Plastica in mare - Esperti a confronto
Domani alle 18.30 all’Hotel Greif Maria Theresia il Propeller Club organizza un incontro dal titolo “Un Mare di plastica: inquinamento delle acque, conseguenze sulla catena alimentare umana e sulle rotte marittime”. Tra i relatori Maria Cristina Pedicchio e Paola DEl Negro dell’Ogg e Roberto Gasparetto di AcegasApsAmg.
IL PICCOLO - SABATO, 23 settembre 2017
I tralicci di Conconello approdano sul Belvedere -
Dall'abitato le antenne sono state spostate sul sentiero panoramico del monte
Regione e Comune in coro: «La salute dei cittadini ha la priorità
sull'ambiente»
TRIESTE - Tre nuovi tralicci alti circa 30 metri posti a ridosso di uno dei
sentieri panoramici più suggestivi di tutto il territorio regionale. Sono gli
"effetti collaterali" della delocalizzazione dei ripetitori di Conconello. La
novità ha lasciato sconvolti gli escursionisti e i cicloamatori recatisi in
questi giorni sul sentiero del Cai n. 1 nella zona del monte Belvedere. Proprio
sull'altura che domina splendidamente il golfo di Trieste, non a caso è
considerato (al pari della Napoleonica) il sentiero più bello sul Carso con
vista mare, sono in fase di conclusione i lavori di costruzione dei nuovi
manufatti. Anche se tutta l'area del cantiere è delimitata e inaccessibile, da
fuori è facile scorgere quanto già costruito. Per ora sono stati innalzati dei
muretti di pietra con tanto di reti metalliche a fungere da delimitazione dei
tre tralicci già ben eretti e ampiamente visibili da lontano. Le panchine in
legno, prima presenti sullo spiazzo utilizzato dalle famiglie in gita nei
weekend, sono state spostate a pochi passi dalla discesa del ciglione carsico.
Non solo. Durante i lavori, la rosa dei venti, il manufatto che maggiormente
contraddistingue l'area, è stata utilizzata, come emerso da una testimonianza
fotografica, come base su cui poggiare un pallet. "Dulcis in fundo", dal nulla
sono spuntati tre nuovi tralicci. Il tutto in un territorio che vede già la
presenza dei ripetitori di Rai Way, Mediaset e Telecom spa. In molti si chiedono
com'è possibile che si sia deciso di erigere tre megastrutture metalliche su
un'area così di pregio e apprezzata da tanti triestini e turisti del Carso. I
manufatti sono stati collocati in un terreno di proprietà comunale, sito appunto
sul monte Belvedere, in seguito al protocollo d'intesa sottoscritto nel 2014 tra
Regione, Comune di Trieste e tre soggetti privati: Radio Punto Zero srl,
Gestione postazioni Nordest srl (riconducibile a Radio Radicale) e Monte
Barbaria srl. Il protocollo è stato formalizzato con l'obiettivo di
delocalizzare i ripetitori presenti nel centro abitato di Conconello, frazione
che per circa quarant'anni ha lottato per allontanare i tralicci costruiti sopra
le proprie teste. Dopo lunghi anni di attesa, nell'ottobre scorso la
governatrice Debora Serracchiani, firmataria nel 2014 del documento d'intesa
sottoscritto anche dagli assessori all'Ambiente Sara Vito (Regione) e all'epoca
Umberto Laureni (Comune), confermava la soddisfazione per quello che risultava
essere un obiettivo raggiunto: «Le antenne stanno sparendo dal centro abitato di
Conconello. Il protocollo, prevedendo di delocalizzare i tralicci in un'area
lontana dalle case, sta funzionando. In questo modo, nell'interesse dei
cittadini e della salute pubblica, gli impianti radioelettrici saranno gestiti
in modo assolutamente conforme alla normativa e nel pieno rispetto
dell'ambiente, scongiurando i rischi di un potenziale inquinamento
elettromagnetico». La decisione di traslocare gli impianti verso il monte
Belvedere aveva trovato d'accordo anche le tre società private. Filippo Busolini,
fondatore di Radio Punto Zero, già all'indomani della sottoscrizione del
protocollo del 2014 aveva espresso il suo consenso nell'abbandonare la vecchia
location, previa fideiussione bancaria di 150mila euro a garanzia
dell'esecuzione dei lavori. Il sì alla delocalizzazione era motivato dal fatto
che sul monte Belvedere erano garantiti spazi più adeguati per evitare il
"sovraffollamento" che nel sito precedente, soprattutto nei mesi estivi, dava
origine a surriscaldamenti dei sistemi, responsabili di rotture e danni alle
apparecchiature presenti. Tutti d'accordo, insomma. Ora però è arrivata la
doccia fredda per escursionisti e amanti del Carso, con i tre tralicci
realizzati nel punto più visibile e frequentato del monte. Ieri mattina
l'assessore regionale all'Ambiente, Sara Vito, ha confermato la bontà
dell'intervento: «Per noi la questione della salute dei residenti di Conconello
era primaria. Dopo anni siamo riusciti ad affrontare e risolvere il problema
delocalizzando i tralicci. Abbiamo dato una risposta forte alla preoccupazione
dei residenti. Spiace se questi siano stati collocati lungo il sentiero, ma per
noi la questione della salute veniva e verrà sempre prima di tutto». Sulla
stessa linea la sua omologa comunale Luisa Polli: «La gestione del procedimento
è stata seguita dalla Regione. Detto questo ritengo sia di primaria importanza
la tutela della salute dei residenti di Conconello. Le antenne lì non sono un
bello spettacolo? Tutti però vogliono vedere la televisione oppure avere la
ricezione con il telefonino e comunque, ripeto ancora, la salute viene prima di
tutto, anche prima dell'ambiente».
Riccardo Tosques
LE REAZIONI - Escursionisti sbigottiti ma residenti
soddisfatti
TRIESTE «Il sentiero più bello del Carso rovinato da degli ecomostri».
Umberto Pellarini Cosoli, capogruppo della commissione sentieri
dell'associazione Cai XXX Ottobre nonché coideatore del sentiero n.1, non riesce
a capacitarsi dell'installazione dei tre tralicci sul monte Belvedere: «A titolo
personale giudico questo intervento una schifezza, una ulteriore ferita, vista
la presenza di altri ripetitori in zona. E pensare che noi non posizioniamo
nemmeno i cartelli segnaletici sulle cime proprio per non creare fastidi al
paesaggio. E ora ci troviamo di fronte a questo scempio». Pellarini Cosoli, che
una quindicina di anni fa assieme ad altri membri del Cai lavorò per unire i
vari sentieri che oggi sono stati tutti collegati sotto il n.1, evidenzia con
stupore la situazione dell'area: «Capisco perfettamente che i tralicci andavano
spostati dal centro abitato poiché è in ballo una questione relativa alla salute
dei cittadini, ma non ho davvero parole e mi chiedo come sia possibile che la
paesaggistica possa aver dato il suo nulla osta ad utilizzare quella zona del
monte Belvedere, proprio accanto a uno dei sentieri più belli che esistano nel
nostro territorio». Nicola Bressi, naturalista triestino della Società italiana
di Scienze naturali di Milano, fornisce invece le conseguenze dell'intervento da
un punto di vista prettamente scientifico: secondo lo zoologo vi saranno delle
ripercussioni per quanto riguarda sia la fauna che la flora. «Proprio su quelle
pendici si era consolidata la presenza dell'algiroide, una splendida lucertola
con la gola di colore azzurro, (simbolo della Riserva naturale delle Falesie di
Duino, ndr) presente in Italia solamente nel Carso. Con tutti i movimenti dei
veicoli a motore, il trambusto dei lavori iniziali e ancora di più di quelli
successivi legati alla manutenzione, questa specie verrà soppiantata dalla
classica lucertola muraiola. Ma anche a livello di flora le cose muteranno.
Tutti questi cambiamenti comporteranno ad esempio la sparizione di specie di
pregio per lasciare spazio a specie invasive come l'ailanto». Ma cosa ne pensano
a Conconello? Dimitri Ferluga, presidente della Vaska skupnost Ferlugi,
l'associazione culturale della frazione triestina, è soddisfatto: «Messi in
quella posizione i tralicci non sono una bellezza, anzi, sono proprio brutti, ma
è altrettanto vero che per me li avrebbero potuti mettere anche sulla torre
Eiffel. Meglio che stiano sul Belvedere piuttosto che sopra le nostre case». Per
quasi quarant'anni i residenti hanno dovuto convivere forzatamente con i
tralicci: «L'iter burocratico per riuscire a toglierci questi mostri è stato
pazzesco. Nessuno voleva averli sui propri terreni e quindi alla fine la vicenda
si è risolta con una porzione di terreno comunale posta sul monte». Ferluga
racconta poi della valenza storica che ha quell'area per la popolazione di
Conconello: «Molte generazioni di paesani hanno trascorso tante ore in quella
zona. Anch'io ricordo che quando ero piccolo, appena si poteva, si andava lì a
giocare o a stare in compagnia. Purtroppo si è dovuto fare di necessità virtù».
Adesso Ferluga confida che rapidamente i tralicci e le antenne installate su di
essi, ancora presenti nel centro abitato, vengano rimossi: «Per ora hanno
costruito dei nuovi tralicci, ma quelli vecchi sono ancora qui. Mi auguro che i
lavori sul monte Belvedere si concludano il prima possibile e che finalmente
tirino via i nostri tralicci e tutte le antenne attaccate».
(tosq.)
IL PICCOLO - VENERDI', 22 settembre 2017
Linea dura contro la sosta irregolare - Proposta la
sospensione della patente a chi si ferma su stalli per disabili e aree bus
Per dare un taglio ai soprusi la Lega Nord, con il consigliere comunale
Giuseppe Ghersinich, propone la sospensione della patente per quindici giorni a
chi in modo recidivo posteggerà sugli stalli riservati ai disabili o sulle
fermate dei bus. La mozione, presentata nei giorni scorsi in sesta Commissione,
punta dunque a limitare una volta per tutte questo comportamento, piuttosto
diffuso viste le numerose multe che ogni anno rimpinguano le casse comunali. In
particolare la sospensione della patente andrà comminata a chi per due volte in
un biennio verrà sanzionato. Anche nelle aree in cui si fermano i mezzi
pubblici, «perché - spiega l'autore - quando una persona disabile deve salire su
un autobus o scendere non può farlo, se non c'è spazio per la sosta. Questo l'ho
pensato anche in seguito alle ripetute segnalazioni di cittadini e della
consulta per i disabili». Si tratta in generale di «una sanzione accessoria già
presente per chi non ha le cinture di sicurezza», aggiunge Ghersinich. Il Codice
stradale e precisamente l'articolo 158 comma "g" prevedono costi salati per i
contravventori: si va da 85 a 338 euro per gli automobilisti e dai 40 ai 164 per
i motociclisti con due punti in meno sulla patente per entrambe le categorie. Ma
non bastano evidentemente, perché non c'è l'auspicato calo di trasgressori. Il
dato delle ammende resta fisso, non diminuisce dal 2013. Le multe erano state
679 nel 2013, passando a 685 nel 2014 e a 671 nel 2015. Per il 2016 il dato-base
di oltre 600 è sempre presente. Ecco dunque che Ghersinich lancia una nuova
linea dura, accolta all'unanimità dalla Commissione. «Abbiamo dato tutti il
parere favorevole», ha sottolineato il presidente Salvatore Porro (Fdi),
segnalando la presenza del vicesindaco Pierpaolo Roberti, del comandante della
Polizia locale Sergio Abbate e dei consiglieri comunali Fabiana Martini (Pd),
Maria Teresa Bassa Poropat (Insieme per Trieste), Guido Apollonio ed Everest
Bertoli (Fi), Michele Claudio (Lega Nord) e Francesco Bettio (Lista Dipiazza).
L'idea è piaciuta anche se ora richiede, come sottolineato ancora da Porro, uno
studio di fattibilità e poi ovviamente la discussione in aula. Ma non solo.
Perché per modificare il Codice stradale sarà poi il sindaco Roberto Dipiazza a
dover scrivere alle Camere parlamentari una nota con tale richiesta. «Il Codice
della strada è una legge nazionale - sottolinea Roberti -, bisogna integrarla
con un intervento che non può fare direttamente il Comune di Trieste, perciò si
richiede al sindaco di fare domanda di modifica al Parlamento in modo da
provvedere alla sospensione della patente per i recidivi». Inoltre, prima che la
mozione passi in aula, «bisognerà fare un piccolo emendamento tecnico perché il
testo prevedeva questa azione su tutto l'articolo 158 - spiega Ghersinich -, ma
abbiamo deciso di non prevedere la sospensione per la sosta in altre aree».
Durante la stessa Commissione si è discusso anche della proposta di rendere
gratuito il biglietto dell'autobus per i "nonni paletta" per andare da casa al
posto di lavoro, poiché, spiega Porro, «per questo utile servizio queste persone
ricevono cinque euro al giorno ma devono fare quattro viaggi fra andata e
ritorno. Non sappiamo però ancora se ci sono i soldi necessari, e anche questa
idea è stata votata all'unanimità». È inoltre stato richiesto da Bettio di
proseguire l'iter per il ripristino del fregio alabardato sul cappello della
Polizia locale.
Benedetta Moro
Patto FIAB-Polli - Ciclisti "tester" sulle corsie
riservate ai bus e nuove piste
Un percorso di educazione alla mobilità, condiviso e a favore di tutte le
categorie di utenti della strada; un nuovo studio, questa volta del Comune, di
fattibilità di una via ciclabile da Trieste a Muggia dopo quello effettuato
dalle associazioni di categoria; il via a una sperimentazione di alcuni mesi
dell'apertura ai ciclisti di alcune corsie riservate ai bus. Sono questi i punti
principali discussi e concordati durante un incontro, ieri, tra l'assessore
comunale con delega alla Mobilità e traffico Luisa Polli, due dirigenti tecnici
del Municipio, il presidente locale della Fiab (Federazione italiana amici della
bicicletta) e il suo coordinatore regionale Federico Zadnich. «Si tratta
anzitutto - spiega l'assessore - di dare vita a un progetto condiviso di
educazione ma anche e forse soprattutto di rieducazione e di sviluppo del senso
civico generale di chi, a vario titolo, frequenta vie, piazze, marciapiedi e
"zebre" a Trieste. Il metodo è di porre a sistema alcune iniziative già in
corso, come le "lezioni" della Polizia locale nelle scuole, con altre da parte,
a esempio, dei vari sodalizi come il Motoclub Trieste, e ancora di nuove». Il
tutto, nelle intenzioni di Polli, per fare comprendere il concetto generale che
«il tuo diritto finisce dove inizia il mio; la tua sicurezza deve essere anche
la mia». Con un riguardo particolare agli adulti «poiché sembra a volte che vi
sia anche sulle strade una sorta di analfabetismo di ritorno tra gli adulti,
mentre bambini e ragazzini sono più permeabili alle sensibilizzazioni, se
veicolate adeguatamente». Soddisfatti anche gli esponenti del mondo delle due
ruote. «Tre i punti qualificanti concordati - afferma Zadnich -: il primo
appunto l'educazione al reciproco rispetto tra le categorie di utenti. A
proposito, come Fiab organizzeremo un grande evento il prossimo giugno. Poi,
dopo avere presentato il nostro, seguiremo il progetto comunale per la pista
Trieste-Muggia. Tra le due opzioni, quella attraverso via Flavia e l'altra
impiegando via Caboto, siamo favorevoli alla prima, che permetterebbe di
collegare Borgo San Sergio». Infine la Fiab metterà a disposizione i
ciclisti-tester sulle corsie bus in via D'Azeglio, piazza Ospedale e via
Tarabocchia.
(p.p.g.)
IL PICCOLO - GIOVEDI', 21 settembre 2017
Interrogazione al senato - Battista incalza il governo «Ispettori per la Ferriera»
Il senatore di Articolo 1 - Mdp Lorenzo Battista ha depositato un'interrogazione ai ministri della Salute e dell'Ambiente «sulla situazione allarmante circa i livelli di inquinamento presenti nello stabilimento di Servola» e sulla necessità di un'adozione del «principio di precauzione» a tutela della salute dei cittadini. Battista chiede di sapere «se i ministri siano consapevoli degli attuali livelli di inquinamento e se il ministro della Salute in particolare non intenda assumere iniziative volte a tutelare la salute dei cittadini della zona, che continuano ad essere investiti da una forma di inquinamento particolarmente grave e insidiosa, dato che le particelle di diametro pari o inferiore a 2,5 micropn (Pm 2,5) vengono classificate cancerogene di classe 1 da parte dello Iarc, ente dell'Organizzazione mondiale della sanità». Battista si domanda «se lo stesso ministero non ritenga di dover disporre un'ispezione presso la Asl di Trieste per verificare se nella stesura del parere di merito siano state assunte tutte le cautele e le responsabilità di fronte ad un caso tanto grave di inquinamento e di messa a repentaglio della salute pubblica».
AAA sub e volontari cercasi: sabato si puliscono i
fondali
Tutti "armati" di maschere, boccaglio e bombole per una nuova pulizia dei
fondali. Si intitola "Lascia il mare come vorresti trovarlo", l'operazione di
bonifica subacquea in programma sabato 23 settembre, dalle 9 alle 13 circa, a
cura del Circolo Ghisleri, in collaborazione con il Circolo sommozzatori Trieste
ed il Circolo "Sacheta". Seconda edizione questa, nuovamente ambientata nelle
zone di Riva Ottaviano Augusto. La missione dichiarata è semplice quanto
intensa: ripulire quanto più possibile una zona dei fondali delle Rive, puntando
su un buon numero di volontari dotati di brevetti da sub da impiegare in veste
di "spazzini" marittimi per un giorno, alla caccia soprattutto di materiali
inquinanti, come batterie, e contenitori di liquidi o gas. Partecipare alle
operazioni in mare è relativamente semplice. Basta presentarsi sul posto attorno
alle 8.30 muniti del brevetto da sub, della attrezzatura necessaria e della
copia del certificato medico di abilitazione (anche non agonistica). L'adesione
è gratuita. E per chi volesse dare una mano senza fare un bagno? Il tema è
fattibile, in quanto l'evento richiede volontari da impegnare anche a terra,
nella logistica o supportando i subacquei in diverse funzioni. Alla
manifestazione hanno aderito inoltre i nuclei sommozzatori della Guardia di
Finanza e dei Pompieri volontari. Alla fine dei lavori non mancherà l'assalto
alla merenda sul campo. Per informazioni e adesioni, è attivo il numero
3356919561 e l'indirizzo maurizio.haligogna@gmail. com.
Francesco Cardella
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 20 settembre 2017
Rifiuti sulle spiagge - Al lavoro gli attivisti di
"Greenpeace" - Situazione critica dopo le eccezionali sciroccate - decine di
volontari mobilitati per la pulizia lungo le coste
SPALATO - La presenza della plastica rende sempre più difficile la
situazione sulle spiagge croate, a causa di tonnellate di rifiuti che appaiono
soprattutto durante le eccezionali sciroccate di fine estate e in autunno: è
accaduto anche nei giorni scorsi, quando la costa è stata flagellata da scirocco
e forte moto ondoso che hanno movimentato un ingente quantitativo di immondizie
partito non solo dal Paese ma anche da Montenegro e Albania. Per questo è
scattata una massiccia mobilitazione da parte di decine di volontari croati di
Greenpeace, che nella Giornata internazionale della pulizia delle spiagge e dei
fondali hanno ripulito la spiaggia Grabova, nel Parco nazionale dell'isola di
Meleda (Mljet in croato), in Dalmazia, portando via decine e decine di sacchi di
materiale aiutati da attivisti del Movimento per le isole della Croazia: non
solo plastica ma anche tanti altri tipi di rifiuti. Lavoro uguale di pulizia è
stato svolto dagli ambientalisti in contemporanea sulle spiagge delle isole di
Pago, Solta e Brazza, così come a Spalato.Da Greenpeace è partito anche un
appello: «Purtroppo - ha detto Mihaela Bogeljic, responsabile della campagna
croata - aziende e cittadini lasciano parecchio a desiderare in fatto di
coscienza ecologica, purtroppo la situazione è sempre grave malgrado il lavoro
che portiamo avanti da anni». Per l'occasione sulla spiaggia di Meleda è apparsa
anche una simbolica sirena, personificata da Suncana Paro Vidolin, a lanciare un
appello affinché «l'Adriatico non si trasformi in uno stagno senza vita».Maja
Jurisic, a capo del Movimento per le isole della Croazia, ha detto che in questo
momento sono circa 1.455 le tonnellate di rifiuti di plastica che stanno
galleggiando nel Mediterraneo, e in buona parte si trovano proprio
nell'Adriatico. Jurisic ha ricordato il caso limite di alcuni anni fa, «quando
una delle più belle spiagge adriatiche, quella di Sakarun sull'Isola Lunga,
divenne irriconoscibile a causa dell'immondizia arrivata da meridione. Ci
vollero settimane per rimetterla a posto».
Andrea Marsanich
Mercatini, escursioni e fattorie aperte a tutti -
Domenica terza edizione di "Draga in festa"
Domenica torna per il terzo anno "Draga in Festa", evento promozionale a
ingresso libero sull'agricoltura sostenibile, l'alimentazione e l'ambiente.
Promossa e organizzata dall'associazione Bioest, la manifestazione si articolerà
dalle 10 alle 18 in collaborazione con le realtà associative del territorio e
con l'amministrazione comunale di San Dorligo. Si apriranno le porte di fattorie
e case private, coinvolgendo gli ospiti in attività ed escursioni finalizzate
alla conoscenzadi flora e fauna. Lo spirito dell'iniziativa è quello della
convivialità e della condivisione, arricchite da un'attività ludica e
informativa curata appunto dalle associazioni del territorio e con il contributo
dei volontari Arci Servizio civile. Per tutta la giornata ci saranno banchetti
informativi e promozionali e sarà allestito un mercatino di attività artigianali
legate al territorio. Previsti incontri culturali, un'esposizione fotografica e,
per i bimbi, attività ludiche (nella foto un incontro sul mangiare sano a Draga
nel 2016).
(u.s.)
IL PICCOLO - MARTEDI', 19 settembre 2017
Diselgate, in Italia 1.250 morti - le emissioni "taroccate" hanno provocato migliaia di vittime
ROMA - Il surplus di emissioni dei veicoli diesel, rispetto a quanto dichiarato dalle case automobilistiche, ha causato in Italia 1.250 morti all'anno. A quantificare le conseguenze del Dieselgate sono l'Istituto meteorologico norvegese e l'istituto internazionale Liasa, in uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Research Letters da cui emerge che il nostro Paese è il più colpito di tutta l'Europa. Stando agli esperti, sono 425mila le morti annue riconducibili all'inquinamento dell'aria nei 28 Paesi dell'Unione europea più Norvegia e Svizzera. Poco meno di 10mila decessi sono attribuibili alle emissioni di ossidi di azoto dei motori diesel e, di questi, 4.560 sono collegabili alle emissioni in eccesso rispetto ai limiti dichiarati dai produttori. In base allo studio, l'Italia è il Paese con il più alto numero di morti premature riconducibili alle polveri sottili generate dai veicoli diesel: 2.810 all'anno, di cui 1.250 legate al surplus di emissioni rispetto a quanto certificato dalle case automobilistiche nei test di laboratorio. Seguono la Germania, con 960 decessi annui correlati agli ossidi di azoto in eccesso, e la Francia con 680. Dal lato opposto della classifica ci sono Norvegia, Finlandia e Cipro. Il triste primato della Penisola «riflette la situazione molto negativa dell'inquinamento specie nel Nord Italia, densamente popolato», spiega l'autore della ricerca, Jan Eiof Jonson dell'Istituto norvegese di meteorologia. Sempre secondo lo studio, se i veicoli diesel avessero avuto emissioni basse come quelli a benzina, si sarebbero potuti evitare i tre quarti dei decessi prematuri: 7.500 all'anno in Europa e a 1.920 in Italia.
IL PICCOLO - LUNEDI', 18 settembre 2017
Dal comico al politico - Tutti pazzi per i viaggi in
sella alle due ruote
I vantaggi degli spostamenti in bici raccontati da ciclisti "vip" in
occasione della Settimana Ue della mobilità sostenibile
È iniziata sabato la Settimana europea della mobilità sostenibile,
un'occasione che ogni anno punta a promuovere l'uso delle bici e a
sensibilizzare sui vantaggi degli spostamenti "green". Tanti i "testimonial"
triestini della causa. Come Diego Manna, editore, scrittore, amante dei lunghi
viaggi a pedali e tra gli organizzatori dell'evento sportivo Rampigada Santa. E
come Antonio Parisi, anima degli eventi di Jotassassina. «Utilizzo sempre la
bici, in estate ed inverno - racconta Parisi - sia di giorno sia di notte, per
girare e muovermi anche tra i locali. È un mezzo comodo e il mio modello di bici
rispecchia molto il mio carattere: vintage americano ed eccentrico». «La bici fa
parte della mia quotidianità - dice Stefano Ceiner, speaker internazionale con
base a Trieste - e la uso per percorrere i numerosi sentieri immersi nel Carso e
anche per spostarmi in città, quando posso». Anche nel mondo politico la bici
piace. «A dieci anni mi sono trasferito a Trieste e la prima cosa che ho portato
con me è stata la bici - ricorda l'assessore ale Welfare Grilli - la trovo un
mezzo meraviglioso e molto pratico. La uso costantemente per lavoro. Ci sono
cose da migliorare, a partire dalla diffusione degli stalli, e piste ciclabili
realizzate con criterio e capaci di assicurare collegamenti sicuri. Come giunta
ci stiamo lavorando». «Nel 2017 ho totalizzato oltre 7.500 chilometri -
sottolinea l'assessore al Personale Michele Lobianco - amo raggiungere e
percorrere le strade d'Istria e quelle dell'altopiano, il piacere della libertà
è unico. Per quanto riguarda la città, con la riqualificazione del Porto Vecchio
ci sarà un itinerario ciclabile che, unito a quello delle Rive, darà una bella
risposta agli utenti della bici». «La uso quotidianamente per spostarmi in città
- dice anche la capogruppo del Pd Fabiana Martini - ma anche nel tempo libero e
durante le vacanze. Con la famiglia ho fatto alcune bellissime ciclovacanze e il
prossimo obiettivo è la Parigi-Londra. Cosa migliorare a Trieste? Mancano
stalli, piste ciclabili, ma soprattutto una cultura degli spostamenti dolci». In
molti usano la bici anche per lunghi viaggi, come il gruppo di amici "Ciclomonones",
famosi per i tour goliardici su due ruote, come quello impegnativo da Trieste al
Montenegro, o come il team rosa di "Fata la xe", che ha pedalato da Salisburgo
al capoluogo giuliano. Si muove in bici in città anche l'attore e scrittore
Alessandro Mizzi. Divertente poi il racconto di Maxino, che tra una canzone e
l'altra confessa la passione recente per i pedali. «Mi tornava in mente
"ciclicamente" - scherza - ed ogni volta mi scontravo con una dura realtà: vivo
a Muggia, e per raggiungere casa devo fare una salita ripidissima. Avrei
piuttosto fatto una raccolta firme per uno skilift. Poi un giorno, durante un
appuntamento con Diego Manna, lo vedo arrivare a bordo di una bici elettrica. Ho
pensato "Lui che va in giro per l' Europa pedalando, che ci fa su un "motorino?"
E invece ho scoperto che tanto motorino sta cosa non è, mi sono lanciato e ne ho
presa una, ora riesco a fare la famosa salita mortale di casa mia senza bisogno
della rianimazione del 118. La uso molto, sia per portare in giro i bimbi, sia
per fare la spesa. Non posso ancora andare a suonare con la bici perché la
tastiera e l'impianto in spalla mi pesano ancora un po' troppo. Ma ci lavorerò.
Magari - conclude il vulcanico cantante - bici elettrica e "precoliza", con
muscolatura da incredibile Hulk e via, verso nuovi orizzonti».
Micol Brusaferro
IL PICCOLO - DOMENICA, 17 settembre 2017
La "fame" senza fine di stalli per motorini -
Pedonalizzazioni e cantieri come quelli in via Carducci e Santa Caterina
hanno eliminato centinaia di posteggi. Il Comune: «Correremo ai ripari»
A Trieste aumenta costantemente il numero di motocicli - passati nel giro di
cinque anni da 40mila a poco più di 48mila -, e gli stalli non bastano più.
Anche perchè, tra cantieri che aprono in continuazione e pedonalizzazioni sempre
più estese nel centro, i posteggi riservati alle due ruote si sono ridotti in
maniera significativa. I numeri non riescono cioè a soddisfare la "fame" di
parcheggi che rende la vita sempre più difficili al popolo degli scooteristi. Ad
aver "mangiato", di recente, storici spazi dedicati in precedenza ai motocicli
sono state due interventi di grande impatto: l'avvio della ristrutturazione
dell'ex sede della Ras in piazza della Repubblica e il consolidamento delle
volte sotterranee di via Carducci messe a rischio dal passaggio dei torrenti
Chiave e Settefontane. La prima operazione, finalizzata a trasformare il
prestigioso edificio in un lussuoso albergo targato Hilton, ha portato alla
sparizione del posteggio ricavato nell'adiacente via Santa Caterina, vera e
propria valvola di sfogo per il parcheggio dei mezzi a due ruote in centro
storico. Il secondo cantiere invece, destinato peraltro a durare più del
previsto a causa della precaria stabilità delle coperture, ha di fatto spazzato
via tutti gli stalli a destra della carreggiata lungo via Carducci in direzione
piazza Oberdan. E ci sono poi i progetti per la creazione delle isole pedonali.
Come quella, "temuta" appunto da molti centauri, di via XXX ottobre, strada che
ha di recente subito pure un altro "scippo": l'eliminazione del parcheggio che
fino a qualche anno fa rispondeva all'esigenza di spazi in una parte della città
dove la richiesta è grande. Perdite importanti, insomma, per una città che,
secondo una recente classifica basata sui numeri forniti dal ministero dei
Trasporti, conta la concentrazione di motocicli in rapporto alla popolazione più
alta di tutto il Nordest, e l'ottava in Italia. «Siamo consapevoli di quanto
nutrito sia a Trieste il parco motorini - commenta il vicesindaco Pierpaolo
Roberti -. E sappiamo bene anche quanto sia forte l'esigenza di spazi. Ricordo
però che anche per le auto mancano posti e non è facile cambiare radicalmente lo
stato delle cose. La necessità di creare nuovi stalli è sentita e come
amministrazione abbiamo già provveduto in tal senso a migliorare le cose.
Abbiamo pianificato la creazione di 300 parcheggi per motorini quest'anno: cento
sono già stati realizzati, per esempio in via Imbriani o in via Carducci, prima
di svoltare su via Battisti. Altri duecento saranno ricavati nei prossimi mesi.
Andranno in parte a soddisfare sicuramente il bisogno di soste, anche se
sappiamo che di motorini ce ne sono davvero tanti, ma al momento nel centro
cittadino abbiamo fatto il possibile, compatibilmente anche con i cantieri in
atto». Dopo le 8 del mattino, a detta di chi si reca nel centro per lavoro, è
impossibile trovare uno spazio. C'è chi racconta di girare anche venti minuti
ogni giorno, prima di riuscire a parcheggiare, altri ammettono senza mezzi
termini di cercare soluzioni "fantasiose" per creare uno spazio anche dove non
c'è, altri ancora lasciano il motociclo in aree dove non si potrebbe comunque
stazionare, ma che vengono ormai utilizzate abitualmente da tutti. Oltre alle
vie più centrali, disagi vengono segnalati anche in piazza Oberdan e nelle vie
vicine, dove a chi lavora nei tanti uffici presenti, si aggiungono gli studenti
del vicino liceo Dante-Carducci, che possono contare su una parte pedonale sotto
i portici, dove la sosta è lecita, ma di fatto non è sufficiente, con la
conseguenza che i motorini invadono anche il marciapiede. Stessa situazione
attorno a piazza Hortis, con la "guerra" tra studenti del Nautico e lavoratori
della zona. Zona in cui, complice anche la pedonalizzazione di Cavana e via
Torino, gli stalli da tempo non bastano più. Risultato? Sosta selvaggia in via
san Michele, che spesso ostacola la circolazione delle quattro ruote. Le
eccezioni però non mancano. In alcune zone, ad esempio piazzale Straulino (di
fatto non troppo lontano dal cuore della città), o lo spiazzo dietro alla
Tripcovich, risultano però spesso vuoti o semivuoti, a conferma del fatto che
chi si muove in motorino punta a lasciarlo proprio davanti all'ufficio.
Triestini amanti delle due ruote, quindi, ma pure parecchio pigri.
Micol Brusaferro
Dal forno alla lavatrice - Spunta vicino a Opicina
l'ennesima discarica - I volontari di Sos Carso in azione dopo una segnalazione
Fb
L'altipiano restituisce un'altra zona verde invasa dai rifiuti
OPICINA - Elettrodomestici, ferraglia varia, bidoni, secchi, vetroresina,
vetri e chi più ne ha più ne metta. Questo il prodotto dell'inciviltà che
purtroppo continua a regnare impunita sul Carso triestino, in questo caso a
Opicina. Durante la prima uscita ecologica di settembre del gruppo di volontari
Sos Carso, nella dolina sotto il monte Gurca, in zona Campo, vicino a via dei
Volpi, è stato infatti rinvenuto un po' di tutto. Il "censimento" ce lo racconta
Cristian Bencich, portavoce dei volontari triestini: «Nella prima giornata
abbiamo raccolto un'infinità di ferri vecchi, antenne tv, metri e metri di cavi
d'antenna, ma anche due frigoriferi, un boiler, un forno, una lavatrice, due
bidoni di ferro, plastiche, vetri, vetroresina e sedici sacchi di immondizie
varie». Tutto il materiale raccolto è stato accatastato dai volontari vicino
alla prima strada utile per poter collocare un cassone per l'asporto. «Data la
notevole mole di immondizie in questo lavoro, a turno, saremo impegnati noi di
Sos Carso ed un gruppo di residenti della zona che parteciperanno in maniera
attiva alla pulizia del sito - prosegue Bencich - quindi, meteo permettendo,
contiamo di ripulire il tutto entro un mesetto, facendo turnazioni di un paio di
orette a settimana». Attuato in base ad una segnalazione giunta alla pagina
Facebook del gruppo, il lavoro di "repulisti" della dolina adiacente al bosco
Burgstaller-Bidischini ha dunque riportato alla luce una discarica risalente,
secondo i volontari, addirittura agli anni Cinquanta. Una dolina che tuttora
viene utilizzata da gente incivile come discarica a cielo aperto.«Ci è stato
riferito che questa discarica è già stata segnalata, più volte, alle
istituzioni, ma evidentemente con scarsi o anche nulli risultati purtroppo. A
questo punto è stato deciso di mettere in programma anche questo lavoro,
confidando nell'aiuto di altri volontari e residenti», conclude Bencich.
Quest'estate Sos Carso era salita alla ribalta soprattutto per la
riqualificazione della vedetta Scipio Slataper. In due giorni di lavoro
volontario una decina di persone aveva di fatto rimesso a nuovo il manufatto
collocato sulla vetta del monte San Primo a 278 metri di quota sul livello del
mare, in località Santa Croce, nel Comune di Trieste. La parte più evidente
aveva interessato la totale cancellazione delle scritte vergate con lo spray
sulle pareti bianche della struttura. Di forte impatto anche la riqualificazione
della rosa dei venti con i punti cardinali, i nomi dei venti e tutte le varie
località indicate, da Muggia a Capodistria, da Barbana ad Aquileia. Un grosso
lavoro, come sempre volontario. Ma il gruppo Sos Carso è molto attivo
soprattutto per quanto riguarda la raccolta di rifiuti abbandonati in tutto
l'arco dell'altipiano carsico triestino, da Medeazza fino a Lazzaretto. «La
situazione complessiva in Carso è piuttosto preoccupante - conclude Bencich - e
noi, da volontari, facciamo il nostro, ma ci vorrebbe anche un intervento da
parte delle istituzioni»
Riccardo Tosques
FAREAMBIENTE - «Abbandono di ingombranti a livelli
critici - Più sorveglianza da parte delle istituzioni»
La situazione riguardante l'«abbandono dei rifiuti ingombranti a Trieste
nonostante le azioni intraprese dall'azienda incaricata e dal Comune», resta
«molto critica». Tra centri urbani e periferie verdi il leitmotiv non cambia.
Parola del coordinatore di FareAmbiente Giorgio Cecco, che annota come
continuino «costantemente le segnalazioni dei cittadini alla nostra
associazione, confermate dai rilievi in loco dei volontari. Dal monitoraggio
effettuato negli ultimi mesi si evidenzia che ciò avviene in particolare nelle
zone periferiche e del semicentro in prossimità dei cassonetti». La richiesta
agli «enti preposti» è di «un maggior impegno per incrementare sorveglianza e
informazione».
IL PICCOLO - SABATO, 16 settembre 2017
PORTIS MEETING - Trieste progetta il super ufficio per
la mobilità sostenibile
Sono tre gli obiettivi principali emersi a conclusione della tre giorni di
"Trieste Portis Meeting", l'iniziativa europea che dopo Anversa ha toccato
Trieste con la finalità di programmare e sperimentare soluzioni innovative di
mobilità urbana sostenibile. Primo step da raggiungere è l'avvio di uno studio
sulla mobilità attraverso l'elaborazione del Piano di mobilità sostenibile, poi
lo sviluppo di applicazioni e programmi informatici per creare un'unica
piattaforma fruibile da tutti i cittadini, per informazioni condivise in tema
viabilità, aree perdonali o parcheggi, e infine la creazione di un ufficio unico
di multigovernance, dove far confluire tutti i soggetti che in città si occupano
di trasporti. Sul fronte delle novità tecnologiche saranno studiate, è stato
precisato, anche idee in grado di raggiungere e coinvolgere gli anziani, che
costituiscono un'ampia fetta della popolazione triestina. A trarre un bilancio
dei vari incontri è stata ieri l'assessore comunale a Città e territorio Luisa
Polli, insieme ai rappresentanti di altre città interessate dal progetto e dall'Ambassador
di Trieste Portis, l'attore Lino Guanciale, che proprio in Porto vecchio ha
girato una fiction. Il tema affrontato a Trieste è stato quello della
comunicazione tecnologica, delle connessioni alle aree portuali e alla città,
per fornire maggiori informazioni possibili per un utilizzo ragionato su come
muoversi in modo "green" e coordinato, incentivando, ad esempio, l'utilizzo
delle bici elettriche. Il progetto europeo "Civitas Portis" si concluderà entro
il 2020. «Un'ulteriore sfida - ha rimarcato Polli - nel trovare soluzioni
concrete sulla mobilità sostenibile quando la città sarà sede dell'Esof 2020,
quale capitale europea della scienza, con quartier generale in Porto vecchio. Da
qui la scelta in qualità di Ambassador di Lino Guanciale, interprete della
fiction "La porta rossa", che ha contribuito a portare alla ribalta l'immagine
di Trieste». Ieri mattina, sempre nell'ambito del progetto, oltre 400 studenti
delle scuole medie sono stati guidati alla scoperta degli spazi del Porto
vecchio.
di Micol Brusaferro
Gas Natural, avanzano i cinesi - Verso la stretta
finale per la cessione degli asset italiani
MILANO - Stretta finale sulla cessione degli asset italiani di Gas Natural,
che potrebbe realizzare un incasso vicino a 1 miliardo e una consistente
plusvalenza in capo al bilancio della controllante spagnola (il valore di carico
complessivo di tutte queste attività sfiora 450 milioni). A fare gola ai
potenziali acquirenti, secondo Radiocor Plus, sono principalmente due asset: il
quasi mezzo milione di clienti elettricità e gas e la distribuzione gas con
circa 7.300 chilometri di rete e 460mila punti di riconsegna. Il termine per la
presentazione delle offerte, che verranno raccolte dall'advisor Rothschild, è il
22 settembre. In realtà, negli ultimi giorni sembra prendere sempre maggiore
consistenza l'ipotesi di un'offerta per tutto il pacchetto da parte del fondo
cinese Shanghai DaZhong, che sul dossier è assistito da Macquarie: fonti
accreditate parlano di un «reale interesse» per gli asset di Gas Natural e in
generale per il Paese Italia. Per quanto riguarda invece i singoli asset, sui
clienti (459mila residenziali e 19mila imprese), che fanno capo a Gas Natural
Vendita Italia (iscritta nel bilancio 2016 della holding Gas Natural Fenosa
International Sa per 56,9 milioni) si annuncia una lotta serrata tra due big
come Edison ed Engie con A2A più defilata: sul mercato si ipotizzano offerte che
potrebbero oscillare tra 200 e 250 milioni di euro. Sulla distribuzione gas, che
fa capo a Nedgia spa e nel bilancio spagnolo vale 381 milioni, si prospetta un
testa a testa tra Italgas e 2i Rete Gas. Per quanto riguarda gli altri asset,
cioè il progetto per il rigassificatore di Trieste, la holding servizi e la
fornitura gas ventennale che dovrà arrivare dall'Azerbaijan grazie al futuro Tap,
gli esperti stimano un valore molto ridotto (pochi milioni) visto che si tratta
di due progetti sulla carta. È plausibile, tuttavia, che nel caso di uno
spezzatino Gas Natural chiederà ai vari acquirenti di rilevare anche questi
asset.
Campo di mais devastato dalle nutrie - La denuncia del
proprietario di un terreno vicino all'Ospo: «Sono un problema ma niente
crudeltà. Vanno sterilizzate»
MUGGIA - «Mi complimento con il comitato "salva nutrie" di MujaVega per le
629 firme raccolte per salvare degli animali non autoctoni: peccato che non
abbiano pensato di "salvare" anche gli agricoltori dal danno provocato da questi
animali». Danilo Savron, ex consigliere comunale muggesano della Slovenska
skupnost, descrive i danni provocati dalle nutrie, testimonianza che, di fatto,
rappresenta il primo episodio "ufficiale" avvenuto nel territorio rivierasco
protocollato al Comune. «Ho un appezzamento di 3mila metri quadrati vicino al
rio Ospo, completamente recintato, sul quale semino varie colture: tra queste
anche del mais, su circa metà del terreno, che è stato completamente distrutto
dalle nutrie» racconta Savron. A conferma di quanto affermato ci sono le
immagini dei campi quasi completamente sradicati. Savron ha dunque ricordato le
parole dell'assessore alla Polizia locale di Muggia, Stefano Decolle, che aveva
evidenziato come non erano mai state registrate ufficialmente denunce da parte
dei muggesani per danni a coltivazioni private provocati dai castorini. «Ho
invitato la prima cittadina Laura Marzi a recarsi personalmente sul posto per
verificare il danno prodotto da questi animali. Purtroppo a causa di altri
impegni non ha potuto fare il sopralluogo. Direi che le immagini parlino da
sole», tuona Savron. A quanto ammonta il danno procurato? «Grazie alle nutrie
non sono riuscito a salvare nemmeno la semenza del mais autoctona, vecchia più
di cent'anni». Sulla vicenda è intervenuta l'assessore all'Ambiente, Laura
Litteri: «Questa testimonianza ancora di più conferma il mio pensiero sulle
nutrie. Questi animali, non autoctoni ma importati, costituiscono un problema in
quanto si riproducono senza avere nemici naturali e quindi la loro crescita va
controllata, evitando però inutili crudeltà. Sono favorevole dunque alla loro
sterilizzazione». Intanto la petizione popolare dell'associazione animalista
MujaVeg è arrivata sulla scrivania del presidente del Consiglio regionale Franco
Iacop. Cristian Bacci, responsabile di MujaVeg, rimarca la convinzione di
trovare una soluzione non cruenta nei confronti dei castorini: «In base
all'attuale legge regionale di fatto è concesso l'uso di armi da sparo oppure di
trappole e successivo abbattimento dell'animale mediante narcotici o armi. Noi
siamo favorevoli a metodi ecologici non cruenti, che vanno quindi utilizzati in
via prioritaria». In evidenza, ancora una volta, la linea guida per il controllo
della nutrie dell'Ispra, che prevede uno studio per individuare e testare
sistemi per ridurre le capacità riproduttive delle nutrie riducendo la fertilità
degli animali. Ed è proprio notizia di questi giorni che una cucciolata di
nutrie è stata individuata lungo gli argini del rio Ospo, forse l'ultima, a
Muggia, prima dell'intervento della Regione.
Riccardo Tosques
IL PICCOLO - VENERDI', 15 settembre 2017
Siderurgica Triestina: «Nessuno sversamento in mare
dalla Ferriera»
Siderurgica Triestina replica al Comune scrivendo di voler fare chiarezza
riguardo notizie ritenute «strumentali». L'azienda - riporta una nota - «ha
sempre comunicato agli enti ed al Commissario straordinario per l'area della
Ferriera i lavori svolti e da svolgere». Ciò premesso - prosegue il comunicato -
«non esistono sversamenti a mare». La società «ha avviato ogni processo per
migliorare i requisiti dello stabilimento, e di conseguenza della qualità della
vita dei cittadini nel circondario, dal giorno dell'insediamento del gruppo».
Nel 2015 nel 2016, e tuttora 2017, lo stabilimento «ha mantenuto attivo il
proprio sistema di emungimento e trattamento delle acque di falda mediante uno
specifico impianto appositamente realizzato che prevede disoleazione,
filtrazione e assorbimento su carboni attivi con riutilizzo delle acque nel
processo produttivo senza alcuno scarico in mare. L'attività di emungimento e la
progressiva pavimentazione e coperture - prosegue - «ha visto diminuire
drasticamente il numero dei piezometri contaminati (da 19 a 2) toccando
minimamente l'area interessata, sensibilmente ridotta rispetto all'area di
contaminazione iniziale». Questa area interessata è una fascia in corrispondenza
del piezometro PZ2 e chiamato "Hot Spot", per il quale l'azienda ha «effettuato
una asportazione di diverse decine di mc di terreno contaminato, definito
puntualmente l'area di contaminazione, effettuato una intensa campagna di
monitoraggio, realizzato puntualmente la barriera idraulica così come
autorizzata». Gli unici scarichi a mare - argomenta l'azienda - sono quelli
autorizzati e previsti dall'Aia del gennaio 2016. «Tali scarichi vengono
campionati con frequenza trimensile e non evidenziano alcun valore superiore ai
limiti autorizzati e previsti dalla normativa vigente per gli scarichi in acque
superficiali». Con riguardo alla tempistica Siderurgica Triestina risponde al
Comune che in questi giorni sono in corso le prove di emungimento così come
definite dal progetto approvato nella conferenza dei servizi del 19 ottobre
2016. «Si prevede l'avvio dell'emungimento a breve al termine delle prove che
forniranno gli ultimi elementi progettuali». Sempre in tema Ferriera, interviene
l'assessore regionale all'Ambiente Sara Vito. «La fermata dell'altoforno
comunicata dall'azienda giunge dopo i provvedimenti con i quali la Regione, a
seguito del peggioramento dei valori rilevati dai deposimetri dell'Arpa, aveva
ordinato l'immediata limitazione della produzione», ha dichiarato l'esponente
della giunta Serracchiani, in seguito all'avvio delle operazioni di fermata per
manutenzione straordinaria dell'impianto siderurgico. «Va sottolineata ancora
una volta - prosegue Vito - la costante attenzione che la Regione, avvalendosi
anche del supporto tecnico di Arpa Fvg, rivolge all'impianto servolano».
Nasce il Geoparco del Carso - Cabina di regia alla
Regione - Firmato il protocollo d'intesa con dodici Comuni dei territori
triestino e isontino
Collaborazione con cinque Municipi sloveni. Tra gli obiettivi le ricadute
turistiche
TRIESTE - Geoparco del Carso atto primo. Con la firma posta ieri
dall'assessore regionale per l'Ambiente, Sara Vito, in calce al Protocollo
d'intesa per l'istituzione di un geoparco sul territorio del Carso classico
italiano, che vede tra i sottoscrittori i Comuni di Doberdò del Lago, Duino
Aurisina, Fogliano Redipuglia, Monfalcone, Monrupino, Ronchi dei Legionari,
Sagrado, San Dorligo della Valle - Dolina, San Pier d'Isonzo, Savogna d'Isonzo,
Sgonico e Trieste, prende corpo una delle più importanti iniziative a favore
dello sviluppo di quell'immenso patrimonio paesaggistico, storico e culturale
che vive e pulsa a cavallo del confine fra Italia e Slovenia. «Con questa firma
- ha detto Sara Vito - gli enti locali danno mandato alla Regione di redigere la
proposta dell'Atto di istituzione del geoparco regionale, che delineerà, in modo
dettagliato, i confini dell'area interessata, gli orientamenti di sviluppo e di
tutela locale, oltre che gli aspetti finanziari della gestione». Sul piano
tecnico, un geoparco è un territorio che possiede un patrimonio geologico
particolare e una strategia di sviluppo sostenibile in tal senso. I vantaggi per
il territorio di averne uno sono la possibilità di una valorizzazione senza
vincoli, il riconoscimento dell'eccellenza, il potenziale rappresentato dello
sviluppo di un turismo sostenibile, il notevole aumento delle possibilità di
fruire di fondi comunitari. Attualmente, in Europa esistono 64 territori
appartenenti alla rete mondiale dei geoparchi, dieci di essi sono in Italia.
Quello del Carso classico avrà una caratteristica che lo renderà unico in tale
contesto: sarà il solo a essere transfrontaliero. «La prospettiva prefigurata
nel Protocollo è di ampiezza internazionale - ha confermato a questo proposito
Vito -, all'articolo 6 è prevista la partnership della Regione per il geoparco
transfrontaliero con il Comune di Sesana, rappresentante dei cinque Municipi
della parte di Carso slovena. L'obiettivo - ha spiegato ancora l'assessore - è
poi di entrare in futuro nella rete mondiale dei geoparchi, sotto il patrocinio
dell'Unesco. Si tratta perciò di un percorso - ha precisato - che vede il
territorio unito per far conoscere al mondo il nostro Carso classico, oltre che
per valorizzare l'ambiente e generare ricadute positive in termini di sviluppo
sostenibile, realizzando al contempo un grande progetto di educazione ambientale
rivolto ai più giovani. Un passaggio fondamentale per arrivare al Protocollo di
oggi - ha concluso l'assessore - è stata l'adozione della legge regionale 15 del
2016, finalizzata a valorizzare le geodiversità, il patrimonio geologico e
speleologico e le aree carsiche». Luisa Polli, assessore all'Ambiente del Comune
di Trieste, ha detto che «questa sarà anche l'occasione per valorizzare
patrimoni che le giovani generazioni magari non conoscono, come il Carso
classico». Sandy Klun, sindaco di San Dorligo della Valle, ha evidenziato
«l'importanza della collaborazione con i Comuni sloveni, in particolare con
quello di Sesana». Massimo Romita, assessore a Duino Aurisina, ha ricordato che
«il Protocollo è il miglior viatico in vista del 2021, che sarà l'anno del
Carsismo, per il quale ci prepareremo nella maniera più adeguata». Monica
Hrovatin, sindaco di Sgonico, ha definito la nascita del Geoparco «il migliore
strumento per aumentare il potenziale dell'iniziativa transfrontaliera»
Ugo Salvini
«Biodigestore, il progetto resiste» - L'assessore
Litteri: «Vogliamo l'impianto di raccolta dei rifiuti organici a Muggia»
MUGGIA - «È nelle nostre intenzioni realizzare un biodigestore a Muggia
cercando di coinvolgere anche i comuni limitrofi della Slovenia». L'assessore
all'Ambiente Laura Litteri torna con forza sulla questione dell'impianto di
raccolta dei rifiuti organici, progetto voluto dall'amministrazione Nesladek che
sembrava essersi arenato con la nuova giunta Marzi. Litteri - ricordando come si
fosse già occupata del problema ben prima della nomina ad assessore, elaborando
all'interno di un gruppo di lavoro del Pd una proposta di raccolta porta a porta
nella quale era stato inserito il trattamento dell'umido in un impianto di
biodigestione - ha confermato così le intenzioni: «Fin dal giorno seguente
all'insediamento della giunta Marzi ci siamo impegnati a portare avanti il
progetto dell'impianto di trattamento dell'umido. Ad oggi abbiamo avuto tre
incontri con la Nre, la società proponente la costruzione dell'impianto. È
quindi assolutamente falso sostenere che il progetto non rientri più negli
interessi dell'amministrazione». Evidenziando come la Net, la società friulana
che si occuperà della raccolta dei rifiuti porta a porta a Muggia, diventerà
effettivamente proprietaria dei rifiuti stessi, Litteri spiega il perché del
momento di stallo sulla realizzazione della struttura, che porterebbe a Muggia
decina di posti di lavoro: «L'unico motivo che al momento sta bloccando il
progetto è che portare le frazioni di verde e umido al biodigestore, alle
condizioni proposte, costerebbe di più. Saremmo ben felici di conferire l'umido
in un impianto vicino alla nostra città, anche per seguire quelle che sono le
indicazioni regionali in materia di smaltimento dei rifiuti, ma ciò,
nell'interesse dei cittadini, non può essere più costoso di quanto stiamo
pagando adesso». Comune, Net e Nre stanno dunque andando avanti: «Siamo in
continuo contatto, sperando magari si possa arrivare ad una soluzione più
amplia, coinvolgendo anche i comuni limitrofi della Slovenia nel conferimento
dei rifiuti organici al futuro biodigestore». Poi la replica al consigliere
Roberta Tarlao (Meio Muja), che aveva fortemente criticato l'operato
dell'assessore Pd chiedendone le dimissioni. Così Litteri: «È falso che il costo
dell'attuale servizio di smaltimento della Net risulti più caro di 29 euro a
tonnellata rispetto a quello proposto dalla Nre. Anzi, pur considerando il
trasporto, il costo proposto risulta comunque più elevato. Le cifre riportate
dalla consigliera Tarlao non sono attuali e se si fosse presa la briga di andare
ad informarsi negli uffici competenti, come sarebbe suo dovere di consigliere,
prima di chiedere le mie dimissioni, le sarebbe stata spiegata, numeri alla
mano, la situazione attuale».
Riccardo Tosques
Muggia - Politiche sulla mobilità - M5S attacca la giunta
Secondo il consigliere Emanuele Romano (M5S) «il Comune di Muggia non deve aderire alla Settimana europea della mobilità». Una provocazione che Romano collega alle scelte fatte dalla giunta, quali «le restrizioni alla circolazione delle bici in centro, la creazione di nuovi parcheggi e l'assenza di poste di bilancio dedicate alla mobilità sostenibile».
COMUNICATO STAMPA - GIOVEDI', 14 settembre 2017
OGM E SENTENZA CORTE DI GIUSTIZIA. SERENA PELLEGRINO
(SI) : POLEMICHE INUTILI, HO PIU’ PAURA DELLE CONSEGUENZE DEL CETA SULLA
SICUREZZA DELL’AGRICOLTURA E PER LA TUTELA DELLE ECCELLENZE AGROALIMENTARI
ITALIANI.
LE QUESTIONI POSTE DALLA CORTE NON RIGUARDANO I DIVIETI OGM VIGENTI MA
EVENTUALI PROVVEDIMENTI DI EMERGENZA NEGLI STATI MEMBRI.
"Sono molto più preoccupata delle conseguenze prodotte dall’approvazione del
CETA sulla sicurezza e sulla qualità dei prodotti agro alimentari italiani che
dalla sentenza della Corte di giustizia europea sulla faccenda Fidenato e mais
OGM in Friuli, variamente e strumentalmente lanciata come una crisi al saldo
sistema OGM FREE italiano. La crisi non esiste e abbiamo gli strumenti per
continuare il buon lavoro già iniziato per vietare sementi OGM dai nostri campi
e pure dalle nostre tavole.
Lo afferma la parlamentare Serena Pellegrino ( Sinistra Italiana) vicepresidente
della Commissione Ambiente alla Camera dei Deputati.
“Il divieto alla coltivazione in Italia delle varietà di mais OGM autorizzate in
UE e’ vigente e rintracciabile in maniera inequivocabile nelle norme italiane e
nella serie di specifici atti indirizzati e accolti dall’Unione Europea.
La sentenza della Corte di giustizia europea si riferisce ad un procedimento
penale collegato alla violazione del divieto a coltivare mais OGM MON 810
stabilito dal decreto interministeriale del 2013 e risponde ad una questione
pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Udine.”
“Più specificatamente interviene sulle misure assunte da uno Stato membro,
relative a divieti OGM assunti in condizione di emergenza e sulla base del
principio di precauzione, sul comportamento che il giudice nazionale debba
tenere quando sia chiamato a valutare la legittimità di tali misure, e sul fatto
che la Commissione europea non è tenuta ad adottare misure di emergenza qualora
uno Stato membro la informi ufficialmente sulla la necessità di adottare tali
misure se non sia manifesto che il prodotto oggetto della misura, può presentare
un grave rischio per la salute umana, per la salute degli animali o per
l’ambiente.
Dal 2016 è vigente il DECRETO LEGISLATIVO 14 novembre 2016, n. 227, attuativo
della direttiva (UE) 2015/412, che concerne la possibilità per gli Stati membri
di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati
(OGM) sul loro territorio.
L’Italia dunque ha definito le procedure per limitare o vietare la coltivazione
di tutti gli organismi geneticamente modificati sul territorio nazionale. Sulla
base di queste norme il Ministro delle politiche agricole, alimentari e
forestali di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare e il Ministro della salute, dopo il parere positivo della
Conferenza Stato-Regioni, ha trasmesso alla Commissione europea le richieste di
esclusione dall’ambito geografico delle domande di autorizzazione già concesse o
in via di concessione per sei mais geneticamente modificati, che sono state
tutte accettate."
Conclude Pellegrino: "Quindi il problema non è discutere le modalità
dell’emergenza e per di più con riferimento ad un contesto normativo, italiano e
comunitario, completamente evoluto sulla spinta dei cittadini europei No OGM .
Quello che intendiamo conoscere, quanto prima, è a che punto siano le procedure
per stabilire divieti di coltivazione di sementi ogm di altre specie vegetali
coltivate nelle campagne italiane."
IL PICCOLO - GIOVEDI', 14 settembre 2017
L'Europa gela l'Italia «Non può impedire le coltivazioni ogm» - Il verdetto
Secondo i giudici , qualora non sia accertato un
pericolo per la salute umana, degli animali o per l’ambiente, gli stati UE non
possono dire stop
TRIESTE - La Corte di giustizia europea bacchetta l'Italia sugli ogm,
partendo da un caso "Made in Friuli Venezia Giulia". Tanto i coltivatori
italiani quanto il governo e la Regione Fvg, però, assicurano che la
coltivazione di piante geneticamente modificate è vietata e tale resterà. La
sentenza, emessa ieri, parte dalla vicenda di Giorgio Fidenato, l'agricoltore
che nel 2014 piantò mais ogm e fu perseguito penalmente per aver violato un
decreto interministeriale che ne vietava la coltivazione. I giuristi europei
hanno stabilito che, qualora non sia accertato che un prodotto geneticamente
modificato possa comportare un grave rischio per la salute umana, degli animali
o per l'ambiente, né la Commissione né gli Stati membri hanno la facoltà di
adottare misure di emergenza quali il divieto della coltivazione, come fece
l'Italia nel 2013. Quel decreto, afferma in sostanza la Corte, non era legittimo
perché il "principio di precauzione" deve basarsi sulla certezza dell'esistenza
del rischio, altrimenti non permette di eludere o di modificare le disposizioni
previste per gli alimenti geneticamente modificati. Ma la posizione della Corte
non convince tutti. In seguito a una direttiva approvata nel 2015, infatti, i
Paesi membri possono vietare la semina di Ogm anche se autorizzata a livello Ue:
l'Italia è tra i 17 Stati membri che hanno scelto questa possibilità. Lo ricorda
la Coldiretti, il cui presidente Roberto Moncalvo aggiunge: «Per l'Italia gli
organismi geneticamente modificati in agricoltura non pongono solo seri problemi
di sicurezza ambientale, ma soprattutto perseguono un modello di sviluppo che è
il grande alleato dell'omologazione e il grande nemico del "Made in Italy"». La
sigla sottolinea poi che «quasi 8 cittadini su 10 (76 per cento) si oppongono
oggi al biotech nei campi che in Italia è giustamente vietato in forma
strutturale dalla nuova normativa». Sulla stessa linea anche il presidente
regionale dell'associazione, Dario Ermacora. E pure la Regione Fvg. L'assessore
alle politiche agricole Cristiano Shaurli dichiara: «In Italia le coltivazioni
Ogm sono e restano vietate. Le battaglie individuali e attualmente
anacronistiche sono argomenti che non possono riguardare gli interessi generali
di una regione. La sentenza della Corte di giustizia europea, riguardante il
singolo caso - che tra l'altro aveva risvolti di tipo penale - dell'agricoltore
friulano, fa riferimento a norme abbondantemente superate dalla legislazione
vigente». L'assessore ricorda ancora che l'Italia è fra i Paesi che «hanno
richiesto e ottenuto l'esclusione dal loro territorio della coltivazione di sei
varietà di mais, fra cui il Mon810». Le battaglie giudiziarie compiute
dall'agricoltore Fidenato, conclude Shaurli, «si rivelano ora anacronistiche
poiché fanno riferimento ad uno scenario che in questo momento è totalmente
diverso. In Italia la coltivazione di mais Ogm è vietata. Finché questo
orientamento non cambierà, nessuno potrà piantare mais transgenico in Friuli
Venezia Giulia». Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia coglie la palla al
balzo per tracciare un quadro a tinte fosche del futuro italiano, «schiavo delle
multinazionali»: «Sulla base di questa sentenza i consumatori saranno ridotti a
vere e proprie cavie, sulle quali sperimentare se gli Ogm fanno male o no. Per
contrastare tale pericolosa assurdità mi auguro nasca un vasto movimento di
popolo, composto da tutti coloro che hanno a cuore il valore della biodiversità
e delle produzioni agricole tipiche». Incalza ancora Zaia: «Un grave assist alle
multinazionali in un quadro generale nel quale il mondo scientifico è spaccato
in due, tra chi valuta non pericolosi i prodotti geneticamente modificati e chi
invece ne asserisce la rischiosità. Gravissimo è il danno che ne riceveranno
l'Italia e il Veneto, rispettivamente con quattromilacinquecento e 350 prodotti
tipici di alta qualità, che rischiano di essere spazzati via». Il presidente del
Veneto auspica dunque un movimento di popolo, dicendo che «questa è l'Europa che
non ci piace». L'attacco di Zaia non piace al ministro alle politiche agricole
Maurizio Martina, che spiega: «Il governatore Zaia dovrebbe sapere che non
potranno essere coltivati Ogm in Italia. Grazie al lavoro fatto dal 2014 siamo
riusciti ad ottenere nuove norme europee che consentono legittimamente agli
Stati di vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati. Cosa che
l'Italia ha già fatto. È un risultato importante a tutela del nostro patrimonio
unico di biodiversità». Sul tema intervengono anche i parlamentari del Movimento
5 Stelle delle commissioni Agricoltura di Camera e Senato: «Con questa sentenza
viene calpestato il principio di precauzione, uno degli strumenti pilastro in
difesa dell'ambiente e della salute dei Paesi membri e baluardo della normativa
Ue contro i trattati di libero scambio come Ceta e Ttip». Spiegano ancora i
parlamentari che «dal punto di vista operativo e legislativo non cambia nulla»
per le ragioni sopra espresse, ma che la sentenza «ha dimostrato come sia
pericoloso affidarsi al solo principio di precauzione, che per l'Unione europea
è un concetto troppo labile, come abbiamo da sempre segnalato nelle nostre
mozioni, interrogazioni e risoluzioni sul tema». Canta vittoria, per le stesse
ragioni, l'associazione Luca Coscioni, di cui Fidenato è un iscritto. Scrive la
Coscioni in un comunicato: «La decisione della Corte del Lussemburgo sull'atto
di disobbedienza civile di Fidenato solleva l'enorme problema politico generale
della necessità di porre al centro delle decisioni normative e politiche le
evidenze scientifiche». Da adesso in poi, spiega, «non basterà invocare il
"principio di precauzione" per proibire, ci vorranno delle evidenze
scientifiche. Una decisione potenzialmente rivoluzionaria».
Giovanni Tomasin
«La battaglia continua - Ora mi risarciscano»
l'intervista
TRIESTE - Si definisce un anarco-capitalista, «perché nessuno deve poter
aggredire le persone per impossessarsi della proprietà altrui, nemmeno lo Stato
quando esige il pagamento delle tasse». La sentenza della Corte di giustizia
europea l'ha decretato vincitore di una battaglia, «ma non dell'intera guerra».
Per questo Giorgio Fidenato, l'agricoltore friulano che nel 2014 e nel 2015
aveva deliberatamente seminato granoturco con il Dna modificato nella sua
azienda di Vivaro, non arretra di un millimetro e rilancia: «Domani (oggi, ndr)
comunicherò in una conferenza stampa, a Colloredo di Montalbano, come mi
comporterò da qui in avanti». Fidenato, si aspettava questa sentenza?Ero
moderatamente ottimista. A febbraio ero stato chiamato a Bruxelles, assieme al
mio avvocato (Francesco Longo del Foro di Pordenone, ndr), per prendere parte a
un dibattimento e già allora le cose sembravano poter prendere una piega
positiva, dal momento che era emerso nettamente che alla base dei procedimenti
penali a mio carico c'erano delle motivazioni politiche e non di carattere
scientifico. Adesso cosa cambia? La mia posizione viene notevolmente
alleggerita, ma in questo Paese rimangono vietate le coltivazioni Ogm. Bruxelles
ha dichiarato illegittimo il decreto ministeriale del 2013, ma nel frattempo nel
2015 è stata approvata una direttiva che permette ai Paesi membri di vietare la
semina Ogm anche quando questa è autorizzata a livello di Unione europea.Quale
sentimento prevale in lei dopo questo pronunciamento?Non ho nessuno spirito di
rivalsa. Il concetto di vendetta non mi appartiene. Mi dispiace solamente che i
soldi dei contribuenti vengano buttati via in questa maniera. Lo sa quanto è
costata alla collettività questa battaglia? No, me lo dica... Solo per
sequestrarmi il granoturco, nel 2014, sono intervenute nella mia azienda un
centinaio di persone, fra carabinieri, guardie forestali e finanzieri. Per
bruciarlo nell'inceneritore di Trieste, poi, hanno buttato via seimila euro.
Adesso cosa farà?Non mi sbilancio prima della conferenza stampa. Dico solo che
non posso tollerare l'ignoranza e l'arroganza delle persone che vogliono
prevaricare a tutti i costi. Questi atteggiamenti mi spingono ad andare avanti.
In ballo ci potrebbe anche essere una richiesta di risarcimento?Certamente sì.
Lo Stato deve pagare per quanto ho subito. Ci rimetterà nuovamente la
collettività?Purtroppo sì, anche se è giunto il momento che i politici che
firmano delle leggi che sono palesemente contrarie ai trattati europei si
assumano la propria responsabilità civile, come accade a qualsiasi cittadino
quando sbaglia. Per cosa sente di dover essere risarcito?I danni materiali sono
poca cosa: si tratta sostanzialmente del mais andato distrutto. I danni morali
sono stati quelli più pesanti, dal momento che mi hanno dipinto come uno
sciagurato che non rispetta le leggi. Si sente il simbolo di una
battaglia?Magari lo fossi. Magari gli agricoltori seguissero il mio esempio. In
tanti mi appoggiano, ma hanno ancora paura. Eppure la libertà non viene
regalata, bisogna conquistarsela. Lo sosteneva anche Gandhi: quando un
provvedimento è iniquo, non va rispettato. Parla già come un capopopolo... Non
ho questa ambizione, non voglio imporre la mia visione agli altri e non penso di
salvare l'umanità. Deve essere il consumatore a decidere se comprare o no un mio
prodotto. Io devo poterlo coltivare liberamente e dopo spetta al mercato
promuoverlo o bocciarlo: alla faccia di certi totalitarismi. A cosa allude? Ai
politici, quelli del Movimento 5 Stelle e quelli della Lega Nord. Io sono per
delegittimare la politica che vuole imporre le proprie decisioni ai cittadini,
togliendo loro la libertà. Suona un po' come un elogio all'anarchia...
L'anarchia non è assenza di regole, ma è l'assenza di un padrone.
Luca Saviano
I CONSUMATORI - «La ricerca deve dare risposte»
TRIESTE - L'opinione di Barbara Puschiasis, presidente regionale della
Federconsumatori, è articolata e chiede di non essere ingabbiata in una
categoria schierata a favore o contro gli ogm. «Il discorso è complesso - spiega
- e non si può liquidare con un semplice sì o no. Per noi sono prioritari la
salute dei consumatori, l'ambiente che li circonda e la qualità di ciò che
finisce sulle loro tavole». Spetta alla ricerca scientifica «dare delle risposte
chiare sui possibili danni derivanti dagli ogm». L'Europa, a differenza degli
Usa, utilizza il principio della precauzione. «Se un prodotto può essere
potenzialmente pericoloso - rileva Puschiasis - non viene messo in circolazione.
Credo che questo principio rimanga validissimo ed è la stessa sentenza della
Corte di giustizia europea ad affermarlo».
(lu.sa.)
IL PRODUTTORE - «Tuteliamo le varietà locali»
TRIESTE - «In Italia abbiamo un patrimonio di biodiversità che ci invidia
tutto il mondo. Pensiamo a recuperare, a tutelare e a valorizzare le varietà
locali che, al contrario degli ogm, rappresentano il futuro e sono migliori dal
punto di vista nutrizionale». Luigi Faleschini da quasi trent'anni produce a
Pontebba ortofrutta biologica. La sua posizione, per cultura e vocazione
professionale, è contraria a quella del collega Giorgio Fidenato. «Le colture
locali - spiega - hanno già sviluppato nei secoli la loro resistenza e infatti
si adattano molto bene al territorio di origine. Non è necessario avventurarsi
nel campo delle modificazioni genetiche, anzi, può essere pericoloso. Vanno
inoltre tutelati gli agricoltori che potrebbero venire danneggiati dai pollini
ogm».
(lu.sa.)
LO SCIENZIATO - «Una vittoria del buonsenso»
TRIESTE - «Quella della Corte europea è una sentenza che dà ragione al
buonsenso». Mauro Giacca, direttore generale dell'Icgeb, si schiera dalla parte
degli ogm. «I presunti pericoli derivanti dal loro consumo - le sue parole -
sono stati smentiti dal passare del tempo. Miliardi di pasti composti da
prodotti ogm finiscono sulle tavole delle persone ogni anno e in tutto il mondo,
eppure non è mai stato evidenziato scientificamente alcun problema per la salute
di chi li consuma». Per Giacca il ricorso alle coltivazioni ogm rappresenta
«l'unica soluzione sostenibile per sfamare un pianeta che ha una popolazione di
oltre sette miliardi di persone». «Il dibattito sugli ogm in atto in Europa -
conclude - fa ridere in America, Asia e Africa. Per la salute non c'è
discussione: gli ogm non fanno male».
(lu.sa.)
La grande distribuzione - «Multinazionali da limitare»
TRIESTE - Fabio Bosco, titolare assieme al fratello dell'omonimo gruppo che
si occupa della grande distribuzione alimentare, ha una visione pragmatica
rispetto alla questione ogm. «Non sono contrario tout court - spiega -. Gli ogm
permettono di sfamare milioni di persone, dal momento che si sono rivelati
resistenti, ad esempio, alle condizioni climatiche avverse delle zone
desertiche». A Bosco non piace, però, che il controllo delle manipolazioni
genetiche rimanga nelle mani delle multinazionali. «Sono loro a disporre dei
brevetti degli ogm - continua - ed è così che si rischia di perdere la tipicità
di alcuni prodotti. Se in Italia si ritenesse utile lo sviluppo di un
determinato ogm, mi piacerebbe che lo studio e il brevetto venissero portati a
termine direttamente nel nostro Paese».
(lu.sa.)
L'ATTIVISTA - «Conseguenze alimentari»
TRIESTE - Luca Tornatore, attivista e ricercatore, è contrario agli ogm. «Si
deve adottare un minimo principio della precauzione, per quanto riguarda
l'impatto degli ogm sulla salute - le sue parole -. L'onere della prova spetta a
chi sceglie di attivare una determinata produzione per business. Non lo devono
dimostrare i consumatori con il proprio corpo». Secondo Tornatore la questione
ogm rischia di trasformarsi in una sorta di privatizzazione alimentare. «Ridurre
la varietà a una o due specie - spiega - può avere delle conseguenze dal punto
di vista ecologico e alimentare». L'attivista triestino chiama in causa l'Onu,
«che ha riconosciuto come gli ogm non abbiano un livello di produttività
maggiore rispetto ad altre tecnologie di produzione no ogm. Allora a cosa
servono?».
(lu.sa.)
L'ASSOCIAZIONE - «Ok contro la fame nel mondo»
TRIESTE - «Il nostro no agli ogm è dettato da opportunità economiche e
culturali. Non è un pregiudizio nei confronti della scienza». Edi Bukavec,
segretario dell'Assoagricoltori Fvg, contestualizza geograficamente il
dibattito. «Non siamo favorevoli alla loro introduzione - spiega - perché
preferiamo che venga valorizzata la biodiversità di questo territorio e la
qualità dei suoi prodotti. Stiamo dalla parte del Terrano e della Vitovska».
Bukavec ci tiene però a precisare che «la ricerca scientifica deve andare
avanti», soprattutto se questa riesce a contrastare la piaga della fame nel
mondo. «Siamo favorevoli - afferma - se la manipolazione genetica consente, ad
esempio, di ottenere un frumento resistente alle condizioni climatiche avverse,
così da sfamare le popolazioni povere».
(lu.sa.)
Ambiente - Patto Regione-sindaci per il Geoparco del Carso
Oggi nel palazzo della Regione alle 11 l'assessore regionale ad Ambiente ed Energia Sara Vito e i sindaci di Trieste, Monfalcone, Doberdò del Lago, Duino Aurisina, Fogliano, Redipuglia, Monrupino, Ronchi dei Legionari, Sagrado, San Dorligo, San Pier d'Isonzo, Savogna e Sgonico sottoscriveranno il protocollo d'intesa per l'istituzione di un Geoparco sul territorio del Carso.
La noce di mare mette in allarme la pesca - Giunta in
Adriatico si nutre di uova e larve di pesci. La nave dell'Ogs in missione per
studiarla
TRIESTE - Non presentano cellule urticanti come le meduse, sono innocue a
contatto con l'epidermide. Ma le cosiddette noci di mare, che sempre più stanno
invadendo l'Adriatico (conosciute anche come comb jelly o sea walnut), hanno un
impatto negativo sull'ecosistema e sul comparto ittico. Lo spiega uno studio
pubblicato dal Journal of Sea Research da un team scientifico internazionale di
cui fanno parte alcuni ricercatori dell'Istituto nazionale di Oceanografia e
geofisica sperimentale (Ogs) di Trieste. Per studiare ulteriormente questi
organismi gelatinosi salperà oggi da Trieste la nave da ricerca Ogs Explora per
una spedizione scientifica nell'Alto Adriatico sino a domenica. Le noci di mare
«sono animali marini planctonici carnivori, quasi trasparenti eluminescenti»,
spiega Paola Del Negro, direttrice della sezione di Oceanografia dell'Ogs:
«Originaria delle coste atlantiche americane, la specie è comparsa per la prima
volta in Europa nel Mar Nero a inizio anni '80, trasportata dalle navi tramite
le acque di zavorra. Ed è poi proliferata tanto da creare gravi danni al settore
della pesca in quanto vorace predatore di zooplancton, uova e piccole larve di
pesci, soprattutto di acciuga».Nel golfo di Trieste è stata segnalata per la
prima volta nel 2005, ma solo nell'estate 2016 si è verificata una vera
esplosione demografica, con presenze massicce nella laguna di Marano e Grado,
lungo il litorale ovest dell'Istria e tutte le coste adriatiche italiane, fino a
Pescara. Le noci di mare in pratica possono alterare lo sviluppo della catena
alimentare, perché sottraggono cibo a molti pesci, come acciughe e sardine, e ne
predano uova e larve. Ossia, «il principale impatto di questi organismi riguarda
la loro capacità di competere per l'alimentazione con specie ittiche di
interesse commerciale (soprattutto acciughe e sardine), nonché di predare i
primi stadi di sviluppo (uova e larve) di questi stessi pesci e le larve di
molluschi bivalvi come vongole e mitili». Sono adattabili in tutti gli ambienti
a qualsiasi latitudine e a diversa salinità e per di più sono ermafroditi
caratterizzati da un'impressionante capacità riproduttiva: un individuo può
produrre migliaia di uova al giorno. Inoltre, così Del Negro, «questi organismi
sono dannosi per alcuni sistemi di pesca peculiari delle lagune altoadriatiche
in quanto ostacolano l'operatività degli attrezzi per occlusione meccanica»:
essendo gelatinosi si attaccano alle reti con la conseguente impossibilità di
proseguire le attività di pesca. «Se la noce di mare dovesse continuare a
proliferare in maniera così massiva potrebbe essere compromessa la situazione di
tutto il comparto ittico, dalla pesca alla molluschi coltura», sottolinea Del
Negro ricordando che «nel Mar Nero hanno provocato un crollo della pesca
realmente vertiginoso».
Tossina oltre i limiti nei molluschi di Duino - Divieto
temporaneo di raccolta dell'Asuits - l'ordinanza
La fine dell'estate porta con sé il consueto ritorno delle restrizioni
temporanee riguardanti la raccolta e la distribuzione, ai fini dell'immissione
sul mercato alimentare, dei molluschi provenienti da alcuni degli allevamenti di
mitili. Al momento a essere interdetta è la possibilità dell'«immissione al
consumo dei molluschi bivalvi vivi estratti dalla zona "Ts 10 Zona A - Duino"
fino a quando non risultino ripristinate le condizioni di idoneità biologica»,
si legge in un'ordinanza dell'Azienda sanitaria integrata dei giorni scorsi. Il
motivo è l'eccedenza di una tossina, l'acido okadaico, rispetto ai limiti di
legge. L'ordinanza resterà in vigore fino a quando i nuovi controlli non
dimostreranno il rientro nella soglia di tali valori.
Stop a tempo per l'altoforno della Ferriera - Da lunedì
la manutenzione straordinaria sollecitata dalla Regione. Dipiazza: «Che senso ha
investire se l'impianto chiuderà?»
L'altoforno della Ferriera di Servola si ferma. Da lunedì prossimo 18
settembre, comunica Acciaieria Arvedi, partirà infatti la manutenzione
straordinaria conseguenza della diffida della Regione mirata al rientro
dell'attività dello stabilimento entro i parametri determinati al momento del
rilascio dell'Aia, l'Autorizzazione integrata ambientale. All'avvertimento di
fine giugno, con cui l'amministrazione regionale imponeva ad Arvedi di ridurre
le produzione per il rientro delle polveri nei valori obiettivo previsti dal
decreto, era seguito a metà agosto un nuovo invito della direzione Ambiente
della stessa amministrazione regionale ad adottare ulteriori misure. Nonostante
la limitazione della marcia degli impianti di cokeria e altoforno, scrivevano
gli uffici regionali citando una nota dell'Arpa relativa al mese di luglio, i
valori obiettivo erano stati infatti ancora superati. La stessa Arpa indicava,
tra le ulteriori azioni possibili per ridurre efficacemente le emissioni di
polveri, la fermata della produzione dell'altoforno in modo tale da anticipare
quella già programmata per la sostituzione della bocca di carico. La risposta di
Arvedi è la notizia dell'avvio «di operazioni di preparazione e fermata
dell'altoforno della Ferriera» definite non ordinarie, ma appunto straordinarie.
Uno stop presumibilmente di qualche settimana, ma il gruppo non comunica la
durata dell'intervento. Quanto alla Regione, l'informativa è affidata a un
comunicato tecnico che riassume le informazioni arrivate da Arvedi che
contengono pure i risultati delle determinazioni ponderali delle deposizioni di
agosto, in base ai quali risulta che anche lo scorso mese è stato superato il
valore obiettivo fissato dall'Aia, pur in maniera minore rispetto a luglio. Un
superamento confermato anche dall'Arpa, che ha però rilevato valori lievemente
inferiori a quelli registrati dalla società. Nel periodo di chiusura
dell'altoforno, fa sapere ancora la Regione stando a quanto scritto da Arvedi,
«la marcia della cokeria» sarà ridotta al minimo tecnico per la salvaguardia e
il mantenimento in sicurezza dell'impianto. Per le stesse attività di
manutenzione verrà sospesa l'attività della centrale elettrica dal 2 al 16
ottobre e ciò comporterà l'accensione della torcia di emergenza per la
combustione del gas eventualmente in eccesso. Inoltre, dal 30 settembre al 16
ottobre, sempre per l'esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria, verrà
fermato l'impianto di agglomerazione. E infine, essendo stati rilevati valori
nuovamente superiori all'obiettivo fissato dall'Aia, fino al fermo
dell'altoforno continuerà la riduzione della produzione. Il tentativo di
rientrare nei paletti dell'Aia è dunque esplicito e ben definito. Ma Roberto
Dipiazza, nei giorni in cui il Comune ha svelato le sue più recenti
contestazioni, quelle sul presunto inquinamento in mare della Ferriera, non
condivide per nulla. Non per ragioni tecniche, ma di "filosofia": «Non è questo
il modo per risolvere la questione». Secondo il sindaco, «si continua ad
aggiungere errore a errore. In una situazione ormai insostenibile, con il
ministero in campo per salvare le acque, in una città in cui l'area a caldo è
evidentemente incompatibile, che senso ha fare altri investimenti? Che senso ha
gettare denari al vento quando tutti sappiamo che, se non sarà quest'anno sarà
il prossimo, Arvedi, quell'impianto, lo chiuderà?». Dipiazza assicura quindi che
continuerà «la battaglia personale per consentire a Trieste il legittimo
sviluppo in totale sicurezza». Il sindaco aveva in passato ipotizzato soluzioni
di lavoro alternative per gli addetti della Ferriera. Stavolta si concentra sul
nodo sanitario: «Non possiamo continuare a scambiare posti di lavoro con la
salute di un'intera città, anzi, di un intero territorio. Sarebbe gravissimo
mettere in ginocchio Trieste, Muggia e Capodistria per 300, 400 posti di
lavoro».
Marco Ballico
Hestambiente a caccia di sorgenti d'acqua - Domani un
sopralluogo in via Errera. Si cercano nuovi canali per "rifornire" il
termovalorizzatore
Il gruppo Hera è veramente una grande multiutility, perché, ai tradizionali
quattro settori in cui organizza le proprie attività, ha aggiunto la
rabdomanzia. La controllata Hestambiente ha chiesto un paio di mesi fa alla
Regione l'autorizzazione a cercare acque sotterranee in via Errera 11, indirizzo
che coincide con lo stabilimento del termovalorizzatore. La pratica è seguita
dal "servizio gestione risorse idriche" con sede a Gorizia. Domani - aggiunge
una breve nota regionale ripresa dall'Albo Pretorio comunale - avverrà un
sopralluogo al quale «potrà intervenire chiunque vi abbia interesse», con
appuntamento alle 10 davanti all'inceneritore. Ma perché il termovalorizzatore
triestino è "assetato"? Lo spiega il direttore della produzione di Herambiente
Paolo Cecchin, ingegnere fiorentino 55enne, con precedenti lavorativi
nell'Ansaldo, nella Knorr Bremse, nella Falck. «L'impianto - dice il manager - è
un importante consumatore di acqua e la risorsa idrica è fornita dalla rete di
AcegasApsAmga». Cioè, sgorga dai pozzi di prelievo vicini all'Isonzo e scorre
lungo le tubature dell'utility triestino-padovano-isontino-udinese. «Si tratta
di un percorso - riassume Cecchin - lungo e costoso, quindi, in una logica di
risparmio energetico, cerchiamo di individuare fonti alternative di
approvvigionamento». I volumi idrici "bevuti" dal termovalorizzatore sono
cospicui: parliamo - calcola Cecchin - di 60mila metri cubi al mese, oltre
700mila all'anno. Quantità che classificano l'impianto di via Errera ai
primissimi posti dell'utenza triestina, superato solo dalla Ferriera. Il manager
si mantiene molto prudente su quello che si potrà trovare nel sottosuolo di via
Errera: «Abbiamo commissionato uno studio in base al quale scaveremo un pozzo di
prova. Al momento non siamo in grado di stimare quantità e qualità dell'acqua, è
un test tutto da costruire. Quella che serve al funzionamento del
termovalorizzatore è risorsa idrica non salina». Fonti aziendali ritengono che
700mila metri cubi di acqua possano rappresentare il consumo di un aggregato
urbano da 3mila abitanti. La storia dei termovalorizzatori triestini comincia
nel 1972 con l'inceneritore di Giarizzole, che servirà la città fino al 1999.
Poi la stagione di via Errera, prima con due linee di incenerimento da 204
tonnellate cadauna di rifiuti bruciati al dì. Errera 2 divenne rapidamente
Errera 3, con l'aggiunta di un'ulteriore linea dotata della stessa potenzialità
produttiva. Tra la primavera e l'estate del 2015, a distanza di tre anni da
quando Hera aveva acquisito AcegasApsAmga, la capogruppo decise di trasferire i
termovalorizzatori di Trieste e di Padova in un'apposita società, Hestambiente:
una srl, con un capitale sociale di un milione e 10mila euro, partecipata al 70%
da Herambiente e al 30% da AcegasApsAmga. Insomma, si tratta di un asset Hera al
100%.
Massimo Greco
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 13 settembre 2017
«Acque di falda inquinate, il ministero sta con il
Comune»
Il Comune chiama il ministero dell'Ambiente sostenendo che la Ferriera
inquina il mare, e il ministero risponde chiamando Siderurgica triestina, cui
viene chiesto di prendere provvedimenti per evitare proprio la diffusione di
inquinanti in mare. Il "giro" di chiamate lo svela lo stesso Comune, cui per il
momento la proprietà dello stabilimento di Servola non replica frontalmente ma
si limita a osservare che «nelle dichiarazioni del sindaco» vi sono
»approssimazioni». «In base a quanto evidenziato da Arpa lo scorso 31 luglio -
si legge nella nota del Comune - abbiamo chiesto ad inizio settembre al
ministero di valutare l'opportunità di adottare un provvedimento specifico per
eliminare da parte della Ferriera 'immissione in mare delle acque di falda
contaminate. Nella nota Arpa, infatti, si evidenziava come le analisi delle
acque di falda in determinati pozzetti vicini al mare mostrano una pesante
presenza dei cancerogeni benzene e benzo(a)pirene, accanto a naftalene ed altri
idrocarburi. Siamo soddisfatti perché il ministero ha prontamente risposto
chiedendo alla proprietà di procedere immediatamente a interrompere lo
sversamento a mare», con «immediata attivazione dell'emungimento della barriera
idraulica e ogni ulteriore misura di prevenzione necessaria ad impedire la
diffusione dell'inquinamento». «Abbiamo illustrato anche - così Roberto Dipiazza
- che l'attuale pianificazione delle analisi ridotta a trimestrale con l'Aia
rilasciata nel 2016, con l'Aia del 2008 la rilevazione era mensile, non permette
di riscontrare miglioramenti statisticamente significativi» e che il Comune «a
fronte di queste allarmanti evidenze ha già presentato alla Regione la richiesta
formale di riesame dell'Aia... rigettata dalla stessa Regione».«Nelle
dichiarazioni del sindaco - si limitano a commentare dall'ufficio stampa di
Siderurgica triestina - cogliamo alcune approssimazioni che ci riserviamo di
approfondire nelle prossime ore». Eventuali repliche, quindi, arriveranno solo
dopo una fase di approfondimento.
Un supercentro di ricerca dedicato all'energia -
Inaugurata dall'ateneo la nuova struttura interdipartimentale che riunisce sette
aree disciplinari
Dopo la Summer school intitolata al chimico triestino Giacomo Ciamician, che
si sta svolgendo in questi giorni e che contempla tematiche sull'energia, e da
quest'anno ambiente e trasporti, all'Università è stato battezzato ieri il
Centro di ricerca interdipartimentale sulle stesse materie, anch'esso dedicato
all'insigne scienziato, pioniere dell'energia solare. Ben sette aree
disciplinari (Ingegneria e architettura, Scienze chimiche e farmaceutiche,
Scienze economiche, aziendali, matematiche e statistiche, Scienze giuridiche,
del linguaggio, dell'interpretazione e della traduzione, Scienze della vita,
Matematica e geoscienze e Scienze politiche) all'interno di questo incubatore di
idee, che ha sede per il momento nel dipartimento afferente al suo direttore,
Giorgio Sulligoi, docente di Sistemi elettrici per l'energia all'interno di
Ingegneria e architettura.Il centro si propone dunque di fare da punto focale
tra la ricerca e il trasferimento delle conoscenze dall'ateneo al sistema
industriale-scientifico del nostro territorio, ma non solo, secondo un approccio
multidisciplinare. «C'è stato un processo che ha portato alla costituzione del
centro - spiega Sulligoi - caratterizzato da competenze che intercettano quella
ingegneristica, quella economica, e un domani auspicabilmente anche quella
inerente alla medicina del lavoro, perché non c'è sul territorio regionale una
struttura simile. In Italia esistono altri centri, come a Padova, con cui
abbiamo intenzione di collaborare». L'adesione dei diversi ricercatori è legata
ai progetti sui quali il team di studio lavorerà, che possono essere frutto di
bandi o accordi quadro con istituzioni, o legati direttamente ad aziende o
consorzi di imprese.«Questo centro consentirà anche di avviare interlocuzioni
con grandi istituzioni quale ad esempio la Banca mondiale - specifica Sulligoi
-, soggetti che è difficile interagiscano con il singolo ricercatore e invece
necessitano di consultazioni verticali, dal chimico allo specialista di linee
elettriche, all'economista». In questo modo il sistema non solo potrà fornire
una consulenza completa, ad esempio nell'uso delle energie rinnovabili,
dell'inserimento di progetti sul territorio o per l'impatto di questi
sull'ambiente, ma «porterà anche benefici all'università stessa, sul modo di
fare ricerca». E ciò rivolgendosi sia in ambito nazionale sia internazionale, e
diventando un soggetto che può fornire la propria conoscenza coniugata a
strategie regionali. «Ci poniamo così - conclude il professore - anche per
raccogliere finanziamenti pubblici e privati e per entrare nei processi
decisionali territoriali. In altre realtà l'università è nei grandi processi di
urbanizzazione o industrializzazione: perché il sistema locale della scienza non
può contribuire alle soluzioni?».
(b.m.)
Piu' di 600 firme per salvare le nutrie sull'Ospo - Consegnata in Regione la petizione di MujaVeg contro la legge che permette l'abbattimento violento.
MUGGIA - Esattamente 629 firme per salvare le nutrie del Friuli Venezia Giulia. Questo il risultato della petizione popolare "Salva Nutrie" consegnata al presidente del Consiglio della Regione Franco Iacop. La raccolta firme, partita dall'associazione animalista MujaVeg, chiede a chiare lettere la modifica delle disposizioni inserite nella Legge regionale n. 20 del 9 giugno scorso con cui la giunta Serracchiani ha previsto, entro l'anno, l'avvio del progetto di eradicazione delle nutrie attraverso abbattimento violento o eutanasia. La legge regionale "Misure per il contenimento finalizzato all'eradicazione della nutria (myocastor ciypus)" viene considerata dagli animalisti «dispensatrice di una morte cruenta per migliaia di nutrie sul territorio regionale». Di più, «cozza con la legge nazionale dell'11 febbraio n. 157, che prevede un controllo della specie praticato di norma mediante l'utilizzo di metodi ecologici su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica (oggi Ispra)». E solo «qualora l'Istituto verifichi l'inefficacia dei predetti metodi, le Regioni possono autorizzare piani di abbattimento». Come metodi ecologici si intendono pratiche non cruenti, «da utilizzare in via prioritaria». Metodi indicati nelle linea guida per il controllo della nutrie dell'Ispra. In questo senso si è «paradossalmente» mossa anche la Regione Friuli Venezia Giulia, che ha deciso di finanziare uno studio per individuare e testare sistemi per ridurre le capacità riproduttive delle nutrie. «Mi chiedo che senso abbia fare uno studio per ridurre la fertilità degli animali e contemporaneamente ordinare la fucilazione e la camera a gas di tutte le nutrie - incalza Cristian Bacci, responsabile di MujaVeg e primo firmatario della petizione -. E che fine faranno i cuccioli che rimarranno rifugiati nelle tane ad aspettare che la mamma torni per allattarli?». In base all'attuale legge regionale di fatto è concesso "l'uso di armi da sparo oppure trappolaggio e successivo abbattimento con metodo eutanasico dell'animale mediante narcotici, armi ad aria compressa o armi comuni da sparo". Solo come terza opzione vengono annoverati metodi e strumenti messi a disposizione dalla comunità scientifica. «La petizione firmata da 629 cittadini della regione - ancora Bacci - prevede di utilizzare in esclusiva questi metodi e non quelli che prevedono la morte per mano umana. Ora la palla passa alla Regione dove la proposta sarà discussa nella Commissione competente». Non è un caso che la petizione sia partita da Muggia, terra ricca di "castorini" che hanno colonizzato gli argini del rio Ospo. Una colonia che però «non ha mai fatto danni a coltivazioni private o ad altri soggetti», come ha ribadito spesso l'assessore alla polizia locale di Muggia, Stefano Decolle.
Riccardo Tosques
La Voce.info - MARTEDI', 12 settembre 2017
ENERGIA E AMBIENTE - Ricette anti-Co2: acqua, vento e sole non bastano
Uno studio spiega come si potrebbe arrivare nel 2050 a
un sistema energetico mondiale basato solo su acqua, vento e sole. È uno
scenario estremo, forse tecnicamente irrealizzabile. Soprattutto, non considera
gli enormi costi di una simile soluzione. -
leggi l'articolo su La Voce.info
Solo vento, acqua e sole
Mentre l’Italia lottava strenuamente contro il caldo agostano, la rivista Joule
pubblicava un lavoro dal titolo “100% Clean and Renewable Wind, Water, and
Sunlight All-Sector Energy Roadmaps for 139 Countries of the World”, realizzato
da Mark Z. Jacobson con molti altri co-autori.
L’articolo propone una tesi molto suggestiva: la possibilità (e la
desiderabilità) di una transizione (entro il 2050) dell’intero sistema
energetico mondiale verso una soluzione che consideri unicamente “wind, water
and sunlight”, ovvero vento, acqua e sole. Si tratta di una versione assai
spinta dei tanti scenari di de-carbonizzazione che sono stati prodotti negli
ultimi anni da diverse istituzioni. Ne mostra un aspetto peculiare, ed
esplicitamente non prende in considerazione alcuni elementi spesso contenuti
negli scenari ad alta de-carbonizzazione, come il settore nucleare, le biomasse,
il confinamento geologico della CO2. L’articolo considera 139 paesi, ovvero
quelli per i quali esistono statistiche rese disponibili dall’Agenzia
internazionale dell’energia. Va aggiunto che i paesi in questione rappresentano
il 99 per cento delle emissioni di CO2.
L’articolo – relativamente breve (14 pagine) – è accompagnato da un’appendice di
oltre 150 pagine che presenta con maggiore dettaglio gli scenari proposti.
Lo studio è nato e si è sviluppato nell’Università di Stanford, cui appartengono
24 dei 27 citati ricercatori. Il lavoro – che in forme diverse circola da tempo
– gira intorno alla figura di Mark Z. Jacobson, primo fra gli autori, l’unico
non in ordine alfabetico e che gode di una certa notorietà, almeno negli Stati
Uniti. Fra le sue apparizioni televisive, si ricorda un’intervista con David
Letterman nel 2013 proprio su questo tema, ma limitato solo agli Stati Uniti e
non al mondo nel suo complesso.
Il confronto con i dati Weo
Per cercare di valutare lo studio, seppur sommariamente, può essere utile
confrontarlo con i dati contenuti dell’ultimo World Energy Outlook (Weo)
pubblicato dall’Agenzia internazionale dell’energia nel 2016. Le due
pubblicazioni usano dati espressi in unità di misura diverse – in termini
energetici (Mtoe) per il Weo, in termini di potenza elettrica installata (GW)
nel lavoro di Jacobson – che sono stati quindi uniformati per poterli
confrontare. In più, il traguardo del Weo è il 2040, mentre lo studio Jacobson
si spinge fino al 2050. Per ragioni di spazio ci limitiamo a considerare alcune
macro tendenze (grafico 1).
Gli scenari tendenziali (che non mostriamo) sono sostanzialmente coincidenti per
i due modelli. La principale differenza è tuttavia legata allo scenario
alternativo. Nel caso Weo, anche quello più stringente (450 Scenario) vede un
minimo incremento dell’offerta di energia al 2040, mentre nel caso Jacobson c’è
invece una leggera riduzione della domanda totale di energia al 2050.
Se ci riferiamo solo al valore strettamente numerico, gli scenari non appaiono
drasticamente differenti. Certo, al 2040 ci sono 2000 GW di differenza, ma
mancano ancora dieci anni e la distanza potrebbe ridursi.
Il confronto è diverso se pensiamo che i risultati Jacobson sono ottenuti senza
l’utilizzo di alcuni ingredienti presenti invece in abbondanza nella soluzione
Weo che, nello scenario a massima de-carbonizzazione, prevede tra l’altro
nucleare, biomasse, Ccs e tecnologie simili.
Stiamo guardando due torte apparentemente uguali, solo che quella di Jacobson
non usa né uova, né farina. Si potrebbe avere qualche perplessità ad
assaggiarla.
È quello che probabilmente ha pensato un gruppo di scienziati che a giugno hanno
pubblicato per la prestigiosa Pnas (Proceedings of the National Academy of
Sciences of the United States of America) uno studio in cui demoliscono il
modello progenitore di quello che stiamo esaminando e che si limitava agli Stati
Uniti e non a 139 paesi. Basti ricordare, in sintesi, che i paragrafi sono
sobriamente intitolati “errori nell’analisi”, “errori nel modello”, “assunzioni
implausibili” e così via: evidentemente, non hanno gradito la torta.
I costi
Probabilmente la soluzione proposta da Jacobson non è tecnicamente realizzabile.
Certamente è troppo costosa e dunque non raggiungibile per ragioni economiche,
politiche e sociali. Per quanto riguarda l’aspetto economico, ci sono altre
soluzioni, sempre a impatto ambientale pressoché nullo, che molto probabilmente
sono più convenienti e soprattutto più sicure rispetto a quelle proposte.
Si pensi, tanto per fare un esempio, al tema dei trasporti marittimi e
soprattutto aerei: per passare all’elettrico integrale bisognerebbe, in poco più
di trenta anni, rivoluzionare completamente il concetto stesso di trasporto,
cambiando completamente le flotte e tutta l’infrastruttura di supporto. Si può
probabilmente fare, ma a quale prezzo? Considerando che aerei e navi hanno una
vita utile abbastanza lunga e che le tecnologie richiedono ancora almeno un
decennio per lo sviluppo, si tratterebbe – entro il 2050 – di sostituire aerei e
soprattutto navi ancora nuovi (i cui investimenti non sarebbero ammortizzati) a
favore di mezzi a propulsione elettrica. Questa rivoluzione non sembra dietro
l’angolo.
Alessandro Lanza
IL PICCOLO - MARTEDI', 12 settembre 2017
Da Barcis a San Daniele al mare - Mille chilometri solo per le bici - Tre milioni spendibili nel triennio per rendere la regione a misura di cicloturista
Serviranno sia a realizzare nuovi tracciati che a
potenziare quelli già costruiti
TRIESTE - La Regione scommette sulla ciclabilità e nel triennio 2017-2019,
come indicato nell'assestamento di bilancio, prevede finanziamenti per oltre tre
milioni di euro, mirati a interventi che porteranno alla realizzazione di nuove
piste ciclabili e/o alla sistemazione di quelle esistenti. Una volontà di
puntare sulla mobilità ecosostenibile alla luce dei tanti cittadini che in tutto
il Friuli Venezia Giulia si muovono sempre più con la bici e del numero
crescente di cicloturisti. Nuovi percorsi L'opera più consistente, in termini di
costi, sarà il completamento dell'itinerario definito Fvg3, parallelo al
tracciato ferroviario, con la costruzione della pista ciclabile nei comuni di
Pinzano, Meduno, Cavasso, Montereale e Maniago, per complessivi 300mila euro, ai
quali se ne aggiungeranno altrettanti per l'anello tra Maniago, Frisanco, Pala,
Barzana, Andreis, Barcis e Montereale. Ammonta a 250mila euro un altro progetto
tra i più onerosi, il percorso ciclopedonale Loch-Supizza, all'ex confine di
Stato, la prosecuzione del percorso Bimobis. Segue, con 200mila euro di esborso,
la realizzazione delle piste ciclabili interne che collegheranno le ciclabili
Alpe Adria e Bimobis, e ancora, per lo stesso importo, la ciclovia Alpe Adria
nel Comune di Pontebba. Tre le novità previste poi la pista ciclabile
Basiliano-San Marco lungo la ex provinciale SP10, il percorso cicloturistico sul
fiume Varmo, la nuova viabilità ciclabile Tolmezzo-Amaro, con il completamento
della rete carnica, la viabilità ciclopedonale tra Moruzzo, Fagagna, Rive
d'Arcano e San Daniele del Friuli. La pista ciclopedonale sopra l'argine del
Tagliamento e il collegamento ciclabile tra Udine e Campoformido: le tempistiche
per ogni singola novità non sono ancora state rese note, ma secondo il programma
saranno completate o comunque avviate entro il 2019. La mappa La Regione Friuli
Venezia Giulia sta realizzando la "Rete delle ciclovie di interesse regionale (ReCIR)",
un sistema di ciclovie collegato anche con i tracciati dei paesi confinanti. I
percorsi si possono visionare al link www.regione.fvg.it/rafvg/cms/RAFVG/infrastrutture-lavori-pubblici/infrastrutture-logistica-trasporti/ciclovie/.
La ReCIR si compone di dieci ciclovie, per un totale di oltre di mille
chilometri, dei quali 450 chilometri sono già stati realizzati e comprendono la
ciclovia Alpe Adria, quella del mare Adriatico, la pedemontana e del Collio,
quella della pianura e del Natisone, le ciclovie dell'Isonzo, del Tagliamento e
del Livenza, quella della montagna carnica, quella della bassa pianura
pordenonese e la Noncello-mare.Gli investimenti Oltre ai tracciati specifici
indicati, 50mila euro vengono destinati in generale a potenziare i collegamenti
tra siti archeologici e naturalistici della regione, ulteriori 100mila per la
predisposizione di un programma comprensoriale di interventi su viabilità
ciclabile e i sentieri. Altri 40mila figurano per la "riqualificazione dei
parchi e delle zone naturalistiche dei Comuni dell'Unione Sile e Meduna, Parco
di Torrate, Parco delle Dote, Laghi di Cesena, Parco Cornia, Borgo medioevale di
Panigai e i relativi percorsi ciclopedonali di collegamento". Attenzione puntata
anche ai ciclisti di montagna, con 3.500 euro mirati a creare e segnalare
percorsi in quota per mountain bike. «Per la realizzazione dei tratti di "pista
ciclabile-ciclopedonale" della ReCIR - viene sottolineato dalla Regione - si
predilige l'utilizzazione dei tracciati ferroviari dismessi, delle stradine
arginali, delle carrarecce di campagna e delle piste forestali». Le criticità
Fiab Ulisse, che da anni si occupa di ciclabilità, sollecita la Regione su un
intervento in particolare, per cui manca ancora l'ultimo tassello. Si tratta
della pista ciclabile del Carso, da Monfalcone a Draga Sant'Elia. «Nell'aprile
di quest'anno è stata inviata una lettera all'assessore Santoro alla quale non è
seguita nessuna risposta. Si tratta di una novità già prevista nel 2009 con un
finanziamento di due milioni e 900mila euro - ricorda Federico Zadnich,
coordinatore regionale Fiab Fvg - ma poi tutto si è arenato e non è mai stato
avviato il progetto esecutivo. Su questo noi avevamo raccolto 1.300 firme.
Riassumendo, la Provincia ha realizzato il progetto esecutivo ma poi si è
fermata, non ha fatto il bando per la realizzazione e nel frattempo è stata
sciolta. Da un anno tutto è passato nelle mani della Regione che però non ha
fatto il bando, quindi i 2,9 milioni di euro e il progetto sono in stand by.
Questi ritardi danneggiano l'economia cicloturistica della provincia di
Trieste». La tratta viene definita importante da Fiab Ulisse, che aveva indicato
in un comunicato già un paio di anni fa, come fondamentale, «eseguire con
priorità il lotto Monfalcone-Sistiana in modo da dare continuità alla ciclabile
Grado-Monfalcone e consentire ai cicloturisti diretti a Trieste di percorre
l'itinerario del Carso o in alternativa la più spettacolare strada costiera come
stanno già facendo tutti i tour operator che operano nella nostra provincia». E
se per alcuni collegamenti si attende ancora una risposta, per altri Fiab Ulisse
annuncia una novità che vedrà la luce il prossimo anno. «Nel 2018 - spiega
Zadnich - lanceremo la nuova ciclabile Ciclovia Aida, che attraverserà l'Italia,
partirà proprio da Trieste per raggiungere Susa e toccherà la principali città
del nord, un affascinante itinerario per chi viaggia in bici alla scoperta delle
bellezze del nostro Paese».
Micol Brusaferro
LE SCELTE - «Più sicurezza per i cittadini»
«Investire sulle ciclabili significa investire non solo sul nuovo turismo,
ma sulla sicurezza dei cittadini, che devono essere messi nelle condizioni di
poter scegliere quale sia il mezzo di trasporto per loro più giusto e di poterlo
utilizzare appunto in sicurezza». Così l'assessore regionale alle Infrastrutture
e Territorio Mariagrazia Santoro, che sta seguendo in prima linea tutto ciò che
riguarda la mobilità sostenibile e lo sviluppo della Rete delle ciclovie di
interesse regionale. «Abbiamo una congiuntura favorevole - sottolinea - in cui
le ciclabili delle province sono passate sotto la regia della Regione che, con
il Piano paesaggistico, ha mappato l'esistente per fare un programma di
investimenti che completano la rete. Contemporaneamente nelle intese per lo
sviluppo delle Uti il finanziamento della progettualità per un nuovo sistema
ciclistico è predominante».
( mi.b.)
LE RICHIESTE - «Trieste e Muggia da collegare»
Tra le priorità di Fiab Ulisse su Trieste c'è la ciclabile che colleghi la
città capoluogo a Muggia, proposta presentata alcune settimane e messa a
disposizione dei due Comuni. «Realizzabile in tempi rapidi e con risorse
contenute - così Fiab coordinata in regione da Federico Zadnich (foto) - è una
concreta possibilità che è stata elaborata in uno studio di fattibilità, che
mette a disposizione di chi amministra». Un percorso di otto chilometri -
insistono da Fiab - che collegherebbe la galleria di Montebello s Muggia con un
itinerario ciclabile continuo, riconoscibile, veloce e sicuro, attraverso rioni
molto popolati e senza particolari pendenze, dove sono presenti attività
commerciali ed industriali. Un'infrastruttura che si trova lungo l'itinerario
cicloturistico EuroVelo8 Cadice-Atene e che farebbe arrivare la ciclovia
Parenzana fino al centro di Trieste.
( mi.b.)
Muggia "sfida" Roma - Torna in vigore l'ordinanza
antibici
La giunta Marzi riabilita il provvedimento sospeso dal ministero - «In
settimana spediremo le motivazioni della nostra scelta»
MUGGIA - «Abbiamo ripristinato l'ordinanza sospesa dal ministero: entro la
settimana invieremo a Roma le motivazioni scritte sul perché della nostra
decisione». Laura Marzi, sindaco di Muggia, non ci sta. Nella riunione di giunta
svoltasi ieri pomeriggio l'amministrazione comunale ha deciso di proseguire per
la propria strada per quanto concerne la cosiddetta "ordinanza antibici". Il
documento che dallo scorso giugno regolamenta la viabilità del centro storico
inserendo, tra i tanti punti, anche l'obbligo di spingere le biciclette a mano
in tre zone del centro - corso Puccini, via Dante e piazza Marconi - era stato
fortemente contestato dalla sezione muggesana di Fiab Ulisse, l'associazione di
ciclisti presente sul territorio provinciale. Tramite l'ufficio legale
dell'associazione lo scorso luglio tre cittadini muggesani, Christian Bacci,
Gaetano Maggiore e Carlo Canciani, avevano presentato un ricorso al ministero
delle Infrastrutture e dei Trasporti contro l'ordinanza sindacale di Muggia.
Risultato? Il ministero ha inviato al Comune una nota con la sospensione del
documento. Una sospensiva senza tempistiche precise, e con la possibilità da
parte del Comune di appellarsi a motivi di sicurezza per un eventuale
ripristino. Cosa che è puntualmente accaduta. «Quello del Ministero è stato un
atto dovuto dinanzi ad un ricorso, ma non vi è presente alcun pronunciamento.
Concretamente non c'è stata nessuna bocciatura, motivo per cui è stata data
possibilità al Comune di ripristinare l'ordinanza, in caso di urgenza, fornendo
delle controdeduzioni», racconta il sindaco Marzi. Da ieri, dunque, la giunta ha
in effetti deciso di ripristinare l'obbligo di condurre la bici a spinta, un
obbligo che per quest'anno sarà in vigore ancora sino al termine della "stagione
estiva", ossia sino al 30 settembre, in determinati orari: dalle 9.30 alle 12.30
e dalle 16 alle 20. I cartelli stradali, pertanto, non sono stati né tolti, né
coperti. Anzi, sono pienamente in vigore. Ma perché il Comune ha deciso di
proseguire con la sua ordinanza? «Semplice, perché per motivi di sicurezza i
provvedimenti presi sono necessari. Negli ultimi anni, in particolar modo
durante la stagione estiva, il numero di turisti è aumentato considerevolmente.
Ed è aumentato anche il numero di velocipedi che soprattutto in piazza Marconi e
nelle vie limitrofe, ossia corso Puccini e via Dante, tendono a sfrecciare
troppo velocemente facendo slalom tra le persone», racconta sempre il sindaco
Marzi.Il primo cittadino cerca poi di fare chiarezza, una volta per tutte, sulla
viabilità ciclabile: «Nessuno, ripeto, nessuno, ha obbligato i ciclisti a
prendere per forza la galleria come invece viene ancora sostenuto da più parti.
Da ben prima della nostra ordinanza l'entrata dei ciclisti avveniva, spesso,
contromano, nonostante vi fosse, e vi sia tuttora, un cartello che obbliga i
ciclisti a scendere e a spingere a mano per qualche decina metri le proprie
biciclette».Marzi, ribadendo l'importanza dell'ordinanza per quanto riguarda il
pugno duro contro gli autoveicoli nell'area pedonale all'interno del centro
storico di Muggia, spiega pure i prossimi passi del Comune: «Siamo venuti
incontro alle esigenze e alle richieste pervenuteci nei mesi scorsi da parte di
alcuni ciclisti, tanto è vero che abbiamo ampiamente limitato il raggio di
divieto di pedalata per le biciclette, una misura, ricordiamolo, adottata per
motivi di sicurezza. Il ricorso proposto dai tre cittadini mi ha lasciato
davvero perplessa, ma la decisione presa dalla giunta è quella di mantenere i
provvedimenti. Entro la settimana forniremo al ministero delle Infrastrutture e
dei Trasporti le motivazioni della nostra scelta».
Riccardo Tosques
I permessi per le Falesie delegati ai circoli -
L'amministrazione di Duino Aurisina cede il rilascio delle autorizzazioni per i
diportisti: iter più snello
DUINO AURISINA - Saranno le società nautiche del territorio di Duino
Aurisina, su delega dell'amministrazione comunale, a rilasciare, nel 2018, le
autorizzazioni ai diportisti per poter entrare nello specchio d'acqua della
Riserva marina delle Falesie. Questo radicale cambiamento nel Regolamento, che
disciplina l'accesso a quel tratto di mare, è stato programmato in questi giorni
dalla giunta guidata dal sindaco Daniela Pallotta, dopo una serie di incontri
che hanno visto l'assessore comunale Andrea Humar verificare la disponibilità
dei responsabili delle numerose realtà nautiche di Duino Aurisina. Lo specchio
d'acqua della Riserva è diviso in tre zone: la A, interdetta a qualsiasi
ingresso, la B, alla quale finora si accedeva solo se in possesso di un permesso
finora concesso dal Comune, su richiesta degli interessati, e la C, destinata
alla sola didattica. «Il permesso per entrare nella zona B - spiega Humar - era
sì gratuito, ma per ottenerlo era necessario fare due domande su carta bollata,
per una spesa complessiva di 32 euro. Inoltre bisognava presentare una serie di
documenti. Insomma, una gratuità relativa e un appesantimento burocratico che
hanno scoraggiato gli interessati - aggiunge Humar - al punto da originare una
caduta verticale delle domande di accesso. Dopo i colloqui con le società
nautiche locali, siamo giunti alla conclusione di delegare a loro, con il
consenso della Federazione competente, la Fipsas, e ovviamente sulla base di un
preciso Regolamento - precisa - il rilascio dei permessi. Queste scelta -
sottolinea Humar - dovrebbe rendere molto più veloce l'operazione di rilascio.
Confermeremo la gratuità dell'accesso. Se dovessimo optare per una diversa
scelta, facendo pagare una piccolo prezzo d'ingresso - conclude l'assessore - lo
faremo solo per destinare l'intero ricavato alle Scuole vela per i ragazzi».A
insistere per una più libera fruizione della zona B della Riserva delle Falesie
erano stati pochi giorni fa anche i Cittadini per il golfo, preoccupati per la
progressiva crescita delle zone interdette al diporto. Nello stesso programma
che riguarda la zona B, sono previsti progetti anche per la A e la C. Per quanto
concerne la prima, che resterà comunque interdetta, di concerto con le
associazioni dei pescatori si procederà con un'azione che Humar ha definito di
«ripopolamento delle colonie di seppie e calamari». Infine, per la C, la giunta
sta programmando un piano che coinvolga ancora una volta le società nautiche,
stavolta assieme alla Riserva di Miramare, per portare sul posto le scolaresche,
nell'ambito di corsi di educazione ambientale. «Vogliamo che la Riserva marina
delle Falesie - è la chiosa di Humar - torni a essere un bene fruibile da parte
della collettività, pur nel rispetto della sua originaria destinazione».
Ugo Salvini
IL PICCOLO - LUNEDI', 11 settembre 2017
Riciclaggio dell'umido - L'ipotesi impianto in stand-by
a Muggia - Nessuna notizia sul progetto ideato dalla giunta Nesladek
Tarlao (Mejo Muja) attacca l'assessore Litteri: «Si dimetta»
MUGGIA - Che fine ha fatto il progetto del biodigestore per lo smaltimento
dei rifiuti organici, ossia la centrale di riciclaggio promossa
dall'amministrazione Nesladek che avrebbe potuto prendere vita in zona Ezit? Da
quanto è emerso in un recente scambio di comunicazioni istituzionali tra il
consigliere comunale Roberta Tarlao (Meio Muja) e l'assessore all'Ambiente Laura
Litteri (quota Pd), il progetto pare non rientrare più negli interessi
dell'amministrazione Marzi. L'iter - È il 3 giugno del 2015 quando la
costituenda Rti tra Gesin Coop e Nre research srl presenta al protocollo del
Comune di Muggia un progetto per l'impianto della digestione anaerobica della
cosiddetta Forsu (Frazione organica del rifiuto solido urbano), conosciuta anche
come "umido" con produzione di energie rinnovabili nel territorio comunale. Un
progetto realizzato interamente con fondi privati, che oltre a non gravare sulla
finanza pubblica avrebbe avuto il pregio di far risparmiare al Comune circa
20-22 euro a tonnellata di rifiuti conferita. Un mese dopo, l'amministrazione
comunale, retta allora dal sindaco Nerio Nesladek, con una delibera giuntale
dichiara il preliminare interesse alla realizzazione di un impianto per il
trattamento della frazione organica dei rifiuti solidi urbani, evidenziando
peraltro «il notevole abbattimento dei costi di trasporto oggi sostenuti per
l'invio a trattamento della suddetta frazione che incidono pesantemente sul
costo di smaltimento».Il dispositivo della delibera indirizza gli uffici
competenti a predisporre gli atti necessari alla stipula di una convenzione tra
il Comune, la Rti e Net per definire le modalità di conferimento e i relativi
costi. Il 28 luglio dello scorso anno, il nuovo sindaco Laura Marzi ribadisce
nelle linee di mandato, poi votate dal Consiglio comunale, che «ci si spenderà
per facilitare la realizzazione di un biodigestore» per gli stessi motivi
enunciati dalla precedente giunta Nesladek. L'interrogazione - E si arriva al 19
luglio scorso: visto il posticipo dell'inizio della raccolta differenziata dei
rifiuti, il capogruppo consigliare di Meio Muja, Roberta Tarlao, ha presentato
un'interrogazione alla giunta Marzi per capire a che punto era arrivato l'iter
per la realizzazione della struttura. «Sono imbarazzata dalla risposta
dell'assessore all'Ambiente Litteri, perché ha scritto una serie di falsità
inaudite» tuona Tarlao. «La prima? Che ci sarebbero maggiori costi,
dimenticandosi però di sommare il costo del trasporto dell'attuale servizio che
quindi risulta più caro di 29 euro a tonnellata» continua. Altra incongruenza
segnalata da Tarlao, le tempistiche della delibera della Giunta, che secondo
Litteri sarebbe stata realizzata prima dell'adesione a Net, dimenticandosi in
realtà come nella delibera stessa si citi testualmente il parere favorevole di
Net all'impianto. L'assessore all'Ambiente ha poi evidenziato come il futuro del
biodigestore sia incerto in quanto il Comune non ha dei terreni a disposizione:
anche qui, per Tarlao, si tratterebbe di uno scivolone, dal momento che la Rti
ha messo a chiare lettere l'intenzione di acquistare di propria tasca un terreno
da Ezit, senza che vi siano spese da parte del Comune. Anche a seguito dei
ritardi nell'avvio della raccolta dei rifiuti "porta a porta" - posticipata al
2018, rispetto all'anno in corso, come preannunciato da Litteri in Commissione
-, Tarlao ha chiesto «dinanzi alle falsità scritte nella risposta
all'interrogazione» che l'assessore si dimetta. L'incontroPer ora dal Comune è
trapelato che a brevissimo vi sarà un incontro con Net. E che tra gli argomenti
all'ordine del giorno vi sarà anche la centrale di riciclaggio.
Riccardo Tosques
Legambiente: 7 milioni di italiani a rischio - Secondi
i dati del Cnr dal 2010 al 2016 oltre 145 persone hanno perso la vita a causa di
inondazioni
ROMA - Ci sono 7 milioni di italiani che ogni giorno vivono in aree a
rischio frane e alluvioni, esposte a bombe d'acqua proprio come quella che si è
abbattuta su Livorno. Che l'Italia debba fare i conti con la fragilità del suolo
(per l'88%) lo dice Legambiente che in uno dei suoi report mette per esempio in
evidenza come il 77% delle abitazioni siano costruite in zone "rosse" e nel 31%
dei casi vi si trovano interi quartieri, tenendo presente che ci sono anche il
51% degli impianti industriali e spesso sono nelle zone potenzialmente franose
sono presenti scuole o ospedali.«È una tragedia annunciata, quella di Livorno -
racconta la presidente di Legambiente Rossella Muroni - ci sono 7 milioni di
persone che vivono in aree a rischio e le nostre città sono sempre più esposte
ai cambiamenti climatici. Gli amministratori dovrebbero dare più risposte, a
cominciare da quelle che ci vengono chieste dalla Comunità europea. È necessario
un nuovo approccio. Bisogna per esempio partire subito con i piani di
adattamento. E smetterla di intubare torrenti e alzare argini; serve anche una
corretta pianificazione degli spazi verdi». Dal 2010 a maggio di quest'anno,
viene messo in evidenza nel dossier, sono 126 i Comuni italiani dove si sono
registrati impatti rilevanti con 242 fenomeni meteo che hanno provocato danni al
territorio e causato impatti diretti e indiretti sulla salute dei cittadini. In
particolare ci sono stati 52 casi di allagamenti da piogge intense, 98 casi di
danni alle infrastrutture da piogge intense con 56 giorni di stop a
metropolitane e treni urbani nelle principali città italiane. Inoltre c'è da
pagare il tributo in termini vite umane e di feriti: dal 2010 al 2016 - secondo
il Cnr - sono oltre 145 le persone morte a causa di inondazioni e oltre 40mila
quelle evacuate (dati Cnr). «Sembra assurdo doverne riparlare ogni volta che
accade una disgrazia ma purtroppo ancora oggi manca una seria politica di
riduzione del rischio - osserva ancora Muroni - nonostante si sia cominciato a
destinare risorse per far partire interventi prioritari di messa in sicurezza,
l'avvio di una politica di prevenzione complessiva stenta a decollare». Secondo
la presidente di Legambiente questi temi «devono diventare centrali nella
riflessione comune a tutti i livelli di governo del territorio, insieme con
quello della prevenzione».
IL PICCOLO - DOMENICA, 10 settembre 2017
Fondi bis per le biciclette elettriche - Dalla Regione
altri 65mila euro. Contributo massimo di 200 euro
TRIESTE - Altri 65mila euro per sostenere l'acquisto di biciclette
elettriche. Li ha stanziati a luglio la Regione, sommando i nuovi fondi ai
185mila euro già messi a bilancio a giugno. Dal 19 luglio, quando è stato
riaperto il canale contributivo, a oggi sono state presentate alle Camere di
commercio del Friuli Venezia Giulia 482 nuove domande per la concessione di
incentivi all'acquisto di bici a pedalata assistita. Nel dettaglio, 224 domande
sono state presentate all'ente camerale di Udine, 134 a quello di Trieste, 104
alla Cciaa di Pordenone e 20 a Gorizia. Il contributo è concesso per un importo
pari al 30% del prezzo d'acquisto, fino a un massimo di 200 euro.Il dato emerge
da una delibera della giunta regionale, con cui si è stabilito il riparto dei
nuovi fondi tra le quattro Camere preposte alla gestione delle pratiche. La
suddivisione è stata operata seguendo i criteri del regolamento di attuazione,
la cui recente modifica ha previsto che il 70% del fondo sia distribuito sulla
base al numero di residenti in ciascuna provincia, mentre il restante 30% tenga
in considerazione la quantità di abitanti nei comuni appartenenti alle zone
altimetriche di montagna e collina. Di conseguenza, Trieste ha ricevuto 18mila
euro, Gorizia 7mila, Udine 26mila e Pordenone 14mila. Il sostegno all'acquisto
di biciclette elettriche è previsto da una legge regionale del 2014, in
un'ottica di tutela dell'ambiente e di sviluppo economico ecocompatibile. La
norma stabilisce che la Regione, al fine di promuovere lo sviluppo di nuove
strategie per un trasporto sostenibile e il miglioramento della vivibilità e
fruibilità delle aree urbane, agevoli l'acquisto di questo tipo di mezzi dotati
di un motore ausiliario elettrico con potenza nominale continua massima di 0,25
kW, la cui alimentazione è progressivamente ridotta e infine interrotta quando
si raggiungono i 25 km all'ora.
Il ministero boccia lo stop alle bici nel centro di
Muggia - Roma accoglie il ricorso di tre cittadini: «Va sospesa l'ordinanza su
corso Puccini, via Dante e piazza Marconi»
MUGGIA - Il Comune di Muggia deve ripristinare la possibilità di andare in
bicicletta nelle zone del centro storico dichiarate off limits. Colpo di scena
nel braccio di ferro tra amministrazione comunale e ciclisti sulla cosiddetta
"ordinanza antibici" emanata lo scorso giugno dalla giunta Marzi. Il Ministero
delle infrastrutture e dei trasporti ha infatti espresso il proprio parere
avverso al Comune accogliendo il ricorso avanzato da tre cittadini muggesani,
Christian Bacci, Gaetano Maggiore e Carlo Canciani. Lo scorso 18 luglio i tre
residenti, grazie anche alla consulenza tecnica dell'Ufficio legale della Fiab,
hanno infatti fatto ricorso al Ministero evidenziando la carenza di motivazioni
nel divieto posto ai velocipedi di attraversare il centro storico, che viene
invece permesso nelle aree pedonali dall'articolo 3 del Codice della strada. «Il
Codice consente ai Comuni la possibilità di disporre "ulteriori restrizioni"
solo in presenza di "particolari situazioni" che non sono state definite dal
Comune di Muggia il quale, invece, in maniera del tutto illogica consente
nell'ordinanza ai taxi e ai mezzi di scarico merci il transito nell'area
pedonale» avevano evidenziato Bacci, Maggiore e Canciani. Nel ricorso era poi
sottolineato come l'ordinanza sia in contrasto con il Piano regolatore generale
vigente e con il finanziamento regionale appena ottenuto per il collegamento
ciclabile dall'attracco del Delfino Verde al Rio Ospo che proprio per il centro
storico dovrebbe passare. Preoccupazione massima dei ricorrenti infine per la
questione sicurezza: «L'ordinanza obbliga di fatto i ciclisti a percorrere la
stretta galleria a senso unico». Le motivazioni dei ricorrenti sono state
accolte ma con parziale riserva da parte del Ministero. Il dirigente tecnico
ingegner Mazziotta ha infatti rimarcato come sia necessario che il Comune di
Muggia faccia pervenire «con corte sollecitudine» una serie di controdeduzioni
al ricorso con esauriente relazione per ogni singolo motivo del ricorso stesso.
In attesa del sopralluogo che dovrà essere compiuto dal Provveditorato
interregionale con tanto di «esauriente relazione» da inviare al Ministero, da
Roma è stato intimata al Comune la sospensione dell'ordinanza «salvo che
ricorrano motivi d'urgenza», poiché in tale caso il Comune potrà deliberare
un'esecuzione provvisoria dell'ordinanza con provvedimento da inviare al
Ministero stesso. Sbalordita della novità il sindaco di Muggia Laura Marzi:
«Sono stupita davvero, perché dinanzi a tutti i tentativi di mediazione avvenuti
con Ulisse Fiab e con altri ciclisti ci troviamo di fronte ancora tutto questo
ostracismo sfociato in un ricorso al Ministero». Marzi, comunque, appare serena:
«La sospensiva del Ministero è un atto dovuto dinanzi a un ricorso.
Indubbiamente ora l'ordinanza è congelata ma valuteremo a brevissimo cosa fare.
E visto che il Ministero ha messo a chiare a lettere che in caso di urgenza il
Comune può ripristinare l'ordinanza non escludo che sia questa la via che
perseguiremo». Per ora, dunque, i cartelli che evidenziano l'obbligo di condurre
la bici a spinta durante la stagione estiva (1 giugno-30 settembre)
esclusivamente in corso Puccini, via Dante e piazza Marconi e peraltro solo in
determinati orari (9.30-12.30 e 16-20) verranno per ora né rimossi né oscurati.
Una battaglia, quella sulla piena libertà di movimento delle biciclette in tutto
il centro storico, che dunque non ha avuto ancora un vero esito definitivo. Un
(altro) ricorso contro l'ordinanza sulla regolamentazione della viabilità del
centro storico era stata la scintilla decisiva che ha fatto scoppiare la
deflagrazione nel rapporto tra il sindaco Marzi e il consigliere comunale del Pd
Marco Finocchiaro. Questi, infatti, aveva espresso contrarietà al divieto di
pedalata in alcune aree del centro storico. Ma se quel ricorso sembra essere
finito nel nulla, quello proposto dai tre cittadini Christian Bacci, Gaetano
Maggiore e Carlo Canciani pare davvero aver fatto centro. La prossima mossa
spetta al Comune: entro mercoledì la telenovela potrebbe vivere l'ennesimo colpo
di scena.
Riccardo Tosques
A Trieste oltre 200 geologi per un piano "salva
ghiacci" - La comunità internazionale di esperti si riunisce in una cinque
giorni targata Ogs
Obiettivo la definizione di linee guida da consegnare ai grandi decisori
mondiali
TRIESTE - Le calotte polari ci dicono che un aumento di anidride carbonica e
di temperatura così accelerato non si era ancora mai verificato nel passato, o
perlomeno, negli ultimi 800mila anni. Oramai la comunità scientifica concorda
sul fatto che a premere l'acceleratore sul riscaldamento globale sia l'uomo.
Come sta rispondendo la calotta antartica, principale riserva di ghiacci del
nostro pianeta, al cambiamento climatico e come potrebbe reagire ad un ulteriore
aumento delle temperature e di CO2 nell'atmosfera? E quindi, quanto velocemente
potrebbe innalzarsi globalmente il livello del mare? La comunità antartica
internazionale, con oltre 200 esperti, si riunisce alla Stazione marittima di
Trieste da oggi al 15 settembre per delineare le priorità e linee d'azione
future nell'ambito della conferenza Past Antarctic Ice Sheet Dynamics (Pais),
organizzata dall'Istituto nazionale di Oceanografia e di Geofisica sperimentale
- Ogs, in collaborazione con l'Antarctic Research Center dell'Università di
Wellington (Nuova Zelanda) e con il supporto dello Scar (Scientific Committee
for Antarctic Research) e di altre istituzioni internazionali. L'obiettivo
principale è fornire indicazioni più accurate possibili all'Ipcc (Intergovernamental
Panel of Climate Change) per poter fare previsioni sul futuro climatico del
nostro pianeta nell'ottica di contenere il riscaldamento globale al di sotto di
1,5-2°C, come sottoscritto dall'accordo di Parigi (COP21 Conference of Parties),
firmato da 195 nazioni, tra cui non compaiono gli Stati Uniti. Spiega Laura De
Santis, geofisica dell'Ogs, veterana delle spedizioni scientifiche in Antartide,
all'attivo ben cinque missioni di cui l'ultima sulla nave Ogs Explora, per il
Programma nazionale delle ricerche in Antartide, si è conclusa a marzo 2017: «Si
tratta di un'importante occasione per presentare e discutere i più recenti
risultati delle analisi e misure condotte in Antartide. Il fine è, integrando
tali dati con le simulazioni numeriche, comprendere la relazione tra
riscaldamento climatico, circolazione oceanica e stabilità della calotta
antartica per cercare di capire come il nostro pianeta stia reagendo al
cambiamento climatico». Al termine del convegno, sarà preparato un documento a
cura degli scienziati con le linee guida destinate ai decisori politici
mondiali. Rileva De Santis: «Stiamo assistendo ad un assottigliamento dei
ghiacci abbastanza veloce in alcune zone dell'Antartide, non tutte per fortuna,
solo quelle dove la calotta appoggia sul fondo del mare, più sensibili al
riscaldamento dell'oceano. Però - prosegue la ricercatrice - se tutte queste
aree a un certo punto rimanessero scoperte di ghiaccio, anche la parte terrestre
più resistente e stabile, potrebbe diventare più vulnerabile perché non avrebbe
la protezione della cintura dei ghiacci e, anche questa, sarebbe sottoposta a un
processo di assottigliamento». L'Antartide è un luogo privilegiato per studiare
i cambiamenti climatici, quest'area svolge un ruolo di primo piano nella
regolazione del clima in quanto le masse d'acqua fredda che si formano qui sono
i motori principali della circolazione oceanica terrestre. Entrambi i poli,
Artico e Antartide, risentono di più del riscaldamento della temperatura e del
cambiamento climatico, in altre parole sono più sensibili. Se infatti alle medie
latitudini la temperatura aumenta di 1-2°C, alle alte latitudini cresce anche di
4-5°C, ciò è particolarmente drammatico per le aree polari perché qui si trovano
i ghiacci. Lo scioglimento dell'enorme volume di ghiacci che si trova nelle aree
continentali, soprattutto dell'Antartide, comporterebbe un aumento del livello
del mare di diversi metri. «Quindi - commenta la ricercatrice - andare lì, è il
modo migliore per poter prevedere i cambiamenti futuri anche grazie ai sedimenti
del fondale marino, praticamente degli archivi paleoclimatici, che ci dicono
cosa è successo in passato in condizioni climatiche più calde rispetto a quelle
attuali». La Nave Ogs Explora ha effettuato l'ultima campagna di ricerca in
Antartide da gennaio a marzo 2017 navigando il Mare di Ross, una ampia baia
dell'Antartide, riepiloga De Santis: «Posto che serviranno almeno due anni per
elaborare i dati scientifici, abbiamo delle scoperte importanti nel cassetto, di
sicuro impatto. Proprio per la mancanza di ghiaccio (è stato un anno
particolarmente caldo in Antartide anche per un fenomeno ciclico denominato El
Niño, ndr) abbiamo navigato in zone del Mare di Ross mai raggiunte da nessuno e
abbiamo acquisito dati importanti e unici che ci permetteranno di aggiungere un
tassello al grande puzzle della calotta che attualmente è conosciuta solo in
piccola parte».
Lorenza Masè
IL PICCOLO - SABATO, 9 settembre 2017
Esperti a confronto per collegare la città al Porto vecchio - Si parte dai 2,8 milioni dell'Ue per la mobilità sostenibile
Dal 13 al 15 settembre se ne parla al Trieste Portis
meeting
L'Unione europea ha stanziato 2,8 milioni di euro per ripensare gli spazi
portuali e urbani di Trieste in direzione della mobilità sostenibile. Il
finanziamento, che si inserisce all'interno del più ampio progetto Civitas
Portis, sarà in larga parte investito nella riqualificazione del Porto vecchio.
Dati e obiettivi sono stati riferiti ieri durante una conferenza stampa indetta
dall'assessore all'Urbanistica e ambiente, Luisa Polli. Gli appuntamenti
iniziano già la prossima settimana, con il Trieste Portis meeting: il 15
settembre l'attore Lino Guanciale, "ambasciatore" di Trieste Portis, sarà
l'ospite d'eccezione del Porto vecchio. Un nuovo paradigma. Un vero e proprio
«cambiamento culturale» è l'obiettivo che Polli si prefigge di realizzare grazie
a Civitas Portis. Partner del Comune nel progetto sono l'Autorità portuale
dell'Adriatico orientale, l'Area science park, la Trieste Trasporti e
l'Università di Trieste. «La nozione di "traffico" è superata - ha detto
l'assessore -. Redigeremo un Piano urbano di mobilità sostenibile: concetto in
grado di rendere conto non solo delle automobili ma anche dei ciclisti, dei
pedoni e delle persone con disabilità». La sfida, ha continuato Polli, sarà
«integrare il Porto vecchio nel Piano urbano».Le altre misure annunciate sono:
la creazione di una piattaforma informatica dei trasporti per fornire
informazioni in tempo reale; la nascita di un ufficio tecnico "multigovernance"
per lo sviluppo del Porto vecchio; la promozione della "soft-mobilità"; lo
sviluppo di un sistema integrato di gestione dei parcheggi a pagamento; il
monitoraggio delle merci e la regolamentazione degli accessi alle aree portuali.
Tali misure saranno volte al «miglioramento dell'accessibilità alla zona
costiera» e allo «sviluppo del mercato crocieristico con opzioni di mobilità
urbana sostenibile per i turisti». Il progetto - Collegare i centri urbani ai
loro porti, nel segno della mobilità sostenibile. Ecco in sintesi lo scopo del
progetto europeo "Civitas portis", che nei prossimi quattro anni coinvolgerà sei
realtà portuali internazionali per un totale di 33 partenariati: Trieste in
Italia, Aberdeen in Inghilterra, Costanza in Romania, Klaipeda in Lituania e
Anversa (coordinatrice dell'iniziativa) in Belgio fungeranno da
"città-laboratorio". A queste si aggiunge Ningbo, porto affacciato sul mar
Cinese orientale. Con il sostegno dell'Unione europea, le città coinvolte
collaboreranno allo scopo di «implementare misure innovative e sostenibili per
migliorare l'accesso a città e porto». L'iniziativa si concluderà nel 2020 e
inizierà a concretizzarsi, nel capoluogo giuliano, già a partire dalla prossima
settimana. Dal 13 al 15 settembre si svolgerà infatti il Trieste Portis meeting,
una tre giorni cui parteciperanno sia esperti europei che normali cittadini e
alunni delle scuole. La tre giorni - Le prime due giornate saranno riservate al
personale tecnico, mentre venerdì 15 settembre gli appuntamenti per le scuole e
per il pubblico concluderanno in bellezza la rassegna. "Data management",
"governance" e "decision making" sono alcuni dei temi che saranno trattati al
Savoia Excelsior Palace durante le sessioni di lavoro a porte chiuse, stando al
programma. L'agenda del giorno 15, ambientata nella Centrale idrodinamica del
Porto vecchio, è invece pensata per tutti: alle 9 visita guidata per gli
studenti delle scuole medie; alle 15 premiazioni del concorso "Oggi mi muovo
così, domani..." cui hanno partecipato i bambini dei ricreatori comunali; alle
16 reading di Nati per leggere, rivolto alle famiglie con bimbi dai 3 ai 6 anni.
Alle 17, infine, l'ospite d'onore sarà Lino Guanciale. Il testimonial di Trieste
Portis è l'attore protagonista de "La porta rossa", la serie ambientata nel
capoluogo giuliano che ha esordito in televisione a febbraio. La mattina due
eventi si svolgeranno anche nel palazzo del Comune: political meeting alle 9 e,
alle 12, la conferenza stampa
Lilli Goriup
COMUNE - Doppia mossa a tutela dello stagno di
Contovello
TRIESTE - Buone notizie per la comunità di Contovello e per coloro che si
impegnano per la tutela e la valorizzazione dei beni ambientali. A seguito di un
sopralluogo effettuato dal sindaco, è stato deciso di attivare nuove strategie
per salvare l'antico stagno del paese. Attraverso la captazione delle acque
piovane e la predisposizione di un attacco alla rete idrica si cercherà
finalmente di tutelare un sito unico nel suo genere. Assieme all'area di
Percedol e a quella di Trebiciano, il laghetto di Contovello è uno dei più
grandi della provincia. Da tempo lo stagno giace in grave degrado, in perenne
bisogno d'acqua, perché privato dalle sue vene sotterranee, in qualche modo
deviate da alcuni vicini interventi edilizi. A complicare la situazione la
perenne maleducazione e ignoranza di ignoti che, di continuo, hanno messo a
repentaglio la vita delle creature autoctone di questo delicato ecosistema,
immettendovi pesci rossi, tartarughe e vegetali estranei e inadatti. Accanto
agli allarmi e le segnalazioni periodicamente lanciati dalla circoscrizione di
Altipiano Ovest e dei naturalisti e tutori degli stagni, è recente l'intervento
dalla presidente della Comunella di Trebiciano Katja Kralj per la salvezza del
laghetto di quella località e di tutti quelli carsici, a forte rischio per le
mutate condizioni ambientali e per gli evidenti cambiamenti climatici. Assieme
alla presidente del primo parlamentino Maja Tenze, al rappresentante di
AcegasApsAmga Federico Trevisan, il sindaco ha effettuato, come detto, un
sopralluogo sul posto. «L'obiettivo - ha spiegato il sindaco - è ridare vita e
dignità a questo antico stagno, rivitalizzando nel contempo l'intera area.
L'intervento prevede la realizzazione di alcune griglie sugli assi principali
che portano verso lo stagno, in maniera da captare e canalizzare le acque
piovane. Inoltre verrà predisposto un attacco alla rete idrica. Vi potrà
accedere solo personale tecnico nei periodi in cui siccità e calore metteranno a
dura prova l'esistenza del bacino».
Maurizio Lozei
CLIMA IMPAZZITO - SI DEVE AGIRE
Cataclismi meteorologici in Florida e nei paradisi caraibici. In Usa nemmeno
il tempo di riprendersi dallo sfacelo di Harvey ed è l'ora di correre ai ripari
da Irma. Continua l'allerta nella sponda opposta dell'Atlantico, con situazioni
apocalittiche. Nell'isola di Barbuda distrutto il 90 per cento degli edifici.
Antille devastate. A Miami milioni di persone prese dalla disperazione e dalla
paura sono in fuga verso nord. Anche il ciclone Josè al largo delle coste del
Venezuela cresce d'intensità raggiungendo categoria 3. È in via di formazione
una quarta perturbazione nel mare del Messico, Katia. Pur non essendoci una
correlazione diretta tra cambiamento climatico e formazione degli uragani,
esiste una incidenza sul potenziamento dell'intensità degli eventi, dovuta
all'aumento di temperature e umidità. Se volgiamo il nostro sguardo a Est,
purtroppo, il colore dei cieli non cambia. La catastrofe climatica incombe
sull'Asia, dove durante l'estate per le piogge monsoniche migliaia di persone
hanno perso la vita. Frane, crolli di edifici e ponti, inondazioni tra le
peggiori mai viste nel secolo, provocando milioni di sfollati in intere aree.
Scorriamo le notizie di questi ultimi mesi. In Cina, 7 luglio: le pesanti piogge
che si sono abbattute nella provincia dello Hunan, ininterrottamente dal 22
giugno, hanno causato il peggior disastro naturale della zona negli ultimi 60
anni. Il 56 per cento dell'intera popolazione della contea ha subito danni
ingenti. Le perturbazioni colpiscono il Giappone, 10 luglio: il governo di Tokyo
ha dispiegato migliaia di uomini per far fronte all'emergenza. Poche ore dopo a
molti chilometri di distanza, a New Delhi 11 luglio: un'ondata di maltempo ha
colpito l'India nord-orientale causando la morte di almeno 24 persone. Le
perturbazioni non risparmiano il Vietnam. Hanoi, 6 agosto: il comitato centrale
per i disastri naturali ha reso noto che a causa del maltempo si registrano
danni a strade, coltivazioni e impianti di irrigazione. Circa cinquemila persone
tra soldati, agenti di polizia e volontari sono impegnati nelle ricerche dei
dispersi. Pochi giorni fa, montagne del Nepal, 30 agosto 2017: «Le piogge di
quest'anno sono state al di fuori delle nostre aspettative, non ci siamo
preparati in modo adeguato. Siamo consapevoli delle sofferenze e del dolore
delle persone colpite ma stiamo facendo il possibile per aiutarli» ha dichiarato
un portavoce del governo di Katmandu durante la fase di soccorso alla
popolazione. E mentre Harvey e poi Irma si infrangevano sulle coste degli Usa e
i monsoni sbattevano sull'Asia, anche in Italia ci siamo trovati a fare i conti
con un'altra crisi climatica. Colpiti da una siccità senza precedenti.
Nell'estate di Lucifero il calo delle precipitazioni è stato imponente: -47,4%
rispetto alla media. Raggiungendo punte estreme dell'80%, in meno. Un'aridità
che si stima abbia provocato danni per oltre due miliardi di euro. Con molte
regioni che hanno chiesto al governo lo stato di calamità naturale. Occorreranno
mesi di pioggia per riportare il suolo italiano in condizioni normali e
ricostituire le riserve di acqua persa negli ultimi otto mesi. In Medioriente
manca acqua nei fiumi. Evapora il Mar Caspio, ad un ritmo tale che la parte
settentrionale del più grande lago salato al mondo potrebbe sparire prima della
fine del secolo. Mentre, proiezioni dell'Onu lanciano l'allarme per
l'innalzamento del livello del mare di un metro nei prossimi decenni. Erosione
della costa, desertificazione degli ambienti mediterranei, dissesto
idrogeologico in ambienti a clima piovoso, sono tutti effetti del cambiamento
climatico globale. È in corso una "tropicalizzazione del clima", e se non
verranno prese misure per frenare il surriscaldamento climatico l'effetto sarà
devastante, arrivando a interessare due persone su tre solo in Europa. In uno
scenario che si prospetta drammatico. Per mettere in sicurezza il pianeta
occorrono risorse e cooperazione, rispetto per l'ambiente e ricerca, applicare
gli accordi internazionali, come Cop21. Muoviamoci
ALFREDO DE GIROLAMO
IL PICCOLO - VENERDI', 8 settembre 2017
Arrivano i pannelli solari sopra l'ex Pescheria -
Affidato per 370mila euro l'appalto per l'installazione di una sottile guaina
fotovoltaica a impatto zero
Si sblocca finalmente uno degli appalti "impossibili" del Comune di Trieste.
L'ex Pescheria, il Salone degli incanti, si appresta ad essere coperta da una
guaina fotovoltaica. Un progetto di sostenibilità energetica, finanziato con
quasi 500 mila euro di fondi Pisus, che risale a sei anni fa ma che è finito
bloccato prima dal famigerato Patto di stabilità e poi dalle modifiche del
Codice sugli appalti. Ora, finalmente, si è arrivati all'aggiudicazione
dell'appalto per la cifra complessiva di 370mila euro alla C.P. Costruzioni di
Trieste che dovrà installare la guaina fotovoltaica sul tetto dell'ex Pescheria
in 150 giorni. Il progetto, per capirsi, era stato approvato dalla giunta di
Roberto Cosolini a metà novembre del 2011. L'intervento prevede l'installazione
di una guaina fotovoltaica scura e non riflettente sulla copertura dell'ex
Pescheria. Un'opera a impatto visivo pressoché nullo e dalla resa garantita
anche nei giorni di cielo coperto. Il progetto era stato inserito tra le
richieste di cofinanziamento in Regione dall'amministrazione cittadina nella
cornice dei Pisus (ovvero i Piani integrati di sviluppo urbano sostenibile)
attraverso i quali vengono veicolati una serie di fondi comunitari per
«incrementare la qualità dell'ambiente urbano». Il progetto risulta finanziato
al 77% dalla Regione (il restante 23% spetta al Comune). L'obiettivo è
«l'installazione sulla copertura rifinita attualmente con guaina ardesiata» di
«un sistema impermeabile fotovoltaico con caratteristiche innovative a film
sottile a tripla giunzione». Una tecnologia, questa, grazie alla quale le
componenti blu, verde e rossa «dello spettro della luce solare» possono essere
assorbite proprio «in modo frazionato dai differenti strati presenti». Così «le
celle producono energia anche con irraggiamento solare indiretto, con luce
diffusa e con bassi livelli di insolazione». Il sistema insomma funziona «con
qualsiasi condizione atmosferica». Ma c'è di più: la guaina - si legge nel
prospetto tecnico - è talmente sottile (e pure removibile) da risultare
praticamente invisibile. L'opera è stata progettata dall'Ufficio tecnico del
servizio Lavori pubblici del Comune e porta la firma dell'architetto Carlo
Nicotra. A lavoro terminate il Salone degli incanti diventerà un modello dal
punto di vista del consumo energetico a emissione zero di Co2.
(fa.do.)
I cittadini di Zindis ripuliscono il loro rione -
Adulti e bambini insieme hanno "lavorato" tra il parco Robinson e il campo
giochi vicino all'istituto Zamola
MUGGIA - Quasi una risposta a tono, come a voler sottolineare che
l'inciviltà non l'avrà mai vinta. Nel giorno in cui Muggia si risvegliava con
l'ennesimo sfregio al suo patrimonio pubblico - i danneggiamenti compiuti da
ignoti agli arredi della Biblioteca comunale - una quarantina di cittadini
residenti a Zindis hanno deciso di tirarsi su le maniche e iniziare a ripulire
parte del rione. Dal parco Robinson e dal vicino campo giochi a fianco della
scuola Zamola è andata in onda martedì scorso una nuova edizione di "Pulizia
partecipata", il tradizionale appuntamento che vede coinvolti, in collaborazione
con il Servizio Ambiente del Comune di Muggia, la Microarea di Zindis con la
Cooperativa sociale La Collina, i volontari del Cai, i bambini del Ricremattina
e gli stessi abitanti di Zindis. Il lavoro si è concentrato vicino alla scuola.
Muniti di cesoie, rastrelli e sacchi neri i bambini del Ricremattina, con i
volontari del Cai-Sag di Muggia, hanno sistemato l'area verde del parco giochi
e, dopo aver spazzato e rastrellato il campo, si sono divertiti a riempire di
foglie secche i sacchi portati dagli adulti. Il tutto mentre altri volontari del
Cai, con gli operai comunali, terminavano la pulitura di vistose scritte che
negli ultimi giorni erano comparse a imbrattare alcune porte della scuola. La
mattinata di lavoro in compagnia si è conclusa degnamente con un lauto rinfresco
nella Microarea di Zindis realizzato dagli abitanti del rione e con la preziosa
collaborazione del Gruppo Orto sociale Zindis. «Imbrattamenti, resti di merenda
o "semplici" mozziconi nelle caditoie sono gesti ugualmente deplorevoli perché
tutti vanno a danneggiare la cosa pubblica», così il sindaco di Muggia Laura
Marzi: «Non esistono gesti incivili più o meno innocui, e chi "degrada" dovrebbe
tenere a mente che in realtà "viene degradato" dal suo stesso agire. Prendersi
cura insieme di un luogo pubblico è il modo più efficace per riappropriarsene.
Bisogna cambiare la prospettiva della percezione del bene comune. Fare parte di
una comunità vuol dire in qualche modo impegnarsi un po' per renderla migliore.
Lo si può fare in tanti modi e ognuno è libero di scegliere quello più
confacente ai propri interessi, al proprio tempo e alle proprie passioni, senza
mai dimenticare però che Muggia siamo noi e, in un modo o nell'altro, siamo noi
a fare la differenza».
Riccardo Tosques
IL PICCOLO - GIOVEDI', 7 settembre 2017
Alloggi e posti auto in Borgo Teresiano
Lo spostamento della zona di carico e scarico, la ridefinizione degli
attraversamenti pedonali e poi la viabilità del tratto che da via Torrebianca
porta verso via Machiavelli. Luisa Polli, assessore comunale all'Urbanistica,
nell'illustrare nei dettagli la modifica al piano del traffico contenuta nella
delibera di giunta dello scorso giugno a supporto del progetto di
pedonalizzazione e pavimentazione di via XXX Ottobre, sottolinea come
nell'adottare le modifiche si sia tenuto conto delle esigenze di commercianti,
residenti, ciclisti e automobilisti. Il tratto che non verrà completamente
pedonalizzato ma che godrà di una soluzione identica a quella proposta in via
Trento, con il marciapiedi più ampio, sarà quello tra le vie di Torrebianca e
Machiavelli. Una decisione pesa anche a fronte di un nuovo progetto immobiliare
che a breve vedrà partire un nuovo cantiere in via Machiavelli dove, al civico
19, la Borgo Teresiano srl realizzerà 15 unità abitative e 20 posti macchina.
«L'operazione di pavimentazione di via XXX Ottobre - ha spiegato Polli - toglie
rispetto alla situazione attuale al massimo sette posti macchina, ovvero quelli
nel tratto tra via di Torrebianca e via Machiavelli sul lato opposto agli uffici
di Equitalia». I parcheggi sul lato dell'agenzia di riscossione resteranno. «Il
resto della via era già in zona Ztl o pedonale - aggiunge - la soluzione
adottata consentirà ad un maggior numero di pubblici esercizi di disporre di un
dehors». All'incrocio con le vie Milano e Valdirivo verranno sistemati dei
semafori e le strisce pedonali ridisegnate nella parte centrale
dell'attraversamento, così come è stato fatto in via San Nicolò, anche per
rendere più fluido l'attraversamento dei ciclisti. Nei mesi scorsi
l'amministrazione comunale ha incontrato tutti gli esercenti di via XXX Ottobre
che da anni si battevano per la completa pedonalizzazione e la pavimentazione di
quella strada. «In questi giorni stanno ricevendo le lettere da parte del Comune
che indica loro nel dettaglio quando devono ritirare i loro dehors, - spiega
Elisa Lodi, assessore comunale ai Lavori Pubblici - tavolini, sedie ed
espositori dovranno essere rimossi man mano che il cantiere proseguirà lungo la
via». Il cantiere da 800 mila euro partirà il prossimo 11 settembre. Cinque i
lotti nei quali è stato suddiviso l'intervento. Il primo riguarderà il tratto
che dal via del Lavatoio si estende fino a via Milano. Il secondo partirà dopo
il 9 ottobre, dopo la Barcolana, e riguarderà la parte che da via Milano arriva
fino in via Valdirivo. «Con l'inizio del secondo lotto - precisa Polli - avverrà
anche l'istituzione della nuova area di carico e scarico, concordata con i
commercianti, e che sarà in via Mercadante».La terza fase dei lavori partirà a
novembre e si concluderà agli inizi di febbraio e coinvolgerà la parte che da
via Valdirivo arriva in via Torrebianca. Da gennaio a metà marzo sarà la volta
del tratto finale della via che da via Machiavelli arriva in piazza
Sant'Antonio. L'ultima fase dei lavori inizierà a marzo e si concluderà tra
maggio e giugno 2018 e interesserà il tratto che da via Torrebianca raggiunge
via Machiavelli.
Laura Tonero
C'è il "porta a porta" - Tassa sui rifiuti più salata a Muggia - Rincari sulla Tari fino al 30% in vista dell'avvio del servizio
Il Comune: «Bisogna coprire i costi per i nuovi
contenitori»
MUGGIA - Aumenti sulla bolletta dei rifiuti. Questa la spiacevole sorpresa
che nelle ultime settimane sta coinvolgendo i cittadini residenti a Muggia.
L'incremento della Tari, ovviamente, non è passato inosservato. Anche perché i
rincari hanno sfiorato in alcuni case anche il 30%. L'avvio della raccolta
"porta a porta", inizialmente preannunciato entro l'inizio di autunno, è stato
posticipato ai primi mesi del 2018, come ha spiegato di recente l'assessore
all'Ambiente Laura Litteri.Il nuovo servizio, affidato alla partecipata Net,
prevede dei corsi di formazione ad hoc nelle scuole muggesane che dovrebbero
partire proprio con l'inizio del nuovo anno scolastico. Ai cittadini, invece,
verrà consegnato del materiale informativo sulla nuova modalità di raccolta, ma
soprattutto, a fine anno, verranno forniti alle famiglie, ai condomini e alle
attività commerciali i nuovi bidoncini per differenziare l'immondizia e
applicare concretamente la raccolta "porta a porta". E proprio i costi per
l'acquisto di questi raccoglitori si sono ripercossi sulla bolletta come
racconta l'assessore al Bilancio e ai Tributi di Muggia Mirna Viola: «Il
prevedere l'ammortamento già da questo anno, al di là dei tempi di distribuzione
dei raccoglitori, è servito a contenere l'aumento di imposta per gli anni
successivi. Ovvio che distribuendo in un numero d'anni maggiore la spesa,
l'incidenza dell'aumento annuo nelle tasche dei cittadini è minore». Per legge
la Tari deve coprire per intero i costi del servizio di gestione dei rifiuti.
«Un servizio che quest'anno prevede la raccolta dei rifiuti anche nel nuovo
tratto di costa messo a disposizione alla collettività e l'intensificazione
della raccolta in alcune località del territorio», puntualizza Viola.
Un'estensione quantitativa di raccolta, quindi, che, di contro, «deve rispondere
ad una riduzione del numero di coloro sui quali incide la distribuzione dei
costi». Gli uffici comunali, in collaborazione con Insiel, hanno fatto poi delle
nuove verifiche per avere esattamente la stima dei nuclei familiari presenti a
Muggia nell'anno in corso: «È stata registrata una diminuzione rispetto alle
statistiche precedenti. È sceso, cioè, il numero degli utenti sui quali, per
legge, vanno distribuiti i costi del servizio. Anche questo dato - puntualizza
Viola - ha ovviamente inciso sulla distribuzione dei costi per utenza domestica
e non». L'altro elemento da tenere in considerazione, poi, è il rapporto quota
fissa/variabile. Come evidenziato dai calcoli che si possono verificare nel
Regolamento per l'applicazione dell'imposta unica comunale Iuc, pubblicato sul
sito del Comune, la Tari è composta da una quota fissa (che si riferisce alla
superficie) e da una variabile (che fa riferimento al numero di persone).«Il
quadro economico del costo dei servizi, in base alle nuove modalità di raccolta
e smaltimento, costituito secondo le norme di legge, viene a gravare
maggiormente sulle voci che incidono sulla quota fissa che attiene all'ampiezza
dei locali», spiega l'assessore. Non solo. «Il costo del servizio è suddiviso
per il 62% sulle utenze domestiche e per il 38% su quelle non domestiche. Dai
dati in possesso dell'Ufficio Tributi - conclude Viola - la Tari è rimasta
comunque pari a quella del 2014 e diminuirà negli anni, man mano che si arriverà
alla soglia di differenziata prevista dall'Ue».
Riccardo Tosques
Dai boschi di Piscianzi a Roiano - Il tour notturno del
baby cinghiale
È sceso giù dai boschi di Piscianzi per una capatina in centro, magari alla
ricerca di cibo o semplicemente per curiosità, vista la sua giovane età.
L'incursione notturna di un cinghiale solitario nel rione di Roiano, a
pochissime centinaia di metri in linea d'aria dalla stazione centrale dei treni,
complice la tecnologia di oggi, non è riuscita proprio a passare inosservata. Il
video, che in poche ore ha fatto il giro del web, immortala l'animale vicino
alla chiesa dei Santi Ermacora e Fortunato Martiri, raggiunta probabilmente da
via Sara Davis o da via dei Moreri. Dopo un rapido giretto attorno alla piazza
il cinghiale ha poi svoltato a destra verso via Barbariga percorrendola tutta,
prima sul marciapiede e poi lungo il centro della carreggiata. Una volta giunto
all'incrocio con via Udine il video si è interrotto bruscamente, lasciando
spazio all'immaginazione su quale possa essere stato il proseguimento della
movimentata serata del robusto mammifero. Dalle immagini filmate si evince che
l'esemplare protagonista della passeggiata cittadina è un maschio dell'età di
poco inferiore all'anno, del peso di circa 40 chili, quasi sicuramente un
giovane in dispersione, ossia in fase di allontanamento dalla famiglia. Vista la
discreta confidenza con il tessuto urbano e la relativa tranquillità con cui si
comportava nonostante la presenza delle persone durante la realizzazione del
filmato, il giovane suino selvatico potrebbe essere un esemplare già
«pasturato», ossia abituato ad essere nutrito appositamente dall'uomo. «Ho visto
il video, e c'è poco da stupirsi: i cinghiali oramai sono più presenti in
periferia che in Carso. Il prossimo step, molto probabilmente, sarà il centro
cittadino», racconta Nicola Bressi, esperto naturalista triestino del Museo
Civico di Storia di Naturale. La presenza di questi mammiferi è oramai capillare
su tutto l'arco suburbano che va da Barcola a Longera. Tanti e in crescita,
oramai, i casi eclatanti che hanno fatto "letteratura" a Trieste. Nel novembre
del 2008 un cinghialotto di circa un anno si calò dal bosco del Farneto
piombando in centro città e giungendo piazza Volontari Giuliani dopo aver
percorso un tratto del viale XX Settembre. Solo dopo un inseguimento lungo e
complesso, vista la sua agilità, una squadra di vigili del fuoco riuscì a
immobilizzare il cucciolo. Nell'ottobre del 2015 un cinghiale scappò da un
allevamento girovagando per il rione di Borgo San Sergio. Nella sua fuga
"visitò" l'edicola di via Curiel, davanti al capolinea della 21, e fece poi
razzia all'osteria "La Scaletta", dove venne poi sedato dalla Polizia ambientale
dell'allora Provincia. Più recentemente un cinghiale di 60 chilogrammi, invece,
venne ritrovato morto nelle acque davanti a bagno ferroviario. Quest'anno poi
diversi maiali selvatici sono stati immortalati in strada del Friuli, sino al
Faro della Vittoria, e in via Cumano, nella zona di Montebello. Una presenza
sempre più massiccia che ha costretto a turni di superlavoro gli uomini del
Corpo forestale. In sei mesi nelle zone urbane e suburbane (non in Carso,
dunque) gli interventi effettuati sono stati circa una settantina. Interventi
finalizzati peraltro non a contenere la specie, ma a garantire il ripristino
della pubblica sicurezza. Le aree più gettonate dagli ungulati? Longera,
Piscianzi, Melara, la zona dell'Università centrale e Cologna. Proprio qui, di
recente, vennero sorpresi sei esemplari, tutti vispi e in piena salute, che
passeggiavano allegramente nel giardino dell'istituto comprensivo Commerciale, a
pochi passi quindi dalle porte delle aule dei piccoli alunni. Insomma, il tour a
Roiano del cinghialotto star del we è solo l'ultima "prodezza" di una specie
ormai sempre più abituata, anche a causa dei comportamenti umani, a lasciare i
boschi dell'altipiano e a camminare sui marciapiedi dei rioni periferici, in
cerca del cibo che molti umani lasciano a loro disposizione in maniera
sconsiderata.
Riccardo Tosques
Quegli incroci con i maiali selvatici - Le scelte fatte
per evitare l'estinzione hanno prodotto una specie molto resistente
«Verso la fine dell'Ottocento i cinghiali erano quasi estinti nelle nostre
zone. Esistevano solo delle colonie nella parte orientale della Slovenia, in
Toscana e in Sardegna. Per reintrodurre questa specie sono stati fatti diversi
incroci con cinghiali provenienti da ceppi diversi, fattore che ha reso quella
triestina una specie molto, molto resistente». Il naturalista Nicola Bressi non
ha dubbi. Studi scientifici parlano di un vero e proprio dna modificato nei
cinghiali triestini in seguito all'incrocio con i maiali selvatici provenienti
dall'allora Jugoslavia centrale, già di per se stessi mescolati con cinghiali
dell'Europa centro-orientale (Germania e Cecoslovacchia i paesi più gettonati).
E poi c'è la storia più recente, quella degli anni Novanta, in cui vagonate di
cinghiali arrivarono sull'altipiano carsico dal Centro Italia. I suini vennero
rinchiusi inizialmente in un'area agricola adiacente alla cava Faccanoni,
gestita prima dalla Sicat e poi dalla Fintour. L'uomo di riferimento era sempre
uno però, Quirino Cardarelli, ex ufficiale dei corazzieri divenuto
successivamente manager. La leggenda narra addirittura che quegli animali
vennero regalati al Cardarelli niente meno che da un ex presidente della
Repubblica: Giuseppe Saragat. In seguito ad un misterioso "incidente" (non si sa
se voluto o meno), una trentina di cinghiali riuscì a scappare insediandosi
liberamente nel Carso. «Quegli animali erano stati peraltro ibridati con i
normali maiali: non a caso, normalmente, sono dicembre e gennaio i momenti
migliori per gli accoppiamenti, mentre i nostri cinghiali sono praticamente
sempre attivi, proprio per l'incrocio fatto con i maiali», aggiunge Bressi. Ma i
cinghiali hanno vita facile nelle nostre zone anche per altri motivi. In primis
questi mammiferi non hanno quasi più degli antagonisti naturali. Lupi e linci
sono specie rare se non rarissime nelle nostre zone. Di fatto l'unico predatore
del cinghiale è proprio l'essere umano. E nonostante vi siano sanzioni che vanno
dai 516 ai 2mila 65 euro con possibile arresto dai 2 ai 6 mesi per chi viene
trovato a dar da mangiare a questi mammiferi, nelle nostre zone, grazie
all'uomo, questi animali trovano agevolmente da mangiare. «Alcuni esemplari si
recano con più o meno facilità nei campi e negli orti non protetti, altri invece
vengono addirittura sfamati direttamente da persone che non hanno capito che
questo comportamento è da evitare assolutamente», puntualizza Bressi. L'ultima
considerazione del naturalista riguarda il ruolo dei contadini: «Una volta c'era
molta più fame di oggi. Chi abitava in Carso, se vedeva un cinghiale, non
esitava a sparare per avere della carne da mettere sotto i denti. Ora le usanze
sono cambiate». Loro, gli ungulati, ringraziano.
(r.t.)
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 6 settembre 2017
Settimana europea della mobilità orfana del Comune - Il
municipio non conferma il sostegno. Ciclisti rammaricati - Polli: «Appoggiamo il
contemporaneo progetto Portis»
Le associazioni del settore stanno comunque organizzando degli eventi:
sabato apre il Rampigada Santa Village all’Obelisco
Il Comune di Trieste non aderirà alla Settimana europea della Mobilità sostenibile, in programma dal 16 settembre, con rammarico degli appassionati delle due ruote in città, pronti comunque a dar vita a diverse iniziative. Di risposta l’assessore comunale all’Ambiente Luisa Polli spiega che l’amministrazione ha scelto di valorizzare un altro evento, sempre a carattere europeo, che sarà presentato in una conferenza stampa venerdì. A Trieste la Settimana europea della Mobilità sostenibile si aprirà comunque sabato 16 settembre all’Obelisco, dalle 12, con il Rampigada Santa Village, stand dedicati appunto alla mobilità sostenibile con letture, presentazioni e musica, e domenica 17 settembre con la vera e propria Rampigada Santa, corsa o salita in bici su Scala Santa. Una festa per promuovere l’uso della bici in modo divertente, cui parteciperà il campione Simone Temperato, che completerà la salita su una ruota sola. «Al di là dell’ovvio rammarico per la non partecipazione del Comune alla Settimana europea della Mobilità – commenta Diego Manna, tra i promotori della Rampigada Santa e da sempre sostenitore dell’utilizzo delle bici in città – penso che arrivare a una mobilità sostenibile – precisa – rappresenta il futuro ed è un obiettivo condiviso da tutte le forze politiche, tanto che nel suo programma l’attuale sindaco Roberto Dipiazza ha dichiarato di voler arrivare nel medio termine a una bici ogni nove auto sulle strade di Trieste. La Settimana europea della Mobilità serve a ricordarci questo, e il suo messaggio è rivolto a tutti i cittadini d’Europa, prima che alle amministrazioni». Ma com’era organizzata a Trieste nelle annate precedenti la Settimana europea? «Il Comune promuoveva una riunione tra tutte le realtà che mettevano in campo iniziative a due ruote – ricorda Manna – per una sorta di coordinamento, mirato proprio a creare una serie di appuntamenti per i cittadini. Questa volta non c’è stato, anche se la rampigada può contare sul patrocinio dell’attuale amministrazione, ma nulla più. Dal Comune è evidente un disinteresse nei confronti delle bici, questa mancata partecipazione lo dimostra nuovamente, oltre a decisioni che negli ultimi tempi mostrano una certa avversità nei confronti dei ciclisti». Niente calendario con appuntamenti in bicicletta sostenuto dal Comune quindi, che spiega di aver scelto di promuovere un altro evento. «Si tratta del progetto Portis – annuncia Polli – in programma proprio quella settimana, a cui va dato spazio perché non avrà cadenza annuale, sarà un appuntamento speciale del 2017. Lo spiegheremo venerdì in una conferenza stampa. Aderire a entrambe le iniziative era impossibile, ma siamo aperti al dialogo con tutte le associazioni e le realtà che comunque si attiveranno sul fronte delle biciclette. Siamo d’accordo su tutti i principi da loro veicolati e ci piace anche la Rampigada Santa come evento e il grande movimento che crea. Ma per quest’anno – ribadisce – la nostra adesione ufficiale non può andare alla Settimana europea della Mobilità sostenibile». Manna, infine, approfitta per lanciare comunque un messaggio a tutti i cittadini: «Mi piacerebbe che i triestini rispondessero all’appello di questa settimana provando per sette giorni a usare meno l’auto e a spostarsi di più a piedi, in bici o col bus».
Micol Brusaferro
Il divieto alle bici va in Consiglio - Il leghista
Lippolis non ritira la mozione in commissione. Forza Italia contraria
La mozione sui velocipedi del leghista Antonio Lippolis resta in pista e
finirà per fare un giro in Consiglio comunale. Due ore e un quarto di
discussione in VI Commissione non sono bastati a disinnescare il possibile
divieto alle biciclette di transitare (se non a mano) nelle zone pedonali. «Solo
fumo. Due ore e un quarto di fumo e fumo per una questione per la quale basta un
po' di buon senso», spiega Salvatore Porro, presidente della Commissione con un
passato da ciclista nelle file dell'associazione "Pedale triestino". Ovvero
sarebbe sufficiente rispettare il Codice della strada che invita i ciclisti a
scendere dal velocipede quando le zone pedonali sono troppo affollate. «Che
nessuno si illuda che io ritiri la mozione - ribadisce Lippolis -. In
Commissione si è svolta una lunga discussione sulla mia mozione sulle
biciclette. Ho ribadito che il problema dei ciclisti maleducati e strafottenti
esiste e che dovremo risolverlo. Il vicesindaco Roberti e l'assessore Polli ci
stanno lavorando sopra e anche alcuni consiglieri si sono detti pronti, con le
proposte alternative, a fare in modo che si vada nella direzione da me
auspicata». L'opposizione, con il Pd in prima fila, ha già presentato una
"contro mozione". La maggioranza però è tutt'altro che compatta sull'iniziativa
leghista. Mentre la Lega frena, Forza Italia pedala. Gli azzurri Piero Camber
(capogruppo), Michele Babuber e Alberto Polacco hanno ribadito ieri «la
contrarietà alla proibizione» ricordando di avere presentato una mozione per
«dotare la Polizia locale di migliori e più moderni mezzi e strumenti per il
presidio del territorio, tra cui i monopattini elettrici del tipo di quelli che
vengono noleggiati anche ai turisti». E quindi? «Prima di adottare ulteriori
divieti risulterebbe quindi auspicabile l'implementazione delle reti ciclabili e
il proficuo impiego degli agenti in bicicletta. Richiedere educazione è molto
più da amministratori pubblici che il semplice proibire». I tre consiglieri
azzurri inoltre avevano recentemente portato all'attenzione dell'amministrazione
la proposta (condivisa anche con la Fiab) approvata all'unanimità in Consiglio
comunale, per la realizzazione di una nuova pista ciclabile in Porto vecchio,
nel tratto tra la sede della Svbg e il centro cittadino.
(fa.do.)
La Federcaccia "spara" sulla riforma Panontin -
Previsti più poteri al Comitato faunistico rappresentato anche dagli
ambientalisti
Le doppiette però non ci stanno. Intanto Confagricoltura dà l'ok ma la
Lav tuona
TRIESTE - La proposta dell'assessore regionale alla Caccia, Paolo Panontin,
per una nuova governance dell'attività venatoria, divide due dei principali
portatori di interesse, Federcaccia e Confagricoltura, e scatena le ire della
Lav Fvg. La Federcaccia regionale assume una posizione contraria, mentre la
Confagricoltura del Friuli Venezia Giulia, anche a nome della altre associazioni
agricole, si dice favorevole alle modifiche ipotizzate da Panontin. La proposta
è stata avanzata dall'assessore in un convegno a Pozzuolo del Friuli,
organizzato proprio dalla Federcaccia con la partecipazione di tutti le
principali categorie coinvolte, al quale ha preso parte anche la presidente
della Regione Debora Serracchiani. La questione prende le mosse da una sentenza
con cui la Corte costituzionale ha cassato, nel 2009, parte dell'articolo 19
della legge regionale sulla caccia varata nel 2008, articolo che ometteva negli
organi dell'Associazione unica dei cacciatori la presenza dei rappresentanti
degli agricoltori, degli ambientalisti e degli enti locali. «Da allora - rileva
Paolo Viezzi, presidente regionale della Federcaccia - tutto è rimasto fermo in
Regione». Oltre a dare risposta della sentenza della Corte costituzionale, la
proposta dell'assessore prevede di «ampliare le funzioni del Comitato faunistico
regionale, nel quale sono rappresentati tutti i portatori di interesse, in modo
che possa svolgere un effettivo ruolo di governance». Secondo Panontin il
Comitato faunistico, presieduto dallo stesso assessore regionale alla Caccia,
sarebbe costituito da 16 componenti (rispetto ai 15 attuali): cinque i
rappresentanti delle associazioni venatorie riconosciute; cinque quelli delle
organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative; tre i
rappresentanti delle associazioni di protezione ambientale, e tre quelli degli
enti locali. Viezzi sostiene che la soluzione proposta da Panontin «non è
percorribile», sia per motivi giuridici sia di merito. «Sul piano giuridico -
spiega il presidente - il Comitato faunistico è un organo consultivo e di natura
pubblicistica, che opera con provvedimenti amministrativi, mentre l'Associazione
unica dei cacciatori è un organismo privato che coordina altri organismi
privati, che sono le riserve». Quanto al merito, sempre secondi Viezzi, «il
criterio per individuare i componenti del mondo venatorio sono diversi da quelli
per scegliere i rappresentanti degli agricoltori, degli ambientalisti e degli
enti locali. Una differenza - rincara - che mostra la volontà dell'assessore di
controllare le nomine che potrebbe fare il mondo venatorio. E questo è
inaccettabile». Viezzi ricorda comunque che Panontin «si è detto disponibile a
rivedere la proposta e a discuterne le modifiche», e ribadisce che Federcaccia è
decisa a modificare le cose: «Partiamo da qui - afferma - per non restare qui».La
proposta dell'assessore incontra invece il favore della Confagricoltura
regionale, il cui presidente Giorgio Colutta, al convegno ha preso la parola a
nome anche di tutte le altre associazioni agricole.«Siamo favorevoli - spiega
Colutta - per due motivi. Innanzitutto Panontin ha proposto di attribuire al
Comitato faunistico nuove funzioni operative in termini di gestione
dell'attività venatoria. Il Comitato diverrebbe così il braccio operativo della
Regione». Il secondo ordine di motivi sta nella riduzione del numero dei
distretti venatori, che passerebbero da 15 a 4, e all'ingresso di ciascun
distretto delle rappresentanze degli agricoltori, degli ambientalisti e degli
enti locali, «distretti che ora vedono presenti solo i rappresentanti dei
cacciatori». Una dura presa di posizione arriva infine dalla Lega
antivivisezionista. «Nel Comitato faunistico si creerebbe un evidente e
antidemocratico sbilanciamento in favore dei cacciatori - dichiara Guido Iemmi,
responsabile istituzionale Lav Fvg -. Oltre ad essere fortemente sbilanciato in
favore dei cacciatori, il Comitato faunistico appare anche gravemente
antidemocratico. A livello regionale, infatti, i cacciatori rappresentano
un'esigua minoranza, attorno all'1%, rispetto ai contrari alla caccia, che da
sempre sono l'80% dei cittadini. La Regione - aggiunge - si appresta a violare
ancora una volta le norme nazionali in materia di tutela della fauna selvatica».
Giuseppe Palladini
In secca le sorgenti del fiume Po - Niente acqua dal
Monviso per il caldo: «È la seconda volta in 50 anni»
CUNEO - Neppure una goccia d'acqua alle sorgenti del Po, ai piedi del
Monviso. Al Pian del Re, a 2.020 metri di altitudine, dove nasce il fiume più
lungo d'Italia, tra le rocce sotto la targa "Qui nasce il Po" la vena si è
completamente esaurita. Solo pietre asciutte. Non è la prima volta che succede,
e poco più a valle il fiume si rianima, grazie ad altre fonti, ma è comunque un
evento rarissimo. Sul "Re di pietra", come viene chiamato il Monviso, da anni
non ci sono più ghiacciai e due mesi senza piogge hanno estinto anche i nevai
lasciati da una primavera generosa. Aldo Perotti, gestore del rifugio "Albergo
Pian del Re", conosce questi luoghi meglio di chiunque altro. La sua famiglia
gestisce la locanda da oltre un secolo. «Nel corso della mia vita - racconta -
avrò visto la sorgente del Po all'asciutto due o tre volte. Nell'ultimo mezzo
secolo forse questa è la seconda volta che accade. Sopra il Pian del Re non c'è
più un briciolo di neve, ed evidentemente le falde si sono abbassate». Per
trovare l'acqua basta percorrere scendere qualche centinaio di metri. I piccoli
rivoli che scendono dai laghi Fiorenza e Superiore alimentano il letto del Po e
già pochi chilometri a valle, a Pian della Regina, è un torrente rigoglioso.
«Decine di anni fa - racconta ancora Perotti - mio nonno provò a versare alcune
sostanze coloranti nei laghi che si trovano a monte del Pian del Re, per capire
da dove provenisse l'acqua della sorgente del Po. E scoprì che non arriva dai
laghi, ma da una falda sotterranea alimentata in profondità, chissà dove sotto
il Monviso. È acqua pura, cristallina, che sgorga in questo punto probabilmente
da migliaia di anni». Quest'anno il caldo anomalo di maggio e giugno ha sciolto
rapidamente gli accumuli di neve. L'estate ha fatto il resto. Praticamente -
continua Perotti - non piove da due mesi. Lo zero termico è oltre i 4.000 metri.
Le riserve di acqua e i ghiacci sotto le morene si sono sciolti e abbassati».
Più a valle l'acqua c'è, perché il fiume è fatto di falde sotterranee che
trasportano in pianura grandi quantità d'acqua, alimentando le risorgive, ma
simbolicamente quella sorgente senza nemmeno una goccia d'acqua rappresenta il
simbolo di un'estate senza pioggia che verrà ricordata a lungo, anche qui dove
l'acqua non è mai mancata. In questo angolo di provincia di Cuneo, nel pianoro a
quota 2.020 dove si narra sia transitato anche Annibale con il suo esercito di
30mila uomini e 40 elefanti, probabilmente è stata scritta un'altra pagina della
storia sui cambiamenti climatici.
IL PICCOLO - MARTEDI', 5 settembre 2017
Tensione sindacati-Arvedi in attesa del tavolo a Roma -
L'azienda apre sulla sicurezza ma di piano industriale si parla solo al
ministero il 28
Confermato il pacchetto di scioperi in mano alle Rsu dopo l'incontro di
ieri a Servola
Resta sul tavolo il pacchetto di 16 ore di sciopero ancora in mano ai
sindacati per la Ferriera di Servola, dopo che ieri pomeriggio si è tenuto un
incontro con l'azienda che le sigle concordano nel definire «meramente
interlocutorio». Il faccia a faccia è avvenuto dopo che, venerdì scorso, i
lavoratori dell'impianto avevano incrociato le braccia, consumando le prime otto
ore del pacchetto di scioperi. I sindacalisti rilevano che ieri, al netto di
un'apertura sul tema sicurezza, Siderurgica triestina ha rimandato la
discussione sul piano industriale al 28 settembre (data dell'incontro al
Ministero dello Sviluppo economico) e ha chiuso sul tema dei premi. Spiega
Franco Palman della Uilm: «Le ore di sciopero proclamate dalle Rsu restano
attive per diversi motivi. L'azienda si è detta disponibile a ragionare di
sicurezza, ma quali siano le misure concrete che intendono adottare, e quale sia
la velocità con cui dovrebbero tradursi in pratica, sono cose tutte da
verificare».Per il sindacalista, però, il punto dolente è il futuro dell'area a
caldo: «È una situazione imbarazzante. Durante il nostro ultimo incontro,
quest'estate, avevano annunciato degli investimenti che ai nostri occhi sono di
manutenzione ordinaria. Manca ancora uno sguardo più ampio sul futuro, sul piano
industriale. Loro sono disposti a discuterne solo il 28 settembre a Roma, ma a
nostro avviso è una risposta insufficiente». Infine, conclude l'esponente della
Uilm, «anche l'aspetto dei premi deve essere sottoposto a un controllo più
profondo». Interviene quindi Umberto Salvaneschi della Fim Cisl: «Questa
riunione era assolutamente interlocutoria, non ha sciolto i problemi ma ha
delineato un programma di ulteriori incontri per affrontarli. Questo però non ci
permette di ritirare il pacchetto di ore di sciopero». Prosegue Salvaneschi:
«Per Siderurgica triestina la sede opportuna per discutere di piano industriale
è il ministero. Se è così noi ci presenteremo a quel tavolo chiedendo che vi
partecipi il massimo rappresentante dell'azienda, e che illustri quali sono le
prospettive dello stabilimento». Il sindacalista Fim Cisl chiede anche un
maggiore crisma di ufficialità sul piano di investimenti annunciato nei mesi
scorsi: «Chiediamo che venga ufficializzato con carta intestata, perché a noi
l'hanno presentato in carta semplice. Riteniamo invece bisogni dare ufficialità
alla cosa».Marco Relli per la Fiom Cgil pone l'accento sulla concordia dei
sindacati: «Siamo unanimi sull'esito di questo incontro», dice. Gli unici
potenziali risultati, secondo l'esponente Fiom, sono quelli ottenuti in ambito
sicurezza: «Hanno accettato di aprire un tavolo che discuta tutte le necessità
della Ferriera nel dettaglio. E hanno accettato anche la richiesta di
individuare un Rls di sito». Ovvero un responsabile dei lavoratori per la
sicurezza che abbia la facoltà di intervenire non soltanto sui dipendenti
diretti di Siderurgica triestina, ma anche su chi lavora nelle ditte in appalto.
L'obiettivo, precisa Relli, «è scongiurare situazioni come quella tragicamente
conclusasi alla Wartsila qualche mese fa». Relli commenta anche la posizione
dell'azienda sul tema dei premi: «Loro ribadiscono che la linea resta la stessa,
rivendicando il premio di risultato. A nostro giudizio questo sistema divide le
squadre, la cui unità è fondamentale in siderurgia». Anche la Fiom, infine,
torna sul tema del piano industriale: «Di fronte all'ennesima domanda sul piano
da parte dei sindacati, hanno demandato ancora una volta la questione a Roma. Si
limitano a ribadire l'annuncio dei quattro milioni da investire in due anni -
prosegue Relli - ma per noi sono insufficienti per garantire il futuro dell'area
a caldo. Ci sembra un argomento che può essere discusso anche a livello locale,
senza dover per forza trattarlo solo a Roma. Anche perché il contesto attuale di
Trieste, penso allo sviluppo portuale, è essenziale per il destino dello
stabilimento». Siderurgica triestina, contattata nel pomeriggio, non ha voluto
commentare per il momento gli esiti dell'incontro di ieri con i sindacati.
Giovanni Tomasin
IL PICCOLO - LUNEDI', 4 settembre 2017
«Rotonda sull'Ospo, Parenzana poco sicura» - Crescono
le lamentele di autisti e ciclisti sulla pericolosità del punto interessato dai
lavori per la rotatoria
MUGGIA - Il tratto della Parenzana in prossimità delle foci del rio Ospo è
pericoloso. Le lamentele stanno giungendo sempre più numerose
all'amministrazione comunale, in particolar modo a causa del maxicantiere che
sta interessando la zona. Sotto il controllo della Regione, infatti, stanno
proseguendo i lavori per la rotatoria nel tratto conclusivo dell'Ospo. La
tabella di marcia sembra non aver ricevuto intoppi come conferma l'assessore ai
Lavori pubblici Francesco Bussani: «Siamo sempre in contatto con i tecnici
regionali e le ultime notizie confermano che la rotatoria dovrebbe essere
conclusa entro il 2017, con qualche intervento extra che potrebbe slittare ai
primissimi mesi del 2018». In attesa che il manufatto venga concluso, la
viabilità sull'arteria rimane decisamente critica. Non solo per gli
automobilisti costretti a porre molta attenzione lungo il percorso, compreso
l'incrocio con strada per Farnei, ma in particolar modo per i ciclisti.
Nell'area, infatti, sorge l'imbocco d'accesso alla Parenzana, diventata
decisamente meno sicura rispetto a prima. «Siamo consapevoli della questione e
confermo che la problematica esiste - spiega Bussani - motivo per cui già a
marzo ci siamo incontrati con l'assessore alle Infrastrutture della Regione
Mariagrazia Santoro evidenziandole le criticità giunteci sia dai nostri
concittadini che quelle fatteci pervenire dai cicloturisti». Da qui sono partite
alcune richieste per poter superare il problema con la realizzazione di qualche
opera. La prima proposta è stata quella di creare una passerella ad hoc da
collegare al ponte sull'Ospo per determinare in tale modo un passaggio sicuro
per i ciclisti. L'idea, però, non è andata a buon fine: «Purtroppo, per problemi
di sicurezza legati all'accertamento della verifica statica della tenuta del
ponte stesso, la proposta, a mio modo di vedere e a quello di tanti altri
valida, è stata cassata». Bussani allora ha rispolverato il progetto provinciale
del secondo lotto che avrebbe come obbiettivo principale quello di allargare il
ponte: «Rifacendo il ponte si potrebbe creare un percorso sicuro per i ciclisti
collegando il loro percorso alla Parenzana». Almeno per ora questo progetto,
però, rimarrà nel cassetto: la cifra prevista di due milioni, a cui si
potrebbero aggiungere ulteriori oneri per la bonifica della zona, è stata
giudicata attualmente non affrontabile. La terza e ultima proposta riguarda la
realizzazione di una passerella parallela ma distaccata dal ponte attuale,
dedicata al passaggio delle biciclette. Anche in questo caso l'idea pare rimarrà
tale essendoci costi importanti in ballo. Bussani, comunque, non demorde: «I
progetti ci sono e anche la volontà. Ora cercheremo di capire se magari
attraverso l'Uti e la sinergia con i comuni di Trieste e San Dorligo vi sia la
possibilità di creare un collegamento alternativo bypassando quindi la
problematica». In attesa di capire la soluzione l'auspicio è che i lavori per la
rotatoria possano effettivamente terminare entro l'anno.
(ri. to.)
IL PICCOLO - DOMENICA, 3 settembre 2017
I fondali non tengono l'acqua - «I laghetti carsici
muoiono» - I terreni poco compatti e la carenza di piogge stanno facendo
scomparire gli stagni
Il più a rischio ora è quello di Trebiciano: l'appello della Comunella
alle istituzioni
TRIESTE - È un disperato Sos quello che arriva dalla comunità di Trebiciano:
«Dateci una mano, date una mano a tutte quelle realtà locali che gestiscono e
cercano di salvare quei preziosi laghetti e stagni carsici che stanno
dissecando». L'appello è di Katja Kralj, presidente della locale Comunella, ed è
rivolto agli enti e alle amministrazioni locali e regionale. C'è di mezzo,
infatti, la conservazione degli antichi e rari specchi d'acqua presenti sul
Carso, nel caso specifico quello di Trebiciano, che, assieme a tanti altri,
rischia appunto di scomparire sia per l'andamento climatico, rotto
estemporaneamente dalle piogge di questo week-end, che soprattutto per una serie
di problemi tecnici. Di fronte ad altri problemi di forte attualità che
interessano la società, la preoccupazione per la salvezza di questi stagni
sembrerebbe eccessiva. Ma è necessario rendersi conto di come queste rare
conche, quasi tutte realizzate artificialmente per trattenere la preziosa acqua
altrimenti inghiottita dalla fessurata superficie carsica, siano testimonianza
di quella lotta per la sopravvivenza che nei secoli i residenti hanno ingaggiato
con un territorio difficile eppure tanto amato. È di questi ultimi anni la messa
a punto di un progetto finanziato con fondi comunitari per il mantenimento, a
cavallo dei confini, di un "Museo dell'Acqua diffuso" che rientra nel programma
di cooperazione transfrontaliera Italia-Slovenia. Il progetto, che ha coinvolto
amministrazioni e istituzioni secondo strategie condivise e risulta finanziato
per oltre tre milioni, ha avuto come obiettivo la valorizzazione del ciclo
dell'acqua e il territorio carsico nelle aree a Est dell'Altipiano e ha previsto
il recupero di storici manufatti come l'antica cisterna "Ciganka" di Gropada, la
valorizzazione di aree e percorsi e la posa in opera di opportuna segnaletica.
«Definire terribile questa stagione estiva è poco - afferma la presidente - ma
il nostro vecchio kal (che sta per stagno in lingua slovena, ndr) sta morendo
non solo per la tremenda siccità ma anche perché il fondo non riesce a
trattenere l'acqua». La questione è nota e interessa con modalità diverse tutti
i vecchi stagni carsici. Di fronte alla quasi totale permeabilità del Carso,
alcune conche deputate a raccogliere l'acqua piovana riuscivano a mantenere il
proprio livello grazie di un fondo reso compatto dall'argilla. Ed erano gli
stessi animali con i propri zoccoli a compattare quasi quotidianamente il letto
degli stagni. «Oggi purtroppo non ci sono più mucche e buoi a garantire questo
servizio - riprende Kralj - con il risultato che il fondo degli stagni non
riesce a trattenere l'acqua. Circa una decina d'anni fa avevamo cercato di
ripristinarlo, finanziando in proprio il deposito di nuova argilla e il suo
compattamento. Purtroppo il recupero non è riuscito a dovere e oggi il kal,
complici pure le scarse precipitazioni degli ultimi anni, risulta completamente
secco. Qui ci vuole un nuovo intervento e noi non siamo in grado di provvedervi.
È per questa ragione che chiediamo alle istituzioni di aiutare le nostre
comunità a salvare questi reperti del passato, le memorie di un passato rurale
che rischiano di essere cancellate per sempre, con interventi risolutivi». «Con
Percedol e Contovello, il laghetto di Trebiciano è storicamente tra i più
importanti e grandi del Carso», spiega Nicola Bressi del Museo di Storia
naturale: «Attorno alla fine degli anni '60, si era asciugato a causa di un
pilone dell'Enel posizionato all'interno. Per ripristinarlo, venne consultato
anche il sottoscritto che, a scanso d'equivoci, ribadisce quello che aveva
suggerito. Visto che ormai il fondo non può essere più ricompattato dagli
zoccoli del bestiame, consiglio la posa in opera di un telo artificiale in
materia plastica impermeabilizzante come è già stato fatto in altri siti.
Dobbiamo prendere coscienza che i tempi sono cambiati e che dunque sono
necessari nuovi espedienti. Pastorelli e vacche sono rari e comunque confinati
in zone ben determinate. E dunque la soluzione prevede l'utilizzo di questi
materiali, se vogliamo veramente salvare questi stagni».
Maurizio Lozei
Mobilità elettrica - vale 800mila unità lavorative
La mobilità elettrica in Italia potrebbe attivare un fatturato fino a un
massimo di 300 miliardi da qui al 2030, con 823.000 occupati e 160.000 imprese,
considerando la filiera allargata. A stimare il potenziale dell'"e-mobility" e
le opportunità sul sistema Paese è uno studio realizzato da The European House
Ambrosetti e Enel, presentato a Cernobbio, con il gruppo elettrico che si
dichiara pronto ad investire «da 100 a 300 milioni di euro nei prossimi tre
anni», in favore di un numero di colonnine di ricarica per le auto elettriche
che varia «tra 7.000 e 12.000 unità», come ha spiegato l'ad Francesco Starace
(Foto). A livello mondiale, tra il 2005 e il 2016, il numero di autoveicoli a
motore elettrico e ibridi elettrici plug-in è cresciuto ad un tasso medio annuo
del 94% in termini di stock (superando i 2 milioni di unità nel 2016) e del 72%
in termini di nuove immatricolazioni. Anche l'Italia è coinvolta nella
«e-mobility revolution»: sebbene la strada verso la transizione elettrica del
Paese sia ancora molto lunga - evidenzia lo studio - le immatricolazioni di auto
elettriche sono cresciute ad un tasso medio annuo composto del 41% dal 2005 al
2016. La crescita è stata significativa anche per il parco auto, con 9.820
autoveicoli circolanti nel 2016 (+60% rispetto all'anno precedente). «Per
cavalcare con successo la e-mobility revolution - viene evidenziato nel Rapporto
-, l'Italia deve innanzitutto sviluppare una visione di medio-lungo termine,
come fatto dai principali Paesi e adottare delle politiche nazionali volte a
sostenere la domanda, la filiera industriale (incentivando soprattutto la
ricerca) e la rete infrastrutturale di ricarica».
IL PICCOLO - SABATO, 2 settembre 2017
Boom di vendite per le bici elettriche - Numeri
raddoppiati in Friuli Venezia Giulia grazie agli incentivi regionali. Tra gli
sportivi spopola la versione mountain bike
TRIESTE - Senza dubbio gli incentivi regionali stimolano l'acquisto. Ma,
aiutini a parte, le bici elettriche hanno conquistato nell'ultimo anno, e in
particolare durante i primi mesi del 2017, una fetta importante di italiani e
residenti della regione. Si parla di un aumento già per l'anno scorso del 121,3%
in Italia, che vuol dire una vendita di 124.400 pezzi contro i 56.200 del 2015,
e di crescite superiori al 50% in Fvg. Si contraggono invece i dati della
bicicletta tradizionale. Lo dice il settore dedicato alle due ruote di
Confindustria, l'Associazione nazionale ciclo motociclo accessori (Ancma), che
racconta come che è il Nord Est a trainare il settore e dunque a pedalare di più
con il motore nel velivolo. Il Triveneto assieme all'Emilia-Romagna arriva a un
35% di ciclisti motorizzati, seguito dal Nord Ovest, che pratica per il 25% e
dove il 18% è solo della Lombardia. Il resto della penisola invece si accontenta
di un 45% di velocipedi a pedalata assistita, la percentuale più alta che
comprende però il numero maggiore di regioni. È anche il secondo parametro,
quello relativo all'import, che spiega nel 2016 la crescita delle Pedelec (Pedal
electric cycle), il termine che indica appunto i veicoli che rispettano la
normativa europea di non superare i 25 chilometri all'ora, i 250w di potenza e
la possibilità di scegliere il livello di assistenza. Nel quarto trimestre del
2016 infatti l'Italia ha importato 40.800 mezzi di questo tipo, quasi uguale a
quello dei primi nove mesi del 2015 pari a 60mila, diventando poi alla fine
108.800. «Segno - sottolinea Confindustria Ancma - che si è venduto parecchio
nel 2016, ma che molto di quanto importato nel 2016 sarà venduto nel 2017». In
linea generale ogni aspetto di questo mercato è aumentato. Esempi: la produzione
made in Italy di 23.500 bici e le 8mila esportazioni. Il che vuol dire anche
un'importante uscita di progettualità e brevetti dalle aziende del Bel Paese. Ma
veniamo al Nord Est e in particolare al Friuli Venezia Giulia. Qui, come nel
resto d'Italia, il prodotto più apprezzato è la mountain bike elettrica.
Trieste, Gorizia e Pordenone hanno gli stessi clienti con i medesimi gusti. Fa
eccezione un po' Udine, dove fa da padrone il modello city trekking. L'identikit
degli acquirenti corrisponde agli over 40. Pochi i giovani invece che si
affacciano a questo mezzo di trasporto innovativo. Ma la domanda che salta
subito alla testa è: perché acquistare una bicicletta sportiva con il motore, se
chi la utilizza dovrebbe usarla proprio per un'attività fisica? Bisogna mettere
da parte per un attimo gli stereotipi. «Con questo tipo di bici si fa comunque
fatica - commenta Michele Scaramuzza, responsabile di Sportler a Pordenone -,
magari può essere d'aiuto per gli escursionisti che vogliono fare un percorso
lungo, ma non sono allenati». Il target comprende anche mogli che così possono
seguire i mariti su strade tortuose della montagna e della collina, anziani che
riprendono un'attività fisica proprio grazie alle due ruote elettriche. «La
E-mountain bike - aggiunge Loris Marin, responsabile di Sportler Trieste - può
avere un doppio uso rispetto alla city bike elettrica, perché basta togliere i
parafanghi e cambia la versione». I molteplici negozi del settore sparsi nelle
quattro province raccontano di aumenti delle vendite, soprattutto quando ci sono
gli incentivi. Si parla di una crescita che va dal 15% al 70% in diversi casi.
Tra gli shop, Mathitech Bike Center, in viale Miramare, e Ones Ebike in via
Torrebianca. Quest'ultimo negozio, aperto a maggio 2016, è specializzato in
city-bike elettriche. «Quest'anno in due mesi - raccontano Bernardo Zerqueni e
Giovanni Romich, titolare dell'attività - abbiamo già venduto le bici che l'anno
scorso abbiamo distribuito in sei mesi e tra l'altro siamo il negozio che in
Italia ha venduto il numero maggiore di queste tipo di due ruote. Quest'estate
abbiamo organizzato di nuovo inoltre "Aloha", un aperitivo mobile, che abbiamo
fatto a tappe in tre diversi momenti. Oggi è l'ultimo incontro, che si terrà al
bar Buffet Borsa a Trieste dalle 19 alle 2, dove le bici si potranno provare
fino alle 23. Il nostro obiettivo ora è sdoganare il fatto che questo mezzo sia
solo per anziani, mentre è uno sostituto dello scooter con cui eviti i costi tra
assicurazione e benzina e poi non inquina».Il motivo di un interesse sempre più
crescente verso questo ciclo è dato sia dall'estetica, che rende questi veicoli
sempre più simili a delle biciclette tradizionali, sia dalle dimensioni sempre
più ridotte di motori e batteria e dalla loro integrazione con i telai. E poi va
a 25 chilometri all'ora, ottima per gli spostamenti nel traffico.
Benedetta Moro
IL PICCOLO - VENERDI', 1 settembre 2017
L'acqua del Carso in mappa per imparare a proteggerla
Il Dipartimento di Matematica e Geoscienze in accordo con la Regione identifichera' le aree sede di acquiferi per creare un data base completo e omogeneo del territorio.
Tre quarti della superficie del nostro pianeta sono occupati dall'acqua che, evidenzia l'ultimo rapporto Unesco "Acqua per la gente, acqua per la vita", è costituita per il 97% da oceani e soltanto per il 2,5% è acqua dolce. Di questa, il 68,9% è contenuta nei ghiacciai e nelle nevi perenni, il 30,8% nelle falde sotterranee e solo il rimanente 0,3% si trova in laghi e fiumi. È evidente perciò il motivo per cui negli ultimi tre decenni la legislazione ambientale mondiale si è focalizzata sulla tutela degli elementi d'acqua dolce, prendendo in considerazione la scarsità idrica. Va in questa direzione anche l'accordo attuativo di collaborazione con l'Università di Trieste approvato dalla giunta regionale una decina di giorni fa, che prevede che l'Ateneo giuliano, attraverso il Dipartimento di Matematica e Geoscienze, si occupi di individuare e perimetrare le aree carsiche e le relative zone d'infiltrazione delle acque. L'accordo attuativo, parte di una convenzione quadro tra Università e Regione per progetti di comune interesse istituzionale in ambito ambientale ed energetico, stanzia intanto 32 mila euro per un anno di lavori.«Lo scopo di quest'iniziativa - spiega Francesco Princivalle, direttore vicario del Dipartimento di Matematica e Geoscienze - sarà quello d'individuare e studiare gli acquiferi carsici dai quali attingiamo l'acqua, per poi mettere in campo ragionamenti strategici sulla loro tutela e sugli utilizzi futuri». «Anche nel nostro territorio - spiega Chiara Calligaris, una dei quattro ricercatori del gruppo che si farà carico del progetto, coordinato dal professor Luca Zini - la maggior parte delle risorse idriche che già sfruttiamo è racchiusa nel sottosuolo: la città di Trieste è servita dalle acque della pianura isontina, ma non dimentichiamo che il 20% delle acque che scorrono nelle tubature del nostro acquedotto arrivano dall'acquifero carsico».«In questa prima fase - prosegue Calligaris - andremo a identificare in tutto il territorio regionale le aree carsiche, in rocce carbonatiche, fratturate e carsificate, sede di acquiferi di ottima qualità. L'idea è di avviare un percorso che ci permetta poi di pensare a una loro protezione. Si tratta infatti di aree molto vulnerabili, in cui l'acqua si infiltra attraverso le fratture e i condotti ad una velocità elevata, lo spessore del suolo è relativamente esiguo e inferiore rispetto a quello degli acquiferi di pianura e pertanto la vulnerabilità è maggiore». Studi di questo tipo iniziarono con il professor Franco Cucchi una trentina d'anni fa: da ultimo, nel 2015 si è concluso il progetto Interreg HYDROKARST. Realizzato dai ricercatori dell'Ateneo giuliano insieme ai colleghi sloveni, il progetto ha permesso di monitorare in maniera quantitativa e qualitativa le acque dell'acquifero carsico del Reka-Timavo nell'ottica di una gestione transfrontaliera congiunta. «In questo piccolo fazzoletto di territorio abbiamo due fiumi importanti, il Timavo e l'Isonzo, che insieme alle acque d'infiltrazione dovute alla pioggia vanno a ricaricare i nostri acquiferi», dice Calligaris. Ma non esiste a oggi una mappatura completa e una banca dati omogenea degli acquiferi carsici a livello regionale. «Per la creazione di un grande database georeferenziato regionale opereremo incrociando i dati già in nostro possesso attraverso carte geologiche, foto aeree e rilievi LIDAR, che combineremo con rilievi sul posto per la validazione dei dati», spiega la ricercatrice. Sarà quindi tracciata una mappatura dettagliata dei siti carsici, con dati di tipo geologico, geomorfologico e idrogeologico. Il database prevede inoltre l'inserimento delle sorgenti carsiche, così come l'individuazione dei punti di ricarica degli acquiferi. Questo lavoro, ha dichiarato l'assessore all'ambiente Sara Vito, servirà alla Regione per «disporre di un quadro conoscitivo il più ampio e circostanziato possibile sul quale basare le proprie attività istituzionali, in particolare quelle autorizzative»
Giulia Basso
IL PICCOLO - GIOVEDI', 31 agosto 2017
Mare - Nessuna cubomedusa in golfo
Ad oggi non sono state avvistate cubomeduse nelle aree balneabili di Trieste. Lo ha reso noto l'Arpa, dopo il recente avvistamento in aree non balneabili a Grado di alcuni esemplari questo tipo di medusa.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 30 agosto 2017
Servola - Nuovo spolveramento dalla Ferriera
Nuovo episodio di spolveramento nella giornata di lunedì dalla Ferriera di
Servola. Ormai l'ennesimo di quest'estate: in corrispondenza di pressoché tutti
i temporali con vento molto forte della stagione dallo stabilimento si è levata
una nube scura di polveri. Il "neverin" di lunedì non è stato da meno, e ancora
una volta il fenomeno è stato ripreso e documentato dai comitati per la difesa
ambientale del quartiere, che denunciano il fenomeno. Il Comitato 5 Dicembre ha
condiviso un video in cui si rileva come questi fenomeni ora siano
frequentissimi, mentre un tempo erano molto rari. L'azienda comunica: «La
gestione Arvedi è operativa ormai dal 2015, eppure è successo solo quest'anno.
Le cause sono da cercarsi nelle condizioni meteo straordinarie».
«Riserva delle falesie, Comitato da ampliare» - La proposta dei Cittadini per il golfo alla giunta di Duino Aurisina. - «In questo modo si valorizza l’area»
DUINO AURISINA - Integrare il Comitato tecnico incaricato della gestione della Riserva delle falesie inserendo tre nuovi soggetti: uno in rappresentanza delle società nautiche operanti nella zona, un esponente della proprietà (la Baiaholiday), e uno individuato dai cittadini. Questa la proposta presentata dai Cittadini per il golfo all'assessore comunale Andrea Humar, titolare anche della delega che riguarda l'area delle falesie. Nel corso dell'incontro Danilo Antoni e Vladimir Mervic, portavoce del movimento dei Cittadini per il golfo, hanno evidenziato «la necessità di implementare il Comitato con la presenza di nuove voci, portatrici degli interessi delle categorie coinvolte e di un'analisi critica di alcune norme presenti nel regolamento che disciplina l'attività alle falesie. Non vogliamo incidere sulla qualità dei valori della Riserva - hanno precisato - ma crediamo che, pur nel rispetto del regolamento e del piano di conservazione e sviluppo, le nostre proposte potrebbero migliorare la fruizione della zona marina che attualmente, con la sola delimitazione di boe che non svolgono la loro funzione e il rilascio di permessi stagionali per lo stazionamento, non è inclusa in maniera adeguata nella rete turistico-ambientale dell'Alto Adriatico».«Per la zona a terra - hanno proseguito Antoni e Mervic - c'è la necessità di coinvolgere la proprietà, oltre che gli altri enti pubblici, in progetti di miglioramento e di gestione d'intesa con la cittadinanza e gli utilizzatori dell'area, per portare la Riserva delle falesie - hanno precisato - al livello di fruizione turistico-naturalistica migliore di quanto già presente nelle Riserve limitrofe e in ambito europeo. L'immagine e la promozione, la fruizione guidata del mare, la gestione della pineta e del fondale e la ricreazione devono ricevere un adeguato sostegno. Si potrebbe anche pensare - hanno concluso - alla creazione di un soggetto ad hoc per la gestione della Riserva». Humar, a nome dell'amministrazione comunale, ha confermato «la disponibilità a tenere conto delle esigenze di tutti i cittadini, partendo dalla conoscenza delle realtà attuale, nella prospettiva di individuare gli elementi indispensabili per dare vita, da subito, a un proficuo lavoro comune che coinvolga soprattutto i residenti».
(u.s.)
IL PICCOLO - MARTEDI', 29 agosto 2017
Due balenottere avvistate al largo di Lussinpiccolo -
Lunghe tra i 15 e i 17 metri erano in buone condizioni
Osservate dagli scienziati. Riemergevano ogni 15 minuti
FIUME - Nel mare a tre miglia a ovest di Lussino sono stati avvistati due
grandi esemplari di balenottera comune, nome scientifico Balaenoptera physalus
della famiglia Balaenopteridae. La notizia è stata diffusa dall'Istituto per le
ricerche e la tutela del mare Plavi svijet (Mondo azzurro) con sede a
Lussingrande. La loro lunghezza è stata stimata sui 17-18 metri e nella
classifica degli animali più grandi al mondo tale specie occupa la seconda
posizione. Gli studiosi del centro le hanno osservate dal loro battello a debita
distanza per circa due, arrivando alla conclusione che erano in buona forma. Gli
animali si spostavano verso sud alla velocità media di 3-4 nodi e riemergevano
ogni 10-15 minuti per mantenersi in superficie circa un minuto. Durante
l'osservazione gli studiosi hanno preso appunti sul loro comportamento, le hanno
fotografate e prelevato dal mare campioni della loro pelle sgusciata per le
analisi genetiche in laboratorio. Uno dei animali presentava ferite cicatrizzate
sul dorso provocate dall'elica di qualche natante a conferma che le balene
purtroppo spesso vengono investite dalle imbarcazioni e questa è una delle
principali cause della loro morte. Anche se l'Adriatico non è un bacino marino
nel quale tale specie si presenta in grande numero, singoli esemplari 2-3 al
massimo, vengono puntualmente avvistati ogni anno. I dati fin qui raccolti
indicano che tale specie fa la sua comparsa nell'Adriatico per lo più alla fine
della primavera e dell'estate e gli avvistamenti più frequenti avvengono nelle
acque dell'isola di Pelagosa e della Fossa di Pomo nell'Adriatico
centrosettentrionale. In Croazia tali cetacei sono rigorosamente protetti dalla
legge e gli studiosi dell'istituto per le ricerche marine sottolineano che hanno
indole pacifica e assolutamente innocui per l'uomo qualora non vengono
avvicinati e molestati. Considerato che le balene sono una specie minacciata
l'istituto stesso invita i cittadini che le avvistassero a mandargli eventuali
fotografie o riprese video che saranno sicuramente preziose ai fini della
maggior comprensione della loro vita nel Mare Adriatico. La balenottera comune è
di colore grigio-marrone con il ventre bianco, molto elegante e d'aspetto molto
signorile, anche nei movimenti. Sono balene di notevoli dimensioni che
raggiungono i 23 m di lunghezza con un peso stimato di 70.000 kg risultando il
più grande cetaceo al mondo dopo la balenottera azzurra. Sicuramente la
caratteristica più insolita della balenottera comune è la colorazione
asimmetrica della mascella inferiore , che è di colore bianco o giallo crema sul
lato destro mentre sul lato sinistro è di colore scuro. Questa colorazione
asimmetrica si estende fino ai fanoni e alla lingua e sembra che questa diversa
colorazione sia di aiuto nella cattura delle prede in circostanze di particolari
tecniche di caccia. Hanno la testa a forma di V, piatta nella parte superiore,
che presenta una sorta di cresta che va dallo sfiatatoio alla punta del rostro o
mascella superiore. Sono dotate di una serie di scanalature (circa 85) che vanno
dalla gola all'ombelico che servono alla balenottera comune per espandere la
gola per contenere più cibo. La pinna dorsale alta circa 60 cm è molto incurvata
e molto spostata caudalmente, le pinne pettorali sono piccole e affusolate e la
pinna caudale è robusta, dotata di muscoli possenti che gli consentono di
raggiungere la velocità di 37 chilometri orari. Può scendere a una profondità di
250 metri e rimanere immersa mediamente per 15 minuti.
Gabriele Sala
IL PICCOLO - LUNEDI', 28 agosto 2017
Comune - urbanistica - Il restyling del centro storico
parte da tetti, park e pianterreni
Il Centro storico viene diviso in 13 "scene urbane", 4 "tessuti
insediativi", 207 isolati. L'esame dei singoli edifici si scompone in tre
elementi: involucro esterno, sistema interno dei corpi di fabbrica, spazi
esterni. Le priorità di intervento sono 6: coperture e sottotetti, parcheggi,
trasformazione dei basamenti, archeologia, spazi e verde pubblici, incentivi per
conservare/trasformare/riqualificare gli stabili. Il Piano particolareggiato del
Centro storico (Ppcs), frutto del sedime alluvionale prodotto dalle
amministrazioni succedutesi negli ultimi dieci anni, viene estratto dallo
scaffale delle rimembranze: l'assessore all'Urbanistica, la leghista Luisa
Polli, è intenzionata a portarlo all'attenzione del Consiglio comunale
all'inizio del 2018, «in tempo - dice - per consentire a proprietari,
professionisti e aziende di aprire i primi cantieri già in estate». A fine
ottobre la Polli, insieme ai dirigenti Ave Furlan e Giulio Bernetti, condurrà
una verifica del lavoro fin qui svolto insieme agli ordini professionali, «con i
quali - sottolinea - abbiamo operato in un clima di stretta collaborazione».
Poi, una volta sistemati gli ultimi dettagli, il viaggio verso l'Aula. «Smuovere
il Ppcs - prosegue l'assessore - significa riguadagnare il tempo perduto,
consentendo l'attivazione di quegli incentivi edili ed energetici che fanno
girare risorsa e creano occupazione». «Il Ppcs diventa uno strumento utile anche
per l'industria turistica, perchè permette il recupero di fabbricati destinabili
all'ospitalità». Gli estensori hanno consultato una ventina di contributi
pianificatori, tra piccoli e grandi centri: Vienna, Cagliari, Oristano, Mondovì,
Pistoia, Ragusa, Modena... La novità di maggiore rilievo è l'individuazione di
13 scene urbane, definite negli indirizzi del Ppcs "quinte architettoniche ...
risultato dell'interazione tra spazio pubblico e patrimonio edilizio». Le Rive,
Cavana, l'asse di via Carducci, i tre borghi imperiali (Teresiano, Giuseppino,
Franceschino) costituiscono la struttura fondante attorno alla quale si è
organizzato il Centro. Proprio dalla specificità della "scena urbana" il Piano
parte per dare ordine e razionalità alle operazioni di recupero edilizio,
puntando su due chiavi di lettura, che interpretano le parti alte e basse degli
edifici. In alto, promuovendo «veri e propri progetti unitari» nel riutilizzo
dei tetti e dei sottotetti (pendenze, coperture, abbaini, lucernai, "vasche"),
nella previsione addirittura di una "Carta": perchè l'immagine aerea - si rileva
nella sintesi del Piano - suggerisce «un'immagine frammentata» del Centro. Il
modello proviene da alcune grandi città europee, prima fra tutte Vienna, che
hanno ripensato le volumetrie dei tetti. Ma la stessa Trieste presenta esempi
virtuosi, a cominciare dalla terrazza del museo Revoltella progettata da Carlo
Scarpa. Poi riflettori sulla parte bassa degli stabili, dove la trasformabilità
dei piani-terra diventa un fattore di rivitalizzazione economica, attraverso
l'insediamento di attività commerciali e artigianali, da stimolare con
agevolazioni e incentivi mirati. Un tema delicato, vista ampiezza e ricchezza
del sottosuolo triestino, riguarda l'approccio con l'archeologia. Anche su
questo fronte il Piano propone la redazione di una "Carta" che perimetri i
complessi messi in luce o riconosciuti da campagne di indagine, le aree di
accertata consistenza, la concentrazione di materiali, le zone a medio/alto
potenziale archeologico. Lo sforzo di conoscenza e di "codificazione", cui
s'ispira il Ppcs, si estrinseca inoltre nel rapporto con gli spazi pubblici e
con il verde, cui sarà dedicato un "Atlante" che indicherà il contenuto coerente
di ogni scena urbana in materia di arredo urbano, dehors, pavimentazione. La
sintesi del Ppcs si chiude con l'analisi della "premialità" offerta a seguito
degli interventi di riqualificazione: proposta diversificata a seconda si tratti
di energia, di eliminazione di «elementi incongrui», di corti interne, di
progetto unitario del tetto. Crediti edilizi mediante aumento delle cubature
concedibili, defiscalizzazioni, deroghe, semplificazioni sono gli strumenti per
invogliare gli investimenti.
Massimo Greco
L'iter delle quattro modifiche al Prg - la variante
Entro l'anno Luisa Polli vuole chiudere l'iter della variante al Piano
regolatore, messa in moto con la delibera 264 dello scorso giugno. «In autunno
avremo il primo step, abbiamo già raccolto le istanze, non credo sia necessario
tornare in Regione, quindi spero in un esito abbastanza rapido». Aspetti
normativi, disciplina dei pastini, ricognizione degli errori, ricorsi davanti al
Tar: ecco le linee guida della variante al Prg, messo a punto dalla giunta
Cosolini ed entrato in vigore il 5 maggio dello scorso anno. L'esecutivo
Dipiazza aveva affrontato il tema-variante già in aprile, quando si era espresso
favorevolmente a proposito dell'adozione di alcuni correttivi rispetto allo
strumento urbanistico varato un anno fa. Ecco sinteticamente i quattro punti che
costituiranno il nocciolo duro della variante. Riguardo gli aspetti normativi,
l'attenzione si concentrerà in particolare sugli incentivi per la
riqualificazione energetica, alfine di renderli coerenti con altri strumenti di
pianificazione e con la vigente normativa. Alcune «discrasie interpretative»
infestano, stando ancora alla delibera, recupero e valorizzazione dei pastini,
urge approfondire quanto emerso in sede applicativa. Terza esigenza, rilevata
dall'atto giuntale, è la necessità di emendare errori materiali, incongruenze,
refusi grafici e testuali nei quali gli uffici si sono imbattuti operando sul
documento urbanistico. Il quarto punto è quello politicamente più caldo: si
tratta dei ricorsi presentati da privati cittadini contro il Prg, ricorsi poi
accolti dal Tar. «Andranno apportate - precisa la delibera - le necessarie
modifiche azzonative» in quanto l'annullamento di alcune destinazioni
urbanistiche ha di fatto cancellato la copertura pianificatoria dei siti
interessati.
«Complimenti, è il lavoro nostro» - L'ironia dell'ex
esponente di giunta Marchigiani. «Perché tenerlo fermo un anno?»
«Complimenti per la saggezza dimostrata. Mi sembra di capire che il Piano
del Centro storico (Ppcs), portato avanti dall'attuale amministrazione comunale,
sia quello preparato durante la giunta precedente, con la collaborazione
dell'architetto Adriano Venudo». C'è un filo di ironia, per la verità neanche
troppo celata, nel commento che Elena Marchigiani, predecessore di Luisa Polli
all'Urbanistica, dedica alla riapertura del dossier Ppcs. «Mi congratulo -
riattacca l'ex collaboratrice di Roberto Cosolini - che il Piano venga ripreso
parola per parola, così come era stato concordato con gli ordini professionali.
Peccato aver aspettato un anno prima di riaccendere la procedura su un documento
la cui validità viene sostanzialmente confermata». E la Marchigiani rievoca a
mente quelli che ritiene essere i passaggi più innovativi e caratterizzanti del
lavoro dedicato al Centro storico triestino. Il concetto di "scena urbana", con
lo stretto rapporto tra edifici e spazi aperti. Gli "attacchi" al cielo e a
terra per quanto riguarda qualità e tipologia degli interventi su tetti e
basamenti degli stabili. Il «costante» dialogo con gli ordini professionali
interessati alla pianificazione territoriale.«Finalmente - prosegue l'architetto
- la nuova giunta dà a Cesare quello che è di Cesare. Cosa che non sempre
accade: come nel caso della recente inaugurazione del rifacimento di piazza
Hortis, in occasione della quale il ruolo dei precedenti amministratori è stato
dimenticato. Sia io che Andrea Dapretto (ex assessore ai Lavori Pubblici, ndr)
ci siamo impegnati per risorse e progetto».«Ma l'attuale governo cittadino -
continua Elena Marchigiani - ha ancora molto lavoro da fare in ambito
pianificatorio, a cominciare dal regolamento dei crediti volumetrici, uno
strumento importante nella riqualificazione degli edifici». Nella parte
introduttiva della sintesi finale, i redattori del Ppcs ricordano come nella
fase ricognitiva siano stati analizzati oltre 20 piani particolareggiati, per
confrontarli con i Ppcs triestini messi a punto nel 2006 e nel 2009. E la
pianificazione triestina sembra uscire in modo lusinghiero dalla comparazione,
in quanto «(i piani) sono fra i pochi a possedere una vera e propria struttura
semantica in grado di costruire "un linguaggio"». «Un solido apparato normativo,
pianificatorio e progettuale - riprende la sintesi - dotato di un elevato
livello di "autonomia"». Insomma, la buona qualità del lavoro svolto nel 2006 e
2009 è una valida base per il pianificatore del 2017, chiamato comunque ad
aggiornare quel "telaio" con le innovazioni normative, con i nuovi strumenti
pianificatori adottati dal Comune, con l'evoluzione economico-sociale del
territorio urbano.
magr
Premi a chi posteggia nei grandi contenitori - Tariffe
"calmierate", navette e agevolazioni per lo shopping - Il Municipio si confronta
con Esatto, Silos, Saba e San Giusto
Nella redazione del Piano particolareggiato del Centro storico (Ppcs) c'è un
aspetto che preme al sindaco Roberto Dipiazza. Aspetto sul quale il primo
cittadino ha assegnato una chiara direttiva all'assessore Luisa Polli: eliminare
quanto possibile il parcheggio automobilistico dalle superfici stradali,
puntando a concentrare le soste soprattutto nei grandi contenitori, adesso
sotto-utilizzati.«Il 30-40% degli stalli nei parking resta sguarnito - riprende
la Polli - dobbiamo trovare la maniera di renderli attraenti». Per questo il
Comune sta mettendo a punto una politica di incentivazione delle grandi
autorimesse mezze vuote: tanto per cominciare, l'assessore ha mandato una
lettera ai gestori (Esatto, Park San Giusto, Saba, Silos) invitandoli a uno
sforzo coordinato per accrescere l'utenza. Alcuni spunti al vaglio, spesso già
sperimentati in altre realtà urbane, riguardano le tariffe "calmierate" per i
residenti e il servizio di navetta tra i parcheggi (come Silos e Foro Ulpiano) e
le zone centrali. Un'idea più fresca prefigura il coinvolgimento dei
commercianti, per promuovere la combinazione sosta/shopping: il cliente del
parking, munito del regolamentare ticket, otterrà facilitazioni nell'acquisto di
merci nei negozi del Centro. La questione-parcheggi viene genericamente recepita
negli indirizzi del Ppcs. «Individuare grandi autorimesse, come nel caso del
Park San Giusto - riporta il documento comunale - oppure intervenire attraverso
l'individuazione di piccole "sacche" diffuse nel centro della città o, infine,
prevedere una configurazione integrata di queste due tipologie»: insomma, un
"1X2" che, per accontentare Dipiazza, abbisognerà di soluzioni più solide e
meglio circostanziate. In tema di parcheggi privati, il Ppcs chiede inoltre che
vengano definite le modalità di realizzazione, scegliendo tra sventramento
interno di interi edifici o interventi puntuali sui basamenti. Il modello, cui
ispirarsi, sembra essere quello del Park San Giusto, dove sono stati tutti
venduti i 420 posti (170 stalli e 250 box) non a rotazione. Indicativamente la
cifra richiesta per un posto auto si è aggirata attorno ai 43mila euro, mentre
per un box a 52 mila. Nei primi tre livelli della struttura inaugurata
nell'ottobre 2015 trovano posto i box e i posti macchina destinati al mercato
privato. Ai due livelli inferiori ci sono invece i 312 stalli a rotazione (8
riservati a persone con disabilità) per la sosta pubblica a pagamento. Il
cambiamento dell'assetto azionario di Park San Giusto, con l'assunzione della
maggioranza da parte del colosso belga Interparking, ha determinato alcune
novità a livello tariffario, scattate dall'inizio del mese. Dopo che a marzo è
già stata adottata la nuova tariffa oraria, passata da 1,50 a 1,60 euro, il
costo dell'abbonamento mensile è salito da 150 a 160 euro diventando però
nominale e con keycard. Ricordiamo che la formazione del Ppcs è formalmente
ripartita con un cosiddetto "verde" di giunta, approvato dall'esecutivo Dipiazza
lo scorso 27 aprile su proposta dell'assessore Polli. Tra gli indirizzi
progettuali fondanti sono esplicitate «le strategie per l'incremento della
dotazione dei parcheggi».
magr
Il peso dell'inquinamento nella vita dei bebè - Lo
analizzerà l'ospedale infantile di Trieste grazie al sostegno garantito da
ministero e Regione
TRIESTE - La giunta regionale del Friuli Venezia Giulia ha dato il via
libera all'accordo con il quale l'Istituto materno infantile Burlo Garofolo di
Trieste potrà realizzare, grazie a un contributo di quasi 450mila euro ricevuto
da parte del ministero della Salute, un progetto che ha l'obiettivo di studiare
le esposizioni ambientali nei primi mille giorni di vita, proponendo piani di
intervento nei contesti di forte inquinamento. «La proposta dell'ospedale
triestino - ha spiegato l'assessore regionale alla Salute, Maria Sandra Telesca
-, è entrata nel novero di progetti ritenuti finanziabili dal Ccm, il Centro
nazionale per la prevenzione del controllo delle malattie che è l'organismo di
coordinamento tra il ministero della Salute e le Regioni per le attività di
gestione delle emergenze sanitarie». Il Centro elabora ogni anno un programma di
interventi e per l'anno 2017 ha identificato tre ambiti sui quali focalizzare
l'attenzione: le patologie trasmissibili, le patologie non trasmissibili e le
azioni di sistema. L'iter di valutazione dei progetti si è concluso a luglio,
con il comitato scientifico che, dopo un'attenta valutazione, ha assegnato un
voto finale a ciascuna delle 43 iniziative. Sono risultate finanziabili nove
proposte e, tra queste, il quinto posto è stato conquistato dallo studio del
Burlo Garofolo denominato "Coorti di nuovi nati, esposizioni ambientali e
promozione della salute nei primi 1000 giorni di vita: integrazione dei dati di
esposizione con dati molecolari ed epigenetici". Le linee di intervento del Ccm,
che rappresentano una priorità del Governo, sono coerenti con le disposizioni
del Piano nazionale della prevenzione e con i recenti Piani nazionali approvati
e coordinati dal ministero della Salute-Direzione generale della Prevenzione
sanitaria, sono rilevanti per la sanità pubblica e presentano elementi,
procedure e azioni la cui evidenzia di efficacia fa prevedere un impatto
misurabile. Della disponibilità economica per il 2017, pari a 7.509.242 euro,
salvo accantonamenti, il 50 per cento è stato ripartito a favore delle linee
progettuali e il restante 50 per cento è stato destinato alle cosiddette azioni
centrali.
(lu.sa.)
IL PICCOLO - DOMENICA, 27 agosto 2017
La maggioranza si spacca sulle aree off limits alle
bici - Niet di Forza Italia: «Sbagliato vietare». E la Fiab raccoglie 700 firme
in poche ore
Il vicesindaco dà man forte a Lippolis: «Il problema esiste. Bisogna
intervenire»
I velocipedi dividono la maggioranza. La mozione del leghista Antonio
Lippolis (che vorrebbe vietare le biciclette nelle aree pedonali in barba al
Codice della strada) non è stata neppure discussa (è attesa per martedì 5
settembre alle 9 in VI Commissione) che ha già sollevato un polverone politico e
una petizione preventiva online (oltre 700 firme raccolte in poche ore). Persino
il proponente appare meno convinto dell'iniziale posizione proibizionista e vira
su un atteggiamento volterriano. «Si è accesa una bella discussione sul problema
dei ciclisti maleducati e strafottenti - dichiara Lippolis -. Un problema da
risolvere tutti insieme, con il vicesindaco, con gli altri consiglieri e con le
associazioni. Non c'è da parte mia la volontà di andare avanti con le mie
posizioni a testa bassa. La libertà dei ciclisti finisce dove inizia la libertà
dei pedoni». Il vicesindaco Pierpaolo Roberti, che con Lippolis condivide lo
stesso credo leghista, però non si tira indietro e cita l'esempio di Muggia che
ha vietato le bici: «La mozione del consigliere Lippolis che mira a vietare la
circolazione delle biciclette nelle aree pedonali affronta un problema reale e
sentito. Ora non so se lo fa nel modo corretto e se questa sia la soluzione, ma
senz'altro qualcosa bisogna fare. Sempre più spesso arrivano segnalazioni di
pedoni che hanno evitato d'un soffio l'investimento da parte di qualche incivile
e anche il consigliere Piero Camber solo un mese fa aveva posto l'attenzione
sulla pericolosità delle biciclette che transitano sul marciapiedi a Barcola».
In realtà il citato Camber, capogruppo di Forza Italia, si schiera al fianco dei
velocipedi: «Non c'è dubbio che vi siano persone che utilizzano la bicicletta in
maniera a dir poco disinvolta, per non dire fastidiosa, all'interno delle aree
pedonali. Ma non è pensabile che tutti debbano pagare per colpa di pochi fessi.
Forza Italia vede quindi con estremo favore l'utilizzo dei velocipedi,
soprattutto quando questi suppliscano ad automobili e motorini. Ed è compito di
un saggio amministratore non vietare ma educare, anche sanzionando, ad un uso
corretto». Il consigliere forzista Michele Babuder arriva persino a postare la
foto di lui in sella alla bicicletta in piazza Unità dichiarando il suo totale
disaccordo con la Lega firmando la petizione della Fiab Ulisse: «Scusate ma io
non sono d'accordo. Sarebbe come chiudere le strade perché alcuni automobilisti
non rispettano il codice della strada». La petizione di Fiab Ulisse che dichiara
un "no" preventivo alla mozione mieti parecchi consensi anche tra i politici.
«Le diffuse aree pedonali di Trieste sono, per il momento, gli unici spazi dove
si può pedalare in sicurezza vista la quasi totale assenza di piste ciclabili -
si legge nel testo della raccolta firme -. L'approvazione della mozione sarebbe
un colpo durissimo alla ciclabilità e al suo sviluppo e avrebbe forti ricadute
negative anche sul cicloturismo in questi anni in forte espansione».
L'opposizione è compatta contro il provvedimento. «A Trieste in media viene
investita una persona ogni due giorni. Credo che la quasi totalità degli
investimenti siano causati da automobili e motoveicoli. Mai mi sognerei di
vietare la circolazione di veicoli a motore per diminuire il numero degli
incidenti e degli investimenti. Per la Lega Nord locale il pericolo maggiore
sono invece i ciclisti nelle zone pedonali e quindi pensa bene non di sanzionare
gli indisciplinati ma di vietare a tutti la circolazione», denuncia Paolo Menis
del M5S. «Colpirne 100, 1000 per educarne 1 o 10: potrebbe essere questo lo
slogan della mozione anti-bici presentata dal consigliere Lippolis - dichiara
Fabiana Martini, capogruppo del Pd -. Anziché pensare a delle azioni di
sensibilizzazione della cittadinanza relativamente a un modo rispettoso di stare
sulla strada anche per chi sceglie le due ruote o dare indirizzo alla Polizia
locale di prestare particolare attenzione ai ciclisti maleducati, la maggioranza
di centro destra vorrebbe vietare a chi pedala l'accesso nelle zone pedonali,
nonostante sia previsto dal Codice della Strada e nonostante le poche piste
ciclabili presenti (alcune, come quella di via Giulia, stoppate
dall'amministrazione Dipiazza). Questa iniziativa - conclude la dem - è
l'ennesima dimostrazione della schizofrenia di questa giunta».«Da una parte si
promuove l'uso delle bici, dall'altra si cerca di ostacolarle. La mano destra
non sa quello che fa la sinistra», sottolinea il consigliere socialista Roberto
de Gioia a proposito dell'amministrazione. Ma c'entra l'ideologia? «Crede che le
auto siano di destra e le bici di sinistra? - si infervora Lippolis -. Non è un
problema ideologico è solo un problema da risolvere».
Fabio Dorigo
Sondaggio sul web, in testa i contrari - oltre 800 voti
L'offensiva anti-bici non scalda solo gli animi dei politici, ma divide
anche i triestini. Nel pomeriggio di ieri, sul sito del Piccolo, abbiamo
lanciato un sondaggio per chiedere ai nostri lettori se fossero favorevoli o
contrari allo stop delle bici nelle aree pedonali di Trieste. Il resto recita,
testualmente: "Una mozione presentata dalla Lega Nord intende impegnare il
sindaco a emettere un'ordinanza che vieti la circolazione dei velocipedi (bici,
ma anche monopattini) nelle zone pedonali. Ok al transito solo se le due ruote
sono accompagnate a mano. E la proposta (che verrà discussa il 5 settembre nella
VI Commissione consiliare) ha fatto scattare la rivolta dei fan delle due ruote
e del web. E voi siete favorevoli o contrari allo stop?"In poche ore, il
sondaggio ha raggiunto quota 843 voti (alle 21.23). In netto vantaggio, al
momento, i lettori contrari all'eventuale "bando" dei velocipedi dalle aree
pedonali, opzione scelta da 506 lettori contro i 327 che invece si sono detti a
favore. Non manca qualche indeciso: 10 persone ha infatti cliccato sull'opzione
"Non so". Intanto prosegue anche il secondo sondaggio attivo sul nostro sito e
dedicato a uno dei temi più "caldi" del momento, quello delle possibili
soluzioni per proteggere i centri storici da eventuali attacchi terroristici.
Soluzioni allo studio anche a Trieste, città che si prepara a vivere tra poche
settimane l'evento clou dell'anno, la Barcolana. In questo caso, i lettori sono
chiamati a votare online esprimendo la propria preferenza tra sei opzioni
proposte: alberi come proposto da Stefano Boeri, fioriere con base in cemento,
barriere fisse con paletti a scomparsa, blocchi fissi in cemento, transenne, new
jersey cioè blocchi rimovibili in plastica o nessuna barriera. Nella serata di
ieri, in testa alle preferenze dei 1430 triestini che avevano votato fino alle
21.23, figuravano ancora gli alberi, scelti da 582 lettori. Medaglia d'argento
alle fioriere (votate da 405 lettori), mentre sul gradino più basso del podio si
piazzavano le barriere fisse con paletti a scomparsa con 195 voti.
IL PICCOLO - SABATO, 26 agosto 2017
L'offensiva padana antibici innesca la rivolta dei
ciclisti - Bufera sulla proposta del leghista Lippolis di bandire le due ruote
dalle zone pedonali
Fiab Ulisse: «Inaccettabile». Ma Polli sposa l'iniziativa: «Stop alla
maleducazione»
Trieste non è una città per "velocipedi". Questo tipo di mezzi rischia di
finire fuorilegge. Una mozione presentata dal consigliere della Lega Nord
Antonio Lippolis, in arrivo per il 5 settembre all'esame della IV Commissione,
vorrebbe impegnare il sindaco «ad emettere un'ordinanza che vieti la
circolazione di velocipedi nelle zone pedonali e ne consenta il transito solo se
accompagnati a mano». Non solo le biciclette quindi. Il codice della strada
considera come velocipedi anche i risciò, le biciclette a quattro ruote (quelle
in uso nelle località turistiche marine), i monopattini, i carri leggeri a tre
ruote montati sul retrotreno di una bicicletta. «In pratica, se qualcuno mi
accompagna tenendomi per mano, posso pedalare» interpreta malizioso l'ex
assessore Paolo Rovis. In realtà la mozione di Lippolis ha cominciato a far
discutere prima ancora di essere presa in considerazione. «Si propone di
"vietare la circolazione delle bici nelle aree pedonali", come invece concesso
dall'articolo 3 del Codice della strada, senza dare alcuna motivazione» attacca
Federico Zadnich dell'Associazione Fiab Trieste Ulisse. Il Codice della strada,
infatti, definisce l'area pedonale come «zona interdetta alla circolazione dei
veicoli, salvo quelli in servizio di emergenza, i velocipedi e i veicoli al
servizio di persone con limitate o impedite capacità motorie, nonché eventuali
deroghe per i veicoli ad emissioni zero aventi ingombro e velocità tali da poter
essere assimilati ai velocipedi». E quindi? «Le diffuse aree pedonali di Trieste
sono, per il momento, gli unici spazi dove si può pedalare in sicurezza vista la
quasi totale assenza di piste ciclabili - spiega Zadnich -. L'approvazione della
mozione sarebbe un colpo durissimo alla ciclabilità e al suo sviluppo e avrebbe
forti ricadute negative anche sul cicloturismo in questi anni in forte
espansione. Come già scritto è il Codice della Strada a consentire la
circolazione dei velocipedi nelle aree pedonali, prevedendo in situazioni di
forte presenza di pedoni di scendere dalla bicicletta e quindi basta solo
applicarlo». Tra l'altro, fa presente l'associazione di cicloturisti e ciclisti
urbani, le linee programmatiche del sindaco Dipiazza prevedevano come obiettivo
a medio termine «un 10% in più di mobilità ciclabile». Un provvedimento simile è
stato adottato dalla giunta di Muggia che, dopo le numerose proteste, ha però
ridimensionato il divieto, prevedendolo solo all'interno di tre calli del centro
storico. Per il momento la giunta Dipiazza non accoglie in modo integrale
l'iniziativa di Lippolis. «La mozione, più che porre un divieto, vuole essere
uno stimolo per migliorare i comportamenti. Pone un problema reale. Ci sono
ciclisti educati e ciclisti maleducati. Vedo spesso turisti che scendono dalla
bici e la portano a mano e altri ciclisti che invece sfrecciano a 50 all'ora per
piazza della Borsa e Cavana. Ormai è diventato un problema di sicurezza», spiega
l'assessore Luisa Polli che milita nello stesso partito di Lippolis. L'idea è
quella di provvedere, magari, con dei divieti nelle aree più affollate di
persone. «Carlo Grilli come farai a girare in bicicletta in centro adesso che la
Lega vuole vietare l'utilizzo nelle zone pedonali?», domanda provocatoriamente
il capogruppo M5S all'assessore ai Servizi sociali, che si reca al lavoro in via
Mazzini in bicicletta. Lippolis, intanto, abbozza e respinge l'etichetta di
politico antibici. «Certe zone pedonali sono sempre più piene di turisti, di
cittadini e di bambini e sempre più ciclisti sfrecciano a tutta velocità facendo
slalom tra i pedoni - spiega il consigliere leghista -. Non sono mica contro le
biciclette! La bici è un mezzo meraviglioso ma... la mia libertà finisce dove
inizia la tua! Anche i pedoni vanno tutelati. Bisogna fare qualcosa».
Cominciando a vietare i velocipedi nelle zone pedonali. E via pedalare
di Fabio Dorigo
I nostri politici si impegnino di più contro il
rigassificatore - La lettera del giorno di Silvano Baldassi
Qualche giorno fa "Il Piccolo" ci ha informati che la Croazia ha deciso di
situare il rigassificatore di Veglia in mare aperto, come quelli, in Italia, di
Porto Viro, di Livorno e di Porto Recanati (per ora sospeso). Evidentemente
anche la Croazia ritiene opportuno tutelare la sicurezza delle popolazioni, le
attività economiche di terraferma e l'ambiente. Per quanto riguarda Trieste, lo
stato italiano va invece controcorrente, in quanto pretende di imporci un
rigassificatore a Zaule, sulla terraferma, al centro di un'area densamente
popolata e, soprattutto, scavalcando e ignorando le norme di sicurezza e le
precauzioni adottate, oltre che in Italia per gli impianti sopra menzionati,
anche in tutto il reso del mondo. Ne è la prova che la pratica sta procedendo
con l'approvazione dei vari ministeri competenti. É perciò impossibile
contraddire coloro che vanno dicendo che lo stato italiano vuole condannare la
nostra popolazione a vivere in perenne pericolo, che vuole bloccare
definitivamente lo sviluppo del nostro porto e l'economia della città, e vuole
pure inquinare il nostro mare. Quindi, se il progetto di Gas Natural non viene
definitivamente, ed entro breve tempo, bocciato ufficialmente, svaniscono tutte
le speranze di valorizzare il porto e i relativi punti franchi. Ritengo inoltre
che i nostri amministratori e parlamentari, non debbano limitarsi a ricorrere al
Tar e a dichiarare la loro contrarietà, menzionando solo i danni economici che
ne deriverebbero all'attività portuale, ma debbano anche, con forza e
soprattutto senza paura, denunciare apertamente che questa scelta (del governo)
va contro Trieste, la sua economia, la sicurezza dei cittadini e la salute del
nostro mare, e imputare a chi ha dato il benestare all'impianto di aver
colpevolmente ignorato i rilievi fatti, da oltre vent'anni, da scienziati,
professori, tecnici, esperti, sull'assoluta incompatibilità dell'impianto con le
caratteristiche del sito e sulle tante incongruenze rilevate nel progetto stesso
(come ben descritto nella delibera del Consiglio comunale di Trieste nel 2012).
IL PICCOLO - VENERDI', 25 agosto 2017
La Regione si accolla parte delle bonifiche nei terreni
inquinati - Ok dalla Conferenza dei servizi al ministero dell'Ambiente
Prevista la "pulizia" di 75 ettari su 500 al Canale navigabile
Settantacinque ettari su un totale di 500: una sorta di grande "U" che segue
il percorso delle tre sponde attorno al Canale navigabile. Con 23 aziende
interessate. Così una parte del Sin (Sito di interesse nazionale) diverrà Sir.
Dove l'enne di "nazionale" lascia il posto all'erre di "regionale". Il gioco di
parole annuncia - o meglio conferma - un'importante novità nello stagnante
paesaggio delle bonifiche triestine, in quanto il Governo ha accettato che la
Regione Fvg possa prendersi direttamente in capo la gestione delle procedure in
una rilevante porzione del Sito. Lo ha fatto ieri mattina nel quadro della
Conferenza dei servizi convocata sull'argomento dal ministero dell'Ambiente,
partecipata anche mediante la videoconferenza allestita nella sede della
direzione regionale competente. Insomma, dopo oltre 14 anni dalla perimetrazione
descritta da un decreto del ministero dell'Ambiente risalente al febbraio 2003,
un nuovo decreto dello stesso dicastero provvederà a ridefinire i confini del
Sito inquinato, stabilendo cosa sarà di competenza regionale e cosa resterà di
attribuzione governativa. L'auspicio dell'assessore Sara Vito è che il
provvedimento ministeriale venga approntato in autunno, in modo tale che la
Regione riesca a subentrare entro la fine dell'anno. Già in giugno la Regione
Fvg aveva preso l'iniziativa politica e amministrativa dell'operazione con una
dichiarazione della stessa Vito, sollecitata anche dal fatto che la medesima
Regione aveva avocato a sè i compiti anticamente svolti dal liquidando Ezit. Per
sbloccare un imbarazzante impasse che comprime volontà e opportunità espansive
delle imprese, rallentate da un incredibile groviglio di passaggi burocratici,
la giunta regionale ha imboccato l'impegnativa strada di farsi "sportello",
accorciando parzialmente - perchè non tutto il Sito è coinvolto - le distanze
tra le aziende e Roma. Finchè una delibera giuntale, votata lo scorso 17 luglio
su proposta della Vito, metteva en forme la volontà politica: Trieste chiedeva a
Roma di sostituirsi al ministero dell'Ambiente nella gestione delle pratiche
bonificatorie riguardanti una zona circoscritta del Sin, quella che avvolge il
Canale navigabile, dove sono insediate alcune importanti realtà produttive
triestine (Sim, Frigomar, Autamarocchi, Redaelli, alcuni terminal portuali tra
cui quello che era gestito da Italcementi e che dovrebbe passare, Tar
permettendo, a Wärtsilä). Anche l'ex Ezit è interessato perchè titolare di
terreni per 25 mila metri quadrati, concentrati nel grande piazzale alla radice
del Canale. Alla Conferenza dei servizi hanno partecipato, oltre ai due
riferimenti istituzionali, Inail, Autorità portuale, Ezit, Arpa, Comune di
Muggia, Soprintendenza. Presenti anche rappresentanti delle imprese coinvolte.
L'esito della Conferenza ha evidentemente soddisfatto Sara Vito: «Non faremo
sconti nell'istruire le pratiche, ma se non altro le aziende, che operano
attorno al Canale, risparmieranno un passaggio. Per la Regione è una "prima" e
valuteremo come organizzarci per affrontare questo impegno».
Massimo Greco
IL PICCOLO - GIOVEDI', 24 agosto 2017
L'amianto ora colpisce i figli degli operai -
L'emergenza
MONFALCONE - Il "male da amianto" sta intaccando una nuova frontiera
generazionale. I figli degli ex lavoratori esposti alla fibra minerale. Si apre
un nuovo capitolo, tutto ancora da studiare e approfondire. Bambini, dunque,
oggi cinquantenni e sessantenni, che con l'eternit non avevano mai avuto a che
fare. Ma che, semplicemente, giocavano assieme ai loro papà. Segnali importanti,
forse, danno la misura di come il subdolo e tragico fenomeno dell'amianto non
conosca ancora "confini" e induca a confermare quanto lo stesso dottor Claudio
Bianchi aveva temuto, prospettando che questa "maledetta" iperbole sia lontana
dalla sua fase discendente, quantomeno oltre quel 2020 a cui si erano comunque
affidate le speranze.Il "salto generazionale" è emerso per la prima volta
quest'anno. Lo confermano le visite di controllo eseguite al Centro regionale
unico dell'amianto aperto il primo giugno 2013 all'ospedale San Polo di
Monfalcone. Quattro i casi rilevati. Si tratta di donne. Due alle quali è stato
diagnosticato il mesotelioma, una di 58 anni, l'altra solo 48. A una 51enne e a
una 61enne sono state invece riscontrate placche pleuriche.«È un dato
significativo - ha spiegato il direttore del Crua, dottor Paolo Barbina - che
apre un fronte finora insondato. Per la prima volta, infatti, quest'anno abbiamo
constatato la presenza di due casi di mesotelioma e altri due di placche
pleuriche in persone effettivamente giovani. Malattie non professionali, avendo
riscontrato piuttosto esposizioni nell'ambiente familiare. Si va a indagare
approfonditamente la storia del paziente, procedendo per esclusione. Sono
indicatori preoccupanti, considerato che le malattie legate all'amianto si
stanno estendendo ad una nuova generazione». Sempre quest'anno sono stati
registrati altri 4 casi di mesotelioma, in donne che lavavano quotidianamente le
tute di lavoro dei propri mariti. Quanto agli ex lavoratori esposti, nel primo
semestre 2017 sono stati rilevati al Crua 91 nuovi casi. Di questi, 47
riguardano la presenza di placche pleuriche, un paziente affetto da asbestosi,
15 casi di mesoteliomi e 23 di carcinoma polmonare. Quindi 2 casi relativi al
carcinoma alla laringe e 3 di carcinoma al colon retto. I casi invece di
pazienti già visitati e soggetti ai controlli risultano complessivamente 90, di
cui 80 relativi a placche pleuriche, 4 ad asbestosi, un mesotelioma, 2 tumori
polmonari e 3 carcinomi alla laringe. Purtroppo i malati di tumore non tornano
al controllo.Il primo approccio alla visita al Crua di pazienti ai quali è stata
diagnosticata la sospetta presenza di placche pleuriche consegna frequentemente
gli stessi scenari. Pazienti che davanti a Barbina esordiscono: «Dottore ho
l'amianto». Si sentono ormai "segnati", destinati alla malattia mortale. Le
placche pleuriche come anticamera del tumore, il mesotelioma di fatto, ritenuto
dai pazienti un'automatica evoluzione della malattia. Anche per questo accade
che la paura derivante dalla consapevolezza di essere affetti dalle placche
pleuriche frena i pazienti, indotti a rinunciare alla visita presso il Centro.
Ma Barbina è stato molto chiaro: «Le placche pleuriche non rappresentano una
lesione precancerosa, pertanto non si trasformano in una forma tumorale. Possono
essere adeguatamente trattate. Attualmente sono disponibili ottime
strumentazioni e terapie per migliorare la condizione del paziente, in
particolare in merito alle difficoltà di carattere respiratorio. Le persone non
si devono spaventare, non è stato scientificamente dimostrato il rapporto tra le
placche e il tumore che, comunque, qualora comparisse costituisce una patologia
distinta e parallela». Per questo Barbina invita le persone a rivolgersi al Crua
e a intraprendere il percorso previsto, affidandosi al Centro e agli esperti.
Sotto il profilo dell'attività svolta, il Crua esegue il 75% dei controlli in
Friuli Venezia Giulia. Segno che su tutto ha assunto il ruolo di "sentinella
dell'amianto", un riferimento diventato funzionale. Il Crua mantiene inoltre i
rapporti con specialisti medici aziendali per la gestione "multidisciplinare"
dei pazienti che richiedono appropriati riferimenti sanitari ai fini delle cure.
Il Centro rappresenta infine la "piattaforma" documentale, elaborando e
assemblando sia la storia clinica dei pazienti, sia gli atti necessari ad
accompagnare gli utenti lungo l'iter di riconoscimento delle malattie asbesto
correlate, comprendendo anche gli aspetti assistenziali, previdenziali, fino
alle procedure delle esenzioni dal ticket e alla refertazione della malattia.
Laura Borsani
Boom di richieste d'aiuto - Oltre cento in un anno
Il punto sanitario inaugurato nell'estate 2016 continua a ricevere nuovi
utenti - Il responsabile: «Questo andamento sta a significare che il problema
resta»
TRIESTE - Più di cento contatti in meno di un anno di attività. Questo il
lusinghiero bilancio del lavoro fatto dallo Sportello informativo sull'amianto,
inaugurato nell'estate del 2016 al primo piano dell'ospedale Maggiore. Voluto
dall'Associazione europea rischi amianto (Eara) e realizzato in collaborazione
con l'Azienda sanitaria universitaria integrata di Trieste (Asuits) e con il
sindacato Ali-Confsal, l'obiettivo del punto informativo è proprio quello di
«dare assistenza a quanti non conoscono pienamente le normative in materia e
magari abbisognano di consigli e indirizzi - aveva spiegato nel corso della
cerimonia di inaugurazione Paolo Tomatis, presidente dell'Eara di Trieste - e in
questa direzione va e andrà sempre il nostro impegno, perché sono troppe le
famiglie che, a causa dell'amianto, hanno visto la loro vita stravolta».
«Ebbene, a distanza di una decina di mesi - ha precisato in sede di bilancio
Renato Milazzi, uno dei responsabili dell'Info point del Maggiore - siamo molto
soddisfatti del lavoro portato a termine. Il fatto che un centinaio di famiglie
si siano rivolte al nostro sportello - ha aggiunto - sta a significare che il
problema è purtroppo ancora molto vivo, che ci sono migliaia di persone, nel
nostro territorio, che non hanno trovato risposte ai loro interrogativi e noi
cerchiamo di colmare questa lacuna». In sede di bilancio sono intervenute anche
l'avvocato Emanuela Rosanò, esperta in materia di risarcimenti per danni causati
dall'esposizione all'amianto, e Silvia Malandrin, esponente della Gestione
crediti pubblici, prima società in Italia nella gestione del recupero crediti
contro la Pubblica amministrazione. «Vogliamo innanzitutto precisare - ha detto
quest'ultima - che non chiediamo somme in anticipo e per fondo spese a chi si
rivolge allo sportello e alla "Gcp"e che misuriamo il nostro compenso,
stabilendo una percentuale che sarà dovuta solo in caso di effettivo recupero
del credito. Inoltre - ha proseguito Malandrin - cerchiamo di diminuire il più
possibile i tempi di recupero del credito». A Trieste il tema dell'amianto è
molto sentito. Pochi giorni fa era stato il segretario provinciale della Cgil,
Michele Piga, a chiedere la riapertura dei termini per la presentazione delle
domande, inizialmente fissato per il 16 settembre, per poter beneficiare delle
agevolazioni contributive previste per coloro che sono stati esposti all'amianto
nell'ambito della loro attività lavorativa. Trieste, com'è noto, presenta
purtroppo un tasso di mortalità più elevato rispetto alla grande maggioranza dei
Comuni italiani. Per questo motivo, la Cgil ha chiesto di aprire una finestra
temporale, per favorire quei lavoratori esposti per almeno dieci anni che, in
base alla legge, possono chiedere altri cinque anni di riconoscimento
contributivo. I numeri sono chiari: dal 2010 al 2016 a Trieste si sono ammalate
686 persone, in un contesto di crescita di patologie. Fra gli obiettivi dello
Sportello del Maggiore, c'è anche l'organizzazione di corsi per le giovani
generazioni, per far loro conoscere il rischio amianto. «Il problema
dell'amianto è molto grave soprattutto in Slovenia e in Croazia - è stato
ribadito nel corso dell'incontro al Maggiore - dove le opere di bonifica non
sono sempre eseguite alla perfezione». Milazzi ha ricordato che «l'apertura
dello sportello deriva dalla richiesta di tante persone che non hanno un punto
di riferimento. Intendiamo dare assistenza per l'iscrizione al registro esposti
amianto - ha proseguito - per quanto concerne le norme di legge in materia e per
le visite mediche. Il problema dell'amianto - ha continuato - i medici di base
non lo possono risolvere da soli. Qui inoltre possiamo avvalerci anche della
collaborazione dei colleghi di Monfalcone. Abbiamo anche partecipato - ha
evidenziato Milazzi - alla stesura di "Abclean", manuale utile per difendersi
dall'amianto». Rosanò ha reso noto che «l'aspetto giuridico del risarcimento
danni per esposizione amianto è piuttosto complesso, per questo ci proponiamo
per affiancare le famiglie delle persone che hanno subito danni, per guidarle
cioè nella maniera corretta, in modo che possano avere ciò che è loro diritto
ricevere». Lo sportello del Maggiore è aperto dalle 9 alle 12 nei primi due
martedì di ogni mese (tel. 040. 3992262 o 040 2602203)
Ugo Salvini
Grado, la sabbia avanza e crea lagune - Le correnti
spingono il grande banco in direzione della spiaggia principale. Si sta formando
anche un piccolo specchio d'acqua
GRADO - Perché non consolidarla e trasformarla in una piccola oasi offrendo
uno scenario diverso e unico ai frequentatori del litorale di Grado? Parliamo
dello specchio di mare, per ora abbastanza limitato, a ridosso della spiaggia,
che di fatto s'è trasformato in una sorta di piccola laguna (qualcuno l'ha già
battezzata proprio così, "Piccola Laguna") formatasi tra il tratto libero della
spiaggia nelle vicinanze della zona del bosco, davanti a quella che avrebbe
dovuto o dovrebbe diventare la Grado3. In un primo tempo qualcuno aveva
ipotizzato la realizzazione di piscine in mare, indubbiamente poteva anche andar
bene, ma modificare ora ciò che si è formato e che è già frequentato da diversi
volatili, a molti pare impensabile. Si tratta di un'area che s'è formata a
seguito dello spostamento del banco sabbioso della Mula di Muggia il quale
dall'area originale si sta muovendo in direzione della spiaggia principale. Ma
si tratta anche anche del contestuale spostamento del cosiddetto "baroso", cioè
di quell'area pressoché di impronta lagunare che si estendeva dalla foce del
Primero fino al limite con Punta Barbacale. Certo è che i turisti si fermano
oggi a guardare con ammirazione quanto da un anno all'altro si è venuto a creare
e come si sta estendendo con la vegetazione sempre più folta e alta. I più
affascinati sono i bambini, rapiti dagli uccelli, gabbiani, garzette, aironi che
si fermano in quella zona. Vista dal mare è indubbiamente ancor più suggestiva.Il
fenomeno di questi spostamenti è stato studiato in tutti i dettagli già 30 anni
fa dal professor Antonio Brambati. Tuttavia, tranne per quanto è stato fatto
davanti alla spiaggia di Pineta, lo studioso è stato forse preso un po'
sottogamba. Anche perché gli interventi proposti sarebbero costati parecchio. È
tuttavia una questione di indubbia rilevanza, tanto che anche la Protezione
civile ne sta seguendo l'evoluzione. Tutto era iniziato per caso nel 2008,
subito dopo il devastante tornado quando la Protezione civile eseguì un sorvolo
con l'elicottero per verificare la situazione. Giuliano Felluga allora ebbe
l'idea di effettuare un monitoraggio all'anno per verificare gli spostamenti,
cosa che avviene normalmente durante il mese di settembre. Ad ogni modo ora pare
proprio che non ci sia più tempo, che non si possa più aspettare. «È un fenomeno
che noi abbiamo evidenziato già da tempo - afferma il presidente della Git,
Alessandro Lovato -; oggi non ci tocca ma interessa altre componenti economiche
di Grado e non possiamo essere sordi al richiamo di altri colleghi». La Git,
dice Lovato, ha evidenziato la problematica al Comune e alla Regione. Sono pure
stati fatti alcuni incontri, ma per il momento non è stato deciso nulla. «Se non
viene eseguito qualche intervento - aggiunte Lovato - nei prossimi anni il
problema toccherà anche noi; fino a qualche anno fa c'era il timore che si
verificasse, ma si faceva riferimento sempre a decenni; ora invece è questione
di anni». Per la Git non è, dunque, un tema sconosciuto tanto che stanno
monitorando il fenomeno continuamente, anche con l'utilizzo del drone. È un
problema davvero di grande respiro che, però, è soggetto a scuole di pensiero
anche diverse. C'è la teoria del professor Brambati e di altri esperti i quali
sono dell'idea di aggredire il fenomeno, mentre ci sono coloro che sostengono
come che la natura debba andare avanti con il suo corso proponendo di studiare
invece come si possono rendere fruibili gli spazi che si stanno formando.
Antonio Boemo
Spostamento a Ovest anche di 15 metri l'anno - il
professor Ruggero Marocco
Lo spostamento della Mula di Muggia verso ovest è anche di 10-15 metri
all'anno, specialmente la parte verso il mare, mentre i dossi di sabbia si
spostano ancora più velocemente e arrivano direttamente in spiaggia. Lo precisa
Ruggero Marocco, già professore di geologia dell'Università di Trieste ed ex
vice presidente della Git, che continua a studiare il fenomeno trattato quando
era docente all'ateneo triestino. «È un problema molto serio - dice Marocco - e
va assolutamente affrontato. È una questione che vede coinvolti tutti, dal
Ministero, alla Regione, al Comune...». Una questione davvero seria che Ruggero
Marocco ha avuto modo di spiegare anche in tivù, a Linea Blu. Su cosa sia
necessario fare, Marocco parte innanzitutto col dire che è necessario tornare a
monitorare scientificamente il fenomeno perché i dati di allora potrebbero, anzi
sicuramente lo sono, essere diversi. Oggi, rispetto ad allora, l'intervento si
complica (anche sotto l'aspetto economico): «Se va avanti così il processo di
spostamento, magari nei secoli, Grado sarà sormontata dalla Mula di Muggia».
Altre soluzioni rispetto a quanto proposto tanti anni fa al momento non ci sono,
se non quella per i bagnanti dei campeggi con la proposta di creare delle
passerelle fino alla Mula di Muggia dove la sabbia è bellissima, creando magari
anche delle piscine di fronte alle stesse strutture. Parliamo infine della
"Piccola Laguna" o meglio del "baroso" che si è creato e pare si stia espandendo
ancora. «Si potrebbe anche modificare questa area ma con interventi paurosi in
termine di onerosità. Penso invece che lasciarla com'è sarebbe la cosa migliore:
è un ambiente naturale perché trasformarlo? Meglio sfruttarlo per la bellezza
che rappresenta».
(an.bo.)
Un fenomeno previsto già 30 anni fa - Lo studioso antonio Brambati
Lo "Studio sedimentologico e marittimo-costiero dei litorali del Friuli-Venezia Giulia" redatto una trentina di anni fa (è stato presentato ufficialmente nel giugno del 1987) dal professor Antonio Brambati per conto del servizio idraulica, direzione regionale Lavori pubblici della Regione, è indubbiamente lo studio più approfondito e completo che sia stato eseguito. Si tratta, però, come detto, di tanto tempo fa. Lo studio partiva dal Tagliamento per arrivare fino a Duino-Aurisina, compresi quindi i Lidi di Staranzano e Marina Julia. «Lo studio - dice Brambati - già allora prevedeva ciò che è successo e sta accadendo con l'insabbiamento di tutta la zona con una vera e propria emigrazione verso ovest». La conseguenza è stata anche lo spostamento del "baroso" che stazionava dalla foce del Primero fino al limite di Punta Barbacale a Pineta e, come s'è visto, si è già "trasferito" verso Grado ma, precisa Brambati, potrebbe proseguire ancora. Sul futuro, o meglio su quelle che potrebbero essere le soluzioni per il futuro, l'esperto dice innanzitutto che è necessario capire cosa si vuol fare delle spiagge. Comunque è un fenomeno che va indubbiamente anticipato prima che si accentui maggiormente. «Dobbiamo anticipare ciò che la natura sta già facendo - afferma infatti Brambati - e per quel che concerne le spiagge dobbiamo pensare a uno spostamento della linea di riva verso il mare». Nello studio di Brambati la soluzione per la spiaggia principale, oggi gestita dalla Git, ipotizzava la creazione di una nuova spiaggia ancorata alla Mula di Muggia, un arenile che avrebbe avuto un'ampiezza indicativa attorno ai 110 metri con una superficie di circa 26 ettari. In sintesi un raddoppio dell'attuale (quello di 30 anni fa e oggi ancor più ridotto) arenile.
(an.bo.)
Nuovi e futuri scenari - Gazzette, aironi e gabbiani hanno già trovato il loro habitat
GRADO - Garzette, aironi e gli immancabili gabbiani hanno già trovato un consono habitat, almeno per delle soste provvisorie, nella "Piccola Laguna". Ce ne sono anche altri, pur con meno frequenza si son visti in quell'area che sta diventando di particolare interesse, con i bagnanti a fermarsi per scattare fotografie. Passata la stagione turistica è probabile, data la vicinanza dell'oasi della Valle Cavanata e anche della laguna, che in questo "baroso" in costante espansione giungano altri uccelli. Potrebbero arrivare anche dei cigni che ormai sono decisamente molto numerosi e si trovano un po' dovunque in laguna, ma l'attuale profondità dei piccoli spazi d'acqua appare una grande limitazione. Se poi approdassero i fenicotteri rosa in spiaggia, quest'area assumerebbe un valore promozionale importante, da coltivare e incentivare. Magari, come hanno suggerito gli esperti riferendosi ad alcune valli da pesca della laguna, portando saltuariamente da mangiare per questi uccelli. Certo, c'è da vedere come si espanderà l'area e che sviluppi di vegetazione avrà questa nuova zona lagunare. Come pure l'evoluzione che ci sarà quanto alle maree.«Naturalmente - dice Fabio Perco, direttore della Stazione biologica dell'isola della Cona - sono per mantenere quest'area naturale e penso che i turisti ne possano godere. Poter osservare gli uccelli così da vicino non accade spesso». Sulla possibilità circa l'arrivo nell'area anche altri uccelli, Perco osserva che è molto probabile la presenza di limicoli, cioè di piccoli trampolieri. Non crede, almeno al momento, nella presenza di quelli di grandi dimensioni ma nemmeno lo esclude, dipende ovviamente da che sviluppi avrà l'area. «Tra i limicoli - aggiunge l'esperto - penso al chiurlo e soprattutto ai piovanelli che sono molto numerosi».
(an.bo.)
Ok all'accordo fra Regione e Università per la
mappatura delle sorgenti in Carso
La giunta regionale, su proposta dell'assessore all'Ambiente, Sara Vito, ha
approvato l'accordo attuativo con l'Università di Trieste per l'individuazione e
la perimetrazione delle aree carsiche e delle relative zone di infiltrazione
delle sorgenti d'acqua. Il documento, per la cui attuazione sono stati stanziati
32mila euro, «prevede - ha evidenziato Vito - che i ricercatori del dipartimento
di Matematica e Geoscienze dell'ateneo giuliano, i quali sono già impegnati in
questo tipo di attività e quindi dispongono delle tecnologie adatte, elaborino
una metodologia per individuare e perimetrare le aree carsiche attraverso
raccolta, sintesi ed omogeneizzazione di dati preesistenti ma anche attraverso
nuove rilevazioni». Sarà quindi tracciata una mappatura dettagliata dei siti
carsici con dati di tipo geologico, geomorfologico, idrogeologico, ambientale e
paesaggistico che consentirà anche la caratterizzazione delle sorgenti e la
definizione del loro grado di vulnerabilità.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 23 agosto 2017
Guerra del rumore fra Comune e Arvedi - Il Municipio
chiede a ministero e Ispra verifiche sui rilievi acustici firmati dalla
proprietà della Ferriera
Il Comune contesta il documento sull'impatto acustico della Ferriera,
prodotto dalla proprietà attraverso appositi rilievi fonometrici. E per ottenere
valutazioni più approfondite sul documento stesso coinvolge il ministero
dell'Ambiente e l'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca
ambientale). Il sindaco Dipiazza ha infatti inviato una lettera ai due enti,
chiedendo di fare "le opportune valutazioni su elementi anomali e sommari
relativi al documento presentato, che fa riferimento all'Aia centrale
termoelettrica dell'Acciaieria Arvedi". «Abbiamo evidenziato - spiega Dipiazza -
l'assenza di una verifica dei livelli acustici differenziali generati dalla
centrale. Ciò non consente ai valutatori di comprendere i reali valori acustici
emessi dall'impianto e quindi di verificare la conformità o meno ai limiti
previsti dalla normativa». Il sindaco precisa poi di aver messo in evidenza che
«i rilievi sono stati eseguiti a livello del piano stradale invece che presso
gli appartamenti e a quote determinate, che l'amministrazione aveva evidenziato
nella conferenza dei servizi», tenuto conto delle schermature e riflessioni che
si generano in determinati punti. Dipiazza osserva inoltre che la
giustificazione addotta - "non è stato possibile accedere all'interno dei
predetti stabili" non è plausibile e rileva che «la corretta verifica è
fondamentale perché i rilievi eseguiti a quota strada non possono essere
rappresentativi dei reali valori acustici nelle abitazioni». Nella sua lettera
il sindaco fa poi notare al ministero e all'Ispra che «i valori acustici
notturni rilevati in tutti i punti sono superiori ai limiti zonali e quindi
fuori norma» e sottolinea che «il professionista della proprietà dello
stabilimento non fornisce elementi giustificativi proprio perché non sono stati
eseguiti i rilievi acustici differenziali. Il professionista, inoltre, dichiara
che "il superamento dei limiti assoluti è imputabile esclusivamente al traffico
veicolare nei pressi delle stazioni di misura"».«È paradossale - conclude
Dipiazza - come non si tenga conto della sorgente emissiva predominante che è lo
stabilimento, e non certamente il traffico veicolare, soprattutto nelle ore
notturne». Pronta la replica della proprietà, attraverso il suo portavoce, il
quale spiega che, come già anticipato nel documento inviato al ministero, la
misurazione differenziale del rumore non è stata possibile in quanto avrebbe
richiesto la fermata di tutti gli impianti. La misurazione verrà comunque
effettuata a fine settembre, quando sarà fermata l'area a caldo per alcuni
interventi di manutenzione straordinaria. Quanto alla richiesta di effettuare le
misurazione ai piani alti degli edifici, l'azienda precisa poi di non avere i
permessi per accedere alle abitazioni private. E aggiunge che le prescrizioni
del ministero per i rilievi fonometrici non obbligano a farli ai piani alti, ma
li ritengono solo preferibili.
IL PICCOLO - MARTEDI', 22 agosto 2017
Allarme all'Aquario per la moria di pesci -
Una trentina di esemplari morti in agosto. Troppo calda l'acqua presa in
mare che viene riversata nelle vasche. Il Comune: subito interventi da 300mila
euro
Un'incredibile moria di pesci si è verificata all'Aquario marino di Trieste
in questo torrido agosto. Almeno una trentina degli esemplari più anziani (tra
orate, branzini, saraghi e spigole) non è sopravvissuta al brodo marino in cui
si è trasformata l'acqua (che ha raggiunto anche i 32 gradi) pescata nel Bacino
di San Giusto nella prime due settimane di agosto. Una situazione anomala che ha
creato problemi anche alle specie tropicali. Un'emergenza che non si è risolta
neppure dopo l'abbassamento della temperatura regalato dalla Bora del fine
settimana. «Sono morti anche alcuni pesci appena reinseriti. Stiamo tentando di
refrigerare manualmente alcune vasche. Ma non è facile», spiegano gli addetti. È
lo stesso problema che ha costretto il vicino Eataly a inizio mese a svuotare i
frigoriferi visto che l'impianto di raffreddamento usa l'acqua di mare. La
verità è che l'Aquario Marino è da rifare da cima a fondo. Realizzato nel 1933
all'interno dell'ex Pescheria centrale, preleva l'acqua dal mare alla base del
molo Pescheria (circa 60 metri cubi al giorno). L'acqua di mare, mediante un
sistema di pompaggio, viene spinta nella torre dell'orologio a circa 10 metri di
altezza in una grande vasca di decantazione. Da qui, per caduta, l'acqua viene
erogata alle 25 vasche dell'acquario. Un tempo veniva anche utilizzata per
mantenere il pesce fresco sui banchi in pietra della Pescheria. D'inverno,
invece, viene opportunamente scaldata per le vasche dell'acquario.«Il Bacino di
San Giusto da cui noi peschiamo l'acqua è diventato una brodaglia praticamente.
Colpa anche dei cambiamenti climatici. La presenza di molte barche ha poi
peggiorato la qualità dell'acqua. Bisogna assolutamente pescare l'acqua fuori
dal Bacino di San Giusto che è diventato una specie di palude calda», spiega
Nicola Bressi, curatore dei civici musei scientifici di Trieste. E l'acqua più è
calda meno contiene ossigeno e più sviluppa batteri risultando letale per i
pesci. Così, dopo la strage di questo agosto, si è deciso di correre ai ripari.
«Abbiamo messo a disposizione 300mila euro per un primo lotto di lavori: per
pescare l'acqua più al largo e per rifare completamente alcune vasche (a partire
da quella inutilizzata dei pinguini, ndr). Poi il prossimo anno troveremo
altrettanti soldi. Il nostro Aquario è unico: fa un sacco di visitatori, ma ha
una struttura alquanto vetusta. È venuto il momento di metterci mano - assicura
l'assessore alla Cultura Giorgio Rossi -. È l'ultimo degli acquari storici
sopravvissuto e va ripristinato. In un paio d'anni lo mettiamo a posto». Va
anche detto, a beneficio degli animalisti, che l'Aquario di Trieste compra i
pesci direttamente dai pescatori. «Li paghiamo il doppio del prezzo di mercato e
così li salviamo da una morte sicura», aggiunge Bressi. Se poi muoiono
nell'Aquario per il gran caldo dell'acqua marina, si tratta pur sempre di morte
naturale. «Il nostro è l'unico acquario totalmente pubblico rimasto in Italia. I
pochi acquari pubblici sono tutti dati in gestione ai privati - aggiunge Bressi
-. Ed è il più antico in Italia e forse in Europa rimasto identico a come è
stato fatto nel 1933. Uno dei pochi che utilizza l'acqua marina. È una specie di
piccola fetta di mare interna. Da un certo punto di vista è perfettamente
compatibile con il Parco del Mare alla Lanterna». L'ultimo e unico intervento
all'Aquario risale al 1993 quando vennero sistemate le piastrelle e rafforzate
le vasche. I segni del tempo ci sono tutti. Ieri mattina diverse vasche
risultavano vuote e con la scritta "in manutenzione". Chiuse per lutto. Assenti
la sarpa salpa e l'occhiata. Dal 27 ottobre scorso il biglietto di ingresso è
stato abbassato a 3 euro (1 euro il ridotto) «a causa dei lavori di pulizia e
riallestimento di alcune vasche al piano dei pesci» (nessun problema, invece, al
rettilario del primo piano). Su Tripadvisor non mancano le critiche pesanti.
«Assurdo pagare per vedere poco più di una pescheria». «Troppo piccolo».
«Pessimo. Più serpenti che pesci». Resta il fatto che pur bistrattato l'Aquario
Marino resta il sito museale che fa più visitatori a Trieste ed è in continua
crescita (più 37% nel primo quadrimestre di quest'anno). Nel 2014 ha totalizzato
53.176 visitatori, migliore performance del decennio 2005-20014. Ieri mattina
c'era una trentina di persone. La dimostrazione che l'Aquario di Trieste (con la
"q") non passa mai di moda
Fabio Dorigo
IL PICCOLO - LUNEDI', 21 agosto 2017
La minacciosa invasione delle "Noci di mare" - Simili a
piccole meduse non sono urticanti ma possono spaventare i bagnanti
È allarme in Istria perché rappresentano un pericolo per l'ecosistema
POLA - Potrebbero sembrare delle piccole meduse ma non lo sono, non sono
urticanti quindi nessuna insidia per i bagnanti, ma rappresentano una vera
minaccia per l'ecosistema del Mare Adriatico e per la pesca. Stiamo parlando dei
Ctenofori, noti comunemente come Noci di mare, una specie che popola che le
nostre acque dall'anno scorso quando avevano impensierito non poco i bagnanti.
Si chiamano anche Colloblasti poichè su di essi si appiccicano tutti gli
organismi di cui si nutrono. La Voce del Popolo ha sentito su quella che rischia
di trasformarsi in una vera emergenza Paolo Paliaga, ricercatore presso il
Centro oceanografico Rudjer Boskovic di Rovigno: i ctenofori sono una specie
molto invasiva che non si nota in superfice ma vive di preferenza in profondità
dove si rifugiano quando il mare è molto agitato: «Temono molto il maltempo
-chiarisce Paliaga- perchè non hanno molto sviluppata la capacità di muoversi
non solo in senso orizzontale ma anche verticale, per calarsi in profondità».La
specie arrivata nell'Adriatico settentrionale si chiama Mnemiopsis leidyi,
inclusa nell'elenco delle cento specie invasive più dannose al mondo: «Sono una
specie in grado di danneggiare l'ecosistema del mare -spiega Paolo Paliaga-
perchè si nutrono di organismi molto piccoli, mangiano anche larve e uova di
piccoli pesci. In 24 ore divorano tutte le sostanze nutrienti contenute in 100
litri d'acqua e consumano da una a quattro volte il proprio peso corporeo
nell'arco di una giornata. A lungo andare il mare potrebbe trasformarsi in una
specie di gelatina e per tutta una serie di effetti si moltiplicherebbero anche
le mucillagini». Come combattere le noci di mare? Paolo Paliaga propone il
trattamento delle acque di zavorra prima di venir scaricate in mare e questo
secondo lui, è il primo passo che le istituzioni e i governi dovrebbero
intraprendere poichè in quest'area operano tre grandi porti: Fiume, Capodistria
e Trieste. «Un altro intervento -spiega Paliaga- sarebbe l'introduzione nelle
nostre acque di una nuova specie la Beroe ovata che si nutre appunto di
Ctenofori». Lo studioso sollecita la collaborazione con gli scienziati della
Russia e dell'Ucraina che hanno già grande esperienza in questo tipo di lotta.
Il Centro rovignese comunque continuerà a monitorare fino alla fine dell'autunno
per acquisire maggiori conoscenze sull'entità del fenomeno. Al momento la
presenza delle Noci di mare è di un esemplare su ogni 10 metri cubi d'acqua.
p.r.
COMUNICATO STAMPA - DOMENICA, 20 agosto 2017
Legambiente: con ARPA piena sintonia. Se non c’è alcun
problema, perché allora l’intervento sulla Roggia San Giusto?
Non sappiamo più in quale lingua parlare, è esasperante questa polemica di
metà agosto su presunte difformità di approccio al monitoraggio delle acque
costiere tra Legambiente ed ARPA, tant’è che la collaborazione ed il reciproco
riconoscimento di attendibilità tra i due organismi è collaudato e confermato.
Come sa benissimo chiunque conosce un minimo il problema e non è in malafede, è
del tutto possibile che i dati di prelievi effettuati a pochi giorni di distanza
l’uno dall’altro risultino anche molto diversi (come nei fatti è accaduto ).
Questo dipende da vari fattori: piovosità, stagionalità, gioco delle correnti…
Altrimenti, perché, come ricorda oggi sul Piccolo, l’attuale Presidente di
Irisacqua, tanto affannarsi per completare l’allacciamento alla rete fognaria
degli scarichi che sversano direttamente nella Roggia S. Giusto e quindi nel
Golfo di Panzano? Perché spendere ben cinque milioni di euro per un intervento
così oneroso e complesso, se questo è ritenuto ininfluente per avere la garanzia
che, non solo Goletta Verde, ma prima o poi magari anche Arpa, in uno dei suoi
periodici monitoraggi, non trovino dei dati fuori norma?
Goletta Verde, come ripetuto in mille occasioni, non dà patenti di balneazione e
non intende sostituirsi ad ARPA. Da trent’anni però, continua a segnalare
situazioni puntuali di criticità che hanno contribuito in modo determinante a
sollevare il problema della depurazione delle acque in Italia ed a fungere da
stimolo alle amministrazioni per affrontarlo concretamente.
La segnalazione di un’analisi fuori norma a luglio, riscontrata da Goletta
verde, dovrebbe essere presa proprio in tal senso, senza isterie e senza
sottovalutazioni, con il comune obiettivo di risolvere definitivamente il
problema. Se poi si preferisce alimentare sterili polemiche…
Legambiente - circolo “Ignazio Zanutto” Monfalcone
IL PICCOLO - DOMENICA, 20 agosto 2017
Svolta "veneta" per l'ex Maddalena - Lavori verso la
ripresa a settembre - Immobili»il cantiere nel limbo
L'immobilismo in cui da anni è sprofondato il cantiere dell'ex Maddalena
sembra avere le settimane contate. Un noto imprenditore veneto, conosciuto a
Trieste per aver già promosso con successo alcune operazioni di carattere
immobiliare, sembra intenzionato a intervenire al posto degli attuali soci per
portare finalmente a termine l'intervento. Un cartello apposto di recente sul
cancello principale che consente l'accesso all'area, con su scritto "Non
parcheggiare dal 12 giugno per smontaggio ponteggi", aveva ridestato
l'attenzione dei residenti, a lungo indispettiti per il degrado in cui da troppo
tempo versa l'intera zona. Dopo l'improvvisa uscita di scena del gruppo francese
Carrefour, nell'agosto del 2013, anche i soci di Generalgiulia 2, che nel 2006
avevano acquistato il comprensorio dall'Azienda sanitaria, sono entrati in
crisi, bloccando di fatto l'intera operazione. «Quel cantiere non è più di
competenza nostra - spiega Donato Riccesi, uno dei quattro soci di Generalgiulia
2 -. Da due anni c'è un liquidatore ed esiste una trattativa in stato avanzato
con un acquirente». L'ingegner Alberto Modugno, nei panni del liquidatore, non
smentisce, anzi, è pronto a rilanciare, anche se con toni prudenti: «Siamo
vicini a una svolta - conferma -. La situazione è però molto articolata. Ci sono
molti soggetti coinvolti e non vorrei che sorgessero delle difficoltà, anche
perché di mezzo c'è il Tribunale». È lo stesso Modugno, poi, a gettare un po' di
luce sulla vicenda attraverso una nota nella quale specifica che «l'avvocato
Enrico Bran, che assiste Generalgiulia 2, sta definendo con i consulenti
dell'imprenditore (il potenziale acquirente, ndr) i termini di un'operazione che
la società confida di portare a buon fine nel mese di settembre, presentando al
Tribunale di Trieste un piano di salvataggio che contemplerà la prosecuzione
dell'intervento immobiliare grazie alla finanza portata dal nuovo imprenditore».
Altre informazioni non trapelano. Nomi non se ne fanno. C'è da sperare che si
tratti della tipica riservatezza che precede la conclusione di un grande affare,
anche perché le persone che abitano o lavorano nelle vicinanze del cantiere
iniziano a dare segnali di insofferenza. Le recinzioni, infatti, non riescono a
fermare i ratti che quotidianamente percorrono via dell'Istria e che,
evidentemente, nel cantiere trovano un riparo sicuro. «Non si tratta di decoro -
spiega un'anziana signora che chiede di rimanere nell'anonimato -, ma di
semplici norme di igiene». L'avvio del cantiere doveva rappresentare il primo
passo verso la riqualificazione di un'area che, come denunciano i residenti,
appare più periferica di quanto non lo sia realmente. L'assenza di servizi, il
trasferimento dell'ospedale Burlo Garofolo all'orizzonte, il continuo viavai di
richiedenti asilo: sono questi i punti principali sui quali convergono le
lamentele di chi abita e frequenta questa zona. A questi aspetti si è aggiunta
negli ultimi anni la grana dell'ex Maddalena, che dai più viene ormai
interpretata come una promessa non mantenuta. Alcune falle nel cantiere, al di
fuori di ogni metafora, sono state riparate. La recinzione che delimita l'area,
a differenza del passato, appare oggi in buono stato e non consente un facile
accesso. Le gru erano già state rimosse all'inizio dell'anno, dopo che una
giornata particolarmente ventosa aveva costretto i Vigili del fuoco a chiudere
precauzionalmente un tratto di via dell'Istria e a evacuare le sedi dell'Enaip,
del Ciofs e dell'asilo delle suore dell'Oma. Il lago di acqua che fino a qualche
mese fa aveva trasformato il fondo del cantiere in una piscina a cielo aperto,
tanto da far concorrenza agli altri poli natatori cittadini, è scomparso, dopo
che è stato riattivato il corretto funzionamento dei sistemi di deflusso
dell'acqua. Il silenzio nel quale è ripiombato il cantiere, però, potrebbe
venire squarciato nuovamente dai camion e dalle ruspe, nel giro di poco tempo,
grazie a un imprenditore veneto che sembra intenzionato a far rivivere il
comprensorio dell'ex Maddalena.
Luca Saviano
LA VOCE DEL POPOLO - SABATO, 19 agosto 2017
Noci di mare: una minaccia per l’Adriatico
settentrionale
ROVIGNO - In questi giorni sono sempre più numerosi i turisti che
manifestano il proprio scontento per la presenza nel mare, in prossimità delle
spiagge, di piccoli animali trasparenti che spesso vengono erroneamente
scambiati per meduse. Si tratta invece di Ctenofori, noti comunemente anche come
Noci di mare, una specie che popola le nostre acque dall’anno scorso, quando
avevano creato altrettanto turbamento tra i bagnanti nei mesi estivi.
Nessun pericolo per l’uomo
Il loro nome equivale a “portatori di pettini”, una definizione dovuta alle
ciglia che utilizzano per il movimento e che assomigliano a 8 file di pettini.
Non rappresentano un pericolo per l’uomo, perché a differenza delle meduse non
hanno cellule urticanti, bensì adesive. “Si chiamano colloblasti e su di essi si
appiccicano tutti gli organismi di cui si nutrono, utilizzando i due lobi
posizionati vicino alla bocca, con i quali essi attirano l’acqua”, precisa Paolo
Paliaga, ricercatore del Centro di ricerche marine di Rovigno dell’Istituto
“Ruđer Bošković”, che sin dalla loro comparsa, l’anno scorso, studia e osserva
il comportamento e la diffusione nell’Adriatico settentrionale, di questa specie
altamente invasiva.
Impressionante capacità rigenerativa
“Tali ciglia, favoriscono inoltre un movimento sia orizzontale che verticale,
cosa che li rende gli unici animali in natura con questo tipo di locomozione”,
ci spiega Paliaga. In questo modo, per proteggersi dalla forza dalle onde, che
li potrebbe distruggere, si spostano in profondità. Quindi, anche se non sono
sempre visibili in superficie, sono eccome presenti in profondità, dove se ne
possono incontrare a centinaia. “Sono esseri molto fragili che verrebbero
distrutti dal maltempo, ma è appunto grazie a questa loro capacità di spostarsi
verticalmente in profondità e proteggersi dalle onde che riescono a salvarsi e
sopravvivere. Inoltre, hanno una grandissima capacità rigenerativa”.
Grave pericolo per l’ecosistema
La specie avvistata sulle nostre coste è la Mnemiopsis leidyi, inserita
nell’elenco delle cento specie invasive, più dannose al mondo. Negli anni
Ottanta la sua presenza era stata notata nel Mar Nero e quello è stato il primo
caso in cui la Mnemiopsis leidyi aveva causato gravi danni, rendendo molto
fragile l’ecosistema del mare, dove aveva continuato la sua crescita, a scapito
degli zooplancton di cui si nutre. “Si tratta di organismi molto piccoli di cui
si nutrono anche i pesci. Mangiano anche larve e uova di piccoli pesci. In 24
ore riescono a divorare tutti i nutrienti presenti in 100 litri d’acqua e
consumano da una a quattro volte il proprio peso corporeo in un giorno”, avverte
Paliaga.
Dopo il Mar Nero, ci sono stati altri due casi a oggi, dove l’ecosistema di un
mare è stato reso estremamente fragile da questi organismi: il Mar d’Azov e il
Mar Caspio, che hanno subito un grave deterioramento ambientale, dovuto al calo
della diversità delle specie ittiche. Due casi meno gravi sono stati invece
registrati nel Mar Egeo e nel Mar Baltico. “Il primo è un mare molto aperto e
ciò non ha permesso loro di raggiungere una densità elevata, mentre il Mar
Baltico è povero di nutrienti e di zooplancton”.
Forte presenza nell’Alto Adriatico
Nel 2005 erano stati avvistati nel Golfo di Trieste, dopodiché sono spariti,
fino all’anno scorso, quando sono stati avvistati nuovamente anche nelle acque
dell’Istria occidentale. “Nel nostro mare esiste anche una specie di Ctenofori
autoctoni, chiamata Leucothea Multicornis, non pericolosa per l’ambiente, più
grande ed estremamente fragile”.
Rispetto all’anno scorso, il loro numero è significativamente aumentato. Per
tale motivo, abbiamo chiesto al dott. Paliaga di spiegarci come riescano a
riprodursi così velocemente. “Sono esseri ermafroditi che possono autofecondarsi
dando vita a 200-400 uova al giorno”. E questi sono soltanto i dati osservati
nelle acque di Rovigno. “A Pirano, ad esempio, producono anche fino a 10mila
uova al giorno”. Una situazione allarmante che ha colpito per ora soltanto
l’Adriatico settentrionale. “Nel Golfo di Fiume non sono state avvistate e
nemmeno in Dalmazia, tranne che nella parte occidentale delle isole di Sansego e
Lussino, dove però è pocala presenza di organismi di cui si nutrono e quindi
anche la loro presenza è di conseguenza, scarsa”.
Le acque di zavorra
Trattandosi di una specie proveniente dall’Atlantico, rimane aperta la domanda
sul come sia riuscita ad ambientarsi in queste zone. “È impossibile che abbiano
attraversato il tragitto fino a qui, perché laddove il mare si fa povero di
nutrienti non riescono a sopravvivere. Attualmente stiamo operando analisi del
DNA di questi Ctenofori, per comprendere le loro origini”. Secondo le teorie
avanzate dal “Ruđer Bošković”, questi organismi sono arrivati con le acque di
zavorra delle navi, di cui in questo territorio vengono scaricate annualmente
circa 10 milioni di tonnellate.
“Le acque di zavorra andrebbero trattate, piuttosto che semplicemente scaricate
nel mare. Le autorità dovrebbero rafforzare i controlli in questo senso per
evitare che nel nostro mare vengano trasportate anche altre specie invasive.
Questo è il primo passo che i governi dovrebbero intraprendere perché in questa
zona operano tre grandi porti: Fiume, Capodistria e Trieste”.
Pericolo per pesca ed ecoturismo
Nonostante non urtichino la pelle dei bagnanti, rappresentano comunque un grave
problema per il nostro mare. “La loro presenza potrebbe danneggiare a lungo
termine l’ecosistema del Mare Adriatico. L’Alto Adriatico è invece il mare più
produttivo di tutto il Mediterraneo, con un ecosistema unico e molto
importante”, lamenta l’esperto, aggiungendo che il Centro di ricerche marine
continuerà a monitorare la situazione fino a fine autunno e che, per ora, la
maggior parte delle conoscenze è ancora basata sulla letteratura scientifica e
altri casi registrati, ma se la situazione dovesse peggiorare, bisognerà
intervenire.
Tali danni potrebbero riflettersi anche sul settore turistico perché, a lungo
termine, la forte presenza di Ctenofori potrebbe trasformare il mare in una
gelatina. Inoltre, senza gli zooplancton a nutrirsi dei fitoplancton,
diventerebbero eccessive anche le mucillagini, che sono il prodotto delle
sostanze polisaccaridiche rilasciate dai fitoplancton.
Come combatterle ?
L’intervento, spiega Paliaga, consisterebbe nell’introdurre nelle nostre acque una nuova specie, la Beroe Ovata che, per puro caso, era comparsa nel Mar Nero, riducendo dell’80 per cento il numero di Ctenofori di cui essa, appunto, si nutre. “Cercando di catturarli con le reti si andrebbero a danneggiare anche altre specie e quindi non possiamo considerarla una soluzione possibile”, puntualizza, spiegando pure che non si deve attendere troppo e che andrebbero operate al più presto analisi in collaborazione con gli scienziati della Russia e dell’Ucraina, che hanno già avuto esperienze nel combattere le pericolose invasioni di questa specie. Attualmente, la loro presenza in queste zone è di una frequenza di un esemplare su ogni 10m3 di acqua di mare.
IL PICCOLO - SABATO, 19 agosto 2017
AMBIENTE - Ozono oltre i limiti anche oggi
Ancora oggi si verificherà nel territorio comunale di Trieste il superamento della soglia di attenzione (120 microgr/mc) di ozono atmosferico. Il Comune invita pertanto la cittadinanza, in particolare le fasce più sensibili della popolazione (bambini, anziani, chi svolge intensa attività fisica all'aperto, oltre ai soggetti a rischio: asmatici e persone con patologie polmonari e cardiologiche) ad adottare adeguate precauzioni limitando l'esposizione all'ozono atmosferico.
IL PICCOLO - VENERDI', 18 agosto 2017
Il rigassificatore di Veglia sarà un impianto off shore
- Già partite le trivellazioni che proseguiranno fino al 25 settembre
Sorgerà nella baia di Sepen al largo di Castelmuschio. Lavori previsti
nel 2018
VEGLIA - Il rigassificatore di Veglia si farà, ma non sarà operativo sulla
terraferma bensì in mare. L'altro ieri sono cominciate nell'insenatura Sepen, a
poca distanza da Castelmuschio (Omisalj in croato), le prospezioni del
sottosuolo marino quale fase preliminare per il collocamento dell'impianto
offshore, fortemente voluto dallo Stato croato e dai suoi Paesi alleati. Le
ricerche proseguiranno fino al 25 settembre, eseguite dall'azienda croata Geokon.
«Le trivellazioni sono necessarie per capire cosa abbiamo sotto il mare - ha
dichiarato Goran Francic, direttore dell'impresa LNG Croazia, a cui è stato
affidato il progetto - prospezioni erano state effettuate diversi anni fa, ma
poi il governo croato ha virato verso il terminal offshore e sono state
necessarie ulteriori ricerche. L'insenatura Sepen è stata scelta per ospitare
l'impianto in quanto garantisce condizioni favorevoli sotto vari aspetti.
L'incognita è rappresentata dal sottosuolo e dobbiamo accertare che non ci siano
caverne o zone instabili, che potrebbero mettere a rischio il progetto.
Nell'insenatura saranno posizionati il relativo scalo e la nave FSRU quale
rigassificatore galleggiante». All'LNG Croazia hanno confermato che il terminal
metanifero offshore avrà una capacità di movimentazione annua di circa 2
miliardi e mezzo di metri cubi di gas. Verrà a costare chiavi in mano sui 360
milioni di euro, di cui 103 milioni arriveranno a fondo perduto dall'Unione
europea, che ha voluto sostenere finanziariamente questo progetto ritenuto molto
importante per la Croazia e anche per gli Stati Uniti. Questi ultimi vogliono
esportare gas in Europa, sottraendola parzialmente dall'influenza russa in
questo comparto. Se tutto filerà liscio nei preparativi e nei concorsi, nel
maggio 2018 potrebbe essere rilasciata la licenza edile. Subito dopo potrà
essere dato il via ai lavori di approntamento del rigassificatore che - stando
alle ottimistiche previsioni di LNG Croazia - potrebbe entrare in funzione nel
2019. Secondo gli esperti, sarà difficile portare a termine il progetto in due
anni, anche perché non è stato ancora deciso se la nave rigassificatore sarà
costruita ex novo oppure si provvederà all'acquisto di un'unità di seconda mano.
Inoltre si dovranno individuare gli acquirenti di metano, naturalmente sul
mercato internazionale, poiché i consumi in Croazia non sono bastevoli a rendere
conveniente il rigassificatore isolano. Restando in tema, la presidente della
Repubblica, Kolinda Grabar Kitarovic, ha esposto al premier australiano Malcolm
Turnbull la lista di 150 progetti croati pronti ad essere sostenuti da
finanziamenti d'oltreconfine.
Andrea Marsanich
FINO A domani - Scatta in città l'allarme ozono.
Il Comune di Trieste informa che fino a domani si verificherà nel territorio comunale di Trieste il superamento della soglia di attenzione (120 microgr/mc) di ozono atmosferico, con una prevista punta di 180 microgr/mc nella giornata di oggi. Si invita pertanto la cittadinanza, in particolare le fasce più sensibili della popolazione (bambini, anziani, chi svolge intensa attività fisica all'aperto, oltre ai soggetti a rischio: asmatici e persone con patologie polmonari e cardiologiche) ad adottare adeguate precauzioni (indicate nella nota dell'Azienda Sanitaria, reperibile integralmente anche nella pagina Ambiente del sito del Comune di Trieste) limitando l'esposizione all'ozono atmosferico.
IL PICCOLO - GIOVEDI', 17 agosto 2017
Guizzi e acrobazie - Lo show di sei delfini in mezzo al
golfo - Avvistati verso Grado dagli attivisti dell'associazione DelTa
Sono una presenza stanziale «ma attenti a non stressarli»
Sei pinne dorsali hanno tagliato le acque del golfo, dando il via a uno
spettacolo che è durato poco più di cinque minuti. Ad avvistare i cetacei,
identificati come esemplari di Tursiops truncatus, sono stati alcuni componenti
dell'associazione triestina DelTa - Delfini e tartarughe in Alto Adriatico,
saliti a bordo del Delfino Verde proprio per una breve campagna di monitoraggio
delle acque lungo la tratta Trieste-Grado. I taccuini degli ambientalisti sono
rimasti chiusi fino a quando l'imbarcazione non è arrivata a una distanza di
circa tre miglia marine dall'Isola d'Oro, all'altezza della boa
meteo-oceanografica "Mambo 3". È in quella posizione che il cannocchiale di
Tommaso De Lorenzi, vicepresidente dell'associazione, ha intercettato i
tursiopi. «Sono saltati fuori dall'acqua all'improvviso - spiega De Lorenzi - e
hanno continuato a nuotare senza intercettare la barca sulla quale ci trovavamo
a bordo». L'avvistamento dei delfini nel golfo di Trieste è un'eventualità
tutt'altro che rara. La loro presenza è stanziale, specie nelle acque slovene,
come da diversi anni segnalano i ricercatori dell'associazione Morigenos di
Pirano, che ne hanno monitorati e registrati oltre 200 esemplari.«Siamo rimasti
in contatto visivo per circa sette minuti - continua De Lorenzi -, ammirando le
loro evoluzioni. Abbiamo individuato anche un esemplare giovane, mentre la
colorazione chiara della pinna dorsale di uno dei sei tursiopi ci fa supporre di
aver intercettato un delfino noto, ovvero già inserito nei nostri data base. Ne
avremo la conferma solo dopo aver analizzato attentamente le fotografie che
abbiamo scattato». Il loro riconoscimento, infatti, viene di norma effettuato
attraverso la fotosegnalazione, che tiene conto delle cicatrici o di altri segni
distintivi presenti sulla pinna dorsale dell'animale avvistato. La specie
tursiope è presente in tutti i mari del mondo ed è la stessa che, suo malgrado,
si adatta alla cattività e alla vita nei delfinari.Le acque del golfo di
Trieste, nonostante la loro scarsa profondità, sono state elette a definitiva
residenza da questi cetacei eleganti e curiosi. Si nutrono di pesce azzurro,
crostacei e molluschi, anche se vengono definiti «opportunisti», in quanto non è
raro vederli al seguito dei pescherecci per intercettare il pescato fuoriuscito
dalle reti. Sono degli ottimi bioindicatori di alcuni aspetti ambientali e la
loro presenza sta a indicare che il nostro mare è sostanzialmente sano, anche se
è importante non abbassare la guardia per quanto riguarda la loro tutela. La
pressione sugli ambienti marini è infatti in aumento, a causa di un'eccessiva
attività di pesca, di un forte incremento dei trasporti marittimi e,
soprattutto, di un inquinamento sempre più invasivo.«L'inquinamento, anche
quello sonoro, è una condizione che non favorisce la presenza e l'adattamento
dei delfini», avverte però De Lorenzo. I delfini vanno quindi coccolati e tenuti
in considerazione come un'importante risorsa del golfo. «La probabilità di
avvistare un delfino - sottolineano gli attivisti dell'associazione DelTa - è
direttamente proporzionale alle ore che vengono dedicate all'attenta
osservazione del mare. Ci vuole pazienza: a volte è sufficiente una piccola
distrazione per lasciarsi sfuggire un esemplare che in lontananza affiora
dall'acqua». Una volta avvistato un delfino, però, è necessario rispettare
alcune semplici regole comportamentali, onde evitare che l'incontro generi
nell'animale una condizione di stress.«È importante rimanere paralleli alla loro
rotta e non cercare di intercettarla - mette in guardia De Lorenzi - . Non
bisogna avvicinarsi, se vogliono saranno loro a farlo. Una volta a terra, poi, è
utile avvisare la Capitaneria di Porto e le realtà come la nostra o come
Morigenos che si occupano di monitorare e registrare questi splendidi animali»
Luca Saviano
Tartaruga morta portata a riva a Santa Croce - La
carcassa segnalata prima nelle acque della Riserva di Miramare e poi al
porticciolo della frazione
L'avvistamento di una tartaruga nel Golfo di Trieste questa volta non è
stata un'occasione di festa. L'animale, infatti, è stato ritrovato privo di vita
nelle acque antistanti il porticciolo di Santa Croce, all'altezza della Tenda
Rossa. Gli avvistamenti, in realtà, sono stati due. Il primo risale a lunedì,
quando un passante, Olive Roy Bouila Massinsa, ha notato una tartaruga ormai
morta nelle acque della Riserva marina di Miramare, poco lontano dal castello
asburgico. Il giorno successivo, a Ferragosto, è toccato al giornalista Nicolò
Giraldi imbattersi nel povero animale a Santa Croce. È probabile che la
sfortunata protagonista dei due avvistamenti sia in realtà la stessa tartaruga,
trasportata nel giro di ventiquattro ore dalla corrente marina. Non è stato
possibile risalire alle cause della morte dell'animale. La Capitaneria di Porto,
che è stata avvisata dell'accaduto, non ha escluso le cause naturali. La
carcassa della testuggine, un esemplare apparentemente adulto, è stato
restituito dal mare in stato di avanzata decomposizione. A riportarla a riva
sono stati alcuni bagnanti, che in buona fede l'hanno adagiata sul bagnasciuga.
In questa maniera, però, hanno costretto la Capitaneria di Porto a intervenire
per rimuovere la carcassa dell'animale, in ottemperanza agli accordi che
prevedono l'intervento solamente in caso di spiaggiamento. Il golfo di Trieste,
fanno sapere dalla Riserva marina di Miramare, è considerato una zona di
alimentazione per i giovani esemplari che trovano nelle acque basse dei suoi
fondali il cibo di cui si nutrono: vegetali marini, crostacei, molluschi,
piccoli pesci e meduse che afferrano con le mascelle prive di denti ma munite di
becco tagliente. La riproduzione, invece, avviene lungo le spiagge di alcune
isole greche da dove i piccoli, usciti dalle uova deposte in buche scavate nella
sabbia, intraprendono il viaggio verso il golfo di Trieste. I maggiori pericoli
alla loro sopravvivenza sono legati direttamente alle attività umane quali la
pesca, con la cattura accidentale, e il diporto, con la collisione con scafi ed
eliche di barche a motore. L'Area marina protetta di Miramare ha attivato ormai
da anni un centro di recupero dove le tartarughe ferite vengono curate e
riabilitate per essere poi riportate nel loro habitat marino.
(lu.sa.)
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 16 agosto 2017
Trieste, il giallo della tartaruga morta - Due avvistamenti in mare nella giornata di Ferragosto: prima a Miramare, poi a Santa Croce
Una tartaruga morta nel mare di Trieste. Ed è giallo sulle ragioni del decesso. Secondo la capitaneria di Porto di Trieste l'animale potrebbe essere morto per cause naturali, oppure ancora potrebbe essere stato ferito in maniera fatale da un'imbarcazione. Ad ogni modo l'avvistamento a Trieste ha incuriosito non poco i bagnanti nella giornata di Ferragosto. Le segnalazioni sono state due, ed è probabile che possa trattarsi dello stesso esemplare trascinato dalla corrente. Il primo avvistamento è avvenuto ieri nelle acque vicine al Castello di Miramare. Il secondo è avvenuto oggi, martedì 15 agosto, al porticciolo di Santa Croce in Costiera, all'altezza della Tenda Rossa. In entrambi i casi la carcassa dell'animale ha destato la curiosità dei bagnanti, che hanno segnalato al Piccolo l'episodio.
IL PICCOLO - MARTEDI', 15 agosto 2017
Polveri a Servola, la Regione incalza Arvedi - Monito
al gruppo dopo gli sforamenti in luglio. «Servono misure ulteriori per
rispettare i limiti dell'Aia»
Dopo la "diagnosi", eseguita nei giorni scorsi dagli esperti dell'Arpa,
arriva ora l'indicazione della "terapia", firmata dall'amministrazione
regionale. La direzione regionale Ambiente del Friuli Venezia Giulia ha inviato
infatti all'Acciaieria Arvedi Spa una lettera contenente la disposizione di
adottare ulteriori misure per il raggiungimento dei valori obiettivo fissati
dall'Aia rilasciata per l'attività della Ferriera. La lettera della Regione
richiama la nota diramata dall'Arpa regionale pochi giorni fa, precisamente l'11
agosto, con l'indicazione dei dati dei deposimetri relativi al mese di luglio
2017. Dati, come noto, tutt'altro che incoraggianti. Le rilevazioni dei tecnici,
infatti, hanno evidenziato come, nonostante la limitazione della marcia degli
impianti di cokeria ed altoforno dell'impianto di Servola imposti con il decreto
regionale di diffida 1998/2017, le concentrazioni di polveri e agenti inquinanti
nell'aria ha superato ancora una volta i valori obiettivo stabiliti dal decreto
Aia 96/2016. Di lì la scelta dell'amministrazione regionale di richiamare la
proprietà dello stabilimento siderurgico al rispetto degli impegni adottati. Nel
dettaglio, si legge in una nota diramata dal Palazzo, «riscontrato che la misura
della riduzione della produzione di ghisa e coke adottata a partire dal primo
luglio 2017 non risulta sufficiente a rispettare i detti valori obiettivo, la
Regione ricorda che la stessa Autorizzazione integrata ambientale prevede la
riduzione della produzione come misura minima e ipotizza quindi un incremento
delle misure da adottare fino al raggiungimento del rispetto del valore
indicato».In fine l'avvertimento ancora più diretto e inequivocabile. «Alla luce
dei dati acquisiti e in adempimento della normativa vigente - prosegue il
comunicato -, la Regione Friuli Venezia Giulia ha disposto che l'Acciaieria
Arvedi Spa adotti nei tempi tecnici necessari e comunque senza ritardo tutte le
misure necessarie ad ottenere il rispetto dei valori obiettivo e ne dia
contestuale comunicazione all'amministrazione regionale e all'Agenzia regionale
per la protezione dell'ambiente, anche al fine di valutare la idoneità e la
sufficienza delle misure adottate».
Chiazza sospetta in mare - Rivolta social contro la
nave
La partenza di una nave da crociera evoca vacanze, viaggi lungo coste
lontane, cene e ambienti lussuosi a bordo dove trascorrere piacevoli ore in
relax e armonia. Forse sono questi i pensieri che accomunano le persone che,
nell'udire i famosi tre colpi di sirena che indicano la partenza di una grande
nave, come una sorta di saluto alla città, si fermano e in tanti volgono lo
sguardo verso il mare. Uno sguardo e un sorriso, però, che sul viso di molti
spettatori presenti alla partenza della Costa Luminosa, domenica scorsa intorno
alle 13, si è pian piano affievolito vista l'imponente chiazza di colore scuro
sull'acqua in prossimità della grande nave.In tanti, osservando stupiti la
cospicua macchia di colore scuro sull'azzurro del mare, hanno immediatamente
riversato sui social tutta la loro rabbia attraverso foto e post di indignazione
per quella che in un primo momento è stato da moltissimi ritenuto uno
sversamento in mare da parte della nave, subito dopo aver levato gli ormeggi.
Com'è possibile immaginare, il presunto "insulto" al mare da parte di un colosso
che può contare più di 4000 persone a bordo, tra equipaggio e passeggeri, è
stato accolto malamente dagli internauti che hanno letto i primi post di
indignazione, senza assistere e verificare in prima persona quanto accaduto alla
partenza della crociera, e in breve tempo quindi una valanga di condivisioni si
è diffusa sul web cittadino attribuendo, forse con troppa faciloneria, le cause
della macchia incriminata alla nave in partenza.Chiaro il commento del
comandante della Capitaneria di porto di Trieste, il capitano di fregata Giulio
Giraud, che ha escluso categoricamente uno sversamento dalla nave in partenza o
da altre navi ormeggiate nel porto di Trieste. «Ho assistito personalmente alla
partenza e posso escludere con ogni forma di dubbio qualunque genere di
sversamento da parte della Costa. Negli ultimi giorni, il vento girato da sud ha
trasportato residui di legno, alghe e spazzatura di vario genere proveniente
dall'Adriatico settentrionale fino a Trieste. C'era un po' di tutto: residui di
legnetti, rifiuti e schiuma. Purtroppo è un fatto consueto e legato a quando
gira il vento dal versante sud, ed è inevitabile che arrivino in porto questi
residui».A detta degli esperti, a trarre in inganno le persone che hanno
adocchiato la chiazza in mare attribuendola a uno sversamento, potrebbero essere
state le potenti eliche della nave in manovra di partenza che, agitando l'acqua,
hanno smosso i residui presenti appena sotto la superficie formando la macchia
incriminata.
Enrico Ferri
Barche "espulse" dall'Isonzo - A Duino scoppia la
protesta - Proposto il divieto di pesca e navigazione nell'area della foce e
dell'isola della Cona
La replica dei Cittadini per il golfo: «È una delle poche zone di pace
per i diportisti»
DUINO AURISINA - «Giù le mani dalle acque del golfo». Diventa sempre più
aspro il conflitto fra i residenti di Duino Aurisina e le autorità istituzionali
competenti per disciplinare le attività nel tratto di mare vicino alla costa.
Dopo i contrasti, mai risolti, fra il Comitato dei Cittadini per il golfo e la
precedente giunta comunale di Duino Aurisina a causa delle restrizioni
nell'utilizzo della parte di mare sotto le falesie, ecco che - alla vigilia di
Ferragosto - arriva una nuova scintilla ad alimentare il fuoco della polemica. È
di questi giorni la proposta avanzata dal Comitato tecnico-scientifico che
sovrintende l'area delle foci dell'Isonzo e dell'isola della Cona, emanazione
diretta della Regione, che riguarda la Zona speciale di conservazione (Zsc) e
che prevede il divieto di navigazione, di pesca e di pratica dell'attività
diportistica nello specchio d'acqua prospiciente le foci dell'Isonzo. Certo,
prima di arrivare all'approvazione definitiva, sarà necessario completare l'iter
burocratico previsto, ma il solo annuncio ha scatenato l'immediata protesta dei
Cittadini per il golfo. «Abbiamo appreso della proposta di creare un'area di
interdizione totale nell'area dell'isola della Cona - scrive Danilo Antoni,
portavoce dei Cittadini per il golfo -, tradizionale punto di riferimento del
mondo diportistico locale. Dopo l'ennesima informazione su provvedimenti,
progetti e iniziative che incidono drasticamente sulla vita del golfo di Trieste
e sulle sue coste - aggiunge -, dopo l'ennesima informazione che arriva al
pubblico nel periodo tra metà luglio e metà agosto, il nostro gruppo di lavoro,
che segue le proposte di pianificazione e di progettazione delle aree connesse
all'ambito acqueo e costiero del golfo - continua Antoni -, constata che il
processo di verifica tecnico-politica ha di nuovo dimostrato gravi lacune
procedurali che impediscono la partecipazione diretta e costruttiva a molti
soggetti coinvolti nell'attuale fruizione diretta o indiretta delle aree
costiere della Riserva naturale regionale della foce dell'Isonzo-Isola della
Cona».«Per esse - insiste l'esponente dei Cittadini per il golfo - si propone un
diverso sistema di fruizione, che contempla la totale interdizione su un'area
che, fino a oggi, risultava essere ormai una delle poche zone di pace per i
diportisti locali. A nostro avviso - conclude il portavoce dei Cittadini per il
golfo - il provvedimento, proposto nella fase finale dell'iter della variante al
Piano di conservazione e sviluppo della Riserva, non è confortato da opportuni
studi e non è prodotto in sintonia con quanto stabilito per questi casi
dall'Agenda 21, che prevede il sistematico coinvolgimento degli abitanti, dei
fruitori e dei proprietari nelle decisioni di carattere gestionale e
programmatiche che riguardano il territorio».
Ugo Salvini
IL PICCOLO - LUNEDI', 14 agosto 2017
«Era recidiva e pericolosa» - Uccisa un'orsa in
Trentino - La Forestale abbatte "KJ2" che aveva aggredito escursionisti in due
occasioni
Il governatore: prima la sicurezza delle persone. Dura protesta degli
animalisti
TRENTO - Alla fine è stata abbattuta. L'orsa KJ2 era ricercata ufficialmente dal 22 luglio scorso, dopo avere ferito abbastanza seriamente un uomo che passeggiava assieme al suo cane in un bosco nella zona dei laghi di Lamar, in Trentino. Il plantigrado è stato abbattuto da agenti del corpo forestale della provincia autonoma di Trento, che hanno agito in esecuzione di un'ordinanza del governatore Ugo Rossi, emessa per la sicurezza delle persone. L'orsa era accusata di avere ferito un altro escursionista, attaccato mentre stava compiendo un'escursione nella zona di Cadine nel 2015. L'abbattimento ha causato naturalmente molti commenti polemici da parte di protezionisti ed animalisti, ma a sostenere la necessità di questa misura estrema è intervenuto in maniera decisa, a cose fatte, il governatore Rossi: «Siamo qui a commentare l'abbattimento di un orso, ma se quest'esemplare avesse avuto un altro incontro, magari con un bambino e ci fosse stato un altro ferito o qualcosa di più grave, saremmo qui a fare altri commenti». «È chiaro - ha aggiunto Rossi - che in un periodo come questo, sotto Ferragosto ed in un'area popolata e fra quantità di turisti e di residenti, tutte le regole scientifiche e giuridiche indicano che ciò che è stato fatto era un'assoluta necessità». «In tutto il mondo - ha detto ancora Rossi - quando il pericolo sale oltre una certa soglia si procede all'abbattimento per garantire la sicurezza delle persone». Rossi ha assicurato che non abbandonerà il progetto Life Ursus che aveva reintrodotto l'orso in Trentino. «L'iniziativa, però, dovrà essere modificata: all'inizio - ha spiegato - si pensava che gli animali avrebbero popolato un'area più vasta, mentre oggi si dimostra il contrario. Nel frattempo - ha concluso il governatore - occorre usare la scienza, la coscienza ed il buonsenso per gestire gli esemplari più pericolosi». La vicenda ricorda da vicino un caso analogo, accaduto appena tre anni fa: allora a farne le spese fu Daniza, un esemplare di plantigrado morto dopo l'intervento delle guardie forestali. Allora però, l'animale morì non perché doveva essere abbattuto, ma per le complicazioni insorte mentre i guardacaccia tentavano di narcotizzarla con un apposito liquido. La sostanza, però, ebbe un effetto più potente del dovuto e così Daniza morì. Le spiegazioni del governatore, però, non convincono animalisti e ambientalisti «Questa uccisione non era necessaria, l'orsa è stata se stessa» è la reazione furibonda. Alle proteste si uniscono anche i Verdi che vogliono denunciare il presidente Ugo Rossi ma c'è anche chi propone un boicottaggio di prodotti tipici trentini. «Invocheremo chiarezza in tutte le sedi, politiche e giudiziarie, e non cesseremo di farlo finché non sapremo tutto quello che c'è da sapere», questo il commento dell'ex ministro Michela Vittoria Brambilla nonché presidente del Movimento animalista. «Ci aspettiamo che si faccia piena luce sulla vicenda consapevoli che il nostro Paese è più povero, non solo perché è stato abbattuto un esemplare di orso bruno alpino, ma perché in Trentino non siamo stati capaci di mettere in atto una strategia per la coesistenza con gli animali selvatici nonostante le nostre esperienze di conservazione della natura siano tra le più importanti in ambito europeo» dice Stefano Ciafani, direttore nazionale Legambiente, È dura anche la reazione del Wwf: «Se le autorità competenti non lavorano per eliminare le cause che portano ad episodi spiacevoli, a farne le spese saranno sempre gli orsi; non è accettabile. Valuteremo come procedere sul piano legale». Luana Zanella, esponente Verde, valuta una denuncia del presidente Rossi, «visto che si è constatato che l'animale era ricercato solo per aver risposto all'aggressione di un uomo con il suo cane».
Paola Targa
Parla l’etologo «Meglio soluzioni meno cruente»
Sugli orsi, e in generale per la coesistenza tra specie umana e animali selvatici come anche i lupi, «va definito con urgenza un protocollo per soluzioni meno cruente. L'uccisione di un esemplare è l'extrema ratio, l'ultima possibile linea d'azione per un esemplare già catturato che può essere perciò narcotizzato e portato in aree e situazioni di sicurezza per l'uomo». A chiedere con urgenza un protocollo di intervento sull'esempio di quelli in vigore all'estero, in Canada e negli Usa in particolare, è l'etologo Enrico Alleva, membro dell'Accademia dei Lincei e presidente della Federazione Italiana di Scienze della Natura e dell'Ambiente. Nel caso specifico, ha osservato, «ci vuole tempo per accertare la pericolosità del singolo soggetto e va detto che le dimensioni del territorio trentino non sono paragonabili con quelle delle grandi riserve Usa. Spesso poi ci sono orsi che hanno preso troppa dimestichezza perché per procacciare il cibo usano la scorciatoia di seguire i rifiuti e avvicinarsi pericolosamente ai centri abitati. In tal caso si pone con urgenza la gestione della coesistenza, per salvaguardare la sicurezza della popolazione e dei turisti che possono frequentare l'area. Ma di solito, sia negli Usa che in Canada, una volta catturato da personale formato ad hoc, l'orso viene addormentato e trasferito in aree controllate di un Parco e riserva ambientale. Inoltre la fase più impegnativa - ha sottolineato Alleva - è la cattura, utile alla individuazione genetica e all'apposizione del radiocollare. In Trentino l'orsa in questione era già stata catturata e radiocollarata, va ben compreso perché si è arrivati alla soluzione del problema più cruenta. Cerchiamo di definire presto - è l'appello di Alleva - un protocollo d'azione che individui esperti del comportamento degli ursidi e si dia priorità alla cattura degli orsi segnalati senza metterli in pericolo di vita. Se si ha la fortuna di vivere in un territorio che contempla questo campione di biodiversità - ha concluso - è fondamentale pianificare la cattura in modo da non mettere in pericolo cittadinanza, forestali e plantigradi».
IL PICCOLO - DOMENICA, 13 agosto 2017
Mare inquinato, M5S in pressing - Romano sui dati di
Goletta Verde: «A Muggia sistema di scarico da adeguare»
MUGGIA - «Puntuale come ogni anno ritorna il problema dell'inquinamento del
mare: siamo stufi, la soluzione è mettere mano seriamente alla rete di scarico e
depurazione ed adeguarla al ventunesimo secolo». Questo il commento del
consigliere comunale del MoVimento 5 Stelle di Muggia Emanuele Romano ai dati
forniti da Goletta Verde, che hanno rilevato una situazione di forte
inquinamento sulla base dei prelievi effettuati anche nel canale di via Battisti
a Muggia. «È uno dei punti del nostro programma: la scusa del Comune è che non
ci sono soldi. Bisogna trovarli, ci sono i fondi europei, nazionali e regionali
con cui finanziare una seria opera di riqualificazione. Vogliamo una Muggia
vivibile per i residenti e accogliente per i turisti e non si può prescindere
dalle qualità delle acque della costa», insiste il consigliere pentastellato.
Romano va poi all'attacco anche sul Piano economico finanziario rifiuti: «Il
Consiglio comunale ha approvato, con il voto favorevole di tutte le forze
politiche tranne il M5S, Obiettivo comune e Mejo Muia, il Piano economico
finanziario rifiuti 2017 basato su un fantomatico sistema porta a porta che
prevede aumenti di costi del 10%. Come previsto il sistema slitta al 2018.
Intanto i cittadini pagano una tariffa a metro quadro con aumenti che arrivano a
superare il 30% e non godono di servizi adeguati». «Si poteva evitare questo
aumento - aggiunge Romano - confermando per il 2017 il vecchio sistema e
prevedendo l'avvio del nuovo contestualmente a una nuova tariffa basata sul
principio "più crei rifiuti più paghi" - rimarca -. Lo abbiamo proposto sia
all'assessore Litteri, sia in Commissione e infine durante due sedute del
Consiglio. Purtroppo quando si vuol mettere la bandierina in fretta e furia,
chiudendo il dialogo con le opposizioni e le associazioni, alla fine sono sempre
i cittadini a dover sopportare l'aumento dei costi. Durante la discussione per
l'approvazione del Pef - ricorda il consigliere del M5S - abbiamo fatto notare
che il totale sembrava fosse stato costruito per dare un margine del 10%
rispetto l'anno precedente, senza dettagli di costo che permettessero di
valutare la struttura operativa del nuovo servizio».
SEGNALAZIONI - Inquinamento - Valori elevati delle polveri sottili
La sera di domenica 6 agosto l'ennesima nuvola di polveri (la sesta in pochi giorni), sollevata dal forte vento, si è alzata dalla Ferriera per depositarsi nell'intorno. Più che giustificata, quindi, l'esasperazione di chi vive nelle aree circostanti, densamente popolate. Aree che vanno ben al di là del rione di Servola. Oltre alle polveri sedimentabili, comunque inquinanti, protagoniste delle nuvole suddette, nei giorni scorsi si sono alzati di molto anche i valori delle polveri sottili pm10 e pm2,5, responsabili di gravi danni alla salute, come attestano da molti anni i rapporti dell'Organizzazione mondiale della sanità e dell'Agenzia europea dell'ambiente. Tra martedì 1 e sabato 5 agosto, per esempio, il limite di legge pari ad una media giornaliera di 50 microgrammi per metro cubo di pm10 è stato superato quattro volte nella centralina di via S. Lorenzo in Selva (55 ?g/mc il 1.o agosto, 57 giovedì 3, 70 venerdì 4 e 61 sabato 5) e il 4 agosto anche in quella di via del Ponticello (58 ?g/mc). I superamenti del limite di 50 ?g/mc in via S. Lorenzo in Selva sono già 32 nel 2017 (la legge ne ammette non più di 35 nel corso dell'anno). Il che forse spiega perché l'Aia rilasciata nel 2015 dalla regione alla Ferriera abbia elevato tale limite - per la sola centralina di via S. Lorenzo in Selva - da 50 a 70 ?g/mc, sicché i non pochi abitanti delle aree circostanti si trovano a respirare "legalmente" un'aria ben peggiore di quanto prescritto per legge. Oltre a ciò, bisogna tener conto anche dei valori di pm2,5, polveri ultrafini che penetrano in profondità negli alveoli polmonari trasportandovi sostanze cancerogene di ogni genere. Non esistono, in Italia, limiti di legge per questo inquinante, ma la Direttiva europea n. 50 del 2008 prescrive un limite annuo di 20 ?g/mc (da raggiungere entro il 1 gennaio 2020), il doppio dei 10 ?g/mc consigliati dall'Oms. Le centraline che a Trieste le misurano (in piazzale Rosmini, via Ponticello e via Pitacco, non in via S. Lorenzo in Selva...), registrano quasi ogni giorno valori ben superiori a quelli consigliati, mentre l'Eea calcola in 59.500 all'anno le morti premature attribuibili in Italia agli elevati livelli di pm2,5. Come si vede, valori elevati di polveri sottili nell'aria non sono prerogativa dei soli mesi invernali, quando i difensori delle industrie puntano il dito contro le caldaie domestiche, ma sono frequenti anche d'estate, sommandosi a valori elevati di ozono (altissimi da settimane anche a Trieste), e alle nuvole di polveri sollevate dal vento. Mancano invece adeguati avvertimenti alla popolazione e alle categorie più deboli (anziani, cardiopatici, bambini) nelle giornate critiche e soprattutto interventi risolutivi nei confronti di chi inquina.
Dario Predonzan
IL PICCOLO - SABATO, 12 agosto 2017
Ambiente - La lente di Goletta Verde sul Fvg - Bocciate Muggia e Marina Julia
Tre degli otto punti analizzati non passano l’esame. Fra
questi c’è anche la foce del fiume Stella - «Fortemente inquinati» il
canale di via Battisti nel comune rivierasco e la spiaggia di via delle
Giarrette.
La fotografia dei mari in Italia secondo Goletta Verde
TRIESTE - Tre su otto. È questo il bilancio del
monitoraggio svolto dall'equipe tecnica di Goletta Verde, la storica campagna di
Legambiente, dal quale è emerso come in ben tre punti, degli otto monitorati in
Friuli Venezia Giulia, vengano superati i limiti di inquinamento previsti dalla
legge. A finire sotto la lente d'ingrandimento dell'associazione ambientalista
sono state le acque di Muggia, Trieste, Duino Aurisina, Monfalcone, Grado,
Precenicco e Lignano Sabbiadoro. Se il mare che bagna la spiaggia libera di via
delle Giarrette, a Marina Julia, è risultato "inquinato", la foce del fiume
Stella, a Precenicco, e il canale di via Battisti, a Muggia, sono stati
classificati con la dicitura "fortemente inquinati", presentando cariche
batteriche evidentemente molto elevate. I prelievi e le analisi sono stati
eseguiti dal laboratorio mobile di Legambiente il 4 e il 5 agosto scorsi. Sono
stati indagati i parametri microbiologici (Enterococchi intestinali, Escherichia
coli) e sono stati considerati come "inquinati" i risultati che superano i
valori limite previsti dalla normativa sulle acque di balneazione vigente in
Italia (Dlgs 116/2008 e decreto attuativo del 30 marzo 2010) e "fortemente
inquinati" quelli che superano di più del doppio tali valori. La cattiva
depurazione delle acque sembra essere alla base dell'inquinamento che è stato
riscontrato nel corso dei campionamenti, dal momento che in Italia circa il 25%
delle acque di fognatura viene scaricato in mare, nei laghi e nei fiumi senza
essere depurato, nonostante siano passati oltre dieci anni dal termine ultimo
che l'Unione europea ci aveva imposto per mettere a norma i sistemi fognari e
depurativi. Ritardi che si ripercuotono anche sulle tasche dei cittadini, visto
che le inadempienze dell'Italia nell'attuazione della direttiva comunitaria
hanno portato a procedure di infrazione, in alcuni casi seguite da condanne che
si sono tramutate in multe salatissime. In totale sono stati quattro i punti
campionati in provincia di Trieste (canale di via Battisti a Muggia, lungomare
Fratelli Bandiera, Barcola e Sistiana Castelreggio), due in provincia di Gorizia
(Marina Julia e Grado, all'incrocio tra viale del Sole e via Svevo) e
altrettanti in provincia di Udine (foce del fiume Stella a Precenicco e Lignano
Sabbiadoro, sul lungomare Trieste all'incrocio con via Gorizia). Legambiente,
oltre ai tre punti risultati inquinati, ha messo in evidenza anche la scarsità
di informazioni che vengono messe a disposizione dei bagnanti. La
cartellonistica sulle spiagge del Friuli Venezia Giulia, infatti, è risultata
per lo più inesistente, nonostante dal 2014 sia diventata obbligatoria per tutti
i comuni costieri. «Purtroppo in nessuno degli otto punti campionati - spiega
Katiuscia Eroe, portavoce di Goletta Verde - i nostri tecnici hanno avvistato i
cartelli informativi previsti dalla normativa, che hanno la funzione di
divulgare al pubblico la classe di qualità del mare (in base alla media dei
prelievi degli ultimi 4 anni), i dati delle ultime analisi e le eventuali
criticità della spiaggia stessa. Anche quelli di divieto di balneazione sono
completamente assenti. Inoltre in alcuni punti giudicati critici è stata
registrata la presenza di bagnanti, soprattutto bambini, proprio nei pressi dei
punti che sono stati presi in esame». Un altro tema forte affrontato in questa
campagna di Goletta Verde è stata la presenza di rifiuti sulle spiagge italiane.
Il 10% dei rifiuti spiaggiati proviene dagli scarichi dei nostri bagni. Il 9% di
questi rifiuti è costituito da bastoncini per la pulizia delle orecchie che
vengono impropriamente buttati nel wc.«Nella nostra regione - dichiara Gloria
Catto per Legambiente Fvg - tra aprile e maggio i volontari hanno monitorato la
spiaggia di Canovella degli Zoppoli, nel Comune di Duino Aurisina, nell'ambito
dell'indagine sul beach litter. È stato sconcertante riscontrare la presenza, su
un'area di 1200 metri quadri, di 665 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia, fra i
quali diversi scarti delle attività di pesca».
Luca Saviano
MUGGIA - Il sindaco Marzi vuole indagare sugli
«sversamenti nel Fugnan»
Il nome di Muggia compare nella lista dei cattivi e la cosa non può fare
piacere a una cittadina che da anni si propone anche in chiave turistica. La
sindaca Laura Marzi non si scompone più di tanto e prova a dare una lettura
diversa da quella proposta da Legambiente, che punta il dito contro la cattiva
depurazione che affligge tantissime aree del Paese. «Non so a quando facciano
riferimento queste analisi - le sue parole -, ma credo che quei valori siano
determinati dai fenomeni di pioggia e dagli sversamenti delle acque grigie nel
torrente Fugnan». Da qualche parte qualcuno sversa impunemente, secondo la prima
cittadina di Muggia. «Potrebbero essere sversamenti fatti anche oltreconfine -
spiega -. Cercheremo di capirlo, anche se rimango perplessa sul fatto che queste
analisi vengano svolte in una zona che comunque non è balneabile».
(lu.sa.)
Lo scorso anno 4.400 tonnellate di oli esausti raccolte
e trattate - il Consorzio
Anche quest'anno il Consorzio nazionale per la gestione, raccolta e
trattamento degli oli minerali usati è main partner della campagna estiva di
Legambiente. L'olio usato - che si recupera alla fine del ciclo di vita dei
lubrificanti nei macchinari industriali, ma anche nelle automobili, nelle barche
e nei mezzi agricoli - è un rifiuto pericoloso per la salute e per l'ambiente: 4
chili di olio usato, il cambio di un'auto, se versati in acqua inquinano una
superficie grande come sei piscine olimpiche. Ma l'olio usato è anche
un'importante risorsa perché può essere rigenerato tornando a nuova vita. Nel
Fvg nel 2016 il Consorzio ha raccolto 4.440 tonnellate di oli usati. L'operato
del Consorzio non solo evita una potenziale dispersione nell'ambiente di un
rifiuto pericoloso, ma lo trasforma in una preziosa risorsa per l'economia.
(lu.sa.)
A Monfalcone si grida al complotto - Dati inattesi dopo
quelli positivi dell'Arpa. «Siamo in crescita, diamo fastidio»
MONFALCONE - Per anni perseguitata da una scarsa qualità delle acque, Marina
Julia, la spiaggia ormai non più solo dei monfalconesi, pensava di aver
archiviato del tutto i suoi problemi di inquinamento. A sancirlo, dal 2014 a
oggi, era stata anche la Goletta Verde di Legambiente, il cui ultimo verdetto si
scontra in ogni caso con i dati dei rilevamenti di routine che sono stati
eseguiti dall'Arpa Fvg a partire dal mese di aprile. La bocciatura ricevuta da
Legambiente non è stata quindi per nulla digerita a Monfalcone, dove, in
sostanza, non si esita a gridare al complotto. Per il litorale monfalconese,
complice un meteo perfetto, l'estate 2017 ha segnato una vera e propria
invasione di bagnanti, con migliaia di presenze (tra le 15 e le 20 mila nei fine
settimana) dal territorio circostante, ma anche dalla vicina Slovenia, dalla
Bassa friulana e dalla provincia di Trieste. La spiaggia di Monfalcone ha dalla
sua parcheggi gratuiti posizionati a distanze accettabili dalla battigia,
fondali sabbiosi e servizi crescenti, come pure la pulizia. In spiaggia
quest'anno i frequentatori hanno trovato non solo i lettini e gli ombrelloni
degli stabilimenti balneari, i bar e i "fritolini" , ma anche il campo da beach
volley realizzato dal Comune, che ha pure disciplinato la pratica del kite surf.
Già perché quando soffia la bora il mare si riempie di tavole e il cielo di vele
colorate, attirando appassionati non solo dalla Slovenia ma anche dall'Austria.
«È tanto strano pensare che iniziamo a dare fastidio a qualcuno?»,, si chiede
l'assessore al Patrimonio e ai Servizi interni Paolo Venni, genovese trapiantato
a Monfalcone per lavoro, che a Marina Julia ci vive. «Il dato del monitoraggio
condotto da Legambiente - aggiunge Venni - è in controtendenza rispetto al
controllo effettuato dall'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente nel
corso di tutta la stagione. Sembra quindi ci sia un accanimento nei confronti
della nostra spiaggia per il cui rilancio ci stiamo impegnando assieme ad altri
soggetti». Vedi il nuovo gestore del Marina Julia camping village, affacciato
sul mare monfalconese. Il network Club del Sole ha investito in questi ultimi
mesi tre milioni per adeguare il villaggio, classificato quattro stelle, ai
nuovi standard della domanda turistica ed ha già programma di investire altri
due milioni per un ulteriore restyling da qui alla prossima stagione balneare
(mentre l'attuale sta segnando un più 30% di presenze nel villaggio). «Sono
ormai diversi anni che il Comune di Monfalcone sta lavorando con Irisacqua, il
gestore del ciclo delle acque - ricorda l'assessore Venni - per adeguare la rete
fognaria ed eliminare le criticità che esistevano. Rimane solo un ultimo
problema da risolvere: quello della roggia San Giusto, in cui si riversano
ancora degli scarichi e che sbocca nel bacino di Panzano, ma ci stiamo
lavorando». Anche l'Associazione Marina Julia, da anni impegnata nel rilancio
della località monfalconese e della spiaggia, anche attraverso il Summer
festival che si concluderà la sera di Ferragosto, non ci sta. «I valori rilevati
dall'Arpa sono sempre stati sotto i limiti, anche abbondantemente quest'anno -
sottolinea Roberto Bidoli, componente del direttivo dell'associazione -. Allora
chi sbaglia? Non lo so, ma viene da pensare male, anche perché forse Marina
Julia inizia a dare fastidio con la sua capacità di attrarre tante persone».
Solo il campionamento effettuato il 10 luglio ha rilevato un innalzamento della
presenza di Escherichia coli (164 unità formanti colonia per 100 millilitri
d'acqua contro un limite di 500) e di Enterococchi intestinali (42 contro un
limite di 200 per 100 millilitri d'acqua). Non rimane che vedere l'esito del
nuovo controllo di routine che l'Arpa dovrebbe avere effettuato proprio in
questi giorni.
Laura Blasich
La maglia nera a quattro regioni - la fotografia
TRIESTE - Lungo le coste italiane ci sono "ben 38 malati cronici" di
inquinamento, concentrati nel Lazio (8), in Calabria (7), in Campania e Sicilia
(5 ciascuna): sono foci di fiumi, torrenti, canali o punti vicino a scarichi di
depuratori che da almeno cinque anni riversano in mare batteri (enterococchi
intestinali, Escherichia coli). Dopo «tanti appelli inascoltati e lanciati alle
amministrazioni e agli enti competenti», Legambiente li ha segnalati alle
Capitanerie di Porto presentando undici esposti - nelle varie regioni in cui
sono stati riscontrati questi punti in cui la depurazione è carente - per
inquinamento ambientale, reato previsto dal codice penale. "Malati cronici" a
parte, il 40% dei campioni di acqua prelevati quest'anno alle foci di fiumi,
torrenti, canali, fiumare, fossi o nei pressi di scarichi lungo i 7.412
chilometri di costa italiana da Goletta Verde di Legambiente è risultato
inquinato, con cariche batteriche elevate. Cioè, su 260 punti esaminati 105
hanno mostrato batteri «oltre i limiti di legge», soprattutto per scarichi
fognari non depurati. Presentando i risultati della Campagna 2017, al termine
del viaggio del veliero compiuto dall'8 giugno all'8 agosto scorsi per
verificare lo stato di qualità del mare e delle coste, il responsabile
scientifico di Legambiente Giorgio Zampetti ha spiegato che 86 dei 105 campioni
di acqua con cariche batteriche elevate, sono risultati «fortemente inquinati»
(cioè con valori oltre il doppio di quelli previsti dalla legge sulle acque di
balneazione) e 19 «inquinati» (oltre i limiti). I punti di prelievo con scarsa
depurazione «si confermano i nemici numero uno del nostro mare»; solo il 13% dei
campioni è stato prelevato vicino a spiagge affollate. La situazione migliore in
assoluto è stata riscontrata in Sardegna e in Puglia. Nell'alto Adriatico - dove
la siccità ha ridotto la portata dei fiumi e quindi dei detriti che si riversano
in mare - hanno mostrato una buona performance Emilia Romagna e Veneto. L'Italia
è agli ultimi posti in Europa per i problemi legati alla depurazione, rileva
Legambiente ricordando che «abbiamo già due condanne e una terza procedura
d'infrazione» per irregolarità, concentrate per il 60% in Sicilia, Calabria e
Campania. Monitorando 135 spiagge, Legambiente ha trovato circa settemila cotton
fioc su 46 lidi ma «anche assorbenti, blister, salviette, colpa della cattiva
abitudine di buttarli nel wc» e poi di «scarichi non depurati che finiscono in
mare» (Abruzzo, Sicilia, Campania e Lazio hanno mostrato criticità). Scarsa,
infine, la presenza di cartelli di divieto di balneazione. La depurazione non in
regola «è il peggior nemico del turismo. Sono circa dieci milioni gli italiani
che ancora non hanno un adeguato servizio di depurazione e l'11% ne è ancora
sprovvisto» osserva Utilitalia (la federazione delle imprese di acqua, ambiente
e energia) avvertendo che sul trattamento delle acque reflue e sulla depurazione
bisogna «investire» anziché «pagare» quegli stessi soldi in sanzioni
comunitarie. «Molte delle aree "bacchettate" dall'Ue sono rinomate località
turistiche del nostro Paese», aggiunge la federazione che al legame tra l'acqua
e il turismo dedicherà una sessione del Festival dell'Acqua, in programma a Bari
dall'8 all'11 ottobre prossimi. Tornando alle denunce di Legambiente, queste
fanno leva sulla legge 68/2015, che inserisce i reati ambientali appunto nel
codice penale e che in questi due anni di applicazione ha già consentito di
sequestrare depuratori malfunzionanti, fermare l'inquinamento causato da
attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, intervenire su
situazioni di inquinamento pregresso o per fermare attività illegali di vario
genere. I parametri indagati sono microbiologici e i tecnici di Goletta Verde
hanno considerato come inquinati i risultati che superano i valori limite
previsti dalla normativa sulle acque di balneazione vigente in Italia (decreto
legislativo 116/2008 e decreto attuativo del 30 marzo del 2010) e fortemente
inquinati - come già specificato - quelli che superano di più del doppio tali
valori.
L'Unione europea chiede il conto all'Italia
La cattiva depurazione affligge purtroppo tantissime zone dell'Italia,
nonostante siano passati oltre dieci anni dal termine ultimo che l'Unione
europea aveva imposto al Paese per mettere a norma i sistemi fognari e
depurativi. Le inadempienze dell'Italia nell'attuazione della direttiva
comunitaria hanno portato a procedure di infrazione e anche ad alcune multe
molto elevate. L'Italia, infatti, è soggetta a tre procedure di infrazione
emanate dalla Commissione Europea nel 2004, nel 2009 e infine nel 2014; le prime
due delle quali sono già sfociate in condanna. Per la procedura di infrazione
2004/2034 la sanzione prevista è pari a 62,7 milioni di euro, una tantum a cui
si aggiungono 347mila euro per ogni giorno (facendo un rapido calcolo sono 61
milioni di euro a semestre) sino a quando non saranno sanate le irregolarità
individuate.
(lu.sa.)
«La Ferriera anticipi lo stop all'altoforno» - L'Arpa,
dati alla mano, chiede una fermata per limitare gli sforamenti. La proprietà:
«Tutto risolto con i lavori di settembre»
Siderurgica triestina dovrebbe anticipare lo stop dell'altoforno per fermare
gli sforamenti delle emissioni di polveri dall'impianto. È quanto consiglia Arpa
al termine di una nota trasmessa ieri alla proprietà e alla Regione, con i
risultati delle misure delle polveri rilevate nel mese di luglio nei deposimetri
di Servola. Il rapporto evidenzia il mancato rispetto degli obiettivi di
polverosità stabiliti nell'autorizzazione Aia in tre diverse postazioni di
rilevamento. Nel frattempo il Comune fa sapere di aver ricevuto la lettera di
Asuits in cui parla di un «problema per la salute della popolazione», ancorché
non «immediato». Dal canto suo l'azienda fa sapere che «con i lavori di
manutenzione straordinaria di settembre tutti questi problemi saranno risolti» e
che si stanno «mettendo in campo misure per fermare anche il fenomeno degli
spolveramenti delle ultime settimane». Partiamo però dalla nota di Arpa. Si
legge: «Le misure messe in atto dal gestore, in attuazione della diffida della
Regione dello scorso mese di giugno, non sono state dunque finora sufficienti a
rispettare i valori obiettivo di polverosità». Ad avviso dell'Arpa, la
principale causa del mancato rispetto dei valori obiettivo è il progressivo
deterioramento della bocca di carico dell'altoforno. L'agenzia evidenzia
pertanto «la necessità che il gestore individui ed attui, oltre alle azioni
previste espressamente nell'Aia, ulteriori azioni in grado di ridurre le
emissioni». Tra queste Arpa cita anche «la fermata della produzione
dell'altoforno anticipando quella già programmata per la sostituzione della
bocca di carico». Per l'assessore regionale all'Ambiente, Sara Vito, la
richiesta «conferma l'efficacia del sistema dei controlli messo in campo
dall'agenzia in attuazione dell'Aia». Osserva ancora Vito: «Il sistema di
controlli permette di intercettare efficacemente e tempestivamente le criticità
gestionali ed impiantistiche del complesso impianto siderurgico». L'altra novità
di ieri viene invece dal Comune e dall'Azienda sanitaria. In un comunicato
stampa il vicesindaco Pierpaolo Roberti fa sapere di aver ricevuto la lettera
dell'azienda in cui, spiega, si conferma «un costante aumento delle deposizioni
di polveri nell'area in esame nel primo semestre 2017, polveri contenenti
idrocarburi aromatici policiclici». Questi ultimi sono sostanze potenzialmente
cancerogene che, dice la lettera dell'azienda, «comportano un problema di salute
per la popolazione espresso in incremento del rischio espositivo». In un altro
passaggio, però, l'Azienda sanitaria aggiunge: «La rilevanza del fenomeno, pur
non comportando immediati pericoli per la salute, impone un suo costante e
approfondito monitoraggio». Commenta il vicesindaco: «Questa posizione rende
pertanto impossibile l'emissione di un'ordinanza sindacale di fermo attività, ma
conferma la bontà dell'azione promossa dal Comune di Trieste. Infatti, se lo
strumento dell'ordinanza non può essere utilizzato in quanto mancanti gli
elementi di urgenza, rimarca una criticità che deve essere affrontata seguendo
un'altra via». Roberti chiede quindi alla Regione di annullare l'Aia, come fa
anche il Comitato 5 Dicembre: «Questo parere sanitario conferma che l'Aia non ha
risolto il problema. Se ne deduce che non è efficace nei confronti della
popolazione ed è il motivo per cui andrebbe annullata: perché c'è un problema di
salute pubblica acclarato e l'Aia non lo risolve. Ci auguriamo che la Regione
l'annulli e che nel frattempo, come suggeriamo da mesi, il Comune di Trieste
provveda a dotarsi di un supporto legale forte ed esterno al fine di ribattere
prontamente a pareri a nostro avviso discutibili».
Giovanni Tomasin
Crolla la produzione di miele - Il caldo record spiazza le api - Perdite superiori al 50%. Operatori in ginocchio. Sollecitato l'aiuto della Regione
Negli alveari manca ormai il nettare necessario ad
alimentare gli sciami di insetti - La primavera incerta, lo stress nei favi e la
richiesta di indennizzi - Le tappe - Il freddo e le piogge di aprile e maggio,
seguite dalle temperature bollenti e dell'assenza di piogge di questa estate,
hanno impedito ai fiori di svilupparsi. E i fiori si sono rivelati privi di
nettare. L'assenza di nettare ha impedito alle operaie di alimentarsi in maniera
adeguata compromettendone il "lavoro" all'interno del favo al punto che viene
ora alimentata l'ape regina per stimolare l'intera covata. Di fronte a queste
condizioni proibitive, gli apicoltori fanno appello alla Regione, chiedendo la
presa d’atto di quello che viene considerato un autentico stato di calamità e
sollecitando l’erogazione di indennizzi.
TRIESTE«In trent'anni e più che esercito il mestiere di apicoltore non mi è
mai capitato di vivere un'annata negativa come questa. E la cosa che più
preoccupa è che arriva dopo altre quattro stagioni consecutive tutt'altro che
positive». Parola di Fausto Settimi, uno dei produttori di miele più blasonati e
preparati del comprensorio triestino. Come nel resto d'Italia, anche sul Carso
triestino e sulle colline che circondano il centro storico gli apicoltori sono
in ginocchio. L'annata 2017 verrà ricordata tra le più negative per le quantità
prodotte, soprattutto per quella calura insopportabile che sta mettendo a dura
prova la sopravvivenza negli alveari delle piccole operaie. «Le api sono delle
autentiche sentinelle dello stato di salute dell'ambiente. La loro sofferenza è
un chiaro indice di quei cambiamenti climatici che stanno avvenendo a grande
velocità. C'è di che preoccuparsi - prosegue Settimi -, anche perché sono
proprio le api a fecondare quei fiori che ci danno i frutti. Pochi se ne rendono
conto ma, se muore l'ape, muore la nostra agricoltura. Il nostro mondo». C'è
poco da stare allegri insomma: da tutte le parti del Bel Paese giungono brutte
notizie sulla produzione mellifera. Complice una primavera dal tempo
altalenante, le prime fioriture sono state poco frequentate dalle api. Al freddo
e alle piogge di aprile e maggio ha fatto seguito un'estate bollente e siccitosa
che ha impedito ai fiori di svilupparsi. E la piaga degli incendi ha fatto poi
il resto. «Qui da noi la primavera prometteva bene - riprende Settimi -. Le
fioriture erano superbe, gli alberi di robinia (acacia) grondavano di fiori
profumati. Purtroppo due fattori hanno condizionato la produzione di uno dei
mieli più richiesti: la fioritura anticipata delle acacie ha colto impreparate
le api. Le successive piogge e il freddo hanno poi provocato un fenomeno che ci
ha colto di sorpresa: i fiori erano privi di nettare». «Un fatto davvero strano
- interviene Vilma Carboni, produttrice di Grozzana - che ha azzerato quasi
completamente quella che è la nostra principale produzione, per l'appunto il
miele d'acacia». «Abbiamo successivamente rialzato il capo con la produzione del
miele di tiglio - sostiene il produttore carsolino Alessandro Podobnik -, ma le
terribile calure di questa parte d'estate hanno progressivamente seccato i fiori
compromettendo le altre produzioni. Ora siamo nelle condizioni di dover nutrire
l'ape regina per stimolare la covata». Il poco miele presente negli alveari
serve sempre di più a quelle api che, attraverso il proprio volo, cercano di
disperdere la poca acqua che, con fatica, portano nell'alveare. Un impegno
gravoso per tentare di mantenere all'interno della propria casa un clima
vivibile. Per fare questo hanno bisogno di quelle scorte del miele che, oltre a
rappresentare il carburante necessario al mantenimento attuale dell'arnia,
serviranno a superare un inverno di cui ancora non si può conoscere l'entità del
freddo. «Di fronte alla magra annata precedente, quella attuale presenterà delle
perdite oltre il 50 per cento, con punte fino all'80% del prodotto. Se in tempi
brevissimi non caleranno le temperature e non pioverà - spiega Ales Pernarcic,
presidente del Consorzio Apicoltori triestini che conta un centinaio di
produttori - dovremmo assolutamente alimentare le api». «Per evitare quanto
successo nel 2003 - afferma Fausto Settimi - consiglio a tutti i colleghi di
predisporre per tempo le scorte. So che alcuni di noi pensano di rifarsi con il
frutto di una delle ultime fioriture, l'edera, ma non è possibile affidarsi a
una speranza. Da parte mia ho già notato come in alcuni miei alveari le api non
abbiano più del nettare con cui nutrirsi. Il passo successivo, se non si
provvede, è che mancando il cibo le piccole operaie inizino a nutrirsi con le
proprie larve, segnando così la fine di tutto l'alveare. Provvedere alle scorte
comporta l'accollamento di notevoli spese - continua Settimi -. Ritengo che la
Regione debba prendere atto di quello che ormai è un vero e proprio stato di
calamità e aiutarci con degli indennizzi».
Maurizio Lozei
IL PICCOLO - VENERDI', 11 agosto 2017
L'operazione Microsoft apre il rilancio del ghetto - Il
via al maxicantiere di Teorema foriero di disagi per chi abita e lavora in zona
Confronto esercenti-Comune per farne un'occasione di ripresa commerciale
Con il recente avvio del cantiere che trasformerà i civici 1 e 2 di piazza
della Borsa nel quartier generale di Teorema, partner italiano di Microsoft
specializzato in "innovation technology", ha preso il via, di fatto, anche il
piano di restyling e rilancio del antico ghetto ebraico. Da mesi è iniziato un
confronto tra esercenti della zona e amministrazione comunale per individuare le
iniziative da adottare per limitare i disagi e i danni derivanti dai lavori di
recupero e trasformazione del grande stabile tra piazza della Borsa e via delle
Beccherie. Contemporaneamente, chi gestisce le attività commerciali del ghetto
ha messo sul piatto una serie di richieste per ridare slancio a quell'area.
Nuova cartellonistica, panchine, fioriere, possibilità per i rigattieri di
esporre le merci e una più puntuale pulizia dell'area sono le esigenze di chi
lavora e vive in quell'angolo di Trieste. Per anni il ghetto ebraico ha
rappresentato a livello embrionale la zona di riferimento di quella che oggi è
la cosiddetta movida triestina. Proprio lì sono nate le prime proteste dei
residenti esasperati dall'assembramento di avventori fino a tarda notte. «Ma ora
la movida ha preso altre direzioni - riscontra Stefano Lonza, titolare del
locale Genuino e portavoce degli esercenti del ghetto - e questa zona sta
scoprendo una nuova vocazione commerciale diurna, serale e soprattutto
turistica». Da queste premesse nasce l'esigenza di un abbellimento di quelle
stradine a due passi da piazza dell'Unità. Così una trentina di esercenti, a
inizio estate, proprio in vista dell'avvio del cantiere da quattro milioni che
interesserà a lungo il palazzo di proprietà della Fondazione Ananian, davanti
alla preoccupazione per il conseguente montaggio di pedane e impalcature con
polvere e rumore, hanno preso carta e penna e hanno scritto una lunga lettera
indirizzata alla giunta Dipiazza. «Consapevoli dell'importanza della
ristrutturazione di stabili parzialmente abbandonati in un'ottica comune di
ripristino del patrimonio immobiliare - si legge nella missiva - è innegabile
che nei prossimi 18, 24 mesi noi esercenti assisteremo ad un calo del fatturato
del 30, 40 % causa la deviazione del passaggio pedonale che limiterà il flusso
dei visitatori». E questo per il fatto che l'ingresso di via delle Beccherie già
ora è bloccato in parte dalle impalcature utili al cantiere. A fronte di un
ovvio disagio gli esercenti non si sono dati per vinti e, alle lamentele, hanno
affiancato una serie di richieste per l'abbellimento del ghetto. Il loro piano
di rilancio della zona è stato racconto dal consigliere comunale Michele Babuder
che assieme ad altri colleghi di Fi, Piero Camber e Alberto Polacco, ha
presentato una mozione in merito agli interventi utili a quell'area, approvata
all'unanimità dal Consiglio comunale. «Abbiamo chiesto il nulla osta per esporre
in concomitanza con gli accessi al ghetto delle targhe che indichino la zona,
magari raccontandone anche la storia», spiega Lonza. «Vorremmo - aggiunge - che
venga consentito ad antiquari e rigattieri di esporre in strada la loro
mercanzia, ricreando quell'atmosfera tanto amata soprattutto dai turisti».
«Stiamo dialogando inoltre con l'amministrazione per arredare il ghetto con
fioriere e panchine creando così piacevoli angoli di sosta - spiegano gli
esercenti - aumentando però anche i cestini per la raccolta della spazzatura».L'assessore
Lorenzo Giorgi, che si è già confrontato con i commercianti del ghetto, ha
avviato un dialogo con la Soprintendenza per ottenere intanto il via libera per
il posizionamento della cartellonistica e ha organizzato per questi giorni un
incontro tra le realtà coinvolte. Nell'immediato, per far fronte ai disagi del
cantiere, gli esercenti hanno invece chiesto una riduzione della tassa di
occupazione del suolo pubblico per i pubblici esercizi che gravitano in quella
zona, un controllo severo delle emissioni acustiche derivanti dai lavori, il
lavaggio delle strade coinvolte dal passaggio di mezzi edili, l'obbligo di
disinfestazione dello stabile di via delle Beccherie 3, dove trovano riparo
colombi, topi e insetti ,e l'abbellimento delle impalcature magari con immagini
di come verrà trasformato quel palazzo dopo la ristrutturazione.
Laura Tonero
IL PICCOLO - GIOVEDI', 10 agosto 2017
Ferriera - Dipiazza: «Arvedi protetto dall'Aia»
Il sindaco Roberto Dipiazza replica alle dichiarazioni dell'assessore regionale all'Ambiente Sara Vito in merito alla diffida inviata dal Comune di Trieste con cui si chiede l'annullamento dell'Aia della Ferriera. «La grottesca e banale risposta dell'assessore potrebbe essere un invitante assist per facili battute, ma non mi interessa il ping pong istituzionale: mi preme, piuttosto, arrivare alla chiusura dell'area a caldo della Ferriera. La Vito farebbe bene a spiegare ai cittadini che l'Aia che la Regione ha concesso alla Ferriera è uno scudo normativo che permette alla proprietà dello stabilimento siderurgico di operare al di sopra e al di fuori della normale normativa in materia ambientale».
San Dorligo, via al tavolo anti odori molesti -
Insediato il nuovo organismo composto da Municipio, Arpa, Asuits, Regione e
Comune di Muggia
SAN DORLIGO DELLA VALLE - Inizia a San Dorligo della Valle la battaglia
contro gli odori molesti. Dopo mesi di attesa, caratterizzati dalle proteste di
centinaia di residenti, in particolare di coloro che vivono nei pressi dei
serbatoi della Siot e dello stabilimento della Wärtsilä, si è insediato il
tavolo tecnico che l'amministrazione comunale guidata dal sindaco Sandy Klun ha
proposto di instaurare con la collaborazione dell'Arpa. L'istituzione del tavolo
è la prima risposta concreta alla raccolta di firme promossa dai residenti.
Klun, fin dall'inizio del mandato, ha istituito numerose commissioni consiliari
con il coordinamento dell'assessore Franco Crevatin; fra esse anche quella che
si occupa dell'ambiente, di cui è presidente Roberto Potocco (Pd). L'organo
consiliare si è occupato del fenomeno delle molestie olfattive. Con l'apporto
dei suoi componenti e la collaborazione di un nutrito gruppo di cittadini ha
effettuato una raccolta dati per sei mesi, che ha ulteriormente evidenziato la
vasta diffusione del fenomeno, giudicato insopportabile da molti residenti. Alla
prima seduta hanno partecipato, oltre al sindaco Klun e ai componenti la
commissione, esponenti dell'Arpa regionale e della sezione provinciale, del
Dipartimento di prevenzione dell'Azienda sanitaria, dell'assessorato
all'Ambiente di Muggia e della Regione. Questo primo appuntamento ha avuto quale
tema principale l'indirizzo e le tematiche di carattere tecnico originate dalla
carente legislazione relativa alle emissioni odorigene. «Il nostro Comune - ha
ricordato Potocco - annovera nel suo territorio una meraviglia della natura, la
riserva della Val Rosandra, ma al contempo ospita anche la più alta
concentrazione di siti industriali della provincia. Come tavolo tecnico - ha
aggiunto - porremo la massima attenzione al compromesso, oggi inevitabile, tra
lavoro, salute e ambiente. Alle prossime riunioni - ha concluso - saranno
invitati anche i responsabili delle realtà industriali del territorio e i
rappresentanti dei cittadini». Sull'argomento va registrata un'interrogazione
del consigliere regionale dell'Unione slovena, Igor Gabrovec: «A 50 anni dalla
realizzazione del terminale petrolifero della Siot - ha scritto - gli abitanti
del territorio comunale di San Dorligo della Valle Dolina continuano a dover
pagare un prezzo troppo alto in termini ambientali, di salute e di vita
quotidiana. Chiedo alla Regione - ha aggiunto - se sia in possesso di dati
scientifici e aggiornati riguardanti l'impianto della Siot e cosa intende fare
per tutelare i cittadini».
Ugo Salvini
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 9 agosto 2017
Il Comune diffida la Regione sulla Ferriera - Dipiazza
firma la lettera: «Aia fuorilegge, va annullata». L'assessore Vito: «Mossa che
crea solo caos»
Il Comune diffida la Regione, reclamandole l'annullamento dell'Aia -
l'Autorizzazione integrata ambientale, che è appunto di competenza della Regione
- rilasciata alla Ferriera. L'atto di diffida, firmato dal sindaco Roberto
Dipiazza, oltre agli uffici competenti, è stato trasmesso ieri alla presidente
Debora Serracchiani e all'assessore regionale all'Ambiente Sara Vito. Nella
lettera, in sostanza, il Comune diffida la Regione, nella persona della sua
presidente, di annullare per l'appunto l'Aia della Ferriera «per il difetto
sostanziale - così si legge in un comunicato diffuso nel pomeriggio di ieri dal
Municipio - del mancato recepimento del parere obbligatorio del sindaco, come
previsto dal Testo Unico, delle leggi sanitarie». «In subordine», aggiunge il
comunicato, il Comune chiede «il riesame dell'Aia sia al fine di dare
applicazione al principio di precauzione per prevenire i rischi per la sanità
pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente, facendo prevalere le esigenze
connesse alla protezione di tali interessi su quelli economici, sia al fine di
acquisire i pareri dei soggetti firmatari gli accordi di programma, al fine
della modifica dei termini contenuti nei medesimi ed integralmente richiamati
nell'Aia», e tra questi soggetti firmatari pure i «competenti ministeri». Secca
la replica della Regione, per bocca dell'assessore Vito: «Va ricordato che la
massima autorità sanitaria è il sindaco, il quale potrebbe adottare, se ritiene
ne ricorrano i presupposti, i provvedimenti di sua competenza. Viene da
chiedersi perché tali provvedimenti, ad esempio ordinanze urgenti, non siano
stati adottati, preferendo invece diffidare la Regione a farlo al posto suo». «È
poi del tutto irricevibile - insiste Vito - l'insinuazione del Comune che un
soggetto istituzionale come la Regione abbia potuto dare prevalenza agli
interessi economici su quelli connessi alla protezione di salute e ambiente.
Innumerevoli e tangibili iniziative dimostrano che mai è mancata l'attenzione
primaria della Regione verso la salute di lavoratori e cittadini, e verso
l'ambiente. E se occorressero prove ulteriori, basterebbe ricordare che a
seguito dello scrupoloso rispetto delle norme ambientali posto in atto dalla
Regione, che ha imposto un rallentamento della produzione, questa istituzione ha
subito un ricorso avanti il Tar, mosso dall'Acciaieria Arvedi. Questo
atteggiamento purtroppo non giova alla causa di far funzionare al meglio gli
strumenti che abbiamo a disposizione, ma contribuisce solo a creare un clima
confuso, in cui allo stesso tempo vengono illusi quanti vogliono che l'area a
caldo della Ferriera sia chiusa e si sconcertano anche quanti sono convinti che
possa continuare a produrre in modo sostenibile». «La diffida contiene degli
elementi di natura tecnica che saranno esaminati dagli uffici - chiosa Vito -
con l'usuale attenzione ed equilibrio».
Il porta a porta a Muggia slitta al 2018 - L'iter
burocratico posticipa lo start da ottobre a inizio anno. Le lezioni a scuola,
invece, partiranno subito
MUGGIA - Quando partirà effettivamente a Muggia il servizio della raccolta
dei rifiuti porta a porta? E che fine ha fatto la campagna di informazione per i
cittadini che avrebbe dovuto coinvolgere in primis gli studenti rivieraschi?
Dopo diversi mesi di silenzio su uno degli argomenti più caldi dell'agenda
politica della giunta Marzi, tema che toccherà estremamente da vicino i
residenti di Muggia rivoluzionandone la vita quotidiana, è arrivata la conferma
che il servizio slitterà rispetto al cronoprogramma preannunciato dalla giunta
Marzi nello scorso aprile.«Il bando per l'acquisto dei bidoni e per
l'affidamento del servizio è partito: i tempi previsti sono quelli di tutti i
bandi di gara europei, che prevedono al massimo sei mesi, dunque con l'inizio
del nuovo anno Muggia si affaccerà concretamente a questo nuovo tipo di
raccolta», racconta l'assessore all'Ambiente Laura Litteri. Da autunno - il mese
indicato originariamente in commissione era stato quello di ottobre - si è
passati dunque ai primi mesi del 2018. Per quanto riguarda invece la formazione
degli studenti muggesani, prevista per l'anno scolastico già terminato senza
alcuna azione concreta, l'assessore Litteri rassicura: «Col nuovo anno
scolastico avrà inizio, previo accordo organizzativo con le scuole, la campagna
informativa proprio a partire dagli istituti scolastici. A seguire, poi,
organizzeremo gli incontri con i cittadini». Litteri ha anche preannunciato
riduzioni in vista: «Il nuovo servizio porta a porta vedrà una riduzione del
costo di trattamento dei rifiuti, in quanto aumenteranno le percentuali delle
frazioni che non hanno costi di smaltimento, come la carta, la plastica ed il
vetro, mentre diminuirà la percentuale di rifiuto solido urbano il cui
smaltimento costa 130 euro a tonnellata. Naturalmente, più bravi saranno i
cittadini a differenziare, più si ridurranno tali costi». Ricordando come lo
smaltimento dei rifiuti sia un servizio che viene finanziato con i soldi della
Tari, «quindi in modo diretto, con il denaro dei cittadini», l'assessore fa
presente che con il cambiamento del servizio cambierà, ovviamente, anche il suo
costo: «Sia perché nel nuovo appalto stipulato con Net è previsto un notevole
incremento nella frequenza di pulizia delle strade, sia perché la raccolta porta
a porta richiede maggior manodopera oltre ovviamente al necessario acquisto di
appositi bidoncini che verranno consegnati agli utenti». Un incremento che
risponde, pertanto, a diversi fattori: «L'amministrazione comunale ha rivolto la
massima attenzione non solo alle nuove dinamiche di raccolta ma anche, e
soprattutto, alle tariffe in modo da incidere il meno possibile sulle tasche dei
cittadini. In tal senso, per esempio, si colloca la scelta di spalmare in un
arco di otto anni il costo per l'acquisto dei contenitori, scelta volta a
ridurre al minimo gli aumenti della Tari».
Riccardo Tosques
IL PICCOLO - MARTEDI', 8 agosto 2017
Servola - Nuvola rossa dalla Ferriera a causa del
maltempo
La fumata rossastra che domenica sera, attorno alle 20, è uscita da uno dei
camini della centrale era composta da polveri del processo di agglomerazione,
sfuggita in atmosfera a causa del malfunzionamento dei filtri. Lo fa sapere la
Siderurgica triestina il giorno dopo l'incidente. Il problema ha interessato
infatti la cappa di aspirazione dell'agglomerato, laddove si fondono assieme le
polveri più sottili del coke prodotto dalla cokeria. A causa di una mancanza di
corrente i filtri hanno smesso di funzionare e il prodotto è uscito dal camino
senza che gli abbattitori li trattenessero. La causa è stata appunto un calo di
corrente causato dall'imminente temporale: tutto l'impianto lavora ad alta
tensione, quindi è sufficiente che ci sia un problema sulla linea in Carnia
perché si possano ingenerare effetti simili. In risposta, il Comitato 5 Dicembre
è andato ieri pomeriggio davanti al Comune per incontrare il sindaco Roberto
Dipiazza e il vicesindaco Pierpaolo Roberti, che dicono essere imminenti
iniziative per arrivare alla chiusura dell'area a caldo. «Pubblicheremo presto i
video dell'incontro», scrive il Comitato sulla sua pagina. Interviene nel
frattempo anche il consigliere regionale M5S Andrea Ussai: «Insieme ai cittadini
di Trieste e dei comuni limitrofi chiediamo ad Acciaieria Arvedi e alla giunta
Serracchiani come intendano fare fronte subito a queste problematiche destinate
a ripetersi costantemente ogni volta che il maltempo tornerà a interessare la
nostra città». E ancora: «Non è più sufficiente che la Regione prosegua con la
sola emissione di diffide e richieste di rispetto di tempistiche precise per la
conclusione dei lavori. Alla luce degli spolveramenti sempre più frequenti e che
non possono certo essere più definiti episodici, ricordiamo che la normativa
nazionale prevede che si possano prendere misure ben più drastiche».
(g.tom.)
Colossi verdi sotto tutela in Fvg - Nascono i fondi di
salvaguardia
La Regione è la prima in Italia ad aver varato un regolamento per
interventi ad hoc su alberi ultrasecolari alti anche trenta metri e su arbusti
più piccoli ma "storici"
TRIESTE - Il gigantesco platano del giardino pubblico Muzio de Tommasini a
Trieste, il larice di Malga Lussari con i suoi cinque secoli di storia, il
tiglio tricentenario che signoreggia a Rutte piccolo di Tarvisio, il tasso che
accoglie i visitatori nel parco di Villa Manin a Passariano. Sono alcuni dei più
famosi alberi monumentali del Friuli Venezia Giulia: anziani colossi della
vegetazione, che vedranno la Regione impegnarsi economicamente per garantirne
cura, mantenimento e valorizzazione. Il Fvg è primo in Italia a dotarsi di un
regolamento che prevede contributi da cinquecento a cinquemila euro per i
cosiddetti grandi arbusti, che necessitano di attenzioni particolari come ogni
vegliardo che si rispetti. Con la differenza che, in paragone al ciclo di vita
di un essere umano, qui si parla di secoli trascorsi a immobile guardia del
territorio e di dimensioni che possono superare quelle di un palazzo di dieci
piani. Niente di simile alla vertigine causata dalle sequoie americane o dai
baobab africani, ma si tratta ad ogni modo di veri giganti verdi. È il caso
della quercia visibile presso il bivio di Fossalon, lungo la strada provinciale
Monfalcone-Grado, alta trenta metri e con una circonferenza di oltre quattro.
Più alto e leggermente più magro è il pioppo nero piantato chissà quanto tempo
fa nel parco Policreti, a Castel d'Aviano, con un'altezza di 36 metri. Un vero
colosso si trova poi a Foro Boario, dove sorge un platano da 35 metri e più di 5
di circonferenza. Ma i record del Fvg si registrano a Villa Zorze Rossetti
(Latisana), Villa Beni Rustici (Precenicco) e Camporosso: rispettivamente un
olmo da 36 metri e ben sette di circonferenza, un tiglio alto 42 metri e con un
giro vita da cinque, un faggio di 40 metri d'altezza e 5,3 di circonferenza.
Giganti sì, ma soprattutto antichi e dunque bisognosi delle mani più accorte per
continuare il proprio ciclo di vita di stagione in stagione. Alcuni non contano
tanto per dimensioni ma per le vicende storiche cui sono legati. Come la
magnolia piantata nel 1863 a Gorizia dagli irredentisti italiani: un arbusto
sempreverde che in terra austriaca faceva sbocciare fiori bianchi e nascere
frutti rossi, riproducendo così i colori della bandiera italiana, senza
possibilità di censure imperiali. E, ancora, il pino che si trova nei pressi
delle scuderie del parco di Miramare, basso ma dal tronco e dalla chioma
imponenti, muto spettatore delle passeggiate romantiche di Massimiliano e
Carlotta, così come del frettoloso andirivieni degli ufficiali angloamericani,
che fecero del castello il proprio quartier generale. La delibera regionale
prevede ora un contributo spese per gli interventi di potatura e di cura delle
radici, consolidamenti, trattamenti della chioma, valutazioni sulla stabilità
della pianta e sulla presenza di malattie. Prevenire è meglio che curare e la
norma stabilisce anche il sostegno a miglioramenti del contesto ambientale che
circonda l'albero, con interventi biologici sulle condizioni del suolo,
installazione di sistemi parafulmine, posa di steccati e recinzioni, costruzione
di pavimenti sollevati e areati che permettano di girare attorno all'albero
evitando il compattamento del terreno. Non mancano la pulizia del sottobosco e
la rimozione di piante infestanti. Il provvedimento punta infine alla
valorizzazione a fini turistici e dunque ammette il supporto per iniziative di
divulgazione. «Il Fvg - spiega l'assessore alle Infrastrutture Mariagrazia
Santoro - è la prima Regione in Italia, insieme alla Sardegna, ad aver schedato
gli alberi monumentali, operazione propedeutica alla salvaguardia di questo
importante patrimonio naturale che, per le sue caratteristiche, assume anche
valore storico e culturale. Riconosciamo un interesse pubblico legato alla loro
salvaguardia e siamo la prima Regione in Italia che ha previsto degli appositi
finanziamenti: alla base della nostra scelta c'è il fatto che abbiamo
riconosciuto nell'operazione un importante riscontro sia di tipo naturalistico
ambientale, sia turistico». Gli arbusti secolari richiamano infatti un numero
crescente di appassionati e su internet non sono pochi i siti che raccolgono
immagini e storie di questi alberi, che diventano simbolo di continuità per le
comunità che si sono sviluppate negli anni attorno a essi. Questione di ecologia
dunque, ma anche di memoria dei luoghi. La domanda di finanziamento va
presentata entro trenta giorni dal proprietario del fondo in cui si trova
l'albero monumentale. Il contributo è comunque strutturale e sarà possibile
richiederlo entro il 31 gennaio di ogni anno. Il tetto dei cinquemila euro vale
per gli interventi di potatura, cura delle ferite e delle radici, consolidamenti
e trattamenti della chioma, mentre per il miglioramento del contesto ambientale
non si potranno superare i duemila euro. Per le altre iniziative, il valore
massimo sarà pari a cinquecento euro.
Diego D'Amelio
«Una guerra dietro i rifiuti bruciati» -
L'ambientalista Ganapini: «Troppi incidenti si verificano negli impianti di
deposito»
ROMA - L'hanno chiamata disattenzione, guasto al circuito elettrico,
autocombustione. In realtà è una vera e propria guerra, divampata negli ultimi
tre anni da nord a sud: in Italia 130 impianti di trattamento, stoccaggio o
deposito dei rifiuti hanno preso misteriosamente fuoco, mandando in fumo insieme
ai macchinari anche un intero comparto industriale. «Abbiamo perso tre milioni
di tonnellate di capacità di riciclaggio: praticamente, ci siamo tagliati da
soli una gamba», commenta Walter Ganapini, riconosciuta autorità in materia: se
ne occupa dalla metà degli anni Settanta, quando chi parlava di rinnovabili o di
economia circolare sembrava un marziano. Da tecnico, ha collaborato con
amministrazioni di destra e di sinistra, risolvendo anche emergenze notevoli;
questa è una delle più dure, e un tecnico può solo lanciare l'allarme. Il 27
luglio 2014 ad Albairate, nell'hinterland milanese, va a fuoco l'impianto
destinato a trattare i rifiuti organici dell'Expo. Che inizierà 9 mesi dopo. «Le
fiamme divampano in tre punti diversi, l'autocombustione è impossibile perché il
compost non brucia da solo e perché la temperatura nel capannone non supera mai
i 60 gradi. Ma mentre si indaga sulle cause, c'è un'emergenza da risolvere:
bisogna cambiare destinazione dei rifiuti in fretta, perché all'Expo non manca
molto, e naturalmente aumenta il costo in bilancio. È un segnale poderoso, una
dichiarazione di guerra. Tre anni dopo, purtroppo, la trincea è dappertutto».
Chi combatte contro chi? «Le possibilità per i rifiuti sono due: si recuperano
oppure vanno in discarica. Alla comunità conviene recuperarne il più possibile,
perché il rifiuto riciclato è una risorsa. I proprietari di discariche, invece,
hanno l'interesse contrario, perché rischiano di restare senza lavoro. E se gli
impianti di riciclaggio bruciano, la scelta è una sola: mandare ogni cosa in
discarica, anche i rifiuti recuperabili. Non lo dico io, ma il magistrato
Roberto Pennisi, della direzione nazionale antimafia: bruciare è la migliore
scorciatoia, quando vuoi guadagnare di più». Non stanno bruciando solo gli
impianti, ma anche i rifiuti riciclabili. «E questo è un altro problema. Dopo
aver incassato gli incentivi pubblici per il riciclo, si è scoperto che molti
imprenditori, anziché recuperare i rifiuti plastici, li spedivano in Cina. Ora
che Pechino ha bloccato il flusso illegale, li bruciano. Se sei tra l'altro
assicurato contro gli incendi, non ti viene la tentazione di far dare fuoco a
tutto da qualcuno, mentre magari passi le vacanze a Cortina? Nessuno mi toglie
dalla testa che anche i recenti fuochi sul Vesuvio siano serviti a occultare
pratiche illegali. Del resto, basta guardare i posti e collegarli alle
discariche, e ripensare a quando i tedeschi smisero di prendere le presunte
ecoballe perché radioattive». Se è una guerra, lo Stato come si sta difendendo?
«In alcune regioni, i carabinieri forestali stanno lavorando seriamente. Le
forze dell'ordine sanno bene che il nodo da sciogliere è al livello superiore:
ogni impianto che va in crisi, libera spazio per i traffici di altra natura, non
gestiti dallo Stato ma delle mafie. E così, tanto per fare un esempio, bisogna
capire quali siano gli interessi dei grandi clan in tutte le regioni del nord,
perché la mano della criminalità organizzata in questa guerra dei rifiuti è una
costante».
Andrea Sarubbi
IL PICCOLO - LUNEDI', 7 agosto 2017
Unimpresa: «Mezzo milione di immobili in dissesto» - LA
RICERCA
ROMA - In Italia ci sono quasi mezzo milione di immobili in dissesto, che
risultano parzialmente o totalmente inutilizzabili. Si tratta per l'esattezza di
452.410 costruzioni classificate, secondo i parametri catastali, come degradate.
A rivelarlo è Unimpresa, secondo la quale il rapporto rispetto agli edifici
"sani", che in totale risultano essere 62.861.919, è pari allo 0,72%. Sono dieci
le province più a rischio: la maggior parte sono situate nel Sud del Paese,
anche se spiccano alcune realtà del Nord Ovest. In tutto il resto del Paese si
contano 345.848 costruzioni degradate e 58.393.439 edifici "sani", con un
rapporto medio dunque pari allo 0,58%.«Al di là delle preoccupazioni sul
versante della sicurezza, l'area che abbiamo fotografato, ovvero degli immobili
catastalmente rovinati, rappresenta una possibile fonte di sviluppo
dell'economia, per il settore dell'edilizia e per tutto l'indotto,
dall'arredamento agli accessori», commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna
Ferrara. «Bisogna insistere anche per quanto riguarda la valorizzazione di
alcuni beni sul fronte artistico e culturale, con tutto quello che se ne può
trarre anche per il turismo», aggiunge ancora Ferrara. Secondo l'analisi
condotta da Unimpresa, basata su dati della Corte dei conti e dell'Agenzia delle
Entrate aggiornati al 2015, le 10 province con il maggior numero di immobili
degradati sono: Frosinone (28.596 degradati e 410.813 «sani», con un rapporto
pari al 6,96%); Cosenza (1,90%); Cuneo (1,38%); Benevento (4,22%); Foggia
(1,47%); Aosta (2,88%); Siracusa (1,87%); Piacenza (1,36%); Verbanio Cusio
Ossola (1,99%); Vibo Valentia (2,74%).
IL PICCOLO - DOMENICA, 6 agosto 2017
Bonifiche in area ex Ezit, la Regione accelera - Via
libera della giunta all'analisi del rischio per liberare spazi a disposizione
delle realtà produttive
Nuovo deciso passo avanti verso il riuso delle aree dell'ex Ente zona
industriale di Trieste. La giunta del Friuli Venezia Giulia, su proposta
dell'assessore regionale all'Ambiente ed energia Sara Vito, ha approvato la
delibera per l'adozione del documento di analisi di rischio relativo ad alcune
aree di proprietà già dell'Ezit ed aree alienate dallo stesso ente industriale a
privati, localizzate nell'area della Valle delle Noghere e del Rio Ospo in
territorio del Comune di Muggia. Il documento verrà trasmesso nei prossimi
giorni al ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare per
la Conferenza dei servizi e l'approvazione finale prevista dalla legge, che
permetterà di rendere usufruibili alle imprese quelle zone nelle quali la
modellizzazione di analisi di rischio o la caratterizzazione ambientale abbiano
evidenziato il rispetto dei limiti stabiliti dalla normativa, mentre per le
restanti aree sono state individuate le modalità con cui intervenire ai fini
della bonifica. Su questi lotti industriali delle Valli delle Noghere e del Rio
Ospo, la Regione, attraverso la direzione Ambiente, aveva iniziato a procedere
con l'analisi del rischio all'inizio di quest'anno. Come ha sottolineato
l'assessore Vito, questo atto della giunta è la prova della determinazione con
la quale la Regione ha seguito l'iter per la soluzione di un problema che
«attanaglia da molti anni le possibilità di crescita di questo territorio». «In
attesa della Conferenza dei servizi al ministero - ha affermato l'esponente
dell'esecutivo Serracchiani -, nella quale verrà affrontato il tema delle
bonifiche alla luce del documento della Regione sulle analisi di rischio,
l'obiettivo del riuso concreto di una significativa parte dell'area Ezit ha
segnato un altro avanzamento a beneficio di quelli che sono i potenziali
benefici a favore dello sviluppo economico». «Infine - ha concluso l'assessore
regionale Vito -, per le altre aree, quelle che necessitano di un minimo
intervento di bonifica e quelle che invece hanno bisogno di un'azione più
importante, il percorso dei lavori è stato tracciato individuando le opere
necessarie e i relativi costi».
IL PICCOLO - SABATO, 5 agosto 2017
Raccolta differenziata a quota 40 per cento - Prosegue
il trend virtuoso grazie alle campagne su umido e rifiuti ingombranti di
AcegasApsAmga
Migliora sensibilmente la raccolta differenziata dei triestini che, dopo il
trend in costante crescita registrato a partire dall'inizio del 2017, si è ora
assestata a quota 40%. Un risultato importante, sottolinea AcegasApsAmga, frutto
dell'impegno congiunto da parte di cittadini, multiutility e Comune. Due in
particolare nel corso del 2017 le iniziative ritenute determinanti nell'ottica
dell'incremento della raccolta differenziata. La prima è stata la nuova campagna
anti-abbandono ingombranti, reclamizzata dall'immagine di un divano logoro sul
marciapiede di una via notturna e la frase "non abbandonarli in mezzo a una
strada". «È interessante notare come già dall'inizio del 2017, a solo un mese di
distanza dall'inizio della campagna, si sia assistito ad un incremento dei
conferimenti di rifiuti ingombranti nei centri di raccolta - si legge in una
nota di AcegasApsAmga -: da gennaio a febbraio l'aumento è infatti stato del 14%
e addirittura di circa il 50% da gennaio a marzo. Nei mesi successivi il dato si
è assestato rimanendo fisso sopra le 200 tonnellate di ingombranti conferiti. Un
altro importante fattore che ha permesso di superare la soglia del 40% di
raccolta differenziata è risultato essere il rifiuto umido organico domestico
che nel mese di maggio ha superato per la prima volta le 500 tonnellate. «Si
tratta di una quantità mai raggiunta a Trieste dall'introduzione della raccolta
differenziata per questo tipo di rifiuto per il quale AcegasApsAmga e Comune
hanno realizzato molteplici iniziative per incentivare i triestini a conferirlo
correttamente - prosegue il comunicato dell'ex municipalizzata -. In
particolare, a cavallo dei mesi di aprile e maggio, AcegasApsAmga e Comune hanno
realizzato una campagna di sensibilizzazione dedicata proprio al rifiuto umido
domestico dal titolo "L'Umido che fa la differenza" durante la quale sono stati
distribuiti più di 6 mila cestini per la raccolta domestica, un dato che
evidenzia l'impegno dei triestini al conferimento corretto del rifiuto
umido-organico». Sempre nell'ambito del rifiuto umido, anche gli sfalci e le
ramaglie hanno visto un incremento di circa il 100% dei conferimenti rispetto
allo stesso periodo del 2016, anche grazie al posizionamento in città di quasi
100 nuovi cassonetti per la raccolta stradale di sfalci e ramaglie derivanti
dalle potature dei giardini domestici. Il buon andamento della raccolta
differenziata della frazione organica risulta di particolare rilievo anche in
vista del fatto che AcegasApsAmga ha avviato a recupero il 96,2% di quanto
raccolto per produrre compost ed energia elettrica rinnovabile, come
rendicontato dal report "Sulle Tracce dei Rifiuti".
Il Comune "mappa" gli incidenti - È via Crispi la
regina dei sinistri - sicurezza stradale»il dossier
Ci sono 61 sfumature di pericolo stradale che consigliano autisti, pedoni,
ciclisti, motociclisti e viandanti a vario titolo a un supplemento di prudenza.
I 61 "warning" sono stati individuati dallo studio, che fa riferimento al
quinquennio 2012-16, intitolato "Analisi sull'incidentalità degli assi viari".
Il lavoro, che è stato condotto dal servizio comunale diretto dall'ingegner
Giulio Bernetti, consentirà all'assessorato all'Urbanistica di varare nei
prossimi mesi un Piano della sicurezza stradale. I 61 punti critici sono emersi
al termine di un'analisi che è stata effettuata intrecciando un voluminoso
reperto documentario che spazia dai verbali delle diverse polizie fino alle
segnalazioni giunte dalle circoscrizioni. Si tratta di un lavoro che ha portato
a dei risultati che hanno stupito gli stessi tecnici che lo hanno elaborato. Gli
esiti sono in effetti sorprendenti. Avanti col primo quiz: qual è la via
triestina con il più elevato tasso di incidentalità? Via Crispi. Difficile da
indovinare, difficile anche pensare che lo stretto senso unico, che s'inerpica
da via Carducci fino al Politeama Rossetti, sia un costante agguato alla
sicurezza stradale. E come si evince la pericolosità della via dedicata allo
statista siciliano? Lo staff di Bernetti ha sommato il numero di incidenti
accaduti nel quinquennio (56) e lo ha messo in relazione con il traffico
giornaliero medio (tgm). I 56 incidenti di via Crispi, in soldoni, "pesano"
molto più dei 416 sinistri che nel quinquennio preso in considerazione si sono
verificati in viale Miramare, strada che si è posizionata al quarto posto di
questa speciale graduatoria. Questo perché il transito veicolare che interessa
l'arteria che collega la stazione ferroviaria al castello asburgico, con 28.200
transiti giornalieri, è notevolmente più intenso rispetto al traffico che
impegna via Crispi (2.500 transiti al dì). Dal rapporto stilato da Bernetti
emerge quindi che via Crispi manifesta un'alta incidentalità alimentata dai
numerosi incroci (via del Toro, via Nordio, via Timeus, via Paduina, via
Brunner, via Gatteri, via Rossetti) e il rischio medio così calcolato suggerisce
il punteggio di 1,23 (numero di incidenti ogni 100mila transiti): il più elevato
tra le vie triestine monitorate. Tenendo conto che non vi è per forza un nesso
tra l'intensità del traffico e la "patologia" incidentale, trova spiegazione la
composizione del poco lusinghiero podio che, al secondo e terzo posto nella
graduatoria "warning", vede rispettivamente via Cadorna e via Settefontane. Via
Cadorna vanta una percorrenza veicolare piuttosto contenuta (3210/giorno) e un
numero di incidenti che nel quinquennio in analisi ha raggiunto quota 63, con un
rischio medio di 1,08. Ragionamento analogo per via Settefontane: 3370 "tgm" con
59 incidenti e un rischio medio che dà come parametro lo 0,96. Cadorna e
Settefontane attraversano numerosi incroci: alle precedenze l'attenzione
talvolta scema e le conseguenze - soprattutto se ci sono in ballo le due ruote -
possono essere anche gravi. La top ten delle strade da affrontare con
discernimento, dopo il già annunciato quarto posto di viale Miramare, prosegue
con il quinto posto di via Valmaura, seguita da via Rossetti, da via San
Francesco, da via Parini, da via Conti e da via Revoltella. Il dossier, dunque,
raccoglie un'ampia casistica nell'area tra via Carducci, Barriera Vecchia e via
Rossetti. Ma quali sono le vie meno afflitte da problemi legati alla sicurezza
stradale? La capolista positiva, ovvero l'ultima nella graduatoria di
pericolosità, è via Ghega, caratterizzata da un altissimo numero di passaggi
(23650) ma, per fortuna, da pochi sinistri (46 in cinque anni). Più o meno per
le stesse ragioni, sono percorribili (o attraversabili) con minore affanno riva
Sauro, Rotonda del boschetto, via Battisti, San Giacomo, strada per Basovizza,
strada nuova per Opicina, riva Ottaviano Augusto, viale dell'Ippodromo e corso
Italia.«Questa graduatoria, che ci permetterà di stilare per la prima volta un
Piano della sicurezza stradale per questo territorio, non è ancora operativa -
spiega l'assessore Luisa Polli - . Condivideremo l'elenco con l'intero Consiglio
comunale al rientro dalle ferie, prima di licenziarlo in giunta. Dopodichè
individueremo gli interventi necessari per rendere maggiormente sicure le vie
interessate. Per fare questo cercheremo di effettuare un'analisi qualitativa
della situazione, cercando di capire, anche attraverso i verbali delle forse di
polizia che sono intervenute in seguito ai sinistri, quali sono i motivi
ricorrenti che causano tali incidenti». Nel frattempo alcuni interventi sul
fronte della sicurezza stradale, richiesti con insistenza negli anni precedenti
dai parlamentini rionali, sono già diventati esecutivi e sono ormai prossimi
alle necessarie gare d'appalto: si tratta di attraversamenti, con annesse isole
pedonali, che verranno predisposti in via Locchi, via Flavia e viale Miramare,
in punti dove in passato si sono verificati degli investimenti.
Massimo Greco e Luca Saviano
IL PICCOLO - VENERDI', 4 agosto 2017
In treno a Fiume e Pola, bello e impossibile quanto a
costi - La lettera del giorno di Fulvio Zonta
Periodicamente compare la proposta di nuovi treni viaggiatori su stazioni a
noi care: ecco proposte per Fiume e Pola. Proviamo ad esaminare la fattibilità
di tali treni. Prima soffermiamoci un attimo sulle regole. Con le nuove
normative europee dal 1999 è caduto l'obbligo al trasporto ovvero quando
bisognava trasportare tutto/tutti ovunque. Vige la convenienza economica che
assieme alla richiesta di trasporto spinge un'impresa ferroviaria ad aprire un
servizio. Il traffico locale è pesantemente penalizzato dai costi e tiene
lontani i vettori. In Europa nessuno campa con i treni locali, servono alle
volte per acquisire asset più appetibili. Ai tempi di Moretti i dati erano
questi : Redditività trasporto locale ferroviario in Italia :0.12
cent/km/passeggero, su gomma 0,18 , in Europa 0,22 in Gran Bretagna 0.24 più la
locomotiva. Moretti che si trovò una pesante eredità sosteneva di poter dare una
buona offerta se la redditività su gomma fosse stata pagata come quella su
strada. Dunque i vettori storici si tengono bene alla larga dal trasporto
locale, le Regioni sovvenzionano una parte del costo del biglietto o acquistano
materiale rotabile, alla fine generalmente alle gare compare solo Trenitalia. Vi
ricordate i proclami di Montezemolo quando diceva che con Ntv sarebbe arrivato
in Fvg ? Cinque anni dopo i suoi proclami avete visto qualche treno Ntv in
regione ?Acquistare un treno Trieste Fiume o Pola vuol dire accedere con un pool
di imprese alla conferenza oraria internazionale e richiedere le tracce,
garantirne l'effettuazione per un numero congruo di giornate , sopportarne i
costi da ammortizzare tra quanti viaggiatori ? Tra HZ (Ferrovie Croate), SZ
(Ferrovie Slovene) e Trenitalia a chi gioverebbe il business ?Via ferrovia
Trieste Pola sono 171km (+41% rispetto alla strada), Fiume km 127 (+67%) . In
realtà il percorso orario via ferro è molto più lungo per le formalità ai
transiti . Anche usando moderne motrici a trazione termica non andremmo lontano.
Ultimo, ma non da meno, è necessario dotare le locomotive di un costosissimo
sistema di sicurezza per poter viaggiare sui 31 km della Villa Opicina Trieste.
Da non dimenticare la concorrenza di bus low cost che con efficacia svolgono il
servizio. Quanto dovrebbe costare il biglietto ? Chi metterebbe la differenza
tra il prezzo appetibile e i costi?
IL PICCOLO - GIOVEDI', 3 agosto 2017
Serracchiani al console sloveno - «La Regione è contraria al rigassificatore»
Non cambia la posizione della Regione Friuli Venezia Giulia rispetto al progetto di costruire un rigassificatore nel Golfo di Trieste. La decisa contrarietà dell'amministrazione regionale - riferisce la giunta regionale con una nota - è stata ribadita oggi, nel capoluogo giuliano, dalla presidente Debora Serracchiani durante l'incontro conoscitivo con il nuovo console generale della Repubblica di Slovenia a Trieste, Vojko Volk. Il punto di vista della Regione, ha spiegato Serracchiani, è motivato soprattutto dalle prospettive di sviluppo del Porto di Trieste, le cui attività non sono compatibili con la presenza in mare di un'infrastruttura di tale rilievo. Dal console è quindi giunto l'apprezzamento per l'orientamento della Regione che rende ancora più forte l'intesa tra la Slovenia e il Friuli Venezia Giulia. Volk ha infatti evidenziato come Lubiana tenga molto alla cooperazione transfrontaliera. «Veniamo da una collaborazione molto stretta - ha detto Serracchiani - che ci ha permesso di far ripartire le attività del Comitato congiunto tra la nostra regione e la vicina Repubblica».
«Il Parco del mare scommessa incerta per attrarre turisti» I dubbi degli esperti del “think tank” dell’ex sindaco Cosolini
Il principale problema sarebbe costituito dalla quantità minima di visitatori necessari per ottenere una redditivita' - Promossa invece la prospettiva del Centro congressuale
Dubbi sul Parco del mare, una visione ottimistica per il Centro congressi. Sono le due posizioni emerse dalla presentazione delle relazioni dell'incontro "L'impatto degli attrattori turistici: i casi Acquario e Centro congressi", organizzata nel luglio scorso dall'associazione Luoghi comuni, animata dall'ex sindaco e presidente Roberto Cosolini. All'incontro, di fronte a un pubblico di circa 150, intervennero oltre a Cosolini, il vicepresidente regionale Sergio Bolzonello e i ricercatori Vittorio Torbianelli e Gianfranco Depinguente.Le relazioni dei due tecnici sono state presentate ieri in un incontro al caffè San Marco e saranno disponibili da oggi sulla pagina Fb dell'associazione. Dice Cosolini: «Il nostro non è un "no" al Parco del Mare. Sottolineiamo dei nodi da sciogliere, anche se in questa città chi lo fa viene spesso fatto passare per chi non vuol fare le cose. Che poi non si realizzano proprio perché sono state affrontate con semplificazioni e unanimismi di facciata».Depinguente nel suo testo prende in analisi, criticandolo, il piano finanziario dell'acquario, e qualifica come improbabile l'afflusso da 800mila visitatori l'anno necessario alla sostenibilità del progetto. In ogni caso, spiega, la redditività della struttura non sarebbe tale da renderla attraente. Queste le sue conclusioni: «Il progetto nel suo insieme sembra presentare forti elementi di difficoltà che non lasciano prevedere una redditività appetibile per gli investitori. Sembra piuttosto un'opera pubblica alla ricerca di un gestore del servizio da svolgere». Un'opera pubblica, aggiunge, «che dovrebbe farsi carico delle perdite, permettendo invece al gestore utili non disprezzabili. Posto che le proprietà saranno diverse tra società di gestione e società di realizzazione, in pratica si ipotizza un utile per il privato investitore e una perdita per gli enti pubblici coinvolti. Il principale problema è costituito dalla quantità minima di visitatori necessari per ottenere una redditività. Infatti, con meno di 800mila visitatori, la gestione produrrebbe perdite. L'iniziativa è dunque a forte rischio di insuccesso». Nella sua relazione Torbianelli rileva come esistano modelli molto diversi di acquari in giro per il mondo, citando ad esempio l'esperienza di successo di un piccolo acquario giapponese dedicato alle meduse. Il tecnico rileva la necessità di «analisi costi-benefici integrate svolte da terzi secondo le prassi per gli investimenti pubblici e privati». La relazione di Torbianelli prende poi in analisi l'andamento positivo del mercato congressuale. Commenta Cosolini: «Il progetto del Centro congressi, visto anche il blocco del progetto Silos, merita in questa fase uno sforzo da parte delle istituzioni per costruire rapidamente le condizioni di una sua fattibilità». Quanto al Parco, il presidente di Luoghi comuni chiede di ragionare sulle «incognite economiche» della gestione e sulla posizione fra Porto Lido e Portovecchio: «Nel vecchio scalo sorgeranno Immaginario scientifico e Museo del Mare, teniamone conto». Questa la chiosa: «L'idea dell'acquario è del 2004. Dovrebbe aprire nel 2022 e pareggiare in vent'anni. Forse è meglio uscire da un impianto tradizionale che in questo tempo potrebbe rivelarsi obsoleto. La "sostenibilità etica" e le nuove tecnologie potrebbero portarci a fare qualcosa di veramente nuovo».
Giovanni Tomasin
I comitati smobilitano: «Mollati dal Comune» - Presidio
anti Ferriera finito tra le polemiche. Dipiazza: «Procediamo verso la chiusura
dell'area a caldo»
La rabbia e l'orgoglio. La rabbia: si sentono letteralmente presi in giro
dal sindaco Roberto Dipiazza. Traditi dalle sue promesse. L'orgoglio: la lotta
continuerà in altre forme, magari con una mega manifestazione sullo stile di
quelle già viste a Trieste, con migliaia di cittadini in strada. Come
annunciato, il popolo anti-Ferriera ieri ha concluso l'esperienza del presidio
permanente, prima allestito in piazza Unità e poi in via delle Torri, per ben 43
giorni. Ma l'ascia di guerra, per la chiusura dell'area a caldo, è tutt'altro
che sotterrata. Comitato 5 dicembre, No-smog e Fareambiente, dunque, non
mollano. Le tre associazioni hanno preparato un dossier di 82 pagine che
racchiude quanto il Comune ha messo o non messo in campo per fronteggiare
l'annosa questione dell'inquinamento dello stabilimento. Ma cos'è accaduto nei
rapporti con la giunta, fino a poco tempo fa idilliaci? «Siamo al punto zero»,
ha sintetizzato Alda Sancin di No-Smog. Andrea Rodriguez del Comitato 5
dicembre, parlando dal tendone di via delle Torri a fianco di Barbara Belluzzo,
ha chiarito: «Il nostro presidio è nato da un accordo pubblico preso con il
Comune durante l'assemblea del 24 maggio, secondo cui il Comune avrebbe dovuto
far uscire un "atto forte" e noi l'avremmo supportato per fare in modo che la
Regione accettasse di annullare l'Aia o di revisionarla. E portasse, durante
questa revisione, la produzione ai minimi possibili».«Visto che questo atto non
arrivava mai - si legge nel dossier - abbiamo deciso di partire lo stesso per
smuovere l'immobilismo di tutti, Comune compreso». Nel corso dei 43 giorni si è
visto di tutto, tra cui la diffida della Regione e i cinque spolveramenti. La
giunta, di fronte a tutto ciò, «ha cominciato a prendere le distanze dalla
protesta. Si è allontanata, fino a mollarci». Sono vari i quesiti sollevati.
«Come mai - ha scandito Rodriguez - il Municipio non ha mai chiesto un supporto
legale e medico esterno? Qual è la strategia del Comune? Non abbiamo mai
ricevuto una risposta chiara. Forse non esiste». Dipiazza ha ribattuto:
«L'azione del Comune è sempre incisiva e puntuale. Procediamo con gli atti per
arrivare alla chiusura dell'area a caldo che non è compatibile con la salute dei
cittadini e lavoratori. Le azioni messe in atto hanno già prodotto effetti
importanti. Si procede con gli atti per la tutela della salute di cittadini e
lavoratori».
Gianpaolo Sarti
I grillini lanciano le città verdi in Fvg - Proposta di
legge: incentivi per alberi e innesto di piante su edifici
TRIESTE - Città con più alberi e dotate di edifici innovativi, con tetti e
pareti ricoperti di vegetazione. Il Movimento 5 Stelle chiede di rendere
maggiormente vivibili i contesti urbani del Friuli Venezia Giulia e l'aumento
del verde non è considerato stavolta solo questione estetica o di aggregazione,
ma anche cardine dell'azione di resistenza a riscaldamento globale e
inquinamento. Una proposta di legge regionale, che i pentastellati hanno
depositato e presentato ieri, prevede allora incentivi per l'impianto di nuovi
alberi e per l'innesto di piante sulle superfici degli edifici nuovi o da
ristrutturare. I grillini sognano in pratica di fare come a Liuzhou,
nell'inquinata Cina, dove sta sorgendo un nucleo urbano nella forma di una vera
e propria città-foresta, progettata dall'architetto italiano Stefano Boeri. Il
piano è avveniristico e prevede che uffici, case, alberghi, ospedali e scuole
siano interamente ricoperti di alberi e piante. Un'area verde popolata da 30mila
abitanti, i cui edifici saranno capaci di assorbire Co2 e polveri sottili,
producendo in cambio nuovo ossigeno. Facciate verdi non mancano peraltro a
Berlino e Torino, per non dire di Madrid, dove il Comune ha piantato sul tetto
di alcuni autobus pubblici.Il M5s non ha mire così rivoluzionarie ma tenta la
politica green dei piccoli passi, lanciando un ponte verso il centrosinistra,
invitato da Elena Bianchi a recepire la proposta, «perché sono evidenti le
sintonie con il Piano paesaggistico regionale presentato poche settimane fa
dalla giunta Serracchiani. Spesso rielaborano le nostre idee negando ogni
attinenza: speriamo facciano così anche stavolta». Ilaria Dal Zovo evidenzia a
sua volta che le piante «forniscono numerosi servizi ecosistemici, quali il
controllo delle acque superficiali, la conservazione della biodiversità, la
regolazione del microclima, la mitigazione del calore e il miglioramento della
qualità dell'aria». La riflessione parte dalla considerazione che in città la
temperatura è mediamente 4 gradi più alta del circondario e che le piante,
trattenendo acqua e rilasciando umidità, possono diventare strumento di
regolazione. Non manca il riferimento al «fitorimedio che potrebbe eliminare
l'inquinamento dai terreni, come dimostra il caso dei giardini di Trieste»,
evidenzia Dal Zovo.Ai finanziamenti per l'impianto di alberi e la creazione di
tetti e facciate green, la proposta somma l'organizzazione di corsi per
amministratori e tecnici, incentrati sul rafforzamento delle aree verdi, degli
spazi aperti, delle piste ciclabili, delle pedonalizzazioni e degli orti urbani.
Di particolare rilevanza, da questo punto di vista, sarebbe pure l'impiego di un
indice di qualità ambientale, già in uso a Bologna e Bolzano, denominato
"Riduzione dell'impatto edilizio", con cui si potrebbe certificare la qualità
della costruzione, valutando anzitutto il ruolo delle metodologie "green"
eventualmente impiegate.
Diego D'Amelio
«La Regione paghi i danni dei cinghiali» Gli
agricoltori triestini battono cassa con una lettera all'assessore Panontin:
«Risarcimenti totali o dovremo lasciare i campi»
TRIESTE - L'Associazione Agricoltori chiede alla Regione di rifondere in
toto i danni provocati alle colture dalla selvaggina. E lo fa con una lettera
aperta, rivolta all'assessore regionale alla caccia e risorse ittiche, Paolo
Panontin, in cui viene dettagliatamente descritta la delicata situazione in cui
versano gli agricoltori triestini. «La selvaggina sta da tempo provocando seri
danni a pascoli, colture e orti triestini - spiegano dall'associazione - e con
il clima bollente di questi giorni dobbiamo prepararci all'incursione di
uccelli, caprioli e cinghiali che, a causa della siccità, hanno già iniziato a
cercare sollievo nelle vigne e in altri poderi». «Questa situazione si protrae
ormai da una quindicina d'anni - si legge nel documento - con gli animali
selvatici che incrementano di anno in anni le proprie incursioni sino alle porte
del centro cittadino».«In alcuni punti del costone carsico e sulle colline che
circondano il capoluogo - spiega il segretario regionale dell'associazione, Edi
Bukavec - i cinghiali distruggono muretti a secco e recinzioni per ristorarsi
sui terrazzamenti. È una situazione insostenibile, anche perché molte persone
stanno meditando di abbandonare campi e vigneti per l'ingente ammontare dei
danni provocati». Danni che, secondo l'associazione, la Regione indennizza con
uno strumento, il "de minimis", che liquida l'agricoltore che ha subito delle
incursioni per un importo non superiore ai 15mila euro in tre anni. Questo
significa, per esempio, che se un viticoltore subisce perdite per 20mila euro,
5000 non potranno essere rifusi.«Il criterio è ingiusto - afferma il presidente
dell'Associazione Agricoltori Fran Fabec - e deve essere rivisto. In seconda
battuta chiediamo alla Regione di provvedere anche a una gestione oculata della
selvaggina. Non chiediamo contributi e non vogliamo assistenzialismo - continua
Fabec -, ma vogliamo che l'amministrazione responsabilizzi in modo incisivo i
cacciatori, cioè coloro che devono mettere in pratica la gestione faunistica
delle nostre aree naturali». Sta su questo versante, secondo l'associazione, il
punto dolente della situazione odierna nelle campagne, con le riserve di caccia
incapaci di rispettare i piani di abbattimento programmati. Senza dei puntuali
prelievi venatori - secondo la Kmecka - si favorisce l'aumento della popolazione
di cinghiali e caprioli che, inevitabilmente, insidiano colture e pascoli per
poter sopravvivere. Agli ungulati si deve aggiungere ancora l'impatto esercitato
su frutta e uva dai volatili, ora sempre più in difficoltà per le forti calure.
«Per tutte queste ragioni - puntualizza Franc Fabec - chiediamo delle pronte
risposte in merito alla gestione della selvaggina. Chiediamo attenzione pure al
Prefetto e ai sindaci delle nostre comunità: così non è possibile continuare».
Maurizio Lozei
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 2 agosto 2017
«Parchi minerali coperti in quattro anni» - Annuncio
del gruppo Arvedi alla Conferenza dei servizi. Il Comune: «Troppi». Il
retroscena della guerra a colpi di lettere
Siderurgica triestina ha presentato ieri in conferenza dei servizi il piano
per la copertura dei parchi minerali, che dovrebbero venire completati non prima
di quattro anni. È il nuovo capitolo della partita che nelle ultime settimane ha
visto un botta e risposta a suon di lettere tra azienda, Comune e Regione,
mentre dallo stabilimento si sono alzate più volte nubi nere a oscurare il
golfo. La copertura dei parchi minerali dovrebbe servire a impedire proprio
questo fenomeno. Il progetto che la proprietà ha illustrato ieri a tutti i
soggetti che hanno partecipato al procedimento di rilascio dell'Aia (oltre alla
Regione, il Comune, l'Azienda sanitaria, l'Arpa e i vigili del fuoco) è stato
presentato nei primi giorni di luglio, a seguito di diffida notificata il 7
marzo dalla Regione, dopo che un primo testo era stato ritenuto non idoneo.
L'azienda ha spiegato che il progetto prevede due fasi di realizzazione: una
prima fase (stimata in circa due anni) necessaria per l'elaborazione dei
successivi livelli di progettazione e per l'ottenimento delle autorizzazioni; e
una seconda fase (stimata sempre in due anni) per l'esecuzione delle opere.
L'intervento prevede la realizzazione di due capannoni alti circa 40 metri e
lunghi circa 280 metri. Il costo previsto è di oltre 28 milioni di euro. Tutti i
presenti alla conferenza hanno chiesto chiarimenti e precisazioni. A settembre
si terrà un'ulteriore incontro in cui tutti gli attori si esprimeranno sul
progetto. Il Comune sospende il giudizio fino a quella data, anche se fa sapere
di non ritenere accettabile il cronoprogramma presentato dall'azienda, ovvero
l'idea che debba passare un quadriennio intero prima della conclusione dei
lavori. I tecnici comunali hanno rivolto due domande a Siderurgica triestina.
Per prima cosa hanno chiesto all'azienda come mai ha presentato ora un progetto
di copertura, se mesi fa ciò non era considerato fattibile. La seconda domanda
verteva su cosa intende fare il gruppo Arvedi per evitare nuovi spolveramenti in
questi teorici quattro anni. Una richiesta a cui i rappresentanti della
proprietà hanno risposto che si confronteranno con Arpa per identificare una
posizione. Risposta che il Comune non considera soddisfacente. A tal proposito
la Regione ricorda che, nel provvedimento di diffida del marzo scorso, «aveva
anche esplicitamente disposto che nelle more della realizzazione la società
adotti ulteriori ed efficaci misure di mitigazione dello spolveramento utili per
il contenimento delle emissioni diffuse». A settembre i membri della Conferenza
dovranno dire se il progetta risponde alle richieste dell'Aia. In caso di esito
favorevole la proprietà potrà avviare l'iter autorizzativo, che prevede il
coinvolgimento anche della Soprintendenza, dell'Agenzia delle Dogane e dei
ministeri competenti. Nel frattempo la presidente della Regione Debora
Serracchiani annuncia, dopo un incontro con la sindaca di Muggia Laura Marzi,
che i monitoraggi sull'impatto della Ferriera verranno estesi anche alla
cittadina istriana. Gli scambi fra i protagonisti della vicenda proseguono ormai
da settimane. Risale al 10 luglio scorso una lettera, resa pubblica solo negli
ultimi giorni, con cui il direttore dello stabilimento scrive a Serracchiani e
al sindaco che la riduzione di produttività imposta dalla diffida «comporta un
aggravio economico non sostenibile». L'azienda concludeva la lettera dicendo di
ritenere «necessario e urgente» sapere «quanto prima come procedere in termini
risolutivi di quanto imposto dalla diffida al fine di consentire una tempestiva
comunicazione ufficiale alle organizzazioni sindacali». Al tempo stesso
l'azienda presentava ai sindacati un prospetto biennale di interventi sull'area
a caldo. Un documento ritenuto insufficiente dalle sigle. La missiva a Regione e
Comune, dicono fonti d'azienda, non ha ricevuta risposta diretta. In compenso il
Comune ha inviato una lettera (anch'essa resa pubblica da poco) in cui scrive
alla Regione e per conoscenza a ministero e Presidente della Repubblica.
«L'azienda prospetta palesemente un ricatto occupazionale per non ottemperare ad
un requisito necessario ma, forse, non sufficiente alla tutela della salute
pubblica». Chiede quindi l'avvio di un'azione legale per inadempienza
contrattuale, la sospensione dei finanziamenti pubblici all'azienda, la
«verifica delle garanzie fidejussorie prestate per una eventuale azione di
bonifica» degli impolveramenti. Il confronto continua.
Giovanni Tomasin
Il "5 dicembre" rompe con Dipiazza - Si chiude oggi il
presidio con la presentazione di un dossier critico verso la giunta
Il comitato 5 Dicembre annuncerà oggi in conferenza stampa la fine del suo
presidio, proseguito per oltre un mese e mezzo nel centro città. E lo farà con
un dossier di 80 pagine in cui riassume i rapporti
comitato-Comune-Regione-Ferriera dell'ultimo anno. Si tratta di un documento
molto critico nei confronti della giunta. Il comitato ricorda che il presidio
nasceva da un accordo con l'ente: «Il Comune avrebbe fatto uscire un atto forte
e noi l'avremmo supportato con la piazza in modo da fare in modo che la Regione
accettasse di annullare l'Aia». Visto che questo atto non arrivava mai, prosegue
il testo «abbiamo deciso di partire lo stesso per smuovere l'immobilismo di
tutti, Comune compreso. In 43 giorni è successo di tutto: diffida della Regione,
5 spolveramenti con mostruose nubi di polvere, la lettera "segreta" del
direttore di stabilimento». Dal canto suo, dice il comitato, il Comune «ha
cominciato gradualmente a prendere le distanze dalla protesta. Più abbiamo
chiesto la sua presenza, più si è allontanato fino a "mollarci" definitivamente,
arrivando a non nominare neppure il presidio nell'ultimo consiglio comunale». Il
comitato decide quindi di chiudere l'esperienza del presidio, rivendicando
«l'accelerazione» impressa alla vicenda Ferriera e pubblicando il rapporto su
quanto avvenuto negli ultimi 14 mesi: «È un documento completo ed esaustivo di
ogni minima azione fatta e non fatta dal Comune con il quale abbiamo collaborato
e che ora deve non solo a noi ma alla città intera un chiarimento parimenti
completo ed esaustivo di tutte le già citate questioni irrisolte. Usciamo
vincitori da 43 giorni che sono stati un'esperienza unica di lotta e di crescita
e che ci faranno arrivare più determinati e forti che mai ad un autunno che si
preannuncia caldissimo».
(g.tom.)
Nasce la rete bici degli operatori del Carso -
Itinerari e pacchetti a misura di cicloturisti
È nata la rete bici degli operatori di Carso, Breg e Muggia, sviluppata con
l'aiuto del Gal Carso. Si tratta di un primo passo di un progetto più ampio che,
entro il 2020, punta ad aumentare la qualità dei servizi offerti a turisti e
residenti, investire su almeno 50 bici elettriche a disposizione dei turisti,
nonché a promuovere sul mercato europeo tour e pacchetti turistici organizzati
dal tessuto economico locale. Concretamente ora i sette operatori della nuova
rete bici del territorio iniziano, con il Gal, a pubblicizzare gli attuali punti
bici costituiti dagli stessi operatori, una serie di itinerari "chiave" del
territorio, le guide turistiche in bici a disposizione. Per questa attività di
promozione saranno distribuiti flyer in tutte le strutture turistiche di
campagna e città. Sarà attivata una prima campagna web e sui social media. Da
settembre, partirà invece il lavoro per un nuovo sviluppo della rete bici con in
calendario, tra le altre cose, la presenza a due fiere specializzate in Germania
e in Austria.
Riattivare la ferrovia Trieste-Pola e Trieste-Fiume -
La lettera del giorno di Paolo Radivo
Raggiungere Pola e Fiume via treno dall'Italia (e viceversa) è in pratica
impossibile. Infatti, dopo la dissoluzione della Jugoslavia furono
inopinatamente soppresse le tratte ferroviarie Trieste-Pola e Trieste-Fiume, non
più ripristinate dopo l'ingresso della Slovenia (2004) e della Croazia (2013)
nell'Ue. Appena nel dicembre 2013 venne riavviata la tratta Pola-Lubiana e dal
dicembre 2015 la Opicina-Lubiana, anch'esse in precedenza cancellate. Così oggi
per raggiungere dall'Italia Pola o Fiume bisogna prendere il treno, assai poco
frequente, da Opicina (non da Trieste!) per Lubiana e poi la coincidenza,
perdendo una quantità di tempo spropositata. Dunque una soluzione impraticabile.
Meglio lasciar perdere e puntare sul pullman, se non si può o vuole usare
l'auto. Si stava meglio quando si stava peggio. Infatti, cessata la Jugoslavia,
l'adeguamento di Slovenia e Croazia agli standard politici europei ha
corrisposto a un allontanamento tra Croazia e Italia (oltre che tra Slovenia e
Italia) sul piano dei trasporti ferroviari, sia passeggeri sia merci. Un
assurdo. Eppure le ottocentesche linee Trieste-Pola e Trieste-Fiume esistono
ancora, sebbene risultino lente in quanto tortuose e perlopiù a binario unico
e/o non elettrificate. Ma si potrebbe ammodernare e riattivare entrambe
ricorrendo anche ai fondi Ue per progetti transfrontalieri tra Croazia, Slovenia
e Italia. Così si ridurrebbe un po' il congestionamento ai valichi
sloveno-croati istro-quarnerini, come pure il volume complessivo di traffico
sulle strade specie in estate e nei fine settimana, nonché l'impatto ambientale.
Inoltre s'intensificherebbero rapporti e scambi tra questi territori limitrofi,
specie in vista dell'ingresso della Croazia nell'Area Schengen. Benefici anche
per le località minori attraversate dalle due linee ferroviarie. Dunque un
vantaggio non trascurabile per i pendolari, oltre che una valida alternativa per
i turisti più ecologici. Perché non pensarci seriamente, invece d'insistere
sull'impattante trasporto su gomma?
IL PICCOLO - MARTEDI', 1 agosto 2017
Arvedi: «Venti assunzioni al laminatoio di Servola» L’azienda rassicura i sindacati durante l’incontro al ministero dello Sviluppo Conferenza dei servizi a breve.
Ieri a Roma il tavolo sulle prospettive occupazionali dello stabilimento industriale chiesto dai rappresentanti dei lavoratori - Il Municipio insiste sulla chiusura dell’area a caldo
Una ventina di nuovi addetti per il laminatoio di Siderurgica Triestina. Le attrezzature sono già arrivate nel comprensorio della Ferriera di Servola e ora si attende la Conferenza dei servizi per mettere a punto il progetto. Lo si è appreso ieri a Roma dove, su richiesta delle organizzazioni sindacali, si è tenuto, presso il ministero dello Sviluppo economico (Mise), un incontro con all’ordine del giorno proprio le prospettive dello stabilimento siderurgico della Ferriera di Servola. L’incontro - come si è saputo in serata quando è stato diffuso un lungo comunicato da parte della Regione - era finalizzato a comprendere le intenzioni della proprietà anche a seguito di due lettere in cui Siderurgica Triestina lamentava la riduzione di produzione imposta dalla Regione per ridurre le emissioni dell'area a caldo e un rallentamento del via libera all’ampliamento del laminatoio a freddo. Secondo i sindacati in entrambe le lettere veniva messo in discussione il futuro dell'impianto, con evidenti ricadute occupazionali. All'incontro romano hanno preso parte Giampiero Castano per il Mise, rappresentanti nazionali e locali dei sindacati, l'assessore regionale Paolo Panontin, il segretario generale del Comune di Trieste Santi Terranova e Francesco Rosato per Siderurgica Triestina. Il confronto di ieri fa seguito a quello di fine giugno tra gli stessi sindacati e la presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, nel corso del quale a Siderurgica triestina era stata sollecitata la presentazione di un piano industriale dettagliato, che renda possibile una valutazione approfondita rispetto agli impegni presi per tener fede alle previsioni dell'Autorizzazione integrata ambientale (Aia), specie per quel che riguarda la riduzione delle emissioni in atmosfera e dei rumori. In proposito, nell'incontro di ieri al Mise, Siderurgica Triestina ha ricordato che finora a Servola sono stati investiti 137 milioni di euro finalizzati ad ammodernare l'impianto e a rilanciarne l’attività. Sottolineando come la limitazione della produzione si traduca in un danno economico per il bilancio aziendale e in una difficoltà a programmare l’approvvigionamento delle materie prime, Siderurgica ha confermato che si stanno attuando e saranno completati entro settembre alcuni previsti interventi manutentivi sull'altoforno, che prossimamente sarà anche interessato come è noto da un breve blocco della produzione. Confermati anche altri interventi, previsti nel biennio 2018-2019, sempre nell'area a caldo, per quattro milioni di euro. C’è poi, invece, il nuovo progetto. Per quanto riguarda il laminatoio, l'azienda ha reso noto che le attrezzature sono ormai arrivate e si attende la convocazione della Conferenza dei Servizi per avviare un'opera in grado di dare occupazione a oltre una ventina di nuovi addetti. Se il direttore generale del Comune di Trieste Terranova ha annunciato il parere positivo all’ampliamento, pur ricordando che il Comune di Trieste ritiene che la chiusura dell'area a caldo vada nell’interesse della salute dei cittadini, secondo l’assessore Panontin, «in tutta questa vicenda la Regione ha mantenuto una posizione lineare e sempre coerente». Per Panontin infatti la Regione «fin dall'inizio ha definito come imprescindibile il rispetto delle regole imposte dall’Aia alla proprietà, nel prioritario interesse di tutela della salute dei cittadini e della salvaguardia dei livelli occupazionali e, parallelamente, attraverso la direzione dell’Ambiente ha diffidato la proprietà a ridurre la produzione quando, in presenza di sforamenti puntualmente rilevati dal monitoraggio continuo effettuato dall'Arpa, quelle regole non sono state rispettate». Meno lineare secondo l'assessore regionale - si legge nella lunga nota diffusa nella serata di ieri dall’amministrazione Serracchiani - la posizione del Comune di Trieste che, ha sottolineato Panontin, «nonostante le dichiarazioni sulla chiusura dell’area a caldo, poi è tenuto, come tutti, al rispetto delle regole e delle norme condivise». «Continuano naturalmente i controlli», la chiosa del rappresentante della giunta Serracchiani, il quale ha ricordato anche il recente accordo con l’Istituto superiore di sanità per analizzare lo stato di salute della popolazione residente nell’area. Riscontrando che sono in corso alcuni procedimenti, anche amministrativi, che riguardano il laminatoio e la copertura richiesta dei parchi minerali, il rappresentante del Mise ha assicurato che anche il ministero monitorerà attentamente la situazione e ha riconvocato l’odierno tavolo per il 28 settembre.
Nasce a Muggia l'alleanza bipartisan sull'ambiente
MUGGIA - «È davvero inconcepibile che nel 21esimo secolo l'incolumità di un
intero territorio si trovi sotto scacco, come in una roulette russa, dalle
polveri ed emissioni di uno stabilimento come quello della Ferriera di Servola».
I consiglieri comunali muggesani Stefano Norbedo, Andrea Mariucci, Giulia
Demarchi (Forza Muggia-Dpm), Nicola Delconte (Fratelli d'Italia) e Giulio
Ferluga (Lega Nord) hanno commentato le ripercussioni delle polveri a Muggia
«che non si possono più definire occasionali ma hanno assunto una frequenza
inammissibile». Gli esponenti dell'opposizione hanno commentato le parole del
sindaco Laura Marzi: «Se intenderà portare avanti un'azione concreta volta alla
tutela della salute dei cittadini, potrà sicuramente contare sulla nostra
collaborazione». E sul futuro dei lavoratori della Ferriera? Il centrodestra non
ha dubbi: «Al tavolo tecnico indetto dal sindaco non dovrà mai venire meno
l'attenzione verso di loro. Siamo certi che la loro ricollocazione, dovuta alla
chiusura dell'area a caldo, sia praticabile anche alla luce delle nuove
opportunità offerte dallo sblocco del porto».
(tosq.)
IL PICCOLO - LUNEDI', 31 luglio 2017
Mare - I predatori del Golfo non demordono - Fuorilegge
mezza tonnellata di pesce
TRIESTE - Un po' per ignoranza, un po' per spirito "d'avventura".
D'altronde, una bella orata da portare a casa la sera, da servire con il
contorno di patate, a chi non fa gola? La pesca subacquea "fai da te", a pochi
metri dalle spiagge o, peggio, nelle zone marine protette, è un fenomeno
tutt'altro che sconosciuto, nel Golfo di Trieste, da Muggia fino a Monfalcone. E
capita pure che il pescato non sempre finisca nel forno di casa, ma vada dritto
nei ristoranti o nelle pescherie. Ignoranza e voglia "d'avventura", insomma, ma
a volte pure disonestà. Il caso del turista tedesco sorpreso pochi giorni fa dai
bagnanti nello specchio d'acqua della Riserva di Miramare a Trieste, armato di
fucile, ha alzato i livelli di allarme. Ma non è l'unico esempio di "predatore
del mare". Tra il 2016 e questa prima parte del 2017 la Capitaneria di porto ha
pizzicato trentacinque furbetti della domenica. A cominciare dall'anno scorso,
quando in almeno tre circostanze i militari hanno sorpreso altrettanti sub alla
ricerca di prelibatezze in acque vietate. Lo facevano nel tratto riservato alla
balneazione, cioè all'interno dei 500 metri dalla battigia. Per tutti è scattata
una sanzione di duemila euro, oltre al sequestro dell'attrezzatura. «Il motivo
per cui vengono commessi questi illeciti - spiegano dalla Capitaneria di porto
il capitano di vascello Ugo Foghini della Capitaneria e il capitano di fregata
Marco Parascandolo, capo di servizio Polizia marittima - può derivare anche
dalla mancata conoscenza delle norme. Questo capita soprattutto ai turisti
stranieri o provenienti da altre regioni». Per lo stesso illecito, in un'area
protetta come appunto Miramare, cioè tutto il perimetro delimitato della boe
gialle che va dal porticciolo di Grignano fino al moletto che confina con lo
stabilimento di Sticco, parte anche la denuncia all'autorità giudiziaria.
Ammontano a trentadue, invece, le violazioni alle norme su pesca professionale e
commercializzazione del pescato, compreso il "novellame". Qui, codice alla mano,
c'è un po' di tutto: oltre alle zone vietate, rientrano pure le multe per
l'utilizzo di attrezzi non consentiti, o la vendita nelle pescherie, nei locali,
o addirittura attraverso il mercato ittico. Dove si pesca? Soprattutto a Barcola
o nei pressi delle scogliere di Grignano e Santa Croce. O in porto: Siot, Molo
Settimo, Ausonia, o nei paraggi della stessa Capitaneria. Branzini, orate,
dentici, saraghi o vongole, in abbondanza e di qualità, nei punti più riparati.
Come gli anfratti o, come avvenuto con il sub tedesco, le aree protette. O,
ancora, nei dintorni degli allevamenti di mitili, da cui i pesci sono
attratti.«Tutto ciò può finire in diversi canali - commenta Guido Doz,
rappresentante dell'Associazione generale cooperative italiane pescatori - ma
stiamo comunque parlando di un fenomeno che in passato era più importante, ma
che ora grazie ai controlli è meno vistoso». C'è poco da scherzare: le sanzioni
possono variare dai mille ai 75mila euro a seconda della quantità, con il
rischio persino di chiusura dell'attività per le pescherie. Gli illeciti si
scoprono con i controlli, tanto delle autorità militari quanto di quelle
sanitarie, ormai piuttosto rigidi in termini di etichettature e tracciabilità.
Circostanze, per quanto esistenti, che tendono tuttavia a calare, a sentire la
Federazione italiana pubblici esercizi. «Sono finiti i tempi degli acquisti
sottobanco: se c'è qualche pescatore abusivo che vende direttamente ai
ristoranti parliamo di casi isolati», afferma in effetti il presidente
provinciale della Fipe Bruno Vesnaver. «L'obbligo della tracciabilità del
prodotto e le esigenze di sicurezza dello stesso esercente indirizzano il 99%
dei gestori a rivolgersi solo a pescherie e grossisti». Anche la Capitaneria è
convinta di trovarsi di fronte a situazioni comunque marginali. «Il Golfo di
Trieste è una zona tendenzialmente tranquilla, anche se le infrazioni non
mancano di certo. E c'è un controllo "sociale" molto elevato, come testimoniato
da quanto accaduto davanti a Sticco l'altro giorno: i triestini sono i primi a
segnalare situazioni particolari», annotano i due graduati della Capitaneria
stessa. Tirando le somme, tra il 2016 e questa prima parte d'estate, le
pattuglie hanno sequestrato una ventina di attrezzi da pesca e ben 442 chili di
pescato privo della regolare etichettatura, oltre a un'imbarcazione. A cui si
aggiungono i 258 chili di ricci di mare, scoperti recentemente, e ulteriori 665
chili di tonno messi in vendita ma non tracciabili. Tra le ipotesi di reato,
sebbene non riscontrate a Trieste, figura pure l'asportazione di pezzi di
fondale. La pesca dei datteri, ad esempio, è considerata a tutti gli effetti un
danno ambientale. Ma i controlli in mare sono ben più estesi e non si limitano
al pescato: investono pure i casi di occupazione abusiva del litorale. Una
decina, in tutto, i reati contestati a questo proposito. La zona, come noto, è
demaniale e non manca chi si rifà la scaletta per l'accesso al mare o il
moletto. Anche una semplice passerella fai da te, non accompagnata dalle
autorizzazioni previste, si configura come illecito, con tanto di denuncia
all'autorità giudiziaria.
Gianpaolo Sarti e Pietro Comelli
IL PICCOLO - DOMENICA, 30 luglio 2017
M5S denuncia i bluff di Dipiazza sulla Ferriera -
Menis: «Non interviene nemmeno dopo gli spolveramenti». Le Rsu: «L'azienda
rispetti l'ambiente»
«Il sindaco ha dimostrato che non intende intervenire con urgenza, nemmeno
dopo gli spolveramenti degli ultimi tempi», dice Paolo Menis. Il gruppo del
consiglio comunale del M5S, affiancato dal consigliere regionale Andrea Ussai,
ha rivendicato ieri in conferenza stampa il contenuto della mozione urgente
sulla Ferriera approvata da tutto il consiglio, eccezion fatta per l'astensione
del Pd. Il capogruppo Menis ha dichiarato: «Dopo fatti tanti eclatanti e non più
"episodici" ci aspettavamo il pugno di ferro e un'ordinanza sindacale. Invece
Dipiazza si è limitato a elencare le lettere inviate ad altri enti perché
facciano loro qualcosa». Tanto più, ha aggiunto, che «il decreto sul Porto
franco apre nuove possibilità di sviluppo logistico per la proprietà» e quindi
altre possibili riflessioni sul futuro dell'area a caldo. Ussai ha ricordato di
aver presentato in consiglio regionale una mozione per la revisione dell'Aia. Ha
dichiarato la consigliere Elena Danielis: «L'ordinanza del sindaco chiedeva ad
Arvedi una relazione asseverata sull'impianto, ma quella pervenuta al Comune non
lo è. Chiediamo lo stop all'area a caldo fino al suo arrivo». Così invece
Cristina Bertoni: «Chiediamo anche l'intervento sui parchi minerali: non è
possibile che la città sia invasa da nubi che portano sostanze cancerogene. È
necessario inoltre un tavolo con tutte le istituzioni per il problema
occupazionale». Ha concluso Gianrossano Giannini: «Abbiamo visitato di recente
un impianto siderurgico di Linz, in Austria, per dimensioni analogo a quello
triestino. Lì città e fabbrica convivono perché molti anni fa è stato avviato un
processo di dialogo e confronto. Noi chiediamo la chiusura dell'area a caldo
perché le condizioni per una svolta simile qui non ci sono più: gli investimenti
andavano fatti molto prima e soprattutto manca l'atteggiamento. All'azienda
interessa solo l'aspetto economico, non la salute né l'ambiente». Sul tema
arriva anche un comunicato unitario delle Rsu della fabbrica: «Gli ultimi
episodi non sono giustificabili. Chiediamo alla proprietà di mettere in campo
tutte possibili contromisure per far in modo che non si verifichino più tali
situazioni, e che si inizino immediatamente i lavori di contenimento del
materiale a parco».
Giovanni Tomasin
IL PICCOLO - SABATO, 29 luglio 2017
Area a caldo e polveri - Botta e risposta in aula sul
futuro di Servola - Dipiazza rivendica la linea dura nei confronti della
Ferriera
M5S: «Nessuna azione concreta». Il Pd: «Un grande bluff»
Una lunga lista delle azioni compiute nei confronti della Ferriera
dall'inizio del mandato: è il rosario sgranato dal sindaco Roberto Dipiazza ieri
mattina in Consiglio comunale, convocato dall'assemblea a presentare il lavoro
fatto per la chiusura dell'area a caldo. Un elenco concluso, durante il
dibattito con il capogruppo M5S Paolo Menis, da un monito dipiazziano: «Durante
ogni mio mandato mi sono ritrovato a combattere questa battaglia. E visto che a
settembre avremo un incontro importante credo che arriveremo a un obiettivo», ha
detto il sindaco. Un annuncio sibillino, che però potrebbe alludere
all'imminente apertura di un tavolo di confronto a cui siedano, come minimo,
azienda, Regione e Comune. L'affiorare di una presa di un tentativo di contatto
in corso in queste settimane.In aula Dipiazza ha elencato tutti gli atti
compiuti dal 2016 a oggi: «In questi mesi, grazie a questa nostra azione di
controllo, verifica e informazione molte cose sono mutate e quel muro iniziale
che copre la realtà delle cose si sta via via sfaldando». Le diffide presentate
dalla Regione negli ultimi tempi «sono dello stesso tenore di quelle da noi già
richieste ma che all'epoca vennero rigettate. Le inottemperanze agli accordi che
noi da tempo segnaliamo ora sono oggetto di diffida da parte della Regione».
Dipiazza ha poi ricordato che solo la Regione può modificare l'Aia: «La nostra
azione è rivolta anche affinché questo avvenga». Ha concluso: «A Trieste il
gruppo Arvedi è il benvenuto e troverà la nostra disponibilità nello sviluppare,
e le condizioni in questo momento ed in prospettiva a Trieste ci sono,
un'attività industriale che non minacci la salute dei cittadini e dei lavoratori
come sta accadendo ora con l'area a caldo». Ha commentato Menis: «Dopo un anno
devo prendere anno che c'è un'assenza di azioni concrete. Non c'è stata nessuna
comunicazione di atti in corso o che saranno fatti in futuro. Gli episodi degli
ultimi giorni costituivano una base per una possibile ordinanza sindacale». Il
consiglio ha poi approvato (con qualche astensione) una mozione del M5S in cui
si chiede che «ove ci siano i presupposti di legge» (come imposto da un
emendamento targato centrodestra), il sindaco emetta una ordinanza sindacale che
sospenda l'attività dell'area a caldo e la messa in sicurezza del parco
minerali, oltre a fare pressione sulla Regione. Così la segretaria regionale e
consigliera del Pd Antonella Grim: «Sulla Ferriera Dipiazza e la sua maggioranza
stanno facendo uno scomposto teatrino: vogliano far credere di aver realizzato
qualcosa e mantenuto le promesse. In realtà non hanno fatto niente». Secondo
Grim «Dipiazza millanta sforzi che non ha fatto: è tutta fuffa. Siamo
addirittura arrivati alla farsa di discutere atti che non hanno alcuna valenza
giuridica, giusto per fare spettacolo e simulare un po' di impegno. Sulla
Ferriera è invece necessario essere seri. Se il sindaco vuole esercitare
veramente il suo ruolo, faccia ciò che gli compete, cioè costruire un dialogo
corretto e autorevole con la proprietà, cosa che sinora, tra video e
chiacchiere, non ha mai fatto». Infine: «Dipiazza si ricordi che è sindaco di
tutti: degli abitanti di Servola come dei lavoratori dello stabilimento. La
smetta di dire che l'area a caldo si potrebbe chiudere con la bacchetta magica,
che i lavoratori potrebbero fare gli impiegati in Comune dal giorno dopo, che
tutto sarebbe a posto con un colpo di spugna. Questa città ha bisogno di
serietà»
Giovanni Tomasin
Piano straordinario per i torrenti - Interventi di
manutenzione e pulizia in sette corsi d'acqua dal Rio Corgnoleto agli affluenti
del Farneto
Un piano da centocinquantamila euro per la manutenzione straordinaria e la
pulizia dei torrenti e ruscelli scoperti di Trieste da attuarsi tra il 2018 e
2019. L'amministrazione comunale ha dato il via libera a metà luglio a una serie
di lavori al fine garantire il regolare deflusso delle acque in questi corsi
d'acqua diventati "ricettacolo di ogni sorta di immondizie". Nella maggioranza
dei casi si tratta della pulizia degli alvei e della manutenzione delle sponde.
Se infatti la pulizia dei torrenti coperti spetta alla società concessionaria
del servizio di manutenzione e gestione della fognatura (ovvero AcegasApsAmga),
la cura di quelli scoperti spetta al Comune, come pure i manufatti di captazione
delle acque piovane che non sono direttamente allacciati alla rete fognaria e
che non vengono indirizzati agli impianti di depurazione.«Le precipitazioni -
spiega nella delibera l'assessore ai Lavori pubblici Elisa Lodi - causano il
periodico riempimento degli alvei con una grossa quantità di inerti accompagnati
spesso da legnami che, andando a riempire le briglie e i salti posti lungo gli
alvei, possono creare situazioni di pericoli». Inoltre, ci sono alcuni manufatti
come muri e briglie, posti a delimitazione dei torrenti, che risultano
pericolanti o addirittura crollati. In molti casi, inoltre, l'acqua piovana non
riesce ad affluire ai torrenti a causa di strade e muri creando pozze e pericoli
di smottamento. L'importo dei lavori previsto di 150mila euro sarà finanziato
tramite l'alienazione di titoli Hera. Il cronoprogramma dei pagamenti prevede la
spesa di centomila euro nel 2018 e di cinquantamila euro nel 2019: la durata dei
lavori è prevista in 365 giorni consecutivi, inclusi eventuali fermi causati dal
maltempo. Il piano di manutenzione straordinaria e pulizia dei torrenti è
inserito infatti nel programma triennale delle opere 2017-2019. Sono sette gli
interventi previsti nel progetto esecutivo elaborato a maggio: Clivo Artemisio,
Rio Corgnoleto, affluenti torrente Farneto, via Pertsch, Strada del Friuli, via
Righetti e via Lavareto. Nel caso del Clivo Artemisio si prevede la
pulizia dell'alveo di Rio San Cilino per una lunghezza di trecento metri. Nel
caso di Rio Corgnoleto è prevista la pulizia dell'ultimo tratto (trenta metri)
oltre allo svuotamento della vasca in corrispondenza dell'ultima briglia. È in
programma inoltre la pulizia dell'alveo degli affluenti di sinistra del torrente
Farneto all'interno del Boschetto del Cacciatore. In questa occasione saranno
risistemati anche alcuni manufatti murari che insistono sul corso d'acqua. In
via Pertsch sarà pulito il torrente che incrocia Strada del Friuli per una
lunghezza presunta di 350 metri. In via Righetti saranno puliti due tratti
dell'alveo del torrente per 300 e 230 metri. Sarà pulito anche l'alveo del
torrente Lavareto (200 metri) in corrispondenza con l'omonima via.
Fabio Dorigo
IL PICCOLO - VENERDI', 28 luglio 2017
Vertice romano sull'inquinamento a Servola - Riunione
operativa con gli esperti dell'Istituto superiore di Sanità. Oggi Consiglio
comunale ad hoc
Una riunione di carattere tecnico-scientifico per individuare le linee guida
su cui elaborare sintesi scientifiche certe e mirate rispetto alle problematiche
sanitarie e ambientali legate alla presenza della Ferriera di Servola. A
parteciparvi gli esperti dell'Istituto superiore della Sanità, i vertici della
Direzione regionale Salute, dell'AsuiTs e dell'Arpa. L'appuntamento romano,
concordato lo scorso 9 giugno a Trieste nel primo incontro della cabina di regia
su "Incidenza dei rischi ambientali sullo stato di salute della popolazione
residente", rientra nel percorso di approfondimento scientifico voluto dalla
presidente Debora Serracchiani, che vede coinvolto l'Istituto quale competente
massimo in materia a livello nazionale. Nella prima parte della riunione sono
stati esaminati le indagini epidemiologiche effettuate dal 1995 ad oggi sulla
presenza di correlazioni tra le concentrazioni di inquinanti e le fonti di
inquinamento presenti a Trieste e lo stato di salute della popolazione con
particolare attenzione all'abitato di Servola; le attività di biomonitoraggio
intraprese a partire dal 2007 dall'allora Azienda sanitaria per misurare le
concentrazioni urinarie del marcatore di stress ossidativo cellulare
1idrossipirene tra i lavoratori della cokeria; la procedura di rinnovo dell'Aia
della Ferriera e gli interventi impiantistici innovativi effettuati nell'ambito
della stessa. Su questi temi gli esperti dell'Iss hanno richiesto alcune
delucidazioni circa l'evoluzione nel tempo delle sorgenti inquinanti che
insistono sull'area della Ferriera e la possibilità di implementare le indagini
epidemiologiche effettuate in passato. Nella seconda parte dell'incontro sono
stati individuate le caratteristiche di una messa a sistema che riguardi tutte
le informazioni disponibili. È stato chiarito che bisogna definire l'area in
esame, la popolazione target, i dati ambientali e sanitari disponibili, il
profilo sanitario della popolazione interessata e gli inquinanti di interesse
sanitario primario in grado di causare nel breve e nel lungo periodo effetti
sulla salute della popolazione esposta. L'obiettivo è raccogliere e trasmettere
le informazioni agli esperti dell'Istituto entro l'estate, in modo da poter
organizzare entro la metà di ottobre un secondo incontro romano. E sempre di
Ferriera si parlerà oggi in Consiglio comunale nel corso di una seduta
straordinaria in programma a partire dalle 8.30.
Volpe affamata salvata a Padriciano - Barcollava nei
pressi dell'Area di ricerca. Il veterinario dell'Enpa: «Si sta riprendendo, è
vivace»
TRIESTE - Barcollava, disidratata e denutrita in pieno giorno nei pressi
dell'Area di ricerca di Padriciano la volpe recuperata dall'Enpa di Trieste.
Ricevuta la segnalazione da parte di una donna che si era accorta dell'incedere
incerto del canide, il medico veterinario volontario Marco Lapia non ha trovato
subito la volpe. Dopo qualche ricerca però, l'animale selvatico è stato
individuato in non buone condizioni, come segnalato. Da qui la cattura con la
rete e il trasporto nella sede di via Carlo De Marchesetti. «Si tratta di un
esemplare giovane di due anni circa, si tratta di una femmina. Era molto magra e
parecchio assetata. Comunque ha superato la prima notte mangiando in autonomia e
il giorno dopo ha dato notevoli segnali di vivacità. Tutti segnali che fanno ben
sperare per un pronto recupero dell'animale», racconta la presidente della
sezione triestina dell'Enpa Patrizia Bufo. Verosimilmente il canide, che ora si
trova in un ricovero chiuso (un intervento di prassi quando si tratta di volpi),
rimarrà nella struttura dell'associazione animalista per circa un mesetto. Poi,
se tutto andrà bene, avverrà il reinserimento nel suo habitat naturale. Nei
primi sei mesi del 2017 l'Enpa ha svolto oltre duemila interventi nei confronti
della fauna selvatica, domestica ed esotica in difficoltà. Quello di Padriciano
è però solamente il terzo caso inerente la volpe: il primo intervento è stato
registrato quest'inverno, era il 3 gennaio infatti. Decisamente curiosa la
dinamica dell'accaduto. Una donna di Rupingrande aveva infatti segnalato che si
era ritrovata una volpe nel giardino. L'animale, intrufolatosi furtivamente
nella proprietà privata, ero stato scoperto ma nonostante i tentativi della
donna non aveva alcuna intenzione di andarsene. «Si trattava di un maschio, in
buone condizioni. Quando abbiamo cercato, per ben tre volte, di catturarlo con
una trappola per poi liberarlo successivamente, l'esemplare è sempre riuscito a
farla franca», racconta Bufo. E difatti il "caso" della volpe in casa si è
risolto da sé: ovvero, con la decisione dell'animale di allontanarsi
autonomamente dall'abitazione per tornare nel bosco da cui era arrivato. Il
secondo intervento dell'Enpa risale invece alla sera del 19 marzo scorso. In
quel caso un esemplare maschio era stato individuato in non buone condizioni
lungo strada principale che attraversa l'abitato di Pese. «In quel caso
l'intervento di recupero dell'animale era stato effettuato dal presidente
regionale dell'Enpa Gianfranco Urso», puntualizza Bufo. Anche in questo caso
l'animale era stato immediatamente portato in sede, curato e successivamente
liberato nel suo habitat. La stessa sorte che, a meno di impreviste
complicazioni, toccherà a questa giovane volpe di Padriciano.
Riccardo Tosques
L'airone e il germano tornano nel Rio Ospo - Di nuovo
sani e liberi a tempo di record
Nel primo pomeriggio di ieri un airone cenerino e un germano reale sono
stati liberati dai volontari triestini dell'Enpa in zona Rio Ospo, a Muggia.
L'airone era stato recuperato dal medico veterinario Marco Lapia sei giorni or
sono in seguito a una segnalazione giunta da una donna che aveva visto il
volatile in chiara difficoltà lungo il corso d'acqua muggesano. Debilitato,
l'airone è stato curato nella struttura di via Carlo De Marchesetti e in tempi
record è tornato in libertà. Sorte simile per l'esemplare di germano reale
femmina in cura dal primo luglio: l'anatide, recuperato dal responsabile
regionale dell'Enpa Gianfranco Urso, giaceva in condizioni critiche proprio nel
Rio Ospo. Il germano e l'airone cenerino sono dunque ritornati nel loro habitat
naturale, quel Rio Ospo che nell'agosto dello scorso anno aveva destato grande
preoccupazione per una moria di anatidi senza precedenti causata da un'infezione
di botulino C poi arginatasi naturalmente.
(tosq.)
IL PICCOLO - GIOVEDI', 27 luglio 2017
Nubi scure da Servola - Muggia alza la guardia - Il
sindaco Marzi chiede un incontro urgente a Serracchiani «Le polveri disperse non
sono più un fenomeno sporadico»
MUGGIA - «Come sindaco non posso, nel modo più assoluto, ignorare quelli che
non sono più sporadici fenomeni di dispersione delle polveri provenienti dai
cumuli minerari della Ferriera di Servola che interessano il territorio del
nostro Comune». Perentoria presa di posizione del sindaco di Muggia Laura Marzi
sullo stabilimento industriale triestino da cui, in seguito alle condizioni
meteo di forte vento degli ultimi giorni, si sono sollevate delle dense nubi che
si sono riversate anche su parte del territorio muggesano, sito a circa un
chilometro in linea d'aria da Servola. Marzi ha chiesto dunque «un incontro
urgente» alla presidente della Regione Serracchiani per poter esprimere la
propria preoccupazione «che è quella di tutti i cittadini muggesani che io
rappresento». Parallelamente, Marzi ha evidenziato come non ci possa non essere
una preoccupazione «per quanto riguarda l'occupazione e per quello che è il
futuro di tutte le attività industriali del nostro territorio, che rappresentano
un fattore determinante per la ripresa dell'economia». Ripresa che per Marzi
«non può non comprendere anche la Ferriera». Pochi giorni fa la maggioranza di
centrosinistra del consiglio comunale aveva detto "no" ai campionamenti dello
strato superficiale del suolo nei giardini comunali muggesani per individuare
eventuali inquinanti, bocciando la mozione firmata da Emanuele Romano (M5S). La
richiesta del consigliere era stata avanzata in seguito alla relazione della
qualità dell'aria 2016 redatta dall'Arpa in cui si era attestata una
concentrazione media annua del materiale particolato sottile (Pm10) di 23
mg/metro cubo con 21 superamenti annui del limite giornaliero. A ciò si erano
aggiunte "diverse segnalazioni di polveri e odori molesti". Sotto la lente
d'ingrandimento, in particolare, gli effetti provocati proprio dalla Ferriera.
La mozione sull'inquinamento a Muggia ha ricevuto l'appoggio solo da parte
dell'opposizione. «Come promesso in consiglio - spiega Marzi - chiederemo che
sia convocato rapidamente un tavolo congiunto con Arpa, Azienda sanitaria,
Regione, Comuni di Trieste e San Dorligo e i rappresentanti di Arvedi, per poter
fare la nostra parte nel sollecitare una soluzione che risolva il problema delle
polveri provenienti dalla Ferriera. Su quel tavolo - conclude Marzi - si
analizzeranno gli esiti dei monitoraggi». L'ultimo appello il sindaco di Muggia
l'ha riservato ai propri concittadini: segnalare quanto riscontrabile sul
territorio muggesano poiché tutti i dati raccolti verranno trasmessi all'Arpa.
Riccardo Tosques
Sosta selvaggia, arriva il vigile elettronico - Alla
polizia locale altri tre apparecchi per stanare chi non paga assicurazioni e
revisioni. Uno multerà all'istante le doppie file
Vita dura per i furbetti alla guida. A Trieste arriva un sistema capace di
identificare in tempo reale chi non è a posto con l'assicurazione e la revisione
di auto e scooter. Di più. Il meccanismo permette di "pizzicare" anche i mezzi
in divieto e in doppia fila. La multa viene recapitata direttamente a casa. Il
sistema, dopo una breve sperimentazione, sarà a regime da agosto. È stato il
vicesindaco Pierpaolo Roberti a consegnare al corpo di Polizia locale i
modernissimi Targa system: marchingegni simili a una telecamera in grado di
verificare sul momento la regolarità dei veicoli, tanto quelli parcheggiati
quanto quelli in movimento. I vigili erano già stati equipaggiati con due
strumenti analoghi, solo che ora possono contare su altri tre nuovi modelli. Uno
di questi, come hanno spiegato in conferenza stampa il vicesindaco Roberti, il
vicecomandante Walter Milocchi e il direttore di servizio Paolo Jerman, è uno
speciale Targa system 4.0 mobile + soste che rileva anche le soste selvagge. Non
solo. La tecnologia dà la possibilità di accertare rapidamente eventuali veicoli
rubati e sottoposti a fermi amministrativi o soggetti ad altre infrazioni al
codice della strada. Il funzionamento è tutto sommato abbastanza semplice: la
pattuglia non deve far altro che posizionare l'aggeggio a bordo dell'auto di
servizio e azionarlo. Il Gps riesce così a immortalare le targhe dei mezzi e a
identificarli attraverso le banche dati nazionali. Gli agenti, inoltre, hanno a
disposizione un tablet per la gestione della strumentazione mobile e le varie
funzionalità. Se il meccanismo si accorge di una vettura non regolare, fotografa
la targa provvedendo poi al successivo inoltro della relativa contravvenzione.
Questo per quanto riguarda i divieti di sosta, le doppie file o il parcheggio
negli stalli riservati. Per le assicurazioni e le revisioni scattano ulteriori
accertamenti sulla documentazione del proprietario del veicolo. «Come già detto
nel caso degli autovelox - ha voluto precisare Roberti presentando la
strumentazione - il nostro obiettivo non è quello di fare cassa o di infierire
con l'inasprimento di sanzioni sui cittadini automobilisti, ma vogliamo prima
prevenire e poi colpire tutti quei fenomeni che creano disagi e pericoli.
Vogliamo che non ci siano più macchine senza assicurazione o revisione, che
costituiscono i casi più pericolosi e che per questo vanno tolte dalla
circolazione. Questo - ha insistito il leghista, che in giunta detiene la delega
alla Sicurezza - è un fenomeno a cui vogliamo dare battaglia. Da questo punto di
vista vige la tolleranza zero. Ciò che prima si faceva con molti agenti, ora lo
facciamo con questo meccanismo. Ma intendiamo anche e soprattutto migliorare la
vivibilità della città - ha aggiunto - andando a colpire chi sosta in doppia
fila provocando rallentamenti e ingorghi alla circolazione, chi si mette in
prossimità delle strisce pedonali e alle fermate dei bus. O, ancora, davanti ai
cassonetti non permettendo così il regolare asporto dei rifiuti da parte di
AcegasAps». A questo proposito è stato citato un recente rapporto da cui emerge
che a giugno non sono stati svuotati ben 34 contenitori proprio a causa dei
veicoli posteggiati irregolarmente. Le zone maggiormente sotto controllo, in cui
i vigili hanno riscontrato problemi particolarmente accentuati di sosta
selvaggia, sono soprattutto le vie Battisti, Giulia, del Teatro Romano, San
Spiridione, Donota, Fabio Severo, Coroneo, riva Grumula e largo Barriera. Dopo
un breve periodo di sperimentazione di circa una settimana, il Targa system 4.0
mobile + soste entrerà in funzione a tutti gli effetti. Di qui l'appello agli
automobilisti, tanto del vicesindaco quanto del vicecomandante della Polizia
locale, a non sostare in doppia fila per evitare spiacevoli sorprese. Il valore
dei nuovi dispositivi ammonta a circa 7mila euro l'uno. L'investimento del
Comune di Trieste è stato portato a termine grazie ai contributi della Regione
Gianpaolo Sarti
COMUNE E FIAB - Ok alle corsie per le biciclette nella
galleria di Montebello
Incontro, ieri, tra il sindaco Dipiazza, il vicesindaco Roberti e la Fiab
Trieste Ulisse rappresentata dal presidente Mastropasqua e dal consigliere
Kosic. Sono stati affrontati numerosi temi relativi alla ciclabilità nella
nostra città, con particolare focus sullo sviluppo del cicloturismo e sulla
sicurezza. È stato affrontato anche il tema delle nuove rotatorie: Fiab ha fatto
presente che costituiscono un serio pericolo per i ciclisti se non vengono
adottati degli accorgimenti (ad esempio, un anello ciclabile) per agevolare il
passaggio delle biciclette. Il sindaco si è impegnato perché nella progettazione
vengano adottati i dovuti accorgimenti tecnici. Poi si è discusso della
ciclabile Trieste-Muggia, che rientra nel progetto europeo di ciclabili
internazionali Eurovelo e pertanto costituisce un'importante infrastruttura per
lo sviluppo del cicloturismo in città che attualmente vede circa 20.000
cicloturisti (dato 2015) pernottare a Trieste per poi dirigersi verso sud. Qui
Dipiazza ha dichiarato che chiederà un approfondimento ai tecnici del Comune per
valutare meglio la fattibilità dell'opera. E dal momento che il naturale
prolungamento di questo percorso in direzione del centro città è costituito
dalla galleria di piazza Foraggi (che sarà presto oggetto di un importante
intervento di risistemazione), il primo cittadino si è impegnato a far
realizzare all'interno della galleria due ciclabili monodirezionali laterali
esterne alla sede stradale, per consentire il collegamento ciclabile tra via
dell'Istria e piazza Foraggi. Infine, per quanto riguarda Porto vecchio, il
sindaco ha confermato l'impegno a realizzare una pista ciclabile le cui
caratteristiche saranno meglio definite in fase di progettazione. Fiab, da parte
sua, ha ribadito la necessità di un percorso ciclabile in sede propria.
GREENSTYLE.it - MERCOLEDI', 26 luglio 2017
Raccolta differenziata: i consigli del CIC per l’estate
Gestire correttamente i rifiuti attraverso la raccolta differenziata. Questa la chiave per città più pulite e luoghi turistici più accoglienti e curati secondo il CIC, Consorzio Italiano Compostatori, che ne su 25esimo anno di attività presenta un decalogo per ottimizzare il recupero della frazione organica e utilizzare al meglio il compost da essa ricavato.
Molti i fattori che durante l’estate possono danneggiare
sia la raccolta differenziata che nello specifico quella dell’umido. Tra questi
uno dei nemici principali è proprio il tipico caldo estivo, come sottolineato da
Massimo Centemero, direttore del CIC: "durante la stagione calda occorre
prestare ancora maggior attenzione alla raccolta differenziata dei rifiuti, dato
che le temperature elevate possono provocare alcune criticità, come i cattivi
odori".
L’Italia sta lavorando molto bene per sviluppare una filiera virtuosa del
recupero del rifiuto organico e i cittadini stanno dimostrando sempre più
attenzione nei confronti del tema della raccolta differenziata: nel 2015 sono
state raccolte 4 milioni di tonnellate di umido, pari a circa 66 kg per abitante
per anno, e oltre 2 milioni di tonnellate di verde, pari a ca. 34 kg/ab/a.
Proprio per consentire una più efficace raccolta e un miglior utilizzo del
compost il CIC ha reso noto un suo decalogo per un corretto recupero della
frazione organica:
Utilizzare il sacco giusto. Sembra scontato, ma una delle criticità possibili in
caso di compostaggio è proprio un’errata scelta del sacchetto, che deve essere
realizzato in materiale biodegradabile e compostabile (certificato a NORMA UNI
EN 13432 in carta o in bioplastica). Riconoscerlo è semplice, basterà verificare
che vi sia apposta la sigla dello standard europeo UNI EN 13432:2002 e il
marchio di un ente come il CIC stesso. Da evitare assolutamente le buste di
plastica tradizionale.
Contenitore aerato e traforato per la raccolta della frazione umida, così da
evitare i cattivi odori in casa. Così facendo si favorirà l’eliminazione
dell’umidità e degli odori, mentre si eviterà che i rifiuti fermentino e che si
creino liquidi all’interno del sacchetto compostabile.
Al momento di buttare l’umido andranno prese alcune accortezze, come il non
pressare i rifiuti, sgocciolarli e ridurre in pezzi quelli più voluminosi.
All’interno della frazione umida andranno conferiti scarti alimentari, i resti
del cibo secco degli animali domestici, i fiori appassiti e tappi di sughero. Da
evitare con attenzione l’inserimento di vetro, metallo, plastica, lattine oltre
a scarti di legname trattato o verniciato.
Cosa si ottiene grazie all’organico può essere di grande importanza, sottolinea
il CIC. Innanzitutto può dare vita al compost, un fertilizzante naturale in
grado di contribuire a un circolo virtuoso per il nutrimento della terra. Altra
prospettiva per la frazione umida è quella di essere impiegata nella produzione
di biocarburanti.
Un altro punto del decalogo CIC riguarda il come usare il compost. Tra i
possibili impieghi la concimazione di fondo dell’orto, per la quale il Consorzio
indica un dosaggio di 2/3 kg a mq, segnalando che è inoltre necessario
distribuire il compost sul terreno e interrarlo con una vanga nei primi 10-15
cm. Può essere impiegato anche come fertilizzante per piantare alberi e arbusti
nonché per la pacciamatura: l’obiettivo è quello di ostacolare la comparsa delle
erbe infestanti e mantenere una migliore umidità del terreno.
Bisogna inoltre cercare di produrre meno rifiuti, prestando attenzione alla
conservazione del cibo e tenendo frutta e verdura in luoghi freschi e riparati
dal sole.
Non solo una migliore conservazione degli alimenti, ma anche un loro più
efficiente utilizzo in fase di preparazione dei cibi. Prima di gettare gli
avanzi occorre chiedersi se possono ancora tornare utili, ad esempio per una
macedonia di frutta o un’insalata ricca. Se i pomodori dovessero iniziare a
presentare delle “rughe” potranno essere seccati in forno, oppure al sole,
cosparsi di olio ed erbe e poi conservati poi in un barattolo coperti di olio.
Prestare attenzione alle modalità di raccolta e tenersi informati sulle
specifiche relative alla gestione entro il proprio Comune di residenza o
villeggiatura. Se necessario contattare l’agenzia di igiene urbana locale o il
municipio per conoscere orari e giorni di raccolta delle varie frazioni.
Marchi di certificazione CIC, frutto di un programma di verifica volontaria
della qualità del compost, realizzato dal Consorzio Italiano Compostatori. Da
qui sono scaturiti due marchi: uno per il compost e l’altro per i manufatti
compostabili; l’obiettivo è quello di rendere identificabili i prodotti che
rispondono a requisiti di qualità fissati per un’impronta ecologica più leggera
e sicura.
Claudio Schirru
La salute degli oceani e dei suoi pesci
Inquinamento, cambiamenti climatici, contaminazione delle acque: sono tante le minacce che aggravano le condizioni ambientali degli oceani. A giocare un ruolo fondamentale sono anche i metodi di pesca e di cattura intensivi, che mettono a repentaglio l’equilibrio dell’habitat marino e delle specie animali e vegetali che lo popolano.Ma perché il benessere degli oceani riveste un ruolo tanto importante per la vita umana? Proviamo a rispondere a questa domanda e a fornire qualche dato in più sullo stato di salute delle acque.
L’importanza di salvaguardare la salute ambientale degli
oceani e della fauna marina
Gli oceani stanno vivendo un momento critico. Uno dei problemi più diffusi
riguarda l’approvvigionamento eccessivo e sconsiderato delle risorse ittiche,
spesso svolto secondo tecniche che superano di gran lunga i limiti della
sostenibilità ambientale. Il risultato è un’alterazione dell’equilibrio della
biodiversità marina, oltre che una progressiva estinzione delle specie già a
rischio. Un cenno a parte è poi da riservarsi all’integrità dei fondali marini,
messa a repentaglio dalla pesca in profondità e da altre operazioni di
perforazione e scavo. Queste, aumentando i detriti in sospensione,
contribuiscono ad alterare l’ambiente che permette a numerose specie di vivere,
svilupparsi e riprodursi.
Come risposta al sovrasfruttamento dell’habitat marino in ogni sua forma di
approvvigionamento, esiste oggi un’alternativa: la pesca sostenibile e
certificata. Per essere dichiarata tale, l’attività di pesca deve essere svolta
nel pieno rispetto della produttività e della biodiversità degli ambienti
marini, secondo un approccio ecosistemico e, soprattutto, a lungo termine.
La salute ambientale del Mediterraneo
Il mar Mediterraneo rappresenta appena l’1% degli oceani di tutto il mondo.
Eppure, è tra le acque più ricche e navigate in assoluto. Vi si affacciano ben
diciannove nazioni, ospita più di 10.000 specie marine (tra le quali, diverse in
via di estinzione), ed è fonte di cibo, lavoro e svago per milioni di persone.
Trattandosi di un bacino semichiuso, richiede oltre 100 anni perché le sue masse
d’acqua vengano pulite e rinnovate. Tradotto in altre parole: non si riprende
così facilmente, né così rapidamente, da danni, inquinamento e sfruttamento ai
quali è sottoposto.
Fulcro vitale di sostentamento e reddito, il Mediterraneo è, ad oggi, sempre più
impoverito. Organismi ufficiali, come l’Agenzia europea dell’ambiente (EEA) e
l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO),
hanno portato alla luce un dato allarmante: oltre il 65% di tutti gli stock
ittici del Mediterraneo è da considerarsi a rischio. Per tale ragione, gli
esperti sostengono che fino al 50% delle sue acque dovrebbero essere “off
limits” per qualsiasi tipo di attività distruttiva, pesca compresa. Alla
minaccia della pesca intensiva e incontrollata, si aggiungono altri interventi
di natura umana, come l’acquacoltura, l’allevamento del tonno rosso o l’uso di
reti di cattura inadatte, che rischiano di intrappolare e danneggiare anche
altre specie non bersaglio.
La situazione del Mediterraneo appare drammatica, ma, fortunatamente, possiamo
fare molto per migliorare il suo stato di salute. Ad esempio, possiamo scegliere
di evitare di inquinarlo, soprattutto riducendo al minimo l’uso di imballaggi in
plastica, e assicurarci che i prodotti ittici che finiscono sulla nostra tavola
provengano esclusivamente da pesca certificata, ossia realizzata con metodi
responsabili e sostenibili.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 26 luglio 2017
Restyling bis alla baia di Sistiana tra loft di lusso e
marina per yacht - Territorio»il progetto
Riqualificazione della baia di Sistiana atto secondo. Con il decollo di
Portopiccolo ormai consolidato - è stato venduto oltre il 70% degli oltre 450
appartamenti, in gran parte a stranieri - si apre il nuovo capitolo
dell'intervento che fa capo al gruppo friulano Rizzani de Eccher, che a suo
tempo ha rilevato le quote di maggioranza del complesso, e di alcune aree nella
baia di Sistiana, dal Fondo Rilke. Il prossimo atteso intervento riguarda l'ex
albergo austroungarico, in decadenza da decenni, la cui rinascita inizierà a
breve. «Puntiamo a partire entro fine anno», spiega Claudio de Eccher, chief
strategist e azionista, assieme al fratello Marco, del colosso delle
costruzioni. Il gruppo de Eccher sta lavorando con il gruppo Marriott
International, uno dei colossi mondiali dell'hotellerie (controlla anche
Starwood Hotels&Resort, alla quale è affiliato il Falisia Resort di
Portopiccolo) per un progetto «molto rispettoso dell'architettura e che allo
stesso tempo valorizzi al massimo lo storico edificio». Il vincolo posto diversi
anni fa sul più che centenario albergo prevede del resto un recupero integrale
degli esterni, con minimi interventi nella parte posteriore. Si tratta di un
intervento che richiederà due anni per essere portato a termine, con una spesa
di alcune decine di milioni, e che comprende, a servizio dell'hotel, una darsena
- prevista dal piano regolatore nel tratto fra la sede della Pietas Julia e il
molo della baia - per una decina di yacht fino a 60 metri di lunghezza. «Sarà un
albergo con appartamenti di lusso - precisa de Eccher -. Il lavoro che stiamo
sviluppando con il gruppo Marriott punta più in generale a sviluppare le
attività nella baia, mantenendone il carattere giovane e pieno di vita, un clima
del tutto diverso da quello più tranquillo di Portopiccolo. Lasceremo quindi una
parte importante della baia - aggiunge - per i tanti utenti abituali, elevandone
comunque un po' il livello. Crediamo molto nelle potenzialità di questo
territorio e di questo mare. Puntiamo ad andare avanti assieme ai vari
operatori, privati e pubblici, per dare vita a un indotto economico importante».In
questo discorso di sviluppo sia riguardo a Portopiccolo sia alla baia c'è però
un problema importante legato alla viabilità, la connessione fra la strada che
sale dalla baia e la regionale 14. Gli "stop" in quell'incrocio costituiscono un
ostacolo non da poco per chi, soprattutto nelle giornate festive, deve uscire
dalla baia. «Prima o poi - rimarca Claudio de Eccher - in quel punto andrà fatta
una rotatoria. Le code che si formano in certe giornate, lunghe anche tre
chilometri, sono una vergogna». Nella baia di Sistiana, è noto, sono presenti
"da sempre" diversi altri attori: quattro società nautiche - Pietas Julia,
Sistiana '89, Diporto Nautico Sistiana e Cupa -, che gestiscono diversi pontili
in concessione nella parte est dello specchio acqueo, e la famiglia Fari,
proprietaria della vasta area ovest della baia, con i noti locali Caravella e
Cantera, e che, sempre attraverso la società Srs, opera anche con il Coiba e, in
subconcessione dal Comune, gestisce la spiaggia e i servizi di ristorazione a
Castelreggio.«Per il momento e a medio termine - dichiara Sergio Fari - non
abbiamo in programma interventi nella nostra area. Vogliamo prima vedere come si
sviluppano le cose». Va comunque detto che il progetto d'ambito A8, composto da
numerosi lotti e approvato da diverso tempo, prevede nell'area della Caravella
la ristrutturazione degli edifici esistenti, con un possibile loro ampliamento,
e anche la costruzione di nuovi (non più alti di due piani) ma sempre con
destinazione turistico-ricettiva/pubblici esercizi. Sempre nell'area della
Caravella, a poca distanza dal costone roccioso sopra il quale corre il sentiero
Rilke, funziona però da anni l'impianto di depurazione, proprietà del Comune,
che in un'ottica di sviluppo e riqualificazione della baia andrà chiaramente
trasferito. Un'operazione non da poco, sia a livello finanziario sia
costruttivo, che dovrebbe prevedere il trasferimento dell'impianto o la sua
eliminazione con il contestuale allacciamento della rete fognaria a quella di
Trieste, dove si sta completando l'ampliamento del depuratore di Servola.
Giuseppe Palladini
Lo stallo senza fine di Castelreggio e l'incognita
delle società nautiche
Quando inizierà la ristrutturazione dell'ex albergo austroungarico (durata
due anni) che ne sarà dell'area a terra occupata dalla società Cupa, adiacente
all'ex albergo e dove sono custodite le imbarcazioni degli atleti e della scuola
vela? Posto che l'area stessa è proprietà della Rizzani de Eccher, non sarà
difficile trovare uno spazio alternativo. Fra le possibilità c'è il complesso di
Castelreggio, dove si sarebbero già dovute realizzare le sedi della stessa Cupa
e di altre due società nautiche. Ma del complesso sono agibili solo la spiaggia
e alcuni servizi. L'edificio principale è "off limits" da diversi anni. E i
costi per ristrutturare l'area non sono certo contenuti. Con la precedente
amministrazione, la gara per la concessione è andata deserta. Adesso la giunta
guidata da Daniela Pallotta, insediatasi da poco più di un mese, è intenzionata
a riprendere in mano la situazione. «Il progetto è da ritarare - spiega
l'assessore ai Lavori pubblici Lorenzo Pipan - in base al bilancio di previsione
che redigeremo nei prossimi mesi, verificando la disponibilità dei fondi».«È un
peccato che non si possa sviluppare Castelreggio - osserva de Eccher - perchè le
società nautiche hanno diritto ad avere una sede. È un problema che va risolto
nell'interesse di tutti. Con le società siamo del resto in ottimi rapporti,
abbiamo organizzato numerosi eventi assieme, e con esse vogliamo contribuire
alla diffusione della vela in questo territorio e in questo mare di cui siamo
innamorati e che ha potenzialità enormi». Lo sblocco della situazione potrebbe
arrivare a settembre, quando la Regione dovrebbe approvare il nuovo Pud (Piano
di utilizzo del Demanio). «A seguito di questo nuovo piano - precisa l'assessore
Pipan - si potrà predisporre un nuovo bando di gara per Castelreggio, e anche
vedere se è possibile ottenere una proroga della concessione, essendo già
trascorsi sette anni dei venti previsti dalla concessione attuale».Che l'area
sia in concessione al Comune non piace però a tutti. La soluzione, si dice,
starebbe nel "passaggio" dell'amministrazione da concessionario a ente
concedente. Un po' come avviene per il porto di Trieste dove un ente,
l'Authority, dà in concessione le aree demaniali e i terminal agli operatori
privati. Quel che è certo è che nel nuovo bando si dovrà ridurre l'ambito
dell'intervento. Attualmente per rimettere a posto il complesso sembra servano
almeno due milioni. Una cifra di cui il Comune non dispone, e che nessun
imprenditore privato è disposto a investire senza elementi concreti che
permettano di valutare la sostenibilità dell'intervento. «Una soluzione però va
trovata - assicura Pipan -. Studieremo anche come inserire le società nautiche
visto che parte dell'area è già destinata a loro. Entro la prossima estate
qualcosa andrà fatto».
(g.p.)
Carso più sicuro dopo il restyling da un milione -
Finiti i lavori su un chilometro e mezzo di ciglione - In arrivo 300mila euro
per ulteriori 300 metri
TRIESTE - "Gli eroi del Carso". Definizione epica, quasi ancestrale, che
rimanda a miti di altri tempi. Quei miti, in realtà, sono uomini moderni in
carne ed ossa: sono i viticoltori ed in generale gli agricoltori che operano
nelle aspre terre dell'altipiano carsico. Cristiano Shaurli, assessore regionale
alle Risorse agricole, friulano doc, nell'affrontare il ciglione carsico sotto
Prosecco, non ha potuto che definire eroico l'arduo lavoro svolto di chi ha
deciso di dedicarsi alla cura della terra del Carso. La nobile sentenza è
arrivata in occasione della visita effettuata nella tarda mattinata di ieri alla
presenza di politici e tecnici per monitorare lo stato dei lavori effettuati da
parte del Consorzio di bonifica della pianura isontina e dal Servizio gestione
territorio montano della Regione. Lavori che, nel loro primo lotto, hanno
totalmente ridato la possibilità ai viticoltori locali di operare in sicurezza
lungo un percorso di circa 1400 metri, una strada che dalla parte alta di
Prosecco conduce verso il mare, portando alle località di Contovello, a Est, e
Santa Croce, verso Ovest. I finanziamenti messi sul piatto da parte della giunta
Serracchiani per riqualificare i muretti di contenimento e allargare la strada
sono stati di 500mila euro, che sommati ad un altro finanziamento risalente a
circa dieci anni fa pari ad altri 500 mila euro, hanno fatto salire a circa un
milione di euro il costo dell'operazione. Nella lenta marcia partita sotto un
sole cocente dal monumento ai caduti della guerra di Liberazione di Prosecco,
diversi volti noti hanno camminato in discesa lungo il sentiero principale. I
consiglieri regionali Igor Gabrovec (Unione slovena) e Stefano Ukmar (Pd),
assieme al sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, hanno passeggiato fianco a
fianco nel verde Carso triestino, costeggiando il monastero di San Cipriano
abitato dalle suore benedettine, addentrandosi sino ad arrivare alle vigne del
viticoltore Sandi Skerk, forse il nome più noto dei diversi agricoltori presenti
in zona. La vista aperta sul golfo di Trieste si è focalizzata ben presto sulla
bellezza asburgica del Castello di Miramare. E anche i tecnici friulani presenti
in loco non hanno potuto che rimanere estasiati dinanzi a cotanta bellezza
triestina. A spiegare i lavori intrapresi dalla Regione è stato il direttore
tecnico del Consorzio di bonifica della pianura isontina Daniele Luis: «Abbiamo
messo in sicurezza un chilometro e 400 metri di strada, risistemando i muri di
pietra crollati, allargando la carreggiata di un metro rispetto alla misura
precedente (dai due metri preesistenti si è arrivati ai tre metri attuali, ndr),
e posando la condotta dell'impianto Acegas per garantire la possibilità di
irrigazione dei terreni circostanti. Inoltre operando sull'area abbiamo creato
delle vere e proprie piste tagliafuoco che delimitano la parte boschiva alta
dalla zona della sottostante ferrovia, oltre a creare delle piazzole adibite
allo scambio dei mezzi agricoli».I lavori, iniziati nel novembre del 2016 e
conclusisi poche settimane or sono, fanno parte di un primo lotto. «Da settembre
a marzo proseguiremo nei lavori per altri 300 metri circa, grazie ad un
assestamento di bilancio della Regione pari a circa 300mila euro, continuando ad
allargare la strada e rimettendo a posto i muretti a secco», ha aggiunto Luis.
L'obbiettivo dichiarato è di arrivare il prima possibile a raggiungere il
collegamento con la frazione di Santa Croce e magari, come auspicato da
Gabrovec, «a collegare tutte le zone del ciglione carsico da Est a Ovest
attraverso un lavoro che sulla carta dovrebbe necessitare di un finanziamento
pari a qualche decina di milioni di euro da reperire negli anni tramite fondi
statali ed europei». Nella lenta risalita verso il punto d'incontro iniziale del
sopralluogo è stato quindi messo in luce il lavoro svolto dal Servizio gestione
territorio montano che si appresta per il terzo anno consecutivo a riqualificare
la sentieristica che attraversa i boschi del Carso. Un plauso finale al lavoro
svolto è arrivato da Dipiazza: «Complimenti davvero a tutti, perché dopo circa
vent'anni sono stati ripuliti i torrenti che scendevano a valle creando disagi
sino a Grignano e a Miramare, ma soprattutto ora i nostri viticoltori hanno a
disposizione un'area per operare al meglio in grande sicurezza».
Riccardo Tosques
Ferriera - Torna con il "neverin" la nube su Servola
Con il "neverin" è tornata ieri sopra la Ferriera la nube scura già
segnalata negli ultimi giorni proprio in concomitanza con il maltempo legato al
vento forte. Il fenomeno è stato fotografato da diversi servolani, che hanno poi
pubblicato le immagini sui social.
IL PICCOLO - MARTEDI', 25 luglio 2017
Doppio sollevamento di polveri dalla Ferriera
«Alla luce dell'intensificarsi della frequenza dei fenomeni di sollevamento
di polveri dai parchi minerari fossili della Ferriera, appare sempre più urgente
la realizzazione della loro copertura, unica soluzione per evitare il ripetersi
di questi eventi». Lo ha rilevato in una nota la direzione regionale Ambiente,
d'intesa con Arpa Fvg, dopo che ieri mattina, tra le 9 e le 10, si è verificato
un sollevamento di polvere, causato da raffiche di vento intorno ai 70 km/h
provenienti da Nord-Ovest, che hanno disperso il minerale sollevato nella zona
sudorientale di Trieste. Un secondo sollevamento di polveri è avvenuto nel
pomeriggio con l'arrivo a Trieste del "neverin" (a destra nella foto di Silvia
del Bene). Sul caso è intervenuto anche il sindaco Roberto Dipiazza, che ha
sottolineato come «sussistano gli elementi dal Testo Unico Ambientale con cui la
Regione può procedere alla sospensione o revoca dell'Aia» e ha chiesto
formalmente alla Regione come intenda procedere in tal senso.
Carso, maggiori controlli contro le discariche abusive
- La lettera del giorno di Roberto Zorzut
Due giorni di tambureggiante informazione, su Il Piccolo, saranno bastati a
far aprile gli occhi ai responsabili che dovrebbero controllare la pulizia sul
nostro Carso, dove ormai le discariche a cielo aperto sono diventate una triste
realtà? Questa è la speranza di tutti, dico speranza perché, come vanno ora le
cose, non si può pretendere di più. Ci sono i "volontari per Trieste pulita" che
si ritrovano con il passaparola su face book, bisognerebbe fare loro un
monumento per quello che fanno. Questi volontari dedicano il loro tempo libero a
fare un po' di pulizia sul nostro Carso, ma questo viene fatto dopo che il danno
è stato consumato. Bisogna prevenire. Di chi questo compito? Il Corpo forestale,
passato ora sotto l'Arma dei carabinieri, dovrebbe prendersi questa
responsabilità. Disincentivare queste malsane abitudini di persone maleducate
nei confronti dell'ambiente, dovrebbe essere la loro priorità. Non si può
prendersela solo contro coloro che mettono delle reti per difendersi dai danni
di caprioli e cinghiali e farle rimuovere, dopo dei loro "controlli capillari",
ma lo stare sempre all'erta su tutto quello che succede e che fa male
all'ambiente dovrebbe essere un loro lavoro di routine. Almeno, dove si può, ed
i posti sono parecchi, dovrebbero mettere delle sbarre, così almeno i piccoli
camioncini non avrebbero la possibilità di avvicinarsi troppo a delle discariche
improvvisate dove ora scaricano calcinacci e tanto altro. Questo si può fare, ve
lo dice uno che il Carso lo conosce parecchio. Ad ogni modo non siamo noi che
dobbiamo suggerire loro un piano per combattere queste discariche abusive, ma la
fantasia non basta e così, da subito, ci vorrebbe una loro presenza più costante
ed il farsi vedere spesso, oltre alle sbarre, potrebbe essere un buon deterrente
per mantenere la pulizia.
L'attesa è finita: apre il parco di Aquilinia - Venerdì
l'inaugurazione dopo oltre un anno di stallo. Tredicimila metri quadrati con
sentieri illuminati e giochi per bambini
MUGGIA - Il Parco urbano di Aquilinia è pronto per essere aperto al
pubblico. Dopo oltre un anno di attesa, finalmente il nodo sull'utilizzo
dell'area boschiva è stato sciolto. Il Comune di Muggia ha annunciato che lo
spazio consegnato dalla Teseco verrà ufficialmente inaugurato venerdì 28 luglio
alle 17.Collocato di fronte alla scuola primaria "Ada Loreti" e vicino all'ex
caserma della Guardia di Finanza, il parco è stato realizzato dalla Teseco
grazie a un finanziamento di 190mila euro che sono serviti per riqualificare
tutta la zona. L'area, complessivamente, ha una superficie di 13mila mq e
comprende lo spazio tra il muro di cinta dell'ex raffineria Aquila e via di
Zaule, dalla sommità di via di Stramare fino a via Flavia di Stramare,
includendo anche i vecchi campi da tennis e le scalette d'accesso all'area dalla
strada. La situazione di stallo dell'area risaliva al 2016. A causa del maltempo
di allora l'inaugurazione era stata posticipata al 6 giugno dello scorso anno.
Una struttura completamente messa a nuovo con la realizzazione di sentieri
dotati di illuminazione notturna, richiesti dall'amministrazione comunale anche
per percorrere le arterie nel bosco in maggior sicurezza, e un nuovo parco
giochi per i più piccoli. Nell'intervento Teseco aveva anche messo in sicurezza
la viabilità sia dalla via di Zaule che dalla sottostante galleria. Come detto,
però, la struttura è rimasta "bloccata" tanto da finire sull'agenda politica.
Più volte Roberta Vlahov, consigliere comunale di Obiettivo comune per Muggia,
aveva chiesto delucidazioni sull'apertura della struttura. In un'interrogazione
la questione era finita in Consiglio comunale in seguito all'interessamento dei
tre partiti del centrodestra. Nel testo, con capofirmatario Andrea Mariucci
(Forza Muggia-Dpm) e sottoscritto anche dai consiglieri Stefano Norbedo e Giulia
Demarchi (Forza Muggia-Dpm), Giulio Ferluga (Lega Nord) e Nicola Delconte
(Fratelli d'Italia), si chiedeva come mai l'area, ancora interdetta al pubblico
e contornata dal recinto di cantiere, fosse comunque abbondantemente illuminata.
Nel marzo scorso il sindaco Laura Marzi, assumendosi la responsabilità dei
ritardi, aveva evidenziato come la mancanza di un guardrail di sicurezza stesse
ritardando l'apertura effettiva del parco. Per risolvere la questione era stata
stornata una parte del denaro destinato alla realizzazione di 40 parcheggi, che
forse verranno realizzati successivamente. Finalmente, nella giornata di ieri
l'annuncio che venerdì il Parco urbano di Aquilinia verrà inaugurato: «Doverose
verifiche sulla sicurezza fatte dai nostri uffici e lungaggini burocratiche
dovute alla cessione del bene hanno ritardato la consegna di un ettaro di verde
pubblico - ha commentato il sindaco -. Un ritardo che nulla toglie comunque alla
soddisfazione di dare ai residenti una nuova area ricreativa e di svago».
Riccardo Tosques
IL PICCOLO - LUNEDI', 24 luglio 2017
Il rifugio dell'Enpa amplia i recinti esterni - Via
libera al progetto grazie al finanziamento disposto dalla Regione. Necessari
lavori per 83mila euro
Potrà contare sul prezioso sostegno della Regione l'Ente protezione animali
(Enpa) di Trieste, per l'ampliamento della zona esterna alla struttura di via
Marchesetti, destinata a ospitare animali selvatici di taglia medio-grande, per
offrire cure e primo soccorso. Un emendamento presentato in aula dal consigliere
regionale del Pd, Franco Codega, ha fatto seguito alla visita alla struttura
della governatrice, Debora Serracchiani, e ha così confermato il finanziamento
finalizzato alla realizzazione dei necessari recinti esterni per animali. La
richiesta di sostegno giunta alla Regione dall'Enpa è nata dal problema,
segnalato dagli stessi volontari (che attualmente sono 25), dell'esiguità degli
spazi, incapaci di accogliere un sempre maggior numero di "ospiti". Una vera
emergenza per la struttura di via Marchesetti che offre un servizio prezioso al
territorio triestino. Il progetto di ristrutturazione è ambizioso e stima in
circa 83mila euro la somma necessaria a trasformare l'attuale spazio esterno del
canile in un'area di ricovero di oltre 24mila metri quadri di spazi recintati in
equilibrio tra aree boschive e aree libere, idonee alla riabilitazione di
animali selvatici. Con l'aiuto finanziario della Regione, quindi, verrà
finalmente realizzato il sogno della squadra di volontari e professionisti,
guidata dalla presidente Patrizia Bufo, che quotidianamente si dedica alla cura
di tanti amici a quattro o due zampe. Un servizio, quello garantito dalla
"famiglia" dell'Enpa, che i triestini, da sempre grandi amanti degli animali,
dimostrano di apprezzare molto. La prova si è avuta in occasione dell'ultima
edizione di "Rifugi aperti" alla struttura di via Marchesetti, presa d'assalto
da più di mille visitatori. Adulti e bambini hanno letteralmente preso d'assalto
la struttura, sfidando anche il caldo opprimente pur di trascorrere qualche ora
in quella specie di oasi verde a due passi dal centro cittadino. Un'esperienza
entusiasmante specie per i visitatori più piccoli che, accompagnati dai
volontari, hanno potuto girovagare tra recinti e gabbiette, familiarizzando con
animali diversi, dai cerbiatti ai conigli passando per pennuti colorati, e
scattando foto ricordo di quella giornata da dimenticare.
Alexandra Del Bianco
IL PICCOLO - DOMENICA, 23 luglio 2017
Sub con la fiocina nella Riserva - Turista tedesco
bloccato al "moletto" dalla Guardia costiera dopo l'allarme lanciato dai
bagnanti
Insolito e decisamente pericoloso. Per fortuna non è usuale che un turista
di nazionalità tedesca, che non ha visto o ha ignorato l'apposita segnaletica,
si immerga durante un sabato pomeriggio estivo nelle acque della Riserva di
Miramare o nell'area immediatamente attigua, con l'accompagnamento di un fucile
subacqueo. Però ieri pomeriggio il fattaccio è accaduto: erano le 18.30, quando
i bagnanti del moletto (anticamente soprannominato della "tetta rossa"), che
segna l'inizio della Riserva marina di Miramare ed è confinante con lo
stabilimento balneare "Sticco", hanno avvistato l'inquietante "visitor" e hanno
allora celermente allertato la Guardia costiera, giunta sul posto. Nella serata
di ieri l'intervento era ancora in corso, in quanto il confronto con l'incursore
germanico non appariva agevole sotto il profilo linguistico. In particolare, i
militari hanno dovuto rilevare se il Nettuno nordico abbia contenuto
l'immersione con il suo equipaggiamento senza oltrepassare il limes con la
Riserva o se invece il confine acqueo sia stato valicato. Nel primo caso -
specificano fonti della Guardia costiera - il turista tedesco, di cui non è
stata diffusa altra informazione anagrafica, rischia una pesante sanzione di
2000 euro, perchè comunque pescava entro i 500 metri di distanza dalla riva e
l'idea, che avesse potuto sparare una fiocinata nelle acque antistanti "Sticco"
non è certo rassicurante .Ma gli andrà molto peggio se la Guardia costiera avrà
accertato l'ingresso nelle acque protette della Riserva: perchè la fattispecie
porta dritto dritto nel perimetro penale, trattandosi di reati contro
l'ambiente.«Ci sono cartelli plurilingue lungo l'intero limite della riserva,
per cui un comportamento di questo tipo è inescusabile, quand'anche non ci fosse
un'intenzione dolosa», commenta Maurizio Spoto, direttore della Riserva di
Miramare per conto di Wwf Italia. «Se uno vuol vedere i pesci, indossa maschera
e pinne, non gira con un fucile subacqueo». «Il forte sviluppo turistico di
questi ultimi anni - continua il direttore - ha portato a Barcola molti
visitatori di lingua tedesca. E può capitare di "intercettare" qualche turista
che a bordo di una canoa entra nella zona protetta. Per questo, soprattutto nel
fine settimana, cerchiamo di intensificare l'attività di controllo». «Tra i
nostri migliori collaboratori, sia dalla parte di Grignano che da quella di
"Sticco" - aggiunge Spoto - ci sono certamente gli stessi bagnanti, che ormai
conoscono le regole con le quali si protegge la Riserva. Spesso sono proprio
loro a svolgere il primo livello di informazione e, caso mai, di intervento.
Come nella situazione verificatasi con l'incauto pescatore. E mi fa piacere la
pronta risposta della Guardia costiera, significa che il mare è monitorato». Per
i triestini, infatti, la Riserva non è certo una novità: l'area protetta è stata
istituita con decreto il 12 novembre 1986 e ha quindi alle spalle un curriculum
operativo che data oltre trent'anni fa.
Massimo Greco
IL PICCOLO - SABATO, 22 luglio 2017
Arvedi svela il suo piano - I timori dei sindacati -
Sigle dure sul piano della Ferriera: «Solo manutenzione. Ora un tavolo a Roma»
Nel frattempo l'altoforno chiuderà a fine mese e poi due settimane a
settembre
«Il piano di investimenti 2018-2019 presentatoci da Siderurgica triestina
non è una garanzia sul futuro dell'area a caldo, tutt'al più sono lavori di
mantenimento». I sindacati triestini prendono una posizione ferma nei confronti
della proprietà della Ferriera, che due giorni fa ha presentato in un incontro
con le sigle gli interventi previsti per il prossimo biennio. Un foglio che i
rappresentanti dei lavoratori ricevono con «preoccupazione» e «imbarazzo»,
chiedendo che la vicenda torni al tavolo del Mise, a Roma, in maniera da
garantire una prospettiva pluriennale allo stabilimento. Critiche a cui
l'azienda preferisce non replicare, comunicando invece che l'altoforno chiuderà
«nel rispetto della diffida della Regione» dal 28 luglio al 1 agosto. Altri 15
giorni di chiusura arriveranno nella seconda metà di settembre, «nel rispetto
dei lavori che l'Aia richiedeva entro tre anni».La presa di posizione delle
sigle, invece, è stata comunicata in una conferenza stampa congiunta a cui hanno
partecipato Franco Palman (Uilm), Umberto Salvaneschi (Fim), Marco Relli (Fiom),
Christian Prella (Failms), Antonio Rodà (Uil), Thomas Trost (Fiom). Per
l'azienda l'incontro fra dirigenti e sindacati «era volto a rassicurare i
lavoratori sulla volontà di investire e mantenere aperta l'area a caldo».
All'incontro erano presenti il direttore dello stabilimento, il responsabile del
personale del Gruppo Arvedi e quello locale: hanno dato ai sindacati un elenco
degli interventi da fare sull'area a caldo nel prossimo biennio, senza
investimenti scritti o firme. I sindacati non si sono sentiti affatto
rassicurati, dicono. Così Palman: «In questi tre anni, dalla concessione
dell'Aia, le Rsu hanno dato tempo all'imprenditore per capire lo stabilimento e
dare delle risposte». Ancora oggi però «l'incertezza rimane»: «Il piano
2018-2019 che ci hanno presentato è un passo piccolo, insufficiente a dare
garanzie di continuità ai lavoratori». Oggi, ha aggiunto, «abbiamo il sospetto
che l'imprenditore e la politica abbiano già dei programmi, e non vorremmo che
un domani arrivi l'annuncio della chiusura dell'area a caldo, senza un piano per
garantire l'occupazione». La richiesta è quindi l'apertura di un tavolo al
ministero: «Lì chiederemo un piano industriale vero. Dopo tre anni ci sentiamo
al punto di partenza, solo più stanchi». Nel suo intervento Salvaneschi si è
rivolto al Comune: «Il sindaco dice che può assumere trecento persone in Comune:
allora ne prenda trenta per dare un segnale concreto. Perché se noi provochiamo
del fumo, lui lo vende». Per l'esponente Fim «la pressione politica per la
chiusura dà un alibi all'azienda per non investire». Relli della Fiom ha
osservato come la situazione attuale presenti «un disgregamento della compagine
politica che aveva avviato l'operazione» e al contempo «un ritardo
dell'imprenditore, cui contribuiscono anche questioni nazionali come Taranto».
Nel piano presentato, secondo Relli, mancano alcuni punti fondamentali: «Non
vedo ad esempio ancora la copertura dei parchi, intervento imprescindibile che
costituirebbe un impegno economico serio da parte del gruppo». Per Prella «ad
oggi non ci sono certezze che il progetto a lunga scadenza non ceda in
pochissimo tempo. Abbiamo dichiarazioni di intenti ma non garanzie». Così Prella:
«Da un paio di mesi l'azienda non prende nessun tipo di posizione. Prendiamo
atto del documento ma per noi non è sufficiente, perché i documenti si lasciano
scrivere mentre contano i fatti». E ancora: «L'azienda smentisce i nostri timori
ma al contempo dice che non può dirci nulla sul piano industriale. Serve
riportare la questione al ministero» Conclude Trost della Fiom: «Da anni le Rsu
tengono un livello basso per non esasperare. Qui però c'è gente che lavora duro
ogni giorno, gente che spesso ha situazioni difficili in famiglia. E non so
quanto a lungo potremo ancora tenere basso quel livello».
Giovanni Tomasin
Il presidio del Comitato compie un mese - In piazza
ormai dal 20 giugno: «Siamo lì da 30 giorni senza che le istituzioni abbiano
dato risposte»
Compie un mese di vita il presidio permanente del Comitato 5 Dicembre per la
chiusura dell'area a caldo. Un mese, dal 20 giugno a questi giorni, in cui il
gazebo è stato presidiato 24 ore su 24, dando incarnazione concreta, fisica, al
malessere di Servola nel pieno centro città. Il comitato ha scelto di comunicare
esclusivamente attraverso i social media. Sul profilo di una dei suoi
rappresentanti, Barbara Belluzzo, ci sono le considerazioni sulla ricorrenza:
«Non è propriamente qualcosa di cui andar fieri. Sono passati 30 giorni e noi
siamo ancora lì senza che le istituzioni ad oggi abbiano saputo risolvere la
nostra richiesta di conciliare la salute, il lavoro e il diritto all'impresa».
Il presidio, prosegue, «rappresenta l'apice di una protesta che parte tanto
tempo fa e che colpevolmente la politica ha manipolato, contando probabilmente
sull'effetto della rana nell'acqua calda». Un tentativo che secondo Belluzzo
«non è andato a buon fine perché tante persone hanno mantenuta alta l'attenzione
sul tema e, stanche e sfiduciate dai tempi della politica, hanno intrapreso una
battaglia sul campo che, oltre ad aver portato a risultati concreti, ha anche un
significato simbolico».In questo mese di presenza in piazza il Comitato
rivendica di essersi confrontato praticamente con tutti: «Vescovo, presidente
Serracchiani, funzionari regionali, parlamentari, prefetto, consiglieri comunali
e regionali, lavoratori e sindacalisti della Ferriera». Confronti serrati che
secondo Belluzzo consentiranno di porre una data di chiusura per l'area a caldo.
Sulla pagina ufficiale del Comitato ci si interroga invece sull'annuncio di stop
temporaneo dell'altoforno da parte di Siderurgica triestina: «È una sorta di
segnale di protesta? O è una cosa tipo: "Guarda, non bevo nulla martedì,
mercoledì, giovedì così poi venerdì se mi fermano ubriaco in macchina facendo la
media rientro nei valori!"?». Questo il commento definitivo su queste giornate
convulse: «Molto difficile capirci qualcosa a parte una cosa: che è vergognoso
che la politica e i sindacati permettano all'imprenditore di continuare a essere
così misterioso riguardo alle sue intenzioni sul destino dell'area a caldo. Ogni
giorno che passa fanno una figura pessima».
(g.tom.)
IL PICCOLO - VENERDI', 21 luglio 2017
Via libera alla ciclabile Muggia-Parenzana - Approvato
in Regione il finanziamento da 75mila euro per collegare il porticciolo al rio
Ospo: l'allacciamento pronto in un anno
MUGGIA - Una pista ciclabile dal porticciolo di Muggia sino al rio Ospo per
collegarsi alla Parenzana. Questo il nuovo progetto finanziato nell'assestamento
del Bilancio regionale grazie all'emendamento presentato da alcuni consiglieri
di maggioranza. Il capogruppo consiliare di Sel Giulio Lauri, capofirmatario
dell'iniziativa, esulta: «Al Comune di Muggia arriveranno 75mila euro per
potenziare una realtà locale che sta credendo con grandi risultati nel turismo
ecosostenibile». I lavori di realizzazione del percorso ciclabile interesseranno
circa un chilometro del tratto che andrà dall'approdo del Delfino Verde sino al
collegamento con l'inizio della Parenzana, sul rio Ospo. «È un intervento in cui
crediamo molto visto che Muggia è tra le principali mete del cicloturismo.
Inoltre stiamo parlando di un'area altamente strategica dove l'Eurovelo (la rete
ciclistica europea, ndr) trova un incrocio tra l'itinerario n. 8, la cosiddetta
linea Est-Ovest che collega la Spagna con la Grecia, e l'itinerario n. 9, ossia
la Nord-Sud che collega la Polonia con l'Istria croata». Insomma, un passaggio
molto importante, quello del collegamento tra il porticciolo muggesano e la
Parenzana, in attesa di vedere alla luce il tanto atteso tratto tra Muggia e
Trieste. «Sappiamo che una pista ciclabile che colleghi le due realtà è
fondamentale. Adesso non è ancora in previsione un lavoro di tale portata, ma si
farà» conferma Lauri. Appresa la notizia, il sindaco di Muggia Laura Marzi non
ha potuto che esternare la propria soddisfazione: «Quello finanziato dalla
Regione è un tassello importantissimo per incrementare ulteriormente il nostro
interesse verso la mobilità sostenibile. Di fatto si andrà a completare un
discorso di appeal turistico che a Muggia sta toccando numeri importantissimi.
Basti pensare che lo scorso anno i passaggi nel nostro territorio sono stati ben
15mila». Ringraziando dunque il «consigliere Lauri e chi ha creduto in questo
progetto votandolo in Consiglio regionale», il sindaco Marzi ha poi colto la
sfida del futuro collegamento tra Trieste e Muggia: «Il discorso è indubbiamente
complesso poiché non è solo il Comune di Muggia a essere coinvolto. Detto questo
posso dire che abbiamo in corso un ragionamento sull'area di via Flavia, in cui
sono coinvolte anche le amministrazioni di Trieste e San Dorligo della Valle».
Per Marzi la chiave di volta per l'aumento delle piste ciclabili sul territorio
sarà l'Uti, che ha in previsione degli interventi legati al turismo slow.
Tornando al tratto molo-Parenzana il finanziamento di 75mila euro dovrà essere
impegnato dal Comune di Muggia entro la fine dell'anno. «Gli uffici si stanno
già muovendo - conclude Marzi - e a breve il Comune farà l'impegno di spesa.
Successivamente si affronterà il progetto. Diciamo che entro l'inizio della
prossima estate il nuovo collegamento sarà pronto».
Riccardo Tosques
«Nuove indagini sanitarie a Servola» - Lettera di
Dipiazza all'Asuits: «Allarmanti gli ultimi dati dell'Arpa sulle polveri»
Comune in pressing sull'Azienda sanitaria per far luce sugli sforamenti nei
livelli di polveri nell'aria respirata dagli abitanti di Servola. Ad annunciare
la nuova "offensiva" è stato ieri lo stesso sindaco Roberto Dipiazza, che ha
inviato alle autorità sanitarie una lettera specifica sul caso. «A seguito degli
ultimi dati forniti dall'Agenzia regionale della protezione per l'ambiente -
afferma il primo cittadino - relativamente ai deposimetri nei punti di
rilevamento collocati nello stabilimento nella Portineria operai, e nell'abitato
di Servola in via Ponticello, la situazione è alquanto allarmante. Abbiamo,
infatti, immediatamente inviato all'Azienda sanitaria cittadina la
documentazione chiedendo un parere sanitario al fine di adottare le misure più
opportune per la tutela della salute dei cittadini e dei lavoratori».
L'obiettivo del Comune, chiarisce ancora il sindaco, è capire se esistano reali
e nuovi pericoli per la salute dei residenti. «Dagli ultimi dati che ci sono
stati forniti dall' Arpa, relativi al mese di giugno, la quantità di polvere
sedimentata nei citati deposimetri evidenzia superamenti tra il 130% ed il 150%
dei valori massimi consentiti dall'Aia (Autorizzazione integrata ambientale,
ndr) per la Ferriera. Con questa richiesta di parere urgente - conclude Dipiazza
- chiediamo all'organo competente, appunto l'AsuiTs, di accertare sul piano
sanitario se tali sforamenti costituiscono una situazione di pericolo o di danno
per la salute».
Scienze della vita - Pier Luigi Nimis: «Sulle Carniche alla scoperta della flora tipica»
La flora delle Alpi Carniche meridionali è talmente interessante, con le sue 1300 specie di piante, che la quarantina e oltre di ragazzi che faranno il loro viaggio d'istruzione nel Centro Studi di Botanica Alpina a 1400 metri d'altezza, sul passo del Pura, non potranno che restare estasiati. Perché ormai da 40 anni è negli usi e nei costumi del dipartimento di Scienze della vita condurre in quest'area i propri studenti, e in particolare ora quelli della triennale di Scienze ambientali e Biologia, e della specialistica di Ecologia dei cambiamenti globali, accompagnati in due turni, dal 30 luglio al 12 agosto, dal professore Pier Luigi Nimis, che insegna Botanica sistematica. Potranno passeggiare, come già fatto dai loro predecessori e come spiegato nella guida apposita realizzata da Nimis, Andrea Moro e Stefano Martellos, i prati aridi sui ghiaioni del versante meridionale del monte Nauleni, i substrati calcarei e silicei e tanti altri luoghi ameni. Il tutto finanziato dall'Università di Trieste. Come funziona, professor Nimis?«Ciascun gruppo fa cinque giorni di full immersion nella natura con escursioni, dove si raccolgono le piante e si guarda l'ambiente. Poi si va nel laboratorio, che si trova proprio accanto alla baita da 23 posti letto dove alloggiamo, fornito di tutti gli strumenti adatti per scoprire le specie. C'è anche Internet. È un modo diverso e utilissimo affinché i ragazzi socializzino tra loro e con i docenti». Com'è nata l'iniziativa? «È già da 40 anni che la Comunità montana della Carnia mette a disposizione per Units questi due edifici vicini e attrezzati di tutto. Pure io da studente c'ero stato. Il laboratorio è stato costruito dopo, perché la Comunità vedeva che ogni anno venivano un sacco di persone, è un modo anche per incentivare il turismo naturalistico». Non siete gli unici che sfruttano l'area...«No, tra glia altri, da quattro anni, vengono anche gli allievi dell'Università di Manchester, che usano il laboratorio ma dormono per due settimane nel rifugio vicino, il Tita Piaz, perché sono in 40 persone alla volta». Avete anche realizzato un'applicazione e delle guide sulla flora di questa zona?«Sì, oltre alle guide cartacee, siamo stati i primi in Europa a creare delle applicazioni per cellulari utilizzabili anche senza Internet, disponibili in 16 lingue».
Benedetta Moro
Ricercatori ed enti pubblici - "Eugenio Rosmann" e “Populus alba”: due premi per la salvaguardia dell’ambiente
L'associazione ambientalista "Eugenio Rosmann" di Monfalcone avvia la prima edizione di due premi "ambientali", l'uno rivolto agli studenti neolaureati e ai ricercatori universitari, l'altro alle pubbliche amministrazioni, entrambi resi possibili dal sostegno economico della Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia. Per quanto riguarda i giovani studiosi si può partecipare al concorso attraverso tesi, elaborati o ricerche universitarie volti alla tutela dell'ambiente e dei suoi contenuti naturalistici e alla manutenzione e gestione del territorio. L'ambito del concorso verte sul valore naturalistico nel contesto territoriale. Può aderirvi chi ha conseguito un titolo di laurea nel periodo dal primo aprile al 30 maggio di quest'anno in materie scientifiche naturalistiche e ambientali. In palio ci sono 1000 euro per il primo classificato e 500 per il secondo finalista. Per le pubbliche amministrazioni invece è stato organizzato il premio "Populus alba" ovvero il Pioppo bianco. "L'associazione invita - spiega il presidente Claudio Siniscalchi (foto) - le amministrazioni territoriali a fornire una testimonianza delle azioni ritenute meritevoli di menzione in campo ambientale. Info ambientalistimonfalcone.it.
IL PICCOLO - GIOVEDI', 20 luglio 2017
La Regione fa ricorso contro il gasdotto - Impugnato
davanti al Tar del Lazio il decreto sulla compatibilità ambientale del
collegamento Trieste-Grado-Villesse
TRIESTE - Debora Serracchiani, un mese fa, aveva annunciato l'impugnazione.
Con lei, sulla stessa linea, l'assessore all'Ambiente Sara Vito. E ieri, nessuna
sorpresa, la Regione ha eseguito, riconfermando la sua assoluta contrarietà al
rigassificatore di Zaule e al metanodotto, due opere considerate un tutt'uno.
Sul tavolo del Tar del Lazio arriva stavolta il ricorso contro il decreto con il
quale il ministero dell'Ambiente, di concerto con il dicastero per i Beni e le
attività culturali, lo scorso 12 giugno aveva stabilito la compatibilità
ambientale del progetto di un metanodotto Trieste- Grado-Villesse, così come
presentato da Snam Rete Gas. La posizione del Friuli Venezia Giulia non è mai
mutata. E, dato che le due opere (la seconda è il rigassificatore di Zaule) sono
sulla carta funzionalmente interconnesse, la Regione ribadisce con la via
giudiziaria il suo secco altolà anche al metanodotto.«Come a suo tempo ci siamo
opposti al rigassificatore - riassume Serracchiani -, chiedendo proprio al Tar
del Lazio l'annullamento del decreto di compatibilità dell'opera per ragioni di
sicurezza della navigazione, e in quanto ostacolo oggettivo alle prospettive di
sviluppo del porto di Trieste, altrettanto adesso, fatti gli opportuni
approfondimenti tecnici, abbiamo formalmente impugnato il decreto sul
metanodotto». La vicenda, ricorda ancora la presidente, inizia nel 2004, quando
Gas Natural avvia la procedura per l'autorizzazione alla costruzione di un
impianto di rigassificazione che, «inspiegabilmente e illegittimamente -
sottolinea Serracchiani - si è di fatto conclusa con un via libera ministeriale,
contro il quale la Regione ha presentato il suo primo ricorso al Tar nell'aprile
2015». Nell'attesa del pronunciamento dei giudici amministrativi, all'interno
del Piano energetico regionale il Friuli Venezia Giulia ha riconfermato la
volontà di non autorizzare la realizzazione sul proprio territorio del
rigassificatore «in quanto progetto sovradimensionato e in contrasto con il
previsto incremento del traffico portuale, peraltro sancito dalla recente firma
del decreto di porto franco, elemento epocale che ne accresce ulteriormente le
potenzialità». Nulla di nuovo per il governo e in particolare per il ministro
per lo Sviluppo economico Carlo Calenda, ripetutamente informato attraverso
incontri e lettere. E nulla di nuovo nemmeno con l'atteso atto di ieri, in
risposta al giudizio favorevole di compatibilità ambientale di giugno, un
passaggio che ha invece sorpreso la Regione vista la precedente combinazione di
pareri sfavorevoli: della stessa amministrazione regionale, dell'Autorità
portuale (che nell'aprile 2016 ha approvato il nuovo piano regolatore
evidenziando precise interferenze e incompatibilità), della quasi totalità dei
Comuni interessati, a cominciare da Trieste. Nel ricorso, fa sapere la Regione,
partendo dal presupposto che il metanodotto va considerato parte integrante di
un'opera principale «che non s'ha da fare», viene anche contestata la mancata
valutazione congiunta dei due progetti, che avrebbe consentito di accertare il
complessivo impatto sull'ambiente. Oltre al Tar, il dossier è stato notificato
anche agli enti pubblici interessati (tra questi anche al Comune di Trieste) per
l'adozione di eventuali iniziative giudiziarie per la tutela degli interessi dei
quali sono portatori, che potrebbero risultare compromessi dalla realizzazione
del rigassificatore di Zaule e delle opere ad esso connesse. In ogni caso,
conclude Serracchiani, «l'auspicio è che questa partita si chiuda
definitivamente a breve, facendo calare il sipario su due opere che nessuno
vuole».
Marco Ballico
No del Tar al terminal Teseco all'ex Aquila - Secondo i
giudici l'azienda non ha esperienza nella gestione portuale e non è stata data
sufficiente pubblicità al bando
MUGGIA - Il Tar del Friuli Venezia Giulia affonda il terminal traghetti
Teseco all'ex Aquila, che prevedeva un investimento di 90 milioni. I giudici
amministrativi hanno dichiarato nulla la concessione di 60 anni alla società
pisana, formalizzata dall'Authority il 23 settembre 2014 dopo che il Comitato
portuale l'aveva approvata il 26 luglio 2013, tutto sotto la presidenza di
Marina Monassi. Zeno D'Agostino aveva già "congelato" il progetto da commissario
del porto nel novembre 2015, allorché in una manifestazione pubblica aveva
affermato: «Non posso permettere che si costruisca un terminal per poi farlo
restare vuoto. Se non vi è la presenza di un operatore logistico, un progetto
non può essere avviato». Ed è questo uno dei motivi che ha indotto il Tar a
imporre lo stop, accogliendo il ricorso avanzato dalla società Seastock che,
immediatamente a monte delle banchine, intendeva realizzare un deposito di Gpl,
obiettivo poi decaduto. «È noto - rilevano i giudici - che Teseco è società
specializzata nelle attività di recupero e trattamento dei rifiuti speciali e
nelle attività di bonifica dei siti inquinati, ed è priva di specifica
esperienza nella gestione di terminali portuali, di trasporti marittimi e di
ogni altra operazione o servizio portuale». Si specifica anche che
effettivamente «la società ha, sin dall'origine, manifestato l'intenzione di
affidare a terzi, senza peraltro indicarne il nominativo, l'esercizio delle
operazioni e dei servizi portuali in questione». Di conseguenza, si legge nella
sentenza, «è evidente che non pare che alcun soggetto possa essere stato
effettivamente sottoposto e avere positivamente superato la verifica in ordine
alla rispondenza ai requisiti di legge». Tutto ciò a prescindere dalla grave
situazione di crisi in cui si trova la stessa Teseco, che ha messo in cassa
integrazione straordinaria per un anno 174 lavoratori fra amministrativi e
operai specializzati.«Stiamo ora valutando come procedere assieme al nostro
ufficio legale - specifica oggi D'Agostino, presidente dell'Adsp dell'Adriatico
orientale - poiché quello era un project-financing. Il piano regolatore non
vincola l'area a un terminal traghetti, ma ad attività logistico-portuali in
senso ampio, siamo però in contatto anche con il commissario liquidatore di
Teseco». La situazione di stallo pare comunque al termine e il pallino del gioco
torna in mano all'Authority, con la conseguenza che l'area potrà ora venire
effettivamente messa sul mercato degli operatori dello shipping, magari cinesi
ma non solo. Motivo fondamentale dello stop alla concessione è però un altro,
perché in realtà il Tar ha inchiodato il terminal Teseco sul punto in cui
l'Unione europea, al contrario, aveva dato il via libera archiviando la
procedura di preinfrazione, ovvero la mancanza di sufficiente pubblicità data al
bando per la concessione. Archiviazione che aveva riguardato anche i casi delle
concessioni per 60 anni a Trieste marine terminal per il Molo settimo e per 50
anni alla Siot per il terminal petrolifero, che però ora non rischiano essendo
comunque scaduti i termini per ipotetici ricorsi.«Il Collegio è dell'avviso - si
legge ancora - che, avuto riguardo alla durata della concessione (60 anni),
all'estensione dell'area richiesta, alle opere previste, all'attività in
progetto e alla possibilità di sfruttamento economico pressoché in regime di
monopolio che deriva a favore del concessionario, che colà è autorizzato a
realizzare ed esercire un terminal ro-ro e multipurpose, la forma di pubblicità
in concreto osservata dall'Autorità Portuale (ovvero la mera pubblicazione
all'albo pretorio on line del Comune di Muggia dell'istanza di concessione
demaniale avanzata da Teseco nell'anno 2011, senza, peraltro, peritarsi di
fornire pubblicità a tutte le successive integrazioni progettuali apportate alla
medesima) non possa ritenersi idonea ad assolvere, nel caso specifico, né
all'incombente posto dall'art. 18, comma 1, l. 84/1994, né, tanto meno,
costituire adempimento sufficiente al fine di assicurare il rispetto di basilari
principi nazionali e comunitari di trasparenza, pubblicità, imparzialità e
proporzionalità».
Silvio Maranzana
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 19 luglio 2017
Mazzoncini: Ferrovie pronte a investire sul porto di
Trieste -
L'ad: «Lo scalo sta crescendo più di tutti. Stiamo lavorando con il
ministero per individuare gli interventi sul retroporto»
TRIESTE - Il porto di Trieste, insieme a quello di Genova, è lo scalo
nazionale che registra il maggior livello di crescita. Allora, allo scopo di
assecondare questo sviluppo, «stiamo lavorando con il ministero per individuare
tutti gli investimenti nel retroporto necessari a garantire il deflusso delle
merci verso Ovest e verso Nord». Parola di Renato Mazzoncini, amministratore
delegato delle Fs, che ieri era a Trieste per l'avvio della riqualificazione
della stazione di Campo Marzio. Il manager ha posto l'accento sul lavoro,
impostato insieme al ministro Delrio, per rafforzare l'intermodalità
binario-banchina. «Gli investimenti complessivi nel Friuli Venezia Giulia - ha
osservato ancora Mazzoncini a margine dell'iniziativa triestina - sono diverse
centinaia di milioni di euro». «Abbiamo un investimento - ha sottolineato - di
1,8 milioni per la velocizzazione della linea per Venezia, che consentirà di
scendere a un'ora e cinque minuti». Anche la Regione Fvg annuncia un paio di
mosse sulla scacchiera amministrativa, mosse tese ad agevolare opere pubbliche e
avvio di attività economiche nel contesto portuale. Il cosiddetto "piano di
armamento" - annuncia l'assessore Sara Vito - non avrà occorrenza di Valutazione
di impatto ambientale (Via) se, prima dell'avvio del cantiere e durante la
realizzazione dei lavori, verranno rispettate «precise prescrizioni per la
tutela dell'ambiente». Si tratta - precisa una nota della Regione in merito al
piano portuale - di «un esteso intervento di manutenzione straordinaria e
ristrutturazione», mirato a potenziare la movimentazione dei moli V-VI-VII e a
migliorare le connessioni con le infrastrutture ferroviarie. La decisione della
giunta regionale, puntualizza l'assessore Vito, è stata presa per sveltire i
tempi del cantiere. Le prescrizioni, per dribblare il Via, riguardano la
cosiddetta "invarianza idrica" per compensare le aree di nuova
impermeabilizzazione, la riduzione di emissioni in atmosfera mediante
combustibili di nuova generazione ed energie rinnovabili, un piano di
monitoraggio concordato con Arpa, l'abbattimento del rumore. La Regione promuove
inoltre sia l'elettrificazione delle banchine che del movimento ferroviario
(parzialmente). Ancora: allestimento di barriere mobili anti-polvere,
nebulizzazione di acqua sulle aree di passaggio, utilizzo di mezzi pesanti
"telonati" per il trasporto di materiali, lavaggio periodico della viabilità
esterna al grande cantiere portuale.In questo scambio di cortesie l'Autorità
portuale conferisce un ringraziamento per la proposta di esclusione dal Sin
(Sito di interesse nazionale) delle aree a ridosso del Canale industriale
triestino. L'idea della Regione Fvg, sottoposta al ministero dell'Ambiente,
riguarda la possibilità che sia la stessa amministrazione regionale a gestire le
procedure in questa specifica zona. Questo consentirebbe una più rapida gestione
delle pratiche. Alla soddisfazione di Zeno D'Agostino - si ricordi che l'Ap sarà
il perno del "nuovo Ezit" - si accompagna analogo sentimento del direttore
dell'Area Science Park, Stefano Casaleggi, interessato a realizzare un "industrial
innovation hub" che valorizzi la collaborazione tra ricerca, logistica, settori
hi-tech, attraendo a Trieste investimenti industriali.
Massimo Greco
Il patto di Campo Marzio fa rinascere la stazione -
Firmato il protocollo fra governo, Fs, Regione e Comune. Arrivano 4 milioni
Moretti rilancia e annuncia anche la copertura dei binari con altri
investimenti
«Sarà una bellissima piazza coperta. Rifaremo anche il tetto a volta della
Stazione di Campo Marzio. Costerà un paio di milioni di euro a spanne. La
copertura metallica è stata data alla patria come l'oro. Ora potremmo
richiederla indietro». Mauro Moretti, presidente della Fondazione Fs, non si
limita ai contenuti del protocollo d'intesa parlando con il ministro ai Beni
culturali Dario Franceschini, la governatrice Debora Serracchiani e il sindaco
Roberto Dipiazza. La monumentale tettoia liberty a copertura dei binari manca
dal 1942, quando fu demolita e il materiale utilizzato per l'industria bellica.
Nel progetto di restauro completo di Campo Marzio, per il quale si parla di 18
milioni di euro, c'è anche la storica copertura dei binari. Moretti, confortato
dal direttore Luigi Cantamessa, è l'unico a dare i numeri. «Questo di oggi è
solo il primo passo. Servono 18 milioni e ora ne abbiamo solo sei» attacca l'ex
ad delle Ferrovie dello Stato. «Ne abbiamo solo 4» viene corretto. «Motivo in
più per trovare gli altri e fare il resto», attacca rivolto al suo successore
alle Ferrovie (Renato Mazzoncini) al ministro, alla governatrice e al sindaco. I
quattro milioni del protocollo d'intesa (2 milioni del Mibact, 1,5 delle
Ferrovie dello Stato e 500mila euro della Regione) serviranno solo per
salvaguardare l'ala su via Giulio Cesare dove è collocato il Museo ferroviario
di Campo Marzio, che da ieri chiude nella speranza di riaprire in formato
ridotto in primavera, e integralmente tra un anno. E nella futura gestione della
Fondazione Fs ci saranno anche i volontari del Dopolavoro Ferroviario di
Trieste, che per 43 anni hanno gestito il museo aperto ufficialmente nel 1984 e
che ieri, dopo l'esclusione dagli inviti, sono stati omaggiati di encomi e
ringraziamenti da parte di tutti. Oliviero Brugiati, presidente
dell'Associazione nazionale Dlf, ha parlato pur non essendo presente nella
scaletta degli interventi, ricordando come chi ora la prende in gestione qualche
anno aveva messo in vendita la stazione di Trieste Campo Marzio. «Noi siamo
riusciti a scongiurare questo pericolo e ora siamo felici che la Fondazione Fs
la prenda in gestione», ricorda senza voler rovinare la «giornata storica»
(parola di Serracchiani) o gli amarcord dei presenti. «Il Museo di Campo Marzio
è straordinario. A differenza di Pietrarsa di Napoli è una vera stazione. E si
può fare un giro su un treno storico. Un caso più unico che caro. Ho visitato
questo museo nel 1994, quando accompagnai mia moglie a sostenere un esame di
dottorato a Trieste. Dopo 25 anni sono qui a firmare per far ripartire il museo.
Non ci posso credere», spiega l'ad di Ferrovie Mazzoncini che parla di
"Rinascimento ferroviario".«Questo è il frutto di un lavoro prezioso con
Ferrovie dello Stato e la Fondazione Fs grazie al quale il Friuli Venezia
Giulia, a distanza di quattro anni, può essere considerata una regione che ha
recuperato i ritardi del passato non solo sul trasporto delle merci e dei
passeggeri ma anche su quelle tratte storiche che intercettano l'interesse e il
gradimento di molti turisti», spiega la governatrice. «È la prima parte di
recupero di questo luogo straordinario, con locomotive e treni di un'importanza
assoluta, che conservano la memoria non soltanto di Trieste ma dell'Italia -
insiste il ministro Franceschini -. È un grande progetto di riqualificazione
urbana - prosegue anche con la possibilità di collegare la vecchia stazione di
Campo Marzio con la stazione e il parco di Miramare. Veramente una grande sfida.
Immagino cosa può voler dire per il turismo scolastico, per i viaggiatori da
tutto il mondo visitare questo luogo di memoria unico».L'immaginazione non manca
al sindaco Dipiazza: «Trieste dimostra di avere il vento in poppa. Questa
Stazione ferroviaria diventerà veramente un museo molto interessante e
probabilmente molto visitato, in un'area molto suggestiva e di valore per la
nostra città, vicina a dove sorgerà il Parco del mare e che sarà interessata
dallo spostamento del Mercato ortofrutticolo all'ingrosso dove sorgerà una Spa.
Sto pensando di chiudere via Giulio Cesare al traffico e fare la viabilità
sotterranea». Un programma che si aggiunge al compito affidato dal protocollo al
Comune di Trieste, ovvero la rimozione delle "scovazze" dall'area di Campo
Marzio
Fabio Dorigo
I big "battezzano" la linea storica - Le rotaie che
collegano Trieste al Carso ripercorse con un convoglio d'epoca
Il primo di una lunga serie di percorsi con treni d'epoca alla scoperta di
quei tratti ferroviari che circondano Trieste ma generalmente non sono aperti al
traffico passeggeri. Così ieri mattina, prima della firma del protocollo per il
restauro del Museo ferroviario di Campo Marzio fra Mibact, Regione, Ferrovie
dello Stato, Fondazione Fs e Comune di Trieste, c'è stato un tour ferroviario
inedito, con carrozze d'epoca, partendo dalla stazione di Miramare, quasi una
prova generale di quel percorso che sarà operativo in tempi non ancora definiti.
La giornata triestina del ministro dei Beni e della attività culturali e del
turismo, Dario Franceschini, ha avuto inizio con una passeggiata nel parco di
Miramare per verificare i lavori di sistemazione della vasta area verde, da
tempo in degrado. Ad accompagnarlo la governatrice Debora Serracchiani, il
sindaco Roberto Dipiazza, l'amministratore delegato di Fs Renato Mazzoncini e il
presidente della Fondazione Fs Mauro Moretti. Dopo aver "risalito" il parco, gli
ospiti si sono diretti verso via Beirut, dove un convoglio storico di Fondazione
Fs li attendeva nell'ottocentesca stazioncina di Miramare. Da lì il convoglio ha
percorso tratte ferroviarie poco note concludendo il suo percorso al Museo
ferroviario.Il treno ha iniziato il tragitto in direzione di Bivio di Aurisina e
di Prosecco, per poi fermarsi a Villa Opicina, ricalcando quindi il percorso
della vecchia Ferrovia Meridionale. Durante il percorso Luigi Cantamessa,
direttore della Fondazione Fs, che da oggi gestirà il polo museale di Campo
Marzio, ha intrattenuto i presenti con spiegazioni storico- tecniche sulla
linea. Una volta giunto a Villa Opicina, il convoglio storico, trainato da
locomotori diesel, ha cambiato direzione di marcia per iniziare la discesa verso
Campo Marzio, attraverso la storica Transalpina, appena riaperta al traffico
dopo nove mesi di lavori e una spesa pari a tre milioni di euro, sostenuta da
Rfi. L'intervento ha riguardato la messa in sicurezza delle gallerie, il
rifacimento di alcuni tratti dei binari, la sistemazione dei muri di
contenimento e lo sfalcio della vegetazione. Durante il tragitto il convoglio ha
sostato nei punti più suggestivi e panoramici, come il viadotto in prossimità di
San Cilino, ad alcuni chilometri dall'arrivo alla stazione di Campo Marzio. Ciò
che rende unica questa infrastruttura è il fatto che si tratta di una stazione
allacciata alla rete ferroviaria in esercizio - oltre ad essere stata capolinea
meridionale della Ferrovia Transalpina, nota anche come il secondo collegamento
ferroviario di Trieste, inaugurata nel 1906 - con annesso un museo tematico.
Quindi il suo futuro, una volta terminati i lavori di restauro, avrà una doppia
valenza: da un lato sarà museo e dall'altro punto di arrivo e di partenza per
treni storici. «Campo Marzio è speciale - ha rilevato Renato Mazzoncini, ad di
Ferrovie dello stato - perché è arrivo e destinazione di una linea storica. Da
qui i visitatori potranno viaggiare su treni storici e anche visitare il museo
pagando un unico biglietto». Il futuro della stazione è dunque delineato, e in
questa ottica l'antico "valico di Monrupino" sarà mantenuto in esercizio e
potenziato. Sempre in tema di treni storici, Fondazione Fs intende incentivare
anche un'altra linea ai scopi turistici, la pedemontana Gemona-Sacile.
Andrea Di Matteo
Primi cantieri entro un mese - La sfida coinvolge Miramare
Si punta in chiave turistica sul collegamento via
rotaia attraverso Opicina e Rozzol - E verrà realizzato un percorso pedonale tra
la stazione di Massimiliano e il Castello
Campo Marzio e Miramare. Un unico polo museale e turistico unito dalle
rotaie. Ieri è stato compiuto il primo passo che vale 4 milioni di euro su un
percorso che richiede almeno 18 milioni di euro. Ieri, attorno alle 13.20, al
Museo ferroviario di Trieste Campo Marzio è stato sottoscritto il Protocollo
attuativo che dà il via al progetto di restauro e di conservazione della prima
parte del Museo ferroviario di Trieste Campo Marzio al suo riutilizzo come polo
museale e turistico. Le firme sono quelle del ministro dei Beni e delle Attività
culturali e del Turismo Dario Franceschini, della presidente della Regione
Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani, del sindaco di Trieste, Roberto
Dipiazza, dell'ad delle Ferrovie dello Stato Italiane, Renato Mazzoncini, e del
presidente della Fondazione Fs Mauro Moretti. «Il protocollo - si legge
all'articolo 2 - ha come fine la conservazione, la riqualificazione e la
valorizzazione dei beni facenti parte del sito denominato "Complesso museale di
Trieste Campo Marzio" quale iniziativa qualificante per lo sviluppo turistico
della Regione e della città di Trieste». Non solo museo, insomma. L'inizio dei
lavori? Non se ne parla del protocollo. Ma potrebbero partire entro 30 giorni.
Il piano di recupero predisposto dalla Fondazione Fs prevede, in una prima fase,
il restauro dell'area aperta al pubblico dove sarà esposta la collezione di
cimeli ferroviari italiani e dell'ex impero austroungarico.Il Museo ferroviario,
inaugurato nel 1984, resterà chiuso fino al termine dei lavori, previsti per un
anno circa, e dopo il restauro sarà gestito dalla Fondazione con il supporto dei
volontari del Dopolavoro ferroviario di Trieste. Non si esclude una riapertura
parziale del museo la prossima primavera.Il contributo economico del Ministero
dei Beni e delle attività culturali e del turismo è di due milioni di euro,
quello della Regione mezzo milione, quello del Gruppo Fs, proprietario
dell'immobile, un milione e mezzo. Quattro milioni in tutto per partire. Il
progetto però non c'è ancora. L'incarico per la progettazione esecutiva e
l'esecuzione dei lavori è stato affidato a Rete ferroviaria italiana (Rfi).«Le
parti si impegnano - si legge all'articolo 3 del protocollo - ad avviare nel
breve termine un progetto di generale restauro del sito di Campo Marzio, in
analogia con il "modello Museo nazionale ferroviario di Pietrarsa" sperimentato
da Fondazione Fs, al fine di renderlo un polo "dinamico" e punto di partenza di
itinerari turistici nel Friuli Venezia Giulia». A differenza di Pietrarsa, museo
realizzato all'interno di un'ex officina, Campo Marzio funzionerà come stazione
ferroviaria. Si potrà visitare il museo, ma anche prendere un treno. Nel
protocollo c'è, infatti, l'impegno a «valorizzare il suggestivo itinerario
"Trieste Campo Marzio-Villa Opicina-Bivio d'Aurisina-Castello di
Miramare-Trieste Centrale" attraverso la circolazione di treni storici e
turistici».E non solo. Il Museo ferroviario di Trieste, un caso unico in Europa,
ha sede nell'ex stazione terminale dell'antica linea austroungarica
Trieste-Vienna. Ed è ancora raccordato alla rete ferroviaria in esercizio. Per
questo il museo può essere stazione di origine per viaggi con treni d'epoca
all'interno della regione o verso l'Austria e la Slovenia, tramite l'antico
valico di Monrupino che sarà mantenuto in esercizio e potenziato per questi
scopi. La firma di ieri, infatti, è stata preceduta da una visita al parco e al
castello di Miramare e dal viaggio inaugurale sul treno con carrozze d'epoca
dalla stazione di Miramare a Villa Opicina e sull'antica ferrovia di Rozzol,
ripristinata da Rete Ferroviaria Italiana (Gruppo Fs Italiane), con arrivo a
Trieste Campo Marzio, un percorso di oltre 30 chilometri. Nel protocollo c'è
pure un impegno che riguarda Miramare. Non per niente ieri era presente anche la
nuova direttrice Andreina Contessa. «Le parti si impegnano - si legge - a
valorizzare la fermata di Miramare (la stazione di Massimiliano d'Asburgo, ndr),
sviluppando un nuovo collegamento pedonale con il parco e il museo del Castello
di Miramare». Il Comune di Trieste, infine, dovrà «farsi carico della
manutenzione delle aree verdi e della raccolta dei rifiuti nell'area del Museo
Ferroviario di Trieste Campo Marzio». Tutti invece si dovranno impegnare a
reperire risorse private e pubbliche, compresi eventuali fondi europei, per il
completamento dell'opera. All'appello mancano 14 milioni di euro.
(fa.do.)
Mozione in Consiglio a difesa della collezione
Non era stato neppure firmato il protocollo per restauro della Stazione di
Campo Marzio che in Comune era già stata depositata una mozione urgente. La
firmano i consiglieri di Forza Italia Piero Camber, Alberto Polacco e Michele
Babuder. A preoccupare è la futura gestione del museo e il destino della
collezione. La mozione vuole impegnare «il sindaco, gli assessori competenti
unitamente ai loro uffici, a farsi parte attiva presso la Regione Friuli Venezia
Giulia nonchè Fondazione FS Italiane affinché l'Associazione Dopolavoro
Ferroviario non venga esclusa dalla gestione del Museo ferroviario di Campo
Marzio e a verificare a chi competa la vigilanza sulle collezioni ivi contenute,
e per l'effetto a chi spetti la relativa responsabilità», nonchè a «vigilare
affinché le collezioni ivi presenti non vengano smembrate, neppure
temporaneamente, rappresentando le stesse uno dei principali richiami turistici
di Trieste».
Regione in pressing su Arvedi per l’altoforno - Chiesta una relazione «nei tempi tecnici strettamente necessari» sui lavori di rifacimento dell’impianto
«I lavori di rifacimento della bocca di carica dell’altoforno sono indispensabili e improrogabili”. Ad affermarlo, in una lettera inviata all’Acciaieria Arvedi spa, è la direzione centrale Ambiente della Regione, che, attraverso questo documento, ha sollecitato l’azienda a inviare, «nei tempi tecnici strettamente necessari, una relazione sui lavori di rifacimento della bocca dell’altoforno dello stabilimento siderurgico triestino e il relativo cronoprogramma». In proposito va detto che si tratta di lavori di ordinaria manutenzione, già programmati per l’autunno, che comportano la fermata dell’impianto per alcune settimane. Tornando alla lettera inviata ad Arvedi, in essa la Regione precisa che i dati dei deposimetri relativi al mese di giugno 2017 «confermano la bontà del decreto regionale1998/2017 di diffida ad adempiere alla prescrizione di cui alla lettera C, punto 8, parte A - Condizioni preliminari dell'allegato B al decreto Aia 96/2016». Nello specifico, spiega l’amministrazione regionale, la diffida si concentrava sul fatto che, qualora dovesse risultare superato anche solo uno degli obiettivi di qualità relativi alle polveri fissati nel punto 8.A (obiettivi di monitoraggio della qualità dell'aria a San Lorenzo in Selva) oppure 8.B (obiettivi di monitoraggio qualità dell'aria in altre stazioni), l'azienda dovrà rispettare almeno le seguenti prescrizioni con effetto immediato: 1) contenere in 290 il numero massimo di colate mensili; 2) limitare la marcia dell'altoforno entro le 34mila tonnellate mensili e di pari passo la produzione di coke non dovrà essere maggiore di quella funzionale alla produzione di ghisa. «Riteniamo pertanto - si legge nella nota inviata ad Acciaieria Arvedi dalla Regione - che vada mantenuta la limitazione della marcia degli impianti di cokeria ed altoforno nei termini indicati nel succitato provvedimento di diffida, e che i lavori di rifacimento della bocca di carica dell’altoforno siano indispensabili e improrogabili». La riduzione della produzione di ghisa è già stata comunica alla Regione da Siderurgica triestina nei primi giorni di questo mese, rispondendo così alla diffida con cui a fine giugno l’ente regionale ha intimato alla proprietà di diminuire la produzione affinchè le polveri rientrino nei valori previsti dall’Aia.
La Regione multa il Comune «Ma è tutta colpa di Acegas»
Municipio e multiutility sanzionate per una violazione
al depuratore di Basovizza - L'amministrazione Dipiazza non ci sta e va al Tar:
«Responsabilità solo del gestore»
La Regione Fvg ha fatto pervenire una multa al Comune di Trieste e
all'AcegasApsAmga in materia ambientale, avendo rilevato una violazione circa lo
scarico del depuratore di Basovizza, avendo ritenuto l'ente e la società
solidamente responsabili. Ma il Comune scuote energicamente il capo e non ci
sta: ricorre al Tar contro l'atto regionale, in quanto, come proprietario
dell'impianto, non si ritiene "colpevole" del superamento dei valori-limite di
emissione segnalati a Basovizza. Perchè la responsabilità - sostiene la delibera
309 approvata dalla giunta comunale nella seduta del 10 luglio - è invece da
attribuirsi interamente ad AcegasApsAmga, per la ragione che essa gestisce il
depuratore di Basovizza sulla base di una concessione trentennale. Concessione -
chiarisce la delibera votata all'unanimità (assenti gli assessori Lobianco e
Giorgi) - che affida all'azienda manutenzione ordinaria e straordinaria
dell'impianto «assumendosi tutti gli oneri della gestione». Quindi - argomenta
ancora piccata la delibera preparata dall'avvocatura diretta da Maria Serena
Giraldi - al Comune non può essere ascritta alcuna mancanza «nè tantomeno può
essere sanzionato per omissioni e violazioni dell'ente gestore». Di conseguenza
il Municipio propone ricorso contro l'ordinanza-ingiunzione n. 18/17 notificata
dalla Regione. Detta notifica, avvenuta lo scorso 22 giugno, riguarda un verbale
di accertamento e contestazione risalente al 14 settembre del 2012, ovvero a
circa cinque anni fa (Cosolini consule). Saranno gli stessi legali comunali a
patrocinare l'interesse dell'amministrazione avanti al Tar. Colpisce l'importo
tutto sommato modesto dell'ingiunzione: si tratta di 3079 euro, che andrebbero
spartiti con AcegasApsAmga. Evidentemente non è in gioco la somma, ma il
principio: il Comune non vuole creare precedenti ed essere coinvolto in
situazioni giuridicamente critiche che dipenderebbero solo dal gestore.La
delibera fa sommario riferimento al fatto che «al Comune è stato ingiunto il
pagamento unicamente in quanto proprietario dell'impianto, ritenendo che non si
sia attivato con la dovuta tempestività al fine di assicurare i limiti tabellari
di legge». Insomma, la Regione imputa al Comune un'omissione di intervento. Ma
il Comune replica: non c'entriamo, avrebbe dovuto pensarci la concessionaria
AcegasApsAmga, che è presieduta da Giovanni Borgna ed è diretta "sul campo" da
Roberto Gasparetto. L'impianto di Basovizza partecipa, insieme alle strutture di
Zaule, Servola e Barcola (ormai depotenziato), al sistema di depurazione
triestino. Secondo una scheda di AcegasApsAmga, è costituito da "linea acque"
(grigliatura fine, ossidazione biologica, sedimentazione finale, disinfezione,
scarico nel sottosuolo) e "linea fanghi" (ricircolo, pompaggio, smaltimento
mediante trasferimento a Zaule con autobotte). Il ricorso deliberato dalla
giunta segna la terza occasione che nel giro di pochi mesi palesa qualche
sintomo di malumore del Comune nei confronti dell'utility (controllata da Hera,
a sua volta partecipata al 4,6% dallo stesso municipio triestino). Tra i
precedenti ricordiamo gli arretrati del termovalorizzatore circa gli utenti non
triestini; rammentiamo le contestate sanzioni per la scarsa pulizia di strade e
aiuole.
Massimo Greco
Prosecco spinge per il ritorno al "vuoto a rendere"
PROSECCO - In tema di riciclaggio e di misure ecocompatibili, arriva dalla
Prima circoscrizione l'invito all'amministrazione comunale di dotarsi del
sistema "Pfand" da tempo utilizzato in Germania e, nelle sue diverse versioni,
in altrettante nazioni del Nord Europa. La proposta è del consigliere Simon
Rozac, adottata all'unanimità dal parlamentino, e si rifà a un sistema tanto
semplice quanto efficace, che già da qualche anno viene praticato dalle nazioni
più sensibili ai problemi ecologici. L'iniziativa di far restituire ai cittadini
bottiglie di vetro e di plastica direttamente ai negozianti quali "vuoti a
rendere", peraltro, era di norma sino a qualche decade fa anche nei nostri
negozi.Il sistema "Pfand" perfeziona quell'indirizzo con qualche piccolo ma
fondamentale accorgimento. Lo stato tedesco ha disposto un prezzo aggiuntivo per
l'acquisto di bottiglie in pet (plastica), vetro e alluminio. L'acquirente può
recuperarlo restituendo il vuoto direttamente al commerciante oppure
depositandolo in appositi contenitori automatici che rilasciano uno scontrino
per riavere il surplus. Questo processo innesca un comportamento virtuoso che,
oltre a sensibilizzare la comunità sulla possibilità di riutilizzo dei
contenitori, costringe l'industria al riciclaggio. Con il sistema "Pfand" si
frena l'eccessivo consumismo che caratterizza le nostra società e si
razionalizza il processo produttivo della plastica, costoso e inquinante. Lo "Pfand"
ha raccolto da subito l'interesse a l'adesione dei cittadini tedeschi,
obbligando le industrie locali a adattarsi al nuovo sistema. Nel documento
inviato al Comune, il Consiglio di Altipiano Ovest chiede la messa a punto di un
programma analogo, disponendo sperimentalmente i contenitori per la raccolta,
non solo presso gli esercizi di vendita ma pure vicino alle scuole, incentivando
così le nuove generazioni al senso civico e al decoro. Il nuovo sistema potrebbe
inoltre stimolare una comunità, come quella triestina, che secondo l'Istituto
superiore per la Protezione e la ricerca ambientale è ultima in regione per la
raccolta differenziata con una quota del 35,29%.
Maurizio Lozei
A fuoco in una settimana quel che brucia in un anno -
Lo rivela un rapporto della Commissione europea. Mattarella: «Azioni criminali»
Maremma: fiamme vicine alle case. A Napoli 20 persone bloccate in un'oasi
Wwf
ROMA - Incendi nel Cosentino, nel Cilento, nell'oasi Wwf degli Astroni a
Napoli, nel Casertano, sul litorale romano, in Maremma, nel Pisano, nel
Pistoiese, in Liguria e nel Pavese. Non c'è solo il Vesuvio: le fiamme risalgono
lo Stivale da Sud a Nord, lo divorano, sospinte dai cambiamenti climatici e dal
clima siccitoso, innescate da piromani e criminali. Il monte Reixia, tra Genova
e Arenzano brucia da quattro giorni: in un primo momento il fuoco sembrava
domato, ma nel pomeriggio di lunedì ha ripreso forza e vigore. Drammatica la
situazione in Maremma dove le fiamme lambiscono le case del borgo di Pietratonda.
Bruciano rifiuti e sterpaglie, parchi nazionali e animali. Brucia tutto il
Paese. Qualche numero per dare la misura del fenomeno: secondo la Commissione
europea in Italia nella settimana dall'8 al 15 luglio 2015 sono andati in fumo
27.167 ettari, più dei circa 27mila stimati da Legambiente nel rapporto
"Ecomafia" che riguarda lo scorso anno. Nella prima metà di luglio sono quasi
35mila gli ettari di terreno divorati dalle fiamme, sugli oltre 52mila censiti
dall'inizio del 2017. Alle 18 di ieri i Vigili del fuoco erano intervenuti 1.220
volte. Maglia nera è la Campania con 260 interventi, seguita a ruota dal Lazio
con 210, dalla Toscana con 150, dalla Puglia con 130 e dalla Calabria con 125.
Al Sud sono al lavoro circa 3mila pompieri.Oltre ai numeri, però, c'è un
patrimonio di qualità che rischia di andar perso. Da giorni ormai il Wwf cerca
di richiamare l'attenzione sull'oasi degli Astroni, alle porte di Napoli, altro
fronte aperto oltre quello del vulcano più famoso d'Italia. Qui le fiamme
divampano da una settimana, ormai. È iniziato tutto dalla parte più alta dove la
macchia mediterranea e una lecceta sono state ridotte in cenere. L'incendio ora
è alle porte della riserva, e si avvicina alla parte del cratere, la più
pregiata. Ma quello che spaventa di più è il destino di «una ventina di persone,
compreso il personale Wwf, circondante dalle fiamme». La presidente
dell'associazione, Donatella Bianchi, ha lanciato ieri l'ennesimo appello: «Da
giorni siamo preoccupati per il rogo e chiediamo mezzi adeguati per spegnere un
incendio sviluppatosi in un luogo dalle caratteristiche geomorfologiche molto
difficili. Ora la priorità è mettere in salvo le persone». I primi esseri
viventi colpiti dall'emergenza, però, sono habitat naturali e animali. Per
questo la Lipu, in una manifestazione, è arrivata a chiedere «provvedimenti di
posticipo dell'apertura della caccia per dare sollievo alla fauna duramente
provata», tanto dalla scomparsa dei boschi, quanto dall'incombere della siccità.
Gli amministratori in prima linea invocano aiuti. A cominciare dal governatore
della Toscana, Enrico Rossi, che spiega che la regione «non può fare da sola
perché occorre che ci sia un intervento ed una programmazione di carattere
nazionale. Lo dico denunciando una situazione grave destinata a ripetersi perché
i cambiamenti climatici ci sono». Il consiglio comunale di Napoli ha osservato
un minuto di silenzio «per la devastazione causata dagli incendi in Campania e
non solo». «La morte del Vesuvio per me equivale a un omicidio», ha spiegato il
sindaco Luigi De Magistris. Dalla Valtellina è intervenuto anche il presidente
della Repubblica Sergio Mattarella, che richiama l'attenzione sul lato
giudiziario della tragedia. «Gli incendi - ha detto - sono spesso il risultato
di azioni di criminali, da punire con forte determinazione e grande severità».
Il capo dello Stato ha anche ricordato il lavoro dei «tanti servitori dello
Stato che si stanno adoperando, con grande abnegazione e sacrificio per
contrastare il fuoco appiccato da sciagurati». Per l'incendio della pineta di
Castelfusano a Roma, dove secondo Legambiente sono bruciati ettari per
l'equivalente di «65 campi da calcio» e che ha condizionato anche ieri la
viabilità, la procura di Roma ha aperto un'indagine con l'ipotesi d'incendio
doloso. In manette un 22enne di Busto Arsizio, per cui si chiederà presto la
convalida dell'arresto. Gli investigatori sono alla ricerca di eventuali
complici, dalle «mani inesperte» da quanto apprende l'Ansa da fonti vicine
all'inchiesta.
Andrea Scutellà
Due roghi su tre appiccati con dolo - Il dossier dei Verdi: «Dal 2010 è stata distrutta un’area grande come il Molise»
ROMA - Quest'anno le fiamme hanno già bruciato decine di migliaia di ettari e causato danni per 900 milioni di euro. Cifra che arriva a 9 miliardi di euro se si prendono in considerazione i 447mila ettari bruciati dal 2010 a oggi. Per avere un'idea è come se fosse andata in fumo l'intera superficie del Molise. I dati, messi insieme in un dossier dei Verdi "Le mani sporche degli incendi", raccontano anche che «in questo scorcio d'estate le Regioni maggiormente colpite sono state la Sicilia con 18.613 ettari» andati a fuoco, «la Calabria con 10.829, la Campania con 5.858, la Puglia con 2.744 e il Lazio con 2.699». Secondo il dossier dei Verdi dal primo gennaio al 17 luglio «sono arrivate al Centro operativo aereo unificato del Dipartimento della Protezione civile ben 930 richieste di aiuto da parte delle Regioni». Gli incendi, in base alle statistiche della Guardia Forestale degli anni passati, «sono per la stragrande maggioranza causati dalla mano dell'uomo». Complessivamente, con riferimento al periodo 2000-2015, per il 60,4% sono stati appiccati per mano volontaria, il 9,7% involontariamente, il 2,5% per mano dubbia e solo l'1,2% per cause naturali; il rimanente 26,3% rimane non classificabile. Per il reato di incendio boschivo, nello stesso periodo, sono state segnalate all'Autorità giudiziaria 5.684 persone, di cui 181 tratte in arresto in flagranza di reato o sottoposte a misure di custodia cautelare. Il leader dei Verdi, Angelo Bonelli, fa presente come della «mancanza dei boschi ormai persi nei roghi ci accorgeremo alle prime piogge in autunno, quando i terreni non avranno più il sostegno della vegetazione», e si tornerà a parlare di dissesto idrogeologico. Ma Bonelli non risparmia critiche a una parte della riforma Madia, quella che ha portato la Forestale a essere inglobata in altri corpi di polizia. Ricorda, in proposito, sia la presentazione di un esposto in cui si parla di grave negligenza «per esempio per il mancato uso degli elicotteri anti-incendio» dell'ex Corpo Forestale «sia di depauperamento del patrimonio professionale» accumulato proprio dalla Forestale. La Coldiretti, invece, ci informa sui danni materiali degli incendi: «Ci vorranno almeno 15 anni per ricostruire i boschi andati a fuoco con danni all'ambiente, all'economia, al lavoro e al turismo. Per ogni ettaro di macchia mediterranea andato in fumo sono morti in media 400 animali tra mammiferi, uccelli e rettili».
IL PICCOLO - MARTEDI', 18 luglio 2017
«Chi vigilerà sul Museo ferroviario?» - L'amarezza del
Dlf escluso dopo 43 anni: «Chiusura inspiegabile senza un cantiere»
«È stato convenuto di scegliere tale data come giorno di chiusura del museo
per permettere l'inizio dei lavori. Tale data coinciderà anche con il termine
della gestione del museo da parte dall'Associazione dopolavoro ferroviario di
Trieste. Ringrazio il Dlf per avere negli anni sostenuto l'attività del museo e
avere curato la preservazione della sua importante collezione». La data è quella
di oggi, 18 luglio, giorno del protocollo tra le istituzioni per il restauro
della Stazione di Trieste Campo Marzio. A firmare la lettera, indirizzata a
Oliviero Brugiati, presidente dell'Associazione nazionale Dlf, è Luigi
Cantamessa, direttore della Fondazione Fs. Il Dlf ha appreso così due giorni fa
di essere stato estromesso dopo 43 anni di onorato servizio dal museo che aveva
fondato nel 1974. «Non si sa chi d'ora in poi vigilerà sulla collezione, e sul
suo patrimonio, che è pure vincolata dalla Soprintendenza. Non capisce perché si
debba chiudere il 18 luglio il museo nel mezzo della stagione turistica senza
che ci sia un cantiere che apre. Un museo che fa seimila visitatori all'anno con
tre giorni di apertura alla settimana» spiega Claudio Vianello, presidente del
Dlf, il cui nome non risulta neppure tra gli inviti ufficiali della cerimonia
odierna. «Non vogliamo fare polemiche. Abbiamo donato la collezione valutata un
milione di euro alla Fondazione senza chiedere un centesimo. Solo che la
donazione non è stata ancora formalizzata che noi siamo già stati estromessi».
Il rischio concreto inoltre - secondo Vianello - è che la collezione di oltre
quattromila pezzi finisca in dei container per cinque anni e magari prenda la
via del museo ferroviario nazionale di Pietrarsa a Napoli. Senza ritorno.
(fa.do.)
A scuola con l'Ogs in aiuto al mare - A Trieste la
Summer school insegna ad affrontare le sfide climatiche e ambientali
Durerà ancora fino a domani, dopo più di una settimana di approfondimenti di
ogni tipo: Trieste ospita la Summer school dedicata a favorire lo sviluppo
economico sostenibile e la crescita blu responsabile nell'area del Mediterraneo
e del Mar Nero in linea con la strategia dell'Unione Europea chiamata "Blue
Growth Initiative". È l'Ogs che organizza questa iniziativa di alta formazione,
in materia di geofisica e scienze del mare, nell'ambito delle attività che
gestisce, su incarico del Miur, in occasione della presidenza italiana del
Dialogo 5+5, il forum geopolitico istituito per rafforzare la cooperazione in
aree di interesse comune fra i paesi del bacino occidentale del Mediterraneo.
«La Summer school è in linea con la Blue Growth Initiative, che riconosce nei
mari e negli oceani un motore per la crescita economica e sociale del continente
- spiega Maria Cristina Pedicchio, presidente dell'ente -, e vuole formare una
nuova generazione di scienziati capaci di affrontare le nuove sfide climatiche,
economiche e ambientali». Sono tantissimi i temi toccati in questi giorni da più
di 40 studenti tra ricercatori, scienziati e manager di istituzioni, università
e centri di ricerca, che hanno dai 25 ai 40 anni e che provengono da Albania,
Algeria, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Egitto, Grecia, Israele, Italia,
Malta, Montenegro, Palestina, Portogallo, Romania, Serbia, Spagna, Tunisia,
Turchia e Ucraina. «Fin dalla prima giornata abbiamo parlato di diplomazia della
scienza, poi abbiamo spaziato dai sistemi osservativi, cioè come raccogliere i
dati sempre off-shore, con una tecnologia evoluta - spiega Mounir Ghribi,
direttore della Summer School e responsabile delle attività di cooperazione
internazionale dell'Ogs -, alla condivisione degli stessi». Ma non ci sono solo
lezioni in classe, perché la Summer school ha previsto anche uscite didattiche a
Grado-Marano, con tanto di visita culturale, e sulla nave Ogs Explora, al
momento ferma nel porto di Trieste. Si è poi passati alla giornata dedicata alla
geofisica e all'esplorazione dei fondali marini correlata da alcuni case-study.
Per concludere con l'analisi dei vari tipi di inquinamento che possono
disturbare l'ecosistema marino, da quello acustico a quello della plastica.
«L'obiettivo principale di questa settimana - aggiunge Pedicchio - è quello di
incrementare le capacità professionali e la qualità della ricerca per lo studio
e la salvaguardia dell'ambiente marino e la gestione integrata delle aree
costiere. Tenendo conto che l'economia blu è anche al centro del Dialogo 5+5».
Quest'ultima iniziativa euro-mediterranea, come precisa Ghribi, mira a
rafforzare la cooperazione nell'ambito di scienza e tecnologia, innovazione e
alta formazione, tra Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Malta, Algeria,
Tunisia, Marocco, Libia, Mauritania e l'Unione per il Mediterraneo (UfM). Nella
serie di azioni in tale direzione l'Ogs organizza anche un master universitario
internazionale, un programma dedicato alla mobilità internazionale e l'accesso
alle infrastrutture di ricerca. La Summer school, sponsorizzata dal Miur, è
organizzata da Ogs in collaborazione con l'Ictp, Twas, l'Università di Trieste,
la Sissa e l'Iniziativa Centro Europea. Quest'ultima sovvenziona alcune borse di
studio. La scuola gode inoltre del patrocinio della Regione Fvg.
Benedetta Moro
IL PICCOLO - LUNEDI', 17 luglio 2017
Polo intermodale a ritmo serrato - Il cantiere procede
a tutta velocità. Il secondo lotto al traguardo in febbraio
RONCHI DEI LEGIONARI - Era il 1988. Allora il polo intermodale dei trasporti
di Ronchi dei Legionari veniva inserito nel piano regionale dei trasporti. Sono
trascorsi 29 anni e solo il 23 gennaio scorso l'area di 20mila metri quadrati
compresa tra l'aeroporto regionale e la linea ferroviaria Trieste-Venezia, ha
ospitato la cerimonia per la posa della prima pietra di questa importantissima
struttura. Dove, da quasi sei mesi, si lavora senza sosta. Un cantiere che
procede a ritmo spedito, sia per quel che riguarda il primo, sia per quel che
riguarda il secondo lotto dei lavori che, secondo cronoprogramma, dovranno
concludersi entro il febbraio del 2018. La situazione che si evince dando
un'occhiata al cantiere è quella di un'opera pubblica che procede a ritmo
spedito. Il parcheggio multipiano, capace di contenere fino a 500 automobili, è
ormai stato completato e, nelle prossime settimane, si procederà alla
realizzazione dell'impianto elettrico e dei sottofondi. Anche il parcheggio a
raso, quello che potrà ospitare mille vetture, è a buon punto, mentre si lavora
anche sul fronte della realizzazione della stazione delle autocorriere e della
fermata ferroviaria che, se tutto andrà con i ritmo che è stato tenuto sino ad
oggi, potrà aprire a marzo del prossimo anno. Il cantiere, poi, si è spostato
anche all'interno del "Trieste Airport" dove è iniziata la costruzione delle
opere che serviranno all'approdo della passerella che, dallo scalo stesso,
porterà sino al polo intermodale. Una struttura che, vale la pena ricordarlo,
potrà servire anche all'utenza locale. Si pensa ad una serie di piste ciclabili.
Ed è per questo motivo che l'amministrazione comunale di Ronchi dei Legionari ha
appena avanzato alla Regione una richiesta di finanziamento di 247mila euro. Il
collegamento alle banchine ferroviarie si concretizzerà nella realizzazione di
una ciclabile di circa 520 metri, con larghezza di 3, mentre l'attraversamento
denominato si attuerà nella revisione strutturale dell'attraversamento e la
definizione del tratto ciclabile esistente. Una conquista per chi desidera
utilizzare la bicicletta e potrà avere a disposizione collegamenti bus e
ferroviari in un unico, importante sito. Il polo intermodale dei trasporti, dopo
anni ed anni di tentennamenti, sta diventando realtà. Da sei mesi a questa parte
la ditta che si è aggiudicata l'appalto, suddiviso in due lotti funzionali,
tutti finanziati, da 10, 3 d 6, 9 milioni di euro, vale a dire la ronchese "Ici
Coop", di strada ne ha fatta parecchia. I lavori procedono speditamente ed i
tempi, stando proprio al massiccio impiego di forze lavoro, saranno sicuramente
rispettati. Il progetto che si sta completando a tappe forzate comprende una
nuova fermata ferroviaria che sarà conforme alla specifiche tecniche per
l'interoperabilità ferroviaria concernenti persone a ridotta mobilità ed una
nuova autostazione con 16 stalli in linea per gli autobus, una superficie
pedonale di 2800 metri quadrati ed una sala d'aspetto climatizzata, ma anche un
parcheggio multipiano con una capacità di 500 posti auto. Accanto ad esso un
parcheggio a raso, della capacità complessiva di 1000 posti auto, di cui 320
dedicati agli utenti con abbonamento al trasporto pubblici locale e ferroviario,
ovvero pendolari, a tariffa agevolata e, ancora, un collegamento pedonale tra
l'aerostazione e le strutture del polo con una passerella sopraelevata, lunga
425 metri, accessibile con ascensori, scale mobili e scale di sicurezza, con
tappeti mobili per facilitare la percorrenza.
(lu.pe.)
Parte il restauro del Museo ferroviario - Domani il
ministro Franceschini, la governatrice Serracchiani e l'ad delle Fs Mazzoncini
firmeranno l'avvio del cantiere
Non è un addio, bensì un arrivederci per il tempo strettamente necessario al
rifacimento del look. Ora ci siamo: il Museo Ferroviario di Campo Marzio chiude
ufficialmente l'accesso al pubblico per iniziare i tanto sospirati lavori di
ristrutturazione indispensabili non solo per riportare l'edificio ai fasti di un
tempo, ma soprattutto per evitare le copiose infiltrazioni d'acqua che negli
ultimi tempi hanno intaccato il lato che si affaccia su via Giulio Cesare. La
firma per l'avvio del cantiere del Museo Ferroviario è prevista domani, martedì
18, con una cerimonia ufficiale riservata alla stampa e agli addetti ai lavori,
fra il ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (Mibact)
rappresentato dal ministro Dario Franceschini, la presidente Debora Serracchiani
per la Regione Friuli Venezia Giulia, il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza,
Renato Mazzoncini amministratore delegato di Fs e Mauro Moretti presidente di
Fondazione Fs. Per l'occasione arriverà in città un convoglio storico della
Fondazione Fs che trasporterà le autorità e gli invitati da Trieste Centrale a
Miramare, per poi proseguire verso bivio Aurisina, Villa Opicina e raggiungere
lo scalo di Campo Marzio attraverso la Transalpina, i cui lavori di messa in
sicurezza si stanno completando. Quasi un buon auspicio affinché questa linea
possa venir percorsa non solo da convogli storici, ma anche da quelli merci in
arrivo ed uscita dallo scalo portuale visto l'aumento consistente di traffico
portuale registrato negli ultimi mesi. Non sono ancora noti tutti i dettagli
dell'intervento di recupero di Trieste Campo Marzio, ma sicuramente si procederà
a lotti ed il primo riguarda proprio la zona che ospita l'area museale, di cui
probabilmente sarà aumentata la parte a disposizione del pubblico con nuove sale
tematiche. Dunque una svolta significativa per la vecchia stazione di Campo
Marzio, inaugurata il 19 luglio 1906 come capolinea sud della linea Transalpina
(Wocheiner Bahn o Bohinjska Proga), nota anche come "il secondo collegamento
ferroviario" fra il porto degli Asburgo e Vienna: una strada ferrata realizzata
proprio per collegare in modo veloce e diretto la città con il centro Europa,
evitando così di utilizzare i servizi più costosi e lenti della "ferrovia
Meridionale" (l'attuale stazione centrale di Piazza Libertà). Un edificio,
quello che ospita il Museo Ferroviario, costruito tutto su un terreno da riporto
sottratto al mare mediante un'operazione di interramento: infatti sul lato
opposto della stessa via si può scorgere l'antica banchina frangi flutti, oggi
utilizzata come basamento del muretto su cui poggia la cancellata del mercato
ortofrutticolo. Con l'avvio dell'intervento di recupero dell'immobile, cambierà
anche la conduzione del Museo: infatti la gestione, fino ad oggi curata
dall'Associazione DopoLavoro Ferroviario di Trieste grazie ai soci volontari
della Sat (Sezione Appassionati Trasporti), da mercoledì 19 luglio passerà sotto
la amministrazione diretta della Fondazione Fs. Una lunga storia quella del
Museo Ferroviario, iniziata nel 1974 per volontà di alcuni soci del locale Dlf
che avevano iniziato a raccogliere vecchi cimeli e concretizzatasi
successivamente nell'allestimento di una collezione permanente di foto,
oggettistica, cimeli e rotabili proprio con l'apertura del museo stesso l'8
marzo 1984 alla presenza dell'allora ministro dei trasporti Claudio Signorile.
«Per noi volontari di questa struttura - afferma Roberto Carollo, responsabile
del Museo - questo avvenimento segna il riconoscimento ufficiale da parte delle
Ferrovie e finalmente il nostro sogno diventa realtà. Una felicità non solo mia,
ma di tutti i volontari che hanno a cuore questo luogo». Claudio Vianello,
presidente dell'Associazione DopoLavoro Ferroviario di Trieste che fino ad oggi
ha gestito l'immobile di Campo Marzio, è soddisfatto solo parzialmente: «Ritengo
che la firma del protocollo - sostiene Vianello - sia positivo e rappresenta
l'obiettivo che questa associazione ha perseguito per tanti anni: resto altresì
perplesso rispetto alla chiusura del Museo al pubblico, visto che la donazione
di tutto il patrimonio non è ancora stata siglata davanti ad un notaio. Con la
chiusura del Museo non capisco come si possa osservare il vincolo posto da parte
dalla Soprintendenza».
Andrea Di Matteo
IL PICCOLO - DOMENICA, 16 luglio 2017
Da Sistiana a Muggia - le nove spiagge al top - Il
Piccolo ha analizzato, grazie a un team di esperti, i principali lidi triestini
Tuffi al sicuro dall'inquinamento ma il concime per la vita sommersa
latita -
Le spiagge monitorate dal Piccolo
TRIESTE - Bagni tranquilli per tutti nel nostro mare in questa calda estate.
Da Punta Sottile a Sistiana passando per Barcola e Grignano le acque del Golfo
di Trieste sono pulite, anzi pulitissime. Pure troppo, al punto che se da un
lato non si può parlare di inquinamento, dall'altro l'eccessiva depurazione
delle acque urbane rischia di mandare in tilt la catena trofica per lo scarso
apporto di nutrienti. Ma se mettiamo insieme i vari parametri come temperatura,
salinità, ossigenazione e trasparenza scopriamo che la palma dell'acqua più
adatta ai bagni la troviamo nella zona di Muggia, a Punta Sottile, là dove le
correnti marine di questo scorcio di Adriatico mescolano l'acqua e la
"puliscono". Virgolette d'obbligo, perché in senso strettamente biologico
trasparenza e ricchezza dell'acqua non vanno sempre d'accordo. Ma tant'è, il
mare che lambisce le nostre coste gode di discreta salute, non è inquinato da
idrocarburi o altre componenti chimiche, e non soffre per la scarsa quantità di
rifiuti urbani e non, che, soprattutto con le piene dei fiumi comunque si
riversano con regolarità nelle sue acque. Ha però, questo mare, le sue
sofferenze, le sue febbri, malesseri dovuti in gran parte - ma non solo - alla
presenza e alle azioni dell'uomo. Tanto per fare un esempio, l'enorme e anomala
quantità di meduse a spasso per il Golfo è un fenomeno ancora da capire ma che
di certo sconta, da queste parti, un qualche inghippo nel fragile e complesso
ecosistema marino. Sono questi, e altri ancora, i risultati di un'indagine che
Il Piccolo ha effettuato con gli esperti tecnici e biologi marini della
Cooperativa Shoreline, un team che, fra l'altro, svolge parte della sua attività
nella Riserva marina di Miramare dove, per conto del Wwf e del ministero
dell'Ambiente, gestisce ed organizza alcuni servizi e attività all'interno
dell'area protetta. E se è vero che l'Arpa, l'Agenzia regionale per la
protezione dell'ambiente, monitora costantemente la salute del Golfo tramite
numerose stazioni di campionamento e pubblica un esaustivo bollettino mensile
on-line che fornisce indicazioni, in modo semplice ed immediato, sulle
caratteristiche fisico-chimiche e biologiche dell'ambiente marino, è anche vero
che non tutti gli angoli del Golfo sono coperti dai monitoraggi. Perciò con i
professionisti della Shoreline siamo andati a effettuare alcuni campionamenti
per implementare i valori acquisiti e per vedere come sta il mare in prossimità
dei più frequentati luoghi di balneazione, tra stabilimenti balneari e segmenti
di costa libera.Con Carlo Franzosini, presidente della Cooperativa Shoreline,
Saul Ciriaco, vicepresidente, Marco Segarich e Lisa Faresi, a bordo di una
motobarca appositamente attrezzata abbiamo, monitorato nove punti: Punta
Sottile, Ausonia, Bagno Ferroviario, Barcola Pineta, Bagno Sticco - Miramare,
Grignano uno e due, Canovella de' Zoppoli, Portopiccolo e Sistiana Caravella.
Durante i sondaggi è stata utilizzata sia una sonda Ctd multiparametrica per
raccogliere i dati relativi a temperatura, salinità e ossigeno con profilo in
profondità, sia il disco di Secchi per misurare la trasparenza dell'acqua. In
più sono stati effettuati monitoraggi con transetti lineari per la macrofauna
planctonica per un tratto di mare lungo nove chilometri per sei metri di
larghezza.«Nel complesso il nostro mare sta bene - dice Franzosini - anche se
registriamo uno squilibrio negli apporti di nutrienti delle acque che sta
portando, per esempio, alla sparizione delle praterie di fanerogame».
«Paradossalmente - continua Franzosini - in buona parte questo è dovuto agli
impianti di depurazione, sempre più avanzati, per cui eliminano dall'acqua degli
scarichi azoti e fosfati che sono il concime base per la vita marina; le
mucillagini, ad esempio, fioriscono proprio per lo squilibrio che c'è tra azoto
e fosforo, e sono indicatori di stress per il mare. L'acqua troppo depurata
rischia di trasformare il mare in una piscina nella quale non vive più niente».
Anche fenomeni come le schiume che appaiono sottocosta specie quando venti e
correnti rimescolano acque calde possono dipendere da disfunzioni trofiche di
questo tipo.E poi c'è il mistero meduse. Nel transetto monitorato in navigazione
oltre ad alcuni esemplari di salpe (tunicati coloniali) sono stati conteggiati
ben 888 esemplari di Rhizostoma pulmo, il polmone o botta di mare, «una quantità
importante», nota Ciriaco. Sul perché di tale diffusione sono in corso ricerche
a livello europeo (in Italia i fondi per questo tipo di ricerca sono
insufficienti), «ma di certo - aggiunge Ciriaco - influiscono una serie di
concause che vanno dall'innalzamento delle temperature fino alla diminuzione dei
predatori delle meduse a causa della pesca, che squilibrano la delicata rete
trofica del nostro mare». Durante il nostro viaggio lungo le coste del Golfo le
sorprese non sono mancate. A dispetto dell'acqua limpida e pulita, a Punta
Sottile, a una profondità di sedici metri, la sonda rivela una percentuale di
ossigeno pari a 66,375%. Un dato che rivela quanto lì l'acqua sia vicina
all'anossia, cioè alla mancanza di ossigeno, che rischia di soffocare la vita
sul fondo. Percentuale di poco più alta al Ferroviario, ma sempre pericolosa,
ancora a sedici metri di profondità, mentre al contrario la palma del fondale
più ossigenato spetta a Sistiana, con una percentuale di ossigeno sul fondo pari
al 103,525%. «Dipende dalla stratificazione termica e salina - spiega Ciriaco -
tipica del Golfo di Trieste in estate». Altra sorpresa, gli alieni. Davanti al
Ferroviario ecco flottare alcuni esemplari di Mnemiopsis leidyi, nota anche come
noce di mare. È uno ctenoforo, una specie di parente delle meduse, che qui non
dovrebbe stare. La noce di mare, spiega Faresi, «è originaria dell'Atlantico
Occidentale, qui nel Golfo la specie è stata segnalata per la prima volta nel
2005, ma solo durante l'anno scorso si è verificata una vera e propria
esplosione demografica», che a quanto pare non accenna a diminuire. Arrivata nei
nostri mari, come altre specie aliene, probabilmente portata dalle acque di
sentina della navi. «La noce di mare - aggiunge Faresi - è un problema perché
mangia le larve del pesce azzurro e si riproduce molto velocemente spesso
intasando anche le reti dei pescatori». All'altezza di Sistiana scendiamo in
acqua con maschera e pinne per dare un'occhiata da vicino ai fondali. Una bella
sorpresa, a ridosso di Portopiccolo, sono i cavallucci marini che qua e là fanno
la loro apparizione, mentre in zona Caravella spuntano dal fondo come tante
statuine moderniste le Pinne nobilis, o sture, i più grandi bivalvi del
Mediterraneo, una specie oggi protetta che ha fatto la sua ricomparsa nel Golfo
di Trieste dopo una lunga assenza dovuta a chissà cosa. In quanto alle
immondizie, sul fondo del nostro mare non mancano aree dove la concentrazione di
rifiuti è piuttosto evidente, come a ridosso delle "pedocere", gli allevamenti
di cozze. Ma si tratta di solito di corpi morti, vecchi ancoraggi, nasse e
materiali di risulta dell'attività di pesca che presto la vita del mare ingloba
e ricopre, con la capacità che ha di curare da sé i propri malanni. Sempre che
l'uomo non ci metta del suo.
Pietro Spirito
A Punta Sottile la palma della trasparenza
Stilare una classifica del “bagno più bello” lungo la costiera triestina non è semplice e può apparire fuorviante, considerati i molti fattori che entrano in gioco quando si parla di buona qualità delle acque marine. Perciò volendo in linea puramente indicativa provare a dare un voto alle acque del mare si può prendere uno solo degli indicatori, quello della trasparenza. È un dato che viene misurato tramite un apparecchio apparentemente semplice, il disco di Secchi. Lo strumento fu inventato nel lontano 1865 da Padre Angelo Secchi, che lo utilizzò per la prima volta durante una crociera nel Mediterraneo. È un disco circolare di vari diametri, di solito 20, 30 centimetri, bianco o a quadranti bianchi e neri, che si immerge legato a una fune metrata finché non si riesce più a vedere. Così, come si vede nella tabella del grafico che riporta in metri la profondità in cui il disco “scompare”, la palma dell’acqua più limpida va a Punta Sottile mentre lo specchio di mare meno trasparente è risultato quello di fronte all’Ausonia.
I tecnici e i biologi della Shoreline da anni al servizio della natura - i professionisti della ricerca
La Cooperativa Shoreline è nata nel 1988 dall'iniziativa di un gruppo di professionisti del settore della biologia ed ecologia marina e costiera. La Shoreline è stata, fin dalla costituzione, il riferimento del Wwf-Italia per le problematiche marine a livello nazionale, operando nella gestione delle aree protette costiere del Wwf. La cooperativa svolge parte della sua attività presso la Riserva marina di Miramare. Formatasi con una grossa esperienza, tuttora in corso, di gestione "creativa" e di alta qualità per contenuti scientifici, professionali, organizzativi e gestionali, Shoreline si è sviluppata con servizi innovativi che continuano ad integrare ed ampliare il potenziale professionale della cooperativa. Nel 1996 si è insediata all'Area Science Park di Trieste, aprendovi il Laboratorio per la ricerca sulla qualità dell'ambiente marino e costiero (CeRQuAM). Toccando diverse tematiche scientifiche e rivolgendosi a diversi target di mercato, la Shoreline adotta come strategia la suddivisione in settori gestiti autonomamente ma comunicanti tra di loro. Le aree di attività vanno da ricerche in mare e acquacoltura alla consulenza per le aree protette marino-costiere, fino alle ricerche nell'ambito delle innovazioni e dei supporti legislativi nella pesca a fini divulgativi e formativi e alle attività di monitoraggio in aree naturali protette.
IL PICCOLO - SABATO, 15 luglio 2017
L’Authority padrona del porto franco - Sottoscritto dal ministro Padoan il decreto annunciato a Trieste da Del Rio
Alla torre del Lloyd la gestione integrale e la definizione di piani e strategie
TRIESTE - Habemus decreto del porto franco. Il testo annunciato a fine giugno nel palazzo della Regione in piazza Unità ha concluso il suo iter amministrativo ed è uscito dal labirinto burocratico romano: è stato firmato dal ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan e approderà in breve sulla Gazzetta ufficiale. A una prima lettura, il decreto sembra rispondere adeguatamente all'annuncio fatto dal ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, dalla presidente Fvg Debora Serracchiani e dal presidente dell'Autorità portuale di sistema dell'Alto Adriatico Zeno D'Agostino: l'amministrazione del porto franco viene affidata interamente all'Autorità, che potrà autorizzare «la produzione di beni e servizi, anche a carattere industriale». Commenta Serracchiani: «Il presente e il futuro dello scalo portuale di Trieste passano per la sua unicità, che oggi è definitivamente confermata». La presidente sottolinea come si tratti di un passaggio fondamentale per tutta la regione, e aggiunge: «Il Porto di Trieste è veramente libero di rinascere a nuova vita» e il decreto «concretizza la possibilità di assistere all'insediamento di nuove aziende della manifattura industriale, della trasformazione delle merci e della logistica, le quali potranno godere dei vantaggi di un sistema doganale unico in Europa che consente la lavorazione dei prodotti nelle aree extra doganali». Serracchiani rimarca inoltre che l'opportunità «è fondamentale per rafforzare il ruolo del capoluogo del Fvg quale porta d'Oriente e snodo della nuova Via della Seta che collega l'estremo oriente con i mercati europei». In quest'ottica, secondo la presidente, è strategico che la Regione «continui lo sviluppo della rete di collegamento intermodale avviato in questi ultimi anni».Il presidente D'Agostino è altrettanto soddisfatto: «Vengono accentrati diversi poteri che consentiranno di costruire su misura il porto del futuro». Una caratteristica che rende Trieste appetibile per investitori e operatori logistici: «Il dinamismo operativo che il decreto ci consente si può trovare soltanto qui - dice D'Agostino -. Da quando c'è stata la notizia si sono palesati molti tanti potenziali investitori». Nei giorni scorsi Serracchiani ha rivelato che alla porta dell'Autorità non hanno bussato soltanto i cinesi, ma anche russi e americani: «E potremmo aggiungere austriaci, ucraini, iraniani - dice D'Agostino -. Sono molti i soggetti interessati ai punti franchi».Ora tra gli operatori portuali tanti si chiedono quali saranno gli effetti del decreto nella pratica. Poiché un conto è il testo così com'è scritto, ma l'espressione del suo potenziale può riservare sorprese o delusioni. Gli addetti ai lavori si interrogano sull'effetto che il testo avrà sui controlli doganali: «Da un lato le Dogane non avranno più l'intervento di tipo economico - dice il presidente dell'Ap - e quindi non potranno più effettuare le riscossioni. Dall'altro resta valida la funzione di conoscenza e controllo di quello che accade all'interno del porto».Quanto al testo, dice nero su bianco che «il porto franco di Trieste è amministrato dall'Autorità di sistema portuale». Ciò comporta la gestione delle aree di demanio marittimo, ma anche di tutte quelle legate funzionalmente e logisticamente alle attività portuali: è la nuova ottica delle Autorità di sistema. L'Ap triestina può autorizzare e limitare «la manipolazione delle merci», ma anche «la produzione di beni e servizi, anche a carattere industriale». È un passaggio fondamentale per le rivendicazioni fatte in queste settimane. Anche in questo caso, è richiesta l'intesa con l'Agenzia delle dogane. Il testo prosegue elencando tutti gli aspetti della vita portuale ricondotti all'Ap, inclusa la promozione e la formazione professionale. Molto spazio è dedicato al traffico su rotaia: «Al fine di promuovere lo sviluppo dei servizi ferroviari nel porto franco, tenuto conto del principio di libertà di transito, il presidente garantisce la libertà di accesso a tutti i vettori ferroviari. A tal fine potrà avvalersi dell'utilizzo di società strumentali, anche attraverso l'assunzione di partecipazioni societarie, ai sensi della disciplina vigente, finalizzate alla promozione di collegamenti logistici e intermodali funzionali allo sviluppo del sistema portuale». La parte successiva del testo stabilisce la pianificazione strategica del porto franco, condotta dall'Ap attraverso l'elaborazione di piani appositi. Il decreto attribuisce poi alla stessa Autorità portuale le autorizzazioni relative al transito degli automezzi e stabilisce che non ci saranno nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Ora non resta che attendere gli effetti nella pratica
Giovanni Tomasin
IL PICCOLO - VENERDI', 14 luglio 2017
Blitz dei vigili negli orti di Borgo San Sergio
Blitz all'interno degli orti urbani per il ripristino della legalità. A
seguito di diverse segnalazioni pervenute al Comune e riguardanti persone che
abusivamente occuperebbero alcuni lotti degli orti urbani siti nella zona
cosiddetta de "Le Piane", a Borgo San Sergio, tra l'altro recando anche vari
disagi ai locatari regolari e rivolgendo persino minacce e millantando presunti
titoli e diritti quali "futuri locatori", l'amministrazione comunale, nella
persona dell'assessore al Patrimonio Lorenzo Giorgi, è intervenuta ieri
svolgendo innanzitutto un ampio sopralluogo nella zona, con una serie di
puntuali verifiche, lotto per lotto, operando quindi immediatamente con degli
interventi tecnici adeguati a riportare la situazione alla regolarità e al
ripristino di una veste legale. A tal fine, l'assessore Giorgi, che ha
documentato il blitz con una diretta Facebook, è stato accompagnato
nell'"operazione" dalla Polizia locale e dai funzionari dell'ufficio gestione
patrimonio immobiliare. Il risultato? Alla fine sono state rimosse le chiusure
abusivamente collocate (circa una decina di catene e lucchetti) e apposti i
lucchetti e le chiusure "regolari" del Comune, affiggendo infine i cartelli
dell'amministrazione chiaramente indicanti la proprietà del Comune e lo stato di
"lotto libero" (cioè ancora non assegnato). «Si è trattato di un'azione
necessaria di fronte a una situazione che era da reputarsi grave, anche per
l'asserita sussistenza di minacce e abusi verso gli assegnatari regolari -
racconta Giorgi -. E a maggior ragione grave in quanto trattasi di beni pubblici
e, com'è nello spirito di questi orti urbani, di significativa valenza sociale».
IL PICCOLO - GIOVEDI', 13 luglio 2017
La Fiom: «Alla Ferriera non faremo la fine di Piombino»
«Non faremo la fine dei 2150 lavoratori di Piombino che una volta dismessa
la loro area a caldo, nonostante mille promesse, ora si trovano senza lavoro».
Lo sottolinea in una nota il comitato degli iscritti della Fiom Cgil delle
Acciaierie Arvedi Trieste congiuntamente alla Rsu Fiom. L'assemblea dell'altro
giorno ha portato la Fiom a valutare negativamente la limitazione della
produzione causata dall'ingiunzione istituzionale. «Nel contesto - scrivono -
evidenziamo anche la risposta dell'azienda fornita a Regione e Comune che
aggrava ancora di più la già difficile gestione sociale con probabili ricadute
occupazionali, tuttavia consideriamo che detta decisione sia conseguenza della
mancata chiarezza da parte dell'azienda sulla definizione del piano industriale
almeno nel breve-medio periodo». Di qui la richiesta di un tavolo «dove
impegnare le istituzioni, l'azienda e le parti sociali, per definire
congiuntamente la strategia di continuità, nel pieno rispetto dell'accordo di
programma e dell'Aia rilasciata». La Fiom, « nel pieno rispetto delle opinioni
diverse», invita anche l piccolo gruppo di manifestanti in piazza Unità a
togliere lo striscione "Area a caldo = Morte", considerandolo «gravemente lesivo
della dignità dei lavoratori che anche adesso stanno operando nell'area a caldo
dello stabilimento». «Non accetteremo qualsiasi ipotesi di soluzione che preveda
la perdita di un solo posto di lavoro», concludono. In un'altra nota invece
Andrea Ussai, consigliere regionale del Movimento 5 Stelle chiede alla
presidente Serracchiani «di promuovere urgentemente la chiusura progressiva
dell'area a caldo dell'impianto» e «di tutelare gli attuali livelli
occupazionali della Ferriera nel processo di riconversione industriale,
sfruttando le prospettive di sviluppo relative al porto di Trieste createsi
recentemente con la firma dei decreti attuativi del Porto franco».
La legge bis antibici spacca il Pd a Muggia - La fronda
spinge per una retromarcia prima della posa dei nuovi cartelli. Decolle: «Il
problema è politico e non più tecnico»
MUGGIA - La regolamentazione della viabilità all'interno del centro storico
di Muggia continua a scaldare senza sosta gli animi del Partito democratico
rivierasco. L'ordinanza 57 del 2017 della Polizia locale muggesana sottoscritta
pochi giorni fa, ma che entrerà in vigore una volta apposta l'apposita
cartellonistica, ossia entro il mese di luglio, non va proprio giù al
consigliere di maggioranza Marco Finocchiaro. L'ex assessore ai Lavori pubblici,
che guida la fronda interna, punta il dito contro l'ordinanza che impone il
divieto di transito per i velocipedi (esclusi quelli condotti da minori di 10
anni) in alcune arterie del centro, ossia corso Puccini, via Dante (nel tratto
compreso tra il civico 1 e piazzetta Santa Lucia), calle Carducci e piazza
Marconi. Il provvedimento sarà attivo ogni anno dal primo giugno al 30
settembre, nelle fasce orarie 9.30-12.30 e 16-24 (e non 16-20 come annunciato in
precedenza), ma "in ogni caso in presenza di manifestazioni". Nelle aree
interdette i velocipedi potranno essere esclusivamente spinti a mano. I
trasgressori saranno puniti secondo il Codice della strada con sanzioni che
andranno da un minimo di 41 ad un massimo di 168 euro. «Ribadisco la mia
contrarietà in quanto la condivisione delle aree pedonali da parte dei ciclisti
è già prevista dal Codice della strada ed impone anche la conduzione a mano in
determinati situazioni a prescindere dalla stagionalità e dagli orari», racconta
Finocchiaro. Secondo l'esponente dem sarebbe bastato «ribadire sotto il cartello
dell'area pedonale queste norme per la condivisione della mobilità lenta senza
porre in contrapposizione pedoni e ciclisti». Finocchiaro critica anche la
decisione della giunta Marzi di apporre un divieto di sorpasso nella galleria di
via Roma per tutelare i ciclisti: «A parte che nell'ordinanza non compare, lo
ritengo un provvedimento del tutto insufficiente». Per Finocchiaro infatti
sarebbe meglio «istituire una zona 30 strutturale su lungomare Venezia, via Roma
e via Battisti, dotata di adeguata segnaletica verticale e orizzontale con
corsie riservate, rallentatori di velocità, passaggi pedonali rialzati o altro.
Solo così si sarebbe garantita una alternativa sicura all'attraversamento del
centro storico delle bici e si sarebbe potuta adottare l'ordinanza restrittiva».
La richiesta sottintesa, insomma, è di un'eventuale retromarcia prima che arrivi
l'apposita segnaletica. Sulle parole di Finocchiaro l'assessore alla Polizia
locale Stefano Decolle è perentorio: «A questo punto quello formulato da
Finocchiaro non è più un problema di carattere tecnico ma è un problema di
natura politica a cui sarebbe opportuno fornire una risposta da parte del
segretario del Pd». Ed ecco quindi che Francesco Bussani, vicesindaco e
segretario del Circolo del Pd muggesano, cerca di smorzare i toni: «Qualche
settimana fa il Comune ha incontrato i rappresentanti di Ulisse Fiab decidendo
assieme di intraprendere un percorso condiviso per l'intero territorio di Muggia
che partirà con l'arrivo dell'autunno per trovare le soluzioni ai problemi dei
ciclisti».Tutto confermato invece per i divieti alle auto. Nell'area vigerà il
divieto di transito e sosta con rimozione forzata per tutti i veicoli a motore,
con alcuni distinguo. I mezzi di privati residenti in centro storico con
garanzia di rimessaggio in garage o cortili, mezzi di privati per scarico merci
e mezzi di trasporto merci per le attività commerciali, operanti all'interno
dell'area, potranno accedere dalle 6 alle 9. 30 e da novembre ad aprile anche
dalle 19 alle 20. Potranno essere utilizzati esclusivamente mezzi fino a 35
quintali di massa, al massimo per 30 minuti e con velocità non superiore ai 10
chilometri all'ora. Potranno inoltre accedere al centro storico i mezzi di
accompagnamento di funerali, matrimoni e unioni civili. Consentito anche il
transito di mezzi a servizio delle manifestazioni autorizzate e delle persone
disabili e per assistenza domiciliare, ma anche di taxi, mezzi di soccorso e per
la consegna di combustibili. Il percorso a traffico limitato riguarderà via
Dante (accesso da via Battisti), piazza Santa Lucia, la parte discendente di via
Verdi e passo Marcuzzi.
Riccardo Tosques
Ambiente - Maxi crollo in Antartide - Nasce iceberg
gigante
ROMA - Con una superficie di 5.800 chilometri quadrati, estesa quanto il
Lazio, l'iceberg appena nato in Antartide era annunciato da tempo. Da molti anni
la piattaforma di ghiaccio Larsen C era osservata da tanti gruppi di ricerca in
tutto il mondo. È l'ultima di tre piattaforme che si trovano nella penisola
antartica, indicate con le lettere A, B e C: la prima si è staccata nel 1995, la
seconda è collassata nel 2002 e dalla Larsen C è nato il nuovo iceberg, chiamato
A68. A dare la notizia è stato il progetto Midas, coordinato dall'università
britannica di Swansea, che da anni è impegnato nello studio di questa grande
piattaforma di ghiaccio. «Il distacco di questo iceberg è un segnale
significativo di un processo avviato anni fa e continua a fare della piattaforma
Larsen un vero e proprio sorvegliato speciale», osserva Massimo Frezzotti,
glaciologo dell'Enea e presidente del Comitato glaciologico italiano. Da mesi le
immagini dei satelliti controllavano la spaccatura che era lì da tempo e che
solo nel gennaio 2016 aveva ripreso ad allungarsi progressivamente e in modo
sempre più rapido. «Fino al 5 luglio la piattaforma era ancora attaccata per 5
chilometri, ma nell'ultima settimana - ha osservato Frezzotti - era stata
registrata un'accelerazione». La fenditura appare ormai un taglio netto nelle
immagini inviate a Terra dal satellite Sentinel 1, del programma Copernicus
promosso da Commissione Europea e Agenzia Spaziale Europea (Esa), e da quelle
del satellite Aqua della Nasa. Per Frezzotti questo distacco «di per sé non è un
evento catastrofico, ma è il segnale significativo di un processo che si è
avviato da tempo e bisognerà vedere l'andamento della situazione nei prossimi
anni». Il distacco che è avvenuto finora corrisponde infatti a circa il 10%
dell'intera piattaforma di ghiaccio, della quale restano ancora integri circa
50.000 chilometri quadrati. «Adesso - ha concluso Frezzotti - è molto importante
continuare a monitorare il comportamento di questa piattaforma nei prossimi anni
per capire se il processo di frammentazione si è arrestato o meno». Non si può
ancora dire con certezza se il distacco dell'iceberg dalla piattaforma di Larsen
C sia una conseguenza dei cambiamenti climatici, ma per l'associazione
ambientalista Greenpeace è un segnale da non sottovalutare. Lo rileva in una
nota Paul Johnston, capo della Science Unit di Greenpeace International. «Lo
scioglimento dei ghiacci in Antartide - osserva Johnston - è stato sempre
riconosciuto come un ammonimento a tutto il pianeta sui pericoli dei cambiamenti
climatici. Il collasso di questa calotta di ghiaccio, il terzo registrato in
questa regione negli ultimi anni, è verosimilmente un altro segnale dell'impatto
globale del clima che cambia».
VoceArancio.it - MERCOLEDI', 12 luglio 2017
BANDIERA BLU 2017: ECCO LE 5 SPIAGGE ITALIANE PIÙ BELLE
È tempo di pensare alle vacanze: dalla Liguria alla Sicilia, ecco le 5
spiagge Bandiera Blu 2017 più rispettose dell’ambiente
Le vacanze estive si avvicinano: abbiamo già parlato dei consigli per
risparmiare sui voli dell’estate, ma trovare la meta più adatta alle proprie
esigenze non è facile, specialmente quando si tratta di spiagge. Una soluzione?
Consultare l’elenco delle spiagge certificate Bandiera Blu del 2017 dalla FEE,
la Fondazione per l’Educazione Ambientale con sede in Danimarca, che tiene conto
di molti parametri, tra cui i seguenti, fondamentali per quanto riguarda
l’ambiente:
Devono essere affisse informazioni sulla qualità delle acque di balneazione
Devono essere affisse informazioni relative a ecosistemi e a fenomeni ambientali
rilevanti a livello locale
La spiaggia deve rispettare pienamente gli standard e i requisiti di analisi
relativamente alla qualità delle acque di balneazione
Nessuno scarico di acque reflue (urbane o industriali) deve interessare l’area
della spiaggia
La spiaggia deve rispettare i requisiti di Bandiera Blu per alcuni parametri
fisici e chimici
La spiaggia deve essere pulita
Vegetazione algale o detriti naturali dovrebbero essere lasciati sulla spiaggia
Sulla spiaggia devono essere disponibili cestini per i rifiuti in numero
adeguato che devono essere regolarmente mantenuti in ordine
Sulla spiaggia devono essere disponibili contenitori per la raccolta
differenziata
L’accesso in spiaggia di cani e di altri animali domestici deve essere
strettamente controllato.
Da nord a sud l’Italia è ricca di fantastiche località di mare: quali sono le 5
spiagge Bandiera Blu del 2017 più belle?
LIGURIA: LEVANTO, SPIAGGIA EST “LA PIETRA”
Levanto è un piccolo paesino della Liguria che si erge in una valle ricca di
ulivi e pini. La maggior parte delle spiagge si concentrano nella zona sud. La
composizione delle spiaggia “La Pietra” è di sabbia e pietre, naturalmente
presenti in questo versante e la qualità delle acque è tra le migliori della
Liguria, perfetta per chi ama rilassarsi immerso nella natura.
SARDEGNA: CAPRERA RELITTO
L’isola di Caprera fa parte dell’arcipelago de La Maddalena e annovera numerose
spiagge in stile “caraibico”. La spiaggia del Relitto è famosa, oltre che per la
sua sabbia bianca e sottile, per la presenza sulla riva di uno scheletro di una
nave antica fatta arenare dopo un incendio scoppiato a bordo. Fare il bagno in
questa spiaggia è un’esperienza suggestiva per il mare trasparente dal fondale
sabbioso e per la vegetazione ricca di macchia mediterranea incontaminata.
ABRUZZO: FOSSACESIA
Fossacesia è un Comune in provincia di Chieti, apprezzata località balneare
della Costa dei Trabocchi, bandiera blu dal 2004. Le spiagge di Fossacesia sono
celebri per l’eterogeneità che contraddistingue la loro natura. In questa
località i cani possono accedere alla spiaggia e, per il rispetto dell’ambiente
e degli animali, l’amministrazione comunale sta lavorando per individuare e
attrezzare un’area appositamente dedicata.
CALABRIA: ROCCELLA JONICA
Il comune rivierasco della Locride è ormai un habitué della Bandiera Blu con la
sua spiaggia di finissima sabbia bianca che si affaccia su un mare cristallino
ed incontaminato. Nella località calabra ci sono diversi stabilimenti balneari,
ma, la parte di spiaggia libera e gratuita è pulita e ben attrezzata con docce e
quanto serve per le esigenze dei bagnanti.
SICILIA: MARINA DI RAGUSA
Le spiagge di Marina di Ragusa si sviluppano lungo 50 km di costa, da Pozzallo
fino a Scoglitti. In questo litorale si trovano alcune delle più belle spiagge
dell’Italia: dalle quelle attrezzate delle località balneari più “in”, alle cale
nascoste vicino a storici villaggi di pescatori. Tra le numerose spiagge, quella
della Riserva Foce dell’Irminio è una spiaggia tranquilla, quasi vergine e
ideale per rilassarsi godendo di un panorama mozzafiato.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 12 luglio 2017
La schiuma sorprende i bagnanti in Costiera - Singolare
fenomeno temporaneo al porticciolo della Tenda Rossa. Non è escluso che la causa
sia un'alga
Sono giornate torride in cui ognuno s'ingegna per tentare di attutire gli
effetti della canicola che continua a non dar tregua. Niente di meglio di un bel
tuffo tra le onde per rinfrescarsi e difendersi dal solleone. Ma se spiaggia e
mare non sono nelle migliori condizioni, la frustrazione aumenta. Per chi ieri
si è recato di primo mattino al porticciolo della Tenda Rossa, una delle spiagge
più gettonate della Costiera, c'era di che rimanere perplessi. In diverse parti
della battigia, rappresa tra gli scogli, appariva una non ben identificata
vaporosa schiuma, simile a quella che le nostre nonne usavano per fare il
bucato. Anche se il mare era agitato, non si giustificavano i numerosi depositi
della spuma rappresa. Inquinamento dovuto a degli scarichi non filtrati? Residui
di qualche lavaggio effettuato in alto mare? Difficile dare una risposta.
Trascurando la causa inquinamento, è plausibile pensare che il fenomeno possa
essere attribuito a cause naturali, per esempio alla presenza in superficie di
alghe o fanerogame che possono produrre torbidità o schiume saponose. Rimane il
fatto che più di una persona, piuttosto perplessa di fronte alle spume rapprese,
ha preferito abbandonare la spiaggia e riaffrontare la vertiginosa scalinata che
riporta alla strada costiera. Episodi che comunque possono essere accomunati a
un degrado, purtroppo evidente, di molti accessi al mare della Costiera
triestina. È ormai normale incappare in tratti di spiaggia dove rifiuti di ogni
genere rendono davvero poco gradevole la balneazione, rappresentando per i
turisti un brutto biglietto da visita per il capoluogo regionale. Una situazione
alla quale basterebbe davvero poco per porre rimedio, ovvero una presa di
coscienza di tutta l'utenza nell'impegnarsi per l'asporto dei propri rifiuti
nelle sedi consone. Diverso invece il discorso che riguarda la qualità e la
salvaguardia del mare. Sul fronte delle verifiche e dei monitoraggi va segnalato
il lavoro dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (Arpa), che
segnala per le spiagge regionali una qualità dell'acqua pressoché eccellente.
L'Arpa predispone con periodicità mensile un monitoraggio delle acque in 52 siti
delle coste regionali, da Lignano Sabbiadoro a Muggia. Sono trenta i punti
monitorati in provincia. Per saperne di più basta andare sul sito
www.arpa.fvg.it e cliccare la voce acqua e balneazione.
Maurizio Lozei
La fototrappola "cattura" l'orsetto nei boschi del Carso - Il sistema ha registrato il passaggio tra Medeazza e Jamiano
L'esemplare, del peso di 80-90 kg, sarebbe di passaggio
«Negli anni ho fotografato cinghiali, caprioli, tassi, faine, volpi e pure
sciacalli dorati. Ma quando ho visto l'orso ho strabuzzato gli occhi: quasi
stentavo a crederci». Dalla Spagna, dove è attualmente in ferie, il cacciatore
Maurizio Zulian racconta lo strepitoso fototrappolaggio effettuato alcuni giorni
fa fa nei boschi del Carso, in una zona sita vicino all'oleodotto, a pochi passi
dalla Slovenia, tra le frazioni di Medeazza (Duino Aurisina) e Jamiano (Doberdò
del Lago). Un esemplare d'orso bruno, di poco più di due anni, quasi sicuramente
maschio e del peso non di molto inferiore ai 100 chilogrammi, è stato
immortalato dalla macchina fotografica notturna del 61enne di Jamiano. Immagini
inequivocabili che attestano una volta di più la presenza del plantigrado nelle
nostre aree. Pur non essendoci (ancora?) dei nuclei stanziali, le incursioni
degli orsi nell'altipiano carsico, così come in altre zone del Friuli Venezia
Giulia, sono oramai sempre più frequenti. «Potrei stimare che da circa vent'anni
gli orsi attraversano la nostra regione, che è una vera e propria zona di
passaggio soprattutto da parte dei maschi che vanno in cerca delle femmine»
racconta il naturalista triestino Nicola Bressi.Il passaggio è duplice: da Ovest
(Lombardia, Trentino Alto Adige e Veneto) gli orsi attraversano il Friuli
Venezia Giulia in cerca di femmine che poi trovano in Slovenia. Più raramente,
invece, i maschi sloveni si addentrano nel nostro territorio per poi spostarsi a
Ovest verso le altre regioni italiane della fascia alpina. Vedere delle tracce
inerenti il passaggio degli orsi, dunque, è cosa sì rara, ma non rarissima. È
infatti emerso che pochi mesi fa un esemplare di orso è stato avvistato di
giorno da parte di tre donne durante una passeggiata su un sentiero che collega
Slivia ad Aurisina. La testimonianza è stata successivamente avvalorata dal
Corpo Forestale regionale che ha individuato le fatte, ossia gli escrementi
dell'animale, che hanno confermato il fatto che l'animale avvistato fosse
proprio un orso.Nel maggio dell'anno scorso, invece, l'ex cacciatore di San
Lorenzo (San Dorligo della Valle), David Fonda, che assieme alla madre Grosdana
Gasperut stava percorrendo l'arteria stradale che collega San Lorenzo a Draga in
direzione Pesek, fu protagonista di un avvistamento in pieno giorno: un orsetto
di circa 50 chilogrammi toccato, senza conseguenze, dall'automobile che
precedeva la coppia, era subito corso nei boschi facendo perdere le proprie
traccia. Diverse poi le incursioni di orsi sloveni provenienti dal monte
Cocusso, quasi sempre attratti dal miele prodotto a Grozzana.Memorabile il
racconto di Virginio Abrami, gestore assieme alla moglie Vilma dell'Azienda
agricola di apicoltura, che, convinto di trovarsi davanti a un grosso cinghiale,
vide il plantigrado alzarsi su due zampe prima di scappare nuovamente nel bosco.
Mediaticamente parlando, invece, il caso più eclatante è quello registrato nella
primavera del 2015, quando le telecamere di sorveglianza del centro commerciale
Ikea immortalarono un orso di circa 150 chilogrammi nel parcheggio del Tiare
Shopping. In quell'occasione emerse che il plantigrado in questione era Madi,
esemplare noto ai ricercatori dell'Università di Udine che nel maggio del 2013
lo avevano dotato di collare satellitare.Contattato dal Piccolo, il professore
dell'Università di Udine Stefano Filacorda, tra i massimi esperti nazionali di
orsi, racconta quello che potrebbe essere l'identikit dell'esemplare immortalato
da Zulian tra Jamiano e Medeazza: «Dalle foto possiamo ipotizzare si tratti un
cucciolo di 2 anni e mezzo, del peso di 80-90 chilogrammi. Quasi sicuramente si
tratta di un orso in fase di dispersione dalla madre, ossia quel momento in cui
il cucciolo viene allontanato dalla femmina essendo in corso la stagione degli
amori». Filacorda tende ad escludere l'eventualità che il cucciolo fotografato
possa essere una femmina, il che avrebbe significato la possibilità di porre
virtualmente le basi per un nucleo fisso sul Carso giuliano: «È difficile dirlo
con certezza, ma lo escluderei. Anche dopo essermi confrontato con i colleghi
sloveni confermo che non risultano essere presenti femmine sul nostro Carso. Le
più vicine si trovano invece nella Selva di Tarnova e sul monte Nevoso».
Insomma, citando Franco Battiato, gli orsi, in Friuli Venezia Giulia, continuano
ad essere almeno per ora... solo di passaggio.
Riccardo Tosques
IL PICCOLO - MARTEDI', 11 luglio 2017
I bastioni veneziani di Zara e Sebenico patrimonio Unesco
Il "titolo" con Palmanova, Bergamo e Peschiera del
Garda nel progetto congiunto di Italia, Croazia e Montenegro
ZARA - La conferma è arrivata dal vertice di Cracovia, in Polonia: anche i
bastioni difensivi di Zara e la fortezza di San Nicola, situata in mare di
fronte a Sebenico, sono stati inseriti nella Lista del patrimonio mondiale
dell'Unesco. Lo ha deciso la competente commissione che ha preso in esame la
proposta arrivata congiuntamente da Italia, Croazia e Montenegro di porre sotto
tutela dell'Unesco le Opere di difesa veneziane tra il XVI ed il XVII secolo:
"Stato di Terra - Stato di mare occidentale", un progetto guidato dalla città di
Bergamo e che per un migliaio di chilometri si estende per il territorio
italiano, croato e montenegrino. Le Mura Venete premiate, edificate dalla
Serenissima dopo la scoperta della polvere da sparo e quale baluardo contro i
vari nemici, in primis i turchi, possono essere visitate e ammirate in diverse
zone e precisamente a Bergamo, Palmanova, Peschiera del Garda, a Zara e Sebenico
in Dalmazia (Croazia) e a Cattaro in Montenegro. Va ricordato che le mura
difensive di Zara, per una lunghezza complessiva di ben 3 chilometri, furono
approntate dalla Repubblica di Venezia nel XVI secolo. Cingono - solenni e
orgogliose - il nucleo storico zaratino, ossia la famosa penisola, per
proteggerla (queste le intenzioni di cinque secoli fa) dagli attacchi delle
forze turche che all'epoca stavano dominando nei Balcani. Ancora oggi piacciono
per la loro imponenza, dando l'impressione di essere inconquistabili.Il discorso
è valido anche per il forte di San Nicola, altra monumentale opera veneziana,
edificata dalla Serenissima nel XVI secolo proprio all'imboccatura del canale di
Sant'Antonio. Il motivo? Le paure, i pericoli che derivavano dall'avanzata dei
turchi. La fortezza era stata approntata su progetto dell'ingegnere militare
italiano, Michele Sanmicheli. È stata restaurata nell'ultimo biennio e dopo
decenni di quasi totale abbandono. Nel corso dei lavori, è stata rispettata alla
lettera l'antica struttura, senza interventi che potessero danneggiare la
possente costruzione, una delle più belle in acque adriatiche. Va aggiunto che
una ventina d'anni fa la polizia sebenzana fu costretta ad usare le maniera
forti contro i cosiddetti datoleri, i raccoglitori abusivi di datteri di mare.
Gli scavi a San Nicola per estrarre i molluschi avevano assunto dimensioni tale
da mettere a rischio la statica dell'antica costruzione, uno dei simboli della
presenza veneziana lungo le coste orientali dell'Adriatico. Per la Croazia è
arrivato un altro importante riconoscimento: a far parte del Patrimonio mondiale
dell'Unesco sono anche gli antichi faggeti dislocati nei parchi nazionali del
Velebit (Alpi Bebie) settentrionale e della Paklenica. A Cracovia, dieci Paesi
europei (Croazia, Italia, Austria, Slovenia, Belgio, Spagna, Bulgaria, Albania,
Romania e Ucraina) hanno firmato l'allargamento del sito comprendente le antiche
faggete dei Carpazi e di altre regioni del Vecchio Continente.
Andrea Marsanich
IL PICCOLO - LUNEDI', 10 luglio 2017
La Fortezza di Palmanova è patrimonio dell'umanità - La
decisione ieri a Cracovia, la scelta per le opere di difesa veneziane
Alla fine Palmanova ce l'ha fatta. La città stellata è entrata nel novero
dei siti patrimonio mondiale dell'umanità dell'Unesco. Il verdetto è arrivato
ieri mattina durante il summit del Comitato Unesco a Cracovia. Il progetto che
ha portato la Fortezza all'ambito riconoscimento ha carattere di
transnazionalità. Infatti «Opere di difesa veneziane tra il XVI ed il XVII
secolo: Stato da Terra-Stato da Mar occidentale» ha visto la compartecipazione
alla cordata delle opere di difesa presenti, con Palmanova, a Bergamo e
Peschiera del Garda per l'Italia, a Zara e Sebenico per la Croazia, a Cattaro
per il Montenegro. È questo l'ennesimo sito italiano entrato a far parte del
Patrimonio mondiale Unesco, assieme a dieci antiche faggete italiane per una
superficie complessiva di 2.127 ettari. La candidatura è il risultato di un
certosino e complesso lavoro di équipe coordinato a livello centrale dal MiBact.
Ma ripercorriamo la lunga strada che ha portato questo progetto transnazionale a
far parte dei beni mondiali Unesco. Bergamo, capofila del progetto, ha iniziato
nel 2008 il percorso di costruzione della candidatura all'Unesco World Heritage
List. Nel 2011 Palmanova ha ottenuto l'inclusione della città Fortezza nella
candidatura per la parte italiana, dopo che la visita della commissione
ministeriale aveva sancito la valenza storico architettonica delle
fortificazioni, supportata anche da un accurato dossier scientifico. Tra il 2011
e il 2013 è stata definita l'inclusione anche dei siti di Zara, Sebenico e
Cattaro, oltre a Peschiera del Garda, già presente fin dall'inizio. Nel corso
del 2013, si sono tenute a Palmanova alcune giornate di studio sulle
fortificazioni e, nell'anno successivo, è stato organizzato un convegno
internazionale "L'architettura militare di Venezia in terraferma e in Adriatico,
tra XVI e XVII secolo". Un momento di confronto tra esperti internazionali del
settore, una raccolta organica e articolata di tutte le ricerche svolte sul
patrimonio fortificato della Serenissima, un studio volto a valorizzare le
importanti testimonianze storiche, per salvaguardarle e ricercarne nuove
destinazioni in un'ottica di riuso. L'iter, complesso e articolato, ha richiesto
numerosi passaggi, dossier, valutazioni, sopralluoghi, visite nei paesi partner,
incontri al Ministero e nel comune capofila. Nel febbraio 2014 la candidatura
rientra nella Tentative list. L'anno successivo, a Bergamo, il sindaco di
Palmanova Francesco Martines, assieme alla presidente della Regione Debora
Serracchiani, firmano il protocollo nazionale a sostegno della candidatura
Unesco che nel gennaio 2016 è stata definitivamente approvata e sostenuta come
unica proposta italiana. A settembre la visita ispettiva. Nel 2017 il parere
positivo da parte di Icomos, organismo dell'Unesco che, di fatto, ha spalancato
le porte per il successo in terra polacca. Le Opere di difesa veneziane tra il
XV e XVII secolo Stato da Terra-Stato da Mar occidentale, sono costituite da sei
componenti fortificate situate in Italia, Croazia e Montenegro, che formano un
sistema esteso per oltre mille chilometri tra la Regione Lombardia, in Italia, e
la costa orientale adriatica. La serie nel suo complesso rappresenta una
significativa rappresentazione tipologica delle fortificazioni costruite dalla
Serenissima tra il XVI e il XVII secolo, un periodo molto importante nella lunga
storia della Repubblica di Venezia. Al valore storico-architettonico del sito,
contribuisce fortemente il contesto paesaggistico in cui si inseriscono le sei
componenti, ciascuna in grado di offrire notevoli suggestioni visive. Per quanto
riguarda specificatamente Palmanova, unico esempio di città di fondazione ancora
intatta nella propria forma di stella a nove punte, è uno dei più importanti
modelli di architettura militare in età moderna. Una struttura fortificata
organizzata su tre cerchie difensive e un tessuto urbano disposto su assi
radiali. L'accesso alla città è consentito dalle tre monumentali porte:
Aquileia, un tempo chiamata Marittima, Udine e Cividale. Fu fondata dalla
Serenissima Repubblica di Venezia con l'intento di contrastare le mire
espansionistiche degli Asburgo d'Austria e le scorrerie dei Turchi. Il 7 ottobre
1593 venne posta la prima pietra della Fortezza. Furono costruite due linee
difensive con bastioni e rivellini e al loro interno si realizzò l'impianto
urbanistico della città. Una terza cinta fortificata fu aggiunta in epoca
napoleonica. Con decreto del Presidente della Repubblica nel 1960 Palmanova è
stata proclamata Monumento Nazionale. Negli ultimi anni è in atto una politica
di riconversione da città militare a città di interesse storico culturale come
elemento portante di nuovo sviluppo turistico e dei servizi. La caratteristica
più importante della Fortezza, oltre chiaramente alla sua particolare geometria
a pianta stellata, è la cinta bastionata, determinante ai fini della candidatura
Unesco. Infatti, al valore del sito, contribuisce fortemente il contesto
paesaggistico in cui si inseriscono le componenti dei bastioni realizzati con
una funzione tattica nell'ambito del sistema complessivo.
ALFREDO MORETTI
IL PICCOLO - DOMENICA, 9 luglio 2017
IL SENATORE Russo sfida il Pd «Dia un segnale di chiarezza sulla Ferriera»
«Se è una colpa essere stato l’unico esponente del centrosinistra ad accettare un confronto con cittadini che da settimane sono in piazza giorno e notte per manifestare il loro disagio allora sì, ammetto di essere colpevole. Ho affrontato una piazza arrabbiata e l’ho fatto senza cercare scorciatoie, difendendo il lavoro che il centrosinistra ha fatto negli ultimi anni sulla Ferriera». Lo afferma, in una nota, il senatore del Pd Francesco Russo in merito alla sua partecipazione all’incontro organizzato dai Comitati che si battono per la chiusura dell’area a caldo della Ferriera di Servola. «Al presidio del Comitato 5 Dicembre - aggiunge Russo - sono andato soprattutto per parlare di futuro. Non ho fatto facili promesse e a differenza di altri parlamentari non ho firmato petizioni e non ho promesso la chiusura dell’area a caldo in qualche settimana. Ho proposto, invece, un percorso concreto che partendo dallo sviluppo del porto e dalla riqualificazione di Porto vecchio crei le condizioni per arrivare in tempi certi alla chiusura dell’area a caldo. Che non lasci al loro destino i lavoratori (solo in Porto - ci dicono gli operatori - nei prossimi due anni, grazie anche al punto franco verranno creati fino a 1000 posti di lavoro) né un sito capace anche da abbandonato di essere una bomba ecologica». «Per questa posizione la governatrice Serracchiani mi dà del “Pierino” - aggiunge Russo - eppure le cose che ho detto sono quelle che il centrosinistra (lei compresa) ripete da sempre. E allora a Debora Serracchiani dico ben venga una verifica romana, se necessario. Prima però sarò io a proporre una verifica locale: durante la direzione regionale di giovedì presenterò un ordine del giorno per chiedere al Pd del Friuli Venezia Giulia di chiarire qual è la linea di azione sul sito di Servola».
COMUNICATO STAMPA - SABATO, 8 luglio 2017
#NoRifiutinelWC, un piccolo gesto per salvare il mare e le spiagge - Legambiente chiede la messa al bando dei cotton fioc in plastica
Con Goletta Verde prende il via la nuova campagna di Legambiente, sviluppata da Ogilvy Change, per stimolare il cambiamento dei cittadini ed arginare un problema di portata globale come il marine litter - Ogni anno 8 milioni di tonnellate di rifiuti finiscono dritti nei mari e negli oceani del mondo e di questi una percentuale tra l’80% e il 90% di questi rifiuti è plastica. In 46 spiagge monitorate trovati quasi 7mila cotton fioc, in pratica due ogni passo tra la sabbia Nel Lazio, presso la spiaggia di Levante a Terracina, conteggiati ben tre cotton fioc ogni metro. Legambiente chiede la messa al bando dei cotton fioc in plastica. Scopri la campagna su www.norifiutinelwc.it Qui il video della campagna: https://goo.gl/caY1sD
Qual è la distanza tra il nostro wc e il mare? Molto più che breve di quello che si immagina. Il 10% dei rifiuti presenti sulle spiagge italiane proviene, infatti, dagli scarichi dei nostri bagni. Rifiuti buttati nel wc che raggiungono il mare, anche a causa di sistemi di depurazione inefficienti, minacciando la fauna marina. Il 9% di questi rifiuti spiaggiati è costituito da bastoncini per la pulizia delle orecchie che vengono buttati nei Wc. In sole 46 spiagge lungo la penisola sono stati trovati quasi 7mila cotton fioc (monitorate da Legambiente tra il 2016 e il 2017 con l’indagine Beach Litter), in pratica due bastoncini per le orecchie ogni passo tra la sabbia. Il problema, purtroppo, non sono solo i cotton fioc. Sulle nostre spiagge c’è di tutto: blister, tamponi e assorbenti, medicazioni, deodoranti per wc, contenitori per le lenti a contato. Nel Lazio, ad esempio, presso la spiaggia di Levante a Terracina, i volontari di Legambiente hanno contato tre cotton fioc ogni metro durante l’indagine Beach litter 2017. E lo scorso anno furono migliaia i bastoncini cotonati trovati a Fiumicino, sulla spiaggia di Coccia di Morto. Tutti rifiuti buttati nel WC e che hanno raggiunto mare e spiagge, anche a causa di sistemi di depurazione inefficienti. Prevenire è possibile e anche molto semplice: basterebbe usare il cestino. Nasce per questo la campagna #NoRifiutinelWC, sviluppata da Legambiente e Ogilvy Change, la unit di Ogilvy & Mather che applica gli studi scientifici di economia comportamentale, psicologia cognitiva e psicologia sociale nella realizzazione di interventi finalizzati a orientare positivamente i comportamenti e le decisioni delle persone. Lo scopo della nuova campagna sociale è stimolare il cambiamento spontaneo e permanente di abitudini in un piccolo gesto quotidiano che, tuttavia, può contribuire ad arginare un problema di portata globale come il marine litter: si calcola, infatti, che ogni anno 8 milioni di tonnellate di rifiuti finiscono dritti nei mari e negli oceani del mondo e di questi una percentuale tra l’80% e il 90% di questi rifiuti è plastica. Il lancio della campagna è avvenuto in occasione del viaggio della Goletta Verde, la storica imbarcazione di Legambiente che da oltre 30 anni per monitorare le qualità delle acque marine e la presenza di rifiuti in mare, ma anche per denunciare le illegalità ambientali, l’inquinamento, la scarsa e inefficiente depurazione dei reflui, le trivellazioni di petrolio, le speculazioni edilizie e la cattiva gestione delle coste italiane. “Il problema del marine litter sta assumendo proporzioni sempre più allarmanti come ha dimostrato anche la Conferenza mondiale sugli Oceani organizzata dall’Onu lo scorso mese a cui abbiamo partecipato portando la nostra esperienza – dichiara Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente. La quasi totalità dei rifiuti, in una percentuale che oscilla tra l’80% e il 90%, è composta da plastica, che persiste nell’ambiente per centinaia di anni e accumula sostanze tossiche. Si tratta di rifiuti che creano problemi economici, ambientali e alla fauna marina, ma possono anche finire sulle nostre tavole visto che le microplastiche (generate anche dalla frammentazione dei rifiuti più grandi), vengono facilmente ingerite dai pesci. Se poi i sistemi di depurazione non ci sono o sono inefficienti, come denunciamo da anni con Goletta Verde, tutto quello che buttiamo nel WC finisce in mare. Possiamo e dobbiamo invertire questo trend e per farlo bastano anche piccoli gesti come scegliere prodotti meno inquinanti, prevenire i rifiuti, differenziarli al meglio per riciclarli, ma anche evitare di usare i nostri WC come se fossero cestini della spazzatura. Per far fronte all’invasione di bastoncini – conclude Ciafani - bisogna affrontare il problema anche dal punto di vista normativo, mettendo al bando i bastoncini per le orecchie non compostabili, sull’esempio di quanto l’Italia ha fatto con il bando ai sacchetti di plastica e in linea con la messa al bando dei cotton fioc voluta dalla Francia a partire dal 2020”. Il nostro Paese era già intervenuto legislativamente su questo aspetto. Infatti I bastoncini per la pulizia delle orecchie non biodegradabili erano stati banditi dall’art. 19 della legge 93/2001. Salvo essere poi riabilitati, in seguito ad una sentenza della Corte di giustizia europea del 2005 per motivazioni tecnico-normative. Siamo però convinti che oggi, alla luce dell’esperienza del bando sui sacchetti di plastica non compostabili vigente in Italia, e ora esteso anche in diversi Paesi europei e del Mediterraneo, e la maggiore conoscenza del problema ambientale causato dalla dispersione dei cotton fioc, specialmente nell’ambiente marino e costiero, non sia più rinviabile una disposizione normativa che tenga insieme la messa al bando dei cotton fioc di plastica non compostabili e al tempo stesso promuova l’obbligo di una migliore e più chiara informazione sullo smaltimento dei prodotti ad uso sanitario da apporre sulle confezioni stesse. “Tutti sanno che gettare rifiuti nel Wc è sbagliato, ma in tanti ancora lo fanno perché si tratta di un comportamento così radicato nella routine di molti italiani da essere diventato purtroppo automatico, istintivo e quindi molto difficile da cambiare – spiega Guerino Delfino, Chairman & Chief Executive Officer, Ogilvy & Mather –. La campagna #NoRifiutinelWC si pone l’obiettivo di indurre piccoli comportamenti virtuosi e automatici nella quotidianità delle persone. Questo grazie all’approccio che Ogilvy Change ha nell’ideazione dei suoi progetti di comunicazione: l’utilizzo delle tecniche di Nudging e degli Economical Behaviour porta a soluzioni che non hanno soltanto l’intenzione di comunicare un concetto, ma soprattutto di stimolare un’azione, o meglio, una reazione”. La campagna viaggerà anche sui canali social di Legambiente e Goletta Verde, con video, pillole informative, consigli e immagini delle conseguenze dei nostri comportamenti errati. Un ruolo fondamentale sarà quello degli stessi cittadini che potranno partecipare utilizzando l’hashtag #NoRifiutinelWC, postando foto di rifiuti trovati in spiaggia e in mare, ma comportamenti virtuosi assunti per risolvere il problema. Il viaggio di Goletta Verde quest’anno diventa ancor più prezioso e importante dopo la conferenza mondiale degli Oceani all’Onu dove Legambiente ha presentando un focus sul Mediterraneo. Da anni Legambiente sta, infatti, studiando grazie ai suoi volontari questo problema (www.legambiente.it/marinelitter): monitorando centinaia di spiagge e chilometri di mare per comprendere meglio la fonte dei rifiuti marini; facendo analisi sulla riciclabilità delle plastiche disperse in mare e in spiaggia; indagando la presenza di microplastiche nei mari e nei laghi italiani. Una grande esperienza di citizen science riconosciuta a livello mondiale. Scopri la campagna sul sito: www.norifiutinelwc.it
Ufficio Stampa Goletta Verde/Legambiente: Luigi Colombo – 347. 4126421 - golettaverde@legambiente.it
IL PICCOLO - SABATO, 8 luglio 2017
La governatrice solleva il "caso Russo" - Il blitz
sulla Ferriera con Fedriga e Battista finisce a Roma. Il senatore: «Ho difeso il
centrosinistra»
TRIESTE - Francesco Russo si presenta in piazza Unità, proprio sotto il
palazzo della giunta, assieme a Massimiliano Fedriga, destra, e Lorenzo
Battista, sinistra. Parla di Ferriera e lo fa in mezzo ai comitati che chiedono
la chiusura dell'area a caldo. «Un intervento a difesa della linea del
centrosinistra», assicura lui. Ma Debora Serracchiani non condivide, non con
quei compagni di viaggio, non in una fase delicata del processo di
riqualificazione dell'area. E, a quanto risulta, apre il caso a Roma. Non è la
prima volta che la presidente non approva l'autonomia del senatore triestino. Ma
stavolta, dopo il blitz trasversale di lunedì scorso, il malumore è forte.
Perché la convinzione di Serracchiani è che Russo non si dovesse infilare in una
manifestazione di contestazione dell'operato della Regione e del Pd sulla
Ferriera. Una questione su cui lei stessa, oltre che nel ruolo istituzionale e
politico, è impegnata pure da commissario. Una competenza su più fronti che le
ha consentito di ribadire in un'intervista al Piccolo che la Regione «ha fatto
con rigore quello che doveva fare», che «la Ferriera deve rispettare i limiti di
legge ed essere in grado di coesistere con la città» e che se l'area a caldo
inquina, «occorrerà avviare un percorso che porti alla sua chiusura». Venuta a
conoscenza di Russo fianco a fianco con il leghista Fedriga e lo scissionista
Battista, oltre che con il sindaco Dipiazza e l'assessore Polli, Serracchiani
non ha digerito. E, ricordata la posizione del Pd sulla Ferriera, avrebbe
chiesto chiarimenti ai piani alti del partito sull'iniziativa di Russo, il
"pierino" che già in passato aveva spiazzato i dem con l'accelerazione sulla
città metropolitana e forzando le primarie a Trieste quando la ricandidatura di
Roberto Cosolini sembrava cosa fatta. Senza dimenticare il pressing per un
ricambio della segretaria regionale, Antonella Grim in testa, e pure nei
confronti della presidente, sollecitata a più riprese a sciogliere le riserve in
vista delle regionali 2018.«Serracchiani se l'è presa? Non mi risulta e, se
anche fosse così, non me l'ha comunque detto - commenta Russo -. Quel che è
certo è che lunedì sono andato in piazza a difendere quanto fatto dal
centrosinistra, strappando qualche consenso che fino al giorno prima non
avevamo». Nessuna facile promessa, assicura il senatore, «tanto che non ho
firmato, contrariamente a Fedriga e Battista, la petizione di No Smog in cui si
chiede alla Regione di avviare le procedure di chiusura dell'area a caldo. Ho
semplicemente ripetuto quanto diciamo da sempre: il destino dei lavoratori e la
salute dei cittadini non vanno contrapposti, si deve puntare in tempi certi a
una riconversione sostenibile del sito di Servola. Alla chiusura, non in pochi
giorni, ci si potrà arrivare partendo dallo sviluppo del porto, dalla
riqualificazione di Porto vecchio e dalla città metropolitana».
(m.b.)
Il Pd contro lo stop alla ciclabile di via Giulia - La
reazione dei consiglieri di opposizione. «Il progetto approvato dalla giunta
precedente era sicuro»
«Ciccio no xe per barca e Dipiazza no xe per bici». I consiglieri comunali
del Pd scelgono l'ironia dialettale per manifestare tutto il loro disappunto nei
confronti della decisione della giunta Dipiazza di affondare il progetto della
pista ciclabile di via Giulia ideato dall'amministrazione Cosolini, (progetto
che l'assessore Polli non ha esitato a definire «allucinante»), preferendo
investire il finanziamento nella realizzazione di una rotonda in piazza
Volontari Giuliani e alcuni passaggi pedonali. Il Partito democratico, però, non
ci sta e punta il dito contro questa e altre decisioni dell'attuale
amministrazione in tema di mobilità, ricordando «la tanto sbandierata adesione
del sindaco al Patto per la ciclabilità sottoscritto durante la campagna
elettorale, una delle tante promesse non mantenute». Per quanto riguarda le
dichiarazioni dell'assessore Luisa Polli sul progetto che portava la firma di
Elena Marchigiani e Andrea Dapretto, i democratici mettono i puntini sulle "i"
con una serie di precisazioni: «Innanzitutto la rotonda di piazza volontari
Giuliani era già prevista nel progetto del 2015 - scrivono -; la corsia bus al
centro di via Giulia (peraltro lascito della precedente amministrazione
Dipiazza) era già stata eliminata e la pista ciclabile prevista non era
insicura, trattandosi di percorso protetto e in sede propria progettato dagli
uffici comunali dopo un confronto con i tecnici regionali. E infine gli
attraversamenti pedonali protetti erano già stati previsti». Questa la
conclusione alla quale sono giunti i consiglieri Pd: «Si butta via un progetto
di percorso ciclabile che avrebbe permesso di ridurre il ricorso alle auto
usando meglio il parcheggio del Giulia come scambiatore; si dirottano i fondi al
rifacimento di marciapiedi, solitamente oggetto di manutenzione ordinaria; si
rinuncia a un ulteriore passo verso una mobilità più sostenibile, scelta che non
solo accontenta le persone che vorrebbero poter usare la bicicletta, ma consente
anche di ridurre l'inquinamento». Lo stop alla ciclabile in via Giulia non trova
d'accordo nemmeno l'associazione ciclisti urbani Fiab Ulisse , che si è
dichiarata «sorpresa dello stop imposto dal sindaco».
L'Ungheria punta a ottenere il gas russo - L'intesa
sulla fornitura siglata fra Budapest e Gazprom fa risorgere il vecchio progetto
South Stream
BELGRADO - A Varsavia, riuniti intorno al presidente Trump, i Paesi dell'Est
hanno discusso su come arginare l'influenza politica ed economica di Mosca,
magari accettando il gas americano. Ma se ben si osserva, il fronte è già
spaccato sul nascere. Spaccato a causa di un progetto che potrebbe riportare
indietro le lancette al 2014, facendo salire di nuovo la tensione tra Ue, Usa e
Russia. Il progetto è quello del defunto gasdotto South Stream, sponsorizzato da
Mosca e riposto nel cassetto tre anni fa a causa delle pressioni di Bruxelles e
della bufera provocata dalla crisi in Ucraina. Nel cassetto, ma non archiviato
definitivamente, a quanto sembra. Lo confermano in particolare, dopo le voci
circolate a giugno, le mosse dell'Ungheria e del colosso energetico russo
Gazprom, che mercoledì hanno firmato a Mosca un'intesa sulle forniture di gas
russo. Intesa, ha specificato il ministro degli Esteri magiaro, Peter Szijjarto,
che immagina la costruzione di «una nuova rotta di trasporto per il gas naturale
verso l'Ungheria». Rotta che dovrebbe arrivare da sud, via Balcani,
ripercorrendo a grandi linee il percorso del controverso South Stream. Secondo
Szijjarto «lo scenario più realistico» è quello di pensare infatti a un
«collegamento» col futuro Turkish Stream, il gasdotto sponsorizzato da Mosca per
portare gas via Mar Nero fino in Turchia, attraverso Bulgaria e Serbia. Il
gasdotto «potrebbe cominciare ad essere operativo a fine 2019, portando» in
Ungheria «fino a 8 miliardi di metri cubi di gas naturale».Il perché della
scelta radicale di Budapest? Szijjarto lo ha messo nero su bianco, in una nota.
L'Ungheria, come gli altri Paesi della regione, vuole avere sicurezza sul fronte
delle forniture di energia e gas. E altre possibilità di rifornimento sono per
ora solo chimere: come il gas che dovrebbe arrivare in Ungheria dalla Romania; e
soprattutto «il terminal di gas liquido naturale» in Croazia, «non ancora in
costruzione». Da qui l'idea di "resuscitare" South Stream sotto altro nome. Idea
che sembra piacere anche nella vicina Serbia. Lo suggeriscono dichiarazioni del
presidente serbo, Aleksandar Vucic, che ha confermato che anche Belgrado - e la
Bulgaria - hanno interesse a un collegamento con Turkish Stream, «opportunità
notevole di sviluppo». Che è in discussione sia con il Ceo di Gazprom, Alexey
Miller, sia col premier bulgaro, Borisov.
Stefano Giantin
Carso - Legambiente e la notte sulla città
Alla scoperta della bellezza dei paesaggi attorno a Trieste. Un'escursione
nei dintorni del paese di Banne illuminati dalla luna, per scoprire insieme a
Legambiente la natura di notte in una passeggiata suggestiva ed emozionante.
Partenza - alle 21.30 - dall'abitato storico di Banne e, passando attraverso il
bosco della tenuta Burgstaller/Bidischini, saliremo sul ciglione carsico ad
ammirare il luminoso panorama sulla città di Trieste, per inoltrarci tra gli
spazi aperti della landa carsica, dove con un po' di fortuna potrete sentire il
canto di qualche rapace notturno. Ritrovo nel parcheggio di fronte alla caserma
(abbandonata) di Banne. Durata circa 3 ore, il percorso è facile. Meglio
indossare abbigliamento sportivo con giacca a vento e scarpe comode. È
obbligatorio portare con sé una torcia. Per prenotare: chiamare o scrivere un
sms al 3333487130.
IL PICCOLO - VENERDI', 7 luglio 2017
Stop alla pista ciclabile lungo via Giulia -
L'amministrazione Dipiazza modifica il progetto cosoliniano. Niente corsia per
le bici, ok a rotonda e percorsi pedonali
«Sarebbe stata pericolosissima, bloccata giusto in tempo». Roberto Dipiazza
era intervenuto il 14 ottobre scorso sul progetto della pista ciclabile di via
Giulia che arrivava dopo il pasticcio di quella di Campo Elisi. E ora la giunta
comunale ha messo definitivamente una pietra sopra al progetto
dell'amministrazione precedente che portava la firma degli assessori Elena
Marchigiani e Andrea Dapretto. La pista ciclabile di via Giulia non si farà. Al
suo posto una rotonda (piazza Volontari Giuliani) e alcuni passaggi pedonali.
Una delibera del 26 giugno scorso ha riconvertito l'intervento "itinerario
ciclabile tra piazza Volontari Giuliani e via delle Torri" in uno nuovo
denominato "interventi per la sicurezza dell'utenza debole in via Giulia, Piazza
Volontari Giuliani e aree limitrofe" mettendo in sicurezza il finanziamento da
353mila euro già ottenuto dal ministero dell'Ambiente (programmi Pisus) per la
mobilità sostenibile, spostandolo appunto dai ciclisti ai pedoni. Ora si punta
decisamente a promuovere la mobilità pedonale, alla faccia del programma
elettorale che l'amministrazione si era data. «Siamo tornati al progetto
originario. Quella che si limitava alla rotonda di piazza Volontari Giuliani
prevedendo la sistemazione dei marciapiedi e dei percorsi pedonali», spiega
l'assessore Luisa Polli. Il piano, che prevede un costo complessivo pari a mezzo
milione di euro, faceva parte inizialmente del progetto di bike sharing (Triestinbike)
che puntava alla realizzazione di un itinerario ciclabile lungo l'asse di
collegamento del rione di San Giovanni con le Rive. «In base agli indirizzi
della nuova amministrazione e alle esigenze emerse dal territorio - si legge
nella delibera - si è reso necessario modificare alcuni elementi di tale ultimo
intervento con delle previsioni di intervento che contemplano comunque la
realizzazione di una rotatoria stradale in piazza Volontari Giuliani (con
relativo collegamento pedonale con l'adiacente viale XX Settembre), oltre ad
alcuni interventi lungo l'asse di via Giulia e vie limitrofe, rivolti
prevalentemente alla mobilità pedonale». L'intenzione è quella di risolvere
alcune criticità rilevate dal Piano del traffico lungo l'asse di via Giulia in
merito ad attraversamenti pedonali rischiosi. Per questo si è deciso di
realizzare un itinerario pedonale lungo l'asse di via Giulia, nel tratto
compreso tra via Battisti e piazza Volontari Giuliani, di collegamento tra le
aree cittadine più centrali e il rione di San Giovanni, corredato di
attraversamenti pedonali protetti, eliminazione delle barriere architettoniche,
accesso sicuro ai diversi edifici scolastici presenti in zona attraverso lo
sviluppo di futuri "pedibus". «Abbiamo cancellato le variazione allucinanti
introdotte dalla giunta precedente. Era stata previsto persino il bus che
passava in mezzo alle due corsie del traffico. Era stata prevista una pista
ciclabile che passava davanti all'uscita dei mezzi della guardia di Finanza -
aggiunge Polli -. Noi abbiamo preferito dare il massimo di attenzione ai pedoni
in una via ad alto scorrimento com'è via Giulia dove ci sono diverse scuole». I
lavori dovrebbero partire subito dopo il via libera alla rimodulazione
dell'intervento. «Passiamo subito le carte all'assessorato ai Lavori pubblici e
poi si potrà partire con la gara», assicura l'assessore a Urbanistica e Ambiente.Una
scelta che non trova d'accordo l'associazione ciclisti urbani Fiab Trieste
Ulisse che si è dichiarata subito sorpresa «dello stop che il sindaco ha imposto
alla ciclabile di via Giulia». «Il progetto - hanno dichiarato i ciclisti della
Fiab Ulisse - prevede oltre alla ciclabile due percorsi pedibus, cinque
attraversamenti pedonali protetti e nuove alberature. La ciclabile di via Giulia
è parte di uno dei tre assi portanti della futura rete ciclabile triestina: il
Pi Greco. Il tratto di via Giulia assieme a viale XX Settembre, via Imbriani e
via Mazzini: è il primo di questi tre assi nel quale i ciclisti urbani
potrebbero pedalare con sufficiente sicurezza».
Fabio Dorigo
acegasapsamga - A maggio raccolta record per
l'umido 500 tonnellate
Maggio record per i cosiddetti rifiuti organici, ovvero per la raccolta
dell'umido organizzata da AcegasApsAmga nelle strade triestine con appositi
contenitori. E' la stessa utility a comunicare il buon risultato conseguito
attraverso questa nuova tipologia di differenziata: 500 tonnellate è la quota,
mai raggiunta in precedenza, che AcegasApsAmga ha rendicontato nel mese di
maggio. Potrebbe avere giocato un ruolo importante la campagna pubblicitaria
lanciata dal Comune e dall'azienda, proprio tra aprile e maggio, intitolata
significativamente «L'Umido che fa la differenza». Campagna svoltasi in 14 tappe
itineranti tra supermercati e mercati rionali diffusi in tutto il territorio
urbano: un messaggio che aveva raggiunto alcune migliaia di residenti.A
contribuire nell'incremento del rifiuto umido domestico è statil raddoppio della
raccolta stradale di sfalci e ramaglie, in presumibile correlazione con i nuovi
100 cassonetti posizionati da AcegasApsAmga nel maggio dello scorso anno: i
risultati ottenuti evidenziano, non a caso, che le 520 tonnellate raccolte nei
primi cinque mesi del 2016 sono diventate 1060 tonnellate nel periodo
gennaio-maggio del 2017, registrando così un aumento pari al 103%.All'azienda
preme sottolineare quantità e qualità della raccolta: infatti «i nuovi
contenitori per sfalci e ramaglie sono stati posizionati per permettere ai
cittadini di conferire questo rifiuto separatamente dai rifiuti umidi domestici
che, invece, vanno conferiti nei contenitori con coperchio marrone». «Nel
conferire i rifiuti differenziati - insiste un comunicato diffuso ieri mattina
dalla controllata del gruppo Hera - oltre alla quantità è fondamentale prestare
attenzione anche alla qualità, che significa conferire rifiuti non contaminati
da altri materiali, come per esempio la plastica». «Nel caso delle potature e
scarti di giardino - conclude la nota - la qualità triestina risulta
particolarmente alta, permettendo in questo modo di mandare a recupero quasi il
100% di quanto conferito».
IL PICCOLO - GIOVEDI', 6 luglio 2017
Parchi minerari da coprire - Maxi investimenti di
Arvedi - Lavori da decine di milioni per la realizzazione del progetto chiesto
dalla Regione
Sul calo della produzione: «Siamo nei limiti Aia». Il Comitato 5 dicembre
contesta
Siderurgica triestina annuncia interventi da «alcune decine di milioni» per
la copertura dei parchi minerari della Ferriera di Servola. La rivelazione ha un
peso particolare dopo l'episodio dello scorso 26 giugno, quando una nube scura
si è sollevata dallo stabilimento oscurando la baia di Muggia. Un episodio che
l'azienda attribuisce a un colpo di vento eccezionalmente forte, ma che ha
riacceso l'attenzione proprio sul tema delle coperture. Siderurgica triestina
rivela molti particolari del progetto di copertura in un comunicato emesso ieri,
il giorno dopo l'invio alla Regione della comunicazione sulla riduzione della
produzione di ghisa e del nuovo progetto. Due misure che l'ente pubblico aveva
richiesto alla proprietà attraverso due distinte diffide nei mesi scorsi.
L'azienda informa di aver mandato il progetto di copertura dei "parchi materie
prime" alla Regione, al Comune di Trieste, ad Arpa, ai vigili del fuoco e
all'Azienda sanitaria, come richiesto dalla diffida regionale del marzo scorso.
«Si tratta di due aree ben distinte - recita il comunicato -, ciascuna di circa
25mila metri quadrati dedicate rispettivamente allo stoccaggio del minerale di
ferro e del carbon fossile». Siderurgica triestina prosegue dando alcune
informazioni sul materiale inviato agli enti pubblici: «La voluminosa
documentazione presentata comprende numerose tavole grafiche, l'iter
autorizzativo, il crono programma relativo alla progettazione esecutiva e
all'ottenimento dei permessi, nonché il preventivo di massima, che allo stato
attuale si può stimare di alcune decine di milioni». In particolare, aggiunge,
«l'esecuzione delle opere prevede bonifiche, fondazioni, strutture portanti,
tamponature, coperture e impianti tecnologici a servizio delle due aree
coperte». Le soluzioni progettuali proposte, le tempistiche e l'iter
autorizzativo saranno sottoposti alla valutazione e all'approvazione degli enti
partecipanti alla Conferenza dei servizi, con eventuali prescrizioni. L'azienda
ricorda poi che il decreto regionale, in attesa della realizzazione del progetto
di copertura dei parchi, prevede degli interventi alternativi. Scrive l'ufficio
stampa: «In accordo con Arpa Fvg è in fase di attuazione la nuova modalità
operativa di irrorazione e filmatura dei materiali in fase di stoccaggio per la
gestione del parco fossile e del parco minerali al fine di evitare
spolveramenti».Nello stesso comunicato Siderurgica triestina ci tiene a
sottolineare che intende ottemperare alle prescrizioni della Direzione regionale
all'Ambiente in merito alla riduzione della produzione nell'area a caldo:
l'azienda «conferma, come già anticipato la scorsa settimana, che i rilievi da
parte dei tecnici sul monitoraggio in modalità di autocontrollo del deposimetro,
nel mese di giugno hanno registrato una sensibile riduzione della polverosità».Il
comunicato aggiunge «che gli interventi effettuati durante la fermata di
manutenzione programmata di lunedì 3 luglio sull'altoforno, comporteranno il
mantenimento di questi livelli entro i limiti imposti dall'Autorizzazione
integrata ambientale».Da parte sua il Comitato 5 Dicembre reagisce con
scetticismo all'annuncio del giorno precedente, con cui l'azienda faceva sapere
di aver inoltrato i progetti. Sulla sua pagina Fb il comitato che chiede la
chiusura dell'area a caldo dello stabilimento riporta le immagini del verbale di
un incontro fra l'azienda e gli enti pubblici tenutosi nel gennaio di
quest'anno, in cui Siderurgica triestina diceva di ritenere «non fattibile» la
copertura dei parchi minerali dello stabilimento. Fra gennaio e oggi, però, è
intervenuta la diffida della Regione. Il comitato chiede la convocazione di un
incontro fra Giovanni Arvedi, il sindaco Roberto Dipiazza, e la presidente
Debora Serracchiani, annunciando ulteriori presidi pur di ottenerlo.
Giovanni Tomasin
Partiti e sindacati - Area a caldo - È polemica
fra Russo e Belci
La Ferriera è la causa scatenante di uno scambio via Facebook tra il
senatore dem Francesco Russo e l'esponente di Mdp Franco Belci. Mentre sullo
stesso tema interviene anche la Cgil. Scrive Russo: «Caro Belci, in queste
settimane di presidio in Piazza Unità credo di essere stato l'unico a difendere
il lavoro svolto dal centrosinistra negli ultimi 5 anni: a differenza del tuo
compagno di partito Lorenzo Battista (e di Fedriga), peraltro, non ho firmato la
petizione proposta da No Smog. Perché quella sì, era demagogia». Scrive poi: «A
differenza del passato, però, ho proposto un percorso concreto basato
sull'equazione: sviluppo Porto + riqualificazione Porto vecchio + città
metropolitana = chiusura area a caldo. Non è un iter che si concluderà in pochi
giorni. Ma è una strada seria, praticabile». L'ex sindacalista ha risposto:
«Caro Russo, non ho fatto altro che citare la tua posizione e non ho fatto, con
te, alcuna polemica. Ho polemizzato invece con Battista, la cui posizione non
condivido, e con il livello regionale di Mdp perché è da due mesi che chiedo una
discussione sul tema che è stata sempre rimandata». Quanto alle linee guida di
Russo, aggiunge: «Oggi i lavoratori dell'area a caldo hanno la certezza del
posto di lavoro. Il percorso da te proposto è sicuramente praticabile, tranne,
conosci la mia opinione, che per l'araba fenice della città metropolitana. Ma,
come dici, è un percorso che ha tempi non definibili. Perciò, se non hai idee
migliori per garantire l'occupazione, riparliamone quando le iniziative da te
citate creeranno 300 posti di lavoro». Nel frattempo il segretario regionale
Cgil Villiam Pezzetta e il provinciale Michele Piga scrivono: «Invitiamo tutti i
soggetti coinvolti a proseguire sulla strada intrapresa, sia sul versante dei
controlli, indispensabili per tutelare la salute e la qualità della vita dei
cittadini, sia su quello degli investimenti per limitare l'impatto ambientale
dello stabilimento, in linea con quanto previsto in sede di Aia e di accordo di
programma. Investimenti che, a fianco di quelli necessari a sostegno del piano
industriale atteso dai sindacati, rappresentano una precisa responsabilità del
gruppo Arvedi».
(g.tom.)
Rimosse da aprile 23 bici "fuorilegge" - Due interventi
a settimana dall'entrata in vigore delle misure sul decoro urbano
Chissà se avrà telefonato subito alla Polizia locale per chiedere se
qualcuno aveva rubato la sua bicicletta. Comunque sia, il proprietario
dell'unica bici che è stata reclamata dopo essere stata rimossa dalle forze
dell'ordine perché d'intralcio dall'entrata in vigore del nuovo Regolamento, che
vieta di parcheggiarle a casaccio, è anche l'unico che è stato per il momento
multato con 100 euro (il minimo è 50, il massimo 300). Gli altri 22 velocipedi
levati di mezzo da aprile in base al nuovo diktat del Comune (articolo 6, comma
4) invece sono finiti allo smaltimento rifiuti. Secondo il Comune, che li ha
tolti dalle strade come promesso, erano comunque "vecchie carcasse" monche di
ruote, manubri o sellini. In primis una decina in via Gioia, ma anche in via
Galilei e in via Cassa di Risparmio. Una media di prelievo dunque, compreso il
sequestro, di quasi due bici alla settimana. È scappata probabilmente alla
mannaia invece - per motivi pratici, la mancanza di cesoie a portata di mano -
una bici posizionata davanti a una panchina in zona Cavana, che impediva
letteralmente l'altro ieri sera la possibilità di sedersi. «Questo ciclista
viola il decoro ma soprattutto crea intralcio» hanno spiegato il vicesindaco
Pierpaolo Roberti e il comandante della Polizia locale Sergio Abbate durante la
commissione Trasparenza convocata ieri mattina dal consigliere comunale Roberto
De Gioia (Verdi Psi) «per fare chiarezza e trovare il giusto equilibrio tra
ciclisti in aumento e amministrazione». Intralcio e mancanza di decoro sono
concetti però entrambi affidati alla discrezione di chi accerta l'infrazione.
Dice il regolamento: no a biciclette agganciate a monumenti e barriere di
protezione, a semafori, colonne e altri manufatti prospicienti gli immobili di
rilevante valore architettonico, la bici parcheggiata "non deve arrecare
intralcio o pericolo alla circolazione pedonale e veicolare", "non deve limitare
gli accessi alle entrate dei negozi, a case, passi carrai, nonché la fruizione
del marciapiedi".In ogni caso un po' di morbidezza pare adesso trasparire
dall'amministrazione nei confronti delle bici che non sono parcheggiate negli
appositi (ma carenti) stalli. «Diciamo che se non disturbano, le lasciamo»,
commenta Abbate. Sotto osservazione comunque, hanno fatto sapere ieri, ci sono
ben 13 biciclette nella zona di via Giulia, quelli che, secondo il comma 2
dell'articolo 6, restano ininterrottamente per 60 giorni dopo l'accertamento
effettuato dagli agenti o da altro personale incaricato al controllo. In tal
caso scatta la rimozione. Ma come fanno a essere sicuri gli agenti che queste
bici stiano ferme proprio senza staccarsi un attimo dal palo per due mesi?
«Attraverso dei registri, uno per distretto - risponde Abbate -, segniamo le
bici e le fotografiamo e vediamo così nel tempo se sono sempre lì. Ovviamente ci
accorgiamo se qualcuno le ha spostate e poi rimesse nello stesso posto: a quel
punto non sono più sotto osservazione». Le perlustrazioni avvengono in
concomitanza con dei giri che hanno un altro scopo, sottolinea il vicesindaco.
Su questo punto l'ex assessore alle Politiche sociali Laura Famulari (Pd)
puntualizza: «La norma ci sta, è evidente che non si possano occupare stalli e
spazi per 60 giorni, però mi sembra, considerato l'impegno della Polizia locale
su tanti fronti ed essendo questa anche sotto organico, che tutto ciò crei un
aggravio all'attività». Se Roberti in primis però si propone di cacciare i
ciclisti a suo dire incivili, «senza accanirsi», ammette pure la «necessità di
implementare gli stalli». Sono 194 in tutta la città, come sottolineato da
Ulisse-Fiab, l'associazione degli amanti delle due ruote, rappresentata ieri da
Giorgio Kosic, contro 3500 biciclette in circolazione, in base a un sondaggio di
Swg. Per questo il forzista Piero Camber ha proposto un ordine del giorno sul
bilancio per l'aumento di parcheggi per bici, magari anche grazie a «una
sponsorizzazione degli esercenti vicini alle aree dove verranno installati».
Benedetta Moro
Ogs capofila nella lotta all'anidride carbonica -
L'Istituto giuliano nella rete dei laboratori europei che dovranno "stoccare"
nel sottosuolo la CO2
Ridurre le emissioni di gas a effetto serra per ridurre il riscaldamento
globale. Per raggiungere questo obiettivo, la Comunità europea punta anche a
confinare sotto la superficie terrestre o marittima la CO2. Per questo ha
promosso la nascita di una rete di laboratori di eccellenza in materia di
cattura e stoccaggio nel sottosuolo dell'anidride carbonica. Si tratta dell'European
Carbon Dioxide Capture and Storage Laboratory Infrastructure (Eccsel) ed è
un'infrastruttura di ricerca europea che riunisce laboratori di diversi Paesi
impegnati nella messa a punto e nello studio di tecnologie all'avanguardia per
poter catturare e immagazzinare in modo controllato la CO2 in formazioni
geologiche profonde e contribuire così ad abbassare le emissioni industriali e
combattere il cambiamento climatico. L'Istituto nazionale di oceanografia e di
geofisica sperimentale (Ogs) di Trieste è stato nominato dal Miur referente e
nodo nazionale del network e oggi ospita l'Info Day (nella sede di Borgo Grotta
Gigante) per presentare i laboratori di ricerca messi a disposizione dal nostro
Paese alla comunità scientifica internazionale per raggiungere questo importante
traguardo. «Come nodo italiano, coordineremo l'accesso ai laboratori di Eccsel
che si trovano sul territorio nazionale, promuoveremo l'inserimento di nuovi
laboratori nel consorzio e le iniziative di formazione per i ricercatori» spiega
Michela Vellico, tecnologa dell'Ogs e responsabile del nodo nazionale Eccsel.
«Il confinamento geologico dell'anidride carbonica è riconosciuto in Italia e
nel mondo, anche a livello politico, quale tecnologia da cui non si può
prescindere se si vuole raggiungere l'obiettivo del contenimento dell'aumento di
temperatura al 2050 entro i 2 C°» commenta Maria Cristina Pedicchio, presidente
di Ogs. «Complessivamente - conclude Vellico - sono 5 le infrastrutture che Ogs
mette a disposizione di Eccsel utili al monitoraggio dei siti di confinamento
della CO2: oltre ai laboratori di Latera (in provincia di Viterbo, verrà
inaugurato nel corso dell'estate) e Panarea, ci sono il Biomarine Lab di
Trieste, il nostro aeromobile equipaggiato con strumenti per il telerilevamento,
e il DeepLab Sea Floor Lander, uno strumento che consente di acquisire in
continuo dati oceanografici a livello del fondale marino».
Specie esotiche e incendi minacciano la landa carsica - L’allarme dell’esperto Poldini: «Bisogna intervenire subito - La biodiversità del territorio è seriamente in pericolo»
Tra le soluzioni suggerite dal professore il rilancio della cosiddetta agricoltura multifunzionale e del terreno a pascolo.
È allarme per la progressiva scomparsa della landa carsica. Nel corso dell’ultimo secolo, sul Carso si è assistito a una perdita del patrimonio vegetale pari al 7,40%, con una relativa diminuzione della biodiversità a causa dell’aggressione di specie esotiche, con conseguenti danni all’agricoltura, mentre le lande - le cosiddette “gmajne” - si sono ridotte a meno del 9% della superficie totale del territorio. Il preoccupante fenomeno è stato segnalato da Livio Poldini, già docente di ecologia vegetale dell’Università di Trieste, nel corso della conferenza “Biodiversità: l’importanza della programmazione delle attività agricole per le differenti aree carsiche nel rispetto di una preventiva ed attenta analisi del territorio”, svoltasi nei giorni scorsi nella sala convegni della Banca del credito cooperativo del Carso di Opicina, all’interno della manifestazione “Infiorata di Opcina” promossa dall’associazione per la Difesa di Opicina. «La penetrazione di specie non autoctone, che costituiscono la seconda principale minaccia alla biodiversità, si è attestata oggi all’8,4%: si tratta – ha spiegato Poldini – di specie in alcuni casi pericolose e allergeniche, che portano a un’invasione nell’agricoltura con conseguente necessità di ricorrere ai pesticidi, con tutto quanto ne consegue. Dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi – ha aggiunto lo studioso – si è assistito a una pericolosa e costante perdita dell’habitat naturale per le specie autoctone e a una preoccupante contrazione delle lande carsiche». La soluzione risiederebbe a suo avviso nello sviluppo dell’asse silvo-pastorale, reintroducendo l’agricoltura e sviluppando pascolo e bosco. Poldini ha ricordato a riguardo la presenza di un piano specifico, redatto dallo stesso relatore ancora nel lontano 1984 e tuttora giacente. Tre le linee guida indicate: la conservazione della biodiversità, la diminuzione del rischio incendi e lo sviluppo degli impollinatori. «Pianificando la reintroduzione del terreno a pascolo e incentivando il ricorso a un’agricoltura multifunzionale, il residuo di landa carsica potrebbe essere riportato al 20%». Anche il problema degli incendi boschivi si potrebbe arginare attraverso «l’abbattimento di alberi come i pini, che appaiono attualmente per il 30-40% intaccati dai parassiti, incrementando la presenza di alberi d’alto fusto, che restituirebbero anche complessità strutturale ai boschi. Un’azione che porterebbe pure a una positiva ricaduta in termini turistici». «Il patrimonio naturale – ha concluso Poldini – rappresenta l’unica vera risorsa di una comunità e costituisce la base economica del territorio. È pertanto un bene insostituibile che va quindi salvaguardato: senza l’attuazione di una serie di misure atte a prevenire un ulteriore depauperamento di questi bene collettivi, parlare di sviluppo sostenibile appare come un semplice slogan privo di significati».
Gianfranco Terzoli
Referendum a settembre sulla Capodistria-Divaccia
LUBIANA - Dopo un acceso dibattito in Parlamento la Slovenia ha deciso per
il suo "election day". Il prossimo 24 settembre, infatti, gli elettori si
recheranno alle urne sia per scegliere il nuovo presidente della Repubblica, sia
per esprimere il proprio parere in merito al referendum abrogativo della legge
sul raddoppio della linea ferroviaria Capodistria-Divaccia. L'assemblea
parlamentare di Lubiana ha ieri dato luce verde a tale disposizione con 50 voti
a favore e 18 contrari. Non è stata una decisione facile, e ai deputati poco
importava, dal tenore del dibattito in aula durato quasi cinque ore che,
raggruppando le due chiamate alle urne, si sarebbe determinato un gran bel
risparmio alle casse dello Stato. Da rilevare, al di là del dibattito in aula,
che il Comune di Capodistria che, in prima istanza, si era schierato a favore
del referendum abrogativo ha poi fatto marcia indietro quando il governo di
Lubiana ha deciso di puntare non a un raddoppio della linea esistente ma a una
vera e propria nuova tratta ferroviaria a doppio binario tra Capodistria e
Divaccia. Linea ferroviaria che, ricordiamo, diventa assolutamente strategica
per lo sviluppo dei traffici del Porto di Capodistria, unico scalo marittimo
della Slovenia. Anche la commissione competente della Camera di Stato aveva
indicato il 24 settembre come data per lo svolgimento del referendum, data
peraltro non avversata neppure dal ministro delle Infrastrutture, Peter
Gaspersic, il quale aveva dichiarato di rispettare la volontà popolare di porre
la questione della ferrovia tra Capodistria-Divaccia al parere del corpo
elettorale sloveno. Ovviamente i promotori del referendum hanno puntato tutto
proprio sull'election day. In questo modo sperano, ovviamente, di poter contare
su un'affluenza decisamente maggiore alle urne rispetto a quella cui avrebbero
potuto contare se il voto referendario si fosse svolto in un'altra data.
Insomma, chi voterà per il presidente della Repubblica sarà più "invogliato" a
esprimere il proprio parere anche sulla legge ad hoc che l'esecutivo di Lubiana
ha varato per la realizzazione della tanto agognata ferrovia veloce tra Divaccia
e Capodistria. Da rilevare che le opposizioni in Parlamento che hanno votato
contro l'election day avevano proposto quali dati indicative per lo svolgimento
del referendum il 5 o il 12 di novembre. In base alla nuova legge sulle
consultazioni popolari la legge sul raddoppio della Capodistria-Divaccia sarà
abrogata se i "no" supereranno quota 340mila (prima bastava la maggioranza
semplice di coloro i quali si fossero recati alle urne). Il referendum non
contesta la realizzazione dell'infrastruttura, ma l'impianto legislativo,
definito arruffato e privo di coperture finanziarie, proposto dal governo.
Mauro Manzin
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 5 luglio 2017
La Ferriera riduce la produzione di ghisa - Adottate le
misure anti inquinamento contenute nella diffida della Regione. Pronto il piano
di copertura dei parchi minerari
La Ferriera di Servola comunica di aver ridotto la produzione di ghisa
dell'impianto e pure di aver approntato il progetto di copertura dei parchi
minerari. Lo fa sapere la Regione Friuli Venezia Giulia, che ieri ha ricevuto
appunto comunicazione ufficiale da parte di Siderurgica triestina. In questo
modo la proprietà fa sapere di aver adempito alle richieste che
l'amministrazione le ha rivolto negli ultimi mesi. Il tetto sulla ghisa è la
risposta del privato alla diffida con cui, una settimana fa, l'ente regionale ha
intimato alla proprietà di ridurre la produzione, affinché le polveri
rientrassero nei valori obiettivo previsti dal decreto di autorizzazione
integrata ambientale (Aia) del 2016.L'azienda ha inviato una nota
all'amministrazione regionale con la quale assicura di aver ridotto la marcia
dell'altoforno entro il limite prescritto di 34mila tonnellate mensili di ghisa,
con la contestuale limitazione a 290 colate al mese. È stata ridotta di
conseguenza anche la produzione della cokeria, che è stata limitata al
fabbisogno di coke strettamente funzionale alla produzione dell'altoforno, fa
sapere Siderurgica triestina. L'azienda ha inoltre presentato alla Regione il
progetto di fattibilità tecnica ed economica della copertura dei parchi minerari
dell'impianto: una mossa compiuta in ottemperanza alla diffida in merito che la
Regione ha inviato al gruppo Arvedi nel marzo scorso. La realizzazione della
copertura rientra tra le migliorie all'impianto previste dall'accordo di
programma quadro e dall'autorizzazione integrata ambientale. La diffida per la
riduzione della produzione della settimana scorsa aveva fatto discutere.
Serracchiani aveva dichiarato in proposito, a margine di un incontro con i
sindacati: «Il rispetto delle regole è un aspetto imprescindibile. Ed è proprio
per questo che l'amministrazione regionale, con atto del direttore centrale
dell'Ambiente, ha diffidato le acciaierie Arvedi a ridurre la produzione
affinché le polveri rientrino nei valori obiettivo previsti dal decreto di
autorizzazione integrata ambientale del 2016». Appena ricevuta la nota,
Siderurgica triestina aveva fatto sapere di star effettuando «la valutazione dei
profili tecnici e legali di tale prescrizione, con riserva di comunicare le
azioni da intraprendere nel corso dei prossimi giorni». L'argomento, mai
scomparso dall'attenzione dei triestini, ha visto nei giorni scorsi diverse
prese di posizione. Il senatore del Partito democratico Francesco Russo si è
schierato per la chiusura dell'area a caldo. Anche il parlamentare di Articolo 1
Lorenzo Battista (ex Movimento 5 Stelle) ha deciso di schierarsi per la
«chiusura della Ferriera», che definisce «un obiettivo che deve unire la
politica, movimenti e cittadini». La presa di posizione non è stata gradita dal
portavoce di Mdp Franco Belci (vedi box a parte). Entrambi i parlamentari hanno
partecipato, assieme al sindaco Roberto Dipiazza e al capogruppo alla Camera del
Carroccio Massimiliano Fedriga, a un dibattito che si è svolto davanti al
presidio che il Comitato 5 dicembre sta tenendo ormai da giorni in piazza Unità.
In quell'occasione Dipiazza aveva affermato: «Sto aspettando l'appuntamento con
Arvedi - ha affermato il primo cittadino - e ciò che vedo è che la politica
adesso è tutta insieme e sta finalmente emergendo la verità: la ghisa non è il
futuro. Ci sono altre opportunità, a cominciare dal Porto, per cui basta con
l'area a caldo. E bisogna smetterla di dire che gli operai perderanno il lavoro.
L'area a caldo era già ferma nel 2012-2013, poi qualcuno ha voluto portare
Arvedi e questi sono i risultati. Anche Serracchiani se ne sta rendendo conto,
perché non si può continuare a dire che va tutto bene quando sui davanzali dei
cittadini di Servola si trova quello che si trova».
Giovanni Tomasin
Posizioni diverse in Mdp sull'area a caldo - E Belci si
dissocia dalle parole di Battista
«Il profumo di elezioni sollecita protagonismi, editi e inediti, sul destino
della Ferriera». L'ex segretario della Cgil Fvg Franco Belci, esponente di Mdp,
si dissocia dalla presa di posizione del parlamentare del suo partito (ex M5S)
Lorenzo Battista: «Dopo il misunderstanding tra vescovo e proprietà sulla
chiusura dell'area caldo, i due senatori del centrosinistra, Russo e Battista,
hanno ribadito la richiesta. Nella situazione di liquidità dei partiti, ognuno
si sente legittimato a dire la propria: che però tale rimane». In casa Mdp non
si è mai affrontato il tema, aggiunge, «nonostante le mie sollecitazioni ad
assumere a livello regionale una posizione condivisa». Per Belci «la strada non
può essere quella della demagogia, ma quella del rispetto integrale dell'accordo
di programma». Intervengono anche il segretario regionale Cgil Viliam Pezzetta e
il provinciale Michele Piga: «Su Servola è il momento delle scelte responsabili,
non della demagogia. Il rischio: strumentalizzazioni politiche ed
elettoralistiche».
Le discariche abusive minacciano il Carso - Viaggio nei
boschi invasi dai rifiuti che i volontari puntano a ripulire
L'inciviltà colpisce persino il cimitero di Aurisina e il torrente di
Moccò
Sulla strada che porta a "Cava Pietra Scoria", una laterale della
Provinciale 11, in zona San Dorligo, non passano solo gli addetti ai lavori.
L'accesso, in teoria, è vietato agli esterni, ma chiunque può entrarvi visto
che, per il momento, non c'è l'ombra di possibili ostacoli. Incombono cartelli
di presunte telecamere presenti nella zona, che non fanno però paura agli
imperterriti dell'abbandono abusivo di immondizie che lasciano oggetti
ingombranti nell'area verde adiacente: il terreno che costeggia la salita è
pieno di rifiuti.La boscaglia e l'accesso stesso sono della Comunella di San
Giuseppe della Chiusa, frazione del Comune di San Dorligo della Valle. Sotto
invece ci sono le case di proprietà di residenti che si vedono arrivare giù un
profluvio di masserizie. "Scivolano", fino ad arrivare appunto alla soglia delle
abitazioni che si affacciano sulla stessa Provinciale 11, detriti di ogni tipo:
monitor di computer, televisori, batterie, copertoni, mobili, cucine,
termosifoni, piastrelle, videoregistratori, ferrame. A corredo, sull'altro lato,
vestiti e scarpe. È al vaglio del proprietario della Cava l'ipotesi di mettere
una sbarra, «che però di giorno resterebbe aperta», commenta Marino Scoria,
«certo potrà essere un deterrente di notte e nei giorni festivi, ma il problema
rimane: è la maleducazione». Questa "location" comunque è uno dei tanti punti
che ormai a Trieste e nei comuni limitrofi sono diventati delle discariche a
cielo aperto. Il Piccolo ha provato a fare una mappa delle principali aree di
scarico abusivo. I luoghi privilegiati di coloro che decidono di riversare i
rifiuti (urbani, inerti, ingombranti e non, contenitori di rifiuti tossici e
infiammabili, residui industriali), e che possono essere privati cittadini o
imprese, sono tanti, troppi. Le mete hanno una caratteristica comune: sono
nascoste e preferibilmente leggermente pendenti, in modo che con i camioncini
adatti, dalla parte posteriore, si possa buttare giù enormi quantità che poi la
natura con il suo verde nasconde. Il gruppo dei "Volontari per Trieste pulita",
che ha una pagina Fb, ha più volte operato in quella zona, vicino a San
Giuseppe, così come in molte altre, con tanto di funi, per riuscire a
raccogliere di tutto e di più. Ma ha in mente di attivarsi per un'altra parte
che viene presa di mira dall'inciviltà, come riferisce Angelo Sorci, uno dei
fondatori del team, sempre nelle vicinanze, questa volta a Moccò, altra frazione
di San Dorligo. Il letto del torrente che attraversa la valle è invaso da
frigoriferi, copertoni, cassette di plastica, rifiuti edili, reti di materasso,
pezzi di eternit, grondaie, portiere di auto, secchi di ferro, tinozze in
plastica, tubi, ante di dispense, infissi, lastre di metallo. Molte cose che il
terreno si è quasi mangiato, segno che sono lì anche da molto tempo,
arrugginite. Pure qui lo spazio per raggiungere il posto in auto c'è. La signora
Susi li ha visti con i suoi occhi gli "scaricatori abusivi". Ha una campagna e,
durante una delle rituali passeggiate con il cane, si è vista quasi investire da
numerosi copertoni di auto, lanciati questa volta dalla strada. In un'altra
occasione ha beccato una donna mentre trasbordava dei sacchi neri dalla sua auto
sul fiumiciattolo. Le discariche abusive sono comunque davvero tanti, e in
particolare sull'altipiano, ma non solo. A partire da quelle denunciate da Sorci
& Co. nel bosco del Farneto, dove sembra ci sia un bivacco permanente attorniato
di rifiuti. Ma anche quelle individuate da altri gruppi come "Sos Carso" e il
"Raggruppamento di escursionisti speleologici triestini". Tutte persone che
spesso organizzano campagne di pulizia, a cui partecipano associazioni come
FareAmbiente, la stessa AcegasApsAmga, le varie forze di polizia competenti e
altri triestini che hanno a cuore l'ambiente. Ulteriori punti critici sono
segnalati anche da Christian Bencich di "Sos Carso". Tra i più noti l'area
boschiva in zona Statale 58 tra Opicina e Fernetti, la Dolina dei Druidi sempre
a Fernetti, il Bunker di Opicina, il Quadrivio e, ancora, le vicinanze delle
foibe di Monrupino e Basovizza e del laghetto di Percedol, oltre che l'ex
discarica di Trebiciano, forse la più vasta. Ma si può scendere anche tra
Contovello e via Commerciale fino all'altro capo della città, via Salata, in
zona via dell'Istria, per proseguire in via Pietraferrata e risalire poi verso
il confine di San Servolo. E ci si può pure addentrare in alcuni sentieri a lato
della Cottur. Ad Aurisina, infine, sono presenti scarichi illegali nel cimitero,
accanto al deposito comunale, sul lato ferrovia, nei paraggi dell'ex campeggio
Europa.
Benedetta Moro
Nel 2016 smaltite 88mila tonnellate - E quest'anno
siamo già a oltre 58mila
Il trend di abbandono dei rifiuti ingombranti dal 2015 al 2016 è risultato
in aumento, fanno sapere da AcegasApsAmga. Relativamente al 2017 il dato è
riferito al solo primo semestre, una stima sarà quindi possibile a fine anno.
«Quanto emerge dalla media mensile è che, nonostante gli abbandoni siano in
aumento - rileva l'azienda - , la curva di crescita di tale tendenza appare in
rallentamento, anche grazie ai diversi servizi e iniziative messe in atto da
AcegasApsAmga per contrastare questo fenomeno». Ovvero: la campagna contro
l'abbandono dei rifiuti ingombranti veicolata dall'inizio dell'anno sulle
pensiline degli autobus, nel corso del mese di gennaio, e tramite la
personalizzazione di circa trenta automezzi dei servizi ambientali che sono
stati "vestiti" con la nuova campagna, e inoltre attraverso i Sabati ecologici,
iniziativa itinerante realizzata in collaborazione con il Comune, attivata dal
2014. In queste occasioni i cittadini sono invitati nelle varie zone della città
in cui si sono presenti gli operatori di AcegasApsAmga a portare tutti i rifiuti
che ritengono ingombranti. Durante questa prima metà dell'anno sono state così
raccolte 58.363,5 tonnellate di materiali (di cui 34.490 di ingombranti). Nel
2016 si è arrivati a 87.929,59 tonnellate, mentre nel 2015 si era raggiunta
quota 80.016,6. «Un'operazione - sottolinea l'azienda - che ha avuto un
grandissimo successo».
(b.m.)
Il Comune prepara il centro raccolta h24 - Prevista una
quinta area ecologica a Rozzol Melara in aggiunta alle quattro esistenti e al
servizio gratis a domicilio
La polizia locale e le guardie ambientali vigilano sui furbetti. Ma,
evidentemente, non è mai troppo. E poi c'è il Comune, anzitutto, che spende,
prelevando dalle casse della collettività, in media 500mila euro ogni anno - un
extra rispetto a quanto entra dalla normale tassa sui rifiuti - per la raccolta
da parte di AcegasApsAmga degli ingombranti abbandonati. Lasciati,
dall'inciviltà galoppante, vicino ai cassonetti o nelle aree aperte del
territorio triestino. Eppure, a disposizione della cittadinanza, proprio a
Trieste ci sono ben quattro punti di raccolta gratuiti, a cui si aggiunge il
servizio di ritiro a domicilio del gruppo Hera, eseguito da Quarciambiente, di
materiale ingombrante fino a un volume di un metro cubo per volta (non è poco),
attivabile semplicemente telefonando al call center: in un paio di minuti si
concorda una data e nel giro di tre, quattro giorni il problema è risolto
direttamente a domicilio. In previsione poi, come annuncia l'assessore
all'Ambiente Luisa Polli, l'amministrazione cittadina prevede anche la
realizzazione di un'ulteriore centro di raccolta, questa volta "h24", nell'area
di Rozzol. I dettagli saranno definiti di concerto con Acegas. In ogni caso -
vuoi perché viene ignorato questo sistema, vuoi perché di mezzo ci sono altri
soggetti come imprese che lavorano in nero o che non possono o non vogliono
affrontare i costi di smaltimento dei rifiuti di determinati quantitativi
attraverso le ditte specializzate - sta di fatto che per questi motivi
l'altipiano (ma non solo) è incessantemente colmo di rifiuti. «La logica
giuridica si differenzia tra rifiuti urbani e quelli derivanti da attività
industriale, commerciale e artigianale», spiega Fabrizio Pertot di Pertot
ecologia e servizi, azienda specializzata che interviene anche per raccolta,
trasporto, smaltimento e recupero di rifiuti urbani, speciali e ospedalieri,
pericolosi e non, sia allo stato solido che liquido, che quindi non si possono
conferire normalmente nelle sedi convenzionali dell'AcegasApsAmga. Chiunque
debba smaltire come impresa degli scarti speciali che superano le misure
consentite gratuitamente, è obbligato a presentare un formulario di
identificazione. Ed è qui che casca l'asino: secondo quanto riportano i
cittadini volontari che si adoperano per ripulire la città dalle montagne di
detriti all'assessore all'Ambiente Luisa Polli. «Sono le ditte le maggiori
responsabili di queste discariche, che non facendo interventi regolari non
possono fare le bolle di smaltimento rifiuti e quindi riversano tutto
abusivamente in giro per la città. Ma insieme a loro ci sono anche dei privati
cittadini che fanno questo per mancanza di cultura ambientale», specifica Polli.
Per disincentivare tutti questi comportamenti, vengono eseguiti appostamenti e
svolte indagini contro chi commette queste azioni, che possono diventare reati.
Sono 97 le multe effettuate nel 2016 dalle forze dell'ordine, escluse quelle a
rilevanza penale. Dall'ambito amministrativo si passa al reato «quando vengono
abbandonati rifiuti pericolosi, specialmente come i residui di demolizione e
materiale edile. Normalmente viene fatta un'indagine - spiega il vicesindaco
Pierpaolo Roberti - e poi il Nucleo di polizia giudiziaria stabilisce se si
tratta di reato oppure no. Se tutti seguissero le norme di buon senso
risparmieremmo tutti». Anche perché le stesse ammende partono dai 50 euro e
arrivano anche e oltre i 500.
(b.m.)
A Ponziana la pulizia si fa a ritmo di musica - Alla
festa itinerante del rione gli abitanti hanno tirato a lucido le strade assieme
alla Banda Berimbau
C'è stato chi si è affacciato incuriosito alle finestre di casa, come accade
per le grandi manifestazioni di piazza. E in effetti non erano in pochi gli
abitanti che nelle settimane scorse hanno ripulito le strade del loro rione,
durante la festa itinerante di Ponziana. Un esempio particolarmente originale,
poiché si è trattato di una pulizia inusitata: a dettare il passo di marcia sono
stati i percussionisti della Banda Berimbau, mentre un nutrito gruppetto di
persone che vivono nella zona, armato di guanti di lattice e sacchetti di
plastica, ha raccolto le immondizie abbandonate negli spazi pubblici del loro
quartiere. Perché Ponziana è proprio un quartiere: anziani e ragazzine che si
scattavano una foto con il cellulare mentre improvvisavano un passo di danza al
ritmo dei tamburi; singoli individui e intere famiglie, con tanto di bambini
appresso, anch'essi impegnati nell'operazione di cura del bene comune. C'erano
un po' tutti. C'era pure la signora Silvana, che si faceva portare a spasso da
Natz. Lui spingeva la sedia a rotelle di lei, che gli chiedeva, tra il serio e
il faceto, in dialetto triestino: «Quanti passi ci sono da qui al Pakistan?».
Erano tutti parte del quartiere. Sono partiti dalla sede della Microarea di via
Lorenzetti per poi percorrere a ritroso quest'ultima e quindi le principali
strade dei dintorni: via Zorutti, via Battera, via Orlandini. Lungo il loro
cammino hanno tirato su da terra cartacce, mozziconi di sigaretta e quant'altro
vi fosse depositato. In testa alla festosa processione c'erano gli artisti della
Banda Berimbau, la più importante formazione musicale specializzata in
percussioni brasiliane del panorama nazionale, con sede proprio a Trieste. «Da
queste parti capita di rado che qualcuno si affacci alla finestra - hanno detto
gli organizzatori -. Ecco perché è fondamentale la presenza della banda: cattura
l'attenzione della gente, costringendola a interessarsi a quel che succede
fuori. Il nostro scopo è sensibilizzare sui temi dell'ambiente e del suo
rispetto: del senso civico, in poche parole». L'iniziativa è stata organizzata
dalla Microarea di Ponziana, da Asuits, Comune e Ater, assieme alla cooperativa
La quercia, all'associazione Avi e all'Ics - Ufficio rifugiati onlus.
Lilli Goriup
MUGGIA - Ciclisti contro la seconda ordinanza antibici
«L'ordinanza del Comune di Muggia che prevede la chiusura di corso Puccini,
via Dante e piazza Marconi alle bici nei mesi estivi in ampie fasce orarie non
va giù alla Fiab Trieste Ulisse, che esprime forte disappunto. «Nelle scorse
settimane - scrive la Fiab - avevamo dato ampia disponibilità per affrontare il
problema della convivenza tra pedoni e ciclisti», per «lavorare per accrescere
nei cittadini la conoscenza del Codice della strada e il senso civico. Purtroppo
la giunta Marzi ha scelto una strada che costituisce un freno allo sviluppo
della mobilità ciclistica e potrebbe dimostrarsi un ostacolo allo sviluppo del
cicloturismo. Siamo inoltre preoccupati per la scelta di concentrare nelle fasce
orarie di chiusura del centro il traffico ciclistico e automobilistico nella
lunga, stretta e non rettilinea galleria, perché sono le ore di maggior rientro
dal mare. Pur prevedendo l'ordinanza una nuova segnaletica col divieto di
sorpasso delle auto nei confronti delle bici, immaginare un adolescente, ce ne
saranno tanti, che torna pedalando dal mare, tallonato nel tunnel da un
automobilista frettoloso e indisciplinato, ce ne sono troppi, configura rischi
ben più drammatici di quelli che l'ordinanza intendeva affrontare. Speriamo che
il confronto possa riprendere a breve».
CONSIGLIO COMUNALE - In commissione il regolamento
sulle bici
La Commissione comunale per la Trasparenza, presieduta dal consigliere
Roberto De Gioia (Verdi-Psi), è convocata per questa mattina alle 10.30 nella
sala del Consiglio comunale. All'ordine del giorno dei lavori c'è l'articolo 6
del Regolamento di Polizia urbana, che si riferisce all'abbandono ed aggancio di
velocipedi. Alla seduta è stato invitato anche il vicesindaco Pierpaolo Roberti,
per relazionare appunto sul testo in esame e per rispondere alle domande dei
consiglieri. Secondo il regolamento della Polizia locale, approvato nei mesi
scorsi, gli agenti possono tagliare le catene e aprire i lucchetti di tutte le
biciclette agganciate a un palo, a un semaforo, a una ringhiera o a qualsiasi
appiglio che non sia una rastrelliera regolare per bici. A fine maggio, proprio
il numero due della giunta Dipiazza aveva osservato sul tema: «Finora sono state
rimosse nove carcasse di biciclette - aveva fatto sapere il vicesindaco - mentre
tante altre, anche se non abbiamo il numero preciso, sono state prelevate perché
in posizioni non regolari, ma sono funzionanti e quindi vengono tenute in
deposito. Quelle considerate al pari di rifiuti saranno smaltite, quelle in
buono stato sono ferme, in attesa che il proprietario venga a reclamare il
proprio mezzo, che potrà riavere dopo aver pagato la sanzione, da 30 euro se
procurava intralcio fino a 100 se era abbandonato».
Fincantieri e Ge Power verso le crociere "green"
Siglato un accordo con il colosso americano: si punta allo sviluppo
congiunto di una soluzione hi tech che riduca al minimo le emissioni di impianti
e motori
MILANO - Fincantieri scalda i motori per il futuro delle crociere "verdi".
Questo almeno è il senso dell'accordo siglato ieri tra il gruppo triestino e il
colosso americano Ge Power per lo sviluppo congiunto di un sistema di controllo
delle emissioni in campo marittimo. In pratica le due multinazionali, già unite
da un memorandum of understanding firmato lo scorso autunno, inizieranno a
lavorare assieme per portare a bordo delle navi da crociera la tecnologia
Shipboard Pollutant Removal System. Si tratta di una soluzione hitech per
ridurre al minimo le emissioni inquinanti come gli ossidi di zolfo e il
particolato, prodotti dagli impianti energetici e dai motori delle imbarcazioni,
e che va incontro alle nuove direttive Marpol (maritime pollution) che
diventeranno effettive a partire dal 2020.Nel cantiere di progettazione saranno
coinvolti i tecnici e gli ingegneri del centro di Trieste e quelli di Genova. E
in una seconda fase, quella produttiva, per le nuove navi e per il refitting di
quelle più vecchie, tutti gli stabilimenti del gruppo. A margine dell'intesa,
l'amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono ha sottolineato come
l'accordo sia «unico nel suo genere: mai prima d'ora un costruttore navale aveva
stretto una partnership per l'abbattimento delle emissioni con un produttore di
sistemi tra i leader mondiali nei settori in cui opera».Il nuovo prodotto, che
servirà al controllo dei livelli di emissioni di SOx (ossidi di zolfo) e
particolato, sarà sviluppato per le navi da crociera, con la possibilità di
essere installato sulle unità che usano combustibile tradizionale, e consentirà
agli armatori di raggiungere più alti standard di compatibilità ambientale
riducendo i costi operativi delle navi. Non solo. L'accordo prevede infatti la
commercializzazione sul mercato dello Shipboard Pollutant Removal, quindi anche
per altri operatori. «Questa strategia - ha aggiunto Bono - ha come cardine la
ricerca e l'innovazione ai massimi livelli. E ci consentirà di alzare
ulteriormente l'asticella tecnologica a vantaggio del mercato crocieristico, in
un ambito, come quello della riduzione dell'impatto ambientale, così
determinante per i nostri clienti».A livello operativo, Fincantieri definirà i
requisiti tecnici per progettare un sistema di controllo delle emissioni navali,
che permetterà lo sviluppo di un prodotto competitivo nella prospettiva di una
sua successiva commercializzazione. Ge Power, che vanta un'ampia offerta nel
settore delle applicazioni per il trattamento di tutti i principali fattori
inquinanti in campo energetico e industriale, definirà le caratteristiche
necessarie per il sistema al fine di garantire i livelli di performance
richiesti. «Questo accordo rafforza ulteriormente la relazione di lungo termine
tra Ge e Fincantieri, e siamo orgogliosi di sviluppare un progetto così
innovativo con uno dei maggiori costruttori navali al mondo», ha commentato
Sandro De Poli, presidente e Ceo di Ge Italia. «Shipboard Prs sarà il risultato
dell'esperienza nel settore navale di Fincantieri e quella fortemente specifica
di Ge nelle tecnologie per la riduzione delle emissioni inquinanti in molteplici
campi, come ad esempio quello della generazione elettrica e della siderurgia».
Christian Benna
IL PICCOLO - MARTEDI', 4 luglio 2017
Tre parlamentari in piazza per lo stop dell'area a
caldo - Mini delegazione bipartisan con il sindaco al presidio dei comitati anti
Ferriera
Fedriga (Lega), Russo (Pd) e Battista (Mdp): «Serve una data certa per la
chiusura»
La chiusura dell'area a caldo della Ferriera mette d'accordo i parlamentari
triestini. Una parte, almeno, però stavolta bipartisan. L'appello per lo stop
all'impianto dello stabilimento - con la pretesa di una data certa da stabilire
nell'incontro tra la presidente Debora Serracchiani, il proprietario Giovanni
Arvedi e il sindaco Roberto Dipiazza - è stato ripetuto ieri mattina in piazza
Unità sotto il palazzo della giunta regionale davanti al tendone del presidio
permanente organizzato da Comitato 5 dicembre, No Smog e FareAmbiente.Il
sostegno alla battaglia è arrivato dal capogruppo alla Camera della Lega
Massimiliano Fedriga, dal senatore Pd Francesco Russo e dal senatore di Articolo
1 - Mdp Lorenzo Battista, presenti insieme a Dipiazza e all'assessore Luisa
Polli. Una cinquantina i cittadini che hanno ascoltato gli interventi degli
onorevoli. Ma è stato il sindaco a dare il là: «Sto aspettando l'appuntamento
con Arvedi - ha affermato il primo cittadino - e ciò che vedo è che la politica
adesso è tutta insieme e sta finalmente emergendo la verità: la ghisa non è il
futuro. Ci sono altre opportunità, a cominciare dal Porto, per cui basta con
l'area a caldo. E bisogna smetterla di dire che gli operai perderanno il lavoro.
L'area a caldo era già ferma nel 2012-2013, poi qualcuno ha voluto portare
Arvedi e questi sono i risultati. Anche Serracchiani se ne sta rendendo conto,
perché non si può continuare a dire che va tutto bene quando sui davanzali dei
cittadini di Servola si trova quello che si trova». Fedriga ha ammesso le
responsabilità della politica, tanto della destra quanto della sinistra. «E io,
per quanto mi sia dato da fare, da questa responsabilità non mi tolgo - ha
scandito il leghista - e, anzi ,vi chiedo scusa. Ci mettiamo umilmente a
disposizione vostra», ha aggiunto rivolgendosi ai cittadini. «Adesso vogliamo
che dall'incontro tra Arvedi e la Regione si decida una data sicura in cui si
chiuderà l'area a caldo». Russo (Pd) ha annuito: «Servono tempi certi e su
questo oggi registriamo l'unità di gran parte della politica. Ma questi tempi
certi dipendono dallo sblocco di tutte le potenzialità che il capoluogo ha. Mi
riferisco ai decreti attuativi dei punti franchi, al rilancio di Porto vecchio e
della Città metropolitana, aggiungo io, che è la cornice per lo sviluppo di
Trieste. Se tutto ciò parte insieme, sarà più facile concordare con Arvedi la
data finale per la riconversione dell'area a caldo». Queste le condizioni
dettate ieri, con cui peraltro il senatore dem ha motivato il rifiuto di
sottoscrivere la petizione proposta da No Smog (ma non condivisa con il Comitato
5 dicembre). Un documento con cui si chiede alla Regione di mettere in atto le
procedure per la chiusura e che Fedriga e Battista hanno firmato. «Se
l'obiettivo è lo stop dell'area a caldo - ha rilevato il senatore di Articolo 1
- Mdp - non mi faccio alcun problema a mettere il mio nome».
Gianpaolo Sarti
Sciacallo dorato investito sul Carso - Una femmina
adulta è stata trovata morta a Basovizza da un'automobilista sul bordo di una
strada
Gli investimenti di animali selvatici sul Carso triestino, soprattutto in
estate, sono praticamente all'ordine del giorno. Se purtroppo ricci, caprioli,
volpi, tassi e "mustelidi" vari (in primis le faine) sono vittime più o meno
abituali degli incidenti mortali provocati dalle automobili, l'investimento
occorso l'altro giorno a Basovizza è stato decisamente più singolare. Una
femmina adulta di sciacallo dorato, dell'età di circa tre anni, è stata infatti
trovata morta al lato di una strada. L'allarme è stato dato da un ciclista che
ha allertato anche l'ex direttore del Museo civico di Storia naturale di Trieste
Nicola Bressi. «All'inizio non pensavo potesse essere davvero uno sciacallo
dorato, invece la segnalazione giuntaci era corretta. Un investimento davvero
sfortunato visto che la presenza di questo "canide" non è poi così copiosa sul
nostro territorio, soprattutto se rapportata ad altre specie di fauna selvatica,
soprattutto le volpi se pensiamo proprio ai "canidi"», racconta Bressi. In base
ai dati forniti dal naturalista triestino, dati emersi in seguito a diverse
indagini compiute da molti esperti del settore, sono complessivamente cinque i
branchi di sciacalli dorati presenti sul Carso, di cui tre nell'altipiano
triestino. Ogni famiglia ha circa cinque esemplari. I conti della presenza di
questo animale a Trieste sono presto fatti: meno di una ventina di esemplari. «I
primi "Canis aureus" arrivarono in Italia dai Balcani negli anni Ottanta del
secolo scorso e sul Carso sono presenti ininterrottamente da quasi 30 anni -
racconta Bressi -. Attualmente gli studi condotti dai musei di Storia naturale e
dalle università della regione e della Slovenia attestano anche la presenza
alcuni branchi sul Carso sloveno». A volte identificato erroneamente come un
"temibile predatore", lo sciacallo dorato - oltre a nutrirsi di carogne,
rifiuti, animali malati e moribondi - può arrivare a predare animali delle
dimensioni di un cucciolo di capriolo o di pecora. «In realtà più frequentemente
preda roditori come ratti e nutrie - puntualizza Bressi - ma la vera
caratteristica di questo animale è che è certamente il più onnivoro tra i
"canidi" europei, gradendo frutta, bacche e persino verdura». Tra le
caratteristiche comportamentali di questa specie spicca infine l'assenza di
aggressività nei confronti dell'uomo: «Non vi è alcun dato, neppure aneddotico,
di sciacalli che abbiano aggredito persone. Mai, in nessuna parte del mondo,
dove convivono da millenni con l'uomo dal Nord Africa all'India». Quanto narrato
qualche giorno fa a San Michele del Carso, con la presunta aggressione di uno
sciacallo ai danni di pollame locale, non convince affatto diversi naturalisti
tra cui lo stesso Bressi: «È stato detto che l'esemplare ha predato le galline
lasciate razzolare all'aperto, ma lo sciacallo non è affatto bravo a
intrufolarsi nei pollai come fanno volpi e faine. Nel Triveneto, negli ultimi
anni ben due sciacalli sono stati ritrovati feriti proprio perché cercavano di
passare una recinzione. In realtà io e altri colleghi non siamo convinti che sia
stato uno sciacallo dorato a provocare questi danni, si potrebbe invece
ipotizzare la presenza di un cane randagio, ad esempio il lupo cecoslovacco,
anche lui dotato di un manto grigio».
Riccardo Tosques
SAN DORLIGO - «Patto anti odori non sufficiente -
Servono più controlli»
SAN DORLIGO DELLA VALLE - Le rassicurazioni del sindaco Sandy Klun e
dell'assessore Franco Crevatin «non ci bastano, anzi rilanciamo la richiesta di
effettuare monitoraggi molto più frequenti e puntuali, utilizzando per esempio i
nasi elettronici». È forte la replica di Giorgio Jercog, del Comitato
Salvaguardia del golfo, alle dichiarazioni fatte dai due esponenti
dell'esecutivo di San Dorligo della Valle, in relazione alle problematiche
dell'inquinamento atmosferico che sarebbe prodotto dalla presenza della Siot nel
territorio comunale. «Il petrolio greggio - spiega Jercog - contiene diversi
punti percentuali in peso di composti solforati. Essi non solo hanno un odore
sgradevole - precisa - ma sono anche dannosi per l'ambiente e corrosivi, per
questo devono essere in gran parte rimossi nel processo di raffinazione. Siamo
anche in attesa - aggiunge - che l'azienda paghi il dovuto delle tasse comunali
riguardo le immondizie. Per le segnalazioni poi, in occasione dei fenomeni più
acuti di presenza di cattivi odori nella vicinanza delle case - continua Jercog
- sarebbe da adottare il sistema Usma da telefonino, che avvisa
contemporaneamente Comune, Arpa e Siot». Il Comune ha recentemente annunciato di
voler allestire un tavolo tecnico sulle "molestie olfattive", che si riunirà
nella seconda metà di questo mese, alla presenza di Arpa, Direzione ambiente ed
energia della Regione, Azienda sanitaria integrata, Autorità portuale e Comune
di Muggia. «Subito dopo - ha contestualmente precisato Crevatin - incontreremo
Siot e Wartsila». «Tutto inutile - evidenzia Jercog - se prima non si adottano
le necessarie misure per verificare origini dell'inquinamento e possibili
conseguenze sulla salute dalla popolazione. Chiediamo invece all'amministrazione
- conclude l'esponente del Comitato per la salvaguardia del golfo - di chiedere
all'Asuits l'analisi sulla salute della popolazione e quella dell'impatto su
terreni e orti esposti attorno alla struttura, come da interrogazione regionale
a suo tempo presentata».
(u.sa.)
Circolo Fotografico - Quando l'ambiente viene violato
Fotografie che diventano spunto per un dibattito dedicato all'ambiente.
Questo il contenuto dell'appuntamento di stasera (inizio alle 19) al Circolo
fotografico triestino di via Zovenzoni 4, intitolato "L'ambiente violato".
Saranno visionate e commentate circa 90 immagini presentate da 22 fotoamatori
che, con punti di vista diversi, attraverso le immagini hanno indicato
molteplici aspetti delle violazioni che l'uomo ha provocato e provoca
sull'ambiente nel quale vive. Lo scopo della serata è di discutere di fotografia
intesa come fonte di documentazione. Il reciproco confronto servirà a
evidenziare la ricchezza degli impegni di pensiero individuali, rafforzando il
senso della comunità, inteso come luogo di dialogo. È dunque auspicabile che
anche la ricerca fotografica possa dare un contributo utile per renderci più
attenti e responsabili.
Inquinamento - Acque "super" a Fiume per 17 siti sui 24
analizzati
FIUME - Non avrà il "marchio" di centro balneare come ad esempio
Lussinpiccolo, Lesina, Macarsca e tante altre località, ma Fiume vanta comunque
spiagge le cui acque di mare sono batteriologicamente sane. L'ultimo
campionamento eseguito dagli esperti dell'Istituto regionale per la Salute
pubblica ha evidenziato un'alta qualità in 17 spiagge, mentre nelle altre
quattro i risultati sono stati considerati non più che soddisfacenti. Niente
voto massimo per gli stabilimenti Cantrida est (ex bagno Riviera e dintorni),
Cantrida ovest, Grcevo e Villa Nora, a Costabella. Si tratta di siti nei quali i
controlli sfornano esiti tradizionalmente non eccellenti, anche se i valori in
questo caso sono stati migliori di quelli registrati l'anno scorso. Beninteso,
non si tratta di zone in cui la balneazione è proibita, ma di aree in cui la
situazione è accettabile ma non ideale. Si può fare una nuotata anche a Cantrida,
Grcevo e Villa Nora senza alcun rischio - è stato precisato dagli esperti -
mentre i problemi maggiori riguardano la porzione orientale di Cantrida,
soprattutto in presenza di piogge copiose. In una Fiume dove l'industria pesante
è praticamente scomparsa, sono state due le spiagge a ottenere il prestigioso
riconoscimento della Bandiera blu: sono quelle di Kostanj e la Baia dell'amore (Ploce
in croato), a Costabella. Quest'anno per gli interventi di miglioria negli
stabilimenti balneari fiumani sono stati stanziati dalle casse comunali circa 5
milioni di kune, pari a 676 mila euro.
(a.m.)
È ancora lunga la sfida al business delle Ecomafie - Il
rapporto 2017 di Legambiente conferma l'efficacia della penalizzazione di questi
reati
Oggi chi inquina, finalmente, inizia a pagare. In Italia, a circa due anni
dall'inserimento dei delitti ambientali nel codice penale, qualcosa inizia a
cambiare. I risultati resi noti dal Rapporto Ecomafie 2017 di Legambiente
testimoniano come sia stato efficace inserire questa norma nell'impianto
legislativo italiano, vista l'inversione di tendenza dei numeri in tutti i
settori. Il dato complessivo legato agli illeciti ambientali (dati 2016)
continua a scendere, passando da 27.745 a 25.889, il 7% in meno, un numero
importante anche in virtù del fatto che è maggiore all'ultimo registrato: nel
2015, rispetto al 2014, gli illeciti scesero del 5,3%. Scende inoltre
vertiginosamente il fatturato globale delle ecomafie, che dai 19,1 miliardi di
euro del 2015 passa a 13 miliardi, con una riduzione del 32%, quando l'anno
precedente era stata del 15%. Dati molto incoraggianti anche quelli in crescita:
aumentano arresti (225 contro i 188 del 2015), denunce (28.818 contro 24.623) e
sequestri (7.277 contro 7.055). La situazione, tuttavia, resta allarmante, e
bisogna ancora fare molto perché l'Italia, dal punto di vista ambientale, si
possa considerare davvero un Paese "normale". La criminalità organizzata è
sempre ben radicata, e persiste nel considerare gli illeciti ambientali quale
occasione di business e profitto, e non è un caso che, pur calando del 4% - dal
48% al 44% - le regioni dove si concentrano quasi la metà degli ecoreati
italiani sono Campania, Sicilia, Puglia e Calabria, ovvero le stesse quattro del
2015 ma con la regione siciliana e quella pugliese che hanno scavalcato quella
calabrese nell'infelice classifica. A livello provinciale invece, la classifica
vede in testa sempre aree del Sud: Napoli (1.361 reati), Salerno (963) e Cosenza
(816) occupano rispettivamente primo, secondo e quarto posto della classifica,
che vede al terzo l'area metropolitana di Roma (820). Spesso i reati ambientali
sono legati alla corruzione - Lazio e Lombardia in testa, con 49 e 44 inchieste
di rilievo negli ultimi sei anni, sono le regioni più colpite - altro segnale
che indica il forte radicamento della malavita a livello territoriale, e la
necessità per le ecomafie di stabilire rapporti di corruzione con la classe
politica e amministrativa locale. Un esempio sono i dati legati al ciclo
illegale del cemento e quelli sull'abusivismo edilizio, anch'essi in calo (-10%
gli illeciti sul ciclo illegale del cemento, mille in meno, 17.000 contro
18.000, gli immobili abusivi costruiti) ma che nonostante l'inversione di
tendenza, rimangono una grande preoccupazione per un Paese ad alto rischio
idrogeologico. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha specificato come
«sicurezza ambientale, protezione dell'ambiente e lotta alla corruzione in
materia ambientale sono sfide politiche enormi». Ma la lotta alle ecomafie passa
anche per una maggiore selezione dei comportamenti da perseguire penalmente.A
fronte di una reale criminalità organizzata, esiste in Italia un fenomeno di
"reati di carta" frutto della complessità e disomogeneità normativa, di
interpretazioni difformi delle leggi. Occorre, quindi, una grande operazione di
semplificazione legislativa tesa a consentire agli operatori "sani" di agire e
fare impresa in modo serio e tranquillo, evitando di ingolfare uffici di polizia
e tribunali di procedure non legate a veri e propri reati da associazione
criminale. Occorre investire in campagne di informazione e sensibilizzazione
della popolazione e sulle agenzie regionali di protezione ambientale. Siamo
sulla buona strada, ma la sfida ancora non è vinta.
ALFREDO DE GIROLAMO
IL PICCOLO - LUNEDI', 3 luglio 2017
Monfalcone - Perdita di gas da una cisterna - Treni in
tilt e binari evacuati
MONFALCONE - Rischio esplosione alla stazione ferroviaria di Monfalcone. Un
convoglio merci-cisterna, in transito nella città dei cantieri, ieri pomeriggio,
è stato sottoposto ai dovuti interventi di messa in sicurezza, dopo la perdita
di gas argon. È subito scattato l'allarme e contestualmente la mobilitazione
delle forze dell'ordine e dei vigili del fuoco. Evacuata la stazione
ferroviaria, che è stata chiusa. Un vero e proprio black-out lungo le linee
ferroviarie Trieste-Venezia e Udine-Venezia, desertificate per almeno due ore e
mezza. Niente treni, tutto rigorosamente bloccato per evidenti motivi di
sicurezza. Tutto è scaturito verso le 17.10 e le misure di emergenza hanno
monopolizzato la stazione, al fine di scongiurare qualsivoglia incidente. Quello
di ieri è stato un pomeriggio in crescendo, con i passeggeri trovatisi davanti
allo sbarramento degli ingressi della stazione ferroviaria, tra sorpresa,
interrogativi e, via via l'incalzare di richieste di chiarimenti e spiegazioni.
Un'atmosfera che, per certi versi, ha rimandato al ricordo del terribile
disastro ferroviario di Viareggio.Il convoglio 41853 di Rtc-Rail Traction
Company, proveniente da Tarvisio e diretto verso Campo Marzio, a Trieste, una
volta giunto a Monfalcone è stato "blindato" per consentire la necessaria messa
in sicurezza, seguita dal ripristino del traffico ferroviario che è ripreso su
entrambi i binari verso le 19.42, con la riapertura della stazione. Sono da
chiarire le esatte cause dell'evento, tuttavia, secondo quanto è stato
ipotizzato, il problema avrebbe riguardato la perdita di gas argon a causa di
una valvola "difettosa" nell'ultimo vagone del convoglio Rtc. Una situazione
indubbiamente critica per i rischi sottesi all'evento. Sul posto hanno fatto
quadrato i vigili del fuoco che hanno lavorato a lungo per "disinnescare" ogni
pericolo procedendo con gli interventi e la verifica delle cause. Accertamenti
che restano al vaglio. Assieme agli uomini della Polfer anche le forze
dell'ordine. A un certo punto, alcuni agenti sono usciti dalla stazione e hanno
"transennato" l'edificio con il nastro rosso-blu. Una sorta di "sequestro" che
dava la misura della delicatezza della situazione. I passeggeri che nel
frattempo affollavano l'area esterna, non senza un certo disorientamento, quando
non anche il forte malumore di fronte all'assenza di informazioni, si sono
avvicinati agli agenti incalzandoli di domande per capire cosa stesse accadendo
e che destino sarebbe loro spettato, ormai da quasi tre ore in balia
dell'incertezza e delle preoccupazioni sul da farsi. Una donna straniera,
diretta a Cervignano dove l'aspettava la ripresa del lavoro, continuava a
chiedersi come sarebbe uscita dall'impasse. «Ero a Trieste con amici, in
giornata libera. Alla stazione i treni non partivano, così ho preso una
corriera. Pensavo che a Monfalcone i treni viaggiassero, invece, mi trovo qui,
senza neppure il cellulare per avvertire del ritardo». C'era chi a tratti alzava
la voce: «Chi deve darci spiegazioni? Cosa sta succedendo? Cosa dobbiamo fare,
sono ormai quasi tre ore che aspettiamo». Una donna ha osservato: «Possibile che
non ci sia personale addetto a fornire le informazioni?». C'è stato anche chi
chiedeva lumi circa il rimborso del biglietto. C'era chi s'è seduto sul
marciapiede in paziente attesa, chi invece ne approfittava per lavorare sul pc
appoggiato alla valigia.Da Rfi, intanto, si ricercavano le soluzioni
alternative. Prima i bus sostitutivi, un'impresa trovarne di disponibili. Meglio
puntare sulla riapertura quantomeno di un binario, per iniziare a riavviare il
transito dei treni bloccati e poter garantire le prime partenze e fermate.
Ritardi che si accumulavano, fino a due ore. La situazione s'è sbloccata quando
il convoglio è stato spostato in un binario esterno secondario. Di lì a poco è
sopraggiunto il segnale "verde", con buona pace dei passeggeri. Verso le 19.30
sono stati riattivati tutti i binari con la riapertura della stazione
ferroviaria. L'altoparlante emetteva i "bollettini" dei ritardi. Il regionale
veloce 2215 delle 19.23 proveniente da Venezia e diretto a Trieste viaggia con
60 minuti di ritardo; il regionale veloce 1017 proveniente da Trieste e diretto
a Venezia ritarda di 55 minuti. Sessantacinque minuti di ritardo accumulati per
il Frecciarossa Trieste-Milano. Una sequela di avvisi mentre nel frattempo la
stazione riacquistava la normalità e i treni avevano iniziato a riprendere il
loro percorso, pur al "rallentatore" considerato che la velocità non poteva
superare i 30 chilometri orari.
Laura Borsani
Si restringe la zona proibita alle bici - Varata a
Muggia l'ordinanza della discordia: off limits solo corso Puccini, via Dante e
piazza Marconi
MUGGIA - Bici a spinta obbligatoria in corso Puccini, via Dante e piazza
Marconi, solamente in determinati orari e periodi dell'anno. Questo il
compromesso ufficializzato dal Comune di Muggia per chiudere una volta per tutte
la partita sulla cosiddetta "ordinanza antibiciclette". Il documento, che in
realtà regolamenta la viabilità all'interno del centro storico vincolando
fortemente l'accesso degli autoveicoli, è oramai ufficiale. L'annuncio arriva
dal sindaco Laura Marzi: «Abbiamo rimodulato il testo originale alla luce di
quanto emerso nell'ultimo mese, fatto di incontri e discussioni con cittadini e
associazioni di ciclisti. Da amministratori avevamo il dovere di dare una
risposta alle tante segnalazioni pervenuteci, soprattutto dai residenti del
centro storico». A spinta Non si potrà dunque più pedalare in corso Puccini, via
Dante e piazza Marconi. Il divieto sarà operativo esclusivamente nella "stagione
estiva", ossia dal primo giugno al 30 settembre. Vi saranno anche degli orari
precisi in cui il divieto sarà applicato, ossia dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 16
alle 20. Il divieto sarà inoltre applicato in concomitanza di manifestazioni in
piazza Marconi. Rispetto al testo iniziale, dunque, è stata abolita l'idea di
ampliare un'area prettamente pedonale all'interno del centro storico individuata
in vie, calli e piazze ricadenti all'interno dell'antica cinta muraria e
specificatamente racchiusa nelle vie Roma, Naccari, Manzoni e Sauro e in salita
alle Mura. «Tutte le altre zone del centro storico al di fuori di corso Puccini,
via Dante e piazza Marconi potranno essere regolarmente percorse con la
bicicletta», puntualizza l'assessore alla Polizia locale Stefano Decolle. I
trasgressori saranno puniti secondo il Codice della strada con sanzioni che
andranno da un minimo di 41 ad un massimo di 168 euro. L'alternativa Una novità
è stata proposta dalla giunta Marzi fondamentalmente per ovviare all'assenza di
un percorso alternativo per i ciclisti provenienti da strada per Lazzaretto.
Ribadendo il concetto che non si può entrare nel centro storico attraverso
l'arco della cinta muraria del Mandracchio, essendo l'arteria a senso unico
(anche se in verità i ciclisti che vanno contromano continuano a trasgredire il
divieto), si creerà un percorso lungo calle Bacchiocco e piazzetta Galilei. Il
percorso poi permetterà di costeggiare il Duomo permettendo di raggiungere
successivamente piazzale Caliterna. In galleria Una nuova importante
disposizione pro ciclisti è stata invece inserita per quanto riguarda il
discorso sicurezza dei velocipedi. La giunta Marzi ha infatti deciso di
installare il divieto di sorpasso all'interno della galleria. «Ci è stato
evidenziato che spesso i ciclisti, posizionandosi a lato della carreggiata,
venivano superati dalle automobili creando così una situazione carente in fatto
di sicurezza per gli stessi ciclisti. D'ora in poi gli automobilisti dovranno
pazientare lasciando ai ciclisti la possibilità di stare al centro della
carreggiata», racconta Marzi. L'ordinanza entrerà ufficialmente in vigore non
appena sarà pronta la cartellonistica. Questioni di giorni, insomma.
Riccardo Tosques
Troppi turisti a Plitvice - Il Wwf lancia l'allarme
Additati lo sfruttamento eccessivo dell'acqua e le decine di concessioni
edilizie rilasciate in pochi anni: «Zagabria intervenga per evitare la
distruzione del sito»
ZAGABRIA - Dopo l'Unesco, anche il Wwf lancia l'allarme Plitvice. Secondo la
celebre organizzazione internazionale per la conservazione di natura, habitat e
specie in pericolo, il parco croato di Plitvice è oggi minacciato dall'eccessiva
attività dell'uomo. E il governo di Zagabria dovrebbe prendere delle misure
prima che sia troppo tardi. Iscritto al patrimonio mondiale dell'Unesco già nel
1979, il complesso di laghi di Plitvice è una delle destinazioni turistiche più
note della Croazia, e attira ogni anno oltre un milione di visitatori. Ma
proprio la fama del sito e il suo utilizzo eccessivo da parte degli operatori
turistici locali ne sta ora mettendo in pericolo la salvaguardia. «Una serie di
decisioni male informate hanno sottoposto la più preziosa perla naturale della
Croazia a un rischio senza precedenti», ha detto Irma Popovic Dujmovic del
Wwf-Adria, avvertendo che «non possiamo rischiare di perdere l'icona croata
della natura protetta e i moltissimi posti di lavoro, dai quali dipendono
peraltro intere comunità locali».Le «decisioni male informate» citate dal Wwf
riguardano diversi ambiti, a cominciare dall'«uso eccessivo dell'acqua», che
secondo l'organizzazione ambientalista ha lasciato la grande cascata di Plitvice
«con appena il 40 per cento della sua capacità massima di acqua». Ma un altro
segnale chiaro dello sfruttamento del parco è rappresentato dal numero di
permessi di permessi di costruzione accordati dal governo nell'area. «Negli
ultimi anni - prosegue il Wwf - il ministero dell'Edilizia ha autorizzato la
costruzione di 25 nuovi appartamenti, bed&breakfast e ristoranti». Cantieri che
portano ogni giorno nella zona protetta decine di camion, in prospettiva di un
numero sempre maggiore di visitatori.«A partire dal 2010 - nota il Wwf nel suo
comunicato - il numero di soggiorni nell'area di Plitvice è aumentato di 12
volte arrivando a 39mila», rendendo necessaria una maggiore disponibilità di
posti letto in una zona altrimenti poco attrezzata e storicamente priva di
grandi strutture alberghiere. «Se un'azione urgente non viene intrapresa il
Parco di Plitvice potrebbe essere iscritto nella Lista Wwf del patrimonio
mondiale in pericolo», ammonisce il Wwf stesso, facendo eco a un avvertimento
lanciato tempo fa dall'Unesco e dallo stesso direttore del parco. Lo scorso
settembre infatti il direttore del parco nazionale Andelko Novosel aveva detto
ai giornalisti del quotidiano Vecernji List di aver ricevuto «un messaggio
chiaro» da parte dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione,
scienza e cultura (Unesco): «Se non proteggiamo il parco, lo toglieranno dalla
lista dei Patrimoni naturali dell'umanità», aveva riferito Novosel, aggiungendo
che «è da un po' di tempo che ci battiamo contro un numero eccessivo di turisti».Negli
ultimi dieci anni il successo del complesso di laghi è stato sorprendente: dai
300mila visitatori dei primi anni Duemila si è passati agli attuali 1,3 milioni
di ingressi, con picchi quotidiani di 15mila turisti contro gli 8mila imposti
come tetto massimo dall'Unesco per salvaguardare al meglio il parco.Dopo il
cartellino giallo ricevuto dall'Unesco (non solo per Plitvice ma anche per
Dubrovnik, anch'essa sommersa dai turisti), tocca ora al Wwf invitare «il
ministero dell'Edilizia croato a iniziare a lavorare con urgenza con il
ministero della Protezione ambientale al fine di evitare la distruzione dei
laghi di Plitvice». Coinvolgendo inoltre le comunità locali, prosegue il Wwf, si
potrà «proteggere la bellezza e la biodiversità di Plitvice, promuovendo anche
uno sviluppo sociale ed economico per tutti».
Giovanni Vale
IL PICCOLO - DOMENICA, 2 luglio 2017
«Non sparate alle nutrie» - Muggia apripista in Fvg -
Parte dalla cittadina rivierasca la petizione regionale contro la nuova legge
MujaVeg reclama il contenimento della specie solo con metodi non violenti
MUGGIA - No all'abbattimento violento, sì al contenimento tramite metodi
ecologici. Parte da Muggia la petizione per far correggere il tiro alla giunta
Serracchiani le disposizioni inserite nella legge regionale 20 del 9 giugno
scorso che prevede l'eradicazione delle nutrie anche attraverso l'abbattimento.La
storia Originaria della Patagonia, la nutria è un roditore introdotto nello
scorso secolo in molti paesi sia nel Nord America che in Europa. I primi
allevamenti commerciali per la produzione di pellicce sorsero in Italia (in
Piemonte) alla fine degli anni Venti per giungere qualche decennio dopo anche a
Muggia e in altre zone del Fvg. «La diffusione di questa attività si deve sia
all'interesse commerciale della pelliccia, che, soprattutto nei primi anni, era
abbastanza elevato, sia alla facilità con cui le nutrie potevano essere
allevate: in seguito l'allevamento si rivelò pratica via via sempre meno
remunerativa e venne gradualmente abbandonato», si legge nelle "Linee guida per
il controllo della nutria", il testo scritto con il patrocinio del ministero
dell'Ambiente dall'Istituto nazionale per la fauna selvatica "A. Ghigi".
Iniziarono così a verificarsi le prime immissioni, quasi sempre volontarie, di
nutrie in natura. Queste immissioni hanno consentito la formazione di nuclei
naturalizzati in grado di autosostenersi come le nutrie muggesane del Rio Ospo,
diventate un vero e proprio fenomeno popolar-mediatico grazie alla massiccia
presenza dei roditori in zona Rabuiese.Le caratteristiche Ma quali sono le
caratteristiche delle nutrie? Questi roditori ingeriscono da 700 a 1.500 grammi
di materia vegetale al giorno. Una quantità che corrisponde circa al 25% del
proprio peso corporeo. Gli alimenti più utilizzati sono piante acquatiche,
radici, foglie, tuberi e rizomi. La nutria raggiunge la maturità sessuale in età
molto precoce: già a 6 mesi i maschi sono in grado di riprodursi. Le femmine
possono riprodursi in media 2,7 volte all'anno. Alla nascita il numero medio di
neonati è pari a cinque. La legge «Il provvedimento di eradicazione delle nutrie
nel Fvg con metodi selettivi intende tutelare le produzioni zoo-agro-forestali,
l'idrografia e le opere idrauliche». Così Diego Moretti (Pd), relatore di
maggioranza della legge in questione, ha spiegato la decisione della Regione di
sterminare i roditori, compresi quelli presenti nel Rio Ospo. Per l'assessore
regionale allla Caccia Paolo Panontin quella delle nutrie è una specie
«invasiva, non originaria e dannosa». La giunta Serracchiani ha così votato una
legge per applicare un Piano triennale di contenimento del costo di 60mila euro.
Tra i metodi di soppressione impiegabili, "armi comuni da sparo" oppure
"trappolaggio e successivo abbattimento con metodo eutanasico dell'animale
mediante narcotici, armi ad aria compressa o armi comuni da sparo".La petizione
«Per affrontare la questione nutrie la Regione ha completamente snobbato i
possibili metodi ecologici contenuti nella legge 157 dell'11 febbraio 1992
proposti dall'Istituto nazionale per la fauna selvatica». Così Cristian Bacci,
responsabile dell'associazione MujaVeg, racconta il perché della nascita della
petizione popolare nella quale si chiede espressamente che le nutrie non
soffrano durante la fase di eradicazione operata dalla Regione. Tra i metodi
suggeriti quello invocato anche da altre associazioni ambientaliste: la
sterilizzazione. In attesa di capire gli esiti dello studio dell'Università di
Udine per individuare e testare sistemi che riducano le capacità riproduttive
delle nutrie, studio finanziato proprio dalla Regione con uno stanziamento di
80mila euro, in cui si dovrebbero sperimentare dei prodotti sintetici che,
aggiunti ad alimenti appetibili o sostanze naturalmente presenti nei vegetali
siano in grado di contenere la specie, la raccolta firme è partita. La
petizione, scaricabile sul sito www.mujaveg.it, potrà essere firmata o
consegnata a Muggia (alla Gelateria Easy in riva de Amicis e alla Farmacia alla
Marina in piazzale Foschiatti) oppure a Trieste (al Giardino Tergesteo e al
Serra Hub in via Economo) entro il 30 agosto. Dopodiché le firme verranno
consegnate alla Quarta commissione del Consiglio regionale. Intanto l'assessore
alla Protezione civile Stefano Decolle conferma la non sussistenza del problema
nutrie a livello muggesano: «Non so in regione, ma qui non abbiamo mai ricevuto
segnalazioni di danni causati dalle nutrie». Resta ora da capire se e quando
anche i roditori del Rio Ospo rientreranno nel piano di abbattimento
Riccardo Tosques
IL PICCOLO - SABATO, 1 luglio 2017
BARCOLA - Park sul terrapieno, scatta la bonifica -
Iniziato lo sfalcio del verde per la creazione di 500 posti auto. Dipiazza: «Il
progetto per l'opera partirà entro fine anno»
Primo atto per il futuro parcheggio di Barcola. In questi giorni il Comune
ha iniziato lo sfalcio dell'erba e degli arbusti che infestano la zona del
terrapieno, dove il sindaco Roberto Dipiazza intende realizzare almeno
cinquecento posti auto. Uno spazio che nelle previsioni sarà utilizzato
soprattutto dalle società veliche che hanno sede nei paraggi e che necessitano
di spazio per i propri mezzi, come pulmini e carrelli, per le trasferte delle
regate e le varie competizioni. Un'esigenza si era manifestata già anni fa, ma
che non aveva mai trovato risposte concrete da parte dell'Autorità portuale.
Che, come noto, gestiva quelle aree demaniali. La conferma dell'avvio dei lavori
è arrivata proprio ieri, pubblicamente, dalle parole del sindaco Dipiazza
durante la presentazione della 49.ma edizione della Barcolana. «Abbiamo
cominciato a togliere un po' di erba e arbusti», ha detto. E in effetti, come si
può constatare da viale Miramare, gli interventi sono partiti. Nei mesi scorsi
era stato proprio il primo cittadino ad andare sul posto, accompagnato
dall'assessore ai Lavori pubblici Elisa Lodi, dai tecnici del Municipio e da un
gruppo di delegati dei circoli, per un sopralluogo sull'area del terrapieno,
entrata di recente nella disponibilità del Comune come gran parte del Porto
vecchio. Dipiazza ha incaricato il suo staff a preparare un progetto vero e
proprio. Il parcheggio sorgerà nell'area attualmente occupata dalla boscaglia
spontanea, che negli anni si è fatta sempre più fitta, come si può scorgere per
l'appunto transitando sempre lungo viale Miramare. Lo spazio che si potrà
ricavare consentirà di creare posti auto per centinaia di persone. Cinquecento i
posteggi stimati, in linea con quando stabilito dalle previsioni di
legge.«Abbiamo iniziato lo sfalcio dell'erba - ha commentato Dipiazza - e questo
è un modo per poter anche visionare la zona. Ma siamo pronti pure con il
progetto per l'opera, che bisogna far partire entro il 30 di dicembre».
L'assessore all'Urbanistica Luisa Polli conferma: «Abbiamo pensato di mettere le
mani il prima possibile sulle zone di cui si può già usufruire - afferma
l'esponente della giunta - anche perché ricordiamo che quel punto non è nella
parte classificata inquinata». Il parcheggio, nello specifico, sarà realizzato
nel sedime ferroviario. Dopo la pulizia del verde, si passerà al posizionamento
di un "geo-tessuto", cioè una superficie isolante di tipo protettivo e
contenitivo che farà da base al fondo.«Sopra metteremo della ghiaia - annuncia
Polli - e in particolare una tipologia che consente di muoversi agilmente». Il
posteggio, che nasce per le società nautiche ma potrà essere usato da tutti i
cittadini, non verrà recintato. «Non c'è una concessione - ricorda l'assessore -
perché non è previsto un utilizzo esclusivo. Ma è ovvio che ci andranno
prevalentemente i soci delle società veliche o, ancora, chi fa canottaggio,
gare, o chi ha bisogno di un punto di appoggio per usufruire dei servizi
rivieraschi. Credo che difficilmente i triestini lo impiegheranno per andare a
prendersi il gelato a Barcola. Comunque il tessuto che andremo a posizionare -
sottolinea Polli - farà sì che il via vai della automobili non faccia disperdere
la ghiaia».
Gianpaolo Sarti
ALTIPIANO EST - Trebiciano reclama le barriere
antirumore
TRIESTE - Un'adeguata protezione antirumore lungo il tratto della Grande
viabilità adiacente la frazione di Trebiciano. Lo richiede l'intero paese, in
particolare le famiglie che da tempo risiedono nelle vicinanze dell'autostrada,
sottoposte quotidianamente al frastuono provocato dal traffico. Sulla questione
torna per l'ennesima volta la Circoscrizione Altipiano Est che sottolinea come
questo disagio sussista da oltre vent'anni, ovvero da quando è stato costruito
il collegamento autostradale nei pressi di Trebiciano. «Nonostante la comunità
li chieda da sempre - osserva il presidente del parlamentino Marko De Luisa -
mancano del tutto i dissuasori e le barriere antirumore. Sul tema la comunità ha
presentato all'Anas, e per conoscenza alla precedente amministrazione comunale e
alla prefettura, una petizione con allegata una raccolta di firme. Un'azione che
tuttavia non ha sortito alcun effetto». I consiglieri sottolineano come già
nella progettazione iniziale della Grande viabilità si sarebbe dovuto provvedere
a tutte le infrastrutture necessarie. «Comunque sia - aggiunge il presidente -
non è possibile che i residenti di Trebiciano debbano continuare a sopportare un
inquinamento acustico che inficia sia la qualità di vita che la loro salute. Per
questo abbiamo inviato al sindaco e agli assessori un documento con il quale
chiediamo di attivarsi nei confronti dell'Anas, affinché si provveda una volta
per tutte a realizzare l'adeguata protezione antirumore». Sempre dalla Seconda
circoscrizione si chiede, con una mozione, di creare nell'area di Trebiciano
conosciuta come "Rouna" una nuova isola ecologica. In questo modo, come da tempo
reclamano i residenti, sarebbe possibile togliere i cassonetti per la raccolta
dei rifiuti e della differenziata dalla piazza principale del borgo. Il
provvedimento consentirebbe finalmente di riqualificare e valorizzare la piazza,
con la sua chiesa, la canonica, la scuola materna e il monumento ai caduti nella
lotta per la Liberazione.
Maurizio Lozei