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RASSEGNA STAMPA gennaio - giugno 2017
IL PICCOLO - VENERDI', 30 giugno 2017
Il "patto" di San Dorligo contro gli odori molesti
Il Comune volta pagina in tema ambientale e vara un
tavolo tecnico con Arpa, Regione, Azienda sanitaria, Porto e Municipio di
Muggia. Si parte a metà luglio
SAN DORLIGO DELLA VALLE - Il Comune di San Dorligo delle Valle volta pagina
sul fronte dell'ambiente e vara iniziative che coinvolgono in modo concreto
istituzioni, aziende e cittadini. L'amministrazione guidata dal sindaco Sandy
Klun sta dando vita a un tavolo tecnico sulle "molestie olfattive" (i forti
odori che si manifestano spesso nel territorio), che si riunirà per la prima
volta nella seconda metà di luglio e al quale siederanno l'Arpa, la Direzione
ambiente e energia della Regione, l'Azienda sanitaria integrata, l'Autorità
portuale e il Comune di Muggia. Subito dopo, come ha spiegato l'assessore
all'Ambiente e territorio Franco Crevatin, nella conferenza stampa indetta ieri
in Municipio assieme alla Seconda commissione, sono previsti incontri con Siot e
Wärtsilä. E successivamente altre riunioni saranno programmate con i cittadini.
Parallelamente il tavolo tecnico inizierà a lavorare, per cui «fra settembre e
ottobre - ha precisato Crevatin - avremo una fotografia concreta della
situazione dell'ambiente nel nostro comune». Un comune la cui superficie è
occupata per un terzo da attività industriali e artigianali, e che, come ha
ricordato il sindaco Sandy Klun, «ospita le due più grandi aziende della
provincia, Siot e Wärtsilä». Il nodo principale è costituito, come detto, dalle
"molestie olfattive", un tempo limitate a singole zone ma che ora si manifestano
in tutto il territorio comunale. «Alla fine dello scorso anno - ha spiegato
l'assessore - abbiamo distribuito una scheda a una quarantina di persone, che
hanno riportato per sei mesi i dati degli eventi molesti, aiutando così il
Comune e in particolare la Seconda commissione. E a fine aprile - ha proseguito
- abbiamo discusso con l'Arpa i metodi di rilevazione. In questi sei mesi la
gente ha fortemente collaborato, e spero continui a farlo anche quando ci
incontreremo con le aziende, Siot e Wärtsilä in primis». Un metodo di lavoro,
quello che coinvolge i cittadini, i cui risultati saranno appunto al centro dei
confronti con le aziende, per individuare procedure che permettano di
determinare con certezza l'origine dei fenomeni e di ridurne l'impatto sugli
abitanti ma anche sulle colture.«Siot ha comunicato a suo tempo - ha rilevato
ancora Crevatin - che sta investendo molto per ridurre gli effetti olfattivi, ma
ciò finora non ha dato risultati. E visto che è qui da 50 anni sarà il caso che
attui delle modifiche, introducendo qualche sistema per eliminare il problema.
Pensiamo che la tecnologia possa risolvere queste questioni, assieme alla buona
volontà e alle risorse che non mancano». La Seconda commissione si occupa dei
problemi ambientali già da tre anni, e nel suo ambito, come ha sottolineato il
presidente Roberto Potocco (Pd), fra i componenti c'è «una condivisione totale e
trasversale sull'importanza della salute dei cittadini». Potocco ha anche
osservato che «si è sopportato molto in termini di molestie olfattive, con
conseguenze anche sull'impossibilità di vendere le abitazioni». E riguardo ai
dati raccolti dai cittadini, attraverso schede "zonizzate", ha spiegato che
verranno incrociati con quelli che d'ora in avanti saranno annotati su altre
schede indicate dall'Arpa.«Non ci sono prove scientifiche che gli odori vengano
dal parco serbatoi della Siot - ha ancora affermato Potocco - ma si tratta di
odori di idrocarburi, per cui non possono venire da altre parti. Su sei dei 32
serbatoi Siot ha installato dei nebulizzatori, ma gli effetti sono tutti da
capire». Il problema di fondo, secondo il presidente della commissione, è che
«in Siot non si è notata la responsabilità sociale d'impresa. Qualche momento
critico - ha aggiunto - si è vissuto anche con Wärtsilä. Il tavolo tecnico dovrà
individuare i modi di convivenza con queste aziende, coniugando le loro esigenze
con quelle degli abitanti». Fra i problemi sul tavolo, anche il del rumore
prodotto dal traffico della Grande viabilità. «Stiamo lavorando - ha spiegato
Potocco - perchè l'Anas metta in pratica le decennali promesse
sull'installazione delle barriere fonoassorbenti e sostituisca i giunti ormai
usurati».
Giuseppe Palladini
La proprietà della Ferriera esamina la diffida
regionale
«Acciaierie Arvedi, stabilimento di Trieste, conferma di aver ricevuto
giovedì 29 giugno (ieri, ndr) la diffida da parte della Direzione Ambiente della
Regione recante la limitazione alla produzione. È in corso la valutazione dei
profili tecnici e legali di tale prescrizione, con riserva di comunicare le
azioni da intraprendere nel corso dei prossimi giorni». Così la proprietà della
Ferriera di Servola è intervenuta ieri con una nota ufficiale dopo l'atto
formale inviato dalla Regione alle Acciaierie Arvedi stesse e finalizzato a
mettere fine agli sforamenti nei livelli delle polveri e a far rientrare le
emissioni «nei valori obiettivo previsti dal decreto di autorizzazione integrata
ambientale (Aia) del 2016». Sempre nella giornata di ieri, il sindaco Roberto
Dipiazza ha osservato: «Già a inizio anno questa amministrazione comunale aveva
diffidato la proprietà a non sforare i limiti di produzione imposti. Diffida che
fu stroncata dalla Regione, che ora chiede la stessa cosa. Attendo quanto prima
- ha continuato - di incontrare il Cavalier Arvedi con la presidente
Serracchiani per poter sviluppare insieme un'industria pulita. La zona dove
esiste l'area a caldo potrà essere riqualificata a fini di portualità, d'intesa
con l'Autorità portuale». Intanto, in piazza Unità, prosegue il presidio avviato
dieci giorni or sono dal Comitato 5 dicembre proprio davanti al palazzo della
Regione. Un'iniziativa che «resterà permanente fino a quando verrà chiusa l'area
a caldo», avevano specificato da subito gli organizzatori.
Navigazione a batteria - Wärtsilä spinge la propulsione
ibrida - Concepito nello stabilimento triestino il primo modulo completamente
integrato per ridurre le emissioni
TRIESTE - I primi due esemplari sono già stati venduti alla maggiore
compagnia di rimorchiatori del Mediterraneo, la genovese "Rimorchiatori
riuniti", e permetteranno all'imbarcazione su cui saranno montati di muoversi
nelle acque del porto prevalentemente a batteria. Così funzionerà il nuovo
modulo ibrido Wärtsilä HY, concepito dal Marine engineering team dello
stabilimento triestino della multinazionale. Puntando sullo sviluppo della
tecnologia green, Wärtsilä ora annuncia dunque l'immissione sul mercato del
modulo ibrido HY, che la società presenta come «innovazione assoluta nel settore
della propulsione navale». Certamente già esistono applicazioni che vedono
motori marini addizionati di batterie, ma ora per la prima volta - come spiega
Matteo Natali, manager Technical Sales di Wärtsilä - un sistema ibrido integrato
viene offerto sul mercato come modulo "chiavi in mano". Di cosa si tratta? In
sostanza il collaudatissimo motore 26, già da tempo costruito negli spazi
triestini di Wärtsilä, viene modificato e ottimizzato dal team ingegneristico
che affianca la parte elettrica - proveniente dagli stabilimenti norvegesi che
hanno lavorato insieme ai tecnici triestini - per combinare insieme motori,
sistema di stoccaggio dell'energia ed elettronica di potenza da fare interagire
sinergicamente. I vantaggi del nuovo sistema, come si legge in una nota di
Wärtsilä, «comprendono la riduzione del consumo di carburante e delle emissioni,
per un miglioramento complessivo delle prestazioni dell'imbarcazione; in
particolare, la modalità Green permetterà un azzeramento delle emissioni». Non
ci sono cifre sull'entità della riduzione di emissioni: cambiano notevolmente,
si fa sapere dall'azienda, a seconda delle potenze in gioco, dell'utilizzo delle
batterie e del profilo operativo della nave. Di certo c'è invece che il sistema
integrato di gestione dell'energia può essere ottimizzato anche durante la vita
della nave, secondo le esigenze di operatività.Il modulo HY ha già ottenuto un
certificato di approvazione dal Lloyd's Register, mentre è in attesa di brevetto
una nuova procedura automatizzata che permetterà di «eliminare le emissioni di
fumi a ogni livello di carica e in qualsiasi modalità operativa». Wärtsilä
sottolinea inoltre come la riduzione dei tempi di operatività dei motori
permetterà di «diradare gli interventi di manutenzione». Il nuovo prodotto
dunque, sostiene Giulio Tirelli, direttore di Marine Engineering Wärtsilä
Solutions, «apre la strada a una nuova era della cantieristica navale,
impensabile fino a poco tempo fa». Wärtsilä HY verrà presentato in versioni ad
hoc per ciascuna categoria di navi. Le prime versioni disponibili saranno
dedicate appunto a rimorchiatori e traghetti di medie dimensioni; in un secondo
momento è prevista invece l'applicazione del modulo anche su imbarcazioni di
dimensioni maggiori.
Da oggi obbligatorio il conta-calore per i termosifoni
ROMA - Scade oggi il termine per installare nei condomini i contatori per
misurare e regolare l'effettivo consumo di calore nelle case. Il termine era già
stato prorogato di sei mesi, ma adesso scattano le sanzioni. Questo prevede la
legge approvata nel 2014 e poi modificata nel 2016. Ma nell'applicazione pratica
ci sarà ragionevolezza. I controlli che faranno scattare le sanzioni,
interverranno quasi certamente dopo l'estate. Se i lavori sono già stati
deliberati, se sono iniziati, e se alla fine l'impianto sarà pronto e
funzionante per l'inizio della stagione invernale, i condomini riusciranno molto
probabilmente ad evitare le sanzioni. Sanzioni che tra l'altro navigano fra i
500 e i 2.500 euro «per ciascuna unità immobiliare». Ma non tutti i condomini
sono tenuti a mettere i contabilizzatori. Tutto dipende dall'effettivo vantaggio
che si può ottenere installandoli, deve trattarsi di un vantaggio economico
tenuto conto dei costi di installazione e il risparmio del costo energetico
spalmato su qualche anno. Nei condomini dove è stato installato il
termovalorizzatore ora la divisione delle spese energetiche sarà a consumo. La
prassi prevede che il primo anno il consumo venga diviso per millesimi. Dal
secondo anno parte la divisione a consumo vera e propria.
IL PICCOLO - GIOVEDI', 29 giugno 2017
«Arvedi riduca la produzione in Ferriera» - Diffida
della Regione dopo gli sforamenti nei valori delle polveri registrati dall'Arpa.
L'azienda studia le contromosse
L'aveva annunciato poche settimane fa, dopo l'ultimo richiamo formale da
parte dell'Arpa. E ieri è passata all'azione. La Regione ha intimato alle
acciaierie Arvedi di ridurre la produzione all'interno della Ferriera. Una mossa
ritenuta essenziale per mettere fine agli sforamenti nei livelli di polveri e
far rientrare le emissioni «nei valori obiettivo previsti dal decreto di
autorizzazione integrata ambientale (Aia) del 2016». L'ultimatum è stato
lanciato attraverso una diffida, con effetto immediato, firmata dal direttore
centrale dell'Ambiente. Un provvedimento che ha colto evidentemente di sorpresa
l'azienda, che sceglie al momento di non rilasciare commenti nel merito.
«Siderurgica Triestina attende la citata diffida che non è ancora pervenuta - ha
fatto sapere in serata l'ufficio stampa - e si riserva di valutarne i contenuti
sul piano tecnico e legale». L'atto della Regione fa seguito al report inviato
nei giorni scorsi dall'Arpa sugli esiti del monitoraggio dei parametri di stato
e pressione per la qualità dell'aria a Servola. «Dall'analisi - riferisce in una
nota la Regione - emergerebbe infatti che il valore di polverosità rilevato a
maggio nella stazione di via Ponticello sarebbe pari a 336 microgrammi per metro
quadro; questo dato farebbe scattare la procedura di riduzione della marcia
dell'impianto, in quanto il valore obiettivo di polverosità su base mensile in
quella postazione risulterebbe pari al 134 per cento del tetto prefissato».
Nella diffida la Regione chiede alle acciaierie di adottare le misure previste
dal decreto Aia del 2016 al fine del rispetto del valore obiettivo. Le
iniziative da intraprendere consistono nel contenimento delle colate mensili in
un numero massimo di 290, la limitazione della marcia dell'altoforno entro le 34
mila tonnellate nell'arco dei 30 giorni e la limitazione della produzione di
coke a quelle strettamente funzionali alla produzione di ghisa. «La società
Acciaierie Arvedi deve comunicare alla Direzione centrale Ambiente della
Regione, al Comune di Trieste, ad Arpa Fvg, all'AsuiTs ed al Comando provinciale
dei vigili del Fuoco entro cinque giorni dalla data del provvedimento, la
limitazione della marcia degli impianti di cokeria ed altoforno. La riduzione
dell'attività - si legge nell'atto - avrà effetto fino a quanto la Regione avrà
formalmente accertato il rispetto del valore obiettivo imposto dal decreto Aia
del 2016. Ciò avverrà attraverso l'analisi dei parametri rilevati in
autocontrollo dall'Azienda e quelli registrati da Arpa nel processo di
validazione».Ma il pressing sferrato dall'amministrazione regionale nei
confronti del gruppo Arvedi non finisce qui. Sempre ieri la governatrice Debora
Serracchiani, al termine di un confronto con i sindacati sulle attuali
prospettive dello stabilimento, ha esortato l'azienda a presentare al più presto
il piano industriale per la Ferriera di Servola. «Anche in qualità di
commissario straordinario per l'attuazione degli interventi della crisi
industriale complessa di Trieste - chiarisce ancora la nota della Regione - la
presidente Serracchiani ritiene fondamentale la stesura del business plan. Sulla
base di tale documento è infatti possibile fare una valutazione concreta sugli
impegni che la proprietà dello stabilimento ha preso riguardo agli interventi
ambientali. Il rispetto delle regole è secondo la presidente della Regione un
aspetto imprescindibile. Ed è proprio per questo - ha informato Serracchiani -
che l'amministrazione regionale, con atto del direttore centrale dell'Ambiente,
ha diffidato le acciaierie Arvedi a ridurre la produzione affinchè le polveri
rientrino nei valori obiettivo previsti dal decreto di autorizzazione integrata
ambientale del 2016».
(red.cr.)
Cresce l'allarme pedoni - Un investito ogni 48 ore - I
dati del Centro di monitoraggio Fvg. Viale Miramare l'arteria più pericolosa
In generale oltre due episodi al giorno. Aumentano anche quelli con
ciclisti -
GLI INCIDENTI A TRIESTE
Aumentano a Trieste e provincia gli incidenti stradali che coinvolgono i
soggetti più a rischio di gravi lesioni, ovvero i pedoni e i ciclisti. Lo si
evince dai numeri messi a disposizione dal centro di monitoraggio della
sicurezza stradale della Regione (Crmss) che in una banca dati raccoglie tutte
le segnalazioni delle forze dell'ordine e delle polizie municipali. A livello
provinciale, infatti, la Polizia locale di Trieste (il corpo che effettua il
maggior numero di rilievi rispetto a Carabinieri e Stradale) ha indicato 621
incidenti con lesioni ai soggetti coinvolti nel 2013; 657 nel 2014; 827 nel 2015
e - in calo - 769 per l'anno scorso, il 2016. Il totale, considerando anche
Carabinieri e Polstrada, è di 928. Quanto al numero di pedoni coinvolti in
sinistri con morti o feriti (dato questo a valenza Istat), è passato da 151 nel
2015 a 179 nel 2016. Come a dire: nello scorso anno si è viaggiato con la media
di più di due incidenti stradali al giorno nel territorio giuliano. Un pedone
ogni due giorni viene coinvolto. Le conseguenze variano: dalle più tragiche,
come nel caso di Giulia Buttazzoni, uccisa mentre attraversava sulle strisce in
via de Marchesetti, fino al colpo di frusta. Che si parli del totale degli
schianti o del dato parziale sugli investimenti pedonali, un risultato non
cambia: la strada più pericolosa di tutta la provincia era e rimane viale
Miramare. L'infausto podio delle arterie da incubo per chi procede a piedi
include via Giulia (9 incidenti nel 2016) e via dell'Istria, mentre la seconda e
terza strada più pericolose nel complesso sono via Flavia (33 sinistri), il
primo tratto della Trieste-Opicina e via Carducci, con 21 incidenti ciascuna. Il
mancato rispetto della segnaletica semaforica da parte dei pedoni e l'utilizzo
dei telefonini (unito all'ebbrezza alcolica) sono le cause principali contro cui
punta il dito l'ex presidente dell'Aci triestina Giorgio Cappel, che oggi si
occupa della ricostruzione dei sinistri. «L'altro giorno ho impiegato circa un
quarto d'ora del mio tempo per sbirciare, in prossimità di un incrocio
semaforizzato, il comportamento dei pedoni», segnalava sul Piccolo ad aprile.
«Su circa 200 passanti, una cinquantina, uomini, donne, vecchi e bambini, erano
al telefonino. Ben dieci hanno attraversato la strada senza guardare il semaforo
ed esattamente 4 sono transitati con il rosso, creando imbarazzo ai conducenti
che passavano con il verde. Che ognuno di noi faccia un esame di coscienza».
Sulle nostre arterie di traffico nel solo 2016 si sono persi 259 anni di vita
sana in seguito a tragici schianti. Si tratta di un calcolo provvisorio di Crmss
in collaborazione con Insiel e la direzione centrale Sanità basato sul sistema
dei Disability Adjusted Life Year (Daly). Il metodo, raccomandato
dall'organizzazione mondiale della sanità, combina in una sola misura gli anni
di vita persi a causa di una morte precoce rispetto alla speranza di vita e gli
anni di vita vissuti con disabilità. Ben 98 se ne sono persi in un solo istante,
quando un trentaquattrenne, al volante in stato di ebbrezza, ha imboccato la Gvt
contromano uccidendo Luca Sussich e Valentina Gherlanz. Era la notte tra il 19 e
il 20 giugno (ne riferiamo anche in basso). Tutti questi dati sono disponibili
sia sul sito Aris, l'archivio regionale incidenti stradali, sia su quello del
Piccolo, dove è possibile consultare una mappa interattiva che mostra a colpo
d'occhio le strade più pericolose sia per i pedoni che, per esempio, per le
biciclette. A proposito, dal 2015 al 2016 gli incidenti che hanno coinvolto e
ferito dei ciclisti sono passati da 32 a 42. Anch'essi in aumento, dunque. I
responsabili del centro regionale di monitoraggio della sicurezza stradale
evidenziano come sia importante lavorare non solo con i dati relativi agli
incidenti con lesioni, ma anche con quelli che indicano i danni ai soli mezzi.
«Incrociando i risultati si possono infatti comporre mappe di rischio stradale
più complete». Fondamentale, sempre a detta del Crmss, sarebbe uniformare i
metodi di rilevazione di Carabinieri, Stradale (che operano su strade
extraurbane e in quelle urbane tra le 2 e le 7 del mattino) e Polizia locale.
«Il volume del traffico va limitato tramite il potenziamento del trasporto
pubblico», commenta Sergio Tremul, fondatore di Camminatrieste. «Non ci sembra
che l'amministrazione locale si stia impegnando come richiesto. Serve un cambio
di mentalità per la viabilità e il traffico consultando anche studenti,
lavoratori e utenti che sono la parte più interessata».
Lillo Montalto Monella
«Servono luci e dossi davanti alle "zebre"» - «La gente
vede il rettilineo e si lascia andare correndo» - Esercenti e residenti di viale
Miramare chiedono interventi
«Basterebbe un dosso». Il sistema salva-vita a tutela di chi cerca di
attraversare le strisce pedonali sarebbe a portata di mano, secondo Daniela del
bar Condor che, di fronte al suo locale, in viale Miramare - la strada più
pericolosa secondo il centro di monitoraggio della sicurezza stradale della
Regione - assiste spesso a incidenti. Sinistri che avvengono per diversi motivi,
a suo avviso. In primis, osserva, «a causa della doppia corsia, può essere ad
esempio che ai pedoni venga data la precedenza da chi si dirige verso Miramare -
spiega - mentre i mezzi che procedono in direzione città non li lascino passare
e così restano in mezzo alla strada in balia dei veicoli». E poi c'è il fatto
degli scooter che, sorpassando le auto che giustamente danno la precedenza alle
persone a piedi, frenano di colpo e cadono. «Ma essendo in torto questi ultimi,
tirano su la moto e continuano il percorso senza fiatare». Dal suo bancone però
Daniela fa notare anche quanto sia «inutile quella specie di slargo» che da
viale Miramare poi dovrebbe far procedere le auto verso scala al Belvedere:
«Molti entrano in questa specie di seconda via per reimmettersi su viale
Miramare, andando così contro senso». Ecco che dunque propone di chiudere la
seconda uscita, quella che porta su via Boccaccio. Per Massimo Ziberna,
dell'autoscuola Accademia di guida, che sta proprio sull'insenatura di viale
Miramare vicina al bar Condor, la questione riguarda «una situazione di traffico
particolare, che si accentua durante la stagione balneare». In realtà la via non
ha grandi caratteristiche che inducono alla pericolosità, semplicemente «è che
la gente vede il rettilineo e si lascia andare, correndo». D'accordo con Ziberna
anche Marina Tuta, residente nella parte di viale Miramare vicino alla pineta di
Barcola. «I mezzi vanno troppo veloci, non rispettano le strisce pedonali e si
creano incidenti, la gente pensa già di essere in autostrada - afferma -.
Bisognerebbe mettere dei lampeggianti sulle zebre, perché di notte la visibilità
è scarsa e quindi capita che non si vedano. Noi l'avevamo chiesto al sindaco
precedente, ma ancora nessuno l'ha fatto».Di parere completamente opposto invece
è Alessia Ziberna, la quale rimane solo colpita dal traffico che c'è in viale
Miramare: «Non mi sembra ci siano grossi problemi». Della stessa opinione Mattia
Fusi, da poco trasferitosi a Trieste da Firenze: «Nella mia città d'origine ci
sono incidenti quotidiani, qui invece mi sembra che non ci sia assolutamente
caos, anzi, io mi sento molto sicuro». Tanto sicuro che non si fa nessun
problema a percorrere il tragitto da Barcola a Trieste e viceversa a piedi,
attraversando «senza particolare difficoltà le strisce e attendendo i semafori
verdi».
Benedetta Moro
L'allarme degli abitanti di Gretta - Riunione alla
Microarea sul tema dell'alta velocità dei veicoli anche in zona scuole
Emergenza sicurezza stradale a Gretta. Se ne è discusso nella sede della
Microarea in via dei Toffani. L'incontro è stato promosso dagli operatori dell'AsuiTs.
L'obiettivo? Trovare una soluzione ai problemi legati all'eccesso di velocità
degli automobilisti in transito su strada del Friuli e salita di Gretta. Hanno
partecipato all'assemblea, oltre alla referente del progetto Microaree a Gretta
Michela Degrassi, la consigliera comunale del Pd Fabiana Martini, il consigliere
di circoscrizione in quota Fi Gianluca Papallo e Selenia Bortelli, presidente
del comitato dei genitori dell'Ic Roiano - Gretta. La situazione - stando a
quanto emerso - sta peggiorando nell'ultimo periodo. Da inizio anno, infatti, si
sono verificati due incidenti che hanno coinvolto due giovani studenti: il primo
a gennaio e il secondo a maggio. In circostanze simili, diversi anni fa, una
donna ha perso la vita. Questi episodi hanno stimolato le preoccupazioni delle
famiglie di Gretta, che a marzo si sono rivolte con una lettera al Comune.
Segnalazione firmata da 234 genitori a cui il sindaco Roberto Dipiazza ha
risposto assicurando l'impegno della giunta sul tema. «Ho paura solo al pensiero
che i miei figli possano attraversare la strada non accompagnati per andare a
scuola o a fare sport - racconta Bortelli -. Gli automobilisti sfrecciano a
velocità altissime ignorando sistematicamente le strisce pedonali, la
segnaletica verticale è assente e l'illuminazione scarsa». Quali le soluzioni?
La situazione di disagio mette d'accordo le diverse parti politiche, come
testimonia l'intervento di Papallo: «A gennaio, dopo l'incidente, ho presentato
una mozione urgente alla quale è seguito un sopralluogo dell'assessore Luisa
Polli, del direttore del Servizio Mobilità e Traffico del Comune Giulio Bernetti
e del consigliere comunale Everest Bertoli. È importante che i rappresentanti di
tutti i partiti, dalla maggioranza all'opposizione, collaborino». Una proposta
arriva da Martini, firmataria di un emendamento al bilancio comunale che prevede
l'acquisto di colonnine porta autovelox per un investimento di 40mila euro:
«Sarebbe il primo passo per affrontare il problema e promuovere la sicurezza
stradale». Così invece Degrassi: «Abbiamo deciso di convocare questo tavolo di
coordinamento, per segnalare all'amministrazione e all'opinione pubblica i
disagi e i pericoli che gli abitanti di Gretta vivono quotidianamente».
(l.a.)
Lo sciacallo dorato riappare sul Carso e fa strage di
galline - Devastato l'allevamento del tredicenne Alex «Voleva attaccare anche la
nonna»
GRADISCA - Lo sciacallo dorato ricompare sul Carso. E fa razzie. L'allarme
viene da San Michele del Carso, dove in un paio di giorni si sono registrate ben
due blitz notturni del temibile predatore. Nella prima circostanza il canide ha
preso di mira il pollaio di un'abitazione sita nel centro abitato, facendo una
vera e propria strage di polli, galline ed oche: ben dodici le vittime della
razzia. Qualche giorno dopo l'amara sorpresa in un'altra zona di San Michele: in
un'abitazione circondata dalla boscaglia sono state ritrovate le carcasse di due
polli. Nel primo caso un testimone oculare, pensando all'assalto di una volpe,
ha invece riconosciuto con chiarezza le tipiche fattezze del predatore dal pelo
grigio. La ricomparsa dello sciacallo dorato è anche la storia di Alex Devetak,
13 anni, nato e cresciuto proprio a San Michele. E' lui ad avere visto devastato
il proprio piccolo allevamento cui teneva molto. Un ragazzo dalle molte
passioni, prima fra tutte quella per gli animali. Fin da piccolo ne ha sempre
avuti e se ne è sempre occupato con amore e dedizione. Alex ha una gran passione
per i polli ornamentali e grazie all'aiuto dei nonni ha potuto costruirsi il suo
primo pollaio dove poter ospitare i suoi nuovi amici. Iscritto nella sezione
Junior dell'AFA, Associazione Friulana Avicoltori, Alex ha deciso di
intraprendere l'hobby dell'allevatore amatoriale di polli spinto dalla sua
grande sensibilità e passione nel voler custodire razze avicole che altrimenti
rischierebbero di scomparire. Cosi grazie alla sua associazione Alex ha potuto
iniziare l'allevamento di alcuni capi di polli e la sua scelta si è rivolta ad
una razza italiana al 100 per cento: la Livorno, accudita con passione e
competenza anche vista la giovane età. La passione di Alex ha vissuto pero' un
brusco risveglio. Qualche mattina fa la nonna di Alex si è alzata presto e come
suo solito verso le cinque di mattina si è recata nel pollaio a portare un po'
di verdura e ad aprire le porte per permettere alle gallinelle di pascolare nel
giardino. All'improvviso una furia appare nel giardino e inizia a scagliarsi
sulle povere bestiole. «Era uno sciacallo, il manto grigio era inconfondibile»,
ha assicurato ai familiari. Ad una ad una la belva ha iniziato a lacerare le
gallinelle indifese. Versi strazianti. «Quello che ci chiediamo - si domandano
gli esponenti dell'associazione Afa - è come faccia un simile animale ad essersi
spinto nel mezzo di una zona abitata, con il sole che sorge e un essere umano
presente. La belva ha provato ad attaccare anche la nonna. Lo sciacallo è un
pericolo anche per gli uomini, Forestale e cacciatori dovrebbero fare qualcosa
per limitare almeno che questi esemplari arrivino sino a un centro abitato».
Quando Alex giunge nel pollaio trova solo carcasse fredde, senza vita. Le sue
amiche, i pulcini che aveva visto crescere e a cui si era dedicato con tutto se
stesso ora erano li davanti a lui, morte. «Possiamo stare sicuri? Chi ci dice
che non tornerà a fare razzia in altre case? - incalza l'Afa, associazione con
sede a Udine -. Chi ci assicura che i nostri animali ma soprattutto i nostri
bambini siano al sicuro? Cosa possiamo fare di fronte a questi predatori? Dove
sono gli enti predisposti a gestire tali situazioni?». La presenza dello
sciacallo dorato in Friuli Venezia Giulia è ormai consolidata. La specie occupa
le nicchie lasciate libere dal lupo o dalla volpe. In Regione le prime
segnalazioni risalgono alla metà degli anni Ottanta. Nel 1997 due individui sono
stati fotografati a Doberdò del Lago e i monitoraggi condotti dall'Università di
Udine hanno evidenziato che i branchi del Carso goriziano sono gli unici a
registrare una permanenza costante in una determinata area.
Luigi Murciano
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 28 giugno 2017
Portualità - Il governo fa decollare il Punto franco di
Trieste
TRIESTE - A quasi trecento anni dalla sua proclamazione, avvenuta nel 1719
con la patente di Carlo VI, il Porto franco di Trieste è stato resuscitato con
un decreto del governo che il ministro di Infrastrutture Graziano Delrio ha
firmato ieri davanti ai triestini nel salone di rappresentanza della Regione che
non a caso evidentemente sorge in quello che fu il Palazzo del Lloyd Triestino.
Un decreto che più di qualcuno, tra i presenti, ha definito di portata epocale.
Grazie al decreto attuativo che norma il regime speciale - e che porta la firma
anche del ministro delle Finanze Pier Carlo Padoan -, vengono prima di tutto
messe nero su bianco tutte le agevolazioni derivanti dell'extraterritorialità
doganale con la libertà di accesso e di stoccaggio illimitato delle merci, il
pagamento differito e la riduzione delle tasse (tutta materia che finora era
rimessa alla libera interpretazione dei vari funzionari doganali). Inoltre, con
un ampliamento di opportunità che per Trieste potrebbe rappresentare un nuovo
1719 (fino ad allora la città era un villaggio di pescatori), si prevede
l'estensione delle agevolazioni anche al settore della trasformazione
industriale delle merci stesse. Caso unico in modo così accentuato a livello
europeo, che potrebbe vedere nel giro di qualche anno l'insediamento di decine
di nuove aziende internazionali nelle aree ex Ezit e sul Canale navigabile. Nel
decreto sono espliciti i richiami all'Allegato VIII del Trattato Internazionale
di pace del 1947, al memorandum di Londra del 1954, ai decreti del commissario
del Governo del 1955 e del 1959 che testimoniano da parte governativa la
vocazione internazionale dello scalo giuliano, come singolo caso particolare nel
panorama del nostro Paese. Ma, come ha sottolineato lo stesso presidente
dell'Autorità di sistema portuale dell'Adriatico orientale Zeno D'Agostino, dal
momento in cui l'Italia è rientrata a governare questo territorio, cioè dal
1954, non c'era una norma che fornisse chiarezza giuridico amministrativa per
l'applicazione di queste prerogative. «Si va a sanare una lacuna normativa che
dal punto di vista gestionale era aperta da più di 60 anni - ha specificato
D'Agostino - stabilendo che sia l'Authority a organizzare, gestire e promuovere
i Punti franchi del Porto franco di Trieste. L'emendamento Russo che permette lo
spostamento dal Porto vecchio unito a questi nuovi poteri - ha aggiunto - ci dà
una capacità organizzativa di un sistema logistico-industriale che ora
rappresenta un unicum a livello continentale. E avere un'area con queste
caratteristiche non a Dubai o a Tangeri ma all'interno dell'Europa, fornisce a
Trieste opportunità immense a livello mondiale. E infatti - ha svelato il
presidente dell'Authority - abbiamo già manifestazioni di interesse sia a
livello immobiliare che industriale per milioni di metri quadrati». Tra i
contenuti salienti del decreto, l'attribuzione all'Authority del potere di
modificare l'area dei Punti franchi. È la novità più importante che attualizza i
principi contenuti nell'Allegato VIII del Trattato di pace: prevede infatti che
la valutazione spetti al presidente del porto, quale soggetto istituzionalmente
deputato alla gestione dei Punti franchi. L'Autorità avrà anche il potere di
autorizzare le attività di manipolazione e trasformazione industriale delle
merci nei Punti franchi, fornendo assistenza agli investitori. «Quando hanno
sentito parlare di Punti franchi, gli occhi a mandorla hanno incominciato a
brillare». Più o meno così D'Agostino aveva sintetizzato i risultati dell'ultima
missione in Cina e già qualche settimana fa funzionari dell'ambasciata di
Pechino in Italia si erano recati in visita allo scalo triestino subito dopo che
le massime autorità cinesi avevano ribadito al premier Paolo Gentiloni
l'interesse per il porto di Trieste. Alla domanda su cosa il governo stia
facendo per fare di Trieste, assieme a Genova il principale gate italiano della
nuova Via della seta, il ministro Delrio ha risposto così: «Stiamo aumentando
gli investimenti nel porto, nei raccordi ferroviari e nella digitalizzazione
delle Dogane e abbiamo completato un adempimento cruciale come questo del
regolamento del Punto franco: sono elementi determinanti che faranno correre
Trieste». All'inizio dell'incontro una raggiante Debora Serracchiani aveva
ricordato come siano 77 i milioni di risorse pubbliche messi a disposizione
negli ultimi anni a favore della componente ferroviaria del porto. «Tutta
l'Italia sta imparando da Trieste come si possano togliere migliaia di Tir dalle
strade - aveva chiosato Delrio - Ora questo porto deve seguire fino in fondo la
propria vocazione internazionale». Soddisfattissimi i molti operatori portuali
intervenuti ieri tra cui Stefano Visintin e Alessandro De Pol, presidenti
rispettivamente di spedizionieri e agenti marittimi, e in particolare Enrico
Samer, Francesco Parisi e Fabrizio Zerbini protagonisti di forti finanziamenti
privati sui Moli V, VI e VII, i primi due con colossi turchi e il terzo con la
società di Pierluigi Maneschi assieme a Msc. Presenti anche alcuni lavoratori
accompagnati dal sindacalista Renato Kneipp.
Silvio Maranzana
«Una svolta epocale che cambierà la città» -
Serracchiani sottolinea le ricadute in termini di attrattività e lavoro.
Dipiazza: «Giornata storica. Mi sono emozionato»
TRIESTE «Una svolta epocale che segna un momento storico per il porto di
Trieste». Così Debora Serracchiani ha definito il regolamento sui Punti franchi
reso operativo ieri. «La firma del decreto - ha continuato la presidente -
significa la possibilità di poter fare manifattura industriale, trasformazione
delle merci e logistica in un sistema doganale unico in Europa. Lo sblocco di
una situazione di stallo che attendeva una soluzione operativa da sessant'anni».
Quanto allo scalo, Serracchiani ha ricordato che «da due anni si sta già
sviluppando con 250 posti in più, ma adesso avrà un'ulteriore impennata che può
tradursi in tanti posti di lavoro». Anche a detta del sindaco Roberto Dipiazza,
questo «è un momento storico per la città e porterà interesse, lavoro e sviluppo
per Trieste perché credo che oggi siamo l'unico scalo d'Europa Porto Franco. Mi
sono emozionato - ha proseguito - perché ho capito l'importanza della giornata.
I triestini forse non lo ricordano, ma il Porto franco era fermo da 20-30 anni.
Ora il decreto attuativo lo sblocca, con grandi opportunità di lavoro e
crescita. Dopo l'approvazione del Piano regolatore e la sdemanializzazione di
Porto vecchio arriva la firma da parte del ministro Delrio del decreto attuativo
per i Punti franchi. In meno di quattro anni assieme a Zeno D'Agostino e a Mario
Sommariva - ha concluso il sindaco - si può davvero sostenere senza peccare di
enfasi eccessiva che abbiamo cambiato il futuro della portualità triestina».
Così il senatore democratico Francesco Russo, raggiunto a Roma dalla decisione
del ministro dei Trasporti. «Ricordo che il giorno della sdemanializzazione in
tanti ci avevano attaccato sostenendo che stavamo togliendo a Trieste la
possibilità di usare le potenzialità della zona franca. In realtà spostando i
Punti franchi lì dove sono funzionali e rendendoli finalmente operativi abbiamo
creato le condizioni perché succeda esattamente il contrario. Finalmente. Questo
ulteriore strumento mette Trieste e il Fvg - ha concluso il senatore dem - in
grado di giocare con ancora più chance le proprie carte sullo scacchiere della
logistica internazionale in particolare alla luce delle opportunità aperte dalla
nuova Via della seta. Alla politica il compito di continuare unitariamente il
lavoro fin qui svolto». Anche il presidente dei deputati del Pd, Ettore Rosato,
ha voluto sottolineare «il lavoro di grande spessore fatto da Delrio,
Serracchiani e D'Agostino per una rivoluzione nel porto di Trieste finora sempre
promessa, ma mai attuata». «È una giornata straordinaria - ha affermato -. I
risultati non tarderanno ad arrivare sia in termini di nuovi insediamenti sia di
creazione di posti di lavoro. Siamo di fronte a un decreto che cambierà
radicalmente in positivo la stessa essenza del nostro porto, ma anche
dell'intera città». Sulla stessa riga la segretaria dem Antonella Grim:
«Governo, Regione e Autorità portuale mettono la firma su un momento di svolta
per la nostra città. Un percorso di grande successo in cui il Pd, a tutti i suoi
livelli istituzionali, in questi anni ha contribuito in modo insostituibile. Ne
siamo fieri». «Sono contento - ha aggiunto il senatore dem Lodovico Sonego - il
decreto è un passo avanti per Trieste e per la regione e contribuirà ad
arricchire lo spettro delle attività che si possono svolgere con profitto nello
scalo ma anche a spingere lo sviluppo dell'intera attività retroportuale».
Soddisfatti anche gli esponenti M5S. «Una grandissima notizia per la città e il
frutto dell'ottimo lavoro svolto dal presidente D'Agostino - afferma il
capogruppo in Comune Paolo Menis -. Si tratta di un atto che chiediamo fin dal
2012 con mozioni a tutti i livelli istituzionali. Purtroppo a quell'epoca il Pd
non aveva minimamente compreso l'importanza di questo strumento, preso dalla
follia di togliere il punto franco dall'area del Porto vecchio. Ora per fortuna
si pone in parte rimedio all'ottusità del centro sinistra».
(s.m.)
I sindacati invocano dialogo e progettualità
Con la firma del ministro Delrio al Decreto attuativo del porto franco di Trieste «si pone fine a una vicenda decennale e si definiscono finalmente le potenzialità del porto e più in generale vengono indicate le straordinarie opportunità, che questo provvedimento arrecherà a tutta l'economia triestina». Lo affermano in una nota la Cgil e la Filt triestine. Definendo il Decreto attuativo «il giusto riconoscimento a una città e al suo porto, del ruolo internazionale, che per anni era stato a loro negato», i Cgil e Filt ritengono «fondamentale che le parti sociali, le amministrazioni e le istituzioni, individuino un luogo di confronto, che potrebbe essere l'ex Ezit, nel quale realizzare quel punto di discussione che può e deve mettere assieme progettualità, innovazione e la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori, in funzione delle realtà esistenti, ma soprattutto per i nuovi insediamenti». Di «risultato storico» parlano anche le Usb provinciali, assegnandone il merito all'impegno dei «lavoratori del Porto franco internazionale»
FERRIERA - L'ISPEZIONE dell'ARPA - «Nube nera a Servola
- Colpa del vento forte»
La polvere che si è alzata domenica mattina attorno alla Ferriera, creando
un nuovo allarme tra i residenti di Servola, è stata causata da un colpo di
vento molto intenso, vento che ha raggiunto la velocità di 100 all'ora nel giro
di appena tre minuti. È l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente,
l'Arpa, che lunedì ha effettuato un sopralluogo all'interno dello stabilimento,
a renderlo noto. La nube color nero-violetto si è sollevata dai parchi minerali
della fabbrica, come già appurato. Un evento che si è verificato nonostante
l'azienda abbia certificato che erano state attivate le contromisure preposte:
«La direzione di Siderurgica Triestina - afferma l'Arpa in un comunicato - ha
esibito ai tecnici dell'Agenzia evidenze dalle quali risulta che domenica erano
attivi i sistemi di bagnatura della superficie dei parchi minerali con sostanze
filmogene». Si tratta, nello specifico, di una pellicola applicata sui cumuli.
Per la direzione dello stabilimento, viene spiegato nella nota, il sollevamento
della polvere è stato un caso «particolarmente gravoso e localizzato», provocato
appunto dal colpo di vento. L'Arpa segnala che tutte le stazioni meteo
installate nel territorio provinciale (Molo Bandiera, Cattinara e Muggia) hanno
registrato tra le 11 e le 12 di domenica raffiche massime fino a 16 metri al
secondo (circa 60 chilometri orari), associate al passaggio di un forte
temporale. Mentre, localmente, la velocità del vento ha toccato valori
superiori. Nel corso del sopralluogo, la direzione di Siderurgica ha riferito
all'Agenzia che è stato ultimato l'impianto di bagnatura attraverso l'aggregante
del carbone, da impiegare durante la fase di scarico dalle navi. Tale sistema
permetterà di trattare in modo opportuno l'intera massa del cumulo e non solo la
superficie come avviene al momento. Un modo per evitare proprio fatti analoghi a
quelli di domenica. «L'attivazione di questo nuovo impianto - aggiunge l'Arpa -
avverrà per la prima volta in occasione del prossimo scarico di carbone,
previsto intorno all'8 luglio». Ma il monitoraggio sullo stabilimento va avanti:
nei prossimi giorni, annuncia il comunicato, l'Arpa proseguirà la verifica del
sistema di bagnatura della superficie dei parchi minerali; inoltre, l'Agenzia
sarà presente durante la prossima operazione di scarico del carbone dalla nave
per accertare la funzionalità del nuovo impianto aggregante. Continua, nel
frattempo, il presidio permanente in piazza Unità anti-Ferriera organizzato dal
Comitato 5 dicembre con la partecipazione di No Smog e FareAmbiente.
Gianpaolo Sarti
Via Cavana - Niente più auto nell'ultimo tratto - La
parte in cui svoltano ora i bus della 24 diventerà pedonale - Via Venezian sarà
percorribile in un unico senso di marcia
Un ultimo tassello per completare l'isola pedonale della lunga via Cavana. È
allo studio degli uffici del servizio Mobilità e traffico infatti una novità che
non resta che attuare, già inserita com'è nel piano del traffico vigente. Novità
che interesserà quel lembo di strada dove svolta il bus 24 risalendo via Felice
Venezian. Da lì via Madonna del Mare diventerà percorribile solo a piedi fino a
via del Bastione. Una mossa che mancava e che l'assessore all'Urbanistica Luisa
Polli punta ora a realizzare per completare l'itinerario vietato alle auto che,
da via Trento, arriva fino a piazza Venezia. Il nuovo percorso del bus - Non si
sa ancora quale giro alternativo faranno i bus in servizio sulla linea 24. Il
nuovo percorso, infatti, andrà deciso insieme ad altri attori. «Dobbiamo
confrontarci con Trieste Trasporti e la Regione, che ora detiene alcune
competenze prima in capo alla Provincia - spiega Polli -. Probabilmente il bus
potrebbe fare lo stesso giro della 30 (che dalle Rive svolta poi in via San
Giorgio, ndr), ma sono solo ipotesi». Proprio per questo la realizzazione del
progetto non ha ancora un data, perché bisogna attendere l'esito del confronto.
Come cambia la viabilità San Michele, che poi prosegue diventando via Felice
Venezian, resterà percorribile dai veicoli a quattro e due ruote. Le auto
potranno andare in un unico senso di marcia (dall'alto verso il basso). Chi
vorrà risalire potrà farlo solo girando a sinistra in via del Bastione e non più
svoltando a sinistra alla fine di via Venezian all'incrocio con via Cavana
perchè quel tratto verrà appunto pedonalizzato. Su via Felice Venezian, che
diventerà così più spaziosa, ci sarà la possibilità di inserire stalli per i
motorini, per le auto dei disabili e per lo carico-scarico. I mezzi che ora
sbucano da via Diaz, non avranno più la possibilità di girare verso via Felice
Venezian, ma solo di proseguire dritto. Rimarrà intatto l'attraversamento
pedonale su via Cavana. I residenti - Chi abita in via Madonna del mare, dovrà
muoversi sfruttando le direttrici via della Valle - via San Michele, e via San
Michele via del Bastione. Sempre gli abitanti di via Madonna del Mare dovranno
rinunciare invece agli stalli per i motorini nel tratto iniziale che, come
detto, diventerà isola pedonale e quindi off-limits a tutti i veicoli, scooter
compresi. ue in via Madonna del Mare. Il piano pedonalizzazioni - La giunta
comunale ha approvato in questi giorni la delibera che permette di inserire
nuovi semafori su via Valdirivo e via Milano agli incroci con via XXX Ottobre
che, da piazza Oberdan a via Torre Bianca, sta per diventare pedonalizzata e
ciclabile. «Valorizziamo l'esistente e rendiamo più fruibile questa parte della
città per tutti gli esercenti che vorranno mettere poi dei dehors davanti ai
propri locali - spiega l'assessore -. Abbiamo concordato con le diverse attività
alcuni spostamenti degli stalli per il carico/scarico e per i parcheggi per
portatori di handicap». Resta invece zona a traffico limitato la parte che va da
via Torre Bianca a via Machiavelli, fruibile solo per l'area parcheggio, che
coinvolge la Guardia di Finanza e chi è alla ricerca di un posteggio blu e deve
accedere ai garage sotterranei. «Ma non è detto che - conclude Polli - in un
futuro, con nuovi contenitori in questa cambi anche questo pezzo».
(b.m.)
Chiampore si libera dalla maxi antenna - Il Consiglio
di Stato sconfessa il Tar e dichiara abusivo il traliccio Finmedia. Demolizione
più probabile rispetto a una multa
MUGGIA «Un grande risultato che conferma la bontà del nostro agire». Laura
Marzi, finalmente, può cantare vittoria: la partita sull'enorme traliccio di
Finmedia srl è stata vinta. Con una sentenza un po' a sorpresa il Consiglio di
Stato di Roma ha ribaltato completamente la sentenza di primo grado fornita dal
Tar Fvg di Trieste a proposito del titolo abilitativo di Finmedia per la
realizzazione appunto di un impianto di diffusione di segnali radiotelevisivi a
Chiampore. A tutti gli effetti, visto che non ci potranno più essere ricorsi, il
traliccio Finmedia alto circa 30 metri è stato dichiarato abusivo. Una sentenza
che quindi rende valido il ricorso in appello amministrativo promosso dal Comune
di Muggia contro la sentenza del Tar del 13 agosto 2015 e che sancisce la
perdita di efficacia immediata del titolo autorizzatorio della società. «Non è
stata una scelta semplice ma, con la stessa grande motivazione e determinazione
che da sempre ha contraddistinto il nostro impegno in questo campo, abbiamo
ricorso in appello dinanzi al Consiglio di Stato per cercare di bloccare
l'antenna di Finmedia a Chiampore», ricorda Marzi. «È sempre grazie alla
determinazione e al duro impegno, infatti, che in questi anni siamo riusciti a
conseguire importanti risultati quali l'abbattimento degli abusivi, con relativo
valore aggiunto dell'ottimizzazione degli impianti esistenti e del miglioramento
del territorio anche sul piano paesaggistico, nonché la riduzione
dell'inquinamento, testimoniata dagli ottimi dati emersi dalla misurazione Arpa:
in quest'ottica non potevamo lasciare alcuna strada intentata, neppure e
soprattutto dopo la sentenza del Tar Fvg», aggiunge il primo cittadino
muggesano. Proprio il Tar aveva disposto l'annullamento dell'ordinanza comunale
che interrompeva i lavori per la realizzazione di un nuovo traliccio per
telecomunicazioni in località Chiampore. L'ordinanza, datata 7 febbraio 2015,
era stata infatti annullata assieme a tutti gli atti connessi con condanna del
Comune di Muggia al pagamento delle spese di lite. Non potendo l'Avvocatura
civica, nella sua composizione, garantire lo svolgimento del patrocinio dinanzi
alle magistrature superiori, il Comune di Muggia aveva registrato la necessità
di affidare l'incarico di difesa e rappresentanza in giudizio ad un legale
esterno, individuato nell'avvocato Sandro Amorosino del Foro di Roma. L'attesa
per la pronuncia del Consiglio di Stato è stata piuttosto lunga, ma, a un anno
dall'udienza pubblica del 28 giugno 2016, non si è dimostrata vana per il
Comune. Soddisfazione viene espressa anche dall'assessore all'Ambiente Laura
Litteri: «Ci sono due motivi per essere particolarmente contenti per questa
vittoria. Da un lato una ulteriore e inappellabile dimostrazione della
correttezza della linea seguita in questi anni dal Comune nel processo di
risanamento dall'inquinamento elettromagnetico a Chiampore. Dall'altro la
riaffermazione del principio di superiorità dell'interesse collettivo, ossia i
cittadini rappresentati dal Comune, sopra interessi puramente economici: la
caparbietà con la quale la società voleva costruire una nuova antenna derivava
semplicemente dalla incapacità di accordarsi per questioni economiche con chi, a
pochi metri, stava erigendo un altro impianto». Litteri annuncia i passi futuri:
«Nei prossimi giorni, assieme ai tecnici e alla nostra Avvocatura, valuteremo
se, in virtù di questa sentenza, potremo accelerare anche la seconda fase della
nostra azione a Chiampore: risolto il prioritario problema dell'inquinamento,
infatti, ora si può pensare anche ad un risanamento paesaggistico». Ed è proprio
questo il nodo più importante da sciogliere ora: che fine farà quel traliccio?
Non prima della fine di luglio il Comune dovrà decidere quali sanzioni applicare
e se conservare o meno il manufatto. Ma la sensazione e che si andrà verso
l'abbattimento.
Riccardo Tosques
Il gas prima fonte di energia in Italia
Lo scorso anno, mentre il costo per le forniture petrolifere è sceso ai
minimi di sempre, per la prima volta nella storia in Italia il gas ha superato
il petrolio diventando la prima fonte di energia. A tirare le fila dei consumi
energetici e più in generale della situazione della filiera lo scorso anno è
stata l'Unione Petrolifera che, nel corso dell'assemblea annuale, è tornata
anche a lanciare l'allarme contro l'illegalità nella distribuzione di
carburanti. Illegalità che si è tradotta per le casse dello Stato in un mancato
introito di circa 2 miliardi sotto forma di evasione di Iva ed accise. In un
appuntamento incentrato quest'anno sul tema della transizione verso uno scenario
'low carbon', il presidente dell'Up Claudio Spinaci, riconfermato oggi per 4
anni, ha assicurato l'impegno dei petrolieri «a guidare un percorso sostenibile
a livello ambientale, industriale e sociale». E in tale ottica ha suggerito
l'importanza di rinnovare il parco auto italiano, tra i più obsoleti in Europa.
Se si pensasse infatti al ricambio di 2 milioni di veicoli all'anno di quei 17
milioni tutt'oggi in circolazione e che risalgono a prima del 2005 (ovvero il
45% dei 37 milioni totali), ha spiegato, potremmo contare su una riduzione delle
emissioni di CO2 del 37% al 2030.
IL PICCOLO - MARTEDI', 27 giugno 2017
Da Barcola a Cattinara - Semafori verso l'addio -
Scatta la fase due della "rivoluzione rotatorie" pianificata dal Comune
Debutto entro fine anno a Valmaura nel piazzale sopra via Baiamonti
Scatta il secondo round della "rivoluzione rotatorie". Dopo via Flavia, la
trasformazione destinata a cambiare le abitudini di automobilisti e motociclisti
toccherà a breve via Baiamonti, via Caboto, Cattinara e viale Miramare-Porto
Vecchio. È lo stesso sindaco Roberto Dipiazza ad anticipare il piano: «Siamo
pronti a togliere i semafori», annuncia. Il primo cittadino fa riferimento
innanzitutto alla zona dell'ingresso sud di Trieste, dunque il versante
Valmaura, che il Comune vorrebbe rendere più scorrevole anche in vista dei
lavori per la ristrutturazione della galleria Montebello, attesi nel 2018. Ma se
per via Caboto-piazzale Cagni per il momento c'è solo un'indicazione di massima
ancora in fase di studio, per via Baiamonti presto si passerà allo step
progettuale. Lo conferma l'assessore con delega all'Urbanistica Luisa Polli: «È
vero, ci stiamo già muovendo. Noi in città abbiamo sostanzialmente due porte
principali, quella di viale Miramare per una direzione, e l'altra su via Flavia
per chi proviene dalla parte opposta. Sicuramente - sottolinea l'assessore - gli
snodi fondamentali su cui interverremo sono quelli elencati dal sindaco». Ma
cosa succederà esattamente in via Baiamonti, incrocio di fondamentale importanza
tanto per chi va verso la periferia, tanto per chi deve raggiungere il centro?
Un punto, tra l'altro, che notoriamente conduce anche a Servola e, per i mezzi
che arrivano dal cimitero di Sant'Anna, in via dell'Istria. Lì, insomma, si
aprono ben quattro direzioni. Il piano è chiaro: via tutti i semafori, sia
quelli in corrispondenza dell'uscita della galleria che quelli che si trovano
nella parte opposta e sul lato di via Baiamonti. E poi spazio a una nuova grande
rotatoria.Il progetto, che sarà pronto entro fine 2017, prevede naturalmente
anche una rivisitazione dei passaggi pedonali dell'intero perimetro. Nelle
scorse settimane i tecnici del Comuni sono andati a verificare diversi aspetti
del futuro assetto viario, a cominciare dal numero di macchine che transitano
nelle fasce orarie della giornata. «Riteniamo che l'introduzione della rotatoria
in via Flavia abbia avuto un impatto sul traffico delle zone successive - spiega
Polli - soprattutto su via Baiamonti che rappresenta il primo grosso incrocio
cruciale, visto che il semaforo di Valmaura all'altezza del Grezar è sicuramente
meno critico. Questo è il nostro indirizzo politico, ora spetta gli uffici
entrare nel merito della fattibilità tecnica stabilendo le modalità possibili.
Non è facile perché ci sono diversi flussi di marcia, quindi bisogna capire con
quale sequenza realizzare le precedenze in modo da non creare ripercussioni sul
traffico, in considerazione del fatto che il prossimo anno prenderanno il via i
cantieri per la galleria di piazza Foraggi. Ma il sindaco ha già incontrato i
miei uffici, il ragionamento è in corso». Soluzioni analoghe saranno attuate
prossimamente anche in altre zone della città. A partire dalla futura rotonda
che troverà spazio in corrispondenza dall'entrata di viale Miramare in Porto
Vecchio, già ampiamente annunciata dalla giunta comunale: il provvedimento, in
fase di progettazione, attende ancora i fondi ministeriali per l'apertura dei
lavori. «Sono i famosi 50 milioni di euro - ricorda Polli - lì si prevede una
bretella di collegamento verso le Rive e una passeggiata con la ciclabile, da
allacciare a quella di Barcola». Mobilità da rivoluzionare pure a Cattinara,
all'altezza del supermercato "Zazzeron": «Al posto di quell'incrocio invertito -
evidenzia l'assessore - andremo a metterci una nuova rotatoria. Anche perché lì
il traffico è effettivamente aumentato e sono già avvenuti molti incidenti».
Dopo l'approvazione del bilancio, partirà pure la gara d'appalto per assegnare
l'intervento. I cantieri, secondo la tabella di marcia della giunta, dovrebbero
cominciare nei prossimi mesi, non oltre il 2017.
Gianpaolo Sarti
E il ring resta in un cassetto chiuso - Dipiazza rinvia
l'anello per le auto attorno a un centro per pedoni e bus elettrici
Il "ring" del Piano del traffico è rimandato a data da destinarsi: con molta
probabilità in questo terzo mandato del sindaco Roberto Dipiazza non si farà,
come ha dichiarato proprio il primo cittadino nell'intervista al Piccolo della
scorsa settimana. Nei prossimi quattro anni, dunque, non verranno attuate altre
maxipedonalizzazioni del centro. E non si darà certamente corso al "ring",
appunto, che prevede un percorso per le automobili che va da San Vito alla
galleria di piazza Goldoni, a via Carducci, piazza Libertà e, quindi, alle Rive.
Il centro, nell'ambito di questo disegno, sarebbe riservato agli autobus
elettrici. La giunta si è data, piuttosto, altre priorità: un progetto per la
sicurezza e per migliorare la mobilità cittadina. «Il Piano del traffico -
osserva l'assessore all'Urbanistica Luisa Polli - è ormai storia. Dopo due anni
è carta straccia: ora è scaduto. C'è una previsione di massima, ma non è
cogente. Adesso ci concentriamo soprattutto sulla sicurezza degli
attraversamenti pedonali e sui limitatori di velocità. Alcune strade, in
particolare, verranno declassificate come "residenziali", in modo da poter
installare i dissuasori. Questo non riguarda le vie di scorrimento, ma
soprattutto le viuzze rionali dove gli automobilisti corrono troppo. Ci
focalizzeremo, ad esempio, su Borgo San Sergio e Opicina con alcune
sperimentazioni poi estendibili in altri punti cittadini».Di pari passo la
giunta si dedicherà a una stesura del Piano della mobilità: «Rientra
parzialmente nel progetto Portis - ricorda Polli - che riguarda da una parte la
viabilità del Porto vecchio, del Porto nuovo e delle Rive, ma anche le vie di
scorrimento del centro. Si inizierà con qualche intervento di pedonalizzazione
simile a quello di via XXX ottobre, dunque procederemo a piccoli passi perché
abbiamo visto che i cittadini si abituano più facilmente se le modifiche sono
graduali. Anche perché solo così si riesce a valutare l'impatto sul traffico e
pure sui pedoni. Serve una visione d'insieme». A proposito di progetto Portis,
va ricordato che se ne parla dal marzo 2016. L'acronimo sta per Port-cities
Integrating Sustainability ed è opera di un consorzio formato da cinque città
portuali europee - Aberdeen, Anversa, Costanza, Klaipeda e, per l'appunto,
Trieste - che si era aggiudicato ben 16,7 milioni di euro da parte dell'Unione
Europea nell'ambito di Horizon 2020. Da questi fondi, ecco i due milioni e
779mila euro che sono andati proprio a Trieste per l'elaborazione di proposte
innovative e a misura d'uomo volte a rafforzare l'integrazione tra la città e il
suo porto. E l'opposizione in Comune? Non aspetta in silenzio. Già due mesi fa
l'ex assessore Elena Marchigiani aveva contestato quelle che a suo dire sono le
non scelte in materia dell'attuale giunta. «Se il nostro Piano del traffico non
va bene, allora ne facciano un altro. Cosa fanno al posto di ciò che buttano
via?». Più che il "ring" a bruciare è stata la possibilità, cassata, di una via
Mazzini "free", che era stata molto discussa con i commercianti e la
cittadinanza.«Dopo due anni di confronto pubblico - aveva sottolineato la
docente universitaria, esperta di Urbanistica - ci vuole una bella
responsabilità a bloccare tutto. La città ha bisogno di interventi sulla
mobilità, innanzitutto per l'inquinamento e la salute» . E ancora: «La
pedonalizzazione di via Mazzini andava di pari passo agli interventi su Corso
Italia, dove sarebbero stati dirottati i bus e tolte le auto. Era tutto un
disegno complessivo. Ma questa amministrazione non ha in mente un progetto
d'insieme, non se ne sta proprio occupando. Non fanno e non faranno nulla. Una
giunta non può concentrarsi solo sui regolamenti di polizia e sulla pulitura
delle caditoie, dovrebbe avere iniziative di grande respiro. Anche perché l'idea
di allontanare le automobili dal centro è applicata ovunque».
(g.s.)
Raffica di posteggi per moto e scooter - In arrivo 230
nuovi stalli riservati solamente alle due ruote - Via Battisti, Carducci e San
Spiridione tra le zone interessate
Da via Battisti a via Carducci, passando per via Imbriani, via San
Spiridione e via Molino a Vento, ma anche Campi Elisi, Valmaura e Ponziana. La
giunta Dipiazza, su iniziativa dell'assessore all'Urbanistica Luisa Polli, cala
un altro asso: un'ordinanza comunale per aggiungere nel centro cittadino nuovi
posteggi per i motorini e posti auto per i disabili. Sono 230 in tutto. Un
provvedimento atteso, vista la penuria di stalli che spesso rende la vita
difficile agli scooteristi. L'intenzione, precisa il documento del municipio, è
«soddisfare l'aumentata domanda di sosta di ciclomotori e motocicli». Nelle
scorse settimane gli uffici preposti hanno concluso le verifiche sulle zone in
cui andrà predisposta la segnaletica, in modo da non gravare sulla circolazione
veicolare. I parcheggi troveranno spazio in via Battisti, sul lato dei civici
dispari, in particolare sul marciapiede all'intersezione con via Polonio e via
Gatteri. E poi in via Carducci, sul lato dei civici pari, nel tratto tra il
semaforo di via Crispi e via Battisti; in via Commerciale, sul lato dei civici
dispari, nel tratto compreso tra il civico 27B e il 29; in via Imbriani.
L'elenco dell'ordinanza continua con via d'Isella, in Ponziana, tra via
Orlandini e via Ucekar; via del Molino a Vento nei pressi del civico 158 e via
dei Salici all'altezza del civico 4. Tornando nuovamente verso il centro, nuovi
posteggi pure in via Slataper, tra piazza dell'Ospitale e via del Toro. Nella
lista figura pure via San Spiridione, sul lato dei civici dispari, nel tratto
compreso tra via Genova e piazza Sant'Antonio. Altri posteggi, inoltre, pure in
viale dei Campi Elisi, sul lato dei civici pari, all'altezza del civico 58 e in
via De Amicis in corrispondenza del civico 9C, tra il palo luce e il varco di
accesso all'area privata. Per la parte più periferica sono previsti posti in
piazza Foraggi, tra l'uscita del distributore di benzina e l'immissione di via
Signorelli; piazzale Valmaura, immediatamente prima dell'attraversamento
pedonale posizionato in corrispondenza dell'accesso carrabile della parrocchia
della Beata Vergine Addolorata. L'ordinanza prosegue annunciando per i prossimi
giorni la rimozione dei segnali stradali in contrasto con le nuove dsiposizioni
e il posizionamento della segnaletica stradale che definirà l'esatta
collocazione degli stalli. I posteggi di via Carducci, all'altezza dei lavori
sul torrente Chiave, saranno invece spostati provvisoriamente tra via Carducci e
via Crispi, in modo da poter allargare il cantiere e garantire lo spazio
sufficiente per le corsie di scorrimento.
(g.s.)
IL PICCOLO - LUNEDI', 26 giugno 2017
Opere pubbliche -» gli interventi - Via XXX Ottobre
diventa pedonale - E Campagna Prandi torna alla città
Pisus agli sgoccioli. Gli eurofondi per i Piani integrati di sviluppo urbano
sostenibile delle aree urbane sbloccati nel 2015 con la giunta Cosolini, che
l'amministrazione Dipiazza dovrà rendicontare entro il 2019, stanno per essere
esauriti, in particolare per la parte dedicata alla riqualificazione urbana.
Ovvero uno dei tre filoni di finanziamento concesso al Comune di Trieste,
arrivato secondo dopo Tarvisio nella graduatoria degli enti del Fvg. Ciò vuol
dire che i principali lavori dei progetti volti ad aumentare la qualità urbana e
migliorare l'accessibilità all'area del centro storico dal punto di vista della
mobilità sostenibile - questo uno dei tre indirizzi - sono finalmente partiti e,
a parte il rinnovo del piano terra di palazzo Biserini, verranno terminati entro
il 2017. Avviati non senza lunghi intralci dovuti a ricorsi di qua e di là da
parte di enti e imprese. Quasi sei milioni dei totali 8,5 sono stati sfruttati
per dare vita alla pedonalizzazione di via XXX Ottobre, al tetto del Salone
degli Incanti con una guaina fotovoltaica, a Campagna Prandi con la riapertura
degli spazi e a una rivitalizzazione di piazza Hortis. Una preziosa iniezione di
fondi derivanti per 5,654milioni dall'adesione al Piano di azione e coesione
della Ue (Pac), per 2,7 dal Comune e per 144mila euro dall'ente camerale. Ecco
gli interventi. Sono in dirittura d'arrivo i cantieri che riconsegneranno alla
città al massimo entro settembre Campagna Prandi (198mila euro) e piazza Hortis
(200mila euro). Nel primo caso si apre finalmente il sentiero tra il giardino di
via San Michele a via Tor San Lorenzo, area acquistata dal conte Giacomo Prandi
a fine '700, dove aveva costruito la sua villa, un edificio padronale circondato
da un parco, la prima vera casa importante della strada, dove è stata realizzata
anche una grotta artificiale. L'intervento prevede un disboscamento
dell'appezzamento di terra che è diventato nel tempo una specie di foresta. Vi
si potrà accedere da una nuova entrata del parco accanto o appunto da via Tor
San Lorenzo. Resterà chiuso invece l'antico portone che dà su via San Michele.
Le risorse economiche però sono troppo esigue per riuscire a fornire tanti
ornamenti come panchine e altro, sottolinea il direttore dei lavori Carmelo
Trovato. Ma l'assessore ai Lavori Pubblici Elisa Lodi non esclude in futuro per
terminare l'arredamento di questo piccolo polmone verde nuove iniezioni di
liquidità da parte del Comune. «Per il momento non vengono nemmeno tolte le
barriere architettoniche - spiega Trovato - perché l'eliminazione della pendenza
non lo permetteva». Quanto al giardino tra l'istituto Nautico e palazzo Biserini
verrà riqualificata l'area verde e quella dei giochi (il risultato è già
visibile in parte ora) con attrazioni nuove di zecca (anche inclusive, grazie al
contributo della Fondazione CRTrieste), pavimentazione antitrauma, fontanelle,
illuminazione a led, rivestimento di ghiaia compatta adatta anche al passaggio
delle sedie a rotelle e uno spazio con lastricato in legno. C'è pure un po' di
High-line newyorkese in centro storico, perché le panchine saranno quelle
continue come appunto nella zona completamente restaurata nella Grande Mela. È
passata sotto l'incudine del ricorso al Tar (intrapreso dall'impresa seconda
classificata nella gara, che contestava l'applicazione del codice appalti da
parte del Comune), ma ce l'ha fatta: la pedonalizzazione di via XXX Ottobre,
stile via Trento, che con 900mila euro vedrà trasformato in particolare il
tratto dall'agenzia viaggi fino a piazza Oberdan, lasciandola parte precedente
accessibile alle auto solo per il parcheggio, diventando una zona a traffico
limitato. La gara è stata espletata, l'amministrazione deve accordarsi con gli
esercenti della via per pianificare l'inizio lavori (in teoria partendo da
piazza Oberdan), che dovrebbe cominciare nelle prossime settimane. E infine in
questi giorni dovrebbero essere aperte le buste per il montaggio della guaina
fotovoltaica dell'energivoro Salone degli Incanti, che ha subìto un ritardo
nell'installazione a causa dell'istanza di precontenzioso presentata
dall'Associazione imprenditoriale degli edili e dei costruttori, respinta
dall'Agenzia anti-corruzione, sull'obbligo per le imprese edili di avere i
cosiddetti "criteri ambientali minimi". Saranno 150 i giorni di lavoro per un'ex
Pescheria al passo con i tempi.
di Benedetta Moro
L'associazione Andandes «Pronti a gestire il nuovo
parco»
L'Associazione Andandes, tramite la sua portavoce Laura Flores, che ha preso
in mano la gestione del giardino di via San Michele nel 1999, ci tiene a parlare
del futuro del parco stesso collegato al rinascente parco di Campagna Prandi.
«Vorremo poter continuare lo stesso progetto culturale ed educativo avviato in
questo giardino anche in Campagna Prandi in sinergia con il Comune - spiega
Flores - ma, quando parlo di noi, intendo anche tutti i cittadini e vicini che
abitano in questa zona, vogliamo sentirci partecipi di questa nuova opportunità
e per questo ci rendiamo disponibili alla collaborazione per la gestione di
Campagna Prandi, che senza un giusto controllo, potrebbe finire nel degrado,
come sarebbe finito questo spazio se non ci fosse stato qualcuno che ogni giorno
si occupasse di supervisionare l'area». Per questo Flores pensa a un progetto
per Campagna Prandi «a cui collabori tutta la giunta, dall'assessore
all'Urbanistica a quello al Turismo, dall'assessore al Sociale a quello al Verde
pubblico. In modo da creare qualcosa di strutturato».
Cupola in vetro, bar e shop nell'ex Biblioteca civica -
Conto alla rovescia per i lavori di riqualificazione da due milioni
dell'edificio
Nella corte interna laboratori per ragazzi, eventi culturali e spazi
espositivi
Piazza Hortis rivivrà anche per merito di una "sorella agorà" che accoglierà
i visitatori di palazzo Biserini e li metterà direttamente in comunicazione con
gli spazi all'aperto. Il piano terra, ex sede della Biblioteca civica, sta
infatti per rivedere la luce sempre grazie ai fondi Pisus. Offrirà nuovi spazi
che affiancheranno l'attuale emeroteca e proporrà una nuova copertura in vetro
stile Galleria del Tergesteo o, azzardando, stile Louvre. La nuova versione
dell'edificio, che ha ospitato per anni il Museo di storia naturale oggi in via
dei Tominz, prevede la realizzazione di una sala polifunzionale in grado di
accogliere un laboratorio per ragazzi, eventi e manifestazioni socio-culturali
nonché, parzialmente, uno spazio espositivo per temporary shop. Inoltre
contempla la creazione di un'emeroteca per ragazzi con attiguo archivio a
scaffale aperto. Il progetto vale due milioni e mezzo di euro, la parte più
consistente del Piano di sviluppo urbano sostenibile, e in realtà parte già nel
2004 con il "progetto preliminare per la ristrutturazione con il recupero
architettonico e funzionale" del palazzo, sempre a firma della prima giunta
Dipiazza, che oggi si ritrova ad approvare il progetto esecutivo. L'anno e mezzo
di lavori previsti darà particolare importanza alla creazione di un percorso
interno con uno spazio di aggregazione mediante il restauro dell'atrio
principale, dell'accesso da via SS. Martiri, della corte interna chiusa da anni
(con la sua copertura) e alla realizzazione di un bar interno. Il lucernaio sarà
in acciaio, alluminio e vetro a quattro falde, parzialmente apribile. «È
finalizzata - viene specificato nella relazione tecnica - a rendere la corte
interna maggiormente fruibile destinandola a "zona viva" dove organizzare eventi
legati alle attività bibliotecarie o semplicemente come punto di comunicazione e
aggiornamento verso l'esterno delle attività svolte dall'istituto. Il fruitore
potrà così, attraversando l'edificio, prendere cognizione attraverso la corte
delle attività svolte e dei servizi proposti all'utenza, nonché delle attività
ludico-culturali collaterali». I cantieri partiranno a breve, non appena si sarà
conclusa la gara, ulteriormente posticipata a causa di un'istanza di
precontenzioso presentata dall'Ance Fvg all'Anac, che l'ha rifiutata, verso la
stazione appaltante (ovvero il Municipio) perché richiedeva alle aziende
partecipanti di documentare certificazioni ambientali Emas e ISO14001 oppure
«prove di misure equivalenti». Il bando non era piaciuto all'associazione dei
costruttori triestini in quanto a loro dire avrebbe rischiato di tagliare fuori
gran parte delle imprese locali prive di quel tipo di requisito. Non è ancora
arrivato invece il momento di restaurare tutti gli altri piani dell'edificio. Al
momento i fondi non ci sono.
(b.m.)
Nuvola nera in Ferriera, allarme a Servola - L'azienda:
«Solo una dispersione di polveri causata dal vento. A giorni il progetto sui
parchi minerari». Oggi ispezione dell'Arpa
Ancora una fumata dalla Ferriera di Servola, anche se questa volta gli
impianti dell'area a caldo non c'entrano. È successo ieri mattina poco prima di
mezzogiorno. Improvvisamente, come in analoghe recenti occasioni, dallo
stabilimento industriale si è levata una fitta nube di color nero-violetto che
in pochi minuti ha saturato la zona circostante di una caligine piuttosto
corposa, anche per la concomitante presenza di un vento sostenuto che, secondo
le ricostruzioni dell'azienda, è stato di fatto il responsabile dell'incidente.
Alla fine la nuvola si è dissolta in circa mezz'ora. Ma sono state numerosissime
le segnalazioni dei lettori pervenute alla redazione del Piccolo, mentre sul web
la notizia si diffondeva in tempo reale. Non risultano, invece, chiamate ai
vigili del fuoco o altre forze dell'ordine. L'Agenzia regionale per la
protezione dell'Ambiente (Arpa) ha immediatamente fatto sapere che oggi
effettuerà un'ispezione per verificare le cause della dispersione delle polveri.
«Andrà verificato - ha fatto sapere l'agenzia - se la cosiddetta "filmatura" dei
cumuli di polveri sia stata effettuata o no e, nel caso sia stata effettuata, se
la specifica tipologia dell'intervento sia adeguata a evitare il ripetersi di
simili fenomeni. Va rilevata peraltro l'alta attendibilità delle previsioni
meteorologiche, secondo cui ci sarebbe stato maltempo con vento forte». Proprio
il vento forte, come detto, è stato l'elemento scatenante chiamato in causa nel
pomeriggio dall'azienda. «Non si è trattato di una fumata nera - ha fatto sapere
nel pomeriggio Siderurgica Triestina attraverso l'ufficio stampa - ma di uno
spolveramento. In altre parole una grande quantità di polvere si è sollevata dal
deposito in modo improvviso e inaspettato, visto che il clima è cambiato
letteralmente da un momento all'altro, ed è "volata" via». Situazioni del genere
si erano già verificate in passato ma, proprio per evitarle, l'azienda aveva
messo in atto tutta una serie di accorgimenti, operativi anche ieri. «In quel
momento - si legge nella nota - nello stabilimento erano attivati tutti i
presidi ambientali di bagnatura per rendere le polveri compatte e non volatili
ma l'improvvisa ondata di vento le ha fatte sollevare egualmente». Cosa non ha
funzionato, allora? Da cosa è dipesa questa fuoriuscita sgradita? Si parla al
riguardo di una sorta di "groppo" di vento, una sorta di "neverin", ben noto ai
velisti, che in pochi istanti riesce letteralmente a innescare una sorta di
mini-bufera e a mettere a rischio la stessa navigazione, figurarsi un deposito
di polveri giacenti. Siderurgica Triestina comunque, prosegue l'ufficio stampa,
è decisa ad affrontare ogni tipo di evenienza, adottando gli interventi
strutturali più idonei. E in quest'ottica l'azienda ha voluto anche ricordare
che «l'atteso progetto di copertura dei parchi minerali, nato proprio per
evitare problemi come quelli verificatisi ieri, verrà presentato alla Conferenza
dei servizi per il rinnovo dell'Aia della Regione entro i primi di luglio».
(f.b.)
Esponenti di Forza Italia "in tour" nel rione per
illustrare le strategie del Municipio
Un incontro con i cittadini di Servola sulle azioni intraprese dal Comune in
relazione all'attività della Ferriera. Protagonisti il capogruppo di Forza
Italia in Municipio, Piero Camber, e il suo vice Alberto Polacco. Nel corso del
confronto i due esponenti della maggioranza hanno ricordato prima di tutto
l'ordinanza del novembre 2016 con la quale il sindaco ha intimato alla proprietà
di limitare la produzione di ghisa. «A quell'ordinanza - spiega Camber - sono
seguite poi svariate richieste ad AsuiTs e Arpa in tema di rischi per la salute
dei servolani, la recente diffida alla proprietà sulla copertura dei parchi e,
da ultimo, l'ordinanza con la quale si è chiesta la verifica di staticità e
funzionalità di parte dell'impianto. Fatti e non parole quindi - conclude Camber
in risposta a chi, come i Cinquestelle, hanno accusato la maggioranza di
inattività su questo tema - a dimostrazione che il Comune sta da solo portando
avanti una battaglia sulla quale la Regione non può continuare a far finta di
niente».
IL PICCOLO - DOMENICA, 25 giugno 2017
Quintali di rifiuti dal fondale di Barcola - Successo
dell'operazione pulizia voluta da tre club nautici. Emersi motori marini,
pneumatici e persino un frigorifero
Una sessantina di pneumatici, una mezza dozzina di motori fuoribordo - roba
da 100-150 kg, mica motorini - sporcizia assortita. Persino una bottiglie di
spumante ancora sigillata (e qui, non essendo il primo caso, bisognerà
incominciare a investigare su chi compone questo club di spreconi...). Tutto
emerso dal fondale marino e frutto di anni di incuria e scarso senso civico. Le
società nautiche che hanno le proprie basi logistiche e concessioni dei posti
barca nel porticciolo di Barcola hanno dato vita ieri, sotto l'inclemente
calura, a una pulizia radicale dello specchio acqueo. L'iniziativa si deve alle
Società Velica di Barcola e Grignano, Amici del Bunker e Sirena, che sono
riusciti a coinvolgere Italspurghi, il Comune e AcegasApsAmga. E a suscitare
l'interesse dello stesso governatore del Fvg, Debora Serracchiani, presente ieri
ai lavori di pulizia. Dalle 8 alle 18 una quindicina di subacquei istruttori
Cmas titolari di centri immersione in varie zone d'Italia coordinati dal
vicepresidente degli Amici del Bunker Franco Macinelli, hanno percorso in lungo
e in largo il fondale individuando i pezzi da rimuovere. Fondamentale, in tal
senso si è rivelata la presenza dei mezzi dell'Italspurghi, perchè solo
avvalendosi di appositi palloni da sollevamento è stato possibile far emergere
dal fondo del porto certi rifiuti ingombranti e molto pesanti. Tra gli altri
hanno rivisto la luce anche un frigorifero, e varie batterie di automobile. Non
sono mancati neanche i residui, diciamo così, stratificati, relativi ai relitti
di piccole imbarcazioni che hanno pagato pegno alle mareggiate degli ultimi
anni. L'iniziativa vuole essere - hanno spiegato in una nota i presidenti dei
tre circoli sportivi - anche una sensibilizzazione nei confronti delle persone
che vivono il porticciolo a mantenerlo pulito, a salvaguardia dell'ambiente e
del mare in particolare. «Sono stato colpito - racconta Mitja Gialuz della Svbg
- dal fatto che per la prima volta i bagnanti non si sono lamentati e, anzi, in
certi casi hanno anche aiutato. Segno che la consapevolezza sull'ambiente sta
crescendo». Dopo che le immondizie sono state smaltite da Italspurghi e Acegas
Aps non è mancato un momento di convivialità, che si ripeterà oggi, con il
Sirena a fornire il vino e la Svbg i prosciutti. Oggi toccherà agli Amici del
Bunker fornire il pesce, per un pranzo all'insegna della collaborazione e della
tutela del territorio«Una bella iniziativa - conferma Mitja Gialuz - che ha
visto coinvolti anche i soci degli Amici del mare, che dal 1 gennaio scorso sono
confluiti nella Svbg. Una vera festa del porticciolo oltre che un'operazione di
sensibilizzazione che mi sembra decisamente andata a buon fine».
(f.b.).
Strade e aiuole sporche - Maxi multa per l'Acegas -
Sanzioni da 170mila euro inflitte dal Comune per carenze nei servizi di pulizia
Le irregolarità più numerose in Piazzale della Risiera, via Lorenzetti e
via Rigutti
La somma fa circa 170 mila euro. A tanto ammonta la maxi sanzione per le
inadempienze contrattuali che gli uffici del Comune hanno rilevato, controllando
l'igiene urbana gestita da AcegasApsAmga tra il 2014 e il 2016. Diserbamenti
marciapiedi e cigli stradali, spazzamento strade, riparazione contenitori: le
pratiche erano andate un po' a rilento, poi l'accelerazione data nell'ultimo
bimestre, con otto determine sfornate dal servizio ambiente&energia, ha
consentito di chiudere il dossier e di presentare il conto all'utility,
controllata dal gruppo Hera, di cui il Comune è azionista con il 4,6%. La
"regina" delle penali applicate dal Comune riguarda i 144.277,80 euro appioppati
alla voce "diserbamento marciapiedi e cigli stradali" sul 2015: il testo della
determina 1320/2017 - si tratta di formulazioni standard reiterate negli altri
atti con la sola differenza della tipologia di servizio - evidenzia la «mancata
attuazione delle prestazioni contrattualmente previste» mirate a eliminare
«arbusti ingombranti, sterpaglia o erbacce». Alle contestazioni espresse dal
servizio comunale ambiente&energia, afferente all'Area città-territorio e alla
delega assessorile della leghista Luisa Polli, AcegasApsAmga «non ha fornito ...
delle motivazioni esaustive dei fatti», «pertanto l'ufficio non le ha ritenute
sufficienti a rendere ingiustificate le applicazioni delle penali».In allegato
l'elenco dei 35 siti che, a giudizio del Comune, sono stati ignorati o
scarsamente curati dall'utility. Si tratta in genere di zone periferiche o
semi-periferiche, a nord come a sud della città, da Gretta a Campanelle, dal
Centro di fisica a Valmaura, da San Giacomo a Servola. Vediamo allora una
campionatura delle strade "inquisite": via Beirut, via Venzone, via Carmelitani,
via Dell'Acqua, via Costalunga, via Pigafetta, via Caboto, via Vigneti, via
Soncini, via Davis, via del Veltro ... Ma ci sono anche zone più centrali, come
via Leghissa e via Risorta. Le più "multate" risultano piazzale Risiera, via
Colleoni-Lorenzetti, via Rigutti-Pollaiolo, con oltre 10 mila euro di penalità
cadauna.In genere - spiegano dagli uffici del Municipio - le verifiche comunali
avvengono in seguito a segnalazioni dei residenti. Poi parte una particolare
procedura, che vede una sorta di contraddittorio tra Comune e AcegasApsAmga, a
base di contestazioni e di repliche. Con le otto determine dovrebbe essersi
esaurita l'integrazione delle istruttorie, relative alle annate 2014-16: a
firmarle la "posizione organizzativa", che segue il contratto di igiene urbana,
Alberto Rigo. La volontà dell'amministrazione - precisano dagli uffici - non è
quella di "punire" l'azienda affidataria, ma è piuttosto quella di rendere più
efficace lo svolgimento del servizio, sul quale l'attenzione del
cittadino-utente tende a essere piuttosto occhiuta. D'altronde, come si è potuto
constatare quando a marzo il Consiglio comunale ha discusso il Piano
economico-finanziario della gestione ambientale, il complessivo, che
AcegasApsAmga fattura al Municipio triestino, ammonta a quasi 30 milioni di
euro. In particolare, il totale del servizio "a corpo" supera i 22 milioni di
euro. Sono cifre importanti. Tra le novità programmate nel 2017 c'è la
sperimentazione del progetto "pulizie radicali", che è già stato rodato in due
luoghi urbani, a Servola e Valmaura.
Massimo Greco
Porto vecchio dreaming fa il salto - L'evento, nato per
raccogliere spunti e idee, cambia pelle e diventa associazione
"Porto vecchio Dreaming" da evento diventa associazione. Nel maggio scorso
il Rotary Club Trieste, in collaborazione con Il Piccolo e con il patrocinio
dell'Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico orientale, aveva raccolto
una dozzina di progetti elaborati dalla cittadinanza sul tema del Porto vecchio:
questi erano stati poi presentati nel corso di una conferenza alla centrale
idrodinamica. Nel corso dell'ultima conviviale del Rotary Club la presidente
Cristina Pedicchio e Pierpaolo Ferrante, ideatore dell'iniziativa, hanno
annunciato la nascita di un'associazione che avrà lo scopo di proseguire nello
spirito dell'evento. Il nome resta quello, "Porto vecchio Dreaming": «È un nome
nato sulle note dei Mamas and Papas - ha spiegato Ferrante -. Da quando il
Comune è diventato proprietario del Porto vecchio, abbiamo pensato fosse il
momento di sognare il futuro, ma partendo dal basso». Per questo è stata ideata
un'iniziativa che desse la parola ai cittadini: «Il successo è stato
straordinario. Oltre dieci proposte di altissimo livello, presentate in cinque
minuti ciascuna dai gruppi di cittadini. Le autorità hanno potuto discutere gli
spunti della popolazione». L'associazione opererà per promuovere lo sviluppo del
Porto vecchio anche attraverso momenti di divulgazione, incontro e studio.
L'adesione è gratuita, e agirà sulla base di contributi volontari, di
associazioni, istituzioni. «Il desiderio - ha concluso Ferrante - è di fare
qualcosa di positivo per la città». Sempre in "casa Rotary" va registrata una
seconda iniziativa: la presentazione della guida dedicata all'ex Ospedale
militare, prezioso tassello del patrimonio storico della città, recentemente
tornato al pieno splendore dopo una lunga opera di restauro. Il complesso è
stato costruito tra il 1863 e il 1866 su progetto del maggiore Romano Roszner,
comandante del Genio militare Austriaco, sulle pendici del colle che fiancheggia
via Fabio Severo. La guida dedicata a quel complesso si inserisce nella serie di
volumi dedicati ai musei e ai monumenti che, da oltre 27 anni, il Club realizza
per valorizzare i luoghi della città.
Ciclisti in pressing per far decollare la
Trieste-Muggia
TRIESTE - Una ciclabile tra Trieste e Muggia, con un'ipotesi di
realizzazione in tre anni e un costo di poche decine di migliaia di euro, una
soluzione a vantaggio dei triestini che si muovono in bici, che favorirebbe
anche i percorsi cicloturistici del territorio. A presentare il progetto della
pista tra la galleria di Montebello e il centro di Muggia, con un itinerario
ciclabile continuo, veloce e sicuro, è stata la Fiab di Trieste che, in una
conferenza stampa, ha illustrato i dettagli del piano. Prossimo passo
sollecitare i due comuni, per valutare la possibilità di avviare concretamente i
lavori. «Investire sul cicloturismo vuol dire creare sviluppo economico - ha
esordio Luca Mastropasqua, presidente Fiab - con ricadute importanti, come
dimostrano esempi di altre città, in Italia e in Europa, che hanno puntato su
percorsi per le biciclette. E ovviamente costituisce anche un supporto per chi
ha scelto in città la mobilità sostenibile». A spiegare i dettagli dell'opera
Federico Zadnich, coordinatore regionale Fiab Fvg. «È una ciclabile di otto
chilometri, che necessita di risorse contenute, poche decine di migliaia di
euro, da impiegare principalmente nella segnaletica orizzontale e nella
creazione di un cordolo di protezione. Uno dei punti di forza è rappresentato
dal fatto che parliamo di un'infrastruttura leggera, che attraverserebbe rioni
molto popolati e senza particolari pendenze, dove sono presenti attività
commerciali e industriali. Una ciclabile che potrebbe quindi dare un'importate
spinta all'uso della bici come mezzo di mobilità quotidiana. Un altro punto di
forza - prosegue - è che si trova lungo l'itinerario cicloturistico EuroVelo8
Cadice-Atene e che farebbe arrivare la ciclovia Parenzana fino al centro di
Trieste». E sull'aspetto turistico è stato posta particolare attenzione, visto
che sono già una decina i tour operator che propongono pacchetti di viaggi in
bici includendo proprio il capoluogo giuliano. «Sono ventimila i cicloturisti
passati nel 2015 da Trieste a Muggia, numeri che potrebbero crescere ancora di
più grazie alla realizzazione della ciclabile - prosegue Zadnich - e si tratta
di un intervento poco invasivo». Attraverso foto e rendering, Fiab ha mostrato
il progetto, che prevede la realizzazione in alcuni tratti con corsie per bici
in entrambe le direzioni, in altri spazi con misure di sicurezza nuove, da
adottare anche a tutela dei pedoni. «Ora Fiab mette a disposizione questa
proposta ai Comuni di Trieste e Muggia e chiede che si apra un tavolo tecnico
per vedere se è possibile avviare nei prossimi mesi un percorso che porti alla
stesura di un progetto esecutivo da presentare alla Regione per recuperare i
finanziamenti per realizzare l'opera. Se tutti gli attori in gioco lavoreranno
in modo concreto - concludono da Fiab - fra 36 mesi si potrebbe già pedalare sul
percorso».
Micol Brusaferro
IL SOLE 24ORE - SABATO, 24 giugno 2017
Dopo 15 anni la Toscana dice no al rigassificatore di Rosignano
Dopo mesi di riflessione, arriva il verdetto: la Regione
Toscana dice no al rigassificatore di Rosignano, sulla costa toscana a sud di
Livorno, proposto nel 2002 da Edison con Bp e gruppo chimico Solvay e “risorto”
un anno e mezzo fa, quando Edison ha presentato una revisione al progetto. Ora
la Giunta regionale mette la parola “fine” sull’investimento da 650 milioni di
euro: con una delibera di pochi giorni fa, promossa dal presidente Enrico Rossi,
ha espresso all’unanimità parere negativo sulla realizzazione del progetto
ritenendo «non opportuno l’incremento che produrrebbe sull’attuale livello delle
pressioni sulle matrici ambientali dell’area».
La Regione si è dunque allineata alla volontà del sindaco del Comune di
Rosignano Marittimo, Alessandro Franchi, contrario alla revisione del progetto
del rigassificatore per i possibili rischi sull’ambiente che, a suo avviso,
avrebbero richiesto un nuovo studio di impatto ambientale. Contrari al
rigassificatore anche alcuni comitati locali appoggiati da Movimento 5 Stelle e
Sì-Toscana a sinistra. La nuova versione del progetto Edison prevedeva un
terminale di stoccaggio del gas naturale liquido con una capacità di 8 miliardi
di metri cubi l’anno, localizzato nella parte sud del complesso industriale
Solvay, e un allungamento del pontile per l’attracco non solo di navi metaniere,
ma anche di bettoline. La prospettiva di Edison era infatti quella di rispondere
alla futura domanda di gas per le grandi navi a gasolio, che avranno lo stop
dall’Europa, e i camion ad alta percorrenza. Rosignano, secondo il gruppo
energetico, sarebbe stata una location ideale per la vicinanza con i porti di
Piombino, Livorno e Genova, e avrebbe potuto essere un hub
dell’approvvigionamento navale e terrestre del Gnl. Secondo Edison, inoltre,
questo progetto si sarebbe integrato perfettamente con lo stabilimento Solvay
che produce soda, rispondendo alle esigenze di gas manifestate da tempo dal
gruppo chimico, e avrebbe avuto le potenzialità per attrarre nuove attività
industriali.
La partita sul rigassificatore di Rosignano è iniziata 15 anni fa: proposto nel
2002, bocciato dalle istituzioni locali, è stato modificato nel 2005 e ha
ottenuto la valutazione d’impatto ambientale (Via) con prescrizioni nel 2010;
fino alla modifica del dicembre 2015, quando Edison ha presentato una “revisione
alla variante progetto Rosignano”. La Regione Toscana, che dieci anni fa aveva
bocciato il progetto con la motivazione (anche) di aver già autorizzato il
rigassificatore offshore al largo di Livorno (oggi in funzione), si è mantenuta
cauta per mesi, annunciando che avrebbe espresso una valutazione dopo l’esame
della nuova versione. La decisione, scontata per molti, è il no definitivo.
Silvia Pieraccini
IL PICCOLO - SABATO, 24 giugno 2017
Scatta la variante al Piano regolatore in chiave antiricorsi - La giunta Dipiazza corre ai ripari e avvia l’iter per rivedere lo strumento urbanistico entrato in vigore nel maggio 2016
Aspetti normativi, disciplina dei pastini, ricognizione degli errori, ricorsi davanti al Tar: parte la macchina amministrativa che dovrà predisporre la variante al Piano regolatore comunale, messo a punto dalla giunta Cosolini ed entrato in vigore il 5 maggio dello scorso anno. L'esecutivo Dipiazza aveva affrontato il tema-variante già in aprile, quando si era espresso favorevolmente a proposito dell'adozione di alcuni correttivi rispetto allo strumento urbanistico varato un anno fa. Nella riunione di giunta di qualche giorno fa l'assessore Luisa Polli, titolare dell'Urbanistica, ha stretto sull'argomento, portando una delibera che definisce le linee di indirizzo su cui dovrà cimentarsi l'Area territorio&ambiente. Il provvedimento non anticipa spese e non prevede tempistica, demandando ad atti futuri la definizione di un gruppo di lavoro interdisciplinare interno al Municipio, al quale probabilmente si affiancheranno esperti esterni in materia ambientale. Il testo della delibera tratta assai sinteticamente i quattro punti che costituiranno il nocciolo duro della variante. Riguardo gli "aspetti normativi", l'attenzione si concentrerà in particolare sugli incentivi per la riqualificazione energetica, alfine di renderli coerenti con altri strumenti di pianificazione e con la vigente normativa. Alcune «discrasie interpretative» infestano, stando ancora alla delibera, recupero e valorizzazione dei pastini, urge approfondire quanto emerso in sede applicativa. Terza esigenza, rilevata dall'atto giuntale, è la necessità di emendare errori materiali, incongruenze, refusi grafici e testuali nei quali gli uffici si sono imbattuti operando sul documento urbanistico. Sul quarto punto niente di più facile che si riaccenda una polemica già vista tre mesi fa: si tratta dei ricorsi presentati da privati cittadini contro il Piano regolatore generale, ricorsi poi accolti dal Tar. «Andranno apportate - precisa la delibera - le necessarie modifiche azzonative» in quanto l'annullamento di alcune destinazioni urbanistiche ha di fatto cancellato la copertura pianificatoria dei siti interessati. Quando in marzo la Polli sollevò questa questione, fece presente che un certo numero di ricorsi avanti al giudice amministrativo sul "piano Marchigiani" aveva visto il Comune soccombente. Secondo l'assessore, ce n'erano venti pendenti e quattro erano già stati persi. Alcuni avevano oggettiva rilevanza rispetto all'impianto pianificatorio, altri toccavano ambiti più circoscritti. Ma i ricorsi persi dal Municipio creavano - a giudizio dell'assessore - zone "bianche" che paralizzavano l'attività urbanistica. Secondo l'assessore, i molti emendamenti accolti durante la discussione in Consiglio comunale, avevano finito con lo squilibrare l'assetto pianificatorio. Questi rilievi erano stati immediatamente contestati dall'ex primo cittadino Roberto Cosolini e dalla diretta interessata, l'ex assessore Elena Marchigiani. Venti ricorsi per un Piano regolatore approvato a diciotto anni da quello precedente - avevano replicato - sono davvero molto pochi. E dei venti ne erano stati discussi 12, con 9 vittorie comunali e tre sconfitte. Non quattro dunque, a detta di Marchigiani, come invece riteneva l'assessore Polli.
Massimo Greco
Italia nella morsa dell'afa - nove città da "bollino
rosso" - È allarme per l'agricoltura - La grande sete
ROMA - L'acqua non basta più. Alla vigilia di un weekend infuocato, con nove
città contrassegnate dal "bollino rosso" (oggi Bologna, Bolzano, Brescia,
Perugia e Torino, domenica Ancona, Campobasso, Firenze, Perugia e Pescara) a
causa di una ondata di caldo che comporta il massimo livello di rischio per la
salute, il ministro dell'Ambiente Gianluca Galletti, ammette che «l'emergenza
sta diventando la normalità» e che per questo «sono necessari nuovi invasi in
cui raccogliere l'acqua piovana. «Dei 300 miliardi di metri cubi d'acqua che in
Italia cadono ogni anno, riusciamo a captarne solo l'11 per cento. È troppo
poco». Un piano per le infrastrutture da 7 miliardi è stato già consegnato ai
consorzi di bonifica - dice Erasmo D'Angelis, coordinatore di "Italia sicura",
struttura di Palazzo Chigi per la lotta al dissesto idrogeologico - bisogna
accelerare». Ma le piogge dimezzate a causa dei cambiamenti climatici e il
drastico innalzamento delle temperature sono un campanello di un allarme finora
sottovalutato. Per questo Galletti, ieri a Piacenza per un vertice, invita a
«usare l'acqua con la massima prudenza e a non sprecarne nemmeno una goccia». E
con Roma in difficoltà a causa dell'abbassamento del livello del lago di
Bracciano, sottolinea: «Penso per esempio che chiudere per qualche giorno i 2500
"nasoni" (fontanelle) di Roma sarebbe un bel segnale». Per il ministro
dell'Agricoltura Maurizio Martina, «serve un cambio di mentalità per organizzare
nuovi strumenti di gestione di un bene fondamentale come l'acqua». La prima
risposta del governo a un allarme drammatico soprattutto nelle zone di Parma e
Piacenza, è stata la dichiarazione dello stato di emergenza siccità e lo
stanziamento di 8.650.000 euro per le due province a secco. Ma in prima linea ci
sono le Regioni. Per correre ai ripari l' Emilia Romagna ha raggiunto ieri un
accordo con la Liguria per il rilascio di 4 milioni di metri cubi d'acqua per
uso agricolo dalla diga del Brugneto, il più grande lago ligure. È stata
stabilita poi una deroga al "minimo vitale" per assicurare l'acqua ai 35mila
abitanti della val d'Arda, mentre proseguirà la consegna di acqua con autobotti
e la ricerca di pozzi. «Staremo vicini alla popolazione» ha assicurato il
governatore Stefano Bonaccini. Ma la siccità sta assetando tutta l'Italia, da
nord a sud. Il Po soffre: il livello idrometrico del fiume è più basso di oltre
un metro e mezzo rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Un dramma,
perché dal bacino del Po dipende il 35% della produzione agricola nazionale. Nel
Cuneese, là dove lascia le montagne per dirigersi verso la pianura, il grande
fiume è ridotto a un rivolo di 13 centimetri sopra lo zero idrometrico, dopo che
giovedì era sceso fino a 8 centimetri. Nella provincia, secondo la Coldiretti,
il 40% del foraggio e il 25-30% di grano sono persi.In Sardegna la grave
situazione dell'agricoltura, determinata da siccità e prezzi «troppo bassi» ha
provocato la rivolta degli agricoltori che ieri hanno manifestato portando in
strada nel centro dell'isola e sulla "Carlo Felice" pick up e trattori, che
hanno provocato disagi lungo la statale 131: «Servono almeno 40 milioni di euro
per lenire le perdite causate dalla siccità» ha detto il presidente della
Coldiretti sarda, Battista Cualbu. Il presidente della Toscana Enrico Rossi ha
chiesto al governo la dichiarazione di stato di emergenza nazionale: in regione
la situazione è «drammatica» in agricoltura, soprattutto nella fascia
meridionale, in Maremma e sulle coste. Secondo la Coldiretti la produzione di
cereali è crollata del 40%, ortaggi e frutta del 50%. Tra le prime misure
annunciate da Rossi, 25 nuovi pozzi entro poche settimane. Sotto scacco anche la
Campania, dove il governatore Vincenzo De Luca ha lanciato un appello a
risparmiare l'acqua. A Benevento il sindaco Clemente Mastella ha emerso
un'ordinanza per limitare l'uso di acqua potabile, consentito solo a scopo
alimentare o igienico-sanitario. A Salerno è stata ridotta la portata in uscita
dai serbatoi dalle 23 alle 6 del mattino. Rubinetti a secco di notte anche in
alcuni quartieri di Pozzuoli. Permane l'emergenza anche in Irpinia, un'area
tradizionalmente ricca d'acqua, dove proseguono gli interventi per riparare i
guasti ad adduttrici principali che hanno lasciato per giorni i rubinetti a
secco e dove l'esasperazione ha provocato anche un tentativo di aggressione
verso un operaio. Danni «all'intera produzione agricola» in Calabria soprattutto
nel Crotonese, e in Puglia, con temperature fino a 40 gradi nel Foggiano, e dove
gli agricoltori invocano «l'irrigazione di soccorso». Si stanno svuotando anche
gli invasi siciliani, scesi a meno 16% rispetto al giugno 2016 e con un deficit
d'acqua in mezza regione pari al 50% a causa dell'assenza di piogge: una
situazione «più grave della grande siccità del 2002».
Maria Rosa Tomasello
Da ottobre le piogge si sono dimezzate - I meteorologi:
«Crollo rispetto alla media degli ultimi 30 anni, è colpa dei cambiamenti
climatici»
ROMA Sono i cambiamenti climatici i responsabili della siccità e delle
temperature elevate che in alcuni mesi hanno "prosciugato" la penisola, colpendo
principalmente il Centro Italia, le regioni tirreniche e la pianura padana. Ma
sono anche i responsabili delle alluvioni e delle piogge brevi ma intense che si
registrano non solo in Italia. Lo sostengono gli esperti del Consorzio Lamma del
Cnr, che si dicono preoccupati per le scarse piogge e nevicate registrate dallo
scorso autunno (in alcuni mesi, dicembre, marzo e aprile, si è avuta una
flessione dell'80-90% rispetto alla media). «Il 50% di piogge in meno da ottobre
a luglio rispetto alla media degli ultimi 30 anni, ma anche rispetto alla
stagione 2015-2016 che si è allineata alla media, è un dato significativo -
spiega il meteorologo Tommaso Torrigiani - perché non si tratta di un solo mese.
Quello che si può dire è che l'estremizzazione dei fenomeni come questi è uno
degli effetti dei cambiamenti climatici». Dall'autunno del 2016, ricorda Ramona
Magno, ricercatrice del Consorzio, «le piogge in tutto il territorio italiano
sono state molto inferiori alla media. È anche caduta poca neve sulle Alpi, e
non c'è stato quindi l'accumulo che avrebbe potuto rimpinguare i corsi d'acqua,
come l'Adige e il Po, che ora stanno attraversando un periodo di crisi». Per il
fiume più importante d'Italia, sottolinea Magno, la siccità "ha colpito" già ad
aprile maggio, e si è manifestata con l'ingresso nel corso d'acqua di un cuneo
salino del mare che potenzialmente può provocare danni all'agricoltura. Settore
che è stato la principale vittima delle scarse precipitazioni, con danni in
particolare agli allevamenti e alle coltivazioni». La portata del fiume,
inoltre, è scesa del 65% rispetto alla media dello stesso periodo e il minimo
del Po, appena 13 cm di acqua, è stato registrato a 30 km dalla sua sorgente.
«La siccità - aggiunge la ricercatrice - è un fenomeno ciclico, ma negli ultimi
anni si sta verificando sempre più spesso e in maniera intensa in base a
un'analisi che stiamo elaborando a partire dal secolo scorso fino al 2014. Le
prime conclusioni di queste analisi concordano con gli ultimi report
internazionali, che hanno individuato un legame con i cambiamenti climatici non
solo della siccità, ma anche di fenomeni come le alluvioni, frequenti nel Nord
Europa, e delle piogge - rare ma più intense - del bacino del Mediterraneo».
La situazione - Allerta per le coltivazioni in Fvg - Ma
per ora l'Isonzo regge
GORIZIA - Per ora nel Goriziano c'è solo apprensione. L'Isonzo regge, e per
Trieste le condizioni dei pozzi di San Pier d'Isonzo non destano preoccupazione.
Insomma, per l'agricoltura fra Trieste e Isontino non è scattato l'allarme
rosso. Certo la siccità, dice il presidente di Coldiretti Fvg Dario Ermacora, è
«inusuale» per il periodo: «Di solito ce l'aspettiamo per fine luglio, inizio
agosto». L'assenza di acqua è critica soprattutto per l'agricoltura della
pedemontana friulana: «Le stime dei danni non possiamo ancora farle, in un certo
senso siamo all'inizio del problema, dipende dalle fasi vegetative. Le piante
ora in fioritura, come qualche mais, possono avere danni significativi. Altre
coltivazioni ancora non soffrono». La preoccupazione è per le riserve:
«Quest'anno ha piovuto poco e non ce ne sono. Contiamo che il meteo cambi e
arrivino un po' di temporali. Ci preoccupa vedere a fine giugno un quadro
climatico che di norma si presenta un mese più tardi». Ma conclude Ermacora,
«non ci sono particolari contromisure da prendere, almeno per ora». Mentre
Confagricoltura Fvg sottolinea come occorra «attivare iniziative che permettano
di affrontare l'emergenza idrica a partire da un coordinamento di tutti i
soggetti coinvolti», per l'Isontino fa il punto il presidente del Consorzio di
Bonifica, Enzo Lorenzon. «Oggi la situazione è di relativa tranquillità. È un
momento di massima irrigazione e ci vuole tanta acqua». Perciò «nei prossimi
giorni contatteremo i gestori della diga slovena di Salcano: chiederemo loro di
garantire un certo rilascio d'acqua se non dovessero esserci precipitazioni
abbondanti. Non vogliamo brutte sorprese». Peraltro, sono stati a dir poco
provvidenziali i finanziamenti del Fondo Gorizia che hanno permesso di
trasformare il sistema di irrigazione da scorrimento a pioggia. «Questo ci
consente di risparmiare il 50% dell'acqua», rammenta Lorenzon. Un bel risultato.
«Le concessioni per "innovazione del sistema irriguo" dal 1979 al 2015 ammontano
a 25.300.477 euro», fa sapere la Camera di commercio. Il dato è riferito a
concessioni per la totalità delle iniziative di trasformazione delle pratiche
irrigue. Nel 2016 sono stati concessi ulteriori 750.000 euro: 630.000 per opere
irrigue zona collinare Collio (1° intervento), 120.000 euro per opere irrigue a
Gorizia. E nel 2017 concessi 60.000 euro per il completamento di impianti
irrigui nel Comune di Cormons. Lorenzon ammette che però «un po' di apprensione
c'è»: in passato egli condusse una lunga battaglia per la realizzazione di una
diga o uno sbarramento sull'Isonzo nella zona di Piedimonte «È di vitale
importanza la costruzione di una traversa di rifasamento: non chiamiamola diga,
è un invaso capace di garantire un flusso costante minino di 25 metri cubi al
secondo. Tale quantitativo metterebbe al riparo dalle conseguenze della
siccità». Ma troppi ostacoli: «Nel 2007 c'era già l'accordo con la Camera di
commercio e con la Regione per la realizzazione dello sbarramento ma qualche
saggio si mise di traverso e non se ne fece nulla». Si concretizzerà, invece, un
altro progetto: l'acqua delle idrovore, anziché finire in mare, verrà
riutilizzata per l'irrigazione. Intanto il ministero della Sanità, per
l'emergenza caldo, affibbia a Trieste un bollino arancione per oggi. L'agenzia
Arpa prevede però qualche temporale per il fine settimana e, soprattutto, la
possibilità che a metà della settimana prossima la siccità venga interrotta da
un periodo di piogge. Una possibilità concreta: domani e dopodomani sono
previsti temporali un po' su tutta la regione. Domani in particolare i fenomeni
temporaleschi investiranno tutto il territorio portando a un leggero calo delle
temperature, anche se sulla costa l'afa potrebbe resistere. La vera svolta
dovrebbe arrivare a metà della prossima settimana: secondo i metereologi del Fvg
la fase siccitosa dovrebbe rompersi e dovrebbe iniziarne una più piovosa. Anche
se, precisano, è ancora presto per avere certezza della tendenza. A Trieste,
AcegasAps assicura che al momento la situazione idrica è sotto controllo. Le
condizioni dei pozzi di San Pier d'Isonzo sono monitorate ogni settimana e non
destano preoccupazione. Il tema, annota l'azienda, è molto presidiato ed è
oggetto di frequenti riunioni fra i tecnici. In ogni caso l'indicazione è quella
di fare buon uso della risorsa idrica, tanto che sul sito dell'azienda è stato
pubblicato un decalogo del buon consumatore.
Francesco Faine - Giovanni Tomasin
Reti colabrodo, Roma perde il 44% - Pressione diminuita
di notte. Lago di Bracciano giù di 1,4 metri
ROMA - Per il momento a Roma non è emergenza siccità, si parla di media
criticità. Certo è che non piove e, stando alle previsioni, non pioverà chissà
per quanto. Il lago di Bracciano, riserva idrica di Roma, si abbassa
pericolosamente ogni giorno di più e, dopo l'ordinanza del sindaco Virginia
Raggi che invita i cittadini a non sprecare l'acqua, ieri è stata la Regione
Lazio a chiedere una verifica per accertare il corretto utilizzo dei fondi
pubblici destinati a ridurre le perdite idriche. Per il momento, a Roma, solo di
notte viene diminuita la pressione dell'acqua. Il campanello d'allarme non è
dettato però solo dalla siccità, ma anche dalla vetustà delle condutture
idriche, «molto vecchie, risalenti a 30-50 anni fa, come ha spiegato il "Blue
book" di Utilitalia (la Federazione che riunisce i gestori dell'acqua), e a
causa di rotture o di allacci abusivi perde il 40% dell'acqua», ricorda Acea.
Secondo Utilitalia a Roma l'acqua pubblica è tra le più economiche d'Europa
costa 1, 65 euro per mille litri, circa 34 euro all'anno per abitante, ma ne
servirebbero 80 per avere una rete più efficiente. Intanto il livello del lago
di Bracciano quest'anno è di 1 metro e 40 centimetri sotto la sua soglia. Lo
scorso anno era a meno 70 centimetri, quindi è sceso del doppio. «Il prelievo
che sta effettuando Acea in questi primi sei mesi dell'anno ha inciso per una
minima parte, 18 centimetri», spiega Acea. Secondo Legambiente Lazio «l'assenza
di eventi meteorici ha causato, oltre al minor apporto di acqua nel lago, la
riduzione estrema di portata dalle due fonti principali di approvvigionamento
idrico di Roma, l'acquedotto del Peschiera da Rieti e dell'Acqua Marcia dai
Simbruini. Dopo tale crollo di portata, il gestore del servizio aveva iniziato
una fortissima captazione del lago di Bracciano, pari anche a 2. 500 litri al
secondo, a vantaggio di Roma» dove, sottolinea l'associazione, c'è una
dispersione idrica del 44, 4% (Rieti al 58%, Latina al 67%, Frosinone al 75,
4%), con «il consumo idrico nella capitale alle stelle con 165 litri per
abitante». La Regione Lazio vuole vederci chiaro e ha attivato una verifica per
«conoscere l'ammontare degli investimenti sostenuti nel biennio 2015-16, di
quelli in corso e programmati per il biennio 2016/17 relativamente ai Piani di
recupero delle perdite» di acqua. «I cittadini del Lazio non possono subire il
danno delle perdite di acqua: siano adducibili ad acquedotti non correttamente
manutenuti o ai "nasoni" di Roma, che continuano a sversare senza alcun criterio
di risparmio». I "nasoni" per il momento non sono a rischio chiusura erogazione,
anche perché, spiega Acea «la loro funzione è quella di riequilibrare la
pressione nella città, considerato che Roma non è una città piana».
OGGI A MUGGIA - Gran festa al parco Rio Ospo sulla
mobilità sostenibile
Oggi a Muggia oggi si fa festa per promuovere una cultura "verde" e la
conoscenza delle novità nel settore della mobilità sostenibile. Dalle 11 al
parco pubblico Rio Ospo si terrà la "Festa d'estate", una giornata di
divertimento, meditazione e benessere, fotografia, sport e danza, organizzata
per promuovere una mobilità sostenibile e offrire la possibilità di acquistare
prodotti a chilometro zero. La manifestazione sarà infatti dedicata alla
mobilità sostenibile con l'esposizione di vetture ibride di una nota
concessionaria e veicoli elettrici (bici a pedalata assistita, monopattini, mini
quad e buggy). L'evento, promosso da Querciambiente, offrirà anche l'occasione
per inaugurare il rinnovato parco giochi e presentare il programma degli eventi
che si svolgeranno all'interno del parco nel corso dell'estate.Nel pomeriggio,
si terrà poi - a cura di mc59.com in collaborazione con l'associazione culturale
Centofoto - il "Green Shooting Day" aperto gratuitamente alla partecipazione di
fotografi e fotoamatori che desiderano conoscere e immortalare le novità nel
settore della mobilità sostenibile.Ad aprire la giornata di festa sarà
l'inaugurazione, alle 11, del nuovo parco giochi per i bambini, a cui seguiranno
il saluto delle autorità e la presentazione degli eventi in calendario nel parco
Rio Ospo per tutta la stagione estiva. Dalle 10 sarà attivo un mercatino di
prodotti locali per incentivare la cucina con prodotti del territorio e a
chilometro zero. Sempre nel pomeriggio ci sarà spazio anche per alcune attività
e discipline olistiche: dalle 17 "Massaggi e benessere" con l'associazione
culturale e sportiva Metamorfosys e dalle 18 "Meditare per riavvicinarsi a se
stessi, meditare per essere felici", un'ora per potenziare la percezione di
benessere assieme alla dottoressa Irene Del Gaudio. A concludere la serata lo
spettacolo di flamenco e non solo a cura dell'associazione "Il Ventaglio". A
intrattenere musicalmente gli ospiti del parco, situato all'ingresso della
cittadina istroveneta, "Cippo and Friends", una voce, una chitarra.
Gianfranco Terzoli
IL PICCOLO - VENERDI', 23 giugno 2017
Emergenza acqua in Italia - A secco Parma e Piacenza -
Il governo stanzia 8.6 milioni per l'allerta. Preoccupano i livelli di Po e
Adige
Bacini idrici in crisi: anche Toscana e Sardegna chiedono lo stato di
calamità
ROMA - L'estate italiana inizia nella morsa della siccità e del caldo. A
Parma e Piacenza il governo dichiara lo stato d'emergenza nazionale «in
conseguenza della crisi idrica in atto». Un fenomeno che inizia nell'autunno
2016, ma oggi è «aggravato dalle elevate temperature estive e dai rilevanti
afflussi turistici che hanno determinato un considerevole aumento delle esigenze
idropotabili». I campi agricoli sono a secco, i pomodori rischiano di non
arrivare a maturazione ed è difficile garantire fonti per abbeverare gli
animali. Ma in alcune zone tra le due province emiliane, c'è bisogno delle
autobotti messe a disposizione dal governo - insieme a 8 milioni e 600mila euro
per fronteggiare l'emergenza - anche per garantire l'acqua potabile. D'altronde
il calo delle precipitazioni è arrivato al 50% rispetto alla media, mentre la
falda acquifera è agli sgoccioli: è al di sotto di 1,26 metri. Se Parma e
Piacenza piangono, Firenze e Cagliari non ridono. In Toscana il presidente della
Regione Enrico Rossi ha firmato la dichiarazione di stato d'emergenza il 16
giugno, alla vigilia della giornata mondiale delle Nazioni Unite contro la
Desertificazione e la Siccità. Preoccupano l'Autorità idrica toscana i bacini
della Lunigiana. I terreni aridi, poi, rischiano di favorire gli incendi: il 20
giugno i vigili del fuoco sono intervenuti 72 volte in Maremma. Sulla stessa
scia, la Sardegna ha chiesto al ministro Martina la dichiarazione dello stato
d'emergenza. Scrive il ministero dell'Ambiente in una nota che nella regione dei
Quattro mori «l'anno in corso si presenta» come «il più siccitoso dall'inizio
delle osservazioni nel 1922. I tre mesi di marzo-aprile-maggio fanno registrare
deficit intorno al 70% in tutte le aree, con punte prossime al 90% per Gallura e
Flumendosa». Il ministero parla di siccità propriamente detta solo per «i bacini
idrografici padano e delle Alpi orientali, nonché il lago di Bracciano nel Lazio
e la Sardegna». In Piemonte il Po è calato del 65% rispetto al valore mensile
storico. Pavia Acque, in una nota, parla di «una siccità senza precedenti» nei
comuni dell'alto Oltrepo. In Veneto il presidente Zaia ha firmato la terza
ordinanza che certifica lo stato di crisi idrica. Qui a preoccupare è lo stato
del fiume Adige, mentre in Friuli Venezia Giulia si monitora il Tagliamento. A
Roma la sindaca Virginia Raggi ha chiesto di «limitare l'uso superfluo di
acqua». D'altronde gli sprechi vengono da lontano, come l'Istat ha certificato
qualche settimana fa: la rete idrica italiana è un colabrodo, gli acquedotti
perdono in media il 40% dell'acqua - con punte del 68% a Potenza - e
servirebbero 5 miliardi di euro per rimetterli a posto. Nel frattempo un
anticiclone africano sta facendo schizzare i termostati italiani: per oggi le
massime potranno arrivare ai 38 gradi al Nord, 37 al Centro e 35 al Sud. Solo
domenica nelle zone settentrionali le prime infiltrazioni di aria fresca
potranno garantire un inizio di settimana con temperature più miti. Ma la
situazione peggiorerà al Sud e nelle Isole.
Andrea Scutellà
Agricoltura, danni per un miliardo - Le anomalie
climatiche del 2017 hanno messo in ginocchio le produzioni
ROMA - Le anomalie climatiche della prima parte del 2017 hanno già provocato
alle coltivazioni e agli allevamenti danni per quasi un miliardo di euro.
Tracciata dalla Coldiretti, la situazione Regione per Regione. In Emilia in
sofferenza tutte le colture dal pomodoro ai cereali, ma anche gli ortaggi. In
Lombardia stessa situazione: il caldo sta provocando un taglio fino al 20 per
cento della produzione di latte. In Sardegna l'assenza di piogge sta
condizionando tutti i settori agricoli, con perdite nella produzione di oltre il
40 per cento e gli agricoltori della Coldiretti sul piede di guerra. In Veneto
si parla di poche settimane di autonomia e la vendemmia si prevede anticipata di
almeno una settimana. In Toscana scarseggiano anche i foraggi per il bestiame e
crolla la produzione di miele. In Umbria i girasoli e il granoturco stanno
seccando. Nel Lazio ampie aree in difficoltà, con la produzione di frumento che
risulta stentata, con pesante contrazione dei raccolti e perdita di qualità e
con il rischio, senza interventi immediati, di perdere del tutto ortaggi,
frutta, cereali, pomodori. L'assenza di piogge sta condizionando tutta la
produzione agricola regionale, con perdite finora stimate fino al 40 per cento.
Per fare fronte alla sofferenza idrica in alcuni comuni - a cominciare da Roma -
la Regione Lazio ha autorizzato un maggiore prelievo idrico alle sorgenti
Pertuso. In Campania nel Cilento, nell'Alento e nella piana del Sele ci sono
problemi per gli ortaggi e la frutta, ma anche per la mozzarella di bufala
perché la mancanza di acqua mette in crisi anche gli allevamenti e i caseifici.
In Puglia perdite di produzione, aumento dei costi per le risemine, ulteriori
lavorazioni, acquisti di nuove piantine e sementi sono gli effetti della siccità
con gravi danni al granaio d'Italia nelle province di Foggia e Bari, dove si
riscontra una perdita del 50% della produzione. In Sicilia la siccità è una
realtà concreta, con gli invasi a secco e la necessità di anticipare l'inizio
della stagione irrigua negli agrumeti. In Umbria e nelle Marche terremotate si
registra una produzione di fieno insufficiente con pascoli e prati asciutti. È
crollato del 15 per cento il raccolto di grano - per effetto congiunto del
maltempo e della riduzione dei terreni seminati dopo le scosse - mentre la
produzione di latte è calata del 20 per cento anche per stress, decessi e
chiusura delle stalle. Una situazione che a quasi un anno dal sisma è ancora di
piena emergenza tanto che per consentire la normale esecuzione dei lavori estivi
nelle campagne terremotate, la Coldiretti ha annunciato anche la consegna di
gasolio gratuito, per oltre mezzo milione di litri, a 800 aziende delle aree
colpite. Se non bastasse, a quasi dieci mesi dalla prima scossa sono ancora
sfollati quasi la metà degli animali sopravvissuti che non possono ancora essere
ospitati nelle stalle provvisorie che sono state realizzate e rese operative al
55per cento del fabbisogno. La mappa della Coldiretti prosegue con il Friuli la
regione ha decretato lo stato di sofferenza idrica per garantire l'acqua alla
media Pianura friulana per circa 26.000 ettari di coltivazioni mentre in
Piemonte è stato dichiarato lo stato massima pericolosità incendi.
"Next" ritorna a settembre e punta gli occhi sul mare
Dal 21 al 23 novembre la nuova edizione del Festival della scienza a
Trieste con una serie di incontri e una mostra sull'eccellenza dell'industria
navale
A partire dal prossimo autunno Trieste per un anno si concentrerà sempre più
su una delle sue risorse naturali più preziose, destinata a esserlo sempre di
più in futuro. Trieste Next, il festival della scienza in calendario dal 21 al
23 settembre, aprirà le danze svelando il tema: si tratta del mare, che farà da
minimo comune denominatore in relazione a ricerca scientifica, innovazione
tecnologia e imprenditoria. Temi che verranno approfonditi a giugno 2018, con il
ritorno a Trieste, dopo 30 anni, del più importante convegno internazionale
dedicato alle tecnologie marittime organizzato su suolo italiano,
l'International Conference on Ships and Maritime Research - Nav. A cavallo tra i
due eventi, il primo organizzato dall'Università in collaborazione con Comune e
Venezie Post, il secondo da Atena (Associazione italiana di tecnica navale) con
l'Università, Mare Fvg e molti altri enti, istituzioni e partner, saranno
organizzati anche una serie d'incontri e un'esposizione destinati a cittadinanza
e turisti dedicati alle eccellenze dell'industria navale presenti sul nostro
territorio. Che conta un porto industriale, un'azienda leader nella
cantieristica come Fincantieri, Wärtsilä per i motori, e la massima densità di
studi tecnici d'ingegneria navale d'Italia. Oltre a un sistema formativo di
tutto rispetto: l'istituto Nautico, l'Accademia del Mare, i corsi di laurea
d'Ingegneria navale, l'Ogs. Ne abbiamo parlato con il professor Vittorio Bucci,
ricercatore di Costruzioni e Impianti Navali e Marini dell'ateneo giuliano e
segretario della sezione del Friuli Venezia Giulia di Atena, associazione che
riunisce la maggior parte degli ingegneri navali d'Italia. «Ospitare il Nav a
Trieste è per noi un grande piacere e un grande risultato, che ci sta mettendo
alla prova perché le forze a disposizione sono esigue. D'altra parte si tratta
di un'occasione unica per accendere i riflettori sulla qualità della nostra
didattica e della nostra ricerca, che quest'anno si è particolarmente distinta,
consentendoci di vincere ben 13 progetti regionali Por Fesr, un progetto del
Ministero dei Trasporti e il progetto europeo Assess in collaborazione con Ogs».
Ingegneria Navale, ricorda Bucci, è uno dei corsi di laurea più antichi di
Units: è stato infatti il primo ad essere istituito nella facoltà d'Ingegneria
nel 1942 e ha continuato a operare incessantemente fino ad oggi. In questi
ultimi anni però, a causa di molti pensionamenti e della mancanza di turnover,
ha potuto contare su un numero di docenti in costante diminuzione: dal 2011 a
oggi gli studenti sono duplicati, mentre i docenti si sono quasi dimezzati, da
12 a 7. «Oggi abbiamo un'ottantina di matricole e una quarantina di studenti al
secondo e al terzo anno. Alla magistrale contiamo 40 studenti all'anno
provenienti da tutt'Italia», racconta Bucci, che non nasconde le difficoltà
legate alla carenza d'organico. Con l'elezione l'anno scorso del nuovo
coordinatore dei corsi di studio in Ingegneria Navale, professor Alberto Marinò,
oggi si sta cercando di rilanciare e far conoscere questo percorso di
studi.«Abbiamo stretto rapporti con Fincantieri, Wärtsilä, Montecarlo Yacht e
molti altri studi di progettazione presenti sul territorio - spiega Bucci -, che
oltre ad ospitare i nostri studenti in tirocinio o per la tesi di laurea ci
aiutano anche con borse di studio e con docenze nelle materie
professionalizzanti». Entro settembre il corso di studi potrà inoltre contare,
grazie a Fincantieri e a Intergraph, su un nuovo laboratorio informatico. Per
rimanere al passo con le innovazioni di settore e i nuovi regolamenti in materia
di costruzioni navali sono stati introdotti nuovi insegnamenti quali Navi
Speciali, Progettazione per la sicurezza delle navi ed Organizzazione della
produzione navale, e due percorsi di specializzazione post laurea: il master
nato dal progetto Assess, sui temi di Safety and Security navale, e il master in
Blue Growth, promosso da Ogs sui temi dell'economia del mare.
Giulia Basso
COMUNICATO STAMPA - GIOVEDI', 22 giugno 2017
PROVVEDIMENTI ANTI SICCITA’ IN FVG. SERENA PELLEGRINO: URGENTE ATTUARE POLITICHE AGRICOLE COERENTI CON LE CONSEGUENZE DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO.
AGRICOLTURA E AMBIENTE, SORELLE PER
L'ECOSISTEMA, SORELLASTRE PER LE ISTITUZIONI.
“La scelta politica di dimezzare per 15 giorni il deflusso minimo
vitale del Tagliamento dall’impianto di Ospedaletto, disposto con decreto della
Presidenza della Regione Friuli Venezia Giulia, si dimostrerà molto pesante per
l’ecosistema fluviale, già sottoposto al fortissimo stress idrico causato dalle
anomalie climatiche.
Senza voler sminuire la gravità dell’emergenza affrontata con questo
provvedimento, si deve tuttavia osservare che ancora una volta si manifesta, in
Regione come nel resto del Paese, l’incomunicabilità tra le politiche del
settore agricolo e quelle a protezione delle risorse idriche, nell’ambito di
un’unica programmazione che prenda atto del cambiamento climatico e dei suoi
impatti sul territorio e sull’ambiente.”
Lo dichiara la parlamentare Serena Pellegrino ( Sinistra Italiana – Possibile)
vicepresidente della Commissione ambiente alla Camera dei deputati.
“ Sulla carta, e con riferimento alle indicazioni europee, sta scritta a chiare
lettere la necessità di una comune gestione che renda compatibili le necessità
dell’irrigazione e della fornitura d’acqua al settore zootecnico con la
salvaguardia dei corpi idrici superficiali e sotterranei. Gli strumenti, per
affrontare le criticità che di stagione in stagione si fanno più pesanti da
affrontare, sono disponibili : basta leggersi gli Elementi per una Strategia
Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici sul sito del Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
Troviamo scritto, tra le mille altre indicazioni, questo : L’introduzione di
pratiche per migliorare la gestione efficiente dell’acqua e del suolo al fine di
evitare ripercussioni sulle produzioni delle colture agricole è un’azione
identificata come prioritaria, insieme alla sostituzione delle colture o varietà
in relazione alle caratteristiche ambientali specifiche dei siti e riduzione di
cultivar che necessitano di enorme richiesta idrica , tra le quali il mais.”
Conclude Pellegrino: "Si continua a ignorare che servono con urgenza politiche
agronomiche sostenibili, che ci sono coltivazioni esageratamente idro- esigenti
che vanno sostituite con altre più adattabili, suoli degradati che richiedono
misure importanti di miglioramento, gestioni delle aree fluviali che vanno
completamente reimpostate.
Dei singoli temi si discute su tavoli rigorosamente separati, mettendosi le
medaglie scegliendo gli interlocutori e mai riunendo tutti i portatori di
interesse attorno all’unica questione, cioè che siamo diventati, per causa
nostra, estremamente vulnerabili.”
http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/clima/snacc_2014_elementi.pdf
IL PICCOLO - GIOVEDI', 22 giugno 2017
Siderurgia - «Malinteso» tra Arvedi e vescovo sul
futuro della Ferriera di Servola
Un «malinteso» sulla Ferriera di Servola, come si scopre in serata, manda in
fibrillazione i palazzi del potere. Protagonisti Debora Serracchiani, autrice di
una lettera scritta a Giovanni Arvedi per avere chiarimenti in merito ad una sua
presunta disponibilità a chiudere l'area a caldo. Giampaolo Crepaldi, il primo a
mettere in giro la notizia del possibile dietrofront del Cavaliere, e infine lo
stesso patron del gruppo a capo dello stabilimento di Servola che, in serata,
con un comunicato, nega di aver mai parlato di possibili chiusure, bollando il
tutto come uno «spiacevole malinteso». E chiudendo il caso. Il primo atto della
"pièce", segnata appunto da una serie di note scritte e contatti telefonici, è
andato in scena ieri mattina con l'annuncio dell'invio della lettera firmata da
Serracchiani e indirizzata ad Arvedi. La presidente ha chiesto di vedere
l'industriale «in tempi brevi» per chiarire il destino dello stabilimento.
Un'iniziativa assunta dalla governatrice dopo il faccia a faccia avuto alla
presenza di Roberto Dipiazza con gruppi ambientalisti e anti Ferriera (Fare
Ambiente, Comitato 5 dicembre e No smog). I comitati, come noto riuniti in
presidio in piazza Unità per sollecitare lo stop della produzione, hanno
riferito a Serracchiani quanto detto loro dall'arcivescovo, vale a dire la
disponibilità dell'imprenditore a chiudere l'area a caldo. Una versione ribadita
anche ieri pomeriggio dal vicario Ettore Malnati che, a domanda precisa, ha
risposto così: «L'arcivescovo ha sentito quello che ha poi riferito ai
comitati». Di lì la scelta di Serracchiani di vederci chiaro. «La presidente -
chiarisce la Regione in una nota - ha evidenziato la necessità di un chiarimento
in merito alla volontà dell'industriale, espressa all'arcivescovo di Trieste,
secondo quanto riportato dai comitati, di procedere alla chiusura dell'area a
caldo dello stabilimento». Anche perché, afferma la governatrice, «al di là dei
dati asettici, rimane un disagio umano che, nel mio ruolo istituzionale, non ho
mai voluto trascurare e, anzi, rappresenta uno dei miei pensieri costanti».
«Prendo atto di quanto mi è stato detto - continua Serracchiani - e lo ritengo
molto importante, perché ci preoccupiamo della salute dei cittadini, quindi
intendo vedere Arvedi per capire quali siano le sue intenzioni». Una questione
«molto delicata» che «non può essere trattata semplicemente chiedendo
l'annullamento dell'autorizzazione integrata ambientale (Aia) che contiene
prescrizioni precise. Se queste vengono rispettate le istituzioni si muovono
all'interno della legalità. Ma ciò non significa che non siamo attenti ai
problemi che anche oggi ci sono stati presentati e che quotidianamente cerchiamo
di monitorare e risolvere». Serracchiani ha comunque spiegato di essere
«consapevole che un insediamento industriale di quel tipo è assolutamente
impattante all'interno della città e sappiamo tutti che senza l'arrivo
dell'imprenditore sarebbe rimasto una cloaca a cielo aperto». Di fronte al
pressing della governatrice, la reazione di Siderurgica Triestina non si è fatta
attendere. In una nota diramata all'ora di cena la società «rileva con stupore
come si sia generato uno spiacevole malinteso sulla presunta disponibilità di
procedere alla chiusura. Si ribadisce quanto affermato in ogni circostanza: è
intenzione di questa azienda produrre ghisa fino a quando sarà possibile, nel
rispetto di tutte le normative ambientali e con tutti gli interventi
impiantistici già programmati per i prossimi mesi». Caso chiuso, insomma, ma non
per tutti. «Lo ripeto: l'arcivescovo - ha ribadito don Malnati - ha detto ai
comitato esattamente quello che ha sentito nell'inconto di sabato. Arvedi ora
cambia versione? Vorrà dire che è giunto il momento di mettere le carte in
tavola».
(g.s.)
«Assurdità sugli operai di Servola» - «Portarli in
Comune? Costerebbero dodici milioni di stipendi»
Non l'ha presa con entusiasmo, per usare un eufemismo. Ma delle tante
esternazioni che il suo successore Roberto Dipiazza ha affidato al giornale
(«trionfalismi che nascono solo da progetti fatti da noi, tra l'altro...»), ce
n'è una che Roberto Cosolini giudica particolarmente campata in aria: la
possibilità di riassorbire in Comune i 350 e passa lavoratori della Ferriera. «È
una cosa - debutta l'ex sindaco - che non sta né in cielo né in terra. Non si
può dire a quella gente che perderà il lavoro ma andrà in Comune. Ma hanno fatto
almeno due calcoli? Parliamo di 12 milioni solo di stipendi! E per giustificarli
bisognerebbe dare milioni e milioni di appalti in più, ipotesi che è ovviamente
irrealizzabile. No, quella battuta la poteva proprio evitare. Avesse detto, che
so, che gli interessa la salute collettiva e quindi avrebbe fatto di tutto,
compreso affrontare il problema occupazione, l'avrei capito, ma quella sortita
era proprio assurda».È polemica, intanto, anche sul cosiddetto "presidio
permanente" allestito davanti al Comune. Giovanni Barbo, consigliere del Pd
scrive su Facebook: «Prendiamo atto del fatto che questa giunta ha deciso di
concedere l'uso di piazza Unità anche per manifestazioni politiche. La delibera
che regolamenta l'uso dello spazio dice che la piazza può essere concessa per
manifestazioni di alto carattere istituzionale e per grandi eventi culturali,
oppure per eventi significativi (saggi di società sportive, partenze e arrivi di
gara, manifestazioni) di breve durata: ora, dubito che un presidio che si
autodefinisce "ad oltranza" rientri in queste categorie...».
(f.b.)
MUGGIA - Viaggiare Slow contro il no alle biciclette in
centro storico
Aumentano le voci contrarie all'ordinanza di chiusura al passaggio delle
bici nel centro storico di Muggia preannunciata dalla giunta comunale a fine
maggio e poi "congelata". Alla contrarietà espressa da Fiab Muggia Ulisse a
inizio giugno si è aggiunta l'associazione Viaggiare Slow, nonché «molti
cittadini e diversi esercizi commerciali del centro storico, in quanto «il
provvedimento annunciato potrebbe essere un freno sia alla mobilità ciclistica
urbana che al cicloturismo, entrambi in forte crescita negli ultimi anni a
Muggia. Fiab Muggia Ulisse e Viaggiare Slow, come si legge in una nota, «sono
preoccupati per i problemi di sicurezza che questo provvedimento, se attuato,
porterà. Con la chiusura del centro i ciclisti saranno tenuti ad utilizzare la
stretta e lunga galleria per attraversare la città arrivando dal lungomare».
Inoltre «se l'ordinanza verrà attuata avrà anche un effetto negativo
sull'economia cittadina. Muggia ha, nel 2016, visto passare più di 11mila
cicloturisti. È la bellezza del centro Storico a trainare questa invasione
pacifica e redditizia. Nessuno di questi viaggiatori si mette in viaggio da
sprovveduto. In rete le notizie viaggiano velocemente. Da indesiderati è un
gioco saltare la sosta a Muggia per dirigersi direttamente a Capodistria e Isola
che li accolgono a braccia aperte. Di questo sono consapevoli diversi esercizi
commerciali del centro storico che per questo hanno manifestato la contrarietà
al provvedimento». Fiab Muggia Ulisse e Viaggiare Slow ritengono che «se vi sono
problemi di convivenza tra pedoni e ciclisti generati da alcuni maleducati si
debba su questi agire applicando le regole già scritte nel Codice della strada
(i ciclisti debbono procedere a una velocità tale da evitare situazioni di
pericolo per i pedoni), e non togliere a tutti la possibilità di attraversare il
centro storico in bici». Le associazioni sostengono, inoltre, che «si dovrebbe
sopratutto agire sulla leva della comunicazione e dell'educazione per costruire
una positiva convivenza tra tutti gli utenti del centro storico e si dichiarano
disponibili a collaborare con il Comune su questo aspetto».
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 21 giugno 2017
FERRIERA - «In piazza fino allo stop dell'area a caldo»
La Ferriera può vivere senza area a caldo. Gli operai non devono perdere il
lavoro. Le soluzioni ci sono. E vanno trovate subito. Con queste motivazioni il
Comitato 5 dicembre, armato di gazebo e borse di sopravvivenza, ha dato il via
alle 18 di ieri in piazza Unità, di fronte al palazzo della Regione, al presidio
"h24" che «resterà permanente fino a quando verrà chiusa l'area a caldo». Mentre
ci si conta (dodici le persone presenti sul posto alle 18, destinate a crescere
via via), qualcuno appoggia gli striscioni a terra, e altri ancora cominciano a
montare il primo di due gazebo bianchi. Un esponente del comitato, Fabio
Predonzan, spiega: «Resteremo qua fino a quando non verrà annullata l'Aia, che
ha innalzato il limite di pm10 da 50 ng/m³ a 70, nonostante la Comunità europea
raccomandi di non sforare la soglia di 35. Questo fa sì che la gente di Servola
debba vivere prigioniera nelle proprie case». Al suo fianco Alberto Kostoris del
Nimdv: «Non possiamo più aspettare». Le donne in piazza lamentano un grave
peggioramento negli ultimi anni. Fra queste, Lara Poiani («adesso l'aria è
diventata irrespirabile») e Marilena Era («di notte si sente un rumore
assordante che non permette di dormire; ci si sente male, gli occhi lacrimano e
la gola brucia»). E ieri è intervenuto anche il Pd, per voce della segretaria
regionale Antonella Grim: «Basta sfruttare la Ferriera come arma politica». Le
fa eco la segretaria di Trieste, Adele Pino: «Abbiamo lavorato recuperando
risorse per un giusto equilibrio fra tutela del lavoro e della salute,
quell'impegno va portato avanti».
(el.pl.)
La Regione punta a una fetta di bonifiche - Alla
Conferenza dei servizi sarà chiesto al ministero di riperimetrare il Sito
inquinato per gestire l'iter sul Canale navigabile
Due colpi di scena potrebbero forse scuotere il lungo sonno in cui sono
cadute le bonifiche relative al Sito di interesse nazionale (Sin). A muovere le
pedine sullo scacchiere nazionale, sulla base di una indicazione giuntale, è la
Regione, che aveva avocato a sè la materia ambientale dopo il commissariamento
dell'Ezit risalente al novembre 2015. Sara Vito, assessore all'Ambiente, è stata
incaricata di ridefinire con il governo il perimetro dell'area inquinata e di
modificare l'accordo di programma, firmato nel 2012 tra ministero dell'Ambiente
ed Ezit, allo scopo di sveltire le procedure che proprietari e gestori debbono
affrontare nell'ambito del Sin. Gli obiettivi sono ambiziosi, sia nei contenuti
che nei tempi, perchè Sara Vito spera di farcela entro la fine dell'anno (anche
perchè a seguire ci saranno le elezioni regionali). «Cercheremo di intervenire a
vantaggio dei piccoli-medi operatori - commenta l'assessore - e a breve
censiremo le aziende interessate con una delibera giuntale». «Il percorso
prevede una conferenza di servizi, convocato dal ministero dell'Ambiente, le cui
conclusioni saranno recepite da un apposito decreto - completa la narrazione -
non dovrebbero essere previste modifiche di carattere normativo, a livello
nazionale e regionale». Appare evidente che la duplice operazione, per
concretizzarsi, richiede una forte reciprocità politica tra centro e periferia.
Comunque Sara Vito preannuncia che contatterà urgentemente anche Confindustria e
Confartigianato, le principali associazioni imprenditoriali coinvolte nel tema
bonifiche, per aggiornarli sulle modalità dell'improvviso risveglio. Dunque, le
parole d'ordine sono "riperimetrare" e "decentrare". Nel primo caso la Regione
chiede al ministero dell'Ambiente competenza diretta sulla bonifica dell'area di
un'ottantina di ettari che s'affaccia sul Canale navigabile di Zaule. Scelta non
casuale, valutata insieme all'Autorità portuale, che, in procinto di essere la
maggiore azionista del nascente consorzio "nuovo Ezit", è interessata a rendere
fruibili i terreni prossimi alle banchine. Anche Area Science Park è stata
coinvolta dalla Regione, come interlocutrice negli investimenti maggiormente
innovativi. «Non cambierà l'iter - precisa la Vito - ma la gestione locale della
bonifica consentirà di ridurre i tempi del procedimento». Passiamo al secondo
atto: la modifica dell'Accordo di programma consentirebbe alla Regione di agire
in via sostitutiva nelle aree non contaminate dalla mano pubblica e di
recuperare poi le spese anticipate. In questa maniera verrebbero superate le
criticità inevitabilmente legate alla stipula di centinaia di convenzioni con
gli operatori economici interessati. Un'ultima buona notizia riguarda una
ventina di ettari ex Ezit tra Noghere e Rio Ospo, dove la Regione - ricorda Sara
Vito - ha svolto una serie di "analisi del rischio": ebbene questi venti ettari
attendono solo il suggello della conferenza dei servizi ministeriale per
affrancarsi dalle procedure di bonifica. E diventare così utilizzabili sotto il
profilo produttivo.
Massimo Greco
Patto anti Tir con la Slovenia - Basovizza libera dai
camion - Perfezionato lo stop transfrontaliero ai mezzi pesanti lungo l'ex
valico di Pese
L'obbligo dell'autostrada tra i due stati alleggerirà pure il traffico al
bivio ad H
TRIESTE - Divieto transfrontaliero di passaggio dei Tir lungo l'ex valico di
Pese. A nove mesi dalla promessa di voler intervenire sull'oramai insostenibile
traffico dei mezzi pesanti lungo la regionale 14, l'arteria principale che
collega Basovizza a Hrpelje e Kozina, il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza -
che assieme al primo cittadino di San Dorligo Sandy Klun aveva promosso il
"boicottaggio" dei Tir lungo il percorso italiano - ha annunciato di aver
raggiunto l'obbiettivo comune con la Slovenia. «Ringrazio Sasa Likavec Svetelsek,
sindaco di Herpelje-Kozina, e Mauro Ricci dell'Anas, oltre al sindaco Klun,
perché insieme abbiamo finalmente vietato il transito dei Tir sul valico di Pese
in entrambe le direzioni. È stato molto difficile, ma abbiamo risolto insieme un
problema veramente serio: prima o dopo avremmo davvero rischiato di avere un
incidente mortale», ha spiegato Dipiazza. Il primo cittadino triestino ha
evidenziato le conseguenze positive dello stop imposto ai mezzi pesanti: «Non
vedremo più le file di Tir e verrà garantita la tutela dei cittadini di
Basovizza e più in generale dell'altipiano, ma anche quella dei contadini che
non potevano più uscire con i loro trattori». La questione dei Tir era stata
affrontata nel settembre scorso con la richiesta formulata all'Anas da parte dei
comuni di Trieste e San Dorligo di interdire il traffico ai mezzi pesanti
superiori a 7,5 tonnellate sull'ex statale 14. Successivamente Dipiazza e Klun
avevano incontrato anche il sindaco d'oltreconfine Svetelsek appunto, per
concordare un'azione comune e risolvere il problema alla radice. Anche il Comune
di Hrpelje-Kozina aveva di fatto evidenziato lo stesso problema di sicurezza
riscontrato sul territorio italiano, lamentando addirittura passaggi di oltre
1.500 Tir al giorno in determinati periodi dell'anno. Dal primo giugno, grazie
all'apporto dell'Anas, è stato imposto il primo stop lungo l'arteria stradale
italiana tra il bivio ad H e Basovizza. Da domenica scorsa è scattato anche lo
stop in Slovenia, un risultato raggiunto anche grazie all'intervento diretto del
ministero dei Trasporti della vicina Repubblica sollecitato dal sindaco
Svetelsek. I cartelli apposti nei rispettivi territori a ridosso dell'ex valico
indicano che potranno transitare solo i frontisti, ossia chi, munito di bolla di
accompagnamento, dovrà effettivamente scaricare la merce a Basovizza. Per tutti
gli altri camion dalle 7,5 tonnellate in su l'obbligo di imboccare l'autostrada.
«I Tir provenienti dalla Slovenia, per evitare di pagare pochi euro di
autostrada, non possono mettere a rischio la vita delle persone passando nel
tratto tra Basovizza e il bivio ad H», aveva evidenziato il sindaco Dipiazza.
Ora non resterà che fare i dovuti controlli per evitare che i soliti furbetti
bypassino le nuovi disposizioni. Con questo provvedimento, dunque, i mezzi
pesanti sono stati messi al bando anche nell'altipiano orientale dopo che già
nell'altipiano Ovest della provincia triestina, ossia nel Comune di Duino
Aurisina, era stato posto il veto di transitare lungo diversi tratti non
autostradali tra cui l'ex valico di frontiera di (Comeno). Non si registrano
infine problemi di Tir lungo il confine tra Monrupino e Vogliano e lungo gli ex
valichi di frontiera muggesani, come conferma il sindaco di Muggia Laura Marzi:
«Fortunatamente non abbiamo di questi problemi, i Tir qui sono soliti imboccare
l'autostrada lungo il valico di Rabuiese».
Riccardo Tosques
CICLISTI - La Fiab ora studia la Trieste-Muggia
Questo sabato la Fiab Trieste Ulisse presenterà una proposta per realizzare
un "Collegamento ciclabile Trieste-Muggia".Gli incontri si terranno uno a
Trieste alle 10.30 al Caffè Tommaseo in piazza Nicolò Tommaseo, 4/C e l'altro a
Muggia alle ore 12.15 in piazzale G.Galilei n.4 al bar Molto Ghiaggio.Negli
incontri verranno esposte le soluzioni tecniche per realizzare l'itinerario e
verranno illustrate le ricadute positive che un'infrastruttura di questo tipo
potrebbe portare sia alla mobilità che all'economia cicloturistica, fenomeno in
crescita continua anche nella nostra area provinciale.
Ridotta la portata del Tagliamento per l'allarme siccità - Piogge scarse da otto mesi, la Regione emana un decreto per garantire l'irrigazione delle coltivazioni
Dalle proiezioni alle tipologie climatiche future nella nostra regione
TRIESTE - I meteorologi prevedono a livello nazionale un'ondata di caldo
africano in ascesa nei prossimi giorni. E intanto piove troppo poco. Anche in
Friuli Venezia Giulia. E non da oggi: nella nostra regione le precipitazioni
sono scarse da otto mesi. E hanno causato una siccità perdurante che ha portato
con sé una «forte riduzione del flusso del Tagliamento», dal quale fra l'altro
dipende l'irrigazione di circa 26mila ettari di coltivazioni nella media Pianura
friulana. Così la Regione interviene riducendo la portata del fiume, o meglio
del suo deflusso minimo vitale (Dmv). La presidente del Fvg Debora Serracchiani
ha firmato ieri un decreto che sancisce lo «stato di sofferenza idrica» e
autorizza alla riduzione del Dmv per 15 giorni. Il provvedimento si basa sui
dati della direzione centrale Ambiente, dai quali si evidenzia un deficit idrico
generalizzato che si riflette sulle acque superficiali e sotterranee del Fvg. I
numeri parlano chiaro: a maggio e giugno la pioggia è caduta con valori ben al
di sotto della media del periodo. Nel bacino montano del Tagliamento le
precipitazioni sono state il 54% del valore medio mensile, mentre in pianura
sono oscillate fra il 65% e il 72%. E anche il mese in corso si preannuncia
particolarmente arido, «in particolare nella fascia montana dove ha piovuto fra
il 25 e il 36% dell'usuale».Sul Tagliamento ci sono difficoltà in corrispondenza
della sezione di Ospedaletto, dove è ubicata la derivazione del Consorzio di
bonifica Pianura friulana. La portata naturale del fiume non basta a garantire
contemporaneamente il deflusso minimo e l'approvvigionamento del Consorzio, che
fornisce l'acqua alla media Pianura friulana, appunto, per circa 26.000 ettari
di coltivazioni. Di qui la decisione di dimezzare la portata del Tagliamento
dall'impianto di Ospedaletto da 8 a 4 metri cubi al secondo. Il tutto - precisa
la Regione - per evitare una mancanza d'acqua che «avrebbe pesanti ricadute per
le coltivazioni con conseguenze economiche sull'intero comparto agricolo del
Fvg». Il provvedimento naturalmente potrà essere modificato o sospeso in caso di
piogge che modificassero la situazione. Tenendo presente che «la scarsità di
precipitazioni e l'esiguo contributo dello scioglimento delle nevi causeranno
un'ulteriore diminuzione della portata del Tagliamento».Il decreto firmato da
Serracchiani segue di poco quelli presi da altre regioni: già l'Emilia Romagna e
la Toscana avevano dichiarato lo stato di emergenza regionale per la crisi
idrica, mentre la Sardegna è giunta a chiedere al governo lo stato di calamità
naturale. La governatrice del Fvg ha emanato il decreto nel giorno in cui a
Trieste, nel palazzo della giunta regionale, studiosi ed esperti del settore si
sono riuniti in un seminario tecnico-scientifico dedicato ai cambiamenti
climatici in atto, come in tutto il mondo, anche nella nostra regione. Anche il
Fvg nel suo piccolo vuole attrezzarsi per fronteggiare, come ha ricordato
l'assessore regionale all'Ambiente Sara Vito, «gli impatti dovuti a questi
mutamenti epocali». L'obiettivo è quello di presentare entro fine anno un primo
rapporto sulle conoscenze in base al quale impostare «strategie di adattamento»
e indicare alla popolazione «buone pratiche» da mettere in atto. Punto di
partenza è uno studio affidato a inizio anno dalla Regione all'Agenzia regionale
per l'ambiente, l'Arpa, mirato ad aggiornare le conoscenze sul fenomeno a
livello regionale e individuare i settori economici e sociali sui quali gli
impatti previsti nei diversi scenari futuri potranno essere più rilevanti. Un
lavoro per il quale l'Arpa ha messo in piedi una serie di collaborazioni con gli
Atenei di Trieste e Udine, gli Istituti di ricerca del territorio - dall'Ictp,
all'Ogs al Cnr-Ismar e la direzione centrale Ambiente. Ieri è stato fatto un
primo punto analizzando in via preliminare i risultati e individuando alcune
linee progettuali da seguire. Ma sono stati anche forniti alcuni dati e
ipotetici scenari che potrebbero delineare fra il 2070 e il 2100 un territorio
decisamente diverso da quello che conosciamo oggi. Un territorio dove a Tarvisio
si potrebbe coltivare la vite e dove a Grado e Lignano prospererebbero carrubi e
fichi d'india. La costa del Fvg come il Sud, insomma. Per capirlo basta uno
sguardo al grafico qui accanto, frutto di uno studio dell'Arpa Fvg sulla base di
modelli climatici rielaborati dall'Ictp: si vede un avanzare delle zone
fitoclimatiche più calde (la più calda è il Lauretum) a scapito di quelle
proprie di climi più freddi, come appunto il Picetum (che prende il nome
dall'abete rosso). In sostanza: aumento delle zone calde in cui sono presenti
specie botaniche di tipo mediterraneo come l'olivo e l'arancio, e diminuzione
spiccata delle zone a foresta di gimnosperme. Fra il 2070 e il 2100 la zona del
Lauretum caldo - termine scientifico per definire le aree più calde del
territorio nazionale - che oggi non è presente in Fvg, potrebbe coprire il 5%
del territorio. Scenari ipotetici, naturalmente. Intanto Filippo Giorgi,
responsabile del gruppo di Fisica della Terra all'Ictp, ha prodotto le
proiezioni climatiche stagionali del Fvg per i periodi 2021-50 e 2071-2100
rispetto al trentennio 1976-2005, da cui si evince l'andamento già riscontrato
negli ultimi decenni: gli scenari futuri indicano un aumento delle piogge
invernali e un calo delle piogge estive, mentre quanto alle temperature sono
previste in aumento le ondate di calore. Proiezioni che fanno il paio con i
grafici presentati dal direttore dell'Arpa-Osmer Stefano Micheletti: aumento di
temperatura e variazione del regime delle piogge in atto. Fra i prossimi passi
ci sarà, ha ricordato il direttore generale di Arpa Luca Marchesi,
l'elaborazione delle proiezioni climatiche future: indici da cui valutare gli
impatti dei cambiamenti sotto i vari profili, da quello fisico a quello
economico. E prendere, appunto, le contromisure.
IL PICCOLO - MARTEDI', 20 giugno 2017
La Ferriera torna in scena in piazza Unità - Ieri la
protesta del Circolo Miani. Da oggi comitati in presidio no stop contro l'area a
caldo
"Ferriera 365 giorni. Dipiazza dimettiti". "Ferriera: inizio presidio
permanente". Ieri pomeriggio, alle 18, si è svolta la manifestazione di "No
Ferriera" organizzata dal Circolo Miani. Oggi, alle 18, inizia il presidio ad
oltranza per la chiusura dell'area a caldo dello stabilimento siderurgico di
Servola promosso dal Comitato 5 Dicembre. Stesso luogo (piazza Unità d'Italia),
stesso argomento (Ferriera di Servola), motivazioni opposte. La manifestazione
del Circolo Miani chiede a gran voce le dimissioni di Dipiazza («Ha fallito,
vada a casa»), quella del 5 Dicembre vuole sostenere il sindaco nella battaglia
per la chiusura dell'area a caldo. L'iniziativa di ieri, capeggiata da Maurizio
Fogar, ha visto la partecipazione di 12 persone (una ventina gli uditori) e si è
tenuta a un anno esatto dall'insediamento del sindaco, ricordando anche la
questione dei "100 giorni". Una mezz'ora di comizio di Fogar nell'indifferenza
generale con l'esibizione di uno striscione con la richiesta imperativa delle
dimissioni. «C'è perfetta continuità tra Cosolini e il sindaco Dipiazza. Due
professionisti dello scaricabarile», sintetizza Fogar. Oggi invece saranno i
comitati cittadini a piantare letteralmente le tende in piazza Unità. «Non si
può più aspettare. Portiamo nel cuore della città la rabbia e la sofferenza che
non solo Servola ma anche Muggia e Trieste vivono sulla loro pelle ogni giorno»
spiega il Comitato 5 Dicembre sulla sua pagina Facebook. Così da questa sera in
piazza Unità, di fronte ai palazzi di Regione, Comune e Prefettura ci sarà un
presidio permanente per chiedere che venga trovata immediatamente una soluzione
al problema Ferriera. «La soluzione c'è. L'area a caldo - spiega il comitato -
non è compatibile con la città. Si deve chiudere e si può chiudere senza perdere
posti di lavoro perché l'intera area dello stabilimento è enorme e offre
possibilità alternative pulite e sane per operai e cittadini». Il presidio non
ha scadenza. «Non è un corteo di un paio d'ore: è ad oltranza. Chi vuole
risolvere la situazione - esorta il comitato - doni un po' del suo tempo.
Occorre esserci, essere presenti fisicamente per presidiare 24 ore su 24. È una
sfida enorme. Campeggio senza interruzioni». La protesta ha già trovato
l'adesione del gruppo "Nimdvm". «Un protesta pacifica ma ferma, civile ma dura,
propositiva ma intransigente - spiega l'avvocato Alberto Kostoris -. Perché è
inutile girarci attorno: l'area a caldo deve e può chiudere».
Clima, la febbre aumenta - Allarme per i colpi di
calore - Entro il 2100 i tre quarti della popolazione del pianeta correranno
rischi mortali
Il Consiglio Ue: «Accordi di Parigi non rinegoziabili». Dal G20 pressioni
su Trump
BRUXELLES - L'accordo di Parigi sul clima «non si rinegozia, si applica».
Così il commissario Ue Miguel Arias Canete ha aperto il dibattito tra i ministri
dell'ambiente dei Ventotto sulla decisione degli Stati Uniti di sfilarsi dal
trattato di Parigi per rinegoziarlo da capo. Eppure, la strada per arrivare a
modalità di applicazione condivise tra i paesi Ue sembra essere ancora lunga.
Tanto più mentre gli scenari futuri si fanno sempre più cupi. Tre persone su
quattro (74%), nel mondo, saranno esposte a ondate di calore potenzialmente
letali entro il 2100, se le emissioni di CO2 continueranno a crescere al tasso
attuale alimentando il riscaldamento globale. L'allarme arriva da uno studio
internazionale pubblicato sulla rivista Nature Climate Change. Stando agli
esperti, capitanati dall'università hawaiana di Manoa, attualmente il 30% della
popolazione mondiale è esposto a ondate di calore letali per almeno 20 giorni
l'anno. Se le emissioni di carbonio saranno ridotte in modo drastico, in futuro
l'esposizione riguarderà comunque una persona su due (48%). «Per le ondate di
calore, le nostre opzioni ora vanno da avverse a terribili», afferma Camilo
Mora, autore dello studio. Le ondate di calore hanno già dato prova del loro
potere di morte. Eclatante fu quella che colpì l'Europa nel 2003 facendo 70mila
vittime. Quanto agli accordi di Parigi, sulla scelta degli Usa, ieri mattina, si
sono espressi sia i ministri degli Esteri che quelli dell'Ambiente. Il Consiglio
esteri ha adottato conclusioni inequivocabili, in cui ci «si rammarica
profondamente della decisione unilaterale dell'amministrazione statunitense» e
si «ribadisce che l'accordo di Parigi è idoneo allo scopo e non può essere
rinegoziato». Contenuti ripresi successivamente dal dibattito tra i ministri
dell'Ambiente sullo stesso tema. Il ministro Gian Luca Galletti ha ribadito la
necessità del dialogo con Washington. In linea con il presidente del Consiglio
Paolo Gentiloni, che nelle stesse ore a Pesaro diceva di voler «rinnovare la
pressione sul presidente Usa a rivedere la sua posizione sull'accordo di Parigi
sul clima», in occasione del prossimo G20, tra 15 giorni.Uniti su Trump, i
Ventotto sono ancora divisi sugli impegni concreti. Una «mancanza di progressi»
che «è in contrasto con le dichiarazioni sull'impegno inequivocabile dell'Ue per
l'accordo di Parigi», sintetizza Caroline Westblom del Climante Action Network.
Nel dibattito pubblico sul pacchetto "non Ets", che include un regolamento per
la ripartizione tra i paesi dello sforzo di riduzione delle emissioni di gas
serra nei settori agricoltura, edilizia e trasporti e un altro sul ruolo del
suolo e della silvicoltura, sono riemerse le divisioni degli ultimi mesi. E
anche la gestione delle foreste, su cui i paesi dotati di grandi patrimoni
boschivi vogliono continuare ad avere mano libera, resta «questione critica che
va risolta», come riconosciuto nella conferenza stampa finale. Secondo José
Herrera, presidente maltese di turno del Consiglio, i paesi sapranno «trovare un
accordo prima della fine dell'anno». La Cop 23 di Bonn è a novembre e il
prossimo consiglio Ambiente, a ottobre, ha il sapore di un'ultima chiamata per
l'Europa che reclama la leadership mondiale sul clima
L'INSIDIA DEGLI "ALIENI" PORTATI DALLE NAVI - La
minaccia meno controllabile per il mare è l'arrivo di organismi da altri habitat
Più forti delle specie autoctone, le soppiantano decimando le popolazioni
di pesci
Uno specchio delicato e prezioso. Il mare dell'Alto Adriatico non è blu e
trasparente come quello della Sardegna o della Croazia, ma contrariamente a
quello che si pensa comunemente è un mare pulito, perché le leggi ambientali
degli ultimi anni hanno prodotti i loro effetti, e ricco dal punto di vista
biologico e naturalistico. Vanta anche alcuni paradisi dal punto di vista
naturalistico e biologico come le "Tegnùe" ancora non sufficientemente
conosciute e valorizzate. I pericoli, per lo specchio d'acqua che si affaccia
davanti alle coste del Veneto e del Friuli Venezia Giulia, vengono piuttosto
dalla globalizzazione, dalle grandi navi che girano il mondo e scaricano acque
raccolte chi sa dove, immettendo "specie aliene" che potrebbero produrre danni
irreversibili all'ecosistema. L'Alto Mare Adriatico è la parte della pianura
padana finita sommersa quando, dopo il Pleistocene, il livello del mare si è
innalzato a causa dello scioglimento dei ghiacci. Questo gli dà una
conformazione particolare che rende l'ambiente marino costiero estremamente
sensibile: c'è una bassa profondità, una circolazione un po' difficile, talvolta
rallentata in termini di correnti, e i fiumi convogliano a mare scarichi di
provenienza agricola, civile e industriale. Equilibrio delicato - Se a questo
aggiungiamo il traffico marittimo, la pesca, e turismo che insistono sulla
fascia costiera possiamo capire quanto l'equilibrio sia delicato. È un recettore
definito dalla normativa «area sensibile». Sensibile all'eutrofizzazione, cioè
all'ingresso dei nutrienti tramite il sistema fluviale o, in misura minore,
fognario. Su questo habitat delicato, le politiche ambientali imposte
soprattutto dall'Europa negli ultimi anni, hanno dato i loro frutti. Il dato più
immediatamente visibile è quello della balneabilità delle spiagge: «Nella
classificazione condivisa a livello europeo, in una scala di quattro valori
(scarso, sufficiente, buono, eccellente), il mare del Veneto su 95 punti di
rilevazione ha 5 punti buoni e 90 eccellenti», spiega Paolo Parati, responsabile
dell'Osservatorio Acque Marine e Lagunari dell'Arpav, l'Agenzia di prevenzione e
protezione ambientale del Veneto. Ma il miglioramento delle condizioni di salute
dell'Alto Adriatico è stato generale, non solo davanti alle spiagge, e questo
grazie alle azioni di prevenzione e di tutela attuate a monte. «Seguendo le
varie normative ambientali, si è agito sugli scarichi civili, sul collegamento
dei reflui urbani e sulle emissioni di origine agricola (inquinamento diffuso) e
questo ha fatto sì che il mare ne beneficiasse», dice Parati. Gli sforzi sono
stati indirizzati a ridurre al massimo l'immissione di nutrienti, sia di origine
civile, sia di origine agricola (in particolare azoto e fosforo).«Se osserviamo
il nostro mare a due miglia dalla costa, nelle aree più a Nord abbiamo anche 10
metri di trasparenza: se il mare fosse eutrofico, l'abnorme sviluppo di
microalghe limiterebbe molto la visione", commenta Parati. Barriera corallina Il
Veneto ha anche la sua "barriera corallina" che si eleva dal fondale sabbioso a
una profondità di circa 20 metri. I pescatori hanno chiamato queste formazioni
rocciose con nome dialettale "tegnùe", perché trattengono le loro reti. Paradiso
dei sub per la grande varietà delle forme di vita che le popolano, tutelate dal
2002 come "Zona di Tutela Biologica" dove è vietata la pesca, l'origine di
questo habitat è stato recentemente oggetto di uno studio dell'Istituto di
scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Ismar-Cnr) a cui ha
partecipato anche l'Università di Padova che ne ha rivoluzionato la teoria
sull'origine: le "tegnùe" si sarebbero sviluppate lungo le strutture
morfologiche allungate e sinuose attribuite ad antichi canali fluviali, presenti
nella pianura, durante l'ultimo periodo glaciale, circa 20 mila anni fa. Gli
organismi alieni - È a rischio questo delicato ecosistema per l'interazione
umana? Anni fa si parlava dell'inquinamento come causa del fenomeno delle
mucillagini che provocò gravi danni per il turismo e la pesca tra la metà degli
anni '80 e i primi anni '90. Studi successivi hanno chiarito che la mucillagine
è un fenomeno naturale, una sostanza di origine vegetale che in presenza di
particolari situazioni ambientali dà luogo ad aggregati vischiosi o gelatinosi.
Ma non ha nulla ha a che fare con l'inquinamento. La preoccupazione per
interazione umana sull'ecosistema marino dell'Alto Adriatico è legata invece
alla globalizzazione. «Il giro sempre più massivo», spiega Parati, «di grandi
navi che caricano le acque di zavorra da un capo del globo e le scaricano con i
loro microorganismi in altre parti del mondo crea dei grossi problemi. Alcuni
organismi che vengono importati in questo modo, che noi chiamiamo "specie
aliene" possono creare dei danni irreversibili, perché quando una specie viene
introdotta poi diventa molto difficilmente controllabile». Nell'Alto Adriatico,
ad esempio, desta preoccupazione la presenza di un organismo noto col nome
scientifico di Mnemiopsis leidyi, simile ad una piccola medusa. Originaria
dell'Atlantico, introdotta nel Mar Nero tramite acque di zavorra delle
petroliere negli anni '80, dove grazie all'abbondanza di cibo e alla scarsità di
competitori e predatori ha iniziato a produrre grandi aggregazioni che,
alimentandosi soprattutto di uova e larve di pesce, nel giro di pochi anni ha
decimato gli stock ittici. È arrivata anche nell'Alto Adriatico e bisogna
tenerla sotto controllo, sapendo che però ben poco si può fare per
l'eradicazione di specie più competitive di quelle autoctone una volta che si
sono insediate. Estrazioni di metano - Altra preoccupazione desta la ripresa
delle estrazioni di metano. Nell'Alto Adriatico la pratica iniziata negli anni
Cinquanta, subì una battuta di arresto dopo un incidente nel 1994 ed è ferma dal
2008 quando il Governo decise affidare ad una commissione tecnica l'analisi di
una possibile connessione tra estrazione di gas in mare e subsidenza a Venezia.
Grande preoccupazione ha però suscitato nel Polesine la notizia che la società
Po Valley Operation ha avviato una procedura di valutazione di impatto
ambientale per estrarre gas metano da un giacimento a 12,58 miglia dalle coste
polesane (che quindi non soggiace alle legge che vieta le estrazioni entro le 12
miglia). Secondo i tecnici, l'estrazione non sarà impattante per le coste venete
e la subsidenza sarà circoscritta alle immediate vicinanze del giacimento. Ma le
popolazioni locali non sono per nulla tranquille e il caso è stato affrontato
anche dal Consiglio regionale veneto.
SILVIA GIRALUCCI
CON - mensile COOP - LUNEDI', 19 giugno 2017
Siccità, causa di fame e migrazioni di massa - Oggi
alle isole Tuvalu, domani a chi tocca ?
La grave siccità che ha colpito la Siria prima del 2011 è stata tra le
cause della guerra civile che tuttora divampa in medio oriente: la pessima
politica agricola del governo siriano aveva reso estremamente vulnerabile la
produzione agroalimentare e l’anomala carenza idrica ha costretto milioni di
piccoli produttori a una migrazione interna verso le città, sfociata poi negli
scontri di popolo e nella crisi bellica. I cambiamenti climatici non potranno
che peggiorare situazioni di questo genere: la siccità sta ora infierendo nel
Corno d’Africa e nello Yemen, esacerbando tensioni di regioni già instabili.
C’è poi il più lento ma non per questo meno importante problema dell’aumento
del livello marino: ghiacciai in fusione e dilatazione termica delle acque
stanno già facendo salire gli oceani di circa tre millimetri all’anno e
attualmente gli atolli corallini del Pacifico come le isole Carteret, Tuvalu e
Salomon vedono già i primi provvedimenti di evacuazione delle comunità più
minacciate dalle acque. Per ora si tratta di poche migliaia di persone, ma come
faremo quando saranno scacciati i milioni di abitanti del Bangladesh, del delta
del Nilo, della Florida? Per non parlare di Venezia e Rovigo! Scenari che non
sono fantascienza ma rientrano nelle proiezioni dell’Intergovernmental Panel on
Climate Change (IPCC) per questo secolo, al termine del quale, a seconda delle
politiche di riduzione o meno delle emissioni, i mari potranno aumentare tra
mezzo metro e un metro. E poi il colpo di grazia lo danno pure uragani e
alluvioni, con le loro distruzioni dei raccolti e degli abitati, dalle quali
spesso è difficile risollevarsi e si preferisce dunque fuggire.
Nonostante queste evidenze, lo status di profugo climatico o ambientale non è
ancora riconosciuto, anche se il World Economic Forum colloca i cambiamenti
climatici e le migrazioni di massa ai primi posti tra i rischi globali nel suo
Global Risk Report 2016. Da qui all’esplosione dei conflitti tra diverse regioni
del mondo il passo è purtroppo breve come dimostra l’insofferenza per il dramma
dei migranti nel Mediterraneo, o tra Messico e Usa: e si tratta di numeri per
ora molto più piccoli di quelli attesi in futuro!
Il documentario americano “The age of consequences” di Jared P. Scott dipinge
proprio questa crescente inquietudine ormai entrata prepotentemente nelle
discussioni di strategia militare al Pentagono. La mitigazione dei cambiamenti
climatici diviene dunque sempre più urgente, al fine di contenere l’aumento
della temperatura atmosferica e del livello dei mari entro livelli socialmente
accettabili, ma è chiaro che ciò non basterà, e lo sforzo di adattamento alle
nuove condizioni, nonché i meccanismi di aiuto e solidarietà internazionale,
saranno fondamentali per prevenire gli attriti in un mondo che a metà secolo
sarà popolato da oltre nove miliardi di individui. Lo scrittore Bruno Arpaia ha
immaginato un’Italia desertificata tra non molti decenni, dove una miserabile
colonna di profughi climatici da Napoli cerca di raggiungere la salvifica
frescura della Scandinavia: è il romanzo “Qualcosa là fuori”, lo si etichetta
come “climate fiction” ma è più realistico di quanto si pensi.
Luca Mercalli
IL PICCOLO - LUNEDI', 19 giugno 2017
Le dieci tartarughe ritornate in libertà
POLA - Un folto pubblico composto anche da villeggianti è accorso sulla
spiaggia sotto il popolare faro di Verudella per assistere alla rimessa in mare
di una decina di tartarughe dopo aver trascorso un lungo periodo di cura e di
convalescenza presso l'apposito Centro per la cura e la riabilitazione che sorge
nei pressi della vicina fortezza austroungarica.
Dopo una breve introduzione sull'attività del centro stesso fondato nel 2006, le tartarughe sono state presentate e rimesse in mare una ad una. Quasi tutte erano state soccorse in diversi punti dell'Adriatico causa ipotermia o assideramento in seguito al forte freddo dell'inverno scorso.Va ricordato che questi animali tutelati dalla legge, non sono in grado di emigrare al sud in cerca di mari più caldi per cui spesso vengono stroncati dal freddo e trascinati dalle onde sulle spiagge dove fanno una brutta fine. Shiggy-Lola (lunghezza della corazza 26 cm e peso di 2,5 kg) era stata trovata nel dicembre del 2016 con la pinna posteriore danneggiata nel mare vicino a Lussinpiccolo. Marko-Beni con la corazza di 58,5 cm e peso di 22,2 kg era stato rinvenuto nello zaratino nel gennaio scorso e subito portato a Pola. Lo stesso mese è stato soccorso Miro con la corazza di 64 cm e peso di 28,8 kg, anche lui è stato trovato presso Zara in condizioni di semiassideramento. Patricija accolta nel centro lo stesso giorno di Miro, presenta la corazza di 65 cm e 33 kg di peso. Nelle stesse condizioni e nello stesso mare era stata trovata Brankica, giunta anche lei a Pola lo scorso gennaio. La sua corazza è lunga 68 centimetri per il peso di 38 chilogrammi. La tartaruga più grande è Giovanni con la corazza di ben 73,5 cm e il peso di 48 chilogrammi. Era stato trovato in preda al forte freddo verso la fine di gennaio vicino a Sebenico cosi come Raslinka della corazza di 62,8 cm e peso di 29 chilogrammi. La tartaruga più piccola è Luce arrivata a Pola alla fine di febbraio. La sua corazza è di soli 26,5 di lunghezza e il peso di poco più di 2 kg. Era stata trovata nel mare di Novi Vinodolski con diverse contusioni superficiali segno che era stata per lungo tempo in balia delle onde per ipotermia.Tina (corazza di 60,5 cm e peso di 27 kg) era stata soccorsa l' aprile scorso a Lesina per aver ingoiato della plastica. L'ultima arrivata nel centro è Issa (corazza di 72 cm e peso di 43 kg ),soccorsa nel maggio scorso vicino a Lissa con i sintomi di assideramento. Nel centro per la cura e la riabilitazione delle tartarughe di Verudella esiste la cosiddetta stanza delle piscine dove vengono curate, e subito accanto troviamo l'aula didattica del centro dove sono custodite le fotografie la relativa documentazione di tutte le tartarughe finora salvate, da 10 a 15 all'anno. Le tartarughe che finiscono in cura a parte l'ipotermia, presentano ferite dovute soprattutto all' urto con le imbarcazioni o perché finiscono impigliate nelle reti dei pescatori che le raccolgono facendo quindi intervenire gli attivisti di Verudella. Qualche esemplare viene trovato sofferente di disturbi naturali, come quelli gastrointestinali.
(p.r.)
IL PICCOLO - DOMENICA, 18 giugno 2017
Il vescovo visita la Ferriera «Basta con i toni
esasperati» - Crepaldi ha incontrato Arvedi, sindacati, lavoratori e poi in
parrocchia i comitati
«Serve tornare a un dialogo sereno fra le parti. I problemi possono
essere risolti»
Ha invocato il ritorno a un dialogo «sereno, fecondo e pacato, al di fuori
degli interessi politici», l'arcivescovo Giampaolo Crepaldi, ieri in Ferriera.
Perché, ne è certo, «il clima attorno a questa straordinaria realtà produttiva è
esasperato e non trovo le ragioni di questi toni». È stata una lunga mattinata
quella del presule in fabbrica. A tratti leggera, con il sorriso, come quando ha
scherzosamente scambiato il suo zucchetto con l'elmetto di un operaio. Il
vescovo sta compiendo una visita pastorale nella parrocchia di Servola e non ha
voluto tralasciare lo stabilimento di Siderurgica Triestina. Tanto più in questo
periodo in cui lo scontro tra proprietà, il Comune e il fronte delle
associazioni anti-Ferriera, non dà segnali di distensione. Crepaldi si è
intrattenuto con il cavalier Giovanni Arvedi, ha parlato con i sindacati, ha
stretto mani, è salito sugli impianti e, subito dopo in parrocchia, ha
incontrato pure i comitati. Ma prima ha impartito la benedizione. Lo ha fatto
nell'enorme capannone del laminatoio in una veloce cerimonia davanti a un gruppo
di dipendenti con le loro famiglie e lo stesso Arvedi. Parole non di
circostanza, è apparso subito evidente, né le sue né quelle dei presenti. «La
Chiesa triestina non è fuori dai cancelli, la sentiamo vicina», ha detto a nome
dei colleghi il responsabile della produzione del laminatoio, Manuel Antonaz,
offrendo in dono al vescovo un crocefisso in ghisa. «Lo metterò sul mio tavolo -
ha risposto Crepaldi - e state sicuri che sì, la Chiesa è dentro a questi
cancelli. Io ogni giorno vi ricordo nella mia preghiera. Molti problemi - ha
osservato ancora - possono essere risolti nel rispetto della salute e del
lavoro. Io mi impegno fortemente su questa strada». Il presule, accompagnato dal
parroco di Servola, don Carlo Gamberoni, e da don Andrea Mosca, è stato accolto
nello stabilimento da Arvedi. «La dignità dell'uomo, non come essere
antropomorfo, ma come persona - ha suggerito il numero uno del gruppo durante il
colloquio - sta prima di tutto nel lavoro». Crepaldi ha offerto all'imprenditore
la propria intercessione «affinché si smorzino i toni accesi e il clima fra gli
interlocutori ritorni sereno», rende noto un comunicato di Siderurgica
Triestina. Di qui il messaggio, rivolto alla popolazione e alla classe politica.
«Il vescovo auspica un clima di dialogo sereno, fecondo e pacato - ha ripetuto
Crepaldi - perché è in questa maniera che si può combinare insieme due esigenze
che oggi sembrano in conflitto: la salvaguardia del diritto al lavoro e la
salvaguardia della salute. Arvedi lo crede fermamente. Certo, miracoli neanche
lui li fa e neanche io. Però piano piano si può costruire qualcosa di buono».
«Vedo - ha rilevato - soprattutto dal fronte sindacale una maturità che mi ha
molto colpito. Purtroppo il clima è esasperato, questo è il punto. Non so chi
abbia interesse a esasperarlo. Però credo, lo dico come vescovo e come Chiesa,
che la strada del dialogo dinnanzi a problemi seri e oggettivi sia l'unica».
Concetti sottolineati, poco prima, proprio dinnanzi ai sindacati. «Dietro di voi
ci sono famiglie, figli, c'è la vita. I processi avviati in Ferriera sono
importanti, c'è stato un cambiamento. La Ferriera ha la mia fiducia». I
rappresentanti di Uilm, Fiom-Cgil, Failms, Fim-Cisl, hanno espresso
soddisfazione per il ruolo che la Diocesi intende giocare nel ricostruire il
ponte del dialogo tra le diverse parti. «Il vescovo può sensibilizzare la città
sul diritto al lavoro e alla salute - ha suggerito Franco Palman (Uilm) -, può
far capire alla popolazione che le due cose sono sulla stessa strada».
Gianpaolo Sarti
IL PICCOLO - SABATO, 17 giugno 2017
Rigassificatore - «Il Fvg si batterà contro l'ok al
metanodotto»
Il no dell'amministrazione Fvg al rigassificatore di Zaule non è in
discussione, così come al metanodotto. Lo ribadisce Debora Serracchiani in
merito al progetto Trieste-Grado-Villesse, per il quale il Ministero
dell'ambiente ha stabilito con un decreto la compatibilità ambientale. Decreto,
fa sapere la presidente della Regione, che verrà impugnato. Le motivazioni
(verranno portate in Conferenza dei servizi) sono anzitutto tecniche: «Il porto
di Trieste sta vivendo una fase di sviluppo e grazie alla presenza della Siot è
anche il maggior scalo europeo per gli idrocarburi, con l'ovvia presenza di
numerose petroliere. Le navi gasiere sarebbero quindi ostative al traffico
navale all'interno del Golfo, dove sono peraltro già presenti importanti
insediamenti industriali». Ma Serracchiani sottolinea anche l'urgenza di
«ascoltare la voce del territorio: i cittadini sono contrari e anche Slovenia e
Croazia si sono già espresse in questo senso».
(m.b.)
Piste ciclabili invase dagli ostacoli - Cantieri, siepi
e auto parcheggiate - mobilità: il caso
Mancata manutenzione, ostacoli o interruzioni, automobilisti indisciplinati
e progetti mai decollati. Mentre il Comune di Trieste dichiara guerra alle bici
in sosta, con multe e rimozioni per i mezzi abbandonati o ancorati ai pali di
zone pedonali, molti ciclisti chiedono a sindaco e giunta di pensare a rendere
sicuri e fruibili i percorsi, prima ancora delle sanzioni. Le piste ciclabili
della città presentano diverse criticità, portate all'attenzione da chi
abitualmente si muove con la propria due ruote, confermate da Fiab Trieste
Ulisse, associazione punto di riferimento per tanti appassionati. La più
problematica è la ciclabile di Barcola, compromessa anche da un cantiere
dimenticato e dal verde incolto. C'è poi quella di campo Marzio, quotidianamente
bloccata da mezzi in sosta vietata, stessa cosa per il breve tratto ciclabile
nella zona del Sincrotrone. Manca un collegamento tra Rive e Barcola, auspicato
da molti in Porto vecchio, così come quello tra viale XX settembre e via
Imbriani e tra piazza Perugino e piazza Goldoni, questi ultimi due annunciati ma
ancora fermi. Partendo da Barcola verso Miramare, tratto particolarmente amato
d'estate, ci si trova subito davanti a un cantiere, all'altezza del Cedas, che
blocca il passaggio, fermo almeno da un anno per un muro pericolante. Superate
le transenne, da lì in poi le siepi in alcuni punti coprono interamente la
corsia delle bici, mentre più avanti, in corrispondenza dei locali con tavoli,
il ciclista deve tornare sulla carreggiata delle auto. Nei weekend poi non si
contano auto e scooter parcheggiati in sosta selvaggia lungo tutto l'asse.
«Dalla stazione dei treni al bivio sono sei chilometri, in realtà ci sono solo
tratti non lineari e tutti monodirezionali - spiega Federico Zadnich,
coordinatore regionale di Fiab -, bisognerebbe dare una continuità alla pista,
che attualmente si riduce a una serie di tronconi, servirebbe poi togliere i
parcheggi davanti alla Marinella, dove i ciclisti devono deviare perché il
locale giustamente ha il servizio dei tavoli esterni, e ancora manca un'attenta
manutenzione». Spaventa la Fiab poi la nuova rotonda prevista all'ingresso nord
del Porto vecchio. «Sono soluzioni che riducono l'incidentalità per le auto ma
sono molto pericolose per le bici. Il Comune ci ha detto che non intende
realizzare l'anello ciclabile». Anche la pista di Campo Marzio, pur in
condizioni migliori, presenta alcune problematiche. «Il percorso, sebbene
costruito rispettando le norme tecniche, ha punti critici - prosegue Zadnich -:
manca il passaggio dietro la rampa autostradale di fronte la piscina Bianchi e
pure quella di connessione alla ciclabile Cottur. Ci sono poi gli automobilisti
che ogni giorno parcheggiano l'auto proprio sulla ciclabile, soprattutto nel
piazzale davanti alla Bianchi, una maleducazione che riscontriamo davvero
quotidianamente, qui si dovrebbero sanzionare auto e scooter». Sosta selvaggia
anche sul tratto di ciclabile in prossimità del Sincrotrone, scambiato
soprattutto nei weekend come parcheggio per auto. Un altro punto dolente per i
ciclisti sono le Rive, un marciapiede ciclopedonale che secondo la Fiab è la
peggior soluzione tecnica per chi si muove sia camminando sia pedalando. Se la
passa meglio la ciclabile Cottur, ma secondo molti manca una pulizia attenta e
una valorizzazione della struttura di inizio percorso, al momento chiusa e semi
abbandonata. «Attendiamo poi due novità promesse dal sindaco Roberto Dipiazza in
campagna elettorale - conclude Zadnich -: il collegamento tra viale XX settembre
e via Imbriani, molto importante per i tanti che transitano proprio sul viale, e
l'utilizzo dell'asse dei bus anche per le bici tra piazza Perugino e piazza
Goldoni. Per adesso non si muove nulla, siamo fiduciosi che la giunta attuale
possa ascoltare le nostre richieste».
Micol Brusaferro
Il progetto che guarda a Muggia - L'idea
Sabato 24 giugno la Fiab Trieste Ulisse presenta la proposta di un nuovo
collegamento ciclabile Trieste-Muggia con partenza da piazza Foraggi. L' idea
sarà illustrata alle 10.30 al Caffè Tommaseo in piazza Nicolò Tommaseo da Luca
Mastropasqua, presidente Fiab Trieste Ulisse, che parlerà delle opportunità e
dell'importanza della realizzazione di un nuovo percorso ciclabile, e da
Federico Zadnich (foto), coordinatore regionale Fiab Fvg, che esporrà le
soluzioni tecniche dell'itinerario. L'incontro si sposterà poi alle 12.15 a
Muggia, sotto il portico del municipio, dove ai due relatori si aggiungerà anche
Jacopo Rothenaisler, responsabile Fiab Muggia Ulisse. Nei due appuntamenti,
aperti al pubblico, verranno spiegati sia i dettagli del progetto sia le
ricadute positive che l'infrastruttura potrebbe portare alla mobilità e
all'economia. In riferimento a Muggia, la sezione locale di Fiab Ulisse
recentemente ha espresso contrarietà all'annunciata ordinanza di chiusura del
centro storico alle biciclette, ricordando che la cittadina nel 2016 ha visto
passare più di 11mila cicloturisti.
(mi.b.)
«Ragioniamo sul Porto vecchio» - L'assessore Polli:
«Interventi in programma». Marchigiani attacca la giunta
La Fiab ricorda le politiche positive avviate durante la passata
amministrazione, in particolare la pista di campo Marzio, la corsia ciclabile in
via Mazzini e la creazione di un centinaio di stalli per i mezzi. Attende invece
le promesse fatte dalla giunta Dipiazza in tema di ciclabili. Sull'argomento
botta e risposta tra l'ex assessore alla Pianificazione Urbana Elena Marchigiani
e l'assessore all'Urbanistica in carica Luisa Polli. «Non capisco - spiega
Marchigiani - l'atteggiamento ideologico attuale, e non vedo grande attenzione
nei confronti della mobilità sostenibile. Noi siamo stati mossi dalla
consapevolezza che c'era una forte esigenza sul territorio. Muoversi in bici fa
bene alla salute ma è anche una soluzione utile a fronte dei livelli di
inquinamento, per i quali incidono sì molti fattori, e sicuramente lo smog è uno
di questi, oltre al fatto che diminuisce il numero di persone che utilizza
l'auto. La nostra attenzione ai ciclisti è passata anche attraverso il piano del
traffico e un progetto su via Giulia ormai dimenticato. Mi auguro che ci sia una
maggior sensibilità, che si guardi al reale benessere dei cittadini e di Trieste
e che si continui un percorso virtuoso iniziato». Sui problemi segnalati da Fiab
e su alcuni progetti previsti in futuro risponde l'assessore Polli. «Per esempio
- dice - per nuovi percorsi richiesti in Porto vecchio è un impegno già inserito
nel programma elettorale, andrà discusso con i vari partner responsabili della
zona, non dimentichiamo che in parte è ancora area portuale, con camion che
transitano. Ricordo poi che a settembre si terrà un convegno, che arriva dopo un
anno di lavoro, proprio sulla mobilità sostenibile, per avviare un dialogo con
tutti i soggetti coinvolti nel trasporto cittadino e non solo, per dare il via a
quel progetto di smart city dal quale potranno partire interventi anche sul
fronte delle ciclabili. Un percorso che si è aperto con Portis e che è appena
all'inizio». L'assessore si riferisce al finanziamento di oltre 2 milioni di
euro ottenuto dal Comune di Trieste nell'ambito di Horizon 2020, che l'Unione
europea ha creato per promuovere attività di ricerca e innovazione volte a
migliorare il potenziale economico e industriale dei Paesi. Il Comune aveva
partecipato in qualità di partner, all'interno di un consorzio che aveva
presentato la proposta denominata Portis (Port-cities Integrating Sustainability),
per una migliore integrazione tra ambiente urbano e porto per una crescita più
coordinata e sostenibile. «Ci sono quindi molte cose ancora da fare - prosegue
Polli - senza dimenticare che i costi per realizzare le piste ciclabili sono
elevati e va creato il giusto clima di collaborazione, valutando studi
compatibili con le caratteristiche della nostra città. A breve incontreremo
anche la Fiab, sarà poi necessario creare le giuste sinergie con altre
associazioni e stiamo valutando anche nuovi percorsi ciclabili turistici sul
Carso».
(mi.b.)
LE STORIE - «Tutti i giorni pedalo fra le pecche
andando a lavorare»
Stefano Cozzini utilizza ogni giorno la bicicletta per andare al lavoro:
percorso sulle Rive e poi prosegue verso Barcola fino a Miramare, per recarsi
negli uffici degli istituti scientifici che hanno sede a Grignano. Un tragitto
caratterizzato da varie problematiche, con le quali si confronta da tempo.
«Muovermi con la bici è un'abitudine quotidiana da quando mi sono trasferito a
Trieste nel 1999 - racconta -, credo sia comodo e semplice, tutto l'anno». Come
risponde a chi dice che "Trieste non è per bici"? «Si sente spesso, per la
conformazione di alcune vie, ma non credo sia così, è una città sicuramente
adatta anche alla bicicletta, lo dimostrano i tanti che la usano. In più molti
hanno adottato la pedalata assistita, un aiuto che negli ultimi anni è stato
scelto da un numero sempre crescente di persone, quindi affrontare anche le
strade più impervie non costituisce un problema. Personalmente mi capita di
raggiungere la Sissa in via Bonomea, con la salita impegnativa, senza grande
difficoltà e così è anche per altri». Come migliorare, dunque, la vita di chi
pedala? «Certo non chiedo una ciclabile per quella via ripida - puntualizza - ma
almeno per Barcola, molto frequentata e con tante pecche, dovrebbe esserci più
attenzione. Al momento è una ciclabile monodirezionale, solo in uscita dalla
città, in più non è a norma in vari punti ed è piena di interruzioni, per
rientrare devo per forza utilizzare la strada, affiancandomi agli altri veicoli.
Sarebbe opportuno creare anche il senso inverso, di rientro verso il centro,
sfruttando magari il Porto vecchio, valorizzando in tal senso un'area molto
amata da chi va in bici». E Stefano sottolinea anche la percezione di una
crescente passione per il mezzo ecologico in città. «In generale ho notato che
negli ultimi sei, sette anni, a Trieste l'uso della bicicletta è aumentato
tanto, c'è un'esigenza di ciclabilità sempre più sentita e di pari passo è
cresciuta anche la domanda di stalli, che sono davvero pochi. Aggiungo -
conclude Cozzini - che dovrebbe migliorare anche l'educazione di ciclisti e
automobilisti, in egual modo, per rendere Trieste, in particolare il centro, più
fruibile per entrambe le categorie, nel rispetto reciproco».
(mi.b.)
«Non mi sento sicura se giro in centro città
- Poche corsie ad hoc»
«Vado in bici soprattutto per gite o per andare al mare d'estate, mi
piacerebbe muovermi anche in città, ma con i percorsi attuali non mi fido, è
pericoloso». Ilaria Ericani è una sportiva che nel tempo libero sale in sella e
si gode lunghi giri in relax, ma che vorrebbe poter scegliere la bici sempre,
anche negli spostamenti di ogni giorno. «Preferisco optare per la ciclabile che
parte da San Giacomo, perché protetta e lontana dal traffico, così mi sento
sicura. D'estate mi spingo fino a Barcola, per andare al mare, ma utilizzando
esclusivamente la pista con partenza dalla stazione dei treni, che andrebbe
sicuramente migliorata. Le poche volte che vado in centro spesso passo sul
tratto ciclabile di via Trento, anche se breve, purtroppo molte persone non
sanno che possono transitarci anche le biciclette e ti ritrovi in mezzo a chi
cammina, oltre ad auto e furgoni in sosta sul marciapiede, tutti fattori che
creano inevitabili disagi. Ultimamente - prosegue - c'è anche un cantiere, che
non aiuta, perché costringe i pedoni a spostarsi proprio dove passiamo noi.
Insomma non è il massimo». Ma il centro cittadino non è comunque una soluzione
che sceglie spesso. «Ammetto che ho paura, bisogna fare continua attenzione alle
automobili, finisce che non ti godi la pedalata, ma sei concentrata sui pericoli
che corri e a quel punto meglio rinunciare. Devo dire che anche i pedoni molte
volte non prestano attenzione alle bici, anche in questo caso si rischia. Ci
sono poi alcune carenze evidenti, d'estate sono in molti ad andare a Barcola e
mancano i parcheggi, io mi dirigo in particolare a Miramare e lì non ci sono
proprio stalli». Anche Ilaria Ericani, proprio come Stefano Cozzini (si veda
l'articolo qui a fianco), ha notato a Trieste un movimento crescente di amanti
della biciclette negli ultimi anni, un trend in cui sono comprese molte
famiglie. «Vedo tanti genitori, anche con bambini piccoli, che finiscono per
impegnare la strada visto che mancano tracciati dedicati. Credo che le ciclabili
a Trieste siano poche e alcune da implementare, sono convinta che se ci fossero
percorsi cittadini più completi in tanti, io per prima - conclude -, si
sposterebbero in bicicletta abitualmente».
(mi.b.)
La Ferriera ribatte ad Arpa «Nessuno sforamento» -
Siderurgica Triestina: «Valori delle polveri diminuiti rispetto ai dati di
maggio»
Oggi il vescovo Crepaldi visiterà lo stabilimento incontrando Arvedi e
sindacati
L'altolà dell'Arpa e del ministero dell'Ambiente sulle polveri sottili e sul
rumore della Ferriera non resta inascoltato. È Siderurgica Triestina, sotto la
lente di ingrandimento del fronte istituzionale, a reagire. Non ci sta, la
Ferriera, a continuare a passare da incorreggibile "babau", si legge in un
comunicato della società. «Non si è verificato alcuno sforamento». L'impresa,
dunque, ribalta la presa di posizione della Regione, che nei giorni scorsi aveva
comunicato quanto chiesto dall'Arpa: una riduzione della produzione, in modo da
contenere le emissioni. «I dati rilevati dalla rete dei deposimetri installati
in prossimità dello stabilimento indicano che nell'ultimo mese si è verificato
un deposito di polveri superiore a quello dei mesi precedenti nell'area
prospiciente l'altoforno», ammoniva l'Agenzia ambientale. Era stata la stessa
Arpa, ancora, a segnalare l'insufficienza degli interventi di Siderurgica
Triestina per la mitigazione del rumore. Di qui il decreto del ministero
dell'Ambiente per l'avvio di una procedura di revisione dell'Aia con l'obiettivo
di migliorare l'impatto acustico. La società non ci sta. Innanzitutto ricorda
che dall'arrivo del cavalier Arvedi ha investito 137 milioni di euro per le
bonifiche dei terreni e gli interventi impiantistici, oltre ad aver eliminato
«il mostruoso cumulo storico di rifiuti». L'azienda assicura inoltre che «è in
atto uno stretto e costante monitoraggio interno». E porta i numeri: «Già nella
prima settimana di giugno - avverte la nota - il valore del deposimetro
"Palazzina Qualità" ha evidenziato una diminuzione di circa il 20% rispetto al
dato di maggio. La completa disponibilità della Siderurgica Triestina nella
prosecuzione dell'impegno ambientale - viene puntualizzato - si esplicita sia
nel comunicare mensilmente in autocontrollo i dati di monitoraggio interno nel
rispetto totale dei severi limiti imposti, in particolare secondo il deposimetro
che è posizionato nello stesso stabilimento, sia nel costante rispetto dei
valori di inquinanti entro i limiti previsti dalla legge». Risultati, prosegue
il comunicato, «che saranno garantiti anche in futuro». L'Arpa, rincara la
società, «non ha imposto alcuna frenata, poiché non si è verificato nessuno
sforamento, piuttosto ha reso pubblico quanto già noto all'azienda, indicando un
approccio di verifica tecnica alla marcia dell'altoforno». Ma anche l'Aia a cui
si fa riferimento, «non è quella della Siderurgica Triestina - ribatte l'impresa
- bensì quella Elettra. Hanno preso tutti un granchio: l'Aia di cui si parla -
precisa la nota - non è quella dello stabilimento di competenza regionale, bensì
quella della centrale elettrica, ereditata dalla precedente proprietà e su cui
era già stato presentato un piano di valutazione acustica che la commissione
ministeriale aveva approvato in marzo. È accaduto che il decreto del ministero
abbia recepito la richiesta del Comune di fare ulteriori due misure in punti dei
quali l'azienda aveva già tenuto conto in precedenza». La Ferriera ritorna al
centro dell'attenzione proprio oggi: il vescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi si
recherà nella fabbrica nell'ambito di una visita pastorale alla parrocchia di
Servola. L'arcivescovo incontrerà anche Giovanni Arvedi e i rappresentanti
sindacali. Alla fine della mattinata, presso il laminatoio, il presule si
raccoglierà in preghiera con i lavoratori.
Gianpaolo Sarti
Circolo Miani - Una manifestazione per chiedere a
Dipiazza di dimettersi
«Mi dispiace dire a un mio personale amico, qual è il sindaco Roberto
Dipiazza, di andarsene, ma nessuno lo ha costretto a promettere il 19 giugno del
2016 che in 100 giorni avrebbe chiuso l'area a caldo». E così Maurizio Fogar con
il suo Circolo Miani, di cui è a capo dagli anni '90, ha organizzato di fronte
al Municipio la manifestazione "Ferriera 365 giorni Dipiazza dimettiti" per
lunedì - il 19 giugno - alle 18, esattamente un anno dopo la promessa firmata
dal primo cittadino durante la campagna elettorale.«In cento giorni era
impossibile chiuderla - continua Fogar -, ma se volesse davvero farlo,
basterebbero 21 giorni : come sindaco, riveste anche l'incarico di autorità
sanitaria locale, che gli permette di emanare ordinanze non appellabili. Così ha
fatto il sindaco di Piombino per la Lucchini. Tutte le mosse di Dipiazza durante
questi 365 giorni sono state sbagliate, a partire dalla richiesta di revisione
dell'Aia inviata alla Regione anzichè all'ufficio che l'ha rilasciata. Fare
speculazione politica sulla pelle dei cittadini - conclude - è orribile».
(b.m.)
Si riaccende a Muggia la guerra delle nutrie - I grillini contestano la legge tesa a eliminarle e le rilanciano come attrazione turistica di rio Ospo. Decolle: «Dov’erano finora?»
Gli animalisti e l’assessore - Punti di vista diversi tra le associazioni e la delegata all’Ambiente Litteri ma è concorde l’auspicio che si utilizzino metodi non cruenti
MUGGIA «Il turismo didattico delle nutrie può essere un punto di forza per creare indotto a Muggia: mi chiedo perché l’amministrazione comunale rimanga in silenzio sulla decisione di eliminare questi animali, anche sul rio Ospo». Emanuele Romano, capogruppo del M5S, alza la voce sulla delicata tematica nutrie. I roditori sono finiti nel mirino della Regione che ha stilato una proposta di legge atta ad eradicare e contenere questa specie. «La proposta di legge impone su tutta la regione la stessa misura senza distinguere le zone dove la nutria fa danni da quelle dove potrebbe convivere in armonia, se non addirittura rappresentare una risorsa come prospettato a Muggia dallo stesso assessore Stefano Decolle», stigmatizza Romano. Per l’esponente grillino le nutrie del rio Ospo potrebbero essere inserite nell’ampio contesto del cosiddetto slow tourism, il turismo sostenibile, su cui Muggia ha deciso di puntare. «Mi chiedo dove sia finita la condivisibile idea del Nutria Day muggesano, e perché non vi sia una presa di posizione contro la proposta di legge regionale», aggiunge Romano. Pronta la replica di Decolle: «Quella sulle nutrie era una boutade, una provocazione. Mi chiedo invece perché Romano, all’epoca, non abbia espresso il suo interessamento per la proposta». Sulla questione nutrie sono intervenute anche l’Associazione MujaVeg, l’Associazione culturale Naica, la Leal Lega Antivivisezionista e la Lav: «Bocciamo senza esitazione la proposta di legge sull’eradicazione delle nutrie, da diversi punti di vista. Eticamente, siamo contrari ad uccidere animali la cui unica colpa è esser nati nel posto sbagliato per colpa di alcuni allevatori che, chiusi gli allevamenti per pellicce, hanno abbandonato al loro destino centinaia di nutrie. Riteniamo inoltre che il contenimento della nutria vada gestito con metodi non letali, come la sterilizzazione». Secondo l’assessore all’Ambiente Laura Litteri «il proliferare incontrollato delle nutrie costituisce un problema. Hanno un tasso di riproduzione piuttosto elevato e si espandono rapidamente e sul nostro territorio non hanno nemici naturali che ne controllino la crescita. Sono sicuramente dannose per l’agricoltura e per gli argini dei fiumi, in quanto scavano grosse gallerie, ma anche per l’avifauna in quanto distruggono i nidi e predano le uova». Ricordando come da un punto di vista strettamente faunistico la legge 116 del 2014 ha escluso le nutrie dalla fauna selvatica e le ha classificate alla stregua di talpe, ratti, topi, Litteri stigmatizza il fatto che «per lo squilibrio creatosi all’interno del nostro ambiente naturale sia responsabile l’essere umano che ha importato questi animali, ma è necessario porre un freno a questa crescita incontrollata, anche per non danneggiare altre specie autoctone». E in attesa del piano triennale che la Regione dovrà approvare entro 90 giorni dall’entrata in vigore delle “Misure per il contenimento finalizzato all’eradicazione delle nutrie” , piano nel quale saranno indicate le modalità di coinvolgimento dei Comuni, Litteri auspica, in accordo con gli ambientalisti, «che gli interventi siano prevalentemente di tipo non cruento, come ad esempio la sterilizzazione». Insomma per le nutrie del rio Ospo, diventate vere e proprie superstar quest’anno, con centinaia di visitatori soprattutto nella zona di Rabuiese, si preannunciano tempi davvero difficili.
Riccardo Tosques
L'Italia a secco ora conta i danni - Piove la metà,
laghi e fiumi ai minimi. Stato di emergenza in Toscana. Necessario ridurre gli
sprechi
L'Italia ha sete. Una frase ormai ricorrente, utilizzata troppe volte negli
ultimi anni, ma che di fatto è una triste realtà. Le riserve idriche del Paese,
è proprio il caso di dirlo, sono agli sgoccioli, con conseguenze terribili per
l'agricoltura, l'allevamento e anche semplicemente per l'uso domestico.
L'approvvigionamento, in alcuni comuni dove la crisi è più acuta, è garantito
dalle autobotti o con interventi di emergenza da parte dei gestori del servizio
idrico (e siamo solo a giugno). Una vera e propria emergenza frutto dei continui
e imprevedibili cambiamenti climatici: qualche giorno fa almeno 150 persone sono
morte nelle alluvioni che hanno colpito il Bangladesh. L'aumento vertiginoso
della temperatura, con le massime che in Italia sono in continua crescita
rispetto alle naturali medie del periodo, è al centro del problema. Ogni anno
che passa gli inverni che ci lasciamo alle spalle non sono poi così rigidi come
una volta. Si conferma anche in Italia la tendenza al surriscaldamento dopo che
il 2015 si era posizionato come l'anno più bollente della storia. Un trend ormai
perenne visto che gli anni più caldi dal 1880 a oggi sono stati il 2016, 2014,
2012, 2007, 2002 e il 2001. Ad allarmare è il livello di laghi e fiumi. Non
piove e non nevica a sufficienza, laghi, fiumi e invasi artificiali sono ai
minimi. Ecco, quindi, lo stato di emergenza nazionale. Perché di questo si
tratta: l'Emilia-Romagna ha nei giorni scorsi avviato l'iter; mentre la Toscana,
dopo gli ultimi rilevamenti dell'Autorità Idrica, proprio in queste ore ha
dichiarato lo stato di emergenza idrica e idropotabile. In alcune aree d'Italia,
infatti, la situazione è drammatica. In Emilia-Romagna, secondo l'Anbi
(Associazione Nazionale dei Consorzi di bonifica), la criticità è evidente, è
piovuto fino al 50% meno di quanto non fosse atteso, e il deficit idrico, a
seconda delle zone, si attesta tra il 20% e il 40%. Addirittura a Piacenza,
essendo ai minimi le dighe di Mignano e Molato (rispettivamente al 29% e 18%
della loro capacità), le istituzioni locali hanno sollecitato gli agricoltori a
rivedere i loro programmi di semina e trapianti, compensando alcune zone del
comprensorio che altrimenti potrebbero restare a secco. Parlando poi della
Toscana, la primavera che si avvia a conclusione è la più secca della storia da
56 anni a questa parte e, secondo l'Agenzia meteorologica regionale, è piovuto
quasi il 20% in meno rispetto alla media stagionale. Desta evidente apprensione
il Veneto, in quello che storicamente è uno degli acquiferi più ricchi d'Europa,
dall'inizio dell'anno non è piovuto praticamente mai. A marzo, sempre stando
all'Anbi, è piovuto il 66% in meno rispetto alla media, Adige e Piave in alcuni
tratti hanno una portata ridotta anche del 60%. Questa situazione sta portando
gravi danni alle colture di grano e orzo, che non possono beneficiare neppure
dell'apporto idrico della neve dal momento che di nevicate, quest'anno, nemmeno
l'ombra. Dunque, in modo molto consistente il caldo sta influendo su
coltivazioni e allevamenti, anche se occorre segnalare come la siccità record di
questi mesi colpisca anche l'industria idroelettrica. I consumi sono spinti al
massimo, le centrali vedono la propria produzione di kilowatt/ora di energia
drasticamente frenata e così le fonti rinnovabili sono in calo, per soddisfare
la domanda di energia elettrica del Paese si ricorre maggiormente alle centrali
termoelettriche e a quelle a metano, con costi sempre più alti. L'emergenza,
insomma, è a 360 gradi, e richiama tutti a un intervento compatto, non solo oggi
nella Giornata Mondiale contro la Desertificazione e la Siccità delle Nazioni
Unite ma sempre, anche se, purtroppo, di fronte a eventi climatici estremi come
questi le soluzioni non sono semplici. La strategia mondiale della "resilienza"
ci dice che bisogna ridurre le emissioni climalteranti e aumentare la capacità
di assorbimento dell'anidride carbonica da parte della biomassa, incentivando
l'efficienza energetica e l'uso di fonti rinnovabili. Nel frattempo non possiamo
ignorare questa realtà, bensì adattarci ad essa. In materia di siccità significa
usare in modo razionale l'acqua, riducendo gli sprechi (in agricoltura,
nell'industria e nei consumi umani di tutti i giorni) e continuare ad investire
per ridurre le perdite di rete, fare invasi, desalinizzatori e serbatoi.
Occorrono investimenti rilevanti, che vanno fatti - all'interno di un piano
nazionale per la sicurezza degli approvvigionamenti - prima che il rubinetto sia
vuoto.
ALFREDO DE GIROLAMO
Il Sud rischia di diventare deserto - L'allarme del Wwf
nella Giornata Onu per la lotta alle catastrofi
ROMA -- Desertificazione e siccità, denuncia Agire, rete di 19 Ong impegnate
soprattutto in Africa, sono «le nuove catastrofi naturali a bassa intensità e di
lunga durata» e «stanno stravolgendo gli assetti sociali e economici di intere
regioni del mondo, causando gravissime perdite in vite umane». E l'Italia non è
risparmiata dall'assenza di acqua: circa un quinto del territorio è ritenuto a
rischio desertificazione e la siccità che sta prosciugando numerosi bacini
idrici «rende necessaria e urgente una reazione operativa», denuncia il Wwf in
vista della Giornata Mondiale contro la Desertificazione e la siccità indetta
dall'Onu per oggi, 17 giugno. È il Sud Italia il più minacciato di
desertificazione (Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Sardegna e Sicilia),
ricorda il Wwf, ma il fenomeno coinvolge anche Emilia-Romagna, Marche, Umbria e
Abruzzo. Secondo gli scenari del cambiamento climatico realizzati in particolare
dal Centro Euromediterraneo per i Cambiamenti Climatici, entro fine secolo si
stimano incrementi di temperature tra 3 e 6 gradi con riduzione delle
precipitazioni, soprattutto nei periodi estivi. Il Piano nazionale di
adattamento ai cambiamenti climatici predisposto da numerosi specialisti
coordinati dal ministero dell'Ambiente e in via di approvazione definitiva non
potrà non andare in questa direzione, afferma l'associazione che lancia l'Sos
per le Oasi Wwf dove i livelli delle acque delle aree umide stanno calando e ci
sono aree già secche. Le falde si sono abbassate in più luoghi. La vegetazione
di alcune aree è già in stress idrico avanzato e si stanno comunque monitorando
le condizioni per prevenire incendi o danni alla fauna. Agire richiama lo studio
«Atlas of the Human Planet 2017: Global Exposure to Natural Hazards» (Atlante
del Pianeta umano 2017: esposizione globale ai rischi naturali) del Joint
research Centre della Commissione Europea, secondo cui «l'esposizione globale ai
rischi di catastrofi naturali è raddoppiato tra il 1975 e il 2015, soprattutto a
causa di urbanizzazione, crescita della popolazione e sviluppo socio-economico.
Nel mondo una persona su tre è esposta a terremoti, un numero che è quasi
raddoppiato negli ultimi 40 anni. Circa un miliardo di persone in 155 paesi sono
esposti a inondazioni e 414 milioni vivono nei pressi di uno dei 220 vulcani più
pericolosi». Vincenzo Giovine, vicepresidente del Consiglio Nazionale dei
Geologi, afferma: «La situazione è allarmante ed è destinata a peggiorare. Anche
la catena alimentare costituisce il vero problema, troppo spesso sottovalutato e
trascurato».
IL PICCOLO - VENERDI', 16 giugno 2017
Si riapre la battaglia sul rigassificatore - Ok
ministeriale dopo nove anni al metanodotto collegato all'impianto. La Regione
impugna subito l'atto e ribadisce il suo no
La partita sul rigassificatore di Zaule sembra non voler finire mai dopo che
il ministero dell'Ambiente, di concerto con il ministero dei Beni culturali, ha
emesso un decreto con il quale ha stabilito la compatibilità ambientale del
progetto della società Snam rete Gas spa che punta alla realizzazione del
relativo metanodotto tra Trieste, Grado e Villesse. Il parere ministeriale,
giunto al termine di un iter durato nove anni, dovrebbe anticipare l'atto finale
di una vicenda che vede il Comune e la Regione schierati sul fronte del no.
«Siamo arrivati al dunque - sottolinea il parlamentare triestino del Gruppo
misto Aris Prodani - se consideriamo che la Conferenza dei servizi decisoria per
l'approvazione del rigassificatore non poteva essere convocata proprio perché
mancava l'ok definitivo al metanodotto. Ho appena depositato una specifica
interrogazione per conoscere le tempistiche con le quali il Mise convocherà
tutti i soggetti interessati». Solo a quel punto potranno venire ratificate le
posizioni di Comune e Regione, che fino a questo momento - con gli altri enti
territoriali - si sono detti appunto contrari all'opera. Il decreto ministeriale
che ha stabilito la compatibilità ambientale del metanodotto ha immediatamente
scatenato le reazioni politiche, in particolare del Movimento 5 Stelle, che ha
presentato un'interpellanza urgente alla giunta Serracchiani. «La Regione deve
dire immediatamente se intenda agire, anche in sede giudiziaria, contro questo
provvedimento - attaccano i consiglieri M5S Ilaria Dal Zovo e Andrea Ussai -.
Bisogna far sapere ai cittadini quali azioni saranno adottate nei confronti sia
del ministero competente che di ogni Conferenza dei servizi che verrà indetta,
per scongiurare la realizzazione del metanodotto e di tutte le opere ad esso
collegate». Non si è fatta attendere la risposta dell'assessore regionale
all'Ambiente Sara Vito, la quale ha ribadito la posizione della Regione: «Il
nostro era ed è un no secco al Rigassificatore di Zaule - le sue parole - e
altrettanto vale per l'ipotesi di realizzare un metanodotto tra Trieste, Grado e
Villesse. È ovvio che le due opere sarebbero funzionalmente interconnesse e
dunque senza il rigassificatore non ha senso pensare di costruire un
metanodotto. La decisione di impugnare il decreto ministeriale sul metanodotto è
già presa e a questo fine già per domani (oggi, ndr) - continua Vito - è
convocato un vertice tecnico presso la direzione dell'Ambiente». Non rimane che
attendere che il Mise convochi la Conferenza dei servizi, «momento conclusivo e
risolutivo di questa partita - conclude Vito - nel corso del quale la Regione
ribadirà il proprio no, chiudendo ogni ipotesi rispetto a un'opera che nessuno
vuole». Intanto l'Arpa ha comunicato che i forti odori di idrocarburi rilevati
sabato scorso nella zona prospiciente l'area portuale di Trieste sono molto
probabilmente riconducibili a degli sfiati di alcune petroliere alla fonda e non
alla Ferriera di Servola, come da alcuni ipotizzato.
Luca Saviano
IL PICCOLO - GIOVEDI', 15 giugno 2017
L'Arpa impone la frenata alla Ferriera - «Sforamento
sulle polveri, abbassate la produzione». Il ministero dell'Ambiente modifica
l'Aia sull'impatto acustico
Due cartellini gialli alla Ferriera di Servola. Uno estratto dall'Arpa,
l'altro dal ministero dell'Ambiente. Sotto accusa polveri e rumore. Cominciamo
dalla nota della Regione Fvg, con cui si comunica che Arpa ha chiesto di ridurre
la produzione, per tenere sotto controllo il fenomeno delle polveri. «I dati
rilevati dalla rete dei deposimetri installati in prossimità della Ferriera di
Servola indicano - è scritto - che nell'ultimo mese si è verificato un deposito
di polveri superiore a quello dei mesi precedenti nell'area prospiciente
l'altoforno». L'Agenzia per la protezione dell'ambiente chiarisce inoltre di
aver inviato «una lettera di avviso ad Acciaieria Arvedi-Siderurgica Triestina
con precise indicazioni sul rispetto degli indicatori previsti
dall'Autorizzazione integrata ambientale (Aia), e sulla necessità che vengano
assunte iniziative». I valori rilevati in maggio nella stazione di Palazzina
Qualità sono pari a 486 microgrammi/metrocubo/giorno (limite obiettivo di 500
microgrammi/metrocubo/giorno), mentre in via Ponticello sono stati raggiunti i
245 microgrammi/metrocubo/giorno, contro un limite obiettivo Aia di 250. Arpa
ritiene che, tenuto conto del limite obiettivo per la polverosità valutata su
base mensile e degli andamenti delle deposizioni dei mesi precedenti, in aumento
a partire da gennaio 2017, sussistono i presupposti affinché l'azienda si attivi
autonomamente per ridurre la produzione dell'impianto in attuazione dell'Aia.
Per Arpa l'aumento delle polveri è correlabile al deterioramento della bocca di
carico dell'altoforno, la cui sostituzione è programmata per l'inizio di
settembre. L'Agenzia, come al solito, ha trasmesso i dati all'autorità
giudiziaria. Ma non basta. Oltre alle polveri persiste la questione rumore. Come
segnalato da Arpa e rilevato dalla Regione nella Conferenza dei Servizi, gli
interventi effettuati da Siderurgica Triestina per la mitigazione del rumore non
sono stati sufficienti, quindi il ministero dell'Ambiente ha emanato un decreto
che avvia una procedura di revisione dell'Aia intesa a migliorare l'impatto
acustico. Questo atto, che mantiene valide tutte le altre prescrizioni del
vigente decreto di Aia, conferma - evidenzia un secondo comunicato della Regione
- «l'efficacia della natura "aperta" e in continuo aggiornamento
dell'autorizzazione stessa, che è a tutela della salute dei cittadini in quanto
caratterizzata da verifiche continue di dati puntuali e che consente di
modificare e rivedere le prescrizioni qualora si presentino condizioni che lo
richiedano». Il ministero ha emanato un decreto di riesame dell'Aia per
l'esercizio dell'acciaieria Arvedi, con cui si chiede alla proprietà di
effettuare ed inviare all'autorità competente e all'Istituto superiore per la
protezione e la ricerca ambientale (Ispra) la valutazione dell'impatto acustico,
eseguendo almeno due ulteriori rilievi, preventivamente sottoposti
all'attenzione di Ispra, in diurno e in notturno. L'azienda, contattata, si è
riservata di dare una risposta sui due temi a breve.
SALUTE E LAVORO»L'ALLARME - Le 380 vittime dell'amianto
in regione
La drammatica statistica riguarda soltanto le morti verificate e in via
di certificazione soprattutto a Trieste e Monfalcone
TRIESTE - Nelle province di Trieste e di Gorizia i morti certificati a causa
dell'amianto sono finora 273. Per esattezza, sono 196 nel Goriziano e 77 nel
territorio triestino. Già, finora: perchè la prossima attivazione di un quarto
procedimento giudiziario sul tema da parte della magistratura isontina vedrà
probabilmente aggiungersi una sessantina di "parti offese". Non è finita: la
Ferriera di Servola ha mietuto altre 40 vittime, sulle quali i giudici aspettano
da un team di specialisti un'ulteriore verifica per accertare il nesso causale
tra esposizioni alle sostanze e tumori mortali. La tragica statistica, sommando
tutti i fattori qui elencati (compresi quelli in via di definitivo
accertamento), indica che nella Venezia Giulia, una delle aree più colpite
d'Italia insieme a quella genovese, la falce dell'amianto ha ucciso
ufficialmente circa 380 persone. I grandi produttori di morte sono stati ormai
individuati, in sede scientifica come in quella processuale: sono soprattutto le
costruzioni navalmeccaniche (a Monfalcone e dintorni) e la portualità (a
Trieste) a sedere sul banco degli imputati. Un bilancio complessivo sul dossier
amianto sarà stilato nell'odierno pomeriggio a Trieste, nell'ambito di un
seminario "open" organizzato dal circolo "Che Guevara" e patrocinato dal Comune,
che si terrà nell'auditorium dell'ex Pescheria a partire dalle ore 17. I
relatori, coordinati dal presidente del circolo Riccardo Devescovi, si sono
divisi i compiti a seconda delle competenze. L'ex procuratore generale presso la
Corte d'appello triestina Beniamino Deidda puntualizzerà genesi e svolgimento
delle indagini relative al processo goriziano sulla Fincantieri di Monfalcone. A
Umberto Laureni, già componente del pool tecnico di Gorizia, spetterà
approfondire gli aspetti del lavoro peritale. Valentino Patussi, responsabile
del dipartimento prevenzione dell'Azienda sanitaria universitaria triestina, si
soffermerà sull'accertamento delle malattie professionali nei contesti
processuali del capoluogo regionale. Aprirà i lavori l'assessore regionale
all'Ambiente Sara Vito, che farà il punto su obiettivi e risultati del "piano
amianto", gestito dalla stessa Regione Fvg.Le cifre, riportate all'inizio, sono
state anticipate da Laureni, già dirigente dell'Ass e assessore comunale nella
giunta Cosolini. Cifre che emergono nella loro ufficialità processuale, ma
dietro le quali con ogni probabilità si celano numeri molto più ampi, perchè
l'osservazione della casistica si concentra nel ventennio 1996-2015. A tale
proposito è lo stesso Laureni a citare un recente articolo di Pietro G. Barbieri
e da Anna B. Somigliana apparso sulla "Medicina del lavoro": gli autori
ipotizzano, alla luce delle patologie evidenziate tra i lavoratori Fincantieri
prima del 1996, che mesoteliomi e tumori polmonari sfiorino il migliaio di casi.
Nelle aule giudiziarie il dossier amianto ha registrato un'energica
accelerazione dal giugno 2008, quando la Procura triestina aveva avocato una
serie di procedimenti penali pendenti presso la collega goriziana. Venne avviata
un'indagine per verificare se sussistesse un rapporto causa-effetto tra le
malattie (tumore polmonare e mesotelioma della pleura) e l'esposizione
all'amianto all'interno del cantiere navale monfalconese. Il pool di esperti,
incaricati della consulenza tecnica, consegnò il suo lavoro nell'autunno 2008:
da allora è trascorso quasi un decennio dedicato a rendere giustizia a vittime e
familiari.
Massimo Greco
Capodistria si fa "green" - Stop alle auto in centro -
Dal 2025 l'area storica sarà pedonale o percorribile solo con veicoli elettrici
Saranno costruiti parcheggi e sarà sviluppata una rete di percorsi
ciclabili
LUBIANA - Entro il 2025 il centro storico di Capodistria sarà chiuso al
traffico veicolare. Lo prevede il nuovo piano della viabilità urbana approvato
dal Consiglio comunale e si basa sullo studio effettuato dalla società slovena
Harpha Sea sovvenzionato dal governo e dai fondi di coesione dell'Unione
europea. Capodistria, dunque, si riscopre un'anima verde e ambientalista.
Sfruttando la collocazione geopolitica del capoluogo del Litorale saranno
avviate le costruzioni di nuove piste ciclabili che collegheranno tutti i
piccoli centri dell'entroterra a Capodistria. La quale, peraltro, sarà
circondata da una sorta di semi anello dove scorrerà il traffico veicolare e dei
bus. Lungo le principali vie di accesso alla città saranno collocati dei noleggi
per biciclette o di automobili elettriche per poter accedere così al centro
storico. Nella nuova "geografia" della viabilità sono previsti anche parcheggi
periferici da dove successivamente raggiungere il centro sempre a bordo di bus
navetta, bicicletta oppure veicolo elettrico. Saranno quindi elaborati dei veri
e propri corridoi di traffico a ridosso del centro storico e saranno attivati
dei percorsi opportunamente attrezzati (pista ciclabile, noleggio biciclette o
auto elettriche) per agevolare il flusso delle persone.La prima parte di tale
progetto sta già lentamente prendendo forma nel tratto della vecchia strada
statale, ora chiusa al traffico) che unisce Zusterna a Isola. Disco verde,
inoltre, è stato dato anche al progetto di costruire in quest'area un mega
ascensore che dalla costa sale sulle pendici del Monte San Marco. Ascensore che
potrebbe essere utilizzato dai cittadini che abitano a ridosso di Semedella per
"scendere" sul litorale e poi qui muoversi con le biciclette a noleggio o con le
auto elettriche.«La chiusura alle auto del centro storico di Capodistria -
spiega alle Primorske Novice Aljosa Zerjal della società Harpha Sea -
determinerà un miglioramento della qualità dell'aria, ma appare chiaro che prima
di rendere le vie centrali off-limits per i veicoli a motore dovremo costruire i
parcheggi necessari per le auto stesse. E questo non si fa in quattro e
quattr'otto, comunque lo stiamo progettando». Così come st sta pensando di
introdurre a Capodistria, soprattutto per il collegamento con Zusterna, una
linea via mare (tipo il traghetto che opera tra Trieste e Muggia) offrendo così
un'ulteriore mezzo di trasporto soprattutto per i pendolari che dalla periferia
si spostano in centro per motivi di lavoro ma anche per sbrigare commissioni,
visitare uffici pubblici o, più semplicemente, per fare shopping.
Mauro Manzin
Asia primo produttore di energia verde - L'indagine
ROMA - Nel 2016 è andato in scena il sorpasso dell'Asia sull'Occidente nel
campo delle energie rinnovabili: la Cina ha superato gli Usa diventando il Paese
con la maggiore produzione di elettricità da fonti verdi, mentre l'Asia Pacifica
ha tolto a Europa ed Eurasia lo scettro di regione con la produzione green più
alta. A delineare il quadro è il 66mo rapporto annuale di Bp sull'energia
mondiale, da cui emerge un mercato in transizione, con le fonti pulite in
crescita che compensano il calo nel settore altamente inquinante del carbone. In
base al report, diffuso alla vigilia della Giornata mondiale del vento che
ricorre il 15 giugno, anche nel 2016 le rinnovabili sono state la fonte
energetica con la crescita maggiore, pari a un +12% escluso l'idroelettrico. A
spingere è la Cina, seguita da Usa, Giappone, India e Brasile. Oltre la metà
dell'incremento è arrivato dall'eolico, (+15,6% su base annua, pari a 131
terawattora), mentre un terzo della crescita è stato apportato dal fotovoltaico
(+29,6%, 77 terawattora). Nonostante l'andamento positivo, le rinnovabili
rappresentano ancora solo l'8% della generazione elettrica mondiale complessiva.
In diverse realtà, tuttavia, le energie green fanno la differenza: in Danimarca
forniscono il 59% dell'elettricità, in Germania il 26%, in Spagna il 25% e il
23% in Italia e Regno Unito. Sul fronte delle fonti fossili, il consumo mondiale
di carbone è sceso per il secondo anno consecutivo facendo segnare un -1,7%. A
trainare gli Usa (-8,8%) e la Cina (-1,6%). Flessione ancora più marcata per la
produzione di carbone, con un calo record del 6,2%. Il traino è sempre di Usa
(-19%) e Cina (-7,9%). Il consumo globale di petrolio è aumentato dell'1,6%;
quello di gas naturale dell'1,5%.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 14 giugno 2017
Arrivano al Silos i posteggi "rapidi" gratis
Accordo tra Comune e Saba: da domani i primi venti
minuti non si pagheranno. Scende da 16 a 10 euro la tariffa giornaliera
Era ed è tuttora uno dei parcheggi più grandi e più sottoutilizzati in
città. Per la posizione, considerata decentrata sia dai triestini che dai
turisti alle prese con una visita veloce della città, e anche per una tariffa
oraria (1.50 euro) che rende impossibili le soste veloci e salate quelle a lunga
permanenza. Da domani, 15 giugno, però, la musica cambia, al Silos. Con l'arrivo
dell'estate, infatti, sarà introdotta per la prima volta la possibilità di
parcheggiare gratuitamente per 20 minuti. Quelli, cioè, generalmente necessari a
triestini e foresti per accompagnare qualcuno alla vicina stazione ferroviaria.
Di più: contestualmente verrà applicata la nuova tariffa giornaliera ridotta per
turisti e residenti, frutto allo stesso tempo della necessità espressa dalle
società che gestiscono le crociere, e segnatamente dalla Costa, e da quella di
razionalizzare le soste nell'area della stazione centrale. L'annuncio arriva da
un particolarmente soddisfatto assessore comunale al Turismo, Maurizio Bucci,
nell'occasione spalleggiato dai referenti di Saba Italia, gestore del parking,
Claudio Borghetto, responsabile per il Nordest e dalla coordinatrice Rafaella
Vuch. Vediamo dunque questi sconti. La nuova tariffa giornaliera da 16 euro
scende a 10 euro, e consentirà, come ha annotato l'assessore, a chi deve
lasciare la macchina perchè si imbarca su una qualche dreamboat di godere di un
parcheggio vicino e, soprattutto coperto, rispetto all'attuale soluzione del
Molo IV. «Abbiamo operato questa scelta - racconta - per favorire un servizio
soprattutto turistico nel parcheggio del Silos, uno dei principali e strategici
contenitori nel centro della città. E abbiamo voluto delle opportunità
economiche calmierate, con prezzi inferiori rispetto ai normali parcheggi
coperti, ottenuti grazie agli ottimi rapporti instaurati con la società Saba
Italia». «Ci siamo mossi - ha spiegato dal canto suo Borghetto - per soddisfare
due tipologie. Da un lato la necessità di chi magari accompagna dei parenti alla
stazione ed è costretto a lasciare l'auto in seconda fila per la mancanza di
posti macchina, Silos escluso, in zona. Dall'altro fornire un'opportunità di
parcheggio a lungo termine per chi si imbarca sulle navi. In tal senso abbiamo
ridotto a 10 euro la tariffa giornaliera, dato che vale per tutti, mentre a
partire dal secondo giorno se ne pagheranno solamente nove, cifre che ci
sembrano più che ragionevoli».«Era una scelta doverosa - ha spiegato Bucci - per
venire incontro a tutti, anche se confesso che ho ancora una certa nostalgia per
il servizio di car-valet, da me stesso lanciato, che permetteva di lasciare
l'auto direttamente sotto bordo, ma pazienza». Una soluzione che sta esattamente
nell'ottica di un maggior servizio a chi parte è già in divenire, comunque. «Un
ulteriore obiettivo dell'amministrazione comunale, sempre nell'ottica di
promozione turistica e anche in questo caso per espressa richiesta della Costa
Crociere, in accordo con Trieste Trasporti - ha aggiunto Bucci - sarà affiancare
agli spazi per la sosta un servizio di bus-navetta che faciliti la connessione
alla Marittima. E non è finita. «Nel piano turistico che andremo a varare - ha
rilevato ancora l'assessore - è prevista anche una necessaria revisione della
cartellonistica per fornire precise indicazioni ai turisti che vengono a
visitare la nostra città muovendosi con l'automobile per individuare i parcheggi
disponibili». A proposito di parcheggi, potrebbe tornare d'attualità anche la
navetta con quello comunale di via Carli, «esperimento che lo scorso Natale ci
ha dato delle soddisfazioni», assicura Bucci, mentre resta in sospeso la
kafkiana vicenda dell'ascensore di Park San Giusto e la possibilità di aprirlo
ai turisti. «I condomini remano contro - sottolinea Bucci - ma esiste un accordo
preciso firmato anche da loro... Forse troveremo una via di mezzo, con
l'ascensore verso San Giusto aperto solo in salita, magari avvalendosi di una
gettoniera...».
Furio Baldassi
Parte il patto Regione-Roma per Servola - Vertici
dell'Istituto superiore di sanità in città per il monitoraggio. Dipiazza contro
i rumori notturni
È entrato nella fase operativa l'accordo che la presidente della Regione,
Debora Serracchiani, ha sottoscritto in aprile con il presidente dell'Istituto
superiore di Sanità (Iss), Gualtiero Ricciardi, finalizzato a elaborare un
programma congiunto di ricerca, con l'obiettivo di valutare le eventuali
conseguenze sullo stato di salute dei cittadini a causa di esposizioni ad
inquinanti di varia natura, in particolari aree soggette a maggiore pressione
ambientale. Fuor dal burocratese, un'altra pagina in cui la vicenda Ferriera
occupa una posizione importante. A Trieste infatti si è riunita per la prima
volta la cabina di regia, incaricata di fornire gli indirizzi operativi per la
realizzazione del programma che, come previsto, riguarderà appunto, nella fase
iniziale, l'impatto sulla popolazione residente legato alla presenza
dell'impianto siderurgico nel rione di Servola. All'incontro erano presenti
tutti i soggetti coinvolti (rappresentanti di Regione, Arpa, Sistema sanitario
regionale e Iss, con il direttore generale Angelo Lino Del Favero e la
responsabile scientifica del programma nonché direttore del Dipartimento
ambiente e salute, Eugenia Dogliotti). Durante questo primo confronto Azienda
sanitaria triestina e Arpa Fvg hanno illustrato le iniziative già realizzate e
quelle in corso per il monitoraggio degli effetti sulla popolazione e sui
lavoratori legati alla presenza del sito industriale. Ulteriori approfondimenti
tecnico-scientifici proseguiranno già nelle prossime settimane a Roma, con
esperti della sezione di ricerca ambientale dell'Istituto. A breve, dunque, da
questi confronti tecnici, che permettono un proficuo scambio di buone pratiche
adottate a livello nazionale ed internazionale, emergerà la proposta per uno
specifico programma di monitoraggio e controllo sulla Ferriera, coordinato e
supervisionato dall'Iss, che sarà realizzato e curato in stretta collaborazione
tra tutti gli enti di competenza. A seguito di questa prima fase saranno
definiti successivi programmi riguardanti altri siti sensibili o fonti
inquinanti o inquinate, che hanno rilevanti impatti sulla salute della
popolazione potenzialmente esposta, esempio tipico quello di molte aree e
giardini pubblici. Sull'argomento si segnala anche una nota su Facebook del
sindaco Dipiazza. «La notte scorsa dallo stabilimento della Ferriera - scrive -
oltre ai già fastidiosi e costanti rumori, sono stati fatti dei lavori a notte
fonda che hanno creato un ulteriore disagio ai residenti di Servola. Questo non
è accettabile. Abbiamo allertato la polizia locale che continuerà a vigilare.
Intanto il ministero dell'Ambiente ha accolto la nostra richiesta ed ha intimato
che entro trenta giorni vengano fatte due valutazioni fonometriche sia diurne
che notturne che poi dovranno essere valutate da Ispra». «A tutela dei cittadini
- conclude - stiamo portando avanti una intensa attività di controllo e
pressione, i risultati stanno arrivando e sono convinto che vinceremo questa
battaglia».
Il trasloco delle maxicozze nell'oasi marina di Brioni
Duecento esemplari minacciati dai futuri marina di Santa Caterina e
Monumenti vengono staccati dai fondali polesani e portati in battello
nell'arcipelago protetto
POLA - Le Pinne nobilis di Pola hanno già le... valigie pronte. Sono più o
meno duecento e stanno traslocando armi e bagagli nell'oasi di Brioni. Non è uno
scherzo ma una misura di tutela ambientale che, sotto l'egida del progetto
europeo Merces sul restauro dei sistemi degradati dei mari, vede per una volta
alleati i biologi e gli investitori. Il punto di partenza della storia è la
costruzione di due centri nautici all'interno del bacino portuale di Pola e più
esattamente a Monumenti e Santa Carina. C'è un problema, però: l'avanzare delle
ruspe, le colate di cemento e i cantieri minacciano gli abitanti del mare. Ma,
mentre i pesci possono arrangiarsi e cercarsi un nuovo habitat, le Pinne nobilis
sono in gravissimo pericolo: i più grandi bivalvi del Mediterraneo, possono
raggiungere il metro di lunghezza e sono chiamati comunemente nacchere, pinne
comuni, cozze penne o stura, vivono infatti fissati con una parte della propria
conchiglia triangolare nella sabbia o nella roccia. E quindi non possono
muoversi. Ma le Pinne nobilis, specie minacciata dalla raccolta per il
collezionismo, sono fortunatamente tutelate. E quindi, nell'attesa dell'avvio
dei lavori per i centri nautici, i biologi hanno potuto "pretenderne" la
salvaguardia. «Lo studio d'impatto ambientale sui progetti dei marina - spiega
la biologa Tatjana Bakran-Petricioli che insegna alla facoltà di Scienze
naturali e Matematica di Zagabria - ha confermato che nel mare di Monumenti e
Santa Caterina ci sono numerose Pinne nobilis a rischio sopravvivenza. Due le
alternative: l'eliminazione, che impone però all'investitore Kermas Istra di
pagare un risarcimento, oppure il trasferimento. Ci siamo accordati con la
stessa società e, con grande soddisfazione di noi biologi, si sta procedendo al
"trasloco"». La futura destinazione è invidiabile: due baie nell'oasi naturale
del Parco nazionale di Brioni dove le Pinne nobilis polesane troveranno diverse
"sorelle". Il trasferimento è già iniziato e non è banale: «Il fondale marino di
Santa Caterina - spiega ancora la biologa - è piuttosto roccioso per cui è molto
complicato staccare i bivalvi visto che bisogna asportare anche un po' di
sedimento circostante. Ma i sub della società Loligo, armati di tanta pazienza,
stanno facendo un ottimo lavoro». Una volta "liberate" le Pinne nobilis vengono
rapidamente spostate dalla barca dei sub al battello diretto a Brioni che ha a
bordo una grande tinozza piena di acqua di mare. I bivalvi trapiantati
nell'arcipelago caro a Tito continueranno a essere oggetto di studio in
particolar modo in riferimento alla loro condivisione dell'ambiente con le erbe
marine. «Si aiutano a vicenda - conclude la biologa - e quindi sarà interessante
vedere se l'erba marina aumenterà la sua estensione con l'arrivo dei nuovi
"abitanti"».
(p.r.)
IL PICCOLO - MARTEDI', 13 giugno 2017
Stretta a Staranzano sulla differenziata
Finita la fase sperimentale, gli operatori non raccoglieranno i rifiuti
sbagliati e metteranno su sacchi e cesti il bollino rosso
STARANZANO - Giro di vite per la raccolta differenziata a Staranzano. Dal 15
giugno in poi, basta con i rifiuti esposti nelle modalità non corrette con il
contenuto non conforme, con il sacco o contenitore non conforme a quelli
distribuiti dall'azienda multiservizi e nella giornata di esposizione sbagliata.
Gli operatori li lasceranno sul posto. Sui sacchi o sui mastelli di carta e
umido, sarà apposto oltre al bollino rosso, un volantino di invito a ritirare
quanto lasciato per terra correggendone il contenuto (o il contenitore), in
vista della successiva giornata utile alla loro esposizione e recupero. È una
sorta di ultimatum quello annunciato da Isontina Ambiente dopo la fase
sperimentale della nuova differenziata cominciata ufficialmente il primo di
aprile, poiché a distanza di due mesi dall'avvio della distribuzione, sono ormai
poche decine i cittadini che non hanno ancora ricevuto il nuovo kit per la
raccolta dei rifiuti. Semplice distrazione o poca sensibilità per la nuova
raccolta differenziata? Un quesito che si sono posti l'amministrazione comunale
di Staranzano e Isontina Ambiente. Ma i ritardatari che non fossero ancora in
regola con le proprie dotazioni, potranno ritirare il calendario della raccolta
2017, il mastello della carta e la fornitura annuale di sacchetti per la
plastica e le lattine e per l'umido rivolgendosi, all'ufficio tecnico del
comunale aperto al pubblico dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 12.30 e di
pomeriggio anche il lunedì e il mercoledì dalle 17 alle 18.«La consegna del kit
pressoché ultimata- spiega Isontina Ambiente - consentirà a tutti gli utenti di
effettuare correttamente le operazioni quotidiane di separazione e di raccolta
dei rifiuti e di migliorare ulteriormente la quantità e la qualità del materiale
destinato al riciclo nel rispetto delle giornate di asporto. Sia il Comune che
Isontina Ambiente - afferma - rimangono comunque a disposizione per fornire ai
cittadini tutte le informazioni necessarie volte a migliorare la
differenziazione domestica e a ridurre le situazioni di conferimento non
conformi». Gli utenti possono avere ulteriori informazioni anche tramite i
canali a disposizione quali il sito internet o l'app di Isontina Ambiente, il
numero verde di Isa (800. 844. 344) e il sito istituzionale del Comune. Il nuovo
sistema illustrato in un incontro pubblico a metà marzo, è stato avviato
nell'ottica di diminuire i costi a vantaggio dei cittadini dal direttore
generale dell'azienda, Giuliano Sponton, anche se alcuni avevano espresso
perplessità su un vero risparmio sulla bolletta dei rifiuti, poiché eventuali
benefici si potranno vedere solo nel 2018. Un concetto che aveva ribadito anche
dall'assessore Erika Boscarol nell'ambito del dibattito pubblico, sostenendo che
nel 2017 col nuovo sistema, i nove mesi in meno di giri di raccolta
differenziata, avrebbero portato il risparmio annuo della spesa stimabile
attorno ai 35-40 mila euro tutto a vantaggio dei cittadini e che i mastelli e i
sacchetti erano intanto forniti gratuitamente dalla ditta Sangalli incaricata
della raccolta e smaltimento come miglioria del servizio e senza essere imputati
al Comune e neanche ai cittadini. Per quanto riguarda i risultati della
differenziata nel 2016, Staranzano è stato uno dei Comuni più ricicloni della
provincia di Gorizia avendo raggiunto quota 76%. Pur non avendo ancora a
disposizione gli ultimi dati, il trend nei continua sempre sullo stesso livello.
Isontina Ambiente sostiene che il dato si può ancora migliorare in quanto ci
sono tutte le premesse della buona volontà delle famiglie a collaborare seguendo
questa direzione.
Ciro Vitiello
Ospiti del Cara "spazzini" sulle rive dell'Isonzo
Si è svolta a Gradisca la tradizionale iniziativa di Legambiente che ha
visto in azione assieme ai volontari diversi richiedenti asilo in un progetto di
inclusione sociale
GRADISCA - Una cinquantina di sacchi di rifiuti asportati, una quarantina di
richiedenti asilo - ospiti del Cara - coinvolti. E un riuscito momento di
educazione civica e relazione. È positivo il bilancio, ma soprattutto il
messaggio sociale che viene dalla tappa gradiscana di "Puliamo il Mondo",
iniziativa congiunta di Legambiente, amministrazione comunale, coop Minerva e
Isontina Ambiente che nella giornata di sabato si è dimostrata come negli
auspici molto di più che una semplice operazione di pulizia dai rifiuti
abbandonati. A essere interessate, le zone da tempo al centro delle segnalazioni
dei gradiscani, esasperati, e ancor di più esasperati sono i residenti dei
borghi Basiol e Trevisan per tanti comportamenti non certo e non sempre
ineccepibili da parte degli ospiti della struttura governativa (ma non solo).
Suddivisi in gruppi, i migranti si sono dati un bel da fare, fianco a fianco nel
riempire sacchi e sacchi, soprattutto di plastica, lattine e bottiglie di vetro.
Raggiunto a piedi il sentiero che porta al ponte ferroviario sull'Isonzo della
mai realizzata tratta Cormons-Redipuglia, i volontari si sono spinti all'interno
della vegetazione e hanno raccolto i rifiuti che, qua è là, hanno trovato. In
gran parte plastica: bottiglie e sacchetti, ma anche imballaggi per alimenti,
lattine e bottiglie di vetro.Alla fine della mattinata sul camion del Comune si
potevano contare una cinquantina di sacchi pieni di rifiuti. «L'impressione -
spiega Michele Tonzar del circolo monfalconese "Ignazio Zanutto" di Legambiente
- è che, in paragone alle edizioni precedenti di "Puliamo il Mondo", effettuate
sui medesimi luoghi, i rifiuti trovati e raccolti siano stati decisamente di
meno». Hanno voluto dare il buon esempio, partecipando all'iniziativa, il
sindaco di Gradisca Linda Tomasinsig, l'assessore al Welfare, Francesca Colombi
e il consigliere comunale Stefano Aschi. Durante le operazioni di pulizia si
sono potuti creare momenti di dialogo tra i volontari e i ragazzi, in gran parte
provenienti da Pakistan e Afghanistan, ma anche da Paesi africani. «Ascoltare le
loro storie non può lasciare indifferenti e la necessità di far prevalere i
principi dell'accoglienza e della solidarietà, accantonando gli istinti di
egoismo ed esclusione» commenta Tonzar. A Gradisca sono molti i progetti d'
integrazione - ma noi preferiamo chiamarli di inclusione sociale - che tentano
in tutti i modi di coinvolgere gli ospiti del Cara cercando di insegnare
rispetto delle regole, educazione civica e ambientale che invece tante volte
mancano nei bivacchi in riva all'Isonzo. Un vero e proprio «modello Gradisca»
che per ampiezza di proposte non ha molti eguali in Italia.
Luigi Murciano
A lezione di avvistamenti a bordo del bus del mare -
Una volta la settimana con gli esperti a "caccia" di delfini e tartarughe marine
Riparte con novità la collaborazione tra Apt e DelTa nel viaggio
Trieste-Grado
GRADO - Non solo una suggestiva traversata via mare da Trieste a Grado a
bordo del Delfino Verde, ma anche un'esperienza unica, assieme agli esperti, di
avvistamento di delfini e tartarughe con la possibilità di partecipare a bordo a
piccole lezioni per apprendere la filosofia e le tecniche di conservazione delle
specie marine. Si tratta dell'ampliamento dell'iniziativa che ha debuttato lo
scorso anno con successo, che sarà proposta anche nel corso di questa stagione
estiva e con alcune novità. Anche per questa stagione estiva, dunque, continua e
si amplia la collaborazione fra Azienda Provinciale Trasporti (Apt) che è
titolare della linea marittima che si svolge con l'utilizzo del Delfino Verde e
l'Associazione DelTa (Delfini e Tartarughe dell'Alto Adriatico). Come lo scorso
anno biologi marini e studenti universitari, una volta alla settimana, saranno a
bordo della linea marittima Grado-Trieste per osservare il mare e ricavare i
dati di presenza di cetacei e tartarughe nel golfo. E sarà pure l'occasione per
monitorare anche la presenza di rifiuti e pure verificare l'intensità del
traffico marittimo. Due aspetti quest'ultimi che sono i principali pericoli per
le specie marine che possono soffocare inghiottendo rifiuti scambiati per prede
o rimanere feriti in scontri accidentali con le imbarcazioni. Durante le uscite
di tecnici ed esperti saranno pertanto coinvolti i passeggeri a bordo per
un'opera di sensibilizzazione sull'argomento ma anche l'equipaggio dello stesso
Delfino Verde. Quest'anno, poi, oltre al monitoraggio settimanale che proseguirà
durante tutta l'estate, l'intervento a bordo sarà dedicato anche al progetto
denominato N2K (specie Natura 2000), che ha come obiettivo lo svolgimento di
azioni a sostegno della formazione di cittadini responsabili e sensibilizzati
sul tema della conservazione delle specie marine minacciate. E tra queste, è
precisato, sono comprese anche quelle della rete Natura 2000, principale
strumento della politica dell'Ue per la conservazione della biodiversità. Tra
l'altro il progetto ha ottenuto il contributo regionale 2016-2017 per il
finanziamento a progetti speciali da parte della direzione centrale lavoro,
formazione, istruzione, pari opportunità, politiche giovanili, ricerca e
università e coinvolge diversi Istituti scolastici di Trieste e della provincia
di Gorizia, anche nell'ambito del programma "alternanza scuola lavoro". E
saranno proprio alcuni studenti assieme ai responsabili dell'Azienda Provinciale
Trasporti e di quelli dell'associazione Delta a illustrate con maggiori dettagli
il progetto nel corso di una conferenza stampa in programma oggi alle 123 a
bordo del Delfino Verde ormeggiato lungo il Molo Bersaglieri a Trieste. Intanto
per quanto concerne il regolare traffico passeggeri i primi dati indicativi
parlano di un leggero aumento rispetto la scorsa stagione, in particolar modo
con partenza da Trieste. Evidentemente ci sono tanti triestini che preferiscono
lasciare la macchina a casa, farsi una bella traversata, trascorrere una
giornata al mare a Grado e poi far rientro a casa. Senza problemi di traffico e
senza consumare carburante e anche, da non valutare, senza problemi di andare in
cerca di parcheggio. Tra l'altro molti di queste persone viaggiano con la
bicicletta al seguito tanto che, come abbiamo già annunciato, per il prossimo
anno ci sarà un nuovo Delfino Verde con una capienza bici notevolmente più
ampia. Per dire del traffico a bordo del Delfino verde sulla rotta Trieste-Grado
e ritorno (ci sono tre corse giornaliere) in una giornata festiva come quella di
due giorni fa sono stati movimentati circa 500 passeggeri.
Antonio Boemo
IL PICCOLO - LUNEDI', 12 giugno 2017
Uranio impoverito in Serbia - Cause contro i Paesi Nato
Un team di avvocati vuole portare in tribunale una
ventina di Stati per i missili sganciati sulla Jugoslavia di Milosevic: «Ogni
anno 33mila nuovi casi di cancro»
BELGRADO - Un team di avvocati, sguinzagliato nei tribunali di mezza Europa
e oltre, con l'obiettivo di portare sul banco degli imputati le autorità dei
Paesi Nato. Il crimine da dimostrare: quello di aver bombardato la Jugoslavia di
Milosevic anche con missili all'uranio impoverito, con pesanti ricadute a
distanza di decenni sulla salute della popolazione. È questo il temerario
programma di un gruppo di avvocati serbi che, affiancati da colleghi di altre
nazioni europee, intenteranno in futuro una serie di cause contro i membri
dell'Alleanza. A confermarlo è stato Srdjan Aleksic, avvocato nella città serba
di Nis, anima dell'iniziativa. Parlando nei giorni scorsi con il braccio serbo
dell'agenzia russa Sputnik, Aleksic ha spiegato che il team è in via di
formazione e si avvarrà del lavoro di oncologi e tossicologi locali per
documentare davanti agli organi giudicanti i devastanti effetti dell'uranio. Ha
poi specificato di voler «portare in giudizio in tribunali nazionali» e non
davanti alla Corte internazionale di giustizia una ventina di membri Nato «che
hanno partecipato all'aggressione contro la Jugoslavia». In quella guerra, gli
aerei Nato «hanno sganciato tra le 10 e le 15 tonnellate di uranio impoverito»,
ha aggiunto. E i risultati sarebbero visibili anche oggi, con «33mila nuovi casi
di cancro ogni anno» in Serbia. Aleksic ha inoltre rivelato la strategia
dell'operazione, che ha avuto amplissima eco in un Paese dove i bombardamenti
sono una ferita aperta: quella di basare la linea dell'accusa sui risarcimenti
concessi a «45 soldati italiani» che avevano operato in Kosovo, in aree dove
erano piovuti nel 1999 proiettili in uso alle forze Nato. «Le nostre cause si
fonderanno su questo», sulle sentenze italiane, ha confermato l'avvocato. Rimane
da vedere come si svilupperà ora l'operazione, ma qualche dubbio è lecito, come
suggerito alla stessa Sputnik per bocca dell'esperto russo Mikhail Ioffe, che ha
parlato sì di idea «percorribile», sottolineando però anche l'esistenza di vari
ostacoli giuridici «di difficile superamento». Molto duro invece il commento di
Domenico Leggiero, presidente dell'Osservatorio Militare, organizzazione
italiana che da anni si batte a fianco dei soldati vittime dell'uranio. «A me
sembra un'operazione di pura speculazione, anche pericolosa per i militari», una
«strumentalizzazione di tipo politico, non c'è nulla di serio», commenta
Leggiero con Il Piccolo. «L'avvocato Tartaglia», dell'Osservatorio Militare è
«l'"autore" delle sentenze», menzionate dall'avvocato serbo, «abbiamo fatto
sostanzialmente nascere il caso uranio nel mondo - continua Leggiero - e né
Tartaglia né l'Osservatorio Militare sono stati interpellati». Leggiero
puntualizza anche sui numeri forniti da Aleksic, su quei 45 militari risarciti.
Non sono corretti, sono molti di più, spiega.Il mancato approccio con l'Italia
deriva solo dal fatto di non avere avuto a disposizione contatti con gli
avvocati che si sono occupati dei casi, si giustifica però Aleksic. Che conferma
poi che i suoi piani sono seri, perché il fine delle future cause è quello di
«aiutare i cittadini malati a causa dell'uranio», in una Serbia «dove la
situazione è allarmante» per l'aumento e la diffusione dei casi di tumore. La
strategia, ribadisce il legale, è quella di promuovere cause «nei tribunali»
nazionali dei Paesi Nato che «hanno partecipato» alla guerra del 1999. E di
cittadini che vogliono farsi aiutare da Aleksic ce ne sarebbero già molti. «A
Subotica abbiamo la gente di un'intera via che si è ammalata di cancro, non è
possibile che non ci sia una relazione con i bombardamenti Nato», aggiunge
l'avvocato. «Noi non abbiamo nulla contro la Nato, né odiamo quei Paesi, ma
riteniamo che ci siamo ammalati» per quelle bombe. E «chiediamo che si curino» i
malati, «un mese di cure costa fino a tremila euro, costi insostenibili qui. E
chi ha provocato questi danni deve sapere che ci sono conseguenze, anche se
questo è il Paese più potente al mondo. Vogliamo giustizia».
Stefano Giantin
IL PICCOLO - DOMENICA, 11 giugno 2017
Ciclisti a piedi nel centro di Muggia - I residenti a
favore dell'ordinanza
MUGGIA - No ai ciclisti in sella per le calli muggesane. I residenti del
centro storico, che da tempo chiedono maggior tutela anche dai "furbetti" con le
automobili, plaudono all'ordinanza sindacale (per ora congelata) che impone ai
ciclisti di condurre a piedi le proprie bici all'interno dell'area che rientra
nelle mura muggesane. Durante l'incontro pubblico organizzato
dall'amministrazione Marzi nella sala "Millo" è stato affrontato il delicato
tema dei ciclisti nel centro storico. Se da un lato i residenti del centro hanno
evidenziato la necessità di regolamentare la situazione a causa di troppi
ciclisti che fanno slalom tra i pedoni anche a velocità sostenuta, dall'altra i
filociclisti, pur continuando a perorare le cause dei velocipedi pronunciandosi
scettici sulla disposizione proposta dalla giunta che definisce i parametri per
l'accesso delle biciclette in centro, hanno allo stesso tempo teso una mano
all'amministrazione per cercare di trovare una soluzione più condivisa.
«Sapevamo che i residenti del centro storico fossero d'accordo con noi, anche
perché da loro sono partite le tante segnalazioni che ci hanno indotto a
muoverci per regolamentare la viabilità del centro stesso. All'incontro abbiamo
ascoltato tutti. Ora a brevissimo riprenderemo in mano il documento e
sicuramente entro il mese di giugno prepareremo una volta per tutte l'ordinanza
che poi entrerà ufficialmente in vigore», racconta l'assessore alla Polizia
locale Stefano Decolle. Il quale ha evidenziato poi come l'altra grande parte
dell'ordinanza sulla viabilità in centro storico inerente le limitazioni alle
automobili abbia invece ricevuto pressoché un'adesione totale. «Purtroppo ci si
è concentrati solamente sulla parte delle biciclette, ma nel documento redatto
dalla giunta vogliamo mettere mano anche alla regolamentazione delle automobili,
imponendo una serie di limitazioni necessarie per garantire la massima sicurezza
sia ai residenti che a tutti i pedoni che frequentano il centro», aggiunge
Decolle. Per ora, dunque, l'ordinanza rimane ancora bloccata. La sensazione è
che molto per cambiare la decisione di far condurre a mano le biciclette nella
zona del centro storico, ossia nell'area racchiusa fra le vie Roma, Naccari,
Manzoni, Sauro e in salita alle Mura (l'unica deroga concessa quella agli under
10, esclusi dal divieto di pedalare in centro), non si potrà fare. «Qualcuno ha
ipotizzato di creare una pista ciclabile ad hoc nella zona del centro: vista la
conformazione del nostro territorio e gli spazi esistenti mi pare che la
proposta sia piuttosto difficile da accettare e mettere in pratica», conclude
Decolle. La giunta, quindi, avrà una ventina di giorni ora per chiudere il
cerchio e cercare una via di mezzo che possa soddisfare un po' tutti. Sulla
carta però le posizioni dei pro e dei contro l'utilizzo delle bici in centro a
Muggia rimangono difficilmente conciliabili. Da vedere se il sindaco Laura
Marzi, che ha fatto della mediazione uno dei suoi cavalli di battaglia, riuscirà
anche questa volta a trovare una soluzione condivisa.
Riccardo Tosques
IL PICCOLO - SABATO, 10 giugno 2017
I ritardi in cima ai reclami di chi viaggia
sull'autobus - Una media di due segnalazioni al giorno alla Trieste Trasporti:
777 nel 2016
Anche le informazioni di servizio nel mirino. La linea 6 al top per
lamentele
Di cosa si lamenteranno mai gli utenti del trasporto pubblico se non del
mancato passaggio dei mezzi in orario? Ebbene, anche qui da noi non si fa
eccezione. Fra i reclami ricevuti da Trieste Trasporti nel 2016, una media di
due al giorno per un totale di 777, il più gettonato riguarda proprio il più
classico dei problemi: il ritardo. L'assenza o l'intempestività delle
comunicazioni in caso di interruzioni di servizio è la seconda criticità
segnalata dagli utenti e tallona l'imprecisione oraria con ridotto margine. Sul
gradino più basso del podio delle lamentele locali si piazza, a sorpresa ma con
distacco, il mancato rispetto della fermata da parte degli autisti, indicato dal
17.2% degli utenti come la terza questione più annosa che l'azienda - di
proprietà pubblica per il 60% - dovrebbe affrontare. La buona notizia per la
società, che dal 2001 gestisce il servizio di trasporto pubblico locale, è che
mentre cresce il numero di passeggeri (67.2 milioni nel 2016, +3% rispetto
all'anno precedente), il numero dei contatti della clientela è in costante
diminuzione dal 2014. Di pari passo ai contatti è calato l'anno scorso anche il
numero dei reclami (-6.8%). Inutile dire che il punto più caldo della rete, non
solo per la sua particolare funzione, è quello della linea 6 diretta a Barcola
che da domani, con l'entrata in vigore dell'orario estivo, verrà raddoppiata con
le vetture della 36. Analizzando i reclami ricevuti dall'Urp, «il vero tema che
è emerge è quello della necessità di dare la più precisa stima possibile del
tempo di passaggio dei mezzi», commenta il direttore di esercizio Roberto Gerin.
La questione reclami è un po' come quella della classifica del Sole 24 Ore che
vedeva Trieste all'84° posto in Italia in fatto di ordine pubblico. «Come ebbe a
dire l'allora questore Padulano, in città siamo soliti segnalare di tutto»,
continua Gerin. «Non esiste un termine di paragone delle lamentele con le altre
aziende trasporti dell'operatore Arriva (che detiene il restante 40% di Tt,
ndr), ma esiste sulla capillarità di servizio. E per le città di fascia
intermedia, in questo campo, siamo al top in Italia». Quelle nove persone che
nel 2016 hanno contattato l'ufficio relazioni esterne di Trieste Trasporti per
lettera, come una volta, o quell'unico individuo che invece ha preferito il fax,
concorderebbero nell'auspicare una comunicazione più tempestiva in caso di
lavori stradali, incidenti, maltempo o blocchi alla circolazione. «Il contatto
con il Comune e la polizia locale è diretto e funziona», riflette Ingrid Zorn,
responsabile Urp e Relazioni Esterne per Tt. Ufficio in cui lavorano due addetti
fissi al numero verde e due per quanto riguarda la comunicazione. «Stiamo
valutando l'apertura di nuovi canali, senza essere ridondanti». Facebook, a tale
proposito, potrebbe essere uno degli indiziati. Sul fronte operativo sono in
previsione invece altre 150 "paline elettroniche" che non andranno a coprire
tutte le 1400 fermate, ma potranno offrire più tempestività informativa
soprattutto per le fasce di utenti meno "digitalizzate", ovvero quelle che non
sono attive su Twitter, non consultano il sito dell'azienda o l'app gratuita.
«La mancanza di corse serali è un'altra grande lamentela», puntualizza Zorn.
«Stiamo attendendo l'esito della gara, l'affidamento e l'avvio del nuovo
servizio». Per il momento, tuttavia, Gerin esclude modifiche alla frequenza dei
bus al chiaror di luna. Quanto alle altre lamentele, come il mancato accosto al
marciapiede del mezzo (4.5% dei reclami), Tt ricorda che tutte le fermate ad
eccezione del capolinea sono a richiesta: niente braccia alzate, niente fermata.
Pesa, come evidenziato sia da Gerin che da Zorn, la poca disponibilità di corsie
riservate agli autobus. «Da anni c'è una unità di riserva in piazza Oberdan per
evitare disservizi e lunghe attese in caso di problemi», aggiunge il dirigente.
«Ogni giorno teniamo 15-20 mezzi di riserva su un totale di 271 dell'intero
parco motorizzato». Un'altra "piaga" per il trasporto pubblico locale riguarda i
danneggiamenti e gli atti vandalici ai danni delle emettitrici automatiche, il
cui malfunzionamento è all'ottavo posto dei cahiers de doléances triestini.
L'azienda segnala che solo nel 2016 sono stati 7.690 gli interventi di
manutenzione (sia straordinaria che ordinaria) per le 73 macchinette
automatiche: una media di 21 interventi al giorno. A breve inizierà
l'installazione in città di dispositivi di nuova generazione, più resistenti e
con tecnologia touch. Insomma, se del passaggio puntuale del bus non v'è
certezza, assicurata è la risposta di Tt ad ogni lamentela. «Cerchiamo di
evadere il 100% dei reclami», dice l'azienda.
Lillo Montalto Monella
Il trenino torna di moda - E ora punta verso Barcola -
Il Tramway di nuovo in moto per il summit degli armatori dei rimorchiatori
Percorso già allungato di 300 metri ma si lavora per raggiungere i club
nautici
Non si smette mai di giocare coi trenini. L'amministrazione comunale
attuale, dopo aver soppresso il servizio attivato dalla precedente giunta in
Porto vecchio, ha cambiato idea. Il Tramway Porto Vecchio Trieste è ripartito.
L'altro giorno ha effettuato una corsa regolare in occasione del "summit"
internazionale degli armatori dei rimorchiatori. Alcune corse "clandestine"
erano state effettuate durante la presentazione nell'illustrazione del piano
strategico di Ernst&Young per Porto vecchio. Del resto il Tramway Tpv rischia di
diventare un servizio essenziale ora che un'ordinanza comunale vieta il transito
sulla bretella fra Largo Santos e Magazzino 26. L'occasione è stata offerta
dalla cena di benvenuto offerta ai partecipanti al 54.mo incontro internazionale
dell'Associazione europea degli armatori dei rimorchiatori (Eta, European
Tugowners Association). Un evento internazionale ospitato per la prima volta a
Trieste. Gli oltre 150 operatori portuali, alloggiati per la gran parte
all'Hotel Savoia Excelsior Palace, hanno preso alle 19.30 di mercoledì il
trenino all'inizio del Molo IV per arrivare al Magazzino 26. Il rientro è
avvenuto intorno alla mezzanotte. «Il Tramway Tpv trasporterà gli ospiti del
convegno europeo degli armatori di rimorchiatori dal Molo 4 alla centrale
idrodinamica per la cena di gala! Ancora una volta il Tramway Tpv dimostra la
sua utilità e praticità. Grazie al lavoro di pulizia e diserbo fatto
dall'Autorità portuale assieme a noi», hanno fatto sapere i volontari di
Ferstoria che non si sono mai rassegnati al taglio del trenino. L'idea di
utilizzarlo per il "summit" dei rimorchiatori è arrivata dalla stessa
amministrazione comunale che dal primo gennaio ha la titolarità sull'area di
Porto Vecchio a seguito della sdemanializzazione. «È stato un successo -
racconta Alberto Cattaruzza, amministratore delegato di Tripmare -. L'intenzione
era quella di far conoscere a questi imprenditori le potenzialità e opportunità
di Porto vecchio. Tutti sono rimasti allibiti di fronte a tutti questi metri
cubi di bellezza sprecata. Non è escluso che tra questi armatori ci possano
essere dei possibili investitori». Un'azione di marketing territoriale fatta
usando il trenino. Prima della cena di benvenuto gli armatori dei rimorchiatori
(in rappresentanza dell'intero armamento europeo, oltre 800 imbarcazioni) hanno
visitato anche la vicina Centrale idrodinamica. «Erano tutti entusiasti di
questo mezzo di trasporto utilizzato per attraversare il Porto vecchio»,
spiegano i volontari di Ferstoria. Il trenino, insomma, si è rimesso in moto. Il
percorso si è addirittura allungato di 300 metri: ora arriva fino alla bretella
d'ingresso di viale Miramare. E in futuro potrebbe arrivare in 10 minuti "quasi"
a Barcola dove ci sono le società nautiche. L'obiettivo è arrivare proprio a
Barcola. «Per il prolungamento stiamo lavorando assieme al Comune. Abbiamo
iniziato e si continuerà nei prossimi mesi a pulire il binario fino a Barcola.
Chissà che per la prossima Barcolana non si riesca ad arrivare a Barcola? Noi
come sempre ci impegneremo al massimo», fanno sapere ancora i volontari di
Ferstoria. Tra persone comodamente sedute e in piedi il Tramway Tpv può portare
circa 300 passeggeri a corsa. La collaborazione con l'attuale amministrazione è
ormai totale. L'interlocutore principale è l'assessore Giorgio Rossi che ha
messo al lavoro sul progetto del trenino il direttore del Servizio mobilità e
traffico Giulio Bernetti. Il Comune ora è in possesso delle storiche mappe
ferroviarie di Porto Vecchio. Su questo fronte si sta spendendo anche
l'assessore all'Ambiente Luisa Polli. E pure il sindaco Roberto Dipiazza sembra
essere ricreduto sul trenino di Cosolini. L'unico ostinatamente contrario resta
l'assessore al Turismo Maurizio Bucci: non ne vuole proprio sapere del trenino
(preferisce gli idrovolanti). A sostenere il progetto c'è l'Autorità portuale
che ci ha messo la faccia (il logo) sul trenino. E pure l'associazione Italia
Nostra che da sempre chiede un collegamento certo per il polo museale del Porto
vecchio. «Ci sono richieste anche dall'estero per il trenino», aggiungono i
volontari di Ferstoria. Il prossimo appuntamento è per metà luglio quando si
aprirà alla Centrale idrodinamica la mostra sui 160 anni della ferrovia
Vienna-Trieste, indicata anche come Ferrovia meridionale (Südbahn).
Nell'occasione si potrebbe avviare un servizio regolare del trenino. Magari con
una locomotiva a vapore funzionante. Un'operazione in cui verrà coinvolto il
Museo ferroviario di Campo Marzio e la Fondazione Fs. La locomotiva sarà proprio
una di quelle che un tempo faceva servizio in Porto vecchio.
Fabio Dorigo
Il laghetto da fiaba torna all'antico - Via al
restyling dello stagno di Contovello amato da Massimiliano e Carlotta: in arrivo
100mila litri d'acqua
TRIESTE - Lo storico stagno di Contovello torna a splendere. Dopo anni di
incuria e abbandono il Comune di Trieste è riuscito a riportarlo alla luce, con
tanto di canneto e ninfee. Rischiava di sparire, divorato dalla vegetazione. Ma
adesso è davvero un angolino di paradiso, non c'è che dire. Ieri è andato in
scena il sopralluogo dell'assessore all'Ambiente Luisa Polli e del vicesindaco
Pierpaolo Roberti che ha la delega alla Protezione civile, il corpo che si sta
occupando materialmente di riempire d'acqua il piccolo laghetto con le
autobotti. Ci vorranno 100mila litri, quindi una ventina di camion in tutto, per
raggiungere nell'arco di qualche settimana il livello d'un tempo. Le operazioni
sono in corso proprio da ieri. La giunta Dipiazza è intervenuta grazie alla
spinta della circoscrizione competente, la Prima, presieduta da Maja Tenze (Pd).
Anche lei, ieri, era presente a Contovello per accompagnare i due assessori
comunali e constatare personalmente la riuscita dell'opera. La situazione si è
sbloccata in questi giorni: è stato sufficiente pulire la zona e tagliare erba e
arbusti, compresa l'area giochi, per far riaffiorare lo stagno. Ridando così un
altro volto al posto. Le cisterne della Protezione civile faranno il resto.
Comprensibile la soddisfazione di Polli, Roberti e Tenze. «Nel corso degli anni,
a causa dell'urbanizzazione, è stato bloccato il flusso naturale della falda -
spiega Polli - e dei torrenti sottostanti. Nel fondo è stata poi messa l'argilla
che ha fatto da tappo». «Per non parlare dei pesci rossi, delle carpe e delle
tartarughe portate qui dalla gente, che hanno alterato l'habitat naturale»,
puntualizza Roberti. La mozione è stata sostenuta dall'intera circoscrizione,
come ricorda Tenze. «Avevamo di fronte un problema ambientale che si trascinava
da tempo - osserva la presidente - anche perché l'anno scorso abbiamo dovuto
fronteggiare un'estate secca che ha inciso negativamente. Il laghetto era in
grande sofferenza e poteva veramente scomparire». Per la conservazione dell'area
la giunta Dipiazza intende ora coinvolgere la Regione. «La tutela della
biodiversità - sottolinea ancora l'assessore Polli - non è una competenza
comunale. Anche perché da qui si prende il sentiero che porta a Miramare, un
percorso che fa parte della Rete Natura 2000. Faccio notare che la Regione Fvg è
già intervenuta con progetti ad hoc in altri punti del territorio in cui
l'ambiente è stato alterato. L'obiettivo è restituire al sito la sua originalità
naturalistica». Il secondo step, oltre al riempimento del laghetto, è chiaro:
spostare pesci rossi, carpe e tartarughe altrove. «L'idea è portarli nel parco
di Miramare, in accordo con la Soprintendenza», anticipa Polli. «Dobbiamo
occuparci al meglio di questo luogo che è bellissimo - insiste Tenze - anche
perché dobbiamo pensare che qui, proprio da Miramare, venivano a passeggiare
Massimiliano e Carlotta». Salivano a piedi lungo il sentiero e si inerpicavano
fin qui, a Contovello, per raggiungere la chiesetta.
Gianpaolo Sarti
IL PICCOLO - VENERDI', 9 giugno 2017
"Treno+bici" nei weekend - NUOVO ORARIO
Il nuovo orario di Trenitalia, in vigore da domenica, aumenta l'offerta
verso le mete turistiche. Il treno diventa anche la soluzione più comoda per
raggiungere le località di villeggiatura, i parchi naturalistici, le città
d'arte. Saranno raggiungibili tutte le mete turistiche regionali: Trieste,
Udine, Cervignano e le spiagge di Grado, Latisana con le spiagge di Lignano e
Bibione, ma anche Venzone, Gemona, Carnia, Tarvisio. Per gli amanti della bici,
fino a sabato 21 ottobre, sono attivi nei weekend i nuovi collegamenti
treno+bici per raggiungere la ciclovia Alpe Adria. Ventidue treni ogni fine
settimana collegano Trieste, Udine, Carnia e Tarvisio alle principali località
di interscambio con la ciclovia, tra cui Gemona, Venzone, Pontebba e Ugovizza.
Inoltre la promozione "Weekend Fvg", il sabato e la domenica, consente di
acquistare biglietti di corsa semplice scontati del 20%
MUGGIA - Faccia a faccia sul centro proibito alle bici
«Siamo pronti ad ascoltare proposte che possano essere utili a migliorare la
situazione attuale del centro storico». Stefano Decolle, assessore alla Polizia
locale, annuncia così l'incontro pubblico in programma oggi alle 18.30 nella
sala Millo intitolato "Vivere il centro storico". Il tema caldo
dell'appuntamento a cui presenzieranno anche il sindaco di Muggia Laura Marzi e
l'assessore all'Urbanistica Francesco Bussani sarà la nuova ordinanza
(attualmente congelata dalla Giunta) sul divieto di circolazione in bicicletta
nel centro storico. «Insieme, alla ricerca di un equilibrio tra residenti,
lavoratori e turisti, nella consapevolezza che il centro storico, oltre al cuore
della comunità, rappresenta un asse fondamentale per lo sviluppo della città,
abbiamo organizzato un appuntamento per dare voce a chi il centro storico lo
vive, per suggerire soluzioni possibili in modo da raccogliere idee e
sintetizzare proposte che aiutino anche il centro della città a vivere e
crescere», racconta il vicesindaco Bussani. Ma intanto sul web, dopo il clamore
suscitato dall'ordinanza, sono stati pubblicati alcuni video di protesta. Un
gesto definito di "disobbedienza civile" in cui un paio di ciclisti, con
telecamerina sul caschetto, si sono autoripresi mentre circolavano a bordo del
loro bici attraversando le calli e piazza Marconi.
(ri.to.)
Ripulito il sentiero Baca rubra al Farneto
La bellezza, le peculiarità e la salvaguardia della natura apprese adottando
un sentiero. "Baca rubra", ovvero bacca rossa, dal pungitopo abbondante in zona,
è il nuovo nome di un vecchio sentiero del bosco Farneto che, preso a cuore
dalla scuola media Codermatz e dai suoi alunni, da una "traccia" dismessa è
diventato un percorso sicuro, a disposizione della città. Il Baca rubra vedrà
oggi la sua inaugurazione ufficiale: dopo una presentazione alle 9.30 nella sede
della VI Circoscrizione (Rotonda del Boschetto 6), il ritrovo per il taglio del
nastro del sentiero escursionistico è al suo imbocco, alle 10.20. «La
Circoscrizione - sottolinea la presidente Alessandra Richetti - ha condiviso gli
obiettivi del progetto: l'attenzione per il verde pubblico, la scelta di
sollecitare il senso di responsabilità verso il bene comune». «Sarà la scuola
Codermatz - spiega l'ideatrice e referente del progetto, la docente Nadia
Milievich - a occuparsi della manutenzione e del monitoraggio della zona». I
ragazzi hanno realizzato cartelli e pannelli informativi per rendere agevole
alla cittadinanza la fruibilità del Baca rubra.
(an. pe.)
IL PICCOLO - GIOVEDI', 8 giugno 2017
Dipiazza strizza l'occhio ai "runners" - Sulla
viabilità di Porto vecchio il sindaco assicura a chi corre che non sarà multato
Nessun problema e nessuna multa. Ai cittadini, e in particolare ai "runners",
allarmati per la nuova ordinanza che limita l'accesso al Porto vecchio, il
sindaco Roberto Dipiazza ha lanciato ieri, attraverso il suo profilo Facebook,
un messaggio tranquillizzante. «Tutti potere entrare, e continuare a correre»,
ha sottolineato il primo cittadino, aggiungendo che queste ordinanze sono atti
formali, che i dirigenti devono predisporre stante «la pericolosità dell'area,
che comunque esiste». Dipiazza ha rassicurato i frequentatori del Porto vecchio
che nessuno verrà multato se percorrerà la bretella fra Largo città di Santos e
il Magazzino 26, invitando anzi la cittadinanza a frequentare il Porto vecchio e
chi già vi si reca per ragioni sportive a proseguire nell'utilizzo del tratto di
strada in questione. Non solo. In relazione alla seconda ordinanza (quella che
regolamenta la circolazione fra l'ingresso/uscita su viale Miramare e il
Magazzino 26) il sindaco rivendica di avere aperto quell'area al traffico, e al
pubblico in generale, considerato che il precedente provvedimento (un'ordinanza
del marzo 2016, firmata congiuntamente dall'allora sindaco Cosolini e
dall'allora commissario dell'Autorità portuale Zeno D'Agostino) vietava la
circolazione sull'intera bretella, da Largo città di Santos a viale Miramare. Al
di la del messaggio volto a tranquillizzare i frequentatori del Porto vecchio, e
in particolare del primo tratto della bretella, sta di fatto che il
provvedimento porta la firma del sindaco Dipiazza, e stabilisce il "divieto di
circolazione (accesso, transito e sosta) per tutti i veicoli e per i pedoni",
con una serie limitata di eccezioni. E le richieste di autorizzazione per
accedere alla zona, da parte di categorie non comprese fra quelle "ammesse",
dovranno essere valutate dal sindaco. L'ordinanza stabilisce inoltre che i
veicoli in sosta abusiva saranno rimossi d'autorità, in quanto intralcio e
pericolo per la circolazione. I funzionari con compiti di polizia stradale sono
poi obbligati a far rispettare il provvedimento, procedendo nei riguardi dei
trasgressori.
Rigassificatore a Capodistria - allarme del sindaco
Popovic - Secondo il primo cittadino Petrol e Luka Koper stanno stilando un
piano segreto
Ma gli interessati smentiscono. Impianto vietato da una direttiva del
Parlamento
LUBIANA - I rigassificatori tornano d'attualità. Bocciato quello di Trieste,
sta avanzando invece quello di Veglia in località Castelmuschio in Croazia. E a
Capodistria, nel corso dell'ultima seduta allargata del Consiglio comunale, il
sindaco Boris Popovic ha affermato che Petrol (azienda petrolifera slovena) e
Luka Koper (la società che gestisce il Porto di Capodistria) stanno segretamente
progettando la realizzazione di un rigassificatore. «Stanno parlando di un
rigassificatore a nostra insaputa - ha ribadito come riportato dalle Primorske
Novice - e il piano territoriale nazionale lo permetterebbe».Il sindaco però è
stato immediatamente smentito da Petrol. «La Società Petrol non sta progettando
alcun rigassificatore», si legge in una nota. Società che alle spalle dell'area
portuale capodistriana ha i suoi depositi di nafta e non si occupa di gas. «In
tutti i nostri progetti - prosegue Petrol - collaboriamo con le varie autorità
locali della Slovenia e, quindi, anche con il Comune di Capodistria». Ergo, se
ci fosse un progetto di rigassificatore l'amministrazione municipale del
capoluogo del Litorale ne sarebbe stata informata. Altrettanto secca la smentita
di Luka Koper. «Il piano territoriale nazionale - si legge in un documento - non
prevede impianti di rigassificazione nell'area portuale, quindi qualsiasi
speculazione in merito è assolutamente infondata». Il sindaco, peraltro, non ha
risposto alle domande in merito al fantomatico progetto rivoltogli dai media
locali. Quindi la domanda che ci si pone è: perché il primo cittadino ha
lanciato pubblicamente una simile "bomba" in pasto all'opinione pubblica, quella
stessa che anni fa si era mobilitata contro il rigassificatore di Zaule a
Trieste? Già nel 2010 il Parlamento sloveno aveva vietato la realizzazione di
rigassificatori lungo le coste dell'Adriatico. E tali impianti non sono previsti
neppure nel Piano territoriale per il Porto di Capodistria varato nel 2011.
Divieti che, in un'ottica futura però, mettono in difficoltà la gestione dello
scalo in quanto entro il 2025 una direttiva europea impone l'esistenza di
depositi di gas (a cui è equiparato il rigassificatore) in tutti i porti
commerciali per rifornire le navi che vi attraccano.Ma la "offensiva" di Popovic
non si ferma qui. Il sindaco infatti è riuscito a far approvare all'unanimità
dei presenti in Consiglio comunale anche l'appoggio all'iniziativa nazionale
referendaria nei confronti della legge approvata dal Parlamento per la
realizzazione del secondo binario sulla tratta Capodistria-Divaccia. E anche qui
non mancano le polemiche in quanto lo stesso primo cittadino e i suoi funzionari
vengono accusati di lavorare in prima persona per la raccolta delle fire
necessarie a indire la consultazione popolare. Fino ad oggi ne sono state
raccolte complessivamente 17.200 e non sono sufficienti. Popovic e i suoi
collaboratori rimandano le accuse al mittente sottolineando che non c'è alcun
impegno dei dipendenti pubblici a favore di iniziative di privati.
Politicamente, comunque precisano, la posizione espressa dal Consiglio comunale
su un'infrastruttura che lo riguarda direttamente è assolutamente lecita.Sta di
fatto che Popovic con il suo endorsement al referendum si è ritrovato
politicamente molto vicino al Partito democratico (Sds) dell'ex premier Janez
Jansa (attualmente all'opposizione ma in gran spolvero per quanto riguarda le
intenzioni di voto) che ufficialmente ha "sposato" l'idea del referendum. Fonti
vicine al sindaco non vedono all'orizzonte nuove alleanze politiche ma parlano
di una convergenza di vedute visto che, precisano, «il ministro delle
Infrastrutture non ascolta le motivazioni del Comune di Capodistria»
Mauro Manzin
Giornata degli oceani - All'Ogs e in città eventi per
tutti
Oggi è la Giornata mondiale degli oceani che vuole incoraggiare scelte
sostenibili per fronteggiare l'inquinamento. L'Istituto nazionale di
oceanografia e di geofisica sperimentale per l'occasione promuove - insieme a
Wwwf-Area marina protetta di Miramare - un ricco programma per le scuole e il
pubblico di tutte le età, nella sede di via Beirut 2. Ma ecco il programma: la
mattina, gli eventi del World Oceans Day sono dedicati alle scuole. Il
pomeriggio, dalle 15 alle 17, il percorso è aperto a tutti e si articola in
laboratori e incontri con gli scienziati. Antonio Terlizzi (Università di
Trieste) parlerà di forme emergenti di inquinamento e sfruttamento delle risorse
in mare; Silvia Ceramicola (Ogs) illustrerà le pericolosità naturali dei fondali
dei nostri mari; Cosimo Solidoro (Ogs) spiegherà come si fanno previsioni,
proiezioni e valutazioni sullo stato dei sistemi marini; Fabio Raicich (Cnr-Ismar)
mostrerà il livello marino nell'Adriatico in un secolo e mezzo di osservazioni.
E Maurizio Spoto (Amp; nella foto) racconterà la storia e le attività della
prima Area marina protetta italiana, quella di Miramare. Sarà possibile inoltre
ammirare le mostre "Le trezze del golfo di Trieste" e "Marine litter". Per
prenotare le attività pomeridiane: info@riservamarinamiramare.it e 040-224147
(orario ufficio). Infine, alle 18.30, il Salone degli incanti ospita la
proiezione del documentario "I segreti del golfo di Trieste" di Pietro Spirito e
Luigi Zannini, introdotta da Maria Cristina Pedicchio.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 7 giugno 2017
Bretella in Porto vecchio - Scatta la rivoluzione -
Chiuso al transito da oggi il tratto da Largo Santos al passaggio a livello
Accesso consentito solo da viale Miramare fino all'area del Magazzino 26
Circolazione rivoluzionata sulla bretella interna al Porto vecchio. Oggi e
venerdì scattano due ordinanze che cambiano le "abitudini" di tutte le persone
che, per diversi motivi, percorrono la bretella da più di qualche anno.
Esattamente dal 2011, quando quel tratto di strada fu aperto per consentire
l'accesso dei visitatori alla Biennale diffusa, allestita al Magazzino 26. Da
oggi, dunque, la bretella viene divisa in due. Un primo tratto, da largo Città
di Santos al Magazzino 20 (adiacente al 26), sul quale un'ordinanza del sindaco
Roberto Dipiazza vieta la circolazione, intesa come accesso, transito e sosta.
Nel secondo tratto della bretella, dal retro del Magazzino 26 all'entrata/uscita
in viale Miramare, la circolazione sarà invece regolamentata da un'ordinanza del
"mobility manager" Giulio Bernetti, che entrerà in vigore venerdì, trascorsi i
15 giorni dall'affissione all'albo pretorio (e dall'inserimento nel sito Rete
civica). Ma andiamo con ordine. Ciclisti, podisti, pedoni e conducenti di
qualsiasi mezzo, da domani non potranno più percorrere o sostare lungo la strada
che dal varco di Largo Città di Santos conduce all'area del Polo museale
(Magazzino 26, Centrale idrodinamica e Sottostazione elettrica). Il limite
dell'area interdetta è fissato all'altezza del Magazzino 20, subito dopo
l'attraversamento dei binari, da dove si accede al piazzale retrostante il
Magazzino 26. In seguito al passaggio di proprietà di gran parte del Porto
vecchio dall'Autorità portuale al Comune, alcuni mesi fa, la bretella è divenuta
una strada di competenza comunale. Ma siccome ha le caratteristiche di un'area
portuale, per ragioni di sicurezza l'amministrazione comunale ha preso una serie
di provvedimenti per la circolazione e la sosta, che si sostanziano nelle due
ordinanze già ricordate. Di conseguenza, chi non rispetterà i nuovi divieti
potrà essere multato come avviene su qualsiasi altra strada cittadina. Non solo
multe, poi, ma anche rimozioni (d'autorità) sono previste per i veicoli che
verranno trovati in sosta abusiva lungo la bretella o che dovessero essere
posteggiati al di fuori dei tracciati nelle zone destinate al parcheggio. Il
provvedimento del sindaco prevede comunque una serie di eccezioni, che
riguardano veicoli e personale dei mezzi di soccorso, i mezzi delle
amministrazioni e delle autorità, i veicoli operativi delle aziende di servizio
pubblico (per precisi interventi di pubblica utilità), i mezzi che hanno uno
specifico permesso degli uffici comunali (manutenzioni edilizie, traslochi o
allestimento di mostre), e da ultimo i veicoli e il personale della Tertrans srl,
società concessionaria dell'Autorità portuale. Tutti i veicoli "ammessi" non
potranno poi superare il limite dei 30 chilometri orari. Altri tipi di richieste
per accedere o sostare nella zone vietata saranno valutate dal sindaco, e
saranno comunque a carattere temporaneo. E veniamo al secondo provvedimento, che
regolamenta circolazione e sosta nella seconda parte delle bretella - dal
Magazzino 26 a viale Miramare, inclusa l'area della Centrale idrodinamica e
della Sottostazione elettrica - e che, come detto, entra in vigore venerdì. Nel
tratto compreso fra i varchi di ingresso/uscita in viale Miramare e il Magazzino
20 (a fianco del "26"), questa seconda ordinanza fissa il limite di velocità a
30 chilometri orari e stabilisce l'installazione di dissuasori e "rallentatori
ottici" in diversi punti fra l'area antistante la Centrale idrodinamica e
l'ingresso/uscita su viale Miramare. In termini di circolazione, i veicoli che
escono dal Porto vecchio e si immettono su viale Miramare debbono dare la
precedenza e girare a destra, in direzione del centro città. Sui tratti di
strada che circondano il Magazzino 26 viene poi istituito il senso unico, con
senso di marcia antiorario. Il provvedimento prevede anche la creazione di
quattro aree di parcheggio per le auto: una sul lato posteriore del Magazzino
26; una seconda nello spazio fra la Centrale idrodinamica, la Sottostazione
elettrica e il Magazzino 27; un'altra nello slargo fra il Magazzino 27 e il
Magazzino 25; l'ultima sul tratto fra il Magazzino 27 e il Magazzino 28 (il
collegamento verso viale Miramare). Sono poi previsti sette posti auto (in
diversi punti) riservati ai portatori di handicap. Un'area di parcheggio
riservata alle moto verrà invece creata lungo il lato Est del Magazzino 26.
Anche nell'area della bretella aperta al traffico i veicoli in sosta abusiva o
parcheggiati all'esterno dei tracciati, saranno rimossi.
Giuseppe Palladini
E all'ingresso dello scalo spuntano due voragini -
Il crollo delle volte del torrente Chiave che scorre nel sottosuolo ha
provocato l'apertura di maxi buchi da cui fuoriescono acque sporche e
maleodoranti
Due voragini capaci di inghiottire un furgone si sono aperte all'ingresso
dell'antico scalo, pochi metri dopo il monumentale varco doganale di Largo
Santos. Il responsabile è il torrente Chiave, lo stesso che sta costringendo
l'amministrazione a lavori straordinari (e costosi, almeno un milione di euro)
in via Carducci. Le volte in pietra della galleria del torrente rischiano di
crollare per una lunghezza di 160 metri. In Porto vecchio le volte sono già
collassate, almeno in due punti, interrompendo una linea di vecchi binari e
lasciando intravedere delle acque non proprio limpide. Al momento, per evitare
incidenti, l'area è stata recintata. A denunciarlo per primo è stato il blog di
informazione indipendente "Rinascita Triestina" che ha postato la foto dei
crateri. Il Comune, insomma, ha ricevuto in dote un Porto vecchio coi buchi. Dal
primo gennaio infatti, come noto, l'area è sdemanializzata e quindi è di
proprietà dell'amministrazione municipale. Il Chiave, o torrente Grande, è
formato dall'unione di due torrenti, il Settefontane e il Farneto, riceve più a
valle le acque del rio Romagna e del rio Scorcola. Raccoglie le acque di un
bacino di 1.560 ettari. Il torrente, all'altezza di piazza Dalmazia, ospita un
impianto che separa le acque scure da quelle chiare indirizzando le prime,
attraverso un sistema idraulico a pompe, verso il depuratore di Servola e le
altre verso il mare. Il Chiave sfocia infatti tra il Molo III e il Molo IV in
Porto vecchio, nell'area in concessione alla Greensisam di Pierluigi Maneschi.
Il problema è che la separazione delle acque non pare così efficace all'olfatto:
le due voragini in Porto vecchio si presentano come una fogna a cielo aperto. I
miasmi maleodoranti, con la brezza marina serale, arrivano fino alla stazione.
Ne sono testimoni i finanzieri e le guardie giurate che quotidianamente
presidiano l'ingresso in Porto vecchio. E ne ha fatto esperienza, probabilmente,
anche la governatrice Debora Serracchiani durante la visita pochi giorni fa al
pontone galleggiante Ursus, ormeggiato alla foce del Chiave. Le acque riversate
in mare hanno tutta l'aria di liquami. Chi pagherà la bonifica e il ripristino
della galleria del torrente Chiave in Porto vecchio? A seguito della
sdemanializzazione gli oneri spettano al Municipio. «È una cosa che riguarda il
Comune. La proprietà è loro. Noi per il momento abbiamo ancora la giurisdizione,
ma la proprietà è comunale» spiega Mario Sommariva, segretario dell'Autorità di
sistema portuale del mare Adriatico orientale. Dovrà essere il Comune quindi a
mettere mano al portafogli per il Chiave, che allunga il suo conto dopo via
Carducci. Il problema è che i soldi non ci sono. I 9 milioni, ritagliati dai 50
milioni stanziati dal governo con finalità culturali, non bastano neppure per
infrastrutturare l'area attorno alla Centrale idrodinamica. E al momento mancano
persino le risorse per mettere in sicurezza il varco aperto nel 2011 in
occasione della Biennale diffusa di Vittorio Sgarbi. Del resto l'urbanizzazione
primaria di tutta l'area di Porto vecchio viene stimata in almeno 300 milioni.
Solo per la bonifica del Chiave si parla di 11 milioni e mezzo (4,5 milioni,
invece, per il Rio Martesin). Il torrente, del resto, è un problema atavico del
Porto vecchio. Attorno alla sua bonifica si è consumato un contenzioso che ha
bloccato per più di 10 anni la concessione novantennale di Greensisam. «Prima
opera che partirà a breve - scriveva il Piccolo il 9 agosto 2002, riportando i
contenuti della convenzione siglata tra Comune e Autorità portuale - sarà la
bonifica del torrente Chiave che scorre nel sottosuolo e che sfocia tra il Molo
III e Molo IV. Il corso d'acqua che in passato si riversava nel canale di
Ponterosso raccoglie gli scarichi meteorici e acque nere di mezza città. Da qui
l'urgenza di intervenire con l'apporto dell'Acegas». Un'urgenza rimasta tale
cinque anni dopo. «Il torrente Chiave ha anche inquinato tutto lo specchio
d'acqua prospiciente - spiegò nel 2008 Pierluigi Maneschi, presidente di Italia
Marittima -. Già oltre un anno fa abbiamo mandato alle autorità la richiesta di
provvedere alla bonifica, ma com'era prevedibile non si è mossa una foglia:
Comune e Autorità portuale non si mettono d'accordo su chi debba fare il
lavoro». Secondo il segretario generale dell'Authority l'onere dei lavori
spettava al Comune. Ma il sindaco di allora, sempre Roberto Dipiazza, non era
d'accordo: «Siamo nell'ambito dei cosiddetti sottoservizi che comprendono
condutture e fognature e dovrebbe essere la stessa Evergreen a realizzarli come
oneri di urbanizzazione anche perché ha ottenuto in concessione cinque magazzini
per novant'anni in cambio di un canone veramente modesto». L'assessore Maurizio
Bucci propose un altra versione: «In base a una nuova norma di legge è la
Regione competente in materia di torrenti per cui spetterà alla Regione
intervenire anche in questo caso». Così nessuno fece nulla. Oggi non ci sono
dubbi. Grazie all'emendamento del senatore Francesco Russo, in odore di sigillo
trecentesco, è il Comune titolare di onori e oneri (oltre che odori) sull'area
di Porto vecchio
Fabio Dorigo
Corsa a cinque per gestire l'Urban center - Partita da
5,2 milioni. Tra le candidature arrivate in Comune quella della cordata trainata
da Tbs Group e Area di ricerca
La "pentafiche". Cinque le manifestazioni di interesse pervenute alla
mezzanotte dello scorso lunedì al direttore dei Lavori Pubblici comunali, Enrico
Conte: è il risultato della consultazione preliminare di mercato, lanciata dal
Municipio per censire i possibili candidati a realizzare e a gestire la "casa
delle start-up" in corso Cavour 2/2. Attività formativa, promozione,
laboratorio: una sorta di vetrina, intitolata "Urban center", dedicata
all'innovazione nel campo della salute. Il Comune ha ottenuto 5,2 milioni, tra
fondi europei e regionali, per sistemare all'uopo un edificio ricevuto
dall'Autorità portuale, nel quadro dell'operazione Porto Vecchio, e situato in
corso Cavour. Come da premessa, cinque le risposte - senza alcun vincolo -
all'invito comunale. La prima è una cordata composta da Tbs Group, Riccesi
holding, studio Pierpaolo Ferrante, Facau (Giancarlo Cappellari), Biovalley
Investment (Diego Bravar), fondazione Pietro Pittini. La seconda proposta è
stata presentata dall'Area di ricerca. La terza dall'associazione culturale Laby,
presieduta da Gabriella Marra. La quarta a cura dell'architetto Agata Lacava,
che aveva partecipato al concorso di idee per riqualificare piazza Sant'Antonio.
Alla quinta hanno provveduto le associazioni "Progettiamo Trieste", con la firma
di Alessandro Tronchin, e "Agire", con l'autografo di Domenico Maiello. Gli
uffici comunali procederanno all'istruttoria amministrativa e, possibilmente
entro la fine del corrente mese, Conte vorrebbe presentare alla giunta il
percorso da seguire, dai bandi al cronoprogramma. C'è un primo termine da
rispettare: impiegare 200 mila euro entro il 31 dicembre 2018. Da un primissimo
sguardo alla griglia degli interessati, balza all'occhio il possibile "derby"
pubblico/privato tra la cordata Tbs e l'Area di ricerca. Da quanto è dato
sapere, la squadra Tbs avrebbe prospettato un'operazione "double face": in prima
istanza un intervento edile per sistemare l'edificio di corso Cavour, sul quale
sarebbero disponibili 1,3 milioni provenienti dal Bic (vecchio finanziamento del
Fondo Trieste) e una analoga cifra investita dalla cordata. In totale 2,6
milioni. Una volta compiuta la riqualificazione, entrerebbe in azione, per
gestire contenitore&contenuto, un'associazione temporanea di scopo formata da
Rete BioHighTech, Cbm, Confindustria, Camera di commercio, Fit, Itis, Mib, Ance.
Uno sconfinato assortimento tra pubblico e privato, ricerca e industria,
assistenza e costruttori. Pare che in un primo tempo fosse della partita anche
il Bic, che però in extremis si sarebbe sfilato. Per comprendere appieno
l'operato del Comune, occorre ricordare che il finanziamento euro-regionale
presenta un problema, cioè non copre le spese di carattere edile e la
programmazione triennale municipale non contempla investimenti in corso Cavour
2/2. Per non trovarsi nella paradossale situazione di rinunciare a 5,2 milioni
di risorse pubbliche, gli uffici comunali hanno pensato a un "project financing"
che coinvolga realtà private. Entro giugno la giunta si esprimerà sull'iter da
seguire.
Massimo Greco
Sfalcio straordinario da parte del Comune - Il Giardino
pubblico chiuso due giorni
Niente passeggiate nel verde e niente sosta "strategica" anti-caldo sulle
panchine del Giardino pubblico "Muzio de Tommasini". Almeno per due giorni. Il
perché è presto detto: il Comune di Trieste infatti, come riporta una nota
diffusa nella giornata di ieri, informa che oggi, a partire dalle 8, partirà
l'intervento di sfalcio straordinario. I lavori in via Giulia si protrarranno
probabilmente fino a domani: il giardino sarà di conseguenza chiuso al pubblico
nei due giorni previsti per i lavori. Ad ogni modo, l'intervento sarà segnalato
anche attraverso opportuni cartelli posti sui cancelli di entrata dello stesso
giardino. Il Giardino pubblico di via Giulia sarà peraltro interessato,
probabilmente a settembre - come altre aree verdi cittadine -, dalla
sistemazione in loco del fitorimedio con le "super piante" capaci di assorbire
le sostanze inquinanti.
La partita del gas - Mosca rilancia il South
Stream - Dialogo avviato con Serbia e Ungheria - Lo snodo resta però la
posizione bulgara
BELGRADO - Ha messo l'una contro l'altra Bruxelles e Mosca, per anni. Ha
infiammato gli animi nei Balcani. Ed è finito ingloriosamente, cancellato nel
2014, su pressione dell'Ue. Ma come un'araba fenice, il defunto progetto del
gasdotto South Stream potrebbe risorgere dalle sue ceneri. È quanto suggeriscono
alcune mosse a sorpresa di Ungheria, Serbia e Russia, che appaiono intenzionate
a rilanciare l'idea del metanodotto tanto inviso all'Unione europea. Mosse come
incontri d'altissimo livello che si sono tenuti nei giorni scorsi a San
Pietroburgo, in Russia. Al tavolo delle discussioni, leader del calibro di Peter
Szijjarto, ministro degli Esteri d'Ungheria, il suo omologo serbo e premier ad
interim, Ivica Dacic, quello russo, Sergei Lavrov. E soprattutto il potente
numero uno di Gazprom, Alexei Miller.Riunioni e vertici che, ha rivelato
l'agenzia di stampa ungherese Mti, avevano un solo obiettivo: resuscitare il
progetto South Stream. «Serbia, Russia e Ungheria stanno riannodando il dialogo
per la costruzione di un gasdotto che rifletta in parte» il percorso originario
di South Stream, ha informato l'agenzia riportando dichiarazioni di Szijjarto.
Szijjarto stesso ha confermato che Budapest ha tutto la convenienza alla
«costruzione rapida di un altro gasdotto» in sostituzione di South Stream,
d'«interesse fondamentale» per l'Ungheria perché contribuirebbe alla
diversificazione delle fonti di energia. E l'Ungheria contatterà quanto prima la
Commissione europea, oltre alle autorità della Bulgaria - perno fondamentale per
l'eventuale realizzazione dell'opera - per discutere i prossimi passi. Unione
europea che non «può scovare argomenti realistici contro questo gasdotto», ha
arringato Szijjarto. E resuscitarlo sarebbe anche nell'interesse della Russia,
che è pronta a far partire in fretta i lavori, anche perché tutte le joint
venture con compagnie nazionali in Serbia, in Ungheria e oltre, sono ancora
attive. E Mosca, ha ricordato Szijjarto, ha già iniziato a collocare, a inizio
maggio, le tubazioni sui fondali del Mar Nero per il gasdotto Turkish Stream che
convoglierà gas russo verso la Turchia. E da lì, questa l'idea di fondo del
"mini South Stream", potrebbe biforcarsi un ramo settentrionale, attraverso
Bulgaria, Serbia, Ungheria. Una boutade pre-estiva? Non proprio. Che ci sia una
speciale attenzione per l'idea è stato confermato anche dalla Tv pubblica serba,
che ha precisato che al momento «non ci sono conferme ufficiali», ma che nei
corridoi del potere «si sta discutendo» concretamente con la Russia di
«riportare in gioco South Stream». Tv che ha riportato anche le parole di
Vojislav Vuletic, rappresentante dell'Associazione serba per il gas, che ha
sottolineato che «si tratta di una buona notizia», soprattutto se «nel 2019
dovessero interrompersi le forniture via Ucraina». Conferme che qualcosa si stia
muovendo sono arrivate infine da una delle "voci" del Cremlino, l'agenzia
Sputnik, che ha riportato dichiarazioni del numero due di Gazprom, Alexander
Medvedev, che ha ricordato che anche la Bulgaria «ha tutto pronto per iniziare
la costruzione» del gasdotto, progetto bloccato solo «su pressione esterna». E
basterebbe poco, a Sofia, per unirsi al nuovo treno chiamato "South Stream 2".
Che sembra sul punto di partire.
Stefano Giantin
Navalprogetti - Il viaggio del gas dentro ai container L’Europa crede all’idea nata in Carso
Un container per trasportare il gas: in prima mondiale. In genere si pensa che nei 20/40 teu viaggino elettrodomestici, mobili, alimentari, macchinari ... Invece Navalprogetti, uno studio di engineering fondato nel 1975 da Nicolò Luchetta a Opicina, vuol fare del container una modalità di trasporto che supporta l’approvvigionamento energetico dell’Unione europea. E a Bruxelles hanno creduto al progetto GasVessel preparato in via dei Papaveri 21 da una équipe di 15 ingegneri con un lavoro durato oltre quattro anni. Al punto che l’europrogramma Horizon 2020 lo ha premiato con 14,5 punti su 15, ma soprattutto lo ha lautamente finanziato con circa 12 milioni di euro. Il presidente della società è Loris Cok, ingegnere navale, 75 anni fatti in aprile, già direttore del Cantiere Alto Adriatico a Muggia. Innanzitutto spiega l’obiettivo del progetto, presentato nel settembre dello scorso anno: trasportare per mare e per terra gas naturale allo stato gassoso all’interno di appositi contenitori, dai quali, senza la previa liquefazione e senza la successiva rigassificazione, la materia prima, tramite impianti situati in aree sicure (marine o terrestri), verrà infine iniettata nella rete dei metanodotti. In Italia esiste un impianto, che a Fiumicino richiama questo modulo operativo. I vantaggi, a giudizio di Loris Cok, sono ambientali e industriali, in quanto il procedimento containerizzato “salta” - come abbiamo visto - liquefazione e rigassificazione. Il container così progettato presenterà una duplice dimensione, a seconda che viaggi in mare o in treno/camion/chiatta: nel primo caso avrà un diametro di 2-3 metri e una lunghezza di 20-30 metri; nella seconda opzione 2 metri di diametro e 11 metri di lunghezza. Il prototipo sarà approntato tra due anni e mezzo, alla fine del 2019. L’operazione parte dal Carso ma implica vaste ramificazioni territoriali e internazionali, che avranno oggi all’hotel Riviera formale suggello con la firma del rappresentante Ue e dei numerosi compagni di viaggio. Vediamo la rassegna. In regione Cenergy ed Esteco operano nell’Area di ricerca, la BM Plus lavora a Buttrio e sarà la realizzatrice materiale del prototipo. La Slovenia “conferisce” Cngv; Cipro partecipa con Cyprus Hydrocarbon co.; per l’Ucraina interviene Vtg; la Norvegia è presente con Sintef Marintek; dal Belgio arriva Pno Innovation. La Germania ci mette la filiale tedesca del colosso statunitense Dow Chemical e Hanseatic Lloyd Schiffahrt. Fin dall’inizio partner di Navalprogetti è stato il registro navale “American bureau of shipping” (Abs), considerato una delle grandi firme mondiali della classificazione navale: sarà questo organismo a certificare la buona riuscita finale di GasVessel, al quale ci accinge a lavorare un battaglione di 740 ricercatori.
magr
IL PICCOLO - MARTEDI', 6 giugno 2017
Le polveri sottili e l'ozono i nemici dell'aria in
regione - Nel rapporto dell'Arpa per il 2016 i due inquinanti sono le uniche
criticità
Il benzo(a)pirene sempre sotto i limiti ma "osservato speciale" in Friuli
- La
qualita' dell'aria nel 2016 in Friuli Venezia Giulia
TRIESTE - Nella regione la qualità dell'aria è mediamente buona. Quasi tutti
i principali indicatori mostrano valori al di sotto dei limiti di legge, e le
uniche criticità riguardano le polveri sottili, nella zona attorno a Pordenone,
e l'ozono, soprattutto nella pianura. Questo il quadro relativo al 2016,
illustrato ieri dall'assessore regionale all'Ambiente, Sara Vito, e dai vertici
dell'Arpa, nella conferenza stampa con cui ogni anno si tirano le somme delle
rilevazioni sul territorio regionale. Da questi rilievi emerge appunto che i
livelli di diversi inquinanti sono ampiamente al di sotto dei limiti di legge. È
il caso del benzene, per il quale la concentrazione media annua in tutta la
regione è rimasta molto al di sotto del limite (5 microgrammi per metro cubo), e
del biossido di azoto, le cui concentrazioni medie annue risultano in lenta e
costante diminuzione, sempre sotto al "tetto" previsto alle norme (40
microgrammi per metro cubo). Prossime al limite analitico di rilevabilità e
molto inferiori al limite, poi, le concentrazioni del biossido di zolfo. E anche
quelle dei cosiddetti "metalli normati" (arsenico, nichel, cadmio e piombo) sono
risultate molto al di sotto del limite in tutte le postazioni tenute sotto
controllo dall'Arpa. Infine, il monossido di carbonio mostra livelli molto bassi
e "tali da renderne difficoltosa la rilevazione". Fra questi inquinanti solo il
benzo(a)pirene, originato da combustioni inefficienti, benché non si siano
rilevati superamenti del limite di legge (media annua di 1 nanogrammo per metro
cubo), lo scorso anno, in diverse stazioni della pianura friulana, ha raggiunto
valori prossimi alla soglia limite, e in particolare 0,8 nanogrammi a Udine e
0,7 a Pordenone. «Continuiamo a monitorarlo - ha spiegato Fulvio Stel,
responsabile dell'Arpa per la qualità dell'aria - perchè ci sono segnali che
questo inquinante possa aumentare nei prossimi anni». Le criticità, come detto,
sono rappresentate dalle polveri sottili e dall'ozono. Quanto alle Pm10, il
limite dei 35 superamenti annui della concentrazione media giornaliera (50
microgrammi/metro cubo) è stato rilevato a Porcia (36 sforamenti) e a Brugnera
(55 superamenti). Le cause, hanno spiegato i tecnici, sono da indagare:
potrebbero essere locali (bassa ventilazione e quindi ristagno) o legate alla
vicinanza con la pianura veneta. In ogni caso si tratta di dati legati alla
variabilità delle condizioni meteo. Dati decisamente inferiori, sempre con
riguardo agli sforamenti annui delle Pm10, nel resto della regione. Quanto alla
situazione nei quattro capoluoghi di provincia, a Pordenone si sono rilevati 28
superamenti rispetto ai 35 fissati come limite annuo, a Udine e Gorizia gli
sforamenti sono stati 15, mentre a Trieste se ne sono rilevati 10. Nell'area di
Trieste, inoltre, è stato sottolineato che dal 2014 al 2016 si sono registrati
dati inferiori ai limiti di legge. Rispondendo a una precisa domanda, i tecnici
dell'Arpa hanno precisato che nell'area della Ferriera le polveri sottili e gli
altri inquinanti sono «tenuti costantemente sotto controllo, così da poter
intervenire in tempo reale, e la situazione, in tutte le stazioni di
rilevamento, è molto migliorata rispetto a cinque anni fa, con valori inferiori
anche di sette volte». In particolare i valori di benzo(a)pirene sono risultati
inferiori ai limiti , con il massimo rilevato dalla stazione di via San Lorenzo
in Selva (Rfi). Sul sito Internet dell'Arpa, alla voce "focus Ferriera", è
disponibile il quadro dettagliato. Sempre in relazione alle Pm10, nel 2016 la
concentrazione media annuale è stata inferiore al limite (40 microgrammi/metro
cubo) in tutta la regione, e lo stesso è avvenuto, ancora lo scorso anno, con
riguardo alle polveri più sottili (Pm 2.5), le cui concentrazioni sono risultate
inferiori anche al valore obiettivo che dovrebbe entrare in vigore dopo il 2020.
Quanto all'ozono, tipico inquinate del periodo estivo, che si forma per una
reazione chimica favorita dai raggi del sole, è risultato diffuso in quasi tutta
la pianura friulana, da Pordenone a Gemona, con 25 sforamenti dei limiti medi
giornalieri nei territori della regione al di sotto dei 500-700 metri.«Il
rapporto sulla qualità dell'aria per il 2016 - ha commentato l'assessore Sara
Vito - conferma gli andamenti noti ormai da tempo, e cioè che in Friuli Venezia
Giulia la qualità dell'aria è sostanzialmente buona, sebbene con la presenza di
alcune criticità determinate prevalentemente da fattori climatici e geografici.
L'inquinamento - ha aggiunto l'assessore - va comunque affrontato a livello
sovraregionale, ed è per questo che la Regione ha aderito al progetto prepAIR,
che riunisce 18 partner nazionali e internazionali, fra cui tutte le regioni del
bacino padano e anche la Slovenia, che sarà presentato fra pochi giorni a
Bologna».
Giuseppe Palladini
PORTO E AMBIENTE - Certificazione di qualità al sistema
dell'Authority
Dopo l'approvazione del piano regolatore portuale che ha visto integrati,
primo caso italiano, i due procedimenti di Via e di Vas, lo scalo triestino fa
ancora da apripista in materia ambientale. È infatti la prima Autorità di
sistema portuale italiana a ottenere la conferma e l'estensione della
certificazione del proprio sistema di gestione integrato, ai sensi dell'ultima
revisione degli standard 9001 e 14001. «Nel 2016 abbiamo puntato molto sul
miglioramento e l'integrazione dei sistemi di gestione per la qualità e
l'ambiente - dice il presidente dell'Authority Zeno D'Agostino -. Quest'ultimo
step nella certificazione non rappresenta la mera acquisizione della correttezza
delle procedure, ma un vero e proprio punto di riferimento per il processo di
riorganizzazione che l'ente sta perseguendo». In particolare, la certificazione
di qualità è stata estesa anche alla Direzione demanio e alla Direzione attività
portuali. Inoltre, il Sistema qualità è stato integrato con il Sistema di
gestione ambientale ed entrambi sono stati adeguati agli standard revisionati
nel 2015. Il tutto, come sottolinea D'Agostino, con il fine di «aumentare la
sicurezza e la tutela dell'ambiente all'interno del porto». Un secondo versante
sul quale l'Authority giuliana si sta impegnando attiene alla recente revisione
legislativa in materia portuale: nel contesto della riforma, è stabilito che la
gestione del demanio marittimo debba avvenire esclusivamente tramite il Sistema
Informativo Demanio marittimo (Sid). Il Sistema è nato per fornire supporto non
solo alle pubbliche amministrazioni interessate alla gestione e alla tutela dei
beni demaniali marittimi ma anche ai cittadini che intendono fruirne, rende
disponibili online le banche dati che consentono la conoscenza dello stato d'uso
del Demanio marittimo, insieme con procedure automatizzate. Il Sid prevede
sostanzialmente l'utilizzo da parte dei concessionari di modelli di domanda
normalizzati per tutte le fattispecie (rilascio di nuova concessione demaniale
marittima, rinnovo della concessione, variazioni nel contenuto della
concessione, subingresso ecc.). Tutte le istruzioni al link
www.porto.trieste.it/ita/modulistica/concessioni-demaniali.
Tanti auguri per il futuro dei mari - Giovedì l'Ogs e
il Wwf celebrano la giornata mondiale degli oceani con documentari e incontri
È dedicato alla salvaguardia del cuore blu del pianeta la giornata mondiale
degli oceani che si celebra l'8 giugno. L'Ogs per l'occasione promuove insieme a
Wwf Area marina protetta di Miramare un ricco programma di incontri gratuiti per
le scuole e il pubblico di tutte le età nella sede di via Beirut 2, in
collaborazione con Università di Trieste, Scienza Under 18 isontina, Ismar-Cnr e
Comune, nell'ambito del progetto TemaRisk Fvg finanziato dalla Regione. E nel
pomeriggio, alle 18.30 al Salone degli Incanti, ci sarà anche la proiezione del
documentario "I segreti del golfo" di Pietro Spirito e Luigi Zannini prodotto
dalla sede regionale della Rai, introdotta da Maria Cristina Pedicchio,
presidente di Ogs. «Un documentario - commenta Paola Del Negro, direttrice della
sezione di Oceanografia dell'Ogs - che ci accompagna a scoprire i segreti
nascosti nei fondali del Golfo di Trieste, dai relitti di navi affondate nel
corso delle guerre mondiali evidenziati grazie alle tecnologie di rilievo di
Ogs, agli affioramenti rocciosi naturali che rappresentano le "barriere
coralline" dell'Adriatico settentrionale». La rilevanza di questa manifestazione
la racconta Pedicchio: «Per noi è molto importante promuovere un dialogo attivo
con i cittadini. E in questa occasione abbiamo fatto squadra con altri istituti
per favorire la Ocean Literacy: far capire come il mare influenza la nostra
esistenza e come noi influenziamo l'esistenza del mare, partendo dal principio
che l'oceano è grande, ma le sue risorse sono limitate». A organizzare la
kermesse appunto anche il Wwf. «Il futuro di mari e oceani si basa su un
corretto e sostenibile uso delle risorse marine e sulla creazione di una rete di
aree marine protette che possa assicurare in maniera duratura la conservazione
di habitat e specie. L'Amp di Miramare, gestita dal Wwf - spiega il direttore
Maurizio Spoto - opera da oltre trent'anni in questo senso. A breve un nuovo
ecomuseo sulla biodiversità marina adriatica nelle Scuderie di Miramare
rafforzerà il ruolo educativo dell'Amp». Dalle 9 alle 13 il programma del World
Oceans Day prevede per le scuole un percorso in sei tappe. Dalle analisi dei
rifiuti spiaggiati, ai laboratori dedicati, alle microplastiche che dalle creme
di bellezza finiscono in mare. E poi dallo studio dei sedimenti e dei fondali
con la modellazione 3D, alla simulazione dell'ambiente marino. La mattinata è
scandita da quattro chiacchiere con i ricercatori e i referenti dell'Accademia
nautica di Trieste.Dalle 15 alle 17 il percorso è aperto a tutti e si articola
in laboratori e incontri con gli scienziati. Antonio Terlizzi parlerà di forme
emergenti di inquinamento e sfruttamento delle risorse in mare. Silvia
Ceramicola illustrerà le pericolosità naturali dei fondali dei nostri mari.
Cosimo Solidoro spiegherà come si fanno previsioni, proiezioni e valutazioni
sullo stato dei sistemi marini. Fabio Raicich mostrerà il livello marino
nell'Adriatico in un secolo e mezzo di osservazioni. Spoto racconterà la storia
e le attività della prima Area marina protetta italiana, quella di Miramare.
Visitabili pure le mostre: "Le trezze del Golfo di Trieste" sulla biodiversità
dei fondali del Golfo triestino e "Marine litter" sull'inquinamento. Per
prenotare le attività pomeridiane: info@riservamarinamiramare.it e 040 224147
(orario ufficio), oppure https://goo.gl/WjsJmb
Benedetta Moro
IL PICCOLO - LUNEDI', 5 giugno 2017
Cala il sipario su Bioest tra musica e cibi veg -
Bilancio positivo per la Fiera dei prodotti naturali e delle associazioni
ambientaliste a San Giovanni
Bilancio positivo per Bioest 2017, la tradizionale Fiera dei prodotti
naturali e delle associazioni ambientaliste, culturali e del volontariato
allestita al Parco di San Giovanni a Trieste con ingresso libero. Un folto
pubblico ha assistito agli eventi inseriti nel ricco cartellone della due
giorni. La manifestazione, promossa dall'Associazione Bioest - Gruppo ecologista
naturista di Trieste in collaborazione con il Comune e giunta alla XXIV
edizione, aveva per tema la "Terra". Particolarmente ampia è stata la presenza
delle associazioni per le quali Bioest da sempre rappresenta un'attesa vetrina e
offre una preziosa opportunità per informare, discutere e presentare progetti.
Sono state due intense giornate per conoscere, provare, condividere e divertirsi
tra degustazioni, risparmio etico, biocosmesi, benessere, salute, mostre,
spettacoli, musica e animazione per bambini e adulti. Andate letteralmente a
ruba le corone di fiori che tradizionalmente si preparavano per la festa di San
Giovanni, e hanno riscosso grande apprezzamento gli Show Cooking Vegani con
degustazioni. Massiccia la presenza delle famiglie, che hanno potuto vivere al
meglio gli spazi del parco e le animazioni per i bambini, durante le quali i
genitori hanno avuto modo di poter visitare gli stand e frequentare le
molteplici attività proposte per tutto l'arco della due giorni. Applauditi i
concerti di Agrakal, Tiresia's Folk Bunch, Adriano Doronzo (accompagnato da
Maxino e Franco Toro) e del Coro "Le putele dell'ARIS" e le esibizioni di Danze
Greche e africane, di percussioni tradizionali africane e i corsi di campane
tibetane.Grande partecipazione per le lezioni gratuite di Hatha Yoga, Taichi
Chuan Chen, Yoga, Campane, Pilates,Tai Chi, Karate e Difesa Personale, Massaggio
Thailandese, Verci Yoga Posturale Dinamico,Taiso, Kundalini Yoga, N.I.A. e Danza
del Ventre. Molto interesse ha suscitato la serie di incontri dedicate alle
neomamme e a tutto quello che ruota attorno al ciclo della vita e della nascita
con la trasmissione dei saperi e delle conoscenze di chi ha già vissuto questa
esperienza a chi si apprestava ad affrontare per la prima volta questa fase
della vita. Un successo l'iniziativa offerta alle mamme che hanno potuto
lasciare "posteggiati" e custoditi i loro passeggini e provare a utilizzare le
fasce da braccio per poter passeggiare comodamente all'interno della fiera.
Ambiente - La Regione illustra il report sull'aria
Oggi alle 12.30 nella sede della Regione, in piazza dell'Unità d'Italia 1 a Trieste, l'assessore regionale all'Ambiente ed energia, Sara Vito illustrerà la Relazione sulla qualità dell'aria in Friuli Venezia Giulia nel 2016.
IL PICCOLO - DOMENICA, 4 giugno 2017
Riscaldamento globale «Esiti catastrofici se non si
interverrà» - Giorgi (Ictp): avanti così e la Terra cambierà totalmente - Il
costo necessario a limitare il fenomeno è sostenibile
«La temperatura del pianeta è aumentata di circa un grado nell’ultimo
secolo, a una velocità che non ha precedenti negli ultimi 11.500 anni.
TRIESTE«Il riscaldamento globale è un fenomeno reale. Il costo necessario a limitarlo è sostenibile, e se non lo facciamo potrebbe avere conseguenze catastrofiche. È una questione di volontà politica». Così il fisico dell'Ictp di Trieste Filippo Giorgi, membro dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) che nel 2007 vinse un Nobel assieme ad Al Gore, sintetizza la questione del "climate change" tornata di prepotente attualità dopo che il presidente Donald Trump ha annunciato l'uscita degli Usa dall'Accordo di Parigi sul clima. Non fa nomi, Giorgi, ma il pensiero è chiaro: conseguenze catastrofiche, appunto, se non si limiterà il riscaldamento globale.Lo scienziato ne ha parlato nella relazione tenuta davanti ai soci del Rotary Club Trieste presieduto da Maria Cristina Pedicchio. Partendo dall'illustrare le dinamiche che, con l'aumento dei gas serra, hanno innescato il fenomeno del riscaldamento. Questi gas in atmosfera, fra cui anidride carbonica e metano, spiega Giorgi, assorbono la radiazione emessa dalla superficie terrestre e la riemettono, riscaldando tanto la superficie quanto l'atmosfera. «Se non ci fossero i gas serra la temperatura del pianeta sarebbe di circa 30 gradi più bassa». L'inizio dell'Antropocene, ossia l'era in cui l'uomo influisce sul clima terrestre, ha portato però a un aumento dei gas serra che tramite una complessa rete di fenomeni sta innalzando la temperatura globale: «Ora siamo alla fine di un periodo interglaciale, quindi dovremmo stare andando nel corso delle prossime decine di migliaia verso la prossima glaciazione». E invece «la temperatura della terra è aumentata di circa un grado negli ultimi cento anni». È uno sbalzo che normalmente il pianeta affronta su una scala di 10mila anni, non di un secolo: «Una velocità che non ha precedenti nell'Olocene, ovvero negli ultimi 11.500 anni». E possiamo dire con un grado di certezza molto elevato, «circa il 95%», che questa situazione è dovuta all'intervento dell'uomo, e in buona parte all'uso dei combustibili fossili. Il riscaldamento globale porta, fra molti altri effetti, a un innalzamento del livello del mare, a eventi catastrofici sempre più frequenti e a uno scioglimento di ghiacci continentali e marini. Ora, spiega Giorgi, si aprono due scenari: rispettare quanto prospettato dagli accordi di Parigi, ovvero fermare a 2 gradi il riscaldamento rispetto ai valori pre-industriali (cioè circa un grado rispetto a quelli attuali), accedendo a uno scenario difficile ma gestibile. «Oppure adottare una linea "business as usual", ovvero andare avanti come se nulla stesse accadendo. Se continuiamo così fra qualche centinaio di anni il mare sarà 10-12 metri più alto, le circolazioni oceaniche molto diverse, e gli eventi meteorologici più estremi. L'ambiente della terra sarà completamente diverso da quello che abbiamo oggi, con una temperatura di 4 o 5 gradi più alta». Si tratta sostanzialmente di un clima simile a quello dei tempi dei dinosauri: «Tutto il carbonio di allora, che era stato preso dalla biosfera diventando poi petrolio e carbone, noi lo stiamo rimettendo in atmosfera» attraverso l'uso di combustibili fossili. Adottare una politica di forte contenimento delle emissioni avrebbe un costo iniziale che andrebbe a diminuire nel tempo, mentre il non farlo porterebbe costi sempre più vertiginosi per contenere le conseguenze del riscaldamento. «In ogni caso, il Pil impiegato di qui al 2050 per contenere le emissioni verrebbe recuperato in un anno e mezzo, due. Mi pare un prezzo sostenibile»
Gabriele Sala
LA SCHEDA - Da Sulmona al Premio Nobel
«Il PIL impiegato da qui al 2050 per contenere le emissioni verrebbe recuperato nel giro di qualche decina di mesi»
Nato a Sulmona nel 1959, Filippo Giorgi dalla fine degli anni Novanta opera all'Ictp, Centro internazionale di fisica teorica, di Trieste, dove è direttore della sezione di Fisica della Terra. Si è laureato in fisica nel 1982 all'Università dell'Aquila per poi ottenere il PhD nell'86 alla School of Geophysical Sciences del Georgia Institute of Technology di Atlanta negli Stati Uniti. Dopo avere lavorato come ricercatore al National Center for Atmospheric Research di Boulder, in Colorado, si è spostato a Trieste. Dal 2002 al 2008 ha fatto parte, unico scienziato italiano, dell'organo esecutivo (Bureau) del Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), organizzazione vincitrice del Premio Nobel per la pace 2007 insieme ad Al Gore. Ha contribuito alla stesura di tutti e cinque i rapporti dell'Ipcc sui cambiamenti climatici e i loro impatti.
Congelata a Muggia l'ordinanza antibici - Le polemiche
frenano il divieto di pedalare in centro storico. «Dobbiamo discuterne con le
parti in causa»
MUGGIA«In accordo con il sindaco abbiamo deciso di sospendere
momentaneamente la pubblicazione dell'ordinanza sulle biciclette». Non è ancora
un passo indietro, lascia intendere l'assessore Stefano Decolle, piuttosto un
momento di riflessione, che ha indotto la giunta Marzi a congelare la tanto
discussa ordinanza sul traffico dei velocipedi in centro storico a Muggia. A
destare tanto clamore tra i ciclisti ma anche a livello politico - vedi lo
"strappo" effettuato dal consigliere comunale Pd Marco Finocchiaro - è stata la
decisione di far condurre a mano le biciclette nella zona del centro storico,
ossia nell'area racchiusa nelle vie Roma, Naccari, Manzoni, Sauro e in salita
alle Mura. L'unica deroga concessa quella agli under 10, esclusi dal divieto di
pedalare in centro. L'ordinanza - votata e approvata dalla giunta, ma non ancora
entrata in vigore non essendo pronta la cartellonistica adeguata - è stata
fortemente contestata.«Invece di punire chi non rispetta queste regole togliendo
a tutti la possibilità di attraversare il centro storico in bici, si corre il
rischio di disincentivare l'uso di questo mezzo sostenibile che migliora il
traffico, l'ambiente e la salute», aveva spiegato in una nota la sezione Fiab
Ulisse Muggia, associazione di cicloturisti e ciclisti urbani. Il sodalizio
aveva espresso forte preoccupazione soprattutto per dei possibili problemi di
sicurezza legati a questo provvedimento, nello specifico pensando agli studenti
della scuola media «che da Zindis vanno o potrebbero andare a scuola in
bicicletta», oppure «ai numerosissimi bagnanti adolescenti che sempre in maggior
numero usano la bicicletta. Con la chiusura del centro saranno obbligati ad
utilizzare la stretta e lunga galleria per attraversare la città arrivando dal
lungomare. Da questo punto di vista il pericolo l'ordinanza non lo previene ma
lo crea». Sul piatto anche il discorso di un possibile effetto boomerang per
quanto riguarda il turismo. Fiab Ulisse ha ricordato che lo scorso anno a Muggia
sono passati undicimila cicloturisti, molti dei quali arrivati con il Delfino
Verde: «È la bellezza del centro storico - ha specificato l'associazione - a
trainare questa invasione pacifica e redditizia». A contestare fortemente
l'ordinanza anche il consigliere Finocchiaro, portabandiera nella precedente
amministrazione Nesladek della mobilità sostenibile, il quale vede in questa
disposizione addirittura «una dichiarazione di guerra» ai ciclisti.
«Probabilmente valuteremo di togliere le restrizioni sulle biciclette», ha
spiegato ieri il sindaco Laura Marzi. Decolle, padrino del documento, conferma:
«Per ora abbiamo congelato il documento in attesa di avere un confronto con le
parti in causa». Convincere dunque i ciclisti a percorrere duecento metri a
piedi, o giù di lì, accompagnando la propria bicicletta prima di risalire in
sella e continuare a pedalare. Questa la nuova ardua sfida degli amministratori
muggesani.
Riccardo Tosques
"COSTITUZIONE E PACE" - L'associazionismo in pressing
per la rinascita della Val Rosandra
In occasione della "Festa della Costituzione per una Repubblica di Pace",
giunta a Trieste alla settima edizione e realizzata quest'anno da Comitato Pace
Dolci, Cgil, Comitato Difesa Costituzione, Legambiente, il Ponte e diverse altre
associazioni, oggi al Bioest alle 16, nel parco ex Opp, avrà luogo un incontro
pubblico centrato sul ripristino ambientale del Sito protetto di rilevanza
europea della Val Rosandra. Il primo invitato all'iniziativa è il Comune di San
Dorligo, che governa la Riserva naturale e dal quale gli organizzatori si
attendono «una decisione positiva per l'avvio dell'agognato Piano di recupero
della "foresta a galleria" nel Sito protetto di rilevanza europea, che dà lustro
alla preziosa Val Rosandra». L'incontro sarà aperto dalla proiezione di video e
foto prima e dopo il contestato intervento eseguito dalla Protezione civile
regionale nel 2012.
Ambiente - Pronto il report della Regione sulla qualità dell'aria
Domani alle 12.30 nella sede della Regione in piazza Unità, l'assessore all'Ambiente Sara Vito presenterà la Relazione sulla qualità dell'aria in Fvg nel 2016. Il documento contiene una sintesi commentata delle rilevazioni effettuate dalla rete di stazioni di monitoraggio gestita dall'Arpa. Oltre ai dati relativi al 2016 per i principali inquinanti (PM10,PM2.5, biossido di azoto, ozono, monossido di carbonio, biossido di zolfo, benzene, benzo(a)pirene e metalli), il documento contiene anche i confronti con le rilevazioni degli anni precedenti.
IL PICCOLO - SABATO, 3 giugno 2017
Al parco di San Giovanni apre Bioest - il programma
Scatta oggi alle 10, al parco di San Giovanni, Bioest, annuale fiera del
biologico e dei prodotti naturali promossa da associazione Bioest-Gruppo
ecologista naturista di Trieste in collaborazione con il Comune e aperta dalle 9
alle 21 con ingresso libero. Quest'anno l'evento sarà dedicato alla "Terra" e
vedrà la presenza di oltre 150 espositori da Italia, Austria e Balcani. Saranno
due intense giornate per conoscere, provare, condividere grazie alla presenza di
oltre 50 associazioni. Per tutta la giornata, dalle 10.30 alle 18, sia oggi che
domani, nello Spazio Energia Vitale (a fianco della palazzina M) si potranno
provare gratuitamente Hatha Yoga, Taichi Chuan Chen, yoga, campane, Pilates.
Oggi e domani alle 10 visita in apiario, alle 11 Birdwatching e alle 15
passeggiata alla scoperta degli oleoliti. Solo oggi alle 10, incontro di
orticoltura. Alle 14.30 danza del ventre, alle 15 racconti ad alta voce, alle
15.30 conferenza su "Rivoluzione umana a chilometri zero" con Sabrina Gregori e
Ornella Serafini. Alle 17 Arci presenterà i suoi progetti di servizio civile e
alle 18 si illustreranno le opportunità di mobilità nel settore ambientale del
Servizio Volontario Europeo. Alle 17, racconti sull'erba per bambini e concerto
del coro Le putele dell'Aris. Alle 18 esibizione di danze greche e incontro
sull'ipnosi regressiva. Alle 19 percussioni africane con Mamaya e alle 19.30
concerto degli Agrakal. Al padiglione "I" dalle 11 in poi si parlerà infine di
nascita e parto naturale.
IL PICCOLO - VENERDI', 2 giugno 2017
Parte la sfida "Urban Center" sulle Rive - Dal Bic al
Comune 1,2 milioni dell'ex Fondo Trieste necessari al restyling del palazzo che
ospiterà l'europrogetto delle startup
Via libera alla ristrutturazione dell'edificio all'ingresso del Porto
vecchio dove si insedierà il nuovo incubatore d'imprese operanti nel settore del
bio o dell'high tech. Un passo in avanti decisivo per l'utilizzo dei 4,5 milioni
di fondi europei che, tramite la Regione, sono finite nelle disponibilità del
Comune.Il progetto europeo "Por Fesr", da cui sono stati ricavati i fondi, già
prevedeva di insediare aziende e istituti di ricerca nel palazzo semiabbandonato
di corso Cavour 2/2. Ma non contemplava che le risorse potessero venire
utilizzate per coprire le spese edili. Così il Comune, per quanto avesse già
individuato la sede del nuovo "Urban Center"nell'immobile afferente al Porto
vecchio, non era ancora riuscito a risolvere il nodo sulla sua ristrutturazione.
E ieri finalmente il coniglio è stato tratto dal cilindro. La novità è stata
annunciata dall'assessore ai Progetti europei e allo sviluppo economico,
Maurizio Bucci: «Il Bic di Trieste ha ceduto all'amministrazione comunale un
finanziamento di 1,3 milioni di euro che aveva ottenuto dal Fondo Trieste e che
giaceva inutilizzato. Grazie alla Prefettura, siamo riusciti a trovare un
accordo con l'Autorità Portuale che ci permetterà di usare quel finanziamento
per recuperare l'edificio senza intaccare il bilancio comunale di difficile
quadratura». Che il Bic potesse essere disponibile a fare questo passo era già
nell'aria, ma ora il grande interrogativo ha finalmente trovato una risposta.
Bisognerà comunque attendere fino alla fine del 2018 per vedere investiti i
primi 200mila euro. «La scadenza dell'utilizzo della prima tranche, inizialmente
prevista entro il 2017, è slittata in corsa», spiega Bucci, assicurando comunque
che «entro il 2023 l'intero progetto dovrà essere finito».Il prossimo passaggio
avverrà lunedì alle 14 al Mib, dove il Comune ha convocato 110 aziende che
potrebbero essere interessate a insediarsi nell'Urban Center. «L'invito è
rivolto alle imprese operanti nei settori della salute, del benessere, del
bio-medicale, dell'innovazione e dell'alta tecnologia. La Regione ha infatti
individuato questi come principali che impegnano le imprese che si occupano di
ricerca a Trieste», aggiunge il direttore dell'Area Sviluppo e innovazione del
Comune, Lorenzo Bandelli. A queste ditte si possono affiancare start up e neo-
aziende operanti negli stessi settori («il coinvolgimento di queste ultime è una
novità contemplata dalle modifiche in corsa») verrà chiesto di partecipare a un
bando con un progetto valido per insediarsi. La creazione di nuovi posti di
lavoro sarà il requisito fondamentale per vincere la selezione. In palio tre dei
4,5 milioni, che saranno assegnate direttamente a loro. Il Comune deve ancora
capire se, come pare, deciderà di premiare un minor numero di aziende che
assicurino un maggior numero di posti di lavoro. Per l'allestimento degli
strumenti informatici verranno invece usati 700mila euro dei 4,5 milioni, e i
restanti 800mila andranno al privato che si incaricherà della gestione del
Centro. Per individuare quest'ultimo soggetto «dotato di professionalità di
altissimo livello», verrà indetta quanto prima una gara d'appalto. «Non si
escludono altre forme di selezione previste dal Codice degli appalti e una
partnership pubblico-privata» sottolinea il responsabile unico del procedimento,
Enrico Conte.Ai 4,5 milioni di fondi si aggiungerà infine 1,2 milione di euro di
derivazione europea, ottenuto dalla Regione mediante il progetto "Par".
Elena Placitelli
L'ittico in Porto vecchio sempre fermo al palo - Sopralluogo della terza commissione
«Siamo arrivati alla soluzione del molo Zero che sarà un regalo che faremo ai pescatori e ai pescivendoli. Spenderemo pochissimi euro e tra un anno in questo periodo potremo già essere dall'altra parte. Sarà il primo insediamento produttivo per la riqualificazione del Porto vecchio: mettete lo spumante in frigo». Così parlava il sindaco Roberto Dipiazza il 15 luglio 2016 a proposito del mercato ittico che era stato appena chiuso dai Nas. Ieri, 10 mesi e mezzo dopo, la Terza commissione consiliare, presieduta da Francesco di Paola Panteca, si è data appuntamento davanti alla Centrale idrodinamica, proprio difronte al molo Zero, per fare il "punto nave" sul progetto. «A che punto siamo?» domanda Everest Bertoli (Forza Italia) che ha chiesto il sopralluogo assieme ad altri consiglieri. Al punto di partenza. Il mercato ittico continua a vivere dal 1999 in uno stato di precarietà all'ex Gaslini (Scalo legnami) in virtù di una proroga concessa dall'Autorità portuale. Lo spostamento in 400 giorni, sbandierato dal sindaco, va derubricato. Non c'è nessun cantiere aperto al molo Zero e nessun trasloco imminente. Siamo all'anno zero. «Noi eravamo pronti a settembre con un primo progetto. Siamo stati bloccati dal segretario generale visto che sull'area non c'è ancora chiarezza su come saranno utilizzati i 50 milioni stanziati dal governo per fare un polo museale e scientifico», spiega l'assessore Lorenzo Giorgi.Ad affondare il mercato ittico al molo Zero è stato per primo l'incrociatore Vittorio Veneto che dovrebbe finire in Porto vecchio la sua carriera come cimelio del nuovo museo del mare. Un progetto sostenuto soprattutto dalla presidente della Regione Debora Serracchiani. «Se arriva l'incrociatore non può attraccare neanche una barchetta» spiega Giorgi. Si attende quindi una chiarezza da Roma anche sul progetto della Fincantieri che vorrebbe sistemare tra i moli Zero e Primo un porto per megayacht. Per il mercato ittico l'amministrazione aveva messo inizialmente gli occhi sul Magazzino 28 che vanta una superficie coperta di 2.994 metri quadrati. «Un po' troppo grande», spiega l'assessore. E così ora l'attenzione si è spostata sul vicino capannone, contrassegnato dal numero 30, che non è sotto tutela e quindi teoricamente può anche venir abbattuto e ricostruito ex novo, magari a due piani, per comprendere anche il Fish market, con qualche ristorante, che piace al sindaco. Costo? Si parla di quattro milioni di euro che potrebbero essere dimezzati in regime di project financing. Il Comune, infatti, non ci pensa proprio a gestire in proprio il mercato ittico (come pure, in futuro, quello ortofrutticolo). Ma è tutto da definire. L'unica nota positiva è la compatibilità del mercato ittico con l'Allegato VIII del Trattato di pace (a differenza del polo museale) assicurata dal leghista Paolo Polidori. Trieste potrebbe invadere i mercati con il pesce franco. «In virtù del Pescato VIII» sottolinea il collega Antonio Lippolis.
(fa.do.)
Bici nell'antico scalo, alleanza Fi-Fiab - La mozione
sulla ciclabile interna per evitare viale Miramare trova concordi i ciclisti
Nuova ciclabile in arrivo in Porto vecchio? Possibile. Ieri mattina, alla
riunione della Quarta Commissione del Comune di Trieste, se ne è parlato. In
discussione c'era la mozione per la "Realizzazione di un tratto ciclabile in
Porto Vecchio" presentata dai consiglieri comunali di Forza Italia Michele
Babuder, Piero Camber e Alberto Polacco. La proposta dei consigliere della
maggioranza, sostenuta anche all'associazione Fiab Ulisse, prevede di creare una
ciclabile nell'ingresso nord del Porto Vecchio da via del Boveto fino
all'attuale ingresso di viale Miramare. Nella mozione si ipotizza di realizzare
questo percorso ciclabile riqualificando il già presente sedime ghiaioso
parallelo ai binari dismessi della rete ferroviaria di Porto vecchio. Babuder,
primo firmatario della mozione, sottolinea che «l'attuale pista ciclabile di
viale Miramare è vetusta e disastrata» e che «occorre creare un nuovo tragitto
sicuro da e verso la città». Niente di meglio che, insomma, utilizzare l'area di
Porto vecchio. Fiab Trieste Ulisse condivide e sostiene questa proposta che se
realizzata renderebbe più sicuri gli spostamenti in bicicletta da Trieste a
Barcola, un percorso molto utilizzato in particolare d'estate da adulti,
famiglie e ragazzi. L'associazione di ciclisti urbani si augura che ci sia un
consenso ampio in Consiglio comunale e una veloce presa in carico da parte della
giunta comunale per realizzare questa auspicata nuova infrastruttura ciclistica.
Il tratto in questione è lungo quasi un chilometro è sarebbe l'ideale inizio di
un percorso ciclabile sicuro e di qualità che vada a collegare Barcola con le
Rive passando attraverso il Porto Vecchio. Questa realizzazione sarebbe inoltre
in linea con gli impegni presi dal sindaco Roberto Dipiazza che sottoscrivendo
il documento "Trieste, il futuro va in bici" si è impegnato a «prevedere nella
riqualificazione del Porto Vecchio due piste ciclabili monodirezionali
(continue, riconoscibili, veloci e sicure) che attraversino tutta l'area dal
piazza Duca degli Abruzzi a Barcola». Nel programma del sindaco, inoltre, esiste
l'obiettivo di arrivare nel medio termine di arrivare a una bici ogni dieci
automobili a Trieste.
Muggia off limits, ciclisti in rivolta - La Fiab Ulisse
chiede un incontro al sindaco Marzi. «Un freno anche al turismo»
L'ordinanza di chiusura del centro storico di Muggia, annunciata dal Comune,
non va giù alla sezione locale di Fiab Ulisse, l'associazione di cicloturisti e
ciclisti urbani, che esprime in una nota "forte contrarietà al provvedimento".
"Sarebbe un freno sia alla mobilità urbana che al cicloturismo, entrambi in
forte crescita negli ultimi anni a Muggia", spiegano dalla Fiab. "Sorprende poi
che si proponga questo provvedimento restrittivo nonostante non sia mai
registrato un incidente: per contrastare eventuali eccessi di singoli basterebbe
applicare il codice della strada che prevede che i ciclisti debbano procedere a
una velocità tale da evitare situazioni di pericolo per i pedoni. Invece di
punire chi non rispetta queste regole, togliendo a tutti la possibilità di
attraversare il centro storico in bici si corre il rischio di disincentivare
l'uso di questo mezzo sostenibile". Inoltre, la Fiab è "preoccupata per i
problemi di sicurezza: pensiamo ai ragazzi delle medie che da Zindis vanno o
potrebbero andare a scuola in bici, o ai bagnanti. Con la chiusura del centro
saranno obbligati a utilizzare la galleria per attraversare la città arrivando
dal lungomare". Ma non basta: perché c'è anche il risvolto turistico "Muggia nel
2016 ha visto passare più di 11mila cicloturisti. In rete le notizie viaggiano
velocemente: è un gioco saltare la sosta a Muggia per dirigersi a Capodistria e
Isola". Quindi, Fiab Muggia Ulisse chiede su questo tema "un confronto con il
sindaco Marzi per trovare delle soluzioni equilibrate che da una parte stimolino
una giusta convivenza pedoni-ciclisti e dall'altra non siano da freno alla
mobilità ciclistica e al cicloturismo".
EVENTI: Domani e domenica - Dai mercatini agli spettacoli - La natura è di casa a Bioest - Per due giorni al parco di San Giovanni la fiera delle associazioni ambientaliste
Focus sulla maternità e sull’importanza dell’alimentazione a chilometro zero
Dedicata alla Terra e ai temi che parlano di maternità e ruolo delle famiglie. Si basa su queste tracce la 24° edizione di Bioest, la fiera delle associazioni ambientaliste in programma domani e domenica al parco di San Giovanni, manifestazione a cura dell'associazione Bioest Gruppo ecologista naturista di Trieste in collaborazione con il Comune di Trieste. Mercato, conferenze concerti, laboratori e vetrine di progetti in chiave di volontariato o di turismo sostenibile. Bioest anche quest'anno resta fedele ai suoi temi classici, cucinati in abbondante salsa new age nell'arco di una due giorni a ingresso libero (sabato dalle 9 alle 21, domenica dalle 9 alle 20) e che all'interno dell'ex Opp trova teatro in cinque aree distinte: Prato, Chiesa, Villas, Glicine e Rosa. L'aspetto più significativo di quest'anno, almeno sulla carta, risiede nel focus sul concetto di maternità, sulla (ri)scoperta dei valori che accompagnano la gestazione e il parto, un tema che proverà a coinvolgere bimbi, famiglie e soprattutto le stesse mamme, aspiranti o consolidate nel ruolo, grazie a una serie di appuntamenti programmati al Padiglione I del parco di San Giovanni.Tra le tappe in cartellone che riguardano il selfie ideale con la cicogna, il primo giorno della manifestazione propone "Il parto naturale" (alle 11), la "Ginnastica intima" (alle 13.30), "Yoga in gravidanza" (alle 14.30), il "Massaggio tra genitori e figli" (15.30), "La respirazione consapevole" (16.30), "Proiezione: il ragionevole dubbio" (18.30) e "Il potere sessuale della nascita" (20.30).L'altro spunto principe della 24esima edizione di Bioest si lega ai criteri dell'alimentazione a chilometro zero, altro spunto vitale ma qui trattato nelle accezioni del vegetarianesimo e del culto vegan, le scelte che da tempo caratterizzano le fonti di ristorazione presenti all'interno nella manifestazione. L'intero calendario appare nutrito da molteplici appuntamenti sparsi sui vari fronti della concezione etico-ambientalista, spaziando quindi nella cosmesi, nel risparmio energetico, nel rapporto con la natura, nei possibili sviluppi del turismo sostenibile e del volontariato, anche in forma di servizio civile targato Arci.La musica e la danza provano a ritagliarsi uno spazio portando alla ribalta la danza del ventre, il coro Le putele dell'Aris, le danze greche, le percussioni e le danze tradizionali africane, la Mediterranean Music, il folk e un concerto a cura di Adriano Doronzo. E nella parata non potevano poi mancare vari stili di yoga, Tai Chi, arti marziali, Pilates e campane tibetane. Ulteriori informazioni sulla manifestazione e il programma dettagliato viaggiano sul sito www.bioest.org o si raccolgono scrivendo a info@bioest.org o telefonando ai numeri 3287908116 e 3205738445.
Francesco Cardella
COMUNICATO STAMPA - GIOVEDI', 1 giugno 2017
MOVIMENTO CINQUE STELLE TRIESTE: Siderurgica Triestina è in ritardo sui lavori previsti dall'AIA, uno per tutti la copertura del parco minerali.
Vanno prese misure immediate per mettere la proprietà
di fronte alle proprie responsabilità
I recenti problemi sorti sugli impianti della Ferriera, con particolare
riferimento alle esplosioni verificatesi il 18 aprile, sollevano interrogativi
importanti sull'opportunità di mantenere attiva l'area a caldo. Il sindaco
Dipiazza ha opportunamente emesso un'ordinanza sindacale nei giorni
immediatamente successivi l'incidente, alla quale però Siderurgica Triestina non
ha dato seguito, ponendosi in posizione di inottemperanza a un atto ufficiale
del Comune di Trieste.
Dipiazza e l'assessore Polli si sono ritrovati, insieme a Siderurgica Triestina,
Arpa Fvg, Capitaneria di Porto, Invitalia e struttura commissariale (che fa capo
alla presidente Debora Serracchiani) qualche giorno fa negli uffici del
Ministero dell'Ambiente.
Lunedì sera in Consiglio comunale l'assessore Polli ha riportato che
all'incontro il Ministero ha sollecitato la conclusione degli interventi di
messa in sicurezza previsti dall'Accordo di Programma del 21/11/2014, pena il
rinvio della conferenza dei servizi che dovrebbe approvare la variante al
progetto definitivo del laminatoio, richiesta da Siderurgica Triestina a marzo
di quest'anno. Apparentemente, senza l'approvazione della variante il laminatoio
a freddo non potrà essere completato. Se in un certo senso il laminatoio a
freddo dovrebbe sostituire l'area a caldo per mantenere la redditività
dell'impianto, questa decisione sembra presa apposta per mantenere l'area a
caldo in servizio.
L'assessore ha inoltre dichiarato che il Comune di Trieste ha richiesto l'elenco
delle prescrizioni assolte da Siderurgica Triestina che sono 91 su 115 e la
scadenza prevista sarebbe quella di trenta mesi ovvero il 1/5/2018.
"L'assessore dimentica che Siderurgica Triestina è già in ritardo sui lavori
previsti dall'AIA, uno per tutti la copertura del parco minerali, prevista
"solamente" per fine 2015 e a tutt'oggi ancora un miraggio - spiega la portavoce
M5S, Cristina Bertoni -. Come dire, continuano a menare il can per l'AIA...
intanto i giorni, le settimane e i mesi passano, e la Ferriera continua a
emettere diossine e polveri".
"Mentre alcuni soggetti come Confindustria operano difese d'ufficio di fronte a
situazioni non sostenibili - continua la portavoce pentastellata - come
esplosioni e continue fumate di colori sgargianti, che certo piaceranno agli
esteti dell'inquinamento ma che preoccupano non poco gli abitanti della città,
il M5S Trieste, da sempre sostenitore della chiusura dell'area a caldo, ritiene
che la situazione sia insostenibile e che occorra prendere misure immediate per
mettere la proprietà di Siderurgica Triestina di fronte alle proprie
responsabilità".
IL PICCOLO - GIOVEDI', 1 giugno 2017
«Il progetto Spurg funzionava bene. E la giunta lo
taglia»
«Tra le tante cose buone tagliate dalla giunta Dipiazza ora c'è anche il
progetto Spurg (Spazi urbani in gioco): un successo che durava da diciassette
anni e che l'assessore Angela Brandi butta al macero. Ci chiediamo se di mezzo
non ci sia la questione dei giardini inquinati. A Trieste ci sono spazi verdi
aperti: perché non usare quelli?». Lo affermano i consiglieri del Partito
democratico di Trieste Giovanni Barbo e Antonella Grim, commentando la decisione
dell'amministrazione comunale di cancellare il progetto Spazi urbani in gioco.
Secondo i due esponenti democratici «parliamo di una delle iniziative estive di
maggior successo a Trieste, che ha saputo creare aggregazione tra bambini e
ragazzi negli spazi verdi della nostra città». Non si capisce dunque la scelta
della nuova amministrazione. «È un progetto che è stato apprezzato e portato
avanti da amministrazioni di colore diverso proprio in virtù della sua bontà e
funzionalità. Lo scorso anno- aggiungono Grim e Barbo - come giunta Cosolini
avevamo deciso di estendere il progetto: non più solo un'esperienza estiva, ma
prolungata nel corso dell'intero anno, coinvolgendo i comitati dei genitori».
Dall'estensione alla scomparsa. «Ora l'assessore Brandi lo cancella. Tra le
curiose motivazioni ci sarebbe anche il fatto che si tratta di un'idea
"vecchia". Ci chiediamo da quando - osservano i consiglieri dem - un progetto si
elimina in quanto longevo. Al contrario, un'esperienza di successo andrebbe
valorizzata e ulteriormente innovata. Spurg andrebbe portato avanti, continuando
a coinvolgere ragazzi, famiglie e le tante associazioni che in questi anni si
sono distinte per l'ottimo lavoro svolto». Eppure neppure un anno fa l'assessore
Brandi, appena entrata in carica, si era espressa in tutt'altro modo: «Si tratta
di un progetto storico, nato 15 anni fa e che è stato inserito tra le buone
pratiche dell'Osservatorio nazionale della famiglia» dichiarò nel 1uglio 2016.
Il 18 luglio la firma del ministro FRANCESCHINI - Il
rilancio del Museo ferroviario passa dal valico di Monrupino
Da Campo Marzio a Miramare. E in Slovenia e Austria attraverso il valico
ferroviario di Monrupino. Save the date. Il prossimo 18 luglio verrà
sottoscritto, alla presenza del ministro dei Beni e delle Attività culturali
Dario Franceschini, il protocollo per l'avvio dei lavori finalizzati al
ripristino della stazione museo di Campo Marzio di Trieste che sarà collegata al
Castello di Miramare, ripercorrendo la vecchia ferrovia di Rozzol, che verrà
completamente riattivata. È questo uno dei punti affrontati ieri a Trieste
nell'incontro che la presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Debora
Serracchiani, ha avuto con il presidente della Fondazione Fs, Mauro Moretti,
davanti al sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza. Presente all'incontro il
direttore della Fondazione Fs Luigi Francesco Cantamessa che il giorno prima
aveva anticipato l'accordo ai volontari del Museo ferroviario di Campo Marzio.
Si tratta di un'opera dal valore complessivo di 18 milioni di euro, la cui prima
fase dei lavori di recupero e restauro comporta una spesa di quattro
milioni.«L'obiettivo - spiega Moretti - sulla scorta di quanto la Fondazione ha
fatto in altre parti d'Italia è creare un percorso capace di attrarre un
importante flusso turistico di qualità proveniente da tutta Europa valorizzando
dei siti che prima erano inutilizzati». E il «Friuli Venezia Giulia - sottolinea
Cantamessa- è la seconda regione in Italia per investimenti nel turismo
sostenibile su rotaia». Tra le novità ci sarà la riattivazione dell'antico
valico di Monrupino, da dove si entrava ai tempi della Jugoslavia quando non era
ancora attivo il transito di Villa Opicina. «Questo consentirà - spiega
Serracchiani - di far arrivare treni turistici dalla Slovenia e dall'Austria».
Il fine di questo processo articolato e concreto è quello di offrire un prodotto
turistico importante, che può diventare un concreto volano economico per Trieste
e la regione. Soddisfazione infine per la road map tracciata, che vede nel
18 luglio la prossima tappa, è stata espressa da Dipiazza, il quale ha previsto
nell'area della stazione di Campo Marzio un'area di forte attrattività turistica
in vista della realizzazione del Parco del Mare vicino alla Lanterna e dello
spostamento del mercato ortofrutticolo con la realizzazione di future strutture
alberghiere dotate di Spa.Il piano di recupero predisposto dalla Fondazione Fs
prevede, in una prima fase, il restauro dell'area aperta al pubblico - lungo via
Giulio Cesare - dove sarà esposta la collezione di cimeli ferroviari fra cui
alcuni pezzi unici sia italiani che dell'ex impero austroungarico. Il restauro
sarà finanziato grazie al contributo economico del ministero dei Beni e delle
Attività culturali e del Turismo (due milioni), della Regione Fvg (750mila euro)
e del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, proprietario dell'immobile (un
milione). Il Museo ferroviario di Campo Marzio, che sarà gestito dopo il
restauro dalla Fondazione Fs, ha sede nella ex stazione terminale dell'antica
linea austroungarica Trieste-Vienna. La collezione dei treni storici contenuta
nel Museo, ancora raccordato alla rete ferroviaria in esercizio, è unica nel suo
genere e il sito può essere stazione di origine per viaggi con treni d'epoca
all'interno della Regione o verso l'Austria e la Slovenia, tramite appunto
l'antico valico di Monrupino.
(fa.do.)
Trump verso la rottura dell'intesa - Il rischio: 3
miliardi di tonnellate di Co2 in più ogni anno
Secondo gli esperti di varie università e think tank, l'uscita degli Stati
Uniti dall'accordo di Parigi aggiungerebbe 3 miliardi di tonnellate di anidride
carbonica (Co2) all'anno alle emissioni globali, aumentando la temperatura della
Terra da 0, 1 a 0, 3 gradi per la fine del secolo. L'Accordo di Parigi impegna i
paesi firmatari a contenere il riscaldamento globale entro i 2 gradi dai livelli
pre-industriali, se possibile entro 1, 5 gradi. Già oggi le temperature medie
sono 1 grado sopra i livelli pre-industriali, un cambiamento avvenuto in massima
parte negli ultimi decenni. Con l'Accordo i 195 stati firmatari hanno preso
impegni di riduzione delle emissioni. Ma per gli esperti, questi impegni sono
insufficienti a garantire l'obiettivo dei 2 gradi e dovrebbero essere
aggiornati. Lasciare l'intesa non sarebbe facile per gli Usa, causa i vincoli
internazionali, e comporterebbe defatiganti battaglie diplomatiche, in stile
Brexit. Le opzioni di uscita sono almeno tre. I paesi firmatari dell'Accordo non
possono uscire prima di tre anni, e la procedura di uscita dura un altro anno.
Trump non potrebbe sbarazzarsi dei vincoli di Parigi prima del 2020, a meno di
violare il diritto internazionale. Una scorciatoia sarebbe quella di abbandonare
del tutto la Convenzione Onu sui cambiamenti climatici, l'Unfcc, che Trump ha
aspramente criticato in passato. La terza opzione sarebbe che Washington
pretendesse di rinegoziare i suoi obiettivi di taglio delle emissioni, avviando
una guerra diplomatica di logoramento.
Legambiente - In Italia alluvioni e ondate di calore
per 126 Comuni
ROMA - I cambiamenti climatici minacciano il Pianeta. Gli impatti sono
evidenti soprattutto sulle città, dove vive il maggior numero di persone. In
Italia per esempio negli ultimi sette anni, dal 2010 ad oggi, sono stati 126 i
Comuni italiani in cui si sono verificati "effetti" per via dei 242 fenomeni
meteorologici estremi, provocando danni all'ambiente e sulla salute dei
cittadini. Il bilancio è stato messo a punto da Legambiente in un report che
offre una mappa degli impatti dei cambiamenti climatici (alluvioni, piogge
estreme, violente nevicate, lunghi periodi di siccità e ondate di calore).
Legambiente - che ha lanciato anche l'osservatorio on-line'cittaclima. it'- fa
presente che sono proprio le città a pagare di più con 98 casi di danni alle
infrastrutture, 56 giorni di stop di autobus e metro (tra cui 19 a Roma, 15 a
Milano, 10 a Genova), 55 giorni di blackout elettrici (il più lungo a gennaio
2017, in una settimana oltre 150 mila case senza luce e riscaldamento per le
forti nevicate in Abruzzo). Ma, soprattutto con oltre 145 vittime e oltre 40
mila persone evacuate. Dal report emerge che ci sono stati 8 casi di danni al
patrimonio storico, 44 casi di eventi tra frane causate da piogge intense e
trombe d'aria, 40 eventi causati da esondazioni fluviali. Tra le grandi città,
Roma negli ultimi setti anni ha registrato 17 episodi di allagamento intenso.
Tra le regioni più colpite da alluvioni e trombe d'aria, la Sicilia con più di
25 eventi. A questo bisogna sommare la fragilità del suolo italiano, dove si
registra «un elevato rischio idrogeologico» in 7. 145 Comuni (l'88%) e «oltre 7
milioni di italiani» esposti. Dal 2013 al 2016 sono state colpite 18 Regioni da
102 alluvioni o frane, sono stati aperti 56 stati di emergenza; dal censimento
dei danni si stima che il fabbisogno per fronteggiare l'emergenza emerge è di 7,
6 miliardi di euro. Da considerare anche le ondate di calore: nel 2015 hanno
causato 2. 754 morti tra gli over 65 in 21 città italiane. Per esempio, a Roma è
stato stimato un incremento della mortalità pari a più 34% nel 2015. Per il
vicepresidente di Legambiente Edoardo Zanchini «le città non possono essere più
lasciate sole. Cambia il clima e devono cambiare le politiche e bisogna
approvare il Piano nazionale di adattamento».
In FVG - Arriva l’ok alla caccia alle nutrie Il consiglio regionale approva le norme mirate a limitare i roditori
TRIESTE - Nutrie, soccorso alpino, vaccini, sistema idrico, uso del velo islamico e welfare. È un consiglio regionale tuttologo, quello riunitosi ieri per l'approvazione di tre leggi e la discussione di altrettante mozioni. - Nutrie La giornata comincia con l'ok trasversale (contrario solo il M5S) alle norme mirate all'eradicazione dei roditori che si stanno diffondendo in modo incontrollato anche in Friuli Venezia Giulia, provocando danni alle coltivazioni e agli argini dei corsi d'acqua. La legge prevede un piano triennale per la limitazione del fenomeno, che includerà forme di controllo delle nascite ma soprattutto un'estensione dei limiti per la caccia di questi animali. Se per Diego Moretti (Pd) «si risponde a una reale emergenza», Mara Piccin (Fi) parla di «testo coraggioso, non ideologicamente antianimalista ma necessario per evitare i danni». Secondo Ilaria Dal Zovo (M5S) «serve invece una gestione attraverso metodi non letali». L'assessore Panontin spiega tuttavia che «le norme pianificatorie già in atto hanno mostrato scarsa efficacia». Soccorso alpino Via libera unanime alla legge che razionalizza il Soccorso alpino regionale, inserendolo nel sistema sanitario dell'emergenza e urgenza, sia per quanto attiene gli indirizzi strategici, sia dal punto di vista operativo e finanziario. La novità di maggiore impatto per l'utenza sta nella scelta di prevedere una compartecipazione della spesa, qualora chi chiede l'aiuto dell'elicottero non abbia bisogno di ricevere soccorso medico. A sostenere parzialmente i costi dell'elisoccorso, anche in caso di infortunio, saranno infine i praticanti degli sport estremi. Grazie alla proposta di Luca Ciriani (Fdi), la legge prevede inoltre la possibilità di noleggio di trasmettitori gps da parte degli escursionisti, che consentano l'individuazione della posizione in assenza di segnale telefonico. Un emendamento della giunta assegna infine 120mila euro all'anno ai Comuni che vogliano attrezzare campi sportivi e altre strutture per le attività di elisoccorso.Vaccini Votata all'unanimità anche la mozione del Pd sulla promozione della cultura vaccinale, che evidenzia la necessità di una sensibilizzazione che porti la popolazione a vaccinarsi per convinzione, al di là degli obblighi di legge. Il testo invita a realizzare campagne informative e a rafforzare il ruolo informativo di medici di famiglia e pediatri. Secondo l'assessore Maria Sandra Telesca, «non sempre è necessaria la coercizione: giusto recuperare una capacità di dialogo con con le famiglie».Il resto della giornata Il consiglio ha inoltre approvato la modifica di alcuni aspetti tecnici per consentire l'avvio definitivo dell'Autorità unica per i servizi idrici e rifiuti (Ausir), rimandando invece la discussione sulla mozione con cui Barbara Zilli (Ln) chiedeva il divieto dell'uso del velo islamico in scuole, ospedali, mezzi pubblici e uffici. Approvata infine solo la parte della mozione di Cristian Sergo (M5S) in cui si domanda che la misura di sostegno al reddito sia tarata così da essere erogata anche ai possessori di prima casa che non percepiscano un reddito e siano dunque senza liquidità.
Diego D'Amelio
Knulp - "ColOURs", docufilm sui profughi
Creare un'occasione per riflettere sull'accoglienza dei richiedenti asilo
sul territorio: è questo l'obiettivo della proiezione, alle 18.30 al Knulp, del
documentario "ColOURs" realizzato da Elisa Cozzarini per Legambiente lo scorso
autunno a Gradisca d'Isonzo. In questa cittadina di circa 6.500 abitanti, come è
noto, da anni è presente un Cara, centro di accoglienza che ospita attualmente
circa 500 persone. Chi sono i richiedenti asilo ospiti del Cara? Come passano le
loro giornate? Il documentario cerca di rispondere a queste domande.
L'appuntamento è organizzato dal circolo Verdeazzurro di Trieste. Sarà presente
l'autrice, che dialogherà con Erika Cei, fotografa. Interverrà Stefano
Mantovani, presidente di Cooperativa Noncello, storica realtà della provincia di
Pordenone che si occupa di inserimento socio-lavorativo e di accoglienza dei
richiedenti asilo. L'ingresso è libero fino a esaurimento posti.
Comitato Danilo Dolci - Letture e riflessioni in piazza Cavana.
Il richiamo forte alla Costituzione, le immagini figurate di Ro Marcenaro degli articoli della Carta, musiche e riflessioni, letture animate. Saranno questo gli ingredienti dell'incontro in programma oggi alle 17.30 in piazza Cavana promosso in occasione della Festa delle repubblica dal Comitato per la pace Danilo Dolci. L'incontro terminerà con un concerto giovanile dei Bencazzadadiscoparty2.
oggi
Repubblica, la Festa con il Comitato Dolci
Il Comitato pace Danilo Dolci organizza oggi la festa della Repubblica. Il
programma: alle 17.30, in Cavana, introduzione da parte di Michele Piga (Cgil);
alle 17.45 presentazione "La Costituzione secondo Ro Marcenaro"; alle 18
performance "Io sono possibile" realizzata da Oltre quella sedia; alle 18.15
letture animate sulla Costituzione con Teatrobàndus; alle 18.45 spettacolo
"Esercizi di Costituzione" con i Teatranti da diporto (allievi del
Nautico-Galvani); alle 19.20 letture animate sulla Costituzione con Il Ponte;
alle 19.20 presentazione di immagini, filmati "Il sacco della Val Rosandra" a
cura di Legambiente; alle 19.50 Conversazione sulle politiche di pace e di
accoglienza a cura del Comitato Danilo Dolci.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 31 maggio 2017
Museo ferroviario, restyling da settembre - Il
direttore della Fondazione Fs scopre le carte. A breve la firma dell'accordo
rifare facciata e interni. Caccia ad altri 15 milioni
La svolta c'è davvero. E ha due date: luglio, innanzitutto, per la firma
di un accordo con cui dare il via ufficiale ai lavori, e settembre per aprire i
cantieri veri e propri. Ieri mattina il brioso direttore di Fondazione Fs, Luigi
Cantamessa, ha scoperto le carte sul futuro del Museo Ferroviario. La
riqualificazione interesserà sia la facciata che gli interni per 4 milioni di
euro.
I soldi ci sono. Ma l'intenzione è andare avanti e trasformare anche la parte dei binari in qualcosa che va a metà tra il vecchio e il nuovo. Il vecchio: ripristinare la struttura di un tempo installando una copertura architettonica simile alla stazione di Milano, così come esisteva ai tempi dell'impero austroungarico. Il futuro: fare in modo che la stessa area sia utilizzabile, a mo' di piazzale, per eventi e mostre. «Qui verrà una cosa spettacolare - ha detto il funzionario durante una riunione con i responsabili del museo - però serve un cambio di mentalità».L'accordo La Fondazione Fs si sta muovendo per portare a Trieste, già a luglio, i vertici delle Ferrovie dello Stato e il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini. L'intenzione è di organizzare un incontro con la presidente della Regione Debora Serracchiani e il sindaco Roberto Dipiazza per firmare l'accordo che darà origine all'avvio dei cantieri. «Stiamo lavorando con la Sovrintendenza, che è un attore principale per il nulla osta», avverte Cantamessa.L'ala museale «Questo museo tornerà com'era una volta, cioè un'antica ferrovia austroungarica», ha anticipato il dirigente della Fondazione Fs. Si parla di «restauro conservativo» dell'esistente, ma con l'aggiunta di «tecnologia a basso impatto» in chiave moderna, ha precisato il manager, per favorire le visite dei turisti e delle scolaresche. L'inizio degli interventi è programmato per settembre o comunque non più tardi di ottobre. Andranno rifatte le facciate che danno su via Giulio Cesare, tetti, muri, serramenti, impianti elettrici, riscaldamento e infissi. È previsto il ripristino delle parti in legno originario mantenendo il mobilio d'epoca. Costo dell'opera? 4 milioni di euro: 2 sono ministeriali, uno lo mette la Fondazione Fs e circa 750 la Regione. Non si escludono anche risorse comunali. In ogni caso, l'intervento parte a settembre e si protrae per circa dieci-dodici mesi.La volta esterna Un tempo la stazione di Campo Marzio era dotata di una grande volta esterna sul lato dei binari, smantellata durante la guerra. L'intenzione è ripristinarla costruendo una struttura in ferro e vetro simile a quella di Milano centrale, ricalcando i disegni dell'epoca. «Andremo a ristabilire qualcosa di meraviglioso che servirà a proteggere i treni dal degrado ma, soprattutto, ricreare all'esterno una piazza al coperto», ha evidenziato il manager. «Immagino uno spazio esteso sui quattro binari, di cui uno a disposizione per il collegamento Campo Marzio-Miramare, da usare per concerti e meeting. I treni vanno e vengono per l'utilizzo turistico, ma l'area è ottima per gli eventi - ha annunciato il direttore - perché quando le carrozze storiche sono ferme, non fai altro che spostarle e mettere sul pavimento delle tavole tra un marciapiede e l'altro, così realizzi il piazzale». La stima dei lavori, considerando anche questa parte dell'intervento per cui esiste già un progetto e una perizia, raggiunge complessivamente i 20 milioni di euro.«Come Fondazione, grazie all'interlocuzione del ministro Franceschini, della presidente Serracchiani e delle Ferrovie - ha puntualizzato Cantamessa - abbiamo trovato i primi 4 milioni e possiamo iniziare, questo mi pare già un dato importante che ci permette di aprire i cantieri per il museo a settembre. Per il resto vanno trovati altri 10-15 milioni, ma mi pare che l'intenzione ci sia. Anche perché su questa città ormai, a cominciare dal porto e dal Porto vecchio, c'è un'attenzione nazionale e internazionale che non vedo altrove»
Gianpaolo Sarti
In carrozza da Campo Marzio a Miramare - Viaggio
inaugurale in estate con Franceschini. In futuro corse ogni weekend. E si pensa
al biglietto unico
Il taglio del nastro per la ristrutturazione del museo dell'ex stazione di
Campo Marzio è atteso dunque a luglio con i vertici di Ferrovie, ministero dei
Beni culturali, Regione e Comune. Sarà anche l'occasione per un viaggio
inaugurale con un treno storico, del 1920, che arriverà appositamente da Milano
per percorrere la vecchia linea Campo Marzio-Miramare. Il tratto diventerà
pienamente funzionante per i triestini, e naturalmente per i turisti, non appena
si concluderanno i lavori. L'intenzione, in futuro, è impiegare le carrozze
d'epoca ogni fine settimana per ricreare una sorta di "rondò" che seguirà questo
percorso: Campo Marzio-Rozzol-Villa Opicina-Bivio di Aurisina-Stazione di
Miramare con accesso pedonale al castello. Si pensa a un biglietto unico
museo-treno-parco. «La potenzialità è enorme, perché le carrozze transiteranno
su un itinerario meraviglioso lungo i binari ottocenteschi di Trieste con vista
sul golfo», ha osservato il direttore della Fondazione Fs Luigi Cantamessa. «I
costoni delle gallerie sono già in sicurezza - ha spiegato il funzionario -
quindi a luglio potremo simulare questa partenza. Così il museo sarà una cosa
unica in Europa, perché non sarà né statico né polveroso, ma una realtà
dinamica. Va detto che questa struttura rappresenterà la storia delle ferrovie
nel compartimento di Trieste ma anche il secondo museo nazionale delle Fs. Il
primo è a Pietrarsa a Napoli». La tappa della Campo Marzio-Miramare, fino a
Opicina, percorre l'unico tratto italiano della vecchia ferrovia Transalpina.
«Cioè il collegamento tra il porto di Trieste e il centro dell'impero
austroungarico - precisa Roberto Carollo, responsabile del museo ferroviario -
quindi si parte da Campo Marzio per transitare lungo la linea Rozzol-Guardiella.
È un tracciato forse poco conosciuto ai più, ma è una ferrovia che abbiamo in
città e passa nella zona di San Giacomo e poi risale, appunto, verso Rozzol
dietro l'ippodromo e poi va a Guardiella. Ha degli scorci bellissimi, come il
viadotto che si trova nei pressi di via San Cilino, oltre l'università. Così si
arriva a Opicina, dove si inverte la marcia per tornare a Trieste centrale
facendo tappa ad Aurisina e Miramare». Il museo di Campo Marzio conserva
carrozze, macchinari, cimeli, targhe, archivi e ricostruzioni modellistiche. La
struttura è gestita da un gruppo di appassionati e studiosi associati al
Dopolavoro ferroviario.
(g.s.)
In piazza Libertà “lifting” ai servizi igienici
Non c'è solo Campo Marzio. Perché sono in programma dei lavori anche alla stazione ferroviaria di piazza Libertà. Nella prima settimana di giugno, infatti, inizieranno gli interventi di ristrutturazione completa dei servizi igienici che si trovano all'interno della struttura di piazza Libertà. Lo annuncia Centostazioni, la società del gruppo Ferrovie dello Stato italiane. L'intervento, rende noto un comunicato stampa, è destinato a protrarsi grosso modo per tre mesi, stando al progetto. Per consentire l'intera riqualificazione degli ambienti, per tutta la durata del cantiere saranno installati tre bagni provvisori all'esterno del fabbricato viaggiatori, lato via Flavio Gioia. Un'apposita segnaletica, precisa la nota, ne indicherà la direzione. I box wc temporanei, in particolare, saranno naturalmente distinti per uomini, donne e disabili. Nello stesso periodo sarà sospeso il pagamento del servizio, deciso soltanto alcuni mesi fa. L'investimento dei lavori ammonta complessivamente a centosettantaduemila euro.
(g. s.)
Il rilancio di Porto vecchio in cinque mosse Ernst & Young svela lo studio finale. Previste aree tematiche dedicate a intrattenimento, nautica, servizi, ricerca e congressi
Dicembre 2017: piano definitivo per il recupero del Porto vecchio. Inizio 2018: avvio degli interventi di sviluppo. Annus Domini 2029: Trieste è una città diversa, con un centro storico raddoppiato sul mare. È l'orizzonte da sogno tratteggiato dai manager della società Ernst & Young ieri sera alla centrale idrodinamica, dove hanno presentato il risultato dello studio commissionato dal Comune nel 2016. In platea sedavano rappresentanti di Comune, Regione, Soprintendenza, Camera di commercio, enti scientifici. Nei prossimi mesi si vedrà che possibilità avranno questi auspici di tramutarsi in fatti. Ad esporre i contenuti dello studio c'erano il partner di E&Y Andrea Bassanino e il senior manager Pietro Sepe. Il piano prevede la divisione del Porto vecchio in cinque aree: quella “leisure e intrattenimento” è la più estesa per E&Y è fondamentale per la «rigenerazione dell'intera area». Questo spazio dovrebbe estendersi dal terrapieno di Barcola fino a lambire la Centrale idrodinamica. Il secondo è l'ambito nautico, più focalizzato e improntato al potenziamento del traffico passeggeri. E&Y lo colloca all'ingresso del Porto, vicino al centro. Segue verso nord un'area multi servizi, volta ad essere fruibile h24. Il quarto ambito è “ricerca e formazione”, destinato a valorizzare il carattere di Trieste come città scientifica, compresa tra il multi servizi e l'ultimo ambito, quello congressuale, che si collocherebbe nella zona del magazzino 26 e della centrale idrodinamica. L'idea è sviluppare il tutto in tre fasi parzialmente sovrapposte: un avviamento 2018-2022, una fase intermedia 2022-2024 circa, il consolidamento fino al 2029. La società ha proposto anche una linea di lavoro per i cinque ambiti sulle tre fasi, e anche Sepe ha sottolineato come tutti gli ambiti vadano realizzati in parziale simultaneità: «Il recupero del Porto vecchio non deve essere un cantiere decennale chiuso. Bisogna partire da subito con le cose immediatamente fruibili dalla popolazione, ma poi avviare anche gli altri interventi». Bassanino ha sottolineato come la determinazione e la certezza del risultato siano fondamentali per attrarre gli investitori: «È importante che nelle prime fasi di sviluppo del progetto si dia l'idea di rispettare i tempi. Bisogna dare l'impressione agli investitori internazionali che è chiara l'evoluzione del percorso e che le cose si fanno veramente». La serata è stata aperta da un intervento dell'ex sindaco Roberto Cosolini: «Ringrazio il sindaco Roberto Dipiazza per l'invito. Dallo studio ci aspettiamo un apporto indispensabile per costruire un masterplan strategico. Anche perché questo intervento è inedito nella storia delle rigenerazioni urbane: di solito si recuperano aree portuali più piccole in città molto più grandi». Il sindaco Dipiazza ha dichiarato che negli ultimi mesi il Porto vecchio di Trieste ha attratto le attenzioni di potenziali investitori austriaci, americani, russi, tedeschi: «Arrivano richieste di interessamento per tutto l’antico scalo, neanche per singole parti». Sullo sviluppo dell'area «dovremo inserire un minimo di residenzialità, attorno al 10%, in maniera da mantenere viva la zona anche la sera». L'assessore regionale alla Cultura Fvg Gianni Torrenti ha dichiarato: «Dobbiamo dare il segnale che questa volta lo sviluppo del Porto vecchio di Trieste si farà. Troppi anni sono passati dai primi progetti, lo scetticismo è cresciuto e noi dobbiamo combatterlo». Le risorse «non sono molte» ma la cooperazione tra tutti gli enti coinvolti «dà finalmente l'idea che forse non possiamo più sottrarci». L'assessore comunale al Bilancio Giorgio Rossi ha parlato di «forte condivisione di obiettivi e strategie» e illustrato quanto il Comune sta facendo per infrastrutturare l'area. Al termine della presentazione, l'assessore al Demanio Lorenzo Giorgi ha commentato: «È uno studio di base che va implementato. Ciò che dobbiamo capire è chi sono gli imprenditori che devono investire. Serve qualcosa di più». Critico l'assessore al Turismo Maurizio Bucci: «Manca un elemento fondamentale: il mare. Bisogna creare un fulcro, ad esempio una stazione marittima, che con effetto domino consenta lo sviluppo di tutta l'area».
Giovanni Tomasin
Rigassificatore a Veglia - l'Ue stanzia 102 milioni -
L'opera sarà conclusa nel 2019. Già disponibili i tre quarti dei finanziamenti
A regime l'impianto potrà lavorare 6 miliardi di metri cubi di metano
all'anno
ZAGABRIA - Nei Balcani si sta combattendo una guerra strategica per la
distribuzione delle risorse energetiche. Se Trieste ha rinunciato al
rigassificatore a Zaule, la Croazia sta procedendo speditamente sulla
realizzazione del medesimo impianto sull'isola di Veglia. Un'infrastruttura che
bene si inserisce nel risiko energetico che si sta giocando nella regione tra la
Russia di Vladimir Putin e gli Stati Uniti di Donald Trump.E nella vicenda si
inserisce anche l'Unione europea che proprio per il rigassificatore di Veglia ha
concesso al governo di Zagabria finanziamenti pari a 102 milioni di euro.
L'obiettivo di Bruxelles è quello di uscire dalla servitù del monopolio russo
nel metano. Della realizzazione del progetto si sta interessando anche il Qatar
che, assieme all'Algeria sarebbe uno dei principali Paesi fornitori di gas.Ma
c'è di più. L'Ue ha garantito, come scrive il Sole 24 ore, altri 40,5 milioni di
euro per finanziare la realizzazione del progetto croato-sloveno del
miglioramento del trasporto dell'energia elettrica inalta tensione denominato
Sincro Grid. Ricordiamo che nei mesi scorsi la Commissione Ue ha approvato 18
progetti energetici per un totale di 444 milioni finanziati dal fondo europeo
Connecting Europe Facility.Ma la Croazia non si ferma al rigassificatore di
Veglia. Zagabria sta studiando, infatti, la realizzazione di un gasdotto per
collegarsi al tratto balcanico del metanodotto Tap, opera fortemente contestata
in Puglia. Il progetto prevede una condotta lunga 500 chilometri per un costo
stimato di 620 milioni di euro che si allaccerà al Tap in Albania per poi
portare il gas fino a Spalato.Nel intricato quadro si inserisce, come detto,
anche la politica degli Usa la quale ha praticamente posto il veto alla Croazia
di vendere le proprie quote della raffineria Ina di Fiume al colosso del gas
russo Rosnyeft. Ma il Cremlino non sta certo a guardare e, dopo aver firmato
l'accordo con la Turchia per la realizzazione della cosiddetta Turkish Stream
che giungerà fino alla porzione europea del Paese di Erdogan, sta già trattando
con i governi di Atene e Sofia per prolungare il tracciato del gasdotto verso
Nordovest. L'ulteriore mossa sarà quella di far giungere il progetto nel cuore
dei Balcani. L'impianto a Castelmuschio (Omislaj) di Veglia potrà rigassificare
6 miliardi di metri cubi di metano all'anno ed è stato progettato dalla Lng
Hrvatska. Molti, come detto, gli investitori internazionali interessati
all'impianto che ha avuto una forte accelerazione quando l'Italia ha abbandonato
il progetto di Trieste. L'opera dovrebbe essere conclusa nel 2019 e, finora, ha
già ricevuto quasi i due terzi dei finanziamenti necessari stimati in 363
milioni di euro.Le prospettive di utilizzo dei grandi impianti di
rigassificazione sono molto ampie, per esempio per alimentare i motori delle
grandi navi o flotte di camion. Proprio in quest'ottica il rigassificatore di
Veglia potrebbe assumere un ruolo importante anche negli sviluppi della
cosiddetta nuova Via della seta patrocinata dalla Cina e che vede i porti
dell'Alto Adriatico in prima fila nell'imponente idea di Pechino di sviluppo dei
traffici dal proprio Paese verso l'Unione europea.Quella della nuova mobilità e
dell'energia, viste le sinergie che possono essere messe in atto proprio tra
generazione elettrica, reti metanifere e grandi trasporti, dunque, è una carta
vincente, per rispettare i vincoli ambientali dettati dall'Unione europea da qui
al 2030
Mauro Manzin
IL PICCOLO - MARTEDI', 30 maggio 2017
Museo ferroviario a un passo dalla svolta - Oggi il
sopralluogo del direttore di Fondazione Fs Cantamessa. Attesa per l’avvio dei
primi lavori di restauro da 3,5 milioni
Il “super museo ferroviario” di Campo Marzio a Trieste? «Stiamo per metterci
mano. Sarebbe il perfetto contraltare adriatico del polo di Napoli. E anch’io ho
un sogno: collegare le due città con un treno notturno che dia accesso gratuito
a entrambi i musei». Il sogno è di Luigi Cantamessa, rivelato a fine marzo a
Paolo Rumiz alla vigilia del restauro del museo ferroviario di Pietrarsa, alle
porte di Napoli. Oggi il giovane direttore della Fondazione Fs sarà a Trieste
quasi in incognito a rivelare se il suo sogno può diventare realtà. È atteso
attorno a mezzogiorno a Campo Marzio. «Siamo stati allertati - spiega Roberto
Carollo, responsabile del museo gestito dai volontari di Ferstoria -. Non
sappiamo però cosa verrà a dirci». L’attesa, dopo gli annunci di fine anno, è
grande. Come le aspettative. Non ci sono conferme, però, di incontri con le
istituzioni interessate: Comune e Regione. A fine dicembre erano stata
annunciate le risorse già disponibili (3,5 milioni) per dare il via a un primo
lotto di interventi sulla Stazione di Campo Marzio, che ospita il museo
ferroviario, riguardante il restauro della facciata di via Giulio Cesare, il
rifacimento del tetto dell'area espositiva e il ripristino dei vetusti impianti
e serramenti della zona aperta al pubblico. Soldi scovati grazie alla
collaborazione fra ministero dei Beni culturali, Fondazione Fs e Regione. Dalla
legge di stabilità regionale arrivano 500mila euro. La parte più cospicua la
mettono il Mibact (2 milioni) e la Fondazione Fs (1 milione), nata nel 2013 per
preservare il patrimonio storico delle Ferrovie italiane. La situazione si era
sbloccata dopo un incontro fra Cantamessa e la presidente della Regione Debora
Serracchiani per individuare il percorso per avviare i lavori sulla stazione
asburgica della Transalpina. Il restauro complessivo della struttura, dei binari
e della vecchia volta in metallo (attualmente scoperta) richiederebbe 12
milioni. «Per questo primo lotto manca ancora mezzo milione: il Comune è un
player fondamentale e speriamo possa fare la sua parte», disse nell’occasione
Cantamessa, parlando di «un progetto ambizioso di stazione museo, da cui possano
partire treni turistici sull'anello che unisce Campo Marzio, Opicina, Aurisina,
Miramare e Stazione centrale». La Fondazione avrebbe consegnato a metà gennaio
il progetto alla Soprintendenza: «Si tratta di interventi conservativi, basati
sui progetti ottocenteschi, senza intromissione di elementi moderni», spiegò
l’ingegnere Cantamessa. L’intenzione era di «partire in primavera e restituire
in un anno il primo lotto alla bellezza originaria. Poi serviranno risorse per
le successive due fasi. Ci vogliono finanziamenti importanti che speriamo
arrivino anche da fondi europei: vedrete questa stazione della Sübahn come non
l'avete mai vista». Un sogno che è anche una promessa.
Fabio Dorigo
La “desertificazione” ferroviaria con l’Istria e con Fiume - La lettera del giorno di Luigi Bianchi
Il rilancio di un sogno che viene da molto lontano. Livio Dorigo continua a pensare al futuro della “Ciceria” con un preciso disegno che sposa ecologia ed economia, per la rivitalizzazione di quello che resta “unico e autentico spartiacque di civiltà, tra mondo mediterraneo e Danubio”, secondo il pensiero di Paolo Rumiz. Ma anche il sogno di Dorigo, come quello di Rumiz, si scontra con la dura realtà delle comunicazioni ferroviarie dell’Istria. Con la caduta dei confini e con la divisione della Jugoslavia, la continuità della rotaia europea è stata compromessa, in contrasto con l’esigenza del coordinamento e dell’integrazione dei trasporti, che è alla base della mobilità sostenibile a misura di pedone e della logistica di livello europeo. Oggi non esiste un collegamento ferroviario tra Trieste e Pola, così come tra Fiume e Trieste. Tre porti che, secondo Romano Prodi, dovrebbero promuovere il sistema portuale dell’Alto Adriatico con Venezia e Ravenna. La “cura del ferro” di Zeno D’Agostino, che ha portato il porto di Trieste a un importante sviluppo delle relazioni ferroviarie europee, non può trovare applicazione in Istria, con evidenti ricadute negative sul traffico merci e sul servizio viaggiatori. Non mancano gli studi, numerosi sono i convegni ma la dura realtà è la desertificazione della rotaia istriana che incide pesantemente sull’economia e sul turismo. Un barlume di speranza per un’inversione di tendenza sul piano infrastrutturale si apre con il comunicato del gruppo FS sulla lettera di intenti, firmata a Zagabria per la cooperazione tra reti ai fini del Corridoio merci mediterraneo: Rete Ferroviaria Italiana ha pianificato interventi di potenziamento infrastrutturale che consentiranno un significativo miglioramento del trasporto merci nel breve-medio periodo. Preoccupante è invece il silenzio di Trenitalia riguardo alla ripresa di un’azione commerciale con Slovenia e Croazia, sia per le merci che per i viaggiatori, possibile con le attuali infrastrutture ferroviarie. Se non si sfruttano prontamente le opportunità si compromette lo sviluppo dei traffici, cargo e passeggeri, che non possono aspettare la realizzazione delle opere. I dirottamenti sono senza ritorno, in mancanza di una seria iniziativa commerciale. Che cosa impedisce di realizzare subito un Minuetto, ma anche una Littorina, Trieste-Pola e Trieste-Fiume ? FS-Trenitalia dovrebbe decidersi a convocare una conferenza dei servizi con le Ferrovie slovene e croate per la rivitalizzazione del servizio passeggeri con l’Istria, nel quadro della rivisitazione, o meglio della ricostruzione delle relazioni ferroviarie ai transiti orientali, trascurati proprio con la caduta dei confini. Abbandonare tale iniziativa significa arrendersi al “tutto gomma” e rinunciare alla “cura del ferro” che è alla base del coordinamento e dell’integrazione dei trasporti, vitale non solo per l’Istria.
L’olio delle fritture domestiche trova “casa” - In
arrivo i primi contenitori specifici per lo smaltimento. Funziona la raccolta
dei lubrificanti industriali
Saranno quattro, in corrispondenza dei centri di raccolta delle immondizie
già attivi in città, i punti in cui sarà possibile, a breve, smaltire gli oli
derivanti da fritture domestiche. L’ha annunciato ieri l'assessore comunale
Luisa Polli, a margine dell'appuntamento allestito dal Consorzio obbligatorio
degli oli usati (Coou) che ha organizzato, in piazza del Ponterosso, l'ultima
tappa del tour nazionale "CircOLIamo - Campagna educativa itinerante". «Sarà
sufficiente raccogliere fra le mura di casa, in un contenitore che potrà essere
di qualsiasi tipo, l'olio che rimane al termine di una frittura. Raggiunta una
quantità significativa, ogni cittadino potrà utilizzare gratuitamente questo
servizio, il cui risultato in termini di salvaguardia ambientale è evidente» ha
esordito Polli. «Per abitudine infatti - ha continuato l'assessore con delega
all’Ambiente - si scaricano gli oli esausti delle cucine nel wc di casa, ma
questo comportamento implica gravi conseguenze nell'equilibrio ambientale,
perché quell'olio finisce, pressoché integro, in mare». «Ecco perché - conclude
- invitiamo fin d'ora i triestini e tutti i residenti a portare l'olio esausto
nei centri di raccolta, non appena avremo predisposti i necessari contenitori,
che saranno facilmente identificabili da apposite scritte». Si tratta di una
novità assoluta per la città, che ieri è stata portata a esempio positivo
nell'ambito della campagna nazionale che punta a stimolare gli operatori
economici a smaltire correttamente gli oli lubrificanti usati. «Sono state oltre
1.185 le tonnellate di oli lubrificanti usati raccolte sul territorio
provinciale nel 2016 su un totale di 3.995 recuperate nell'intero Friuli Venezia
Giulia. Nell'ambito della campagna “CircOLIamo”» ha aggiunto Paolo Tomasi,
presidente del Consorzio. «In due anni abbiamo percorso circa 19mila km,
toccando gran parte del capoluoghi provinciali del Paese, coinvolgendo circa
10mila studenti, principali destinatari del messaggio che intendiamo lanciare»
ha concluso. Nel 2016 il Coou, che coordina 74 aziende private di raccolta e
gestisce quattro impianti di rigenerazione distribuiti sul territorio nazionale,
ha raccolto complessivamente 177mila tonnellate di olio lubrificante usato «un
risultato - ha chiosato Tomasi - molto vicino al 100% del potenziale
raccoglibile».
Ugo Salvini
Bici proibite in centro, scintille tra Pd e giunta - Il
consigliere Finocchiaro: «Testo inutile e non condiviso». L’assessore Decolle:
«No alle lobby nel partito»
MUGGIA «Né il Circolo del Partito democratico né la maggioranza sapevano di
questa iniziativa che è una dichiarazione di guerra alle biciclette».
L’ordinanza contro i ciclisti in cento storico adottata dalla giunta Marzi (sarà
possibile solo muoversi accompagnando a mano la bici) ha suscitato subito delle
aspre polemiche. Non tanto da parte dei partiti di opposizione, bensì dalla
maggioranza stessa. Ad ergersi a paladino dei mezzi a due ruote è il consigliere
comunale nonché ex assessore ai Lavori pubblici Marco Finocchiaro: «Bastava far
rispettare le regole esistenti senza far passare questa dichiarazione di guerra
alle biciclette. Non condivido né il metodo né il contenuto di questa iniziativa
di cui il Circolo Pd e i consiglieri di maggioranza non erano a conoscenza».
Secondo l’esponente del Pd «il nostro Codice della strada e la nostra
pianificazione contengono già tutti gli strumenti per una condivisione delle
strade ed anche delle aree pedonali senza dotarsi di questa ulteriore
limitazione che ritengo fuori luogo». Finocchiaro cita nello specifico
l’articolo 182, comma 4, del Codice della strada, inerente la circolazione dei
velocipedi: «I ciclisti devono condurre il veicolo a mano quando, per le
condizioni della circolazione, siano di intralcio o di pericolo per i pedoni. In
tal caso sono assimilati ai pedoni e devono usare la comune diligenza e la
comune prudenza». Il consigliere dem mette poi sul piatto anche la parte seconda
della Circolare della Pcm del 31 marzo 1993, numero 432: «Nel caso in cui la
circolazione ciclistica sia consentita in promiscuo con i pedoni, i ciclisti
debbono procedere a una velocità tale da evitare situazioni di pericolo con
velocità generalmente non superiore ai 10 orari». Pronta la replica
dell’assessore alla polizia locale Stefano Decolle (del Pd anche lui), padrino
dell'ordinanza contestata: «L’ordinanza è stata valutata dalla giunta ed è
passata nel luogo istituzionalmente più adatto. Da un punto di vista politico mi
rende perplesso che venga vista solo questa parte del documento e non la forte
regolamentazione che verrà finalmente applicata al traffico veicolare del centro
storico». Decolle, che evidenzia ancora come «i documenti esistenti non
bastavano», auspica «vivamente che il Pd non si divida per lobby, in questo caso
i ciclisti che difendono i ciclisti, perché un partito politico è ben altra
qualcosa». A cercare di chiudere la querelle è il vicesindaco Francesco Bussani,
nonché segretario del Circolo Pd muggesano: «Confermo che la tematica non è
stata discussa all’interno del Circolo. Difendo l’ordinanza perché, pur essendo
la nostra amministrazione a favore delle piste ciclabili e della mobilità
sostenibile, la situazione nel centro storico andava regolamentata in difesa
delle categorie più deboli quali bambini e anziani. Certo, sarebbe anche sempre
auspicabile condividere le tematiche con il Circolo, soprattutto se queste
possono avere degli effetti impattanti sulla vita dei nostri cittadini».
(tosq.)
Eni e Fincantieri insieme per il gas naturale - Intesa
di collaborazione per ricerca e sviluppo di sistemi energetici a partire dalla
filiera del gnl
MILANO Fincantieri va a tutto gas. E punta fare sistema anche con i big
nazionali dell'industria. All'indomani della firma ufficiale per l'acquisizione
di Stx France, che creerà l'Airbus dei mari della crocieristica, il gruppo
navalmeccanico triestino ha sottoscritto un accordo con Eni per la ricerca e lo
sviluppo di sistemi energetici a gas naturale. Un'intesa che a prima vista
dovrebbe interessare solo gli addetti ai lavori. Ma non è così. Intanto perché
due campioni nazionali, tra le ultime industrie di rilievo del sistema paese,
provano a mettere a fattor comune competenze e tecnologie. E poi perché il gas
naturale liquefatto sembra configurarsi come il sistema di alimentazione del
futuro del trasporto via mare (e non solo) perché permette di ridurre il volume
specifico del gas di 600 volte e consente così lo stoccaggio a costi molto
competitivi. Eni e Fincantieri non si sbilanciano su progetti futuri. Ma non
nascondono l'ambizione di lanciare una collaborazione ad ampio raggio lungo
tutta la catena di trasporto di gas naturale e Gnl. Le due aziende lavoreranno
assieme per mettere a punto progetti relativi a piattaforme galleggianti per
produzione offshore e la valutazione di progetti energetici a ridotto impatto
ambientale. Ma questo è solo un primo passo. Nonostante "l'antipatia" dei
connazionali per il Gnl, o meglio quella dei decisori politici per i
rigassificatori, l'Italia comincia a dotarsi di una rete di distributori a gnl.
Oggi nel paese ce ne sono una decina e servono soprattutto ai grandi tir che con
un pieno di Gnl possono percorrere anche 900 km. Fincantieri non è a digiuno di
Gnl. Nel 2015 il gruppo guidato da Giuseppe Bono ha messo in mare un traghetto
alimentato a Gnl Gauthier, realizzato negli stabilimenti di Castellamare di
Stabia e destinato alla società di trasporti marittima del Québec. Dal quartier
generale di Trieste, la società spiega che l'accordo con Eni non prevede -
almeno per ora - lo sviluppo di tecnologie destinate al mercato del trasporto
passeggeri. L’intesa mira innanzitutto a ricerca e sviluppo di sistemi
energetici che potranno essere usati in tutta la filiera. Quanto a Eni,
l'accordo s’inquadra nella strategia del Cane a Sei Zampe che prevede un forte
impegno sul fronte del climate change, dello sviluppo sostenibile e del sostegno
all'uso del gas per trasporto. Infine, va ricordato che le maggiori compagnie di
crociere, come Costa e Msc, hanno già ordinato alcune navi alimentate a Lng. Una
Msc sarà sviluppata dai cantieri francesi ex Stx, ora Fincantieri.
Christian Benna
AMBIENTE - LA TRATTATIVA - Il G7 continua con la scienza - A Trieste summit sui mari - Esperti da tutto il mondo a confronto per lanciare l’offensiva anti inquinamento
Obiettivo spingere i grandi della Terra a farsi carico della salute di golfi e oceani
TRIESTE Il G7, che si è appena concluso a Taormina, in realtà continua, anche sui temi della scienza. E passa pure per Trieste, dove da oggi al primo giugno si terrà l'evento satellite “Progettazione condivisa di un sistema efficiente e sostenibile per l'osservazione dei mari costieri nei Paesi in via di sviluppo”, legato all'iniziativa più ampia “Il futuro dei mari e degli oceani” e in preparazione al G7 Scienza di Torino in settembre. A parteciparvi 15 esperti provenienti dagli Stati membri del G7 ed emergenti. I lavori si svolgeranno nella sede del Centro internazionale di fisica teorica a Grignano e saranno coordinati dall'Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (Ogs) e dal britannico National Oceanography Centre. Il meeting ha l’obiettivo di contribuire all'agenda del summit annuale dei ministri, quest'anno capitanato e ospitato dall'Italia, evidenziando il ruolo essenziale dello studio dei mari regionali per contribuire a “fotografare” lo stato di salute dell’oceano globale. Sarà dunque discussa l'importanza del fatto che in molte aree deve essere accelerato il potenziamento delle competenze e delle tecnologie oceanografiche e la loro connessione con le esigenze di conoscenza richieste dagli sviluppi dell'economia blu. «La salute degli oceani - puntualizza Maria Cristina Pedicchio, presidente dell'Ogs - è considerata cruciale anche per lo sviluppo economico e il suo monitoraggio è un prerequisito fondamentale per promuovere la salvaguardia e l'uso responsabile delle risorse marine e, in generale, uno sviluppo sostenibile, anche attraverso la creazione di nuove professionalità in campo marino e marittimo». Tutto il sistema di check-up dei mari è strettamente correlato ad un altro tema che verrà affrontato: quello dell'inquinamento. Lo scopo delle piattaforme automatiche che misurano il mare costiero, e dell'intervento umano tramite raccolta di campioni e studio di inquinanti e contaminanti, è proprio quello di dare un'allerta tempestiva delle condizioni delle acque. E dunque prevenire e intervenire. «L'Italia - spiega il ricercatore di Ogs Alessandro Crise, incaricato di co-dirigere il gruppo - ha fatto pressione in particolare affinché si parlasse di mari regionali e coste. Il G7 è formato da Paesi che geograficamente hanno di fronte un oceano. L’Italia è l'unica con una situazione diversa, abbiamo il Mediterraneo, che ha una priorità per motivi scientifici, socio-economici e politici e la scienza ha un ruolo importante anche come motore di Science diplomacy: il fatto di avere rapporti con Paesi indipendentemente dal loro status politico è importante per mantenere vivi i contatti con una comunità ampia, anche perché il mare non ha confini e così nemmeno la scienza». Nel corso dell'incontro verranno esaminate e approfondite le buone pratiche adottate nelle attuali reti di analisi costiera e le iniziative in corso. Verranno inoltre valutati i problemi e le esigenze specifiche dei sistemi di osservazione regionale per il controllo continuo marino e costiero, soprattutto per quanto riguarda i Paesi emergenti, per individuare i requisiti minimi, gli strumenti e le infrastrutture adeguate. Ma non occorre andare lontano, perché anche nella costa Est e Ovest dell'Area adriatico-ionica «ci sarebbe la necessità di partire con azioni sulla stessa linea di quelle che approfondiremo a livello globale, perché ci siamo resi conto in un recente incontro, che anche in questa zona la conoscenza è tutt'altro che uniforme, il monitoraggio non è sufficientemente esteso e inoltre c'è una frammentazione di iniziative e programmi». Cosa emergerà da questo convegno? «Il nostro obiettivo ora è che nel comunicato congiunto al G7 Scienza di Torino - spiega Crise -, si ribadisca una volta di più che è indispensabile continuare a progredire nella conoscenza del mare e nella necessità di mantenere reti di indagine multidisciplinare che coprano tutto il globo, dal mare aperto fino alle regioni costiere, perché il mare è uno, un'importante sorgente di vita e di biodiversità, che raccoglie anche importantissimi interessi economici, che via via si sviluppano e non si può avere uno sfruttamento sostenibile delle risorse marine, che non sono infinite, senza un’adeguata conoscenza e monitoraggio». Al termine dei lavori di Trieste verrà prodotto un documento di sintesi «semplice e breve, in modo da essere compreso dai politici» annuncia Crise, per sottolineare la necessità di fare crescere le competenze per l'osservazione e il monitoraggio degli oceani anche nei Paesi che non sono avvantaggiati, per i quali l’economia blu gioca un ruolo chiave. Il documento verrà infine integrato con le azioni previste dall'iniziativa G7 “Il futuro dei mari e degli oceani”
Benedetta Moro
IL PICCOLO - LUNEDI', 29 maggio 2017
Canovella torna pulita con i rifugiati - Spiaggia
liberata da un “mare” di rifiuti grazie alla campagna di Legambiente
DUINO AURISINA- In seguito al monitoraggio “Beach litter” di
Legambiente a fine aprile su 62 spiagge italiane, è stata trovata una media di
670 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia. L’84% degli oggetti trovati è di
plastica e il 64% dei rifiuti spiaggiati proviene da oggetti usa e getta. Su
www.legambiente.it/marinelitter si può vedere la mappa interattiva dei rifiuti e
le foto: rifiuti di ogni forma, genere, dimensione e colore, compresi blister di
medicinali, aghi da insulina, assorbenti e preservativi, frutto della cattiva
gestione a monte e dell’abbandono consapevole, continuano infatti ad invadere le
spiagge italiane e quelle del resto del Mediterraneo, e Canovella de’ Zoppoli
non fa eccezione, tanto che la spiaggia triestina è stata fra le protagoniste
della tradizionale campagna di sensibilizzazione di Legambiente denominata
“Spiagge e fondali puliti” per smuovere le coscienze e incoraggiare una corretta
gestione dei rifiuti e una partecipazione attiva tesa al rispetto della natura e
del mare. Sabato, con il contributo di Sammontana, i volontari di Legambiente
Trieste, con l’aiuto di Trieste Altruista e dei richiedenti asilo assistiti
dall’Ics, hanno così raccolto numerosi sacchi di rifiuti spiaggiati o
abbandonati proprio lungo la spiaggia di Canovella, scelta grazie a 670 like sui
social. Il risultato finale è di ben 665 rifiuti, per il 93% di plastica:
soprattutto pezzi di reti per la coltivazione dei mitili (43%), frammenti di
plastica e polistirolo (21%), tappi e coperchi (6%), bottiglie e contenitori di
plastica (4%).
“L’Armata degli scarti viventi”: ragazzi, ecco il
secondo indizio del concorso - il contest
“L’Armata degli scarti viventi” è il contest di ShorTs International Film
Festival in collaborazione con “Il Piccolo” e AcegasApsAmga dedicato ai ragazzi
che vogliono passare due giornate a divertirsi, imparando a riutilizzare quello
che ogni giorno scartiamo e farne un film. Il contest è dedicato ai ragazzi dai
dieci ai quattordici anni, ma verranno accolte anche proposte fantasiose,
divertenti e realizzabili anche se i proponenti saranno più piccoli o più
grandi. Il laboratorio di animazione sarà tenuto dal regista Francesco Filippi
alla Mediateca (in via Roma 19, a Trieste) sabato 1 e domenica 2 luglio dalle 10
alle 18 e sarà a numero chiuso. Potranno essere accolti al massimo quindici
ragazzi. Che cosa bisogna fare per iscriversi? Raccogli tutti gli indizi che
trovi qui accanto fino a domenica 4 giugno: sono gli spunti per liberare la tua
fantasia. Per candidare la tua creatura e te stesso per il laboratorio pratico
con Francesco Filippi bisogna registrarsi alla pagina dedicata sul sito
www.maremetraggio.com e compilare il form relativo. Alla fine del laboratorio
tutti i personaggi creati verranno animati con la tecnica della stop motion
dando vita a un cortometraggio di animazione inventato dai ragazzi, che verrà
presentato al pubblico la sera di domenica 2 luglio in piazza Verdi assieme ai
ragazzi e al regista Francesco Filippi.
Muggia dichiara fuorilegge le bici nel centro storico -
Arriva l’obbligo di portare a mano i velocipedi all’interno delle cinta murarie
L’unica deroga sarà per i bambini sotto i dieci anni. Multe fino a 168
euro
MUGGIA - Divieto di circolazione in bicicletta e nuove limitazioni per gli
autoveicoli. Sono le principali novità adottate dall’amministrazione comunale di
Muggia che, a pochi giorni dall’inizio dell’estate, ha approvato un’ordinanza
con molti provvedimenti in materia di viabilità che interesseranno il centro
storico. Perentorio l’assessore al Turismo e alla Polizia locale Stefano Decolle:
«Basta sfrecciare a 30 all’ora per le calli». La novità più eclatante riguarda i
velocipedi. Istituendo di fatto un’area pedonale nel centro storico, individuata
in vie, calli e piazze ricadenti all’interno dell’antica cinta muraria e
specificatamente racchiusa nelle vie Roma, Naccari, Manzoni e Sauro e in salita
alle Mura, il Comune ha deciso che le biciclette dovranno essere rigorosamente
condotte a mano. L’unica deroga sarà per i bambini, per l’esattezza per i minori
di 10 anni. «Non abbiamo mai registrato un incidente conclamato, ma da diverso
tempo stiamo ricevendo tante lamentele da parte dei muggesani per i ciclisti che
sfrecciano nel centro storico», racconta Decolle. Tra le giornate più critiche
il sabato mattina, ma anche il giovedì, giorno di mercato. «Non nascondo che
soprattutto in estate i turisti siano più disciplinati dei muggesani in
bicicletta - aggiunge Decolle - quindi abbiamo deciso di produrre delle regole
chiare e certe». I trasgressori saranno puniti secondo il Codice della strada
con sanzioni che andranno da un minimo di 41 ad un massimo di 168 euro.
Nell’area pedonale all’interno del centro storico si è deciso di utilizzare il
pugno duro anche con gli autoveicoli. Nell’area vigerà il divieto di transito e
sosta con rimozione forzata per tutte le categorie di veicoli a motore, ma con
alcuni distinguo. I mezzi di privati residenti nel centro storico con garanzia
di rimessaggio in garage o cortili, quelli privati per scarico merci (traslochi,
lavori edili vincolati ai permessi rilasciati dagli uffici competenti) e i mezzi
di trasporto merci per le attività commerciali operanti all’interno dell’area
potranno accedere dalle 6 alle 9.30 e nei mesi da novembre ad aprile anche dalle
19 alle 20. Potranno essere utilizzati esclusivamente mezzi fino a 35 quintali
di massa, con un tempo massimo consentito di 30 minuti (l’esposizione dell’ora
di arrivo sarà obbligatoria) e transito a velocità non superiore ai 10 orari.
Potranno inoltre accedere al centro storico i mezzi di accompagnamento di
funerali, matrimoni e unioni civili, ciascuno per un totale massimo di tre auto.
Consentito anche il transito di mezzi a servizio delle manifestazioni
autorizzate, delle persone disabili o adibiti al trasporto delle stesse, per
visite ed assistenza domiciliare, ma anche di taxi, mezzi di soccorso ed
emergenza e infine di mezzi utilizzati da imprese aventi quale attività
specifica la consegna a domicilio di bombole di gas o altri combustibili. Il
percorso a traffico limitato riguarderà via Dante (accesso da via Battisti),
piazza Santa Lucia, la parte discendente di via Verdi e passo Marcuzzi. Ma
quando saranno attive le nuove disposizioni? «L’ordinanza entrerà in vigore
contestualmente alla posa della segnaletica - spiega Decolle - quindi ci sarà
tutto il tempo per abituarsi a queste nuove regole che abbiamo deciso di
adottare in seguito ai consigli ricevuti in questi anni da parte dei cittadini
muggesani». A conti fatti, dunque, entro l’inizio dell’estate sarà vietato
pedalare in bicicletta in centro.
Riccardo Tosques
IL PICCOLO - DOMENICA, 28 maggio 2017
Le due ruote - Bici rimosse La Fiab chiede un confronto
col Municipio
«In questi giorni la polizia municipale sta tagliando i lucchetti delle
catene e rimuovendo bici parcheggiate. Ma il nuovo regolamento è applicato
correttamente?». Se lo chiede Federico Zadnich della Fiab-Ulisse. «I vigili
stanno portando via anche le bici parcheggiate in aree pedonali, non abbandonate
e che non intralciano», fa notare il rappresentante dell’associazione che
domanda un confronto con il vicesindaco Pierpaolo Roberti e con il comandante
della polizia locale Sergio Abbate. «Il tono usato nel comunicato di Fiab-Ulisse
mi ha lasciato stupefatto ed amareggiato - replica il comandante dei vigili
urbani -, insinua il sospetto che la polizia locale agisca arbitrariamente e non
sulla base delle leggi. Sia perciò chiaro - conclude Abbate - che la polizia
locale agisce sempre secondo la legge. Se poi qualcuno dovesse ritenere di aver
subito un torto, potrà utilizzare tutti quegli strumenti di difesa che sempre la
legge mette a disposizione di chiunque». Sul caso interviene anche il Movimento
5 Stelle Trieste: «Il centrodestra in Circoscrizione ha più volte bocciato la
nostra mozione finalizzata alla realizzazione di nuove rastrelliere a San
Giovanni, Chiadino e Rozzol vicino a scuole, uffici postali, palestre, luoghi di
culto e di aggregazione», rilevano i consiglieri M5S della Sesta Alessandra
Richetti, Emanuela Segulin e Stefano Fonda. «Critichiamo duramente l’ipocrisia
del centrodestra - aggiungono - che a parole incentiva lo sviluppo della
mobilità sostenibile ma nei fatti la ostacola in tutti i modi».
(g.s.)
Biciclette fuori legge? Allora serve par condicio con le auto - LA LETTERA DEL GIORNO di Sandra Zoglia
Leggo a pagina 26 de Il Piccolo di oggi (26 Maggio) che il Comune avrebbe dichiarato guerra alle biciclette “fuori legge”, anche alla luce delle numerose segnalazioni pervenute dalla cittadinanza. La domanda sorge spontanea: le segnalazioni di auto in perenne sosta vietata sono forse di meno? Eppure direi che le contravvenzioni sono numerose ed abbastanza evidenti, di certo non solo tra i pedoni. Faccio un breve riepilogo di quanto segnalato più e più volte alla Polizia locale, evidentemente senza grande successo. Premetto che le zone che segnalo sono solo le poche in cui mi trovo a transitare abitualmente, ma va da sé che il campione è abbastanza rappresentativo. Per esempio le auto sostano ormai costantemente ed in tutta tranquillità in via Ghega (di fronte alla nota gelateria), spesso parcheggiate direttamente a pettine e sul marciapiede. In questa maniera causano rallentamenti pesanti del traffico, che in quella zona come sappiamo è particolarmente intenso e che si trova così costretto sulle restanti due corsie. Sostano inoltre indisturbate all'inizio di via Udine, in via de Rittmeyer, lungo tutta via Roma (spesso e volentieri sugli slarghi riservati agli autobus), in via del Mercato Vecchio, in corso Italia, in via San Spiridione, in corso Saba (ormai ridotto da anni ad un’unica angusta corsia), in via Oriani e in piazza Garibaldi (anche in questo caso in comoda sosta davanti ai bar). E ancora: di fronte al Mercato Coperto, in via Coroneo e così via. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. Eppure nonostante le ripetute segnalazioni non ho mai visto pattuglie applicare multe, nemmeno quando fisicamente in zona. Come mai? Viene da chiedersi per quale motivo i cittadini dovrebbero osservare le regole, dal momento che chi non le rispetta non viene punito e anzi, gode tutto sommato di maggiori diritti. Dalla gestione del traffico si passa facilmente a più ampie considerazioni sulla società. Il senso civico è da considerarsi un limite? Lo chiedo perché se per esempio il diritto individuale di gustare un gelato o di bere comodamente un aperitivo senza cercare un parcheggio regolare è garantito più del diritto della collettività di avere un traffico cittadino scorrevole e sostenibile, allora è necessario davvero rivedere il nostro “contratto sociale”. Sarò disposta a tollerare il pugno di ferro nei confronti delle biciclette solo quando lo stesso trattamento verrà riservato anche alle automobili ed a tutto il resto, perché solo allora avrò la certezza che si punisce la contravvenzione – qualunque essa sia - e non l’obiettivo di comodo, che tra l’altro in questo caso mi pare veramente il male minore.
Il nuovo viale Miramare non supera il test - Sotto
accusa i restringimenti di carreggiata istituiti per consentire la svolta in
Porto vecchio e la segnaletica poco chiara
il pericolo tamponamenti - Molti automobilisti all’altezza della bretella
che porta al Magazzino 26, rallentano e frenano di colpo con il rischio di
creare incidenti
Segnaletica poco chiara e fuorviante e modifiche alle corsie che creano
rallentamenti e tratti pericolosi per i pedoni. La nuova viabilità della
bretella in ingresso e uscita tra viale Miramare e il Porto vecchio non registra
consensi tra i triestini. A lamentarsi automobilisti, scooteristi e pure i tanti
ciclisti che attraversano la zona. I loro sfoghi hanno iniziato a riversarsi
sempre più copiosi sul web nei giorni scorsi. Ma cos'è cambiato nell’arco delle
ultime settimane? La corsia di sorpasso, che si apre dopo aver superato il
cavalcavia del ponte ferroviario, è diventata una carreggiata per consentire la
svolta a sinistra in prossimità dell'imbocco dell’antico scalo. E anche la
corsia opposta, percorsa da chi è diretto in centro città, si restringe subito
dopo lo slargo che consente di svoltare verso il Porto vecchio all'interno.
Novità, come detto, poco apprezzate dagli habituè. Per rendersene conto basta
fare un salto in zona. Nel tardo pomeriggio di sabato chi rientra in auto da
Barcola verso il centro, in prossimità della segnaletica gialla provvisoria,
rallenta e alle volte si ferma per controllare come mai la corsia si sia
ristretta. Più di qualcuno poi finisce per sconfinare nella carreggiata che
ospita ora il senso opposto di marcia, per poi ritornare frettolosamente a
destra ed evitare di trovarsi di fatto contromano. Sul marciapiede che costeggia
la vecchia ferrovia intanto camminano gruppetti di ragazzini, anche loro di
rientro dal mare, che si trovano ad attraversare senza protezioni. «Sia andando
sia tornando, il marciapiede si interrompe - spiega una ragazza indicando il
tratto incriminato -. Non ci sono le strisce pedonali per proseguire e qui molte
auto sfrecciano. In più, se per caso volessimo svoltare all'interno del porto,
lo spazio pedonale non ci sarebbe comunque: si finisce nello sterrato, tra le
erbacce». Qualcuno prova ad attraversare raggiungendo di corsa l'area
spartitraffico in mezzo alle corsie, con il rischio di essere travolto. Alcuni
ciclisti, che arrivano dal Porto vecchio invece, segnalano un’altra perplessità.
«Volendo dirigersi verso Barcola - dicono - non è possibile alcuna svolta a
sinistra su viale Miramare, ed è anche impossibile, vista la mancanza di
attraversamenti pedonali, raggiungere la pista ciclabile di fronte». E le bici
nel tratto sono davvero tante, tra triestini, gruppi di giovani e turisti di
passaggio. Stessa considerazione espressa da alcuni centauri. Camminando poi tra
blocchi spartitraffico caduti a terra e paletti abbandonati nel verde, a
preoccupare è anche la mancata precedenza dei veicoli che arrivano da viale
Miramare verso Porto vecchio. «Forse sarebbe meglio aggiungere un segnale di
“stop” - spiega proprio uno dei pochi automobilisti al volante che rispetta la
segnaletica orizzontale -, perché non ci si aspetta che possano arrivare altre
auto da sinistra». Tra l’altro, a qualche metro di distanza, c’è gettato a terra
proprio un grande cartello di “stop”, che fosse destinato a quello? L’ultimo
dettaglio segnalato dai cittadini riguarda il cartello posizionato sempre in
ingresso da viale Miramare verso le strutture del porto, con un chiaro “divieto
di transito ed accesso veicolare e pedonale”. Sotto una scritta piccola cita
varie eccezioni alla limitazione, compresa una per «i visitatori degli edifici
museali». Peccato che siano in molti a scegliere la scorciatoia eludendo
l'avvertimento, peraltro difficile da leggere per chi guida. C’è poi un altro
aspetto. Stando alle intenzioni del Comune, la rivoluzione nell'asse di
scorrimento sarebbe mirata proprio a favorire la fruibilità del Magazzino 26,
della Sottostazione Elettrica e della Centrale Idrodinamica tanto ai cittadini
quanto ai turisti, che sul web però segnalano lo stato di degrado in cui versa
proprio il tratto che conduce ai tre gli edifici, tra cespugli che nascondono
rifiuti, ancora pezzi di vecchia segnaletica dimenticati e pure una bicicletta
rotta, forse rubata e abbandonata da qualcuno sul ciglio della strada.
Micol Brusaferro
Razeto: «Prematuro prendere posizione sulla Ferriera»
«Il gruppo Arvedi, con l’acquisizione dello stabilimento di Servola nel
2014, ha posto fine a un periodo di incertezze sul destino dello stesso, dei
suoi lavoratori e di quelli dell’indotto. Parallelamente a quelli di voler
proseguire e ampliare l’attività industriale e l’occupazione, il gruppo ha preso
una serie di impegni concreti per il ripristino manutentivo degli impianti e
l’adeguamento dei presidi ambientali, con l’obiettivo di una drastica riduzione
delle emissioni. Tali impegni sono parti vincolanti di un Accordo di programma,
sottoscritto con le istituzioni nazionali e del territorio, che prevede il
rispetto di parametri stringenti imposti dalla nuova Aia e di un timing
prestabilito». Lo afferma il presidente di Confindustria Venezia Giulia, Sergio
Razeto, sulla questione Ferriera. «Dalle rilevazioni fatte dagli enti preposti
al controllo, tra cui l’Arpa - prosegue Razeto -, emerge che gli interventi in
attuazione stanno già portando dei miglioramenti visibili, pur essendo accaduti
alcuni episodi di malfunzionamento con le emissioni che i cittadini hanno visto
e lamentato. Dato che la sostenibilità ambientale e la salute sono due aspetti
fondamentali da tutelare, l’associazione valuta positivamente che nei confronti
dell’impianto e del percorso di messa in sicurezza e prevenzione, vi sia un
costante monitoraggio da parte di tutte le istituzioni del territorio.
Confindustria rileva nuovamente - conclude Razeto - che bisogna attendere il
termine del percorso di ammodernamenti programmati per poter avere il nuovo
quadro complessivo e dati oggettivi sulla riduzione degli inquinanti da
giudicare. Se il processo, una volta completato, non dovesse portare a quanto
previsto, il progetto andrà riconsiderato, come peraltro l’industriale ha già
previsto di fare. Prendere posizioni ora è prematuro e potrebbe portare a
decisioni in grado di pregiudicare il percorso di assunzioni che è iniziato e ha
già portato all’incremento del numero di dipendenti».
L’Armata degli scarti viventi prende vita grazie ai ragazzi -
ShorTs Film Festival pensa ai più giovani: da oggi, ogni giorno, sul nostro giornale gli indizi per inventare un personaggio... dai rifiuti. Che poi diventerà un corto
Cosa succederebbe se i rifiuti che cestiniamo ogni giorno d’improvviso riprendessero vita? Parte da questa suggestione una nuova iniziativa dedicata ai ragazzi targata ShorTs International Film Festival, che nel titolo fa il verso ai film cult di George Romero e Sam Raimi. Si chiama “L’armata degli scarti viventi contest. Laboratorio di costruzione e animazione di fantastiche creature con i rifiuti” e Il Piccolo ha deciso di sostenerlo come partner per il suo valore educativo e didattico. A realizzarlo è il regista Francesco Filippi, che ShorTs ha il piacere di ospitare nuovamente a Trieste per questo originale progetto, realizzato grazie al sostegno di AcegasApsAmga. Con questa iniziativa, dunque, gli scarti “risorgeranno”, perché i ragazzi sono chiamati a scatenare la propria creatività e inventare un personaggio dai rifiuti. Nel corso del laboratorio poi i personaggi inventati verranno animati con la tecnica della stop motion, dando vita a un cortometraggio di animazione che verrà presentato al pubblico il 2 luglio, in piazza Verdi. “L’Armata degli scarti viventi”, spiegano da ShorTs, è un contest dedicato ai ragazzi dai 10 ai 14 anni, ma verranno accolte proposte fantasiose, divertenti e realizzabili anche se i proponenti saranno più piccoli o più grandi. Il laboratorio con Francesco Filippi si terrà alla Mediateca l’1 e il 2 luglio dalle 10 alle 18 e sarà a numero chiuso (max 15 ragazzi). Che cosa bisogna fare per iscriversi? Da oggi al 4 giugno verranno pubblicati quotidianamente su Il Piccolo gli indizi per la creazione del proprio personaggio: vanno raccolti e sulla base degli spunti forniti i ragazzi potranno liberare la propria fantasia. Per candidare la propria “creatura” bisognerà registrarsi su www.maremetraggio.com e compilare il form relativo.
Giulia Basso
COMUNICATO STAMPA - SABATO, 27 maggio 2017
Spiagge e Fondali Puliti - Clean up the Med di Legambiente : oltre 300 azioni di pulizia dal 26 al 28 maggio in tutta Italia e nel Mediterraneo, e anche in Friuli Venezia Giulia.
Oltre trenta volontari hanno raccolto rifIuti di ogni
genere sulla spiaggia di Canovella de' Zoppoli (Comune di Duino Aurisina).
In seguito al monitoraggio “Beach Litter” svolto da Legambiente a fine
aprile su 62 spiagge italiane, è stata trovata una media di 670 rifiuti ogni 100
metri lineari di spiaggia. L’84% degli oggetti trovati è di plastica e il 64%
dei rifiuti spiaggiati proviene da oggetti usa e getta. A Canovella sono stati
censiti ben 665 rifiuti, per il 93% di plastica: soprattutto pezzi di reti per
la coltivazione dei mitili (43%), frammenti di plastica e polistirolo (21%),
tappi e coperchi (6%), bottiglie e contenitori di plastica (4%).
Su www.legambiente.it/marinelitter la mappa interattiva dei rifiuti e le foto.
Rifiuti di ogni forma, genere, dimensione e colore, frutto della cattiva
gestione a monte e dell’abbandono consapevole, continuano ad invadere le spiagge
italiane e quelle del resto del Mediterraneo: come buste, reti per la
coltivazioni di mitili, tappi e scatole di latta, mozziconi di sigaretta,
bottiglie e flaconi, cotton fioc; per non parlare di quelli che si trovano in
mezzo al mare come le microplastiche o quelli che si depositano sul fondale;
tutti mettono in serio pericolo la biodiversità.
Quali sono le cause di questa situazione? Le principali sono: la cattiva
gestione dei rifiuti urbani (49%), pesca e acquacoltura (14%) e mancata
depurazione (7%). La scorretta gestione dei rifiuti a monte, le attività
turistiche e ricreative, l'abbandono consapevole sono responsabili della metà
dei rifiuti presenti sulle spiagge italiane. A far la parte da leone tra gli
oggetti trovati sulle spiagge monitorate ci sono gli imballaggi (un rifiuto su
tre). Le attività produttive (pesca e acquacoltura) sono invece responsabili di
una media di 95 oggetti ogni 100 metri di spiaggia, tra cui calze da
coltivazione di mitili, cassette e cime.
L’inefficienza dei sistemi depurativi si ripercuote anche sulla presenza dei
rifiuti sulle spiagge, responsabile della presenza del 7% del beach litter come
bastoncini cotonati, blister di medicinali, contenitori delle lenti a contatto,
piccoli aghi da insulina, assorbenti e altri oggetti di questo tipo. Per
prevenire, sensibilizzare e informare le amministrazioni e cittadini,
incoraggiando una corretta gestione dei rifiuti e una partecipazione attiva,
Legambiente organizza la campagna Spiagge e fondali puliti, che coinvolge
migliaia di volontari che ogni anno raccolgono dati scientifici sul beach litter
e si attivano per ripulire le spiagge
Sabato 27 maggio, oltre 30 volontari di Legambiente Trieste, con l'aiuto di
Trieste Altruista e dei richiedenti asilo organizzati dall'ICS, hanno raccolto
numerosi sacchi di rifiuti spiaggiati o abbandonati lungo la spiaggia di
Canovella de'Zoppoli, in comune di Duino Aurisina. La giornata di pulizia e
volontariato si è svolta con il contributo di Sammontana. La spiaggia di
Canovella è stata scelta grazie a 670 like degli utenti sui social network.
IL PICCOLO - SABATO, 27 maggio 2017
Scontro Regione-Comune dopo il vertice sulla Ferriera
Dura nota dell’ente guidato da Serracchiani: «Non corrispondono al vero
le parole dell’assessore Polli sulla posizione della struttura commissariale»
Botta e risposta a distanza tra Regione e Comune all’indomani della riunione
ministeriale sulla Ferriera. «Non sono da considerare rispondenti al vero le
dichiarazioni rilasciate dall’assessore comunale all’Ambiente, Luisa Polli,
secondo cui nel corso dell’incontro con il ministero dell’Ambiente la struttura
del Commissario per la Ferriera di Servola (che fa capo alla presidente
Serracchiani, ndr) si sarebbe espressa negativamente rispetto agli adempimenti
ambientali posti in essere da Siderurgica triestina», sottolinea la Regione a
chiarimento delle parole espresse dall’assessore in un video pubblicato sulla
pagina Facebook del sindaco Roberto Dipiazza. Il post era stato diffuso poco
dopo che lo stesso dicastero aveva deciso di frenare provvisoriamente
l’ampliamento del laminatoio all’interno dello stabilimento a causa di un
ritardo della società, rilevato dal governo, «nell’attuazione delle misure che
interessano il trattamento delle acque di falda». Ma la questione ora si è
spostata su quanto riferito dalla giunta comunale al termine dell’incontro.
«Ricordando che tutte le dichiarazioni sono state registrate e verranno
riportate nel verbale redatto dal ministero - annota la Regione - va evidenziato
che l’unico intervento della struttura commissariale è stato volto a precisare
che, relativamente alle acque di falda, quanto posto in essere dalla parte
pubblica non fa venir meno in alcun modo la necessità che anche Siderurgica
adempia a quanto di propria competenza, come stabilito nell’Accordo di
programma». Il comunicato, infine, invita il Comune «a diffondere notizie
corrette e aderenti ai fatti, soprattutto quando attribuisce dichiarazioni a
strutture della Regione. La distorsione o l’invenzione radicale da parte del
Comune di dichiarazioni rese in sedi ufficiali contrasta gravemente con lo
spirito di collaborazione istituzionale più volte invocato dall’amministrazione
regionale». Sulla vicenda delle acque di falda è intervenuta pure Siderurgica
Triestina. «Al momento, con i soggetti istituzionali preposti, si stanno
effettuando le misure dirette sul terreno - scrive la società -, operazione che
richiede un tempo tecnico necessario ai rilevamenti, intaccando inevitabilmente
il cronoprogramma. A oggi sono state smaltite ben 45 tonnellate di materiale
dell’area bonificata risalente al primo dopoguerra. Altro impegno portato a
termine - fa sapere l’impresa - è lo smaltimento del cumulo storico di rifiuti
da 12mila tonnellate che dilavavano e percolavano nel mare e nel sottosuolo e
giaceva da tempo immemore sull’area demaniale, impattante anche sotto l’aspetto
paesaggistico. Per quanto attiene alla richiesta di “Variante al progetto di
reindustrializzazione”, vale a dire l’ingrandimento del laminatoio, Siderurgica
Triestina aveva già trasmesso in data 17 marzo il piano che prevede
l’ampliamento di circa 800 mq del capannone destinato a ricevere i nuovi
impianti di decapaggio; con tali impianti lo stabilimento di Trieste sarà in
grado di lavorare anche rotoli di acciaio grezzi ampliando in questo modo la sua
gamma di prodotti e incrementando i volumi produttivi dell’area a freddo. Da
notare - conclude il comunicato - che in quest’area già lavorano circa cento
nuove risorse e con questo ampliamento si prevede l’assunzione di ulteriori
25/30 persone».
Gianpaolo Sarti
Vito: «Dai giardini di veleni nasce uno strumento anti
inquinamento»
Prenderanno il via a breve i primi interventi del Comune di Trieste,
finanziati dalla Regione, per fronteggiare l’inquinamento diffuso accertato nei
giardini del capoluogo. I lavori, che costituiscono uno stralcio del piano di
gestione in corso di predisposizione dal Tavolo tecnico (di cui fanno parte
Regione, Comune, Arpa Fvg e Asuits), riguardano gli spazi verdi delle scuole Don
Chalvien di via Svevo e Biagio Marin di via Praga, a Servola. Il Tavolo tecnico
ha poi esaminato il protocollo operativo per l’elaborazione di piani di gestione
per l'inquinamento diffuso, che potranno diventare uno strumento operativo per
affrontare analoghe situazioni. Il Friuli Venezia Giulia sarà, quindi, la prima
Regione in Italia a disporre di un protocollo operativo in tal senso. «Dal
problema dei giardini inquinati di Trieste - ha commentato l’assessore regionale
all'Ambiente, Sara Vito - ricaviamo ora un modello più avanzato per la lotta
all'inquinamento diffuso».
IL PICCOLO - VENERDI', 26 maggio 2017
Il Ministero dell'Ambiente stoppa il laminatoio della Ferriera
Negata l'autorizzazione alle opere di ampliamento "fino a quando non saranno inviate da parte dell'azienda le relazioni afferenti gli interventi da compiersi sulle acque di falda".
Scontro Comune-Regione sui potenziali rischi di ordine pubblico nel rione - Al tavolo per fare il punto sull’Accordo di programma presenti le istituzioni, la proprietà della fabbrica , l’Arpa e Invitalia
TRIESTE Stop provvisorio all'ampliamento del laminatoio
della Ferriera di Servola. Il Ministero dell'Ambiente ha infatti negato
l'autorizzazione alle opere "fino a quando non saranno inviate da parte
dell'azienda le relazioni afferenti gli interventi da compiersi sulle acque di
falda".
E' quanto è emerso nella riunione che si è tenuta giovedì 25 maggio a Roma, un
incontro convocato dal Ministero per valutare lo stato di attuazione delle
misure di prevenzione ambientale adottate da Siderurgica Triestina nell'area
della Ferriera di Servola e per vagliare la richiesta di variante al progetto
già approvato con decreto interministeriale, con la quale l'azienda richiedeva,
per l'appunto, di essere autorizzata ad effettuare nuovi interventi sul
capannone del laminatoio.
Alla riunione hanno partecipato il Comune di Trieste, la Regione, l'Arpa e la
Capitaneria di Porto, oltre alla struttura commissariale per l'attuazione
dell'accordo quadro sulla Ferriera e la società Invitalia. "Nella riunione -
riferisce la Giunta regionale in una nota - Siderurgica Triestina ha dato conto
di quanto è stato effettuato, evidenziando come larghissima parte degli
interventi previsti sia dall'Accordo di Programma che dall'AIA siano già stati
realizzati, alcuni saranno realizzati a breve e comunque entro i termini
previsti, mentre solo determinati interventi specifici scontano delle difficoltà
contingenti che sono in corso di risoluzione. In quest'ultimo caso - riferisce
sempre la Giunta regionale - il riferimento è in particolare al rinvenimento di
un deposito interrato risalente al primo dopoguerra, per la rimozione del quale
sono state predisposte una serie di attività preliminari costantemente validate
dall'Arpa".
Il Ministero ha comunque rilevato un ritardo da parte di Siderurgica Triestina
nell'attuazione delle misure che interessano il trattamento delle acque di
falda, invitando l'azienda a fornire maggiori dettagli tecnici delle attività
effettuate in occasione della presentazione dei report periodici. Relativamente
all'autorizzazione all'effettuazione di varianti al capannone del laminatoio,
nonostante l'azienda abbia fatto presente come gli interventi richiesti si
svolgerebbero in aree non interessate da attività di ripristino ambientale, il
Ministero ha sottolineato come queste opere non possano essere autorizzate fino
a quando non saranno inviate le relazioni sugli interventi da compiersi sulle
acque di falda.
Il sindaco Roberto Dipiazza, presente assieme all'assessore comunale
all'Ambiente Luisa Polli ha riferito in un video postato sulla sua pagina
Facebook di aver sottolineato che i mesi estivi "saranno drammatici" per i
residenti del rione di Servola, ventilando anche il rischio che tali criticità
portino "a problemi di ordine pubblico".
A questo proposito, la Regione - riferisce sempre la Giunta regionale - "al
termine della riunione ha espresso rammarico per i termini con cui, in un ambito
evidentemente improprio e con modalità improvvisate, è stata sollevata una
questione delicata come quella dell'ordine pubblico. È convinzione della Regione
che tutte le Istituzioni debbano lavorare assieme per prevenire ed evitare
qualsiasi disagio della popolazione. A Trieste ogni legittima manifestazione,
anche di dissenso, si svolge usualmente con grande civiltà, per cui evocare
problemi di ordine pubblico non pare congruo, e forse neppure opportuno da parte
del sindaco del capoluogo".
La soddisfazione social dell’assessore Polli «Così metteremo alle corde l’azienda»
Il nodo Ferriera, come noto, è seguito direttamente dal sindaco Roberto Dipiazza. Ma al tavolo istituzionale di ieri al ministero, a conferma della delicatezza dell’intera partita, era presente anche l’assessore all’Ambiente Luisa Polli. Pure lei è intervenuta con un video postato su Facebook, in coda alle dichiarazioni del primo cittadino. «Efficacia ed efficienza, questo è stato chiesto per l’adeguamento dell’impianto», ha affermato l’esponente della giunta. Per poi rimarcare i concetti espressi dal sindaco sulla piega che ieri ha assunto la questione. «L’evolversi della situazione è stata delineata come negativa dalla Capitaneria di Porto e dalla struttura del Commissario (che fa capo alla presidente della Regione Debora Serracchiani, ndr). E allora oggi noi Comune abbiamo chiesto che Arvedi presenti nel più breve tempo possibile una scheda dettagliata su tutte le 115 attività che deve svolgere per l’Aia e per l’Accordo di programma. Grazie a questa scheda - ha osservato ancora l’assessore all’Ambiente nel suo intervento pubblico sul web - noi vedremo e potremo dimostrare ciò che non è stato fatto. Ma nel contempo non dimentichiamo che l’impegno chiesto dal sindaco nell'incontro con i cittadini porterà all’emanazione di un’ordinanza per mettere alle strette Arvedi» affinché faccia «ciò che deve essere fatto».
(g.s.)
«A rischio l’ordine pubblico» - È polemica Comune-Regione
Dipiazza parla di «mesi drammatici» in vista dei presidi del Comitato 5 dicembre - La replica: «Trieste è civile. Evocare problemi di questo tipo non è opportuno»
Sulla vicenda Ferriera i toni del sindaco di Trieste Roberto Dipiazza continuano a rimanere duri. Il primo cittadino, nel suo video online di ieri, stavolta ha ventilato «problemi di ordine pubblico». La Regione ha reagito immediatamente. Risultato: una polemica a distanza. Dipiazza ha evocato possibili problemi in riferimento al Comitato 5 dicembre, il gruppo di cittadini che si batte per la chiusura dell’area a caldo, regista delle grandi manifestazioni di piazza anti Ferriera prima delle elezioni dello scorso giugno. Quel gruppo, in una recente assemblea, ha infatti promesso di organizzare «presidi permanenti» per ottenere il proprio risultato e ha annunciato come prima cosa un picchetto permanente davanti al palazzo della Regione in piazza Unità. «Giugno, luglio e agosto saranno dei mesi drammatici, avremo problemi di ordine pubblico», ha scandito nel video su Facebook Dipiazza. «L’ho detto in maniera molto chiara», ha precisato poi riferendosi alla riunione con i rappresentanti ministeriali e quelli di Siderurgica Triestina a Roma. «Spero che questi si rendano conto - ha insistito il primo cittadino - che ora è inutile dire “abbiamo fatto protocolli col ministero”... eccetera... sono tutte cose che non servono a nulla. Cosa diciamo ai cittadini di Servola? In questo momento il ministero ha impegnato veramente in maniera molto forte Siderurgica Triestina, o Arvedi, come volete chiamarla, perché devono fare quello che non hanno fatto fino ad adesso». Il passaggio sull’ordine pubblico non è sfuggito alla Regione che ha deciso di rispondere nella nota diffusa nel pomeriggio. «Il Comune, rappresentato dal sindaco Roberto Dipiazza e dall’assessore all’Ambiente Luisa Polli, ha ricordato la criticità della situazione per i residenti del rione di Servola, in vista anche della stagione estiva alle porte», è la premessa del comunicato dell’amministrazione Serracchiani. «Il sindaco ha inoltre prospettato il rischio che tali criticità portino a generare problemi di ordine pubblico. La Regione ha ribadito come la questione relativa alla qualità della vita nel quartiere di Servola sia di preminente interesse per l’amministrazione regionale ed ha evidenziato come qualsiasi decisione non possa prescindere dall’acquisizione di dati obiettivi. In tale ottica - viene suggerito nel testo della Regione stessa - si colloca l’accordo stipulato recentemente con l’Istituto superiore di sanità per la valutazione degli impatti sulla popolazione derivanti dall’attività industriale, che verrà svolta prioritariamente sugli abitanti di Servola. Il ministero, nel concludere i lavori del tavolo, ha auspicato una rapida risoluzione da parte di Siderurgica Triestina delle criticità emerse al fine di poter proseguire nell’intervento di reindustrializzazione dell’area». Una lunga premessa che serve alla Regione per esprimere tutto il proprio «rammarico per i termini con cui, in un ambito evidentemente improprio e con modalità improvvisate, è stata sollevata una questione delicata come quella dell’ordine pubblico. È convinzione della Regione - conclude la nota della giunta regionale - che tutte le istituzioni debbano lavorare assieme per prevenire ed evitare qualsiasi disagio della popolazione. A Trieste ogni legittima manifestazione, anche di dissenso, si svolge usualmente con grande civiltà, per cui evocare problemi di ordine pubblico non pare congruo - è la chiosa - e forse neppure opportuno da parte del sindaco del capoluogo».
(g.s.)
«La città non può fare a meno dell’industria» - Convegno al Centro Veritas sul futuro economico della città. Gli altri pilastri: porto, ricerca e turismo
La crescita consistente del porto e del turismo non basta: il futuro economico di Trieste non può prescindere dall’industria. È il dato concorde uscito dal convegno organizzato ieri sera dal Centro Veritas e condotto dal suo direttore Luciano Larivera. Fin dall’inizio ha incanalato il dibattito su questa strada il segretario dell’Autorità di sistema portuale Mario Sommariva, che dopo aver identificato in industria, porto, ricerca e turismo i quattro pilastri della città, stavolta ha acceso un piccolo faro su quello che è uno dei pochissimi dati in negativo dello scalo: le rinfuse solide. «Calano - ha spiegato - perché sono in calo i trasporti alla banchina della Ferriera. Ma i grandi territori non possono vivere senza industria. La prima scommessa della città in questo settore è coniugare l’industria con forti investimenti migliorativi sul fronte ambientale. È questo che si sta facendo, eppure la Ferriera ha di fronte una politica di forte ostilità e non ci si rende conto che uno scenario diverso ci metterebbe di fronte a un’altra Aquila». «Nuove lavorazioni industriali - ha sottolineato Stefano Visintin, presidente dell’Associazione degli spedizionieri del porto - potranno avvenire in aree di Punto franco anche distanti dal mare, appunto in zona industriale. Il nostro regime di aree franche ci consente già le agevolazioni doganali, dobbiamo puntare ora su quelle fiscali: nessuna regione può averne diritto più del Friuli Venezia Giulia che confina con Slovenia e Austria, dove la tassazione estremamente più bassa che in Italia». Ma altre imprese possono trovare spazio anche in Porto vecchio, nella fattispecie quelle più innovative. Lo ha rilevato Diego Bravar, vicepresidente Confindustria Fvg. «Lo stesso traffico delle merci potrà essere incrementato - ha spiegato - grazie allo sviluppo delle tecnologie favorito da imprese innovative. Trieste è già ben attrezzata, ma manca l’ultimo miglio - ha ammonito - quello dove ricercatori e imprenditori si mettono assieme e procedono uniti». Si può chiudere il cerchio, secondo Bravar, costituendo un comitato che si impegni a far diventare Trieste capitale europea della scienza 2020. «C’è qualcosa che non va se a Trieste l’industria porta solo il 9% del Pil» ha chiuso gli interventi Paolo Deganutti, collaboratore di Limes dai cui articoli ha preso spunto l’incontro. E sottolineando come sia finita l’epoca in cui parlare di Porto franco a Trieste era ritenuto sconveniente, ha affermato che «la stessa Bers (Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo) che la governatrice Serracchiani vedrebbe bene in Porto vecchio è una sorta di riedizione dell’offshore di cui si parlava negli anni Novanta». Ha infine sintetizzato la ricetta per il definitivo rilancio di Trieste: «portualità, collegamenti ferroviari, Punto franco per insediare industrie 4.0, no tax area, Autorità di sistema portuale nel ruolo di catalizzatore e regolatore del territorio, turismo congressuale e culturale».
Silvio Maranzana
Bici “fuori legge”, segnalazioni a raffica - Il vicesindaco Roberti: «Sulle soste vietate nuovi controlli con un apposito furgone». Ogni giorno manciate di lamentele
Il Comune dichiara guerra alle biciclette abbandonate o semplicemente non parcheggiate negli stalli regolari. Fioccano le rimozioni e soprattutto le segnalazioni dei cittadini, alle quali seguono gli interventi dei vigili. Lamentele così numerose che sono in programma a breve nuovi controlli in tutta la città. Secondo il nuovo regolamento della Polizia locale, approvato recentemente, gli agenti possono tagliare le catene e aprire i lucchetti di tutte le biciclette agganciate a un palo, a un semaforo, a una ringhiera o a qualsiasi appiglio che non sia una rastrelliera regolare per bici. «Finora sono state rimosse nove carcasse di biciclette - fa sapere il vicesindaco Pierpaolo Roberti - mentre tante altre, anche se non abbiamo il numero preciso, sono state prelevate perché in posizioni non regolari, ma sono funzionanti e quindi vengono tenute in deposito. Quelle considerate al pari di rifiuti saranno smaltite, quelle in buono stato sono ferme, in attesa che il proprietario venga a reclamare il proprio mezzo, che potrà riavere dopo aver pagato la sanzione, da 30 euro se procurava intralcio fino a 100 se era abbandonato». Tutti gli interventi derivano da segnalazioni, ripetute quasi quotidianamente, da parte dei cittadini arrabbiati. «Registriamo davvero tantissime lamentele e quindi poi bisogna provvedere. Le bici lasciate sui pali o dimenticate creano problemi di decoro urbano o danno fastidio a chi deve passare. In più spesso vengono razziate, distrutte. Nelle prossime due settimane effettueremo nuovi controlli, con un furgone, per rimuovere ulteriori mezzi». Rabbia dei cittadini verso i catorci, ma anche verso chi lascia la bici su marciapiedi o aree pedonali. Alcuni, dopo aver visto svanire il proprio mezzo, hanno pensato fosse stato rubato. Poi l’amara sorpresa. Alla persona non arriva alcuna notifica, il proprietario saprà della sanzione soltanto quando andrà a richiedere la propria bici alla Polizia locale. E il fastidio dei cittadini nei confronti del fenomeno si dimostra anche attraverso ammonimenti fai da te. «Ho visto in via Diaz un cartello sistemato su una bici - ricorda Roberti - che indicava come creasse disturbo a un ingresso vicino». «Ho ricevuto un avvertimento - racconta una persona - sulla mia bici in via Udine, scritto da qualcuno a penna, che intimava di spostarla velocemente, altrimenti sarebbero stati chiamati gli agenti. Sono d’accordo con l’idea di fare pulizia e ordine, ma a patto che venga consentito ai ciclisti di trovare un numero adeguato di stalli in città, che al momento non ci sono». I posti per bici sono in totale 195, a fronte di circa 3500 ciclisti, secondo un recente sondaggio della Fiab. Troppo pochi stalli quindi per accontentare chi vuole lasciare il proprio mezzo in sosta consentita. Anche su questo fronte risponde Roberti: «Ci sono poche rastrelliere ma spesso sono libere, come ad esempio in largo Granatieri. Sono d’accordo che dovremo aumentarle e lo faremo, ma è altrettanto vero che se so di non trovare posto per l’auto in corso Italia non ci vado, così dovrebbe accadere per i ciclisti. La sosta selvaggia non è giustificabile per nessun mezzo». E passeggiando in Cavana tra bici attaccate un po’ ovunque, i ciclisti difendono la categoria. «Prima di colpire questo settore - dice Marco Svevo - bisognerebbe punire la “malasosta” di auto ovunque. In più mancano stalli, spesso in zone nevralgiche, come la stazione dei treni o il centro città». «Cerco di lasciarla meno possibile fuori, perché ne rubano tante - racconta Davide Carlin - ma gli spazi per appoggiarle regolarmente non ci sono. Inutile il pugno di ferro se le strutture mancano». D’accordo con i provvedimenti Gianluca Divo, rivenditore di bici proprio in zona: «In Cavana le vedi sistemate ovunque, compresi i rottami. Creano difficoltà ai pedoni - commenta -. Certe volte sembra una giungla, un po’ di disciplina ci sta». E sull’argomento interviene anche Diego Manna, scrittore, editore, ma soprattutto tra i più grandi sostenitori a Trieste della mobilità a due ruote. «Penso che l’utilizzo della bicicletta a Trieste sia in crescita esponenziale. Non ci si accorge che tutto ciò va a vantaggio anche di chi è costretto a utilizzare l’auto, perché più persone scelgono la bici, meno auto ci sono in giro e quindi le strade sono meno trafficate e più scorrevoli. La campagna “anti degrado” contro le bici parcheggiate sui pali ha generato e giustificato un clima di fastidio verso le biciclette. Speriamo corrano ai ripari stemperando il clima».
Micol Brusaferro
BOTTA E RISPOSTA «Sanzionata con 600 euro» - Ma i vigili: «Sono solo 100»
Bicicletta sparita e 600 euro da versare per riaverla. Non si tratta di un riscatto, ma di un episodio accaduto a una ciclista triestina. Nel suo caso la multa salata è dovuta al fatto che la bici, rimossa in Cavana, è stata segnalata come “abbandonata”. Peccato che la ragazza si serva quotidianamente del mezzo che, pur non essendo nuovissimo, di certo non era inutilizzato. Dalla Polizia locale però smentiscono che l’importo sia così elevato. «La parcheggio da sei anni nello stesso punto, non ha mai dato fastidio a nessuno, finchè qualche giorno fa è sparita. Ho telefonato alla Polizia locale - racconta la proprietaria - che mi ha detto come la mia bicicletta fosse stata rimossa, su segnalazione di un cittadino, e che la cifra da sborsare, causa “stato di abbandono”, era appunto di 600 euro. È assurdo perché non è vecchia o malmessa. La bici in sé vale poco, forse 50 euro, c’è poi il valore del lucchetto che ovviamente è stato tranciato e distrutto. A questo punto sono curiosa di leggere il verbale». La ragazza andrà a ritirarlo lunedì, ma intanto alla Polizia locale i conti non tornano. «Crediamo ci sia stato un fraintendimento - dicono dagli uffici - di sicuro la multa è di soli 100 euro». La proprietaria della bici invece è certa di aver sentito bene proprio i 600 euro. «Ho chiesto più volte di ripetermi la cifra perché mi sembrava impossibile e mi è stato confermato sempre lo stesso importo. In più - sottolinea - non mi spiego il considerare la mia bici in stato di abbandono come specificato dagli stessi uffici della Polizia locale. È in condizioni buone, funzionante, si vede chiaramente. Capivo una sanzione perché era appoggiata a un paletto, ma non accetto la multa come mezzo abbandonato».
(mi.b.)
Pulizia dei fondali “vietata” a Muggia - La Capitaneria non dà il via libera all’intervento programmato dai sub per domenica nella spiaggia di porto San Rocco
L’associazione SCUBA TORTUGA: «Siamo sconcertati. Volevamo rendere più sicura un’area molto frequentata in estate»
MUGGIA «Avremmo voluto pulire gratuitamente i fondali della spiaggia di porto San Rocco ma la Capitaneria di Porto ci ha negato l’autorizzazione». È sconcertato e dispiaciuto Luciano Agapito, rappresentante della Scuba Tortuga, l’associazione sportiva subacquea muggesana che si era prodigata per organizzare, domenica, un maxi-evento di pulizia marina: «Avremmo avuto in acqua un centinaio di subacquei tutti mossi dal desiderio di contribuire al miglioramento dell’area, ma l'autorizzazione alle operazioni di pulizia dei fondali della spiaggia di porto San Rocco ci è stata negata». Il diniego è arrivato «a voce», adducendo «motivi di sicurezza». L’area in questione è interdetta alla balneazione dal lontano 2005 in seguito a una ordinanza, firmata dall’allora comandante Paolo Castellani, in cui si evidenziava che nello specchio acqueo antistante il tratto di litorale prospiciente la zona verde e il parcheggio pubblico di porto San Rocco risultavano essere presenti «alcuni residui in ferro sommersi affioranti dal fondale del mare» per la cui presenza si rendeva necessario interdire alla balneazione lo specchio acqueo antistante la predetta area. Da dodici anni, non essendo stata eseguita alcuna bonifica dei residui, l’area è ufficialmente off-limits, ma in realtà i bagnanti continuano a usufruire della zona, rischiando quindi di incappare in una sanzione che va dai 100 ai 1000 euro ai sensi dell’articolo 1164 del Codice della Navigazione. Recentemente la presenza di materiale ferroso è riemersa con forza, essendo da tempo visibile uno spuntone di ferro affiorante dal mare soprattutto nelle giornate di bassa marea. Motivo per il quale è stato chiesto l’intervento dei sub e in particolare dell’associazione Scuba Tortuga. Marco Pacini, amministratore dei condomini che compongono borgo San Rocco, è quasi basito dinanzi alla notizia del diniego da parte della Capitaneria di concedere una deroga alla vecchia ordinanza che stabilisce appunto il divieto di balneazione nello specchio di mare incriminato: «Mi pare di dover assistere a una classica vicenda all’italiana. Noi ci siamo attivati con il Comune per cercare di mettere in sicurezza questa parte di costa. In dodici anni nessuno ha fatto niente. Ora che abbiamo trovato delle persone competenti non si può intervenire? Mi pare una cosa ridicola. A questo punto attendiamo che sia la Capitaneria a operarsi per risolvere la questione per mettere una volta per tutte in sicurezza l’area». Una bonifica necessaria per mettere in sicurezza e al contempo per avviare l’iter di balneabilità dell’area. «Sui fondali della spiaggia di Porto San Rocco, oggetto del diniego, avevamo pensato di fare la nostra parte di cittadini, di difendere, preservare e tutelare il bene comune - racconta ancora Luciano Agapito -. Sappiamo che, nonostante il divieto, la spiaggia è molto frequentata e si fa il bagno abitualmente. La verifica dello stato dei fondali e la pulizia degli stessi ci è sembrato un doveroso tributo che la nostra associazione deve al territorio che la ospita. Evidentemente non siamo riusciti a far capire la nostra iniziativa - conclude Agapito -, motivo per cui chiederemo a breve un incontro con i vertici della Capitaneria di Porto per vedere se è possibile, con le adeguate garanzie sulla sicurezza del sito e di chi vi opera, riproporre la manifestazione».
Riccardo Tosques
IL PICCOLO - GIOVEDI', 25 maggio 2017
La lettera di “difesa” di Agapito sulla Ferriera
spedita dai grillini a Procura e Anticorruzione
I grillini hanno inviato alla Procura di Trieste e all’Autorità nazionale
anticorruzione di Raffaele Cantone la lettera alla Direzione centrale ambiente
ed energia della Regione con cui Luciano Agapito, direttore del Servizio tutela
da inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico, «ha cercato di
spiegare perché non si trovasse in una situazione di conflitto di interesse
quando, il 27 gennaio 2016, firmò il Decreto 96/Amb di riesame con valenza di
rinnovo dell’Aia della Ferriera, nonostante il fatto che, ad aprile 2015, il
figlio dello stesso direttore autorizzante, Daniele Agapito, avesse già ricevuto
da Siderurgica Triestina il primo di una serie di incarichi di progettazione e
direzione lavori». Lo annuncia la consigliera regionale Eleonora Frattolin: «A
nostro avviso, contrariamente a quanto sostenuto dalla giunta Serracchiani, la
lettera dell’ingegner Agapito non fa che confermare una situazione di potenziale
conflitto di interesse. Un fatto gravissimo che getta un’ombra sul procedimento
di rinnovo dell’Aia».
Duino Aurisina - I grillini lanciano il progetto
“Rifiuti zero”
DUINO AURISINA - Il candidato sindaco di Duino Aurisina del Movimento 5
Stelle, Lorenzo Celic, lancia il progetto “Rifiuti zero”. «Si tratta di un
processo strategico in dieci punti di elevato senso civico - spiega Celic -. È
un impegno che il Comune deve attuare ai fini della tutela ambientale, fornendo
al cittadino gli strumenti necessari per la corretta gestione del processo di
riciclaggio del rifiuto». Per il candidato sindaco, «vanno introdotti i
compattatori di bottiglie in plastica, vetro e lattine nei principali centri di
distribuzione alimentare. Inoltre si può prevedere che l’apertura dei bottini/compattatori
sia attivata con una tessera personale del cittadino che permetterà poi al
Comune di applicare ulteriori riduzioni sulla tassa rifiuti».
ARCHEOLOGIA A GRADO - “Pescata” l’ancora di una grande
nave romana
Nelle reti del peschereccio Alex un ceppo in piombo del peso di 180
chili: «Era quattro miglia al largo a venti metri di profondità»
Sbarcata in banchina - Non è la prima volta che succede, ma il recupero è
l’ennesima testimonianza della presenza di importanti reperti sul fondo del
golfo
GRADO Una grande àncora di epoca romana – dovrebbe risalire al periodo fra
il I e il III secondo dopo Cristo (è necessario verificare se ci sono iscrizioni
o segni per una datazione più precisa) - appartenuta a una nave di lunghezza
ipotizzabile fra i 25 e i 40 metri è stata trovata al largo di Grado ieri
mattina. L’ha pescata l’equipaggio del motopeschereccio “Alex” del capobarca
Rudy Bassetti. Oltre ai canestrelli e alle sogliole, racconta il capobarca, con
l’ultima pescata della giornata, l’equipaggio dell’“Alex”, dotato dei ramponi
per la pesca sul fondo, ha issato a bordo anche un’antica àncora in piombo di
epoca romana. L’àncora, integra, pesa ben 180 chilogrammi ed è lunga oltre un
metro e mezzo, quindi quasi sicuramente facente parte delle allora pur scarne
dotazioni di bordo di uno scafo di grandi dimensioni. Lunghezza e portata che
fanno ben capire come la nave fosse diretta proprio al porto di Grado. Ieri
mattina l’equipaggio del motopeschereccio l’ha sbarcata e portata al mercato
ittico di riva Dandolo accanto alla zona dove si effettua la pesatura e la
vendita all’asta mattutina del pesce. Con un carrello-muletto è entrato in
mercato il pescato; con un altro il prezioso reperto. Nonostante non si tratti
del primo ritrovamento del genere, il recupero ha incuriosito notevolmente.
Tutti gli altri pescatori che stavano portando il ricavato della loro fatica al
mercato ittico si sono soffermati ad ammirare il reperto e a commentare. Ma
anche, all’esterno, le numerose persone che giornalmente di buonora - ieri c’era
anche qualche turista austriaco - si recano a osservare le operazioni di scarico
del pescato, hanno assistito al trasporto di questa pesca davvero speciale. Tra
cassette di seppie, cefali, sogliole, canestrelli e tanto altro ancora che
transitavano lungo il molo, c’era, infatti, questa àncora. Un’altra àncora
simile a questa (ma non integra) che pesava 155 chili l’aveva portata a terra
nel 2004 lo stesso capobarca del motopeschereccio ”Alex”, Rudy Bassetti. Con lui
ieri a bordo c’erano Paolo Zuppelli, Paolo Agosto, Davide Camuffo e Davide
Pizzignacco. «La “pesca” dell’àncora di ieri mattina verso le 6.50 - dice Rudy
Bassetti - è avvenuta a circa quattro miglia e mezzo al largo di Grado a una
profondità di una ventina di metri». Altri pescatori, imbarcati sul peschereccio
“Màmola”, che sulla loro barca ormeggiata nelle vicinanze del mercato ittico,
stavano finendo di pulire le reti, hanno ricordato che molti anni fa c’era stata
la concomitanza di tre pescherecci che nella stessa giornata avevano portato a
terra, una ciascuno, delle ancore di epoca romana. Ciò per dire che i fondali
dinnanzi a Grado sono ricchi di relitti e reperti di ogni genere. Uno di questi,
la nave oneraria Iulia Felix risalente a un periodo fra fine I e inizi II secolo
dopo Cristo secolo è stata recuperata totalmente, sia come scafo (è in mille
pezzi depositati al costruendo museo di archeologia subacquea di Grado,
contrassegnati e distinti che vanno riassemblati). Dalla Iulia Felix, ritrovata
ancora nel lontano 1987, ben trenta anni fa, sono stati recuperati anche tutti i
reperti. C’è poi la più grande “Grado 2” (è più antica della Iulia Felix;
risale, infatti – la datazione è stata fatta basandosi sull’epoca delle anfore
trovate a bordo – tra fine II e inizio I secolo ma avanti Cristo) il cui scafo
pare destinato a rimanere stabilmente sotto il fondale. Di questo secondo
ritrovamento è già stato recuperato una parte del carico. Tanto altro ne rimane,
però, da recuperare ma tutto è fermo. Anche perché è necessario capire dove
saranno depositati i reperti che diventano sempre più numerosi ma che nessuno,
tranne i vari responsabili e operatori direttamente interessati, può vedere. C’è
inoltre da ricordare che come certezza esiste pure la segnalazione della
presenza di una terza nave romana individuata lo scorso anno ma sarebbe di epoca
decisamente più recente, ma quasi certamente, l’àncora trovata ieri porterà a
scoprire che c’è anche la “Grado 4”. @anboemo
Antonio Boemo
Occhi puntati sul Museo nazionale mai aperto - Rita
Auriemma: «Non è detto che ci sia un relitto». Caburlotto: «Pronti a inaugurare
entro il 2018»
GRADO Il reperto rimerso al largo di Grado è certamente un ceppo d’ancora in
piombo di tipo fisso con perno nella scatola. Da una prima valutazione delle
immagini disponibili Rita Auriemma, archeologa subacquea e direttore del
Servizio catalogazione, formazione e ricerca dell’Erpac, ritiene che possa
provenire da una nave romana di medio tonnellaggio di almeno 25 metri di
lunghezza. «Le ancore romane - spiega l’esperta che ha seguito le dieci campagne
di scavo e recupero dello scafo e carico della Julia Felix, imbarcazione del II
secolo d.C. affondata al largo dell’Isola del Sole - erano composte da un fusto
verticale in legno e da marre lignee diagonali che avevano il compito di
agganciare il fondale. Il ceppo in piombo pesante serviva ad affondare e
depositare l’ancora sul fondo». Il ritrovamento non implica necessariamente la
presenza di un relitto. «Queste ancore venivano perdute per vari motivi -
prosegue l’esperta -: se la nave doveva allontanarsi in fretta dal tratto di
mare i marinai decidevano di tagliare la cima”. Lo stesso accadeva in caso
l’ancora fosse incagliata sul fondo a profondità tale da rendere impossibile il
recupero. Al momento non è stato ancora stabilito dove il reperto verrà
conservato, decisione che spetta alla Soprintendenza archeologia, belle arti e
paesaggio del Fvg, titolare del manufatto. Certo una possibile collocazione
potrebbe essere nel Museo nazionale dell'archeologia subacquea, da anni in
attesa di essere aperto al pubblico. «Entro l’autunno - spiega Luca Caburlotto,
direttore del Polo museale Fvg, potremmo aprire una prima parte dell’edificio,
per organizzarvi appuntamenti di presentazione dei contenuti scientifici del
Museo. Con l’Erpac e il comune di Grado abbiamo firmato un accordo e entro
giugno dovremmo avere la certezza della disponibilità di un finanziamento di
oltre 300mila euro da parte del Ministero per i Beni culturali». L’Erpac ha
messo a disposizione due esperti per la catalogazione dei reperti della Julia
Felix che saranno esposti nella mostra in programma da dicembre alla primavera
2018 a Trieste all’ex Pescheria dal titolo “Nel mare dell’intimità”. Alla
chiusura dell’esposizione triestina i reperti ritorneranno sull’Isola d’oro.
Margherita Reguitti
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 24 maggio 2017
Giardini inquinati - Scattano le bonifiche - Si parte
dalla scuola dell’infanzia di via Svevo e dalla Biagio Marin di Servola
Negli altri siti verranno utilizzate le “super piante”. Appalto da
350mila euro
Tra un mese partono i lavori per bonificare due dei sette giardini
inquinati. Quello che sembrava un bubbone irrisolvibile, scoperto quasi per caso
nella primavera dell’anno scorso dall’ex giunta Cosolini, ora ha un progetto,
dei soldi e una data segnata sul calendario. Gli interventi cominciano negli
spazi verdi delle due scuole dove sono state rinvenute le contaminazioni, il
“don Chalvien” di via Svevo e la “Biagio Marin” di via Praga a Servola.
L’operazione prenderà il via non appena si concluderà l’anno scolastico, dunque
prima dell’estate. Fatto questo, si passerà al fitorimedio: le “super piante”
capaci di assorbire i veleni. Verranno seminate in tutte le altre superfici in
cui sono state trovate le sostanze cancerogene, a cominciare dal “de Tommasini”
di via Giulia. È di ieri pomeriggio la riunione dei dirigenti comunali con i
tecnici dell’Arpa che ha stabilito gli ultimi dettagli di uno dei due appalti.
Il piano L’Istituto superiore di sanità, come conferma l’assessore all’Ambiente
Luisa Polli, ha approvato il progetto preparato da Comune, Regione, Arpa, AsuiTs
e Provincia. È il tavolo tecnico sorto per risolvere il problema
dell’inquinamento riscontrato un anno fa su sette dei dodici giardini che erano
stati presi a campione dall’ex giunta Cosolini per accertare l’impatto della
Ferriera sul suolo. Si tratta di piazzale Rosmini, del Miniussi di Servola e del
“de Tommasini” di via Giulia, il polmone verde della città. E, ancora, di due
scuole dell’infanzia ed elementari che si trovano a Servola: il “don Chalvien”
di via Svevo e la “Biagio Marin” di via Praga. Sempre nello stesso rione,
compaiono pure i cortili della chiesa San Lorenzo e dell’Associazione amici del
presepio in via dei Giardini. In queste aree verdi l’anno scorso sono spuntate
contaminazioni elevate di benzopirene, benzoantracene e benzofluorantene e altre
sostanze potenzialmente cancerogene. Ottenuto il via libera dell’Istituto
superiore di sanità, il tavolo tecnico darà mandato al Comune di avviare i
lavori. Il municipio intende procedere con un doppio appalto per un totale di
350mila euro: uno per le scuole, dove andrà risanato il terreno, e l’altro per
il resto dei giardini. Lì, come detto, andranno seminate le piante in grado di
assorbire le sostanze. Le scuole Si comincia con i giardini della “don Chalvien”
di via Svevo e della “Biagio Marin” di via Praga, considerati i più sensibili
perché ci giocano i bambini. Sarà indispensabile rimuovere le zolle avvelenate
sostituendole con terra pulita. Sono 15-20 centimetri di profondità da
rimpiazzare. I lavori partiranno non appena si concluderà l’anno scolastico,
quindi a metà giugno. Il Comune, fa sapere il direttore dei Lavori pubblici
Enrico Conte, conta di chiudere il tutto entro la fine di agosto, cioè prima che
i bambini ritornino a scuola. Il fitorimedio Il fitorimedio, vale a dire la
semina delle piante speciali, sarà adottato in tutti gli altri siti non appena
concluse le operazioni nelle due scuole: in piazzale Rosmini, al Miniussi di
Servola e al “de Tommasini” di via Giulia, oltre che nei cortili della chiesa
San Lorenzo e dell’Associazione amici del presepio in via dei Giardini. Si
tratta di una sperimentazione alla quale ha collaborato anche l’Università. Ma
per il Giardino pubblico di via Giulia si prevede anche la piantumazione di un
manto erboso nei punti maggiormente utilizzati dai bimbi, cioè le aree gioco.
«La finalità - ricorda Conte - è impedire il contatto con il terreno inquinato,
come indicato dall’Istituto superiore di sanità». Il monitoraggio Non finisce
qui. L’Istituto superiore di sanità, l’AsuiTs e l’Arpa hanno chiesto al Comune
di Trieste un piano di monitoraggio delle aree interessate dai lavori. Non
basterà dunque bonificare o punteggiare il suolo di piante speciali, ma sarà
necessario anche accertare se nelle superfici trattate il terreno continui a
subire contaminazioni o meno. Inquinamento che, come per il Giardino pubblico di
via Giulia, potrebbe essere causato dal traffico. O dalla Ferriera, come nel
caso dei punti più vicini allo stabilimento. Saranno installati, a questo
proposito, alcuni “deposimetri”, strumenti in grado di intercettare eventuali
alterazioni del terreno
di Gianpaolo Sarti
IN CENTRO - Il più tossico di tutti è quello di via
Giulia
Il più tossico di tutti è il Giardino pubblico di via Giulia, il “de
Tommasini”. Si trova praticamente in pieno centro, e quindi evidentemente è il
più esposto all’inquinamento. Certamente a quello del traffico. Il benzopirene,
è stato accertato dall’Arpa, lì è presente con una media di 2,8 milligrammi per
chilogrammo di sostanza secca quando le normative indicano una soglia limite di
0,1. È quasi trenta volte tanto rispetto a quanto stabilito dalla legge. Per
fare un altro esempio, piazzale Rosmini è a 0,84 milligrammi per chilogrammo.
Non appena scoperte le contaminazioni, dunque l’anno scorso, l’inquinamento del
terreno è stato segnalato in tutte le aree interessate con una serie di cartelli
che ne vietano l’accesso. I giardini sono utilizzabili, ma non le aree verdi. I
veleni rintracciati nel suolo potrebbero comunque essere dovuti a varie cause:
sversamenti di idrocarburi, traffico veicolare, riscaldamento domestico,
attività industriale e portuale.
(g .s.)
Erba altissima in piazzale Rosmini - I residenti
protestano. Al via una raccolta firme per sollecitare sfalcio e pulizia
Manca poco per l’avvio della bonifica di alcuni giardini inquinati. Ma
intanto gli spazi verdi di piazzale Rosmini e del Giardino pubblico cadono in un
inesorabile e inevitabile declino. L’erba è talmente alta a San Vito - dove sta
per partire una raccolta firme - che i bambini, scorrazzando tra un gioco e
l’altro, non si vedono nemmeno più. «Sarà più o meno alta 60 centimetri -
osserva Fulvia Ada Rossi, residente del rione -, il giardino attualmente è in
completo stato di abbandono. Anche se inquinato, le persone lo frequentano lo
stesso. Solo all’inizio, quando erano state posizionate le transenne, c’era
stato un momento di “panico” e per i primi 20 giorni nessuno ci andava più.
Adesso in particolare, con il caldo, la gente vuole stare fuori». Tanto che nei
giorni scorsi, il giardino era affollatissimo, fa sapere Rossi. Dalle mamme o
nonni con bambino, al padrone con il proprio cane, alla badante assieme
all’anziano. «I parapetti posizionati diversi mesi fa, quelli vicino alla
centralina, che è stata presa d’assalto dai writer, sono completamente coperti
dall’erba» aggiunge. I cespugli interni e sul perimetro del parco «non vengono
potati, non hanno più né una forma né una misura, sono diventati dei muri verdi
altissimi». Per fortuna però qualcosa viene fatto: «Con regolarità vengono
svuotati i cestini e vengono soffiate le foglie». Visto il degrado in cui versa
l’area, Rossi assieme ad altri residenti lunedì ha incominciato a pensare di
realizzare una raccolta firme affinché venga falciato il prato e sia manutenuta
la zona. A queste richieste si aggiunge anche l’esigenza che «il giardino non
venga bonificato proprio quest’estate». «Se nei prossimi mesi dovessero chiudere
questa parte di San Vito per fare i lavori - afferma Rossi -, penso che sarebbe
un altro colpo per gli abitanti di piazzale Rosmini, perché vorrebbe dire
privarli del verde. Piuttosto in autunno, già a settembre, quando insomma va via
il caldo». L’ultima volta che l’erba è stata tagliata? «Forse prima del
posizionamento della centralina - che aveva creato molte polemiche a causa della
collocazione interna al giardino non voluta dai residenti -, un modo secondo me
per darci il boccone amaro addolcito». A sollecitare un intervento del Comune
affinchè si curi di quel piccolo appezzamento di terra verde ci sono anche Sindi
Svik e Manuel Icardi. «È necessaria una ripulita del giardino, così come dei
giochi per i bambini tutti pieni di scritte» dice Sindi. «Io sono sempre una
buona esca per le zecche - aggiunge Manuel -, spero di non prenderle visto che
l’erba è altissima». «Ormai una fetta di clienti l’abbiamo persa - si lamenta
Marilena Lofino, titolare del Bar Rosmini -. Ci sono i topi e ora il Comune
tarda, come l’anno scorso, a darmi la concessione stagionale, già pagata, per
mettere i tavolini dall’altra parte della strada, vicino al giardino. Sia io che
altri esercenti - conclude - siamo stufi, dobbiamo sempre inventarci qualsiasi
cosa per avere clienti, ma così a un certo punto ci passa la voglia di
lavorare». Dall’altra parte della città Barbara Napolitano del bar “L’angolo del
pane” in via Marconi ripensa invece al mese in cui il Giardino pubblico è
rimasto chiuso a causa del taglio di alcuni alberi. «Il mio locale ne ha
risentito perché la gente non passando più per il giardino, faceva il giro e non
veniva qui. Per fortuna d’estate, anche se il giardino ora non è messo proprio
in ottime condizioni, ho comunque una clientela frequente. Il parco ha bisogno
di una rapida bonifica».
Benedetta Moro
IL PICCOLO - MARTEDI', 23 maggio 2017
Bretella di Porto vecchio chiusa al traffico - Fra 15
giorni scatta il provvedimento del Comune nel tratto da Largo Santos fino al
magazzino 20
Pedoni, ciclisti, podisti, ma anche i conducenti di qualsiasi altro mezzo
sono avvisati: fra due settimane non potranno più percorrere o sostare lungo la
bretella interna al Porto vecchio, nel tratto dai varchi di Largo Santos fino al
magazzino 20, situato a poca distanza dal magazzino 26, nei pressi
dell’attraversamento dei binari. L’accesso al magazzino 26 e agli altri edifici
In seguito al trasferimento al Comune della proprietà di gran parte delle aree
del Porto vecchio, l’intera bretella, da Largo Santos a viale Miramare, è
divenuta una strada di competenza comunale. Ma avendo le caratteristiche di
un’area portuale, per motivi di sicurezza il Comune ha preso una serie di
provvedimenti relativi alla circolazione e alla sosta. Da qui l’ordinanza emessa
ieri (e resa nota attraverso l’Albo pretorio, anche sul sito Rete civica) che,
nel tratto ricordato, istituisce il divieto di circolazione (accesso, transito e
sosta) per tutti i veicoli e per i pedoni. Va da sè che chi violerà tale divieto
potrà essere multato dalla Polizia municipale, come avviene su qualsiasi altra
strada urbana. A fronte del divieto, l’ordinanza firmata dal sindaco prevede una
serie di eccezioni, che nella fattispecie riguardano veicoli e personale dei
mezzi di soccorso, quelli delle amministrazioni e delle autorità, i veicoli
operativi delle aziende di servizi pubblici (per ben precisi interventi di
pubblica utilità), i mezzi dotati di uno specifico permesso rilasciato dagli
uffici comunali (manutenzioni edilizie, traslochi, allestimento di mostre), e
infine veicoli e personale della Tertrans srl, società già concessionaria
dell’Autorità portuale. L’ordinanza specifica poi che altre richieste di accesso
o sosta nella zona, non comprese in quelle citate e comunque a carattere
temporaneo, saranno valutate dal sindaco. Mano pesante anche in relazione alla
sosta. Il provvedimento stabilisce che eventuali veicoli in sosta abusiva lungo
la viabilità interna del Porto vecchio, ma anche quelli posteggiati all’esterno
dei tracciati predisposti nella zone di parcheggio, poichè costituiranno motivo
di pericolo e intralcio per la circolazione saranno rimossi d’autorità (in base
all’articolo 159 del Codice della strada). Infine, su tutte le strade
all’interno del Porto vecchio viene istituito il limite di 30 chilometri orari
per tutti i veicoli.
(gi.pa.)
Il Friuli Venezia Giulia dichiara guerra alle nutrie
“invadenti” - Già pronte due leggi (una della giunta, l’altra di Piccin) per
tutelare l’agricoltura e la sicurezza dei corsi d’acqua
TRIESTE - Debellare l’invasione delle nutrie. È con questo obiettivo che
l’assessore Paolo Panontin e la consigliera Mara Piccin (Fi) hanno depositato
due testi di legge, distinti ma pressoché identici, che si propongono di
eradicare la presenza dei grossi roditori che proliferano da tempo in numerose
zone del Friuli Venezia Giulia, arrecando danni alle coltivazioni e impattando
in modo negativo sulla sicurezza dei corsi d’acqua, come avviene d’altronde in
tutta la Pianura padana. Si tratta di un roditore simile a un grosso castoro,
originario del Sud America e introdotto in Italia a inizio Novecento per la
realizzazione di pellicce a basso costo. Quando il settore è andato in crisi
negli anni Ottanta, gli allevatori hanno liberato le nutrie, invece che
sopprimerle come previsto dalla legge, evitando così di sostenere ulteriori
spese. Ciò ne ha determinato la diffusione negli ambienti favorevoli e l’impatto
negativo su colture e nidiate di uccelli acquatici, ma anche su argini minori,
canali e sponde di fossati, perché la nutria scava gallerie nel sottosuolo e
crea rischi per la sicurezza idrogeologica. Le nutrie sono considerate dagli
agricoltori un vero flagello e la loro eliminazione contrappone da anni fautori
degli abbattimenti e animalisti. Come ha spiegato Panontin, «il disegno di legge
della giunta predispone uno strumento efficace per il controllo e l’eradicazione
di questa specie: vareremo un piano triennale, conforme ai dettati dell’Ispra,
coordinando i soggetti preposti all’attuazione del piano, guardie volontarie,
guardiaparchi, addetti alla vigilanza idraulica e cacciatori, coordinando i
cacciatori attraverso la Forestale e prevedendo anche forme non cruente di
prevenzione della riproduzione». Sovrapponibile la proposta Piccin, che prevede
a sua volta un piano triennale e la possibilità di cacciare la nutria «in ogni
periodo dell’anno, su tutto il territorio regionale», senza limitazioni
quantitative. La Quarta commissione si riunirà oggi stesso per cercare di
giungere a un testo condiviso, da portare in aula a giugno. Se centrosinistra e
centrodestra sono concordi, il Movimento 5 Stelle chiede di adottare strade
diverse. Ilaria Dal Zovo teme «un buco nell’acqua e danni all’ecosistema: il
problema non si risolve con l’uso delle armi e creando un regolamento di caccia
più permissivo, che permetterà di entrare nei parchi protetti e sparare in ogni
periodo dell’anno e in luoghi solitamente vietati. I piani di abbattimento sono
crudeli e non hanno dato risultati in passato, ma anzi aumentano la fertilità
della specie. Investiamo in programmi di sterilizzazione e riequilibrio
ambientale». A favore del provvedimento si schierano gli operatori economici
come Confagricoltura, secondo cui «l’eradicazione è una necessità: la nutria si
sta accrescendo in modo abnorme. Se gli animalisti protestano, trovino una
soluzione per i nostri mancati redditi». Coldiretti Fvg condivide e chiede di
«riflettere anche sul contenimento di cinghiali, corvidi e cervidi». Favorevole
anche l’Associazione vallicoltori di Grado e Marano, impegnata nell’allevamento
di pesce, per la quale «si tratta di un discorso di sicurezza idraulica contro
animali che creano situazioni di crisi». Gli esperti dell'Università di Udine
ritengono sia però più saggio lavorare al contenimento delle nascite, anche
tenendo conto di una certa repulsone dell’opinione pubblica agli abbattimenti di
massa. Netta contrarietà viene invece dalla Lav, secondo cui «non esistono dati
che dimostrino l’emergenza e tantomeno le nutrie sono portatrici di malattie
pericolose. Inoltre gli abbattimenti indiscriminati otterranno l'effetto di
indurre la specie a moltiplicarsi ed estenderanno la caccia 24 ore su 24 anche
fuori dalla stagione venatoria, facendo girare persone armate e dando copertura
alle attività di bracconaggio. Servono metodi non letali, come dicono i
regolamenti Ue: altrimenti parliamo di una strage e non di prevenzione. Si
cominci proibendo la caccia alla volpe, predatrice della nutria».
Diego D’Amelio
VALORI ACUSTICI - Ferriera, Dipiazza incalza la Regione
«È opportuno che la Regione acquisisca i pareri dell’Arpa e dell’Azienda sanitaria e verifichi in contraddittorio i valori acustici indicati dalla Ferriera di Trieste». Lo chiede in una nota il sindaco Roberto Dipiazza.
Caccia aperta ai rifiuti nel mare - L’Ogs guida il
progetto per la realizzazione di una banca dati mondiale sull’inquinamento
Si è concluso da pochi giorni all’Ictp di Trieste il meeting sul progetto
EMODnet Chemistry, (European Marine Observation and Data Network), un’iniziativa
a lungo termine della Commissione Europea, Direzione Generale per gli Affari
marittimi e la Pesca (Dg Mare) che costituisce uno dei pilastri della strategia
Marine Knowledge 2020. Nato nel 2009 e coordinato dalla ricercatrice della
Sezione di Oceanografia dell’Ogs Alessandra Giorgetti, durante gli incontri
della scorsa settimana, a cui hanno partecipato partner provenienti da 25
diversi Paesi, è stata avviata la terza fase del progetto che, in particolare,
si focalizzerà sui rifiuti marini e porterà alla realizzazione di una banca dati
europea per la gestione delle informazioni sulle scorie spiaggiate e in mare. E
inoltre gli studiosi si focalizzeranno sul «monitoraggio di tutti i mari europei
– spiega Giorgetti – e appunto raccoglieremo le informazioni sui rifiuti marini:
a Trieste abbiamo coordinato l’approccio con cui faremo questa raccolta.
Esistono già dei database, il nostro ruolo sarà quello di integrare le
informazioni, condividendo le best practice tra il Nord e il Sud Europa». Finora
sono stati riuniti oltre 10 milioni di dati sullo stato di salute dei nostri
mari proprio nell’ambito del progetto EMODnet Chemistry. «I valori aggiunti di
questo progetto – specifica Giorgetti – riguardano l’armonizzazione delle
informazioni e dei parametri misurati in relazione alle caratteristiche chimiche
dei mari, come i nutrienti, gli inquinanti di origine antropica e i rifiuti
marini sulle spiagge, sul fondo del mare o galleggianti, e le microplastiche.
Componente essenziale nel processo di integrazione è anche la validazione delle
informazioni, effettuata applicando procedure condivise pure a livello europeo,
mettendo quindi assieme dati provenienti da diversi paesi ed evidenziando
eventuali inconsistenze, come errori nelle unità di misura. I risultati del
progetto vengono poi forniti agli organi decisori, che possono far riferimento
ad esempio alla Commissione europea oppure al programma delle Nazioni Unite per
la protezione dell'ambiente marino e lo sviluppo sostenibile delle zone costiere
del Mediterraneo (Unep/ Map), responsabile per la definizione delle politiche
ambientali e la relativa gestione». »La valutazione dello stato dei mari, di
competenza dei diversi Ministeri dell’Ambiente - aggiunge Marina Lipizer,
ricercatrice dell’Ogs -, è fondamentale poiché dallo stato di salute
dell’ambiente dipendono le azioni e le politiche di riduzione degli impatti,
come per esempio la riduzione o la tassazione dell’uso dei sacchetti di
plastica, o l’aumento dei sistemi di depurazione». In pratica, gli enti
coinvolti portano avanti un’azione di science diplomacy favorendo la
cooperazione tra paesi Ue e non-Ue (Russia, Ucraina, Georgia, Turchia), per la
salvaguardia dell’ambiente marino. «Monitorare lo stato di salute degli
ecosistemi marini – afferma la presidente Maria Cristina Pedicchio - è una
priorità per Ogs, nella convinzione che la salvaguardia dell’ambiente sia uno
step fondamentale per perseguire gli obiettivi della cosiddetta Blue Economy:
uno sviluppo intelligente e sostenibile attraverso un uso responsabile delle
risorse marine e la cooperazione tra i paesi Mediterranei, grazie allo strumento
della science diplomacy».
Benedetta Moro
Quelle vite controcorrente sul Piave - al Caffe' San Marco
Oggi alle 18, il circolo triestino di Legambiente organizza la presentazione del libro “Acqua guerriera. Vite controcorrente sul Piave” (Ediciclo editore), al San Marco. Con l’autrice, Elisa Cozzarini, dialogherà la fotografa Erika Cei. L’interesse nasce dal fatto che quello che dovrebbe essere il corso d’acqua più caro all’Italia racchiude oggi tutti i problemi ambientali di cui soffrono i fiumi italiani, dall’eccessivo sfruttamento idroelettrico nel suo tratto alpino, al prelievo indiscriminato di ghiaia nel medio corso e alla risalita del cuneo salino dal mare. Il Piave è il fiume guerriero per eccellenza. Il suo mormorio difese l’Italia dallo straniero, nella Grande Guerra. Eppure per la gente, in Veneto, è rimasto femminile: è l’acqua che ha plasmato la terra, le persone, la cultura. Cosa resta oggi di quel fiume abbondante, a tratti spaventoso? Questo libro è un viaggio alla ricerca dell’anima del Piave e della terra che attraversa, ferita da un benessere capace di travolgere ogni cosa. Traccia il ritratto dei suoi eroi contemporanei, gli arditi dell’ambiente, i devoti al territorio e al paesaggio, persone normali che si mettono controcorrente, perché tutta la bellezza non sia inghiottita dal cemento e dall’immondizia. Per capire il fiume devi uscire dall’auto, avvicinarti, scenderlo in canoa. Così puoi renderti conto di chi sono i mostri contro cui lottano oggi i guerrieri del Piave.
IL PICCOLO - LUNEDI', 22 maggio 2017
Rivoluzione delle tariffe scontate nei parcheggi
comunali al coperto - IL PIANO»sosta a pagamento -
il PIANO TARIFFE per la sosta nei contenitori comunali
Le tariffe dei parcheggi “in struttura” del Comune sono state appena
modificate con un sistema di sconti che mira a incentivare soprattutto la sosta
negli stalli a rotazione. Nel corso dell’ultimo anno, Esatto ha effettuato delle
verifiche volte a misurare il coefficiente medio di occupazione (cmo) dei
singoli parcheggi. E nel rapporto stilato al termine delle ispezioni è emerso
che i parcheggi con tariffe solo in abbonamento, come ad esempio quelli di via
del Rivo o di via Tor San Piero, tendono alla piena occupazione, mentre le
strutture con maggiore capienza, San Giovanni e Sant’Andrea, che dispongono di
posti anche a rotazione, presentano un coefficiente inferiore al 40%. «Il
Comune, rilevati questi aspetti, ha deciso, dove necessario, di intervenire con
un sistema di sconti, di promozioni e una tariffa flat che ne incentivi
l’utilizzo - spiega l’assessore comunale con delega alla Gestione del
patrimonio, Lorenzo Giorgi - ma che soprattutto stimoli gli automobilisti a
parcheggiare in zone più periferiche utilizzando poi l’efficiente sistema di
trasporto pubblico locale per raggiungere il centro città». Il Comune ha
stabilito così di introdurre una tariffa oraria fissa di 1 euro, con una
promozione attiva fino al raggiungimento di un cmo del 75%, che prevede un
abbattimento del 50% della tariffa stessa per le prime tre ore di sosta. Dunque,
se prima di queste novità per un’ora si pagavano 60 centesimi, ora se ne
pagheranno 50 nonostante appunto l’introduzione della tariffa di base di 1 euro.
«La soluzione flat - specifica Giorgi - prevede inoltre che dopo la quinta ora
la tariffa venga bloccata fino al raggiungimento dell’ottava ora». Quindi, se
prima per 8 ore bisognava pagare 6,50 euro ora se ne sborseranno solo 3,50. Il
nuovo piano tariffario prevede inoltre per i parcheggi di San Giovanni e
Sant’Andrea l’introduzione di un prezzo vincolato di 6 euro per soste fino a 12
ore (il tariffario precedente prevedeva 10,50 euro) e di 10 euro per soste fino
a 24 ore. Ma fino al raggiungimento di un coefficiente medio di occupazione del
75% è prevista un’ulteriore riduzione del 20% della tariffa. «Abbiamo deciso di
rendere particolarmente vantaggioso restare più ore - valuta Giorgi - visto che
chi parcheggia in quelle strutture non centrali prevede il più delle volte di
spostarsi in centro e riprendere l’automobile dopo diverso tempo». A differenza
dei parcheggi nel cuore di Trieste utilizzati da molti anche per poco tempo,
magari per meno di un’ora. Il Comune ha individuato tre zone tariffarie: una ad
altissima richiesta di parcheggi, un’altra ad alta richiesta e una terza zona a
media richiesta di parcheggi. L’aggiornamento tariffario prevede di uniformare e
semplificare i piani tariffari degli abbonamenti nelle strutture sistemate in
zone definite ad alta richiesta ovvero Sant’Andrea, via del Rivo, via Tor San
Piero, Park Salem, quello a Cologna e Park Querce. In questi parcheggi per un
abbonamento annuale da 24 ore si pagheranno 936,50 euro. Un risparmio, ad
esempio, per chi prima a Sant’Andrea pagava mille euro. Sempre per 24 ore
l’abbonamento semestrale costerà 500 euro (in via del Rivo che conta 72 stalli
costava 468,25 euro) e 93,50 se mensile (a Sant’Andrea la tariffa precedente era
di 99 euro). Per alcuni park c’è un ritocco al ribasso, per altri al rialzo. Per
i parcheggi sistemati in zone definite ad altissima richiesta di parcheggi,
l’abbonamento è stato ritoccato al rialzo solo per la tariffa semestrale
passando da 572,50 euro a 612,50. Invariato invece il costo degli abbonamenti
mensili e annuali. L’amministrazione comunale nel caso di cmo inferiore al 70%,
prevede anche di stipulare convenzioni, a tempo determinato, sugli abbonamenti
con un abbattimento del costo fino al 20% da 10 a 20 posti, del 30% da 21 a 40
posti e fino al 50% per oltre 40 posti. Le tariffe di abbonamento per i posti
riservati alle moto prevedono una riduzione del 50% rispetto a quelle per le
automobili. In caso di cmo inferiore al 60%, è prevista anche una
differenziazione delle tariffe introducendone una diurna-feriale e una
notturna-festiva. Va considerato che il Comune di Trieste (che prevede
l’acquisizione di ulteriori parcheggi “in struttura” tra i quali quelli in largo
Niccolini, di via Flavia e di via dei Leo) continuerà a monitorare il
coefficiente medio di occupazione di tutte le sue strutture adibite a park,
intervenendo con l’introduzione della specifica riduzione delle tariffe quando
l’occupazione dei posti dovesse essere inferiore ai limiti stabiliti.
Laura Tonero
Il trenino pronto a ripartire sulle rotaie di Porto
vecchio - L’annuncio degli assessori Rossi e Polli: «Allo studio l’utilizzo dei
binari storici»
Tramway Tpv: «Tornerà per la mostra sui 160 anni della Ferrovia
Meridionale»
«I binari li lasciamo là sotto perché se qualcuno - nei prossimi anni -
vorrà divertirsi con i trenini, su e giù, lo potrà fare. Lasciamo questa
opportunità». Il sindaco Roberto Dipiazza, annunciando il 12 maggio - alla
trasmissione “Ring” di Telequattro - i mille posti auto sul terrapieno di
Barcola (poi diventati 500, la metà), sembrava avere seppellito una volta per
tutte il trenino di Porto vecchio. «Porto 50 camion di ghiaia e faccio un mega
parcheggio». E invece, una settimana dopo, sempre in tv, due assessori della sua
giunta, Giorgio Rossi e Luisa Polli, si rimettono a giocare con il trenino
riesumando i binari del vecchio scalo per la gioia del gruppo Tramway Porto
vecchio Trieste che non si è mai rassegnato al fermo ferroviario deciso dalla
giunta Dipiazza un anno fa, appena insediata. A riaprire la pratica per prima è
l’assessore all’Ambiente Luisa Polli, che annuncia: «Con l’Autorità portuale
abbiamo già pensato a come sarà la viabilità di attraversamento in Porto
vecchio: strada, pista ciclabile e rotaie». Rotaie? In soccorso arriva Rossi che
vuole evitare che il dibattito si riduca - parole sue - «alla questione del
trenino sì, trenino no». «Una ventina di giorni fa ho avuto un incontro con il
Museo Ferroviario che è in possesso della planimetria della rete ferroviaria in
Porto vecchio. Credo che la nuova dorsale di collegamento interna ne debba tener
conto. Non va trascurata una serie di parti e componenti della rete ferroviaria
che certamente verranno mantenute sia per la loro realtà storica sia per un
utilizzo parziale. Non credo che alla fine si debbano scartare queste cose». La
collega Polli si spinge oltre: «Abbiamo allo studio con l’Autorità portuale la
passeggiata a mare e la pista ciclabile. Lì accanto passa una linea di rotaie
che potrebbero essere utilizzate per un tram tipo quello di Opicina a emissioni
zero. Come assessore all’Ambiente devo puntare a dare un godimento a impatto
zero». Parole colte subito con favore da Tramway Porto vecchio Trieste: «Alla
fine i progetti intelligenti emergono naturalmente. Va dato atto al sindaco
Roberto Dipiazza che aveva promesso, durante la conferenza stampa dell’11
novembre 2016, la collaborazione dei suoi uffici al progetto Tramway Tpv, di
avere portato avanti questa idea assieme all’assessore Giorgio Rossi, affidando
all’ingegner Giulio Bernetti il compito di interfacciarsi con Ferstoria, il
Museo Ferroviario e Italia Nostra per il mantenimento e lo sviluppo dei binari
utili a tale progetto di trasporto. Prossimamente inviteremo il sindaco Dipiazza
e gli assessori Rossi e Polli a salire sul Tramway Tpv e verificare praticamente
la validità del servizio nato proprio da un’idea condivisa tra il Comune di
Trieste e l’Autorità portuale». Il trenino, infatti, è pronto a ripartire.
«Ferstoria assieme al Comune di Trieste e all’Autorità portuale organizzerà,
all’interno della Centrale idrodinamica, una mostra dedicata ai 160 anni della
Ferrovia Meridionale-Südbahn, dove - oltre alle raccolte fotografiche e di
materiali relativi - verrà esposta una locomotiva a vapore funzionante e il
Tramway Tpv effettuerà il servizio di collegamento con il centro di Trieste». La
giunta Dipiazza è pronta a divertirsi con i trenini. «Ricordiamo che il Tramway
Tpv in appena otto weekend e durante la settimana della Barcolana aveva
trasportato circa 12.000 persone. Per arrivare a Barcola è tutto pronto e
basterà realizzare l’attraversamento stradale dei binari sulla bretella di
accesso al Porto vecchio» aggiungono i promotori, ripescando il progetto
dell’allungamento della linea ferroviaria in funzione balneare messo a punto
dall’ex sindaco Roberto Cosolini. «Leggo con piacere che il sindaco Dipiazza
annuncia un parcheggio per auto sul terrapieno di Barcola - fa sapere Cosolini
-. È una buona idea: se collegato con mezzi pubblici alla città (ad esempio, il
treno già esistente e i bus) potrebbe essere un’ottima soluzione per i
visitatori della nostra città. Ed è anche bene che faccia proprie le buone idee
che più di un anno fa la precedente amministrazione aveva avuto e che dopo la
sua elezione gli aveva trasmesso». Con i trenini non si finisce mai di giocare
Fabio Dorigo
Nel “bottino” finale di MareNordest cellulari e un Cabernet - La pulizia dei fondali e le simulazioni dei cani da salvataggio chiudono la kermesse.
Riemersi 30 telefonini e 300 bottiglie - la
manifestazione
La bellezza dei cani da salvataggio e i volontari subacquei che,
nell’operazione di tutela e pulizia dei fondali, scoprono persino un cimitero
marino di cellulari davanti a piazza Unità. Si chiude in crescendo “Mare Nordest
2017 - I mestieri e i misteri del mare”, la manifestazione di Trieste sommersa
diving, organizzata in collaborazione con il Comune di Trieste, con il sostegno
di AcegasApsAmga, Trieste Trasporti, Bignami Sub, Fondazione benefica Foreman
Casali e Samer&Co.Shipping e con “Il Piccolo” come media partner. L’ultima
giornata si consuma in gran parte all’aperto e vede il tratto compreso tra molo
Audace e Scala reale ospitare gli appuntamenti più popolari della tre giorni che
si propone di (ri)lanciare Trieste come “capitale” della cultura europea del
mare. Dopo le prime giornate all’insegna di conferenze, cerimonie e laboratori,
il mare “vero” conquista tutti i riflettori: quattordici associazioni e un
centinaio di volontari - trenta di supporto a terra - danno vita alla terza
edizione di “Operazione Clean Water”, coordinata da Adriano Lugnani e Roberto
Lugnani, con il supporto dello staff dell’Area marina protetta di Miramare, del
battello ecologico Spazzamari, dell’AcegasApsAmga. Collabora la III A del liceo
Oberdan accompagnata dalla docente Claudia Giacomazzi. L’obiettivo di “Clean
Water” è pulire i fondali raccogliendo i rifiuti e sensibilizzando i cittadini.
La missione riesce e si chiude con un “bottino” per certi versi strabiliante (in
negativo): i volontari recuperano una trentina di telefoni cellulari caduti
davanti a piazza Unità. Così come riportano in superficie un monopattino, una
cinquantina di lattine, una quarantina di bicchieri e trecento bottiglie sempre
di vetro. Non basta. Gli “angeli del mare” fanno riemergere una bicicletta, una
decina di sacchi di nylon, esche per calamari e seppie, una ventina di metri di
tessuto per tende, un paio di ringhiere zincate e l’immancabile batteria. Il
“trofeo” più originale? Se lo scorso anno fu un ordigno bellico, quest’anno
stravince una bottiglia integra, mai stappata, di vino rosso individuata dal sub
Enrico Torlo, un veterano della sigla Cst. Se smarrita o lanciata è impossibile
saperlo. Ma poco importa: il recupero si tramuta in un brindisi. Uno dei tanti
che sigillano la chiusura dei lavori di “Mare Nordest”. Per la cronaca la
bottiglia “salvata” è un Cabernet. Forse il primo al mondo a poter vantare una
conservazione speciale all’«acqua pazza». La “Clean Water” prevede anche una
serie di graduatorie, quasi un pretesto per animare la cerimonia finale,
premiando il gruppo più numeroso (i 24 veneti della Calypso), il sub più anziano
(Maurizio Bettoncelli di 62 anni) e quello più giovane (Riccardo Vianello di 14
anni entrambi del clan di Marghera). Riconoscimenti anche per i Pompieri
volontari Trieste e per la Scuola cani salvataggio Fvg. Già, i cani da
salvataggio. Belli, docili, forti e utili. A dimostrarlo le simulazioni di ieri
con l’ausilio di un gommone e di una moto d’acqua. Il sipario sulla sesta
edizione di “Mare Nordest” cala nel teatro probabilmente più idoneo, il molo IV,
dove è marcata la partecipazione delle scuole. «Uniti si può crescere e
migliorare - commenta Roberto Bolelli della Sommersa Diving - . Stiamo già
pensando all’allestimento del 2018 con l’obiettivo di creare qualcosa di ancor
più coinvolgente per la città e la cultura marittima».
Francesco Cardella
Muggia - Opposizione spaccata sulla raccolta dei
rifiuti
L’ultima riunione del consiglio comunale ha confermato in modo
inequivocabile la spaccatura dell’opposizione. La goccia che ha fatto traboccare
il vaso è stata la mozione sui rifiuti portata avanti da Movimento 5 Stelle
(Emanuele Romano) e dalle liste civiche Obiettivo comune per Muggia (Roberta
Vlahov) e Meio Muja (Roberta Tarlao). «La nostra richiesta di trasparenza e di
premialità per i cittadini più bravi nel differenziare la raccolta dei rifiuti è
stata bocciata non solo dal centrosinistra, ma anche dal centrodestra», ha
spiegato Tarlao. La capogruppo di Meio Muja è stata protagonista assieme al
consigliere di Forza Muggia-Dpm Andrea Mariucci di un acceso dibattito in aula.
Alla fine tutte le forze del centrodestra - con i forzisti si sono schierati
Lega Nord e Fratelli d’Italia - hanno imbeccato Tarlao, Vlahov e il grillino
Romano per un modo di fare opposizione all’amministrazione Marzi che non sta
piacendo, pur condividendo l’essenza dell’ultima mozione sui rifiuti: «Siamo
fermamente convinti che introdurre premialità e puntualità nelle tariffazioni
sia la strada giusta per introdurre il nuovo metodo di raccolta differenziata -
spiega il centrodestra - ma non ci piacciono i toni, di mera supponenza e
inesistente condivisione, con cui il Movimento 5 Stelle e le liste civiche hanno
portato avanti temi così importanti. La voglia di protagonismo ha prevalso sul
senso di responsabilità». Responsabilità che - secondo Forza Muggia, Lega e Fdi
- è stata «dimostrata nei fatti, con il voto di astensione sul nuovo piano di
raccolta immondizie, mentre 5 Stelle e liste civiche hanno preferito votare
contro». I partiti di centrodestra hanno poi fatto un attacco diretto alla
Tarlao: zNon si riesce proprio a capire come certi consiglieri cerchino sempre
lo scontro a prescindere; quello a cui abbiamo assistito in aula è stato un
episodio esemplificativo di cattiva politica, volta unicamente a suscitare un
polverone anziché a risolvere i problemi dei muggesani». Che la spaccatura sia
avvenuta e che sia difficilmente sanabile lo si evince anche dalle parole di
replica utilizzate da Roberta Vlahov, capogruppo di Obiettivo comune per Muggia:
«Se per il centrodestra fare cattiva politica significa dare la possibilità ai
cittadini muggesani di risparmiare sulla bolletta oppure chiedere trasparenza
all’amministrazione comunale allora sì, posso dire che noi siamo orgogliosi di
fare questo tipo di “cattiva” politica». A mettere definitivamente una pietra
sopra l’unità dell’opposizione ci ha pensato Roberta Tarlao: «Il centrodestra
avrebbe potuto condividere la nostra mozione utile a premiare i cittadini.
Neanche il centrosinistra lo ha voluto fare. Ne prendiamo atto e aggiungo che
sono e siamo fieri di non essere come loro».
Riccardo Tosques
La Svizzera dice addio al nucleare - Il piano del
governo approvato con una maggioranza del 58,2%
MILANO Con una maggioranza del 58,2%, gli svizzeri hanno approvato ieri in
un referendum il graduale abbandono dell'energia nucleare e una politica di
sviluppo delle energie rinnovabili. Una svolta energetica «storica», secondo
molti commentatori, voluta dal governo e dalla maggioranza del parlamento, ma
contestata dal partito di destra dell'Unione democratica di centro (Udc) che
aveva promosso il referendum contro la nuova legge. Da Ginevra a Zurigo e al
Ticino, in tutti i 26 cantoni della Confederazione tranne quattro gli elettori
si sono schierati in favore della nuova legge sull'energia approvando un primo
pacchetto di misure alla base della “Strategia energetica 2050” promossa dal
governo. La quota più alta di sì è stata registrata nei cantoni di Vaud (73,5%)
e Ginevra (72,6%). Tra i cantoni contrari, rilevante è la bocciatura di Argovia
(51,8% di no) che ospita impianti atomici. La legge approvata prevede un netto
incremento dell'efficienza energetica, una chiara riduzione dei consumi, un
rafforzamento dell'energia idroelettrica, nonché un aumento della quota di
energia da fonti rinnovabili, quali sole e vento. Si voltano gradualmente le
spalle all'atomo, con la chiusura degli impianti esistenti al termine del loro
ciclo di vita e con il divieto di costruire nuove centrali. La sfida è
importante. La quota di energia elettrica di origine nucleare rispetto alla
produzione complessiva svizzera è di circa il 39% e proviene e dalle 5 centrali
entrate in funzione tra il 1969 e il 1984. Il governo elvetico aveva cominciato
a lavorare all’addio al nucleare dopo l’incidente nucleare di Fukushima, nel
2011. É allora che governo e il parlamento decisero di gettare le basi di una
nuova politica energetica per rinunciare al nucleare. Soddisfatta per l'esito
della votazione, la presidente della Confederazione e ministro dell'Ambiente
Doris Leuthard, in prima linea nella campagna per il Sì. Con il voto odierno «si
apre una nuova pagina della nostra storia energetica», si è rallegrata. Scontata
e unanime anche la soddisfazione degli ambientalisti: «La Svizzera è finalmente
entrata nel 21esimo secolo», secondo la deputata dei Verdi Adèle Thorens. Per
Greenpeace, si tratta di «una vittoria storica». Delusione è stata invece
espressa dal partito Udc, primo partito del Paese e grande sconfitto del voto
odierno. A suo avviso, la nuova legge minaccia l'approvvigionamento energetico e
rischia di costare cara agli svizzeri. La partecipazione al voto è stata del
42%. In Svizzera ci sono cinque centrali nucleari, che saranno disattivate entro
20 e 30 anni.
IL PICCOLO - DOMENICA, 21 maggio 2017
La “tassa di disturbo” porta 770 mila euro nelle casse del Comune
Spuntano gli arretrati del servizio di
termovalorizzazione reso ad enti e privati non triestini: risorse subito a
bilancio
Tra denaro già incassato e denaro da riscuotere gli uffici comunali
dell’Ambiente calcolano una somma che fa circa 770 mila euro. E che fa contenta
l’assessore leghista Luisa Polli, la quale ha potuto conferire queste risorse
nel redigendo bilancio 2017, nelle sospirate voci di entrata. Questi 770 mila
euro - spiega la Polli - sono spettanze che derivano al Comune dalla cosiddetta
“tassa di disturbo ecologico”: poichè il territorio municipale ospita un
impianto di smaltimento di rifiuti provenienti anche da altre zone, ha diritto a
un risarcimento per il disagio subìto. Lo prevede un Decreto del presidente
della giunta regionale, lo 0502 per esattezza, risalente all’ottobre 1991,
quando a capo del governo giulio-friulano sedeva il democristiano Adriano
Biasutti: si trattava del regolamento esecutivo della legge 30/1987. In base a
quel provvedimento, il Comune triestino ha diritto a 2,54 euro/tonnellata per i
rifiuti urbani e a 3,82 euro/tonnellata per i rifiuti speciali “non pericolosi”.
Il termovalorizzatore attualmente funzionante, più noto come inceneritore, è
situato in via Errera ed è gestito dalla srl Hestambiente posseduta al 100% dal
gruppo Hera, attraverso le due controllate Herambiente (70%) e AcegasApsAmga
(30%). Ma, fino al luglio 2015, il termovalorizzatore di Trieste (e quello di
Padova) erano in mano della sola AcegasApsAmga. Queste spiegazioni preliminari,
soprattutto per quanto riguarda l’avvicendamento gestionale, sono indispensabili
onde comprendere perchè - a giudizio dell’assessore Polli e della struttura
amministrativa - il Comune era rimasto indietro nelle riscossioni o, a seconda
dei punti di vista, Hestambiente (o altra realtà del gruppo Hera) aveva
rallentato la dazione. Al punto che una nota comunale datata 4 aprile presentava
il conto degli insoluti, dal 2014 al 2016. Più precisamente gli uffici
dell’Ambiente chiedevano sul 2014 l’integrazione del primo semestre e il saldo
del secondo semestre per un totale di 255 mila euro; sul 2015 il pagamento del
secondo semestre per un importo di 190 mila euro; sul 2016 l’intera tassa
annuale per un ammontare di circa 335 mila euro. Una somma che, come anticipato,
andava ad aggirarsi attorno a 770 mila euro. Nel giro di un paio di settimane il
gestore ha parzialmente riscontrato la sollecitazione comunale: il procedimento
di riscossione non è ancora concluso per quanto riguarda il 2014, mentre lo
scorso 21 aprile la bolletta 16145 ha “onorato” quanto dovuto nel 2015 e nel
2016. Quindi, fisicamente, nelle casse municipali sono finora affluiti circa 525
mila euro rispetto al totale preteso di 770 mila euro. «Nessuna intenzione
polemica contro la precedente amministrazione - vuole accuratamente chiarire
Luisa Polli - ed è inutile rincorrere le responsabilità di questi “incagli”.
E’invece importante evidenziare che queste risorse sono state finalmente
recuperate e inserite nel bilancio 2017, ridando linearità e chiarezza al
rapporto tra il Comune e il gestore dell’impianto».
Massimo Greco
Mare Nordest celebra sua maestà lo squalo - Studenti
rapiti dall’intervento della biologa Andreotti impegnata in Sud Africa. Spazio
anche ai nodi dell’inquinamento
Ha imparato a conoscerli, amarli, a difenderli dall’uomo. Da dieci anni
esatti lo studio degli squali bianchi è la missione di vita di Sara Andreotti,
biologa marina pordenonese laureatasi a Trieste e ora impegnata in Sud Africa,
all’Università di Stellenbosch, in progetti di ricerca targati Shark Diving
Unlimited. Ieri è stata lei la “stella” della seconda giornata dei lavori al
Molo IV di Mare Nordest, il convegno a cura della Trieste Sommersa Diving, tre
giorni dedicati ai “Mestieri e Misteri del Mare”. Il mestiere di Sara Andreotti
è lo studio dello squalo bianco, sì, proprio la specie predatrice per
eccellenza, la più temuta ma a quanto pare la più incompresa e vittima di
letture distorte tra cinematografia e romanzi. Il compito di Sara, sin dal 2007,
è invece la tutela e la comprensione, uno studio che comporta poco laboratorio e
molta attività sul campo e a stretto contatto con “cavie” che oscillano dai
quattro ai sei metri di lunghezza per una mole tra i mille e 1700 chili. La
vetrina di Mare Nordest ha messo in luce gli ultimi riflessi della ricerca in
Sud Africa, partendo da alcune cifre emblematiche, l’ultimo censimento della
specie: «Sono sempre di meno, tra i 300 e i 500 esemplari, quindi pochi, molto
pochi. I motivi? Il bracconaggio, l’inquinamento, l’eccesso di pesca e
soprattutto le conseguenze delle reti anti-squalo, per altro legali, che si
trovano nella zona, delle trappole tuttavia mortali per lo squalo». Ed è qui che
verte l’attuale studio di Sara e del suo team, la creazione di una barriera
efficace ma non letale (Sharksafe Barrier) costituita da magneti incastonati tra
il kelp, un tipo di alga che ben si adatta al camuffamento. Insomma, lo squalo è
come il lupo e non va demonizzato, bensì compreso: «È vero, anche perché quando
attacca è colpa dell'uomo. Bisognerebbe capire il suo linguaggio e ricordarci
che mentre noi lo studiamo, lui fa altrettanto con noi. Io lo faccio da dieci
anni e nuotare con lui è diventato un puro onore». Intenso il resto del
cartellone di ieri, vedi la platea di studenti rapita dall’intervento di Nicolò
Carmineo e dal collegamento in video con Bruno Dumontet, due pionieri nel campo
del monitoraggio dell’inquinamento da plastica. Oggi giornata di chiusura, sulla
pulizia dei fondali in programma dopo le 9 davanti a Piazza Unità e sulle
esibizioni dei cani di salvataggio alle 11.
Francesco Cardella
IL PICCOLO - SABATO, 20 maggio 2017
Un relitto-laboratorio affondato nelle acque della
Riserva marina - Mare Nordest riaccende i riflettori sull’ipotesi Parco navale
Già avviati i contatti con Marina e alcuni arsenali italiani - il costo
iniziale dell’operazione si aggirerebbe sul milione di euro tra spese per il
traino del mezzo da affondare e interventi di bonifica
Valorizzare l'ambiente del golfo di Trieste, incentivare la ricerca
scientifica e creare un’attrazione in grado di portare ancora più turisti in
città. Sono gli obiettivi del progetto “Parco navale di Trieste”, idea targata
Associazione Trieste Sommersa Diving e riemersa a chiare lettere, e con qualche
ulteriore sviluppo, nel corso della prima giornata di “Mare Nordest - I Mestieri
e i Misteri del Mare”, la manifestazione ospitata nei saloni del Molo IV, una
tre giorni interamente dedicata alla cultura del mare a cura della stessa
Trieste Sommersa Diving, allestita con il sostegno di AcegasAps Amga, Trieste
Trasporti, Fondazione "Casali", Bignami Sub e Samer&Co.Shipping. Una cornice
ideale, appunto, per rilanciare un progetto che, di recente, è stato
protagonista anche alla Eudi di Bologna, la maggiore manifestazione espositiva
in campo europeo dedicata al mondo della subacquea. I promotori del progetto
puntano a realizzare a Trieste un’operazione di scutling, ovvero l'affondamento
volontario di navi e relitti ai fini di un ripopolamento della flora e della
fauna marittima. Come location del Parco navale la Trieste Sommersa Diving
ipotizza una fascia di mare di circa 50mila metri quadrati posta ai margini
della “zona B” della Riserva naturale marina di Miramare, un tratto peraltro
individuato dopo una serie di incontri con la Capitaneria di porto e la stessa
Riserva. Un’area che soddisfa due criteri essenziali in progetti come questi: la
«tutela di area protetta» e «l’impatto zero per la navigazione». Il secondo
tassello del progetto ha già coinvolto la Marina Militare e alcuni arsenali, nel
dettaglio Taranto, Augusta e La Spezia, interessati a fornire la materia prima,
ovvero le navi destinate all'affondamento volontario e su cui (previa bonifica)
andrebbero create le condizioni necessarie per riuscire a creare il “rifugio”
ideale per fauna e flora della zona. Sulla carta, assicurano gli ideatori, il
progetto rappresenterebbe un’attrazione turistica importante vista la forte
presenza di appassionati di immersioni subacquee nel Nordest. E potrebbe
rivelarsi anche uno straordinario scenario per la ricerca in campo biologico
marino. Impianti simili attualmente se ne contano in Australia, Nuova Zelanda,
Cuba, Maldive, Canada, Malta, Canarie e Stati Uniti. I costi iniziali? In conto
bisogna mettere il traino dei relitti, le operazioni di bonifica e gli ulteriori
lavori previsti dagli arsenali di competenza, partendo quindi da non meno di un
milione di euro. Delle modalità dello “scuttling” e dei suoi possibili sviluppi
si parlerà oggi a Mare Nordest in Molo IV alle 18.30, con gli interventi a cura
del Contrammiraglio Francesco Chionna e della biologa marina Sara Andreotti.
Intanto si fa già avanti uno “sponsor politico”, Massimiliano Fedriga. Il
capogruppo leghista alla Camera ha infatti presentato un’interrogazione ad hoc
al ministero dell'Ambiente: «Il progetto Parco navale si inquadra nell'ottica di
sviluppo e rivalutazione dei fondali marini - ha sottolineato il parlamentare -
e, oltre a rappresentare un unicum in Italia, avrebbe conseguenze positive per
l'ambito turistico, quello scientifico e naturalistico, e con ricadute sulla
piccola pesca costiera». La prima giornata di lavori a Mare Nordest ha offerto
però anche altri spunti, legati soprattutto ai mestieri del mare, accompagnati
in questo caso dal sigillo dell'eccellenza. Possono sicuramente essere
annoverati tra i “fuori classe” del mare i due triestini saliti in cattedra per
l’occasione: lo yacht designer Alberto Mancini e il comandante Dino Sagani, il
primo presente in auditorium davanti a una folla di centinaia di studenti, il
secondo collegato in video dalle rotte verso Genova a bordo della Majestic
Princess (in sala c’erano i genitori). Un progettista di successo e un capitano
che ha bruciato le tappe di una carriera favolosa al comando di navi. Due
percorsi diversi, è vero, ma anche due storie che alal fine trasmettono messaggi
e insegnamenti quasi analoghi, rivolti prima di tutto al pubblico dei più
giovani: «Studiate, formatevi e abbiate coraggio. Sempre».
Francesco Cardella
L’invasione della meduse «Crescita inarrestabile» - La
direttrice dell’Ogs Del Negro: «Spariti i predatori. A rischio le risorse
ittiche»
Ma una soluzione ci sarebbe: basterebbe mangiarle come in Cina e Giappone
Un mare di meduse nel Golfo di Trieste. Come le rondini a primavera sono
tornate in città le “bote marine”. E in grande quantità. In anticipo di quasi un
mese rispetto lo scorso anno. Una vera invasione delle acque cittadine tanto da
essere diventate un’attrazione turistica. Fotografate e filmate come delle star
lungo le Rive. Uno spettacolo. Scientificamente si chiamano Rhizostoma Pulmo
(polmone di mare). Hanno un cappello che può raggiungere i 60 centimetri di
diametro, sono poco urticanti (ma gli effetti collaterali sono soggettivi). Di
certo non invitano alla balneazione. I loro spostamenti sono ciclici. Il fattore
il clima ha un suo peso: con le temperature più calde solitamente si ritirano
verso le acque più profonde permettendo l’avvio della stagione dei bagni. Non
c’entra il buono stato di salute delle acque. Questo è un trito luogo comune.
«Lo si diceva una volta. È una leggenda» spiega Paola Del Negro, direttrice
della sezione Oceanografia dell'Ogs. Un problema comunque per l’ecosistema. Il
segnale di un equilibrio alterato da anni di pesca forsennata. Il problema è che
da qualche anno a questa parte, il loro numero è in continua crescita. Da Muggia
a Sistiana proliferano questi organismi gelatinosi. Alle classiche "bote
marine", cioè le Rhizostoma Pulmo, grandi ma innocue, si sono aggiunte l'Aurelia
aurita (non urticante), che presenta sull'ombrello una sorta di quadrifoglio, la
Chrysaora Hysoscella (marrone, a spicchi e dai lunghi tentacoli, questa sì
lievemente urticante). «È impossibile stabilire se il numero delle meduse è
maggiore a quello dello scorso anno - spiega Del Negro -. È da un po di anni che
si registra un aumento generalizzato di questi organismi gelatinosi in tutto il
Mediterraneo. Quest’anno è massiccia la presenza di Rhizostoma Pulmo. La
crescita è dovuta a una serie di concause: dall'innalzamento delle temperature
fino alla diminuzione dei predatori delle meduse a causa della pesca». A
rischio, insomma, ci sono i fragili equilibri dell'ecosistema marino. «Più
meduse ci sono, più plancton mangiano e meno ne resta per pesci, molluschi e
mitili. Inoltre mangiano e uova e larve di pesci. Le meduse sono dei predatori.
Il depauperamento della risorse marine è già stato segnalato. Anche perché le
meduse ci sono anche quando non le vediamo come in questi giorni. O quando ce ne
preoccupiamo per la balneazione» spiega la ricercatrice dell’Ogs. Che fare
allora? Basterebbe mangiarle come fanno in Cina e in Giappone. «Questo potrebbe
essere una soluzione. A Slow Fish il biologo Silvio Greco ha presentato le
meduse in pastella. Basterebbe utilizzare questa risorsa» aggiunge Del Negro. I
menu triestini potrebbero così aggiungere ai sardoni panadi le “bote marine”
panade. Altrimenti c’è il rischio serio di impoverire il mare a danno della
pesca. «La risorsa ittica è già in sofferenza. L’anno scorso a fine estate c’è
stata la presenza di uno xenoforo, un altro organismo gelatinoso, in quantità
enormi. Qualcosa, prima o dopo, bisognerà fare» conclude la direttrice dell’Ogs.
Magari cominciare a mettere le meduse in padella.
Fabio Dorigo
Pulizia dei fondali davanti a piazza Unità - il
calendario
I lavori odierni della sesta edizione di " Mare Nordest" si aprono alle 9
con gli interventi di Nicolò Carmineo e di Bruno Dumontet, i pionieri del
monitoraggio marino sull'inquinamento da plastica. Dalle 10 alle 13, il convegno
ospita una lezione sui temi della divulgazione del settore, a cura di Romano
Barluzzi e Leonardo d'Imporzano, incontro valido per la formazione crediti dei
giornalisti. Alle 10.45 di scena “L'ultimo viaggio del Baron Gautsch”,
rappresentazione tratta dall'opera di Pietro Spirito, con Sara Alzetta. Alle
11.30 “I Misteri e i Mestieri dei mari polari: l'Antartide”, con gli interventi
dei ricercatori Miro Gacic, Ester Colizza e Gianguido Salvi. Dalle 14 alle 16 "
Le mani in..Antartide", laboratori per le scuole, alle 15.30 il seminario Asi
"Aggiornamento sulle tecniche di immersione sotto i ghiacci" mentre alle 17 è la
volta delle premiazioni del Trofeo di fotografia subacquea, Memorial “ Genzo”.
Domani, ultimo giorno di Mare Nordest, l’appuntamento clou inserito nel
programma è la pulizia dei fondali antistanti piazza Unità. Il ritrovo è fissato
per le 9.10 davanti alla Scala reale davanti alla quale, c’è da scommetterci,
salteranno fuori alla fine rifiuti di ogni tipo. Alle 11 sono invece in
programma le dimostrazioni in mare a cura delle unità cinofile della Scuola
italiana cani salvataggio
(f.c.)
IL PICCOLO - VENERDI', 19 maggio 2017
IL PROGETTO A BARCOLA - Cinquecento posti auto nel futuro del terrapieno - L’ipotesi lanciata dal sindaco dopo un sopralluogo con i delegati dei circoli
La richiesta delle società sportive: «Prima gli spazi per pullmini e carrelli»
Le società nautiche di Barcola hanno bisogno di nuovi spazi a terra, in particolare per il parcheggio dei mezzi (pullmini e carrelli) necessari alle trasferte legate alle varie competizioni. L’esigenza, in verità, si era manifestata già alcuni anni or sono, ma non aveva trovato risposte concrete da parte dell’Autorità portuale, che gestiva quelle aree demaniali. Nelle ultime settimane il discorso si è riaperto, come spesso accade quasi per caso, durante un incontro fra il sindaco Roberto Dipiazza e alcuni dirigenti di uno dei sodalizi barcolani. Così nei giorni scorsi il primo cittadino ha coinvolto l’assessore ai Lavori pubblici Elisa Lodi, alcuni tecnici comunali e i delegati dei circoli in un sopralluogo per verificare la situazione del terrapieno, da qualche mese entrato anch’esso nella disponibilità del Comune come gran parte del Porto vecchio. In seguito al sopralluogo Dipiazza ha incaricato gli uffici comunali di predisporre un progetto per un parcheggio, nell’area attualmente occupata da una boscaglia spontanea, che negli anni si è fatta sempre più fitta oltre ad essere diventata habitat di varie specie non proprio gradite, a cominciare dai ratti. A quanto pare gli spazi che si ricaverebbero dall’eliminazione di quel bosco sarebbero più che sufficienti per sistemarvi i mezzi di trasporto “tecnici” dei vari sodalizi. E allora perché non pensare anche a parcheggi per i mezzi privati, dei soci e non. Dipiazza non ci ha pensato su due volte, e nell’occasione ha parlato di «almeno 500 posti auto». Quello che potrebbe sembrare un numero eccessivo, in realtà non lo è. Intanto le società sportive che gravitano attorno al terrapieno sono sei: Circolo marina mercantile, Canottieri Saturnia, Società velica di Barcola Grignano, Club del gommone, Circolo nautico Sirena e Surf Team Trieste. Ciascuna di esse ha in media almeno 500 soci, e molte decine di atleti. Oltre tremila persone, quindi, che diventano molte di più se si aggiungono familiari ed eventuali ospiti. Il parcheggio, quindi, ci sta tutto. Posto che la volontà del Comune di creare questo spazio c’è, va tenuto presente che il progetto è ancora tutto da studiare. E in questo contesto i presidenti delle società rimarcano la necessità di dare la precedenza ai mezzi necessari all’attività sportiva. Prima vanno quindi sistemati pullmini e carrelli, poi eventualmente le auto private. La richiesta di spazi, ribadiscono, non parte certo dalla ricerca di posteggi per i privati. La strada che porterà al progetto passa per una serie di approfondimenti tecnici, da fare con gli uffici comunali. A ricordarlo è il presidente della Barcola Grignano, Mitja Gialuz, che rileva la necessità di «verifiche per garantire la disponibilità di spazi oggi sottratti alle società». Approfondimenti che vanno fatti «anche con l’Autorità portuale, nell’ottica della futura mobilità in Porto vecchio e di altri eventuali progetti per lo stesso terrapieno». Anche Gialuz conferma che l’esigenza principale riguarda spazi di pertinenza per i mezzi necessari all’attività sportiva, attualmente parcheggiati alla meno peggio lungo la strada interna del terrapieno, ripensando quindi l’utilizzo degli spazi su quell’area dove, nelle settimane dedicate alle iscrizioni alla Barcolana, si verificano «enormi problemi di viabilità». Senza contare che, nel periodo della famosa regata, la Svbg organizza eventi collaterali proprio assieme a due società che hanno sede sul terrapieno, la Canottieri Saturnia e il Circolo nautico Sirena. L’idea di creare un parcheggio per i pullmini e i carrelli per il trasporto delle barche risale, come si diceva, ad alcuni anni fa. «Avevamo fatto una richiesta all’Autorità portuale - ricorda Fulvio Rizzi Mascarello, presidente del Circolo marina mercantile - per parcheggiare i carrelli delle barche, ma allora ci venne risposto che non era possibile realizzare uno spazio del genere. È anche un problema di sicurezza delle imbarcazioni - osserva - che non sempre, al rientro dalle gare a tarda ora, vengono subito scaricate e messe al riparo». La necessità di disporre di spazi per i mezzi di trasporto “tecnici” è ribadita anche dal presidente della Canottieri Saturnia, Gianni Verrone. «Sistemare carrelli e pullmini - rileva - è sempre un problema, non solo per noi ma anche per le altre società del terrapieno. Questo è l’interesse principale, non certo i posteggi per le auto». Le società non chiedono poi grandi investimenti. Sarebbe sufficiente, a quanto dicono, ricoprire le nuove aree con materiale drenante.
Giuseppe Palladini
Ceneri, carotaggi e marce indietro - L’area nata a fine anni ’70 come discarica. Rilevata diossina ma nessun rischio
Progetti a go-go per il terrapieno di Barcola. Se ne sono viste di tutti i colori per quell’area nata come discarica tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta. Avrebbe dovuto accogliere la nuova sede della Fiera, essere il punto di partenza di un tunnel sottomarino di collegamento con il Porto nuovo, ma anche ospitare il tanto discusso Parco del mare che ora sembra aver trovato un dimora definitiva. Nel mezzo un lungo periodo, oltre una decina di anni fa, in cui il terrapieno e le sedi delle società sportive che vi operano sono finiti sotto tiro (con il rischio di demolizione...) a causa delle numerose sostanze inquinanti - a cominciare dalla diossina - emerse attraverso una serie di carotaggi in quel terreno dove finirono anche le ceneri prodotte dall’impianto di smaltimento dei rifiuti di Monte San Pantaleone. Dei 500mila metri cubi di materiale di riporto con cui venne costruito il terrapieno, 30-35mila erano appunto ceneri, provenienti soprattutto dal vecchio inceneritore di Monte San Pantaleone, dalle quali come detto poteva sprigionarsi diossina. Per questo il terrapieno fu posto sotto sequestro giudiziario dal 30 novembre 2005. In quegli anni era emerso che sotto le ceneri, presumibilmente scaricate tra il 1978 e il 1981, vi sarebbero anche le macerie dei crolli causati dai bombardamenti angloamericani del 1944-1945 e il materiale dello scavo della galleria ferroviaria di circonvallazione. Nonostante gli esiti dei carotaggi, non emerse alcun pericolo per la salute dei frequentatori del terrapieno e nemmeno per gli abitanti della zona, come venne verificato attraverso le misurazioni sulla qualità dell’aria. Non furono quindi interdette le attività dei concessionari delle aree, e in particolare dei club nautici, fra cui la Barcola Grignano e il Circolo canottieri Saturnia. Le attività vennero però fermate per qualche mese con un’ordinanza proprio del sindaco Roberto Dipiazza (allora al secondo mandato) suscitando non poco allarme anche per l’impossibilità di effettuare gli allenamenti. I carotaggi di cui si è detto furono numerosi, tanto da riguardare campionature di terreno anche all’interno delle sedi delle società. I prelievi riguardarono anche i sedimenti marini. I risultati, che vennero poi validati dall’Arpa, furono confortanti: nei sedimenti marini non risultò esserci traccia della diossina trovata a terra. Diossina la cui presenza
PARCO DEL MARE - «Porto vecchio unica location per un
acquario» - I “saggi” del Wwf bocciano l’opzione Lanterna
Il Parco del mare non ha alternative, a livello di possibili location, al
Porto vecchio. Lo sostiene in una lunga relazione il Comitato scientifico del
Wwf, di cui fa parte tra gli altri anche il rettore Maurizio Fermeglia, che
scarta dunque l’opzione della Lanterna. «La gestione di un acquario - si legge -
perché sia valida economicamente implica un alto afflusso di visitatori. Il
contesto territoriale, indipendentemente dalle scelte architettoniche per il
contenitore, deve avere caratteristiche coerenti con questo presupposto. L’area
indicata ne è assolutamente priva. L’imprescindibile riordino di un contesto
caratterizzato da un disordine urbanistico stratificatosi attraverso usi diversi
come stabilimenti balneari, società nautiche, caserme, magazzini portuali,
eccetera, per quanto auspicabile per restituire visibilità all’unico manufatto
degno di grande valore architettonico, cioè la Lanterna, semmai potrà avvenire,
avrà tempi non coerenti con quelli della realizzazione dell’acquario». «Ove le
amministrazioni che si sono dichiarate disponibili a sostenere l’iniziativa
dovessero valutare la validità economica di questo investimento - aggiunge il
Comitato scientifico - unica localizzazione allo stato individuabile è quella
dell’area del Porto Vecchio. Su quest’area, la cui riconversione è strategica
per la città ma allo stesso tempo attuabile solo gradualmente, con la
collocazione di funzioni ad alto valore attrattivo, la Regione e il Comune
dovrebbero far convergere tutte le iniziative scientifiche, economiche e
turistiche che vengono proposte».
IL PICCOLO - GIOVEDI', 18 maggio 2017
Il futuro di Porto vecchio nel mix turismo-cultura - Presentati gli undici progetti selezionati nel concorso lanciato dal Rotary
Serracchiani: «L’antico scalo deve riuscire a unire tradizione e innovazione»
Le idee rappresentano il grimaldello che farà saltare via gli ultimi lucchetti che impediscono alla città di riconquistare il Porto vecchio. Ne sono convinti al Rotary Club Trieste, a tal punto da aver lanciato un concorso di idee, denominato “Porto vecchio dreaming”, che ha consentito di individuare undici progetti per il riuso dell’antico scalo marittimo triestino. L’iniziativa, che ha visto la collaborazione del Piccolo e il patrocinio dell’Autorità di sistema portuale del mare Adriatico orientale, ha permesso di mettere in piedi un incubatore di sogni che ha iniziato a lavorare a pieno regime in seguito alla sdemanializzazione di gran parte dei 65 ettari della vecchia area portuale. «Non si torna più indietro», ha affermato il sindaco Roberto Dipiazza, sottolineando l’irreversibilità di un processo di cambiamento che dopo decenni di immobilismo sembra ormai avviato. Il primo cittadino ha partecipato a una tavola rotonda, moderata dal direttore del Piccolo Enzo D’Antona, alla quale hanno preso parte anche la presidente della Regione Debora Serracchiani e il presidente dell’Autorità portuale Zeno D’Agostino. La scena se la sono presa le undici idee che sono state selezionate da una commissione tecnica del Rotary Club, presieduta da Pierpaolo Ferrante e composta dai professionisti Francesco Granbassi dello Studio Mark e Francesco Menegoni di g&life, ai quali è toccato il compito di scremare i 25 progetti pervenuti inizialmente. «Se l’economia del mare è un modello di business capace di generare crescita e occupazione - così la presidente del Rotary Maria Cristina Pedicchio -, il Porto vecchio è un sogno che sta per diventare realtà». Cultura, integrazione, viabilità, musealità, innovazione tecnologica, sostenibilità, conoscenza, vivibilità, attrattività e internazionalità: sono solo alcune delle parole chiave che sono state pronunciate nel corso dei diversi interventi. L’associazione PortoArte ha illustrato il progetto (H)all, che prevede l’autorecupero dell’ex refettorio, una palazzina vincolata che, una volta destinata ad attività culturali, potrebbe scatenare un processo di riconversione di tutto lo spazio circostante. L’Ogs, l’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale, ha proposto di trasferire in Porto vecchio l’Istituto del mare, nell’ambito di un grande polo scientifico, tecnologico ed espositivo, mentre l’architetto Claudio Visintini ha delineato una modifica dell’attuale viabilità per poter raggiungere il centro cittadino attraverso il Porto vecchio. Enrico Mazzoli ha intravisto in questa area la possibilità di creare un grande polo museale della scienza e della cultura, in modo da innescare un effetto volano per il turismo. Di «funzione sociale da ridare allo spazio urbano» ha parlato Fiorella Honsell, attraverso una presentazione che ha illustrato anche le possibili connessioni fra viabilità veicolare e mobilità sostenibile. Paolo Giribona ha delineato la possibile nascita di un centro altamente tecnologico dove possano aggregarsi delle aziende per lo sviluppo di soluzioni nel campo della salute, mentre ProgettiAmo Trieste ha visto nella creazione di una serra-mercato la possibilità di aumentare gli spazi dedicati all’agricoltura biologica sostenibile all’interno delle aree urbane. L’Associazione Atlantis Mouxuom ha invece progettato un ambiente sottomarino, a impatto zero, da mettere a disposizione della ricerca scientifica e dell’economia del turismo. Simone Patternich, dal canto suo, si è prefisso di insediare un atelier di ricerca e formazione specializzato nel campo del design. Stefano Fantoni, presidente della Fit-Fondazione internazionale Trieste, ha puntato tutto sulla realizzazione di un grande Science Center di livello europeo nel Magazzino 26, da integrare con la Centrale idrodinamica e con la Sottostazione elettrica. Il presidente della Barcolana Mitja Gialuz, sulla scia del progetto che vedeva Trieste come possibile sede per le regate di vela, nel caso nel 2024 si fossero disputate le Olimpiadi a Roma, ha auspicato la creazione di una Accademia dedicata agli sport del mare. «In questi due anni passati a Trieste ho assistito a una crescita, non solo dell’area portuale, che non ho riscontrato in altre città - ha sottolineato D’Agostino -, tanto che in una recente intervista, rilasciata al Secolo XIX di Genova, il giornalista mi ha chiesto conto di questa isola felice che sembra essere questa parte del nordest italiano». La presidente Serracchiani, infine, ha descritto il Porto vecchio come «un luogo che deve riuscire a unire tradizione e innovazione. Per il futuro di Porto vecchio occorre mettere insieme pubblico e privato - le sue parole -. Abbiamo bisogno di luoghi dove far arrivare il turismo di qualità, senza dimenticare che cultura e scienza sono dei tasselli importanti per la crescita di questo territorio».
Luca Saviano
Nuovo accesso ultimato entro il fine settimana
Il conto alla rovescia per il nuovo accesso al Porto vecchio è iniziato. I lavori, partiti nella notte tra lunedì e martedì, hanno i giorni contati, visto che, secondo il cronoprogramma definito dall’amministrazione comunale, dovrebbero concludersi entro il fine settimana. E se ieri, dopo la seconda notte di cantiere, non è stata registrato alcun rallentamento significativo, adesso l’unica incognita resta appesa alle condizioni meteorologiche. «Se i lavori finiranno in tempo dipende solo dal meteo - aggiorna l’assessore all’Urbanistica Luisa Polli -. Se le buone condizioni meteorologiche permangono come è stato da sabato a oggi (ieri, ndr), allora credo proprio che potranno concludersi entro la settimana». Fino a domani il sito dell’Osmer Fvg prevede condizioni stabili, che potrebbero però variare a partire da sabato. Nel frattempo, la polizia locale di Trieste informa che il cantiere non ha dato particolari intralci al traffico anche perché, si diceva, i lavori vengono portati avanti di notte, quando viale Miramare è meno frequentato. Il progetto prevede di aprire un ingresso in sicurezza per l’area di Porto vecchio proprio da viale Miramare. Il nuovo accesso sarà predisposto anche a servizio dei veicoli che arrivano da Roiano e non solo da Barcola. Gli operai hanno già iniziato a disporre la segnaletica orizzontale che indicherà a chi proviene da Roiano di incanalarsi per poter svoltare successivamente a sinistra verso l’area interna dell’antico scalo. L’assessore Polli ha fatto un sopralluogo alle 16 di ieri appurando come siano in fase di predisposizione anche i rallentatori da disegnare sull’asfalto per ricordare che in quel tratto il limite di velocità è di 50 chilometri orari, come previsto per tutti i centri abitati. «Una misura che abbiamo ritenuto di dover prendere - continua l’assessore Polli - perché ci troviamo in un rettilineo dove si tende a premere troppo l’acceleratore. A maggior ragione a opera finita, sarà fondamentale mantenere i limiti di velocità. Solo in questo modo si permetterà, a chi da Barcola si muove in direzione del centro città, di frenare in tempo dietro a un’auto che volesse utilizzare il nuovo ingresso. Dal Ferroviario all’incrocio - aggiunge - c’è comunque abbastanza spazio per svoltare in tutta sicurezza». Nel piano dell’amministrazione viene contemplata anche per i pedoni la possibilità di inoltrarsi nel Porto vecchio, «seguendo un percorso - riprende Polli - che una volta veniva molto utilizzato a piedi e di cui oggi molti triestini non sono neppure a conoscenza. Per molti quel passaggio è pieno di ricordi, quando le navi ancora attraccavano al Porto vecchio e i lavoratori vi lavoravano all’interno». L’idea è quindi di creare dei collegamenti fra le diverse zone della città ancora sconnesse, anche a servizio degli abitanti oltre che in chiave turistica. L’accesso renderà più facilmente fruibili il Magazzino 26, la Centrale idrodinamica e la Sottostazione elettrica.
(el.pl.)
“MareNordest”, mestieri e qualche mistero al molo IV
Fino a domenica un programma fitto di conferenze, incontri, mostre e spettacoli incentrati sulla conoscenza e il rispetto dell’ambiente. Si finisce pulendo i fondali
Risorse da analizzare, ricerche e percorsi da valorizzare. I molteplici aspetti della cultura del mare dominano “Mare Nordest 2017”, la manifestazione in programma da domani a domenica al molo IV e sulle Rive, evento ideato e organizzato da Trieste Sommersa Diving in collaborazione con il Comune di Trieste e con “Il Piccolo” in veste di media partner (a proposito: domani, in edicola, troverete un inserto speciale tutto dedicato alla manifestazione, con interviste e l’intero programma della manifestazione). Edizione dunque numero 6, rinnovata nella logistica - dalla Marittima al molo IV - ma arricchita sul piano dei contenuti e delle proposte da articolare all’interno della tre giorni colorata da conferenze, incontri, cerimonie, dibattiti, laboratori e affreschi artistici sul tema. Un piano piuttosto articolato che quest’anno si avvale di un titolo emblematico come “I mestieri e i misteri del mare”, con cui dipanare alcuni temi riguardanti sia le professioni, gli sbocchi e le prospettive, che la sfera di casi magari non esoterici ma rivolti a missioni, studi e ricerche, in atto o compiuti su scala internazionale tra fondali o contesti polari. Uno dei riferimenti riguarda il coinvolgimento delle scuole. Dopo la puntata zero dello scorso anno, l’apertura al mondo scolastico si arricchisce ulteriormente grazie a una serie di iniziative curate dal Wwf di Miramare e sulla scia della prima edizione del concorso “Mare Nordest”, progetto suddiviso in tre categorie - elaborati, video e fotografia - e basato sullo spunto a carattere ecologico/ambientale dal titolo “Un mare di plastica”. La premiazione dei lavori è in programma al molo IV, alle 17 di domani. L’ambiente, i viaggi, la divulgazione e l’arte coniugata al respiro del mare. C’è insomma molto da esplorare quest’anno tra gli orizzonti di “Mare Nordest”, edizione che al suo primo giorno di lavori (dalle 9.15 alle 19.30) regalerà gli interventi di Alberto Mancini (Yacht designer e premio Compasso d’oro per il design industriale 2016), dello skipper Federico Stoppani, del comandante Dino Sagani (in collegamento dalla Majestic Princess), della ricercatrice dell’Ogs Francesca Malfatti, dei giornalisti Romano Barluzzi e Leonardo D’Imporziano e del docente universitario Nicolò Carmineo. L’arte non resta agli ormeggi e al primo giorno propone la rappresentazione teatrale (alle 11) de “La cameriera del Rex”, di Pietro Spirito con Sara Alzetta, e la vernice alle 19.30 della rassegna “Nello Pacchietto, un pittore a Nord Est”, a cura di Giorgio Parovel e Marianna Accerboni. Domenica, si chiude e si chiude in bellezza: alle 9.10 ecco la pulizia dei fondali antistanti a piazza Unità mentre alle 11 le dimostrazioni in mare delle unità cinofile. Il resto del programma naviga sul sito www.marenordest.it.
Francesco Cardella
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 17 maggio 2017
Accesso al Porto vecchio - Scatta la “rivoluzione” -
Iniziati i lavori stradali per consentire la svolta a sinistra per chi arriva da
Roiano
La corsia di sorpasso dopo il cavalcavia diventerà tratta di
“canalizzazione”
Il nuovo ingresso in Porto vecchio da viale Miramare sarà pronto nel giro di
una settimana. Le modifiche alla segnaletica, così come i ritocchi del manto
stradale, sono iniziate nella notte tra lunedì e martedì e, tempo permettendo,
non dovrebbero impegnare più di qualche giorno ancora. Presto sarà dunque
possibile entrare nell'area dell'antico scalo anche arrivando da Roiano e non
solo, come avviene finora, da Barcola. Per assicurare l'accesso agli
automobilisti che provengono da quella direzione, gli operai stanno
predisponendo le indicazioni sull'asfalto. In buona sostanza si tratta di
trasformare la corsia di sorpasso che si apre dopo aver superato il cavalcavia
del ponte ferroviario, in una carreggiata di “canalizzazione” per consentire la
svolta a sinistra in prossimità dell'imbocco nel Porto. Anche la parte opposta
sarà provvista di un'opportuna segnaletica stradale, sempre lungo l'asfalto,
pensata per far transitare i veicoli nel rispetto del limite dei cinquanta
chilometri orari. «I lavori per preparare il nuovo accesso sono in corso, li
stiamo facendo di sera - sottolinea l'assessore con delega all'Urbanistica Luisa
Polli -. Quindi in questi giorni raccomando una cautela aggiuntiva da parte di
chi chi percorre quel tratto di viale Miramare. Per quanto attiene la
segnaletica sulla velocità, ricordo che su quella strada il limite è già di
cinquanta chilometri all’ora. Noi lo andiamo a ribadire per rafforzare il
messaggio». Anche perché, naturalmente, chi proviene da Barcola si troverà
davanti le auto che girano verso l'ingresso del Porto vecchio. «Ecco perché è
necessario, a maggior ragione, mantenersi a quella velocità», puntualizza ancora
l'esponente della giunta Dipiazza. L'intera operazione, stando alle intenzioni
del Comune, punta a favorire la fruibilità soprattutto del Magazzino 26, della
Sottostazione Elettrica e della Centrale Idrodinamica tanto ai cittadini quanto
ai turisti. L'uscita dal Porto vecchio su viale Miramare, invece, rimane quella
già prevista allo stato attuale con direzione obbligatoria verso il centro
città. Il Comune ha in programma anche l'apertura di un passaggio pedonale
all'altezza della fermata della 6, in prossimità del Magazzino 26, da un
cancello già esistente. «Nei prossimi giorni - annuncia l’assessore Polli -
organizzeremo una sorta di piccola passeggiata inaugurale». Quel punto,
peraltro, sarà attrezzato con una pedana per i disabili, simile a quella già
adottata per il castello di Miramare. Fin qui gli aspetti certi. Non c'è ancora,
invece, una data esatta per la rotatoria. «Aspettiamo i 50 milioni di euro dal
governo - precisa l'assessore - ma mi dicono che il provvedimento è quasi pronto
visto che c'è l'accordo tra Comune, ministero e Regione sulla ripartizione dei
fondi. Per quanto riguarda invece il nuovo ingresso su viale Miramare credo che
tutto sarà pronto nell'arco di una settimana. Sempre che le condizioni
meteorologiche lo permettano». Prossimamente, come rendevano noto nei giorni
scorsi sia Polli sia la collega di giunta Elisa Lodi, assessore ai Lavori
pubblici, sarà sistemato anche l'asse di attraversamento del Porto Vecchio. Lì è
previsto il passaggio di una linea di autobus con sbocco sulle Rive.
Gianpaolo Sarti
Dipiazza dona il sigillo trecentesco a Russo dopo la
sdemanializzazione dell'area portuale
Il sigillo trecentesco al senatore Pd Francesco Russo per aver ottenuto la
sdemanializzazione del Porto Vecchio. L’idea, avanzata da Roberto Dipiazza in
tv, non può che entusiasmare il diretto interessato. Che ieri ha commentato: «Se
non fossimo nel mese sbagliato, quando mi hanno riferito delle dichiarazioni di
Dipiazza avrei davvero pensato ad un pesce d'aprile - ha scherzato il senatore
-. Invece, battute a parte, voglio ringraziare il sindaco. Non solo perché da
cittadino sarà un onore ricevere il sigillo trecentesco. Ma specie per il
messaggio simbolico che questo rappresenta. Segno di una politica che sa andare
oltre le beghe di quartiere e lavorare unita sui grandi temi. Se vogliamo
vincere la sfida di Porto vecchio, abbiamo il dovere di lavorare tutti insieme».
Sull’iniziativa interviene anche la consigliera Barbara Dal Toè. «Rivolta
l’Italia si congratula con il sindaco per il premio a Russo - afferma -. Anche
lui, come noi, cerca il dialogo con gli antagonisti sui grandi temi per il
futuro di Trieste».
Agorà scientifica e stampe 3D nei “sogni” per l’antico
scalo - Ventitrè le proposte arrivate al concorso lanciato dal Rotary sul riuso
dell’area
Oggi alla Centrale idrodinamica la presentazione delle dieci idee più
convincenti
Sul Porto vecchio piovono sogni e idee. E molti parlano di scienza e
innovazione. È la dimostrazione delle grandi aspettative, fantasie e speranze
che suscita l’antico scalo tornato da inizio anno a disposizione della città.
“Porto vecchio dreaming”, l’iniziativa del Rotary Club Trieste in collaborazione
con Il Piccolo e con il patrocinio dell’Autorità di sistema portuale del mare
Adriatico Orientale, svela oggi i risultati. Alla Centrale Idrodinamica, alle
17, saranno presentate le 10 idee selezionate sui 23 progetti arrivati. Il
sistema bottom up, ovvero contributi “dal basso”, ha funzionato tanto che il
Rotary Club Trieste sta pensando a breve a una nuova edizione dell'evento. «Una
vera sorpresa. L’obiettivo è riuscito. Hanno partecipato giovani studenti,
professionisti affermati, gruppi multidisciplinari, istituti scientifici, varie
associazioni e persone comuni. Una variegata parte della città ha deciso di
confrontarsi con il pubblico proponendo idee» spiega Pierpaolo Ferrante,
coordinatore della commissione tecnica. “Presenta il tuo sogno sul riuso di
Porto vecchio in pubblico e davanti alle autorità con l’aiuto del Rotary”, era
l’invito rivolto dal concorso lanciato qualche settimana fa. Per raccogliere le
idee innovative riguardanti la trasformazione del Porto vecchio di Trieste in
una nuova parte della città. «Per tanti anni e attraverso molteplici iniziative
a Trieste abbiamo sognato la rinascita del Porto vecchio, oggi sono finalmente
maturi i tempi per passare dal sogno alla realtà - si legge nella presentazione
del concorso -. Dall’inizio 2017 gran parte dei 65 ettari, 650 mila metri
quadrati di territorio portuale denominato “Punto franco vecchio” è stata
sdemanializzata e la proprietà è stata intavolata al Comune di Trieste. Sono
state inoltre rilocalizzate in altre aree della città le superfici che godono
dei benefici del Punto franco. Molte ipotesi di riutilizzo sono state analizzate
e proposte da esperti e autorità, ma non è stata mai data la possibilità ai
cittadini di esprimere il loro “Porto vecchio dreaming”». Oggi finalmente si
capirà cosa sognano i triestini: a 10 soggetti verrà offerta la possibilità di
pubblicizzare le idee di sviluppo del Porto vecchio. Una presentazione della
durata massima di 5 minuti supportata da 15 diapositive. A seguire, le idee
presentate saranno discusse in una tavola rotonda, coordinata dal direttore del
Piccolo Enzo D’Antona, dal sindaco Roberto Dipiazza, dalla presidente della
Regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani, dal presidente dell’Autorità
portuale Zeno D’Agostino e dalla presidente del Rotary Maria Cristina Pedicchio.
E le sorprese non mancheranno. «Molte idee puntano a creare in Porto vecchio
un’agorà scientifica, una piazza dell’innovazione, un museo aperto», spiega
Ferrante. Una situazione che si collega allo sbarco annunciato al Magazzino 26
(grazie ai 50 milioni di euro messi a disposizione dal Mibact) dell’Icgeb e
dell’Immaginario scientifico. La scienza sembra prevalere nelle idee presentate
molto più del Museo del mare voluto dal ministero affiancato dal pontone
galleggiante Ursus e dalla portaerei Vittorio Veneto. «C’è molta attenzione per
un eventuale museo della scienza e della tecnologia come attrattore principale
in cui compendiare anche gli altri musei. Un museo dell’innovazione legato alla
città di Trieste. Non va dimenticato che l’elica è stata inventata qui. Anche un
museo del mare può essere inglobato in un museo dell’innovazione. Pure
l’Immaginario scientifico e il museo della Bora. Una grande agorà dove sono
presenti tutti gli istituti triestini e in cui magari mettere a disposizione dei
cittadini le stampanti 3D. Molte proposte si soffermano proprio su questo:
diciamo che è l’idea più ricorrente», rivela Ferrante. In ogni caso si scontrano
visioni diverse. «Qualcuno pensa a un’autostrada che attraversi il Porto
vecchio, qualcun altro a una viabilità del tutto secondaria. Un dibattito
aperto», aggiunge l’ingegnere Ferrante. Di mezzo c’è l’ipotesi di utilizzare i
binari esistenti per un treno o un tram che colleghi l’area alla città.
Un’ipotesi scartata dall’attuale amministrazione, che per ora pensa solo a una
deviazione della linea 6 della Trieste Trasporti.
Fabio Dorigo
L’operazione “Pulizie radicali” delle strade prende il
via domani nel cuore di Servola
Scatta domani in via Pitacco a Servola la fase pilota del programma “Pulizie
radicali” che Comune e AcegasApsAmga hanno pianificato per il 2017 e che vedrà
in corso d’anno ben 12 interventi in altrettante vie della città. Lo slogan del
programma è “Sei ore e la tua strada sarà…come nuova”. L’obiettivo è restituire
ai cittadini la strada in cui si abita o si lavora come fosse nuova a seguito di
un intervento di pulizia “chirurgica” ed estremamente approfondita. In
particolare si procederà prima con lo spazzamento manuale e di diserbo minuto
degli arbusti che possono colonizzare i marciapiedi, seguirà quindi un robusto
spazzamento meccanizzato, adottando ogni precauzione (es. nebulizzazione
dell'acqua) per evitare il sollevamento di polveri. Infine è previsto un
lavaggio stradale approfondito. Si approfitterà inoltre dell'occasione per
effettuare la pulizia di tutte le caditoie e per lo svuotamento straordinario di
tutti i cassonetti rifiuti. Il secondo intervento scatterà giovedì 25 maggio in
via Valmaura.
I grifoni di Cherso si mettono in mostra al Centro di
recupero - Si arricchisce di una esposizione permanente la struttura che si
occupa di salvare e curare gli esemplari in difficoltà
CHERSO In previsione della stagione estiva che porterà un maggiore afflusso
di visitatori, il Centro recupero grifoni aperto l’anno scorso nella località
chersina di Caisole (Beli in croato) si arricchisce di una mostra permanente
didattico-naturalistica dedicata appunto agli avvoltoi dalla testa bianca, ormai
simbolo dell'isola di Cherso. La struttura è insediata nell’edificio che un
tempo ospitava la scuola dell'obbligo di Caisole, rimesso a nuovo con i mezzi
messi a disposizione da Regione quarnerino-montana, istituto pubblico Priroda
(Natura in italiano), municipalità di Cherso e ministero croato del Turismo.
«Grazie al Centro e alla sua esposizione permanente - ha detto il governatore
Zlatko Komadina - potremo far capire a bambini, giovani e adulti l'importanza
dei grifoni e della biodiversità di Cherso, e contribuiremo ad arricchire
l'offerta turistica di quest'isola quarnerina». La nuova mostra permanente del
Centro di recupero - di cui fa parte anche la mangiatoia allestita in zona
Strganac, sempre a Cherso - si trova nel pianterreno della struttura, che al
piano superiore ospita invece spazi per volontari, studenti e studiosi. Due le
parti dell’esposizione, che parte presentando quella che è una specie animale
tutelata in Croazia da leggi molto severe (chi ferisce o uccide un avvoltoio
rischia fino a 5.500 euro di multa); la seconda parte focalizza invece i legami
tra l'ambiente chersino e gli avvoltoi, così come il patrimonio naturale della
Tramontana, l'area settentrionale dell'isola di Cherso. La mostra poggia su
quella che è una peculiarità dell’area: l’unica colonia di grifoni ancora
presente in Croazia è infatti quella delle isole del Quarnero, e la maggior
parte degli esemplari vive e nidifica proprio a Cherso. L’assessore regionale
all’Ambiente Koraljka Vahtar Jurkovi„ ha sottolineato come «l’Istituto Priroda,
al quale è stato affidato il centro di Caisole, è l’unico del genere nel Paese
ad avere ottenuto il permesso per tenere in cattività gli animali in regime di
tutela». Il sindaco di Cherso, Kristijan Jurjako, si è detto convinto che la
struttura «attirerà turisti, biologi e studiosi a livello internazionale»,
sottolineando come nei soli mesi di luglio e agosto 2016 «il Centro è stato
visitato, e senza alcuna pubblicità, da tremila persone, molte delle quali
villeggianti stranieri». Non solo mostra: Sonja Sisi„, direttrice di Priroda, ha
ricordato che solo in questi ultimi mesi nel Centro sono stati curati fino a
tornare in piena forma cinque avvoltoi, rimasti feriti o caduti in mare, poi
rimessi in libertà.
Andrea Marsanich
Natura - La lenta scomparsa degli habitat umidi
Qual è lo stato in cui versano torrenti, pozze e paludi
della nostra provincia? Stasera alle 19, nella sede di Legambiente Trieste, se
ne parlerà nell'incontro su “Torrenti, pozze e paludi dei dintorni di Trieste:
fauna, ecologia” con Fabio Stoch, oggi affiliato all’unità di ricerca di
biologia evoluzionistica ed ecologia all’Università Libera di Bruxelles e che -
rivela Tiziana Cimolino di Legambiente - «appena può torna a Trieste per seguire
le problematiche di conservazione, in particolare delle grotte e delle zone
umide di cui si è occupato per anni. L’incontro - prosegue Cimolino,
coordinatrice del Forum dell’acqua - fa seguito a una serie di iniziative che
abbiamo organizzato sul tema delle acque di Trieste. Particolarmente seguite
sono state le due escursioni dedicate ai torrenti nascosti, accompagnati dalla
guardia forestale Fabio Tercovich sulla via del rio Storto e dal naturalista
Paolo Privitera sulle tracce del rio Settefontane (e la prossima si terrà
venerdì domenica prossima a Muzzana).
Le gite avevano lo scopo di sensibilizzare sulla particolarità e fragilità dei
nostri paesaggi di verde urbano, poco conosciuti e ridotti talvolta a luoghi di
degrado». Importantissimi per la conservazione della fauna, questi habitat negli
ultimi vent'anni si sono drasticamente ridotti di numero e di estensione e sono
andati incontro a un processo di interramento.
(g. t.)
IL PICCOLO - MARTEDI', 16 maggio 2017
Giardini inquinati, sarà caccia alle cause - Il sindaco
accoglie in Consiglio la petizione di 261 cittadini e si impegna a effettuare
tutte le analisi necessarie dopo la bonifica
Il Comune di Trieste si impegna a fare tutte le analisi necessarie a
identificare le sorgenti inquinanti che hanno contaminato i giardini pubblici
della città, dopo la bonifica.
Nel mirino ci sono soprattutto gli spazi verdi di Servola e dintorni, e la possibilità che a causare l’inquinamento sia stato l’impianto siderurgico. È il risultato della petizione da 261 firme, raccolte soprattutto tra abitanti del quartiere, che il sindaco Roberto Dipiazza ha fatto propria in aula ieri sera. Ha presentato la petizione Alda Sancin, portavoce dello storico comitato No Smog. Ha ricordato come le norme europee identifichino il principio secondo cui chi inquina paga. Ha poi aggiunto: «Le analisi dei campioni di terreno, eseguite da Arpa, evidenziano a Servola diossine e furani in quantità quasi doppia rispetto al resto della città». Il 90% dei firmatari della petizione risiede nei rioni di Servola, Chiarbola, Valmaura e nella zona di Monte San Pantaleone, ha detto: «Circostanza questa che attesta come il problema sia particolarmente sentito in tali aree e non possa venir sottovalutato o non approfondito in maniera risolutiva fino all’identificazione delle sorgenti inquinanti interessate». Questa la richiesta: «Che l’episodio non venga definitivamente archiviato come un caso di “inquinamento diffuso” e che di conseguenza, contestualmente alle necessarie ed urgenti operazioni di bonifica ed applicazione del fitorimedio» il sindaco si impegni ad attuare «tutti gli atti opportuni e necessari al riconoscimento delle sorgenti inquinanti». Sorgenti che vanno identificate nei particolari per «individuare eventuali responsabilità dirette» e «stabilire se siano ancora attive». L’assessore all’Ambiente Luisa Polli ha assicurato che, dopo la bonifica, il Comune andrà ad analizzare nel tempo i terreni ripuliti: «Così capiremo se e quali fonti inquinanti sono ancora attive». Così il sindaco: «La petizione la faccio propria. Nelle prossime settimane ci saranno passaggi importanti. Il 25 maggio saremo al ministero dell’Ambiente, in una riunione in cui sarà convocata anche Siderurgica triestina, per parlare delle inadempienze sull’accordo di programma. Per noi la chiusura dell’area a caldo resta l’obiettivo primario». Il tema è stato affrontato anche da due domande di attualità, una del capogruppo Fi Piero Camber e una della consigliera M5S Cristina Bertoni, che ha commentato: «Ci preoccupano invece le dichiarazioni dell’assessore Polli che vuole monitorare le deposizioni degli inquinanti solo dopo la bonifica dei terreni». Cosa che per il M5S allungherà ulteriormente i tempi. Camber ha rilevato invece come «l’Aia non tiene conto dell’inquinamento acustico, che nel caso della Ferriera era già stato acclarato da Arpa in due diverse occasioni in passato. In queste condizioni quel documento è nullo o annullabile». Sempre nella giornata di ieri, il Comune ha emanato un comunicato in cui il sindaco commenta la relazione inviata dal gruppo Arvedi in risposta all’ordinanza seguita alle fumate del 18 aprile: «Non risponde alla richiesta di tutela dei lavoratori della Ferriera e della salute dei cittadini». Per questo motivo il Comune l’ha inoltrata ad Arpa, Azienda sanitaria e alla Procura della Repubblica.
Giovanni Tomasin
Si rafforza l’asse Servola-Cremona e Arvedi punta allo
sprint per l’Ilva - LA PROPRIETA' DELLA FERRIERA
È tempo di giocare le ultime carte per vincere la partita intorno al
salvataggio Ilva. E ieri, nel giorno in cui i commissari straordinari hanno
depositato al Ministero dello sviluppo le valutazioni sulle offerte per gli
asset del sito siderurgico di Taranto, il gruppo Arvedi - alla guida della
cordata AcciaItalia per rilevare gli impianti pugliesi- ha sfoggiato dati
economici in grande spolvero.
Nel 2016 l’azienda di Cremona, che a Trieste ha uno dei suoi stabilimenti più importanti, ha fatturato 2,2 miliardi di euro, incassando quasi 200 milioni di euro in più rispetto al 2015, e ha registrato un margine operativo lordo in crescita (40 milioni in più) e pari a 268 milioni, il 12% dei ricavi. L’obiettivo per il 2017 è portare il Mol al 16% del giro d’affari, una redditività che se raggiunta sarebbe una delle più alte del comparto. E sarebbe davvero un buon segnale per tutte le imprese siderurgiche perché controcorrente rispetto alla grande crisi che ha afflitto il settore fino a ieri. Dal 2007 a oggi l’acciaio made in Europa ha perso quasi il 25% della domanda e ha visto calare i prezzi del 50%. In questo lasso di tempo il gruppo Arvedi, che impiega 3.600 dipendenti, ha investito in Italia 1,5 miliardi di euro nel rinnovo degli stabilimenti, sia a Cremona che a Trieste, e soprattutto nello sviluppo di nuove tecnologie come quella Esp, che semplifica e accorcia il ciclo produttivo, impattando meno sull’ambiente, e che dovrebbe essere alla base del rilancio dell’Ilva se la spunterà la cordata AcciaItalia. «Siamo particolarmente soddisfatti perché finalmente iniziamo a raccogliere i frutti del duro lavoro svolto, a tutti i livelli, in questi ultimi anni - ha detto Giovanni Arvedi, presidente del gruppo che porta il suo nome -. Confidiamo che nei prossimi anni il settore recuperi il terreno perduto non solo per la crisi che ha colpito duramente il comparto ma anche a causa della pressione subita dalle importazioni “no fair”, in dumping, in particolare dei produttori cinesi ma anche russi, ucraini, iraniani, serbi e brasiliani». Grazie agli investimenti fin qui realizzati, il gruppo siderurgico conta di proseguire il percorso di sviluppo e dedicarsi al rafforzamento della propria solidità patrimoniale attraverso «una significativa riduzione dell’indebitamento finanziario netto». Nelle scorse settimane, inoltre, è stato installato a Cremona un nuovo forno elettrico di ultima generazione, alimentato in parte dalla ghisa prodotta nello stabilimento di Servola a Trieste e in grado di aumentare la capacità produttiva di circa 400mila tonnellate di acciai speciali, che saranno trasformate in coils laminati a freddo dal moderno impianto triestino, nonché di ridurre ulteriormente gli impatti ambientali. L’obiettivo di questo investimento, di cui si avvia l’operatività in questi giorni, ha due facce: da una parte apporta un ulteriore avanzamento tecnologico all’impianto, dall’altra incrementa la capacità produttiva per le successive fasi di lavorazione di laminazione a freddo previste a Trieste. Ora resta la partita più importante: quella dell’Ilva. Nonostante i rumor di un possibile rinvio della vendita, i commissari hanno confermato che la decisione finale sarà presa dal governo entro la fine di maggio. Solo allora si saprà chi sarà il dominus dell’acciaio italiano: AcciaItalia (Arvedi, Jw Steel, Cdp e Delfin di Leonardo Del Vecchio) o la cordata di Marcegaglia e il gruppo ArcelorMittal.
Christian Benna
A2A corre per gli asset Gas Natural - La multiutility
in campo dopo che gli iberici hanno annunciato le cessioni
MILANO - A2A parteciperà alla gara per gli asset che Gas Natural potrebbe
mettere in vendita in Italia, dopo che gli spagnoli hanno incaricato Rothschild
di avviare una revisione strategica delle attività di vendita e distribuzione
possedute nel nostro Paese. «Guarderemo anche» ad acquisizioni «nella
distribuzione del gas e quindi anche a Gas Natural» ha detto l'amministratore
delegato di A2A, Valerio Camerano, sottolineando che il processo di vendita «è
prossimo alla partenza». Per gli asset di Gas Natural, già oggetto
dell'interesse di Italgas, si parla di una valutazione attorno ai 700 milioni di
euro. Camerano ha fatto il punto sulle mire di A2A nel gas (anche attraverso «la
partecipazione a gare») a margine dell'assemblea che l'ha riconfermato, assieme
al presidente Giovanni Valotti, alla guida della società, sulla scorta di un
triennio di forte crescita, come testimoniano la performance di borsa (il titolo
si è rivalutato di quasi il 70%, da 0,88 a 1,48 euro) e l'aumento del 50% del
dividendo. Risultati apprezzati anche dai Comuni di Milano e Brescia, che hanno
messo nel cassetto l'ipotesi scendere sotto il 50% del capitale, attraverso la
cessione di una quota da 4% a testa. «Grazie al fatto che le casse ce lo
consentono il Comune di Brescia non ha intenzione di scendere nella quota di
partecipazione e intende mantenere il 25%» ha detto l'assessore al Bilancio,
Paolo Panteghini. A2A continua poi a perseguire il suo disegno di aggregare
utility medio-piccole in ambito lombardo.
IL PICCOLO - LUNEDI', 15 maggio 2017
Consiglio comunale - I giardini inquinati approdano in aula
Torna a riunirsi questa sera alle 19 il Consiglio comunale. Piatti forti della seduta l’illustrazione e il dibattito sulla bonifica dei giardini inquinati e sull’intitolazione del Canal Grande all’imperatrice Maria Teresa d’Austria. All’ordine del giorno anche mozioni sul futuro della sala Tripcovich, l’istituzione dei volontari per la sicurezza e il contenimento dei gabbiani.
IL PICCOLO - DOMENICA, 14 maggio 2017
«Bus della linea 6 in Porto vecchio» - L’assessore
Rossi lancia l’idea per collegare il polo culturale dell’area al centro: «Ne ho
parlato con Tt»
«Ormai abbiamo le chiavi dei tre contenitori museali del Porto vecchio: la
Sottostazione elettrica, la Centrale idrodinamica, il Magazzino 26». Lo ha
confermato, non senza una certa soddisfazione, l’assessore comunale alla Cultura
Giorgio Rossi, che lo scorso venerdì ha approfittato del sopralluogo effettuato
dalla Quinta Commissione al Salone degli incanti per fare il quadro sulla
situazione complessiva degli edifici triestini da destinare alla cultura. E
proprio in riferimento a quelli in Porto vecchio, ha annunciato, sul versante
dei collegamenti con il centro, l’idea di far passare nell’area l’autobus della
linea 6. Ipotesi allo studio, di cui ha già parlato con Trieste trasporti.
«L’Autorità portuale ci ha già consegnato le chiavi e le strutture tra una
decina di giorni ci verranno assegnate ufficialmente - spiega Rossi -. Per
coprire i costi di questa operazione, dalle polizze assicurative alla vigilanza,
passando per le spese ordinarie di gestione, verranno previsti dei fondi nel
bilancio 2017». Bilancio che, come noto e stando ai tempi tecnici, non potrà
essere approvato prima del mese di giugno. Nel documento di programmazione
economico finanziaria, che l’assessore alla Cultura auspica sarà approvato da
tutte le forze politiche, sono stati inseriti, puntualizza Rossi, 700mila euro
che il Comune finalmente incasserà per le concessioni nell’area sdemanializzata
e che saranno destinati all’operazione “Porto vecchio”. Oltre a questo denaro si
prevede un ulteriore stanziamento di 200mila euro per sostenere le prime spese
relative a luce, acqua, gas e assicurazione. Riguardo sempre al trasferimento di
parte delle attività culturali nei tre edifici di Porto vecchio, l’assessore
dice di avere già ricevuto richieste di prenotazione degli spazi per conferenze
e mostre. L’altro tema caldo è quello dei collegamenti con il centro città, che
l’assessore vorrebbe garantire non con un bus navetta o un trenino, ma
attraverso gli autobus di linea: «Ora che faremo la rotatoria per l’ingresso in
Porto vecchio, la cui realizzazione è prevista per il secondo semestre
dell’anno, la mia idea, di cui ho già parlato con Trieste Trasporti, è quella di
far passare la linea 6 all’interno dell’area dell’antico scalo», spiega Rossi.
Nel frattempo l’assessore intende aprire quel portone a ridosso del cavalcavia
di Barcola che, poco distante dalle fermate dei bus, consente l’accesso pedonale
al Porto vecchio all’altezza della Centrale idrodinamica. Quanto all’altra zona
che la giunta vorrebbe rivitalizzare in chiave culturale, quella del Colle di
San Giusto, Rossi fa sapere che per la gestione dello spazio del piazzale delle
Milizie dentro il Castello, che quest’estate ospiterà molte iniziative,
l’intendimento è di rifarsi alla formula messa in atto per la mostra di Sgarbi
all’ex Pescheria: «Potremmo proporre anche qualche operetta, ma secondo una
formula chiara. Noi metteremo a disposizione sede, palco e sedie, ma gli
organizzatori dello spettacolo saranno chiamati a coprire gli altri costi, che
potranno poi recuperare con lo sbigliettamento».
Giulia Basso
IL PICCOLO - SABATO, 13 maggio 2017
Campo Marzio - Testimonianze umane e non sulla ferrovia
Transalpina
Ritorna la storia della ferrovia Transalpina, l’importante arteria
ferroviaria che nel secolo scorso contribuì in maniera determinante allo
sviluppo economico di Trieste. Questa volta ritorna in una rassegna allestita al
Museo Ferroviario di Campo Marzio (nella foto), a pochi mesi dal suo 110°
anniversario. La Transalpina costituiva il secondo collegamento ferroviario fra
Trieste e Vienna e rappresentava sicuramente l’opera più urgente da realizzare
per far decollare l’economia della città, in particolare quella legata al suo
porto, all'inizio del Novecento. Curatrice di questa nuova mostra è Branka Sulli,
già insegnante di ragioneria e computisteria in alcuni istituti tecnici
cittadini ed autrice di altre rassegne storiche. L’idea di presentare questa
retrospettiva nella stazione di Campo Marzio non nasce per caso: infatti questo
edificio venne eretto nel 1906 proprio come capolinea meridionale della
Transalpina. La rassegna presenta materiale inedito, proveniente da varie
collezioni e musei, ma anche testimonianze di persone la cui vita in vario modo
è stata collegata a questa infrastruttura: Elvira Šuc, Emmil Gomizel, Marta
Šcuka, Peter Frovatin, Uroš Filiplic e Zoran Sosic. La mostra sarà visitabile
fino al 31 maggio, nelle giornate di sabato, domenica e mercoledì dalle 9 alle
13, con regolare biglietto di accesso al Museo Ferroviario.
(a. d. m.)
IL PICCOLO - VENERDI', 12 maggio 2017
Polo energetico, parco o città del benessere - Idee per Porto vecchio - Le proposte sono state avanzate da tre università straniere
Plastici, foto, video e modelli in mostra da oggi al
Gopcevich
Porto vecchio città del mare. Porto vecchio 24° distretto di Vienna. Porto
vecchio zona di produzione energetica, Porto vecchio arcipelago galleggiante
oppure Porto vecchio polo internazionale del benessere psico-fisico. Sono questi
alcuni dei possibili scenari immaginati dagli studenti di tre università
straniere e presentati in una mostra che apre oggi a Palazzo Gopcevich.
L’esposizione “Trieste Città Nuova”, ad ingresso gratuito fino al 4 giugno,
presenta al pubblico modelli, plastici, foto e video proposti di oltre cento
studenti di architettura. La sfida è stata quella di immaginare un futuro per
l’enorme area semi-abbandonata da 650mila metri quadrati, la cui gestione è in
gran parte passata dal demanio al Comune il 31 dicembre. Le proposte sono state
presentate dall’Accademia di Architettura di Mendrisio, dall’università di
Zurigo e da 25 studenti del Politecnico di Vienna. Nella capitale austriaca
insegna Luca Paschini, curatore triestino dell’iniziativa insieme a Federica
Mian, Silvana Stedler e Andrea Battistoni. «Da un lato sono espresse proposte
avveniristiche che devono fungere da stimolo per realizzare nuovi progetti per
Porto vecchio. Dall’altro, accogliamo le idee di università esterne al
territorio offrendo così un’utile occasione di confronto», ha dichiarato
l’assessore alla cultura Giorgio Rossi, intervenuto alla conferenza stampa di
presentazione. La mostra, che si inaugura questo pomeriggio alla presenza del
sindaco Dipiazza, segue a ruota quella sugli idrovolanti allestita dalla
Fondazione Fincantieri, ha ricordato Stefano Bianchi, conservatore del Civico
Museo Teatrale - Carlo Schmidl. Passeggiare tra i rendering e i plastici offre
uno spaccato di futuro, in bilico tra possibilità e utopia. «Le idee degli
studenti possono essere un utile contributo al dibattito della città, con la
consapevolezza che un’area come questa non può essere sviluppata solamente con
energie locali», commenta l’architetto Luca Paschini. Due sale sono dedicate
alle proposte di Mendrisio e Zurigo, che hanno lavorato su una scala più minuta
ipotizzando anche il recupero dei singoli edifici. Tra i nove progetti
“viennesi”, su scala urbana più ampia, ce n’è per tutti i gusti. “Sea city”
lavora sull’ipotesi di rendere Porto vecchio un polo ludico, didattico e
scientifico a tema marittimo; “Vienna 24 District” immagina un’area in grado di
attirare le migliori energie dalla capitale austriaca; “La Città Autonoma” punta
a fare di quei 65 ettari un centro di produzione di energia pulita: fotovoltaica,
solare, termica ma anche eolica e idrica, con tanto di micro-orti per la
produzione agricola autonoma. C’è poi l’ipotesi del sistema di rotaie
soprelevate, per consentire gli spostamenti nei 3km di “vialone”, e quella più
poetica di una città galleggiante in caso il riscaldamento globale giocasse
brutti scherzi. «La mia speranza è quella di poter camminare presto sulla
“promenade” di Porto vecchio», conclude l’assessore Rossi. Tornando alla realtà,
l’amministrazione sta ultimando le sue considerazioni sul piano di Ernst&Young e
«tra qualche mese» si tireranno le conclusioni.
Lillo Montalto Monella
Consorzio Ricrea - Trieste premiata per il riciclo di acciaio
Ha preso il via ieri in piazza Verdi il tour Capitan Acciaio, promosso dal Consorzio Ricrea. Nell’occasione è stato conferito alla città di Trieste un premio per l’impegno nella raccolta differenziata degli imballaggi in acciaio.
Nuovi limiti Ue, centrale A2A a rischio - Scatta la
stretta sulle emissioni. Impianto di Monfalcone davanti a un bivio: costosi
adeguamenti o chiusura dell’attività
MONFALCONE La centrale termoelettrica di Monfalcone finisce sotto la scure
dell’Unione europea, alla luce dei nuovi limiti sulle emissioni inquinanti delle
centrali a carbone. Limiti da adottare entro il 2022 e che comporteranno un
«costoso adeguamento o la chiusura» di circa un terzo degli impianti o di parti
di impianto. Nella “lista” delle 108 centrali europee più inquinanti per le
quali l’adeguamento ai nuovi limiti sarà «più difficile», rientra infatti anche
l’impianto monfalconese, assieme a Genova e al bacino carbonifero del Sulcis,
zona mineraria situata nella parte sud-occidentale della Sardegna. Lo si evince
dalla prima indagine dell’Istituto per l’economia e l’analisi finanziaria
dell’energia proprio sugli effetti della “stretta” alle emissioni. Si tratta
degli ossidi di azoto, dell’anidride solforosa, del particolato, e del mercurio
per i grandi impianti a carbone. Una decisione, quella della Ue, assunta il 28
aprile. Nel contesto italiano, peraltro, il ministro allo Sviluppo economico,
Carlo Calenda, ha parlato anche dell’uscita totale dal carbone tra il 2025,
uscita che «è possibile», ha dichiarato durante un’audizione con Gian Luca
Galletti sulla Strategia Energetica Nazionale, facendo anche i conti. Salati: 30
miliardi di euro rispetto allo scenario base, ha spiegato il ministro, che ha
osservato come «dovrà essere affrontato il tema delle tempistiche autorizzative
per nuove centrali e nuove infrastrutture». Insomma, è l’aut-aut: adeguamento o
chiusura. Una questione per la quale ieri A2A Energie future ha spiegato: «I
dati sui quali si basa lo studio Ieefa si riferiscono al 2014, prima pertanto
dell’installazione dei Denox ai fini dell’abbattimento degli ossidi di azoto e
dell’anidride solforosa, grazie ai quali i parametri risultano ben al di sotto
dei limiti europei». L’azienda ha ricordato l’investimento di 25 milioni di euro
per l’operazione-denitrificatori, sostenendo quindi di «essere in linea con le
nuove disposizioni». A proposito dell’uscita dal carbone, A2A Energie Future ha
ribadito la partecipazione al percorso, già garantito a suo tempo, per il quale
è stato costituito il tavolo di confronto con la Regione. L’assessore regionale
all’Ambiente, Sara Vito, da parte sua, ha annunciato, a proposito delle nuove
strategie energetiche nazionali: «Proprio in questi giorni in Commissione
Ambiente delle Regioni italiane, con capofila la Sardegna, grazie alla mia
proposta di contributo del Fvg, sono state messe a punto le richieste ai fini
del superamento del carbone verso sistemi a minore impatto ambientale, che
verranno inoltrate al ministro dello Sviluppo Economico nell’ambito delle
Strategie energetiche nazionali». Vito ha aggiunto: «La posizione della nostra
Regione è chiara: tutto ciò che può limitare e abbattere le attuali emissioni
non può che trovarci d’accordo. Si tratta ora di fare pressing sul progetto di
calendarizzazione dell’uscita dal carbone». Quanto al tavolo con A2A dedicato,
l’assessore regionale ha affermato: «Il tavolo non si è interrotto. Aspettiamo
il piano da parte dell’azienda, contenente le proposte e la definizione delle
tempistiche e delle modalità del percorso di riconversione della centrale. Lo
abbiamo sollecitato. Certo è una questione complessa, abbiamo lasciato del
tempo, anche perchè si tratta di posti di lavoro. Ma è ora che questa proposta
venga presentata». Il sindaco Anna Maria Cisint ha commentato: «Questo
territorio è stato a lungoà martoriato, drammaticamente colpito ogni giorno da
morti e sofferenza a causa dell’amianto. Se la scienza e i dati attestano che il
carbone è un fossile pericoloso per la salute, bisogna eliminarlo rapidamente.
Stiamo lavorando, anche sul fronte giudiziario. Naturalmente tenendo presente
però anche il nodo occupazionale».
Laura Borsani
IL PICCOLO - GIOVEDI', 11 maggio 2017
Emergenza a Meleda, l’alga killer minaccia la barriera
corallina - Allarme ambientale nel lago protetto anche a causa di tecniche di
pesca non legali e dagli scarichi inquinanti
SPALATO - Il recente rapporto dell'Unione internazionale per la
conservazione della natura (Iucn) non lascia dubbi. Tra le specie di coralli a
rischio estinzione nel Mar Mediterraneo vi è pure il Cladocora caespitosa, la
madrepora a cuscino, comunemente conosciuta come madrepora pagnotta, specie
endemica presente da ormai 3 milioni di anni e la cui popolazione è presente nel
Parco nazionale dell' isola di Meleda (Mljet in croato), in Dalmazia e nelle
Bocche di Cattaro in Montenegro. Proprio a Meleda, nel Lago maggiore (in regime
di tutela perchè si tratta di un parco nazionale) si trova una piccola barriera
corallina costituita appunto dalla madrepora pagnotta, che si estende su una
superficie di circa 650 metri quadrati, ad una profondità tra i 4 e i 18 metri.
Si tratta in pratica dell'unico esempio di barriera corallina segnalato nelle
acque mediterranee. Purtroppo la colonia è minacciata da estinzione, come
ammesso dal biologo croato Petar Kruzic, tra i maggiori esperti che hanno
lanciato il grido d'allarme. La madrepora, che nel microclima mediterraneo
costituisce uno dei garanti della biodiversità, viene purtroppo minacciata nelle
acque orientali dell'Adriatico dalle tecniche di pesca non sostenibili, dal
progressivo aumento della temperatura dell'acqua, come pure dagli scarichi
inquinanti, dalla proliferazione di specie invasive e naturalmente anche dalla
raccolta di questo corallo a scopi commerciali. I primi problemi con la
madrepora a cuscino furono rilevati già nel 1999, mentre l'estate
eccezionalmente calda nel 2003 decretò la morte di estese aree coralline sia sui
fondali di Meleda, sia in quelli delle Bocche di Cattaro. A complicare la
situazione è anche la presenza di un'alga molto dannosa, la Caulerpa
cilindracea, una specie aliena, originaria dei mari australiani. Questa alga
killer è una specie alloctona originaria dell’Indo-Pacifico, segnalata per la
prima volta nel bacino del Mediterraneo nel 1990 lungo le coste della Libia.
Oggi è presente in tutto il bacino del Mediterraneo. É molto invasiva e ama,
diciamo così, sistemarsi al posto della madrepora pagnotta, impedendole lo
sviluppo. Insomma, oltre all'opera deleteria dell' uomo, ecco aggiungersi la
presenza nelle acque adriatiche di una tra le cento specie più invasive al
mondo.
Andrea Marsanich
SAN DORLIGO - Cinque giorni di incontri sulla raccolta
dei rifiuti
Il Comune di San Dorligo della Valle fa sapere che dal primo luglio prossimo
il sistema di raccolta dei rifiuti subirà notevoli variazioni con la revisione
delle giornate di raccolta e diverse modifiche nella differenziazione dei
rifiuti, con lo scopo di aumentare la frazione differenziata degli stessi. A
tutte le utenze verrà consegnata a domicilio una lettera con l’invito a
partecipare agli incontri informativi che l’amministrazione comunale ha
organizzato per illustrare le principali novità in questione. Gli incontri si
terranno verso la fine di maggio (nella settimana che parte da lunedì 22) in
diverse frazioni del Comune secondo il calendario di seguito: lunedì 22 maggio
alle 20 a Caresana nella casa comunale e alle 20.30 a Bagnoli della Rosandra al
centro visite; martedì 23 maggio alle 19 a Francovez all’Osteria Al Ponte e alle
20.30 a San Giuseppe alla “Babna hiša”; mercoledì 24 maggio alle 20 al municipio
di San Dorligo della Valle e mezz’ora più tardi a Prebenico alla casa comunale;
gli incontri proseguiranno ancora giovedì 25 maggio alle 20 a Grozzana, anche
qui alla casa comunale, e alle 20.30 a Draga alla Locanda Mario; il calendario
continua poi con gli appuntamenti di venerdì 26 maggio: alle 20 a Sant’Antonio
alla casa comunale e alle 20.30 a Domio al centro Ukmar. Alla luce
dell’importanza dell’argomento e della necessità di un’informazione il più
capillare possibile, il Comune di San Dorligo della Valle lancia un appello ai
cittadini, invitandoli a partecipare ai diversi appuntamenti in programma.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 10 maggio 2017
Maxipesca di ricci proibiti, barca confiscata - Quattro
palermitani fermati mentre rientravano a riva con 268 chili, tutti già rimessi
nel loro habitat alla Riserva di Miramare
IL DIVIETO E I CONTROLLI - La raccolta di questi echinodermi non è
consentita in particolare dal primo maggio al 30 giugno, che coincide con il
periodo di riproduzione
Con il loro barchino da neanche quattro metri e un’attrezzatura non a norma
hanno raccolto abusivamente 268 chili di ricci di mare nella baia di Sistiana
proprio nel periodo di fermo pesca. Non sapendo però che, nella parte superiore
dell’area, l’occhio del Nucleo ispettivo della pesca della Guardia costiera li
stava osservando. A quattro uomini palermitani, a uno in particolare, è stata
così comminata una multa di quattromila euro. Ma non solo, dato che barca e
attrezzatura sono state confiscate. È il riuscitissimo intervento di lunedì, che
è stato completato ieri, dopo l’analisi del Servizio di sanità pubblica
veterinaria della Regione, con il rilascio di tutta la quantità di pescato nella
Riserva di Miramare. L’operazione arriva in seguito a diverse indagini e
segnalazioni di privati cittadini, «che in questa regione sono sempre sensibili
alle problematiche di difesa dell’ecosistema marino», sottolineano dalla
Capitaneria di porto, che ha intensificato i controlli in particolare dal primo
maggio al 30 giugno, periodo in cui la raccolta di questi echinodermi è
assolutamente proibita visto che la specie è in via di riproduzione. Del gruppo
di pescatori, che non avevano nessun titolo per esercitare tale attività, è
stata multata soltanto una persona, l’unica che, secondo le dichiarazioni
rilasciate, avrebbe effettivamente pescato, mentre le altre tre lo avrebbero
soltanto aiutato. Oltre a ricevere l’ammenda, comunque, i quattro hanno subìto
la confisca di tutto l’equipaggiamento, appunto non in regola, tra cui due
autorespiratori con i rispettivi erogatori, quattro cinture con pesi di piombo,
il natante da diporto con il quale si spostavano da un luogo di raccolta
all’altro e il relativo motore. Si tratta dunque di una sanzione accompagnata
anche dalla confisca automatica, prevista quest’ultima dagli effetti della nuova
legge 154 e in particolare dell’articolo 39, in vigore dall’agosto scorso, che
ha introdotto importanti modifiche al decreto legislativo 4 del 9 gennaio 2012,
nella parte relativa proprio alle sanzioni in materia di pesca e acquacoltura.
Prima infatti, oltre alla multa, si provvedeva anche al sequestro della
dotazione, che poi in sede di pagamento il comandante poteva però anche
restituire a sua discrezione. Oggi invece il pignoramento è obbligatorio. Il
malloppo, probabilmente destinato al mercato del Sud visto che in questa zona
d’Italia il riccio di mare non viene abitualmente utilizzato nella tradizione
culinaria, è stato prelevato dai fondali marini dell'Adriatico in circa
un’oretta e mezza nel pomeriggio di lunedì. «Sono molto rapidi», fanno sapere
gli uomini della Capitaneria, che hanno osservato la dinamica in borghese fino
all’approdo a riva del mezzo nautico e allo scarico del bottino nel furgone dei
quattro pescatori di frodo. «Abbiamo agito in questo modo - ha fatto sapere la
Guardia costiera sotto l’egida di Luca Sancilio, comandante della Capitaneria di
porto e direttore marittimo del Fvg - per capire come si muovevano, dove
portavano i ricci, quanti ne prendevano e se si trattava di un prelievo
destinato alla commercializzazione vista la quantità. Siamo dunque intervenuti a
operazione conclusa in modo da non tralasciare nulla». Dopo il sequestro i
ricci, che sono molto richiesti in una certa piazza e che hanno un alto valore
economico essendo come detto vietato reperirli in questo periodo, sono stati
successivamente conservati nella cella frigorifera del mercato ittico e una
volta espletata la verifica dei veterinari della struttura regionale, i quali
hanno accertato che si trattava di esemplari ancora vivi e dunque in stato
ottimale di salute, ieri mattina sono stati prelevati dalla motovedetta della
Guardia costiera e ricollocati nella Riserva di Miramare attraverso una
dissemina lenta in modo da non intaccare l’ecosistema marino.
Benedetta Moro
Via Pitacco - Il grande lifting stradale inizia vicino
alla Ferriera
Cominciare le grandi pulizie stradali da via Giorgio Pitacco, a due passi
dalla Ferriera, ha per il Comune un doppio significato: è un segnale di
attenzione verso un rione dalla particolare sensibilità ambientale ed è il primo
esperimento per capire “sul campo” le eventuali criticità logistiche che
potrebbero essere prodotte da questa operazione di accurata nettezza urbana.
Dunque, primo appuntamento con il lifting “radicale” viario giovedì 18 maggio,
lungo i 750 metri della via dedicata al parlamentare e pubblico amministratore
di sentimenti irredentisti, vissuto tra il 1866 e il 1945. Comune e
AcegasApsAmga, incaricata del servizio, chiedono ai residenti sei ore di
“franchigia” dalle 8.30 alle 14.30 per gli uomini e i mezzi che svuoteranno i
cassonetti, provvederanno al minuto diserbo, effettueranno lo spazzamento
manuale e meccanico con tecnologia “nebulizzante”, libereranno le caditoie,
laveranno la strada. Ecco perchè in quelle sei ore scatterà il divieto di sosta
lungo entrambi i lati della via servolana. I residenti saranno informati della
“toeletta” a partire da 96 ore prima, in modo tale che per le sei ore di giovedì
18 abbiano tempo di trovare parcheggi alternativi. Il progetto “Pulizie
radicali”, nel 2017 esperimento gratuito per l’utenza, è stato presentato ieri
mattina dall’assessore all’Urbanistica e Ambiente Luisa Polli e dal nuovo
dirigente del settore ambiente di AcegasApsAmga Giovanni Piccoli. La
“spedizione” in via Pitacco, che sarà realizzata con una quindicina di addetti e
4-5 mezzi specializzati, sarà la prima di dodici puntate che saranno spalmate
lungo il 2017: la seconda andrà in onda giovedì 25 maggio in via Valmaura, da
via Ponticello a via Carpineto. Espletati gli esordi a Servola e Valmaura,
resteranno da sbrigare dieci pulizie stradali in altrettanti punti nevralgici
della città: Polli&Piccoli hanno spiegato che il progetto concentrerà le sue
attività nelle aree periferiche e semi-periferiche, di più agevole operatività.
A parte due test che riguarderanno zone centrali: Municipio e utility non hanno
ancora deciso “dove”, in quanto vogliono prima verificare la risposta e gli
umori dei residenti all’oggettivo disagio logistico. Le candidate centrali più
accreditate all’esperimento dovrebbero comunque essere l’area di Barriera
Vecchia e quella di Barriera Nuova (indicativamente tra l’Acquedotto e via Fabio
Severo). L’intendimento dei due partner è passare nel 2018 dalla sperimentazione
a una fase definitivamente inserita nella programmazione della gestione rifiuti:
un parziale ritorno all’antico, quando la vecchia municipalizzata lavava le
strade. Ma traffico e parcheggio veicolare erano più governabili.
Massimo Greco
Una famiglia di cinghialetti tra le case di strada del Friuli. La scoperta di un residente grazie alle telecamere installate fuori dal suo edificio.
Ma la scrofa ora puo' costituire un pericolo: chiesto l'intervento della Forestale
Una nidiata di cinghialetti nel giardino di casa a neppure cinque metri dalla finestra di un’abitazione e a sette metri da un’altra con la terrazza. È la scoperta fatta un paio di giorni fa da alcuni abitanti di strada del Friuli subito dopo il Faro della Vittoria, sopra Barcola. I cuccioli di cinghiale, quattro o cinque quelli individuati, sono stati segnalati prima al 112 e poi al Corpo forestale del Friuli Venezia Giulia. Un intervento è stato annunciato in queste ore. Non è chiaro ancora di che tipo: potrebbe trattarsi di un abbattimento o del prelievo dei cuccioli. La madre potrebbe costituire un pericolo per i residenti di strada del Friuli vista la presenza della prole. In due delle tre case più vicine abitano una coppia di anziani e una famiglia con bambini. La famiglia di cinghiali è stata ripresa da alcune telecamere installate da uno dei residenti. «Siamo preoccupati da questa presenza. Incontrare la scrofa, magari al buio, è un’esperienza che è meglio non fare. Il pericolo esiste. Anche se i cinghialetti sono carini, belli da vedere. Questi hanno la righetta, come i gattini», racconta il proprietario del giardino che ha segnalato la presenza della nidiata alla Forestale. Il giardino della casa, dove si trova il nido dei cinghialetti, non ha recinzioni: è un’area che verde che confina direttamente con il bosco. Un’unica stradina di accesso conduce alle tre casette di strada del Friuli, tutte abitate, con anziani e anche bambini appunto. «Sono anni che segnaliamo la presenza di cinghiali. La prima quasi 10 anni fa. Ma si trattava di avvistamenti. Intrusioni momentanee. In questo caso hanno deciso di prendere residenza in città. È come trovarsi i cinghiali in casa. Un mio vicino se l’è trovato una mattina sulla terrazza», spiega il titolare del giardino. E, infatti, nel 2008, proprio a maggio, era uscito un articolo sul Piccolo: «Cinghiali negli orti di strada del Friuli. Sono i primi avvistamenti a Barcola». Con tanto di foto di un esemplare di un quintale fotografato nei pressi della Casa Gialla. Da allora la fauna di strada del Friuli è aumentata e si è allargata. «Nelle riprese si vede ormai di tutto. Cinghiali, caprioli e persino lo sciacallo del Carso. Ho raccolto parecchi filmati, molto interessanti», racconta il proprietario del terreno dove si è sistemata la scrofa con la sua nidiata. La gestazione di una femmina do cinghiale dura circa 120 giorni ed il numero dei piccoli può variare in funzione del peso e dell’età della madre. Di norma si va da un minimo di 2/3 cuccioli fino ad un massimo di 7/8 con episodi eccezionali anche di 10/12. Le nascite risultano, nella maggior parte dei casi, concentrate tra marzo e giugno. Dopo una gestazione le femmine si isolano dal gruppo e partoriscono i piccoli in un nido, al quale rimangono legati per le prime due settimane, dopodiché seguono la madre alla ricerca del cibo e si riuniscono al gruppo. In generale le femmine partoriscono una sola volta all’anno. La presenza dei cinghiali nel tessuto urbano di Trieste è un dato consolidato. La specie aumenta in media il 14% all’anno. Lo scorso febbraio è stato lanciato l’allarme da parte dell’istituito comprensivo di via Commerciale. Il giardino dove sono ospitati i giochi per i piccoli alunni era diventato la meta preferita di un branco di cinghiali. Così è dovuta intervenire la Guardia forestale che ha abbattuto tre esemplari di circa cinquanta chili intenti a passeggiare all'interno del recinto. Un esemplare è riuscito a scappare. I cinghiali ormai si spingono fino al mare. Nel giugno scorso, all’inizio della stagione balneare, ne era stato addirittura trovato uno morto di circa 60 chilogrammi che galleggiava a pancia in su nelle acque al lardo del Bagno Ferroviario. La presenza nel parco di Miramare è accertata. Nel novembre del 2015 un esemplare di oltre 70 chilogrammi era stato recuperato vivo dai volontari della Protezione animali all’interno del Bagno Sticco. L’unica soluzione per limitare la crescita è l’abbattimento controllato. Ogni anno in provincia di Trieste vengono uccisi tra i 700 e gli 800 cinghiali. In particolare, la polizia ambientale è costretta ad abbattere tra i 150 e i 160 capi per ragioni di emergenza sorte a seguito di criticità segnalate dai cittadini. Sono gli ultimi dati forniti dall’amministrazione provinciale, le cui competenze in materia sono passate ora alla Regione. E non va meglio nelle altre province del Friuli Venezia Giulia
Fabio Dorigo
LA VOCE.info - MARTEDI', 9 maggio 2017
ENERGIA E AMBIENTE - Primi nelle energie rinnovabili. Ma a che prezzo?
L’Italia è di gran lunga prima tra i paesi europei per
l’incidenza degli incentivi erogati alle rinnovabili in rapporto alla produzione
totale di energia. Un primato che costa caro ai consumatori e alle imprese. Ed è
frutto di politiche poco coerenti.
L’Europa degli incentivi alle rinnovabili
Il rapporto del Ceer (Consiglio dei regolatori europei dell’energia), uscito
pochi giorni fa, offre un interessante panorama sui sussidi concessi per
promuovere le energie rinnovabili in ventisei paesi europei. L’Italia è di gran
lunga la prima per l’incidenza degli incentivi erogati in rapporto alla
produzione totale di energia: circa 44 euro a MWh (megawattora) contro una
media, esclusa l’Italia, di 13,8 (tabella 1).
Tabella
1 – Sussidi alle rinnovabili in rapporto alla produzione totale di energia
elettrica (anno 2014)
*Italia esclusa.
Fonte: nostra elaborazione su dati Ceer
I sussidi gravano dunque sulla nostra produzione elettrica totale per più di tre
volte la media degli altri venticinque paesi europei. Il nostro non invidiabile
primato dipende in parte da una più elevata percentuale di energia ottenuta da
fonti rinnovabili, ma ancor di più dal generoso livello di incentivazione
concesso su tutte le tipologie non fossili. Il 25 per cento della nostra
produzione totale deriva da fonti rinnovabili sussidiate, cui si somma un altro
15 per cento di energia idroelettrica non sussidiata.
La quota sussidiata della produzione totale è in Italia superiore alla media, ma
non è molto più alta di quella della Germania o della Spagna. Dove distacchiamo
tutti, invece, è nell’avere sussidi elevati per ogni fonte rinnovabile (tabella
2).
Tabella 2 – Sussidi per fonte di produzione (euro per MWh)
Fonte: Ceer
Le conseguenze di incentivi generosi
Siamo di gran lunga i più generosi per incentivi unitari tra tutti i ventisei
paesi (ad esclusione della Repubblica Ceca); i nostri sussidi per MWh, nella
media tra le varie fonti, sono quasi il doppio di quelli degli altri paesi; la
Francia è più generosa nel solare, ma per un ammontare complessivo molto
contenuto e solo per impianti di piccola taglia.
Il sussidio medio di 44 euro per ogni MWh prodotto non è lontano dal costo di
produzione elettrica dalle fonti più efficienti: con gli aiuti alle rinnovabili
abbiamo quasi raddoppiato il costo medio dell’energia elettrica prodotta in
Italia. I sussidi, che costituiscono la gran parte degli “oneri generali di
sistema” quantificati nelle nostre bollette non vengono pagati solo dai
consumatori. Per più di due terzi gravano sulle imprese, per le quali l’energia
costa un 20 per cento in più della media europea con evidenti effetti negativi
per la competitività del paese e quindi per crescita e occupazione.
Il primato raggiunto non è il risultato di un disegno politico coerente,
consapevole e approvato dal parlamento, ma il punto di arrivo di una
combinazione di interessi di bottega, di ideologie astratte e, soprattutto, di
malgoverno.
L’esempio più lampante è il fotovoltaico: partito col decreto Bersani-Pecoraro
Scanio che prevedeva come obiettivo il raggiungimento di una potenza istallata
di 3 GW nel 2016, ha fatto registrare una capacità di 18 GW. Non si è trattato
dunque di una politica voluta: semplicemente, prima i governi di sinistra non
hanno previsto massimali e poi quelli di destra non hanno ridotto gli incentivi
mentre crollava il costo dell’investimento. Si è quindi offerta una magnifica
opportunità di lauti e sicuri profitti a tanti, inclusi fondi d’investimento
esteri, senza nemmeno avere il tempo per sviluppare un’industria nazionale.
È il più rilevante intervento dello stato nell’economia da decenni, ma non c’è
da meravigliarsi se nessuno ama parlarne e tantomeno assumersene la
responsabilità politica. Se ci fossimo allineati alla media europea per quota di
produzione sussidiata e per entità unitaria dell’incentivo, il costo annuale
sarebbe stato di 4,6 miliardi e non di 12,7 (cui andrebbero aggiunti poi i
“capacity payments” per indennizzare le centrali termiche che devono stare in
stand by per quando manca la produzione da rinnovabili). Un’operazione
colossale, equivalente a tre punti di Iva, determinata solo da decreti
ministeriali e gestita “fuori bilancio” perché i sussidi vengono addebitati alle
bollette come “oneri generali di sistema” tramite la componente A3. Se per la
copertura fosse stata prevista una “imposta ecologica” è verosimile che i
governi avrebbero avuto grandi difficoltà a farla approvare in parlamento. E gli
8 miliardi in eccesso rispetto alla media europea avrebbero potuto essere
destinati a ridurre il cuneo fiscale e migliorare così la competitività delle
imprese che, invece, è stata pesantemente danneggiata dall’incremento del costo
dell’energia.
Lo stesso modo di procedere nel disporre di ingenti risorse pubbliche sotto la
spinta di lobby o per obiettivi astratti, ma privi di giustificazioni economiche
valide lo troviamo anche in altri settori, in particolare in quello delle grandi
opere ferroviarie o stradali a redditività bassissima quando non negativa,
approvate senza adeguate analisi costi-benefici. C’è da chiedersi se uno dei
principali motivi di debolezza dell’economia italiana non vada ricercato proprio
nella scadente qualità della sua classe dirigente e di quella politica in
particolare.
Giorgio Ragazzi e Francesco Ramella
IL PICCOLO - MARTEDI', 9 maggio 2017
Ventinovesima bandiera blu - Grado da record - E' la spiaggia piu' premiata d'Italia con Moneglia. Lignano a "quota 28" si conferma ai vertici
Liguria, Toscana e Marche si confermano le tre regione con il maggior numero di riconoscimenti. Approdi turistici: dieci vessilli al FVG - LE BANDIERE BLU 2017
ROMA - Grado ha ricevuto la ventinovesima Bandiera Blu: un record nazionale che detiene assieme alla ligure Moneglia. Lignano Sabbiadoro sale invece a quota 28. Nell'anno in cui la fondazione che assegna la Bandiera Blu festeggia il trentesimo anniversario - è stato il presidente della Fee Italia, professor Claudio Mazza, a ricordarlo nel corso della conferenza stampa svoltasi ieri mattina a Roma -, il Friuli Venezia Giulia conferma le sue eccellenze, ovvero quelle di Grado e di Lignano che come abbiamo detto si trovano ai vertici nazionali. Il record assoluto è quello di Grado, ma Lignano è subito dietro. Certo il Friuli Venezia Giulia non può competere numericamente con la quantità di bandiere ricevute da località di altre regioni (la Liguria è in testa con 27 seguita dalla Toscana con 19), ma la nostra regione può vantare comunque di essere fra le migliori in assoluto in rapporto al numero di spiagge di una certa dimensione e importanza presenti sul territorio, e da un gran numero di anni. Per le spiagge di Grado le Bandiere Blu vanno a tutti i lidi: dalla spiaggia principale ormai individuata come "La Spiaggia dell'Imperatore" (è stato Francesco Giuseppe a firmare la legge istitutiva nel 1892), a quella della Costa Azzurra e a quella di Pineta. Per Lignano l'indicazione riguarda il Lido. Quest'anno le Bandiere Blu sono state assegnate a 163 Comuni italiani che complessivamente hanno 342 spiagge che possono far sventolare l'importante vessillo nel corso del 2017. Un numero che rappresenta il 5 per cento delle spiagge premiate a livello mondiale. Si tratta di 11 località in più dello scorso anno anche se in realtà ci sono 13 nuovi ingressi ma anche due uscite. Liguria, Toscana e Marche mantengono incontrastate i primi posti nella classifica delle Bandiere Blu 2017 e vedranno sventolare il vessillo simbolo di mare da favola su un totale di 63 spiagge. Da Bordighera (Imperia) ad Ameglia (La Spezia), da Carrara (Massa-Carrara) a Monte Argentario (Grosseto) la costa è un susseguirsi di spiagge bagnate da acque cristalline del mar Tirreno che, tra l'altro, ospitano il santuario Pelagos, area protetta per i cetacei. Scendendo, da Anzio (Roma) a Policoro (Matera), il litorale regala spiagge su acque incantevoli. Poi si passa alla Calabria ionica e alla Puglia, per incontrare di nuovo i vessilli della Fee che diventano più numerosi da Campomarino (Termoli) sino a Grado. Ma quest'anno il boom c'è stato per i laghi in Trentino, che ha raddoppiato le bandiere rispetto al 2016. La Fee, Fondation for Environmental Education presente in ben 73 Paesi, ha puntato quest'anno a parametri ancor più severi rispetto al passato e per tutti i 32 criteri che vengono presi in considerazione a iniziare dalla purezza delle acque ossia della balneabilità che viene certificata dai dati del ministero dell'Ambiente seguenti alle nutrite analisi effettuate dall'Arpa. In particolar modo è tenuta altresì in considerazione l'educazione ambientale, la depurazione e la gestione sostenibile del territorio. Il presidente Mazza ha affermato ieri che il binomio terra-mare è indissolubile poiché la salute del mare è strettamente collegata alla gestione del territorio: «Negli anni Grado e la comunità gradese hanno saputo innovare e investire sull'ambiente». A essere premiati con la Bandiera Blu sono stati anche 67 approdi turistici. Per quanto riguarda il Friuli Venezia Giulia a ricevere il riconoscimento ce ne sono 10. Uno in meno dello scorso anno in quanto nell'elenco non figura Porto San Vito di Grado che aveva sempre ricevuto in passato il prestigioso vessillo. Ad ogni modo Trieste si vede riconosciuto, come negli ultimi anni, solamente un approdo, quello della Lega Navale. In provincia di Gorizia c'è il Marina Hannibal di Monfalcone mentre la parte del leone la fa la provincia di Udine e in particolar modo l'area Lignano-Aprilia Marittima. La Bandiera Blu 2017 per gli approdi è stata assegnata, infatti, a quattro approdi di Lignano, esattamente Marina Uno, Marina Punta Verde, Marina Faro e Darsena Porto Vecchio. Premiate anche Marina Punta Gabbiani (Aprilia Marittima), Marina Aprilia Marittima e Marina Capo Nord (Aprilia Marittima). Infine Bandiera Blu al Marina Sant'Andrea di San Giorgio di Nogaro.
Antonio Boemo
Fumata rossastra dalla Ferriera. «Reazione anomala»
Una fumata rossastra si è levata ieri mattina, poco prima delle 6,
dall’altoforno dello stabilimento servolano di Acciaieria Arvedi. L’azienda ha
precisato in una nota che l’emissione dei fumi è avvenuta durante l’apertura del
foro di colata dell’altoforno, operazione che avviene una dozzina di volte al
giorno. Nel comunicato la società spiega che “il materiale refrattario con cui è
realizzato il “tappo” del foro ha purtroppo avuto una reazione anomala” che ha
causato appunto la nuvola rossastra. Nell'ultimo anno, prosegue la nota
dell’azienda, la struttura tecnica hanno effettuato severi controlli dei
fornitori del materiale refrattario, per evitare il rischio di eventi simili.
“In virtù di queste attività, le forniture di materiali da parte della ditta
coinvolta, sono state immediatamente sospese, a scopo cautelativo”. Anche con
riguardo all’episodio accaduto ieri la Regione ha richiesto ad Acciaieria Arvedi
Trieste un maggiore impegno “affinché siano drasticamente abbattute le fumate
anomale provenienti dallo stabilimento. La nota della Regione precisa che “pur
prendendo atto dell'annunciato intervento straordinario programmato per
settembre e inteso a impedire la fuoriuscita di emissioni anomale, si è ritenuto
di far pervenire questa indicazione all'azienda anche in vista della stagione
estiva, durante la quale il verificarsi di simili episodi può venir enfatizzato
dalle condizioni meteo”. Nella stessa giornata di ieri l’Arpa ha effettuato
verifiche con la direzione dello stabilimento per accertare le cause dell'evento
anomalo, confermando che lo stesso è riconducibile a un difetto di qualità del
materiale refrattario usato per tappare il foro di colata della ghisa. Arpa
rileva inoltre che l’evento non ha comportato conseguenze rilevate dalle
centraline di monitoraggio dell’aria, annunciando per i prossimi giorni
controlli agli interventi attuati da Acciaieria Arvedi per evitare il ripetersi
di questi eventi anomali.
Partono le grandi pulizie delle strade - AcegasApsAmga
comincia dalla zona di Servola e Valmaura. Ordinanza municipale sui divieti di
sosta e di transito
Sarà la zona di Servola e di Valmaura a inaugurare la stagione delle grandi
pulizie stradali, previste dal Piano economico-finanziario (Pef) che imposta la
gestione dei rifiuti urbani affidata ad AcegasApsAmga, approvato poco più di un
mese fa dal Consiglio comunale: come anticipato a suo tempo, il rodaggio avverrà
nelle aree periferiche, che presentano minori criticità organizzative. “Progetto
pulizie radicali” s’intitola il capitolo che il Pef dedica a una delle novità
salienti della collaborazione Comune-utility, novità che, in virtù della
connotazione sperimentale assunta per l’anno in corso, sarà a costo-zero per la
municipalità. L’operazione inizierà a giorni, come testimoniato dall’ordinanza,
emessa giusto ieri dal servizio “mobilità e traffico”, a firma del responsabile
Giulio Bernetti: sarà valida fino al 31 dicembre prossimo venturo. AcegasApsAmga
- spiega l’atto comunale - deve provvedere «in tempi molto ristretti
all’esecuzione dei lavori di pulizia radicale della sede stradale con
svuotamento cassonetti, diserbo minuto e spazzamento sia manuale che meccanico
nonchè pulizia caditoie e lavaggio stradale». Poi l’ordinanza, che riscontra una
richiesta presentata da AcegasApsAmga il 2 maggio, fornisce le indicazioni
operative all’utility, indicazioni che però diventeranno assai utili anche per
il cittadino-utente-automobilista, quando il turno della toeletta stradale
toccherà le aree di parcheggio e di transito di sua abituale pertinenza. Infatti
l’asciutta prosa dell’ingegner Bernetti dispone che gli interventi abbiano una
durata massima di un giorno e si svolgano per singoli tratti lunghi non più di
un chilometro. Prima che tali interventi vengano realizzati - chiarisce
l’ordinanza - AcegasApsAmga dovrà provvedere ad apporre la prescritta
segnaletica con almeno 4 giorni di anticipo. Per agevolare il dettagliato lavoro
di pulizia programmato, AcegasApsAmga istituirà divieti di sosta e fermata con
rimozione che potranno prolungarsi al massimo dalle 20.30 alle 18 del giorno
seguente, con eventuali proroghe qualora avverse condizioni meteo ostacolino lo
spazzamento. Analoghi provvedimenti riguarderanno il divieto di transito, che, a
seconda delle esigenze, potrà andare dalle 9 alle 17.30 o coprire le ore
notturne dalle 21 alle 7 del dì seguente. Naturalmente Bernetti si premura di
rendere coinvolgibile la Polizia locale, per quanto concerne la regolamentazione
del traffico, e Trieste Trasporti, laddove le pulizie dovessero interferire con
le “rotte” dei bus. L’iniziativa sarà presentata ufficialmente stamane alle 12
in sala giunta, a cura dell’assessore all’Urbanistica & Ambiente Luisa Polli.
Alcune informazioni erano comunque già filtrate alla fine di marzo, quando il
Pef della “rumenta” era al vaglio del Consiglio. Sia la Polli che l’allora
direttore della divisione ambiente di AcegasApsAmga Paolo Dal Maso - al cui
posto oggi siede Giovanni Piccoli - illustrarono gli aspetti innovativi del
“format”: alle grandi pulizie stradali si aggiungevano l’estensione della
raccolta del “verde” con cassoni aperti (altri 100 contenitori da 3200 litri),
la raccolta dell’olio alimentare esausto (una decina di contenitori), le opere
civili per le “isole” di via Narcisi e di via Montasio, il servizio sperimentale
in Porto Vecchio. Un aspetto delicato, per una città dove circolano molti
animali domestici, atteneva il diserbo chimico, ovvero il trattamento che
consentirà - secondo il Pef - l’eliminazione definitiva del vegetale infestante:
l’assessore Polli aveva assicurato che non vi sarebbe stato pericolo per cani e
altre bestiole.
Massimo Greco
Bombe inesplose a Servola - Operazione bonifica al via
Il Comune stanzia 10mila euro e avvia un’indagine di mercato per trovare
un’azienda specializzata che prepari il terreno all’intervento degli artificieri
Cosa c’entra una bomba con un’indagine di mercato? C’entra, perchè proprio
attraverso questa procedura amministrativa il Comune triestino vuole individuare
un’azienda in grado di risolvergli un annoso problema: la bonifica di un terreno
dove sono ancora conficcati ordigni bellici risalenti al secondo conflitto
mondiale. L’atto, pubblicato lo scorso 3 maggio nel sito informatico municipale
alla voce “amministrazione trasparente”, è correlato a una determina dell’Area
polizia locale e sicurezza, a cura della “p.o.” Andrea Prodan, che spiega
premesse e svolgimenti dell’insolita vicenda. Tanto per cominciare, gli scomodi
ospiti, cioè i due ordigni bellici di cui sopra, si trovano in via del Pane
Bianco in quel di Servola. Sonnecchiano in un terreno incolto di circa 500 metri
quadrati. Li ha scovati - racconta la determina firmata da Andrea Prodan -
un’indagine eseguita dal dipartimento di Matematica e Geoscienze dell’Università
triestina, più esattamente dalla cosiddetta “Egg”, l’unità di geofisica di
esplorazione. Dal lavoro della struttura universitaria sono emerse «due anomalie
radiometriche compatibili con la presenza di ordigni bellici inesplosi risalenti
al secondo conflitto mondiale». Ai rilievi hanno assistito - informa l’atto
municipale - tecnici della Protezione civile ed esperti del 3° reggimento del
Genio guastatori, acquartierato a Udine. In realtà il controllo si è concentrato
su un’area più ristretta di 50 metri quadrati, dove le due «anomalie» sono state
stimate a differenti profondità di 50-150 cm e di 150-250 cm. In seguito a
questi risultati che confermavano il “sospetto” di vecchie bombe non
lontanissime da zone abitate, la Prefettura incaricava il Comune,
nell’espletamento delle competenze in materia di Protezione civile, di trovare
una ditta specializzata nel trovare e isolare i due ordigni, lasciando poi agli
artificieri il compito del disinnesco. In considerazione del particolare
ufficio, la ditta in questione deve vantare requisiti appositi ed essere
iscritta nell’albo delle imprese che si occupano di “bonifica bellica
sistematica”, istituito con decreto ministeriale due anni fa. L’indagine di
mercato avviata dalla “p.o.” Prodan convergerà su 6 aziende che hanno sede in
Veneto, perchè il Friuli Venezia Giulia, nonostante decenni di passato
confinario militare in prima linea, non è dotato di “bonificatrici”. Le 6
candidate hanno manifestato il loro interesse e la prossimità geografica al
terreno servolano consentirà alla civica amministrazione il contenimento dei
costi: a tale scopo Prodan ha messo da parte 10 mila euro, che saranno assegnati
al competitore capace di prospettare al pubblico committente triestino il prezzo
più basso. Il Comune spedirà alle candidate la documentazione prodotta
dall’Università e un po’ di foto, invitandole a un sopralluogo in via del Pane
Bianco. Insomma, passi avanti buro-amministrativi per venire a capo di una
vicenda che, a dir il vero, dura da perlomeno 13 anni o, se si preferisce, da
73. Come ricordava Ferdinando Viola sul “Piccolo” del 14 dicembre 2014, la prima
segnalazione della presenza di un ordigno di origine bellica venne fatta da un
testimone oculare, Duilio Gurian. Allora di anni ne aveva 18, quando il 10
giugno 1944 su Trieste furono sganciate 400 bombe dai bombardieri Alleati
appartenenti al 47th e 55th Bomb Wing, e al 449th e 450th Bomb Group:
provocarono 463 vittime, 800 feriti ricoverati e 1.500 medicati, 101 case
private e due edifici pubblici distrutti, oltre 4.000 sinistrati. Le bombe
ridussero in macerie la Chiesa della Madonna delle Grazie in via Rossetti,
danneggiarono seriamente la raffineria Aquila, lo Scalo Legnami, la zona di San
Sabba, il magazzino dei Monopoli e lo stabilimento Omsa, il cantiere San Marco,
l’Arsenale Triestino e altri impianti industriali. La prima ondata si abbattè
sulla città alle 9.20 di una splendida giornata di sole, la seconda alle 9.30.
Il giovane Gurian, con il padre, si trovava nel campo di via del Pane Bianco,
preso in affitto e seminato a erba spagna. Era certo che uno degli ordigni si
fosse conficcato nel terreno, senza esplodere. Dopo la denuncia alla Questura
alcuni agenti si recarono sul posto, recintarono il terreno e posero un cartello
con scritto “vietato entrare per pericolo ordigno". E basta. Ma Gurian non
mollava: dopo varie segnalazioni ad autorità politiche e militari, finalmente
nel 2004 il V Reparto Infrastrutture di Padova - Nucleo artificieri - effettuò
un sopralluogo in via del Pane Bianco. Nella relazione gli artificieri
chiedevano un approfondimento di indagine mediante una ditta specializzata per
trivellazioni da spingere a 3-5 metri. Trivellazioni che nel 2010 l’allora
questore Padulano - scriveva Viola - sollecitava Comune e Prefettura a eseguire.
Ma che non furono mai eseguite. Vennero fatte solo «alcune analisi» il 16
febbraio 2011 ma non sembrava avessero rilevato traccia di ordigni inesplosi.
Invece, tre anni dopo, il dossier “inesploso” planò sul tavolo della giunta
Cosolini, tant’è che il vicesindaco Fabiana Martini ne riferiva in Consiglio
comunale. E nel novembre 2014 la Prefettura convocò una conferenza di servizi
per organizzare, attraverso la rinnovata consulenza dei militari padovani, un
ulteriore approfondimento sul terreno di via del Pane Bianco. «In quella sede -
aveva comunicato il vicesindaco - il rappresentante militare presente ha
comunque escluso una pericolosità immediata dell'eventuale ordigno presente,
significando che un pericolo potrebbe essere costituito, qualora messo alla
luce, solo da un'azione diretta e violenta con il percussore dell'ordigno
stesso». Da allora altri due anni e mezzo fino all’indagine di mercato che ha lo
scopo di aprire il cantiere in quel campo abbandonato, seminato solo dagli aerei
anglo-americani.
Massimo Greco
Musica, libri e poesia in piazza Oberdan - Il Comitato
Dolci dice no a tutte le guerre
Oggi, 9 maggio, è il settantaduesimo anniversario dalla fine della Seconda
guerra mondiale e il 67esimo anniversario della Festa dell’Europa. Inoltre, in
questo 2017 si festeggiano i sessant’anni dall’istituzione della Comunità
europea (con il Trattato di Roma) e i settant’anni dalla promulgazione della
Costituzione italiana. Per ricordare tutto questo, ma soprattutto per dire no a
qualsiasi guerra, il Comitato pace convivenza e solidarietà Danilo Dolci ha
organizzato questo pomeriggio alle 17, in piazza Oberdan, un pomeriggio di festa
con gruppi musicali e lettura pubblica di poesie e libri. “E se saremo in tanti
- fanno sapere dal Comitato Dolci - ci terremo per mano formando un cerchio per
la pace e l’amore». In caso invece di maltempo l’evento si svolgerà sotto i
porticati di piazza Oberdan.
IL PICCOLO - LUNEDI', 8 maggio 2017
Bollette dell’acqua - Aumento del 20% in quattro anni -
Gli incassi tariffari totali da 45 a 54 milioni - Incidono le fogne e il
depuratore di Servola
Le bollette dell’acqua sul territorio della vecchia provincia triestina
cresceranno del 6,5% all’anno lungo il quadriennio 2016-19: cioè, alla fine del
periodo indicato, saranno salite di oltre un quinto rispetto all’incasso
precedente. Il calcolo è più o meno il seguente: le tariffe relative alle
risorse idriche gestite da AcegasApsAmga aumenteranno suppergiù da 44 a 53
milioni di euro; le tariffe relative all’Acquedotto del Carso cresceranno invece
dell’8% da 970mila a 1,2 milioni di euro. Quindi, sommando i due addendi,
otteniamo una tariffa complessiva superiore a 54 milioni di euro: in cifra
assoluta una decina di milioni in più rispetto a quanto i due gestori -
considerati insieme - incassavano fino al 2015. In verità i rincari erano già
scattati nel 2016 con un incremento pari al 6%, ma l’intervento dell’Autorità
per l’energia elettrica, il gas e il servizio idrico (Aee gsi) ha determinato un
ricalcolo tariffario, che ha portato a un ulteriore incremento pari allo 0,5%.
Fatto sta che per ogni utenza idrica triestina l’aggravio in bolletta viene
graduato al 6,5% annuo, che implicherà, al termine del periodo 2016-2019, una
maggiorazione complessiva superiore al 20%. Numeri e valutazioni provengono dai
decreti emanati pochi giorni fa da Fabio Cella, dal 1° gennaio commissario della
Consulta d’ambito per il servizio idrico integrato orientale (Cato) triestino in
liquidazione: in liquidazione in quanto - come ricorda lo stesso Cella -
confluirà, insieme alle analoghe strutture giulio-friulane, nell’Autorità unica
per i servizi idrici e i rifiuti (Ausir), un organismo previsto dalla legge
regionale 5/2016. «A fine marzo - precisa Cella, in passato responsabile
dell’Ambiente in Provincia e oggi dirigente della Regione Friuli Venezia Giulia
- ho convocato una riunione con gli amministratori comunali del territorio, per
aggiornarli sul nuovo quadro tariffario. Non ne erano entusiasti, perché toccare
le tasche dei cittadini in questi momenti non è mai simpatico, ma gli ordini
dell’Autorità vanno eseguiti, altrimenti il nostro piano tariffario non sarebbe
passato». Ma è interessante capire le ragioni che hanno determinato un rialzo
tariffario così significativo. Cella enumera tre motivi rilevanti. Il primo è
collegato all’applicazione del cosiddetto full cost recovery, una formula
matematica impostata su costi/ricavi studiata per consentire al gestore idrico
di non andare in perdita, poichè l’importanza sociale ed economica della risorsa
richiede prioritariamente tenuta e continuità gestionale. Poi Cella passa al
secondo motivo: l’entrata in funzione del depuratore di Servola, prevista ai
primi di giugno, che assorbirà circa 3 milioni di euro. E Cella si tiene per
ultimo il colpo di scena, che rimanda alla sentenza 335 del 2008, con la quale
la Corte costituzionale ritenne che i Comuni non potevano chiedere la tariffa
per la depurazione delle acque se erano sprovvisti dei relativi impianti. Nel
2013 si calcolò - spiega il commissario del Cato - che nel territorio triestino
la restituzione dei canoni di fognatura agli utenti ammontava a 20 milioni di
euro. Questi 20 milioni vengono adesso recuperati attraverso la manovra
tariffaria finora sommariamente descritta: ma al termine del quadriennio
2016-2019 la “copertura” sarà stata solo parziale, circa 10 milioni che
dimezzerà il “buco” di origine fognaria maturato negli anni precedenti. Quindi,
il costituendo Ausir si troverà presumibilmente a dover decidere un nuovo
rincaro per pareggiare i conti. Per inquadrare il tema-acqua nel territorio
triestino ricordiamo alcuni numeri di riferimento: sono 236mila i cittadini
serviti da 1073 chilometri di rete di acquedotti, dove vengono immessi circa 45
milioni di metri cubi del prezioso liquido. L’80% della risorsa idrica proviene
da tredici pozzi disseminati nel basso corso dell’Isonzo, il restante 20% deriva
dal Sardos.
Massimo Greco
Muggia - Antenne e tariffe rifiuti approdano in
Consiglio
Antenne a Chiampore, strategie per l'attività turistica e richiesta di una
tariffazione puntuale per i rifiuti. Questi alcuni dei dieci punti all'ordine
del giorno che verranno discussi durante la prossima sessione straordinaria del
Consiglio comunale di Muggia in programma mercoledì alle 20. Tre le
interrogazioni presentate dall'opposizione. I partiti di centrodestra
chiederanno delucidazioni sullo sforamento di emissioni elettromagnetiche
registrato in località Darsella, a Chiampore. Invece il consigliere Roberta
Tarlao (Meio Muja), oltre a chiedere quali siano le strategie adottate
dall'amministrazione Marzi per la programmazione dell'attività turistica,
desidera saperne di più in merito alla presenza di persone segnalate all'interno
dell'ex Macello e all'interno del parco dell'ex Aquila. Secondo indicazioni
fornite da residenti, sono state notate negli ultimi mesi persone che di notte
scavalcherebbero le recinzioni, forse per accasarsi nelle due aree, e che al
mattino farebbero l’operazione inversa per poi prendere l'autobus. Negli altri
punti all'ordine del giorno la convenzione con il Comune di Trieste per l'uso
del deposito di osservazione e della struttura obitoriale del Comune di Trieste
in vigore sino al 27 aprile 2021. Verrà poi affrontata la nomina della
Commissione comunale per le pari opportunità. Inoltre verranno proposte
modifiche relative alle occupazioni per il mercato intervenendo dunque sul
regolamento comunale per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche e per
l'applicazione del relativo canone (Cosap). Un altro argomento delicato e
sentito dalla cittadinanza riguarda la mozione proposta da Tarlao, Emanuele
Romano (Muggia a 5 Stelle) e Roberta Vlahov (Obiettivo comune per Muggia).
Mozione che impegna il sindaco Laura Marzi e l'assessore all'Ambiente Laura
Litteri a individuare e applicare una tariffazione puntuale con il
riconoscimento degli utenti fin dall'inizio del servizio. Accanto a questa
proposta anche la richiesta di costituzione di un gruppo di lavoro chiamato a
mettere a punto una Tari puntuale. Tra gli altri punti all'ordine del giorno la
proposta di deliberazione consigliare per modificare il Regolamento per la
tutela ed il benessere degli animali. Un'altra proposta di deliberazione di
Consiglio comunale avrà come oggetto invece l'approvazione del Regolamento
servizi integrativi scolastici (Sis). Infine il Consiglio comunale sarà chiamato
a pronunciarsi sugli indirizzi in merito alla richiesta di costituzione di
servitù di passaggio sulla particella catastale 1344/1 di Plavia di proprietà
del Comune di Muggia e a favore delle particelle catastali 284, 276/3 e 276/1,
ossia fondi interclusi di proprietà di Diana Babic in località Rabuiese.
Riccardo Tosques
IL PICCOLO - DOMENICA, 7 maggio 2017
«Cessata l’attività» - Il Verdi abbandona la Sala Tripcovich - Escluso il recupero. I festival di cinema cercano un’alternativa
Il sindaco rilancia la demolizione ma non tutti sono
d’accordo - I contrari in Forza Italia: Marini non vuole l’abbattimento ed è
perplesso su Maria Teresa
Rip. La scritta Sala Tripcovich ha già perso una “c”. E così sulla facciata,
si può isolare l’acronimo “Requiescat in pace”. Un necrologio a caratteri
cubitali. Il sipario disegnato sulla facciata è pronto a calare per sempre sulla
sala teatrale nata nel 1997 dalla riconversione della Stazione delle corriere
realizzata nel 1936 dall’architetto Umberto Nordio. «Il Consiglio di indirizzo
ha deliberato la cessazione delle attività», fa sapere in modo lapidario Stefano
Pace, sovrintendente della Fondazione del teatro lirico Giuseppe Verdi che nel
2012 ha avuto in dono dal Comune la Sala Tripcovich senza saperne davvero cosa
fare se non come bene patrimoniale da esibire alle banche. Negli ultimi quattro
anni non c’è mai stata una vera programmazione alla Tripcovich che pure era
sorta, grazie al mecenatismo del barone Raffaello de Banfield, per ospitare le
stagioni liriche negli anni della ristrutturazione del Verdi. La Sala
Tripcovich, vincolata nel 2006 dalla Soprintendenza, risulta abbandonata. «Spero
di buttarla giù come la piscina Bianchi e di metterci al suo posto il monumento
a Maria Teresa», insiste il sindaco Roberto Dipiazza pronto a usare persino
l’occasione dei 300 anni della sovrana d’Asburgo per porre in essere il suo
antico proposito. Radere al suolo quel teatro - che occulta l’ingresso
monumentale al Porto vecchio - è un suo pallino fin dal primo mandato. La Sala
Tripcovich è stata dichiarata inagibile, e quindi fuorilegge, ai primi di
febbraio di quest’anno, immediatamente dopo l’ultima edizione del Trieste Film
Festival (30 gennaio) che ha visto in passerella alla sala Monica Bellucci e
Marco Bellocchio. Nessuno ha mai reso noto i costi della sua messa a norma. Si è
parlato di una cifra che oscilla tra i 400mila e i due milioni di euro, ma non
esiste un progetto o un preventivo. La Fondazione del Verdi non pare interessata
a ridare vita alla sala. «La competenza è solo del sindaco - aveva spiegato lo
scorso febbraio Pace -. Nel momento in cui ci dovrebbe essere un impatto nullo
sul patrimonio della Fondazione, non vedo perché il Consiglio d’indirizzo si
dovrebbe opporre alla restituzione dell’immobile al Comune». Tripcovich addio,
insomma. I due maggiori festival, Trieste Film Festival e Trieste
Science+Fiction Festival, si sono ormai rassegnati a dover abbandonare a
malincuore la Tripcovich dopo diverse edizioni realizzate nella sala di piazza
Libertà. «Stiamo lavorando con il Comune per trovare delle soluzione
alternative. Ci sono due ipotesi in piedi», spiega Daniele Terzoli, presidente
della Cappella Underground. L’assessore ai Teatri, Serena Tonel, resta fuori
scena. Non vuole fare conoscere il suo pensiero sulla statua di Maria Teresa
d’Austria in piazza Libertà al posto della Sala Tripcovich. Del resto non è
bello essere ricordata come l’assessore ai Teatri che ha messo un monumento
sopra una sala da più di 900 posti. I contrari alla demolizione non mancano
nella maggioranza. «Un’idea strampalata. Altro che scelta politica. Mi lascia
sconcertato. Sono assolutamente contrario all’abbattimento della Sala
Tripcovich. Ha un’acustica perfetta, una posizione logistica unica. E
soprattutto non ha senso privarsi di uno spazio del genere visto che la città
non ha ancora un centro congressi. Inoltre sono molto perplesso sull’idea di
mettere lì la statua di Maria Teresa a pochi metri da quella di Sissi», spiega
il consigliere regionale e comunale di Forza Italia Bruno Marini. «La Sala
Tripcovich può apparire come un corpo estraneo, ma nel corso degli anni si è
integrata nel contesto. E soprattutto è una struttura centrale e funzionale.
Anche demolirla costa parecchio. Non mi pare una buona idea», aggiunge Manuela
Declich (Forza Italia), presidente della Quinta commissione. La speranza è che
il suo destino segua quello del Magazzino Vini. Doveva essere demolito ed è
diventato il tempio del gusto con Eataly grazie all’intervento della Fondazione
CRTrieste. Forse basta solo attendere.
Fabio Dorigo
IL PICCOLO - SABATO, 6 maggio 2017
Il nodo Ferriera sul tavolo del Ministero dell’Ambiente
Siderurgica Triestina sta «operando in linea con i tempi previsti
relativamente agli interventi aventi ad oggetto il suolo e la rimozione dei
rifiuti» nella Ferriera di Servola, mentre viene rilevato «uno scostamento dalle
tempistiche previste con riferimento alle attività inerenti le acque di falda.
Tali dati sono stati confermati anche dalle relazioni prodotte dall’azienda». A
riferirlo, nel corso della riunione convocata a Roma martedì scorso dal
Ministero dell’Ambiente - a cui hanno partecipato anche il Ministero dello
Sviluppo economico, l’Autorità portuale, l’Arpa e il Comune di Trieste - sono
stati i tecnici della Regione e dell’Arpa. Scopo dell’incontro, era la verifica
del cronoprogramma degli adempimenti previsti nell’Accordo di programma
sottoscritto nel novembre 2014 per quanto riguarda la messa in sicurezza
ambientale nell’area della Ferriera. Gli enti hanno «convenuto sulla necessità
di una prossima convocazione dei rappresentanti di Siderurgica triestina - si
legge nella nota della Regione -, al fine di dare completa e tempestiva
attuazione alle misure di prevenzione ambientale previste». Il sindaco Roberto
Dipiazza ha precisato: «Il Ministero dell’Ambiente a breve convocherà la
proprietà della Ferriera, assieme al Comune di Trieste e agli altri soggetti
istituzionali, per fare chiarezza sulle inadempienze rispetto all’Accordo di
Programma. Oltre a illustrare il contenuto e le motivazioni dell’ultima
ordinanza - ha continuato Dipiazza -, abbiamo evidenziato le inadempienze della
proprietà e il Ministero ha convenuto sulla necessità di approfondire la
questione». Nel corso della stessa riunione è stato affrontato anche il tema
della «grave situazione di inquinamento che sussiste nell’area dell’ex discarica
di via Errera - si legge nella nota della regione -. Gli enti hanno concordato
che l’Autorità portuale si farà temporaneamente carico dell’effettuazione delle
misure urgenti di prevenzione, nell’attesa che vengano reperite le risorse per
la bonifica».
Ambiente - Cestini per l’umido in regalo a Opicina
Prosegue il tour dell’iniziativa itinerante “L’umido che fa la differenza”, promossa da AcegasApsAmga e Comune. Lunedì verranno distribuiti gratuitamente i cestini per l’umido al mercato di Opicina, dalle 9.30 alle 12.30. Il giorno dopo in piazza S. Antonio e infine, l’ultima tappa, si svolgerà mercoledì 10 maggio al mercato di Borgo San Sergio.
IL PICCOLO - VENERDI', 5 maggio 2017
Da Muggia a Parenzo - 130 chilometri in bici nel nome
dell’Europa
Si chiude oggi la super pedalata di 25 allievi della media Sauro
protagonisti di un’iniziativa transfrontaliera senza precedenti
MUGGIA Tre nazioni in tre giorni in sella alle proprie biciclette. Pedalata
transfrontaliera senza precedenti per venticinque studenti muggesani iscritti
alla IIIB della scuola media Nazario Sauro, protagonisti assoluti di una gita
scolastica ecosostenibile e decisamente atipica. Partita mercoledì da piazza
Marconi, con tanto di saluto del sindaco Laura Marzi, la comitiva ha preso la
via per la Parenzana, la ciclovia sull’ex ferrovia istriana. Alla presenza degli
insegnanti aderenti al progetto, e accompagnata da Viaggiare Slow,
l’associazione che ha curato l’organizzazione dell'evento, la III B (che
peraltro ha come seconda lingua di insegnamento lo sloveno) raggiungerà oggi
Parenzo dopo aver effettuato complessivamente 128 chilometri. Il rientro è
previsto per questa sera con pullman e carrello per le bici. Pedalando in
bicicletta, lungo quello che è stato il tracciato di una ferrovia dismessa nel
1935, i ragazzi stanno così scoprendo le opere e i manufatti ancora presenti
lungo il percorso, quali per esempio le stazioni, i ponti e le gallerie che
vantano oltre un secolo di storia. Ma gli obbiettivi di questa gita ecologica a
due ruote puntano anche alla (ri)scoperta del contatto con altre culture e altre
lingue incontrate durante il viaggio nelle zone di confine, come racconta
Fabrizio Masi presidente di Viaggiare Slow: «Attraverso un viaggio
informativo-educativo multidisciplinare si darà modo ai ragazzi di comprendere
meglio la storia contemporanea che ha segnato il nostro territorio e ridisegnato
nuovi confini. Nello specifico, dopo la caduta della Repubblica di Venezia, e il
successivo dominio austroungarico, le lacerazioni intervenute dopo le due guerre
mondiali che hanno segnato, con prevaricazioni e l’esodo, queste terre». Quello
intrapreso dai giovani studenti muggesani è anche a tutti gli effetti un viaggio
di notevole interesse dal punto di vista paesaggistico e ambientale, con la
scoperta lungo il tracciato di zone di significativa biodiversità - dalle aree
umide costiere alla distesa delle saline, dalla costa rocciosa adriatica alla
foresta di Montona nella valle del Quieto - e di sensibili differenze anche dal
punto di vista geomorfologico. «E non è da sottovalutare il fatto poi che la
chiusura delle giornate si fa a tavola, dove si scoprono anche i piatti legati
alla tradizione istriana», aggiunge con un pizzico di ironia Masi. Alla partenza
degli studenti Marzi ha elogiato un progetto fortemente voluto dalla precedente
amministrazione comunale per opera dell’ex assessore alle Politiche giovanili
Loredana Rossi: «Sono felice che si sia riusciti a realizzare un progetto di
questa portata. La bici è un mezzo rispettoso dell’ambiente, che migliora la
salute delle persone ed è senza dubbio più coinvolgente per i ragazzi. Una
didattica informale, nella quale le distanze fra studente e insegnante si
accorciano, in cui ogni cosa diviene possibile materia di approfondimento
durante il viaggio». Un’iniziativa dunque originale, ideata per pubblicizzare
una nuova forma di turismo scolastico, quello in bicicletta, ma anche per
incrementare la conoscenza del territorio circostante puntando ad un raggio di
poco più di 100 chilometri. Imparare a muoversi nel proprio territorio, insomma,
per imparare a muoversi nel mondo.
Riccardo Tosques
IL PICCOLO - GIOVEDI', 4 maggio 2017
SERVOLA, STRATEGIE - In Ferriera scatta il "piano anti fumate"
Il gruppo Arvedi annuncia l'installazione a breve di un sistema impiantistico in grado di controllare la pressione dell'altoforno e bloccare le emissioni.
Addio agli sbuffi. Nel giro di qualche mese la Ferriera sarà sottoposta ad una modifica impiantistica in grado, secondo le previsioni della proprietà, di eliminare le fumate nere che in più di qualche occasione, anche di recente, si alzano dai camini della fabbrica allarmando i servolani. Il gruppo Arvedi ha presentato l’intervento ai tecnici dell’Arpa del Friuli Venezia Giulia durante un sopralluogo nello stabilimento. Si tratta di una miglioria di «carattere straordinario», così la definisce la società in una nota diramata ieri in mattinata, applicata sull’altoforno. Una miglioria che dovrebbe risolvere il problema una volta per tutte o, perlomeno, arginarlo in modo deciso. L’operazione, in realtà, era già stata programmata a settembre proprio per bloccare le emissioni; ma, a quanto pare, ha subìto un’accelerazione dopo le ultime segnalazioni dei cittadini. Le fumate, stando a quanto accertato dalla stessa Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente insieme agli addetti dell’azienda, fuoriescono sporadicamente dai “bleeder”, le valvole di sicurezza poste vicino alla bocca dell’impianto. È quanto accaduto appena qualche giorno fa, preoccupando la cittadinanza. Era il mattino del 18 aprile: un forte boato, percepibile anche a distanza, seguito da una nube di fumo nero e denso che faticava a dissolversi nell’aria. Il frastuono aveva fatto sobbalzare chi abita nelle case attorno alla fabbrica, suscitando un certo timore. Svariate le telefonate ai numeri d’emergenza e alle testate giornalistiche, accompagnate dal tam tam sui social. In tanti si erano chiesti, in quell’occasione, il motivo dell’anomalia e le possibili implicazioni sulla sicurezza. L’Arpa si era affrettata a definire il caso come «un fenomeno raro e atipico», rassicurando i triestini. Nessuna reale emergenza, insomma. L’agenzia e i tecnici dello stabilimento avevano accertato un’inconsueta pressione dei fumi prodotti dalle lavorazioni nell’altoforno. In pratica, come è stato chiarito, le sostanze gassose avevano preso una strada diversa da quella abituale, provocando una sorta di tappo. Che, come una bottiglia, a un certo punto è saltato causando il botto e le emissioni color pece. «I boati accompagnati dal fumo nero verificatisi nello stabilimento di Siderurgica Triestina a partire dalle 8.50 sono stati causati dall’apertura delle valvole di sicurezza in seguito a delle sovrappressioni che si sono generate nell’altoforno - scriveva la stessa Arpa -. All’origine delle sovrappressioni, un’anomala canalizzazione dei gas di combustione in fase di fermata dell’impianto per interventi di manutenzione». Nella stessa giornata l’Agenzia aveva annunciato «approfondimenti» assieme alla direzione dello stabilimento, così da accertare la possibilità di adottare gli accorgimenti più opportuni per evitare analoghi incidenti. Detto fatto. La società ha illustrato il nuovo intervento impiantistico in collaborazione con gli esperti della Paul Wurth, l’azienda specializzata che ha curato il progetto assieme all’Acciaieria Arvedi. Sul piano tecnico, la modifica aggiunge al sistema alcune “vie” alternative in grado di controllare la pressione dell’altoforno. In questo modo si scongiura la fuoriuscita degli sbuffi scuri, «che sono l’indesiderata conseguenza dell’entrata in esercizio del sistema di sicurezza dell’impianto», precisa l’azienda. «Il nuovo sistema - viene evidenziato ancora nel comunicato - contribuirà a evitare casi di sovrapressione che potrebbero generare eventi emissivi visibili; nel peggiore dei casi si genereranno brevissime emissioni totalmente “ripulite” dal passaggio negli specifici filtri». Per raggiungere la soluzione più adeguata, sono stati necessari studi e simulazioni ad hoc. Ecco perché serve attendere ancora qualche mese prima di vedere in funzione i ritocchi all’impianto. «Questo intervento riflette la continua attenzione alle preoccupazioni della popolazione - si legge ancora nella nota del gruppo Arvedi - che spronano l’azienda a ideare nuove soluzioni tecniche in grado di rispondere a sollecitazioni non rivolte alla produttività, ma legate alla coesistenza dello stabilimento con il nucleo abitato più prossimo agli impianti».
Gianpaolo Sarti
L'INTERVISTA - «Operazione in linea con gli standard Aia» - Il direttore scientifico dell'ARPA promuove l'intervento. «Passi avanti verso il continuo miglioramento dell'impianto»
«Fumate nere e boati come quello che si è verificato qualche settimana fa rappresentano eventi molto rari, ma l'intervento tecnico che sarà apportato all'impianto va proprio nella direzione dell'Aia: migliorare lo stabilimento ed evitare problemi del genere». Franco Sturzi, direttore tecnico scientifico dell'Arpa ha collaborato alla modifica “anti-sbuffi” dell'altoforno.
Direttore, cosa dobbiamo aspettarci ora? Anomalie come quella che si è vista a metà aprile sono davvero molto rare. Ma la società, assieme all'Arpa, ha deciso comunque di trovare una soluzione. Perché, anche se dovesse accadere di nuovo ancorché con bassa probabilità, bisogna evitare gli effetti sull'ambiente. Durante l'ultima visita ispettiva, Arvedi ci ha presentato questo miglioramento all'altoforno. Noi sapevamo già da tempo che l'azienda sarebbe intervenuta, anche perché quando il sistema va in sovrapressione non c'è niente da fare: bisogna scaricare la pressione altrimenti collassa. Arvedi ci aveva parlato un anno fa di questa miglioria, ma quanto accaduto a metà aprile è stato in qualche modo l'evento scatenante che ha fatto accelerare la decisione da parte della direzione dell'impianto. E noi come Arpa siamo d'accordo sull'opportunità di adottare questa tecnologia. Quando sarà messo in funzione il nuovo meccanismo? Entro l'anno, probabilmente durante la fase di fermata dell'impianto dell'altoforno programmata tra fine agosto e metà settembre. Tecnicamente si prevede anche la sostituzione della bocca di carico dell'altoforno, che ha passato tre anni e quindi va cambiata, a cui va aggiunto questo nuovo elemento capace di evitare il fumo nero e i boati. Tecnicamente come funziona la modifica? L'intervento permette di fare in modo che, nel caso di sovrapressioni dell'altoforno che fuoriescono dalle valvole di sicurezza, il fumo passi nell'impianto di trattamento anziché scaricare nell'atmosfera. Si utilizza un sistema di abbattimento a servizio dell'altoforno che, in pratica, depura gli scarichi delle valvole di sicurezza. È un'operazione importante perché il fumo significa polveri e disagio per i residenti, e comporta un peggioramento degli standard prescrittivi indicati dall'Aia. Che tipo di accertamenti avete messo in campo? È da un anno che lavoriamo con Arvedi per ottimizzare la conduzione dell’impianto in modo che anomalie come quella di metà aprile accadano con meno probabilità. Abbiamo collaborato molto con la società per arrivare a questo risultato, anche con diversi parametri di controllo dell'altoforno. L'iniziativa è comunque della direzione dello stabilimento, ma noi abbiamo fatto pressing in una logica di miglioramento gestionale. Che è, appunto, ciò che dispone l'Aia. Quale sarà l'effetto concreto? Non si vedranno più le fumate nere quando il sistema va in sovrapressione. Dunque, possiamo dirlo, mai più fumate nere dai camini della Ferriera? Gli altoforni raggiungeranno standard elevati, quindi possiamo aspettarci che ciò accada con molta meno probabilità. E se mai dovesse succedere di nuovo, ci attendiamo effetti nulli sull'ambiente. È il senso dell'Aia: il continuo miglioramento dell'impianto.
(g.s.)
Ma residenti e ambientalisti restano scettici - Lo
sfogo di No Smog: «Siamo stanchi di annunci. Vogliamo misure che eliminino del
tutto le criticità»
No smog, una delle realtà che da anni si batte per la tutela della salute
dei residenti, non accoglie favorevolmente l'annuncio di Arvedi e Arpa sulle
modifiche tecniche all'impianto. L'associazione non ha più alcuna fiducia nei
confronti della proprietà. Lo dice chiaro e tondo Adriano Tasso, fondatore e
segretario. «Non siamo per nulla soddisfatti - spiega il rappresentante di No
smog - le persone subiscono disagi continui. E il problema - fa notare - non sta
soltanto nella valvola superiore dell'altoforno, ma anche in quella inferiore.
Non c'è una parte che non perda fumi. Sono due anni e mezzo ormai che è arrivato
Arvedi - insiste - e le cose, a nostro giudizio, non sono migliorate». Ma No
smog si rivolge anche all'Arpa. «L'agenzia regionale - accusa ancora Tasso -
dovrebbe preoccuparsi di ciò che non va, non deve fare il consulente della
proprietà come invece, secondo noi, sta facendo adesso. Mi pare che ci sia
un’eccessiva confusione dei ruoli». A preoccupare, ora, è l’arrivo della bella
stagione. «In estate - afferma ancora il fondatore e segretario
dell'associazione - gli abitanti della zona desidereranno tenere le finestre
aperte come fa qualsiasi cittadino quando ha caldo. Ma se la situazione
ambientale non migliora, cosa si devono aspettare per i prossimi mesi i
servolani? Non oso nemmeno immaginare. Le fumate nere e i rumori si stanno
ripetendo in continuazione, noi abbiamo fotografie e filmati che lo possono
dimostrare». Il comunicato pubblicato ieri mattina da Arvedi sulle future
modifiche all'altoforno viene definito da No smog «offensivo nei confronti della
popolazione». «Viene descritta una situazione quasi rosea - osserva ancora Tasso
- come se quelle fuoriuscite nere fossero soltanto eventi rari. Ma le
segnalazioni e i disagi, ripeto, si presentano ogni giorno. La situazione -
ribadisce il fondatore dell'associazione - è insopportabile. Siamo molto
nervosi, delusi e arrabbiati». Critico anche Lino Santoro, ex presidente
provinciale e regionale di Legambiente, che ha seguito per anni la questione
Ferriera e le battaglie contro l'inquinamento dell’impianto. Più che commentare
il nuovo impianto per la riduzione delle emissioni dall’altoforno, però, lo
storico esponente ambientalista riflette sul quadro generale: «Come noto
l’Accordo di programma impone ad Arvedi di provvedere alle coperture dei cumuli
di minerali e carbone che vengono messi nell'altoforno - ricorda Santoro -. È
un’operazione che costa ben 70 milioni di euro. Io allora suggerisco, piuttosto,
che sia arrivi alla chiusura dell'area a caldo. Questa a mio avviso è l'unica
soluzione possibile per ottenere risultati concreti».
(g.s.)
Camber accende i riflettori sull’Aia «Serve chiarezza
sull’impatto acustico»
Forza Italia chiede alla giunta Dipiazza di far chiarezza sull’impatto
acustico della Ferriera di Servola. Lo fa con un’interrogazione firmata dal
capogruppo Piero Camber.
Nel documento preparato dal consigliere comunale forzista si sollecita il sindaco a fornire precisazioni sul rilascio della documentazione necessaria all’Autorizzazione integrata ambientale. «Si interroga per sapere se in fase di Aia, per il prosieguo dell’attività, siano stati depositati da parte di Siderurgica Triestina i calcoli delle valutazioni previsionali fonometriche», scrive Camber nel testo. In particolare, precisa il capogruppo forzista, per l’aspiratore della cockeria e i nuovi impianti per le lavorazioni di laminazione a freddo. Il consigliere domanda di sapere, inoltre, se l’Arpa ha mai rilevato i rumori prodotti dallo stabilimento siderurgico tra le abitazioni che si trovano nel quartiere di Servola. «Il tutto - insiste il forzista - per conoscere l’impatto attuale della fabbrica e quale sarà quello previsto con il nuovo impianto di laminatoio a pieno regime. Si chiede di fornire quindi, seppur in sintesi, i dati attuali - conclude il capogruppo degli azzurri Piero Camber - e quelli previsti con riferimento a quanto sopra esposto».
(g.s.)
Agapito assolto sul conflitto di interessi - Frattolin
(M5S): «Chiederemo l’accesso alle carte»
«Sul caso Agapito la giunta Serracchiani sta continuando a far melina,
dispensando informazioni con il contagocce esclusivamente in risposta alle
nostre interrogazioni». L’accusa arriva dalla consigliera regionale del
Movimento 5 Stelle Eleonora Frattolin e riguarda ancora una volta il caso,
sollevato dagli stessi grillini nei mesi scorsi, del direttore regionale del
Servizio tutela da inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico della
Regione, Luciano Agapito, che a gennaio ha firmato il decreto di riesame per il
rinnovo dell’Aia alla Ferriera di Servola. Il problema, stando alla denuncia dei
grillini, è che il figlio del dirigente, Daniele Agapito, aveva ricevuto
«importanti incarichi» dalla Siderurgica Triestina. Il Movimento 5 Stelle aveva
quindi chiesto spiegazioni sul presunto conflitto di interessi alla Regione.
«Oggi (ieri, ndr) abbiamo scoperto, attraverso le parole in aula dell’assessore
Sara Vito che il direttore Agapito non sarebbe responsabile da un punto di vista
disciplinare. Punto. Senza dare alcuna motivazione né al Consiglio regionale né
ai cittadini che attendono un po’ di chiarezza sull’intera faccenda» continua
Frattolin. «Annunciamo da subito - ha concluso Frattolin - che presenteremo un
accesso agli atti per poter leggere tutti i documenti prodotti dagli uffici
della Regione che hanno portato la giunta Serracchiani ad assolvere l’ingegner
Agapito».
Revocati i divieti nell’Ospo - Ma le analisi non ci
sono - Balneazione, caccia e pesca erano state bandite dopo il caso del botulino
killer
Il sindaco Marzi: «Emergenza rientrata». Manca però il monitoraggio delle
acque
MUGGIA «Nelle acque del rio Ospo non sussistono più le condizioni ambientali
che hanno favorito lo sviluppo della neurotossina botulinica». Il sindaco di
Muggia Laura Marzi ha revocato ufficialmente l’ordinanza che dal settembre
scorso imponeva una serie di divieti sul torrente rivierasco in seguito alla
moria di germani reali e cigni avvenuta nell’estate 2016. La decisione è stata
presa in totale autonomia dall’amministrazione, dal momento che le analisi delle
acque dell’Ospo, richieste invano agli organi competenti, non sono mai state
effettuate. La storia Una cinquantina di esemplari di uccelli acquatici trovati
morti nel rio Ospo: era questo il macabro scenario presentatosi la scorsa estate
nel torrente muggesano, una situazione inedita che per settimane non aveva
trovato una risposta, diventando un vero e proprio enigma. Le segnalazioni
fornite dai cittadini alla polizia ambientale e all’Enpa iniziano già a fine
luglio: alcuni esemplari vengono rinvenuti morti, galleggianti a pelo d’acqua,
altri ancora vivi ma agonizzanti. Ad agosto è stata la volta di cinque cigni. A
settembre le analisi dei cadaveri dei pennuti acquatici evidenziano la presenza
in concentrazioni elevate del Botulino di tipo C, una neurotossina naturale che
colpisce gli uccelli acquatici. L’ordinanza Una volta recepite le cause della
moria, il Comune decide di emanare un’ordinanza con una serie di divieti tra cui
quelli di cacciare, pescare e raccogliere animali nelle aree corrispondenti al
letto del rio Ospo, dei relativi argini e nelle aree immediatamente adiacenti
utilizzate a scopi diportistici fino alla foce. L’ordinanza comprende le aree
del parco urbano pubblico denominato “Rio Ospo” e quelle interrate del “Molo
Balota”. Il documento vieta inoltre la destinazione all’alimentazione di
qualsiasi animale (compresi i molluschi) proveniente dalla zona. Vietata anche
la balneazione di persone ed animali con rigoroso obbligo di condurre i cani al
guinzaglio per evitare che possano nutrirsi di carogne di animali presenti sulle
rive o in acqua. Le azioni Nel frattempo vengono fornite le disposizioni da
effettuare in caso di rinvenimento di animali. La rimozione di eventuali
carcasse di animali morti, che dovranno essere smaltiti in un idoneo impianto di
incenerimento, spetta alla polizia ambientale del Corpo forestale regionale. In
caso di avvistamento di animali vivi in difficoltà, invece, la competenza passa
all’Enpa. Il Comune di Muggia, invece, annuncia che provvederà con proprio
personale della polizia locale a effettuare periodiche verifiche sui tratti
interessati. Ma accanto all’ordinanza il Municipio annuncia un’iniziativa che
riguarda le future analisi delle acque del rio Ospo: «L’ente si attiverà
affinché l’Arpa provveda a effettuare le analisi necessarie a monitorare il
corso d’acqua». La revoca L’ordinanza è rimasta in vigore dallo scorso settembre
perché, come spiegato dal Comune, doveva rimanere valida «fino a quando le
condizioni climatiche - le temperature elevate e lo scarso ricambio delle acque
nel torrente rio Ospo - avessero mantenuto elevato il rischio di sviluppo di
Clostridium Botulinum con conseguente presenza di neurotossine botuliniche negli
animali acquatici e in quelli che su di essi basano il loro ciclo alimentare».
Ma perché il provvedimento di revoca non è stato assunto mesi addietro? E
soprattutto, qual è il riscontro delle analisi effettuate sul rio Ospo? «Le
analisi non sono state effettuate» spiega il sindaco Laura Marzi. L’Arpa ha
infatti dirottato la richiesta del Comune all’Azienda sanitaria, la quale, a
quanto pare, ha ritenuto che non ci fossero più gli estremi per fare i controlli
richiesti. «Abbiamo atteso senza esito quanto richiesto» conclude il sindaco
Marzi
Riccardo Tosques
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 3 maggio 2017
SEGNALAZIONI - LAVORI - Il cedimento in via Carducci
Da circa un paio di mesi fanno “bella mostra” di se, in via Carducci, sulla corsia autobus, alcune transenne che costringono i mezzi pubblici ad un tortuoso slalom. Pare vi sia un cedimento nella volta del sottostante torrente Chiave. Possibile che in due mesi non si sia ancora potuto far nulla? Ricordo che la scelta di affidare la gestione del servizio fognature, anni fa, all'Acegas, fu fatta poiché ritenuta molta più reattiva ed efficiente, nel gestire il servizio, di quanto non lo fosse il Comune. Analoghi cedimenti si verificarono anche durante la gestione comunale. Uno per tutti: ricordo un cedimento della volta al ponte della Fabra. In pochi giorni, gli stessi operai del Comune allargarono il foro e rifecero la volta con un getto con calcestruzzo espansivo, così da ripristinare la compressione nell'arco. Mi piacerebbe che un qualche dirigente Acegas, mi spiegasse le difficoltà che viceversa incontrano loro. Sicuramente avrà le sue buone ragioni. In due mesi, un servizio efficiente avrebbe rifatto non solo la chiave di volta, ma l'intero arco, se necessario. Non ci sarà mica da rimpiangere la gestione comunale? Lo confesso, essendo stato a capo del Servizio comunale, mi sto togliendo un sassolino dalla scarpa. Qua però le ipotesi che riesco a pensare, sono due: o eravamo più efficienti di quanto non pensassero gli amministratori, o l'Acegas non dà i risultati che ci si aspettava.
ing. Paolo Pocecco
IL PICCOLO - LUNEDI', 1 maggio 2017
TELEFONINI, L’USO È PERICOLOSO PURE DA PEDONI - LA
RUBRICA di GIORGIO CAPPEL
Vale la pena di approfondire un argomento già trattato, l’uso anomalo dei
telefonini. Inizio con un esempio pratico. Stavo per immettermi nella nuova
rotatoria di via Flavia quando davanti a me, fermo all’attestamento, c’era un
motociclo. Mi sono fermato subito dietro, attendendo con calma il momento della
ripartenza. Che non arrivava. Ad un certo punto, verificato che nessun veicolo
stava transitando sulla rotatoria, ho pensato di attivare il clacson. La
motociclista si è immediatamente girata verso di me e in quel momento ho
percepito che stava telefonando. Ha alzato il braccio in segno di protesta
perché mi ero permesso di suonarle e, bontà sua, è ripartita. Questo aneddoto
riporta alla cronaca quotidiana il problema del telefonino. E sia ben chiaro: il
problema sussiste in moto, in macchina e, come vedremo, anche a piedi. Parlando
in generale, la negatività dell’uso dei telefonini mentre si è alla guida si è
acuita negli ultimi tempi a causa della ormai preponderante diffusione degli
smartphone. Per telefonare non basta premere un bottone, come una volta, ma
bisogna strisciare il dito sullo schermo, amplificando significativamente la
distrazione e l'impedimento alla guida stessa. Sembra sia vicinissimo un decreto
che aumenterà le già pesanti sanzioni previste per chi viene colto in fallo. Si
parla della sospensione della patente per minimo un mese e molti soldi da pagare
come sanzione amministrativa. Purtroppo devo dire che è cosa giusta. Staremo a
vedere. Ma come accennavo prima, il problema sussiste anche camminando. L'altro
giorno ho perso, anzi impiegato, circa un quarto d'ora del mio tempo per
sbirciare, in prossimità di un incrocio semaforizzato, il comportamento dei
pedoni. Su circa 200 passanti che ho visto una cinquantina, tra uomini, donne,
vecchi e bambini, erano al telefonino. Ben dieci hanno attraversato la strada
senza guardare il semaforo ed esattamente 4 sono transitati con il rosso,
creando imbarazzo ai conducenti che passavano con il verde. È evidente che il
problema sussiste e peggiora ogni giorno di più. Che ognuno di noi faccia un
esame di coscienza.
IL PICCOLO - DOMENICA, 30 aprile 2017
Raffica di nuovi manager in posti chiave del Comune -
Concluso l’iter dei concorsi per dirigenti. Sette incarichi su nove assegnati a
donne
Età media cinquant’anni. I compensi varieranno tra i 130 mila e i 106
mila euro
Undici nuovi dirigenti. La squadra al vertice dela macchina comunale è quasi
completata, manca solo una figura che durante il mese entrante verrà “arruolata”
con la procedura di mobilità. Sugli 11 manager inseriti nell’organigramma
municipale, nove sono stati selezionati nelle prove concorsuali tenutesi tra
marzo e aprile, mentre altri due sono passati attraverso la griglia della
mobilità regionale. I 9 dirigenti di freschissima nomina prenderanno servizio
tra il 1° e il 22 maggio. Resteranno in carica per il mandato dell’attuale
sindaco. Uno dei più grandi datori di lavoro triestini, con circa 2500 addetti,
ha così reintegrato la cabina di regìa che negli ultimi anni si era vista
diradare dai pensionamenti: ha inizio una nuova stagione per il Comune
triestino, che alla fine dello scorso anno era sceso sotto i venti dirigenti.
Erano partiti in 370. Infine i 9 manager, scremati dai concorsi, sono - come si
evince dal grafico - Ambra De Candido (Politiche sociali), Paolo Jerman (Polizia
locale), Riccardo Vatta (Servizi generali), Lea Randazzo (Territorio e
ambiente), Francesca Dambriosi (Sviluppo economico), Francesca Locci (Promozione
culturale), Giovanna Tirrico (Servizi finanziari), Manuela Sartore (Personale),
Laura Carlini Fanfogna (Musei). Molto buona la performance degli “interni”, dal
momento che 7 indicazioni su 9 erano già dipendenti comunali: uniche esterne
Manuela Sartore, proveniente dalla Uti del Medio Friuli, e Laura Carlini
Fanfogna, ultimo incarico nella civica musealità bolognese. Alcune curiosità tra
curricula e iter concorsuali: preponderanza femminile con 7 vittorie su 9; l’età
media, come si poteva presumere alla luce degli elevati requisiti richiesti, è
abbastanza alta con una media anagrafica di 50 anni, tra i 62 anni di Laura
Carlini Fanfogna e i 40 di Lea Randazzo. Il massimo del punteggio conseguibile
era fissato a quota 144 (24 i titoli, 60 lo scritto, 60 l’orale): ad Ambra De
Candido il riconoscimento maggiore con 135 punti, seguita dai 126 della Locci e
di Jerman. I duelli più tirati si sono disputati in terreno culturale, dove la
Carlini Fanfogna e la Locci l’hanno spuntata di stretta misura. Le commissioni
hanno utilizzato anche “giudici” esterni - come Raffaella Sgubin, Romano
Vecchiet, Nicola Manfren - ed ex manager dell’amministrazione - come Corina
Sferco ed Edgardo Bussani. Le determine, che approvano la graduatoria, riportano
anche le retribuzioni, che, a partire dal prossimo anno (visto che quello in
corso ha evidentemente una capienza inferiore), si attesteranno tra il massimo
lordo di 130 mila euro attribuito alla Carlini Fanfogna e i 106 mila lordi di
quasi tutti gli altri “neo”. Per quanto concerne le dirigenze da mobilità,
ricordiamo che due sono già scattate e sono già operanti: si tratta di Giulio
Bernetti, che si occupa del traffico nell’Area territorio&ambiente, e di Walter
Milocchi, vicecomandante dei Vigili Urbani, in passato responsabile della
Polizia locale monfalconese. Il terzo arrivo, che dovrebbe essere fornito dalla
platea amministrativa regionale, è previsto a maggio e andrà a rafforzare i
Lavori pubblici. In realtà ci sarebbe un’ulteriore posizione da coprire, ma
viene lasciata libera per consentire l’eventuale rientro di Walter Toniati,
attualmente direttore generale dell’Ogs, nell’organico del Municipio. Il
bilancio dei concorsi, che hanno consentito nel giro di due mesi un sostanziale
rinnovamento dell’impianto direttivo comunale, è valutato con soddisfazione
dagli apicali: «Il budget dell’amministrazione è gestito solo da personale che
ha affrontato e superato prove concorsuali», sottolinea il segretario generale
Santi Terranova. Ma il processo di rinnovamento ha bisogno di altri passaggi
fondamentali, a cominciare dall’infornata di una settantina di livelli “C” e “D”
che, previa attivazione della mobilità, dovrebbe seguire l’insediamento dei
nuovi manager.
Massimo Greco
IL PICCOLO - SABATO, 29 aprile 2017
«Parco del mare, quattro milioni dal futuro gestore»
«Il gestore del Parco del mare contribuirà con quattro milioni alla realizzazione»: a dichiararlo il presidente della Camera di commercio Antonio Paoletti, che è intervenuto alla conviviale del Rotary Club Trieste su invito della presidente Maria Cristina Pedicchio. Un gestore che, ha detto Paoletti ai rotariani, «sarà probabilmente Costa Edutainment, che si è detta interessata molte volte in questi anni, a cui si aggiungono però altri potenziali gestori, non italiani». Una possibilità su cui Paoletti ha preferito però mantenere il riserbo. «Comunque un privato c’è già, ha aggiunto, ed è la Fondazione CRTrieste che è stata al nostro fianco in tutti questi anni e che continua a sostenerci». Il presidente dell’ente camerale ha riportato anche i contenuti dell’incontro avuto con Dipiazza: «Anche il sindaco ha ribadito di essere completamente al nostro fianco in questa impresa e di specificare che entrambi vogliamo tagliare il nastro del Parco del mare entro il nostro mandato». Paoletti è tornato a più riprese sull’ipotesi di locazione in Porto vecchio: «Quell’area della città deve ancora essere infrastrutturata con fognature, acqua, elettricità. Lavori costosi che richiedono tempo. Io penso invece che la città non possa più aspettare. Ora abbiamo i soldi a disposizione e l’appoggio di tutti gli attori coinvolti». Ha quindi difeso la scelta di Porto Lido come destinazione finale dell’acquario: «Ci dicono che l’impatto visivo sarà forte. Ma la realtà è che l’edificio non si vedrà dalla città e non farà parte delle Rive. Piuttosto ripuliremo una zona ora in preda a un degrado devastante, con tanto di amianto che sta venendo eliminato in questi giorni». I soci hanno anche sollevato il problema dei posteggi: «Ci saranno 180 posti auto e 15 posti per i bus - ha risposto Paoletti -. L’acquario di Genova di posti auto ne ha 170. Faremo in modo poi da segnalare i parcheggi oggi deserti, come il Silos o via Locchi».
Il Times chiama gli investitori a Trieste - Per il prestigioso quotidiano britannico la città ha «fascino centroeuropeo» e il suo antico scalo è «un sogno» per chi ha soldi
Non ha ancora soddisfatto appieno le sue ambizioni turistiche, ed è già un sogno per gli investitori. Trieste ottiene un altro attestato di stima internazionale, e questa volta per merito del suo nodo più annoso, il Porto vecchio. A tesserne le lodi il prestigioso quotidiano inglese “The Times”, che, in un articolo pubblicato ieri mette in risalto proprio i quattro chilometri di magazzini portuali abbandonati «che potrebbero essere un sogno per un promotore immobiliare dalle tasche capienti». Il capoluogo giuliano viene poi descritto come una «mini Vienna», per «l’affascinante mix di grandi influenze centroeuropee». «Per cinquecento anni - continua il “Times” - buona parte di quest’area è stata sottoposta al dominio austriaco e Trieste era il principale porto dell’Impero austro-ungarico. Culturalmente ed economicamente ha prosperato e declinato prima della Prima guerra mondiale». «Trieste sorge sull’Adriatico, quasi in Slovenia, ed è una destinazione strategica e seducente» che la rendono appetibile anche a quella fetta di italiani cui è ancora sconosciuta. E non più dunque “solo” per i suoi classici, come «le opere di Joyce che ha lasciato la città dopo averci vissuto per un decennio», o il suo Golfo, «apprezzato dai marinai veterani dell’Adriatico». Il “Times” sdogana i gioielli giuliani di fresca valorizzazione, puntando sul potenziale business. Cita così Trieste come «luogo di nascita del prosecco» e come «sede della Illy con la sua Università del caffè«. Fra le righe, sciorina pure i prezzi con cui l’acquirente d’oltremanica può acquistare un pied-à-terre, con riferimenti precisi ai «villaggi di Portopiccolo e Porto San Rocco». La notizia fa sorridere i politici. «Viviamo una città meravigliosa - commenta il sindaco Roberto Dipiazza - e l’attenzione che ci dedica il “Times” non mi sorprende. Quando si lavora seriamente, come sto facendo con la mia giunta, i risultati non possono mancare. Vogliamo ridare alla nostra importante città il ruolo che merita quale capitale d’area. Questo è solo l’inizio di un percorso che stiamo portando avanti con grande determinazione». Per la presidente della Regione, Debora Serracchiani «il più autorevole quotidiano di Londra ha fatto un ritratto puntuale ed efficace: Trieste è bella, cosmopolita e seducente, è una città per intenditori. In un momento storico in cui è sempre più ricercata e premiata la qualità delle mete turistiche - argomenta la governatrice - Trieste si colloca in una fascia che, per la varietà della sua offerta, può andare incontro alle esigenze della toccata breve, di chi cerca una pausa più riflessiva o addirittura di quegli anglosassoni che eleggono a loro casa l’Adriatico. In pochi anni il nostro capoluogo ha moltiplicato le offerte ricettive e la qualità degli eventi, cosicché arrivi e presenze si sono impennati. Va detto che questo è anche grazie a un poderoso impegno della Regione nella promozione della città con PromoTurismo Fvg e nei contatti con le compagnie di crociera». L’ultima eco mediatica in chiave turistica di Trieste risale a pochi giorni fa, con la redazione di “Travel 365” che l’ha inserita tra le 15 città italiane da visitare nel 2017.
Elena Placitelli
URBANISTICA - IL PROGETTO - Scatta “Porto vecchio dreaming” - Le idee sul riuso arrivano dal basso
I PROMOTORI DELL’INIZIATIVA - Il Rotary ha la collaborazione del Piccolo e il patrocinio del Porto
È la “fetta” della città su cui si concentrano più aspettative, più fantasie, più speranze. Perché allora non concretizzarle in progetti, in idee realizzabili, in contributi “dal basso” per le istituzioni e i grandi gruppi che avranno il compito di rivitalizzare quest’area. Nasce così il progetto “Porto vecchio dreaming”, che ha l’obiettivo dichiarato di portare per l’appunto nuove idee alla “causa” del Porto vecchio facendo in modo che, a portarle, siano proprio i cittadini. Il Rotary Club Trieste , in collaborazione con Il Piccolo e con il patrocinio dell’Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico orientale, lancia infatti il progetto “Porto vecchio dreaming”, aperto a tutti coloro che hanno idee innovative riguardanti la trasformazione del Porto vecchio in una nuova parte della città. Attraverso quest’iniziativa si può dunque presentare il proprio sogno sul riuso del Porto vecchio in pubblico e davanti alle autorità. «Per tanti anni ed attraverso molteplici iniziative - si legge nella presentazione del progetto - a Trieste abbiamo sognato la rinascita del Porto vecchio, oggi sono finalmente maturi i tempi per passare dal sogno alla realtà. Dall’inizio del 2017 gran parte dei 65 ettari, 650 mila metri quadrati di territorio portuale denominato “Punto franco vecchio”, è stata sdemanializzata e la proprietà è stata intavolata al Comune di Trieste. Sono state inoltre rilocalizzate in altre aree della città le superfici che godono dei benefici del Punto franco. Molte ipotesi di riutilizzo sono state analizzate e proposte da esperti e autorità, ma non è stata mai data la possibilità ai cittadini di esprimere il loro “Porto vecchio dreaming”». Per i promotori che fanno capo al Rotary insieme al quotidiano locale e all’Authority è dunque arrivata l’ora di «raccogliere le idee e dibattere sulle possibili destinazioni da dare alle aree e agli edifici, sull’infrastrutturazione, sull’integrazione con la città». Il Rotary Club Trieste organizza a tale scopo un forum di ascolto di chiunque manifesti interesse, dando la possibilità di pubblicizzare in particolare 12 idee di sviluppo del Porto vecchio, che saranno selezionate tra le proposte inviate. I proponenti avranno la possibilità di esporre in sede pubblica, mercoledì 17 maggio, con una presentazione della durata massima di cinque minuti e un supporto di 15 diapositive, le loro idee, che potranno riguardare anche solo ambiti parziali dell’area. A seguire, le idee presentate saranno discusse in una tavola rotonda, coordinata dal direttore de Il Piccolo Enzo D’Antona, dal sindaco Roberto Dipiazza, dalla presidente della Regione Debora Serracchiani e dal presidente del Porto Zeno D’Agostino. Per partecipare va inviata una richiesta via posta elettronica a rotarytrieste@rotarytrieste.com, con oggetto “Porto vecchio dreaming” entro lunedì 8 maggio, indicando nome e cognome del proponente, indirizzo email e telefono, eventuale gruppo di appartenenza e breve curriculum più un cenno sulla proposta che si intende lanciare. Le varie proposte saranno anticipatamente presentate e selezionate al Rotary Club Trieste di via Giustiniano 3 l’11 e il 12 maggio alle 17 alla presenza di una commissione tecnica del Rotary stesso coordinata dall’ingegner Pierpaolo Ferrante, responsabile del progetto, che presterà supporto alla realizzazione delle presentazioni in Power Point.
Bus deviati in via Geppa costretti alle gimkane - Le
auto posteggiate rendono difficile il lavoro degli autisti nel primo giorno di
cantieri in zona
Il primo giorno di stop al transito degli autobus e dei mezzi pesanti su via
Milano è passato senza provocare clamorosi problemi alla viabilità. Nel corso
della mattinata non è mancato comunque qualche disagio. È quanto riferito dagli
uffici della polizia locale di Trieste, dopo che, ieri, sono entrate in vigore
le modifiche alla viabilità resesi necessarie a causa del cedimento, in
corrispondenza dell’incrocio fra via Milano e via Carducci, delle volte di
copertura del torrente Chiave, che scorre nel sottosuolo. Le linee della Trieste
Trasporti interessate al cambio di rotta sono la 17 e la 17 barrata, che,
insieme ai mezzi pesanti superiori a 70 quintali, non possono pertanto
transitare lungo via Milano, come imposto dalla relativa ordinanza comunale. Da
ieri gli autobus hanno pertanto dovuto deviare il percorso lungo via della Geppa,
nella direttrice largo Città di Santos - piazza della Libertà - via della Geppa
- piazza Dalmazia - via Carducci. Un tanto per evitare il sovraccarico della
corsia di via Ghega, notoriamente trafficata. La municipale ha comunque fatto
sapere che nei prossimi giorni verrà migliorata la segnaletica, in modo da
avvisare in loco gli automobilisti meno informati. Nel corso della giornata,
infatti, qualche conducente è stato colto alla sprovvista e ha dovuto rimuovere
subito l’auto che, ignaro, aveva appena parcheggiato di fianco al palazzo della
Genertel, nel tratto compreso fra via Filzi e via Carducci. In quell’incrocio lo
spazio di manovra, piuttosto angusto, ha messo a dura prova gli autisti della
Trieste Trasporti. È così capitato che gli autobus non siano riusciti a
transitare senza dover prima chiedere a suon di clacson agli automobilisti che
avevano parcheggiato proprio lì di spostare la propria macchina. Intanto dagli
uffici fanno sapere che la soluzione sarà temporanea fino al ripristino,
prevedibilmente tra alcuni mesi, delle condizioni idonee al transito dei bus
lungo via Milano. Per gli utenti del trasporto pubblico locale, allo stato
attuale, non sono previste fermate lungo via Geppa. L’ordinanza comunale è stata
emessa in seguito alle verifiche svolte dall'AcegasApsAmga sullo stato delle
strutture di tenuta del torrente Chiave, che hanno riscontrato una criticità
statica cui l’amministrazione comunale sta facendo fronte.
(el.pl.)
Capodistria-Divaccia, no alla legge - Stop all’iter per il raddoppio: il Consiglio di Stato boccia il piano finanziario ritenuto lacunoso e oneroso
LUBIANA - Il Consiglio di Stato della Slovenia ha bocciato con 23 voti favorevoli e due contrari la legge approvata dal Parlamento di Lubiana relativa alla realizzazione del secondo binario della ferrovia tra Capodistria e Divaccia. In pratica i consiglieri hanno fatto proprie tutte le perplessità espresse sulla norma da parte delle varie istituzioni civili che del progetto si stanno interessando da mesi per cercare di trovare una soluzione vuoi sul piano del tracciato, vuoi su quello della reperibilità dei finanziamenti necessari alla sua realizzazione. Il Consiglio di Stato ha così ritenuto assolutamente insufficiente quanto contenuto nella norma, che si basa sulla neo istituita società 2Tdk creata proprio per realizzare l’infrastruttura, relativamente ai finanziamenti. In essa si parla in maniera vaga, senza fare cifre né predisporre un vero e proprio piano di un intervento di capitale ungherese e si stabilisce una sorta di tassa sulla movimentazione dei container nel Porto di Capodistria che ha fatto letteralmente infuriare Luka Koper, la società che gestisce lo scalo e di cui anche lo Stato sloveno è proprietario, che vede in ciò un attentato alla proprio concorrenzialità. Bocciato, dunque, il finanziamento “spezzatino” proposto dalla normativa, in quanto sarebbe più oneroso per la Slovenia e foriero di maggiori rischi legati a corruzione, appalti truccati e subappalti teleguidati. La tesi che le istituzioni civili sposano, invece, è quella riportata sul Dnevnik di Lubiana dell’economista Jože P. Damijan, il quale parte da un ragionamento di base. In Slovenia, spiega, secondo i dati della Banca centrale del Paese i cittadini e le società hanno depositati in banca 16,8 miliardi di euro e le aziende hanno complessivamente 5,5 miliardi di depositi. «Lo Stato - sostiene Damijan - potrebbe dare loro la possibilità di acquistare obbligazioni relative alla nuova infrastruttura e con questo anche di guadagnarci». Perché allora, si chiede, lo Stato cerca co-finanziatori ungheresi e un prestito da parte della Banca europea per gli investimenti (Bei) al tasso d’interesse dell’1,5%? Perché piuttosto, si chiedono l’economista ma anche i consiglieri di Stato, non emanare obbligazioni decennali all’1% e venderli agli sloveni? Gli investitori avrebbero così la possibilità di realizzare un guadagno ad esempio di mille euro in dieci anni su una somma di 10mila euro in obbligazioni. E in più sarebbero garantiti dallo Stato per la solvibilità. Oggi una somma di 10mila euro vincolata nella Nova Ljubljanska Banka rende in 5 anni appena 257 euro. Adesso però anche il governo sostiene che la norma non esclude l’emissione di obbligazione e che la questione sarà discussa con la Bei nell’ambito del prestito pari al 30% della realizzazione dell’opera ancora da contrattare. La legge ora torna in Parlamento dove dovrà essere riapprovata ma solamente a maggioranza assoluta.
Mauro Manzin
IL PICCOLO - VENERDI', 28 aprile 2017
Via Milano diventa off limits per bus e Tir - Preoccupa
la tenuta delle volte che coprono il torrente Chiave. Corse della 17 e 17/
deviate su via Geppa
Stop agli autobus e ai camion in via Milano. Lo ha deciso il Comune ieri, in
via provvisoria, con una delibera di giunta che ha preso le mosse dalle
verifiche sulla tenuta delle strutture che si trovano nel sottosuolo. Una tenuta
giudicata dagli esperti evidentemente problematica. I controlli, come precisa
una nota del municipio diramata ieri pomeriggio, sono stati effettuati dagli
ingegneri e dai tecnici dell’AcegasApsAmga e hanno comportato una serie di
indagini da cui è emerso lo stato di “criticità” delle volte di copertura del
torrente Chiave (o torrente Grande) che scorre in quella zona, in corrispondenza
dell’incrocio tra via Carducci e via Milano. Nulla di particolarmente
pericoloso, ma a scopo puramente cautelativo, informa ancora il comunicato
stampa del municipio, per i prossimi mesi non saranno più concesse deroghe al
transito dei mezzi pesanti. La delibera della giunta comunale non si è limitata
a fornire indicazioni generiche, tanto più che l’intervento interferisce con la
viabilità dei bus, ma è entrata più nel dettaglio. Il documento varato ieri ha
imposto, nello specifico, un limite di massa non superiore ai 70 quintali in
particolare nel tratto compreso tra l’intersezione con via Fabio Filzi e
l’intersezione con via Carducci. Il che significa, per il momento, niente più
autobus per tutto il tempo necessario ai futuri interventi strutturali che
potranno rendersi necessari nei punti interessati. Cosa cambia? Va da sé,
naturalmente, che pure la viabilità dei mezzi pubblici che finora percorrevano
abitualmente lungo via Milano dovrà subire alcune modifiche. Si tratta,
precisamente, delle linee 17 e 17/. I bus dovranno temporaneamente venir fatti
transitare lungo via Geppa, nella direttrice largo Città di Santos/piazza della
Libertà-via Geppa-piazza Dalmazia-via Carducci. Un tanto per evitare il
sovraccarico della corsia di via Ghega, notoriamente trafficata. L’ordinanza di
viabilità è stata emanata da parte del competente Servizio mobilità; stando a
quanto ha deciso l’ufficio comunale, non sono previste fermate lungo via Geppa e
tale soluzione sarà temporanea fino al ripristino, prevedibilmente tra alcuni
mesi, delle condizioni idonee al transito dei bus lungo via Milano.
Gianpaolo Sarti
Lo sconto benzina appeso a un filo - Bruxelles denuncia
l’Italia alla Corte Ue per i prezzi agevolati in Fvg - Nel mirino anche
l’inquinamento da Pm10
Non solo carburanti. Contro l’Italia la Commissione Ue ha lanciato anche
un’altra procedura di infrazione sull’inquinamento da polveri sottili: il nostro
Paese ha ora due mesi di tempo per «adottare azioni appropriate per garantire
una buona qualità dell’aria e salvaguardare la salute pubblica», altrimenti
potrà essere deferita davanti alla Corte di Giustizia. In Italia, secondo
Bruxelles, l’inquinamento da Pm10 «è causato principalmente da emissioni
connesse al consumo di energia elettrica e al riscaldamento, ai trasporti,
all’industria e all’agricoltura». Secondo le stime dell’Agenzia europea
dell’ambiente, «ogni anno l’inquinamento da polveri sottili provoca nel Paese
più di 66mila morti premature», rendendo l’Italia lo Stato Ue più colpito in
termini di mortalità connessa al particolato. Il Friuli Venezia Giulia rientra
nel gruppo delle 30 zone in cui si sono registrati i maggiori superamenti dei
livelli massimi consentiti per l’inquinamento.
Sorpresa a lasciare rifiuti “fuori posto”
Una donna di 51 anni, D.G. le sue iniziali, di passaporto croato, è stata multata l’altro giorno dalla polizia locale che l’ha ritenuta responsabile dell’abbandono di una serie di rifiuti ingombranti sia all’interno che ai piedi dei cassonetti di un’isola ecologica di via San Marco, rifiuti che dunque non sono stati conferiti correttamente nei centri di raccolta, le cosiddette “discariche”, una delle quali oltretutto si trova molto vicina alla stessa via San Marco. Lo rende noto in un comunicato il Comune, che ricorda come la sorveglianza ambientale rientri fra le attività del corpo di polizia locale: «Testiera di un letto, cuscini, stufa elettrica - si legge in tale comunicato - sono solo alcune delle masserizie che gli agenti hanno trovato depositati a casaccio in via San Marco nei contenitori della piazzola ecologica o depositati direttamente sul suolo nei dintorni dei cassonetti per le immondizie. Qualche minuto dopo il loro arrivo è giunta sul posto una signora che inequivocabilmente era l’autrice del deposito». D.G. appunto, «sanzionata per l’abbandono dei rifiuti sul suolo pubblico».
Natura - Birdwatching, ora si passa alla pratica
Alla ricerca di pettirossi, cinciallegre e cardellini, ma anche di tutti gli
altri volatili meno conosciuti che sono soliti “cinguettare” nei nostri parchi,
orti e giardini. Per i frequentatori del corso gratuito di birdwatching, ma
anche per tutti gli altri cittadini curiosi di riconoscere l’avifauna locale, è
tempo di sperimentare quanto imparato nel corso delle lezioni teoriche gratuite
(promosse da Urbi et Horti, associazioni Bioest, Il Ponte, Legambiente Trieste,
Aias, Anglat Fvg, Lapis, Multicultura, Arci Servizio civile, Comitato pace
convivenza solidarietà Danilo Dolci e Asuits) e frequentate da una cinquantina
di persone, a conferma del grande interesse per l’argomento. L’appuntamento per
il primo incontro pratico condotto da Matteo Giraldi, delegato della sezione
Lipu di Trieste, è fissato per domani alle 9 alla Rotonda del Boschetto.
«Passeggeremo - spiega la naturalista Tiziana Cimolino, referente di Urbi et
Horti - all’interno del bosco urbano del Farneto e, allontanandoci dal rumore
della strada, cercheremo di immergerci nei suoni della natura tentando di
riconoscerli: distinguere i maschi dalle femmine e il differente canto delle sia
pure non tantissime specie autoctone, non è semplice, ma a venirci incontro
saranno le nozioni imparate. Sabato ascolteremo i canti primaverili
dell’avifauna locale e con i nostri binocoli cercheremo di riconoscerne la
specie e la modalità di canto». Anche se il grosso delle adesioni è avvenuto
durante il corso, «chiunque può partecipare alla passeggiata purché si presenti
in orario. Il consiglio è di indossare abiti comodi, scarpe adeguate e portare
con sé il binocolo». Info al 3287908116.
(g. t.)
IL PICCOLO - GIOVEDI', 27 aprile 2017
«Differenziata raddoppiata in un anno» - Il Comune di
Duino Aurisina e la società Isontina che gestisce la raccolta commentano i dati
del “Sole”
DUINO AURISINA Il 67,94% a Sgonico, il 46,51% a Monrupino, il 42,03% a Duino
Aurisina. Sono questi i dati della raccolta differenziata registrati a fine 2016
nei tre comuni della Provincia usciti piuttosto malconci dall’analisi pubblicata
sul Sole 24 Ore di martedì relativa al 2015. Isontina ambiente, la srl di Ronchi
dei Legionari che recentemente è diventata partner dei tre comuni per quanto
concerne la raccolta e la gestione dello smaltimento delle immondizie, ha subito
reso pubblici i numeri che caratterizzano il netto miglioramento nella gestione
della differenziata nei tre territori messi sotto la lente dal quotidiano
economico, sottolineando in particolare proprio «il sensibile miglioramento -
spiega Stefano Russo, portavoce dell’azienda - nella raccolta della
differenziata, frutto di un attento lavoro di riposizionamento e distribuzione
delle isole ecologiche e dell’introduzione del sistema porta a porta». Le cifre
in effetti parlano chiaro: Sgonico era partito, a fine 2015, dal 16,32%,
Monrupino dal 18,99% e Duino Aurisina dal 21,23%. Si tratta per lo meno di un
raddoppio in tutti e tre i territori. «Un risultato - spiega a propria volta il
sindaco di Duino Aurisina Vladimir Kukanja - che è l’effetto di una precisa
scelta operata dalla mia amministrazione, che ha puntato parecchi mesi fa a un
accordo proprio con la Isontina ambiente, con lo specifico obiettivo di far
salire quella percentuale che ci vedeva in una cattiva posizione. I dati più
recenti denotano un evidente cambio di passo in materia e le prospettive sono di
ulteriore miglioramento». Incalza l’assessore Lorenzo Corigliano: «Abbiamo quasi
raddoppiato il numero dei contenitori destinati alla differenziata e il
miglioramento è stato netto, anche grazie alla collaborazione con la
popolazione, che si è sempre dimostrata sensibile sul tema». Il membro della
giunta di Duino Aurisina evidenzia anche che «sono stati sistemati numerosi
contenitori per il residuo del verde, mentre al Villaggio del Pescatore, su
esplicita richiesta delle due società nautiche locali, Laguna e San Marco,
abbiamo collocato un container raccoglitore di rifiuti, di cui si sono
dichiarati molto soddisfatti». Per Russo, infine, le prospettive «sono quelle di
un costante miglioramento nella raccolta differenziata in tutti e tre i comuni
nei quali siamo entrati come partner». «A fine 2017 - conclude il portavoce
della Isontina ambiente - siamo certi che la media che si registrerà sarà uguale
o addirittura superiore a quella relativa all’ultimo bimestre del 2016 in tutti
e tre i territori dei quali stiamo parlando».
Ugo Salvini
Tra sei mesi il progetto per l’ex Fiera - Primo
sopralluogo tecnico dei nuovi proprietari del complesso per valutare viabilità e
collegamenti
Ci vorranno altri sei mesi prima di vedere un progetto per il recupero
dell’ex Fiera. Ma qualcosa si sta già muovendo. I nuovi proprietari dell’area,
gli austriaci della Mid Holding, sono approdati ieri mattina a Trieste per un
sopralluogo del sito. È la prima visita ufficiale nel comprensorio per il
management della società, presente con il titolare Walter Moser e un gruppo di
progettisti. I rappresentanti della holding sono stati accompagnati dal
direttore dell’Area Servizi del Comune, Walter Cossutta, e dal direttore del
Servizio gestione e controllo Demanio e patrimonio immobiliare, l’ingegner
Alberto Mian. Una visita, dunque, squisitamente tecnica per sondare l’area anche
in relazione al traffico della zona e alle connessioni con i trasporti pubblici,
in modo da valutare le soluzioni più consone per la viabilità all’interno degli
spazi attualmente per buona parte in disuso. L’incontro ufficiale tra la società
e la giunta comunale è programmato invece verso metà maggio, con l’intento -
precisa una nota del Comune - «di delineare un percorso condiviso per il
recupero di un così significativo spazio urbano della nostra città». La Mid si è
aggiudicata la fiera all’asta di inizio aprile per un totale di 12 milioni e
318,44 euro, 2 milioni in più rispetto alle valutazioni iniziali stimate
dall’amministrazione comunale, mentre il contratto di vendita del complesso sarà
ufficializzato entro l’estate. Il progetto edilizio non è stato ancora
elaborato, ma stando alle indicazioni del piano regolatore, il comprensorio
prevede abitazioni, aree commerciali, alberghi e parcheggi. I residenti devono
aspettarsi un cantiere da 20mila metri quadrati, compresi tra piazzale De
Gasperi, via Rossetti, via Revoltella e via Settefontane. Di questi, ben 7.160
sono scoperti, per un volume fabbricabile di 108mila metri cubi. «Troppo presto
per decidere cosa faremo effettivamente in quegli spazi - aveva affermato il
general manager Moser nelle scorse settimane - non posso dire in anticipo cosa
verrà edificato. Il piano urbanistico obbliga a costruire almeno 9.500 mq di
appartamenti - ricordava - ma sul resto siamo liberi di fare ciò che
desideriamo. L’intenzione - anticipava - è dare spazio a negozi, uffici e hotel.
Certamente ci sarà un garage sotterraneo». Ci vorrà un anno e mezzo, grosso
modo, per chiudere i lavori. L’investimento si aggira indicativamente tra i 60 e
i 70 milioni di euro.
(g.s.)
Legambiente - Seguendo le acque verso la città
Le acque verso la città sabato alle 9 www.legambientetrieste.itSabato
mattina Legambiente organizza la visita guidata “Le acque verso la città”, con
risalita del rio Storto (o rio Zaule) da Borgo San Sergio alla pista ciclabile
della Val Rosandra. Ritrovo alle 9.00 a Borgo San Sergio all’inizio di via di
Peco (vicino all’autodemolitore “Apollo”). Questa seconda escursione, che
continua il discorso iniziato con la gita del 1° aprile sui torrenti
Settefontane e Farneto, farà conoscere un versante molto diverso dello stesso
monte di Cattinara, o Montebello, dal quale hanno origine anche le due vallate
(Rozzol e Longera) della data precedente. Verrà risalito il versante rivolto a
sud, quindi una zona molto assolata, riparata dal vento freddo, e assai calda
d’estate; condizioni che, unitamente alla caratteristica geologica del terreno
flyschoide, ne fanno una zona assai adatta all’orticoltura di qualità, su
entrambi i versanti di questa ed altre vallate della zona.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 26 aprile 2017
“Differenziata” - il primato va a San Dorligo - Nel
2015 sfiorò il 56%. Muggia al secondo posto - Trieste si ferma al 35,3. Sgonico
fanalino di coda -
la raccolta in provincia di Trieste
SAN DORLIGO DELLA VALLE Trieste è una provincia virtuosa per quanto concerne
la raccolta differenziata. Nel suo piccolo territorio si trovano realtà
comunali, come quella di San Dorligo della Valle, che, nel raffronto col resto
d'Italia, raggiungono in questo campo l'eccellenza, altre che la sfiorano, come
Muggia, altre ancora che si collocano in una media classifica, come Trieste, e
altre infine che hanno avviato processi di conversione dei metodi utilizzati in
passato, proprio per risalire la graduatoria nazionale. È questo il quadro che
emerge da una precisa analisi, fatta dal quotidiano economico Il Sole 24 Ore e
relativa al 2015, che mette in fila tutti i Comuni italiani, sulla base dei
numeri pubblicati dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca
ambientale (Ispra). A San Dorligo della Valle, due anni fa, si sfiorò il 56 per
cento, Muggia si attestò sul 39,82, Trieste sul 35,29, Duino Aurisina sul 21,23,
Monrupino sul 18,99 e Sgonico sul 16.32. Differenze piuttosto nette, come si può
notare, ma dovute essenzialmente al fatto che i Comuni che spiccano per la loro
efficienza, in questo specifico settore, sono quelli partiti per primi con una
politica dedicata a migliorare il servizio relativo alla differenziata. «Posso
dire - spiega Franco Crevatin, assessore all’Ambiente a San Dorligo della Valle
- che, nel nostro Comune, si iniziò ad applicare un metodo molto puntuale per la
raccolta differenziata già nel 2007 e che, da quel momento, si è proseguito in
un costante perfezionamento di tale politica. Oggi - afferma con soddisfazione
Crevatin - siamo al 60 per cento. Gran parte del merito - conclude l'assessore
che, già nel suo precedente incarico di assessore in Provincia aveva affinato le
competenze in materia di raccolta dei rifiuti - va riconosciuto alla popolazione
residente nel nostro Comune,che ha sempre risposto positivamente alle nostre
sollecitazioni e oggi è premiata dalle tariffe più basse dell'intero territorio
provinciale per quanto concerne il servizio della raccolta dei rifiuti».
Ottimista, nonostante il risultato poco brillante ottenuto nel suo Comune nel
2015, è Monica Hrovatin, sindaco di Sgonico: «Lo scorso anno abbiamo cambiato
politica sulla differenziata - spiega - iniziando con il porta a porta
dell'indifferenziata e con la predisposizione di isole ecologiche. I risultati
sono in netto miglioramento rispetto alla tabella del Sole 24 Ore - continua
Hrovatin - e alla fine del 2017 contiamo di ritrovarci in una posizione molto
migliore in questa particolare graduatoria». A livello nazionale, si collocano
in media molto bene il Triveneto, più che discretamente la Sardegna, la Campania
e le Marche. Ma anche in Lombardia e in Piemonte la raccolta della differenziata
funziona. Si va male invece nel resto d'Italia, con punte negative in Sicilia,
Calabria e Basilicata. Se si guarda alle provincie, è Treviso quella in cui la
gestione dei rifiuti ha permesso di ottenere i risultati migliori in termini di
riciclo. Lì infatti nel 2015, in media, l'85,22% dell'immondizia fu
differenziata. Seguono Mantova, con l'80,3% e, di nuovo in Veneto, Belluno con
il 76%. Oltre a ottenere la prima e terza piazza, la regione della Serenissima è
una delle più attente al tema: delle dieci migliori province per raccolta
differenziata, ben sei sono nel Veneto. Solo Rovigo rimane fuori dalla top 10,
ma si piazza comunque al tredicesimo posto. All'estremo opposto, la Sicilia. Le
quattro province peggiori per raccolta differenziata, sempre secondo Ispra, sono
Enna, Siracusa, Messina e Ragusa. Più in generale, tutte e nove le province
dell'isola si trovano tra le peggiori 15. Lusinghiero infine il risultato medio
del resto del Friuli Venezia Giulia, nel cui ambito ci sono comuni come Pagnacco
(Udine), Sesto al Reghena e San Martino al Tagliamento (Pordenone), che già nel
2015 si attestarono fra l'80 e il 90 per cento. Ma in quasi tutta la regione la
raccolta della differenziata due anni fa funzionava.
Ugo Salvini
Porta a porta a Muggia, opposizione in pressing - TARLAO, VLAHOV E ROMANO Bisogna puntare a premiare i cittadini virtuosi
Il sindaco Laura Marzi concorda che andrà premiato chi sarà più virtuoso ma il metodo andrà individuato quando il sistema sarà a regime
MUGGIA - Tariffe puntuali per premiare i più bravi differenziatori, sanzioni ai furbetti che non si applicano. Su questi due punti tre partiti di opposizione promettono battaglia in relazione all' imminente inizio della raccolta dei rifiuti “porta a porta”. «Siamo perplessi per l'impostazione che la maggioranza intende dare al nuovo sistema della differenziata, quindi avanziamo alcune proposte per ottenere un buon risultato tramite il "porta a porta spinto" di cui siamo fermi sostenitori», spiegano unitamente i consiglieri comunali Roberta Tarlao (Meio Muja), Emanuele Romano (Muggia 5 Stelle) e Roberta Vlahov (Obiettivo comune per Muggia). Le proposte dei tre esponenti sono fondate sulla normativa europea in materia di rifiuti e su quella nazionale che regola la Iuc (Imposta unica comunale). «La normativa europea, oltre a perseguire l'obiettivo della riduzione dei rifiuti, afferma il principio per cui, "chi più inquina più paga", consentendo la copertura dei costi del ciclo dei rifiuti e premiando con tariffe inferiori i cittadini virtuosi», puntualizza Tarlao. La Iuc è un'imposta federale che i Comuni possono rimodulare aumentando o riducendo le aliquote. Secondo Tarlao le amministrazioni possono dunque «commisurare la tariffa alla quantità e qualità media di rifiuti prodotta per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia delle attività, nonché al costo del servizio dei rifiuti. Le tariffe per ogni categoria o sottocategoria sono determinate dal Comune moltiplicando il costo del servizio per la superficie accertata». Nella modulazione della tariffa potrebbero dunque essere assicurate riduzioni per la differenziata nelle utenze domestiche. Anche il consigliere Emanuele Romano punta sugli incentivi ai cittadini virtuosi: «Il Piano regionale dei rifiuti certifica che le raccolte differenziate domiciliari secco-umido, con tariffa puntuale, sono le più efficaci e garantiscono il superamento dell'80% di differenziata. Il Comune deve intervenire nella promozione di questo tipo di raccolta attraverso incentivi economici». Il consigliere grillino stigmatizza invece come «a seguito dell'approvazione del Pef non è stata inserita alcuna previsione di tariffa puntuale che applichi premialità o sanzioni a chi non differenzia correttamente, e tale sistema non è applicato nemmeno al gestore del servizio Net a cui invece viene riconosciuto quanto viene conferito, senza distinzione alcuna». Roberta Vlahov evidenzia invece le carenze del capitolato rifiuti: «Mancano specifici riferimenti alla forza lavoro impiegata e ai macchinari che verranno usati per la raccolta. Per questo intendiamo costituire un gruppo di lavoro tecnico con l'assessore con delega ai rifiuti e i rappresentanti dei gruppi consiliari». La proposta prevede che il gruppo si occupi di revisionare il Pef, redigere un piano industriale e un capitolato di prestazione con obiettivi incentivanti o penalizzanti per il gestore. Sul complesso argomento il sindaco Laura Marzi rileva che «è nostra intenzione introdurre le premialità una volta che il servizio sarà a regime, ed è chiaro che va premiato chi più differenzia. Il metodo di individuazione di chi è più virtuoso, però, non è detto debba riguardare la pesatura o la misurazione del conteggio dei prelievi della differenziata, ma la premialità può essere calcolata in base al fatto che chi meno produce indifferenziata, sembra evidente, più differenzia. Solo dopo aver deciso l'assetto organizzativo della differenziata potremo applicare la premialità».
di Riccardo Tosques ◗
Sopralluogo Arpa per i boati in Ferriera - Oggi i
tecnici dell’Agenzia verificheranno gli impianti dopo i rumori e il fumo di
martedì 18
Oggi Arpa conclude l’ennesima ispezione in Ferriera per capire cosa sia
accaduto martedì 18 aprile, quando boati e nuvole nere sono echeggiati e hanno
coperto il cielo di Servola. Erano le 8.50 mattutine, quando i residenti hanno
avvertito rumori e fumi di particolare intensità. Molte le chiamate ai numeri
d’emergenza, allertati i canali dell’informazione. Poi tecnici dello
stabilimento siderurgico e dell’Arpa hanno fatto il punto della situazione:
un’accentuata e anomala pressione dei fumi, derivante dalle lavorazioni,
avrebbero determinato una sorta di “tappo”, che, una volta saltato, ha causato
boati e nuvole nere. Più in dettaglio una nota Arpa spiegava che il fenomeno era
da addebitarsi all’apertura delle valvole di sicurezza in seguito a
sovrapressioni generate nell’altoforno. All’origine delle sovrapressioni -
argomentava ancora Arpa - un’anomala canalizzazione dei gas di combustione in
fase di fermata dell’impianto per interventi di manutenzione. Questa
sovrapressione sarebbe un fenomeno piuttosto raro e atipico. Ma Arpa ha ritenuto
opportuno approfondire le ragioni di questo incidente e ha svolto ulteriori
indagini che si concluderanno oggi - precisa una nota - con un sopralluogo al
quale parteciperà il consulente della Regione Fvg, Boscolo. Gli approfondimenti
sono stati coordinati dal responsabile tecnico-scientifico, Franco Sturzi. Il
rapporto conclusivo su questa vicenda sarà approntato entro metà maggio. Nella
stessa nota diffusa ieri pomeriggio, Arpa insiste sull’accordo stipulato lo
scorso 19 aprile a Roma tra la Regione Friuli Venezia Giulia e l'Istituto
superiore di sanità (Iss), a proposito del quale è stato annunciato che il tema
dello stabilimento siderurgico sarà il primo a essere sviluppato. «Se l'Aia
contiene tutti gli strumenti per verificare la soluzione dei problemi
contingenti e strutturali di funzionamento degli impianti dello stabilimento
industriale - si legge nella nota Arpa -, il coinvolgimento dell'Iss permetterà
di dare una risposta approfondita di massimo livello scientifico sul tema
specifico e capitale dell'impatto dello stabilimento siderurgico triestino sulla
salute di lavoratori e cittadini».
ge.be.
IL PICCOLO - MARTEDI', 25 aprile 2017
«Bomba ecologica minaccia le fonti dell’acqua potabile»
- L’allarme del deputato istriano Demetlika in Parlamento: «Vicino al torrente
Foiba 400 tonnellate di rifiuti tossici»
POLA «Ci sono 400 tonnellate di rifiuti tossici che incombono sulle sorgenti
d'acqua che riforniscono gli utenti dell'Istria meridionale». L'allarme è stato
rilanciato dal deputato istriano e sindaco di Albona Tulio Demetlika nell'aula
parlamentare, sollecitando le competenti istituzioni dello Stato ad attivarsi
per scongiurare effetti devastanti sulla salute della popolazione. Demetlika ha
quindi ricordato gli antefatti. In sintesi: la società Ecooperativa, che nel
2007 aveva iniziato la propria attività nella gestione dei rifiuti tossici, è
poi fallita lasciando 400 tonnellate di rifiuti non pericolosi e altrettante di
rifiuti tossici nel proprio magazzino ubicato nella terza zona di tutela
sanitaria delle sorgenti di acqua potabile e nelle immediate vicinanze della
seconda zona di tutela. Nei paraggi scorre il torrente Foiba, la cui acqua
finisce nelle sorgenti collegate alla rete idrica di Pola e dell'Istria bassa in
generale. «L’autorità cittadina di Pisino e quella regionale istriana - sostiene
Demetlika - ha più volte segnalato il problema al ministero per la Tutela
dell'ambiente, ma senza esito». A dire il vero due anni fa l'ispezione
ministeriale aveva effettuato un sopralluogo per prendere atto della situazione
e aveva invitato la Ecooperativa a rimuovere i rifiuti tossici e risanare
l'area; ma nulla è stato fatto. «È inspiegabile - afferma il sindaco di Pisino
Renato Krul›i„ - che lo Stato non abbia impugnato i necessari strumenti legali
per costringere la Ecooperativa a rimuovere i rifiuti. Se lo avesse fatto il
problema non esisterebbe». Krul›i„ accusa Zagabria di voler scaricare la
responsabilità e i costi di rimozione dei rifiuti (si parla di circa 520mila
euro) sulle aziende ora attive nella zona imprenditoriale Pazina I e
sull'Autonomia locale. «Penso che il ministero intenda addossare le spese della
pulizia - dice Krul›i„ - all'azienda Reginex che ha acquistato l'immobile in cui
operava l'Ecooperativa». Interpellato, il direttore della Reginex Edi Rados
spiega però che l'operazione spetta all'Ecooperativa poiché nel contratto di
compravendita dell'immobile si era impegnata a consegnarlo “pulito” in caso di
cessione. «Abbiamo più volte richiamato l'attenzione sull'inadeguatezza del
magazzino sopra la Foiba di Pisino», aggiunge Krul›i„ esprimendo l'auspicio che
in futuro il ministero tenga maggiormente in considerazione il parere
dell'Autonomia locale e non conceda più licenze per attività di questo genere.
Ma intanto i rifiuti sono sempre là.
(p.r.)
Nessuna multa per la collinetta inquinata - Il Tar
annulla la sanzione di 400mila euro che il Comune di Muggia avrebbe dovuto
versare allo Stato per l’area bonificata
MUGGIA - Il Comune di Muggia non dovrà pagare la sanzione di 400mila euro
per la collinetta inquinata di Porto San Rocco. La notizia giunge in seguito
alla sentenza del Tar del Lazio che ha annullato la nota di rivalsa avviata dal
ministero dell'Economia e delle Finanze nei confronti del Comune. Nuovo
importante capitolo, dunque, nella vicenda inerente l'area inquinata, poi
bonificata e messa in sicurezza. Nell'aprile dell'anno scorso il Comune si era
trovato coinvolto in un “effetto domino” di sanzioni pecuniarie per una cifra
intorno ai 400mila euro. Il tutto era scaturito dopo la condanna milionaria (40
milioni di euro più una penalità di 42,8 milioni per ogni semestre di ritardo)
inflitta all'Italia dalla Corte dell'Ue nel dicembre 2014. Secondo l'Ue il
Governo italiano non si era adeguato alla direttiva rifiuti sulle discariche
“abusive”. La sanzione, però, era stata trasmessa dallo Stato a diverse Regioni,
e da queste ai singoli Comuni. Sostanzialmente il Mef, per dare esecuzione alla
sentenza della Corte dell'Ue, aveva provveduto, a titolo di anticipazione, al
pagamento integrale della sanzione iniziale e della prima penalità semestrale,
intendendo però procedere al recupero degli importi anticipati nei confronti dei
diretti interessati. Nel Friuli Venezia Giulia, assieme ai comuni di Majano e
Trivignano Udinese figurava anche quello di Muggia, chiamato in causa per la
collinetta di Porto San Rocco. Muggia, però, aveva però deciso di opporsi alla
nota con cui il ministero si era rivalso sui tre Comuni chiamati in causa.
«Nello specifico caso muggesano, peraltro, l'azione di rivalsa del Mef appariva
del tutto ingiusta e infondata - spiega una nota del Comune - e non solo perché
il sito di Porto San Rocco non era mai stato considerato dagli enti nazionali
competenti in materia quale “discarica abusiva”, ma anche perché risaliva al
2015 la determina con la quale la Provincia aveva certificato la conformità del
progetto di messa in sicurezza e completati gli interventi di bonifica previsti
nell'area». Soddisfatta dell'esito positivo del ricorso il sindaco Laura Marzi:
«È un ottimo risultato frutto della proficua collaborazione tra le avvocature
della Regione e del Comune, che ha un risvolto positivo non sottovalutabile
anche sul piano economico, legato al bilancio dell'ente ed alle ripercussioni
che altrimenti ci sarebbero potute essere». Ma lo stesso primo cittadino teme
che la partita non sia definitivamente chiusa: «Siamo di fronte a una sentenza
importante, anche se alla luce di quanto preannunciato dall'Avvocatura dello
Stato nell'udienza dinanzi al Tar Lazio, a breve la questione potrebbe venir
riproposta dopo l'assunzione di nuovi decreti che potrebbero regolare ex novo la
materia. Cosa faremo in questo caso? Il Comune impugnerà l'eventuale nuovo
provvedimento per far valere le proprie ragioni».
Riccardo Tosques
IL PICCOLO - LUNEDI', 24 aprile 2017
Alimenti, la giungla delle etichette a semaforo nell’Ue
- confusa attuazione dei regolamenti
ROMA Secondo le norme Ue, regimi di etichettatura nutrizionale come il
semaforo possono essere adottati solo in modo volontario. Una situazione che ha
portato in Europa a una vera e propria giungla di interventi. - Regno Unito. Ha
un sistema a tre colori per visualizzare il tenore di grassi, sali e zuccheri
per porzione di 100 grammi o millilitri. È volontario sulla carta, ma nella
pratica è adottato dal 98% della grande distribuzione d'Oltremanica. - Francia.
Parigi sta per adottare il NutriScore, una scala di cinque colori che vanno dal
verde al rosso secondo parametri quali l'apporto calorico, il contenuto di
zuccheri, grassi saturi e sale, per 100 grammi. L'etichetta è stata scelta tra
quattro diverse tipologie, dopo una sperimentazione iniziata nel settembre 2016
e durata 10 settimane in 60 punti vendita di quattro regioni francesi. Secondo
il governo di Parigi la NutriScore, che segnala anche la presenza di componenti
«buoni» per la salute come frutta o legumi, si è rivelata più efficace a
informare in modo equilibrato in consumatori. - Belgio. Fonti del governo
federale belga hanno manifestato interesse all'approccio francese. Nel mercato
unico europeo esistono sistemi di etichettatura nutrizionale che non danno
«cartellini rossi», ma si basano su una classificazione positiva. A inizio
marzo, sei multinazionali dell'agroalimentare hanno comunicato di aver
incaricato un team di esperti di studiare un'etichetta «armonizzata a livello
Ue» che intende utilizzare i colori per grassi, sali e zuccheri, ma non sulla
base di quantità uguali per tutti gli alimenti, quanto sulle «porzioni di
riferimento», sviluppate dall'industria alimentare Ue per ogni specifico
prodotto.
IL PICCOLO - DOMENICA, 23 aprile 2017
Fumo a Servola. Ma è colpa della petroliera - Psicosi
sui social per la fuoriuscita di una nuvola nera. In molti hanno temuto fosse
della Ferriera
Quella dei fumi della Ferriera è diventata una vera e propria psicosi. Lo
dimostra quanto successo ieri mattina: attorno alle 9 si è levata una grande
nuvola nera nel cielo di Servola, e subito sui social - con tanto di foto
scattate dalla città - si è scatenata la caccia alla “strega” appunto, cioè alla
Ferriera. Ma i fatti hanno poi dimostrato che - in questo caso - lo stabilimento
siderurgico era del tutto “innocente”. In realtà, si è poi saputo, a colorare di
nero il cielo sopra il golfo è stata una petroliera che si trovava nel Vallone
di Muggia, diretta al terminale della Siot, che non è lontano dallo stabilimento
della Siderurgica Triestina. Da qui appunto l’equivoco, presto chiarito da una
foto inequivocabile nella quale si vede il momento della fuoriuscita del fumo
dalla nave. Insomma il timore, questa volta, è stato quello di scottarsi con
l’acqua fredda. Un timore che si è manifestato attraverso le telefonate giunte
ai numeri d'emergenza e al centralino del “Piccolo”, e soprattutto nei tanti
post pubblicati sui social network da chi cercava di sapere il motivo, l’origine
e soprattutto le eventuali implicazioni per la sicurezza. L’altro giorno, al
contrario, dopo un boato ben udibile a distanza ragguardevole, nello
stabilimento siderurgico c’è stata la fuoriuscita di una nube di fumo nero,
denso, che saliva e stentava a dissolversi nell’aria carica di umidità. La
causa, in quella circostanza, è stata quella di un’accentuata e anomala
pressione dei fumi derivanti dal processo produttivo che si effettua
nell’altoforno: le sostanze gassose hanno preso una via diversa dal solito,
causando una sorta di tappo che, quando è “saltato”, ha generato il fragoroso
boato e le nuvole nere . Un fenomeno ben diverso da quello verificatosi ieri
mattina, quando, come detto, una nave petroliera diretta alla Siot ha
improvvisamente “sbuffato”, determinando la nuvola nera. Una “fumata” notata da
molte persone e che, vista dalla città ha fatto appunto ipotizzare che fosse
stata originata dalla Ferriera. Da ciò l’«esplosione», è il caso di dirlo, dei
post sui social network. E la pioggia di telefonate ai centralini d’emergenza.
I cestini e le tappe di AcegasApsAmga per incentivare
la raccolta dell’umido
Obiettivo: aumentare l’attenzione del pubblico triestino verso l’impegno per
una raccolta differenziata che tenga anche conto del comparto “umido”. Proprio
per questo AcegasApsAmga ha fatto partire lo scorso weekend la campagna di
sensibilizzazione con la distribuzione gratuita di diecimila cestini appositi
per raccogliere questo tipo di immondizia. Nella prima tappa agli Horti
Tergestini sono già andati a ruba duemila cestini. L’iniziativa ha come scopo
finale quello di aumentare di mille tonnellate i volumi di umido raccolti, che
oggi corrispondono a 5500 tonnellate in un anno. Per richiedere il cestino in
omaggio e le utili informazioni sulle modalità di raccolta c’è ancora una decina
di tappe che vedranno nei mesi di aprile e maggio la presenza di uno stand
dell’ex municipalizzata al Mercato coperto di via Carducci, nei mercati rionali
(in piazza Vittorio Veneto, a Opicina, in piazza Ponterosso e a Borgo San
Sergio) e in alcuni punti vendita della Coop Nordest (Roiano, Barriera e Torri
d’Europa) a Trieste.
(b.m.)
Esposizioni - “Pesci killer” in mostra da Era
Prosegue la mostra dedicata ai predatori dei mari “Pesci killer” alla nuova sede di Era–Esposizione di ricerca avanzata di via Diaz 14. Dal barracuda ai carangidi, dalla cernia gigante ai pesci palla e scorpione, “Pesci killer” propone un viaggio di indiscutibile bellezza tra gli abitanti dei mari.
IL PICCOLO - SABATO, 22 aprile 2017
Dopo la fumata nera - Il sindaco “ordina” l’ispezione all’impianto della Ferriera
«A seguito delle esplosioni che si sono verificate lo scorso 18 aprile durante il fermo dell'altoforno per interventi manutentivi, e sulla base del rapporto ispettivo dei vigili del fuoco, ho deciso di emettere questa ordinanza perché ci sono le condizioni cautelari e urgenti derivanti da una situazione eccezionale e imprevista che costituisce una concreta minaccia per la pubblica incolumità. In tempi certi (entro 15 giorni) è stato ordinato che venga effettuata, da parte di un tecnico abilitato, una approfondita verifica statica e di funzionalità della parte dell'impianto della Ferriera interessato dall'evento e quindi eseguiti gli interventi di messa in sicurezza a salvaguardia dell'incolumità dei lavoratori e a tutela della salute pubblica». Il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza ha emesso ieri un’ordinanza sindacale, la seconda da quando è in carica, riguardante la Ferriera di Servola. Il provvedimento, si legge in una nota, è «a tutela dell'incolumità delle persone e della salute, data l'impossibilità di utilizzare i normali mezzi dell'ordinamento giuridico». «Se l'Arpa, da un lato, dopo aver sentito i referenti dello stabilimento siderurgico - commenta il sindaco - ha comunicato che si è trattato di una “canalizzazione del vento caldo con sovrappressione in altoforno che ha determinato l'apertura dei bleeders provocando uno scoppio ed emissione di fumi”, c'è anche la specifica nota formale inviata a questa amministrazione da parte dei vigili del fuoco di Trieste che sono intervenuti nello stabilimento a seguito della segnalazione della Polizia locale allertata dai cittadini residenti a Servola, la quale indica che “si rende necessaria una approfondita verifica statica e di funzionalità da parte di tecnico qualificato, della parte di impianto coinvolta nell'evento, e tutte le opere di assicurazione e ripristino che il caso richiede”». L’ordinanza prevede quindi una riposta in due settimane. «Entro quindici giorni vogliamo una relazione da parte del tecnico abilitato che attesti l'avvenuta esecuzione di quanto richiesto. Inoltre il Comune avverte che, per quanto riguarda gli aspetti ambientali e in particolare per quanto attiene all'Aia, la cui competenza è della Regione Fvg, si mette in evidenza che l'esecuzione di quanto disposto sarà accertata da questo Comune, mediante apposita verifica da effettuarsi da Arpa e Azienda sanitaria nell'ambito delle rispettive competenze». Ma non basta. «Il Comune di Trieste grazie all'impegno degli uffici, all'attenzione dell'assessore Luisa Polli, alle capacità specifiche del nostro consulente professor Pierluigi Barbieri e con l'importante aiuto dei cittadini che compongono il tavolo di lavoro sta portando avanti una intesa attività di controllo a tutela della salute pubblica e dell'ambiente e di verifica del rispetto dell’accordo di programma e dell’Aia - prosegue Dipiazza -. Gli importanti elementi nuovi prodotti sino ad oggi, in forza dei quali è stata già richiesta la revisione dell'Aia, ma che la Regione non ha concesso, li stiamo trasferendo anche alla Procura della Repubblica e alla Corte dei Conti». Nel finale viene chiamata in causa direttamente la proprietà dello stabilimento. «Come più volte detto, l'area a caldo della Ferriera non è compatibile con la salute della popolazione e non rappresenta il futuro industriale ed economico sia per la città sia per la proprietà. Ritengo opportuno - conclude Dipiazza - un confronto con il cavalier Arvedi per decidere assieme la chiusura dell'area a caldo e sviluppare, con l'appoggio di questa amministrazione, un'industria pulita e compatibile con l'ambiente rappresentata da laminatoi e logistica. I canali per questo incontro sono stati già avviati». Nessuna conferma o smentita, in questo senso, da Cremona, quartiere generale di Arvedi. Nessun commento da parte di Siderurgica Triestina nemmeno sull’ordinanza sindacale.
E Polli chiede di nuovo la revisione dell’Aia
«Il rifiuto della Regione Friuli Venezia Giulia, peraltro inaspettato dato
che si dice attenta alla salute pubblica, alla richiesta più che motivata di
revisione dell’Aia, non ha fermato l'attività di questa amministrazione comunale
che è determinata nella sua azione di tutela della salute pubblica e
dell'ambiente», dichiara l’assessore all'Ambiente del Comune di Trieste Luisa
Polli che dal 1976 e fino allo scorso settembre è stata dipendente della Regione
Friuli Venezia Giulia con responsabilità nel servizio tutela paesaggio e
biodiversità. Quasi quarant’anni di onorato servizio hanno prodotto un rifiuto
alla richieste di revisione dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale)
rilasciata ala Ferriera di Servola. «Riaprano l’Aia o ricorreremo alla Corte di
giustizia europea», aveva dichiarato Polli il 13 febbraio scorso in una
conferenza stampa con il sindaco, Roberto Dipiazza, e il consulente del Comune,
Pierluigi Barbieri. L’Aia è rimasta chiusa.
La gara “ecologica” premia i virtuosi della
differenziata - Patto Trieste Running Festival-Acegas per ridurre i rifiuti -
Previsti sconti per stand e pubblico del Villaggio Miramar
Il legame tra il Trieste Running Festival targato Miramar e l’AcegasApsAmga
quest’anno ruota intorno a una percentuale molto ambiziosa: 80%. È questo il
traguardo di raccolta differenziata prefissato per l’evento podistico più
triestino che mai. Come? Stimolando attraverso diverse iniziative gli esercenti,
che hanno la responsabilità più diretta, e il pubblico che usufruiranno del
Villaggio allestito sulla Riva del Mandracchio da giovedì 4 a sabato 7 maggio.
C’è un premio in palio: se verrà raggiunta quota 80%, infatti, a tutti gli stand
sarà riconosciuta una riduzione del 5% sul costo dello spazio commerciale. Una
cifra corrispondente che potrà essere riscossa oppure devoluta in beneficenza
per la costruzione di un centro polifunzionale nelle aree del Centro Italia
colpite dal terremoto. L’idea di agganciare un incentivo economico all’obiettivo
di raccolta differenziata per quello che viene denominato “ZeroImpactEvent by
AcegasApsAmga” ha anche lo scopo di sensibilizzare tutti i triestini
sull’importanza di una corretta separazione dei rifiuti, in una città in cui
tale percentuale è sensibilmente aumentata negli ultimi anni (attualmente al
40%), ma che rimane ben al di sotto della media regionale. «Penso sia davvero
uno stimolo importante per tutti, perché tutta la cittadinanza è chiamata a
raggiungere questi obiettivi» ha sottolineato il vicesindaco Pierpaolo Roberti.
«Se ognuno fa cadere la propria “goccia”, ne trarrà beneficio tutta la società e
l’ambiente sarà migliore» ha aggiunto l’assessore all’Ambiente Luisa Polli.
«Trieste running festival rappresenta la veste pulita della città che vogliamo
vivere noi triestini e i turisti - ha commentato Fabio Carini, presidente di
Miramar -. L’evento “Zero impact” accompagnerà l’intera kermesse». Per
facilitare lo sforzo in questa direzione sono stati organizzati numerosi
servizi, «perché - ha specificato il direttore dell’utility Roberto Gasparetto -
per questo obiettivo dell’80% dobbiamo dotare le persone di strumenti adeguati e
poter intercettare i rifiuti per i flussi differenziati». All’interno del
Villaggio saranno posizionate nove isole di contenitori per i rifiuti. Per gli
espositori sarà allestito un punto di raccolta mobile dedicato per il
conferimento di imballaggi ingombranti come scatole, cartoni, ecc. Sarà poi
messa in pista una forte attività di comunicazione: totem informativi sulle
norme di comportamento da tenere e un “green team” di ragazzi di Miramar con il
compito di monitorare i corretti comportamenti e indicare le giuste modalità di
conferimento rifiuti. La raccolta differenziata sarà potenziata anche al di
fuori del Villaggio Miramar. Innanzitutto attorno alla zona di arrivo delle
competizioni di domenica 7 maggio con 12 batterie da cinque contenitori
(organico, plastica, carta, vetro-lattine e secco non differenziabile). E poi
lungo il percorso della non competitiva Generali Miramar Family, di gran lunga
la più partecipata con circa 8mila al via, che da Miramare arriverà in piazza
Unità, verrà allestito a ogni chilometro uno speciale totem segna-distanza
dotato dei cinque contenitori. Verranno poi aggiunti 20 operatori per lo
svuotamento dei contenitori e per lo spazzamento. Il Trieste Running Festival
sarà anche l’occasione per la promozione dell’acquedotto triestino. Tutti i
partecipanti alla Family troveranno nel pacco gara un’esclusiva bottiglietta per
contenere l’acqua di rete: un oggetto formato borsetta, progettato e realizzato
da Koan Moltimedia, su disegno dall’architetto Sotirios Papadopulous di Vicenza
e realizzato in Petg (polietilene teraftalato glicolico), la cui molecola
assicura trasparenza, robustezza e ne permette il lavaggio e quindi il
riutilizzo assolutamente sicuro. Assieme alla bottiglietta saranno veicolate le
istruzioni per scaricare l’App Acquologo e vicino al molo Audace ci sarà un
erogatore di acqua di rete
Benedetta Moro
Stretta sulle regole per i circhi a difesa degli
animali
La Terza commissione del Consiglio regionale, presieduta dal triestino del
Pd Franco Rotelli, ha approvato all’unanimità le modifiche presentate dal
consigliere Roberto Novelli di Forza Italia alla legge regionale 20 del 2012 sul
benessere e la tutela degli animali d’affezione, riguardanti nello specifico gli
animali impiegati nei pubblici spettacoli, ovvero nei circhi, di cui Trieste è
tappa tradizionale. Nessun Comune può impedire la concessione di spazi per
l’attendamento di un circo con animali - si legge nella nota di resoconto delle
attività del Consiglio regionale - però è possibile intervenire per assicurare
condizioni di vita accettabili con il rispetto delle misure minime richieste e
strutture conformi alla legge. Punto di partenza la Convenzione di Washington, a
cui l’Italia ha dato attuazione con una legge del 1992 e che consente ai circhi
di detenere animali pericolosi solo se dichiarati idonei dalle autorità
competenti in materia di salute e incolumità pubblica sulla base dei criteri
fissati dalle linee guida della Commissione scientifica denominata Cites. Con le
disposizioni votate ieri si dà così la possibilità al Comune di vietare
l’attendamento dei circhi che non rispettino queste linee guida. La stessa Terza
commissione ha affrontato quindi le tematiche tecniche inerenti la proposta di
legge della leghista Barbara Zilli sulle disposizioni in merito ai requisiti
igienico-sanitari e di sicurezza delle piscine a uso natatorio: un provvedimento
- ha specificato Zilli - che ha l’obiettivo di fornire una chiara cornice
normativa per garantire sicurezza ai sempre più numerosi frequentatori delle
piscine: dagli atleti agli utenti privati o che a vario titolo usufruiscono di
piscine pubbliche e private, oltre alla popolazione studentesca, poichè molte
scuole di ogni ordine e grado hanno stipulato convenzioni con impianti e
associazioni sportive inserendo il nuoto nelle attività di educazione fisica.
IL PICCOLO - SABATO, 22 aprile 2017
Il cantiere della terza corsia salva l’antica Rosa Moceniga (vedi articolo)
Autovie Venete ha modificato il tracciato per
preservare il bosco di Alvisopoli dove tra la vegetazione cresce un fiore raro
che risale al Settecento
GORIZIA Ci sono grilli, rane, libellule, uccelli che a dispetto dalla loro
esigua fisicità hanno la forza evocativa di piegare ai loro diritti ferrovie,
insediamenti industriali e autostrade. A questa schiera di novelli benandanti
ecco aggiungersi un fiore: l’antica e misteriosa Rosa Moceniga. Per preservarla
e tutelare il bosco in cui fiorisce da almeno duecentocinquanta anni a questa
parte Autovie Venete ha in parte modificato il tracciato del terzo lotto della
terza corsia tra Alvisopoli e Gonars. I cui lavori in questo periodo sono
entrati nel vivo con le attività del cantiere che corre a fianco
dell’infrastruttura, con la realizzazione delle nuove strade poderali a servizio
dei fondi agricoli e delle proprietà, con la realizzazione dell'allargamento
vero e proprio dell’autostrada, con lo spostamento delle interferenze e con la
bonifica da ordigni bellici. Cantiere nel cantiere l’area dove verrà costruito
il nuovo ponte sul Tagliamento. Ed è ad Alvisopoli, in questa splendida città
inventata alla fine del Settecento dal visionario conte Alvise Mocenigo, che si
nasconde nel fitto del bosco che lambisce l’A4 il tesoro della Rosa Moceniga. I
lavori della terza corsia rischiavano di sfregiare questo piccolo eden, dove
crescono piante secolari, irrorato da acqua di risorgiva e popolato da una ricca
fauna. Di conseguenza Autovie Venete ha provveduto a mettere in sicurezza il
bosco, un tempo rigoglioso e ben curato parco annesso a Villa Mocenigo. «Il
roseto del bosco di Alvisopoli - fa sapere Autovie Venete - non ha specie
autoctone, ma è importante perché risale al 1700. È in ogni caso un’area
protetta in quanto rientra in una zona Sic (Sito di Interesse Comunitario). Per
questo, su precisa prescrizione del Cipe, l’allargamento dell’autostrada, che
normalmente viene realizzato in modo simmetrico, in quella zona è stato
modificato». La nuova modalità ha previsto lo spostamento più a nord proprio per
rispettare l’area boschiva. Autovie Venete ha anche sviluppato uno studio di
incidenza sul Sic, dove insiste il bosco. A diffondere la storia affascinante e
intrigante della Rosa Moceniga ci ha pensato, tra gli altri, lo scrittore Andrea
di Robilant, discendente del conte Mocenigo. Nel 2014, per Corbaccio, di
Robilant ha pubblicato un grazioso volume dal titolo “Sulle tracce di una rosa
perduta”. E freschi di lettura del libro, che in parte si presenta come un dotto
trattato sulla storia delle rose, numerosi sono stati coloro che si sono
addentrati nel bosco di Villa Mocenigo in cerca dell’antica rosa. Non ci si
aspetti un roseto esteso, anzi. Per scorgere la Moceniga ci vuole pazienza e
scegliere il periodo dell’anno in cui è in fioritura. Al parco si accede solo
con le guide brave a indicare la ricchezza del sito al di là della presenza del
decantato fiore. Il suo colore è di un rosa quasi metallico, che cambia a
seconda della luce che riceve e dello stadio di fioritura; si legge nei siti
specializzati che “la disposizione dei suoi petali, la tipologia di foglie e
steli, da sempre la catalogano come una bengalese, ovvero una rosa cinese di
fine Settecento”. Che sia profumata non è dato sapere al visitatore che si
attiene ligio alle raccomandazioni delle guide. La Rosa Moceniga cresce nel
fitto di arbusti, protetta da uno steccato che le consente di non essere
“accarezzata” da mani maldestre. Di conseguenza, per quanto riguarda il suo
profumo, diamo per buono quanto indicato dagli esperti. Affascinante, si diceva,
la storia vera o presunta di questa rosa, per svelare la quale di Robilant ha
intrecciato una trama molto avvincente. Proviamo a riassumere. Bisogna partire
da Lucietta Memmo, moglie di Alvise Mocenigo, descritta come donna intelligente
e colta, vissuta da protagonista nel trambusto napoleonico, amica
dell’imperatrice Josèphine, frequentatrice della Malmaison, studiosa al Jardin
des Plantes de Paris e allieva del professor Des Fontaines come del grande
vivaista Noisette. Dopo la caduta di Napoleone, Lucia partì da Parigi con le
carrozze piene di piante e semi per realizzare quel bosco di Alvisopoli poi
divenuto oasi Wwf proprio in virtù della sua varietà botanica. Tra le duecento
varietà di rose, Lucia portò anche la progenitrice della Moceniga, che ora pare
un unicum. Molti esperti si sono occupati di isolare la storia botanica della
Moceniga e di confermare l’ipotesi di una così nobiliare provenienza. Tra gli
esperti figura anche Eleonora Garlant, appassionata di rose antiche,
proprietaria ad Artegna, di una roseria nota in tutta Europa. Garlant si dedica
in particolare alle rose galliche, di cui nell’Ottocento si conoscevano tremila
specie, scese oggi a trecento, di cui lei coltiva ben duecentocinquanta
esemplari. «La Moceniga" - come lei la chiama - è una bengalese, ma rispetto
alla Old Blush ha un petalo in meno». Rimandiamo al libro di di Robilant la
dissertazione sugli intrecci e le provenienze delle rose, fiori che
nell’Ottocento sono stati oggetto di vero e proprio contrabbando nei traffici
marittimi verso le Indie e la Cina. Ci teniamo invece il mistero della Rosa
Moceniga che in modo efficace sintetizza quella che oggi come trecento anni fa è
la sensibilità verso l’ambiente. All’epoca fu il conte Mocenigo a restituire al
territorio e alla sua gente parte della ricchezza che quel territorio gli
garantiva con i raccolti agricoli. Oggi ecco Autovie Venete raccogliere
l’appello e provvedere alla tutela del bosco di Villa Mocenigo e della sua
ospite d’onore.
Roberto Covaz
La storia - Alle origini della città inventata
Scrive Andrea di Robilant nel suo libro “Sulle tracce di una rosa perduta”:
«Alvisopoli era un’invenzione del mio quadrisnonno, Alvise Mocenigo. Alla fine
del Settecento aveva bonificato una vasta zona di terre paludose che
appartenevano alla sua famiglia. E aveva costruito una comunità agricola e
manifatturiera modello, con case comode per i contadini, una struttura
sanitaria, una scuola e un istituto tecnico d’avanguardia. All’indomani della
Grande guerra, mio nonno, Andrea di Robilant, ereditò Alvisopoli. Negli anni
Trenta aveva già messo tutto in vendita per pagare i suoi debiti. La terra
continuò a essere coltivata dai nuovi proprietari, ma il paese fu lasciato a se
stesso. Alvisopoli divenne così, negli anni, un villaggio fantasma perso nella
campagna al confine tra Veneto e Friuli».
IL PICCOLO - VENERDI', 21 aprile 2017
I conti del Parco del mare dividono il Consiglio - Il
Pd invoca chiarezza sul possibile coinvolgimento di privati nel rischio
d’impresa
Lega favorevole: «Al Comune non si chiede nulla». Forza Italia chiede
trasparenza
Questo Parco del Mare s’ha e non s’ha da fare, o meglio s’ha da fare in
questo o in quel modo, a secondo di chi si interpelli. Le forze politiche
reagiscono in vari modi al piano finanziario dell'acquario, commissionato dalla
Fondazione CRTrieste e consegnato al Comune attraverso la Camera di Commercio.
Se il centrodestra sembra orientato positivamente, seppur con qualche distinguo,
il centrosinistra assume un posizione di critica più forte, per quanto il Pd
ribadisca di avere «una posizione aperta e non di contrarietà». Il M5S, da parte
sua, aveva già nei giorni scorsi ribadito la necessità di capire se il futuro
gestore contribuirà alla costruzione della struttura. Partiamo dal centrodestra.
Per il capogruppo di Forza Italia Piero Camber le cose da fare sono due: «La
prima è sicuramente garantire molta trasparenza in tutto il procedimento», dice.
L'altra? «L'ho detto anche in Consiglio comunale durante l'audizione sul tema: è
il chilometro zero. Trattandosi di un gruppo composto in buona parte da soggetti
privati, non dovrebbero avere l'obbligo di seguire strettamente il codice degli
appalti e quindi mi auguro si voglia favorire l'impiego di realtà locali,
assicurando così un impatto positivo sull'economia cittadina». Per il capogruppo
leghista Paolo Polidori bisogna partire proprio dal piano finanziario: «Ci sono
i nove milioni della Camera di commercio, i nove della Fondazione, i due
dichiarati della Regione. Al Comune quindi non si chiede nulla. Ci sono anche
dei fondi pubblici, ma si tratta comunque di enti che in autonomia mettono in
piedi un progetto che si sostiene da sé. E su questo noi dobbiamo dirci
favorevoli o contrari». Prosegue l'esponente del Carroccio: «Secondo il piano
finanziario il progetto sta in piedi anche nelle ipotesi più pessimistiche. Il
gestore dovrebbe essere Costa, gente che conosce bene la materia. Inoltre, a
differenza di Genova, qui parliamo di un progetto che non viene realizzato al
100% con fondi pubblici». In conclusione per la Lega «il progetto è ben
strutturato, non ci sembra utile mettere il bastone tra le ruote, fatto salvo il
giusto controllo richiesto in casi simili». Passiamo al centrosinistra. La
capogruppo del Pd Fabiana Martini dice: «La nostra posizione non è di
contrarietà, anzi è aperta. Ma abbiamo dei punti interrogativi che rimangono
dirimenti». Spiega: «Anche di fronte a dati certamente più precisi di quelli che
ci sono stati forniti, o meglio non forniti, durante l’audizione sul Parco del
Mare in Consiglio comunale, ribadiamo ancora una volta la richiesta già
avanzata, ovvero la necessità a nostro avviso di una comparazione complessiva e
puntuale di costi, tempi e benefici tra il sito individuato nell’attuale
concept, ovvero Porto Lido, e il Porto vecchio». Prima di scegliere la
destinazione il Pd chiede come la giunta «intenda sviluppare le Rive e il fronte
mare e come pensi di risolvere i problemi legati a viabilità, trasporti e
parcheggi nel caso in cui la scelta rimanga quella attuale». Inoltre, aggiunge
«non è ancora chiaro se è previsto o meno il coinvolgimento di soggetti privati
nel rischio d’impresa». Dal punto di vista personale Martini si dice dubbiosa
anche sulla reale attrattività di animali chiusi nelle vasche. Così invece l'ex
sindaco Cosolini: «Non ho alcun dubbio che un advisor scelto da Fondazione
CRTrieste abbia fatto un lavoro serio. È chiaro che i business plan si fanno a
monte su una serie di indicatori, danno elementi importanti ma sono anche
soggetti a molte variabili. Ad esempio non è chiaro come si fa a stabilire che
per oltre un decennio si avranno visite da 800mila unità annue». Proprio in
quest'ottica, «visto che i business plan a volte si confermano e a volte no», «è
importante capire quanto il privato è disposto a partecipare la rischio
d'impresa». In conclusione anche Cosolini torna sul sito: «Penso che una
comparazione seria tra Porto vecchio e Lanterna vada fatta, nell'interesse della
città».
Giovanni Tomasin
Rotatoria sull’Ospo ok a fine 2017 - La burocrazia
rallenta il cantiere. All’inizio la chiusura era stata fissata a maggio
MUGGIA Quando sarà pronta la rotatoria sull’Ospo? Entro la fine dell’anno.
La domanda, sempre più ricorrente tra gli automobilisti che ogni giorno
attraversano l’ingresso nonché l’uscita principale di Muggia, ha ricevuto
risposta durante un sopralluogo effettuato dall’assessore ai Lavori pubblici
Francesco Bussani. I lavori - iniziati a luglio dell’anno scorso dalla Provincia
e ora presi in carico dalla Regione - hanno subito qualche intoppo e la chiusura
prevista per inizio maggio è dunque slittata. La tabella di marcia di 300 giorni
è stata modificata in seguito ad alcune richieste e vincoli espressi da parte
della Soprintendenza. In particolare è stato evidenziato come il rio Ospo debba
essere visibile dalla rotatoria stessa. Un’altra richiesta che ha rallentato i
lavori del cantiere riguarda la verifica di possibili reperti archeologici
nell’area. Il piano economico del progetto, che ha una genesi quasi trentennale,
è stimato in circa 2,6 milioni, di cui un milione e 35mila euro finanziati
ancora dall’amministrazione provinciale Scoccimarro. Tra le tante difficoltà
incontrate lungo il percorso della realizzazione di questa opera pubblica la
necessità di bonificare l’area essendo rientrante nel Sito inquinato nazionale.
Ben 300mila euro sono stati investiti per la bonifica imposta dal ministero
dell’Ambiente. «La viabilità gioverà moltissimo di questa importante opera:
troppo spesso, infatti, si vengono a creare delle file di automobili lungo la
strada di Farnei», spiega l’assessore Bussani. Rispetto ai tempi previsti lo
slittamento del cantiere regionale comporterà evidentemente dei disagi durante
la stagione estiva. «Come spesso accade, quando c’è un cantiere, vi sono dei
rallentamenti o comunque dei disagi per gli automobilisti. Anche se il cantiere
non è di nostra competenza, sono convinto, vista pure la grande disponibilità
dimostrata dai tecnici della Regione, che le deviazioni o i rallentamenti che si
verranno a creare saranno gestiti al meglio», puntualizza Bussani che però, come
già accaduto con altri cantieri comunali, chiede «un po’ di pazienza» agli
automobilisti muggesani e non per i prossimi mesi. I lavori previsti prevedono
anche l’allargamento della strada di Farnei. Fattore che dovrebbe comportare la
soluzione all’annoso caso del ripristino della fermata della linea 20 a Rabuiese
nel tragitto Trieste-Muggia. La petizione promossa da 120 residenti della
località rivierasca e appoggiata dal consigliere comunale Andrea Mariucci (Forza
Muggia-Dpm) evidenziava come la fermata sulla Strada provinciale 15 di Farnei in
rientro da Trieste verso Muggia fosse stata cancellata circa otto anni fa, dopo
i lavori di sistemazione della Grande viabilità delle Noghere. Attualmente la
sosta più vicina a Rabuiese è quella del centro commerciale Arcobaleno, vicino
al supermercato Famila, distante più di mezzo chilometro dall’abitato. «Anche
qui la Regione ha dimostrato grande sensibilità e interesse a risolvere la
questione - conclude Bussani -. Credo dunque che assieme alla rotatoria, a
breve, avremo un’altra opera pubblica completata».
Riccardo Tosques
Il Palazzo lancia l’offensiva antigabbiani - Il
centrodestra ipotizza l’inserimento di uova di plastica nei nidi per confondere
gli uccelli e ridurne la fertilità. Ornitologi contrari
il metodo croato - La soluzione lanciata da Forza Italia è stata adottata
da Zagabria nei piani di contenimento delle colonie di volatili
l’ironia dell’esperto - La sperimentazione tentata
oltreconfine? Una balla Questi animali sono furbi e riconoscono subito gli
intrusi
Se la maggioranza, con Forza Italia lancia in resta, scalpita, l’assessore
comunale che ha competenza nel settore, Michele Lobianco, frena: «Prima di
attuare qualsiasi tentativo concreto per diminuire la popolazione di gabbiani
presente nella nostra città dobbiamo disporre di uno studio scientifico a
riguardo - osserva - in ogni caso questo è un compito che non spetta al Comune
bensì all’amministrazione regionale, che ha “ereditato” la competenza sulle
iniziative per contenere la proliferazione dei gabbiani». Ancora più scettico
Gianfranco Urso, coordinatore regionale dell'Enpa, ex presidente della sezione
di Trieste ed ex responsabile del “progetto gabbiani”: «La proposta di Forza
Italia è inutile, non aiuta a contrastare il fenomeno. In passato - ricorda Urso
- la facoltà Psicologia dell’Università di Trieste aveva svolto uno studio da
cui era emerso che la femmina, quando si accorge di un uovo finto, lo sposta e
ne fa un altro dopo un po’. Realizzare un'operazione del genere non ha senso,
non porta a nulla. Il fenomeno, come noto, si potrebbe arginare soltanto con la
sterilizzazione del gabbiano». (g.s.)di Gianpaolo Sarti La nuova battaglia
comunale punta al cielo, ai tetti e ai tavolini dei bar: in altre parole ai
terreni di conquista dei gabbiani, che tanto fastidio arrecano alla
cittadinanza. La dichiarazione di guerra ai “cocai” porta la firma di Forza
Italia con una mozione sottoscritta dal capogruppo Piero Camber e dai colleghi
Michele Babuder e Alberto Polacco, che presto approderà in municipio. Il
documento sollecita il sindaco e l’assessore competente, Michele Lobianco, ad
approvare un finanziamento ad hoc da assegnare a un esperto del settore così da
ridurre il numero di volatili che sta rapidamente colonizzando il capoluogo.
Camber propone di attuare un metodo sperimentato in Croazia: infilare uova di
plastica nei nidi in modo tale che il gabbiano covi quelle e non produca.
Basterà per arginare il fenomeno? In effetti gli esemplari stanno aumentando al
ritmo del 10% l'anno: attualmente ne abbiamo tra i 2 mila e i 2.500. I disagi
sono noti: oltre al caos mattutino per chi abita ai piani superiori dei
condomini, non mancano gli assalti alle persone che camminano in centro con cibo
in mano. Fatti del genere sono stati segnalati sulle Rive, in viale XX Settembre
e in altre zone della città, tra cui gli stabilimenti balneari come il Pedocin.
Passeggiando con un toast, un panino o un gelato, si rischia di rimetterci le
dita. Scrivono i forzisti: «In questi anni è stato registrato un importante
incremento della popolazione - si legge nel testo della mozione - tale
situazione rappresenta fonte di disagio ai cittadini dal momento che i gabbiani
sono soliti nidificare nei tetti degli edifici e che, per nutrirsi, tendono a
prendere di mira le isole ecologiche nonché i tavolini dei bar e quant'altro
riescono a trovare lungo le strade pubbliche». Le iniziative per contenere la
proliferazione spettavano finora alla Provincia ma, come ricordano Camber,
Babuder e Polacco, l'ente è stato chiuso. «La competenza ora è della Regione,
che ha avocato a sé la delega - fanno notare i tre consiglieri comunali - quindi
è da lì che devono arrivare i finanziamenti necessari affinché il Comune possa
attuare un'immediata opera di contenimento dell'espansione dei volatili». I
forzisti citano quanto attuato nella vicina Croazia: «Ha portato concreti
risultati un progetto di monitoraggio e di controllo del popolamento dei
gabbiani, più precisamente del gabbiano reale (Larus cachinnans) varato nel
2011, che in sei anni sul territorio compreso tra i comuni di Cittanova e
Rovigno ha visto calare di un terzo il numero di questi volatili. La
sperimentazione in questione - sottolineano - consiste nel collocare nei nidi
uova finte di plastica in modo da evitare il proliferare dei gabbiani stessi
senza in alcun modo avvalersi di tecniche invasive quali la rottura delle uova».
Camber insiste: «La gente è molto arrabbiata, ormai i gabbiani sono come
predatori carnivori, attaccano i colombi e pure le persone con cibo in mano.
Dobbiamo trovare fondi per finanziare esperti che se ne occupino. Così non si
può andare avanti». Ma la proposta di Forza Italia si scontra con il parere
degli esperti. L'ornitologo Enrico Benussi, che segue il problema a Trieste e a
livello nazionale da metà degli anni Ottanta, scuote il capo: «Ridurre la
popolazione è estremamente difficile - spiega - e comunque questi animali sono
in grado di riconoscere subito un uovo finto, quindi lo abbandonano. Abituiamoci
a convivere, perché la situazione è ormai sfuggita di mano». E la
sperimentazione tentata in Croazia? «Una balla», taglia corto l'ornitologo. «Ciò
che si può fare, invece, è agire sulle fonti alimentari, evitando di dar da
mangiare e di lasciare immondizie fuori dai cassonetti, ad esempio». Anche
perché, come precisava l'esperto in una recente intervista sulla questione,
«parliamo di animali capaci di adattarsi al contesto in cui vivono. In città i
gabbiani frequentano i cassonetti ma è pieno di gente che li alimenta
regolarmente. A Trieste - ironizzava - non ci sono soltanto le “gattare” ma pure
le “gabbianare”».
AURISINA - Passeggiata creativa domani sul Carso
È in programma domani la Passeggiata creativa di primavera “Itinerario al chiaroscuro”, organizzata da Casa Cave di Visogliano. L’obiettivo è andare alla scoperta di un incantevole territorio, fra soleggiati sentieri e ombrose grotte carsiche, dando vita a un laboratorio fotografico itinerante, ideato da Alice Sattolo, guida naturalistica, e Fabiola Faidiga, artista visiva. A guidare il gruppo sarà Massimo Goina. Lo sguardo e il lavoro fotografico dei partecipanti permetterà lo sviluppo di un progetto visivo e collettivo, che sarà presentato entro il 2017 nel corso della Mostra “Il colore dei luoghi”. Ritrovo alle 9.30 ad Aurisina.
Affari Internazionali - GIOVEDI', 20 aprile 2017
Da Mediterraneo a Ue via Italia - Gas: una visione strategica paga
Un accordo storico è finalmente giunto a maturazione,
in un clima di disattenzione generale, per il gasdotto East Med che potrà
collegare il Mediterraneo orientale all’Europa. Attingerà dalle enormi risorse
di gas off shore del Leviatano, a nord di Israele (circa 530mmc), e ne
trasporterà una parte verso l’Unione europea passando per Cipro, la Grecia e
l’Italia
All’inizio di aprile è stata firmata l’intesa dal commissario europeo per
l’energia Miguel Canete, dal ministro Carlo Calenda e dai ministri
corrispondenti degli altri Paesi, nella distrazione causata dall’esito deludente
del G7 Energia.
Il percorso viene da lontano. East Med è stato incluso già nel 2015 tra i
Progetti di Comune Interesse (PCI) della Commissione europea; è stato compreso
nel Piano decennale di investimenti per rafforzare il mercato unico
dell’energia; ha beneficiato del fondo Connecting Europe Facility (CEF), con due
milioni di euro che hanno co-finanziato lo studio di fattibilità di IGI-Poseidon
(società ad oggi 50% Edison e 50% Depa).
L’esito positivo ha quindi aperto alla progettazione di un gasdotto di circa
1.300 km off-shore per il collegamento tra Israele, Cipro, Creta e il
Peloponneso e circa 600 km in superficie per attraversare la Grecia, e poi
l’Italia, dopo l’Accordo di aprile. Una capacità di trasporto di 10 miliardi di
mc di gas, estendibile a 20, con un costo previsto di sei miliardi di euro.
Un accordo di rilevanza straordinaria
È un accordo di rilevanza straordinaria, poiché ripropone le risorse del
Mediterraneo orientale al centro degli interessi economici e politici dell’Ue,
in un momento delicatissimo per quella regione in cui l’Europa stenta a marcare
il protagonismo che le compete nell’area. Si pone come rotta complementare alle
forniture esistenti e programmate del gas russo: non è quindi un’azione diretta
contro la Russia, che l’Italia non avrebbe potuto sottoscrivere.
Da anni, chi ha a cuore il ruolo dell’Italia in Europa e nel Mediterraneo, e si
occupa di energia, auspica e si adopera per la conclusione di un accordo di
questa natura: un tassello concreto per la costruzione di un hub mediterraneo
del gas in cui l’Italia potrebbe riacquisire il peso costruito ai tempi di
Enrico Mattei, al quale si è di nuovo predisposta in questi anni rafforzando le
infrastrutture e disponendo regole necessarie e chiare per dare certezza agli
investimenti.
I benefici di una strategia di lungo periodo
Il valore del progetto sta nei molti elementi che contribuiscono a una strategia
di lungo periodo, economica e geopolitica, basata sull’energia, che trascendono
i confini dell’Ue e dei Paesi del Mediterraneo orientale. Con le necessarie
precauzioni per l’incertezza futura, anche l’Italia potrebbe trarne vantaggi
importanti. Posso solo richiamare qui i benefici principali.
1. Per l’Ue il gasdotto rappresenta un evidente passo avanti nella strategia
dell’Energy Union (2016), volta a diversificare le fonti di importazione di gas
e petrolio. L’Ue, si sa, importa 70% del gas che consuma di cui il 40% dalla
Russia. Il nuovo gasdotto vede il Mediterraneo tornare al centro della sicurezza
energetica.
In termini di politica interna il transito del gas dal Mediterraneo verso il
Nord riequilibra la geografia europea e rafforza la posizione dei Paesi della
faglia Sud, troppo spesso indicati solo come elemento di debolezza nella
contabilità dell’Unione. Aggiunge inoltre un elemento di sicurezza per l’Unione,
consolidando la capacità di approvvigionamento attraverso corridoi meridionali
che non dipendono direttamente dal transito attraverso la Turchia.
2. Per l’Italia il transito del gas integra e rafforza la posizione del Paese in
Europa, offrendo un contributo positivo sul terreno delicatissimo della
sicurezza energetica. In termini economici, l’indotto delle nuove infrastrutture
creerà reddito e occupazione, oltre a valorizzare gli investimenti di Snam Rete
Gas, già attuati in conformità con la regolazione europea per consentire il
flusso bidirezionale del gas.
Nella stessa ottica il nuovo Accordo si colloca nella prospettiva dell’impegno
italiano nel Mediterraneo, che vede l’Eni protagonista delle grandi scoperte di
gas in Egitto (la riserva di Zohr). L’Italia è storicamente un grande
importatore del gas russo e continuerà ad esserlo nella transizione energetica;
il gasdotto del Mediterraneo è dunque complementare alla fonte russa.
3. Per le due sponde del Mediterraneo, infine, East Med si configura come una
strategia di mutuo interesse economico e politico. In un’ottica geopolitica, la
costruzione di interessi comuni non può che essere vincente nello scenario
drammatico del Mediterraneo orientale. Dopo la “pace dell’acqua”, stretta tra
Rabin, Peres e re Hussein di Giordania nel 1994 sulla quale è stato costruito un
percorso duraturo di cooperazione e non belligeranza, l’energia costituisce un
secondo tassello nella stessa direzione di accordi regionali.
Non è ancora chiaro come Donald Trump imposterà alla fine la politica di
esportazione del gas non convenzionale; per l’Ue e per l’Italia i passi perché
si avvii in concreto un hub del gas nel Mediterraneo con l’Accordo firmato in
aprile costituisce un elemento di sicurezza e crescita.
Contrasti e ostacoli per venditori e compratori
I contrasti da tenere sotto controllo sono sembrati di volta in volta
insormontabili per varie ragioni. Il produttore, Israele, ha superato con
difficoltà nel 2015 lo scoglio del consenso del Parlamento all’esportazione del
gas, facendo salvo l’uso per il consumo futuro interno; ha poi tenuto aperta per
lungo tempo l’opzione della via verso il Pacifico, da privilegiare poiché il
differenziale di prezzo significativo con l’Europa (7 $/mmBtu in Europa a fronte
di 11 $/mmBtu in Giappone, 2015 fonte BP) rendeva più conveniente la vendita del
gas a questa regione.
È prevalsa infine la strategia di dirigere il gas anche in Europa, data l’entità
delle riserve disponibili e l’arco temporale di lungo periodo coinvolto. Ma la
Turchia prima, i Balcani poi, sono parsi allora i candidati favoriti per il
transito verso l’Europa, mentre restava aperta la via del GNL da trasportare in
Europa, possibilmente attraverso i rigassificatori spagnoli. Tutti progetti che
avrebbero escluso il passaggio dall’Italia
Anche da parte dei compratori gli ostacoli erano di complessa soluzione. Infatti
l’Ue esprime una storica diffidenza nei confronti di Israele, aggravata dalle
recenti politiche di Benjamin Nethanyau nei confronti dei palestinesi. E nel
contempo la strategia europea dell’Energy Union (2016) volta a diversificare
fonti, Paesi e rotte di approvvigionamento del gas, non ha prodotto politiche
conseguenti, in particolare per la valorizzazione delle riserve del Mediterraneo
orientale.
Le cause sono complesse: le rotte meridionali sono state di fatto congelate
dalla dialettica tra i programmi di Putin sui nuovi gasdotti e le regole
dell’Unione volte a contenere il potere di mercato e la strumentalità politica
del gas russo; un aspetto nel quale a tratti si è intromessa la voce sotto
traccia degli Stati Uniti, oltre all’incertezza politica causata dagli eventi in
Turchia.
Nel 2016 si è poi aggiunto il progetto bilaterale tra Germania e Russia per la
costruzione del gasdotto North Stream 2 che raddoppierebbe la capacità di
trasporto del gas russo verso l’Ue, facendo della Germania lo snodo centrale
delle importazioni di gas verso l’Europa e rendendo di fatto ridondanti
investimenti in infrastrutture nel corridoio sud; il progetto russo-tedesco è
ancora in stallo, bloccato dalla verifica del rispetto della concorrenza e dalle
regole frapposte dall’Ue per la salvaguardia degli impegni comuni europei, ma
l’esito della trattativa politica non è affatto scontato.
La distrazione del G7 ha creato le condizioni straordinarie per cogliere il
momento e firmare l’Accordo: un beneficio inatteso dell’era Trump!
In estrema sintesi, l’intesa stretta tra i quattro Paesi del Mediterraneo e
l’Europa mostra in tutta evidenza la valenza strategica di lungo periodo, in cui
la convergenza di interessi economici tra Ue e sponda orientale del Mediterraneo
può e deve giocare un ruolo politicamente strategico. La costruzione in tempi
brevi del gasdotto East Med potrebbe segnare una svolta decisiva anche per il
ruolo dell’Italia nella strategia energetica europea. Il condizionale è
d’obbligo, poiché si tratta di un passo importante nell’ambito di un lungo
percorso travagliato, dove ogni ostacolo rischia di bloccare la traiettoria di
lungo periodo.
Valeria Termini (*)
(*) Commissario dell’Autorità per l’Energia elettrica, il gas e il Sistema Idrico (Aeegsi); Vice Presidente del Council of European Energy Regulators (Ceer). L'autrice esprime opinioni proprie e non coinvolge le istituzioni di appartenenza.
IL PICCOLO - GIOVEDI', 20 aprile 2017
Il Parco del mare svela i numeri - Mutuo trentennale da
30 milioni progetti» il piano finanziario -
il conto economico del primo decennio
Stimata una spesa di 19 milioni solo per l’acquisto e la manutenzione
delle vasche e degli impianti interni al grande acquario
Le vasche per i pesci costan care: il prezzo previsto per i soli interni del
Parco del Mare è di circa 19 milioni di euro. È uno dei dati che emergono dalla
“radiografia” del progetto contenuta nel piano finanziario realizzato nel 2015
dal Gruppo Acb per conto della Fondazione CRTrieste. Di recente la Camera di
commercio ha inoltrato il documento al Comune, finito ora sotto la lente del
“Piccolo”: consente di farsi un’idea dettagliata di quali saranno i costi e i
potenziali ricavi dell’acquario, oltre al costo complessivo, già noto, di 47,7
milioni di euro. Lo studio Come nasce e in cosa consiste il piano? A fine 2014
l’architetto Peter Chermayeff, maestro mondiale degli acquari, propone una prima
versione del progetto e un piano finanziario, elaborato da una società
specializzata. Il progetto è magnificente, tanto che i committenti chiedono di
valutare anche una versione ridotta. Per farlo, nel 2015 la Fondazione si affida
al gruppo Abc. Gli esperti della società prendono in analisi i bilanci dei più
importanti acquari del globo e, ricorrendo ai ferri del mestiere, calcolano la
possibile evoluzione di un acquario a Trieste. Elaborano tre scenari: lo
scenario A, basato sulla proposta Chermayeff, lo scenario B, basato sul progetto
Chermayeff ma applicandovi i dati dei primi anni dell’acquario di Lisbona, e lo
scenario C, ovvero la versione ridotta che alfine ha conquistato la Fondazione.
Quello che, almeno in teoria, dovrebbe veder la luce nei prossimi anni alla
Lanterna. Lo scenario Se il progetto Chermayeff prevede una titanica vasca
centrale, per un totale di 9,5 milioni di litri d’acqua, lo scenario C parla di
5,5 milioni di litri d’acqua. Una massa minore ma comunque molto grande, se si
considera che la grande vasca di Lisbona ne contiene 3,8 milioni. La superficie
lorda per ogni scenario è di circa 11mila metri quadrati: quindi anche con la
variante ridotta l’area occupata sarà più o meno la stessa, anche se l’edificio
sarà più basso. I tempi di realizzazione sono di circa 4 anni e mezzo. Partendo
nel 2015, la struttura doveva esser pronta nel 2020, che lo studio considera
come primo anno di attività dell’acquario. Per la Camera di commercio, primo
promotore del progetto, la scadenza è ancora valida. La realizzazione Per lo
scenario C lo studio prevede costi da 47,7 milioni. Ma come dovrebbero essere
spesi questi danari? La spesa più onerosa riguarda interni e impiantistica, 19
milioni. Segue la costruzione dell’involucro, 10,7 milioni, e le demolizioni e
preparazione del sito, 5,172 milioni. La progettazione e direzione lavori
dovrebbe costare 4,363 milioni. Con quali soldi? Lo studio prevede un mutuo
trentennale da 30 milioni di euro e un patrimonio di partenza di 20 milioni.
Fonti interne ai promotori del progetto assicurano che il capitale iniziale è
già superiore (18 milioni vengono già da Fondazione e Cciaa, cui si aggiungono i
fondi della Regione, almeno 4 milioni) e che il mutuo da stipulare sarebbe
ventennale. Costi e ricavi Secondo Abc lo scenario C consentirebbe di chiedere
un canone di locazione di circa 2,6 milioni. Molto superiore alla cifra
prospettata negli altri due scenari. Nel primo anno di attività si prevedono
ricavi da quasi 16 milioni di euro e costi per quasi 13 milioni. Le cifre
salgono fino a 18 milioni di ricavi e 15 milioni di costi per il 2028. Secondo
le proiezioni, inoltre, lo scenario C sarebbe l’unico ad avere un rapporto utile
netto/fatturato in linea con i parametri medi degli altri grandi acquari
mondiali. Ma da dove vengono i ricavi? Prendiamo il primo anno, il 2020. La
parte del leone la farebbero i biglietti: oltre tre milioni e mezzo. Un altro
milione e 300mila euro verrebbero dal merchandising, a seguire le altre voci.
Come tutti i documenti degli esperti, il piano finanziario va preso così com’è,
sarà in caso la realtà a confermarlo o smentirlo. Di certo bisognerà consultarlo
a lungo per scoprire se era corretto. Alcune proiezioni arrivano a futuri
lontanissimi, come il 2049: infin che'l mar fu sovra noi richiuso.
Giovanni Tomasin
Un documento spuntato dopo un lungo silenzio - LO
STUDIO
Un piccolo giallo: perché il piano finanziario è saltato fuori soltanto
adesso? La Camera di commercio sostiene di averlo trasferito già a suo tempo al
Comune, con cui intratteneva regolare corrispondenza. Le carte però in Municipio
non si trovavano, e l’allora sindaco Roberto Cosolini è tra i firmatari della
richiesta dell’audizione sul Parco del Mare in cui si chiedevano lumi proprio
sul piano finanziario. Il capogruppo del M5S Paolo Menis è «perplesso»: «Io ho
fatto una domanda di attualità su questo, ma il vicesindaco Pierpaolo Roberti ha
negato che il Comune abbia a disposizione questi documenti. Adesso li abbiamo,
ma da quel che mi risulta sono arrivati dopo». Quanto al progetto Menis
commenta: «Devo approfondire il piano finanziario. L’ultimo studio che avevo
visto risaliva al 2009 e parlava di cifre enormi di visitatori per sostenere una
struttura del genere». Ma le cose veramente importanti a questo punto, incalza
il pentastellato, sono altre: «I soldi per realizzarlo verranno anche dal futuro
gestore Costa oppure la società entrerà nell’impresa con poco rischio?». Per
quanto riguarda il Comune, conclude, «basta fare una modifica al Piano
regolatore. Poi però bisogna capire l'impatto su viabilità, parcheggi e così
via».
(g.tom.)
Previsti a regime 68 posti di lavoro - I settori con
più addetti sono destinati a essere quelli tecnici - Sette dipendenti impegnati
nel marketing e 12 nel negozio
Il Parco del mare dovrebbe impiegare direttamente una settantina persone. È
uno dei dati più interessanti del piano finanziario del Gruppo Acb. Il rapporto
ipotizza una struttura organizzativa composta da 68 lavoratori. Il costo del
personale previsto (sui dati del 2015) è di 2,57 milioni di euro, con un’ipotesi
di incremento pari al 2% annuo. Cosa faranno i dipendenti della società di
gestione che prenderà in mano la struttura? Secondo lo studio 23 persone
dovrebbero essere impegnate direttamente nell’acquariologia e nello sviluppo del
percorso. Altre 12 curerebbero l’aspetto tecnico e di sviluppo dell’acquario.
Sette sarebbero poi destinate al settore vendite e marketing. L’amministrazione
e il settore personale occuperebbero quattro persone, mentre i servizi e la
direzione generale altri sette. La didattica culturale e scientifica
impegnerebbe tre addetti. Nel negozio lavorerebbero invece 12 persone. La
sezione “costi” del piano fornisce anche molte altre informazioni. Curiosando
tra le spese che il gestore dovrà sostenere dopo aver preso in mano la
struttura, si possono capire molte cose su come si sostiene oggi giorno un
acquario. Ci sono ad esempio i costi definiti “aquariologia”, intrinsechi a
questo genere di struttura, che ammontano a circa 0,28 euro per litro d’acqua. È
proprio questo particolare a far sì che la variante “ridotta” del progetto, il
cosiddetto scenario C, abbia una spesa sensibilmente minore rispetto a quello
iniziale: 1,55 milioni di euro contro 2,67 milioni. I costi di marketing,
comunicazione e promozione dovrebbero aggirarsi invece attorno al milione.
Quelli per la rivisitazione e le migliorie del percorso di visita sono stati
stimati attorno ai 220mila euro, mentre le manutenzioni dovrebbero attestarsi
sui 330mila euro. Il piano parla poi di assicurazioni per 15 euro ogni metro
quadrato di superficie lorda (circa 165mila euro), emolumenti agli organi
societari per 250mila euro e altri costi generali per 410mila euro. Su tutte le
voci Acb ipotizza un incremento medio annuo del 2%, le stime sono basata sui
dati del 2015. Il gestore dovrebbe poi pagare un canone di locazione di 2,6
milioni di euro, pari al 16,6% del fatturato. Anche in questo caso si ipotizza
una rivalutazione annua, pari all’1,5%. La società prevede anche, nell’anno
antecedente all’apertura, ulteriori costi relativi al personale e alla sua
formazione, ad esempio corsi di marketing e comunicazione. E i guadagni? La
stima di Acb prevede un introito medio per visitatore di 17,8 euro. Ovviamente
non si tratta del costo del biglietto, che dovrebbe prevedere riduzioni di vario
tipo, e che in media dovrebbe aggirarsi sui 14 euro. Al dato vanno sommati 1,7
euro per l’acquisto di merchandising e 1,5 euro per la ristorazione. Si
ipotizzano inoltre ricavi da 150mila euro l’anno grazie all’organizzazione di
eventi e ricavi da sponsorizzazione pari a 0,35 euro per visitatore. Altri
150mila euro dovrebbero arrivare dalla didattica, contributi per programmi
scientifici e altre donazioni. Tutto da calcolare è l’impatto dell’eventuale
indotto.
(g.tom.)
In vetrina solo pesci nati in cattività - Garantita
l’assenza di delfini. Preventivato un budget di 425mila euro per il cibo
il “parco” da arricchire È prassi per questo tipo di strutture ampliare
le dotazioni
I delfini non ci saranno. I promotori del progetto del Parco del Mare
l’hanno ribadito più volte, l’acquario non metterà in mostra mammiferi
prigionieri. E gli altri animali nelle vasche saranno tutti nati in cattività.
Ma gli animali, appunto, saranno presenti e costituiranno il principale fattore
di attrazione per i 700mila visitatori annui previsti dal piano finanziario. Di
quali creature marine si tratterà non è ancora dato sapere. Potrà chiarirlo
soltanto il progetto definitivo dell’opera, chiunque sia il suo autore finale:
ancora non si sa, infatti, se l’architetto statunitense Peter Chermayeff
accetterà di firmare anche una versione ridotta di quello che voleva fosse il
suo capolavoro di fine carriera. Quel che sappiamo, però, è che le spese per la
voce “cura degli animali” sono previste nel piano finanziario. Solo nel primo
anno si prevedono 100mila euro, che diventano 425mila nel secondo e aumentano
gradualmente fino a circa 500mila verso la fine degli anni Venti. Il piano tiene
conto poi del costo degli alimenti, che dovrebbe aggirarsi attorno a 385mila
euro l’anno: è un altro fattore che abbassa la spesa rispetto all’idea
Chermayeff, che avrebbe comportato una spesa di 665mila euro. Realizzare gli
habitat per gli animali e acquisire gli stessi “ospiti” non sarà un'operazione
facile. La spesa prevista dal piano finanziario è di 4.7 milioni di euro, per i
quali è previsto un ammortamento in otto anni. Ma nessun acquario vive nel tempo
della dotazione che aveva all'inizio. È prassi in tutti i grandi acquari del
mondo di ampliare gradualmente il proprio parco ospiti, rinnovando l'offerta per
attrarre visitatori e riportare alla propria porta quelli passati. Ecco quindi
che il piano ipotizza per gli esercizi fra il 2022 e il 2028 investimenti pari a
1,2 milioni di euro per singolo esercizio, proprio al fine di rinnovare le
dotazioni e apportare migliorie al percorso di visita. È un aspetto che ha
suscitato le proteste della Lega Antivivisezione e del Comitato Trieste per gli
animali, contrari a rinchiudere in cattività gli animali. I comitati hanno
spiegato più volte le loro ragioni, scendendo in piazza per ben due volte sotto
al municipio con cartelli e striscioni. Per loro i fondi dell’acquario
andrebbero impiegati altrimenti. Hanno dichiarato alla vigilia di una delle
ultime manifestazioni: «Con quei soldi si possono fare tante altre cose:
incentivare il patrimonio culturale triestino; risolvere il degrado del parco di
Miramare; investire nel Museo di Storia ed Arte di Piazza della Cattedrale;
curare il verde dei parchi cittadini, molto trascurati, a beneficio di chi ha
famiglie ed animali».
(g.tom.)
Hotel e garage sotterranei nell’ex Fiera - Prime
coordinate del progetto di rilancio delineato dai nuovi proprietari austriaci.
Martedì incontro a Trieste con la giunta
Il futuro dell'ex Fiera di Trieste inizia pian piano a delinearsi. Il
management della Mid, la holding austriaca che una decina di giorni fa ha
acquisito all'asta il comprensorio di Montebello per 12 milioni di euro, sarà a
Trieste martedì prossimo per un sopralluogo all’interno di piazzali e
padiglioni. Probabile anche un incontro con la giunta comunale e altri incontri
d'affari. Una tappa in città che testimonia la volontà del gruppo di Klagenfurt
di non perdere tempo. Difficile però, al momento, entrare nel dettaglio di ciò
che sarà costruito nell'intero perimetro. Il Piano regolatore comunale prevede
comunque abitazioni, aree commerciali, alberghi e parcheggi, ad esempio. Ed è su
queste coordinate che il progetto dovrà porre le proprie basi. «È troppo presto
per decidere - mette le mani avanti Walter Moser, general manager della società
- non posso dire in anticipo cosa verrà edificato. Il piano urbanistico obbliga
a costruire almeno 9.500 mq di appartamenti - ricorda - ma sul resto siamo
liberi di fare ciò che desideriamo. L'intenzione è dare spazio a negozi, uffici
e hotel. E certamente ci sarà un garage sotterraneo». Il contratto di vendita
del complesso sarà ufficializzato entro l'estate. Ma la holding si prende sei
mesi, grossomodo, per articolare con esattezza il progetto. Subito dopo
contatterà le autorità locali per i permessi necessari. Un anno e mezzo, a
grandi linee, i tempi per chiudere i lavori. L'investimento complessivo nell'ex
fiera, tra demolizioni e nuove edificazioni, dovrebbe aggirarsi indicativamente
tra i 60 e i 70 milioni di euro. Si tratterà di un mega cantiere da 20 mila
metri quadrati, compresi tra piazzale De Gasperi, via Rossetti, via Revoltella e
via Sette Fontane. Di questi, ben 7.160 sono scoperti, per un volume
fabbricabile di 108 mila metri cubi. Sono stati gli uffici comunali a stabilire
il valore: per la destinazione immobiliare era stato usato un parametro di 2.250
euro al metro quadrato, per quella commerciale di 2.047 euro; per gli uffici,
ancora, la di 2119 al mq, oltre ai possibili ricavi derivanti dalla vendita dei
posti auto nel garage che si pensa di costruire. Sarà proprio la Mid a gestire
l'intero intervento. La società, che come noto ha sede a Klagenfurt, è
specializzata nell'immobiliare e vanta un'esperienza decennale nel settore.
Opera in Europa, tra cui Ungheria, Slovacchia, Croazia e Slovenia, oltre che in
Austria. È alla holding che si deve, ad esempio, i centri commerciali “Qlandia”
di Maribor e Nova Goriza. L'azienda si è aggiudicata la fiera nell'asta di dieci
giorni fa per 12 milioni e 318,44 euro, 2 milioni in più rispetto alle
valutazioni iniziali stimate dal Comune. L'interesse sul comprensorio di
Montebello è motivato dalla particolare collocazione geografica del capoluogo
del Friuli Venezia Giulia, come aveva spiegato lo stesso Moser. «Trieste è una
città molto importante - affermava - che ha un'ottima posizione sul confine con
la Slovenia, questo è un buon motivo per investire lì. Non abbiamo ancora una
pianificazione concreta - ribadiva - ma il Piano regolatore ci permette di avere
un'idea su cosa siamo autorizzati a fare: negozi al dettaglio, hotel, uffici,
appartamenti e supermercati. Abbiamo una storia lunga che si è focalizzata
soprattutto sui centri commerciali, ma per quanto riguarda Trieste siamo
dell'opinione che quella è un'area già sufficientemente coperta da questo punto
di vista». Più facile quindi veder ipotizzare la creazione di negozi di vario
genere, e dimensioni più contenute, distribuiti sull'intera area assieme ad
abitazioni e hotel, insomma, che un unico blocco coperto simile al Giulia o alle
Torri. «Noi - puntualizzava Moser - abbiamo molta fiducia nelle istituzioni e io
verrò a breve per osservare la situazione complessiva». Il manager è atteso in
città proprio martedì prossimo
Gianpaolo Sarti
Dal valore immobiliare ritoccato all’insù all’asta
aggiudicata al prezzo di 12 milioni
Il valore immobiliare dell'ex fiera, passato da 7 milioni a 10 milioni e
304.273,03 euro, è cresciuto grazie alle modifiche urbanistiche apportate al
Piano regolatore del Comune. Era di poco più di 10 milioni, dunque, la base
d'asta del comprensorio su cui contavano i soci della spa in liquidazione. Ma la
Mid ha acquisito la struttura una decina di giorni fa per 12 milioni e 318,44
euro, 2 milioni in più rispetto alla somma prevista inizialmente. L'investimento
che adesso si prospetta in quel perimetro potrà variare tra i 60 e i 70 milioni
di euro. La struttura è comunque di proprietà della Fiera spa: i due terzi
dell'area afferiscono alla società e un terzo al Comune. Dal punto vista delle
quote sociali, la spa è partecipata dal Comune per il 25,50% (765 mila euro),
dalla Camera di commercio per una quota analoga e dall’ex Provincia per il
24,95% (748 mila euro). A questo assetto azionario pubblico, superiore al 75%,
si affianca una platea di soggetti privati (banche, assicurazioni, associazioni
di categoria).
(g.s.)
Dipiazza “convoca” Arvedi a Trieste dopo i boati e le fumate nere
«Arvedi venga a Trieste a trattare la chiusura dell'area a caldo». Il sindaco Roberto Dipiazza “convoca” via Facebook il cavaliere di Cremona dopo le esplosioni e il fumo nero che martedì mattina hanno interessato l’impianto della Ferriera di Servola. «Interessante quanto comunicato nella loro relazione dai vigili del fuoco in merito alle esplosioni e al fumo - riferisce Dipiazza in un video girato e Servola e postato poi ieri su Facebook -. “Si rende necessaria un’approfondita verifica statica di funzionalità da parte di tecnico qualificato alla parte d’impianto coinvolta nell’evento e tutte le opere di assicurazione che il caso richiede”». Il video non fa riferimento invece alle spiegazioni fornite dall’Arpa, secondo cui boati e fumate nere erano da attribuire a «fenomeni rari causati dall'apertura delle valvole di sicurezza in seguito a delle sovrappressioni che si sono generate nell'altoforno: un’anomala canalizzazione dei gas di combustione in fase di fermata dell'impianto per interventi di manutenzione». Il sindaco ha però colto l’occasione per chiedere la chiusura della cokeria. «La Ferriera oltre a mettere a rischio la salute dei cittadini sta diventando molto rischiosa anche per i suoi lavoratori. Invito il cavalier Arvedi a venire a Trieste sia per discutere insieme della chiusura dell’area a caldo perché la città non ne può più, sia pensare a come sviluppare un’industria pulita con il laminatoio». Oltre all’incontro il primo cittadino ha annunciato anche altri iniziative. «Il Comune intanto prosegue con la sua attività di verifica e controllo a tutela della salute dei cittadini e dell’ambiente, e tutta la documentazione che stiamo producendo è trasmessa alla Procura della Repubblica ed alla Corte dei Conti» . La presa di posizione di Dipiazza è stata accolta con soddisfazione dai Comitati che stanno lavorando a fianco dell’amministrazione. «Finalmente questo video contiene un'azione concreta che attendevamo da settimane: la convocazione di Arvedi a Trieste per trattare la chiusura - scrive il Comitato 5 Dicembre -. Certamente il video non è la convocazione ufficiale che forse è già partita o partirà adesso per iscritto ma è un'azione reale. Bene! Aspettiamo la reazione e la risposta di Arvedi».
Studi su rischi ambientali e danni alla salute -
Accordo pilota con l’Istituto superiore della sanità. In arrivo dal Cipe 7
milioni per il Polo intermodale
TRIESTE Missione romana dal doppio risultato quella portata a termine ieri
dalla presidente della Regione. Debora Serracchiani, da un lato, ha firmato
l’accordo con i vertici dell’Istituto superiore di sanità (Iss) per attività di
monitoraggio e ricerca sullo stato di salute dei cittadini residenti nelle aree
a maggior rischio ambientale, come gli abitanti del rione di Servola, a Trieste,
“vicini di casa” della Ferriera. Dall’altra ha incassato il via libera del Cipe
allo stanziamento da 6,9 milioni di euro per il secondo lotto di lavori legati
alla realizzazione del polo intermodale dell’aeroporto di Ronchi. Primo impegno
della giornata, come detto, l’accordo con la massima autorità nazionale in
materia di sanità, definito da Serracchiani «un passo in avanti importante che
coniuga ambiente, salute e lavoro». L’intesa si svilupperà attraverso una serie
di articolati interventi, il primo dei quali riguarderà, per l’appunto,
l’impatto sulla popolazione residente legato alla presenza dell’impianto
siderurgico di Servola. «Il possibile legame tra esposizioni ambientali e danni
per la salute rappresenta una preoccupazione costante dell’amministrazione
regionale - ha sottolineato la governatrice -. Da qui la ferma volontà di
sviluppare, assieme all’Iss, in un'ottica di prevenzione, un innovativo sistema
di sorveglianza, che, nel determinare la pericolosità dell’esposizione a
contaminanti, consenta di intervenire tempestivamente, se necessario, per
mitigarne gli effetti e programmare lo sviluppo. Avevamo promesso - ha aggiunto
Serracchiani - che la Ferriera poteva continuare a produrre a patto di non
inquinare e di vedere applicata una costante attenzione per la salute di
lavoratori e dei cittadini. Ora, con questo accordo, stiamo andando verso quella
direzione». Tornando ai dettagli dell’accordo sui rischi ambientali, sarà
predisposto un sistema di sorveglianza sanitaria che consenta di individuare
indicatori di contaminazione ambientale ed eventuali patologie correlate.
Parallelamente saranno attuati studi integrati dell’inquinamento dell’atmosfera
e del suolo, studi epidemiologici, analisi sui ricoveri ospedalieri e sarà
realizzato un avanzato sistema di prevenzione, con verifica nel tempo della sua
efficacia. Entro due mesi saranno presentati la progettazione di dettaglio, i
compiti e il cronoprogramma delle linee di ricerca e delle singole attività da
sviluppare sulle diverse aree del territorio regionale che verranno individuate.
Sul fronte infrastrutturale, invece, ottime notizie sono arrivate dal Cipe, che
ha pubblicato la delibera 57 con cui viene formalizzato il finanziamento del
progetto, presentato dalla Regione e dall'Aeroporto del Fvg, relativo al secondo
lotto dei lavori per la realizzazione del Polo intermodale. «Un’opera strategica
e attesa da anni - conclude Serracchiani -, che ha oggi tutti gli elementi per
essere realizzata in tempi brevi».
«Una rotonda al posto del semaforo all’Obelisco di
Opicina»
OPICINA Spegnere il semaforo e affidarsi alle rotatorie per fluidificare il
traffico nell’area sotto l’Obelisco. È l’indicazione prioritaria che il
Consiglio circoscrizionale Altipiano Est affida al Comune di Trieste per
decongestionare il traffico alle porte di Opicina. Solo uno dei suggerimenti
sulla viabilità che il parlamentino ha condensato in un documento inviato al
Municipio. «Dalla precedente consigliatura il nostro parlamentino continua a
denunciare come quel semaforo sia causa di gravi problemi alla circolazione
lungo Strada nuova per Opicina», afferma il presidente della Seconda
circoscrizione Marko De Luisa: «Nelle ore di punta si formano lunghe colonne di
mezzi che mettono in crisi pure il trasporto pubblico. Il discorso non cambia,
anzi peggiora nei giorni festivi. Per risolvere la questione si rende necessaria
la dismissione del semaforo, colpevole di tali intasamenti». Perfezionato questo
provvedimento, continua il presidente, si deve mettere mano alla viabilità
creando a valle del piazzale dell’Obelisco una rotatoria, che permetterebbe ai
veicoli da via Bonomea e Scala Santa e intenzionati a proseguire verso Opicina
di percorrerla per riprendere il senso di marcia che porta al quadrivio. Per i
veicoli da Trieste la creazione di un delimitatore centrale obbligherebbe chi
intende raggiungere via Bonomea e Scala Santa ad arrivare al quadrivio per poi
ritornare. Tra i nodi più delicati del traffico opicinese, l’incrocio tra Strada
per Vienna e via di Basovizza, secondo Altipiano Est, richiede una particolare
attenzione. L’indicazione anche qui è di una rotatoria. Si chiede poi di
istituire il limite di 30 orari per chi da piazza Brdina accede a via di
Prosecco. Quanto all’incrocio tra piazzale Monte Re e via Nazionale la proposta
è di ripristinare il doppio senso per via di Conconello, con l’obbligo di svolta
a destra, direzione rotatoria centrale, per chi da via di Conconello si immette
in via Nazionale.
Maurizio Lozei
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 19 aprile 2017
Anomalia in Ferriera, boati e nuvole nere - Decine di
segnalazioni di residenti. Fenomeno provocato da un’insolita canalizzazione
degli scarichi. Intervento dell’Arpa
Un boato deciso, ben udibile a distanza ragguardevole e poi una nube di fumo
nero, denso, che saliva e stentava a dissolversi nell’aria carica di umidità
della mattinata. Ieri, pochi minuti prima delle 9, in molti nelle zone attorno
alla Ferriera di Servola, sono sobbalzati nell’udire il frastuono. E il timore,
gli interrogativi, senza giungere alla paura, si sono diffusi: molte le
telefonate ai numeri d’emergenza e alle testate giornalistiche e tanti i post
pubblicati sui social per tentare di sapere il motivo, l’origine e soprattutto
le eventuali implicazioni per la sicurezza di quello che l’Arpa, l’Agenzia
regionale per la protezione dell’ambiente, ha subito definito come «un fenomeno
raro e atipico», comunque in nessun caso un’emergenza. Tanto che i pompieri non
sono stati allertati. Il direttore dell’impianto della Siderurgica Triestina,
invece, come da protocollo concordato da tempo ha chiamato il direttore tecnico
scientifico dell’ente regionale, Franco Sturzi. I due sono rimasti in costante
contatto per un aggiornamento in tempo reale della situazione. Ma cosa ha
generato boato e fumata, poi ripetutisi in forma minore? Un’accentuata e anomala
pressione dei fumi derivati dalle lavorazioni che la Ferriera effettua
nell’altoforno: ieri mattina le sostanze gassose hanno “preso una via” diversa
dal solito, provocando una sorta di “tappo” che, quando è “saltato”, ha generato
i boati e le nuvole nere. Per fare un paragone e una raffigurazione si può
immaginare il motore di un’auto diesel: a volte lo scappamento “fuma nero”. Il
comunicato dell’Arpa fornisce una versione più tecnica dell’episodio di ieri. «I
boati accompagnati dall'emissione di fumo nero verificatisi nello stabilimento
di Siderurgica Triestina a partire dalle 8.50 sono stati causati dall'apertura
delle valvole di sicurezza in seguito a delle sovrappressioni che si sono
generata nell'altoforno. All'origine delle sovrappressioni, un’anomala
canalizzazione dei gas di combustione in fase di fermata dell'impianto per
interventi di manutenzione». Per Arpa la sovrappressione durante la fase di
rallentamento dell'impianto è, come detto, un fenomeno piuttosto raro e atipico.
A tale proposito l'Agenzia per l'ambiente effettuerà degli approfondimenti
assieme alla direzione dello stabilimento, al fine di verificare l'adozione di
accorgimenti tecnico-gestionali necessari ad evitare il ripetersi di tali
anomalie. Arpa fornirà ulteriori ragguagli sulle emissioni di ieri e
sull'andamento complessivo dell'impianto siderurgico nel rapporto finale della
visita ispettiva, che inizierà oggi e la cui conclusione è prevista nei prossimi
giorni.
Pier Paolo Garofalo
Aiuole inquinate, via libera al piano - L’Istituto
superiore di Sanità ha approvato gli interventi previsti del tavolo tecnico
Parere favorevole dell'Istituto superiore di Sanità sulla proposta di piano
stralcio per le aree sensibili elaborata dal Tavolo tecnico composto da Regione,
Comune di Trieste, Arpa e Asuits e chiamato ad indagare sull'ipotesi di
inquinamento diffuso di sette aree (cinque comunali e due private) del capoluogo
giuliano, suddivise fra verde scolastico e giardini pubblici. Lo rende noto un
comunicato diffuso ieri pomeriggio dalla Regione Fvg. In dettaglio, l'istituto
ha condiviso le scelte di intervento proposte che mirano a interrompere i
percorsi di esposizione delle persone agli agenti inquinanti e, allo stesso
tempo, a mitigare o bonificare le aree trattate relativamente alle matrici
ambientali contaminate. Si tratta di interventi di copertura mediante la posa di
un tappeto erboso pronto e/o la stesa di uno strato di ghiaia, oltre alla
sperimentazione del fitorimedio, ovvero il miglioramento della qualità dei suoli
grazie a particolari tipi di piante. L'istituto superiore di Sanità ha altresì
raccomandato, peraltro in linea con gli orientamenti del Tavolo tecnico, di
programmare specifici piani di monitoraggio finalizzati alla verifica
dell'efficacia delle misure di intervento e di bonifica, alla valutazione della
possibile dispersione degli agenti contaminanti e al controllo della qualità
dell'aria nella fase successiva agli interventi. Il Tavolo ha quindi dato
mandato al Comune di realizzare gli interventi previsti, anche utilizzando le
risorse economiche messe a disposizione della Regione per l'ammontare di 350mila
euro. Recentemente il problema dell'inquinamento delle aree verdi di Trieste era
stato affrontato in IV Commissione del Consiglio regionale, presieduta da
Vittorino Boem, nel corso di un'audizione alla quale hanno preso parte
l'assessore regionale Sara Vito, l'assessore comunale triestina Luisa Polli, e i
tecnici dell'Arpa. La Vito aveva ripercorso la vicenda, iniziata nel 2016,
sottolineando come il problema fosse stato affrontato tempestivamente con 350
mila euro e come la situazione fosse costantemente monitorata.
IL PICCOLO - MARTEDI', 18 aprile 2017
La giunta “sfratta” automobili e moto da via Teatro
Romano - Stop ai posteggi davanti al monumento e a Santa Maria Maggiore
Masegni e marciapiedi in formato extra large per corso Italia - Gli
interventi rientrano nella nuova versione del piano di riqualificazione che
attende il via libera dal ministero dell’Ambiente
Tor Bandena? No, perchè ci sono i parcheggi della Questura. Via del Rosario
e Piazza Vecchia? No, perchè ci sono i “bouquinistes” triestini. E non è facile
trovare siti differenti dove alloggiare vetture e libri. Allora bisogna
modificare le coordinate del progetto di riqualificazione di parte del entro
storico e con esso la destinazione delle risorse. Lavori Pubblici e Urbanistica
comunali hanno pronto l’alternativa: risistemare il marciapiede sud di corso
Italia, insieme all’area che raccoglie largo Riborgo, lo spazio prospiciente il
teatro Romano, “piazzetta” Marenzi. La traduzione è fornita dall’assessore
all’Urbanistica Luisa Polli: «Masegni in corso Italia, ampliamento dei
marciapiedi per consentire il transito ciclo-pedonale, segnalazioni di pericolo
per gli ipovedenti. Niente auto parcheggiate davanti al Teatro Romano e davanti
alla scalinata che porta a Santa Maria Maggiore. Abbattimento della struttura a
fianco del teatro, una volta utilizzata a supporto degli spettacoli». Un
intervento che, nelle intenzioni della giunta, premette e imposta il percorso
storico-artistico tra il teatro romano e il colle di San Giusto. Sono a
disposizione circa 730 mila euro: 415 mila a cura del ministero dell’Ambiente,
la quota restante sarà garantita dal Comune. La delibera 131, con la doppia
firma degli assessori Luisa Polli e Elisa Lodi, è stata approvata di recente in
giunta e prospetta un nuovo quadro di opere nella grande “elle” che conduce da
piazza della Borsa a via del teatro Romano. Va fatto però in passo indietro per
spiegare le ragioni del provvedimento. Tutto risale all’accordo di programma
firmato nel dicembre 2008 tra il ministero dell’Ambiente e il Comune triestino
(anche allora il primo cittadini era Roberto Dipiazza), che aveva come scopo il
finanziamento di opere pubbliche mirate al miglioramento della qualità
dell’aria. Su un totale di quasi 4 milioni di euro, il cofinanziamento
ministeriale ha coperto i tre quarti della spesa, che è servita a riqualificare
piazza della Borsa. E adesso va in scena il secondo atto: dai lavori in piazza
della Borsa il Comune è riuscito a ricavare un’economia di 415 mila euro, che
l’amministrazione ha “girato” su un ulteriore progetto di riqualificazione
riguardante stavolta “le aree limitrofe a piazza della Borsa”. La proposta
triestina era stata approvata nel dicembre 2014 dal ministero dell’Ambiente con
decreto direttoriale. L’idea dell’esecutivo Cosolini era quella di rimettere a
posto appunto via Tor Bandena, via del Rosario e piazza Vecchia, ma la giunta
del Dipiazza III - in considerazione della difficoltà a trovare soluzioni
alternative per le auto della Questura e per le attrezzature semi-fisse
utilizzate dai librai - ha ritenuto di modificare l’orientamento ereditato. Ecco
allora apparire largo Riborgo, teatro Romano, “piazzetta” Marenzi. O riapparire,
come nel caso di “piazzetta” Marenzi, che in buona sostanza è lo spazio tra via
del teatro Romano e il cortile di palazzo Marenzi, ospite di sportelli e uffici
AcegasApsAmga. Ancora 9 anni fa si era ipotizzato di intervenire su quel sito,
poi non se ne fece niente e il dislivello tra il piano della strada e la corte
del palazzo non è stato colmato. La delibera, presentata da Polli&Lodi sulla
base del lavoro preparatorio coordinato dai dirigenti Marina Cassin e Enrico
Cortese, prevede la trasmissione del cosiddetto “pod” (programma operativo di
dettaglio) al ministero dell’Ambiente, onde ottenere il nulla osta alla modifica
proposta. Una volta che Roma avrà dato disco verde, l’intervento sarà inserito
nel cronoprogramma dei pagamenti in conto capitale sul triennio 2017-19. Il
grosso della spesa è assorbito da corso Italia (490 mila euro). La nuova
indicazione parte da una valutazione critica dell’attuale degradato assetto
viario, sia pedonale che veicolare. Si tratta di un’area molto frequentata dai
cittadini come dai turisti e presuppone la necessità di un ripristino
all’insegna della buona qualità. Luisa Polli ne è sicura: «Non appena il
ministero avrà dato il placet, bandiremo le gare per l’affidamento dei lavori».
Massimo Greco
Cinque spritz scientifici per salvare il nostro mare
L’Associazione Officina organizza un ciclo di incontri gratuiti con biologi marini per sensibilizzare i cittadini sui temi della pesca e dell’ecosistema marino
Cinque spritz scientifici dedicati al mare e alla pesca, per esplorare la storia di quest’attività da sempre praticata nel nostro Golfo, i problemi, le prospettive future e la sostenibilità delle pietanze ittiche che mettiamo in tavola. È la proposta dell’Associazione Officina, che in collaborazione con Arci Trieste e con il contributo della Regione propone nell’ambito del progetto EcologicaMente l’iniziativa “Tu, Mare, Trieste”: conferenze-dibattito tenute da biologi ed ecologi marini, molti dei quali impiegati all’Ogs, che si propongono di sensibilizzare i partecipanti sull’influenza che hanno le loro scelte alimentari nel preservare l’equilibrio dell’ecosistema mare. «Con questi incontri andremo ad analizzare quale sarà il futuro della pesca in un contesto in cui le risorse ittiche sono in forte diminuzione - spiega l’ecologo marino Simone Libralato -. Ciò è dovuto, oltre che all’inquinamento e al cambiamento climatico, anche alle tecniche adottate per la pesca. Penso al rapido, una pesca a strascico che ara il fondale tirando su tutto quello che trova». La pesca nel nostro Golfo invece è operata spesso in modo sostenibile. Un esempio viene dalla pesca con le lampare, che a Trieste si svolge ormai da cent’anni. «A fine Ottocento per pescare sardine e acciughe in notturna si usavano bracieri sospesi sulle barche - racconta -, poi negli anni ’20 i pescatori napoletani trapiantati a Trieste iniziarono a utilizzare lampade ad acetilene per attrarre il pesce e reti a saccaleva per raccoglierlo. Tutta un’altra storia rispetto alla pesca praticata a Chioggia, dove invece dagli anni ’60 si usano le “volanti”, grandi imbarcazioni che sono in grado di lavorare anche d’inverno, quando le lampare si fermano». Anche se è difficile trovare una soluzione per impedire lo svuotamento dei mari i consumatori possono fare molto: «Basta scegliere il pesce giusto in pescheria - spiega Libralato -. È importante fare caso alla taglia, che non dev’essere troppo piccola, e alla stagionalità del pesce. Se mangiamo sardine o acciughe in inverno possiamo stare certi che non verranno da Trieste». Tutti questi temi saranno approfonditi nei prossimi incontri di “Tu, Mare, Trieste”, che oltre alla conferenza prevedono anche un buffet a tema. Gli appuntamenti sono a ingresso libero: giovedì 20 alle 19 al Circolo Di-Sotto di via bernini 2 Tomaso Fortibuoni parlerà di “Il mare com’era”. L’11 maggio toccherà a Diego Panzeri con “Cento anni di pesca con le lampare a Trieste” al’Arci di via del Bosco, seguito, il 25 maggio, da Diego Borme con “Aspettando il momento giusto”. Due gli appuntamenti di giugno: l’8 con “il pesce e le sue stagioni” e il 22 con “Che pesci pigliare?”. Info e calendario completo sul sito arcitrieste.org o sulla pagina Fb di Arci Trieste.
Giulia Basso
L’Ogs alla sfida sulla biodiversità - L’Osservatorio geofisico sperimentale di Trieste entra nel progetto europeo LifeWatch
Biodiversità ed ecosistemi, due tematiche fondamentali che richiedono sempre un maggiore approfondimento in una società che si trova ad affrontare sfide di livello globale che riguardano elementi cruciali come approvvigionamento delle risorse, sviluppo economico, sicurezza ambientale e benessere dell'uomo. Indirizzata a studiare questi aspetti è la struttura europea LifeWatch, composta da otto stati membri, tra cui l'Italia che coinvolge pure l'Ogs, e che recentemente ha ricevuto dall'Unione europea lo status di Organismo Internazionale di Infrastruttura Europea di Ricerca che corrisponde all'acronimo Eric. La prima assemblea di questo nuovo gruppo sarà a Siviglia l'8 e 9 maggio. Perché questo nuovo "formato" ? La Comunità Europea riconosce la ricerca nel campo della biodiversità come prioritaria, non soltanto attraverso i puntuali programmi di finanziamento per le numerose azioni progettuali a breve termine, ma vi attribuisce una rilevanza tale da decretare l'istituzione di LifeWatch-Eric come soluzione di lungo periodo per garantirne la sostenibilità in un tempo maggiore. Questa iniziativa è la 14° infrastruttura di ricerca europea ad ottenere l’ importante riconoscimento. Nasce con otto stati membri fondatori e tre sedi comuni. Attraverso l'utilizzo delle nuove tecnologie informatiche, garantisce l'accesso a estesi sistemi di dati sulla biodiversità, assicurandone standardizzazione ed interoperabilità, e mettendo a disposizione di ricercatori e decisori politici strumenti e servizi che permettono la creazione di veri e propri ambienti di ricerca virtuali e sostengono il processo politico decisionale. L'Italia, attraverso il Miur ed il Cnr, vi gioca un ruolo fondamentale. Lavorano in sinergia gruppi di ricerca attivi sulle tematiche dell'ecologia informatica, della biodiversità e degli ecosistemi, appartenenti a trentuno istituzioni di grande rilevanza nazionale. Joint Research Unit (Jru) coordina il contributo italiano a LifeWatch e il Bel Paese ospita all'Università del Salento il Centro Servizi, una delle tre sedi europee comuni del progetto, e contribuisce con l'Istituto Italiano Distribuito di Ricerca sulla Biodiversità. In particolare l'Ogs si occupa di svolgere studi sempre inerenti alla biodiversità e di fornire dei dati. «Attraverso la sezione di Oceanografia fisica e biologica - spiega Bruno Cataletto, ricercatore dell' istituto triestino nella sezione di Oceanografia fisica -, partecipiamo rilevando elementi relativi alla biodiversità. Ad esempio la boa Mambo, posizionata a Miramare, raccoglie dati chimico-fisici riguardanti ad esempio la salinità e la temperatura dell'acqua». Cosa cambia ora con questo nuovo status? «Avviene una modifica nella struttura perché anche attraverso il centro italiano si creerà la possibilità di sviluppare maggiori ambienti di ricerca virtuali e reali e dunque una maggiore collaborazione fra istituti europei e partecipazione a progetti con il vantaggio per i singoli istituti di ulteriori scambi scientifici, pubblicazioni di articoli. Insomma si creeranno dei motivi maggiori per realizzare un enorme networking».
Benedetta Moro
Knulp - Viaggio nella mente delle api - Nella mente delle Beezzz alle 17.30 Via Madonna del Mare 7/a
Oggi pomeriggio alle 17.30 al Knulp Bar di via Madonna del Mare 7/a, i volontari di Greenpeace di Trieste organizzano un incontro divulgativo in collaborazione con Cinzia Chiandetti, dal titolo “Nella mente delle Beezzz – Le cose insospettabili che sanno fare le api”. La ricercatrice dell’Università di Trieste terrà un intervento sul comportamento delle api, a conclusione del quale ci sarà spazio per le domande del pubblico e per il dibattito. A seguire, i volontari del gruppo locale di Trieste presenteranno la campagna “Agricoltura sostenibile” condotta da Greenpeace, con particolare riferimento alle questioni legate alle api e ad altri insetti impollinatori, i veri protagonisti dell’evento. L’incontro è libero e aperto a tutti. Sempre al Knulp, alle 21, serata musicale con lo Sfregola Trio con Fabio Sfregola, Luca Demicheli e Andrea D’Ostuni.
IL PICCOLO - DOMENICA, 16 aprile 2017
Pacchetto da 3,4 miliardi per le grandi opere in Fvg - Circa 1,8 miliardi per la velocizzazione della linea ferroviaria Venezia-Trieste
Gli interventi sulla Terza corsia e per il porto. C’è
anche una pista ciclabile -
LE OPERE PRIORITARIE NEL FVG
TRIESTE Il governo conferma le opere strategiche del Friuli Venezia Giulia.
Nell'allegato Infrastrutture che accompagna il varo del Def, un totale di 119
voci da complessivi 35 miliardi, ci sono anche i treni, i porti e le autostrade
della regione. A un "pacchetto" già noto si aggiunge pure l'impegno per una
ciclovia lungo la direttrice Trieste-Lignano Sabbiadoro. Il totale delle risorse
necessarie a completare l'agenda infrastrutturale Fvg? Circa 3,4 miliardi.
L'intervento più rilevante dal punto di vista economico è la velocizzazione
della Venezia-Trieste, opera a carico di Rfi da 1,8 miliardi. Il sogno
costosissimo della Tav, con il Nordest che spingeva per inserirsi nel puzzle
infrastrutturale del terzo millennio, è tramontato. Si parlava di Corridoio 5
(oggi Mediterraneo) e si ipotizzavano imponenti investimenti, quantificati nel
2010 in 7,4 miliardi per le tratte Venezia-Ronchi e Ronchi-Trieste. Nel 2014
Fvg, Veneto, governo e Rfi concordarono però sulle modifiche del tracciato
(quello che, in Veneto, puntava sui treni ad alta velocità in prossimità delle
spiagge) optando per la valorizzazione della tratta esistente, con un impegno
finanziario di 1,8 miliardi (tra gli interventi in regione pure sdoppiamento e
scavalco del bivio San Polo a Monfalcone). Nell'accordo 2016 tra Regione e Rfi
si sono ulteriormente definiti i dettagli che, migliorando le prestazioni del
tracciato ferroviario ed eliminando le criticità esistenti (raggi delle curve,
passaggi a livello), consentiranno di aumentare la velocità della linea
ferroviaria fino a 200 km/h, al punto da ridurre i tempi di viaggio tra Mestre e
Trieste fino a 50 minuti in meno rispetto a oggi. A metà agosto scorso il Cipe
ha dato il via libera a una tranche da 150 milioni che, in aggiunta ai 50
milioni stanziati in precedenza, confermavano l'annuncio di 200 milioni fatto
dal ministro Delrio un anno fa in occasione di un vertice Italia-Cina a Trieste.
Nel Def viene poi confermata la strategicità della terza corsia, altra opera che
in tempi di crisi ha visto ridotto l'investimento: rispetto al 2009 si è passati
da 2,1 a 1,5 miliardi. Lo Stato è già intervenuto con 160 milioni, mentre il
finanziamento di Cassa depositi e prestiti è stato raddoppiato da 150 a 300
milioni. Un tesoretto che, unito a entrate crescenti grazie alla ripresa dei
traffici, ha consentito ad Autovie Venete di riavviare la stagione dei cantieri.
A fine 2016 è stato sottoscritto l'affidamento dei lavori tra Gonars e
Palmanova: il primo stralcio del quarto lotto, circa 5 chilometri per la cui
realizzazione saranno spesi 65 milioni. In programma quest'anno anche il secondo
sublotto - nodo di Palmanova-casello di Ronchis -, cui seguirà la sottoscrizione
dell'accordo per il terzo che comprende il tratto da Palmanova a Villesse. In
totale, il valore dell'intero quarto lotto ammonta a 222 milioni di euro. Il Def
cita quindi i collegamenti ferroviari portuali e la razionalizzazione della
capacità nei segmenti Ro-Ro e container di alcuni porti, tra cui Trieste. Anche
in questo caso la premessa è un'intesa con Rfi firmata nel novembre 2016 da
Debora Serracchiani, dal presidente dell'Autorità portuale Zeno D'Agostino e
dall'ad di Rete Ferroviaria Italiana Maurizio Gentile. I miglioramenti, che
interessano il nuovo Piano regolatore dell'area di Campo Marzio e la connessione
con le aree portuali del Punto Franco Nuovo, costeranno 70 milioni, di cui 50
finanziati da Rfi e la restante parte dall'Autorità di Sistema Portuale. La
novità del Def è infine l'inserimento della ciclovia Trieste-Lignano (tra
aggiustamenti delle rete esistente e nuovi collegamenti il costo è di 10,8
milioni). La sollecitazione era arrivata dalla Fiab regionale, la Federazione
italiana amici della bicicletta, e Serracchiani se n'è fatta carico chiedendo in
una lettera al ministro Delrio di tenere conto anche del tratto in regione,
all'interno dell'Eurovelo 8, la dorsale che parte in Spagna e termina in Grecia.
Marco Ballico
Tutti pazzi per gli Horti nel parco di San Giovanni
Primavera non bussa. E a san Giovanni sboccia la voglia di pollice verde: i fiori di Horti tergestini, il festival a tema green giunto alla 12.ma edizione, hanno attirato nel parco dell’ex ospedale psichiatrico uno sciame composito di curiosi e appassionati, novelli e habitué, ragazzi, vecchie signore raminghe e intere famiglie. Noncuranti del maltempo, sono arrivati anche dal Friuli, dal Veneto e dalla Slovenia per fare acquisti all’ombra dei glicini. E non si sono limitati agli articoli da giardinaggio. Per chi volesse unirsi al coro c’è tempo fino a domani sera. Il trio composto da Claudio, Andrea e Rosalba si è sbizzarrito nello shopping: hanno comprato fragole, piante grasse ma anche diverse salse. «Sono venuto qui per la prima volta l’anno scorso e mi sono innamorato della location», ha detto Andrea. Tra gerani e azalee si trovano anche stand con prodotti più rari. Come quello di Ivan Lupatelli, dell’azienda agricola Morello, che da Cantiano nelle Marche ha portato a Trieste le sue conserve, preparate a partire dai cosiddetti “frutti antichi”. Pera angelica, corniolo, mirabolano, visciola: i nomi bastano a evocare i profumi della campagna appenninica. Maria Pia è arrivata da Concordia Sagittaria, spinta dal passaparola: «Ne ho sentito parlare molto bene - ha detto -, così mi sono decisa a visitare Horti Tergestini, nonostante il maltempo. È la prima volta che vedo il parco di San Giovanni e sono impressionata dalla sua bellezza. Mi piacerebbe tornare a maggio, per la fioritura del roseto». Nel frattempo, Maria Pia curiosa tra gli oggetti di “Le Marchand de Sable”: noci brasiliane profumate all’uva rossa, foglie di cocco alla verbena, petali di caprifoglio allo zenzero sono solo alcuni dei profumatori per ambienti naturali ottenuti tramite la tecnica dell'immersione negli oli essenziali. L’idea è del signor Massimo Rocco, che porta avanti l’attività a Musile di Piave aiutato dalla figlia Agnese. L’elenco delle particolarità potrebbe continuare, dai gioielli in metalli riciclati realizzati da Marco Paolini di Rupinpiccolo, ai dolci artigianali della pasticceria Liberty della triestina Lisa Angelini. Nell’ambito della botanica si spazia dagli ortaggi alle piante decorative, fino alle erbe aromatiche e officinali. La società agricola Cosolo-Le officinali, di Pieris, coltiva queste ultime con metodo biologico, poi le trasforma in oli essenziali e saponi. Non sono mancati gli ospiti fissi, come Laura e Rita, che vengono tutti gli anni da Udine «a comprare qualche piantina», o come il triestino Jacopo in compagnia dei parenti: «Per noi gli Horti Tergestini sono una tradizione di famiglia: ogni anno troviamo un nuovo elemento per il nostro giardino». La mostra-mercato sarà visitabile a ingresso gratuito anche oggi e domani, da mattina a sera. Chicca di oggi, il concerto balkan delle 19. All’inaugurazione, ieri, hanno preso parte anche Nicola Bressi, direttore dei Musei Scientifici di Trieste, la governatrice Debora serracchiani e l’assessore regionale alla Cultura Gianni Torrenti, che ha dichiarato: «Questo parco è un modello culturale, d’integrazione e inclusione. Ecco perché la Regione, per valorizzarlo, è pronta a collaborare con L’Azienda sanitaria e con il Comune».
Lilli Goriup
IL PICCOLO - SABATO, 15 aprile 2017
Dibattito in consiglio - Maxirotonda in viale Miramare
- A breve il via alle prove tecniche
Prove tecniche di ingresso in Porto vecchio attraverso la rotonda. Le
annuncia l'assessore all'Urbanistica Luisa Polli, dopo che in Consiglio comunale
la capogruppo del Pd Fabiana Martini ha chiesto se la rotonda sarà accompagnata
da una ciclabile o meno. Polli a questo proposito coglie la palla al balzo per
annunciare che a breve sarà fatta appunto una «prova tecnica» di ingresso anche
per le automobili che lungo viale Miramare provengono dal centro di Trieste e
sono dirette verso Barcola, e che l’accesso all'area sarà confinato al
parcheggio del Magazzino 26: «In questo modo avvieremo di fatto i lavori per la
realizzazione della rotonda e capiremo come gestire il flusso del traffico». Ma
partiamo dall'interrogazione. In Consiglio comunale Martini ha chiesto se il
progetto della nuova rotonda in viale Miramare prevede un «anello ciclabile di
qualità»: «Le rotonde - ha spiegato l’ex vicesindaco - riducono l'incidentalità
per le auto, ma se di raggio ampio e sprovviste di anello ciclabile possono
essere invece molto pericolose per chi si muove in bici a causa dei numerosi
punti di intersezione e degli angoli ciechi». In questo modo, ha aggiunto
Martini, si terrebbe fede al punto del programma Dipiazza che prevede «due piste
ciclabili monodirezionali in Porto vecchio». In quanto titolare della delega
all’Urbanistica, Polli interviene per dire che «le piste ciclabili rientrano nel
progetto della bretella che dovrebbe collegare l'ingresso di viale Miramare alle
Rive»: «La pista verrà quindi realizzata quando arriveranno i 50 milioni
stanziati dallo Stato, una parte dei quali dovrebbe servire proprio per la
bretella. Prima di iniziare quei lavori, ovviamente, dobbiamo far passare le
opere di urbanizzazione, almeno la condotta in cui si potranno poi infilare le
fognature e tutto il resto». Al momento, quindi, «un progetto ancora non c’è,
aspettiamo prima di avere i soldi in mano». Bisognerà poi avviare un lavoro di
concertazione assieme alla Sovrintendenza per capire come e dove si potrà metter
mano per costruire la bretella: «Bisogna tener conto del fatto che in Porto
vecchio tutto è vincolato, anche le rotaie del treno. Per cui dovremo
confrontarci a lungo per stilare un progetto che sia rispettoso dei vincoli sul
patrimonio culturale». Nel frattempo, però, il Comune sta apprestando le prime
opere per rendere fruibile il Porto vecchio anche dal punto di vista normativo:
«Bisogna tener conto del fatto che attualmente la gente che entra in Porto
vecchio non dovrebbe poterlo fare - dice Polli -. Quel che faremo quindi sarà di
collocare una barriera provvisoria in maniera tale che si possa accedere fino al
parcheggio del Magazzino 26, magari per assistere a una mostra». Ci saranno
degli interventi di manutenzione anche sul manto stradale: «Al momento la strada
è usurata e dobbiamo metterci mano perché non sia pericolosa per gli scooter. Si
tratterà comunque di lavori provvisori, visto che poi dobbiamo aprire tutto per
le opere di urbanizzazione».
(g.tom.)
FIAB ULISSE «Ascensore di San Giusto per i ciclisti»
«Per quanto riguarda l’annuncio degli assessori Rossi e Polli inerente l’accesso al pubblico dell’ascensore interno al Park San Giusto, Fiab Ulisse auspica che l’accordo includa i ciclisti diretti verso San Giusto». Così il presidente di Fian Ulisse Luca Mastropasqua: «Sarebbe un forte incentivo per i cicloturisti».
Cestini omaggio per la raccolta dell’umido - Al via il
progetto itinerante dedicato all’importanza della differenziata. Oggi il debutto
a Horti Tergestini
Far compiere alla raccolta differenziata dei rifiuti umidi un salto decisivo. È
l’obiettivo dell’iniziativa itinerante lanciata da AcegasApsAmga e denominata
“L’umido che fa la differenza”. Oggi a Trieste si raccolgono infatti circa 5.500
tonnellate di umido-organico in un anno, corrispondente a circa 6% del totale
dei rifiuti raccolti sul territorio triestino. L'iniziativa ha come obiettivo
finale di aumentare di 1000 tonnellate i volumi di umido raccolti: uno sforzo
che AcegasApsAmga saprà valorizzare, dal momento che già oggi il 98,4% del
rifiuto umido-organico raccolto a Trieste va inviato a recupero. A tale scopo la
multiutility coglie l’occasione degli Horti Tergestini, che si svolgeranno da
oggi a martedì, per lanciare la nuova campagna che prevede 14 tappe itineranti a
cavallo dei mesi di aprile e maggio in cui sarà possibile recarsi presso la
postazione AcegasApsAmga, in base ad un calendario prestabilito, e richiedere
all’addetta presente allo stand un cestino omaggio insieme al quale verranno
fornite utili informazioni sulle modalità di raccolta di questo tipo di rifiuto.
I cestini sono un’iniziativa già nota ai triestini visto che a Natale 2014, si
sono recati in decine di migliaia allo stand AcegasApsAmga dei mercatini
natalizi per richiederlo alle addette presenti. Il successo riscontrato e le
richieste di una replica dell'iniziativa arrivate in questi anni, hanno spinto
AcegasApsAmga a sfruttare l'occasione pasquale per realizzare una nuova campagna
dedicata a questo rifiuto, ma questa volta non stazionerà per due settimane in
un unico mercato, si sposterà, invece, da una postazione all'altra per venire
incontro alle diverse necessità dei cittadini. Qui di seguito il calendario de
“L'umido che fa la differenza”: oggi e lunedì dalle 9.30 alle 16 a Horti
Tergestini nel parco dell’ex Opp; domani sempre a Horti Tergestini ma dalle 14
alle 20. Sabato prossimo, 22 aprile, al mecato Piazza Goldoni - dalle 9.30 alle
12.30. Giobedì 27 aprile al punto vendita Cocop di Roiano dalle 9.30 alle 12.30.
Due giorni dopo, il 28 aprile, al punto Coop di Barriera dalle 9.30 alle 12.30.
Sabato 29 sarà poi la volta delle Coop all’interno delle Torri d’Europa dalle
9.30 alle 12.30. Fissato anche il calendario di maggio: il 2 dalle 9.30 alle 12
al mercato di piazza Vittorio Veneto; il giorno dopo al mercato coperto di via
Carducci. I giorni 8,9 e 10, infine, tappa ai mercati di Opicina, Ponterosso e
Borgo San Sergio.
I fondali del canale ripuliti da ruote, barche e cartelli - Chiusa la maxioperazione di bonifica voluta dall’Autorità portuale a Ponterosso
Quattro sub specializzati hanno lavorato per due settimane davanti a tanti curiosi - Riesumati dall’acqua moltissimi rifiuti ingombranti accumulati negli anni per colpa della bora ma pure dell’ inciviltà di alcuni
Imbarcazioni, tavoli, sedie, tabelle stradali e pneumatici sono solo alcuni degli oggetti recuperati dai fondali del canale di Ponterosso in una vasta operazione di pulizia, la prima commissionata dall’Autorità portuale ed effettuata dai sommozzatori della Geomar. Per una quindicina di giorni in quattro si sono immersi, facendo riaffiorare di tutto, materiali spesso finiti in acqua nelle giornate di bora, ma alle volte gettati anche dai maleducati di turno. A seguire le giornate di lavoro sempre un folto pubblico, che in qualche caso ha pure espresso curiosità a dir poco strane, con domande in presa diretta ai sub, oltre che fare foto e video in attesa forse di una “pesca miracolosa” tra un rifiuto e l’altro. Grande l’interesse dimostrato dalla gente, tanto da chiedere interventi simili anche in altre zone della città. «L’attività, svolta per conto dell’Autorità di sistema portuale dell’Adriatico Orientale e coordinata dall’ingegner Eric Marcone dell’Ufficio tecnico, si è conclusa il 13 aprile - spiega Paolo Furlan, della Geomar Sommozzatori Srl - e abbiamo potuto contare anche sull’ausilio di palloni di sollevamento e altre attrezzature professionali che hanno provveduto a rimuovere dal fondale del canale una notevole quantità di oggetti, di varia natura, che negli anni si erano depositati, in parte a causa dell'incuria dei cittadini, vedi le tante batterie o i copertoni, in parte a causa della bora, in tal caso risultano essere venuti a galla tabelle, cassette, teloni, tavolini e sedie. Sono stati anche recuperati quattro relitti, altri sono stati smantellati e portati in superficie a pezzi. Il tutto, una volta salpato dal fondo, è stato caricato sui mezzi messi messi a disposizione dall’AcegasApsAmga e conferito nelle discariche». Nelle varie giornate di intervento si è formato sempre un numeroso pubblico di spettatori sulla riva, attenti a ogni piccolo movimento dei sub e a tutto ciò che riemergeva dal fondale un po’ alla volta. «In tanti si sono fermati a osservare pazientemente le operazioni di pulizia», aggiunge Barbara Fornasaris, sempre della Geomar: «Alcuni erano turisti di passaggio, che si sono messi a sbirciare cosa stava succedendo, ma la maggior parte erano triestini. Guardavano ma ponevano anche delle domande, in un misto di curiosità e quesiti anche strampalati. Tra i più strani ci hanno chiesto se era in atto una caccia a uno squalo, e poi se sott’acqua c’era una perdita di gas. In generale si sono dimostrati felici per lo smantellamento della sporcizia accumulata. Finora erano già stati fatti interventi simili nel canale, ma da gruppi sportivi senza queste attrezzature e solo in determinati punti. Si tratta della prima pulizia commissionata dall’Autorità portuale e di tale portata, con grandi macchinari utilizzati. Ha suscitato così tanto entusiasmo da parte della gente che in molti ci hanno chiesto di poter ripulire anche altri spazi. Vedremo se sarà possibile». E così tra le richieste di delucidazioni sui vari oggetti ripescati, ai sommozzatori è stato dunque proposto dai triestini di ispezionare e liberare dalle immondizie anche altri tratti di mare. «Ci hanno segnalato tutto il tratto delle Rive e poi ancora spazi in prossimità di moli e società nautiche, zone dove le persone passeggiano e sono abituate a notare nell’acqua vari oggetti. Molto spesso è il vento a farli cadere e lì rimangono. Anni fa avevamo fatto interventi per conto dell’AcegasApsAmga in particolare durante una giornata di forte bora, quando tanti bidoni erano finiti in acqua proprio a Ponterosso. Così sarà successo sicuramente anche per altre aree che i cittadini ci hanno descritto, tratti di mare vicino alla costa». Sarà forse un buon suggerimento per procedere a nuove attività di pulizia in caso ci siano nuove commissioni e fondi da impiegare. A beneficio dell’ambiente e anche del pubblico di passaggio, che a quanto pare ha trovato lo spettacolo imperdibille.
Micol Brusaferro
IL PICCOLO - VENERDI', 14 aprile 2017
Ambiente - Rio Ospo e Rosandra sotto manutenzione
Il servizio Difesa del Suolo della direzione regionale Ambiente ha effettuato i lavori di manutenzione idraulica stagionale del rio Ospo, del Rosandra e dei corsi d’acqua minori. Realizzata anche la pulizia del rio Grignano, in prossimità dell’Ictp. «Questi interventi - ha spiegato l’assessore regionale all’Ambiente, Sara Vito - rientrano nell’obiettivo della prevenzione e della cura del territorio, elementi fondamentali per scongiurare il rischio idrogeologico».
Il cuore verde della città negli “Horti Tergestini” -
EVENTO »San Giovanni
Ritorna nel fine settimana al Parco di San Giovanni, più ricca e profumata
che mai, "Horti Tergestini", la kermesse di primavera dedicata alla cultura del
verde, dei fiori e dei giardini. Giunta alla 12ma edizione, la rassegna ospiterà
nella tre giorni di mostra mercato il meglio del florovivaismo italiano
dell'artigianato locale, proponendo ai visitatori dalle nove al tramonto (con
ingresso libero), una ricca gamma di piante, fiori, erbe officinali, agrumi,
rosai e specie rare, ma anche attrezzi e prodotti per prendersi cura del proprio
spazio verde. Oltre a un ricco programma di incontri e conferenze a tema.
Promoter di Horti Tergestini, l'Agricola Monte San Pantaleone, la cooperativa
che storicamente cura la manutenzione del rigoglioso polmone verde dell'ex Opp,
assieme a una nutrita lista di partner, tra cui l'associazione orticola del Fvg
"Tra piante e fiori", la Provincia e il Comune di Trieste, l'Università,
l'Azienda sanitaria integrata, Trieste Trasporti e Acegas ApsAmga SpA. A siglare
domattina alle 11 l'avvio della tre giorni (sabato, domenica e lunedì di
Pasquetta) verde, il direttore dei Musei scientifici di Trieste, Nicola Bressi.
Non solo mostre mercato di piante, dunque, ma eventi botanici, laboratori sulle
potature, incontri culturali, convegni sulle rose, approfondimenti sulle erbe
aromatiche, passeggiate guidate nel parco e seminari a tema. 112 gli espositori
professionisti da tutt'Italia e anche dall'estero, che proporranno piante,
sementi, attrezzi, fiori, ma anche libri di giardinaggio e arredo giardino. Tra
gli appuntamenti (programma completo su www.hortitergestini.it) sabato alle
14.30 allo stand 41 del Vivaio Belfiore, l'incontro "Cura, potatura e
trattamenti degli alberi da frutto", mentre alle 15, con ritrovo davanti a Il
Posto delle fragole, è in scaletta la visita guidata nel parco assieme alla
cooperativa La Collina. Alle 17.30 allo spazio Villas, appuntamento imperdibile
per gli estimatori delle iris: incontro con Cristina Mostosi per scoprire il
mondo delle celebri Iris di Trebecco. Domenica alle 16.30, l'autore Francesco Da
Broi presenterà "Il prato è servito" e "D'ogni erba un piatto". A chiudere la
domenica di Pasqua, il concerto balkan "Drom pale luma live Cigansky music.
Lunedì dell'Angelo, da segnalare (16.30) la conversazione con Elena Macellari,
autrice del libro "Botaniche italiane, scienziate naturaliste appassionate".
Patrizia Piccione
IL PICCOLO - GIOVEDI', 13 aprile 2017
«Serve un tavolo con la Regione sull’agricoltura del
Carso»
TRIESTE - Organizzare una conferenza sui problemi che l’agricoltura si trova
ad affrontare nelle aree svantaggiate. Un tanto per sensibilizzare le comunità
sulle difficoltà in cui si trovano a lavorare coloro che, come gli operatori
triestini, lavorano in zone impervie, in condizioni difficili, oberati da
burocrazie e vincoli asfissianti. La proposta arriva direttamente dall’assemblea
ordinaria dell’Associazione agricoltori, riunitasi in Camera di Commercio.
Accanto al presidente Franc Fabec e agli altri funzionari dell’Associazione,
l’assessore regionale Gianni Torrenti, la segretaria di Stato al ministero
dell’Agricoltura sloveno Tanja Strnisa, il presidente della Cia nazionale Dino
Scanavino e il professor Gianluigi Gallenti per l’ateneo triestino. «L’assemblea
di quest’anno - ha puntualizzato Fabec - è in realtà un convegno. Il tema
“Agricoltura: è tempo di cambiamenti” è stato voluto per richiamare l’attenzione
delle autorità e della comunità sul momento delicato in cui ci troviamo a
operare». Le difficoltà sono note e risalgono sostanzialmente - come sostiene la
categoria - al mancato rispetto di Regione e ministero delle Attività agricole
di quel Protocollo d’intesa siglato nel 2010 per la realizzazione della Doc
transregionale “Prosecco”, che conteneva misure utili a far risorgere
l’agricoltura triestina. Nonostante l'impegno e le capacità profuse sul
territorio locale da agricoltori e viticoltori, permangono ostacoli e criticità.
Vincoli di ogni genere e mancanza di piani di gestione nelle zone gravate dalle
protezioni speciali comunitarie di “Natura 2000” sono di ostacolo all’espansione
delle colture che vengono comunque prodotte in territori impervi e al limite
della praticabilità. Situazioni che non riguardano quelle colture intensive
praticate in pianura, privilegiate dalla politica agricola comunitaria. «Per
tale ragione - ancora Fabec - invitiamo la Regione a incontrare coloro che, come
noi, lavorano in condizioni proibitive».
Maurizio Lozei
Tommaseo - La scienza si degusta con un caffè
Nuova puntata, al Caffè Tommaseo, del Caffè delle Scienze, il ciclo di incontri informali a tu per tu con ricercatori e docenti ormosso dal Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Trieste. Due gli interventi in programma dalle 17.30, come sempre a ingresso libero: Giorgio Fanò, docente di Fisiologia applicata all’ateneo di Chieti, parlerà de “L’uomo è ciò che mangia. Le incursioni di un fisiologo nella nutrizione umana”, mentre Francesca Malfatti, ricercatrice dell’Ogs di Trieste, discuterà con il pubblico de “Il nuovo Mare! Acidificazione, plastica e black carbon: sfide agli organismi marini”. Come al solito al pubblico non sono richieste particolari competenze, ma solo una certa dose di curiosità. L’obiettivo del ciclo è quello di continuare a rafforzare il dialogo tra l’Università e la cittadinanza, attraverso lo scambio di opinioni e conoscenze sui risultati degli studi e della ricerca.
Orti e verde urbano Ultimo - incontro
Grande successo, con oltre 100 partecipanti a serata, per gli incontri del programma-percorso di formazione con tema “Orti e verde urbano 2017” promosso dal gruppo Urbi et Horti in collaborazione con il Comune di Trieste. Oggi alle 17.30 nella sala Arac del giardino de Tommasini di via Giulia si terrà il quarto e ultimo incontro su “La cura e la sicurezza del patrimonio arboreo pubblico” con Francesco Panepinto. Il corso, gratuito e aperto al pubblico, si rivolge a chiunque abbia interesse a coltivare un orto per diventare agricoltore urbano, anche sul balcone di casa, o semplicemente sia curioso di apprendere nozioni sulla coltivazione di piante e ortaggi.
COMUNICATO STAMPA - MERCOLEDI', 12 aprile 2017
INTERROGAZIONE PARLAMENTARE SULLE TRIVELLE DI SERENA PELLEGRINO. "IL DECRETO DEL MISE E’ IL CAVALLO DI TROIA PER NUOVE INSTALLAZIONI"
TRIVELLE. SERENA PELLEGRINO ( SI – POSSIBILE): IL
GOVERNO NON SI FERMA DAVANTI A NIENTE PER CONSENTIRE ALLE COMPAGNIE PETROLIFERE
DI CONTINUARE CON LE TRIVELLE ENTRO LE 12 MIGLIA. IL DECRETO DEL MISE E’ IL
CAVALLO DI TROIA PER NUOVE INSTALLAZIONI. INTERROGAZIONE IN COMMISSIONE AMBIENTE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI.
“Il Governo italiano non può continuare a ossequiare i petrolieri e prendere
in giro i 12 milioni di cittadini e le 9 Regioni che si sono espresse contro le
trivelle in occasione del relativo referendum. Il recente decreto del MISE
consente agli impianti di estrazione di idrocarburi che stanno dentro il limite
delle 12 miglia dalla costa e dalle aree protette di realizzare nuovi pozzi e
nuove piattaforme con la scusa di dover realizzare attività funzionali alla
coltivazione di giacimenti di idrocarburi già autorizzate, fino all’esaurimento
degli stessi.”
Lo dichiara la parlamentare Serena Pellegrino ( SI – POSSIBILE), vicepresidente
della Commissione ambiente della Camera dei deputati che ha rivolto
un’interrogazione al Ministero dello Sviluppo economico sul decreto che consente
nuove trivellazioni in aree in cui dovrebbero trovarsi solo le infrastrutture
comprese nei progetti originari oggetto di autorizzazione.
“ Il Governo – spiega la parlamentare - consente di modificare il programma
originario delle concessioni di sfruttamento non certo pensando alle attività di
decommissioning, già previste dalle leggi vigenti e soggette alla Valutazione di
impatto ambientale e all’autorizzazione da parte del MISE, visto che queste
attività, insieme al ripristino ambientale, appartengono a fasi successive a
quelle della coltivazione. L’obiettivo reale è consentire alle compagnie
petrolifere di modificare in corsa il programma di sviluppo previsto al momento
del rilascio della concessione. Sarebbe questa la messa in pratica delle
roboanti dichiarazioni dell’ex capo del Governo sull’inutilità del referendum
perché di trivellazioni entro le 12 miglia non si sarebbe mai più dovuto
discutere?
Il meccanismo normativo congegnato, evitando accuratamente il Parlamento, sembra
scritto sotto dettatura dai petrolieri e consente la costruzione di nuove
infrastrutture per portare ad esaurimento le riserve ancora presenti nei
giacimenti sottomarini. L’evidenza di quanto sosteniamo, ossia che viene eluso
il divieto di legge, sta nel testo del decreto: alla lettera a) comma 3
dell’articolo 15 è specificato che sono autorizzate le attività funzionali alla
coltivazione “fino ad esaurimento del giacimento e all’esecuzione dei programmi
di lavoro approvati in sede di conferimento o di proroga del titolo minerario,
compresa la costruzione di infrastrutture e di opere di sviluppo e coltivazione
necessarie all’esercizio”
Il risultato del referendum costituzionale, però, ha evitato che le Regioni
perdessero completamente la potestà legislativa concorrente allo Stato ed il
loro ruolo riequilibratore della tendenza governativa accentratrice delle
politiche energetiche. Veneto, Puglia e Basilicata si sono già mosse per far
valere il diritto a dire la loro su nuove iniziative di trivellazione.
L’attenzione del Parlamento su quanto accadrà in forza del decreto del MISE,
dopo questo ennesimo affronto al proprio ruolo, è altissima.”
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 12 aprile 2017
Pronti sessanta milioni per trasformare la Fiera
Complesso acquistato dalla Mid di Klagenfurt specializzata nella costruzione di grandi centri commerciali. «Ma per Trieste pensiamo a soluzioni diverse»
La società austriaca che si è appena aggiudicata all’asta per 12 milioni la Fiera è la Mid, grossa holding attiva nel mercato immobiliare con sede a Klagenfurt. Un gruppo con un’esperienza decennale nel settore, a cui in passato si devono analoghe operazioni in Ungheria, Croazia e Slovenia. Per intenderci, è il costruttore degli enormi centri commerciali Qlandia di Maribor e Nova Goriza. Ha intenzione di fare sul serio anche qui a Trieste, evidentemente. D’altronde l’investimento in cui quest’impresa si è imbarcata parla da sé: l’operazione vale appunto 12 milioni e 318,44 euro, due milioni in più rispetto alle valutazioni iniziali stimate dal Comune. Il contratto di vendita sarà ufficializzato entro l’estate. Il futuro dell’area è però ancora tutto da stabilire. Il Piano regolatore del Municipio offre comunque ampie possibilità: abitazioni, spazi commerciali e parcheggi, ad esempio. La Mid ne è consapevole e proprio per questo ha focalizzato la sua attenzione sull’ex Fiera. «Siamo interessati alla collocazione - spiega Walter Moser, general manager della holding - dove possiamo sviluppare un nuovo progetto .Trieste è una città molto importante che ha un’ottima posizione sul confine con la Slovenia, questo è un buon motivo per investire lì». «Non abbiamo ancora una pianificazione concreta - ci tiene a chiarire Moser - ma il Piano regolatore ci permette di avere un’idea su cosa siamo autorizzati a fare: negozi al dettaglio, hotel, uffici, appartamenti e supermercati. Noi - prosegue - abbiamo molta fiducia nelle istituzioni e io verrò a breve per osservare la situazione complessiva», annuncia il manager. Che aggiunge: «Siamo una realtà che opera in molte città della Slovenia, della Croazia, della Slovacchia e dell’Ungheria oltre che dell’Austria - sottolinea - e io mi reco personalmente in ciascuno dei posti per decidere cosa fare. Bisogna capire, inoltre, se troviamo dei buoni affittuari. E scegliere se fare un hotel, ad esempio, dipende dall'investimento complessivo». «Ricordo che siamo un’azienda nata nel ’74», rimarca ancora Moser: «Inizialmente ci eravamo concentrati nello sviluppo di centri commerciali, ad esempio Qlandia a Maribor e Nova Goriza o, ancora, uno dei più grandi in Croazia, a Zagabria, e in Ungheria, a Budapest, alla fine degli anni Ottanta. Abbiamo dunque una storia lunga che si è focalizzata soprattutto sui centri commerciali, ma per quanto riguarda Trieste siamo dell’opinione che quella è un’area già sufficientemente coperta da questo punto di vista». L’investimento futuro nell’ex fiera, tra demolizioni e nuove edificazioni, si aggira comunque attorno ai 60 milioni di euro su un totale di 20mila metri quadrati, compresi tra piazzale De Gasperi, via Rossetti, via Revoltella e via Sette Fontane. Di questi, ben 7.160 sono scoperti, per un volume fabbricabile di 108mila metri cubi. Sono stati gli uffici comunali, come fa notare l’assessore Lorenzo Giorgi, a stabilire il valore del comprensorio. Inizialmente per la destinazione immobiliare era stato usato un parametro di 2.250 euro al metro quadrato, per quella commerciale 2.047 euro. Per gli uffici, invece, la cifra stabilita ammontava a 2119 euro al metro quadrato. Una somma a cui poi sono stati aggiunti i potenziali ricavi che potrebbero arrivare dai posti auto e box. La giunta Dipiazza, con Giorgi in prima fila, è visibilmente soddisfatta e conferma la riuscita dell’operazione immobiliare. «Per poter cedere la struttura della Fiera spa abbiamo fatto un lavoro importantissimo - ribadisce l'assessore - visto che la valutazione del comprensorio è stata fatta interamente dai nostri uffici. Va ricordato che la prima stima ammontava a sette milioni di euro, ma grazie al nuovo Piano regolatore, che guarda a quella parte della città come a una realtà di grande trasformazione, abbiamo raggiunto una quotazione migliore pari a 10 milioni di euro. Il fatto poi che il gruppo austriaco alla fine abbia deciso di acquisire la struttura per 12 milioni, dunque due milioni in più della somma di partenza, vuol dire che il Comune aveva formulato una valutazione azzeccata. Crediamo molto nel rilancio di quell’area e la dimostrazione - afferma l’esponente della giunta - sta nella rapidità con cui abbiamo bandito l’asta. Un risultato che nei prossimi mesi consentirà di portare a Trieste investimenti per 60 milioni. Questo significa rilancio del rione e posti di lavoro. Sono soldi che restano tutti in città, quindi è un risultato eccezionale".
Gianpaolo Sarti
GLI AGENTI IMMOBILIARI - «Non solo si recupera un’area degradata Si rilancia pure il valore di un intero rione»
Sull’operazione Fiera arriva il plauso anche dagli agenti immobiliari. «Siamo contenti, finalmente la città potrà recuperare una zona che era in disuso da tanto tempo», commenta Stefano Nursi, presidente provinciale della Fiaip, la Federazione italiana agenti immobiliari professionali.
«La notizia dell’aggiudicazione dell’asta alla società austriaca è estremamente positiva, non ci avrei scommesso - aggiunge - e ora bisogna capire quale sarà effettivamente il progetto che verrà attuato in quell’area. In una superficie così grande probabilmente sorgeranno svariate realtà, d’altro canto il Piano regolatore lo permette - osserva Nursi - e questo è un ottimo risultato per Trieste. Per quanto riguarda la zona in sé, il degrado dell’ex Fiera aveva causato effetti negativi anche per il mercato immobiliare del rione. L’area era decisamente in sofferenza, quindi la vendita del sito è da accogliere con soddisfazione anche da questo punto di vista». La struttura, va ricordato, è di proprietà della Fiera spa: i due terzi dell’area afferiscono alla società e un terzo direttamente al Comune. Dal punto vista delle quote sociali, la spa è partecipata dal Comune per il 25,50% (765 mila euro), dalla Camera di commercio per una quota analoga e dalla Provincia per il 24,95% (748 mila euro). Quindi, di fatto, il Comune controlla più o meno la metà del perimetro. A questo assetto azionario pubblico, superiore al 75%, si affianca una platea di soggetti privati (banche, assicurazioni, associazioni di categoria).
(g.s.)
«Le priorità? Negozi e parcheggi» I residenti sperano nella realizzazione di uno “shopping center” che animi la zona
Gli spazi verdi - Tra le richieste degli abitanti anche la creazione di un parco - Il poco movimento - C’è chi rimpiange i tempi in cui le fiere attiravano folle
Un centro commerciale in primis. Ecco cosa fare al posto della Fiera di Trieste. Ma anche un parco e dei posteggi. E chissà che la holding austriaca Mid non ascolti i residenti dell'area intorno, tra Montebello e l'Ippodromo. Ogni posizione ha una ragione d'essere precisa. Nena Stojimirovic, proprietaria dell’omonimo coiffeur, nota proprio la mancanza di negozi in questa zona. Ma anche di parcheggi. «Un tempo c’era più vita da piazza Foraggi in su - dice -, oggi, nonostante l’area sia molto tranquilla e la gente che ci abita anche, manca un po’ di fermento». Se si aggiungesse dunque un centro commerciale, ecco che si fornirebbero nuovi servizi al momento mancanti. «A parte un ristorante qui di fronte, non c’è nient’altro che possa essere un buon punto ristoro qui vicino», osserva. Ma a mancare sono anche i posteggi. «A Trieste - dice - non è una novità questa carenza». Sulla necessità di un blocco di negozi al posto dei padiglioni è d’accordo anche Silvia Crosara, da un anno residente in questa zona. Come se lo immagina questo “shopping center”? «Con diversi fori dedicati alle scarpe, ai giocattoli - risponde Silvia -, ai vestiti per bambini, a una cartoleria, a una lavanderia. Insomma un classico centro commerciale». Anche Shqiprona Buqa, che abita vicino all' ippodromo, è d'accordo. «Ci vogliono nuovi negozi», afferma. Ma poi ci pensa e cambia idea. «Anzi, no, abbiamo bisogno di un parco. Questo giardino in piazzale de Gasperi è pericoloso. È in mezzo alla città, bisogna stare attenti alle auto. Mio fratello, ogni volta che ci va, deve essere guardato in continuazione perché si ha paura finisca in strada». «Spazi di divertimento, residenziale, commerciale e parcheggio - afferma invece Lucio Bassanese, proprietario dell' enoteca Bere Bene - come destinazione mi sembra abbastanza intelligente e soprattutto in sintonia con quelle che possono essere le esigenze del rione, tanto più che ora c'è anche in corso la ristrutturazione della ex fabbrica Sadoch, realizzata all'epoca dall'architetto Romano Boico». Ormai l'edificio della Fiera «è fuori dal tempo. A parte la fiera del caffè, che poi comunque si è spostata e che è internazionale, tutte le altre che sono state fatte nel frattempo erano senza una logica e senza un ritorno perché mi pare il bilancio fosse negativo da tanti anni e non di poco. Rispetto alle altre fiere, ci sono differenze lunari per parcheggio, organizzazione ecc., non ha i servizi - dal casello autostradale ci vuole almeno un' ora per entrare in fiera. Se poi dovessero dare anche un indirizzo migliore all'ippodromo, che è un'altra palala al piede, sarebbe meglio, perché non muove nulla, ci sono quattro gatti che vanno ad assistere e a giocare, è tutto fermo agli anni 60 - 70 come affermano quelli che lo frequentano e vengono da fuori». Maurizio Godnic, del bar Wayra, è proprio contento di questo cambio di rotta per un luogo abbandonato ormai da tanto tempo. «È una bella soluzione, soprattutto perché sono degli austriaci i nuovi proprietari e hanno le idee più chiare di altri nel fare qualcosa di costruttivo perché la zona è stata abbandonata da decenni. Io son qui da 31 anni e la fiera è sempre stata - diciamo - meno fiera perché tutte le manifestazioni sono state spostate man mano in altri luoghi. Anche l'ex Caserma di via Rossetti sarebbe da rivalutare». E quanto pesava questa zona così vuota, lui lo sa bene. «Quando c'erano le fiere qui si lavorava anche la domenica, tutto il giorno, c'era un passaggio e un continuo via vai». E poi c'è anche l'ex fabbrica Sadoch che rappresenta un’altra sfida per rivitalizzare questa parte di Trieste. «È in disuso praticamente da 20 anni. Ora è stata riavviata la procedura per costruire appartamenti. Qualcosa insomma si muove».
Benedetta Moro
Il laghetto di Percedol attende il salvataggio di Comune e Regione - Definito l’impegno a un sopralluogo congiunto alla conca e ad altri siti naturali che versano in cattive condizioni
Il progetto di chiusura con un tappo in cemento dell’inghiottitoio d’acqua era stato prima definito e poi bloccato in extremis
A breve il Comune di Trieste effettuerà assieme ai delegati degli assessorati regionali al Territorio e all’Ambiente un sopralluogo alla conca di Percedol, al laghetto di Contovello e ad altri siti naturalistici e antichi sentieri che versano in condizione di criticità. L’intento è di reperire quelle attenzioni e quegli aiuti assolutamente necessari per effettuare manutenzioni straordinarie e ordinarie indispensabili per assicurare un futuro a una serie di ecosistemi oggi in serio pericolo. L’informazione arriva dall’assessore comunale al Territorio, Urbanistica e Ambiente Luisa Polli, intervenuta alla seduta della Commissione per la trasparenza comunale, riunitasi agli ordini del suo presidente Roberto De Gioia per far luce sulla situazione del tutto precaria in cui versa la conca di Percedol con il suo pittoresco laghetto. L’approfondimento sul tema è stato chiesto dall’ambientalista e rappresentante di Legambiente Tiziana Cimolino: «Siamo in tanti a essere preoccupati per la salute della conca di Percedol, con il suo specchio d’acqua sempre più ristretto anche per la presenza di sedimento e tante specie arbustive che ne erodono l’area. Sappiamo che lo scorso mese è stato effettuato un intervento manutentivo diverso da quanto precedentemente previsto - afferma la Cimolino - ma il recupero del sito passa attraverso una ben più lunga serie di lavori che, a quanto consta, sono stati rimandati al prossimo inverno, ovviamente per non disturbare il risveglio primaverile della natura. Intanto le condizioni di salute del laghetto si aggravano». La conca di Percedol, che ricade nel territorio gestito dal Comitato degli Usi Civici opicinese, è un sito di importanza comunitaria, o meglio una Zona Speciale di Conservazione inclusa nell’ambito del progetto comunitario di “Natura 2000”. A causa della presenza di un inghiottitoio naturale che assorbiva lentamente ma inesorabilmente l’acqua, il Comune aveva deciso di intervenire con l’otturazione del sifone e la conseguente bonifica del sedimento marcescente accumulatosi nel letto del laghetto. I lavori, autorizzati dal Servizio paesaggio e biodiversità della Regione e diretti dal direttore del Servizio dei Musei scientifici di Trieste Nicola Bressi, prevedevano l’utilizzo di una sorta di “tappo” di cemento per la chiusura dell’inghiottitoio. «Un’operazione dettata dalla logica - ha fatto presente Bressi alla commissione - anche perché in precedenza i tentativi di otturazione con argilla e tessuto speciale non avevano sortito alcun effetto. Il mio consiglio di realizzare in sostanza una botola in cemento era stato valutato e concordato con tutte le autorità preposte, autorizzato dopo che gli Usi Civici avevano adempiuto alla lunga raccolta di tutti i permessi. In tre anni, con interventi diversi, avremmo inoltre ripulito dai sedimenti l’alveo e i dintorni del laghetto, rimettendo in sesto tutta la conca». Il progetto di Bressi però è rimasto sulla carta. A poche ore dall’esecuzione dei lavori, lo scorso marzo, l’intervento di un soggetto non ancora individuato portava la Regione a bloccare la realizzazione della copertura in cemento e a preferire il riutilizzo di argilla e di tessuto speciale per chiudere il sifone, riproponendo, in sostanza, quanto già fatto in precedenza. A occuparsi dei lavori di copertura una ditta locale. «È chiaro che a qualcuno l’utilizzo del cemento abbia creato delle inquietudini - ragiona Bressi - ma la preoccupazione era infondata. L’occultamento dell’inghiottitoio prevedeva una gettata minima, successivamente occultata da uno strato d’argilla. E a ogni modo, il tempo e la natura avrebbero provveduto in qualche maniera a far legare il calcestruzzo con la pietra carsica. Ricordo poi che la conca di Percedol non è una foresta vergine. Nel passato veniva utilizzata per abbeverare i cavalli lipizzani. Quando lo specchio d’acqua era ben più ampio, veniva utilizzata per pattinare, e il governo austriaco aveva provveduto a realizzare qui un capanno per il noleggio dei pattini. Di quella struttura sono ancora visibili le fondamenta in cemento. Gli alleati a suo tempo avevano piantato qui querce rosse americane e abeti che, sebbene ambientatisi, non appaiono di certo alberi tipici delle nostre doline. Va da sé - conclude - che con un minimo intervento, utilizzando un po’ di cemento, avremmo potuto risolvere definitivamente i problemi di Percedol». In attesa del sopralluogo annunciato, i lavori di asporto dei sedimenti potranno ricominciare solo a partire dal tardo autunno.
Maurizio Lozei
IL PICCOLO - MARTEDI', 11 aprile 2017
Fiera comprata per dodici milioni da un misterioso
gruppo austriaco - Patrimonio»la svolta
La vendita del comprensorio costringerà ora la Trieste Atletica e il
Comitato per il Carnevale a lasciare i padiglioni attualmente in uso
Case, negozi, supermercati, parcheggi. Un pezzetto di città, da anni nel
degrado, potrà finalmente rinascere. Ieri il Comune ha messo a segno il primo
importante atto per il futuro della Fiera di Trieste. Il grande comprensorio è
stato battuto all'asta: ad aggiudicarselo una società austriaca. Il contratto di
vendita, stando alle primissime indicazioni dell'operazione, sarà ufficializzato
entro l'estate. Il nome esatto dell'imprenditore, per ora, resta top secret.
Vicenda di una certa riservatezza, par di capire. Nemmeno l'assessore che ha
seguito la partita, Lorenzo Giorgi, può sbottonarsi più di tanto. Ma il
risultato è certo e pure la cifra con cui è avvenuto il passaggio: 12 milioni e
318,44 euro. Il gruppo austriaco ha dunque offerto 2 milioni in più rispetto
alle valutazioni iniziali. Giorgi parla di «autentico miracolo». La notizia
dell'acquisto ieri ha cominciato a circolare attorno a mezzogiorno. «Vero, ce
l'abbiamo fatta», ha subito ammesso, con soddisfazione, l’esponente della giunta
Dipiazza. «Per arrivare a questo esito, veramente sorprendente, ho dovuto
vestire i panni dell'immobiliarista - scherza Giorgi - ci è andata bene». Ma
cosa ne sarà del complesso edilizio, ora praticamente abbandonato? Le ipotesi si
rincorrono, proprio perché molte sono le opportunità offerte dal Piano
regolatore. «In quell'area si possono costruire residenze - ricorda Giorgi - ma
anche locali commerciali e posti auto, di cui il rione ha un bisogno direi quasi
vitale». Probabilmente la zona si trasformerà nella somma di tutto ciò. «Può
darsi, vedremo», annuisce l'assessore. Una cosa, però, è certa: nei padiglioni
di Montebello non potranno più trovare ospitalità i soci della Trieste Atletica
e i carri mascherati del Palio dei rioni. Entramne le realtà, accolte
provvisoriamente nei padiglioni vuoti e inutilizzati, saranno ora costretti a
sloggiare. Il Prg fa da punto di riferimento non solo per le destinazioni d'uso
di edifici e piazzali, ma per l'intera pratica. Compresa la parte economica: le
stime aggiornate sul valore dell'area, passate da 7 milioni a 10 milioni e
304.273,03 euro, derivavano dalle modifiche urbanistiche apportate al documento.
Era quella, dunque, la base d'asta su cui contavano i soci della spa in
liquidazione (Comune, Provincia, Camera di Commercio). L'investimento che adesso
si prospetta in quel perimetro, tra demolizioni e nuove edificazioni, si aggira
a circa 60 milioni di euro. Non poca cosa per lo zoppicante tessuto economico
cittadino. «Già - riflette Giorgi - questo significa lavoro per i triestini». Si
tratta in effetti di una zona che si estende per quasi 20 mila metri quadrati,
compresa tra piazzale De Gasperi, via Rossetti, da via Revoltella e via Sette
Fontane, di cui ben 7.160 scoperti, per un volume fabbricabile di 108 mila metri
cubi. Per la quantificazione del valore immobiliare era stato impiegato un
parametro di 2.250 euro al metro quadrato, per quella commerciale 2.047 euro;
per la parte uffici, invece, la cifra ammontava a 2119 euro al mq. A ciò si sono
aggiunti i potenziali ricavi che potrebbero arrivare dai posti auto e box da
vendere. «Ho trascorso giornate intere a lavorare sul discorso fiera -
sottolinea ancora - e averla ceduta, nonostante tutti avessero escluso qualsiasi
possibilità, è un dato sorprendente. Poi il fatto di aver ottenuto 12 milioni di
euro...beh, non si può che essere raggianti». Tirando le somme, considerando
l'assetto societario, al Comune di fatto vanno poco meno di 4 milioni. «Sono
risorse che andranno a bilancio al capitolo alienazioni, da impiegare per opere
pubbliche che altrimenti non sarebbero finanziabili».Gli altri 8 milioni e 21
mila euro, invece, sono attribuiti all'ente Fiera spa (di cui il Comune detiene
il 25,50% delle quote). Di questi, 6 milioni saranno usati per pagare i debiti
dell'ente. «Debiti che, se non fossimo riusciti a vendere la Fiera, sarebbero
ricaduti sul Comune, anche perché la Provincia non esiste più. Ma al di là del
discorso contabile, ciò che è importante dire è che l'area andrà trasformata con
investimenti da 60 milioni di euro».
Gianpaolo Sarti
Ma l’ex caserma è terra di nessuno - In passato le
istituzioni avevano pensato di riqualificarla per sistemarci le succursali di
scuole superiori. Poi il nulla
Il quartiere è costretto a convivere anche con un altro rudere. Proprio di
fronte alla Fiera di Montebello, ecco stagliarsi in tutto il suo degrado l’ex
caserma Vittorio Emanuele III. Gli enormi edifici che si trovano nel perimetro
compreso tra via Rossetti, via Mameli e via Revoltella avrebbero dovuto ospitare
alcune succursali delle scuole superiori, in crisi di spazi e con evidenti
problemi strutturali. Di questo si era parlato in passato. Ma non se n’è mai
fatto nulla. L’ex caserma, chiusa dal 2008, nel frattempo è scivolata in un
deterioramento che appare irreversibile, documentato in più di un’occasione con
fotografie e video. I palazzi, i viali e le piazzette interne che un tempo
ospitavano militari e cerimonie, si sono trasformati nei luoghi privilegiati per
le incursioni di vandali e ladri. La rete che dà su via Mameli, accanto al liceo
scientifico Galilei, è divelta in più punti. Entrare, saltando oltre il muretto,
è semplicissimo. Le vetrate dei palazzi, come evidente, sono state rotte da
lanci di pietre o dai pezzi di cornicione che si sono pericolosamente staccati
dai tetti con la bora. Per non parlare degli interni, completamente devastati.
Così i saloni, le camere e le scalinate. Ma anche i muri, le porte e i pochi
arredi rimasti: non c’è nulla che si salvi più. Un’operazione selvaggia che si è
concentrata con particolare accanimento sulle decine di bagni che si trovano
nelle camerate e negli ex uffici della caserma: lavandini, docce e wc sono stati
presi a picconate dappertutto. Probabilmente blitz organizzati con il solo scopo
di spaccare tutto. Ma le incursioni dei vandali spesso sono accompagnate dai
falò che vengono appiccati all’interno delle stanze: su varie pareti e in più
punti dei pavimenti delle stanze le tracce sono inequivocabili. Nei corridoi
qualcuno ci ha lasciato pure la firma, con i “tag”: sono i graffittari, con le
loro bombolette colorate abbandonate per terra. Per non parlare del grande
palazzo di rappresentanza, quello che si scorge da via Rossetti: un edificio
elegante, con i pavimenti in parquet di rovere o marmo e gli stucchi sui
soffitti. Distrutto pure quello. Oggi sulle porte degli uffici sono ancora
visibili le targhette con i nomi degli ufficiali che in passato abitavano questi
spazi, così come le insegne del Primo Reggimento San Giusto. O, nel grande
piazzale in mezzo alla caserma, i cippi commemorativi. Mentre i vandali
devastano, i ladri rubano. Cosa? Soprattutto il materiale elettrico portato via
da quadri, cassette e magazzini di servizio. E i cavi, ovviamente, la merce
evidentemente più preziosa e commerciabile. In ogni angolo del comprensorio,
come raccontato in passato, sono state accatastate decine di bobine. Si sono
portati via il rame, i ladri. L’abbandono del comprensorio aveva suscitato
proteste: qualche anno fa una parte dell’ex caserma era stata occupata dai
centri sociali. Il gruppo Zlt (Zona liberata di Trieste) aveva organizzato una
spedizione come gesto simbolico. Chiedevano di restituire gli spazi abbandonati
alla città, per farci «un hub di libertà ed entusiasmo».
(g.s.)
I lavori del 2015 senza alcun seguito - All’epoca voci,
poi smentite, di un restyling finalizzato all’accoglienza
La caserma come spazio di accoglienza per i richiedenti asilo. Anche di
questo si è discusso in passato, con tanto di polemiche politiche e interventi
istituzionali a smentire i timori di alcuni. È accaduto nel corso del 2015, in
piena emergenza profughi. Era fine estate: i residenti erano stati messi in
allarme da un insolito via vai che si vedeva all’interno dell’edificio che, come
noto, un tempo ospitava il Battaglione San Giusto. Ma in realtà si trattava di
semplici interventi di manutenzione dei vialetti e degli spazi esterni, in
particolare. Un modo per rendere un’area da 50mila metri quadrati un po’ più
gradevole per eventuali acquirenti. Era stato l’ente proprietario dell’immobile,
Cassa depositi e prestiti, a rassicurare i cittadini: «Abbiamo allestito una
sorta di piccola gara propedeutica alla trasformazione dell’area», avevano fatto
sapere i funzionari di Cdp. La gara era stata aggiudicata a Forte Bis, nel pieno
rispetto di quanto programmato anche con il Comune, come emerso all’epoca, che
risulta l’ente gestore dell’area dopo il passaggio con il Demanio. «La stanno
pulendo e risistemando - confermava l’allora assessore Elena Marchigiani - per
poi metterla sul mercato nel pieno rispetto di quanto contenuto nel Piano
regolatore». Documento che prevede, in quella zona, aree verdi e un polo
scolastico. La Provincia aveva proposto di realizzare in quell’area due
succursali del Galilei e del Petrarca, attualmente le scuole in maggiore
difficoltà di spazi visto che le attuali dependance di via Battisti, all’ex
Volta, e di largo Sonnino non appaiono sufficientemente adeguate per i ragazzi.
(g.s.)
IL PICCOLO - MARTEDI', 11 aprile 2017
Duello sulla Ferriera tra Serracchiani e la iena -
Blitz di Nadia Toffa. Ma la governatrice tiene testa: «Non faccia la spiritosa
sulla salute della gente»
Ha cercato di scandire le parole senza farsi dominare dall’irritazione, ha
parlato persino sopra la propria interlocutrice, zittendola a un certo punto con
un sorprendente «non faccia la spiritosa sulla salute dei cittadini», Debora
Serracchiani tiene botta alla iena delle “Iene”, a quella Nadia Toffa che ormai
s’è fatta davvero una cultura in fatto di Ferriera con tutte le interviste-blitz
compiute in prima persona sull’argomento. Il teatro della più classica delle
“imboscate” utilizzate dagli inviati del noto programma tv - ovvero l’intervista
a sorpresa a un personaggio mentre questi sta presenziando a un incontro
pubblico - è stata in questo caso la Fiera di Verona, dove la governatrice della
Regione si trovava per Vinitaly. Aveva appena concluso un’intervista con Daniele
Damele allo stand dell’Ersa e si stava preparando a un incontro sulla Doc
interregionale del Pinot Grigio delle Venezie insieme al ministro Maurizio
Martina e al presidente del Veneto Luca Zaia. Serracchiani si è ritrovata
davanti la iena Toffa, e subito si è creato intorno alle due un prevedibile
capannello di curiosi e giornalisti (sul sito del Piccolo è possibile sentire
l’audio integrale di “Udinese TV”). «Ne abbiamo parlato un sacco di volte solo
che voi non ci date retta», ha attaccato la governatrice quando ha saputo quale
fosse l’argomento. «Ma ci dica qualcosa di diverso», la lucida replica di Toffa.
«Tutti i dati sull’inquinamento sono migliori rispetto agli ultimi dieci anni,
pensi un po’», ancora la presidente del Fvg, che poi ha tentato pure lei di fare
una domanda: «Ma pensa che uno dorma tranquillo?». «Mi auguro di no», la
risposta della iena. «Le posso assicurare di no», la controrisposta. «Ma neanche
i cittadini... non è un’industria pulita», la risposta alla controrisposta. «Ma
lo sta diventando con fatica, nessuno ha la bacchetta magica sa, tutti gli
interventi che sono stati fatti in quel posto non erano stati fatti negli ultimi
venti anni, ci faccia lavorare», ha quindi insistito Serracchiani adottando la
stessa strategia dell’intervistatrice, cioè coprire la voce dell’altra. «Vado a
firmare questo accordo il 19, glielo consegno così lei legge che c’è un impegno
vero nei confronti dei cittadini», ancora la governatrice riferendosi
all’intervento dell’Istituto superiore della sanità a Servola. Ok ma le fumate
arancio? «Spariranno anche quelle... Ci vediamo fra un po’ e vediamo se
l’abbiamo fatto». C’è da star certi che le “Iene” torneranno a chiederne conto.
COMUNICATO STAMPA - LUNEDI', 10 aprile 2017
LEGAMBIENTE: PERCHE’ IL PROGETTO “SMART GAS” E’ STATO BOCCIATO
Contrariamente a quanto riportato sulla stampa, la
bocciatura del progetto di rigassificatore SMART GAS è principalmente legata a
questioni tecniche specifiche e non certo ad un ipotetico conflitto fra tutela
ambientale ed industria.
Basta iniziare a leggersi la documentazione. La Regione FVG ha emanato tre
delibere sulla questione; nell’ultima si legge: “La Regione FVG evidenzia
l’assenza di uno studio che rilevi l’attuale grado di occupazione del canale del
porto “. Inoltre, sempre la Regione, sottolinea che:“Fatto ancora più rilevante
è l’assenza di valutazioni circa il massimo sviluppo del traffico marittimo che
il canale di accesso può sostenere”. La Capitaneria di Porto inoltre afferma
che: “Intorno alla nave gasiera si prevederà, similmente a quanto già attuato
presso impianti analoghi, un perimetro di sicurezza nel quale sarà vietata la
navigazione a tutte le altre unità”. La Regione rileva che: “Tale prescrizione
comporta, di fatto, la totale interdizione del traffico portuale a causa della
estrema vicinanza tra la banchina di ormeggio della nave gasiera ed il canale di
accesso al porto . Posto che altre navi, salvo casi eccezionali, non potranno
entrare o uscire dal Porto di Monfalcone per tutte le 21 ore di operazioni
necessarie per lo scarico del GNL”. Riguardo alla presentazione di alternative
di progetto che sono un obbligo di legge per valutare le possibili
minimizzazioni degli effetti di un’opera sempre la Regione sottolinea come:
“Dalla lettura della relativa documentazione si comprende come l’analisi delle
alternative sia lacunosa sia in relazione all’opzione zero, sia in relazione
alle alternative progettuali praticabili”. Per quanto riguarda la cassa di
colmata: ”le opere a mare, oltre a determinare un’occupazione permanente su
ampie superfici che coinvolgono anche praterie di fanerogame marine, possono
potenzialmente determinare modifiche al regime idrodinamico nell’ambito
circostante alle opere realizzate. Tali modifiche non sono state analizzate in
modo approfondito con un modello idrodinamico, come richiesto
dall’Amministrazione Regionale.” Nel parere emesso dalla Commissione tecnica di
verifica dell’impatto ambientale VIA, il 21/10/2016, leggiamo una nota della
Capitaneria di porto che recita: “l’attività del rigassificatore è dichiarata
incompatibile con quella dello stabilimento Fincantieri e pertanto l’una esclude
l’altra ”. Sempre la Capitaneria di Porto, relativamente alla manovrabilità
delle navi gasiere, invita il proponente a rivedere l’intero studio. A questo va
aggiunto il parere del Ministero del Paesaggio e dei Beni culturali, il quale
afferma in conclusione: “La realizzazione della cassa di Colmata costituisce
sicuramente una notevole modifica della linea di costa, tale da risultare
evidente, poco mascherabile da qualsiasi veduta e, morfologicamente
incompatibile”. Per quanto riguarda la parte naturalistica, in realtà le
obiezioni principali sul progetto SMART GAS, relative ai disturbi arrecati
all’avifauna, si riferiscono sostanzialmente al rumore, ed è abbastanza evidente
che le questioni che hanno portato alla bocciatura riguardino prima di tutto i
contenuti tecnici del progetto su cui, per ben due volte, Legambiente ha
presentato osservazioni dettagliate che, almeno in parte, sono state accolte
dalla Regione e dalla Commissione VIA nazionale. Speriamo che queste
precisazioni possano portare un minimo di chiarezza su una questione che
rischia, paradossalmente, di santificare un progetto con mille lacune (e
l’imprenditore che lo ha proposto), tentando, anche in questa circostanza, di
far passare un’immagine caricaturale della tutela dell’ambiente, cosa che, in
questo momento, sembra far comodo a molti.
Legambiente - circolo “Ignazio Zanutto” Monfalcone
IL PICCOLO - LUNEDI', 10 aprile 2017
E via della Cattedrale dà l’addio alle auto - Intesa
bipartisan sulla pedonalizzazione della parte finale della strada. Il rebus
Soprintendenza
San Giusto rinasce. Il Porto vecchio, assopito da decenni, riprende pian
piano a vivere. E via della Cattedrale invece sta per chiudere alle auto. Ma
solo nella sua parte finale. Per la precisione all'altezza del Museo civico di
Storia e Arte e fino al piazzale. Evviva la pedonalizzazione dunque, residenti e
Soprintendenza permettendo ovviamente. A constatarlo la V commissione
consiliare, che ha fatto un sopraluogo recentemente assieme all'assessore
all'Urbanistica Luisa Polli. Sono due le mozioni che si sono unite per
richiedere di rimettere in sesto l'area. Da una parte Forza Italia e in
particolare Manuela Declich, che è anche presidente della V. «Trieste - ha
spiegato - vede ormai nel turismo una delle sue principali forme di sviluppo. È
giusto, dunque, mettere a posto e rendere quantomeno dignitosa quest'area». E
l'idea piace a tutti, sembra. Sull’altro fronte il consigliere pentastellato
Gianrossano Giannini, che invece preme sul rifacimento della pavimentazione in
masegni, rialzati da radici degli alberi che bucano il selciato e macchine che
sforzano il pavimento. Ma «essendoci un vincolo - spiega Declich - bisogna
sentire la Soprintendenza sia per il rifacimento della pavimentazione che per la
pedonalizzazione perché se si inseriscono dei paletti che quindi potrebbero
forare il suolo, anche in quel caso ci vuole il loro parere». È per questo che
come data di decisione si è stabilità l'estate. Meglio fare le cose con calma ma
giuste insomma e prendere dunque un po' di tempo. L’assessore Polli assicura che
in breve tempo si capirà il da farsi. « È chiaro - ha annotato infatti,
riferendosi alla Soprintendenza - che ogni nostra mossa dovrà essere effettuata
in piena sintonia con loro, cui compete l'ultima parola». Poi bisogna sondare
per bene il pensiero dei residenti del colle che potrebbero perdere almeno venti
posti auto. Un cambiamento non da poco per coloro che usano ogni giorno l'area
vicina a casa per trasportare i passeggini per bambini oppure le carrozzine per
i disabili. In effetti in questi casi in particolare un mezzo a quattro ruote
sotto casa fa più che comodo. Per non parlare in generale della richiesta sempre
presente dei triestini che si lamentano della carenza di stalli nelle aree
residenziali di san Vito, ma non solo, in tutta l'area del borgo Teresiano e di
quello Giuseppino. E di parcheggio selvaggio in questi ultimi mesi se n'è
discusso abbastanza.
(b.m.)
Maxirotatoria in viale Miramare per aprire Porto vecchio alla città - PROGETTI: L'ANTICO SCALO
Al via entro aprile i lavori di realizzazione del “quadri-incrocio” che consentirà subito l’ingresso anche alle auto in arrivo dal centro. A fine anno l’apertura del collegamento con largo Santos
Viabilità e cultura. Sono le due direttrici lungo le quali inizia a prendere forma concretamente la rivoluzione Porto vecchio, dopo il “passaggio di proprietà” - da Autorità portuale a Comune - firmato lo scorso 31 dicembre. A giorni, infatti, l’amministrazione metterà mano alla strada di accesso di viale Miramare, che tornerà ad essere parzialmente percorribile, in attesa del “prolungamento” fino a largo Santos. Mentre, sul fronte culturale, il Municipio si prepara a gestire direttamente i gioielli forse più preziosi dell’enorme area: Sottostazione elettrica, Centrale idrodinamica e Magazzino 26. Una decisione, quella di iniziare il nuovo corso proprio dai contenitori culturali, che prende le mosse anche da un particolare bisogno: «La richiesta di spazi per le attività culturali avanzata ai miei uffici sta diventando incontenibile», afferma l'assessore competente Giorgio Rossi. Ma andiamo con ordine e partiamo delle novità sul fronte viabilità. «Entro un mese - annuncia Rossi - partiranno i lavori per ampliare la rotatoria che al momento s’imbocca da viale Miramare per infilarsi in Porto vecchio». Si renderà così fruibile per tutti l’accesso diretto all’area dei tre edifici che per ora, ufficialmente, così avviene per il resto della strada che porta dalla stazione all'interno del Porto, è riservata solo agli addetti ai lavori delle banchine. Bisogna sottolineare infatti che la linea di costa è comunque di pertinenza dell'Autorità portuale. E nel frattempo si progetta entro l'anno - utilizzando 3 milioni e mezzo dei famosi 50 assegnati dal ministero per quel “grande attrattore transfrontaliero” -, di ripristinare una cintura che renda fruibile interamente il percorso in mezzo ai magazzini: la bretella che va dalla stazione allo sbocco di viale Miramare. La viabilità, definita da Rossi «questione fondamentale e prioritaria vista l’attuale precarietà delle superfici e delle pavimentazioni che sono accidentate e strettamente legate all'accesso», verrà così modificata e migliorata. Quella piccola rotonda, oggi poco praticata, quasi invisibile e in un’unica direzione, che permette l'accesso da Barcola al Porto vecchio, oppure da quest'ultimo alla città, si espanderà su viale Miramare, diventerà un “quadri incrocio”. «Invaderà viale Miramare - spiega Rossi - e permetterà anche a chi viene dalla città di inserirsi in Porto vecchio. Noi vogliamo entrare in Porto vecchio dalla rotatoria, lasciando tutta la parte ferroviaria all'accesso dei soli concessionari. Ci sarà un'iniziale sperimentazione di sei mesi attraverso una serie di new jersey». La destinazione è l'area attorno al Magazzino 26, alla Centrale idrodinamica e alla Sottostazione, «la parte più salvaguardata dal punto di vista della sicurezza» sottolinea. Un percorso che sarà godibile anche coi mezzi pubblici. «Discorso - prosegue Rossi - che affronteremo con Trieste trasporti, in modo da andare a dare vitalità a quella zona e valorizzare poi l’attività museale espositiva perché da lì cominci a pulsare il cuore di Porto vecchio». E qui si inserisce il possesso dei tre contenitori che, almeno nella fase iniziale, consiste soprattutto in questioni prettamente burocratiche. Ovvero «la presa in carico di una serie di nodi cruciali: l'assicurazione, la responsabilità, il rispetto delle normative antincendio, l'inventario dei mobili - specifica l'assessore -. Parliamo infatti di edifici che nell'arco di questi anni sono stati sottoutilizzati. Questa disponibilità - che vede ad esempio la Centrale idrodinamica, magnifica con un salone da 200 posti e il Magazzino 26 nella parte ristrutturata con altri 300 -, deve essere sfruttata il prima possibile, anche perché l’assessorato alla Cultura è subissato di richieste di spazi per organizzare attività culturali. Le “fame” di spazi sta diventando davvero incontenibile». Ultimo step, come detto, sarà la realizzazione del collegamento stradale tra la stazione e la nuova maxirotatoria. «Un’infrastruttura dal grande valore anche simbolico - conclude Rossi - , perchè consentirà davvero di aprire il Porto vecchio alla città».
Benedetta Moro
La vendita impossibile delle zavorre del demanio - Roma tenta la carta del web per piazzare sul mercato gli immobili abbandonati
Censiti in Friuli Venezia Giulia 32 complessi tra palazzi, ex caserme e bastioni - Gli immobili del demanio messi in vendita sul web
TRIESTE Soprattutto ex caserme, ma anche fabbriche dismesse, palazzi storici, terreni. Proprietà dello Stato, e in qualche caso dei Comuni, che Roma spera di vedere riutilizzate con il coinvolgimento dei privati. Nulla di semplice a dire il vero. A partire da Trieste. «I prezzi di vendita dei beni demaniali possono anche essere bassi - osserva l'assessore al Patrimonio e Demanio Lorenzo Giorgi -, ma si tratta di immobili quasi sempre abbandonati in zone in cui tra l'altro è quasi inimmaginabile ipotizzare operazioni di sviluppo». La mappa completa compare nella nuova sezione della piattaforma digitale Opendemanio, dedicata alle principali iniziative di rigenerazione e riuso in corso sul patrimonio immobiliare pubblico nazionale. Un totale di 323 azioni di valorizzazione che coinvolgono 410 immobili in tutta Italia. In Friuli Venezia Giulia se ne contano 32 (di cui 20 nella sola Palmanova), da Tarvisio a Trieste. Su Opendemanio i beni sono geolocalizzati. È possibile isolare il patrimonio delle regioni, come quello delle città. Un insieme di edifici militari e costieri, pure i fari, e molti altri immobili che si punta a far rinascere attraverso percorsi amministrativi, finanziari e urbanistici che ridisegnino il territorio arricchendolo di nuovi servizi e opportunità di crescita. Trieste mette in fila nel portale 7 immobili, che il demanio ha già messo all'asta. Compaiono il complesso di edifici di via dei Papaveri e via dei Fiordalisi e l'area adiacente alla caserma della polizia di via Carsia a Villa Opicina (prezzo base 1.420.000 euro), che potrebbero avere una seconda vita residenziale, e altre iniziative che passano invece sotto le voci “mix funzionale” e “in corso di definizione”. A partire dall'ex iutificio adiacente al comando provinciale dei vigili del Fuoco (base d'asta 670mila euro), per proseguire con l'ex caserma dei carabinieri e fabbricati annessi al valico di Gropada (315mila euro), l'ex tenuta Burgstaller-ex caserma Monte Cimone a Banne, che è pure comparsa mesi fa nel sito “Investinitalyrealestate.com”, frutto di una collaborazione multiforze avviata dal ministero dello Sviluppo economico, dal ministero della Difesa, dall'Agenzia del Demanio e curata dall'Ice. In elenco anche un'altra caserma dei carabinieri a Basovizza (base d'asta 200mila euro) e le caserme di pubblica sicurezza di Roiano, almeno quelle un capitolo a parte. Bisogna ritornare indietro al gennaio 2015 quando la caserma di via Mascagni, nel comprensorio della Duchessa D'Aosta, zona Valmaura, è passata in carico alla Polizia stradale. Rimessa a posto e costruita dal Comune di Trieste in base a un accordo con il ministero dell'Interno e l'Agenzia del Demanio, prevedeva a compensazione l'acquisizione da parte del municipio dell'ampio compendio (circa 8mila metri quadrati) della caserma Emanuele Filiberto di Roiano, che nelle intenzioni dovrebbe poter essere utilizzata per spazi e servizi a uso della cittadinanza. In quegli 8mila mq, entrava più nel dettaglio l'allora assessore Andrea Dapretto, ci sarebbero stati una piazza multifunzione, un asilo e vari parcheggi. Nell'agosto scorso, dopo numerosi solleciti, e dopo che era evaporata l'ipotesi di utilizzo come hub per migranti, il Demanio ha aperto un cantiere per la rimozione delle cisterne sotterrate nell'atrio del comprensorio, primo passo di un percorso ormai avviato e che, fa sapere Giorgi, vedrà entro fine maggio la demolizione dell'ex caserma, in tempo per non perdere i finanziamenti di un'opera che si inserisce all'interno del programma di riqualificazione urbana Prusst: investimento complessivo di circa 8 milioni di euro, derivanti da finanziamenti regionali (quasi 6 milioni), statali (un milione e 300mila euro) e comunali (600mila). Una rivoluzione lenta quella di Roiano, in realtà, se si tiene conto che l'intervento di riqualificazione non sarà concluso prima del giugno 2021. «Un'opera purtroppo ridotta nelle proporzioni rispetto a quelle che si sarebbe potuto fare», sottolinea inoltre l'assessore bocciando più in generale l'offerta del Demanio: «Se mi propongono un Dc-9 posso essere gratificato, ma cosa me ne faccio? Gli investimenti sono i benvenuti, speriamo che qualcuno possa avere risorse e idee, ma è difficile che un patrimonio su cui c'è stata poca manutenzione per decenni possa diventare appetibile. L'importante, per Trieste, è che non si creino terre di nessuno». Guardando agli altri beni demaniali della regione inseriti nella piattaforma spuntano le caserme Lamarmora e Toti-Bergamas di Gradisca (messa così male che il Comune ha recentemente disposto, per la tutela della pubblica incolumità, il divieto di sostare in auto o percorrere la via lungo il perimetro dell'ex caserma). Varie altre ex caserme anche a Udine (nella Cavarzerani alcuni lavori sono stati realizzati per l'accoglienza migranti), Tarvisio e Palmanova.
Marco Ballico
SEGNALAZIONI - Parco del mare - Il progetto che non c’è
Parco del mare, Consiglio comunale del 6 aprile 2017 (io c'ero): esame e discussione di un progetto che (come l'isola) non c'è. Ingenuamente ci si aspettava che i proponenti presentassero (come promesso) qualcosa di simile ad un progetto. Lo facevano presagire proiettore e schermo in sala. Invece ci hanno mostrato le brutture intorno alla Lanterna, e uno spot di quasi venti minuti su quant'è bello e bravo l'Acquario di Genova. Agli invitati esterni, che bene o male dovevano parlare di un possibile Acquario a Trieste, solo cinque minuti, per non sforare sui tempi. D'altra parte è comprensibile: come si fa a mostrare un progetto che non c'è, grande o piccolo che sia? A questo proposito è stato spiegato che il ridimensionato annunciato qualche giorno prima dal dottor Paniccia era frutto, in realtà, di un equivoco: i giornalisti avevano frainteso le sue parole. Il progetto che non c'è restava quello di prima. Quello stesso che era stato presentato ripetutamente negli anni alle istituzioni, ha ribadito il presidente della Camera di commercio. Sul progetto che non c'è sono stati però condotti seri e oggettivi studi di previsione in merito a sostenibilità economica, flussi turistici, impatto urbanistico, ambientale, paesaggistico, opportunità ineludibile del sito. E poi si tratta di un'opera strategica (questa parola salta sempre fuori quando si vuol fare qualcosa ad ogni costo, magari contro l'opinione della gente): non si capisce come abbia potuto tirare avanti finora Trieste senza un acquario (grande, uno piccolo ce l'ha), con quelle due o tre cose nel suo patrimonio storico, culturale, scientifico, urbanistico, architettonico, paesaggistico. E poi come si fa a dire che il Parco del mare è un'ossessione di Paoletti, se sono solo 12 anni che ci pensa e ci prova? Qualche sprovveduto ha avanzato perplessità sul cosiddetto business plan, ovvero chi ci mette i soldi. È sicuro, o quasi, che da parte pubblica arriveranno (dovrebbero arrivare) circa una ventina di milioni. E i rimanenti ventisette? Esiste un privato disposto ad assumersi un simile onere, con un ritorno col contagocce lungo un quarto di secolo? In attesa di una risposta, qualcuno rassicuri il consigliere Porro: nella grande vasca dell'Acquario (se si farà) quasi sicuramente metteranno pesci, non bambini.
Carlo Dellabella
IL PICCOLO - DOMENICA, 9 aprile 2017
Tari ridotta a chi dona alimenti ai poveri - La giunta
recepisce la mozione di Forza Italia. L’adesione di Despar, Zazzeron, Pam e
Masiello
I commercianti e i pubblici esercenti della città che doneranno le eccedenze
alimentari ai più bisognosi godranno di riduzioni sugli importi della tassa
rifiuti. Va in questa direzione la delibera assunta in questi giorni dalla
giunta comunale, che fa seguito a una mozione presentata a suo tempo da tre
consiglieri comunali di Forza Italia, il capogruppo Piero Camber, Michele
Babuder e Alberto Polacco, e che aveva trovato subito il pieno sostegno dei
consiglieri della lista Dipiazza. Il documento trae spunto dalla nuova normativa
nazionale, la legge 166 dello scorso anno, che punta a contenere gli sprechi
alimentari, farmaceutici e di altri prodotti, che si verificano durante le fasi
della produzione, trasformazione, distribuzione e somministrazione. In base alla
delibera, il Comune assicurerà riduzioni sulla tassa sui rifiuti in proporzione
alla quantità degli alimentari donati. Più precisamente, nell'anno successivo a
quello in cui le donazioni saranno effettuate, per chi avrà regalato dai 5 ai 10
quintali la riduzione sarà pari al 6 per cento dell'importo dovuto, dai 10 ai 20
dell'8, sopra i 20 del 10. «Requisito indispensabile - hanno detto Roberto Cason
e Francesco Panteca (lista Dipiazza) - il tramite garantito dalle associazioni
di volontariato e dalle onlus, che cureranno la distruzione delle eccedenze
alimentari». «In questa maniera - ha sottolineato Camber - l'amministrazione
conferma la puntuale volontà di essere presente sul piano sociale, tendendo
contemporaneamente una mano concreta alle imprese commerciali, che stanno ancora
soffrendo per una diffusa crisi economica. Fa piacere rimarcare che siamo il
primo Comune della regione che cerca di andare incontro in modo fattivo alle
esigenze dei bisognosi, con un provvedimento articolato e organico».
All'incontro hanno partecipato i rappresentanti del gruppo Despar Nord Est,
Zazzeron, Pam Panorama e Masiello. Ma è stato spiegato che anche altri grandi
gruppi intendono mettersi a disposizione dei più bisognosi, rifacendosi al
dettato della delibera. Soddisfazione è stata espressa, per l'impegno del Comune
su questo fronte e per la disponibilità dei commercianti , dagli esponenti delle
associazioni di San Martino al campo e “Ti aiutiamo noi” e della Federazione
volontariato Fvg.
Ugo Salvini
Maxiappalto per la pulizia dell’altipiano - Gara da 3,6
milioni lanciata da AcegasApsAmga per spazzamento strade e raccolta rifiuti.
Bando bis da 9,3 milioni per la città
TRIESTE Un doppio appalto da quasi 13 milioni di euro lanciato da
AcegasApsAmga per tenere pulita Trieste e la parte del Carso inserita nel
perimetro municipale del capoluogo. Era dal 2012 che l’utility, appartenente al
gruppo Hera a sua volta partecipato al 4,6% dal Comune triestino, non bandiva
una gara per l’effettuazione di servizi ambientali: adesso, scaduto il
quinquennio, la società torna a saggiare curriculum e affidabilità delle aziende
specializzate. Due appalti per due aree distinte del territorio comunale, con
attività distinte. Il primo riguarda la zona urbana ed è articolato in due
lotti, per un totale di 9,3 milioni di euro: AcegasApsAmga richiede ai candidati
spazzamento manuale e meccanizzato del Centro storico (Circoscrizioni 3-4, zona
centro e zona nord) e della periferia (Circoscrizioni 6-7, zona centro e zona
sud), servizi stagionali, raccolta dei rifiuti solidi urbani, servizi accessori.
Il periodo richiesto è di due anni, allungabile - a discrezione dell’appaltante
- per ulteriori 12 mesi. Si possono presentare offerte anche per un solo lotto,
il cui valore è di 4,6 milioni. L’aggiudicazione prevede che su 100 punti il
criterio di qualità ne valga 70 e il prezzo 30. L’ultimo termine per presentare
la propria proposta scade giovedì 27 aprile alle ore 12. L’altro appalto si
concentra sulle Circoscrizioni 1-2-6, Altipiano e periferia est. AcegasApsAmga
mette in palio 3,6 milioni per lo svolgimento di attività in parte analoghe
all’altra gara e in parte differenti - in ragi8one delle diverse caratteristiche
zonali: spazzamento manuale e meccanizzato, raccolta “porta-porta” della
biomassa, raccolta ingombranti a domicilio, raccolta selettiva di imballaggi in
cartone, raccolta pile e servizi accessori. In questo caso non si procede a
lotti, in quanto - chiarisce il testo del bando - «considerata l’unità e
l’omogeneità del servizio ... non si ritiene strategica la suddivisione». Per il
resto le caratteristiche sono le stesse dell’altro appalto: la durata del
servizio è di due anni più un altro eventuale anno a discrezione dell’utility,
alla qualità vanno 70 punti e al prezzo 30. Varia di un giorno la scadenza delle
offerte: venerdì 28 aprile alle ore 12. La novità maggiore riguarda la durata
del servizio, decisamente più breve rispetto al passato: AcegasApsAmga, in linea
con le generali disposizioni di Hera, è passata dalla precedente modalità 3 anni
più due a quella - prima illustrata - dei due anni più uno. Vedremo il
gradimento degli operatori, che generalmente, per un’attività di questo tipo che
implica una buona conoscenza del territorio, sono di provenienza autoctona. E
vedremo anche come l’appalto integrerà le novità contenute nel recente Piano dei
rifiuti, recepito dall’Amministrazione comunale.
Massimo Greco
Mari e fondali a portata di touch - Prende forma l’Area
Wwf 3.0 - La Riserva marina di Miramare si prepara a fare il suo ingresso alle
ex Scuderie
L’obiettivo ambizioso è inaugurare la nuova struttura divulgativa entro
Natale
Gli operai hanno concesso ancora un po’ di riposo alla betoniera, in attesa
che il cantiere venga aperto ufficialmente. Gli spazi che accoglieranno i
visitatori, 200 metri quadrati in tutto, sono infatti ancora vuoti e immacolati.
La gestazione progettuale del Centro visite dell’Area marina protetta di
Miramare, che è stata lunga e ha coinvolto educatori ambientali, biologi e
naturalisti, giornalisti ed esperti di multimedialità interattiva, è finalmente
in vista del traguardo. È stato lo stesso direttore Maurizio Spoto, in occasione
del convegno “La natura: una bella storia da raccontare sul campo e nei centri
visite”, a rivelare alcuni dettagli sostanziali del progetto che vedrà la
trasformazione dell’ala destra delle ex Scuderie di Miramare. Le porte di quella
che diventerà «l’Area marina 3.0», come l’ha ribattezzata Spoto, sono state
aperte al Piccolo nel tentativo di immaginare quello che adesso appare chiaro
solamente sulla carta. I rendering e le planimetrie hanno così permesso di
visualizzare in anteprima ciò che vedranno i visitatori a lavori compiuti.
Diorami, plastici, riproduzioni a grandezza naturale, tecnologie 3D e
multimediali: la struttura gestita dal Wwf Italia disporrà di tecnologie di
ultima generazione che consentiranno alle persone di immergersi virtualmente
nella realtà degli ambienti marini e costieri protetti. La prima accelerata al
progetto era stata data alla fine del 2016 dalla firma dell’accordo tra il
ministero dell’Ambiente e il ministero dei Beni culturali, grazie al quale si
era arrivati, dopo non pochi travagli, a concedere alla Riserva statale una
nuova sede all’interno del parco asburgico. Adesso è arrivato il momento di
riportare la vita all’interno di un immobile che, nelle intenzioni del Wwf,
potrà dare ulteriore impulso alla crescita del principale sito turistico
regionale. «Dopo trent’anni di gestione di un centro visite dotato di numerose
vasche-acquari - ha spiegato Spoto - abbiamo deciso di coniugare le nuove
tecnologie con i sistemi classici di esibizione museale naturalistica per il
mare. Tra questi, per fini strettamenti didattici, ci sarà anche una vasca
tattile, la cosiddetta “touch tank”, che ospiterà piccoli molluschi e crostacei
per coinvolgere attivamente i visitatori di tutte le età. È attraverso
l’esperienza emotiva che si trasmette infatti la conoscenza e con essa
l'apprezzamento e il desiderio di cura e protezione dell’ambiente naturale». Il
team di progettisti ha scelto di adottare degli specifici strumenti di
interpretazione della biodiversità marina che permetteranno a chi varcherà le
porte del centro didattico di emozionarsi, al di là delle possibili barriere
legate a lingua, cultura o età. È stata prevista così la realizzazione di sei
percorsi di visita che si focalizzeranno sulle specie che abitano gli habitat
rocciosi, fangosi e sabbiosi del golfo di Trieste e dell’Alto Adriatico. Si
potranno scandagliare i diversi tipi di alimentazione dei gruppi animali, la
forma e le funzioni degli organismi marini, la loro riproduzione e i loro
atteggiamenti dal punto di vista comportamentale ed ecologico. Oltre a osservare
le sorprendenti e affascinanti stranezze con cui la biodiversità marina si può
manifestare, il Wwf Italia accenderà i riflettori sul cambiamento dei
comportamenti umani, come ad esempio quelli legati alla pesca, che
potenzialmente possono rivelarsi minacciosi per la biodiversità marina. A fianco
dell’ampia sala espositiva verranno poi realizzate un’aula didattica attrezzata
con laboratori per le scolaresche e una sala proiezioni che verrà dedicata a
Barbara Camassa, la fotografa subacquea collaboratrice di Miramare, autrice di
splendide immagini sottomarine utilizzate a supporto dei lavori scientifici e
delle pubblicazioni della Riserva marina, tragicamente scomparsa di recente.
Tuttavia la strada per l’apertura della nuova struttura divulgativa non è del
tutto priva di salite e di ostacoli. «All’appello mancano ancora 100mila euro -
ammette Spoto, che però non perde la speranza di inaugurare il centro didattico
entro il prossimo Natale -. Sono necessari per rendere completamente autonomo il
centro visite dal restante spazio museale. Solo il costo dell’impianto di
climatizzazione supererà i 70mila euro. Per questo abbiamo avviato
un’interlocuzione sia con l’amministrazione comunale che con quella regionale».
Un primo regalo, intanto, Spoto è riuscito già a scartarlo. Il canone di
locazione dell’ala destra delle ex Scuderie è stato fissato nella cifra poco più
che simbolica di quattromila euro l’anno. Un secondo cadeau, invece, è stato
promesso dal direttore ad interim Corrado Azzollini, il quale si è detto
disponibile a firmare una mini-concessione estiva per l’utilizzo del Bagno
Ducale, in attesa che la nuova direttrice Andreina Contessa prenda confidenza
con una realtà che, nonostante tutto, non smette di esercitare il proprio
fascino
Luca Saviano
Pola- Il bike sharing si amplia con nuove
ciclostazioni
POLA Si amplia a Pola il bike sharing, servizio di mobilità alternativa e
ecosostenibile con l'uso di biciclette a pedalata assistita da un piccolo motore
elettrico, introdotto dal Comune. Con la recente inaugurazione, vicino al
terminal bus nel rione di Siana, della terza ciclostazione in città dopo quelle
ai Giardini e in piazza del Popolo, il numero totale delle due ruote a
disposizione dei cittadini è salito a 18. A partire dall'introduzione del
servizio, due anni fa, ogni bici è stata noleggiata in media 3,8 volte al giorno
per una percorrenza media di 7,2 chilometri e una durata del noleggio di un’ora
e 15 minuti. In due anni le bici hanno percorso un totale di 34mila chilometri.
La quarta ciclostazione in arrivo è quella dell’insediamento turistico di
Verudella. Il servizio “Bicikleta” (questa la denominazione ufficiale) è
gratuito: si pagano solo 13 euro per le spese dell'apposita carta magnetica con
cui si può pedalare gratis tutto l'anno. Per i fruitori (300 finora le card
rilasciate) ci sono dei vincoli: le bici possono essere noleggiate per il
massimo di due ore alla volta e allo scadere del tempo devono venire riposte
nelle ciclostazioni.
(p.r.)
Convegno - Il ruolo chiave di Trieste lungo le rotte
del petrolio
“Le Vie Del Petrolio: Arabia - Trieste - Europa Centrale”. È il titolo del
convegno che il LimesClub di Trieste, in collaborazione con il Centro Veritas e
la Libreria Einaudi, organizzano martedì alle 18 alla sala Piccola Fenice di via
San Francesco 5 a ingresso libero. L’appuntamento, promosso in occasione della
pubblicazione dell'ultimo numero della Rivista Limes dedicato all'Arabia, vedrà
la partecipazione di Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità di sistema
portuale dell’driatico Orientale; Alessio Lilli, general manager Tal e
presidente e amministratore delegato della Siot; Diego LAzzarin, engineered
product manager Saipem-Sonsub. Modera Luciano Larivera, direttore Centro
culturale Veritas. Punto di partenza del convegno la consapevolezza che il porto
di Trieste è in una posizione geopolitica strategica sulle "Vie del Petrolio"
che alimentano le necessità energetiche dell'Europa centrale. Non a caso qui
opera da 50 anni l'oleodotto della Siot, che raggiunge la Germania
soddisfacendone il 40% del fabbisogno petrolifero ed il 90% di quello austriaco.
E che anche un'azienda leader nel settore delle perforazioni e manutenzioni
sottomarine come la Saipem abbia qui una sua importante base, grazie al
particolare regime di Porto franco tuttora esistente all' Adriaterminal in Porto
vecchio, destinata a diventare “Polo per la Robotica Subacquea" a livello
mondiale con importanti ricadute economiche e tecnologiche sull' intero
territorio. Davanti alle sfide di assicurare la sicurezza energetica e garantire
la transizione energetica secondo l'Accordo di Parigi sul clima, il convegno si
propone di illustrare le potenzialità attuali e future del Porto di Trieste nel
settore Oil&Gas e dell'alta tecnologia e la sua valenza strategica a livello
internazionale.
IL PICCOLO - SABATO, 8 aprile 2017
«Dubbi residui sul Parco del mare» - M5S e Pd dopo l’audizione di Paoletti in Consiglio: «Servono più informazioni»
Il grillino Menis: "non si è capito a quanto ammonta il finanziamento pubblico" - La dem Martini: "proiezioni molto ambiziose sulle future presenze"
«Non si è qui oggi per decidere se fare o meno il Parco del mare, il Consiglio sarà chiamato a decidere piuttosto sull’eventuale modifica del Piano regolatore, oggi siamo qui per approfondire il progetto». L’aveva già ben precisato giovedì sera Paolo Menis, il capogruppo dei Cinque Stelle, durante l’audizione in Consiglio comunale del presidente della Camera di commercio della Venezia Giulia, Antonio Paoletti, in loco per dare ulteriori dettagli sul progetto del grande “attrattore” turistico di Porto Lido. Ma come l’argomento scotta e divide la città, tra petizioni pro e contro, così c’erano diverse perplessità residue fra le forze politiche. Il dubbio prevalente? Una sorta di delusione per «la mancanza di dati». «Mi è sembrato che non ci fosse né bocciatura né entusiasmo né da una parte né dall’altra» ha commentato Fabiana Martini (Pd), che comunque sottolinea: «Non siamo contrari al progetto, ma ad alcune condizioni. Dalla seduta di giovedì sera ci aspettavamo maggiori risposte. Avevamo chiesto di valutare lo stesso progetto in Porto vecchio, ci aspettavamo una disponibilità in questo senso, perché anche se c’è Porto Lido, si sono aperte nel frattempo altre possibilità. In Porto vecchio ci sarebbe spazio anche per altri contenitori sul tema del mare». Ma le perplessità non sono finite. Si cerca di capire, prosegue Martini, anche la «sostenibilità economica, sui proventi della gestione non ci sono certezze e le previsioni fatte sono molto ambiziose e ottimistiche soprattutto sul numero di visitatori che poi dovrebbero appunto garantire l’equilibrio finanziario». Un’altra questione che aggiunge e scrive su Facebook l’ex sindaco Roberto Cosolini è «sapere se il rischio d’impresa della progettazione e costruzione è tutto pubblico (servono 45/50 milioni quindi altri 23/28 dopo quelli stanziati) o se coinvolge anche il privato gestore in qualche misura». Incertezza su temi tecnici lamenta anche Menis: «Secondo me mancano dei dati importanti che ho richiesto alla Fondazione CRTRieste e alla società che ha redatto il business plan - osserva -, l’illustrazione è stata un po’ confusa sull’aspetto economico per poter capire se la cosa sta in piedi o meno, e anche sulla strutturazione societaria futura. Restano molti dubbi, non si è capito a quanto ammonta la parte di finanziamento pubblico, per cui intendo Fondazione, Camera di commercio e Regione, e quanto rischia il privato. Dati che mi sembrano fondamentali». Dal punto di vista contenutistico e del tipo di progetto poi «è assolutamente non condivisibile per rispetto degli animali». E Gianrossano Giannini (M5S) l’aveva già fatto capire. Ci sono soluzioni alternative e “vegane” per i pentastellati: il museo della Bora, «vero e unico elemento distintivo di Trieste, oppure uno Science center». Forza Italia, per bocca del capogruppo Piero Camber, vede con favore il progetto, ma si aspetta «appalti a chilometro zero - commenta - che favoriscano le micro e piccole imprese. Io chiedo garanzie di lavoro per le nostre maestranze, non vogliamo una grande ditta che venga da fuori, deve far girare l’economia di tutta la città. Il Comune da parte sua dovrà fare una variante al Piano regolatore e soprattutto far rete, offrendo un percorso globale delle Rive, con iniziative espositive scientifiche e culturali, che facciano da trait d’union, comprendendo anche Campo Marzio, dalla Lanterna a Porto vecchio».
(b.m.)
Dipiazza sollecita l’Azienda sanitaria sul caso Servola
«A che punto è lo studio sul monitoraggio biologico umano a Servola che lo
scorso novembre l'Azienda Sanitaria ha annunciato di eseguire assieme al Cro di
Aviano? E che, come si desume dal programma 2017 del Cro, dovrebbe essere
completato in questo mese di aprile? L'Azienda Sanitaria, inoltre, sta tenendo
conto per l'individuazione dei cittadini da sottoporre alle analisi la
disomogenea distribuzione dell'inquinamento rilevato a Servola, al fine di
evidenziare e valutare in modo preciso alterazioni fisiologiche all'anomala
esposizione a polveri, inquinanti mono e poli-aromatici cancerogeni e odori?».
Il sindaco Roberto Dipiazza ha inviato in merito all'Azienda Sanitaria una
formale richiesta per essere aggiornato sull'iter di approfondimento sanitario
sulle urine che l'Azienda aveva annunciato lo scorso novembre in sede di
audizione in Commissione consiliare.
Transalpina, linea per Vienna dimenticata e mai
riaperta - LA LETTERA DEL GIORNO di Luigi Bianchi
Il 2016 è trascorso senza la riapertura della Transalpina. A Trieste i 110
anni del secondo collegamento Vienna - Trieste sono passati inosservati,
contrariamente a quanto avvenuto in Austria e Slovenia, dimenticando che dal
1906 il capolinea triestino della Transalpina è la stazione di Trieste Campo
Marzio, sede del Museo Ferroviario. Il 2017 segna un anniversario altrettanto
importante: il primo treno da Vienna giunse a Trieste Centrale il 28 Luglio
1857. Slovenia ed Austria hanno organizzato adeguate celebrazioni per il 160°
della ferrovia Meridionale mentre a Trieste tutto tace. Nel 1987 la Direzione
Compartimentale delle FS promosse un treno celebrativo Trieste – Graz per il
130° della Meridionale che riscosse molto successo. Transalpina e Meridionale
sono state decisive per lo sviluppo dei traffici del Porto di Trieste nel secolo
scorso e lo sono anche oggi se si vuole consolidare il primato raggiunto da
Trieste quale scalo ferroviario a livello europeo. Ricordare la valenza delle
due ferrovie va oltre la pura celebrazione e rappresenta un aiuto alla
realizzazione delle opere necessarie per la piena efficienza del nodo
ferroviario di Trieste, essenziale sia per il traffico merci che per il servizio
viaggiatori. Economia e turismo hanno bisogno sia della Transalpina che della
Meridionale. Nel 2017 la migliore celebrazione in cui le Ferrovie Italiane dello
Stato possano impegnarsi per il 160° della Meridionale è realizzare il sogno di
Karl Schamburek, il giornalista di Salisburgo che ha promosso il ripristino
dello storico EC Vienna-Venezia: “Da Vienna a Miramare in treno” con l’EC che
attualmente è limitato a Lubiana e la cui destinazione finale non può che essere
Trieste Centrale, come avvenne il 28 Luglio 1857. Più che una celebrazione l‘EC
“Miramare” Vienna - Trieste via Graz - Lubiana è un debito che viene onorato
ristabilendo i rapporti commerciali, e diplomatici, tra le Ferrovie Austriache,
Slovene e Italiane; rapporti finalizzati a ridisegnare il quadrante ferroviario
mitteleuropeo attraverso i transiti di Tarvisio, Gorizia e Trieste - Opicina.
Solo così è possibile saldare la “Metropolitana che unisce l’Italia”con le
Frecce agli Eurocity attraverso i nodi ferroviari di Udine e Trieste. Ma il
sogno di Schamburek è legato alla rivitalizzazione della Meridionale e della
Transalpina e alla piena collaborazione delle tre amministrazioni ferroviarie
per realizzare l’integrazione dei trasporti
GREENSTYLE.it - VENERDI', 7 aprile 2017
Cambiamenti climatici: scoperta relazione tra clima e turbolenze
A molti sarà successo, viaggiando in aereo, di veder improvvisamente accendersi il segnale che obbliga ad allacciare le cinture di sicurezza nonostante la fase di atterraggio sia ancora ben lontana. Colpa delle turbolenze. La responsabilità, secondo quanto afferma uno studio condotto dall’università britannica di Reading e pubblicato sulla rivista Advances in Atmospheric Sciences, è da attribuire anche ai cambiamenti climatici.
Si sta ovviamente parlando delle turbolenze in aria chiara, ovvero a quelle che si verificano in assenza di nubi. In questi casi, gli scossoni per chi si trova a bordo sono dovuti all’incontro con venti che cambiano rapidamente la loro direzione e la loro intensità, modificando così il flusso d’aria all’interno di quale il velivolo si trova a muoversi. La previsione dei ricercatori è frutto di una simulazione condotta attraverso l’impiego di un modello che calcola il doppio di anidride carbonica nell’atmosfera rispetto a quella attuale. Sebbene questo possa sembrare uno scenario catastrofico, è quanto alcuni scienziati immaginano possa accadere entro la fine del secolo in corso. Una proiezione a lungo termine dunque. In tal caso, a un’altitudine pari a circa 12.000 metri, le turbolenze leggere aumenteranno del 59%, quelle di forza moderata del 75% e quelle più intense addirittura di una percentuale compresa tra 127% e 149%. In estrema sintesi è tutto legato al moto di convezione, lo stesso fenomeno che si verifica in scala ridotta all’interno delle nostre abitazioni quando accendiamo gli impianti di riscaldamento o rinfrescamento: l’aria calda tende a spostarsi dal basso verso l’alto. Va considerato che si tratta di previsioni a lungo termine e che il raddoppio di CO2 nell’atmosfera costituisce uno scenario scongiurabile attraverso la messa in campo di iniziative che mirano a contrastare i cambiamenti climatici, partendo dalle politiche relative all’approvvigionamento energetico, puntando dunque sullo sfruttamento delle fonti pulite e rinnovabili.
Cristiano Ghidotti
IL PICCOLO - VENERDI', 7 aprile 2017
Il Parco del mare gioca l’ultima carta - Lo sfogo di Paoletti in Consiglio comunale: «O si fa in Porto Lido o non si fa - La Fondazione CRTrieste controllerà la società che realizzerà l’opera»
Il Parco del Mare è a Porto Lido. O non è. Semplicemente. Dopo 12 anni di attesa Antonio Paoletti, nell’audizione in Consiglio comunale, non ci sta più a essere sotto esame. IL PROGETTO
«Il Parco del Mare non è l’ossessione di Paoletti che vede solo il Parco del Mare. Mi fa piacere essere qui, ma dopo 12 anni si dovrebbe già poterlo visitare», attacca il presidente della Camera di commercio Venezia Giulia nell’aula consigliare dopo gli interventi delle istituzioni. Non esiste più l’opzione alternativa di Porto vecchio come chiesto in apertura dall’ex sindaco Roberto Cosolini che, con il gruppo del Pd, aveva richiesto espressamente l’audizione di ieri sera. Il dado, insomma, è tratto. «Assieme alla Fondazione CRTrieste abbiamo acquisito le quote di Trieste Navigando che detiene la concessione dell’area. Si parla di una vasca da 5 milioni e mezzo di litri e di 11mila metri quadrati di superficie. Non è stato ridimensionato nulla. L’ipotesi della vasca da 9 milioni si litri di Chermayeff non stava in piedi», spiega quasi stizzito il presidente che ha avuto più “pazienza” di Giobbe e che ora chiede al Comune una variante al piano regolatore per calare il Parco del mare in sostituzione del porto nautico.«Se si vuole farlo in Porto Vecchio possiamo rivederci tra 12 anni. Porto Lido è l’unica scelta dove si può realizzare subito questo progetto». Roberto Dipiazza, che ha già affrontato il tema in passato, non se la sente di cambiare le carte in tavola. «Lo vedrei meglio in Porto vecchio, ma visto che da 12 anni è un progetto di Paoletti mi pare giusto lasciare carta bianca», afferma, dando in un certo senso appalto alla Camera di commercio (e alla Fondazione CRTrieste) la visione della città. La parola chiave è “attrattore”. «Se anni fa vi avessi chiesto di votare 27 milioni per il vecchio Magazzino Vini mi avrebbe dato del pazzo. E, invece, ora c’è Eataly che è un attrattore importante. La città ha bisogno di un altro attrattore per il periodo invernale come il Parco del mare. Non c’è un luogo più degradato della Lanterna. Del resto non si può mandare la gente alle Maldive per vedere il pesce Napoleone». Il Parco del Mare a Porto Lido sarebbe perfetto per lo sviluppo futuro di Campo Marzio che ha in mente Dipiazza; «A breve sposteremo il mercato ortofrutticolo per fare una Spa con alberghi, ristoranti e parcheggi». Paoletti di rimando gli offre anche una soluzione per l’ex Meccanografico che il Comune ha messo in vendita. «Si potrebbe realizzare un albergo low cost per ragazzi». Zeno D’Agostino, presidente dell’Authority e titolare dell’area di Porto Lido, è pronto a collaborare: «Non compete a noi la visione della città, ma siamo pronti a collaborare di fronte a una scelta». La Regione, rappresentata dall’assessore alle Finanze Francesco Peroni, ha scelto un basso profilo: «Siamo più defilati, non disattenti. Esprimiamo una preferenza per il Porto vecchio, ma senza preclusioni». Eppure la Regione ha già stanziato 2 milioni di euro per la progettazione e realizzazione del Parco del Mare ed è pronta a metterne altri due sul piatto. Il piano finanziario sostenibile del Piano del mare (elaborato con 8mila visitatori dalla ACB Group) resta un oggetto misterioso specie nel rapporto tra pubblico e privato. Il costo di 47,7 milioni sarà sostenuto dalla Cciaa (9 milioni), Fondazione CrTrieste (9 milioni) Regione (4 milioni) e privati (5 milioni tra costruttore ed eventuale gestore). Il resto sarà finanziato con un mutuo ventennale da 25 milioni della società che sarà controllato dalla Fondazione CRTrieste (non dalla Camera di Commercio). Il mutuo sarà pagato con l’affitto della società di gestione del Parco del Mare, probabilmente la Costa Edutainment (ieri era presente il manager Lorenzo Senes). A sottolineare le perplessità su Porto Lido restano gli ecologisti, gli ambientalisti e il Comitato La Lanterna che ha raccolto più di 1330 firme su una petizione poi ritirata. «Il degrado non si risolve piazzando un corpo estraneo in mezzo ai mostri esistenti, si rischia di creare un mostro in più», ha spiegato la portavoce Giorgietta Dorfles che ha fatto vedere, con una simulazione in 3D, l’effetto “cubone” dalle Rive. «Quando una scelta investe l’intera comunità e condizionerà la città per decenni - ha concluso - non si può decidere con il gusto personale di un politico». Le ossessioni rischiano di costare care. Soprattutto se coltivate per 12 anni.
Fabio Dorigo
Il “mariano” Porro difende acquari e zoo «Lì come al
circo le bestie le trattano bene» - gli interventi
«Cinquanta milioni di bambini uccisi dall’aborto. Altro che i pesci».
Salvatore Porro, consigliere mariano di Fratelli d’Italia, interrompe il fisico
vegano Gianrossano Giannini dei Movimento 5 Stelle che aveva appena demolito il
progetto del Parco del Mare con argomenti animalisti. «Non parliamo di parco. Il
progetto di Paoletti è un acquario. E gli acquari sono come gli zoo», spiega
citando le tesi di Margherita Hach che li aveva definiti “enrmi prigioni per
pesci”. «Un progetto di 12 anni fa che arriva oggi già vecchio. Il pianeta sta
cambiando. Il Mediterraneo sta passando da mare di pesce a mare di meduse»,
annuncia in modo apocalittico Giannini. Ma cosa centrano gli aborti in tutto
questo? Con Porro in aula gli aborti c’entrano sempre. Il consigliere mariano
che vent’anni fa voleva un delfinario al posto dell’ex Pescheria, è favorevole
al Parco del mare visto che Trieste vuole diventare una città turistica (anche
se lui ha votato contro) e non ridursi a “ospizio per anziani”. E il rispetto
cristiano per gli animali oltre che per i bambini in potenza? «Ho lavorato tre
mesi con il circo Togni e non ho mai visto gli animali trattati così bene», fa
sapere Porro rivelando un particolare della sua biografia sconosciuto a tutti.
In ogni caso l’acquario serve a salvare i pesci che magari tra un qualche anno
non ci saranno più come ricorda il socialista Roberto de Gioia. «Il bisonte
americano - ci informa il leghista Paolo Polidori - è stato salvato dagli zoo».
(fa.do.)
In piazza la protesta di animalisti e operai - Doppio
presidio sotto il Municipio durante la seduta d’aula - Sotto tiro sfruttamento
dei pesci e possibili tagli alla Siram
Mentre in Consiglio comunale si dibatteva del Parco del mare, davanti al
municipio un gruppo di animalisti protestava in modo pacifico per la seconda
volta contro la costrizione degli animali. Leal, la Lega AntiVivisezionista, e
il Comitato Trieste per gli animali sfoderavano striscioni e volantini per dire
«no ad animali vivi rinchiusi nelle vasche». Accanto a loro, per tutt'altra
battaglia, i sindacalisti della Fiom e i lavoratori che rischiano il posto di
lavoro da luglio per il cambio d'appalto del servizio di manutenzione del
Comune. La scorsa volta, a marzo, nonostante l'aula avesse deciso alla fine di
non riunirsi sul Parco del mare per motivi tecnici, gli animalisti avevano
comunque presenziato di fronte al Comune ed erano stati anche invitati da alcuni
consiglieri a fornire i contenuti di quella che è la proposta alternativa
all'Acquario di Porto Lido. Si tratta di un acquario virtuale sulla scia di
quello già realizzato a Diamante, in Calabria. «Attraverso schermi fruibili in
6D, pure con gli occhiali appositi, e postazioni touch screen e monitor, si
potrebbe piuttosto raccontare la natura partendo dalla storia - hanno detto
Silvia Cossu e Francesca Vitturi -, dal Big bang, fino ai giorni nostri in
maniera interattiva, spiegare l'ambiente marino del Golfo di Trieste, la
conservazione dell'ecosistema, proiettare immagini registrate e in diretta dalla
webcam posta nei fondali della riserva marina di Miramare, vedere i vertebrati
in scala, si avrebbe comunque l'opportunità di racchiudere cultura, turismo e
occupazione ugualmente». A questo tipo di attrazione si potrebbero poi collegare
una postazione sull'enogastronomia triestina, con prodotti tipici. Insomma,
questo sarebbe solo un progetto generale da sviluppare poi nei dettagli. «Ci
sono tante altre cose da fare per Trieste con i milioni di euro a disposizione
per il Parco», affermano i paladini del mare. Di sicura non vanno spesi per
sostenere la cattività, «sia perché provoca stress agli animali, sia perché è un
ergastolo senza colpa. Sappiamo che i committenti del Parco del mare hanno
specificato che non metterebbero delfini all'interno, ma a noi non importa, non
vogliamo alcuna specie di pesce rinchiusa». Se, come annunciato in aula,
Paoletti & c. porteranno avanti il progetto, loro, gli animalisti si muoveranno
di conseguenza. Intanto Fiom e i lavoratori di Siram spa, la ditta appaltatrice
fino a luglio per la manutenzione degli impianti degli edifici comunali, assieme
a Elettromeccanica e Pvb Solution per l'appalto ospedaliero, cercavano una
risposta per i 32 lavoratori che chiedono «una clausola di salvaguardia, perché
Cofely - ha affermato Carlo Tomei, Fiom -, la nuova ditta che prenderà le redini
secondo l'appalto con affidamento Consip quest'estate dopo Siram, non ha dato
garanzie su assunzioni e turni di lavoro. Operai e impiegati non vogliono finire
come le addette della Dussman». La scorsa protesta, avvenuta a marzo, aveva
visto la promessa da parte del sindaco di «farsi carico del problema - ha
aggiunto -il sindacalista, così aveva detto al ritorno dall'Argentina, ma poi
non l'abbiamo più sentito".
Benedetta Moro
Dal flop dell’Expo al miraggio ex Pescheria -
Telenovela in piedi da 12 anni tra cambi di location, denunce degli
ambientalisti e plastici dell’ Università
All’origine di tutto c’è un’Expo mancata. L’idea del Parco del mare nasce
nel dicembre 2004 per elaborare il lutto del fallimento dell’Expo triestino.
Antonio Paoletti, oggi come allora presidente della Camera di commercio, lanciò
l'idea con tempismo perfetto già a bordo dell’aereo che da Parigi riportava a
casa la delegazione triestina. «Partiamo subito con il più grande Acquario del
Mediterraneo, una struttura da insediare proprio nel sito previsto per l'Expo,
da qualche parte tra Barcola e il Porto vecchio». Già nel giugno del 2005 viene
ultimato uno studio di prefattibilità, che individua quale localizzazione ideale
il terrapieno di Barcola. Ma il sito si rivela ben presto impraticabile in
quanto viene denunciata (dall’Associazione Amici della Terra), la presenza di
diossina sul terrapieno e lo stesso viene quindi sequestrato, e recintato. E
così rimane tuttora. Si rende così necessario trovare un’altra localizzazione
del Parco del Mare, che viene individuata in Campo Marzio, precisamente nello
spazio che ospita il mercato ortofrutticolo, destinato a spostarsi alle Noghere.
Siamo già nel 2007 e nel mese di maggio viene realizzato lo “Studio di
fattibilità del Parco del Mare” da parte di Costa Edutainment. Subito dopo,
viene realizzato un plastico del progetto fatto dalla Facoltà di Architettura
dell’Università di Trieste. Nel 2008 si comincia a mettere in dubbio la
localizzazione in Campo Marzio per vari ordini di problemi. E quindi la faccenda
si complica. Nuovo anno e nuova localizzazione: nel 2009 la localizzazione del
progetto viene spostata all’area del Salone degli Incanti, ex Magazzino Vini
(attuale Eataly) ed ex piscina Bianchi. A luglio il Consiglio comunale approva
“L’atto di indirizzo per la pianificazione strategica dell'Ente e ipotesi
realizzazione Parco del Mare”, con annessa la relazione sulla sostenibilità
economico-finanziaria dell’allora assessore al Bilancio Giovanni Ravidà,
approvata in una seduta del Consiglio Comunale. Ma dalle analisi si scopre che
il Salone degli Incanti non è utilizzabile come Acquario a causa delle
fondamenta non adatte a sostenere l’enorme peso delle vasche. Inoltre, l’area
dell’ex piscina Bianchi sarebbe stata troppo esigua ed anche lo stesso magazzino
vini non era adatto. Nel frattempo nel dicembre 2011 viene realizzato
l’aggiornamento dello studio di fattibilità da parte della società Progetto
Turismo Srl (che sarà revisionata nell’ottobre 2013), su richiesta dell’allora
sindaco Roberto Cosolini. Nasce l’idea della localizzazione in Porto vecchio. Si
iniziano i contatti con Greensisam, concessionaria di 5 magazzini nel Porto
Vecchio per verificare la fattibilità di realizzare il progetto in 2 di questi
magazzini. La realizzazione in tale location però si rivela troppo onerosa e
l’ipotesi tramonta. Ma non è finita. All’inizio del 2014 dal cilindro viene
tirata fuori la destinazione di Porto Lido sulle ceneri del progetto nautico
statale naufragato prima di partire. E per il Parco del mare si accende una
Lanterna.
Fumate rosse in Ferriera, la parola all’Arpa -
Audizione in Comune per il direttore tecnico Sturzi. «Lavoriamo con Arvedi per
evitare che si ripetano»
Sono entrate nell’aula del Consiglio comunale le “fumate rosse” della
Ferriera - puntualmente documentate dai residenti di Servola e non solo -. E
insieme a loro sono entrati i progetti di copertura dei parchi minerali. Molti i
temi toccati l'altro giorno in aula, dove i presidenti della prima e sesta
commissione, Antonio Lippolis (Ln) e Salvatore Porro (Fi), hanno invitato il
direttore tecnico-scientifico dell'Arpa, Franco Sturzi (presente anche il
consulente del Comune Pierluigi Barbieri), per fornire delucidazioni ai
consiglieri comunali, al presidente della VII circoscrizione Roberto Sain, e ai
comitati 5 dicembre, Fare Ambiente e No smog. E proprio quest’ultimo gruppo
presieduto da Alda Sancin, accompagnata da alcuni residenti di Servola, ha
mostrato in aula le immagini delle “fumate rosse” che fuoriescono dalla fabbrica
in particolare la mattina presto. L’obiettivo era capire come sia possibile che
«l’Arpa dica che la situazione è migliorata quando si verificano ancora episodi
di questo tipo», ha commentato Porro. «A marzo 2016 le fumate rosse erano molto
frequenti - ha sottolineato Sturzi - ed è stato studiato con il gestore il
problema, abbiamo trovato una soluzione. Ora si ripropongono e dobbiamo
ristudiare la questione perché ci sono un'infinità di operazioni che vengono
svolte ogni giorno». Sul progetto di copertura dei parchi minerali, previsto
dall'accordo di programma, presentato a fine gennaio da Arvedi alla Conferenza
dei servizi, Sturzi ha ricordato che allora non era stato approvato. L'azienda
dunque deve riformulare entro quattro mesi una nuova versione aggiornata. Nel
frattempo dunque «è stato imposto dalla Regione ad Arvedi - ha affermato Sturzi
- di implementare il sistema di irrigazione dei parchi per ridurre la
polverosità». A questo proposito è intervenuta la responsabile Ambiente della
giunta, Luisa Polli. «Visto che era passato un certo periodo di tempo dalla
presentazione del progetto non accettato, e la Regione non aveva ancora dato
un'indicazione a riguardo, l'amministrazione comunale aveva sollecitato la
Regione stessa a fare una diffida, che è stata emessa a marzo e che obbliga
Arvedi a riproporre un progetto per la copertura entro quattro mesi». Ma Sturzi
ha voluto anche far sapere che «è importante la qualità della gestione, se mal
fatta può inficiare gli interventi di risanamento. Nel nostro lavoro cerchiamo
di intercettare le criticità e di accogliere le proposte dei comitati. Ciò ci
permette di agire, di fare pressing, di intervenire sul sistema di gestione».
Sono seguite domande relative al tipo e alla cadenza delle visite di Arpa
nell'azienda. Il direttore ha detto che sono stati effettuati 62 ingressi nel
2016. Aggiungendo una data: «Entro l’anno avverrà il rifacimento della bocca
dell'altoforno, che determina le caratteristiche emissive dell'altoforno. Quanto
all’inquinamento acustico - ha concluso - è migliorato ma non abbastanza».
(b.m.)
Minidiscarica di rifiuti vicino a Rio Ospo - I
volontari di MujaVeg hanno raccolto cinquanta quintali di immondizie
abbandonate: lattine, copertoni, tv e un gommone
MUGGIA Circa 50 quintali di rifiuti sono stati raccolti nella giornata
ecologica organizzata dai volontari del MujaVeg. Una mattinata trascorsa a
ripulire un’area verde che circonda la zona industriale di Muggia tra via Flavia
e via di San Clemente, dove da poco è stata peraltro realizzata una pista
ciclabile che affianca il rio Ospo. Muniti di guanti e sacchi neri, i volontari
dell’associazione dei vegetariani e vegani di Muggia hanno promosso l’attività
aperta a tutta la cittadinanza. Assieme ai sacchetti portati dal vento c’erano
rifiuti di tutti i tipi abbandonati volontariamente negli anni da persone prive
di un minimo di senso civico. Tra i materiali raccolti lattine, bottiglie,
secchi di pittura, copertoni, due televisori, un computer, lamiere, pentole e
addirittura un intero gommone. «I boschi di Muggia sono pieni di rifiuti, non
capisco come si possa esser così sporcaccioni», afferma Cristian Bacci,
coordinatore dell’iniziativa. Bacci non ha dubbi: «Questi spazi sono la casa di
centinaia di specie animali, e noi che rappresentiamo quella più intelligente,
dovremmo tutelare ogni centimetro quadrato di bosco, non trattarlo come una
discarica a cielo aperto». Terminata la fatica i volontari si sono gratificati
con un succulento banchetto in stile vegano composto da humus, olive, pane fatto
in casa ed estratti di frutta. «Nonostante le tante campagne informative svolte
per sensibilizzare la cittadinanza ad avere un comportamento responsabile nei
confronti della natura vi sono ancora tante persone che se ne sbattono non
seguendo i dettami del più elementare senso civico», ha commentato stizzito
l’assessore alla Promozione della città Stefano Decolle. Una situazione che
coinvolge anche Muggia. «Purtroppo accade anche da noi, quotidianamente: dal
centro storico in cui i cani scorrazzano liberamente effettuando i loro bisogni
senza che i padroni poi intervengano, sino alle zone verdi di periferia dove
viene lasciato di tutto puntando sull’impunità che può essere garantita
dall’isolamento dei boschi». A tale proposito sarà molto interessante capire
quale sarà la reazione dei muggesani dinanzi all’instaurazione del regime di
raccolta dei rifiuti “porta a porta” che entro pochi mesi dovrebbe iniziare a
prendere concretamente piede a Muggia come già accade nella vicina San Dorligo
della Valle. Intanto MujaVeg annuncia che altri eventi simili saranno proposti
nelle prime domeniche dei prossimi mesi, in concomitanza con l’apertura della
piazzola ecologica di Muggia. Maggiori dettagli saranno pubblicati sul sito e
sui social dell’associazione Vegetariani e Vegani Muja, che domenica mattina
sarà in piazza Marconi per promuovere una Pasqua senza agnelli e più in generale
senza prodotti di origine animale. I volontari offriranno una porzione di pinza
vegana a chi se la sentirà di guardare un filmato sulla macellazione degli
agnelli.
Riccardo Tosques
COMUNICATO STAMPA - GIOVEDI', 6 aprile 2017
Riforma della legge sulle aree protette.
Serena Pellegrino ( SI – POSSIBILE): il tranello della
partecipazione alla governance annulla l’obiettivo della valorizzazione dei
territori, che vanno invece salvaguardati dallo sfruttamento delle risorse
naturali per ottenere utili a basso costo.
“Ho assistito alla conferenza stampa di Federparchi, Uncem, Anci, Federbim e
Unione Province Lombarde, dedicata alla legge di riforma della legge su parchi e
aree protette, confermando le mie posizioni assolutamente critiche testo in
discussione oggi alla Camera.” Lo dichiara la parlamentare Serena Pellegrino
(Sinistra Italiana – Possibile) vicepresidente della Commissione Ambiente a
Montecitorio. “ La posizione espressa in conferenza stampa è chiara ed
inequivocabile: sono convinti che aprendo la partecipazione alla governance e
facendo parte dei consigli di amministrazione potranno incidere sulle scelte.
Invece si ritroveranno per l’ennesima volta al cappio delle multinazionali
dell’energia che, in nome di quattro spiccioli sotto forma di servizi eco
sistemici e di compensazioni una tantum, e nascoste dietro il paravento del
presunto sviluppo sostenibile, continuano a promuovere il percorso dell’economia
lineare devastante per l’ambiente e per le comunità, così come l’abbiamo
conosciuta e subita negli ultimi 40 anni.” Conclude Pellegrino: “ La legge
394/91 era nata per salvaguardare e conservare aree che altrimenti sarebbero
state deturpate e impoverite, pratica scellerata diffusa in tutto il territorio.
Rafforzare il ruolo delle aree naturali protette si può fare in un’unica
direzione, quella che non arretra dalla funzione di tutela e salvaguardia e
valorizza un territorio incrementando le sue potenzialità culturali, naturali e
paesaggistiche, non certo sacrificandolo come una mera risorsa con la quale fare
utili a basso costo. Non esiste la nuova ecologia se prima non abbiamo
realizzato l’ecologia stessa.”
IL PICCOLO - GIOVEDI', 6 aprile 2017
Spunta la petizione “pro” Parco del mare - OGGI IL
DIBATTITO
Petizione che va, petizione che viene. Una settimana fa era stata ritirata
quella contro presentata dal Comitato La Lanterna. Tre giorni fa ne è apparsa
una a favore lanciata da Mauro Di Ilio, presidente dell’Associazione
commercianti al dettaglio. Il Parco del Mare a Porto Lido, di cui si dibatte
oggi alle 18 in Consiglio comunale, produce petizioni e sentimenti opposti. In
piazza Unità stasera ci saranno anche gli animalisti per esprimere pacificamente
il fermo dissenso al progetto. L’evento è nuovamente organizzato da Leal e
Comitato Trieste per gli animali che hanno «preparato una breve bozza illustrata
per un progetto alternativo che non utilizza alcuna specie vivente, improntato
sulle nuove tecnologie che permettono la conoscenza e l’apprendimento della
scienza e della natura grazie ad un’innovativa realtà multimediale».
All’audizione pubblica in aula ci saranno i promotori tra cui Antonio Paoletti
(Camera di commercio Venezia Giulia). A presenziare alla discussione è stata
invitata anche la portavoce del Comitato La Lanterna Giorgetta Dorfles, forte
della petizione ritirata che aveva superato le 1.300 firme. La petizione a
favore invece stenta a decollare. In tre giorni ha raggiunto solo 40
sostenitori. «La realizzazione del Parco del mare a Trieste è un’opportunità, al
momento, l’unica reale opportunità, per dare a questa città lavoro e turismo. Il
Parco del mare a Porto Lido infatti si trova in una posizione perfetta, che
renderà visitabile con facilità tutta la città da parte degli utenti del Parco»,
si legge nelle motivazioni della petizione indirizzata al Comune anche se l’area
interessata è demaniale e fa capo all’Autorità portuale. La petizione a favore
usa come immagine il concept progettuale di Peter Chermayeff considerato già
superato. Le motivazioni addotte sono quelle del progetto ufficiale: «Inoltre
porterà ad un incremento della sosta media che il turista attualmente fa a
Trieste, ed è indubbio il forte impulso economico ed occupazionale che da ciò
deriverebbe. Non ultima la riqualificazione di un ex zona industriale in disuso
ed ora abbandonata. Il Parco del mare è la dimostrazione che a Trieste si può».
A favore del progetto anche la sottoscrizione di realtà economiche e
associazioni di categoria cittadine. «Entro tre anni dal rilascio delle
autorizzazioni necessarie, i triestini potranno contare su una realtà che
genererà vantaggi per tutta la città - si leggeva nel messaggio a pagamento sul
giornale-. Si avverte un cambiamento di mentalità, un’iniezione di ottimismo che
non può che far bene al nostro territorio». Questa sera si capirà se l’ottimismo
ha contagiato anche il Consiglio comunale.
(fa.do.)
La Regione adotta la Riserva di Miramare - Contributo
di 70mila euro per un ricco programma didattico e divulgativo aperto a scuole e
non solo
Avrà magari degli alberi colposamente spelacchiati e delle aiuole
inesistenti, ma l’area di Miramare eccelle almeno in una cosa: la sua Riserva
marina. Di qui la decisione della Regione di “adottarla”, subentrando in questo
alla disciolta Provincia. Primo risultato, un corposo calendario di eventi
divulgativi e scientifici programmati per il 2017, grazie a un contributo di
70mila euro assegnato a quella che l’assessore regionale alle Infrastrutture e
territorio, Mariagrazia Santoro ha definito ieri «l'emblema della ricchezza del
nostro alto mare Adriatico e della sua complessità marina». «La costa - ha
aggiunto la Santoro - è un tema centrale del Piano paesaggistico regionale, di
cui l'area di Miramare sarà partner con iniziative specifiche». Dal canto suo il
direttore della Amp Miramare, Maurizio Spoto, ha ribadito come per l'area
protetta, gestita dal Wwf Italia la nuova collaborazione rafforzerà ancor di più
il suo ruolo «per valorizzare tutto il comprensorio di 100 chilometri di
costiera dagli ambienti carsici, fino alle lagune». Il primo evento è la due
giorni di convegno e workshop tecnico "La Natura: una bella storia, da
raccontare sul campo e nei centri visite", in programma domani e dopodomani a
Trieste, organizzata con il patrocinio dell'Associazione italiana guide
ambientali escursionistiche (Aigae), del network delle Aree protette costiere e
marine del Mar Adriatico (Adriapan) e dell'Associazione italiana direttori Aree
protette (Aidap) con PromoTurismoFvg. Una parte degli eventi è rivolta ai
bambini dai 3 ai 6 anni con "Piccoli incontri con la Biodiversità", 15
appuntamenti speciali dedicati alla conoscenza della biodiversità adriatica.
Ancora: gli "Aperitivi scientifici in riva al mare", come ha ricordato Sara
Famiani , sono destinati un pubblico adulto, per conversare sulla rete di
relazioni tra habitat, specie animali e vegetali, marine e costiere e le
attività antropiche. Interessante, oltrechè novità assoluta, che le uscite di
sea watching in barca nell'ambito delle campagne di monitoraggio sulla fauna
marina della riserva e del Golfo di Trieste tra Muggia e Lignano, aperte a
universitari, studenti di scuole superiori ma anche semplici cittadini. La
proposta scientifica per le scuole interesserà nell'autunno 2017 una trentina di
classi del territorio regionale, per 800 studenti, con il progetto "Coste e
spiagge del Friuli Venezia Giulia: come la terra incontra il mare", focalizzato
sul paesaggio costiero di Duino (Info: 040 224147- interno 3 o mail info@riservamarinamiramare.it).
Col supporto della Regione, è stato detto infine, l'Area marina protetta di
Miramare potrà dare continuità a due campagne di ricerca scientifica e
monitoraggio su specie target per la riserva, in particolare le tartarughe
marine, i cetacei, il Marangone dal ciuffo e la Pinna nobilis.
Furio Baldassi
DUINO AURISINA - Disponibili i moduli per i permessi alle Falesie
È disponibile la modulistica per presentare le domande per il rilascio dei contrassegni autorizzativi per l’accesso nell’area marina della Riserva naturale regionale delle Falesie di Duino. Per informazioni è possibile rivolgersi all’ufficio Lavori pubblici del Comune di Duino Aurisina il martedì e il giovedì dalle 10 alle 12 oppure all’indirizzo falesie @comune.duino-aurisina.ts.it.
CENTRO ITALO SLOVENO - Dibattito su minoranze e
rappresentatività
Domani alle 18 al Centro italosloveno Danilo Dolci - Casa per la Pace di via
Valdirivo 30 si terrà un incontro su “La futura legge elettorale: diritti di
rappresentanza in parlamento delle minoranze linguistiche del Fvg”. Introdurrà
Stefano Ukmar, che ha seguito il dibattito in Consiglio regionale, dove è stato
recentemente approvato a larga maggioranza un testo intitolato “Voto alle
camere” che chiede a Roma il riconoscimento di una rappresentanza in Parlamento
delle minoranze del Fvg. Invitati esperti della materia, associazioni slovene e
forze politiche e sindacali interessate. «Tale rappresentanza - si legge nella
presentazione di Luciano Ferluga per il Comitato organizzatore - non è garantita
dall’attuale normativa, l’Italicum, in quanto prevede soglie di sbarramento del
20% per le liste rappresentative di comunità linguistiche su base
circoscrizionale e quindi regionale» e «tale regime è derogato per Trentino Alto
Adige e Val d’Aosta».
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 5 aprile 2017
Beni comuni tra diritto, etica e pratica - il convegno
Una due giorni per parlare di “Beni comuni tra diritto, ethos e pratiche
sociali”: appuntamento (aperto a tutti) venerdì e sabato nell’aula magna
dell’Università di via Filzi 14. La scaletta: venerdì alle 15.30 si approfondirà
il tema “Governo dei beni comuni ed economia fondamentale”: presiede il convegno
Fulvio Longato, dell’Università di Trieste. Si discuterà, quindi, di “Beni
comuni e ragione economica” (con Ottavio Marzocca, Università di Bari),
“Economia fondamentale, territorio e beni comuni” (con Filippo Barbera,
Università di Torino) ed “È possibile una “ecologia costituzionale”?” con
Michele Carducci, Università del Salento. Ne discutono Giorgio Osti, Università
di Trieste e Luigi Pellizzoni, Università di Pisa. Sabato - dalle 9.30 - il tema
generale è “Prospettive globali e tendenze locali”, presiede il convegno
Marcello M. Fracanzani (Università di Udine). Che poi verrà sviluppato su “La
natura bene comune e le modalità della sua tutela” (Serena Baldin, Università di
Trieste), “Il diritto all’acqua in Slovenia” (Franc Grad, Università di
Lubiana), “Il diritto all’acqua in Spagna” (Juan José Ruiz Ruiz, Università di
Jaén), “Le community energy utilities” (Matteo Fermeglia, dottorato interateneo
Università Udine–Trieste), “Dai beni pubblici ai beni comuni?” (Andrea Crismani,
Università di Trieste), “L’economia solidale nel sistema regionale” (Leopoldo
Coen, Università di Udine).
IL PICCOLO - MARTEDI', 4 aprile 2017
Tre milioni per rifare piazza Sant’Antonio -
L’intervento programmato dalla giunta nel 2018. Il sindaco Dipiazza:
«Cominceremo dalle vie Ponchielli e Paganini»
Piazza Sant’Antonio non resterà un’isola infelice nella generale redenzione
del Borgo Teresiano: il Piano triennale delle opere ha appostato 3 milioni di
euro nel 2018, puntando a ottenere un contributo regionale per la risistemazione
dello spazio urbano che si estende tra via Roma e la scalinata della grande
chiesa neoclassica. Lo ha annunciato ieri pomeriggio il sindaco Roberto
Dipiazza, insieme all’assessore ai Lavori pubblici Elisa Lodi, a latere
dell’inaugurazione del cantiere che ripavimenterà con i masegni le sponde del
Canal Grande. La strategia dell’intervento, delineata dal primo cittadino, è
chiara: «Via Cassa di Risparmio, via Trento, Ponterosso sono a posto. I lavori
in via XXX Ottobre partiranno a breve. Le sponde del Canale saranno approntate
entro la fine del gennaio 2018». Nel contesto valorizzante di quest’area
centrale - ha spiegato Dipiazza - «Piazza Sant’Antonio non può restare indietro,
anche se, in una fase in cui certo le pubbliche risorse non abbondano, non ci
dedicheremo ai giochi d’acqua». Il sindaco fa critico riferimento al concorso di
idee, che era stato lanciato dalla giunta Cosolini nella parte finale del
precedente mandato, concorso nel quale un’ipotesi progettuale era stata la
riapertura del Canale fino alla chiesa. «Inizieremo “circondando” la chiesa con
il rifacimento di via Ponchielli e di Paganini, poi provvederemo a restaurare la
parte posteriore di Sant’Antonio, che si affaccia in via delle Torri». Gran
finale con la piazza: «Fontana, verde, pavimentazione: le ridaremo dignità».
Elisa Lodi è d’accordo e informa che la progettazione relativa alla piazza sarà
eseguita dagli stessi uffici comunali. Intanto riflettori puntati sulle sponde:
insieme ai tecnici dell’amministrazione (Luca Folin e Laura Visintin) e agli
imprenditori coinvolti (Fabrizio Pertot e Paolo Rosso di Trieste Manutenzioni),
Dipiazza ha illustrato i principali passaggi dell’opera: costerà - compresi
alcuni lavori di AcegasApsAmga nel sottosuolo - 1,1 milioni e si protrarrà fino
all’inizio del prossimo anno. E si articolerà in due fasi distinte: la prima
sponda interessata sarà via Bellini (Ponterosso e lati dei palazzi Genel e
Carciotti), da qui ad agosto, per consentire ai pubblici esercizi della
dirimpettaia via Rossini di condurre a termine la bella stagione. Poi, da
settembre fino alla conclusione, il cantiere attraverserà il Canale e durante
l’autunno procederà a sistemare via Rossini. «Allungare il centro» è la parola
d’ordine adottata da Dipiazza. In analogia con quanto è accaduto tra Cavana e
via Torino, dove alla riqualificazione è seguito lo sviluppo edilizio e
commerciale. Il ragionamento si sposta nella parte settentrionale del centro:
«Finalmente miglioreremo l’aspetto di piazza Libertà. via Trento collegherà la
zona della stazione ferroviaria con il Canal Grande e, tramite il “ponte curto”,
con via Cassa di Risparmio». Canal Grande, Ponterosso, Sant’Antonio
costituiscono un’area di grande interesse urbanistico e architettonico, dove
convergono, sui terreni strappati alle saline, due secoli di storia economica e
culturale triestina, firmata dai nomi di Matteo Pertsch, di Giovanni e Arduino
Berlam, di Giovanni Righetti, di Antonio Bacicchi. All’interno di questa zona di
pregio campeggia la considerevole mole di palazzo Carciotti, che occupa un
intero isolato tra le Rive, via Bellini, via Genova, via Cassa di risparmio. La
giunta Dipiazza ha deciso di inserirlo “tutto” (compresa la parte anteriore) nei
beni da alienare e ha previsto di metterlo all’asta nel 2018: il valore dovrà
essere aggiornato con una nuova stima, che si ritiene potrà aggirarsi sui 25
milioni.
Massimo Greco
L’ex caserma della Polstrada “scomparirà” entro agosto - Nel futuro spazio un asilo nido e un parcheggio
Giovedì l’apertura delle buste per la gara dei lavori
nel cuore di Roiano - Il via prima del 20 maggio, pena la perdita dei
finanziamenti statali - Corso d’acqua interrato - L’area è attraversata
da un tratto del torrente Roiano - Polveri sottili - Un impianto con cannoni
nebulizzatori le farà depositare a terra - CISTERNE da rimuovere - Cinque i
serbatoi che dovranno essere eliminati
Sono passati più di vent’anni, ma a questo punto non c’è rinvio che tenga.
Entro il 20 maggio deve aprire il cantiere per i lavori di demolizione degli
edifici dell’ex caserma della Polstrada, a Roiano, pena la perdita dei
finanziamenti statali legati al Prusst (Piano di riqualificazione urbana e
sviluppo sostenibile del territorio) riguardante appunto la riconversione
dell’estesa area (8mila metri quadri) nel cuore del popoloso rione. Giovedì
prossimo, negli uffici dell’Area lavori pubblici del Comune, verranno aperte le
buste delle imprese invitate a fare le offerte, dopo che entro il 20 marzo
scorso sono arrivate numerose manifestazioni di interesse. Trattandosi di lavori
del valore inferiore (anche se di poco) al milione di euro, in base al Codice
degli appalti il Comune ha potuto infatti procedere a una gara “negoziata senza
bando”. Nelle ultime settimane il Servizio comunale edilizia pubblica ha intanto
approvato, con una determina dirigenziale, il progetto esecutivo delle
demolizioni da effettuare nel comprensorio dell’ex caserma. Progetto che, fra i
numerosi allegati, include anche il cronoprogramma dei lavori, che articola gli
interventi fra l’inizio di maggio e la fine di agosto. Una volta allestito il
cantiere, da metà maggio in poi il piano prevede la rimozione dell’amianto
presente nei diversi edifici (tubazioni, canne fumarie, isolamenti e lastre di
copertura), cui seguiranno quelle degli infissi esterni, dei pavimenti, dei
rivestimenti interni e degli impianti. La demolizione degli edifici inizierà
nella seconda metà di giugno e proseguirà fin verso il 20 agosto. Una settimana
più tardi, dopo l’asfaltatura dell’area, è programmato lo smobilizzo del
cantiere. A quel punto lo spazio “liberato” sarà pronto per la realizzazione del
secondo lotto, che prevede l’edificazione di un asilo nido, di un parcheggio,
una piazza e aree verdi. Tornando al cronoprogramma delle demolizioni, va
ricordato che l’intera area è attraversata da un tratto interrato del torrente
Roiano. Per questo nel progetto esecutivo si sottolinea che “in tutte le fasi di
demolizione delle fondazioni degli edifici dovrà essere prestata particolare
attenzione a non arrecare danni alla copertura del torrente”. Fra gli interventi
preparatori alle demolizioni vere e proprie, il progetto prevede anche
l’allestimento di un impianto per l’abbattimento delle polveri sottili, con
l’utilizzo di cannoni nebulizzatori, per fare depositare le polveri a terra ed
evitare che si risollevino al passaggio dei mezzi del cantiere. Dovrà anche
essere predisposto un impianto per il lavaggio delle gomme degli autocarri che
usciranno dall’area. Quanto alle demolizioni, il progetto fissa una sequenza ben
precisa che inizia con l’estesa autorimessa-officina (lato sud), e prosegue con
la palazzina uffici, previa demolizione del corpo di collegamento con la
palazzina comando. Si passerà poi a demolire quest’ultima, l’edificio più alto
del comprensorio (tre piani più uno interrato), e di alcune strutture a un
piano. Una di queste, confinante con via Villan de Bachino, era adibita a
ricovero per veicoli. Un’altra, che si affaccia su via Montorsino, era usata
come box auto, depositi e uffici. Da demolire anche un deposito/spogliatoio
utilizzato a suo tempo dalla Nettezza urbana. Ultimata questa fase si procederà
alla bonifica e alla rimozione di cinque cisterne interrate (tre delle quali già
inertizzate) e delle fosse Imhoff. A quel punto si passerà alla demolizione di
tutti gli elementi ancora presenti (compresi quelli interrati) che potrebbero
interferire con la fase successiva, alla bonifica di eventuali ordigni bellici
(che però non sembra siano presenti) e alla messa in luce della volta del canale
interrato. Quest’ultima operazione servirà a verificare lo stato di
conservazione della struttura del canale, e a stabilire le indicazioni tecniche
per eventuali consolidamenti del manufatto.
Giuseppe Palladini
Nel futuro spazio un asilo nido e un parcheggio
Sull’area ricavata dalla demolizione dell’ex caserma, nascerà un “polmone” atteso da molti anni dagli abitanti di Roiano. A cominciare da un asilo nido per 60 bambini, per proseguire con un parcheggio seminterrato la cui copertura, sul lato di via dei Moreri, diverrà una piazza pavimentata (800 metri quadri) per spettacoli e altre manifestazioni. La restante parte della copertura del parcheggio (1.500 metri quadri) sarà destinata ad aree gioco. Questo spazio di aggregazione sarà completato da un’estesa zona verde alberata (1.000 metri quadri) adiacente a via dei Moreri. Su lato di via Montorsino è invece previsto un “bosco urbano” (1.300 metri quadri) lastricato e arredato.
L’aula di San Dorligo sceglie Codroipo per la raccolta rifiuti - Servizio alla A&T 2000 spa in cui il Comune entra come socio
L’opposizione insorge. Il sindaco Klun: «Decisione
obbligata»
SAN DORLIGO DELLA VALLE - A partire dal prossimo mese di luglio, nel
territorio comunale di San Dorligo della Valle sarà la società in house
multicomunale A&T 2000 spa a gestire il servizio della raccolta rifiuti. Lo ha
deciso la maggioranza del Consiglio comunale, stabilendo anche di acquistare,
per un importo pari a 19.700 euro, una quota della spa che ha sede a Codroipo,
per affidarle il ciclo dei rifiuti da gestire in base al modulo in house
providing. La società A&T 2000 si occupa della gestione integrata del ciclo dei
rifiuti in una cinquantina di Comuni della provincia di Udine, garantendo il
servizio a oltre 200mila abitanti e conta, attualmente, su una trentina di
dipendenti che, stando alle recensioni ufficiali, hanno già dimostrato di avere
una notevole esperienza, acquisita sul campo, mostrando di essere una realtà
dinamica. Il modello dell’affidamento in house della gestione dei servizi
pubblici locali è stato introdotto nell’ordinamento nel 2003. La relativa
normativa, come ha confermato anche il Consiglio di Stato, stabilisce che per
“in-house providing” si intende la fattispecie nella quale «per la gestione di
un servizio, una pubblica amministrazione si avvale di una società esterna, cioè
soggettivamente separata, che però presenti caratteristiche tali da poter essere
qualificata come una derivazione o una longa manus dell’ente stesso. Da qui,
l’espressione in house, che richiama una gestione in qualche modo riconducibile
allo stesso ente affidante o a sue articolazioni». La decisione presa dalla
maggioranza ha scatenato le proteste dell’opposizione. Boris Gombac, capogruppo
della lista che porta il suo nome, ha annunciato che «saranno organizzate, nelle
varie frazioni del territorio, pubbliche assemblee per spiegare che è stato
commesso un errore». Roberto Massi, di Forza San Dorligo, ha ricordato che
«avendo già a disposizione una società locale che operava al meglio (la
Italspurghi, ndr) bisognava avere per essa un occhio di riguardo», chiedendo poi
se la A&T 2000 di Codroipo costerà di più. Danilo Slokar, della Lega Nord, ha
criticato la decisione: «Andiamo a partecipare in una società che conosciamo
poco o niente, che non ha base qui a San Dorligo, che dovrà spostarsi, creando
una struttura che costerà». Giorgio Gherlanz, del Fronte per l’indipendenza del
Tlt ha espresso anch’egli «perplessità sulla decisione della maggioranza». Il
sindaco Sandy Klun ha evidenziato che «il contratto è in scadenza, perciò
bisognava provvedere. La Italspurghi funziona bene - ha aggiunto - ma le
normative non permettono altre scelte». Italspurghi, per un costo di circa
250mila euro all’anno, provvedeva alla raccolta dell’indifferenziata e alla
gestione delle isole ecologiche. Gianfranco Cergol, amministratore delegato
della Italspurghi, ha già detto che «la perdita del contratto comporterà
purtroppo il licenziamento dei tre dipendenti che operavano a San Dorligo della
Valle». Nel corso della seduta d’aula, Klun ha anche annunciato l’avvio dei
lavori di straordinaria manutenzione di alcuni tratti della strada di Puglie di
Domio, dell’ampliamento della rete di pubblica illuminazione in varie frazioni
del territorio e della manutenzione del rio Dolina.
Ugo Salvini
EHABITAT.it - LUNEDI', 3 aprile 2017
Antropocene: cambiamenti climatici 170 volte più veloci a causa dell’uomo. Scoperta l’equazione
Gli scienziati sono ormai consapevoli da tempo del
fatto che le attività umane sono alla base dei cambiamenti climatici in atto, ma
ora due ricercatori della Stockholm Resilience Centre, Will Steffen e Owen
Gaffney, hanno pubblicato un nuovo studio nel quale sono riusciti a quantificare
precisamente l’impatto della specie umana sulla Terra.
Attraverso un’equazione unica nel suo genere definita ‘Equazione dell’Antropocene’,
i due studiosi hanno dimostrato che l’attività umana sta causando l’innalzamento
della temperatura terrestre ad una velocità molto più elevata rispetto al solo
influsso esercitato dalle forze naturali. “L’impatto umano sui cambiamenti
climatici assomiglia più allo schianto di un meteorite che ad un mutamento lento
e graduale” ha dichiarato Steffen al The Guardian. Il lavoro dei due ricercatori
ha messo in luce come, per la maggior parte dei quattro miliardi e mezzo di anni
di esistenza della Terra, le forze geofisiche e astronomiche abbiano modificato
il pianeta provocando un tasso di variazione della temperatura di 0.01 gradi
Celsius per secolo. Nel corso degli ultimi sessant’anni, invece, il cambiamento
è stato determinato per la maggior parte dagli esseri umani. Nello specifico,
negli ultimi 45 anni le emissioni di gas serra rilasciate nell’atmosfera hanno
causato un aumento della temperatura di 1.7 gradi Celsius. Il tasso di
variazione della temperatura terrestre indotto dall’attività umana è stato
pertanto 170 volte più veloce rispetto a quello determinato dalle sole forze
naturali.
Per mettere a punto l’equazione, i due ricercatori hanno esaminato il tasso di
variazione in quello che loro hanno definito come ‘il sistema di supporto vitale
della Terra’, che include l’atmosfera, gli oceani, i corsi d’acqua, le foreste,
le zone umide, i ghiacci perenni e la biodiversità. “Non stiamo dicendo che i
cambiamenti dovuti alle forze astronomiche proprie del nostro sistema solare o
ai processi geologici siano scomparsi, ma che in termini di impatto a breve
termine essi siano trascurabili rispetto all’influenza esercitata dagli esseri
umani. Sintetizzare questo concetto sotto forma di una semplice equazione
permette di esprimere la situazione attuale con una chiarezza che il grande
ammontare di dati e informazioni a nostra disposizione spesso, paradossalmente,
non consente” continua Steffen. Nelle conclusioni del loro lavoro Steffen e
Gaffney affermano, ancora una volta, l’importanza di ridurre il nostro impatto
distruttivo sul pianeta, allo scopo di mitigare almeno in parte gli effetti
avversi dei cambiamenti climatici in atto, e ricordano che il cambio di rotta
deve avvenire in fretta, prima di raggiungere il fatidico punto di non ritorno.
Un cambio di rotta che tutti possiamo promuovere e di cui siamo tutti
responsabili a partire dai nostri più piccoli gesti quotidiani, aggiungiamo noi.
Perché, citando il docu-film ‘This changes everything’, “se bevi dell’acqua e
respiri dell’aria questo riguarda anche te”.
Alessandra Varotto
IL PICCOLO - LUNEDI', 3 aprile 2017
SUPER PULIZIE A SISTIANA - Il Ricovero Marchesetti
rivive grazie ai migranti
DUINO AURISINA «Ci rendiamo conto che le immagini non rappresentano un gran
bello spettacolo, ma questa è la situazione della dolina nota come Ricovero
Marchesetti, a Sistiana». Una situazione per la quale si devono ringraziare
«almeno 40 anni di incuria e qualche gommista che ha “risparmiato” costi di
smaltimento buttando una ventina di enormi gomme di camion da 50, 60 chili
l’una, faticosamente trasportate in superficie da una cinquantina di persone».
Chi scrive è Dario Gasparo, il super prof appena celebrato nella “top five”
degli insegnanti d’Italia, e accolto dai suoi studenti come una star dopo le
premiazioni a Dubai, che qui interviene come responsabile dell’associazione
Miti, una delle realtà di volontariato che ha promosso nel week-end la grande
operazione di pulizia dell’area verde a ridosso del centro di Sistiana chiamata
appunto Ricovero Marchesetti, teatro tra le altre cose di rifugi di fortuna di
combattenti in particolare durante la Prima guerra mondiale. Le immagini a cui
Gasparo fa riferimento, se qualcuno ne fosse interessato, sono visibili
attualmente al link https://goo.gl/photos/9vSRkWZvhSzbGPQ48, e qui sopra ne
pubblichiamo una. C’è però un elemento che contribuisce a fari sì che questa
iniziativa - riguardante un’attività certamente meritoria - già di per sé -
raggiunga i crismi di notizia autentica, fuori dall’ordinarietà: «Svariate
tonnellate di ferraglia arrugginita e diversi metri cubi di plastica», come
scrive lo stesso Gasparo, sono stati «ripuliti da circa 30 migranti» da
«Afghanistan, Pakistan, Turchia, Camerun eccetera» nonché da «una ventina di
volontari della associazione Miti, Ics, Cat, Casa cave, Trieste altruista e Casa
internazionale delle donne». Un lavoro immenso «ma la bella giornata di sole e
la conclusione con un ricco pasto sotto al ciliegio in fiore hanno ripagato
dello sforzo».
I Cittadini per il golfo si lanciano in politica - Gli
ambientalisti rompono gli indugi in vista del voto a Duino Aurisina: due liste
(mare e Carso) e Canonici candidato sindaco
DUINO AURISINA Alla fine hanno deciso. Si candideranno alle prossime
amministrative per il rinnovo del Consiglio comunale di Duino Aurisina. E lo
faranno presentando due liste, ovviamente con identico programma, in modo da
calamitare da un lato i voti delle frazioni del Carso, dall’altro quelli dei
borghi più vicini al mare. I Cittadini per il golfo, a poco più di due mesi dal
voto, fissato per l’11 giugno, entrano ufficialmente nella corsa per governare
il Comune, individuando in Tiziano Canonici il candidato sindaco e in Danilo
Antoni il capolista. Un mossa che non sorprende: sorti qualche anno fa come
movimento ambientalista, con lo specifico obiettivo, all’epoca, di lottare
contro il rigassificatore del Timavo, nel tempo i Cittadini per il golfo si sono
interessati di molti problemi, approfondendo le tematiche sociali ed economiche
del territorio, arrivando a prendere una precisa posizione, recentemente, anche
sul discusso possibile arrivo, a Duino, della confraternita senegalese dei “mouride”.
«Abbiamo preso la decisione di puntare al governo del nostro territorio - spiega
Antoni - perché abbiamo capito che i partiti tradizionali non sono più in grado
di affrontare e risolvere i problemi della gente. Non vogliamo sostituirci a
loro - precisa - ma abbiamo visto che è necessario andare sul concreto e per
questo serve sparigliare le carte, cambiare veramente, andare alla soluzione
reale dei temi sul tappeto». Al primo punto del programma dei Cittadini per il
golfo, che stanno ancora valutando se conservare la denominazione originaria del
movimento, oppure optare per un nome nuovo, c’è ovviamente la tutela del
territorio. «Su questo argomento - continua Antoni - sappiamo che la gente
comune può dire cose importanti e noi daremo alla gente la possibilità di farlo.
Vorremmo diventare un esempio per gli altri comuni - prosegue - coinvolgendo i
proprietari nella gestione delle riserve, le attività economiche e cultuali
nella promozione del territorio, la società di Portopiccolo nei progetti che
riguardano la collettività, come le palestre e le scuole». Il candidato sindaco
Tiziano Canonici - triestino di 43 anni, papà umbro e mamma istriana, laureato
in Storia antica all’Università, dove ha poi conseguito un dottorato di ricerca
in Geomatica, la disciplina che utilizza le moderne tecnologie informatiche per
applicarle al rilevamento e al trattamento dei dati ambientali e territoriali -
guarda direttamente al risultato. «Fare due liste ci è sembrato logico, vista la
conformazione del nostro territorio - osserva - perché Duino Aurisina è un
comune che deve affrontare problemi di un tipo nella parte carsica del
territorio, e altri sulla costa. Di conseguenza - prosegue - ci sono priorità
diverse a seconda dei territori di riferimento. Poi certo, alla fine - evidenzia
- si tratta di trovare la sintesi migliore possibile sul piano tecnico
amministrativo per il bene di Duino Aurisina». Nel suo curriculum si legge che
si occupa di archeologia e computer, che ha lavorato come archeologo e che ha
insegnato nelle Marche e in Liguria. Approdato a Duino per scelta, Canonici si è
sposato e ha avuto due figli, abbandonando l’archeologia, per diventare
consulente informatico nella sede di Trieste del gruppo Allianz, dove opera
tuttora. «Voglio mettere al servizio della collettività le mie esperienze e il
mio bagaglio culturale - conclude - perché a Duino Aurisina bisogna cambiare
registro».
Ugo Salvini
IL PICCOLO - DOMENICA, 2 aprile 2017
MELENDUGNO (LECCE) - Alta tensione sul gasdotto fra “No
Tap” e polizia
Ancora una giornata di tensione a Melendugno (Lecce) dove non si placa la
protesta per la realizzazione del gasdotto Tap. Ieri i manifestanti, tra loro
tante donne e bambini, dopo una mattinata di barricate davanti al sito di
stoccaggio dove vengono portati gli ulivi espiantati, hanno ottenuto un nuovo
stop dei lavori che erano ripresi a sorpresa all’alba. Ma a fine giornata il
risultato portato a casa ha più le sembianze del successo di bandiera che
dell’affermazione vera e propria all’interno di un braccio di ferro il cui
destino appare sempre più segnato. I numeri parlano chiaro: dei 211 ulivi da
rimuovere sono già 183 quelli sradicati. Ieri, grazie al blitz a sorpresa
arrivato dopo due giorni di pace armata e di sospensione dei lavori, ne sono
stati trasferiti 30 dal cantiere al sito. E sarebbero stati di più se le
barricate erette da alcune centinaia di persone dinanzi all’accesso del sito di
stoccaggio non avessero impedito ad alcuni camion l’ingresso. La mediazione,
raggiunta con Questura e Prefettura poco prima delle 14, ha fatto sì che il
blocco stradale fosse rimosso in cambio del dietrofront dei quattro mezzi
incolonnati davanti al sito. Altri sei camion pronti a partire dal cantiere con
il loro carico di ulivi a quel punto sono rimasti fermi. Al netto di quelli già
espiantati e ancora da portare a Masseria del Capitano (in tutto 25 piante) sono
solo 18 gli ulivi da sradicare per rendere operativo il progetto. Intanto si
registra un episodio i cui contorni sono ancora incerti: l’esplosione di due
petardi davanti all’uscita secondaria dell’hotel che a Lecce ospita i poliziotti
impegnati nei servizi di vigilanza al cantiere Tap. Lo stesso albergo dove ieri
hanno dormito i giocatori del Lecce calcio. Le indagini diranno se si sia
trattato di un gesto dimostrativo contro la squadra, reduce da un periodo no, o
di una protesta “No Tap”. La giornata al cantiere di Melendugno era iniziata
presto, con la ripresa delle attività. Una mossa a sorpresa - visto che la
riapertura del cantiere era prevista per domani - e che aveva avuto il via
libera della Questura di Lecce già nella serata di venerdì. Agenti in tenuta
anti sommossa sono arrivati alle 6 per presidiare gli accessi lungo la strada
provinciale. Sotto presidio anche il centro di stoccaggio di Masseria del
Capitano dove vengono messi a dimora gli ulivi espiantati in attesa di essere
nuovamente reimpiantati. Colti alla sprovvista, i manifestanti si sono radunati
alla spicciolata e hanno continuato a farlo per tutta la mattinata spostando
l’epicentro della protesta dal cantiere di San Basilio al sito di stoccaggio di
Masseria del Capitano. In prima fila tante donne e bambini, ma anche una
quindicina di sindaci del comprensorio salentino.
L’Espresso: «Minacciano senza smentire» - Oggi in
edicola l’inchiesta del settimanale sul progetto per portare il gas
dall’Azerbaijan in Puglia
ROMA L’Espresso in edicola oggi pubblica una inchiesta sul contestato
maxi-progetto per portare il gas dell’Azerbaijan in Puglia, nel quale, scrive il
settimanale «spuntano manager in affari con le cosche, oligarchi russi e
casseforti offshore». La multinazionale Tap (Trans Adriatic Pipeline), che dà il
nome al progetto, reagisce anunciando querela e il direttore della testata,
Tommaso Cerno, su Twitter replica: «La Tap minaccia (senza smentire una riga)
L’Espresso per un’inchiesta sul gasdotto. Con protagonisti vicini alle cosche»
scrive, dando appuntamento ai lettori in edicola. Le anticipazioni del servizio,
intitolata “Attenti al mafiodotto”, sono state pubblicate ieri sul sito del
settimanale - Nell’inchiesta - si legge - si «svelano i retroscena del
maxi-progetto del Tap, partendo dagli interrogativi alla base delle proteste
esplose in Puglia contro lo sradicamento dei primi 231 ulivi». L’Espresso ha
potuto esaminare «documenti riservati della Commissione europea, che svelano il
ruolo cruciale di una società-madre, finora ignota: l’azienda che ha ideato il
Tap. Si chiama Egl Produzione Italia, ma è controllata dal gruppo svizzero Axpo».
«In questa Egl - scrive ancora L’Espresso - anche l’amministratore delegato è un
cittadino svizzero: Raffaele Tognacca» che, tornato in Svizzera, «ha lanciato la
finanziaria Viva Transfer. Che un’indagine antimafia ha additato come una
lavanderia di soldi sporchi». L'articolo integrale de L’Espresso racconta altri
retroscena. Come un accordo segreto per favorire un oligarca russo rappresentato
da amici di politici italiani. E le tesorerie offshore, documentate dai Panama
papers, dei manager di Stato in Azerbaijan e Turchia. «È arbitrario, infondato
ed evidentemente inaccettabile l’accostamento di Tap Ag e del progetto del
gasdotto transadriatico alla parola mafia effettuato con un suggestivo titolo
sul numero in uscita del settimanale L’Espresso» afferma la multinazionale in
una nota, nella quale annuncia che «Tap provvederà nelle prossime ore a sporgere
querela contro gli autori e il direttore del giornale». «Tap - prosegue la nota
- è impegnata nella più rigorosa applicazione delle leggi e dei regolamenti
italiani ed europei nella attribuzione di appalti e subappalti e ha da tempo
sottoposto alla prefettura di Lecce un protocollo antimafia che garantisca la
massima trasparenza».
Telenovela Acquario, parte la bonifica - Dopo 14 anni
di attesa scatta la messa in sicurezza della passeggiata a mare lungo l’area di
Muggia dichiarata inquinata
MUGGIA Quattordici anni per iniziare a mettere a posto 900 metri di
passeggiata a mare. La lunghissima telenovela di Acquario si prepara a vivere la
puntata più attesa: quella dell'inizio dei lavori di bonifica. Il terrapieno,
come noto, è “congelato” dal lontano 2003, anno in venne classificato come sito
inquinato dopo il blitz dei carabinieri del Noe e le indagini dell’Arpa, che
accertarono la presenza ben oltre i limiti di legge di idrocarburi cancerogeni.
In futuro la zona rimarrà ancora chiusa alla cittadinanza. «Ma si potrà fare il
bagno in mare e stare sugli scogli, mentre l’area inquinata verrà invece
recintata», spiega l’assessore ai Lavori pubblici Francesco Bussani. Il
cantiere, partito da pochi giorni, riguarda dunque la bonifica della passeggiata
a mare, lunga appunto poco meno di un chilometro. A completare l'opera verranno
realizzate due ampie aree adibite a parcheggio all'inizio e alla fine del
terrapieno per un totale di circa 100 parcheggi. Nell'ambito del monitoraggio
ambientale previsto a corredo degli interventi di messa in sicurezza de lotto, è
già stato effettuato “ante-operam” uno studio delle polveri mediante deposimetri
della durata di 30 giorni. All’interno del sito si procederà, inoltre, con
l'esecuzione della campagna di campionamento delle acque sotterranee sui 12
piezometri presenti nel sito. I lavori dureranno, meteo permettendo, 154 giorni.
L'appalto è stato aggiudicato in seguito ad una procedura negoziata con il
criterio del prezzo più basso e un importo a base d'asta dei lavori pari a
781mila 319 euro. Il lavoro è stato assegnato al Costituendo Rti formata dalle
Imprese Vanuti Lino srl con sede legale a Tarcento e la Applicatori società
cooperativa, avente sede legale a Basiliano, con un importo complessivo pari a
739mila 386 euro. «La proposta di variante del Comune prevede di mettere in
sicurezza parte del terrapieno con tecniche innovative e rispettose
dell'ambiente, ma anche economiche, rispetto alla soletta in calcestruzzo
prevista nel progetto definitivo generale», puntualizza Bussani. La principale
variazione in questo caso è anche economica: invece dell'impegno finanziario
previsto all'inizio dell'anno scorso - possibile solo con l'alienazione di beni
immobili da parte dell'amministrazione - il cantiere verrà “affrontato” con un
avanzo di bilancio derivante da oneri di urbanizzazione accertato a fine
dell'esercizio finanziario 2015. Un'operazione pari a circa la metà dell'importo
previsto, ossia 850mila euro, ai quali si sono aggiunti ulteriori 122mila euro,
provenienti da una sponsorizzazione privata, contro un milione e mezzo previsti
ad inizio anno 2015. Il Comune dunque farà fronte con altri capitoli di spesa
specifici per la realizzazione di quest'opera, senza necessariamente vendere i
“gioielli di famiglia”. Soddisfatto Bussani: «Come promesso, stiamo proseguendo
nel percorso di restituzione della costa ai muggesani. Cercheremo di realizzare
il tutto nel minor tempo possibile». Il vicesindaco muggesano annuncia anche le
prossime mosse: «Il Comune si rivarrà su chi ha causato l'inquinamento, perché
al momento si sta sostituendo a chi l'ha provocato, come previsto dal Codice
dell'ambiente, procedendo nelle bonifiche, con grande fatica e impegno
finanziario, proprio per poter restituire alla città il prima possibile ciò di
cui è stata privata per troppi anni». Dopo l’approvazione nella Conferenza dei
servizi finale indetta dalla Regione a giugno 2015 del progetto definitivo di
messa in sicurezza e bonifica del terrapieno, dopo aver trascorso 13 anni nel
tentativo di rivalersi su chi aveva causato l'inquinamento, e dopo aver
completato i lavori urgenti di messa in sicurezza del terrapieno che le
mareggiate si stava portando via, il Comune di Muggia è quindi finalmente
riuscito davvero nell'intento di iniziare i lavori di bonifica del primo lotto.
A quando la bonifica della parte interna? La risposta è semplice: quando
verranno recuperati i 3 milioni necessari.
Riccardo Tosques
Età lontane unite nel rispetto dell’ambiente - Con
“Esistenze 2017” gruppi composti da under 14 e over 65 hanno lavorato su
ecosistema e natura
Dal 2002 al 2016 l’età media in Friuli Venezia Giulia è aumentata, passando
da 44,3 a 46,4 anni. Anche Trieste è ulteriormente invecchiata, salendo da 47,2
a 48 anni per età media. Ed è aumentata di ben il 20% la quota della popolazione
ultra 65enne in regione, passata dai 258.856 abitanti del 2002 ai 310.951 del
2016. A Trieste gli ultra 65enni erano 54.480 nel 2002, oggi sono quasi 58.000.
Aumentano, parallelamente, anche le nuove nascite: la fascia 0-14 anni conta in
Fvg circa 15mila cittadini in più rispetto al 2002, oggi i giovanissimi in
regione sono 151.892. A Trieste i giovani da 0 a 14 anni sono attualmente
23.000, erano 21.300 quindici anni fa. Le fasce di anziani e giovani sono le
uniche che crescono, in regione e a Trieste: perché i 15-64enni erano 134.000
nel 2002, adesso sono 123.454. Proprio alla luce di questi dati acquista
notevole rilevanza “Esistenze”, Osservatorio sulle diverse età della vita, il
progetto pilota ideato dal Cta Gorizia a cura di Roberto Piaggio ed Elisabetta
Gustini. La sua settima edizione è stata presentata al Caffè San Marco alla
presenza dei promotori e dell’assessore regionale a Lavoro e Formazione Loredana
Panariti. “Esistenze” è un progetto innovativo e sperimentale dove l’incontro,
la scoperta, la conoscenza reciproca, l’aggregazione, il lavoro d’équipe creano
momenti di grande intensità, mettendo a confronto due periodi della vita
profondamente diversi. Dedicato al tema dell’ambiente, dalla conoscenza
dell’ecosistema al conseguente rispetto della natura, “Esistenze 2017” ha
coinvolto un migliaio circa di studenti delle scuole primarie delle province di
Trieste, Udine e Gorizia, e un centinaio di anziani ospiti delle case di riposo
triestine e regionali. Nelle scorse settimane alunni e anziani hanno costituito
gruppi di lavoro e hanno raccontato le loro esperienze, riflettendo sul
cambiamento avvenuto negli ultimi 50-70 anni nel rapporto tra uomo e ambiente
naturale. I gruppi sono stati orientati alle questioni quotidiane quali il
riciclo dei materiali, lo spreco del cibo e dell’energia, il rapporto con gli
animali; e a temi più complessi come il riscaldamento globale, le energie
alternative e l’equa distribuzione delle risorse. «Esistenze si propone di
alimentare un rapporto diretto e interattivo tra i bambini e gli anziani,
incoraggiando una nuova etica dei rapporti tra le generazioni» ha spiegato
Panariti. I risultati di questo incontro saranno presentati mercoledì 5 aprile
al Teatro Miela.
L’INIZIATIVA ANTIDEGRADO - La Rotonda del Boschetto inaugura i Sabati ecologici
Sono partiti ieri i Sabati ecologici alla Rotonda del Boschetto, nell’area parcheggio vicino alla sede della sesta circoscrizione. L’iniziativa antidegrado e itinerante, promossa da AcegasApsAmga e Comune di Trieste, nasce dall’intento di contrastare il fenomeno dell’abbandono dei rifiuti ingombranti nelle vie cittadine e nel corso degli anni sta riscuotendo sempre più successo tra i triestini. Infatti, nel corso del 2016 ha permesso di raccogliere quasi 88 tonnellate di materiale di cui 47 solo da rifiuti ingombranti (un incremento del 25% rispetto agli ingombranti conferiti nel 2015 e oltre il 65% in confronto al 2014). Ecco il calendario dei prossimi Sabati ecologici: sabato 8 aprile toccherà alla prima circoscrizione, a Prosecco (area parcheggio Mandria); il 22 sarà la volta della seconda circoscrizione (a Padriciano, nell’area parcheggio del campo sportivo del Gaja) e il 29 aprile i Sabati ecologici faranno tappa nella settima circoscrizione (piazzale XXV Aprile entrando da via Curiel).
SEGNALAZIONI - Parco del Mare - Le perplessità di Legambiente
Legambiente Trieste si pronuncia su progetti concreti e non su "concept" o "visioni" e ha invitato a sottoscrivere la petizione in attesa di esprimere un parere ragionato. Da allora abbiamo raccolto utili informazioni e ora evidenziamo tre problematiche: 1) aspetto urbanistico-paesaggistico. Dove mettere i bus e le auto che porteranno i 900.000 / 700.000 visitatori/anno, cioè una media di 2000/2500 al giorno? Per l'impatto visivo, attendiamo di sapere l'altezza esatta dell'edificio principale. 2) aspetto economico-finanziario. Abbiamo grandi perplessità sulla solidità dell'iniziativa e sulla mancata informazione dei triestini, che dovrebbero essere i beneficiari di questi fondi. Secondo quanto dichiarato da Paoletti il 4 novembre 2006, i 50 milioni di euro previsti per l'opera sarebbero stati "coperti in gran parte da privati". In seguito però si parla di 40-44 milioni (di cui quasi 30 milioni di impegno privato), nell'ottobre 2007 di 48 milioni (di cui 30 pubblici) e nel 2012 di 44 milioni per il solo acquario (di cui 33 coperti dal pubblico). Oggi ci sono 9 milioni della CdC, 9 della Fondazione CRTrieste, "qualche" milione della Regione, probabilmente nulla dai privati, per una spesa non definita. Le proporzioni privato/pubblico si sono totalmente invertite. I cittadini, che hanno alimentato i profitti della Crt (ora in Fondazione) e il Fondo Benzina, e gli operatori ancora oggi "tassati" da Paoletti per il Parco del mare, hanno diritto di conoscere le esatte valutazioni economico/finanziarie sulla validità del progetto, e dove finiranno i 20 milioni destinati alla città. In democrazia scelte così importanti non possono essere decise da pochi, senza alcuna trasparenza. L'affidamento della struttura a una ditta specializzata, che si assume gli enormi oneri di gestione, non ci garantisce dal rischio di trovarci - dopo i primi anni di successo - un'enorme struttura a carico, soprattutto se i calcoli dei costi/benefici, cioè la redditività, risultassero incerti o poco affidabili. Vogliamo conoscere i dettagli delle previsioni di entrate e uscite previste per l'acquario, perché una delega in bianco ai gestori ci esporrebbe a rischi eccessivi. 3) il terzo aspetto riguarda gli animali dell'acquario. Secondo la legislazione UE ed italiana, un acquario è parificato agli zoo. In questo tipo di acquari - deve essere chiaro a tutti - il fine principale degli investitori è il profitto, tutti gli altri scopi (educativo, ricreativo, di ricerca) sono secondari. Lo scopo principale è attirare più persone possibili e anche più volte all'anno. A Trieste molti cittadini non accettano che degli animali vengano rinchiusi nell'acquario, e ritengono che dal punto di vista educativo questo modello, come gli zoo, vada superato dall'uso della realtà virtuale e dall'educazione al rispetto per gli altri esseri viventi. Però è chiaro che tutte le proposte alternative, compresa quella di spostare il progetto in Porto Vecchio, comportano la chiusura del progetto di Paoletti e una sua ridiscussione, a partire da zero. Legambiente chiede che un progetto di tali dimensioni venga discusso pubblicamente e che vengano presentate anche ipotesi alternative per usare questi fondi a beneficio della città.
Andrea Wehrenfennig - presidente Circolo Legambiente Trieste
IL PICCOLO - SABATO, 1 aprile 2017
Dall’ex Volta all’Oberdan - Un rebus da venti milioni -
La foto delle urgenze dopo il passaggio delle superiori dalla Provincia al
Comune
In lista d’attesa compaiono pure il Max Fabiani, il Nordio e il
Nautico-Galvani
Gli esami non finiscono mai, ma nemmeno i cantieri. Certamente quelli delle
scuole superiori triestine, passate di competenza del Comune dopo il tramonto
delle Province. La giunta Dipiazza ora ha sul groppone ben 20 milioni di
investimenti per rimettere in sesto le malconce strutture cittadine, secondo le
stime compiute ancora a suo tempo dalla stessa amministrazione provinciale.
Un’impresa titanica perché i fondi statali e regionali spesso arrivano col
contagocce. Di ristrutturazioni, in questi ultimi anni, se ne son viste. Ma
molto resta da fare, avverte l’ormai ex assessore provinciale al Patrimonio
Mariella De Francesco che fino a poco tempo fa aveva in mano la mappa dei lavori
da avviare. Il discorso è complesso. Perché mentre sistemi gli infissi da una
parte, si sgretola l’intonaco dall'altra. Rifai i bagni, ma non i corridoi.
Sistemi il riscaldamento, ma chi pensa alle facciate esterne? Aggiusti il
parquet della palestra, ma nel frattempo nei laboratori si lavora con strumenti
anteguerra. «Anche questo è un problema - evidenzia l’ex assessore - aule e
materiali spesso sono insufficienti alla didattica». Se i soldi sono pochi ci si
concentra sulle priorità. Che significa, innanzitutto, sicurezza. «Ecco -
riprende De Francesco - da questo punto di vista mi sento di dire che molto
negli ultimi anni è stato fatto». Rimesse a norma le finestre pericolanti e gli
impianti elettrici, ora tocca al resto. Un primo sommario inventario segnala, ad
esempio, che nella succursale del liceo classico Petrarca in largo Sonnino
bisogna mettere a posto la facciata. Da rifare pure corridoi e scale. «Sono
sicure, ma andrebbero allargate secondo le normative vigenti. Stiamo parlando di
una struttura piccola - chiarisce - perché nasce come una scuola elementare e
quindi è inadatta a ragazzi più grandi. Ci si adatta perché gli spazi sono
quelli che sono». In cima alle priorità pure l’ex Volta, in via Battisti, oggi
sede distaccata del liceo scientifico Galilei e di alcune classi dell’istituto
tecnico industriale di lingua slovena Stefan. Il palazzo, senza altri
investimenti, rischia di rimanere utilizzato a metà: c’è il pianoterra da
sistemare, così come il primo piano, mentre il secondo e il terzo sono già stati
rimessi a nuovo. L’elenco continua con l’edificio di piazzale Canestrini, a San
Giovanni. Si tratta dell’ex Stefan, sottoposto a un rifacimento totale. I
lavori, lì, saranno completati il prossimo anno scolastico. In futuro la
struttura ospiterà pure l’istituto tecnico statale Ziga Zois, che si trova
provvisoriamente nell’immobile del parco in via Weiss. Non è finita qui. La
succursale dell’ex Carducci, in via Corsi, ha subìto recentemente un intervento
alle finestre e agli ambienti interni. Presto toccherà alle facciate, fondi
permettendo. In attesa di lavori di riqualificazione pure l’istituto tecnico Max
Fabiani, così come il liceo artistico Nordio, che a causa di alcuni spandimenti
in corrispondenza delle vetrate ha delle aree di fatto inutilizzate. «Ci sono
dei punti da impermeabilizzare, compresi quelli che danno sul versante del porto
- ricorda De Francesco - ma anche le parti interne andrebbero sistemate per
rendere tutta la scuola agibile». Cantieri in piazza Hortis, al Nautico-Galvani.
«C’era un grosso progetto da quasi sei milioni di euro - ripercorre l’ex
assessore - ma l’investimento che poi è stato concretizzato si è limitato a
circa due e mezzo. Sono stati ristrutturati tetto, facciate e bagni -
puntualizza - ma rimangono ancora da completare i corridoi, ad esempio, oltre
alle scalinate». La lista è destinata a non esaurirsi facilmente. «Purtroppo no
- avverte l’ex esponente della giunta Bassa Poropat - anche gli istituti messi
meglio hanno necessità di manutenzioni continue. Proprio il Petrarca, dove di
recente è stata aggiustata la palestra, avrebbe necessità di una rivisitazione
completa all’interno. E non solo a spot, come fatto finora. Stesso discorso per
l'Oberdan - sottolinea - là vanno riqualificati i laboratori e pure la parte
antistante la palestra, spogliatoi compresi, oltre al campo esterno. Tirando le
somme, si raggiungono non meno di 20 milioni di euro».
Gianpaolo Sarti
L’incognita dell’ex caserma di via Rossetti - La
possibile trasformazione da area militare a didattica vincola i destini della
succursale del Petrarca
Il futuro del Petrarca, della sede succursale di largo Sonnino almeno, è
appeso al destino dell’ex caserma di via Rossetti. Come saranno impiegati, in
futuro, quegli enormi edifici abbandonati? Parte delle strutture potrà ospitare
studenti? Del trasloco di licei e istituti nell’enorme complesso militare si è
parlato a lungo, in passato, ma ad oggi non ci sono risposte e progetti certi.
Gli interrogativi restano in sospeso. «Ecco perché molti lavori nella succursale
del Petrarca, nel tempo, sono stati rimandati», ragiona la dirigente scolastica
del Petrarca Cesira Militello. «La mia non è una polemica - precisa la preside -
anche perché all’ex Provincia va riconosciuto un grande impegno. Per quanto ci
riguarda da noi sono stati rifatti numerosi lavori nella sede centrale, tra cui
gli spogliatoi. Per la succursale siamo invece in una situazione di stallo: di
fatto grandi iniziative di ristrutturazione alla fine non sono mai state assunte
proprio perché c’era la previsione di assegnarci una parte dell’ex caserma, che
costituisce sicuramente un obiettivo per la nostra scuola. Questo perché stiamo
parlando di una struttura prospiciente che quindi risolverebbe anche i problemi
logistici per i docenti che dovrebbero spostarsi da una parte all’altra. In
largo Sonnino rimangono quindi da rifare le facciate, ad esempio». Anche il
Galilei reclama attenzione. «Qualche anno fa abbiamo beneficiato di un
finanziamento ministeriale cospicuo - ricorda la preside Lucia Negrisin - e
questo è stato possibile grazie a un progetto immediatamente cantierabile
predisposto dalla Provincia con cui è stata rifatta tutta la parte interna,
bagni compresi, e pure i serramenti. Quindi oggi abbiamo una scuola che
all’interno è a posto al 90%. Certo, mancano le facciate, solo che l’impalcatura
costa centinaia di migliaia di euro visto che siamo su una scarpata». Lavori
ancora da completare al Nautico-Galvani, in piazza Hortis. «Il primo lotto, cioè
la ristrutturazione esterna, è ultimato - evidenzia la preside Donatella Bigotti
- ed è stata rifatta pure una parte dei servizi igienici. La situazione è
cambiata, ma ci aspettavamo anche il rifacimento della seconda parte dei
servizi. La Provincia aveva avviato la progettazione, ma il passaggio di
competenze con il Comune credo abbia bloccato il secondo step dei lavori». L'
impiantistica delle scuole triestine risulterebbe invece tutto sommato a norma,
ormai. «Da questo punto di vista tutto è a posto adesso - conferma l’ex
assessore provinciale al Patrimonio Mariella De Francesco - e gli anni scorsi
abbiamo provveduto a sostituire anche le caldaie, installando impianti a
risparmio energetico. Ma le scuole rimangono ancora poco decorose e inadeguate
sotto il profilo della didattica moderna. Anche se non crolla niente, ma non ti
occupi di dipingere gli esterni, ad esempio, una scuola apparirà sempre
vecchia».
(g.s.)
Ok al “porta a porta” a Muggia ma la Tari più cara fa
litigare
MUGGIA «Entro autunno partiremo con la raccolta “porta a porta”». Laura
Marzi annuncia quella che sarà una vera e propria rivoluzione nella quotidianità
dei muggesani. Durante l’ultimo Consiglio comunale sono state approvate le nuove
tariffe della Tari per rispondere al nuovo tipo di servizio curato dalla Net spa
di Udine. «Abbiamo vissuto una discussione vivace con una sostanziale divergenza
di opinioni. Allo stesso tempo ho constatato la disponibilità da parte dei
consiglieri di minoranza a fornire il proprio contributo in quello che sarà un
passo importantissimo per la nostra cittadina», aggiunge Marzi. L’iter per
raggiungere l’effettiva raccolta differenziata dei rifiuti prevede una serie di
incontri informativi. «Inizieremo con gli studenti entro la fine di quest’anno
scolastico», puntualizza il sindaco. Così Nicola Delconte di Fdi: «Finalmente il
Comune ha deciso di affrontare gli enormi problemi lasciati in eredità dalla
fallimentare amministrazione precedente. Ci siamo astenuti poiché nonostante le
mancanze e le perplessità di questo piano, che riguardano principalmente gli
aumenti delle tariffe, diamo atto che almeno un tardivo inizio ci sia stato».
Roberta Tarlao di Meio Muja ha spiegato il motivo del suo voto contrario: «Siamo
favorevoli alla differenziata ma a causa dell’urgenza di approvare le tariffe
non abbiamo potuto fornire alcun contributo per migliorare il progetto. Ho
votato inoltre contro poiché non condivido l’impostazione dell'assessore sulla
raccolta dell’indifferenziata che causerà comportamenti viziosi come la
migrazione dei rifiuti». Contraria anche Roberta Vlahov (Obiettivo comune):
«Siamo favorevoli alla differenziata, ma non all’aumento della tariffa. I
cittadini che fanno sacrifici vanno premiati, non penalizzati". Nel voto
contrario si è ritrovato anche il M5S. Astenuti, oltre a Fdi, anche Forza Muggia
e Lega Nord. Favorevole la maggioranza di centrosinistra.
Riccardo Tosques
IL PICCOLO - VENERDI', 31 marzo 2017
L’iniziativa - Maratona senza confini per rilanciare le
ferrovie
Sono partiti ieri per una mini maratona ferroviaria transfrontaliera
attraversando tre differenti Stati: Italia, Slovenia e Austria. Ripercorrendo
idealmente la Trieste-Jesenice, una delle linee della Transalpina, sono passati
nell'arco della giornata per Villaco, Gorizia, Nova-Gorica, il lago di Bled,
arrivando fino a Gemona del Friuli con il treno del progetto Micotra che collega
Udine a Villacco.
La Confederazione mobilità dolce (Co.Mo.Do) dedica a livello nazionale per il secondo anno un mese intero all'uso di treni, bici e passeggiate con varie tappe italiane assieme alla X edizione della “Giornata/e nazionale delle ferrovie non dimenticate”, a cui partecipano diverse associazioni. Per «il rilancio del valore turistico, culturale ed ambientale delle ferrovie (non) dimenticate», ha affermato il presidente nazionale di Co.Mo.Do, Massimo Bottini. Un tour che in regione si concluderà oggi con le iniziative di domani e domenica lungo la ferrovia Gemona-Sacile sospesa da alcuni anni a causa di una frana e mai più ripristinata, ma che, ha sottolineato Andrea Wehrenfennig della segreteria regionale di Legambiente «dovrebbe essere riattivata entro il 2017». La manifestazione ha visto i partecipanti a Trieste anche per sensibilizzare le istituzioni sui carenti collegamenti ferroviari transfrontalieri. «È una vergogna che da qualche anno non vi sia un treno diretto da Venezia e Trieste a Lubiana e Zagabria - ha detto il vicepresidente di Co.Mo.Do Massimo Ferrari -. E lo è anche il fatto che non venga adeguatamente valorizzata la Ferrovia Transalpina tra Gorizia e Bled, di grande interesse ambientale. Occorrono, infine, più frequenti collegamenti su rotaia tra Venezia, Udine, Klagenfurt e Vienna». «In questi anni è cresciuta comunque la sensibilità, e si è sviluppato qualche fatto concreto per il rilancio delle linee ferroviarie locali», ha aggiunto Anna Donati, presidente onorario di Co.Mo.Do, facendo riferimento al progetto di legge per lo sviluppo delle ferrovie turistiche ora al vaglio nella commissione Trasporti del Senato. (b.m.)
Luka Koper sfida il governo sulla ferrovia - Tasse
sulla movimentazione e aumenti di pedaggi per finanziare la
Capodistria-Divaccia: protestano vertici e sindacati del porto
LUBIANA A prima vista può sembrare un ossimoro, una contraddizione, ma la
nuova legge approvata ieri dal governo della Slovenia per la realizzazione del
secondo binario lungo la linea ferroviaria tra Capodistria (leggi porto) e
Divaccia incontra l’opposizione di chi ne dovrebbe essere il primo beneficiario,
ossia Luka Koper e i sindacati, la società che gestisce il Porto del capoluogo
del Litorale sloveno. Oltre a istituire la società 2Tdk che sarà
contemporaneamente concessionario e investitore della nuova linea ferroviaria,
la norma che adesso passerà al vaglio del Parlamento di Lubiana prevede alcuni
capitoli che riguardano i cespiti di finanziamento dell’opera. Oltre ai fondi
europei e a quanto è in grado di fornire lo Stato, poco invero per un opera che
dovrebbe costare 1,4 miliardi di euro (anche questa cifra è oggetto di
contestazioni), la rabbia dei camalli di Capodistria e della società per cui
lavorano è concentrata sul fatto che la normativa prevede, proprio per il
finanziamento dell’infrastruttura, una tassa sulle merci che vengono movimentate
proprio dal porto di Capodistria. Se questo balzello venisse introdotto già per
l’anno incorso verrebbe a costare circa 18 milioni di euro, balzello che il
governo sì è riservato di poter aumentare o diminuire nell’ordine del 20%.
Apriti cielo. Luka Koper e i sindacati non ci stanno. È giusto, precisano, che
Luka Koper, il primo beneficiario del raddoppio della tratta ferroviaria
partecipi alla realizzazione dell’infrastruttura, ma questo avvenga attraverso
un “prelievo” statale dei ricavi di Luka Koper. Insomma i sindacati, in primo
piano, chiedono al governo Cerar di convocare gli azionisti di Luka Koper e dire
loro che il dividendo dei prossimi anni delle azioni dello scalo sarà impegnato
nella strategica infrastruttura ferroviaria. Altrimenti, sostengono all’unisono
camalli e Luka Koper, il porto perde la sua competitività e rischia di perdere,
di conseguenza, traffici. Ma la legge approvata dal governo sloveno non prevede
soltanto la tassa sulle merci movimentate nel porto di Capodistria, ma anche un
aumento del pedaggio autostradale dei camion superiori alle 3,5 tonnellate che
circoleranno in Slovenia. Automatica la protesta delle associazioni degli
autotrasportatori, mentre questa tassa dovrà essere sottoposta la parere
dell’Unione europea. Lubiana però è ottimista in quanto in sede comunitaria
esiste il precedente dell’Austria che ha introdotto un “balzello” simile per
finanziare la realizzazione del nuovo traforo del Brennero. La tassa slovena
dovrebbe portare al progetto un ammontare complessivo di 11,4 milioni di euro.
Molte le critiche al provvedimento del governo. Soprattutto per il fatto che non
vi è alcuna certezza della copertura economica della realizzazione del progetto
e sugli investimenti magiari (300mila euro?) siamo ancora nella fase delle
ipotesi.
Mauro Manzin
Voto bipartisan, tassa sui rifiuti invariata - Il
Consiglio comunale vota a maggioranza la delibera sulla Tari. Contrari solo i
rappresentanti grillini
La tassa sui rifiuti (Tari) rimarrà sostanzialmente invariata. Famiglie,
imprese, pubblici esercizi, negozi, dovranno sopportare un costo pressoché
identico a quello dello scorso anno. Complessivamente saranno chiamati a versare
circa 34 milioni e mezzo di euro. Lo ha deciso ieri sera a grande maggioranza il
consiglio comunale. La delibera presentata dall'assessore al Bilancio, Giorgio
Rossi, che prevede tariffe in linea con quelle applicate nel 2016, ha ottenuto
29 voti favorevoli su 34 presenti: i 5 no sono stati dei 5Stelle. «Contestiamo
l'intera impostazione di questa delibera - ha spiegato il capogruppo, Paolo
Menis - perché a nostro modo di vedere questo meccanismo di tariffazione va
rivisto per ottenere una maggiore equità nella distribuzione dei costi. Dovrebbe
pagare di più chi inquina di più e sarebbe anche utile modificare in generale
l'impostazione della raccolta rifiuti». «Questa maggioranza - ha concluso - non
ha una visione a medio lungo termine dello smaltimento dei rifiuti». Vincenzo
Rescigno, capogruppo della lista Dipiazza, ha parlato di «delibera che
rispecchia le linee programmatiche del sindaco». Antonio Lippolis (Lega Nord),
pur confermando il sì del suo gruppo, ha invitato «le istituzioni a farsi parte
diligente, per modificare la normativa che sta alla base dei criteri di
distribuzione dei costi, un decreto che risale al 1999, che non tiene conto
delle modifiche intervenute nel frattempo nella società». Dopo l'approvazione,
Andrea Cavazzini (Forza Italia) ha presentato un ordine del giorno per chiedere,
a partire dal prossimo anno, «un esonero o una consistente riduzione della Tari
per le famiglie numerose o con almeno due figli, i cui genitori risultino
residenti a Trieste da almeno due anni e di cui almeno uno dei due sia di
cittadinanza italiana». L'ordine del giorno è stato approvato con 28 voti
favorevoli, un astenuto, quello di Maria Teresa Bassa Poropat, e il no dei
consiglieri del Pd. «Abbiamo votato contro - ha spiegato la capogruppo Fabiana
Martini - in quanto ci lascia perplessi il riferimento alla necessità di avere
la cittadinanza da parte di almeno uno dei due genitori. Sappiamo che ottenerla
implica un iter piuttosto lungo, inoltre non abbiamo capito perché il testo non
sia stato direttamente inserito nella delibera presentata dall'assessore Rossi».
Dopo l'approvazione dell'ordine del giorno di Cavazzini, la seduta è stata
sospesa per una ventina di minuti per permettere al sindaco, alla giunta e ai
consiglieri di assistere all'arrivo davanti a piazza dell'Unità d'Italia della
“Majestic Princess”. Fatta infine propria dalla giunta, come "raccomandazione",
la mozione presentata da Francesco Bettio (lista Dipiazza) che prevede «la
possibilità di incrementare gli stalli destinati ai velocipedi».
Ugo Salvini
Liberate da rifiuti e inciviltà due super vedette del
Carso - I volontari di “Sos Carso” di nuovo in azione dopo le pulizie nel bosco
di Crogole
Al setaccio i punti panoramici Liburnia e Weiss compreso un ex bunker di
Gladio
DUINO AURISINA - Bottiglie, taniche, sedie e lattine. Ecco il “classico”
repertorio di rifiuti che il team di volontari del gruppo Sos Carso ha
incontrato durante l’ultima gita di pulizie carsoline, la prima in salsa
primaverile. La formazione capeggiata da Cristian Bencich e Furio Alessi ha
setacciato i dintorni delle vedette Liburnia e Tiziana Weiss, due dei punti più
panoramici del territorio triestino. Tra le aree ripulite anche il bunker
utilizzato da Gladio durante la Guerra Fredda. Attraversando i sentieri Cai 1 e
23 e quello della Salvia i volontari si sono recati in prima battuta alla
vedetta Liburnia nel territorio comunale di Trieste (ma inserita nel catasto
dell’AcegasApsAmga) a pochi passi dal confine con il territorio di Duino
Aurisina, sul ciglione, nella sella tra il monte Berciza ed il monte Babiza. La
vedetta è in realtà una ex torre piezometrica, una struttura tecnica a servizio
dell’acquedotto, con la funzione di mantenere regolare la pressione dell’acqua.
Il manufatto venne eretto tra il 1854 e il 1856 su progetto dell’ingegnere
viennese Carl Junker, lo stesso che realizzò il Castello di Miramare. «La
vedetta Liburnia era piena di bottiglie, vetri e plastiche. Abbiamo ripulito la
scalinata interna e il terrazzo, raccogliendo al suo interno un sacco nero di
immondizie. Sul sentiero della Salvia e sui sentieri Cai abbiamo raccolto invece
qualche bottiglia in plastica, una tanica e un secchio di plastica», racconta
Bencich. Successivamente il gruppo di volontari triestini si è recato alla
vedetta Weiss, sita nella frazione di Aurisina cave, appartenente al comune di
Duino Aurisina, una costruzione molto più semplice che risulta quasi una specie
di «terrazza a mare» naturale. La struttura è intitolata all’alpinista triestina
Tiziana Weiss, scomparsa nel 1978 a soli 26 anni in seguito ad un incidente in
parete sulle Pale di San Martino. Due le particolarità. La vedetta è costruita
sui resti di un bunker militare, bunker che venne utilizzato appunto
dall’organizzazione Gladio come “Nasco 203” un nascondiglio di armi e munizioni
in caso di resistenza ad una possibile invasione dall’Est comunista. La storia
narra che nel febbraio 1972 due quattordicenni trovarono per caso un vero e
proprio arsenale che in base all’inventario stilato allora dai carabinieri era
composto da 15 chili di esplosivo plastico, cinque di cariche esplosive di
dinamite, 200 metri di miccia detonante, 80 detonatori, 50 trappole esplosive,
nonché una pistola automatica spagnola Star con 50 cartucce, una pistola
americana Histandard calibro 22 con silenziatore e 50 proiettili, sei granate
incendiarie e numeroso altro materiale esplosivo. Del tutto diversi, ovviamente,
i reperti ritrovati ora da Bencich e soci: «Nell'area abbiamo trovato barattoli,
bottiglie, un tappeto di mozziconi di sigarette che, ricordiamo, necessitano dai
due agli otto anni per decomporsi. Inoltre abbiamo ripulito il bunker
sottostante da una sedia di plastica, una cassetta di plastica, una scala in
ferro e qualche bottiglia». Il gruppo Sos Carso si era già contraddistinto
qualche settimana or sono per il grande intervento nel bosco sopra la frazione
di Crogole, a San Dorligo della Valle, sotto San Servolo. Qui l’area era
divenuta una vera e propria discarica a cielo aperto per mano di un ghanese
senza fissa dimora. Il team era intervenuto anche nel bosco di Pese-Draga,
sempre a San Dorligo, vicino ad una “jazera”, l’antico sistema di produzione del
ghiaccio. Bencich rinnova il doppio invito a chi volesse unirsi alle pulizie
carsoline: «Ci si può trovare facilmente sulla pagina Facebook Sos Carso. In
alternativa la donazione di guanti e sacchi neri sarà sempre ben accetta».
Riccardo Tosques
Salvare il laghetto di Percedol è un atto “contro natura” - La lettera del giorno di Franco Cucchi già docente di Geografia fisica e Geologia applicata presso l’Università di Trieste
Mi hanno colpito le prime due frasi dell’articolo sul laghetto di Percedol comparso su Il Piccolo di domenica 26 marzo: «Il laghetto incastonato nella dolina di Percedol è un fenomeno naturale tanto raro quanto prezioso. Addirittura unico in Italia, nell’ambito del carsismo».Ebbene, forse sarà raro, ma sicuramente non è naturale! Nei secoli passati i pastori carsolini avevano impermeabilizzato il fondo per creare una pozza d’acqua dove abbeverare il bestiame. Con continuità tenevano sotto controllo i punti di assorbimento che costellano il fondo della dolina, garantendo agli animali la presenza dell’acqua piovana. Parafrasando il suo incipit, il laghetto di Percedol è un ottimo esempio di artificialità, di ristagno d’acqua in superficie in territori carsici. Di simili in Italia ce ne sono moltissimi, “carsici” e non carsici: l’uomo ha cercato, e per molto tempo ci è riuscito, e cerca ancora, spesso non riuscendoci, di piegare l’evoluzione naturale ai suoi scopi. Ora a Percedol la natura (intesa nel senso più ampio, “geologica”) riprende il sopravvento: non per nulla gli americani per definire queste depressioni usano il termine “sinkhole” e non dolina (termine tratto dalle lingue slave, divenuto “europeo”): foro del lavello (inghiottitoio) più che depressione (valle, pianura). Che si voglia preservare un ecosistema è umano, che si affermi di effettuare interventi per salvaguardare “fenomeni naturali” che tali non sono è, in questo caso se non sempre, una forzatura. La dolina di Percedol, dolina asimmetrica di prevalente dissoluzione, frutto della coalescenza di più punti idrovori, antico abbeveratoio non più utilizzato, è divenuta negli ultimi cinquant’anni habitat “anomalo” nel Carso Classico per la costante presenza d’acqua superficiale. E, come tale ha acquisito caratteristiche ambientali particolari che, nel Carso, sono in parte tipiche “naturalmente” anche delle grandi kamenitze (le vaschette di corrosione). Voler mantenere “artificialmente” questi habitat è cosa discutibile ma possibile. E’ però necessario programmare, accanto ad interventi mirati e geologicamente compatibili, anche una manutenzione “ordinaria” a tutela dell’efficacia degli interventi. Che, debbo ribadirlo, nel caso specifico sono “contro natura”!
GREENSTYLE.it - GIOVEDI', 30 marzo 2017
TAP: gasdotto, un’opera che serve davvero?
Il gasdotto TAP sta occupando in questi giorni le pagine della cronaca per via delle proteste che si sono accese in Puglia, più precisamente nella Provincia di Lecce, tra le località di Melendugno e San Foca. Gli animi si sono scaldati dopo che il Ministero dell’Ambiente ha autorizzato l’eradicazione di oltre 200 ulivi per far posto all’infrastruttura che porterà in Italia il gas dalla lontana regione del Mar Caspio, attraversando Turchia, Grecia, Albania e Mar Adriatico prima di approdare nel nostro paese.
È però bene valutare la questione da un punto di vista differente rispetto a quello che considera esclusivamente l’impatto ambientale dell’opera: il Trans Adriatic Pipeline serve davvero?
Si parta dal considerare che il costo complessivo dei
lavori si aggira intorno ai 4,5 miliardi di euro. Il rischio è che, in caso di
inattività o scarso utilizzo della linea, parte delle spese possa ricadere in
futuro sulle tasche delle utenze, in bolletta, ripetendo così una situazione già
vista con il rigassificatore OLT di Livorno, come sottolinea Luigi De Paoli,
docente di economia dell’energia alla Bocconi sulle pagine del sito QualEnergia.
Di per sé l’idea di diversificare le fonti di approvvigionamento del gas non è
errata, poiché renderebbe l’Italia meno dipendente dagli umori e dalle strategie
potenzialmente imprevedibili di fornitori come la Russia, la Libia e l’Algeria.
Va altresì considerato che Paesi come Azerbaigian e Turchia, di importanza
fondamentale nella gestione del TAP, non costituiscono solide garanzie dal punto
di vista dell’affidabilità di chi li amministra. Un altro fattore da non
trascurare è quello legato alla reale necessità di importare altro gas,
considerando che l’Italia ha già una capacità potenziale pari a 140 miliardi di
metri cubi l’anno, mentre il consumo non supera il 50% di tale quota. Il
gasdotto andrebbe ad aggiungerne altri 10 miliardi. L’obiettivo del governo
sembra però essere un altro: trasformare il nostro Paese in una sorta di hub per
la distribuzione della materia prima a livello continentale. Anche da questo
punto di vista ci sono dubbi sull’effettiva fattibilità del progetto.
Ultimo tassello del puzzle, ma non per questo trascurabile, è la visione in
prospettiva correlata a un sempre più massiccio sfruttamento delle fonti
rinnovabili: con un ciclo vitale del gasdotto stimato in trent’anni si arriverà
a ridosso del 2050, quando solare, fotovoltaico ed eolico dovrebbero (ci si
augura) soddisfare gran parte della domanda energetica.
Il rischio è dunque quello di trovarsi ben prima con un’opera mastodontica, ma
almeno parzialmente inutilizzata e responsabile di costi ingenti per il
mantenimento. Uno scenario ancora più inquietante è quello che vorrebbe gli
investimenti destinati al TAP frenare lo sviluppo delle rinnovabili. Insomma, i
quesiti e gli spunti di riflessione sull’effettiva necessita di un nuovo
gasdotto non mancano, così come gli argomenti a sostegno di chi supporta l’una e
l’altra posizione.
Cristiano Ghidotti
IL PICCOLO - GIOVEDI', 30 marzo 2017
Centrale di Krsko sotto la lente a Bruxelles - I
ricercatori Sirovich e Decker all’Europarlamento: attività sismica anche recente
nell’area della struttura
TRIESTE Due ricercatori, uno triestino e uno austriaco, hanno tenuto ieri
una delle due sessioni della conferenza "Rischio sismico in Europa" del
Parlamento europeo a Bruxelles. Al centro della loro relazione i pericoli
derivanti dalle centrali nucleare in zone sismiche, e in particolare quelli
legati alla centrale slovena di Krsko. I due ricercatori sono Kurt Decker
dell'università di Vienna e Livio Sirovich dell'Ogs di Trieste: sono andati nel
cuore dell'Unione europea su invito dell’europarlamentare Pd Isabella De Monte,
che ha organizzato la conferenza. Hanno parlato a titolo personale, senza quindi
coinvolgere i rispettivi istituti. Decker e Sirovich hanno sintetizzato per i
rappresentanti europei quanto avevano esposto nell'ottobre scorso al senato
italiano. Il panorama tracciato è preoccupante: a confermarlo c'è anche un
recente servizio di La7, in cui il direttore dell'Agenzia di sicurezza nucleare
slovena Andrej Stritar, di fronte al giornalista che gli chiedeva cosa sarebbe
successo in caso di terremoto di magnitudo 7, ha risposto facendo il gesto del
toccar ferro. Proprio 7 è il valore sulla scala Richter che un terremoto
potrebbe potenzialmente raggiungere a Krsko secondo diversi esperti: l'ha
spiegato Sirovich all'Europarlamento illustrando i dati. Decker ha sottolineato
la necessità di sviluppare un programma per identificare le faglie attive e
l'urgenza di farlo subito attorno al sito di Krsko, dove esiste anche una
preoccupante attività sismica passata e recente. Sirovich ha precisato che la
centrale è stata progettata a fine anni '70 del '900 per un'accelerazione di
riferimento al suolo di 0,3g (accelerazione di gravità). Secondo uno studio
segreto la centrale dovrebbe resistere anche a un dato di 0,6g ma, ha proseguito
Sirovich, questa conclusione è poco affidabile, e non è certo nemmeno che 0,6
sia la massima accelerazione possibile in sito. «Secondo gli stress test sloveni
- ha spiegato il geologo -, con un'accelerazione superiore a 0,8g sarebbero
probabili danni al nocciolo del reattore, con rilasci di radioattività
nell'ambiente». Vi si legge anche che non si può escludere «che nelle fondazioni
si verifichi il pericolosissimo fenomeno della liquefazione delle sabbie». I due
tecnici hanno criticato anche i criteri adottati dagli stress test europei.
Hanno spiegato: «La scelta di stress test di questo tipo non sembra discendere
dal desiderio di esporre al pubblico risultati trasparenti, e verificabili da
valutatori indipendenti, ma piuttosto dalla volontà politica di lasciare a ogni
nazione mano libera sulle proprie scelte energetiche; ciò senza preoccuparsi
delle conseguenze di sicurezza nazionale e internazionale». I ricercatori hanno
concluso citando una lettera dell'Istituto nazionale francese di radioprotezione
e sicurezza nucleare, del 2013, rivolta alle autorità slovene, che a proposito
della pericolosità sismica della centrale di Krsko espone concetti simili.
Giovanni Tomasin
Dalla Tari un tesoretto da oltre 34 milioni - Esame in
commissione per la tassa sui rifiuti che resterà invariata. Ma tengono banco le
differenze di esborso tra le categorie
I PARADOSSI RILEVATI - I piccoli negozi finiscono per pagare di più
rispetto ai supermercati e la voce “attività industriali” pesa molto poco -
Gli
incassi della TARI -stime 2017-
L’importo della tassa sui rifiuti (Tari) rimarrà pressoché invariato
rispetto allo scorso anno, e il Comune si aspetta di incassare dal tributo un
gruzzolo da circa 34 milioni e mezzo di euro (cifra analoga al 2016). È quanto
emerso ieri mattina dalla relazione che l’assessore al Bilancio Giorgio Rossi ha
fatto alla Seconda commissione del Consiglio comunale, presieduta dal
consigliere della Lista Dipiazza Roberto Cason. L’esponente della giunta ha
consegnato ai consiglieri il testo della delibera che definisce la Tari,
accompagnata da una serie di tabelle che chiariscono, tra le altre cose, quali
siano le entrate previste per il 2017. La parte del leone la faranno ovviamente
le utenze domestiche, per un totale di quasi 21 milioni e 400mila euro. Tra le
utenze non domestiche svetta invece la categoria “uffici, agenzie, studi
professionali”, che porterà alle casse comunali un totale di quasi tre milioni e
mezzo di euro. Al secondo posto “ristoranti, trattorie, osterie, pizzerie e pub”
con oltre un milione e 600mila euro e al terzo “autorimesse e magazzini senza
alcuna vendita diretta”, che pesano per circa un milione e 300mila euro. Più di
un consigliere è stato colpito dalla differenza di introiti, ad esempio, con
l’industria: dalla categoria “attività industriali con capannoni di produzione”
il Comune prevede di incassare in tutto neanche 70mila euro. Nella discussione
che ne è seguita, diversi partecipanti hanno espresso perplessità sui criteri
adottati. Ma, come hanno spiegato i tecnici del Comune, sono strumenti dettati
dal livello nazionale. Il consigliere leghista Antonio Lippolis ha rilevato come
la categoria dei piccoli negozi, “ortofrutta, pescherie, fiori e piante, pizza
al taglio”, paghi di più (316mila euro) rispetto ai supermercati (274mila euro):
«Mi chiedo perché le piccole attività abbiano una tassa da 16 euro al metro
quadrato mentre i supermercati ce l’abbiano da quattro euro. Penso possano
pagare di più, anche perché hanno assorbito praticamente tutto il mercato».
Concetto ribadito anche dal forzista Everest Bertoli. Salvatore Porro di
Fratelli d’Italia ha sollevato il problema delle famiglie numerose: «Chi ha
tanti figli paga di più invece di essere aiutato». Il capogruppo del Movimento 5
Stelle Paolo Menis ha rilevato che «finché non ci sarà un sistema di valutazione
puntuale continueranno ad esserci le iniquità che, in modo diverso, i
consiglieri intervenuti hanno rilevato». Il dirigente comunale della Ragioneria
Vincenzo Di Maggio ha spiegato la ragione per cui le tariffe presentano simili
squilibri: «Per calcolarle si applica un decreto del 1999 - ha detto -. Quel
testo contiene delle tabelle realizzate a seguito di studi fatti a livello
nazionale, che in base a un’analisi empirica hanno quantificato la produzione di
rifiuti per metro quadro nelle diverse categorie non domestiche». Queste tabelle
vengono utilizzate su tutto il territorio nazionale per la definizione delle
tariffe. Esiste la possibilità di cambiarle, ha precisato il dirigente, però si
tratta di un’operazione alquanto complicata: «Se un Comune utilizza i criteri
del Dpr è al sicuro da potenziali ricorsi. In caso di proteste può tirar fuori
la regola nazionale, che vale come fosse un Vangelo. Se un ente locale decide
invece di fare misurazioni proprie per rivedere i criteri alla base delle
tariffe, deve poi essere in grado di difenderle». È probabile infatti che
qualcuno, da una o dall’altra categoria, colga l’occasione per un ricorso
davanti al giudice amministrativo: «Se il Comune definisce i costi in base ai
criteri che si è creato deve essere sicuro che siano a prova di bomba».
Giovanni Tomasin
Ritirata la petizione anti Parco del mare - Si chiude a
1335 firme - Passo indietro dopo che Paniccia ha “dimezzato” il progetto -
L’attesa ora è per il Consiglio chiarificatore del 6 aprile
Il Parco del mare, ormeggiato virtualmente al molo Fratelli Bandiera (area
Porto Lido, zona Lanterna, ex Cartubi), che ondeggia in attesa del Consiglio
comunale chiarificatore di giovedì 6 aprile, perde la petizione avversa. Non
luogo a procedere visto che per strada è mutato (o forse non era stato ben
compreso) l’oggetto del contendere. La petizione è stata chiusa lunedì scorso
con 1335 firme. Il suo ritiro è conseguente all’intervista del 15 marzo a
Massimo Paniccia, presidente della Fondazione CRTrieste, dove si parla di un
«ridimensionamento di quasi la metà rispetto all’ipotesi iniziale”. «Paniccia
dichiara di aver ridotto il concept di Chermayeff (il progettista, ndr) proprio
“per superare le avversità suscitate dallo stesso in qualche settore cittadino”
- spiega Giorgietta Dorfles, portavoce del Comitato “La Lanterna” che ha
promosso la petizione -. È proprio questo, e solo questo, il motivo per cui
abbiamo deciso di ritirare la petizione, perché non esiste più alcun elemento su
cui esprimere una valutazione. Si tratta di un atto di correttezza e non di
autocritica». Ovvero non si tratta di una retromarcia. Nel senso che il
Comitato, che ora ha aperto pure una pagina Facebook, resta in attesa di capire
esattamente di quale Parco del mare si sta parlando per Porto Lido. A partire
dalle sue dimensioni e dal suo impatto sull’area della Lanterna. È in atto un
dibattito su verità e falsità che circolano attorno al progetto. I promotori, a
partire dalla Camera di commercio con il presidente Antonio Paoletti in testa,
hanno persino aperto un confronto sui social per smontare alcune informazioni
inesatte che circolano sull’ultima versione del Parco del Mare. Il progetto
“dimezzato” del Parco del mare, illustrato da Paniccia, prevede un acquario da
11mila metri quadrati, 5,5 milioni di litri d’acqua e un costo stimato di 47,7
milioni. Punta a essere autosostenibile già con 600mila visitatori annui. I
sette metri di altezza, indicati nel concept di Chermayeff, erano solo
un’ipotesi di scuola. «L’ipotesi di realizzare il Parco del mare in zona Porto
Lido ha fin da subito, fine 2015, fatto riferimento alle dimensioni indicate
nell’intervista del presidente della Fondazione CRTrieste Paniccia. Dimensioni
condivise con la Camera di commercio e sulle quali si sono espressi a favore il
Comune, già con il sindaco Roberto Cosolini, e la Regione. Le “non verità”
inserite nella petizione, e riferite solamente all’immagine di un concept
progettuale, avrebbero richiesto un adeguato approfondimento prima di essere
proposte e diffuse con commenti non basati su elementi reali», ha precisato
alcuni giorni fa Andrea Bulgarelli, ufficio stampa della Cciaa, invitando a
ritirare la petizione. Ma Giorgietta Dorfles non ci sta a passare per la
portavoce di una petizione (ora ex) «basata sul falso e redatta solo per trarre
in inganno la cittadinanza». «Se vogliamo ancora parlare di false informazioni,
i nostri erano giudizi, cosa ben diversa, le assicurazioni che il Parco del mare
si sarebbe visto solo dal molo Audace sono state smentite da una simulazione
fatta dalla società Arsenal presso l’Area Science Park, inserendo sulla mappa in
3D della città il famoso cubone con le misure allora ventilate», aggiunge dando
appuntamento a tutti alla verifica dell’aula comunale. Intanto la pagina
Facebook “Parco del Mare di Trieste - Trieste Sea Park” ha raggiunto quasi 2.500
like (2.489 per la precisione) nonché 2.534 follower. La petizione ritirata del
Comitato “La Lanterna” oltre 1.300 firme
Fabio Dorigo
In treno da Trieste a Villaco. Nuova linea da giugno 2018.
Estensione a Trieste, a partire da giugno 2018, nei fine settimana, del treno Villaco-Udine, gestito da Ferrovie Udine Cividale (Fuc) nell’ambito del progetto regionale Micotra, e biglietti integrati tra il trasporto pubblico locale del Friuli Venezia Giulia e il servizio ferroviario della Slovenia: sono i risultati dell’approvazione, in sede di Commissione europea, del progetto Connect2Ce - Improved rail connections and smart mobility in Central Europe, a valere sul cosiddetto asse prioritario 4 inserito nel secondo bando Interreg Central Europe di cui è capofila il segretariato esecutivo dell’Iniziativa centro europea (Cei). «È un successo di cui siamo orgogliosi e che aggiunge nuovi tasselli nel mosaico delle connessioni transfrontaliere del Friuli Venezia Giulia, sulla direttrice del Corridoio Adriatico - Baltico e sull’asse est - ovest, tasselli che sono concreti e percepibili per i cittadini», ha commentato la governatrice Debora Serracchiani, a proposito delle notizie inerenti proprio i trasporti transfrontalieri, di cui la Regione ha reso noti i dettagli in un comunicato stampa ufficiale. «La possibilità di estendere a Trieste, nei fine settimana, il treno Udine - Villaco arricchirà il Friuli Venezia Giulia di un collegamento con la Carinzia strategico sotto il profilo turistico, anche per la connessione con la rete ciclabile, mentre per quanto riguarda la Slovenia si apre finalmente l’opportunità di attivare, con una semplificazione dei biglietti, un’integrazione operativa del traffico passeggeri». E soddisfazione in questo senso è stata espressa anche dai vertici di Fuc, Ferrovie Udine - Cividale, «per l’aggiudicazione di un progetto europeo che dimostra la qualità delle nostre iniziative industriali. Ora siamo da subito impegnati nella costruzione del modello di esercizio Udine - Trieste, per corrispondere alle esigenze del mercato e dei tour operator». Il prolungamento pilota su Trieste del Villaco - Udine scatterà a giugno 2018 per la durata di un anno e assicurerà l’estensione del collegamento ferroviario il sabato e la domenica. Per quanto riguarda il biglietto integrato Italia - Slovenia, tra le possibilità allo studio c’è l'acquisto di un ticket ferroviario unico che con un piccolo sovrapprezzo garantisca ai passeggeri in arrivo alla stazione di Villa Opicina di imbarcarsi direttamente sui mezzi della Trieste Trasporti. Il progetto Connect2Ce, nel suo insieme, interessa sette Paesi dell’Ue, per una durata di 36 mesi (dal primo giugno 2017 al 31 maggio 2020) e un budget totale di due milioni e 850mila euro. Per l’Italia, accanto a Cei, capofila, i partner sono Ferrovie Udine - Cividale (che è una società a capitale interamente regionale), Regione Veneto ed Eurac (Alto Adige), con la Regione Friuli Venezia Giulia che è partner associato e la cui presidenza ha promosso e sostenuto l’iniziativa. Attualmente il progetto ferroviario Micotra (acronimo di “Miglioramento dei collegamenti transfrontalieri di trasporto pubblico”), che è sorto nell’ambito del programma operativo per il sostegno alla collaborazione transfrontaliera per le zone di confine Italia - Austria Interreg I, assicura con due coppie di treni un collegamento ferroviario regionale diretto transfrontaliero tra le stazioni centrali di Udine e Villaco con fermate intermedie a Gemona, Venzone, Carnia, Pontebba, Ugovizza, Tarvisio Bosco Verde, Thörl-Maglern, Arnoldstein, Villach Warmbad e Villach Westbf.
“Nel mare dell’intimità” sulle rotte antiche - Storie
di uomini, navi e traffici al Savoia
“Nel mare dell’intimità, storie di uomini, navi e traffici sulle rotte
antiche dell’Adriatico”. Su questo tema parlerà oggi alle 18, alla sala
Imperatore del Savoia Excelsior, l’archeologa Rita Auriemma, direttrice del
Servizio di catalogazione del patrimonio culturale del Friuli Venezia Giulia.
L’appuntamento si inserisce nel ciclo di conferenze organizzate
dall’associazione culturale Italian Liners. L’incontro si propone di illustrare
le “vie miliari del mare”, la presenza e il significato storico dei relitti
scoperti in Adriatico nel corso degli ultimi decenni. Tra essi, la nave romana
del II secolo Julia Felix, ritrovata nel 1987 a 16 metri di profondità al largo
di Grado. L’imbarcazione, lunga 17 metri e larga sei, trasportava 560 anfore,
gran parte delle quali piene olio, vino e pesce in salamoia. Nella foto, filari
di blocchi del molo romano di Salvore.
Orti e verde urbano 2017
Alle 17.30 alla sala Arac del Giardino pubblico il secondo incontro “Dagli orti a km 0 all’orto biologico” e “Come costruire un Gas” con Daniela Peresson, agronoma. il corso, gratuito e aperto al pubblico, si rivolge a chiunque abbia interesse a coltivare un orto per diventare agricoltore urbano, anche sul balcone di casa. Per informazioni: Tiziana Cimolino cell. 328-7908116 orticomunitrieste@gmail.com
FERPRESS.it - MERCOLEDI', 29 marzo 2017
Ferrovia Transalpina: De Caro, nei progetti dell’APDS
Adriatico Orientale c’è uso come collegamento porto Trieste-Villa Opicina
Roma, 29 MAR – L’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale
riferisce che la linea Transalpina presenta dei condizionamenti all’esercizio
dei treni merci per le forti pendenze nella direzione Porto-Villa Opicina e per
la sua portata dei treni inferiore alla media; la portata è tuttavia
migliorabile con piccoli interventi e vanno rivisti i profili delle gallerie per
consentire il transito dei container HC (high cube)”. Lo riferisce il
sottosegretario ai Trasporti Umberto Del Basso De Caro rispondendo in
Commissione Trasporti all’interrogazione Prodani sulla riattivazione della linea
ferroviaria «Transalpina» nel tratto Campo Marzio – Opicina.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 29 marzo 2017
Via libera alla gestione dei rifiuti 2017 - Tari
immutata, il rebus differenziata
Il consiglio comunale ha dato voto favorevole, con l'eccezione del
Movimento 5 Stelle, al nuovo Pef, piano economico finanziario per la gestione
dei rifiuti. Un testo di accordo con Acegas che regola la gestione di circa 28
milioni di euro investiti in servizi e che dovrebbe portare a servizi
sperimentali come la pulizia radicale delle strade e la raccolta dell'olio
domestico esausto.
Approvato anche un ordine del giorno presentato da diversi consiglieri di maggioranza. Tanti i rappresentanti intervenuti dopo le relazioni dell'assessore competente Luisa Polli e del presidente della II commissione Roberto Cason (lista Dipiazza). Il capogruppo della civica Dipiazza Vincenzo Rescigno ha dichiarato: «La maggioranza garantisce il non aumento delle bollette, frutto di un'attenta contrattazione da parte dell'amministrazione con Acegas. I costi verranno restituiti ai cittadini in forma di servizio con spirito di efficienza e qualità». Il capogruppo del M5S Paolo Menis ha lamentato i «pochissimi giorni a disposizione per l'analisi del testo». Ha poi detto: «Noi ci opponevamo a questo approccio al Pef quando lo portava avanti il centrosinistra. Lo faceva anche il centrodestra, lamentandosi della raccolta dell'umido e per i troppi raccoglitori stradali». Per il M5S, ha detto, «la differenziata va valorizzata e può stare in piedi anche dal punto di vista economico, mentre questo testo non si regge senza termovalorizzazione». Sono poi intervenuti Igor Svab (Pd) e Roberto De Gioia (Verdi e socialisti): «Bisogna puntare sulla differenziata - ha detto quest'ultimo -. Non mi quadra però l'importo immutato della Tari al netto dell'aumento di questo tipo di raccolta. Almeno un po' doveva diminuire». Il consigliere Pd Roberto Cosolini ha rilevato come il documento sia «identico a quello dello scorso anno»: «Condivido anche le novità apportate. Un testo in sostanziale continuità col nostro lavoro. Chiedo al consigliere Everest Bertoli di fare violenza alla sua coscienza di votare a favore, al contrario di quanto fatto l'anno scorso». Anche Cosolini ha sottolineato l'importanza della differenziata. Anche Maria Teresa Bassa Poropat (Insieme per Trieste) ha annunciato il voto favorevole. Il capogruppo leghista Paolo Polidori ha dichiarato: «Non dimentichiamo che modificare tutto l'apparato dobbiamo confrontarci con un soggetto terzo, Hera, la cui governance è estranea al Comune. Non era così con una multiutility in casa che avevamo e che è stata svenduta dalla giunta Cosolini. Faceva profitti e aveva un'eccelsa situazione economica». Così Cosolini: «Il quadro idilliaco di Acegas nel 2011-2012 fa a pugni con i numeri di quegli anni». Il consigliere forzista Bertoli ha presentato un ordine del giorno, firmato da diversi consiglieri del centrodestra (fra cui i capigruppo), in cui si richiede una «revisione radicale del Pef 2018»: l'obiettivo è «razionalizzare la spesa; migliorare il livello di pulizia della città; ottimizzare la distribuzione dei bottini; valutare attentamente il rapporto costo/benefici della raccolta dell'umido; incrementare la raccolta del verde». Anche il capogruppo forzista Piero Camber ha invitato ad accogliere l'ordine del giorno, annunciando comunque il voto a favore di Fi al Pef: «La Tari immutata è un buon risultato». Menis ha sottolineato che «così facendo non si deve rischiare di eliminare la raccolta dell'umido».
Giovanni Tomasin
Tensione sul gasdotto: scontri con la polizia -
Attivisti contro il progetto in Puglia e l'espianto degli ulivi
LECCE - I manganelli della polizia, le cariche, a più riprese. E poi i
sassi dei manifestanti, i malori della gente, gli spintoni.
Otto i feriti, tutti in maniera lieve, tra agenti e attivisti: è stata una giornata di tensione quella trascorsa davanti ai cancelli del cantiere Tap di Melendugno in Puglia dove sono ricominciati i lavori di espianto di circa 200 ulivi dal tracciato del microtunnel del gasdotto che porterà in Italia il gas dell'Azerbaijan e dove da giorni protestano gli attivisti No Tap: chiedono la sospensione delle operazioni di eradicazione degli alberi e sono contrari al progetto di Trans-Adriatic Pipeline. Le forze dell'ordine in assetto antisommossa hanno cinturato il cantiere in località San Basilio, a San Foca di Melendugno, e forzato per tre volte i sit-in messi in atto da un centinaio di manifestanti, mentre un elicottero della polizia sorvolava la zona, presidiata da circa 300 persone, tra cui anche una cinquantina di studenti di scuole medie superiori, accompagnati da docenti. «È una giornata triste per la democrazia», dice il sindaco di Melendugno, Marco Potì. «Quando sono avvenute le cariche - racconta - sono stato allontanato insieme a sei sindaci con la fascia, a consiglieri regionali, a donne e bambini: il capo di una società privata ha chiesto e ottenuto la protezione dello Stato italiano per fare la sua attività e lo Stato italiano ha inteso assecondarlo malgrado il parere negativo di istituzioni e cittadini». Ancora più duro il governatore della Puglia: «Il Governo - attacca Michele Emiliano - dà la misura della sua incapacità di ascoltare e elaborare politicamente le richieste di una regione». La Puglia - ricorda il governatore - non ha mai detto no al gasdotto Tap, ma vuole favorirne la realizzazione attraverso una sua diversa localizzazione. La Regione ha annunciato che sarà impugnata davanti al Tar la nota del ministero dell'Ambiente con la quale ha autorizzato Tap ad effettuare le attività preparatorie alla effettiva fase di inizio dei lavori dell'approdo. Una nota - dice il ministro Gian Luca Galletti - emanata nel rispetto delle normative vigenti. «La Commissione Via, organismo di valutazione indipendente dal ministero e da ogni indirizzo politico, - precisa infatti il ministro - ha prima valutato per mesi con il massimo rigore scientifico e poi dato parere favorevole con prescrizioni al progetto Tap: ciò significa che questo, ottemperate le prescrizioni della Via, rispetta in pieno le normative vigenti a tutela dell'ambiente». Intanto mentre fuori avvenivano i tafferugli, nel cantiere continuavano - intervallati da sospensioni rese necessarie da motivi di sicurezza - i lavori di espianto degli ulivi (che successivamente saranno nuovamente piantati nella stessa area), trasportati con camion scortati da mezzi delle forze di polizia in un sito di stoccaggio.
Punta Grossa, nave s'incaglia - disastro ambientale sfiorato.
La "Capodistria" battente bandiera italiana finisce in secca. Intervento delle autorita' slovene per evitare sversamenti. L'alta marea risolve tutto.
ZAGABRIA Un disastro ambientale di grandi proporzioni è stato sfiorato questo fine settimana al largo del golfo di Capodistria. Una nave cisterna italiana, partita da Trieste e trasportante 200 tonnellate di combustibile, si è incagliata domenica all'una e trenta di notte nelle acque poco profonde che circondano il promontorio di Punta Grossa, a metà strada tra la spiaggia e il faro. La marina slovena, intervenuta dopo il "mayday" lanciato dall'equipaggio, ha portato, diverse ore più tardi, al trasporto dell'imbarcazione nel porto di Capodistria. L'incidente, che fortunatamente non è stato accompagnato da una rottura dello scafo e da una perdita di greggio in acqua, è stato causato da un errore umano, o meglio, da una manovra sbagliata del capitano, che si è avvicinato troppo alla costa, in un'area dove il fondale, roccioso e fangoso, non supera i 70 centimetri di profondità. La manovra, secondo quanto riferito all'agenzia slovena Sta dal direttore dell'Amministrazione marittima slovena Jadran Klinec, è stata a sua volta dovuta ad un problema tecnico. «(Il capitano) ha detto che il pilota automatico è andato in avaria. Essendo lui molto giovane, non conoscendo bene la nave e non essendo in grado di rispondere adeguatamente alle manovre, non ha visto il segnale di pericolo, finendo sulle secche», ha affermato Klinec ai microfoni di Sta. Dopo l'errore di navigazione del capitano della "Capodistria", la nave cisterna lunga 45 metri e di proprietà della Giuliana Bunkeraggi è rimasta incagliata per diverse ore, finché, in mattinata, l'alta marea le ha permesso di uscire nuovamente in mare aperto. Nel frattempo, la marina slovena è intervenuta con sette navi e un totale di cinquanta uomini, lavorando tutto il giorno per evitare quello che avrebbe potuto essere, secondo Klinec, «uno dei più grandi disastri ambientali dell'Adriatico settentrionale». Sono state installate le barriere anti-inquinamento per contenere un'eventuale fuoriuscita di combustibile e dopo l'arrivo dei mezzi della protezione civile a protezione dell'area, l'imbarcazione è stata trasportata fino al porto di Capodistria dov'è stata successivamente ispezionata. All'alcol test, il capitano è risultato negativo, mentre lo scafo non ha riportato danni ingenti. L'ispezione ha tuttavia riscontrato diverse irregolarità, per le quali alla nave, che effettua la tratta Trieste-Capodistria tre volte a settimana, rifornendo le altre navi, è stato sancito il divieto di lasciare il porto sloveno. Nel dettaglio, riporta la radiotelevisione Rtv Slo, le ispezioni hanno rivelato che la pompa antincendio e la bussola non erano funzionanti e che i grafici del Golfo di Capodistria non erano aggiornati. Svuotata del suo carico, l'imbarcazione è ora al sicuro, ma contro il capitano e i proprietari potrebbero venire emesse delle sanzioni, dato l'alto pericolo causato in "una zona protetta", come ha precisato alla radiotelevisione slovena Zorka Sotlar, della Direzione delle acque. In caso di una fuoriuscita di greggio, ha avvertito Sotlar, «il Servizio di pronto intervento in mare, nonostante tutte le misure, non potrebbe impedire l'inquinamento. In tali sezioni naturali della costa risulta molto difficile l'eliminazione delle conseguenze dell'inquinamento e la pulizia delle perdite».
Giovanni Vale
Ferriera - FareAmbiente e Nosmog contestano la Regione
«Spiace dover osservare che la Regione preferisce dialogare con i propri
cittadini attraverso la stampa mentre, almeno nella sua parte politica, non
lesina il proprio tempo nei colloqui con imprenditori e sindacati, sfuggendo
invece all’incontro con i residenti, come non fossero parte sociale degna di
ascolto». Così Alda Sancin, presidente dell’Associazione Nosmog, in risposta a
un comunicato stampa dell’amministrazione Serracchiani che lunedì sosteneva come
i dati sull’inquinamento a Servola non fossero mai stati così bassi. «Riteniamo
- osserva Sancin - di dover aggiungere qualcosa all'affermazione in merito al
raggiungimento dei minimo storico della media annuale di benzo(a)pirene in tutte
le centraline nel 2016: per la centralina di San Lorenzo il minimo storico a cui
fa riferimento la Regione sarebbe il valore di 0,91 a fronte di un massimo di
1,00, laddove il vero minimo è stato toccato nel 2014 col valore di 0,7 .
Considerando che la letteratura in merito sostiene che il valore obiettivo non
mette al sicuro le persone da rischi e danni essendo tale sostanza comunque
cancerogena, lo sfiorare il massimo consentito dopo ben nove anni di Aia,
indipendentemente dal gestore dello stabilimento, non dovrebbe essere di per sé
motivo di gran vanto. Ma, a prescindere da ciò la centralina interessata è più
distante dalla cokeria di quanto lo siano le case di civile abitazione. Oltre a
ciò dobbiamo ricordare alla Regione che, nel 2016, per ben 24 giorni in tale
centralina non sono stati registrati i valori di benzo(a)pirene, e, guarda caso,
le mancanze sovente capitano in giorni che seguono, precedono o sono intercalati
a giornate di valori alti». «Affermare che i valori d’inquinamento a Servola non
sono mai stati così bassi è come dare dei visionari ai residenti», commenta a
sua volta Giorgio Cecco coordinatore regionale di FareAmbiente, che alla Regione
ricorda che «stiamo attendendo da due anni la convocazione mensile del promesso
tavolo di confronto con le associazioni sull’andamento dei lavori all’interno
dello stabilimento».
GREENSTYLE.it - MARTEDI', 28 marzo 2017
Clima: Italia penultima in Europa per le politiche ambientali
L’Italia si è classificata penultima in Europa per le politiche ambientali secondo uno studio svolto da due associazioni non governative europee, la Transport and Environment e Carbon Market Watch. Un risultato allarmante emerso dopo la comparazione delle emissioni inquinanti dei vari stati che boccia in tutto il nostro Paese.
Al primo posto invece troviamo la Svezia, seguita da
Germania e Francia: in queste nazioni le politiche ambientali sono perfettamente
in linea con gli obiettivi dell’Accordo sul Clima di Parigi firmato nel 2015. In
questa classifica così troviamo la Polonia in ultimo posto poichè continua a
usare il carbone e poi, in penultima posizione assieme all’Italia, ci sono
Spagna, Romania, Croazia, Repubblica Ceca, Lituania e Lettonia. Questo risultato
per il nostro Paese va in netto contrasto con ciò che era stato deciso a Parigi
nel 2015. Sebbene nel 2004 l’Italia avesse registrato una diminuzione delle
emissioni totali importate e un aumento dell’energia prodotta da fonti
rinnovabili, la famosa “Quarta Rivoluzione Industriale” all’insegna del green
non sembra sia mai stata nemmeno iniziata.
I principali responsabili dello smog e dell’inquinamento in Italia sono i mezzi
di trasporto e gli edifici: gli italiani vivono così in condizioni di rischio
visto che le norme sul rispetto della qualità dell’aria vengono continuamente
violate e Bruxelles è stata costretta ad aprire un contenzioso proprio con il
Bel Paese su questo argomento.
Per cercare di sbloccare la situazione l’impegno dovrebbe aumentare con una
riduzione al 20% entro il 2020, tanto per cominciare, cosa che molte nazioni
hanno già raggiunto, ma non l’Italia. C’è ancora molto da fare quindi per poter
respirare meglio e non intossicarci con lo smog.
Selena
Aree protette, Legambiente: riforma sui parchi occasione mancata
La riforma della legge 394/91 sui parchi italiani passa alla Commissione Ambiente della Camera. Al testo sono state apportate importanti modifiche: alcune rispondono alle esigenze di tutela delle aree protette, soprattutto in tema di controlli, ma permangono delle criticità sulle quali sarà necessario concentrare il dibattito in futuro.
Si stabilisce ad esempio l’istituzione di una
programmazione condivisa tra governo e regioni, mediante un finanziamento pari a
10 milioni di euro annuali per il triennio che va dal 2018 al 2020, un luogo in
cui favorire la nascita di strategie finalizzate a contrastare il fenomeno dei
cambiamenti climatici, tra le prime cause della perdita di biodiversità a
livello globale.
Positiva anche la norma che presta attenzione alla parità di genere nelle nomine
degli organi dediti alla gestione dei parchi: al momento su 23 realtà nazionali
solo 3 sono dirette da donne, che rappresentano solamente il 6% dei membri nei
consigli direttivi.
Negato l’utilizzo di “eliski” nei parchi e nelle aree circostanti, così come
l’estrazione di idrocarburi (siano essi liquidi e gassosi). Ribadito inoltre il
divieto di introdurre cinghiali su tutto il territorio nazionale. Per quanto
riguarda le aree marine, dal 2018 saranno stanziati ulteriori 3 milioni di euro
per la gestione di quelle protette.
Come già detto non mancano però alcune note dolenti, soprattutto per come sono
state ignorate indicazioni offerte dalle principali associazioni ambientaliste.
Ad esempio, le aree umide nominate nella Convenzione di Ramsar e quelle della
Rete Natura 2000 riconosciute dalle direttive habitat e uccelli non sono state
inserite tra le zone protette. Niente consulta né comitato tecnico scientifico
per ogni parco.
Fa storcere il naso anche il modello di pagamento proposto dalla Commissione
della Camera per quanto riguarda i risarcimenti delle aree protette colpite da
attività impattanti, che non tiene in considerazione ad esempio degli impianti
per l’imbottigliamento delle acque minerali, le funivie e le cabinovie. Questa
la posizione di Legambiente, espressa dalla presidente Rossella Muroni:
La discussione sulla 394 non esaurisce i bisogni delle aree protette; si è persa
un’occasione importante per aprire un confronto ampio e approfondito su come
vada tutelata e gestita la biodiversità in Italia nel 2017. Il testo licenziato
al Senato è stato migliorato nel passaggio in Commissione Ambiente della Camera,
ma rimangono punti da migliorare, come la governance e le royalties e altri da
modificare del tutto.
La stessa associazione chiede inoltre l’istituzione del Parco Nazionale del
Delta del Po al posto di quanto previsto dall’articolo 27 con la delega al
governo per il Parco del Delta del Po, una prassi ritenuta poco chiara. Bocciata
anche l’applicazione della norma che impedisce a chi riceve una pensione o un
vitalizio di assumere incarichi dirigenziali escludendo i presidenti dei parchi.
Insomma, le criticità non mancano: Legambiente ne parla oggi in occasione del
convegno “Coltivare il futuro” in scena nella capitale, organizzato in
collaborazione con Federparchi e Roma Natura.
Cristiano Ghidotti
Ddl Salva-ciclisti: multe fino a 651 euro per automobilisti imprudenti
Quando siamo in auto e troviamo davanti a noi dei ciclisti ci innervosiamo. Succede sempre, ma se vogliamo superarli da oggi dobbiamo prestare ancora più attenzione. Il ddl 2658 chiamato “SalvaCiclisti” ha introdotto delle novità molto importanti per gli automobilisti. È sempre possibile sorpassarli, non dobbiamo rimanere in coda per sempre, ma almeno ad un metro e mezzo di distanza.
Il testo, firmato da Michelino Davico e sottoscritto da
oltre 60 senatori, vuole così andare a riempire una lacuna nel Codice della
strada che non specifica le modalità del sorpasso delle auto nei confronti dei
ciclisti, considerati “utenti deboli della strada”.
Il comma 2 di questo ddl tutela quindi i ciclisti e va a punire gli
automobilisti, che non rispetteranno il metro e mezzo di spazio da lasciare ai
ciclisti durante il sorpasso, con sanzioni anche pesanti: sia parte da 163 euro
e si arriva a 651 euro, persino con la sospensione della patente.
Questa proposta nasce dall’analisi di alcuni dati allarmanti che su 4 milioni di
ciclisti circa 250 muoiono sulla strada ogni anno mentre sono circa 16 mila i
feriti. La maggior parte degli incidenti, prosegue il ddl, avvengono per
l’eccesso di velocità e quindi si ritiene importante un intervento a riguardo.
Selena
IL PICCOLO - MARTEDI', 28 marzo 2017
Via alle pulizie radicali delle strade - In arrivo divieti di sosta di otto ore - Ambiente»il piano
Scatta fra un mese il programma sperimentale di
gestione dei rifiuti urbani che prevede disagi a “spot” In lista 12 super
interventi l’anno: parcheggi proibiti a rotazione in base alle zone sia di
giorno che di notte - Le novità spaziano dall’impulso alla raccolta
“verde” fino al diserbo chimico della vegetazione infestante ma nel rispetto
degli animali
“Progetto pulizie radicali”: è forse l’iniziativa più innovativa e di
maggiore impatto tra le proposte “fresche” contenute nel Piano
economico-finanziario (Pef) relativo alla gestione dei rifiuti urbani. La
delibera è stata discussa in due riunioni di commissione e oggi approda in
Consiglio. Il documento è stato illustrato dall’assessore Luisa Polli,
coadiuvata dal direttore dell’area ambiente AcegasApsAmga Paolo Dalmaso. La
“pulizia radicale” delle strade è una novità assoluta per Trieste. Partirà tra
poco più di un mese a titolo sperimentale - stavolta a costo zero - per saggiare
la produttività del servizio e le reazioni dei cittadini. Modalità e orari,
suggeriti dal Pef a pagina 26, programmano interventi diurni/notturni, a seconda
delle vie sgombere da veicoli mediante ordinanza comunale di divieto di sosta
per una durata di otto ore. Se del caso si ricorrerà - specifica il Pef - alla
chiusura al transito. La “toeletta” viaria si protrarrà per sei ore, articolata
su più tratti di via non contigui per limitare il disagio del parcheggio: per
esempio, se AcegasApsAmga decide di pulire via Rossetti, eviterà di farlo in via
Piccardi o in via Canova, ma si sposterà in altre zone. I divieti di sosta
saranno di due tipi: dalle 20 alle 4 per le operazioni notturne, dalle 8 alle 16
per quelle diurne. La sperimentazione - racconta ancora il Pef - prevede 12
interventi che saranno effettuati con spazzamento meccanizzato, con la pulizia
delle caditoie, con la posa di opportuna segnaletica, con eventuale diserbo&lavaggio.
Le zone saranno decise più avanti ma Polli anticipa che «Servola, in ragione
delle note criticità, sarà oggetto di particolare attenzione in questa fase
sperimentale». «Se vogliamo strade pulite con cura - insiste Dalmaso - questa è
l’unica soluzione possibile, pur con qualche disagio. Ma parliamo di un metodo
ormai adottato da moltissime città italiane». Nel capitolo delle novità, invero
piuttosto stringato, leggiamo altri quattro spunti degni di interesse. Il primo
riguarda la cosiddetta “raccolta verde”, che sarà raddoppiata con altri 100
cassoni da 3200 litri: Polli ci conta perchè vuole superare il 40% di
“differenziata”. Un secondo esperimento attiene l’olio alimentare esausto:
verranno sistemati alcuni contenitori - più o meno una decina - capaci di
raccogliere 200-300 bottiglie da un litro, e saranno aggiunti alle isole
ecologiche complete. La terza puntata verte sul “diserbo chimico”. Verrà
definito un protocollo condiviso con gli enti competenti, in particolare con
l’Azienda sanitaria, per un trattamento sistemico che consentirebbe - sostiene
il Pef - l’eliminazione definitiva del vegetale infestante. Polli cerca di
intercettare le immancabili obiezioni: «Nessun pericolo per i cani e per altri
animali di affezione». La quarta proposta affronta l’immancabile tema di Porto
Vecchio. Il passaggio della grande area ex portuale al Comune determina anche un
passaggio gestionale in materia di rifiuti: al momento Comune e AcegasApsAmga
sono rimasti d’accordo nel confermare la presenza una decina di contenitori,
numero che potrà essere implementato quando decollerà il polo museale. Come
abbiamo anticipato, il Piano, che deve essere licenziato prima del bilancio
(oggi pomeriggio tra l’altro il sindaco Dipiazza e l’assessore regionale alle
Autonomie Panontin si vedranno per accordarsi su proroga e contenuti finanziari
dell’esercizio 2017), è stato esaminato in due round dalla Seconda e Sesta
commissione consiliare. Ieri mattina il dipiazzista Roberto Cason e il forzista
Everest Bertoli (in sostituzione di Salvatore Porro, indisposto) hanno
presieduto i lavori, alla presenza dell’assessore Polli. Nel dibattito sono
intervenuti esponenti di tutti i gruppi: hanno parlato Cosolini (Pd), Imbriani e
Bertoni (M5s), Lippolis (Ln), Panteca (Lista Dipiazza), Apollonio (Fi). La
delibera è stata infine “licenziata” con la riserva del voto in sede consiliare.
Massimo Greco
La spesa resta uguale - La Tari non aumenta - I costi
stimati per il 2017 sfiorano i 29 milioni come nel 2016 - Domani l’esame in
commissione della delibera sulla tassa
Il complessivo da fatturare al Comune di Trieste ammontava a 28 milioni
948.721,60 euro nel 2016 e ammonta a 28 milioni 948.721,60 euro nel 2017: non un
cent in meno, non un cent in più. Perfetta parità di costi per la cittadinanza
tergestina. Circostanza che dovrebbe consentire all’amministrazione pilotata da
Roberto Dipiazza di non aumentare la Tari, la temuta tassa sui rifiuti urbani.
Perchè, dopo la tournée consiliare dedicata al Piano economico-finanziario (Pef)
relativo alla gestione dei rifiuti, il prossimo appuntamento della giunta
comunale sarà proprio con la Tari, che verrà discussa domani mattina dalla
Seconda commissione davanti all’assessore al Bilancio Giorgio Rossi. In realtà
il Piano non è molto dissimile da quello dell’ultima stagione cosoliniana. La
stessa Polli ne è consapevole: «Abbiamo avuto troppo poco tempo per apportare
modifiche sostanziali. Lo faremo con la prossima occasione». Dalmaso, giunto
alla sua ultima pianificazione, sottolinea positivamente i fattori di continuità
programmatoria e il contenimento della spesa comunale: «Potremmo definirlo un
format». Scorrendo le principali voci del prospetto sintetico, si legge un lieve
aumento di 190mila euro della termovalorizzazione (l’inceneritore, per
intenderci) in quanto si prevede un maggiore conferimento di rifiuti
indifferenziati: il costo si attesterà a circa 6,6 milioni di euro. Calerà di
90mila euro il costo dei recuperi, che scenderà a 6,9 milioni di euro. La lunga
somma, che riguarda i servizi di igiene urbana, chiude a circa 22 milioni
266mila euro, con un “delta” di 88mila euro legato all’adeguamento Istat
(+0,4%), come contemplato dal contratto di riferimento. Modesta l’incidenza dei
nuovi servizi (67mila euro), che, come argomentato nell’articolo di apertura,
verranno in buona parte gestiti in via sperimentale gratuitamente. A pagina 29
del Piano economico-finanziario è riportata la sequenza storica relativa alla
raccolta dei rifiuti sul territorio urbano triestino, dove i residenti sono poco
oltre le 203mila unità. Nel 2016 AcegasApsAmga ha registrato un aumento di circa
2,5 milioni di tonnellate rispetto all’anno precedente: nel 2015 il tonnellaggio
complessivo era di 91,5 milioni, nel 2016 è salito a 93,8 milioni. L’incidenza
della differenziata è cresciuta dal 37,37% al 39,44%. La previsione complessiva
sul 2017 accredita 95 milioni di tonnellate, con un incremento dell’1,3%. Polli
ha anticipato il fatto che a febbraio la percentuale della differenziata ha
superato il 40%: quando si pensa che questa percentuale era del 4,8% all’esordio
nel 1996, è interessante rendersi conto di come si sono evolute le abitudini
domestiche dei triestini. Sempre con riguardo alle varie tipologie di
differenziata, le stime riguardanti il 2017 suggeriscono 3,3 milioni di
tonnellate di plastica, 5,7 milioni di vetro/lattine, 8,2 milioni di carta, 1,4
milioni di cartone, 6,6 milioni di umido, 2,2 milioni di verde e 2,9 milioni di
ingombranti.
(magr)
acegas-aps-amga - Dal Maso lascia la direzione
dell’Ambiente
Paolo Dal Maso ha trascorso più o meno un terzo della sua operosa esistenza
dirigendo il settore ambiente dell’utility triestina, che all’inizio della sua
milizia manageriale si chiamava Acegas e adesso ha aggiunto le sigle Aps
(padovana) e Amga (udinese). L’ingegnere, al quale si deve il “disegno” del
Piano rifiuti che oggi va in Consiglio comunale, si pensionerà felicemente
venerdì 31 marzo a 60 anni: 32 gli anni di lavoro nell’ex municipalizzata, 19
sulla tolda di comando di un’area ad alta criticità come quella ambientale.
Venerdì scorso, in occasione del primo round dedicato dalle commissioni
consiliari all’esame del Piano, Dal Maso ha informato i consiglieri della
quiescenza. Prenderà il suo posto l’ingegnere Giovanni Piccoli, che da un paio
d’anni ha fatto “apprendistato” per rilevare la guida del settore, settore che
segue due zone urbane importanti come Trieste e Padova. Dal Maso si è laureato
in ingegneria meccanica nell’Ateneo triestino: ha svolto i primi passi
professionali alla Daneco e alle Generali. Poi l’impegno nell’utility: prima nel
telecontrollo, poi nell’esercizio idrico. Proprio occupandosi della risorsa
acqua - correva l’anno 1989 - premette il fatidico pulsante che mise in funzione
il nuovo acquedotto che lava e disseta Trieste. Ha seguito la metanizzazione a
Duino Aurisina e San Dorligo, ma soprattutto la realizzazione del
termovalorizzatore triestino, fino alla costruzione della terza linea e al
revamping della prima. Dal Maso, amante dei viaggi, lascia la trincea aziendale
ma è intenzionato a non perdere contatto con l’ambito professionale: fa capire
che potremo ancora sentire parlare di lui.
(magr)
«Valori di inquinamento mai così bassi a Servola» - La
Regione smentisce i dati dell’associazione no smog
Aria più pulita a Servola. «Negli ultimi report periodici l’Arpa ha
evidenziato il netto calo delle emissioni di benzo(a)pirene in tutte le
centraline di rilevamento, con valori storicamente mai così bassi, nonché il
raggiungimento per il 2016 del valore obiettivo previsto dalla norma in tutte le
stazioni dove il parametro viene misurato». Lo riferisce la Regione Friuli
Venezia Giulia, confutando quanto sostenuto dall’associazione No Smog nel corso
di un’assemblea pubblica sulle emissioni dello stabilimento siderurgico della
Ferriera di Servola. Con riferimento alle dichiarazioni rilasciate
dall’assessore Luisa Polli nella stessa assemblea, in merito all’assenza di una
leale collaborazione da parte della Regione, viene ribadito che
l’amministrazione «ha sempre dato puntuale e documentato riscontro a tutte le
istanze avanzate e tale correttezza è stata di recente confermata anche dalle
pronunce del Tar locale. Spiace rilevare che un rappresentante delle istituzioni
si faccia latore di notizie che non corrispondono alla realtà. Inoltre,
diversamente da quanto affermato dall’assessore Polli, in nessuno dei diversi
accordi di programma sottoscritti è mai stata prevista la chiusura dell’area a
caldo, ma soltanto indicata come ipotesi del tutto eventuale, nemmeno quale
conseguenza dell’entrata in funzione del nuovo laminatoio. Al contrario, è vero
che il piano di risanamento ambientale e riqualificazione industriale presentato
da Siderurgica triestina in attuazione di quanto previsto dall’Accordo di
programma del 21 novembre 2014 e approvato con decreto dei ministri
dell’Ambiente e dello Sviluppo economico il 2 novembre 2015, prevede che
l’attività imprenditoriale si svolga e si sviluppi tanto per l’area a caldo che
per il laminatoio, oltre che nella logistica». Intanto il Movimento 5 Stelle
torna a chiedere chiarezza sul caso Agapito. «È già trascorso un mese
dall’apertura dell’indagine interna ma dalla giunta Serracchiani ancora nessuna
informazione in merito», chiedono i consiglieri regionali del M5S Eleonora
Frattolin e Andrea Ussai. «Vogliamo sapere se la presidente della Regione
Serracchiani e la sua giunta erano a conoscenza dei rapporti esistenti fra
Siderurgica Triestina, il figlio del direttore del Servizio tutela da
inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico della Regione Fvg e la
Artec Ingegneria?». Sulla Ferriera è tornato ieri a farsi sentire anche il
sindaco di Trieste Roberto Dipiazza: «Relativamente al rapporto fatto da Arpa
Fvg a seguito della visita ispettiva dello scorso febbraio allo stabilimento
siderurgico di Trieste, questa amministrazione comunale esprime perplessità su
alcune misure adottate chiedendo di rivedere alcune scelte». Ovvero? «Non
condividiamo - conclude il sindaco - la scelta adottata da Arpa e proprietà
della Ferriera di installare un deposimetro di “bianco” in piazzale Rosmini».
Via libera al gasdotto in Adriatico - Sì al “Tap” dal
Consiglio di Stato. La conduttura andrà dall’Azerbaijan alla Puglia
ROMA - Il Tap, il gasdotto che consentirà l’arrivo del gas dall’Azerbaijan
all’Italia diversificando le fonti di approvvigionamento, si può fare. A mettere
la parola fine, almeno fino al prossimo eventuale ricorso, su una vicenda che si
trascina da tempo è stato il Consiglio di Stato, che ha rigettato gli appelli
della Regione Puglia e del comune di Melendugno, nel cui territorio approderà
l’infrastruttura dopo un percorso lungo oltre 800 km (di cui 8 in Italia e 105
nell’Adriatico) che parte dal confine tra Grecia e Turchia. Con la sentenza
pubblicata ieri, la IV Sezione del Consiglio di Stato ha respinto gli appelli
proposti nei confronti della sentenza del Tar, che aveva ritenuto legittima
l’autorizzazione all’approdo individuata dal consorzio, confermandone quindi la
decisione. Secondo i giudici amministrativi, infatti, la valutazione di impatto
ambientale resa dalla Commissione Via ha «approfonditamente vagliato tutte le
problematiche naturalistiche e anche la scelta dell’approdo nella porzione di
costa compresa tra San Foca e Torre Specchia Ruggeri (all’interno del Comune di
Melendugno) è stata preceduta da una completa analisi delle possibili
alternative (ben undici)». Inoltre è stato escluso che l’opera dovesse essere
assoggettata alla cosiddetta Direttiva Seveso, vale a dire la norma che prevede
l’identificazione di siti a qualche genere di rischio. Infine il Consiglio di
Stato ha «riconosciuto l’avvenuto rispetto del principio di leale collaborazione
tra Poteri dello Stato nella procedura di superamento del dissenso espresso
dalla Regione alla realizzazione dell’opera». Da un punto di vista della
giustizia amministrativa, insomma, al momento nulla osta alla realizzazione
dell’opera, tuttavia ostacoli potrebbero ancora derivare dalla questione dei
circa 200 ulivi che devono essere espiantati e trasferiti per consentire la
realizzazione dell’opera. Nei giorni scorsi le proteste dei no Tap sono state
plateali e così la società, pur confermando il programma di lavoro, su invito
del prefetto, ha per il momento soprasseduto alle operazioni di espianto degli
ulivi. I no Tap, però, non demordono.
“Cittadini per il golfo” tentati dalle urne - Il
movimento a difesa del territorio deciderà stasera se presentare una propria
lista alle elezioni di Duino dell’11 giugno
DUINO AURISINA - Rappresentano un folto numero di residenti, perché da tempo
si battono per la difesa del territorio in cui vivono, avendo ingaggiato
battaglie particolarmente impegnative, a cominciare da quella contro il
rigassificatore del Timavo, per proseguire con quella contro la Tav sotterranea.
E stasera, nel corso di una riunione, decideranno se presentarsi o meno, come
lista civica autonoma, alle prossime elezioni amministrative per il rinnovo del
Consiglio comunale di Duino Aurisina. Sono i “Cittadini per il golfo”,
formazione spontanea, costituita da volontari, tornata recentemente agli onori
delle cronache, in quanto organizzatrice, in collaborazione con il principe
Carlo Alessandro di Torre e Tasso, proprietario del castello di Duino,
dell’assemblea svoltasi proprio nel centro congressi del maniero duinese, nel
corso della quale si era dibattuto dell’oramai famoso e sfumato acquisto, da
parte della comunità senegalese dei “mouride”, dell’ex mobilificio Arcobaleno.
In quel frangente molti avevano apertamente dimostrato fiducia e simpatia nei
confronti di un gruppo, quello dei “Cittadini”, i cui rappresentanti non hanno
esitato a esporsi in prima persona su un argomento molto delicato. Ma ormai il
tema “mouride” è superato, almeno per il momento, visto l’acquisto prossimo, da
parte di un altro soggetto, la Fernetti srl, dell’ex mobilificio. All’orizzonte
però incombono le elezioni ed ecco che, in un panorama che per ora annovera come
candidati sindaci Mitja Ozbic per il centrosinistra, Daniela Pallotta per il
centrodestra, e Martina Svetlic per la lista autonoma “Per il Carso”, tutti con
le relative liste di appoggio, una proposta da parte dei “Cittadini per il
golfo” è caldeggiata da più parti. «Per ora - afferma Danilo Antoni, di
professione architetto, ma da tempo impegnato nel movimento a difesa del
territorio - stiamo definendo un programma. Per quanto concerne la presentazione
o meno di una lista vera e propria decideremo a brevissimo (stasera, ndr)». Del
resto, il tempo a disposizione è scarso: le elezioni sono in programma l’11
giugno. Le opzioni sono due: se i “Cittadini per il golfo” saranno in lizza
direttamente, avranno i loro candidati per la poltrona di sindaco e per quelle
di consigliere comunale. Altrimenti metteranno a disposizione degli elettori e
delle altre liste il loro programma. «In questo caso - precisa Vladimiro Mervic,
anch’egli molto attivo nelle battaglie che il movimento ha sostenuto in questi
anni - i voti dei nostri simpatizzanti andranno a quella delle liste che farà
proprio per intero o perlomeno nelle sue parti salienti e qualificanti il nostro
programma». Un’attesa, quella della decisione di presentarsi o meno, che sta
ovviamente destando la massima attenzione da parte delle liste già
ufficializzate: i “Cittadini” potrebbero orientare l’ago della bilancia.
Ugo Salvini
PROTOCOLLO - Tutelare la biodiversità
Un protocollo per tutelare la biodiversità del territorio italiano. A sottoscriverlo sono l'Associazione Guide Ambientali Escursionistiche e Csmon life, progetto italiano sulla biodiversità finanziato in Italia dalla Commissione Europea nell'ambito del programma Life.
IL PICCOLO - LUNEDI', 27 marzo 2017
Economia - Agricoltura sociale al Forum Cittadini
La legge sull'economia solidale è stata deliberata da poco dal Consiglio regionale. Il Forum Cittadini per cambiare Trieste invita ad un incontro stasera alle ore 19 in via Valdirivo 30 II piano presso il Centro interculturale italo-sloveno sulle potenzialità di sviluppo dell'agricoltura sociale a Trieste.
IL PICCOLO - DOMENICA, 26 marzo 2017
Il laghetto di Percedol rischia di sparire - Stop della Regione ai lavori di manutenzione a causa di dubbi sul tappo di cemento previsto per frenare l’emorragia d’acqua
L’ALLARME DI LEGAMBIENTE - È chiaro che le opere ora
andranno per le lunghe purtroppo a detrimento dello stato del già malandato
stagno
Il laghetto incastonato nella dolina di Percedol è un fenomeno naturale
tanto raro quanto prezioso. Addirittura unico, in Italia, nell'ambito del
carsismo. Un singolare ecosistema che tuttavia rischia di scomparire per una
serie di problematiche irrisolte. L'allarme viene lanciato da Tiziana Cimolino
di Legambiente quando ormai la primavera è sbocciata ovvero quando la natura
circostante ha già iniziato nuovamente a colonizzare l’ambiente lacustre. Un
fatto naturale che rende impossibile intervenire in modo radicale per
ripristinare il laghetto. Lo stagno di Percedol infatti appare sempre più
sofferente, ben lontano da quell'angolo fiabesco noto agli escursionisti,
depressione che ospita meravigliosi alberi a alto fusto, flora pregiata e tanti
animaletti. Lo specchio d'acqua risulta fortemente ristretto a causa
dell'apertura di un inghiottitoio, un sifone che continua a inghiottire l’acqua
trasformando il laghetto in una pozzanghera. A complicare ulteriormente la già
difficile situazione, la presenza di abbondanti sedimenti e arbusti sul fondo
della dolina. «Come ambientalista - interviene la Cimolino - denuncio come i
lavori di manutenzione del sito siano stati interrotti per un dubbio sorto sulla
tipologia di intervento e sui materiali utili a otturare il sifone. Va da sé che
la manutenzione andrà per le lunghe, purtroppo a detrimento del già malandato
stagno». La conca di Percedol, di pertinenza del Comitato degli Usi Civici
opicinese, Zona Speciale di Conservazione nell'ambito di "Natura 2000", era
interessata da un intervento che prevedeva la bonifica del sedimento marcescente
e l'otturazione dell'inghiottitoio che causa lo svuotamento del laghetto. I
lavori, autorizzati dal Servizio paesaggio e biodiversità della Regione e
diretti dal direttore del Servizio dei Musei scientifici di Trieste Nicola
Bressi, prevedevano l'utilizzo di un tappo di cemento per frenare l'emorragia
d'acqua. L'intervento così deciso veniva però bloccato, afferma l'ambientalista,
dal servizio regionale, per un dubbio insorto sulla tipologia di intervento.
Contattata al riguardo la direttrice di servizio della Direzione centrale
infrastrutture e territorio, l'architetto Chiara Bertolini, dichiara: «È stato
fatto un sopralluogo e successivamente abbiamo impartito delle specifiche di
intervento». All'ulteriore richiesta di informazioni più precise, il funzionario
ha risposto che tali questioni tecniche risulterebbero di scarso interesse per
la comunità. Tuttavia, un documento della Direzione centrale infrastrutture e
territorio datato 10 febbraio permette di far luce sulla questione: il sifone,
pur determinando una perdita d'acqua nel sottosuolo, risulta comunque importante
per il ricambio idrico. Occluderlo con il cemento, si legge, potrebbe portare
nei periodi più caldi a fenomeni di insufficiente ossigenazione dello stagno con
problemi per alcune specie. Pertanto, proprio in questa settimana, la ditta
Marocelli, ha predisposto sull'inghiottitoio della rete zincata, strati di
geotessuto e infine uno strato di argilla. La soluzione voluta dalla Regione
necessiterà comunque di una manutenzione con probabile cadenza decennale.
Interpellato sul provvedimento, l'ex direttore dei lavori Nicola Bressi non ha
rilasciato dichiarazioni. Ma nei corridoi dei Civici musei scientifici si
osserva come il nuovo intervento lasci la questione aperta, visto che nel
recente passato simili espedienti non avrebbero sortito gli esiti sperati.
Rimandato al tardo autunno il resto dei lavori, la speranza è che la soluzione
adottata sia quella giusta. Perché, in caso contrario, si potrebbe compromettere
ulteriormente l'unica e irripetibile conca di Percedol, ipotesi preoccupante non
solo per i triestini e i turisti, ma per tutta la comunità scientifica.
Maurizio Lozei
Coi pattini sul ghiaccio fino a qualche anno fa
Lo stagno di Percedol è il più conosciuto del Carso di Trieste. È anche fra i più grandi. Un tempo, d’inverno, ghiacciava con spessori che permettevano anche di pattinare sopra. Nei suoi pressi sorsero forni per la produzione della calce con il metodo più artigianale di cui rimangono deboli tracce in forma di conche circolari del raggio di qualche metro nell’angolo est della dolina . L’acqua dello stagno serviva per “spegnere” la calce “viva” e renderla utilizzabile. Risulta particolare anche la sua vegetazione, con alberi di alto fusto, come il cerro, il rovere, il carpino bianco, tipici del bosco delle doline, oltre ad altri portati dall’uomo (abete bianco e rosso). Sullo specchio d’acqua nel periodo estivo sbocciano le ninfee bianche. Nelle vicinanze dello stagno vivono l’allocco, la faina e il tasso in cerca delle loro prede: la libellula, la rana agile, il tritone punteggiato, il tritone crestato, le raganelle, i rospi comuni e la rana verde che sono i principali abitanti dello stagno. L’area è protetta dal 1984. Per raggiungere lo stagno di Percedol si deve percorrere la strada provinciale da Opicina a Monrupino. La località è segnalata da un cartello. Esiste un’area per il parcheggio.
No Smog attacca su Aia e Ferriera - L’accusa
dall’associazione: «Muro burocratico della Regione». Nuovo esposto
«Si constata come la Regione, ente emettitore dell'Aia, non voglia tener
conto delle istanze dei cittadini, fatte proprie del sindaco, respingendone
senza appello entrambe le richieste di riesame di un'Aia palesemente
insufficiente e rilasciata oltretutto in odore di un conflitto di interessi». È
questo il motivo dell'assemblea pubblica indetta ieri dall'associazione “No
smog” a Servola, che inoltre ha ribadito la «scarsa comunicazione sul tema
Ferriera, su cui si riflette anche un probabile mea culpa», e la di nuovo
dichiarata «assenza di colore politico dell'associazione». Ma non solo: «Il 70%
dei risultati delle scorse elezioni comunali - hanno detto la presidente Alda
Sancin e il segretario Adriano Tasso - ha visto premiare partiti che
promettevano la chiusura dell'area a caldo. Si ha l'impressione che la Regione
abbia voluto erigere un muro burocratico attorno allo stabilimento». A questo
proposito l'assessore comunale all'Ambiente Luisa Polli, ha detto che «il Comune
ha seguito una serie di tappe studiate assieme alle associazioni per arrivare
alla chiusura dell'area a caldo ma senza la leale collaborazione della Regione
per la salute dei cittadini questo percorso è difficile. Era anche negli accordi
di programma che nel momento in cui fosse entrato in funzione il laminatoio,
l'area a caldo avrebbe dovuto chiudere». Lo scorso venerdì inoltre, è stato
annunciato, No smog ha presentato un altro esposto alla Polizia giudiziaria per
«polveri sempre più sottili». Durante l'assemblea sono state proiettate anche
alcune immagini immortalate dai cittadini residenti in varie giornate e orari,
«in cui - è la denuncia - si vede chiaramente la presenza di copiose emissioni
non convogliate che escono da più siti all'interno dello stabilimento, dirette
verso aree abitate». E ancora: «Negli ultimi tempi, a fronte di una diminuzione
della ricaduta di polveri grossolane, è aumentata la concentrazione del
cancerogeno benzo(a)pirene». Infine, tra gli ultimi elementi annunciati, è stato
rilevato che nel 2015 le denunce per polveri, odori molesti e irritanti e rumori
«sono state superiori agli anni passati, nel 2016 solo di poco inferiori a
queste».
(b.m.)
Riqualificazione - Italia Nostra si schiera contro le
bitte piazzate in Porto vecchio
«Hanno rovinato il genius loci». I componenti della sezione triestina di
Italia Nostra si sono riuniti nella sede di via del Sale per esprimere «enormi
perplessità riguardo la riqualificazione esterna della Sottostazione elettrica e
della Centrale idrodinamica», come ha affermato il presidente Marcello Perna.
Oltre che per rilanciare un quesito: «Dov'è finito il finanziamento di 50
milioni di euro ministeriale?». Si sentono amareggiati «per l'atteggiamento
dell'autorità pubblica - spiega il presidente - perché siamo stati tagliati
fuori sia dal punto di vista della riqualificazione che della finalizzazione
delle risorse. Spero sia ancora possibile un confronto». Oggetto della polemica,
l'installazione di antiche bitte e nuova pavimentazione decorata a perimetro del
Polo museale in Porto vecchio. L'incontro è stato organizzato dopo che il nuovo
assetto è stato segnalato «da persone esperte - afferma la vicepresidente Giulia
Giacomich - docenti, tecnici, cittadini, ex lavoratori portuali». Il motivo di
dissenso riguarda principalmente «il mancato rispetto dei vincoli portuali». Che
vuol dire «l'uso errato del colore rosso Verona per la pavimentazione, la
collocazione delle bitte in quell'area, oltre al visibile taglio delle bitte
stesse, un bene portuale». «Ci sembra che questo intervento non rispetti
l'identità storica del Porto vecchio - ha affermato la vicepresidente Giulia
Giacomich - La Soprintendenza aveva sostenuto che in tutta l'area dovevano
essere riutilizzati i masegni storici». Quanto alle bitte, «non sono mai state
lì, qualcuno potrebbe pensare che anticamente ci fosse un attracco, cosa non
vera - ha detto Antonella Caroli referente sul Porto vecchio per Italia Nostra -
. Sembra che la Soprintendenza non sia stata informata». A ciò viene aggiunto un
altro problema: «Una nuova struttura che toglie la visuale". Per questo Italia
Nostra ha fatto una richiesta alla Soprintendenza per accedere agli atti,
riservandosi di contattare anche il Mibact. Sui 50 milioni poi Caroli ha detto:
«Nella delibera si legge che ci deve essere una programmazione, ma non vogliamo
una programmazione di fantasia».
(b.m.)
IL PICCOLO - SABATO, 25 marzo 2017
«Pochi i ricorsi contro il Piano regolatore» - L’ex
sindaco Cosolini e l’ex assessore Marchigiani ribattono alla Polli: «Non alteri
i dati, il Prg funziona»
Black out amministrativo? Buchi neri? Zone bianche? Niente di tutto questo:
l’ex sindaco Roberto Cosolini e l’ex assessore all’Urbanistica Elena Marchigiani
rigettano i rilievi mossi al Piano regolatore (Prg) approvato nel dicembre 2015
dall’attuale titolare dell’Urbanistica comunale, la leghista Luisa Polli. Alcuni
giorni fa l’assessore della giunta Dipiazza aveva sottolineato come il Comune
avesse perso in un anno quattro ricorsi al Tar e che, per evitare la paralisi
amministrativa, sarebbe stato necessario adottare rapidamente varianti al Prg.
Come si suol dire ricorrendo ai regolamenti d’aula, Cosolini&Marchigiani hanno
chiesto la parola per fatto personale. Le loro risposte alla Polli, ovviamente,
coincidono. «Tanto per cominciare - obietta l’ex primo cittadino che si dichiara
“sorpreso” dalle osservazioni di Luisa Polli - due considerazioni statistiche.
Venti ricorsi per un nuovo Piano regolatore, approvato a distanza di quasi
vent’anni dal precedente, sono veramente pochi, molto pochi». «Di questi venti
ricorsi - procede Cosolini - finora ne sono stati discussi 12, di questi 12 il
Comune ne ha vinti 9 e ne ha persi 3, non quattro come erroneamente afferma la
Polli. I tre ricorsi, che hanno visto l’amministrazione soccombente, riguardano
in realtà aspetti molto specifici, circoscritti, tali da non pregiudicare
l’impianto complessivo del piano». In poche parole - riassume l’ex sindaco - «il
contenzioso è risultato poco e marginale». «Non è giusto manipolare i dati -
insorge Elena Marchigiani - e non è vero che il Piano regolatore faccia acqua. I
nuovi amministratori non cerchino falsi argomenti per motivare la volontà di
adottare nuove varianti in grado di modificare il Prg. Se intendono apportare
cambiamenti lo spieghino, senza alterare la realtà dei fatti». «Ma capisco -
incalza l’ex assessore - che si sta avvicinando la campagna elettorale per le
Regionali 2018». L’ultimo argomento è una sfida aperta all’attuale
amministrazione e, in particolare, a colei che ha rilevato il suo posto: «Invece
di rincorrere falsi bersagli, perché non vanno avanti con il regolamento sugli
incentivi per la riqualificazione energetica di edifici esistenti, che è già
pronto? Perché non procedono con il piano dedicato al Centro storico?».
magr
Capodistria-Divaccia verso il raddoppio - Lubiana ora
accelera - Il governo punta a far approvare la legge entro luglio - Ungheria,
Slovacchia e Cechia fra i potenziali investitori
CAPODISTRIA - Il ministero dei Trasporti sloveni ha pubblicato la
bozza di legge per il raddoppio della linea ferroviaria Capodistria-Divaccia:
passaggio ulteriore dopo che un anno fa Lubiana aveva rotto gli indugi
appoggiando il progetto di Luka Koper, per rafforzare il collegamento
ferroviario verso il Nord Europa. La bozza prevede un partenariato
pubblico-privato per finanziare l’opera in parte con fondi statali e in parte
con fondi di altri Paesi e privati interessati. Offerte concrete sarebbero già
giunte da Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca, le cui merci destinate
all’export passano per il porto di Capodistria. Resta da capire la contropartita
pretesa dagli eventuali investitori: Lubiana non sembra voler cedere quote del
pacchetto azionario. Come detto dal segretario di Stato Jure Leben, il governo
potrebbe discutere la legge già il 30 marzo così da farla approvare con iter
d’urgenza entro metà luglio. Così la 2Tdk, la società cui Lubiana ha delegato il
coordinamento del progetto per il secondo binario, potrà concorrere ai fondi Ue.
L’opera è stimata avere un costo di 1,4 miliardi di euro: cifra che però secondo
“Iniziativa civile”, associazione creata da esperti nel campo di infrastrutture,
edilizia e economia, si potrebbe dimezzare adottando accorgimenti per superare
il dislivello della ferrovia sul Carso, riducendo a uno solo il numero dei
tunnel da costruire. Ma ridiscutere il progetto, ha già replicato il ministro
delle Infrastrutture Peter Gaspersi„, significherebbe tornare indietro di venti
anni. La maggioranza parlamentare ha scartato la proposta di Iniziativa civile -
supportata dall'opposizione - di chiedere una nuova verifica dei progetti e
avviare un dibattito pubblico su nuove soluzioni tecniche. Il governo ha da
tempo accantonato anche l'osservazione della Ue, secondo la quale sarebbe meno
costoso collegare Capodistria al Corridoio europeo Adriatico-Baltico sfruttando
le ferrovie esistenti che passano per Trieste: una soluzione - questo il
pensiero di Lubiana - che farebbe perdere competitività a Capodistria rispetto a
Trieste. Il nuovo passo dunque conferma la volontà della Slovenia di fare del
porto di Capodistria uno snodo logistico continentale, potenziando ulteriormente
il suo ruolo di leader nel movimento merci nell'Alto Adriatico. L'anno scorso il
movimento merci è arrivato a quota 22 milioni di tonnellate, il 6% in più su
base annua, il doppio rispetto a Fiume.
(p.r.)
Ambiente - Allianz spegne le luci in Largo Irneri
Allianz Italia aderirà a “Earth Hour - L’Ora della Terra”, l’evento promosso dal Wwf contro il riscaldamento globale. Nell’occasione questa sera, dalle 20.30 alle 21.30, verranno spente le luci della sede della compagnia assicurativa in Largo Irneri.
IL PICCOLO - VENERDI', 24 marzo 2017
Sos delle imprese: «Bonifiche paralizzate» - L’allarme
di Confartigianato e Confindustria sul Sito inquinato. Replica l’assessore
regionale Vito: «L’iter procede»
«La piccola imprenditoria non è in condizione di ampliare le proprie
attività, di effettuare alcuno scavo del sottosuolo, di eseguire alcuna
costruzione. Non solo: ma se l’artigiano non può migliorare il suo sito
produttivo, il valore immobiliare del sito scende e questo deprezzamento gli
viene ricordato quando va in banca a chiedere un fido». Dario Bruni è presidente
di Confartigianato Trieste, è titolare di un’azienda nell’area del Sito di
interesse nazionale (Sin), è stato presidente dell’Ezit: in questa triplice
veste è molto preoccupato di quella che definisce «paralisi della bonifica nel
Sin». Pratiche e procedure sono ferme. La sua associazione è in prima linea
nella denuncia di queste criticità, perchè su circa 330 aziende operanti
nell’area Ezit perimetrata nell’ambito del Sin, 230 sono artigiane. Con una
media di tre addetti per micro-impresa, danno lavoro a circa 700 persone, quindi
una realtà da non sottovalutare nell’asfittico panorama dell’economia triestina.
Per capire meglio l’Sos di Bruni, bisogna fare un passo indietro. Correva il
novembre 2015, quando l’ultrasessantenne Ezit veniva commissariato dalla giunta
regionale. Un mese più tardi, in sede di discussione consiliare sulla
Finanziaria regionale, un emendamento spacchettava le competenze del liquidando
ente, cosicchè la stessa Regione Fvg si sarebbe tenuta la gestione del Sito
inquinato (Sin) e il marketing territoriale. E da allora del Sin - lamenta Bruni
- non si parla più, «sono trascorsi 16 anni dai primi atti, già la lentezza
dell’iter era diventata proverbiale, ma adesso ...». L’alternativa? «Che il
piccolo imprenditore si muova in autonomia, pagandosi la pratica di bonifica:
difficile fare una media dei costi, ma non sono inferiori ai 20 mila euro. Per
una micro-azienda è un vero e proprio salasso». E’preoccupato anche Sergio
Razeto, presidente di Confindustria Venezia Giulia, perchè i tempi si allungano
sempre di più. Ma Razeto ha una speranza: «Ormai dovrebbe essere pronto lo
statuto di un nuovo “contenitore” che prenda in carico le vecchie competenze
dell’Ezit. “Contenitore” nel quale l’Autorità portuale avrà un ruolo
preponderante. Una struttura amministrativa di riferimento sarà in grado di
riprendere l’iniziativa». L’allarme di Bruni e Razeto non lascia indifferente
l’assessore regionale all’Ambiente, Sara Vito, che fornisce una articolata
replica tecnica. La riqualificazione del Sin va avanti - scrive in una nota - e
a presto Confartigianato e Confindustria ne saranno informate. «Finora - precisa
l’assessore - , le aree di proprietà ex Ezit, cioè circa 40 ettari nelle valli
delle Noghere/Rio Ospo, sono già state caratterizzate e sulle stesse sono stati
eseguiti i test di cessione». «La Regione - spiega - ha provveduto ad affidare
il servizio di redazione dell’Analisi di Rischio sito specifica (AdR), previa
identificazione dei lotti per i quali è possibile richiedere la chiusura del
procedimento di bonifica e previa delimitazione delle fonti primarie di
contaminazione/riporti non conformi, con indicazione dei possibili interventi di
risanamento per le aree individuate». All’operatore selezionato sono stati
assegnati 60 giorni per la conclusione dell’incarico. Per quanto riguarda gli
“interventi di riqualificazione ambientale funzionali alla reindustrializzazione
e infrastrutturazione delle aree comprese nel Sin” «si prevede il completamento
della caratterizzazione delle aree a terra e in seguito la definizione del
modello idrogeologico dell’intero sito e la redazione dell’analisi di rischio
ove occorra. Preliminarmente a tali attività devono essere eseguiti i test di
cessione sui materiali di riporto» A tale riguardo - conclude Sara Vito - «la
Regione intende procedere per sub-aree, iniziando dalle Noghere e completando i
test di cessione entro il 2017.
Massimo Greco
Marenordest, contro l’inquinamento degli oceani
L'inquinamento da plastica o meglio, le soluzioni che ognuno di noi, nel
proprio piccolo, può attuare per contrastare un problema di grande attualità e
valenza mondiale, sono al centro del Concorso Marenordest, aperto a tutti gli
alunni delle scuole secondarie di secondo grado della regione. Il concorso,
legato alla VI edizione di Marenordest, evento dedicato al mare e al mondo che
lo circonda, che si terrà nella suggestiva cornice delle Rive di Trieste dal 19
al 21 maggio - con eventi e incontri che coinvolgono le principali figure che
ruotano attorno al mare in vari ambiti (trasporti, cantieristica, subacquea,
ricerca scientifica e ambiente, sport acquatici, turismo e promozione del
territorio con un occhio di riguardo per le scuole - è promosso
dall'Associazione Trieste Sommersa Diving. Suddiviso in tre categorie (elaborato
scritto, video e fotografie), il concorso avrà il seguente tema: “Un mare di
plastica. Cosa può fare ognuno di noi, anche attraverso modifiche di
comportamenti scorretti, per limitare l'inquinamento da plastiche degli
oceani?". Regolamento su www.marenordest.it/concorso-scuole
L’Ora della Terra - Luci spente pensando al clima che
cambia
Domani anche a Trieste scatta l'Ora della Terra, l'evento planetario del Wwf
per sensibilizzare sul tema del cambiamento climatico, che nel 2017 celebra il
decimo anniversario. L'invito - per istituzioni, attività commerciali, ma anche
i cittadini - è di spegnere le luci per un'ora, dalle 20.30 alle 21.30, in casa,
in ufficio o al ristorante. Un gesto simbolico per iniziare a invertire la
tendenza secondo lo slogan "spegni la luce, accendi il cambiamento". L'effetto
di questa mobilitazione globale sarà una grande "ola" di buio che per 24 ore
farà il giro del mondo. Il Wwf Area marina protetta di Miramare proporrà
un'escursione serale sulla costiera triestina con osservazione delle stelle
dalla vedetta Slataper. I posti sono però già esauriti. Tra gli eventi, anche
cene sostenibili e solidali a lume di candela in partnership con Altromercato.
La Bottega del mondo Il Mosaico e il Wwf Trieste hanno coinvolto nove locali del
centro, da via dell'Annunziata a via Mazzini, via Cassa di Risparmio, via
Malcanton, via Cadorna, via Economo, via Torino e piazza Hortis, che serviranno
aperitivi o cene solidali a lume di candela. Si potrà pure ammirare piazza Unità
al buio: per un'ora infatti sarà spenta l'illuminazione della facciata del
Municipio. E si spegneranno pure luci e insegne della sede triestina di Allianz
Italia in Largo Irneri. C'è ancora tempo per aderire: la mappa degli eventi e si
può consultare su
www.oradellaterra.org/mappa-eventi.
( g.t.)
SEGNALAZIONI - Parco del Mare - Petizione basata su dati scorretti
Date le inesattezze riportate nelle lettere pubblicate il 25 febbraio e il 21 marzo scorsi, sempre a firma della signora Giorgetta Dorfles, avanzo alcune precisazioni. Anzitutto va dato atto alla promotrice della petizione contro la realizzazione del Parco del mare nell’area della ex Cartubi (meglio nota come Porto Lido) Giorgetta Dorfles, che è una buona scelta ritirare una raccolta firme fondata su elementi non corrispondenti alla realtà, proprio perché è un atto dovuto verso chi quella petizione l’ha sottoscritta sostenendo affermazioni che si sono presto rivelate false. L’ipotesi di realizzare il Parco del mare in zona Porto Lido ha fin da subito (fine 2015) fatto riferimento alle dimensioni indicate nell’intervista del presidente della Fondazione CRTrieste Massimo Paniccia, pubblicata da Il Piccolo del 15 marzo. Dimensioni condivise con la Camera di commercio e sulle quali si sono espressi a favore il Comune (già con il sindaco Roberto Cosolini) e la Regione Friuli Venezia Giulia. Le “non verità” inserite nella petizione e riferite solamente all’immagine di un concept progettuale, avrebbero richiesto un adeguato approfondimento prima di essere proposte e diffuse con commenti non basati su elementi reali. La Camera di Commercio non ha fatto intimidazioni, come ha riferito nella sua segnalazione del 25 febbraio scorso la signora Dorfles, ma ha chiesto di ritirare una petizione fondata su elementi non corrispondenti alla realtà dei fatti. Nella segnalazione pubblicata il 4 marzo la signora Dorfles, anticipando il ritiro della petizione, ne ammette contestualmente l’infondatezza. Sarà al Consiglio comunale che le istituzioni e i tecnici coinvolti presenteranno lo studio progettuale del Parco del mare rispondendo ai quesiti indicati nel programma dell’audizione dal presidente del Consiglio, Marco Gabrielli su richiesta dei consiglieri del Partito democratico. Nei prossimi mesi verrà organizzato un evento pubblico per presentare lo studio a tutta la cittadinanza come già programmato dalle istituzioni coinvolte.
Andrea Bulgarelli - Ufficio stampa Camera di Commercio Venezia Giulia
IL PICCOLO - GIOVEDI', 23 marzo 2017
Il parco fantasma di Aquilinia sparge veleni - È
polemica sull’area verde promessa già per giugno 2016. Centrodestra all’attacco.
Marzi: «Ritardi per questioni di sicurezza»
MUGGIA Che fine ha fatto il Parco urbano di Aquilinia? È l’interrogativo che
ci si pone a dieci mesi ormai dall’annuncio dell’apertura dell'area verde sita
nella frazione muggesana. Una promessa fatta dall'allora candidato sindaco Laura
Marzi, a pochissimi giorni dal voto per il rinnovo delle cariche comunali.
L’area boschiva - pari a due ettari, di proprietà della Teseco - doveva essere
realizzata proprio dalla stessa Teseco con un importo pari a 160mila euro,
necessari per la riqualificazione della zona. La nuova struttura pubblica - in
teoria fruibile dallo scorso 6 giugno - comporterà anche la realizzazione di 40
nuovi parcheggi destinati ai residenti. Collocato di fronte alla scuola
elementare Loreti e vicino all’ex caserma della guardia di finanza, il Parco,
apparentemente pronto, non è però mai stato inaugurato. La situazione di stallo
non è passata inosservata tra i banchi dell'opposizione consiliare. Roberta
Vlahov (Obiettivo comune per Muggia) racconta: «È da sei mesi che si attende
l’inaugurazione della struttura. Quando abbiamo chiesto delucidazioni in merito
ci era stato detto che il problema riguardava alcune transenne. Per ora
sull’agibilità dell’area tutto tace». E la questione finirà presto anche in
Consiglio comunale in seguito ad una interrogazione portata avanti dai tre
partiti del centrodestra. Nel testo che vede capofirmatario Andrea Mariucci di
Forza Muggia Dpm, sottoscritto anche dai colleghi di gruppo Stefano Norbedo e
Giulia Demarchi, da Giulio Ferluga della Lega e Nicola Delconte di Fratelli
d’Italia, si chiede come mai l’area, ancora interdetta al pubblico accesso e
contornata dal recinto di cantiere, sia «abbondantemente illuminata, mentre
attorno vi sono molte strade e zone in prossimità delle abitazioni che
invidierebbero una illuminazione simile». Chiamata in causa il sindaco Laura
Marzi non nasconde la problematica: «Purtroppo la mancanza di un guardrail di
sicurezza sta ritardando l’apertura effettiva del parco. Avremmo dovuto
inaugurarlo lo scorso giugno, invece non è andata così e mi assumo le
responsabilità di tutto ciò». Marzi però tiene a sottolineare che il suo non è
stato un gesto di mera propaganda elettorale: «Avremmo dovuto inaugurarlo già a
metà maggio, ma a causa del maltempo l’apertura fu prevista proprio il 6 giugno.
Invece tutto si è bloccato». Per risolvere la questione è stata stornata una
parte del denaro destinato ai parcheggi: «Abbiamo chiesto alla Teseco di
inserire questa ulteriore opera, inizialmente non prevista. L’iter per chiudere
la procedura, purtroppo, si è allungato. Speriamo a breve di risolvere la
situazione». Sull'area vige invece ancora un dubbio sul futuro dei vecchi campi
da tennis in cemento presenti alla fine della zona boschiva, attualmente
inutilizzabili. Al posto delle due strutture sportive l'amministrazione comunale
sta pensando di creare una piccola costruzione da utilizzare come centro di
aggregazione per i residenti, come conferma Marzi: «Stiamo valutando se
adoperare l’area dei campi di tennis per la socializzazione dei cittadini di
Aquilinia, una proposta sulla quale poi dovrà esprimersi la cittadinanza
locale».
Riccardo Tosques
SLOWFOOD.it - MERCOLEDI', 22 marzo 2017
«Privatizzare l’acqua equivale a una sottrazione della democrazia»
Per la giornata mondiale dell’acqua abbiamo sentito Simona Savini del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua: «Ristrutturare gli acquedotti italiani è la vera grande opera che serve al nostro Paese»
319 milioni di abitanti dell’Africa Sub-Sahariana, 554 milioni di asiatici, 50 milioni di sudamericani non hanno accesso a fonti di acqua potabile sicura (dati del World Water Council). Intanto 2,4 miliardi di persone non hanno accesso a servizi igienico-sanitari adeguati (dati dell’associazione non governativa WaterAid). E sono 25 anni che è stata istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la Giornata Mondiale dell’Acqua, per invitare alla riflessione. Certo non ha invitato all’azione viste le condizioni in cui ancora stiamo.
Ad esempio, in Italia dove l’esito della consultazione referendaria del 2011 è stato totalmente disatteso. Ve lo ricordate il referendum sull’acqua bene comune? È stato tra i più votati della nostra Repubblica, il sì ottenne oltre il 95 per cento dei voti, abrogando la legge del Governo Berlusconi che obbligava ad andare a gara per affidare il servizio idrico e a cedere quote azionarie ai privati. Privati che – secondo quesito del referendum – non avrebbero più potuto inserire in tariffa i loro profitti. Ebbene, dopo 5 anni quella volontà popolare è stata contrastata da tutti i Governi… E le cose peggiorano. Così come ben ci spiega Simona Savini, del Forum Italiano dell’Acqua «Ora nuova strategia è rilanciare i processi di privatizzazione del servizio idrico e degli altri servizi pubblici locali, oltre a reinserire, tramite il nuovo metodo tariffario elaborato dell’Aeegsi, la voce che garantisce il profitto ai gestori» come se nulla fosse stato insomma. «L’altra mossa – continua Savini – è favorire le grandi fusioni tra le maggiori società che gestiscono l’acqua pubblica sul territorio nazionale (A2A, Iren, Hera e Acea)», tutte quotate in borsa… Con assemblee dei soci a porte chiuse dove si decide per tutti noi cittadini. «Ma quanto si decide dentro quelle porte riguarda tutti noi: in assise private come i consigli di amministrazione o l’assemblea dei soci di una multinazionale si decide della nostra acqua “bene comune”. Questa è una chiara sottrazione di democrazia» commenta Savini. E infatti il Forum Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua ha avviato una bella campagna per capire quanto sia fattibile la ri-pubblicizzazione di una società come Acea, studiando i bilanci e mostrando come vengono gestiti i soldi che questa società privata guadagna attraverso le bollette.
Ma non avevamo chiesto, in milioni, che l’acqua fosse un
bene comune, o per lo meno pubblico?
Ma torniamo alla giornata di oggi, che come tema ha le acque reflue cioè quelle
già usate, perché l’Onu vuole portare l’attenzione del mondo «sullo spreco delle
risorse e sulla capacità di recuperare l’acqua usata per soddisfare la domanda
in aumento, ridurre la sete umana e la siccità della Terra, con la depurazione
cancellare l’inquinamento che le acque di scarico portano con sé».
Ora, tutto bene, e certo, sembra ovvio che bisogna ripulire le acque dagli
inquinanti. Ben vengano anche le giornate che attirano l’attenzione su questi
temi, e svegliano (?) le intorpidite coscienze. Ma, a me (e credo anche a voi)
viene da chiedermi, ma non ha senso pensare anche a eliminare gli sprechi?
«Ridurre gli sprechi significa rifare l’intero sistema idrico nazionale, e
sostituire tutti i tubi. Un investimento enorme, certo, ma che verrebbe
ammortizzato negli anni. E infatti questo ha scelto di fare il Comune di Parigi:
quando la società di gestione dell’acqua è tornata comunale, hanno avviato
questa grande opera, coordinandosi con le altre aree del comune. Così se c’era
una strada da rifare, se ne approfittava per cambiare anche i tubi» Ma quale
società privata avrebbe interesse a fare un investimento che viene ammortizzato
in decenni? «Nessuna ovviamente! Un operaio di Acea ci ha raccontato che da
quando è diventata una società privata, non si cambiano più i tubi rotti, ma si
mettono le cravatte – cerottini insomma – Ristrutturare gli acquedotti italiani
è la vera grande opera che serve al nostro Paese» conclude Simona.
Noi invece vi invitiamo a non indignarvi solo oggi, a seguire il Forum (avete
più luoghi, sito, facebook e twitter) e a partecipare a Roma il primo di aprile
Assemblea nazionale del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua. La vogliamo
questa acqua pubblica e senza sprechi sì o no?
Michela Marchi
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 22 marzo 2017
Raffica di sconfitte al Tar, “trema” il Prg - Il Comune
ha perso in un anno quattro ricorsi presentati da privati. Polli: «Per evitare
la paralisi servono subito varianti»
Trieste ha atteso per 18 anni un nuovo Piano regolatore. E ora, dopo averlo
ottenuto il 21 dicembre 2015, si ritrova con un piano “colabrodo”. Quattro
ricorsi al Tar, nell’ultimo anno, hanno disseminato di ipotetici “punti bianchi”
il Prg. Lo si è appreso ieri mattina durante la riunione della commissione
comunale sul tema del rilancio del piano edilizio proposto dal Movimento 5
Stelle. Sotto tiro è finito il “Piano regolatore Marchigiani” come lo chiamo
l’attuale assessore, Luisa Polli, in omaggio all’urbanista della giunta Cosolini
che l’ha preceduta nell’incarico. «Sul Prg pendono una ventina di ricorsi al
Tar. Alcuni ricorsi hanno una consistenza rilevante rispetto al Prg. Altri
riguardano questioni particolari e personali», spiega l’assessore leghista. In
ogni caso le impugnazioni dei privati rischiano di minare alla fondamenta il Prg
nuovo di zecca. «Quattro ricorsi al Tar sono già stati persi. E altri sono in
arrivo - spiega sconfortata l’assessore all’Urbanista -. Quando uno vince un
ricorso apre un mondo e rischia di creare problemi anche ad altri che non hanno
fatto ricorso e che magari condividono la stessa zona del Prg», spiega Polli. I
quattro ricorsi persi hanno già creato delle zone bianche dove vige la
“paralisi” urbanistica. «Il vero nodo è questo. Nel Prg Marchigiani, essendo il
Comune risultato soccombente rispetto ad alcuni ricorsi, si sono create le
cosiddette zone bianche, ovvero terra di nessuno. In queste zone nessuno può
fare nulla». Un’impasse complicata da sbloccare. L’impugnazione dello strumento
urbanistico finisce per creare un black out. «Il Tar dice che quello che
sostiene il Prg non vale più. Quindi di crea un puntino bianco sul piano
regolatore. In questo momento sono quattro, visto che sono quattro i ricorsi
persi». Da qui, con altri venti ricorsi pendenti, il rischio di trovare ad avere
piano regolatore ridotto a un groviera, ovvero pieno di “buchi”. «Ho esaminato
il contenuto di altri ricorsi. Una parte hanno contenuti simili. E quindi se il
Tar ha preso questo linea, non è difficile immaginare l’esito di molti altri
ricorsi» continua l’assessore. Che fare allora? Serve correre ai ripari in
fretta. «Dovremmo fare rapidamente delle varianti al piano regolatore che
rispondano ai contenuti delle sentenza del Tar rispetto alle singole
fattispecie. Gli uffici ci stanno già lavorando. In quell’occasione, alla luce
delle sentenze, andremo a ritarare lo strumento urbanistico. Bisogna evitare che
si apra una catena di ricorsi sulla scia dei primi. C’è il rischio reale che
l’attuale piano regolatore diventi incontrollabile creando notevoli problemi ai
cittadini e alle attività produttive». Non basta quindi mettere delle toppe sui
punti bianchi. C’è la necessità di vere varianti che risolvano complessivamente
il problema. Una revisione più che una manutenzione. «Se un ricorso riapre una
zona B3 a Borgo San Sergio è ovvio che lo stesso problema mi si pone in una zona
B3 in Strada del Friuli. Quindi la modifica deve riguardare entrambe. Serve una
visione d’insieme», spiega Polli. Ma come è possibile che il Prg varato un anno
fa sia in queste condizioni? L’assessore non butta la croce sulla Marchigiani:
«Un sacco di emendanti accolti dall’aula hanno creato un disequilibrio rispetto
al piano originale. E lo dico io che non condiviso questa visione del Prg».
Fabio Dorigo
C’è lo “Stop Salvapedoni” - Spazio di frenata ridotto -
Nuovo sistema a Palmanova in via Loredan e vicino all’ex caserma Hermada
Il mix fra bitume e griglia di acciaio consente il blocco però costa
10mila euro
PALMANOVA Arriva lo “Stop Salvapedoni” a difesa di chi attraversa le strisce
pedonale. È un dispositivo stradale innovativo che, grazie al posizionamento
sotto l’asfalto di una lamina di ferro, consente alle auto di ridurre lo spazio
di frenata. A tenerlo a battesimo in Italia è Palmanova grazie al brevetto
dell’azienda friulana Smart Way che - dopo un lungo periodo di ricerca, in cui è
stata coinvolta anche l’Università di Padova - l’ha attivato per la prima volta
in via Loredan, proprio all’uscita della scuola secondaria di primo grado
Zorutti e in prossimità dell’ex caserma Hermada. Una zona della città stellata
dove risiedono circa 145 nuclei familiari. Il sistema “Stop Salvapedoni”,
inventato e brevettato da Luca Romanini, incassato nell’asfalto in prossimità
degli attraversamenti pedonali è capace di aumentare il coefficiente di aderenza
degli pneumatici riducendo sensibilmente lo spazio di frenata. Ma cosa c’è sotto
l’asfalto? La speciale pavimentazione stradale si compone di un grigliato in
acciaio strutturale saturato con conglomerato bituminoso di tipo stradale. Le
caratteristiche di micro-tessitura, espressive dell’antisdrucciolevolezza della
pavimentazione, garantiscono praticamente quasi un blocco totale della vettura
in caso di frenata allorchè si presenta una situazione di pericolo sulle
strisce. Il dispositivo non può mutare le proprie caratteristiche di aderenza,
essendo inseriti alla superficie in acciaio dei piatti sulla tessitura
superficiale, e quindi non sarà soggetto a sostituzioni o manutenzioni. Su manto
stradale scivoloso, invece, l’efficacia del grigliato aumenta in quanto
l’aderenza è indipendente dallo stato dell'’asfalto. Il costo di
un’installazione si attesta intorno ai 10mila euro ma l’incidenza, come spiega
Romanini, è «determinata prevalentemente da materiale impiegato, con ben 15
quintali di ferro». Le prove effettuate al momento dell’inaugurazione hanno
mostrato l’efficacia del dispositivo. «La scelta di posizionare i due “Stop
Salvapedoni” davanti a una scuola e nei pressi di una zona molto abitata da
famiglie non è per nulla casuale e vuole salvaguardare l’incolumità dei nostri
ragazzi e dei cittadini» dice il sindaco Francesco Martines. Erano presenti
anche Giorgio Damiani di Fvg Strade, Gianfranco Romanelli dell’Acu Udine, Franco
Buttazzoni della Camera di commercio udinese, Elena Bernardis, vicedirigente
dell'’Istituto comprensivo della città stellata. «Abbiamo visto come
l'innovazione possa andare al servizio della sicurezza - sottolinea l’assessore
regionale Maria Grazia Santoro - perché una rete tra amministrazioni pubbliche,
imprese e scuola ha raggiunto questi obiettivi. Una nuova azienda, una startup
innovativa, con un ottimo brevetto sta nascendo». A margine è stata firmata una
convenzione fra Comune e Automobil Club di Udine.
Alfredo Moretti
Muggia dichiara guerra allo spreco alimentare
Allo studio della giunta Marzi convenzioni ad hoc con le associazioni di volontariato L’obiettivo è ridurre al minimo gli scarti nella casa di riposo e nelle mense scolastiche
MUGGIA Creare delle convezioni con le associazioni di volontariato presenti sul territorio, ma anche contribuire all’autocompostaggio dei terreni coltivati. Sono queste le ipotesi sulle quali il Comune di Muggia sta ragionando per agire concretamente contro lo spreco alimentare che si viene a creare nelle strutture pubbliche rivierasche. Un tema già in passato affrontato anche dal Consiglio comunale con una mozione - fatta propria da tutto il Consiglio stesso - presentata da Roberta Tarlao (Meio Muja). Luca Gandini, assessore alle Politiche sociali della giunta guidata dal sindaco Laura Marzi, racconta l’attuale situazione muggesana che complessivamente è già fortemente monitorata. «Per quanto riguarda la Casa di riposo la programmazione degli acquisti in base alle indicazioni e alle grammature previste nel menù concordato con l’Asuits rende la produzione degli scarti alimentari molto contenuta, ma si continuerà ad applicare comunque un’azione di monitoraggio degli scarti quantificandone il relativo peso». Diverse le azioni attivabili al vaglio nel Comune rivierasco: tra queste non sono stati esclusi neppure il riciclo per il sostegno vitale degli animali o quello con la destinazione ad autocompostaggio in relazione alla produzione di prodotti orticoli. «Chiaramente la prima riflessione è stata quella della destinazione a chi ne ha più bisogno - racconta Gandini -. La Camst ha già attivi alcuni protocolli per il recupero degli scarti alimentari derivanti dal self service attraverso convenzioni con associazioni di volontariato, ed è già impegnata a livello nazionale in attività educative per perseguire le finalità della legge 166/16. Si è resa subito disponibile a collaborare per realizzare tali attività anche nel Comune di Muggia». Accanto alla struttura di salita Ubaldini, l’altro grande punto alimentare legato al Comune è la mensa scolastica gestita dalla Sodexo, altrettanto attiva contro lo spreco alimentare. In tal senso, è già stato avviato per esempio l’iter per la realizzazione, in collaborazione con Slow Food, del progetto “Orto... in condotta”. Comprendendo sia l’educazione ambientale che alimentare, il progetto, di durata triennale, prevede il coinvolgimento delle scuole, degli insegnanti, dei genitori degli alunni e dei “nonni-ortolani”, con momenti teorici e pratici e, come si desume già dal titolo, con la creazione di orti presso le scuole, curati con processi produttivi ecologici. «Nelle varie riunioni del Comitato mensa è stato più volte affrontato l’argomento dello spreco nelle mense e di come poter intervenire per ridurlo o riutilizzarlo: nella pratica, ci si sta muovendo già con le piccole attenzioni di ogni giorno», racconta Gandini. Dalle mense scolastiche, per esempio, vengono portati in aula pane, frutta, yogurt o dolce non consumati durante i pasti, che vengono o utilizzati per la merenda pomeridiana, o portati a casa dagli alunni. Complessivamente, dagli scarti delle mense scolastiche, gli avanzi da recuperare sono pochi, grazie anche all’avvio dell’informatizzazione, che garantisce un numero di presenze giornaliere di alunni e insegnanti che utilizzano le mense piuttosto preciso: di fatto, le cucine confezionano quantità poco più che superiori alle necessità. Infine neanche nelle cucine comunali ci sono grossi scarti, come conclude Gandini: «Se non il normale scarto di pulizia dei prodotti alimentari, quali bucce, foglie di verdure da eliminare, che viene regolarmente conferito nei contenitori per l’umido».
Riccardo Tosques
Basta “sprecare” spazi verdi - In città si vive da contadini
Percorso di formazione teorico-pratica alla sala Arac del Giardino pubblico - Finora sono stati aperti ventinove orti comuni con più di 250 nuovi coltivatori
Cresce la voglia di orti urbani. A Trieste, sono sempre di più i concittadini (di tutte le età e professioni) interessati a diventare contadini urbani, sia nel giardino che sul balcone di casa, ma anche semplicemente curiosi di conoscere tutto sulla cura degli ortaggi e delle piante. Per rispondere alle sempre più numerose richieste, anche quest’anno, dopo il successo delle passate edizioni, il gruppo Urbi et Horti organizza - in collaborazione con il Comune - un programma-percorso di formazione teorico-pratica sul tema “Orti e verde urbano”. Gratuito e aperto al pubblico, il corso - che si articola in 4 moduli formativi da 2 ore ciascuno - ha lo scopo di fornire strumenti per promuovere, progettare e realizzare esperienze di agricoltura sociale a livello territoriale. La presentazione si terrà domani alle 17.30, alla sala del Giardino pubblico, alla presenza dell’assessore Lorenzo Giorgi che rimarca la valenza dell’iniziativa e il sostegno del Comune: «Gli orti urbani possono diventare strumenti educativi per il recupero di spazi abbandonati che altrimenti rischierebbero di divenire ricettacolo di rifiuti o aree degradate». «Il ciclo di incontri - riferisce Tiziana Cimolino, referente dell’associazione capofila Bioest - fa parte del progetto che un gruppo di associazioni riunito sotto il nome di Urbi et Horti porta avanti da più di cinque anni. L’idea è recuperare le aree verdi urbane e periurbane nell’ottica di una tutela dei beni comuni. Finora la collaborazione del Comune e la disponibilità di molti privati ha permesso di aprire 29 orti comuni nella Uti giuliana con più di 250 nuovi contadini che hanno potuto coltivare un orto o prendersi cura di uno spazio verde in città». Le lezioni teoriche si terranno alla sala Arac il giovedì dalle 17.30 alle 19 (il 23 e 30 marzo e il 6 e 13 aprile). Sono previste anche lezioni pratiche il sabato dalle 10 alle 12. I docenti sono tutti esperti nell’ambito di agricoltura, botanica e tutela del verde: Daniela Peresson, agronoma Aiab, e Sergio Boschian (agronomo Soi/Fvg) introdurranno al metodo di agricoltura biologia, sinergica e alla permacoltura, e Francesco Panepinto del Servizio spazi aperti e Spazi verdi pubblici parlerà della cura e la sicurezza del patrimonio arboreo pubblico. «I partecipanti partiranno dalle basi - prosegue Cimolino - per essere in grado poi di coltivare da soli il proprio orto in maniera sostenibile e biologica. Impareranno come funziona un gruppo d’acquisto e si andrà realmente in campo, mettendo le mani nella terra sotto la guida del maestro contadino Roberto Marinelli che insegnerà agli aspiranti agricoltori urbani a seminare, trapiantare e organizzare un orto in modalità biologica e sinergica». Per informazioni 3287908116 e orticomunitrieste@gmail.com.
Gianfranco Terzoli
IL PICCOLO - MARTEDI', 21 marzo 2017
Da Salvini alla Fallaci, pioggia di mozioni - In
Consiglio anche la solidarietà al leghista e l’ipotesi di una via in ricordo
della scrittrice. In piazza protesta anti Parco del mare
La seduta del Consiglio comunale che doveva ospitare l’audizione sul Parco
del mare, saltata per un “vizio di forma”, è diventata una serata di
consumo-mozioni: nel giro di qualche ora l’aula ha deciso, con maggioranze
variabili, di esprimere la propria solidarietà a Matteo Salvini per gli scontri
di Napoli, di creare aree per portare a spasso i cani, come impiegare i
“rimborsi” statali per i Comuni che hanno fatto l’accoglienza. In tarda serata
sembrava intenzionata a intitolare una via ad Oriana Fallaci. È stata ritirata,
invece, la mozione del consigliere Roberto De Gioia (Socialisti e Verdi) sul
totem dello Scalo legnami. Prima della seduta piazza Unità ha visto svolgersi la
manifestazione della Leal, lega antivivisezione, e del comitato “Trieste per gli
animali” contro il Parco del mare. Una trentina di persone hanno manifestato
sotto al municipio con cartelli e striscioni. Hanno spiegato gli organizzatori:
«Siamo contrari al Parco del mare a prescindere dal luogo, perché per noi vale
il principio etico del benessere animale. Una gabbia non può coesistere con il
rispetto per gli animali. Meglio investire quei soldi pubblici nel sociale,
nella cultura, nel verde pubblico». I lavori dell’aula si sono aperti con la
discussione della mozione lasciata in sospeso la volta scorsa, quella per
esprimere solidarietà al leader leghista Salvini, contestato a Napoli dai centri
sociali. Il capogruppo del Carroccio Paolo Polidori ha addossato all’opposizione
la responsabilità «di aver fatto saltare l’audizione da voi richiesta sul Parco
del mare». Polidori ha poi invitato a votare il testo per «condannare la
violenza e solidarizzare con Salvini e le forze dell’ordine». Lungo il
dibattito. Marco Toncelli (Pd) ha detto: «Ci si appella alla libertà
d’espressione ma Salvini è quello che ha detto che “i ministri turchi non sono
benvenuti in Italia” e che nel 2009 cantava “senti che puzza arrivano i
napoletani”. Siamo contro la violenza e solidali con le forze dell’ordine, ma
questa mozione ve la votate da soli». Sia il centrosinistra che il M5S non hanno
partecipato al voto. Discussa brevemente la mozione De Gioia per fare del
piccolo edificio che sta davanti al molo Audace un punto informazioni turistico.
La giunta l’ha fatta propria come raccomandazione, impegnandosi a prendere
contatti con l’Autorità portuale. Approvata la mozione di Piero Camber (Fi) che
chiede di istituire zone «di sgambamento» per cani in ogni circoscrizione, con
l’aiuto dei parlamentini. Discussa a lungo anche la mozione sul totem in Scalo
legnami. Inizialmente la proposta sembrava trovare molti sostenitori in aula, ma
quand’è uscito che forse un trasloco del manufatto avrebbe risvegliato qualche
maledizione indiana sono iniziate a fioccare ritrattazioni variamente motivate.
Anche il leghista Fabio Tuiach, fiero portuale e sostenitore della prima ora
dell’idea, ha fatto dietrofront a malincuore rilevando che «ai triestini del
totem non frega una mazza». Alla fine il consigliere De Gioia ha dovuto ritirare
la mozione per impedire che venisse bocciata. Approvata poi, con il sostegno
(con distinguo) del M5S e la contrarietà del centrosinistra, una mozione della
Lega Nord e della Lista Dipiazza per dedicare i “rimborsi” statali per
l’accoglienza alla sicurezza e al sociale per le famiglie triestine residenti da
più di dieci anni sul territorio comunale. È iniziata poi la lunga discussione
su “via Fallaci”, ancora in corso a serata inoltrata.
Giovanni Tomasin
Il Parco del mare ridotto non ha più senso in
quell’area - LA LETTERA DEL GIORNO di Giorgetta Dorfles
Il dottor Paniccia ridimensiona il progetto del Parco del mare e noi
ritiriamo la petizione, infatti non possiamo più fare riferimento al famoso
rendering di Chermayeff. Apprezziamo la sua sensibilità nel prendere atto della
contrarietà di parte della popolazione; del resto è noto che il sostegno della
Fondazione Crt si rivolga a finalità di rilevanza sociale. Tra le 13 firme sul
Web, le segnalazioni sul Piccolo e i commenti su facebook, in effetti la volontà
della città è apparsa piuttosto chiara. In realtà i firmatari, ahimè
sconosciuti, sarebbero stati di più se i solerti sostenitori del progetto
camerale non avessero fatto sparire i moduli cartacei che avevamo collocato in
alcuni locali pubblici. Un bel esempio di civismo e di rispetto per le opinioni
altrui! Adesso che il concept è stato messo da parte, che senso ha affermare che
bisogna situare il Parco sul Molo Fratelli Bandiera, dato che il progetto è
stato studiato appositamente per quel sito? Progetto nuovo e collocazione nuova,
questo proponiamo alla saggia valutazione del dottor Paniccia. Anzi, lo
esortiamo a fare un ulteriore passo avanti, col risultato di prendere due
piccioni con una fava: primo, dotare la città di una struttura veramente
innovativa e al passo coi tempi, data la recente irruzione della realtà virtuale
nella vita di ognuno, come ad esempio il notevole Museo Alinari creato al
Castello di San Giusto. Secondo, rendere finalmente operativa l’ex Pescheria,
ristrutturata dalla stessa Fondazione, ma da sempre sottoutilizzata,
insediandovi un acquario virtuale, come suggerito su queste pagine da vari
interventi, che farebbe da naturale prolungamento in versione contemporanea di
quello piccolo già esistente. Se invece si vuole continuare con il circo
acquatico - destinato a diventare sempre più anacronistico, sia per lo scemare
dell'iniziale curiosità, sia per la crescente attenzione al mondo animale -
facendo una brutta copia dell'acquario di Genova, con la conseguente mancanza di
attrattive e il prevedibile rischio economico, allora la sua collocazione
ottimale resta il Porto vecchio. Non si capisce, in realtà, come questa
soluzione sia stata bandita da una specie di postulato, senza addurre
particolari giustificazioni, mentre la sua candidatura è stata sostenuta in modo
veramente plebiscitario dai commenti alla nostra petizione e da varie voci
autorevoli. Continueremo quindi a riportare questa volontà dei cittadini anche
in ambito del futuro Consiglio comunale. A questo proposito, visto che
l'incontro è stato rimandato per ovvie ragioni, in quanto non si può certo
decidere sul nulla, vorremmo che fossero forniti i dati precisi del nuovo
progetto, per evitare di impostare un discussione a livello puramente teorico,
come già ci è stato rinfacciato.
Il Tribunale di Fiume intima un nuovo stop alle cave di
Marzana - Ricorso di Istria Verde accolto. Bloccato il secondo progetto - Gli
ambientalisti: «E adesso serve un referendum»
POLA - Come avvenuto due anni fa per la “Marzana 1”, il Tribunale
amministrativo di Fiume ha bocciato anche la “Marzana 2”, ossia la seconda cava
pietraia in progetto nel Comune di Marzana. Ancora una volta è stato accolto il
ricorso degli eco-ambientalisti dell’associazione Istria Verde, che hanno vinto
una battaglia contro quella che ritengono un'attività economica altamente
inquinante e dannosa per la salute della popolazione. Il giudice ha motivato la
sentenza con il giudizio negativo della Valutazione d'impatto ambientale:
documento che non contiene le possibili soluzioni di estrazione alternative a
quella a cielo aperto. A commentare la notizia dello stop è stata la presidente
di Istria Verde Dusica Radojcic in una conferenza stampa convocata assieme ai
sette cittadini di Marzana con i quali aveva inoltrato il ricorso contro il
decreto del ministero dell'Ambiente, ministero che invece aveva dato disco verde
alla Valutazione d'impatto ambientale e di conseguenza al progetto. «Questa
sentenza - ha detto Radojcic - come quella di due anni fa è la conferma di
quanto andiamo dicendo da molto tempo. Ossia che le valutazioni di impatto
ambientale possono essere tendenziose, in quanto nella maggioranza dei casi
servono a mascherare interventi che nuocciono all'ambiente invece che a fornire
analisi reali sull'effettivo impatto di determinati progetti sull'habitat.
Purtroppo - ha aggiunto - le istituzioni non tengono mai conto del parere dei
cittadini, che nel caso di Marzana sono assolutamente contrari all'apertura di
un sito per l'estrazione del marmo». Vinte dunque due battaglie, ma non la
guerra. La stessa Radojci„ ha reso noto che dopo la bocciatura di “Marzana 1” -
peraltro non in linea con il piano territoriale della Regione istriana -
l'amministrazione regionale ha subito corretto il principale documento di
pianificazione del territorio dando così all'impresa di estrazione interessata
la possibilità di avviare una nuova eventuale procedura di Valutazione di
impatto ambientale. «Riteniamo - ha continuato l’esponente dell’associazione -
che sul tema si dovrebbe indire un referendum in modo da permettere ai marzanesi
di dire se vogliono o meno una cava nelle vicinanze delle loro case».
All'incontro con la stampa è intervenuto anche il noto oncologo Mario Bozac.
«L'attività estrattiva della pietra - ha detto - oltre ai danni all'ambiente ne
provoca anche alla salute delle persone». Le due cave progettate occuperebbero
la superficie di 42 ettari; le abitazioni più vicine si trovano a meno di 500
metri di distanza dall’area interessata. L'amministrazione comunale certamente
non ha gradito lo stop imposto dal tribunale amministrativo di Fiume, in quanto
le due cave avrebbero portato in cassa quasi 200mila euro all'anno di prelievo
fiscale, senza contare gli effetti occupazionali e lo sviluppo di attività di
indotto. L'estrazione annua, sempre secondo il progetto, sarebbe di 25mila metri
cubi di pietra, ovviamente ad uso edilizio. Un brutto colpo dunque anche per le
due aziende investitrici, la Kamen e la Kamen produkt di Pisino.
(p.r.)
Bike Breakfast - Caffè e brioche gratis a chi si muove in bici
Sabato in piazza Cavana dalle 10 alle 14 ci sarà il primo “Boke breakfast: chi pedala va premiato!”, iniziativa organizzata da FIAB Trieste Ulisse e Senza Confini. Verranno "ringraziate" le persone che decidono di muoversi in bici offrendo loro un caffè e un pasticcino equo e solidale. Durante la mattinata verranno promossi incontri dedicati ai cicloviaggi FIAB (10.30), all’agenda verde del commercio equo e solidale (11); alle bici elettriche (11.30) e ai cambiamenti climatici (12,30).
Un presidio antidiscriminazioni - Iniziativa in
occasione della giornata contro l’odio razziale
Eliminare le discriminazioni razziali e ricordare le vittime innocenti
dell’odio. Questi gli obiettivi che si prefiggono i componenti del Comitato per
la pace, la convivenza e la solidarietà “Danilo Dolci” di Trieste e che ieri, in
previsione della Giornata mondiale che l’Onu ha organizzato per oggi, proprio
per sensibilizzare l'opinione pubblica su tali temi, hanno allestito un presidio
in piazza dell'Unità d'Italia, nei pressi della targa che ricorda l'annuncio
delle leggi razziali, fatto il 18 settembre del 1938. «L’importante - ha
spiegato Luciano Ferluga, portavoce del Comitato “Dolci” - è che di questi
argomenti si continui a parlare e discutere, che non ci si dimentichi delle
vittime delle discriminazioni razziali». Per una fortunata coincidenza, proprio
nel corso della manifestazione organizzata dal Comitato, sono transitati davanti
al Municipio studenti di una scuola campana in gita a Trieste. «Li abbiamo
coinvolti - ha spiegato Ferluga - e hanno espresso notevole apprezzamento per la
nostra iniziativa, ribadendo che, proprio perché provenienti da una terra
tormentata da problematiche legate alla malavita organizzata, sentono con forza
la necessità di parlarne in tutte le occasioni utili».
(u. s.)
IL PICCOLO - LUNEDI', 20 marzo 2017
Gite - “Curiosi di natura” a spasso in Carso
Da domenica 26 marzo al 4 giugno la cooperativa Curiosi di natura propone "Piacevolmente Carso-primavera": sette passeggiate naturalistiche, culturali ed enogastronomiche in altrettante località del Carso triestino e goriziano. Spaziando tra la Val Rosandra, l'area di Basovizza, Sgonico e Monrupino, verranno illustrati flora, fauna e geologia del Carso. E ogni giorno possibilità di degustazioni dai ristoratori tipici di "Sapori del Carso" con un buono sconto del 10%, consegnato ai partecipanti alle escursioni. Le passeggiate saranno condotte di domenica e il lunedì di Pasquetta dalle ore 9.30 alle 13.
IL PICCOLO - DOMENICA, 19 marzo 2017
«No al Parco del mare» - La protesta animalista sbarca in Piazza Unità
Manifestazione sotto il Municipio durante i lavori
dell’aula - Bocciato l’acquario. «Meglio un polo scientifico-educativo»
Nonostante il rinvio della seduta del Consiglio comunale in cui si sarebbe
dovuto affrontare la questione Parco del Mare, resta convocata per domani alle
ore 18 la manifestazione dei gruppi animalisti locali che si oppongono al
progetto. La protesta pacifica “Fermiamo il Parco del Mare a Trieste!” è stata
organizzata da Leal, la Lega AntiVivisezionista, e dal Comitato Trieste per gli
animali. Davanti al Municipio sono attesi un centinaio di attivisti per
esprimere la propria contrarietà alla prigionia e allo sfruttamento di animali
nati liberi. «Ci saremo lunedì e torneremo anche il 6 aprile. Ci sembra doveroso
fare capire ai consiglieri che una parte della città ha forti perplessità su
questo progetto», riferisce Silvia Cossu del Comitato animalista. Il dibattito,
previsto per il 20 marzo, è stato rinviato ufficialmente per “problemi tecnici”.
La seduta sarebbe slittata però per permettere una più serena valutazione delle
ultime dichiarazioni rilasciate da Massimo Paniccia. Mercoledì scorso il
presidente di Fondazione CRTrieste aveva lanciato, dalle pagine del Piccolo, una
versione “dimezzata” del Parco del Mare da collocare nell’area di Porto Lido, in
testa al Molo Fratelli Bandiera. Un acquario ridotto ma pur sempre imponente:
11mila metri quadrati, 5,5 milioni di litri d'acqua e 47.7 milioni di euro di
costo ipotetico. Gli attivisti di Leal e del Comitato Trieste per gli animali
chiedono che questi soldi vengano piuttosto reinvestiti nelle aree verdi già
esistenti e nel sociale. Ad aprile è prevista un’attività di volantinaggio fuori
dal Comune. «Chiediamo solo che non vengano sfruttati gli animali», commenta
Silvia Cossu. «Con quei soldi si possono fare tante altre cose: incentivare il
patrimonio culturale triestino; risolvere il degrado del parco di Miramare;
investire nel Museo di Storia ed Arte di Piazza della Cattedrale; curare il
verde dei parchi cittadini, molto trascurati, a beneficio di chi ha famiglie ed
animali». Gli animalisti propongono piuttosto un parco marino completamente
virtuale e con impatto ambientale minimo. Se l’esempio fatto del Mare nostrum
Aquarium di Roma non è dei più calzanti (se ne parla da un decennio, non è
ancora aperto e solo una parte di esso prevederebbe l’utilizzo di realtà
virtuale o eventuali robot-pesci), il concetto espresso è chiaro. «La cattività
danneggia e fa soffrire gli animali. Troviamo tutto ciò molto diseducativo per i
bambini», conclude Cossu, citando la psicoterapeuta Annamaria Manzoni. Parchi
tematici come il SeaWorld di Orlando si stanno già attrezzando per offrire
esperienze virtuali complementari: si pensi alla montagna russa che permette di
fuggire dal Kraken. Tra i casi “virtuosi”, uno è stato segnalato da una nostra
lettrice nei giorni scorsi. «Al magnifico Visitor Center delle Scogliere di
Moher, in Irlanda, mi sono ritrovata immersa in una fantastica realtà virtuale,
tra le grida di migliaia di uccelli marini e il tumultuare delle onde ai piedi
delle rocce vertiginose. Ho visto le foche e le orche nuotare libere sott’acqua:
un’emozione indimenticabile! Il centro visite era costruito in modo da
mimetizzarsi con il paesaggio e offriva ogni genere di servizi curatissimi. A
Trieste dobbiamo pensare al futuro e non copiare realtà che hanno già dato prova
di essere sorpassate».
Lillo Montalto Monella
La Ue delusa dal G20 - Doppia vittoria Usa su commercio
e clima
Il primo G20 della nuova amministrazione Trump rompe con il passato,
abbandonando il tradizionale rifiuto del protezionismo, e spaventa i partner.
Nonostante gli Usa non abbiano ancora una politica chiara, sono riusciti ad
ottenere dal G20 mano libera per rivedere le strategie commerciali e a
proteggere la loro economia inseguendo l’obiettivo dell’ «America First». Delusi
i tedeschi, presidenza di turno, anche per il ridimensionamento dei temi
ambientali. Il summit è stato comunque dominato dallo scontro sul commercio. È
stato chiaro dall’inizio che il “no” al protezionismo doveva sparire dal testo,
se si voleva chiudere la riunione con successo. E la presidenza tedesca,
nonostante le critiche della Cina e degli europei, è stata disposta ad
accontentare gli Usa. Che però, volevano di più: tagliare i riferimenti ai
rapporti «multilaterali» e «basati sulle regole», per sostituirli con il
concetto «commercio libero ed equo». I partner si sono opposti e si è discusso
fino all’ultimo per poter chiudere con un accordo. Ma il risultato è molto
deludente per tutti, tranne che per gli americani: «Lavoriamo per rafforzare il
contributo del commercio alle nostre economie», recita laconico il comunicato.
«A volte in questi meeting non puoi raggiungere tutti i risultati che vorresti»,
ha ammesso amareggiato il ministro dell’Economia tedesco Wolfgang Schaeuble. Per
il ministro Padoan è un buon risultato: «La parola commercio è menzionata e non
è banale alla luce degli scambi sviluppati al vertice», ha detto il ministro che
non è apparso sorpreso dalla delusione tedesca. La Germania è stata colpita
soprattutto sul clima e su «una messa in evidenza della questione degli
squilibri che, come noto, i tedeschi non amano». Gli Usa comunque non avrebbero
ancora espresso una linea d’azione definita, e questo alimenta l’incertezza.
Tema affrontato anche dai ministri e dai banchieri centrali, che hanno esaminato
l’incertezza generata dal voto sulla Brexit e da quello negli Stati Uniti.
Vittime dell’amianto, la strage infinita - In aumento neoplasie e tumori polmonari provocati dall’esposizione alla fibra killer. Patussi: «Il picco deve ancora arrivare»
Una strage di cui non si riesce a intravedere la fine e
che si lascia alle spalle una lunga scia di morti e di dolore. L’amianto
continua a essere il killer silenzioso di questo territorio, tanto da far
guadagnare alle province di Trieste e Gorizia il poco invidiabile primato di
area del Paese dove la mortalità causata dall'asbesto è cinque volte più alta
rispetto alla media nazionale. In un territorio dove risiede il 30% della
popolazione del Friuli Venezia Giulia, si verificano ben l'84% dei casi di
malattie amianto-correlate dell'intera regione. Nel 2016, solo in provincia di
Trieste, sono state riscontrate 64 neoplasie da amianto e 40 patologie non
tumorali quali ispessimenti, placche pleuriche e fibrosi polmonari. Solo i
mesoteliomi sono calati, di appena cinque unità, dall'anno precedente (erano 38
nel 2015), mentre i casi di tumori polmonari sono passati dai 18 del 2015 ai 31
del 2016 e le patologie non tumorali in dodici mesi sono aumentate di una unità.
«Si tratta di una vera e propria strage che, dal punto di vista giuridico, si
deve configurare come un omicidio». Valentino Patussi, direttore del
Dipartimento di prevenzione dell'Asuits, non ha dosato le parole per commentare
i numeri di una subdola malattia che negli ultimi sei anni, in provincia di
Trieste, ha fatto ammalare 700 persone. Patussi è intervenuto a Muggia, assieme
al direttore generale dell'Asuits Nicola Delli Quadri, in occasione di
un'iniziativa organizzata dalla Cgil a un anno dalla delibera regionale 250/2016
che regola le attività di assistenza socio-sanitaria per gli esposti
all'amianto. «I danni causati dall'amianto non vanno in prescrizione - ha
affermato Patussi, riferendosi a quelle sentenze che di fatto non hanno
individuato dei colpevoli per queste tragiche morti -. Il picco di vittime per
amianto va continuamente spostato in avanti, dal momento che il periodo di
latenza del mesotelioma può arrivare a 50 anni». L’Italia è stata fino alla fine
degli anni Ottanta il secondo maggior produttore europeo di amianto, dopo l'ex
Unione Sovietica, e uno dei principali Paesi utilizzatori. A seguito
dell’adozione della legge 257, a partire dal 1992, il suo impiego è stato
bandito nei nuovi manufatti, come successivamente e progressivamente è accaduto
nell'intera Comunità europea. Il vasto utilizzo di questo minerale fibroso ha
però lasciato una pesante e drammatica eredità, frutto delle attività portuali
di carico e scarico di sacchi contenenti amianto sfuso, dell'attività
nell'industria navalmeccanica, della costruzione di motori, dell'utilizzo
dell'amianto nei settori siderurgico e delle costruzioni, e in molte altre
situazioni in cui l'asbesto veniva frequentemente manipolato. Per questo motivo,
con la legge regionale 22 del 2001, la Regione Friuli Venezia Giulia ha
istituito il registro regionale dei soggetti esposti ed ex esposti all'amianto,
un elenco che, per quanto riguarda l'esposizione di tipo professionale,
comprende 9969 persone (dati riferiti a febbraio 2017), il 58% delle quali, pari
a 3672 persone, sono residenti nella provincia di Trieste. La maggior parte
delle persone iscritte a questo registro sono di genere maschile, anche se le
patologie amianto-correlate non hanno risparmiato quelle donne che, ad esempio,
hanno lavato e maneggiato per anni gli abiti da lavoro dei propri compagni e
mariti, respirando inconsapevolmente le fibre di amianto portate a casa sopra il
“terlis”. Raffineria Aquila, Arsenale triestino San Marco, Autorità portuale di
Trieste, Cartiera del Timavo, Cartubi srl, Compagnia portuale di Trieste: sono i
nomi delle aziende, inserite dalla Struttura complessa di prevenzione e
sicurezza negli ambienti di lavoro dell'Asuits, i cui lavoratori sono andati
incontro a patologie correlate all'esposizione all'asbesto. La geografia
dell'amianto, però, a Trieste è molto più complessa rispetto a ciò che questo
elenco potrebbe far pensare e comprende un ampio numero di piccole e medie
realtà produttive che fino agli anni Novanta hanno ampiamente utilizzato il
minerale killer.
Luca Saviano
La corsa a ostacoli dei malati per ottenere l’esenzione
ticket - La denuncia della CGIL
«A un anno di distanza dalla sua approvazione, il percorso socio-sanitario e
assistenziale del cittadino esposto o ex esposto all'amianto non è pienamente
attuato». Stefano Borini, per il coordinamento amianto della Cgil di Trieste,
pur riconoscendo alla Regione «gli sforzi compiuti, anche in termini economici,
per sensibilizzare la popolazione su questo argomento», non può fare a meno di
sottolineare l'incompiutezza di una norma che in dodici mesi non è riuscita a
decollare. La delibera regionale numero 250, datata 19 febbraio 2016, prevede
che un preciso protocollo di sorveglianza sanitaria venga attuato su tutto il
territorio regionale «entro un anno dalla sua approvazione». “D01”. È questo il
codice di esenzione ticket che, in base alla delibera regionale, dovrebbe
garantire agli iscritti al registro esposti all'amianto per motivi
professionali, e ai loro coniugi e conviventi, un percorso di sorveglianza
sanitaria gratuito. La Regione ha inviato a queste persone un tesserino
plastificato contenente il numero di iscrizione al registro in questione.
«Eppure ci risulta che a molte persone non sia stato riconosciuto questo diritto
- aggiunge Borini - e che sia loro stato chiesto di pagare pienamente la
prestazione. In alcuni casi è stato il medico curante a non aver applicato
correttamente il codice di esenzione, in altri, invece, la mancanza va
attribuita agli operatori del Cup, il Centro unico di prenotazione». I titolari
del tesserino, su indicazione clinica motivata dal proprio medico di medicina
generale, possono accedere agli accertamenti clinici mirati di primo livello, al
fine di escludere la presenza di malattie amianto-correlate. «Tali accertamenti
- riporta l'allegato alla delibera 250/2016, sono a totale carico del Sistema
sanitario regionale». Una visita specialistica da parte di un medico del lavoro,
una radiografia standard del torace e una spirometria globale con test di
diffusione alveolo-capillare: sono questi gli esami diagnostici di primo livello
ai quali ogni iscritto al registro esposti all'amianto può accedere
gratuitamente. In questo programma di sorveglianza sanitaria risulta essenziale
il ruolo del medico di medicina generale, dal momento che, nella quasi totalità
dei casi, questo percorso diagnostico si rivolge a ex lavoratori che non sono
più soggetti a sorveglianza sanitaria da parte del medico competente.
«Applicheremo le procedure di rimborso - assicura il direttore generale dell'Asuits
Nicola Delli Quadri - per tutte quelle persone che, nonostante un preciso
diritto alla esenzione totale, sono state costrette a pagare il ticket. È mia
intenzione, inoltre, convocare in tempi brevi i responsabili del Cup per
verificare la corretta applicazione della delibera regionale 250/2016,
coinvolgendo ulteriormente i medici curanti in questo protocollo di sorveglianza
sanitaria». Tale programma si propone anche di implementare l'attività di
informazione su un corretto stile di vita, in particolare per quanto riguarda il
tabagismo, per il quale è nota un'interazione moltiplicativa con l'amianto
nell'induzione dei tumori polmonari.
(lu.sa.)
«Quell’incubo che mi toglie il sonno dal 2005» - A 48
anni Chiandotto ha scoperto di avere un mesotelioma. «Da allora sono condannato
all’attesa»
La sentenza porta il nome di “mesotelioma pleurico” e per Alberto Chiandotto
è stata pronunciata nel 2005. «Da allora sono stato condannato all'attesa»,
afferma senza alcuna esitazione. Chiandotto oggi ha sessant’anni e da quando ne
aveva 48 si è dovuto abituare a convivere con la possibilità che la “bestia”si
possa risvegliare da un momento all'altro. «Sono stato operato il 12 maggio del
2005 - ricorda con precisione -. Ho subìto l'asportazione totale di un polmone e
una serie infinita di cicli di chemio e radioterapia. Ogni sei mesi devo
sottopormi a dei controlli, con la paura che anche l'altro polmone venga
intaccato dalla malattia». Chiandotto è nato a Padova, ma dopo tanti anni si
sente triestino a tutti gli effetti. Ha lavorato dal 1974 alla Italcementi, fra
Monselice, Savignano sul Panaro e Trieste. «Mi hanno riconosciuto otto anni di
esposizione all'amianto - spiega - e il 90 per cento di invalidità». La sua
professione l'ha portato per decenni a contatto con la fibra di amianto, nel
corso delle manutenzioni dei vari macchinari adoperati quotidianamente.
«Utilizzavamo guanti in amianto - precisa - e con quella fibra ricostruivamo i
freni dei macchinari. Maneggiavamo quotidianamente guarnizioni e cordoni
costruiti con l'asbesto e tagliavamo fogli e intere tele composte da questo
maledetto materiale». La paura per il grande male lascia il posto alla rabbia.
«La giustizia è andata in prescrizione - commenta amaro l'ex operaio - . I
dirigenti dell'Italcementi non sono stati giudicati colpevoli perché il reato è
stato appunto prescritto. Eppure qualcuno sapeva a cosa andavamo incontro,
mentre noi lavoratori eravamo all'oscuro di tutto». La scoperta del tumore è
avvenuta casualmente, in seguito a un ricovero ospedaliero per una colica
renale. «I primi sintomi iniziai ad averli nel febbraio del 2015 - continua
Chiandotto, che nel frattempo è diventato rappresentante regionale dell'Anmil,
l'associazione che riunisce gli invalidi e i mutilati del lavoro, e componente
della Commissione regionale amianto - . Tre mesi dopo ero già sul lettino
operatorio». Eppure non c'è risarcimento che possa compensare i dolori patiti e
le paure di cui è vittima chi viene colpito da questa malattia. «I soldi non
contano niente», spiega il grande invalido del lavoro, che adesso si gode la
figlia di trentacinque anni e il nipote di sei. Le possibilità terapeutiche e di
diagnosi precoce delle patologie neoplastiche da amianto sono oggi
insoddisfacenti, in Italia come negli altri Paesi. Relativamente alla diagnosi
precoce, uno screening oncologico rivolto a soggetti asintomatici è oggi
proponibile come progetto di ricerca soltanto per il cancro del polmone. Per il
mesotelioma maligno non rimane che dare ulteriore impulso alla ricerca
scientifica, nella speranza che si possa andare incontro a cure efficaci anche
per questo tipo di tumore.
(lu.sa.)
Gabbiani fuori controllo, la ricetta dell’Enpa - La
presidente Bufo: «L’unica soluzione efficace è la sterilizzazione». Pressing
sulle istituzioni
«La sterilizzazione dei gatti di colonia, dal 2000 ad oggi, dovrebbe
insegnarci come la chirurgia sia l'unico metodo valido per la riduzione del
numero di soggetti animali in un determinato territorio». Patrizia Bufo,
presidente della sezione triestina dell'Enpa, torna sulle possibili azioni per
contenere il numero dei gabbiani. Bocciando seccamente la foratura delle uova,
la sterilizzazione rimane il modus operandi migliore. «Nel 2005 fu siglato un
accordo tra Comune, Provincia, Università ed Enpa per la sterilizzazione dei
gabbiani che, nel corso dell'anno venivano accolti all'Enpa», ricorda Bufo. I
primi cento soggetti furono sterilizzati con successo e liberati. Dagli studi
effettuati allora, sugli esemplari sterilizzati, dalla Facoltà di Psicologia
comportamentale animale dell'Università emerse come il gabbiano resti fedele al
coniuge anche se infecondo. La sterilizzazione è dunque il miglior sistema per
il contenimento? «Sì, poiché il gabbiano è un volatile monogamo che vive oltre
15 anni, per cui sterilizzare un membro della coppia significa non consentirne
la riproduzione e ridurre le informazioni vocali che la coppia si scambia
durante l'accudimento della prole», puntualizza la presidente dell'Enpa
triestina. L’attività fu purtroppo interrotta in seguito a problematiche di
competenza sorte tra Comune e Provincia, pur essendo stata apprezzata dalla
comunità scientifica. Riguardo invece alla possibile foratura delle uova, Bufo
ricorda che «zoofili e protezionisti, tra cui non si può non citare la compianta
Margherita Hack, sono da sempre ostili a questa pratica in quanto ritenuta poco
etica e soprattutto inefficace, visto che la femmina di gabbiano “parla” con
l'embrione, e in assenza di risposta e di schiusa dell'uovo lascia il nido e
ridepone altre uova». Da qui l'appello ufficiale alle istituzioni: «L'Enpa
rimane disponibile ad attuare un nuovo progetto di sterilizzazione dei gabbiani
con nuove autorizzazioni degli organi competenti. Ricominciando nel 2018, in tre
anni si potrebbe sterilizzare il 50 per cento dei gabbiani dimoranti stabilmente
sui tetti, con un costo anche inferiore rispetto a quanto la Regione rimborsa
per la sterilizzazione di un gatto femmina». Gli esperti evidenziano poi come i
gabbiani non abbiano assolutamente necessità di «coccole, alimentari e
comportamentali, non soffrendo di solitudine affettiva». Quanto alla presenza di
gabbiani da curare, l'ultimo dato fornito dall'Enpa riguarda il numero di
esemplari annualmente ospitati in via Marchesetti, che è pari a circa 300
soggetti, i quali rimangono ospiti nella struttura dell’ente sino alla
riabilitazione e alla successiva liberazione.
Riccardo Tosques
La strage degli agnelli sull’isola di Cherso -
Gli allevatori rilanciano l’allarme cinghiali denunciando un grave
pericolo «Otto ovini su dieci sono stati uccisi. Se non si corre ai ripari addio
all’attività»
CHERSO Le attuali sono settimane in cui vengono alla luce gli agnelli, ma
nell'isola di Cherso non è un periodo gioioso per gli allevatori, anzi. Secondo
gli isolani, i cinghiali - specie alloctona - hanno ucciso in questi ultimi
tempi il 70-80 per cento degli agnelli, cibandosi delle loro interiora. Il danno
è gravissimo e si ripete puntualmente dai primi anni '90 del secolo scorso,
fenomeno che ha costretto numerosi allevatori di ovini ad abbandonare questa
attività, radicata da secoli a Cherso e destinata - se non si cambia musica - a
scomparire. Proprio per evitare un simile scenario, si è riunito in via
straordinaria il consiglio comunale di Cherso, seduta a cui hanno partecipato
cacciatori, esponenti di associazioni locali interessate dal problema e
rappresentati della Regione del Quarnero e Gorski kotar. Durante gli interventi
si è ricordato come cinghiali e daini furono introdotti nel 1985 per dare
impulso al turismo venatorio, con i primi esemplari delle due specie alloctone
riusciti ad approfittare dei buchi nei recinti delle riserve di caccia e a
fuggire in tutto l' arcipelago chersino-lussignano. Solo negli ultimi dieci
anni, le doppiette hanno abbattuto in queste due isole votate a turismo,
olivicoltura e allevamento di ovini ben 4 mila cinghiali e 2.500 daini. Non è
bastato, con gli animali che si sono letteralmente impadroniti delle due
rinomate isole nordadriatiche, combinando danni gravissimi agli allevatori e
agli agricoltori, come pure devastando lunghi tratti dei secolari muretti a
secco. Evidentemente l'operato delle società venatorie è risultato fin qui
insufficiente, con il parlamentino che ha voluto rivolgersi al ministro croato
dell'Agricoltura, Tomislav Toluši„, chiedendo un urgente incontro. «Recentemente
ho incontrato il ministro Toluši„ ad Abbazia - così il sindaco di Cherso,
Kristijan Jurjako - gli ho esposto la questione e siamo venuti alla conclusione
che ci incontreremo a Zagabria. Non c'è tempo da perdere perché a Cherso
rischiamo di perdere definitivamente l'ovinicoltura, che ha sfamato decine di
generazioni di isolani». Il consiglio cittadino ha inoltre approvato un
pacchetto di misure antiselvaggina alloctona. Si provvederà a ripulire e rendere
nuovamente praticabili gli antichi sentieri delle campagne, rimuovendo le aree
cespugliose o contraddistinte da fitta, inestricabile vegetazione, facilitando
così il lavoro alle doppiette. Inoltre si ricorrerà probabilmente ai cacciatori
professionisti, per poter averli a disposizione lungo tutto l'arco dell'anno.
Anche la vicina isola di Veglia è stata tormentata per anni dalla presenza di
cinghiali (e in misura minore dagli orsi), ma i locali cacciatori si sono fatti
valere di più rispetto ai colleghi chersini e lussignani.
Andrea Marsanich
Una domenica a spasso per Trieste
A spasso per Trieste, ripercorrendo i luoghi in prossimità dell’antico acquedotto teresiano: è “Camminando sulle acque”, passeggiata a cura del Gruppo 85 promossa in occasione del 300° anniversario dalla nascita di Maria Teresa d’Austria. Di poco meno di tre ore il tour cittadino affidato a Patrizia Vascotto nei panni di Cicerone, camminata che parte attorno alle 10 dal punto Capofonte dell’acquedotto teresiano (raggiungibile con il bus numero 12), situato in via delle Cave 66 (a San Giovanni), e approda ai Portici di Chiozza. L’adesione è libera, non comporta preiscrizioni ed è gratuita
IL PICCOLO - SABATO, 18 marzo 2017
Due passi sull’acqua Storia dell’acquedotto (e di Maria Teresa)
A spasso per Trieste, ripercorrendo i luoghi in prossimità dell’antico acquedotto teresiano, rovistando tra architettura, colore, storia e letteratura. È quanto figura al centro di “Camminando sulle acque”, gita urbana in programma nella mattinata di domenica, passeggiata a cura del Gruppo 85 promossa in occasione del 300° anniversario dalla nascita di Maria Teresa d’Austria. Di poco meno di tre ore il tour cittadino affidato a Patrizia Vascotto nei panni di Cicerone, camminata che parte attorno alle 10 dal punto Capofonte dell’acquedotto teresiano (raggiungibile con il bus numero 12), situato in via delle Cave 66 (a San Giovanni), e approda ai Portici di Chiozza. La mappa suggerita dal Gruppo 85 indaga quindi tra le zone di San Giovanni, anticamente preposte al rito del “liston” domenicale ma corredato da una ricca cornice di verde e parti boschive. Viaggio che ha la sua prima tappa alla chiesetta dei Santi Giovanni e Pelagio, strutturata originariamente nel Trecento e poi soggetta a una serie di restauri. Parlando del quartiere di San Giovanni, risulta immancabile uno scalo dalle parti dell’ex Ospedale psichiatrico, teatro evocativo di un frammento vitale della storia sociale di Trieste. La passeggiata lambisce inoltre la Casa della cultura, riporta poi alle memorie di alcuni poeti della scena slovena - tra cui Marko Kravos - e si tuffa poi dalle parti di Rotonda del Boschetto e via Pindemonte, prima del ritorno nel cuore della città. L’adesione è libera, non comporta preiscrizioni ed è del tutto gratuita.
Francesco Cardella
FERPRESS.it - VENERDI', 17 marzo 2017
Slovenia: linea Capodistria-Divaccia, presentata bozza
di legge sul secondo binario
Il Ministero delle Infrastrutture della Slovenia ha presentato la bozza di
legge sul secondo binario fra lo scalo di Capodistria e Divaccia. Secondo quanto
riferisce l’ICE, l’intervento sarà fondato su un partenariato
“pubblico-pubblico”, anziché su una partnership pubblico-privata, come veniva
auspicato fino a non molto tempo fa dal governo. Ciò, evidenziano gli autori del
testo, consentirà un più facile prelievo di finanziamenti europei e la
partecipazione di uno o più Stati dell’entroterra interessati allo sviluppo di
tale corridoio di trasporto.
IL PICCOLO - VENERDI', 17 marzo 2017
Con il Fai dai Codelli al palazzo ex Lloyd - Il 25 e il
26 marzo “Le Giornate di primavera” con 32 visite in undici località della
regione. Tra queste anche Gorizia e Trieste
Apprendisti Ciceroni assieme ai volontari del Fondo Ambientale Italiano
TRIESTE Torna anche quest’anno la campagna di sensibilizzazione e di
raccolta pubblica di fondi indetta dal Fai che aprirà oltre 1000 siti tra
chiese, ville, giardini, aree archeologiche, avamposti militari e interi borghi
in 400 località d’Italia, grazie all’impegno di 7.500 volontari e 35mila
apprendisti Ciceroni, per riscoprire tesori di arte e natura spesso sconosciuti,
inaccessibili ed eccezionalmente visitabili con un contributo facoltativo. La
25.a edizione delle “Giornate Fai di primavera” si terrà sabato 25 e domenica 26
marzo anche in Friuli Venezia Giulia, con 32 visite in 11 località: Sesto al
Reghena, Udine, Bicinicco, Gemona del Friuli, Moimacco, Palmanova, San Daniele
del Friuli, Tolmezzo, Gorizia, Mossa e Trieste. A Gorizia le visite si terranno
dalle 10 alle 18 sulla scia de “L’impronta dei Codelli nel Settecento Goriziano.
Le dimore e i luoghi della Famiglia” alla scoperta della Cappella
Dell’Esaltazione della Croce (via Arcivescovado 2), edificata da Agostino
Codelli, donata con lascito vincolato all’Imperatrice d’Austria Maria Teresa e
divenuta sede della Diocesi isontina. A Mossa verrà aperta Villa Codelli,
situata su una delle prime colline del Collio goriziano, risalente alla metà del
XVI secolo ed edificata su un sito già sede di guarnigioni romane e
successivamente di un maniero medievale. Le visite, dalle 10 alle 18, avranno
un’anteprima riservata agli iscritti Fai venerdì 24 dalle 17 alle 18.30, a cui
seguirà un concerto di archi degli studenti del Conservatorio di musica Tomadini
di Udine e della giovane arpista goriziana Doralice Klainscek, aperto a tutti.
Domenica 26, nello stesso Folatoio, l’Associazione culturale Società di
Danza-circolo di Trieste si esibirà nella danza ottocentesca “Gran Ballo di
Primavera”. In entrambe le città, le visite saranno a cura degli apprendisti
Ciceroni dell’Isis Galilei Fermi Pacassi, del Polo liceale Alighieri Duca degli
Abruzzi Slataper e del Polo liceale sloveno Gregorcic Trubar, anche in sloveno e
in inglese. A Trieste le visite guidate dalle 9 alle 18 saranno a cura
dell’istituto da Vinci Carli de Sandrinelli, dell’istituto Nautico,
dell’istituto Volta, del liceo scientifico Galilei, del liceo scientifico
Oberdan, del liceo Scienze umane musicale Carducci, del liceo classico
linguistico Dante Alighieri, del liceo classico linguistico Petrarca, del liceo
scientifico Preseren, del liceo Scienze umane Slomsek e dell’istituto Ziga Zois,
anche in inglese, sloveno e mandarino su prenotazione a mirellapipani@gmail.com,
delegazionefai.trieste@fondoambiente.it. Il percorso “Trieste e la sua vocazione
marittima e marinara” sarà presentato oggi alle 11 nella sede dell’assessorato
al Turismo, Promozione del territorio e Sviluppo economico del Comune di Trieste
dall’assessore Maurizio Bucci, dalla capo delegazione Fai di Trieste Mariella
Marchi e dalla responsabile Fai Scuola per il Fvg Mirella Pipani e proporrà
l’apertura eccezionale del monumentale ed elegante ex Palazzo rinascimentale del
Lloyd Triestino, ora sede della Presidenza della giunta regionale, costruito tra
il 1880 e il 1883 per volontà del Lloyd Austro-Ungarico di Navigazione a vapore.
Si visiterà poi anche l’istituto Nautico “Tomaso di Savoia” di piazza Hortis 1,
prima scuola nautica pubblica dell’Adriatico, dove nel 2015 è rinata l’Accademia
nautica dell’Adriatico, corso post diploma per tecnico superiore per
l’Infomobilità e le infrastrutture logistiche. Informazioni e programma completo
su www.giornatefai.it o al numero 02467615366.
Francesca Pessotto
IL PICCOLO - GIOVEDI', 16 marzo 2017
Slitta il dibattito in aula sul Parco del mare - Seduta
prevista per lunedì spostata all’8 aprile ufficialmente per «motivi tecnici»
Paoletti: «Piena sintonia con Paniccia». Cosolini: «Meglio la scelta di
Porto vecchio»
Il Parco del mare può attendere. Non ci sarà l’attesa seduta del Consiglio
comunale di lunedì prossimo richiesta dal Pd. Del progetto del “Trieste Sea
Park” si parlerà il 6 aprile alle 18. «Problemi tecnici» è la tesi ufficiale del
rinvio indicata Marco Gabrielli, presidente del Consiglio comunale di Trieste.
«Dal momento che l’ultima seduta è stata sciolta per mancanza del numero legale,
la prossima deve essere convocata in seconda convocazione prevedendo che i
lavori riprendano dal punto in cui sono stati interrotti» spiega Gabrielli. Non
è stato possibile inserire altri punti all’ordine del giorno, audizioni
comprese. Nella riunione dei capigruppo di ieri si sono cercate soluzioni
diverse, ma, dopo discussione, si è deciso di fare così. E così il dibattito sul
Parco del Mare è slittato ad aprile. In realtà, secondo i soliti ben informati,
si tratterebbe di un rinvio non proprio tecnico, ma un modo per prendere tempo e
valutare meglio le dichiarazioni rilasciate da Massimo Paniccia, presidente di
Fondazione CRTrieste, che ha lanciato una versione “dimezzata” del Parco del
mare da collocare nell’area di Porto Lido in testa al Molo Fratelli Bandiera:
acquario da 11 mila metri quadrati, 5,5 milioni di litri d’acqua, costo stimato
di 47.7 milioni di euro. Punto fermo l’autosostenibilità economica
dell’operazione già con 600mila visitatori annui. La saga del Parco del mare
dopo oltre una decina d’anni tra cinque siti proposti e discussioni infinite,
sembra essere arrivata al capitolo finale. Il 6 aprile in Consiglio comunale,
oltre al sindaco Roberto Dipiazza, sarà presente il presidente della Camera di
commercio della Venezia Giulia Antonio Paoletti, da sempre grande promotore del
progetto, assieme ai presidenti di Fondazione CRTrieste Paniccia e dell’Autorità
di sistema portuale, Zeno D’Agostino. Per la Regione è atteso l’assessore al
Bilancio Francesco Peroni e ci sarà anche un rappresentante del comitato che si
oppone al progetto in zona Lanterna. «Al momento le opinioni sull’opera Parco
del mare - ricorda Paoletti - si basano esclusivamente sull’esposizione del
concept e su un’immagine di rendering grafico». L’intesa con la Fondazione
CRTrieste è totale. «La Camera di commercio - aggiunge Paoletti - ha inteso
spiegare che nella realizzazione dell’opera verrà posta attenzione a non
oscurare il monumento ottocentesco della Lanterna, con una struttura che non
devasterà il profilo delle Rive, non sarà visibile da terra e che non graverà
sull’impianto della Sacchetta. In occasione dell’audizione in Consiglio comunale
i tecnici illustreranno lo studio progettuale e i suoi contenuti». La Regione,
in attesa del consiglio comunale, non intende pronunciarsi nonostante la
sollecitazione arrivata dal consigliere triestino di Forza Italia Bruno Marini.
«La Regione intende partecipare in maniera attiva e propositiva all’eventuale
del Parco del Mare a Trieste, stanziando anche dei fondi, o nella seduta del
Consiglio comunale in cui si discuterà del tema, l’assessore alle Finanze Peroni
verrà a raccontarci soltanto dichiarazioni d’intento? - chiede Marini -. Valuto
positivamente l’intervista di Paniccia anche perché finalmente è stata
introdotta un po’ di chiarezza su un tema rispetto al quale è stato detto tutto
ed il contrario di tutto, senza, però, arrivare ad alcun tipo di decisione.
Parallelamente anche la seduta del Consiglio comunale dedicata al Parco del mare
e richiesta dal Pd va valutata positivamente, perché è ora che non si parli di
questo tema soltanto sui media, ma anche nelle sedi istituzionali». Anche l’ex
sindaco Roberto Cosolini, che ha sottoscritto con il Pd la richiesta di
convocazione del Consiglio comunale, offre una valutazione positiva
dell’intervista di Paniccia: «È da apprezzare questo bagno di realismo sulle
dimensioni, sui costi e sulla stima di visitatori. Credo comunque che sia
importante che il privato vengo coinvolto nell’investimento. Una quota dei 47,7
milioni deve essere a suo carico. Questo, inoltre, dimostrerebbe che c’è una
fiducia del mercato sulla redditività dell’operazione». Resta il nodo della
localizzazione. Cosolini non ha dubbi: «Continuo a credere che l’area di Porto
Vecchio, dove è possibile anche edificare, resti la scelta migliore. E visto che
il progetto deve essere rifatto credo si possano valutare opzioni alternative
alla Lanterna».
Fabio Dorigo
Un ecomuseo nelle ex Scuderie di Miramare - Passa in
Consiglio regionale la mozione che assegna il Bagno Ducale alle attività della
Riserva Wwf
Per l’utilizzo del Bagno Ducale di Miramare e i lavori e la realizzazione
dell'Ecomuseo della biodiversità marina all’ex Scuderie esiste ora un impegno
regionale. Su proposta del consigliere regionale di Sel/Fvg Giulio Lauri, il
Consiglio regionale ha approvato una mozione con cui impegna la giunta a
promuovere la piena attuazione dell'accordo siglato il 5 agosto 2016 fra il
ministero dei Beni culturali e ambientali e il ministero dell'Ambiente in merito
alla realizzazione di un Ecomuseo divulgativo sulla biodiversità marina
all'interno delle Ex Scuderie di Miramare e alla possibilità di potere svolgere
le attività divulgative legate alla Riserva marina gestita dal Wwf utilizzando
nuovamente i locali del Bagno Ducale oggetto di una concessione attualmente
scaduta. La mozione dispone, inoltre, la verifica della disponibilità a
cofinanziare parte delle spese di investimento per le opere di adeguamento e
realizzazione dell'Ecomuseo, preventivate in 450mila euro di cui 270mila già
finanziate dal Mattm. «Non ci sono solo il castello da una parte e il Parco
dall'altra a fare di Miramare uno dei principali attrattori turistici del paese,
c'è anche la Riserva marina e da ora in avanti ci sarà anche un nuovo Ecomuseo
della biodiversità marina: dopo una stagione in cui il dialogo fra il castello e
la Riserva gestita dal Wwf è stato paradossalmente difficile, la realizzazione
di un nuovo Ecomuseo è una buona proposta ed è coerente che venga fatto qui in
Friuli Venezia Giulia che è la regione con il più alto livello di biodiversità
in Europa. Pur trattandosi di beni statali, la Regione ha tutto l'interesse a
sostenere l'iniziativa e a vedere presto ripartire anche l'attività didattica
della Riserva gestita encomiabilmente da anni dal Wwf: fino ad ora per questo è
stato importante potere usare il Bagno Ducale, l'auspicio è che anche in futuro
la nuova direttrice possa individuare questo o altri spazi con caratteristiche
analoghe per potere continuare ad organizzare le visite ed i programmi di
educazione ambientale all'interno della Riserva Marina» ha dichiarato in aula
Giulio Lauri presentando il testo della mozione approvata poi dall'aula al
grande maggioranza con la sola astensione del Movimento 5 Stelle. Inizialmente
la mozione approvata dal Consiglio regionale era stata concepita per affrontare
il pericolo, ormai in parte superato, che la Riserva fosse "sfrattata" dalle
pertinenze del Parco.
GREENSTYLE.it - MERCOLEDI', 15 marzo 2017
Energie rinnovabili, Eurostat: Italia già oltre l’obiettivo al 2020
È un dato confortante per il nostro Paese quello che emerge dal rapporto Eurostat 43/2017. La Direzione Generale della Commissione Europea ha preso in considerazione gli obiettivi fissati per il 2020 dagli Stati membri in termini di produzione di energia pulita da fonti rinnovabili e la rispettiva quota raggiunta a fine 2015. L’Italia ha già superato il target del 17%, arrivando al 17,5% (17,1% a fine 2014 e 16,7% a fine 2013).
Hanno fatto altrettanto Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Croazia, Lituania, Ungheria, Romania, Finlandia e Svezia, raggiungendo con largo anticipo la quota prefissata. Prendendo in considerazione l’intero ecosistema Europa, l’intenzione è quella di arrivare al 20% entro il 2020 e poi al 30% allo scoccare del 2030. Attualmente si è fermi al 16,7%.
Se la direzione intrapresa sembra essere quella giusta,
occorre continuare a investire per non rallentare o fermare il trend. Sarà
necessario mettere in campo ulteriori programmi finalizzati non solo a favorire
l’accesso a incentivi e agevolazioni di tipo economico, ma anche lavorare sul
fattore culturale, veicolando un messaggio tale da poter aiutare i cittadini a
capire perché investire sull’energia pulita avrà in futuro benefici concreti e
tangibili per l’intera collettività. Anche il miglioramento delle tecnologie
attuali, si pensi ad esempio ai moduli utilizzai per il fotovoltaico e ai
sistemi impiegati nell’eolico, garantirà un’efficienza maggiore degli impianti,
facilitando così il passaggio dall’impiego delle fonti tradizionali a quelle
rinnovabili.
Le performance migliori a livello comunitario si registrano in Svezia, unico
Paese a superare la soglia del 50%, arrivando addirittura al 53,9%. Fanalino di
coda è invece il Lussemburgo con solo il 5%.
Tornando a focalizzare l’attenzione sull’Italia, nel 2004 la quota rilevata era
solamente del 6,3%. Confrontarla con il risultato raggiunto oggi costituisce una
testimonianza del buon lavoro condotto in poco più di un decennio a livello
nazionale, mediante iniziative sia private che pubbliche.
Cristiano Ghidotti
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 15 marzo 2017
PARCO DEL MARE - Paniccia lancia il progetto in versione “dimezzata” - Porto Vecchio scartato Il concept è stato studiato e potrà realizzarsi solo sul Molo Fratelli Bandiera
Il presidente della Fondazione CRTrieste: «Per essere sostenibile l’impianto va ridotto. La regia dell’opera affidata a una società creata con l’ente camerale»
Massimo Paniccia “dimezza” il Parco del mare. Con la volontà di stemperare le polemiche e creare in città un nuovo clima di condivisione, il presidente di Fondazione CRTrieste, di solito restìo a concedere interviste, scende in campo in prima persona e propone una nuova struttura: poco o nulla a che fare con il rendering basato sulla prima idea dell’architetto Peter Chermayeff e già tacciato da alcuni settori di essere un ecomostro. Paniccia sfodera numeri e caratteristiche che assicurano l’autosostenibilità del progetto senza alcun successivo intervento pubblico. Tutto in vista del pronunciamento del Consiglio comunale previsto per lunedì prossimo: se sarà ampiamente favorevole si partirà e sarà poi ben difficile fermare il treno lanciato. Presidente Paniccia, per il Parco del mare c’è un nuovo progetto? Negli ultimi tempi la Fondazione con orgoglio ha ridato nuovo splendore all’ex Ospedale militare e recentemente all’ex Magazzino vini creando, ritengo, due gioielli di cui città può essere fiera. Con il presidente Paoletti abbiamo ora ripreso il discorso sul Parco del mare avendo tra i nostri scopi anche lo sviluppo turistico. Il concept realizzato dall’architetto Chermajeff lo abbiamo fatto valutare da un advisor, per l’esattezza Acb group sviluppo spa, che ha proceduto all’analisi del piano di fattibilità, del modello di business con le relative proiezioni economico-finanziarie. Ebbene Acb ha verificato la sostenibilità di una struttura che si sviluppi su 11mila mq, con un volume d’acqua complessivo di 5,5 milioni di litri per un costo stimato di 47,7 milioni di euro, Iva compresa. È questa la base su cui ragionare per arrivare alla definitiva realizzazione. Vi è dunque un ridimensionamento rispetto all’ipotesi iniziale? Una riduzione di quasi la metà, considerando che la prima idea prevedeva una struttura con ben 9,5 milioni di litri d’acqua. Non so quale fosse la superficie prevista da Chermajeff, ma di certo anche questa si riduce arrivando a 11.000 mq. Una struttura di questo tipo tiene perfettamente dinanzi alla previsione fatta di 800mila visitatori all’anno, ma anche meno. Perché l’assunto di base è stato questo: se dobbiamo costruire un impianto che avrà bisogno anche in un momento successivo di ulteriori finanziamenti pubblici, rinunciamo fin da principio. Il Parco del mare dovrà sostenersi con gli incassi e potrà farlo anche se i visitatori saranno meno di 700mila all’anno. Come si stabilisce se la struttura potrà reggersi economicamente? Sostanzialmente si fanno dei cerchi concentrici attorno alla città per trovare il numero dei potenziali-reali visitatori. Entro un’ora di auto da Trieste abitano 905mila persone e di queste il 10% nel corso degli anni dovrebbe visitare il Parco del mare. Tra 1 e 2 ore vi sono 3 milioni con il 5% di visitatori stimati; tra le 2 e le 3 ore 2,6 milioni e qui arriverà il 3%; tra 3 e 4 ore 5,9 milioni di cui arriverà l’1,5%. Altre ipotesi prevedevano una struttura molto più grande e un gestore che garantiva di poter versare solo due anni di affitto: logicamente abbiamo scartato la proposta. Come si prospetta dunque lo schema dei finanziamenti? La Fondazione interviene con 9 milioni e con altrettanti la Camera di commercio, mentre qualche milione arriverà dalla Regione (si era parlato di 4, ndr). Assodato che anche i futuri costruttore e gestore potranno effettuare qualche intervento sul patrimonio, il resto della spesa sarà affrontato accendendo un mutuo che sarà pagato con gli affitti che verserà il gestore della struttura. Chi sarà il promotore di tutta l’operazione? Creeremo una società strumentale di cui la Fondazione avrà la maggioranza delle quote. Sicuramente vi entrerà la Camera di commercio e forse anche altre amministrazioni pubbliche. Poi faremo un bando a evidenza pubblica per scegliere costruttore e gestore che a propria volta entreranno nella società. Da ampi settori cittadini però l’ubicazione migliore viene ritenuta quella di Porto vecchio. Va tenuta in considerazione? No, perché questo concept nasce a Portolido, un sito che ci è stato proposto da un soggetto pubblico, cioè da Invitalia. E proprio di questo sito è stata fatta ora una validazione che ha visto il nostro parere positivo e che ci permette di cominciare immediatamente l’iter di realizzazione. Non si può continuamente rimettere tutto in discussione. Cosa risponde alle obiezioni di carattere urbanistico, edilizio, scenografico? La gente ha diritto di conoscere e di discutere. Noi abbiamo fatto i passi più logici. I giudizi non vanno basati sul primo rendering perché il Parco del mare non sarà quello, quello era un’ipotesi su cui fare le valutazioni di sostenibilità. Con il bando i progettisti saranno obbligati a rispettare le nuove misure, anche lo stesso Chermajeff se, come mi auguro, parteciperà alla gara. Ma il suo concept è stato ridotto a poco più della metà, il che può far sì che anche molte avversità di qualche settore cittadino vengano superate. Si potrà superare la contrarietà degli animalisti? Capisco la logica di chi vuole proteggere il nostro patrimonio faunistico e non far soffrire gli animali, ma oggi vengono trattati con rispetto. Sarà nostra cura far sì che il gestore si impegni in accordo con le associazione animaliste che si instauri una forte sinergia con l’ambiente scientifico già ampiamente radicato in città. Le amministrazioni pubbliche sono favorevoli. Già la precedente amministrazione comunale ci ha scritto che era d’accordo, così come la Regione. Per questo ragione ci siamo sentiti legittimati ad andare avanti. Il Parco del mare non è una questione nostra, ma della città ed è la città che lo deve volere: la Fondazione si mette a disposizione per questo progetto perché abbiamo capito che è ben difficile che lo facciano altri. Per parere della città intendo quello espresso dal Consiglio comunale? Certamente, ma procederemo solo se a favore vi sarà un’ampia maggioranza, sicuramente non se i sì prevarranno per un voto. Ma credo che Trieste abbia capito di avere un’occasione unica per crescere dal punto di vista turistico, economico e forse anche di abitanti se si favoriscono le condizioni per attrarre nuovi investimenti.
Silvio Maranzana
Acquario da 47,7 milioni. La sua sorte legata alla
votazione in Consiglio comunale nella seduta di lunedì
La sorte del Parco del mare dopo una decina d’anni di proposte, polemiche e
discussioni, sembra ora legata, in via definitiva all’esito del voto in
Consiglio comunale che sarà dato al termine della seduta straordinaria che si
terrà lunedì prossimo, 20 marzo. È stata richiesta dal gruppo del Partito
democratico e approvata dai capigruppo. In aula, oltre al sindaco Roberto
Dipiazza, vi sarà anche il presidente della Camera di commercio della Venezia
Giulia Antonio Paoletti, da sempre grande promotore del progetto. Ma sono stati
invitati anche i presidenti di Fondazione CRTrieste Massimo Paniccia e
dell’Autorità di sistema portuale, Zeno D’Agostino. Per la giunta regionale
presenzierà in Consiglio l'assessore al Bilancio Francesco Peroni e ci sarà
anche un rappresentante del comitato che si oppone al progetto in zona Lanterna.
Tre i punti di dibattito richiesti dal Pd: «Lo stato di avanzamento del
progetto; il business plan (piano finanziario); la localizzazione della proposta
ed eventuali alternative». Le novità annunciate ieri da Paniccia potrebbero
incidere sull’esito della votazione.
(s.m.)
IL PICCOLO - MARTEDI', 14 marzo 2017
Assemblea pubblica su amianto e malattie
Domani dalle 17 alle 19 a Muggia, nella sala Millo in piazza Repubblica 4, è convocata un’assemblea pubblica per fare il punto circa lo stato di applicazione della delibera regionale sull’amianto. La normativa n. 250/2016 regola i percorsi socio-sanitari destinati alle persone esposte all’amianto e delle patologie correlate all’asbesto. L’iniziativa, promossa dalla Cgil di Trieste, mira a fare il punto complessivo della vertenza territoriale. Stefano Borini, del Coordinamento Amianto Cgil Trieste, aprirà i lavori con una relazione introduttiva. Seguirà il dibattito “L’andamento delle malattie professionali amianto-correlate e gli iscritti al registro regionale esposti ad amianto in provincia di Trieste”, a cui partecipano Valentino Patussi, direttore del Dipartimento Prevenzione Asuits e le dottoresse Anna Muran e Donatella Calligaro. Parola quindi al direttore generale Asuits, Nicola Delli Quadri, e a Claudio Pandullo, presidente dell’Ordine dei medici, per esporre il ruolo dei sanitari nel sistema di assistenza ai pazienti esposti.
SEGNALAZIONI - VERDE PUBBLICO Il Farneto rimesso in sesto
Il martedì 17 gennaio 2017 è stata pubblicata una mia segnalazione riguardante lo stato di degrado del nostro Farneto con una fotografia della frana che dal 2015 continuava a crescere mettendo in pericolo la strada (viale al Cacciatore), le persone e pure gli animali. Ogni giorno faccio il giro del boschetto e per quanto riguarda la frana ho visto dei lavori abbastanza impegnativi cominciare il 20 del mese scorso e concludersi praticamente dopo due settimane. Ci sono ancora tante cose da mettere a posto nel nostro boschetto ma penso sia giusto segnalare e ringraziare questo sforzo che mette in sicurezza questo sentiero. Ci auguriamo che anche le altre molte problematiche del boschetto segnalate nella riunione organizzata dalla 6.a circoscrizione con il vicesindaco, l’assessore all’ambiente e l’assessore ai lavori pubblici, vengano risolte, in forma particolare la sicurezza di via Marchesetti e via Forlanini. Mettiamo in ordine il polmone verde della nostra bella città.
Oscar Garcia Murga vice - presidente Circolo Verdeazzurro Legambiente Trieste
IL PICCOLO - LUNEDI', 13 marzo 2017
CIRCOLO ISTRIA - «Sì al Parco del mare ma in Porto
vecchio»
Sì al Parco del mare, ma realizzato nel comprensorio del Porto vecchio e con
una impostazione che privilegi la scientificità piuttosto che il sensazionalismo
e lo spettacolo. È questo il contributo del Circolo Istria su un tema che
certamente merita ulteriori approfondimenti. «La realizzazione del futuro Parco
del mare è un’idea che, se realizzata con uno sguardo attento e competente lungo
tutto il comprensorio adriatico, può portare certi benefici sia sotto il profilo
culturale che quello turistico e economico - afferma il presidente del circolo
Livio Dorigo -. E lo spazio giusto ove realizzarlo va individuato nell’area del
Porto vecchio dove, accanto, troverebbero spazio altre realtà scientifiche e
culturali che potrebbero lavorare in sinergia con la nuova istituzione. Un Parco
del mare nell’area della Lanterna però - continua Dorigo - sarebbe un grosso
errore, visto che in quel sito regnano purtroppo il diffuso disordine edilizio e
la mancanza di parcheggi. Senza contare poi che l’ente si troverebbe in una
situazione isolata, mentre una realtà di questo tipo ha necessità di
interscambio con istituzioni vicine per affinità e attività». Del medesimo
parere anche il professor Giuliano Orel, tra i fondatori dell’Istituto di
Biologia marina dell’Università di Trieste, che sulle specificità della biologia
marina dell’alto Adriatico sta per dare alle stampe una pubblicazione
divulgativa. «Rispetto a quanti ritengono erroneamente l’Adriatico inquinato e
eutrofizzato - spiega Orel - ci troviamo di fronte a un mare importante perché
motore di scambio delle acque del Mediterraneo. Grazie alle sue acque dense,
essendo il Mediterraneo un mare di condensazione, consente alle correnti di
quest’ultimo di muoversi oltre Gibilterra, contribuendo così a stabilizzare la
salinità dell’intero bacino mediterraneo. Importante inoltre per le maree,
l’Adriatico ospita delle reminiscenze di fauna dei mari freddi». Da questi
presupposti, osserva lo studioso, il nuovo Parco del mare dovrebbe essere
portavoce di una cultura dell’Adriatico dalle tante peculiarità.
Maurizio Lozei
IL PICCOLO - DOMENICA, 5 marzo 2017
UN’ALGA CONTRO I MALI DELLA FERRIERA - LA RUBRICA di
WALTER PANSINI
La Ferriera di Trieste è da decenni al centro di polemiche come fonte
d’inquinamento per i lavoratori e per chi vive nelle prossimità. In erboristeria
esiste un rimedio che tra l'altro si appoggia a un'esperienza perfetta per tale
situazione. Nel 2005 si è infatti concluso uno studio sulla disintossicazione da
metalli pesanti di 350 persone, durato tre anni e svolto in una fonderia di
metalli russa (Explore! Volume 14, Number 4, 2005). Erano interessati a trovare
un catturatore (chelante) di metalli pesanti soprattutto economico, che poteva
essere utilizzato dove il guadagno mensile medio non superava i 150 dollari.
L'unico composto efficace a mobilitare ed eliminare tutti i metalli è stato un
prodotto omeopatico costituito dal complesso contenuto nell'alga clorella (Cgf),
e un estratto alcolico delle foglie di coriandolo (Coriandrum sativum). Vi era
la necessità di usare un composto di semplice ed economica somministrazione
rappresentato dall'omeopatico, non disponibile in Italia, ma ovviamente è
efficace anche solo l'alga clorella in compresse e masticata, nota come il
miglior chelante di metalli pesanti. In uno studio (Journal of Toxicology
Sciences), si dimostra che, somministrando clorella nel cibo a soggetti
intossicati con metilmercurio, la quantità di questo escreto nelle urine e nelle
feci è circa il doppio rispetto alla quantità escreta dai non trattati con
clorella. Ha poi la capacità di legare e poi rimuovere il cadmio e il piombo. Il
ricercatore giapponese dr. Yoshiaki Omura ha scoperto nel 1995 che il consumo
regolare di zuppe a base di cilantro (foglie fresche di coriandolo), elimina in
particolare il mercurio, mentre per il medico Dietrich Klinghardt anche cadmio
piombo e alluminio dalle cellule. Entro un mese saranno disponibili sul mercato
italiano le foglie fresche di coriandolo ed il loro estratto alcolico. A queste
si può aggiungere il silicio organico come chelante dell'alluminio, di cui la
forma migliore in erboristeria è la compressa di bamboo, che tra l'altro
irrobustisce tutti i tessuti. Ciò è particolarmente visibile su pelle unghie,
capelli e tendenza alla carie. A questo integratore possiamo aggiungere tutta la
famiglia dei cavoli, inclusa la rucola, per le capacità depurative, anche verso
il cancerogeno benzene.
IL PICCOLO - SABATO, 11 marzo 2017
Il Consorzio di bonifica cambia nome e si allarga a tutta la Venezia Giulia
Cambia nome e amplia il raggio d’azione il Consorzio di bonifica Pianura isontina, che con i suoi interventi già avviati nei dintorni di Trieste si appresta a modificare la propria denominazione in “Consorzio di bonifica della Venezia Giulia”. Le novità sono state illustrate a Ronchi dei Legionari ieri nel corso dell’incontro al quale ha preso parte anche l’assessore regionale all’Ambiente, Sara Vito, oltre al presidente del Consorzio, Enzo Lorenzon, molti sindaci dei 31 Comuni consorziati e i rappresentanti di Coldiretti e Kmecka zveza/Associazione agricoltori. «Pensando alla tutela del territorio, negli ultimi anni è stato fatto un importante salto di qualità», ha detto Vito. Lodando le opere di bonifica e prevenzione realizzate dal Consorzio in diverse zone della provincia di Gorizia, l’assessore ha sottolineato come le tante migliorie siano state rese possibili anche grazie a una legislazione adeguata.
Progetti - Parco del mare diseducativo
Bioest si schiera contro il Parco del mare, costosissimo e dal bassissimo ritorno economico, fuori dal tempo, dall'impatto paesaggistico non di poco conto e soprattutto diseducativo. No a circhi acquatici e a una vita per gli animali marini prigionieri di un acquario. Erano quasi 10 anni che nessuno ne parlava più ed ora è stata riproposta l’idea del Parco del mare, un’opera faraonica, fuori dal tempo, diseducativa. Sono passati i tempi in cui l’unico modo per conoscere gli animali era quello di vederli in vetrina: oggi ci sono molti modi più interattivi ed educativi per conoscere questi nostri amici nel loro habitat naturale, senza disturbarli o catturarli e imprigionarli a vita in un’angusta vasca di un acquario. Pensare che un mega acquario a Trieste possa diventare un’attrazione turistica economica ed accattivante è fuori da ogni logica. Chiunque abbia compiuto una ricerca su costi e benefici di strutture simili al mondo si renderebbe subito conto del loro bassissimo ritorno economico. Sono strutture costosissime nella realizzazione (pare circa 45 milioni di euro previsti per Trieste), e ancor di più per il loro mantenimento e manutenzione. Un peso insostenibile che in questo caso passerebbe alla collettività. Inadeguato inoltre il sito prescelto, che presenta un impatto paesaggistico non di poco conto. Ricordiamo poi che lo stesso Ric O'Barry, ex addestratore di fama mondiale degli Anni '60, dopo avere assistito al suicidio di Flipper, uno dei suoi delfini più famosi, resosi conto di quanto fosse orribile quello che stava facendo, è diventato un difensore dei delfini e sostenitore nelle campagne contro circhi acquatici. Per questo l'Associazione Bioest ribadisce la propria ferma contrarietà a quest'opera. Per concludere pensiamo sia importante insegnare ai nostri figli valori come il rispetto e la tutela della flora e della fauna del nostro mondo: la nostra questa non è una battaglia solo a favore degli animali, ma una battaglia di civiltà.
Tiziana Cimolino Associazione Bioest
IL PICCOLO - VENERDI', 10 marzo 2017
Monfalcone, tre indagati alla A2A - Inquinamento
ambientale: gli avvisi a dirigenti della centrale
MONFALCONE - “Violazione dolosa delle disposizioni in materia ambientale”. È
l’articolo 452 bis del codice penale. Ed è questa l’ipotesi di reato per cui la
Procura della Repubblica di Gorizia ha avviato un’indagine per accertare il
rispetto delle normative ambientali vigenti da parte della centrale A2A di
Monfalcone. L’indagine è formalmente scattata mercoledì. Contestualmente
all’ingresso nell’impianto degli investigatori sono stati notificati tre avvisi
di garanzia ad altrettanti dirigenti della centrale di Monfalcone. Non risulta
che alcun provvedimento sia stato notificato allo stato attuale nella sede
centrale di Brescia. L’avviso di garanzia è uno strumento a tutela dell’indagato
e non va interpretato in alcun modo come indizio di colpevolezza. Il capo della
Procura della Repubblica di Gorizia, Massimo Lia, ha spiegato i contorni
dell’indagine affidata al sostituto procuratore Valentina Bossi. L’indagine
muove da alcune segnalazioni su presunti casi di inquinamento attribuiti alla
centrale di Monfalcone nel periodo compreso tra il 2011 e il 2013 e oltre. Tra
queste segnalazioni rientra anche l’esposto presentato in Procura dall’allora
consigliere comunale Anna Maria Cisint. L’avvio dell’indagine vera e propria è
stata preceduta da un’attività investigativa “sotto traccia” affidata dalla
Procura a consulente. Il professionista ha effettuato un meticoloso controllo
sul suolo e sul fondo marino che ha preso in considerazione un vasto territorio
attorno alla centrale. Una volta analizzati i dati raccolti la Procura ha
ritenuto di avere gli elementi per avviare l’indagine vera e propria. «Siamo in
una fase preliminare dell’indagine - così Lia - . La notifica degli avvisi di
garanzia è un atto dovuto. Soprattutto in indagine di questo tipo bisogna agire
con prudenza senza creare allarmismi. Certamente la collocazione di una centrale
di quelle dimensioni inserita nel tessuto urbano rappresenta un elemento da
monitorare con estrema attenzione». Obiettivo dell’indagine, stabilire se le
emissioni prodotte dalla combustione del carbone inquinano l’ambiente
circostante oppure no. A2A EnergieFuture conferma «che ha prestato e continuerà
a prestare ogni collaborazione richiesta da tutte le autorità competenti, tiene
a evidenziare che - in conformità alla propria politica di attenzione per
l'ambiente e per la massima sostenibilità possibile delle proprie attività
industriali - ha sempre esercito la centrale in piena ottemperanza alle leggi,
ai regolamenti e alle prescrizioni vigenti, e ha compiuto ogni sforzo non solo
per adeguare le proprie attività alle migliori tecniche disponibili, ma anche
per accertare l'assenza di significativi impatti sull'ambiente circostante». La
complessità dell’indagine si può misurare anche dalle forze messe in campo dalla
Procura. Stanno operando tecnici dell’Arpa Fvg e del Veneto (questi ultimi hanno
assistito le operazioni del consulente), il Noe dei carabinieri di Udine, i
carabinieri della polizia giudiziaria e il nucleo operativo della compagnia dei
carabinieri di Monfalcone.
Roberto Covaz
DAL 19 AL 21 MAGGIO - Concorso Marenordest, sesta
edizione dedicata all’inquinamento da plastica
L'inquinamento da plastica o meglio, le soluzioni che ognuno di noi può
attuare per contrastare un problema di grande attualità e valenza mondiale, sono
al centro del Concorso Marenordest, aperto a tutti gli alunni delle scuole
secondarie di secondo grado della regione. Il concorso, legato alla VI edizione
di Marenordest, evento dedicato al mare e al mondo che lo circonda che si terrà
a Trieste dal 19 al 21 maggio - con eventi e incontri che coinvolgono le
principali figure che ruotano attorno al mare in vari ambiti (trasporti,
cantieristica, subacquea, ricerca scientifica e ambiente, sport acquatici,
turismo e promozione del territorio con un occhio di riguardo per le scuole - è
promosso dall'Associazione Trieste Sommersa Diving. Suddiviso in tre categorie
(elaborato scritto, video e fotografie), il concorso avrà il seguente tema: “Un
mare di plastica. Cosa può fare ognuno di noi, anche attraverso modifiche di
comportamenti scorretti, per limitare l'inquinamento da plastiche degli
oceani?". Il concorso, il cui regolamento è pubblicato su
www.marenordest.it/concorso-scuole, ha già suscitato particolare interesse nelle
scuole e gli organizzatori sono disponibili a incontrare i docenti per
illustrarlo più dettagliatamente e rispondere ad eventuali quesiti.
Il cuore di Trieste in Porto vecchio - Nuova guida
firmata da Antonella Caroli
Abbandonato, degradato. Da demolire. No, forse da ristrutturare, magari
“deformandolo” un po’. E poi, un giorno, da chissà quale stanza impolverata
dell’Istituto tecnico industriale Volta di Trieste salta fuori una pila di
cassette da frutta con all’interno alcune scartoffie. Sull’etichetta, una
scritta: Porto vecchio. Lì, pronta per essere buttata via (e salvata solo grazie
all’intuito di un professore), scartata come una mela bacata, un’ampia
documentazione sui regolamenti, le tariffe e i contratti dell’epoca. La storia
di Porto vecchio ricomposta poi in dodici anni di certosino lavoro. Il
prestigioso Politecnico dell’impero asburgico di Trieste, di cui è erede oggi il
Volta, paradigma della cultura tecnico-storica della città assieme al Nautico,
aveva in qualche modo salvato il suo archivio e il fondo storico che poi era - è
- l’archivio di una città. Il ritratto di una città. A ricomporre il codice
genetico di questo sito di Trieste che è Trieste, ci ha pensato Antonella
Caroli, già segretario generale dell’Autorità portuale e direttore dell’Istituto
di cultura marittima e portale della città, nonché presidente della sezione
giuliana di Italia nostra. E ci ha pensato grazie a una nuova pubblicazione,
“Guida storica del Porto vecchio di Trieste” (Collana di Italia Nostra, Luglio
Editore, pagg. 216, euro 20), che sarà presentata oggi alle 17.30, al Magazzino
26 di Porto vecchio, naturalmente. All’interno, anche due brevi scritti di Paolo
Portoghesi (architetto di fama mondiale) e Vittorio Sgarbi, oltre agli
interventi di giovani architetti come Massimo Chillon, Alberto De Goetzen e
Michele Gortan che hanno dedicato le loro ricerche a quest’area. L’interesse e
l’impegno di Italia Nostra nella tutela del patrimonio storico del porto di
Trieste risalgono a vecchia data: gli studi e le pubblicazioni su Porto vecchio
che l’associazione ha realizzato grazie alla Caroli indubbiamente hanno portato
alla luce il valore nazionale - e internazionale - dei beni culturali del porto
storico e hanno coinvolto le istituzioni nell’obiettivo di salvarne le strutture
monumentali e l’assetto urbanistico. E con altrettanta certezza i lunghi anni di
sensibilizzazione sul Porto vecchio portata avanti anche dall’associazione hanno
fatto maturare una consapevolezza sul valore del sito tale da sconfiggere una
mentalità (auto)distruttiva diffusa. Di qui - casomai ci fosse il bisogno di
ribadire l’importanza di questo luogo - la guida, in cui si intende presentare
l’immagine reale di Porto vecchio con i suoi edifici attraverso sintetiche
descrizioni che sono il frutto di anni di ricerca, di studio, di riproduzione
dei materiali di archivio, di scansioni dei disegni dei progetti e di fotografie
storiche (già in parte pubblicate nel volumi de Il Piccolo nel 2007). Un lavoro
certosino perché si possa visitare il sito comprendendolo e perché si possa
riconoscere anche in futuro l’immagine e l’identità storica del luogo. Che è
stato modellato e “riempito” da strutture portuali, magazzini, hangar, una
centrale idrodinamica, gru e silos che testimoniano l’aspetto vitale della città
e la sua funzione commerciale e imprenditoriale nell’Ottocento e nel primo
Novecento. Business certo, ma con gusto: perché in questo milione di metri cubi
di edifici-magazzino si riconoscono elementi architettonici medievali (dal
bizantino al gotico), del rinascimentale inglese e del moresco inseriti su
strutture dai caratteri classici che conferiscono ordine e simmetria grazie
anche alle tecniche di costruzione d’avanguardia: un documento concreto
dell’epoca pionieristica dei brevetti detenuti dalla grandi imprese edilizie
europee che avevano le loro filiali, allora, anche a Trieste. Un complesso
architettonico portuale unico (cinque moli, 3100 metri di banchine, 38 grandi
edifici) perché illustra in sé l’evoluzione delle discipline costruttive europee
nell’arco dei trent’anni della sua edificazione. Particolari, dettagli, disegni,
foto d’epoca che aiutano a ricostruire quel pizzico di orgoglio - e di rabbia -
per il “vecchio”. Eppure il “nuovo”, ci scommettono tutti, passa inevitabilmente
per di qua: il masterplan del futuro Trieste ce l’ha già disegnato. Dal 1868.
DONATELLA TRETJAK
IL PICCOLO - GIOVEDI', 9 marzo 2017
Il “bio” depuratore sarà acceso a fine maggio -
Sopralluogo dell’assessore regionale Vito con la collega comunale Polli:
cronoprogramma anticipato
Inizierà a funzionare a fine maggio. Il trattamento biologico delle acque
dell'impianto di depurazione di Servola, che dal 2008 ha fatto penare per le
infrazioni ambientali commesse e ammonite dall'Ue, è pronto. Il cronoprogramma è
stato rispettato, anzi anticipato, perché l'attivazione del nuovo meccanismo
doveva partire a luglio. L'opera intera di adeguamento invece verrà completata
entro l'anno, per un costo totale di 52,5 milioni di fondi statali, regionali ed
europei. A dare la notizia AcesagApsAmga che ieri ha accolto l'assessore
regionale all'Ambiente Sara Vito per un sopralluogo del cantiere durato due anni
e mezzo e in fase di ultimazione, a cui ha partecipato anche l'assessore
comunale Luisa Polli. «L’obiettivo - così Vito - è quello di accelerare per
recuperare il tempo perduto in passato, in considerazione anche dell'impegno
dell'attuale amministrazione regionale che fin dall'inizio del proprio mandato,
con la sottoscrizione dell'Accordo di programma del 2014 e il reperimento delle
risorse, ha deciso di imprimere un'oggettiva velocizzazione al progetto». Il
moderno sistema di trattamento delle acque completamente eseguito a terra, come
ha illustrato il project manager Enrico Altran, garantirà, in osservanza a
quanto prescritto dall'Ue, il perfetto equilibrio dell'ecosistema del Golfo E
«parlerà con il mare», nel senso che, per non intaccare bruscamente l'ecosistema
marino con un apporto di nutrienti eccessivo, è stata sviluppata una tecnologia
che consentirà di bilanciare l'intensità di trattamento in base allo stato del
mare. Questo percorso sarà gestito in collaborazione anche con l'Ogs. Collocato
di fianco allo Scalo Legnami , l'impianto è collegato attraverso dei sottopassi
ferroviari al vecchio depuratore. Passaggi per la cui autorizzazione da parte di
Rfi ci sono voluti circa 36 mesi, ha sottolineato il project manager. Dopo la
bonifica, costata otto milioni, che ha riguardato anche l'asporto di materiali
in amianto, i lavori sono stati realizzati dalle aziende Veolia, Degramont,
Riccesi e Cmb. Il direttore generale di AcegasApsAmga, Roberto Gasparetto, ha
ricordato che le imprese e i subappaltatori impegnati nei lavori sono stati
sottoposti «a un attento esame, dovendo tutti soddisfare particolari requisiti
di sicurezza». Al lavoro ci sono ogni giorno contemporaneamente 70 persone con
punte di 100.
Benedetta Moro
«Nuove zebre pedonali davanti alla stazione» -
Illustrate dall’assessore Polli in commissione le modifiche legate alla
riqualificazione di piazza Libertà
Un semi-giro dietro la sala Tripcovich e poi via su corso Cavour e piazza
Libertà per imboccare via Ghega. Sarà questo il percorso dei bus che devono
andare in via Carducci dalla nuova postazione tra il teatro e il Silos, a parte
la linea 17/ e la 39 che invece troveranno spazio su piazza Libertà nel lato tra
la fine di via Cellini e l'inizio di viale Miramare. L'ultimo tratto di via
Ghega, come già annunciato, invece rimarrà aperto per le auto in senso contrario
rispetto a oggi. Di questo e di altri importanti dettagli si è parlato nella
presentazione ufficiale alla Commissione Urbanistica della riqualificazione di
piazza Libertà da parte dell'assessore Luisa Polli e dell'ingegner Giulio
Bernetti, direttore del Servizio mobilità e traffico del Comune. E il piano
della nuova viabilità ha trovato infine tutti d'accordo, maggioranza e
opposizione, anche se sono stati richiesti ancora alcuni chiarimenti su certi
punti della viabilità. Secondo il progetto saranno inseriti molteplici semafori
e attraversamenti pedonali. Le zebre più importanti sicuramente saranno quelle
di fronte alla stazione. In questa maniera il sottopassaggio diventerà
praticamente inutile, anche se comunque verrà risistemato. «È talmente ben
strutturata la superficie pure per l'accesso ai disabili - ha spiegato Polli -
che non occorrerà rimettere a norma il sottopassaggio». Anche la direzione di
marcia di via Pauliana rimarrà tale e quale, perché le auto da lì potranno
sfociare sia sulle Rive, passando davanti alla stazione, che girare a destra in
direzione viale Miramare. E, resta confermato, per chi sbagliasse che l'unico
modo per virare da viale Miramare verso la città resta quello di sfruttare lo
spazio dei taxi a lato della stazione per girare e rimettersi in piazza della
Libertà. Osservazioni sono state fatte da Giuseppe Ghersinich (Ln) riguardo la
bretella che costeggia l'uscita dal molo IV: Diventerà a senso unico?. «Anche su
richiesta di Assicurazioni Generali, abbiamo deciso dopo un sopralluogo di
mantenere il doppio senso - ha risposto l'assessore - e di aggiungere lì 50
nuovi stalli per i veicoli a due ruote». Fabiana Martini (Pd) e altri
consiglieri hanno posto l'attenzione sui lavori in previsione della futura
apertura di Porto vecchio. A questo proposito è stato chiarito che verranno
allargati i lavori fino all'entrata del Porto in modo da non dover più toccare
in futuro piazza Libertà. Troverà nel piano anche una collocazione adeguata la
pista ciclabile che dalla stazione potrà poi proseguire attraverso il giardino
per inserirsi in via Ghega e via Trento. «È un buon progetto - ha commentato
Paolo Menis (M5S) - che va a a sanare alcune criticità messe in evidenza negli
anni da vari comitati». Concetto ribadito da Michele Babuder (Fi), che ha
aggiunto come «le ultime modifiche progettuali hanno recepito le osservazioni
dei cittadini e dei vincoli connessi alla salvaguardia del verde e del giardino
storico».
Benedetta Moro
Mittal: l’Italia con l’Ilva sarà la più grande
acciaieria europea
ROMA Tre buone ragioni per comprare l’Ilva? «L’Italia è il secondo maggior
consumatore di acciaio in Europa, l’Ilva è il più grande impianto di produzione
di acciaio, l’Italia importa acciaio» risponde, in una intervista a un
quotidiano Lakshmi Mittal, il magnate mondiale dell’acciaio impegnato
nell’acquisizione dell’Ilva di Taranto, attraverso un consorzio che lo vede
associato al gruppo Marcegaglia e coadiuvato da Intesa Sanpaolo, in rivalità con
un’altra cordata «indiana», guidata dal gruppo Jindal assieme alla finanziaria
di Leonardo Del Vecchio, al gruppo Arvedi e alla Cassa Depositi e Prestiti. E
aggiunge: «Perché a noi? Perché non abbiamo produzione primaria in Italia, ed
essendo la più grande compagnia in Europa vogliamo partecipare all’industria
italiana dell’acciaio. Siamo il partner più giusto per l’Ilva, abbiamo quattro
pilastri strategici: il primo sono le persone, il secondo è il piano
industriale, il terzo è il piano ambientale, il quarto il piano commerciale». E
sulla tutela dell’ambiente precisa: «Comprendo i problemi avvertiti dalla gente
di Taranto, ci adegueremo pienamente a quanto previsto dall’Aia».
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 8 marzo 2017
Parchi minerali, la Regione diffida la Ferriera -
Acciaieria Arvedi deve ora presentare entro quattro mesi il progetto di
copertura previsto dall’Aia
La Regione ha ieri formalmente diffidato la Acciaieria Arvedi spa a
presentare entro quattro mesi il progetto di confinamento e copertura delle aree
a parco (minerali e fossile) dello stabilimento siderurgico della Ferriera di
Servola; nella diffida sono anche specificatamente indicati i contenuti minimi
del progetto. La Regione ha inoltre disposto che nelle more della realizzazione
del progetto di copertura dei parchi, la società adotti ulteriori misure di
mitigazione dello spolveramento utili per il contenimento delle emissioni
diffuse. L’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) rilasciata a Siderurgica
Triestina srl, ora Acciaieria Arvedi spa, stabiliva che entro 9 mesi dal
rilascio dell’Aia la società dovesse presentare il progetto di confinamento e
copertura delle aree a parco, corredato da un cronoprogramma di attuazione dello
stesso. «Non è stata soddisfatta da Siderurgica Triestina la prescrizione
contenuta nell’Autorizzazione integrata ambientale, che impone la copertura dei
parchi minerali». Questa era stata la conclusione a cui è arrivata all’unanimità
il 26 gennaio la Conferenza dei servizi coordinata dalla Regione e composta
anche da Comune, Arpa, Azienda sanitaria e Vigili del fuoco. In una nota la
Direzione Ambiente della Regione aveva ricordato come l’Aia avesse stabilito per
Siderurgica Triestina l'obbligo di presentare, entro nove mesi il progetto.
Tuttavia entro il termine, peraltro prorogato di un mese su richiesta della
società, l’azienda ha proposto una relazione che - si legge nella nota di allora
della direzione Ambiente - «pur contenendo alcune ipotesi progettuali, conclude
evidenziando l'eccessiva onerosità degli interventi richiesti e la difficoltà
tecnica della realizzazione degli stessi». «Più precisamente - si specificava
ancora - la relazione non contiene elaborati grafici, né soprattutto il
cronoprogramma e il quadro economico degli interventi da effettuare. E in
particolare si afferma che «la copertura, seppur astrattamente possibile, non
sarebbe tecnicamente realizzabile». Nel pomeriggio dello stesso giorno il
consigliere di amministrazione Francesco Rosato avrebbe però espresso ai
rappresentanti sindacali l’intenzione di attenersi a quanto viene chiesto. Ieri,
secondo quanto riferisce ancora la Regione, «è stato necessario adottare la
diffida». Acciaierie Arvedi, interpellata, non ha inteso al momento replicare in
alcun modo.
(s.m.)
Ambiente - Ok al piano per i giardini inquinati
Sostituzione dello strato di terreno superficiale oppure sperimentazione di
una tecnica di fitorimedio. Sono le soluzioni per la bonifica di sette diverse
aree di Trieste, cinque siti comunali e due di proprietà privata, confermate nel
corso della riunione del Tavolo tecnico promosso dalla Regione, di cui fanno
parte anche Arpa, Comune di Trieste e Azienda sanitaria universitaria integrata,
per affrontare il tema dell’inquinamento diffuso. All’attenzione dei componenti
del Tavolo è stata portata la proposta di stralcio per le aree sensibili
elaborato da Arpa, Azienda sanitaria e Comune di Trieste. Sulla base di
parametri quali la fruizione delle aree in funzione degli utilizzatori (bambini,
adulti, manutentori, ecc.), del tempo medio di presenza, delle caratteristiche
morfologiche e vegetazionali, lo stralcio ha classificato in tre diverse
tipologie omogenee i cinque siti pubblici. In una prima tipologia, chiamata “A”,
sono comprese due aree a gioco scolastiche, di ridotta superficie ma a elevata
fruizione di bambini per una durata temporale prolungata, che necessitano di
essere messe in sicurezza e di essere rese utilizzabili in tempi molto brevi: si
tratta delle aree verdi della scuola dell’infanzia Don Dario Chalvien, in via
Svevo, che richiede un intervento su circa 800 mq, e della scuola elementare
Marin di via Praga (circa 2.000 mq di intervento). Il piano ha quindi distinto,
in una seconda tipologia, indicata come “B”, due giardini pubblici a elevata
fruizione per una durata di tempo variabile, con grandi superfici prative e
numerose alberi, presenza di aree a gioco pavimentate, circondate da aiuole
prative, per un totale di circa 20.000 mq di intervento: è il caso del Giardino
pubblico (con i suoi 17.000 mq), e del giardino di piazzale Rosmini (circa 3.500
mq). È infine classificata come “C” la pineta Miniussi di Servola (con circa
5.000 mq di intervento). Si tratta di un giardino pubblico a bassa fruizione,
caratterizzato da prati coperti da alberature, in cui non vi sono zone per il
gioco dei bambini. Lo stralcio sarà sottoposto ora all’esame dell’Istituto
superiore di sanità e del ministero dell’Ambiente.
IL PICCOLO - MARTEDI', 7 marzo 2017
Capodistria-Divaccia - Il primo raddoppio vale 1.500 treni in più - Entro maggio la nuova tratta di binari sino a Villa Decani - Il costo complessivo dell’opera ammonta a 25,5 milioni
I NUMERI DEL PORTO - Luka Koper movimenta attualmente 90 convogli al giorno
LUBIANA - Può essere di certo considerato come il primo tratto del tanto agognato raddoppio della linea ferroviaria Capodistria-Divaccia. Certo far correre il traffico su rotaia lungo due binari dal porto del capoluogo del Litorale fino a Villa Decani (in tutto 1.200 metri) già costituirà una boccata d’ossigeno per il porto che, in pratica, se non avrà il raddoppio non potrà più espandere i propri traffici costantemente in aumento. I lavori hanno un valore, come scrive il Delo, di 5,9 milioni di euro. L’appalto è stato sottoscritto nel giugno scorso e i lavori sono iniziati a pieno regime in agosto. Secondo il contratto l’opera dovrà essere consegnata entro il maggio prossimo. I punti di maggiore difficoltà realizzativa sono il ponte attraverso il fiume Risano (Rižana) e il sottopasso relativo alla statale. A lavori finiti si procederà altresì al consolidamento e al rinnovo anche della oramai usurata “vecchia traccia” che a oggi sostiene tutto il traffico ferroviario. La direzione delle infrastrutture della Slovenia ha dichiarato sempre al Delo che l’intera opera si concluderà alla fine del 2018 e costerà complessivamente (incluso il raddoppio) 25,5 milioni di euro. Ma siccome, finora, gli appaltatori hanno offerto cifre minori forse si riuscirà a chiudere a 20 milioni di spesa. Attualmente la linea Capodistria-Divaccia è satura con 90 convogli ferroviari al giorno ma in alcuni periodo questi salgono anche a 110 convogli giornalieri inclusi anche i “viaggi” delle sole locomotive. Con la nuova tratta si potrà accrescere la portata della linea dai tre ai cinque convogli al giorno che, su chiave annuale, equivale a 1.500 treni in più in 365 giorni. Le Ferrovie della Slovenia, nel 2016, hanno movimentato al Porto di Capodistria 12 milioni di tonnellate di merci. Oltre alle Ferrovie della Slovenia su Porto operano anche la Rca e la Adria Transport che hanno movimentato, nel 2016, complessivamente 1,2 milioni di tonnellate di merci. L’anno scorso Luka Koper, la società che gestisce il Porto di Capodistria, ha movimentato 22.879 convogli ferroviari merci il che rappresenta una media di 64 convogli al giorno. Al Porto di Trieste, dicono a Capodistria, i convogli ferroviari movimentati sono stati tre volte di meno. E la battaglia continua, battaglia che, se paragonata al traffico dei porti del Nord Europa, appare sempre una “guerra tra poveri”.
Mauro Manzin
Il bosco di Crogole libero dai rifiuti - Nuova impresa
dei volontari di Sos Carso: riempiti 40 sacchi per ripulire l’area sotto San
Servolo
SAN DORLIGO Guanti da lavoro, sacchi neri e tanta volontà. Questi i tre
ingredienti che contraddistinguono il gruppo Sos Carso, team di volontari che
dallo scorso gennaio si sta cimentando nella pulizia di diverse zone
dell'altipiano. L'ultima, in ordine di tempo, è l'area sopra la frazione di
Crogole, a San Dorligo della Valle, proprio sotto San Servolo, zona tristemente
passata agli onori della cronaca per essere una vera e propria discarica a cielo
aperto realizzata da un homeless. In tre uscite i volontari, capeggiati da
Cristian Bencich e Furio Alessi, hanno raccolto tutto il materiale sparso per i
boschi. Sedie di plastica, borsoni, valige, pentole, ciabatte, scarpe, e tanti
altri oggetti sono stati collocati all'interno di una quarantina di sacchi neri.
«È stato un lavoraccio, anche perché c'era davvero di tutto. Pensavamo vi
abitasse una famiglia, poi abbiamo letto Il Piccolo e abbiamo saputo chi stava
dietro a tutti questi oggetti e rifiuti abbandonati nel bosco», racconta il
47enne Bencich. Il team, appartenente al Raggruppamento escursionisti speleologi
triestini (Rest), ha poi portato via la metà dei rifiuti. «Gli altri sacchi sono
rimasti in attesa dell'intervento del Corpo forestale: avremmo voluto portarli
tutti via noi, ma erano davvero troppi e peraltro il sentiero è piuttosto
ripido», racconta Bencich. Quello di Crogole è solo uno dei diversi interventi
compiuti in circa un mese e mezzo di attività. Nel bosco di Pese-Draga, sempre a
San Dorligo della Valle, vicino ad una "jazera" (antico sistema di produzione
del ghiacchio) sono stati rinvenuti barattoli in alluminio, uno pneumatico e
materiali ferrosi poi raccolti in quattro sacchi neri. «La caratteristica più
strana di quest'area sono stati il centinaio di scatolette per gatti che abbiamo
rinvenuto e poi raccolto», aggiunge Bencich. Ma sono tante le aree che
necessiterebbero di un intervento. A partire dall'autoporto di Fernetti, nella
cosiddetta dolina dei Druidi. «Mi chiedo perché l'Autoporto non mandi qualcuno
almeno una volta al mese a ripulire i "ricordi" lasciati dai suoi "clienti"
camionisti. Sicuramente non andrebbe in rovina». La sfida più grande però rimane
sicuramente l'ex discarica di Trebiciano. «L'area era stata aperta nel 1958 e
gestita dal Comune sino al 1972. Nel corso degli anni sono stati scaricati circa
600mila metri cubi di rifiuti di ogni tipo. E pensare che sotto questo disastro
ecologico scorre il fiume Timavo", racconta il portavoce di Sos Carso.
Tonnellate di rifiuti accumulatesi fino a creare, pare, uno strato di oltre 20
metri. Bencich lancia l'appello: "Siamo molto soddisfatti del nostro lavoro ma
non possiamo fare tutto da soli per questo il nostro intento sarebbe di
coinvolgere altre persone perché sul Carso c'è ancora molto da fare». Per chi
volesse aiutare i volontari anche donando guanti e sacchi neri è attiva la
pagina Facebook Sos Carso.
Riccardo Tosques
AMBIENTE - Castelmuschio protesta per i depositi “tossici”
VEGLIA - Sta per finire la pazienza dei circa 20 mila abitanti di Veglia e dei responsabili delle sette municipalità presenti sull'isola quarnerina. La causa è una sola e prende il nome di Dina Petrolchimica, l'azienda defunta ormai da anni e depennata lo scorso settembre dal Registro croato delle imprese. Nello stabilimento di Castelmuschio (Omisalj in croato) sono rimaste ancora decine di tonnellate di sostanze chimiche, altamente tossiche e soprattutto molto temute dai residenti nei comuni di Veglia, Castelmuschio, Verbenico, Ponte, Malinska-Dubasnica, Dobrinj e Bescanuova. I sindaci di queste municipalità hanno inviato giorni fa una lettera aperta al ministro dell'Ambiente ed Energia, Slaven Dobrovi„, ricordandogli che lo Stato croato ha precisi obblighi nei riguardi dell'ex Dina. Dopo la cancellazione dal registro, è Zagabria che deve provvedere al risanamento dell'impianto, definito da tempo una bomba ecologica ad orologeria, destinata prima o poi a deflagrare, con danni gravissimi, catastrofici per l'ambiente quarnerino, mare compreso.
Siderurgia - Il salvataggio dell’Ilva: sfida fra
Arcelor e AcciaItalia
MILANO La battaglia per la conquista dell'Ilva è entrata nel vivo. Le due
cordate si sono materializzate nelle buste con le offerte vincolanti, finalmente
aperte dopo tre proroghe. Su un fronte c'è la cordata composta da AcciaItalia,
Jindal, Delfin e Arvedi, col sostegno finanziario di Cassa Depositi e Prestiti,
sull'altro è invece il consorzio Am Investco Italy, formato da Marcegaglia e
ArcelorMittal al quale dovrebbe aggiungersi Intesa Sanpaolo, dopo che la banca
ha siglato col consorzio una lettera d'intenti. Ma ci vorrà almeno un mese per
sapere chi vincerà. Le offerte sono state trasmesse all'advisor finanziario
della procedura di amministrazione straordinaria, Rothschild, e ora inizieranno
gli adempimenti legati alla procedura, con la valutazione dei singoli aspetti
delle proposte messe in campo dai due contendenti. Per l'Ilva si tratta di una
svolta. Impossibile dimenticare che tre anni fa era data per fallita con una
perdita di 500 milioni l'anno, con gli impianti sotto sequestro e i fornitori
alla finestra in attesa di pagamento. L'azienda oggi segna un fatturato 2016 in
miglioramento sul 2015 a 2,2 miliardi, una riduzione dell'Ebitda negativo del
62% e una decisa ripresa della produzione. Va tuttavia sottolineato che le due
offerte arrivano anche in un momento in cui lo scenario economico internazionale
è cambiato, con i prezzi dell'acciaio in risalita. Un pò a sorpresa
Marcegaglia-ArcelorMittal hanno scoperto le carte della loro offerta e in un
comunicato hanno spiegato che la proposta prevede 2,3 miliardi di investimenti
nell'Ilva, oltre al prezzo d'acquisto (che non viene reso noto), una produzione
di 9,5 milioni di tonnellate di prodotti finiti, l'impegno a realizzare un
centro di ricerca e sviluppo a Taranto e usare nuove tecnologie per la
produzione di acciaio a bassa emissione di anidride carbonica.
IL PICCOLO - LUNEDI', 6 marzo 2017
NoSmog e FareAmbiente al fianco di Dipiazza criticano il no regionale alla revisione dell’Aia
«Apprendiamo che la Regione ha respinto la richiesta di riesame dell’Aia alla Ferriera inoltrata dal sindaco e fortemente sollecitata dai cittadini. Il respingere la necessità di rivedere una concessione che dopo un anno di applicazione ha dimostrato tutte le sue carenze , evidenziate quotidianamente dai residenti, dimostra che il rifiuto non posa su argomentazioni tecnico-oggettive e che non vi è alcuna intenzione di prendere in considerazione il disagio denunciato dai cittadini. La sensazione , che forse è più di una sensazione , è che ogni decisione venga presa a prescindere, sulla testa dei cittadini di cui non va tenuto conto e a cui non viene data voce, in presenza di "superiori interessi" di natura politica». Così Alda Sancin, presidente di NoSmog, una delle tre associazioni della cui consulenza si avvale Roberto Dipiazza. Un’altra è FareAmbiente, il cui coordinatore regionale Giorgio Cecco commenta a sua volta sarcastico: «Condividiamo quanto rilevato dagli uffici regionali, ovvero che non ci sono elementi di novità. Difatti l'inquinamento, i disagi e la pessima qualità della vita dei residenti sono sempre gli stessi».
LA RUBRICA NOI E L'AUTO - PIAZZA LIBERTÀ, SAGGIO
SPOSTARE LE FERMATE BUS
La ristrutturazione della circolazione in corrispondenza di piazza Libertà è
agli onori della cronaca. Come sempre ci sono i favorevoli e contrari. È ovvio
che molti pareri sono dettati dalle singole, personali e contingenti necessità,
ma vi sono anche delle considerazioni oggettive che valgono per tutti. A mio
parere è semplicemente impensabile che chi proviene da via Cellini non possa
svoltare a sinistra, verso il Porto vecchio, la Sala Tripcovich, la marina e
quant'altro. Nemmeno da prendere in considerazione l'ipotesi di successiva
svolta all'altezza dei taxi, che creerebbe delle situazioni insostenibili. Tale
mia opinione è basata sul fatto che, attualmente, l'unico vero pericolo in
strada consiste nel frequentissimo e indisciplinato attraversamento dei pedoni
dalla Stazione al giardino al centro della piazza, e viceversa. Oggettivamente
tali attraversamenti non sarebbero giustificati, vista la presenza, ormai molto
datata, del sottopassaggio, ma le condizioni generali dello stesso, tra cui
l'assenza di percorsi predisposti per i diversamente abili, non aiutano a
utilizzarlo. L’aspetto più importante, però, consiste nel fatto che la quasi
totalità degli attraversamenti pedonali è motivata dalla necessità di
raggiungere le fermate degli autobus adiacenti al giardino. Allora? A mio parere
il provvedimento più saggio ed economico sarebbe quello di spostare
parallelamente dette fermate, da dove sono oggi, verso il marciapiede adiacente
all'uscita dalla Stazione centrale. La larghezza della carreggiata coinvolta non
cambierebbe, ma si sposterebbe solo l'asse della stessa, con lavori edili
minimali e relativamente poso costosi. Per quanto riguarda la più volte
richiamata svolta a sinistra dei veicoli provenienti da via Cellini, che a
questo punto coinvolgerebbe anche gli autobus, il potenziale pericolo potrebbe
essere risolto con qualche secondo di tutto rosso per i veicoli che scendono da
via Pauliana e quelli che vengono da viale Miramare o, eventualmente, con un
nuovo semaforo. Spero che il buon senso prevalga, per la sicurezza di pedoni,
automobilisti e altri utenti della strada.
GIORGIO CAPPEL
IL PICCOLO - DOMENICA, 5 marzo 2017
“Nuovo” Piano del traffico bocciato dalle opposizioni -
Lo stop a via Mazzini pedonale riapre le polemiche sulla viabilità. Critiche da
M5S
L’ex sindaco Cosolini, oggi consigliere Pd : «Quali le idee innovative
della giunta?» - E Menis chiama in causa anche la precedente amministrazione
L’ex sindaco Roberto Cosolini difende la pedonalizzazione di via Mazzini, sperimentata durante la sua amministrazione: «La chiusura della strada faceva parte di un piano organico su cui i tecnici avevano lavorato a lungo» - L’ex assessore all’Urbanistica Elena Marchigiani chiede proposte per una viabilità sostenibile capaci di risolvere il problema dell’inquinamento, garantire più sicurezza e offrire opportunità turistiche Anche il Movimento Cinque Stelle attende un piano alternativo. Paolo Menis però attacca anche la precedente amministrazione: «La giunta Cosolini non ha avuto il coraggio di applicare i progetti fino in fondo, Corso Italia è la prova»
Sul destino della viabilità triestina soffia aria di tempesta. L’addio alla pedonalizzazione di via Mazzini, sentenziato a gran voce dalla giunta Dipiazza, rinfocola le vecchie polemiche. L’ex sindaco Roberto Cosolini e l’ex assessore Elena Marchigiani incassano il colpo: se l’aspettavano. Ma contrattaccano: «Cosa propone allora di innovativo questa giunta?», incalzano i due. La loro non è solo una provocazione: chiedono un piano alternativo, un progetto capace di dar respiro al traffico e alla mobilità dei cittadini. «Non c’è nulla», dicono in coro. Qualcosa di “sostitutivo” in realtà ci sarebbe: un pezzettino in più di via XXX Ottobre riqualificato e libero dalle auto; un semaforo in via Roma all’incrocio con via San Nicolò e marciapiedi più ampi in via Teatro Romano e piazza Libertà. E, per alleggerire il centro dal caos parcheggi, nuove convenzioni con le società che gestiscono i park interrati per incentivarne l’uso. Basterà? «La chiusura di via Mazzini stava dietro a un piano organico - fa notare Cosolini, ora consigliere comunale Pd - su cui i tecnici avevano lavorato a lungo e c’erano stati incontri e approfondimenti con la cittadinanza. Decidere di non chiudere e basta è come dire “va tutto bene così”, mentre le città con più zone pedonali e meno traffico sono più belle, vivibili e moderne». L’ex assessore Marchigiani, professore di Urbanistica all’Università di Trieste, scuote il capo: «La pedonalizzazione di via Mazzini - ricorda - andava di pari passo agli interventi su Corso Italia, dove sarebbero stati dirottati i bus e tolte le auto. Era tutto un disegno complessivo. Ma questa amministrazione - spiega - non ha in mente un progetto d’insieme, non se ne sta proprio occupando. Non fanno e non faranno nulla. Ma una giunta non può concentrarsi solo sui regolamenti di polizia e della pulitura delle caditoie, dovrebbe avere iniziative di grande respiro. Anche perché l’idea di allontanare le automobili dal centro è applicata ovunque. Se il nostro Piano del traffico non va bene - insiste Marchigiani - allora ne facciano un altro. Cosa fanno al posto di ciò che buttano via?». L’ex assessore fa notare che la scelta di una via Mazzini “free” era stata molto discussa con i commercianti e la cittadinanza. «Due anni di confronto pubblico - sottolinea la docente universitaria, esperta di Urbanistica -, ci vuole una bella responsabilità a bloccare tutto. La città ha bisogno di interventi sulla mobilità, innanzitutto per l’inquinamento e la salute». Il riferimento è a quanto emerso nelle aree verdi dei giardini pubblici, pesantemente contaminati anche dal traffico. E alla sicurezza, oltre che al turismo. «Per questo - chiosa Marchigiani - tante città da decenni hanno puntato sulla pedonalità. Non avere un piano significa fermare un progetto di modernizzazione necessario». Anche il Movimento Cinque Stelle aspetta la giunta Dipiazza al varco. Paolo Menis, capogruppo in Consiglio comunale, attende risposte. «Il punto non è tanto via Mazzini chiusa o aperta - rileva - perché il problema è generale. Ci può stare che questa giunta non sia d’accordo sul Piano del traffico, ma allora deve ritirarlo e presentarne un altro. Anche perché - evidenza - sono passati i due anni previsti dalla legge e quindi non ci sono impedimenti. Aspettiamo una contro proposta sui futuri interventi, cioè un vero e proprio progetto che disincentivi l’utilizzo delle automobili a vantaggio dei mezzi pubblici. A Trieste è necessario cambiare il modo di spostarsi verso il centro - osserva Menis - ma va detto che la precedente amministrazione ha le sue colpe: avevano presentato un piano, che noi avevamo condiviso, ma poi Cosolini e Marchigiani non hanno avuto il coraggio di applicarlo fino in fondo. Per Corso Italia, ad esempio, era previsto il restringimento della carreggiata e l’allargamento dei marciapiedi per il passaggio esclusivo dei mezzi pubblici. Ma non se n’è fatto nulla».
Gianpaolo Sarti
Parco del mare davanti alla Lanterna - La parola al
Consiglio
Il 20 marzo la seduta straordinaria. Tutti gli attori presenti dal “papà”
del progetto Paoletti al Comitato che si oppone
Il Consiglio comunale di Trieste si esprimerà sul progetto del Parco del
mare in una seduta apposita che si terrà il 20 marzo. È l’esito della richiesta
avanzata dal Partito democratico, approvata nei giorni scorsi dai capigruppo. Il
presidente del Consiglio Marco Gabrielli ha già convocato la riunione e mandato
gli inviti a tutti gli enti e gli attori cui sarà richiesto di partecipare:
arriverà in aula, oltre al sindaco Roberto Dipiazza, anche il presidente della
Camera di commercio della Venezia Giulia Antonio Paoletti, da sempre grande
promotore del progetto. Ma sono stati invitati anche i presidenti di Fondazione
CRTrieste e Autorità portuale, anche se ancora non si sa chi rappresenterà
questi enti in aula. Si sa invece che per la giunta regionale arriverà in
Consiglio l’assessore al Bilancio Francesco Peroni, così come ci sarà un
rappresentante del comitato che si oppone al progetto in zona Lanterna. Dice
Gabrielli: «Nella richiesta si pone particolare attenzione su tutta una serie di
aspetti del progetto. Vedremo di andare a fondo il più possibile». Andiamo
quindi a vedere cosa chiede il Pd. Il documento è firmato da tutti i consiglieri
comunali dem e richiede «la convocazione di un Consiglio comunale straordinario
sul tema “Parco del mare”». Tre i punti di dibattito sottolineati: «Lo stato di
avanzamento del progetto; il business plan (piano finanziario); la
localizzazione della proposta ed eventuali alternative». Ai tempi in cui teneva
in mano le redini del Comune, l’ex sindaco Roberto Cosolini aveva dato il suo
beneplacito al progetto, anche se non aveva mai nascosto di preferire una
posizione diversa per l’acquario, magari in Porto vecchio. Ora, in veste di
consigliere non perde l’occasione per tornare sull’argomento: «È evidente che in
città si è aperto un tema - commenta -. È un tema noto, addirittura vecchio, e
che fu già oggetto di una delibera del Consiglio comunale portata dall’allora
assessore Ravidà. Ora, il Comune ha un ruolo in questa vicenda, perché pur non
essendo socio si esprime sia sulla possibile locazione della struttura sia sul
progetto in generale, trattandosi di una realtà potenzialmente molto rilevante».
È quindi il caso, secondo Cosolini, che anche il Consiglio comunale torni a
schiarirsi le idee sull’argomento: «Sono passati molti anni, la collocazione al
mercato ortofrutticolo di Campo Marzio è ormai tramontata, è cambiato il
contesto economico e sociale ed è giusto che il tema torni all’attenzione
dell’assemblea». Farlo, prosegue il consigliere, «è necessario anche e
soprattutto per un aggiornamento sul piano industriale complessivo». Ma anche
perché il tema della collocazione fa molto discutere: «Personalmente ho sempre
pensato che serva un serio raffronto costi-benefici. Laddove per costi si
intende sì la spesa, ma anche tempi e problematiche varie. Mentre per benefici
si intendono le possibili ricadute positive di ambo le possibilità: sia quella
di farlo alla Lanterna che in Porto vecchio». Vada come vada, l’argomento darà
molto da discutere ai consiglieri comunali. Anche perché, per l’esasperazione
del suo patron Paoletti, il Parco è diventato ormai da parecchi anni una delle
arene gladiatorie preferite dalla classe politica triestina.
Giovanni Tomasin
Dipiazza insiste «La Regione annulli l’Aia della
Ferriera» - il braccio di ferro
«La risposta ricevuta dalla Regione fa sorgere fondate perplessità sulla
capacità dei tecnici della struttura di comprendere il contenuto dei documenti
preparati e diffusi dalla propria realtà di riferimento Arpa Fvg. Alla parte
politica quindi consigliamo di verificare il lavoro dei propri uffici e di
evitare un atteggiamento pilatesco sulla vicenda Ferriera che può essere
interpretato solo come disinteresse per le problematiche legate alla salute dei
cittadini e alla tutela dell’ambiente». Così il sindaco Roberto Dipiazza ha
replicato ieri alla notizia che i tecnici della Regione hanno bocciato la
richiesta di revisione dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) della
Ferriera avanzata dal Comune. Rilevando anche che «il valore rilevato di
deposizioni di benzo(a)pirene sulla base di dati prodotti in autocontrollo
dall’industria e non dalla parte pubblica è significativo», il sindaco sostiene
che «l’attuale piano di monitoraggio e controllo non consente di verificare il
rispetto degli obiettivi di qualità ambientale stabiliti dagli strumenti di
pianificazione e programmazione di settore nelle aree dell’abitato di Trieste
più critiche come identificato nei documenti prodotti da Arpa Fvg». E inoltre
«non garantisce e all’evidenza dei dati non ha mai garantito una tutela dalla
contaminazione dei suoli in una ampia area di Servola, non fornendo con i
monitoraggi trimestrali previsti elementi tecnici adeguati per verificare il
miglioramento della situazione rispetto a quella degli anni passati». «Chiediamo
anche - aggiunge Dipiazza nella nota emessa ieri - di conoscere se è stato
avviato il procedimento sanzionatorio nei confronti del gestore ex art. 29
decies c.9 del D.Lgs 152/06 relativamente all’acclarato superamento del limite
produttivo di 34.000 tonnellate/mese di ghisa prodotta» e conclude annunciando
che «il Comune di Trieste inviterà formalmente la Regione a dichiarare in
autotutela la nullità dell’Aia della Ferriera e contestualmente percorrerà tutte
le strade per arrivare a tale risultato. Si auspica che la Regione, come
istituzione, tuteli la salute dei cittadini anche con fatti concreti e non solo
a parole. Gli elementi per farlo ora li ha tutti».
Siderurgia, la Cina torna in trincea: nuovi tagli in
arrivo - Pechino promette di eliminare 500 mila posti di lavoro - Il mercato
europeo continua a soffrire il crollo dei prezzi
MILANO Pechino promette di tagliare 500 mila posti di lavoro nelle industrie
dell'acciaio e del carbone per contenere l'eccesso produttivo che ha mandato in
tilt la siderurgia mondiale. A Washington, il neo presidente Donald Trump
annuncia che il mega-oleodotto che collegherà Canada e Stati Uniti sarà
costruito interamente con acciaio made in Usa. L'Unione Europea invece ritocca
all'insù le tariffe antidumping alzando i dazi doganali dal 65 al 73% sui
prodotti provenienti dalla Cina. È cominciato così, in trincea, l'anno
dell'acciaio 2017, in cui i grandi produttori - Italia inclusa - cercano in
qualche modo di smarcarsi dal problema irrisolto della sovracapacità globale che
ha fatto precipitare gli utili delle imprese del settore. Nonostante le
promesse, gli annunci e le barriere doganali, anche quest'anno l'acciaio
soffrirà degli acciacchi di un'industria che ha bisogno di ristrutturarsi e di
razionalizzare i suoi impianti. Nel 2016, secondo World Steel, la produzione
mondiale della siderurgia è tornata ad aumentare, per un incremento complessivo
dello 0,8%. In circolazione c'è troppo acciaio, i prezzi si deprimono e i
produttori chiudono i bilanci in rosso. Sul banco degli imputati di una
situazione che sembra ormai ingovernabile c'è la Cina che sforna quasi la metà
dell'output globale. I dazi, le misure antidumping e le promesse di frenare la
produzione contro i prodotti a basso costo proveniente dall'Oriente non hanno
cambiato volto all'industria cinese. Anzi. L'anno scorso, nonostante le chiusure
dei cosiddetti impianti "zombie", che operano al di sotto del costo di
produzione, e il taglio di un milione di posti di lavoro, la Cina ha aumentato
l'output di acciaio di almeno 35 milioni di tonnellate, a un tasso di crescita
complessivo dell'1,2%, raggiungendo così 808,4 milioni di tonnellate, per
un'incidenza sull'output siderurgico globale del 49,6 %. Lo afferma una ricerca
condotta dalla società di consulenza Custeel e promossa da Greenpeace. E si teme
che la stretta produttiva annunciata in questi giorni dal governo cinese,
peraltro molto irritato per i rialzi delle tariffe doganali in Europa, possa in
realtà tradursi nell'ennesimo aumento della capacità siderurgica nazionale.
Dall'altra sponda dell'Oceano nell’era Trump le grandi opere andranno costruite,
come il megaoleodotto Keystone Xl, con acciaio made in Usa. Anche questa
promessa, come quella dei tagli alla produzione cinese, lascia piuttosto
prudenti gli analisti. Keystone Xl, la rete che collegherà il trasporto di
idrocarburi tra Canada e Usa, deve rispettare contratti pregressi. E
probabilmente l'acciaio di cui sarà fatto sarà comunque made in China. Al di là
della realizzabilità delle strategie americane e cinesi sulle rispettive
siderurgie nazionali, suonano forti gli allarmi per l'industria dell'acciaio
europea e in particolare per quella italiana alle prese con il salvataggio Ilva
e la trasformazione dei campioncini nazionali in aziende performanti negli
acciai speciali. La siderurgia tricolore ha recuperato nel 2016 il 6% della
produzione, segnando una delle migliori performance tra i grandi paesi
produttori, seconda solo a quella dell'Iran e dell'India. L'Italia riprende
quota dopo una discesa che durava da quattro anni di fila e riportandosi sopra i
23 milioni di tonnellate.
Christian Benna
IL PICCOLO - SABATO, 4 marzo 2017
Viabilita': i nuovi indirizzi - Addio a via Mazzini pedonale Dipiazza cestina il piano Cosolini
L’assetto del traffico cittadino sarà profondamente rivisto rispetto alle scelte della passata amministrazione
Pronto il progetto “bis”: Stop ai veicoli in via XXX Ottobre e marciapiedi più larghi in centro. L’assessore Polli: «Presto le convenzioni con le società per gli sconti nei parcheggi interrati»
La giunta Dipiazza sotterra una volta per tutte il progetto di pedonalizzazione di via Mazzini. Non si farà, salvo eventi come la “Notte dei saldi” e manifestazioni analoghe che richiedono la chiusura del centro. È l’assessore all’Urbanistica Luisa Polli a mettere la pietra tombale su quello che fu il cavallo di battaglia dell’accoppiata Cosolini & Marchigiani. Poco fortunato, a dire il vero, certamente in termini di consensi. D’altronde aveva promesso lo stesso Dipiazza, in campagna elettorale, che la via non sarebbe stata più oggetto di sperimentazioni simili a quelle tentate nella passata amministrazione. Adesso la versione “2.0” del Piano del traffico (per il momento ideale) non contiene traccia esecutiva della pedonalizzazione. «La cittadinanza lamentava disagi nei collegamenti e nelle fermate dei bus - ricorda Polli - perché quello è uno snodo importante per chi arriva in centro con i mezzi pubblici. Ma anche la Trieste Trasporti era critica: i conducenti avevano difficoltà a girare da Corso Italia in via Imbriani o a svoltare in piazza Goldoni, per non parlare della congestione che si era creata nella altre vie, dove gli autobus erano costretti a transitare in punti già molto trafficati». La giunta intende virare piuttosto su altri interventi che mirano a rendere più vivibile il centro per i cittadini. Polli ha già qualche freccia nel suo arco. La prima: convenzioni con i parcheggi “contenitore” (via Carli, Foro Ulpiano, Park San Giusto, Silos, via Giulia, ospedale Maggiore), notoriamente sotto utilizzati, per stimolare i triestini a posteggiare nei garage interrati. Come? Con prezzi super scontati, ad esempio. La pedonalizzazione interesserà invece aree limitrofe. È il caso di via XXX Ottobre, intanto: anche il punto compreso tra via Milano e via Valdirivo e tra via Valdirivo e via Torrebianca, così come già avviene nel tratto piazza Oberdan-via Milano, sarà off limits per le auto. È prevista la riqualificazione della strada con pavimentazione in masegno, simile a via Trento, con tanto di passaggio ciclabile. «Sposteremo le aree di carico-scarico merci - preannuncia Polli - siamo già d’accordo con i negozianti». Per portare a compimento il progetto l’assessore pensa ad approvare una variante al Piano del traffico. «Il nostro obiettivo - puntualizza - è valorizzare quell’area, vista la presenza di attività economiche. Se passano più gente i commercianti ne traggono beneficio». In programma pure le “semi-pedonalizzazioni”. In piazza Libertà, innanzitutto: il Comune farà togliere i parcheggi “blu” che costeggiano Palazzo Economo, sede della Soprintendenza, per allargare il marciapiede a beneficio dei pedoni. Stesso discorso per due aree che si trovano in prossimità di siti culturali di interesse archeologico, paesaggistico e monumentale. Come via Teatro Romano, ad esempio; anche lì, come già ventilato dal municipio, via le auto. Un modo, ci tiene a precisare l’assessore, per facilitare il via vai delle persone, tanto più i turisti, e rendere la zona più ampia e piacevole. Lo schema sarà applicato pure nei pressi del Faro della Vittoria, in Strada del Friuli, per agevolare l’arrivo dei pullman. Va da sé che nel punto individuato dal Comune non sarà più permesso parcheggiare. Ma che fine farà il Piano del traffico già approvato dal Consiglio comunale? Resterà nel cassetto, ormai è chiaro. «È uno strumento superato - taglia corto l’esponente della giunta Dipiazza - adesso puntiamo a una mobilità sostenibile, anche perché il Piano del traffico non è uno strumento coercitivo. Lo si può applicare o no, sebbene non sia possibile fare nulla in netto contrasto. Ma può essere cambiato. A noi comunque sta a cuore intervenire in modo da promuovere la convivenza tra pedoni, bici, trasporto pubblico e auto. Va ricordato, tuttavia, che in futuro qualsiasi intervento di lungo respiro sulla viabilità non potrà fare a meno di tener conto del Porto Vecchio e di come integrare quell’area con la città».
Gianpaolo Sarti
Via Marchesetti - Il plastico con le luci “fai da te”
Anche via Marchesetti, teatro del tragico incidente di tre mesi fa in cui è morta una ragazza di quindici anni, rientra nel piano sicurezza del Comune. Nulla però è ancora stabilito. Sono varie le ipotesi su come arginare il pericolo nei pressi del Ferdinandeo, dove gli automobilisti tendono a pigiare l’acceleratore. Molto probabilmente all’altezza dell’attraversamento pedonale, proprio dove è stata travolta la ragazzina, saranno installati un’isola spartitraffico, un dispositivo con lampeggianti e rallentatori ottici. A maggior ragione che l’area, nelle ore serali, è piuttosto buia. Il Comune di Trieste comunque intende dare ascolto alle proposte delle circoscrizioni e dei singoli residenti. Tra i progetti presi in considerazione figura il plastico realizzato dal signor Ottavio Buzzai, che abita proprio in via Marchesetti. Il modellino prevede anche un impianto di illuminazione azionato direttamente dai pedoni a ogni passaggio. «Potrebbe essere un progetto interessante - commenta l’assessore all’Urbanistica Luisa Polli - dobbiamo verificare se è attuabile sotto il profilo normativo. Va comunque sottolineato il bel gesto del signor Ottavio che si è preso a cuore il problema realizzando personalmente il plastico. Quella zona effettivamente è pericolosa e vanno presi provvedimenti. Ma è l’intera area che probabilmente ha bisogno di migliorare sotto il profilo della segnaletica», fa notare. Aspettiamo i suggerimenti della circoscrizione per poter decidere nel modo più opportuno e adeguato possibile»
(g.s.)
«Bisogna aumentare i posteggi» Ma l’area verso via Torrebianca da proibire ai veicoli piace a residenti e commercianti
Sì alla pedonalizzazione di via XXX Ottobre. Un via libera convinto, ma a una condizione: aumentare i parcheggi. Sulla nuova scelta dell'amministrazione comunale, commercianti e cittadini parlano chiaro. E fanno emergere anche altre postille, criticità soprattutto, invitando il Comune a risolverle. C'è chi teme di perdere i clienti durante il periodo del cantiere e chi, ancora, preferirebbe un'area più ampia da chiudere al traffico. E se gli habitué di questa strada annuiscono alla novità, non nascondono la propria soddisfazione sulla scelta di non intrevenire su Mazzini. Lì la pedonalizzazione era piaciuta a pochi. Manuela Morpurgo, titolare del negozio di informatica "Murrisoft", che si trova proprio a metà della via, non ha dubbi: «Sono convinta sia un'ottima scelta, il centro cittadino, come in tante città, va pedonalizzato e per vivere ha bisogno dei negozi, ma - avverte -, l'amministrazione ci deve aiutare con un maggior numero di posti per il carico e lo scarico. Non solo per noi esercenti, ma anche per i nostri clienti e per i semplici cittadini che non possono girare a vuoto per cercare un posto da occupare solo per dieci minuti. Qui, questi stalli sono troppo pochi e sempre occupati. Ci vuole anche più controllo da parte della polizia. E in più - aggiunge - si dovrebbero creare più parcheggi a poco costo». Alcune richieste, ma puntuali. Quanto a via Mazzini, Morpurgo è chiara: »Quella via è fatta per i bus». D’accordo Tamara Tamaro, che ha un box auto proprio in via XXX Ottobre. «È una strada fine a se stessa, nata solo per cercare parcheggio», rileva. «Non penso che la scelta creerà disguidi, però il Comune deve pensare a incrementare i posteggi, io sono l'esempio: ho dovuto acquistarne uno». Senza alcuna riserva invece è Paola Leonardi, dell'associazione di volontariato Senza confini "Brez Meja", che gestisce la Bottega del Mondo di via Torrebianca, una perpendicolare di via XXX Ottobre. «Finalmente ci si può muovere di più», afferma. «Camminare fa parte della nostra filosofia. E poi così avremo modo di farci conoscere di più, spero di non sbagliarmi. In tanti adesso ci dicono che non siamo in centro, forse così lo diventeremo. Al contrario penso che via Mazzini, se fosse diventata pe
donale, avrebbe creato problemi, perché è un'arteria nevralgica per i bus». E se estendessero l'area per il transito puramente pedonale all'intero quartiere? Elena Storti, titolare della libreria “Transalpina”, sarebbe molto più contenta. «Se ci sono solo qua e là piccoli frammenti di vie vietate alle auto, è sempre difficoltoso girare. Si dovrebbe allora allargare il progetto almeno a un'intera zona, anche perché - sottolinea - a me nuocerebbe avere solo quella via chiusa, perché poi il flusso sarebbe solo da quella parte, e io sono in una strada che già soffre visto che siamo aperti in tre». Ma c’è anche chi teme per il cantiere che si troverà, presto o tardi, davanti. «Sono aperto da sei mesi e se si mettono a rompere la strada ora che arriva l'estate - protesta il propritario di un bar della zona - io non avrò più clienti, vado in fallimento, perché qui non è come in altri Paesi, dove si lavora giorno e notte per finire un cantiere. In Italia ci vogliono mesi infiniti. So che dopo sarà un’area più piacevole, ma spero scelgano un periodo invernale per fare l’operazione».
Benedetta Moro
LE PRIORITA' - Spunta la “black list” delle strade rischiose - Da Barcola a Opicina “zone 30”, isole spartitraffico e segnali - Nuovi semafori in via Roma, largo Irneri e viale Campi Elisi
CAMBIAMENTI ANCHE A OPICINA - Uffici al lavoro per ulteriori marciapiedi e un percorso “pedibus”
Scatta il piano anti-incidenti. Il Comune sta preparando una sorta di “black list”dei punti più pericolosi della città in cui intende provvedere con segnaletica adeguata, “zone 30”, lampeggianti e altri dispositivi necessari ad allertare automobilisti e pedoni. L’elenco esatto sarà stilato non appena concluso il giro di consultazioni con tutte le circoscrizioni, atteso per fine mese. Ma le prime indicazioni sono già pronte. A iniziare da Barcola, in zona Pineta, dove in prossimità degli attraversamenti pedonali saranno collocate tre isole spartitraffico simili a quelle già esistenti in via Fabio Severo nei dintorni dell’università o lungo le Rive. Analoghi “arredi” urbani troveranno posto in via Revoltella (due in totale), nei dintorni del complesso scolastico e della chiesa; in via Locchi, ancora, davanti al supermercato Billa e, infine, altri due in via Flavia tra la rotatoria e via Brigata Casale. L’obbligo di circolare a trenta all’ora, già sperimentato in alcuni punti della città, entrerà in vigore in via Pindemonte all’altezza della scaletta di via Margherita, un passaggio poco trafficato e dove le auto tendono ad accelerare. «In quella strada - spiega l’assessore all’Urbanistica Luisa Polli - c’è la scalinata del Boschetto, la gente lì attraversa la strada. E poi, più avanti, c’è il giardinetto di Strada di Guardiella, è opportuno che la automobili vadano più piano». Il limite di velocità sarà segnalato in grande anche sull’asfalto. In via Padovan, invece, sono in programma nuovi dispositivi segnaletici utili a migliorare la mobilità pedonale in prossimità del ricreatorio. Sarà rifatto il marciapiede, in modo da renderlo più largo. Per la “zona 30” di Opicina, nel perimetro di via Nazionale e via Carsia, invece, gli uffici comunali stanno già predisponendo un progetto esecutivo per la realizzazione di nuovi marciapiedi, un percorso “pedibus” per i bambini utile a rendere più sicuro il collegamento tra il ricreatorio e la scuola Lona. Non finisce qui. Il Comune installerà presto nuovi semafori all’incrocio tra via Roma e via San Nicolò (analogamente a quanto già attuato all’altezza di via San Spiridione e Canalpiccolo), lungo l’attraversamento pedonale di largo Irneri (fronte piscina) e in viale Campi Elisi. Alcuni impianti semaforici, inoltre, saranno dotati di dispositivi per non vedenti. Il municipio, comunque, parteciperà al “Programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile casa-scuola e casa-lavoro” del ministero dell’Ambiente. Si punta a portare a termine vari lavori di messa in sicurezza, previo finanziamento statale. Il Comune ha stanziato una somma di 200 mila euro, a fronte di una richiesta di contributo pari a mezzo milione di euro. «Abbiamo dati sugli incidenti avvenuti negli ultimi anni e sulle criticità più importanti in centro - rileva Polli - naturalmente il piano “sicurezza” sarà integrato con tutte le informazioni che ci giungeranno dalle singole circoscrizioni con le quali da tempo ci stiamo confrontando. Lavoriamo per una città più sicura e più a misura di pedone - conclude l’assessore all’Urbanistica - anche questo è uno degli impegni di questa amministrazione comunale».
(g.s.)
La Regione dice no al Comune Blindata l’Aia della Ferriera - Respinta l’istanza di revisione perché «non contiene alcun elemento di novità
L’amministrazione Dipiazza è stata regolarmente coinvolta nella procedura» - Il direttore centrale per l’Ambiente Giovanetti si è avocato la pratica dopo il caso che ha coinvolto il manager di servizio Agapito - GOVERNATRICE IN SECONDA FILA - Sostiene si tratti di un percorso tecnico esterno alla politica - SINDACO IN FASE DI RIFLESSIONE - Il diniego gli è stato subito comunicato: il silenzio la prima reazione
Quest'Aia non s'ha da rifare. La Regione non ha potuto accogliere la richiesta, presentata dal Comune di Trieste, per il riesame dell'Autorizzazione integrata ambientale (Aia) rilasciata a Siderurgica triestina il 27 gennaio dello scorso anno. Lo ha reso noto ieri la Direzione regionale dell'Ambiente in un comunicato, precisando che la decisione «è stata assunta dopo una attenta e approfondita valutazione da parte degli uffici tecnici regionali degli elementi a supporto della richiesta». Il rifiuto è stato comunicato immantinente al sindaco Roberto Dipiazza, che solo per il momento sceglie il silenzio, covando la sua risposta. Spiegano gli uffici regionali: «Come viene spiegato nella comunicazione al Comune, in primo luogo abbiamo rilevato che l'istanza non conteneva alcun elemento di novità - si legge nel comunicato -. In base infatti al decreto legislativo che detta norme in materia ambientale, una richiesta di riesame avrebbe potuto essere presa in considerazione esclusivamente solo in presenza di una serie di ipotesi tassative, puntualmente elencate, che in questo caso non sussistono». Nella sua richiesta il Comune elencava tra le motivazioni una supposta mancanza in fase di stesura dell'Aia. Secondo il primo cittadino l'ente locale non sarebbe stato coinvolto a sufficienza, come stabilito da due norme del codice italiano. Risponde la Regione: «In realtà la convocazione della Conferenza di servizi evidenziava esplicitamente che il sindaco era chiamato ad esprimere il parere sanitario, previsto dal Regio Decreto (richiamato da Dipiazza ndr). Come emerge dai verbali della Conferenza di servizi, il Comune ha fattivamente partecipato alla redazione della relazione istruttoria ed all'individuazione delle prescrizioni autorizzative necessarie anche alla tutela della salute pubblica». Inoltre il sindaco ha richiesto che sia data applicazione ad una norma (l'art. 29-septies del D.Lgs 152/2004), che però, risponde la Direzione regionale, «può essere applicata solo nell'ambito della Conferenza di servizi». Secondo la Regione l'applicazione di quella norma non avrebbe comunque influito sulla severità delle disposizioni sulla Ferriera: «In ogni caso la norma invocata prevede la possibilità di prescrivere misure più rigorose di quelle ottenibili con le migliori tecniche disponibili - scrivono -: e ciò è puntualmente avvenuto, come, ad esempio, con l'imposizione di limiti per le deposizioni di polveri, non previsti dalla normativa sulla qualità dell' aria». Infine il sindaco ha affermato che non è stata applicata una decisione dell'Ue che disciplina la determinazione dei periodi di avvio e di arresto di impianti di combustione. La Regione ha risposto che il testo si riferisce a impianti «con potenza termica nominale totale pari o superiore a 50 MW e, pertanto, non è applicabile all' impianto siderurgico di Servola». Gli uffici tecnici regionali hanno dunque giudicato «infondati o non pertinenti» i motivi della richiesta. Il direttore centrale per l'Ambiente Roberto Giovannetti nei giorni scorsi aveva avocato a sé la trattazione della pratica relativa al riesame dell'Aia. La decisione è seguita alla notizia del potenziale conflitto di interessi nella trattazione della pratica del Direttore del Servizio tutela da inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico Luciano Agapito. Si tratta della questione denunciata dal Movimento 5 Stelle, secondo cui il figlio di Agapito avrebbe ricevuto incarichi dall' azienda. Scrive la Regione: «L' avocazione è avvenuta nelle more dell'acquisizione dei chiarimenti richiesti e della loro valutazione, in considerazione della rilevanza, anche sociale, della questione relativa allo stabilimento autorizzato, e per evidenti ragioni di opportunità e di tutela del pubblico interesse». Una vicenda, insomma, che ha destato qualche problema e su cui per l'ente pubblico è preferibile evitare ambiguità. Debora Serracchiani non commenta. Per lei il percorso tecnico della vicenda Ferriera all'interno della Regione deve restare esterno al suo ruolo di commissario, fanno sapere gli uffici regionali. Secondo la presidente regionale le due vicende stanno su «binari separati» che non devono convergere, così da precludere la possibilità che considerazioni di carattere politico si sovrappongano alle scelte dei tecnici.
Giovanni Tomasin
Adriatico e Ionio - Il dramma dei rifiuti sulla spiaggia.
Sulle spiagge di Adriatico e Ionio si trovano in media 658 oggetti ogni 100 metri. In 1 chilometro quadrato di mare lungo le coste galleggiano mediamente 332 oggetti. Sul fondo del mare la situazione non è migliore.
IL PICCOLO - VENERDI', 3 marzo 2017
La nuova piazza Libertà promossa con riserva - Pro e
contro - Giuste le aree pedonali ma l’inversione in viale Miramare spaventa
Parere positivo, soprattutto in fatto di sicurezza. È questa la prima
opinione favorevole al nuovo piano di riqualificazione di piazza Libertà appena
rispolverato dall’amministrazione comunale. A pronunciarla ad esempio Alessandro
Baldassare, titolare della farmacia “Alla giustizia”. «La mia impressione come
cittadino, utente automobilistico, perché vengo a lavorare in auto e parcheggio
al Silos, e come imprenditore, è positiva». I punti in particolare che suonano a
favore delle novità sono tre: i marciapiedi più ampi, il nuovo attraversamento
pedonale di fronte alla stazione e la riqualificazione generale che provvede a
un miglioramento di uno spazio che «è un biglietto da visita della città». «Ogni
volta che cammino sul marciapiedi davanti all’uscita della stazione, vedo quei
poveri studenti che attendono il bus, tutti assiepati, sono quasi sulla strada
per far passare le persone - spiega -. Ecco, sono molto contento del fatto che
si amplieranno i marciapiedi, soprattutto per un motivo di sicurezza». La stessa
sensazione che proverà quando vedrà le nuove zebre in piazza Libertà. «Lì ci
sono sempre situazioni da brivido, gli attraversamenti che spesso la gente fa in
fretta e furia rischiano di provocare qualche incidente. Il sottopassaggio non è
accessibile per chi ad esempio usa le stampelle». L’unico punto a sfavore del
futuro progetto, secondo il farmacista, riguarda l’eventualità dell’inversione
prevista all'altezza dei taxi in viale Miramare al posto di quella che oggi si
trova all'altezza di via Pauliana in direzione corso Cavour. «A meno che non si
metta un semaforo - commenta -, la trovo pericolosa, già i tassisti fanno numeri
da circo». La prossima sistemazione di piazza Libertà però non convince del
tutto altri commercianti attorno alla statua di Sissi. A partire da Federica
Iori del b&b "Hotel Trieste Novo Impero". «Come faremo a mandare i nostri
clienti in auto da qui al parcheggio Silos, con cui abbiamo una convenzione?» si
chiede. L'albergo, ubicato in via sant'Anastasio, in effetti non avrà grandi
soluzioni se non far fare il giro alle vetture passando per via Udine e
ridiscendendo poi in viale Miramare, per riuscire poi ad arrivare davanti alla
stazione e quindi entrare nel contenitore di posteggi. Preoccupata invece per
una fetta di clientela che potrebbe svanire, Martina Prada del "Caffè alla
stazione". Una parte che si porterà dietro lo spostamento delle fermate del bus
di via Flavio Gioia, che verranno trasferite tra il Silos e la sala Tripcovich.
«Certo, nella nuova posizione, non ci sono altri bar a farmi concorrenza, però -
ragiona - chi non ha tempo, è capace anche di rinunciare alla pausa caffè». Tra
di loro, potrebbero esserci gli autisti e gli utenti dei mezzi pubblici. A
contribuire al danno anche i cantieri che, da quanto affermato
dall'amministrazione, dovrebbero terminare alla fine del 2018. «Se però -
continua Prada - magari i nuovi marciapiedi contribuiscono a un passaggio più
frequente delle persone, riconquisto una parte di clientela con i pedoni». Solo
ipotesi comunque finchè non si vivrà in prima persona la novità a lavori
conclusi. «L'unica cosa che dovrebbe fare l'amministrazione è aiutare noi
commercianti - dice invece un signore che vende vestiti nella piazza -.
Chiuderanno otto negozi di cinesi la prossima settimana, qui sta morendo tutto,
la gente non compra in quest'area ma solo in centro». Più che riqualificare la
zona, Giordano Wild, del "Buffet Impero", che si trova accanto all'hotel,
auspica invece un aumento di parcheggi. «Spero sia previsto, perché in questa
via non si ferma più nessuno, abbiamo divieti di sosta e basta, mettono un sacco
di multe - spiega -. È un problema che già avevamo e ora si è acuito a causa dei
lavori che stanno facendo». C'è l'impossibilità dunque, per un guidatore, di
fermarsi un attimo per prendersi un panino. «Se uno vuole fare una merenda qui,
come fa? Come veniamo a lavorare con l'auto? Speriamo almeno lascino i parcheggi
qui di fronte, anche perché noi non abbiamo nemmeno un posto per scaricare la
spesa. La filosofia dell'andare tutti a piedi va bene, ma in questa area crea
difficoltà per noi».
di Benedetta Moro
Pensiline “inutili”, il gestore tende la mano - I
manager di Clear Channel in commissione Trasparenza: «Disposti a cambiare ma
serve l’ok del Comune»
Il groviglio intricatissimo si sta sciogliendo molto lentamente, con un
incontro a metà strada delle diverse posizioni. La complicata questione
riguardante le nuove pensiline dei bus, sparse per la città e definite “inutili”
da molti cittadini, è riapprodata ieri in commissione Trasparenza e ha sortito
qualche piccolo esito positivo alla presenza del presidente Roberto De Gioia
(Verdi Psi), dei consiglieri comunali Giuseppe Ghersinich (Lega), Salvatore
Porro (Fdi), Marco Toncelli (Pd), Cristina Bertoni (M5S), Piero Camber (Fi),
Massimo Codarin (Lista Dipiazza), del tecnico Denis Rustia, ex dipendente della
liquidata Amt (Azienda per la mobilità territoriale), ora collaboratore di
Esatto, e di due rappresentanti della società pubblicitaria Clear Channel, che
ha installato e manutiene le pensiline stesse, Tonino Pettenello, responsabile
sviluppo Italia, e Alberto Dinoi, development manager. Nella prima seduta,
indetta da De Gioia, il consigliere dei Verdi Psi aveva portato le lamentele dei
cittadini sui modelli poco efficienti di pensiline installate negli ultimi anni.
Davanti a questo problema la Commissione aveva invitato il liquidatore di Amt -
che diversi anni fa aveva dato in concessione a Clear Channel la gestione delle
pensiline - per capire come poter modificare le tettoie. Risultato: Amt non è in
grado di fare nulla, perché in liquidazione. Allora chi dovrà iniziare a gestire
il pesante fardello? L’ipotesi avanzata ieri è caduta sugli enti di cui
l’azienda era partecipata, ovvero il Comune di Trieste e i comuni minori della
cintura giuliana. Nel confronto infatti si è individuato nell’Uti giuliana il
possibile interlocutore. Questo è il punto fondamentale cui sono arrivate le
varie componenti, oltre al fatto di cercare di fare «una ricognizione sulle
pensiline più critiche», come hanno proposto Camber e De Gioia, e a quello di
«spostare alcune fermate dei bus su marciapiedi in cui si possono mettere
pensiline più comode», ha aggiunto il forzista. «Ci sono ancora 35 pensiline da
installare - ha spiegato Pettenello di Clear Channel - perché i vari comuni non
hanno ancora preso la decisione su dove bisogna posizionarle». Per quanto
riguarda i modelli Pettenello stesso ha detto che «il Codice della strada non
permette talvolta pensiline più ampie. In altre città non si riscontrano gli
stessi problemi. Siccome capisco che a Trieste il clima sia diverso - ha
aggiunto - siamo disposti a venire incontro, a spostarle ove possibile o a
modificarle, anche perché la nostra stessa società ne beneficia, ma ci vuole
l’autorizzazione del Comune». A questo proposito, Pettenello ha sottolineato
come delle pensiline presenti sul territorio solo 40 siano illuminate, «perché
manca il nullaosta dell’Acegas per realizzare gli altri allacciamenti, richiesto
diverse volte". Di questo problema e del fatto che in magazzino ci siano ancora
dei pezzi «ne avevamo già parlato con l’amministrazione precedente, che aveva
detto che avrebbe risolto tutto. Ma poi non abbiamo più sentito nessuno».
(b.m.)
CORSO DI BIRDWATCHING
Prendono il via oggi gli incontri di preparazione al Birdwatching promossi da Urbi et Horti. Alle 17 in via Valdirivo 15 lezione in aula tenuta da Matteo Giraldi. Per informazioni e iscrizioni: 3287908116.
GREENSTYLE.it - GIOVEDI', 2 marzo 2017
Efficienza e rinnovabili, Banca Mondiale: Italia tra le migliori 10
A fotografare nel dettaglio le politiche e le strategie
messe in campo a livello globale per quanto riguarda il settore energetico è la
Banca Mondiale, con uno studio che ha preso in esame un totale pari a 111 Paesi
di tutto il pianeta. L’indice RISE (Regulatory Indicators for Sustainable Energy)
impiegato per la valutazione posiziona l’Italia nella Top 10, ma il lavoro da
fare non manca.
Sono stati analizzati parametri relativi principalmente a tre macro-aree:
livello di efficienza, sfruttamento delle fonti rinnovabili e reti dedicate alla
distribuzione. Una prima panoramica è fornita dall’immagine allegata di seguito,
estratta dal documento: le zone colorate in verde sono quelle in cui emergono
performance migliori, mentre in quelle rosse la situazione non è affatto
ottimale.
Si pensi ad esempio agli stati del continente africano dove centinaia di milioni
di persone ancora oggi non hanno accesso alla fornitura elettrica, con ovvie
conseguenze in termini di qualità della vita e possibilità di sviluppo
economico.
Sono i Paesi emergenti a puntare con maggiore decisione sull’energia pulita, in
particolare fotovoltaico ed eolico, complice anche una repentina riduzione dei
costi per la realizzazione degli impianti: tra questi, secondo quanto rilevato
dalla Banca Mondiale, figurano Sudafrica, Vietnam, Turchia, Brasile, Cile,
Messico, Giordania e Marocco.
La “Top 10″ dell’indice RISE vede in testa la Danimarca, seguita da Stati Uniti,
Canada, Olanda, Germania, Regno Unito e Romania. L’Italia si piazza in ottava
posizione, seguita da Repubblica Ceca e Francia. Le indicazioni per il nostro
Paese sono chiare: bisogna investire in primis sulle politiche legate
all’efficienza, anche attraverso lo stanziamento di incentivi, indirizzati in
particolare al settore produttivo, alla PA e alle utility.
C’è da lavorare anche sul fronte dell’informazione alla cittadinanza, offrendo
gli strumenti e le conoscenze necessarie per gestire i consumi in modo
intelligente. Bisogna in altre parole puntare alla digitalizzazione dell’intero
sistema. Solo così le rinnovabili potranno dare il meglio.
Cristiano Ghidotti
IL PICCOLO - GIOVEDI', 2 marzo 2017
Sensi unici e inversioni - I rebus di piazza Libertà
Punti critici per la nuova viabilità in viale Miramare e allo sbocco di via Ghega Raffica di semafori in arrivo. Via i parcheggi vicini alla Tripcovich e al giardino
Dopo la presentazione del progetto in commissione l’assessore all’Urbanistica Luisa Polli spiega come il traffico sarà più fluido
Sarà tutto un senso unico. Questa è la filosofia di base del nuovo assetto della viabilità che rientra nel piano di riqualificazione di piazza Libertà, presentato nei giorni scorsi alla IV commissione consiliare dall'assessore ai Lavori pubblici, Elisa Lodi, e dalla dirigente comunale Marina Cassin. E che verrà illustrato la prossima settimana dall'assessore all'Urbanistica, Luisa Polli, ai consiglieri comunali. Un progetto fondato su principi che dovrebbero rendere «molto più fluido il traffico» e presentare più agevole lo spazio fruibile dai pedoni grazie anche all'allargamento dei marciapiedi. La macchia asfaltata intorno alla stazione dei treni sarà sicuramente più zebrata e probabilmente si inserirà un numero maggiore di semafori. Ma saranno risolti così tutti i problemi dell'ingresso in città e dell'uscita, in un'area ovviamente devastata dal traffico? Vediamo che cosa invece si potrebbe migliorare. Le novità che maggiormente colpiscono riguardano viale Miramare, come prosecuzione di via Cellini, e via Flavio Gioia. Nel primo caso, come già anticipato, chi sarà alla guida dei veicoli, non potrà svoltare a sinistra verso la stazione all'altezza dell'incrocio con via Pauliana, ma dovrà proseguire dritto in direzione Roiano. Secondo Polli infatti questa svolta a sinistra è uno snodo pericoloso che bisogna togliere «sia per le auto che per i bus: lì infatti si ha un brevissimo lasso di tempo per passare, poiché il semaforo segna verde da via Pauliana già dopo pochi secondi». Una situazione però senza vie d'uscita, quella nuova, per chi sbagliasse strada. Come potrebbe riprendere il guidatore una carreggiata verso il centro città? Secondo l'assessore Polli, «facendo inversione nell'area di fianco alla stazione dove sostano normalmente i taxi». Una mossa che forse potrebbe creare qualche impiccio o rallentamento, per non dire degli incidenti. E soprattutto cosa ne penseranno i tassisti che stanziano d'abitudine in piedi a chiacchierare con i colleghi, e con le portiere aperte? Nel secondo caso invece, quello di via Gioia, il guidatore potrà svoltare a sinistra, oltre che proseguire dritto, scegliendo due opzioni: inserirsi in largo Città di Santos, o girare a gomito per infilarsi su corso Cavour verso le Rive. Con questa nuova conformazione si potrebbe creare qualche rallentamento di manovra, in particolare seguendo la seconda scelta. Per dare vita alla nuova impostazione, si dovrà sicuramente implementare il numero di attuali semafori già presenti agli incroci, o dipingere qualche nuovo stop. Alla fine di via Ghega, in angolo con piazza Libertà dove affluirà anche il traffico di corso Cavour, basterà girare i semafori nell’altro senso. Un nuovo apparecchio regola-traffico dovrà essere sicuramente collocato davanti alla stazione, sul lato destro (se si danno le spalle all'edificio), dove finalmente verrà inserito un attraversamento pedonale, senza l'obbligo così di usufruire del sottopassaggio. Un ulteriore semaforo dovrà essere posto alla fine di via Gioia, magari sfruttando quelli che già ci sono all'inizio della strada a disposizione degli autobus. Nella strategia del Comune il fattore semaforo gioca un ruolo particolare: «Il primo verde accelera e sveltisce la corsa del guidatore». Quindi se un utente con l'auto parte dalla stazione con il verde, «potrà arrivare - spiega Polli -, senza fermarsi fino alla vecchia stazione di Campo Marzio». Le direzioni a senso unico, come ha affermato l'assessore Polli, diminuiscono l'inquinamento perché «con la famosa onda verde il traffico è più scorrevole, ci sono meno stop and go e così si migliora la qualità ambientale oltre lo stress di pedoni e guidatori». Scompariranno i posteggi ai lati della sala Tripcovich, cioè all'entrata del Porto vecchio, così come sui bordi laterali del giardino. Il progetto di riqualificazione però non prevede per il momento un aumento di stalli gratuiti, utili per esempio a carico e scarico del passeggero viaggiatore. Per eventuali parcheggi liberi, «essendo il Silos in concessione a Saba Italia, che paga una certa cifra al Comune per avere quell'area, ci siamo impegnati - ha affermato Polli - a non fare parcheggi liberi perché sarebbe una concorrenza sleale». «Si può ragionare però riguardo dieci posti a un euro all'ora per una breve fermata di questo tipo».
Benedetta Moro
Con il naso all’insù nel suggestivo mondo degli uccelli
Teoria e pratica Le lezioni di birdwatching sono gratuite e aperte a chiunque. Previste anche uscite sul territorio e la costruzione di casette
Appassionati di birdwatching, ma anche semplici cittadini, curiosi di imparare a riconoscere anche dal cinguettio le varie specie di uccelli che vivono nei nostri parchi e giardini urbani. È rivolto a tutti il secondo ciclo di incontri di preparazione al birdwatching che insegnerà pure a costruire delle casette nido, da collocare negli orti per aumentare la biodiversità locale, e delle mangiatoie invernali che aiutino le popolazioni svernanti facilitandone l’osservazione. Al via domani alle 17.30 al Lab 15 di via Valdirivo 15, è promosso da Urbi et Horti, associazioni Bioest, Il Ponte, Legambiente, Aias, Anglat Fvg, Lapis, Multicultura, Arci Servizio Civile Trieste e Fvg, Comitato pace convivenza solidarietà Danilo Dolci e Azienda Sanitaria. Il corso, gratuito e aperto a tutti previa iscrizione (info al 3287908116), prevede due incontri pratici e alcuni teorici con uscite sul territorio. Gli incontri tematici utili a conoscere e riconoscere l’avifauna saranno svolti da Matteo Giraldi, responsabile provinciale della Lipu. Non sono infatti solo pettirossi, cinciallegre e cardellini a popolare e “cinguettare” nei nostri orti e giardini. E potremmo facilmente aiutarli a superare l’inverno e a difendersi da specie che ne mettono a rischio la sopravvivenza stessa, come gazze, cornacchie e gabbiani. Il corso è utile a fornire anche queste preziose e utili nozioni. «Ripetiamo con grande piacere questo ciclo - spiega la referente di Urbi et Horti Tiziana Cimolino -, finalizzato a poter osservare con strumenti adeguati l’avifauna urbana del territorio, che nella prima edizione ha visto una grossa partecipazione (più di 50 persone) sia alle lezioni teoriche che a quella pratiche. Il corso ha suscitato grande interesse in tanti giovani nuovi osservatori, ma ha visto la partecipazione anche di molti anziani che hanno tolto i binocoli dai cassetti per osservare le numerose specie e ascoltarne il canto». «C’è grande interesse - conferma Giraldi - soprattutto per le specie più comuni che frequentano i parchi e giardini e di cui spesso non ci accorgiamo. Partiamo con due lezioni teoriche in programma domani e il 10 marzo. Si imparerà a riconoscere le differenze tra i vari tipi di canto e svelerò dei trucchetti per memorizzare quelli delle specie più comuni, che spesso, trattandosi di piccoli passeriformi, si sentono, ma non si vedono. Le uscite verranno effettuate più in là per attendere gli uccelli migratori secondo un calendario che concorderemo con i partecipanti e diffonderemo in seguito. Lo scorso anno abbiamo fatto una buona esperienza nel polmone verde del parco di San Giovanni: quest’anno sposteremo l’attenzione sul Carso». ©
Gianfranco Terzoli
Ex OPP - Corso apicoltura - ultimo incontro
Settimo e ultimo appuntamento, oggi alle 17, con il corso di avviamento
all’Apicoltura “Urbi et horti” al Padiglione I dell’ex Opp, vicino al Posto
delle fragole. I partecipanti impareranno le regole e le leggi a cui attenersi
in apicoltura, come costruire e posizionare un’arnia in equilibrio con
l'ambiente. Le lezioni pratiche in apiario si terranno al Parco di San Giovanni,
ogni sabato alle 10 su indicazione del maestro. Il corso è promosso da Urbi et
Horti, Bioest, Il Ponte, Legambiente Trieste, Aias, Anglat Fvg, Lapis,
Multicultura, Arci Servizio Civile Trieste e Fvg, Comitato pace convivenza
solidarietà Danilo Dolci e Azienda Sanitaria, Circolo Istria.
StaffettaOnLine.com - MERCOLEDI', 1 marzo 2017
Emissioni in atmosfera dalle navi: l'UE e l'IMO - I
combustibili marittimi a livello UE
Le norme ambientali sui combustibili per uso marittimo - previste dalla
Direttiva 2012/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 novembre
2012, con la quale sono state apportate modifiche alla Direttiva 1999/32/CE
relativa al tenore di zolfo dei combustibili marittimi come modificata dalla
Direttiva 2005/33/CE - hanno consentito di ridurre non soltanto le emissioni di
zolfo ma, soprattutto, di particolato, segnando un chiaro passo avanti nella
tutela della salute dei cittadini e dell’ambiente dell’Unione Europea (UE). La
Direttiva 2012/33/UE rappresenta infatti la risposta dell’UE alle norme
elaborate in seno all’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO).
La politica ambientale dell’Unione, definita nei programmi di azione in
materia ambientale e in particolare nel Sesto Programma di azione per l’ambiente
(adottato con decisione n. 1600/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio)
e successivamente nel Settimo Programma di azione per l’ambiente (adottato con
decisione n. 1386/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio), ha infatti
tra i suoi obiettivi il conseguimento di livelli di qualità dell’aria che non
comportino gravi effetti negativi o rischi per la salute umana e per l'ambiente.
In particolare, nel periodo compreso tra il 22 luglio 2002 e il 21 luglio 2012,
per l’attuazione del Sesto programma comunitario di azione per l’ambiente
intitolato “Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta” si è fatta strada
l’esigenza di uniformare la disciplina relativa al tenore di zolfo dei
combustibili marittimi. Tale armonizzazione, iniziata con la Direttiva
2005/33/CE e poi continuata con la Direttiva 2012/33/UE, si è completata con la
recente Direttiva di mera codificazione 2016/802/UE.
Pertanto, con la Direttiva 2012/33/UE la legislazione europea del settore dei
combustibili marittimi ha compiuto un importante passo avanti verso la normativa
internazionale, risultando soprattutto in conformità con l’allegato VI,
riveduto, della Convenzione Marpol, che introduce limiti più severi al contenuto
di zolfo per il combustibile per uso marittimo in aree SECA (SOx Emission
Control Area). In tale ambito, le disposizioni contenute nella direttiva
garantiscono anche - qualora siano introdotte ulteriori modifiche all’Allegato
VI della Convenzione Marpol - una modifica della stessa direttiva da parte della
Commissione Europea, proprio al fine di assicurare un completo allineamento tra
la Direttiva 1999/32/CE e le norme IMO relative alle aree SECA. Nel merito,
limitatamente alla disciplina del tenore di zolfo dei combustibili marittimi,
sono state apportate modifiche alla Direttiva 1999/32/CE promuovendo l’uso di
tecnologie e metodi alternativi rispetto a quelli tradizionali (ossia basati sui
combustibili), come ad es. l’utilizzo di sistemi di depurazione dei gas di
scarico a bordo (ad es. Scrubber), di combustibili alternativi come il gas
naturale liquefatto (GNL) e di sistemi elettrici lungo la costa (cold ironing).
In Italia
Al fine di rispettare il termine imposto per il recepimento della Direttiva
2012/33/UE nei singoli ordinamenti nazionali, fissato al 18 giugno 2014, il
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, ha avviato una
intensa attività istruttoria che ha visto il coinvolgimento delle principali
amministrazioni competenti e delle autorità e degli operatori del settore
marittimo, al fine di addivenire ad un testo di decreto condiviso e rispettoso
delle importanti novità introdotte dalla suddetta direttiva nei termini
previsti.
Con Decreto Legislativo 16 luglio 2014, n. 112, pubblicato in GU n. 185 del 12
agosto 2014, è stata quindi data piena attuazione alla Direttiva 2012/33/UE,
introducendo, nell’ordinamento nazionale, una serie di modifiche e di
integrazioni alla vigente disciplina relativa ai combustibili per uso marittimo,
contenuta - come è noto - nel titolo III, alla parte V del Decreto Legislativo
30 giugno 2006 n. 152 “Norme in materia ambientale” ed in particolare agli
articoli 292, 295 e 296 nonché all’allegato X, parte I, sezione 3.
UE ed IMO
Le principali novità introdotte in ambito comunitario dalla Direttiva 2012/33/UE
hanno interessato gli adempimenti a carico delle autorità nazionali e degli
operatori, i metodi di riduzione delle emissioni alternativi ai combustibili a
ridotto tenore di zolfo, l’esenzione di responsabilità per l’impossibilità di
approvvigionarsi di combustibile a norma, ma soprattutto i limiti del tenore di
zolfo dei combustibili.
È stato infatti introdotto in via generale, con riferimento ai combustibili
marittimi usati nelle acque territoriali, nelle zone economiche esclusive e
nelle zone di protezione ecologica, un limite massimo di tenore di zolfo pari al
3,50%, fatti salvi i limiti più severi previsti per specifiche fattispecie (come
la messa in commercio di gasoli ed oli diesel, l’uso nelle zone di controllo
delle emissioni di SOX, l’uso su navi passeggeri, l’uso durante l’ormeggio,
ecc.). Tale limite generale é destinato a ridursi, dal 1° gennaio 2020, allo
0,50%.
Per quanto attiene ai limiti riferiti a specifiche fattispecie è stato previsto,
per l’uso nelle cosiddette SECA, un tenore massimo di zolfo dell’1,00% e, dal 1°
gennaio 2015, dello 0,10%. Negli altri casi, gli attuali limiti sono stati
corretti prevedendo l’inserimento della cifra “0”come secondo decimale (per
esempio, il limite “1,5%” diventa “1,50%”).
La successiva decisione di esecuzione 2015/25/UE del 16 febbraio 2015 della
Commissione Europea a supporto dell’applicazione della Direttiva 2012/33/UE ha
stabilito le norme concernenti il campionamento e le relazioni da presentare
alla Commissione Europea a norma della 1999/32/CE, funzionali al conseguimento
dei benefici ambientali e per la salute umana, nonché alla promozione della
concorrenza leale e della accresciuta sostenibilità nel settore dei trasporti
marittimi.
Va a questo punto sottolineato come, all’atto del recepimento da parte
dell’Italia e degli Stati dell’Unione, sussistesse una discrepanza tra normativa
UE ed IMO.
La normativa europea infatti, con la Direttiva 2012/33/UE aveva previsto che,
per gli Stati Membri dell’UE, non si applicasse la cosiddetta “clausola di
revisione al 2018”, prevista invece dall’IMO e tesa a verificare al 2018
l’effettiva disponibilità di bunker a basso tenore di zolfo in grado di
soddisfare la domanda del mercato al 2020 e un’eventuale opzione di traslare
l’entrata in vigore di tale limite al 2025, scelta che avrebbe creato di certo
livelli diversi di tutela ambientale, basti pensare al caso di bacini marittimi
condivisi.
Pertanto, secondo le disposizioni della legislazione europea nelle acque
territoriali, nelle zone economiche esclusive e nelle zone di protezione
ecologica dei Paesi Comunitari, i combustibili marittimi usati avrebbero dovuto
rispettare in ogni caso il limite dello 0,50% al 2020, indipendentemente dalle
decisioni che avrebbe potuto adottare l’IMO a quella data.
Fortunatamente, è il caso di dire, l’IMO - completata ben prima del 2018 una
ricognizione sulla disponibilità di bunker a basso tenore di zolfo - ha
confermato una sufficiente disponibilità a livello mondiale di combustibile
conforme e ha stabilito durante il MEPC 70 (Marine Environment Protection
Committee) di fine ottobre 2016 e all’esito dei lavori del PPR4 (sub-committee
on pollution prevention and response), l’entrata in vigore del limite del
tenore di zolfo allo 0,50% dal 1° gennaio 2020.
A valle di ciò, non si può non concordare sull’indubbio valore della scelta
dell’IMO, che garantirà non solo una maggiore salvaguardia ambientale e della
salute umana a livello globale, ma tenderà sempre più ad uniformare la normativa
internazionale e quella comunitaria.
Sarà fondamentale e delicata l’attività prossimo-futura, per operare un
passaggio graduale al limite 0,50% m/m del tenore di zolfo. Si dovranno valutare
gli eventuali meccanismi di controllo e le azioni necessarie per garantire il
rispetto e un’attuazione coerente in tutti gli Stati, la predisposizione di un
sistema standardizzato per la segnalazione di non disponibilità di combustibile
a norma, lo sviluppo di eventuali linee guida che possano assistere gli Stati e
le parti interessate. Di grande interesse saranno anche i lavori di revisione
della norma ISO 8217:2012 che definisce le specifiche per i combustibili marini,
da parte dell’Organismo Internazionale di Normazione - ISO, di cui è attesa una
nuova versione che dovrebbe tener conto della nuova qualità di combustibile
richiesto.
L’Unione Europea non può che guardare con attenzione e interesse a come, in
ambito IMO, si affronteranno i complessi risvolti di tale scelta, mettendo in
campo le esperienze finora maturate dagli Stati dell’UE.
Pertanto il focus sarà incentrato sui lavori in seno al prossimo MEPC 71 di
luglio 2017, che vedranno anche gli Stati membri dell’UE coinvolti in un
dibattito che si spera sarà costruttivo e bilanciato visti gli equilibri
internazionali in gioco. Anche l’Europa, infatti, potrebbe vedere mutati i
propri interessi non solo ambientali ma anche economici, con possibili
ripercussioni sul mercato interno qualora il mondo della raffinazione mondiale
non fosse in grado malauguratamente di soddisfare il fabbisogno di combustibili
secondo i nuovi standard di qualità richiesti al 2020. Interessante in tale
ottica, sarà vedere anche come risponderà alla nuova regolamentazione a livello
mondiale il mercato delle tecnologie di abbattimento delle emissioni di SOx in
atmosfera, alternative al bunker a norma.
BIBLIOGRAFIA
- Direttiva 2012/33/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 novembre
2012 che modifica la direttiva 1999/32/CE del Consiglio relativa al tenore di
zolfo dei combustibili per uso marittimo;
- Direttiva 1999/32/ CE del Consiglio del 26 aprile 1999 relativa alla
riduzione del tenore di zolfo di alcuni combustibili liquidi e che modifica la
direttiva 93/12/CEE;
- Decreto legislativo 112/2014, di attuazione della direttiva 2012/33/UE che
modifica la direttiva 1999/32/CE relativa al tenore di zolfo dei combustibili
per uso marino;
- Direttiva 2005/33/CE che modifica la direttiva 1999/32/CE in relazione al
tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo;
- Decreto legislativo n.152/2006, recante Norme in materia ambientale;
-Convenzione MARPOL, Convenzione internazionale per la prevenzione
dell'inquinamento causato da navi;
- Decisione di esecuzione 2015/253 della Commissione, del 16 febbraio 2015,
che stabilisce le norme concernenti il campionamento e le relazioni da
presentare a norma della direttiva 1999/32/CE del Consiglio per quanto riguarda
il tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo;
-ISO 8217:2012 Petroleum products — Fuels (class F) — Specifications of marine
fuels
Lorianna Annunziata e Giulia Magnavita (CNR Istituto sull’inquinamento atmosferico-UOS Roma, c/o MATTM)
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 1 marzo 2017
Piazza Libertà esce dal cassetto - Rivoluzione della viabilità in vista
Illustrazione in commissione - Sarà mantenuto lo spazio
verde Spesa totale di 4,6 milioni e conclusione del cantiere entro il 2018
Dopo tredici anni di carte, di conferenze dei servizi, di attese la
riqualificazione di piazza Libertà dovrebbe finalmente sortire dal congelatore
delle incompiute. Il progetto esecutivo è pronto dal 2015. Sono già disponibili
quasi 4 milioni di euro frutto della somma di 2,3 milioni statali e 1,5 milioni
regionali, ai quali si aggiungeranno 800mila euro comunali affinchè
AcegasApsAmga realizzi i sottoservizi: in tutto 4,6 milioni. Le gare saranno
bandite dopo l’estate e i lavori saranno completati nell’arco di un anno,
terminabili quindi entro la fine del 2018. L’intervento si basa su tre elementi
portanti: la viabilità, i marciapiedi e l’area verde, il trasporto pubblico. Il
progetto è stato presentato ieri mattina alla IV commissione consiliare
dall’assessore ai Lavori pubblici Elisa Lodi e dalla dirigente comunale Marina
Cassin, che da anni segue il dossier. La novità più rilevante per la
cittadinanza riguarda il riassetto viario. Con tre innovazioni. Innanzitutto,
percorrendo piazza Libertà verso viale Miramare, non si potrà più girare a
sinistra davanti alla Stazione: in questo modo si elimina l’insidioso ingombro
“a tre” tra via Pauliana, piazza Libertà e l’inizio di viale Miramare. Direzione
obbligata: tirare dritto verso Roiano. Per raggiungere la Stazione si utilizzerà
allora via Ghega, che nella sua parte finale vedrà invertire l’attuale senso
unico: quindi l’automobilista potrà percorrere interamente la via da piazza
Dalmazia fino a piazza Libertà, che sarà sgravata dalle fermate dei bus. Fermate
dei bus, come vedremo nell’articolo a fianco, che saranno spostate nel lato
della piazza tra il Silos e la Tripcovich. La terza novità riguarda la
“bretella” tra largo città di Santos e corso Cavour che diventerà un senso unico
in direzione del centro. L’obiettivo del Comune è rendere più accessibile e
presentabile l’intera piazza. A tale scopo si amplieranno i marciapiedi sia
all’uscita della Stazione che attorno all’area verde dello spazio urbano, a sua
volta oggetto di ripristino e di mantenimento (a scanso di polemiche). Si
provvederà a ripavimentare le zone pedonali. La carreggiata, davanti alla
Stazione, avrà tre corsie e non imbottiglierà il traffico. Verrà risistemato il
trascurato sottopasso. Sarà realizzato un passaggio pedonale “protetto” tra
l’uscita della Stazione e il giardino della piazza. Accontentati anche i
ciclisti con una pista che correrà verso via Trento, dove già esiste la corsia
per le bici. Largo città di Santos, situato dietro la Tripcovich e all’ingresso
di Porto vecchio, sarà liberato dai parcheggi, per valorizzare le porte dell’ex
Punto franco vecchio. Confermati i taxi nel lato della Stazione che dà su viale
Miramare. Comprensibilmente partecipato il dibattito, introdotto dal presidente
Michele Babuder (Fi), che sulla riqualificazione aveva presentato una mozione
co-firmata con Alberto Polacco e Piero Camber. Sono intervenuti Paolo Menis e
Gianrossano Giannini (M5S), un rappresentante dipiazzista (Francesco Bettio),
due leghisti (Antonio Lippolis, Giuseppe Ghersinich), Maria Teresa Bassa Poropat
(Insieme per Trieste). Apprezzato in genere il fatto che un progetto di lungo
trascinamento abbia buone possibilità di essere realizzato. Le domande hanno
riguardato in particolare il destino della sala Tripcovich, la “bretella” verso
corso Cavour, la tipologia delle pensiline nel futuro “hub” degli autobus,
l’incrocio con via Pauliana, la tempistica delle gare, la collocazione della
stazione dei pullman, la pista delle bici, il “nodo Silos”. Argomento battuto
anche la prossimità della piazza agli accessi in Porto vecchio. Un lavoro
importante toccherà ad AcegasApsAmga, che dovrà provvedere ai cosiddetti
“sottoservizi” ovvero alle opere di infrastrutturazione energetica (gas ed
energia elettrica) per l’approvvigionamento di Porto vecchio. «Anche perché - ha
chiarito Marina Cassin - una volta ripavimentata e risistemata la piazza,
sarebbe francamente inopportuno doverla nuovamente spaccare».
Massimo Greco
"La sala Tripcovich non c'entra" - L’assessore Lodi e la dirigente Cassin: «Ininfluente il futuro dell’immobile»
La conclusione di Menis (M5S) Lo stabile sopravviverà
se davanti si ripavimenta
Ma la Sala Tripcovich resta in piedi per garantire alle manifestazioni
artistiche una sala ampia e dalla buona acustica o verrà rasa al suolo per
assicurare a Porto vecchio un accesso più maestoso? La curiosità dei consiglieri
comunali, impegnati ieri mattina nei lavori della IV commissione, è rimasta però
in gran parte elusa/delusa, in quanto l’assessore ai Lavori pubblici Elisa Lodi
e la dirigente Marina Cassin hanno dichiarato che il futuro assetto di piazza
Libertà prescinde dal destino dell’ex stazione delle autocorriere, eretta negli
anni ’30 su doppia firma Baldi&Nordio. Ovvero: che la struttura resti al suo
posto o che venga abbattuta, il compendio di lavori, programmato dal progetto
esecutivo presentato ieri mattina, non cambierà. Inoltre, ha aggiunto
l’assessore Lodi, poichè la sala Tripcovich appartiene al Teatro Verdi, riesce
difficile disporne. Marina Cassin ha chiarito che i lavori di ripavimentazione
della piazza riguarderanno anche il marciapiede davanti alla sala. A chiedere
lumi sulla connessione tra piazza Libertà e la dibattuta sala erano stati in
particolare Menis (M5S) e Lippolis (Ln), su versanti differenti. Se il primo
desumeva che la ripavimentazione davanti alla sala avrebbe implicato la
sopravvivenza dell’edificio, il secondo si preoccupava invece che la coazione
tra la Tripcovich e la futura stazione delle corriere non interferisse
negativamente con l’accesso al Porto vecchio. La replica della Lodi e della
Cassin rendeva il caso Tripcovich meno croccante. In un intervento su Facebook
il “dem” Giovanni Barbo, presente in commissione, si chiedeva se «le ventilata
demolizione era uno scherzo? O è uno scherzo il progetto per piazza della
Libertà? Oppure ci sarà uno spiazzo vuoto circondato da ripavimentazione nuova
di zecca?». La vicenda Tripcovich era riesplosa a fronte dell’intenzione
manifestata dal sindaco Dipiazza di abbattere un edificio, ritenuto dal primo
cittadino un ingombro in piazza Libertà e un ostacolo per Porto vecchio. Il
centrosinistra si è schierato a favore del mantenimento in servizio di una sala
che ospita manifestazioni culturali e artistiche importanti, in quanto può
contare su solidi asset (quasi un migliaio di posti in platea, ampiezza del
palco, acustica). Una mozione in Consiglio comunale, a cura dell’opposizione,
auspicava il reperimento di fondi per assicurarne l’attività. I lavori per
realizzare la sala erano iniziati nel 1992 con un finanziamento di Raffaello de
Banfield. Le operazioni - racconta il sito - furono curate da Dino Tamburini. Il
progetto artistico fu ideato da Andrea Viotti, la direzione lavori e i calcoli
strutturali rispettivamente di Franco Malgrande e Giorgio Sforzina.
magr
E i bus traslocano a fianco del Silos - Le fermate
saranno spostate e concentrate in un unico sito - Solo la linea “17” destinata a
restare al suo posto attuale
A più riprese il sindaco Dipiazza ha insistito sull’immagine di piazza
Libertà come “biglietto da visita” della città, per chi entra a Trieste da nord.
Ma il biglietto da visita presenta, oltre alle necessità di arredo urbano,
valenze operative strategiche dal punto di vista urbanistico. È il luogo di
scambio tra gomma e binario, tanto per cominciare. C’è la necessità di
contemperare la gomma pubblica e quella privata. C’è l’ingresso al Porto
vecchio, di recente trasferito al Comune. Ecco perché bus e corriere detengono
un’ovvia rilevanza nel riassetto di questo spazio. Le fermate dei mezzi di
Trieste Trasporti saranno tutte concentrate nel lato della piazza che si estende
tra la Sala Tripcovich e il Silos in quello che i tecnici definiscono, sulla
scorta dei modelli ferroviari e aeroportuali, un “hub”. Quindi, per esempio, il
viaggiatore, che esce dalla Stazione Centrale e cerca un bus, lo troverà
guardando alla sua destra. Solo una fermata resterà nel suo attuale sito e non
sarà trasferita: riguarda la linea 17. Attualmente le fermate sono disperse su
tre lati della piazza, il progetto di riqualificazione - presentato ieri mattina
in IV commissione del Consiglio comunale - intende dare razionalità al passaggio
e alla sosta del trasporto pubblico in uno dei punti cruciali della logistica
cittadina e provinciale, perché da piazza Libertà transitano/fermano i mezzi che
vanno verso Muggia, verso Cattinara, verso Roiano, verso Barcola, verso San
Giusto. Cittadini e turisti accomunati dalla possibilità di approdi meglio
organizzati per salire su un bus. In commissione qualcuno - maliziosamente - ha
domandato come saranno le pensiline, viste le recenti proteste di un’utenza
esposta alle gelide alitate della bora: ma alle pensiline - hanno replicato
dalla regìa municipale - ci penserà, con l’eventuale supporto di qualche
sponsor, la concessionaria del servizio. Se il futuro degli autobus in piazza
Libertà sembra sufficientemente chiaro, l’avvenire dei pullman andrà meglio
definito con il concessionario del Silos. I pullman non fruiranno più
dell’attuale transito dal Silos, poichè sarà realizzata un’apposita stazione a
fianco dello stesso Silos, nella parte che confina con il Porto vecchio. Ma, non
essendo questa costruzione a cura del Comune, il progetto municipale non la
prende in considerazione se non per indicare la futura collocazione del sito
pullman. Il lay-out non dovrebbe cambiare in modo significativo, in quanto la
corriera in uscita passerà per largo città di Santos, ripulita da parcheggi e da
jersey, per poi disimpegnare verso piazza Libertà o verso corso Cavour, a
seconda delle destinazioni. La questione della stazione pullman è legata a
quella che nel dibattito in commissione è stata definita “nodo Silos”, una
precaria identità spartita tra parcheggi, rifugio di migranti, shopping per
viandanti, mentre si attende il decollo del centro congressi. La preoccupazione
comunale è che, a fronte dell’impegno dell’amministrazione a rimettere in sesto
la piazza, una parte dell’area resti alla mercè del degrado.
magr
Ambiente - In piazzale Rosmini arriva la centralina
Arpa
Se piazza Libertà aspetta con curiosità di veder decollare la “rivoluzione”
viaria, piazzale Rosmini attente la bonifica del giardino, inserito nelle zone
verdi inquinate della città e, pertanto, dichiarate off limits. Sul fronte del
risanamento ambientale dell’area, l’Arpa fa sapere di aver quasi ultimato le
opere di allacciamento alla rete elettrica della stazione di monitoraggio per la
qualità dell’aria. Vengono così a completarsi gli interventi di ammodernamento
della rete di monitoraggio prevista dall’Agenzia e approvati da Regione e
ministero dell’Ambiente. Lo rende noto la stessa Arpa, che segnala anche
l'importanza della stazione di piazzale Rosmini in quanto misura i valori di
“fondo”, sia per quanto riguarda la qualità dell’aria urbana, sia ai fini
dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) concessa allo stabilimento
siderurgico della Ferriera. In piazzale Rosmini, oltre al rilevamento dei
parametri standard, quali le polveri sottili e gli ossidi di azoto, verranno
misurati anche gli idrocarburi policiclici aromatici e i metalli previsti dalla
normativa (arsenico, piombo, nichel e cadmio). Inoltre, la stazione è stata
dotata di un sistema di misura delle deposizioni di polveri. L’Agenzia per
l’ambiente annuncia anche alcune importanti novità per la stazione di San
Lorenzo in Selva, che l’Aia individua quale principale punto per la misura delle
performance dello stabilimento siderurgico di Servola. In proposito Arpa informa
che la stazione in questione è stata attivata nel 2007, in seguito ad una
specifica richiesta della magistratura, ricorrendo ad un mezzo mobile.
Muggia - Le nuove luci a led sul lungomare - I 32 corpi
luminosi assicureranno risparmio energetico e migliore efficienza
Trentadue nuovi impianti luminosi a Led. Li ha installati AcegasApsAmga sul
lungomare di Muggia, sia lungo la strada provinciale sia sulla nuova pista
ciclabile, nella zona che va dal molo a T a punta Olmi, parallelamente alla
strada provinciale 14. «Si tratta di impianti che, rispetto alle tradizionali
lampade a sodio e mercurio, non solo permettono una migliore illuminazione
dell’area rendedola più sicura, ma assicurano anche una migliore efficienza e
sostenibilità». I punti luce installati sul lungomare sono dotati di dispositivi
per la riduzione automatica del flusso nelle ore notturne, caratteristica non
installabile su modelli non a Led. Inoltre, i nuovi impianti, detti cut-off,
consentono di orientare la luce emessa direttamente verso la strada e la pista
ciclabile, evitando la dispersione luminosa nelle aree circostanti, rispondendo
a quanto richiesto dalle normative vigenti in materia che impongono di
minimizzare la dispersione diretta di luce. A conti fatti i vantaggi dei nuovi
corpi illuminanti permettono di consumare circa il 70% in meno rispetto ad un
tradizionale impianto luminoso a mercurio e sodio, a parità di intensità di luce
emessa; conseguentemente anche le emissioni di Co2 si riducono drasticamente.
Soddisfatta Laura Marzi: «Questo ulteriore intervento va a migliorare anche in
termini di sicurezza oltre che di qualità dell'illuminazione la prima parte
della costa già riqualificata - commenta il sindaco di Muggia -, un’opera
davvero completa, che vede concluso in toto il primo di quella serie di
interventi che andranno a rivedere completamente il litorale per un totale di un
chilometro e 300 metri da Porto San Rocco fino a Punta Olmi con una cifra in
ballo del valore di oltre sette milioni di euro». D’accordo il vicesindaco e
assessore ai Lavori Pubblici Francesco Bussani: «Nonostante le difficoltà
finanziarie con le quali il Comune deve continuamente destreggiarsi, sta
proseguendo l'iter per riuscire a riconsegnare ai muggesani la loro costa da
Muggia a Lazzaretto. Il tratto di cui possono godere, ora anche con impianti
luminosi dotati della nuova e più moderna tecnologia Led, è il primo assaggio di
un lavoro che stiamo portando avanti con impegno e tenacia». Il potenziamento
dell’illuminazione sulla costa dovrebbe fungere dunque anche da deterrente per
chi volesse compiere atti di vandalismo o furti.
(r.t.)
IL PICCOLO - MARTEDI', 28 febbraio 2017
Ok alla Tari ridotta a chi dona il cibo - Sì in
Commissione alla tassa rifiuti scontata anche per associazioni non riconosciute
La lotta allo spreco alimentare passa anche attraverso la riduzione delle
tasse. Dopo essere stata vagliata nelle sette circoscrizioni comunali, la
modifica al regolamento per la disciplina dell’Imposta unica comunale (Iuc) è
stata discussa dalla Seconda commissione consiliare. La seduta, alla presenza
dell’assessore al Bilancio Giorgio Rossi, è durata giusto il tempo per
presentare un emendamento di commissione che è stato accolto da tutti i
consiglieri presenti. «Il punto più importante della delibera all’ordine del
giorno - spiega il presidente della Seconda commissione Roberto Cason (Lista
Dipiazza) - riguarda sicuramente la riduzione della Tari, la tassa sui rifiuti,
in seguito alla cessione di eccedenze alimentari da parte delle utenze non
domestiche relative ad attività commerciali, industriali e professionali che
producono o distribuiscono beni alimentari». Stando alla delibera, il Comune di
Trieste stabilisce riduzioni che vanno calcolate sulla parte variabile della
tariffa dovuta per l'anno successivo a quello nel quale le donazioni sono state
effettuate, a patto che queste siano avvenute a titolo gratuito e in favore di
associazioni assistenziali o di volontariato che si occupano di distribuire
generi alimentari alle persone bisognose e agli animali. La riduzione
percentuale sarà variabile, a seconda della quantità di prodotti alimentari
donati nel corso di un anno, e si assesterà al 6% tra i 5 e i 10 quintali,
all’8% fra i 10 e i 20 quintali, e al 10% nel caso la donazione superi i 20
quintali annui. Le riduzioni saranno concesse a condizione che il contribuente
dimostri l’avvenuta cessione ad associazioni assistenziali o di volontariato. Il
presidente Cason ha chiesto alla commissione di estendere la possibilità di
cedere le eccedenze alimentari anche alle associazioni non riconosciute, senza
personalità giuridica, purchè queste siano regolarmente iscritte nei registri o
negli elenchi pubblici dal momento che sono molto poche le associazioni aventi
personalità giuridica presenti sul territorio ed è anche per questo motivo che
la proposta di Cason è stata accolta in maniera bipartisan dai consiglieri
presenti.
Luca Saviano
I nuovi contacalorie slittano a fine giugno -
Ritardatari “graziati” - Ok da Roma alla proroga. Stop alle multe da 500 a 2500
euro - Per l’Anaci a Trieste resta un 25% di stabili da regolarizzare
Per inserire i contacalorie sui radiatori degli appartamenti c’è tempo fino
al 30 giugno 2017. Chi finora non ha ottemperato - perchè l’assemblea
condominiale non ha deliberato o perchè l’intervento è stato deliberato ma non
ancora eseguito - non pagherà la multa, che varia tra i 500 e i 2500 euro. Tra
le innumerevoli incombenze affrontate alla fine del 2016 dal decreto legge
“Milleproroghe”, c’è anche - ripetizione inevitabile - la proroga relativa ai
contabilizzatori di calore nei condomini con la caldaia centralizzata. Il
decreto ha ottenuto il sì definitivo della Camera giovedì scorso, dove si è
lungamente dibattito su taxisti, ambulanti, concessioni balneari. Il primo
termine, per applicare le valvole, scadeva il 31 dicembre scorso, ma le forti
pressioni sull’esecutivo, esercitate soprattutto da Confedilizia, hanno indotto
il governo Gentiloni ad accordare un ulteriore “tregua” semestrale. «Proroga
salvifica»: lo stato d’animo degli operatori viene efficacemente riassunto da
Silvio Spagnul, presidente dell’Anaci triestina, l’associazione che organizza
gli amministratori degli stabili. «A Trieste resta ancora un buon quarto di
pratiche da sistemare - prosegue Spagnul - per cui il prolungamento a giugno
riesce obiettivamente utile». Problema irrisolto quello dei controlli: «Se ne
occupa la Regione, che delegherà il compito ma non sappiamo a chi». A Trieste
era spuntata la candidatura di Esatto. Trasparenza dei consumi e risparmio
energetico: la questione-valvole aveva mobilitato un’ampia platea di attori
interessati, dai proprietari immobiliari agli amministratori di stabili, fino
alle aziende specializzate nell’installazione dei congegni necessari alla
misurazione termica. Secondo una valutazione del presidente di Confartigianato
Dario Bruni, imprenditore del settore, a Trieste sono interessate al
provvedimento, correlato a una direttiva Ue del 2012 (con tanto di procedura di
infrazione dedicata all’Italia), circa 2700 caldaie superiori ai 35 kwAtt: ma,
poichè una caldaia può servire più condominii, il numero di stabili
effettivamente coinvolti, soprattutto quelli edificati nei decenni del boom
edilizio, va moltiplicato perlomeno per 2-3. Il giro d’affari, mosso dal dlgs
141/2016, è cospicuo, qualora si pensi che la spesa, sostenuta in media per ogni
appartamento, viene stimata in una “forchetta” tra i 600 e i 1000 euro (a
seconda di quanti siano i radiatori). «La proroga è assolutamente necessaria -
commenta a sua volta l’avvocato Maurizio De Angelis, presidente della
Confedilizia triestina - se non altro per la carenza di materia prima, ovvero
delle valvole, dal momento che tutti i condominii si sono mossi per comprarle ed
era sorto un problema di approvvigionamento». «Si pensi poi a un contratto
stipulato tra novembre e dicembre, quando la stagione termica aveva già avuto
inizio, quindi si registrava la frequente impossibilità di eseguire i lavori di
installazione». De Angelis ha organizzato quattro incontri nello scorso autunno
per informare gli 800 iscritti alla Confedilizia triestina su una novità
legislativa, che, qualora non rispettata e rilevata, avrebbe fatto scattare le
multe. «Stanno crescendo invece le perizie tecniche - aggiunge l’esponente di
Confedilizia - per verificare se l’intervento sia economicamente opportuno o
meno. Cioè, se a fronte della spesa da sostenere, il risparmio energetico
conseguito sia significativo o no. Per esempio, mi è stato sottoposto un caso in
cui l’ammortamento si sarebbe spalmato su un arco temporale di 17 anni: dove
sarebbe la convenienza dell’intervento “risparmiatore” ?».
Massimo Greco
Commissione Ue - Il Nord Stream 2 non è strategico
Il Nord Stream 2 non serve e non risponde alla strategia di diversificazione
delle fonti e delle rotte. Il transito di gas russo verso l'Ue resta garantito
ma qualunque infrastruttura deve rispettare le regole europee. Lo ha ribadito il
commissario all'energia Miguel Canete dopo la lettera in tal senso inviata alla
presidenza maltese di turno da parte del presidente della commissione industria
dell'Europarlamento, il polacco Jerzy Buzek.
IL PICCOLO - LUNEDI', 27 febbraio 2017
Emissioni, l’Ue decide sul taglio - Incontro a
Bruxelles sul mercato delle quote di Co2. In Italia allarme smog
BRUXELLES - Sarà un consiglio ambiente cruciale quello di domani a
Bruxelles, con i ministri dell’ambiente dell’Ue chiamati a trovare un accordo
sul mercato delle quote di Co2, il cosiddetto “Ets”, del prossimo decennio. Si
dovrà esprimere una posizione comune sulla riforma del sistema nato per
incentivare la riduzione delle emissioni in settori ad alto consumo di energia
(come termoelettrico, cemento, acciaio, carta, ceramica) e oggi in piena crisi.
Tutti preferirebbero mettere nero su bianco un compromesso prima delle elezioni
in Olanda, a metà marzo, e Francia, tra aprile e maggio, ma non sarà facile.
Primo punto controverso è la percentuale delle quote da mettere all’asta,
fissata al 57%, che paesi come Italia, Germania, Belgio e Austria vorrebbero
ridurre. Il compromesso della presidenza maltese prevede questa eventualità a
determinate condizioni, ma è battaglia sull’entità della diminuzione. Altro
elemento di divergenza è il raddoppio temporaneo delle quote da relegare in una
riserva, per assorbire il surplus di quote che sta strozzando il mercato. Per
paesi come Svezia, Danimarca e Francia non basta, le quote andrebbero annullate.
Per altri il problema è quanto tempo le quote saranno in riserva, altri ancora
(Irlanda, Romania, repubbliche baltiche) sono per lo status quo. Sui criteri di
assegnazione dei fondi per progetti innovativi e di modernizzazione nel settore
dell’energia, i paesi destinatari (quasi tutti i nuovi Stati membri) vorrebbero
mano libera, gli altri chiedono criteri più stringenti sulla tracciabilità dei
finanziamenti. Il documento della presidenza contiene anche una piccola apertura
alla richiesta italiana di modificare l’assetto attuale delle compensazioni dei
costi indiretti del carbonio, che si trasferiscono sui prezzi al consumo
dell’energia. In linea con la posizione del Parlamento europeo, l’Italia chiede
meccanismi armonizzati a livello Ue per evitare distorsioni di concorrenza che
oggi avvantaggiano gli Stati con meno vincoli di bilancio, come la Germania. E
intanto è allarme smog nelle città e siccità nelle campagne del nord Italia dove
è caduto l’85% di pioggia in meno rispetto alla media con punte del - 96% a
Milano che hanno fatto scattare misure straordinarie che prevedono anche un
parziale blocco del traffico per i veicoli più inquinanti. È quanto emerge da
un’analisi della Coldiretti relativi alla seconda decade di febbraio dai quali
emerge peraltro una situazione anomala in tutto il nord dal Piemonte (-83%) al
Veneto (-92%), dall’Emilia Romagna (-85%) al Friuli Venezia Giulia (-95%).
IL PICCOLO - DOMENICA,26 febbraio 2017
IL PRESIDENTE DEI COSTRUTTORI RICCESI «Sì a un Parco
del mare “light” dedicato a scienza e scolaresche»
Un Parco del mare “light”, quasi una “clinica del mare” con forte
caratterizzazione scientifica e dedicato in particolare al turismo scolastico. È
così che lo immagina Donato Riccesi presidente di Ance (Associazione nazionale
costruttori edili) Trieste. «Proviamo a immaginarlo - azzarda Riccesi - non come
un semplice grande acquario, con pesci più o meno grandi (dalla “menola” al
pescecane) che navigano dietro spesse vetrate. Ne abbiamo già molti così in
Europa, grandi e costosi (Lisbona, Barcellona, Saragozza (acquario fluviale),
Genova, Marsiglia, ecc.). Dal momento che non siamo yankee in sovrappeso con il
secchio dei popcorn che assistono estasiati ai circhi ittici con i delfini che
saltano il cerchio, immaginiamo una parte scientifico/didattica innovativa:
oltre ai pesci in cattività, una specie di “clinica del mare” che possa avere
una interazione con il Parco marino di Miramare, con le istituzioni scientifiche
legate alla Biologia marina, e con annesso il Museo del mare che potrebbe
rappresentarne un logico compendio». La Trieste della ricerca e quella che punta
sul turismo si salderebbero così in modo ottimale. «Su questi aspetti bisogna
riflettere - sottolinea il presidente dei costruttori - perché sono passati i
giorni dei grandi investimenti a perdere, e poi delle gestioni, sempre a
perdere, ripianate da qualche soggetto che ora ha il portafogli vuoto, o
pretendendo che una struttura di questo tipo possa vivere di soli
sbigliettamenti. Quale museo in Italia vive in modo autosufficiente, quale
istituzione culturale, quale teatro della lirica o della prosa?. Il budget
previsto di 50 milioni appare credibile, ma non dovrebbe essere sforato come
invece avviene o è avvenuto anche per gli impianti citati». Ma dove dovrebbe
sorgere questo atipico Parco del mare? «La collocazione più idonea è il Porto
vecchio - risponde Riccesi - anche se non è detto che l’ubicazione migliore sia
anche la situazione più facilmente percorribile. Una struttura di questo tipo
potrebbe rappresentare il fulcro di un'area da riconvertire totalmente, per
portare la gente dove oggi non va se non molto sporadicamente o di passaggio».
Questa location sarebbe contigua al nuovo grande Museo del mare e a un passo
dalla Riserva marina. Ci sono però anche i “contro” di Porto vecchio:
«l’infrastrutturazione ancora tutta da fare e l’accessibilità non ideale». E
allora secondo Riccesi anche il Molo Fratelli Bandiera può costituire
un’alternativa. «Il massimo sarebbe poter demolire le costruzioni con le caserme
e gli alloggi della Guardia di finanza, trasferendo magari queste in Porto
vecchio (con annessa evidentemente la stazione nautica, ndr.) per creare lo
spazio opportuno, mentre poi per i parcheggi potrebbe essere utilizzata l’area
oggi occupata dal Mercato ortofrutticolo». «È possibile in tale contesto,
facendo un'adeguata pulizia attorno, inserire un nuovo manufatto che sia una
bella architettura contemporanea mantenendo sgombra, anzi valorizzando la vista
della Lanterna? - si chiede il presidente Ance e si risponde che «come sempre
dipende dal progetto». È però tempo di agire. «Chi deve decidere si prenda
l'onere di farlo - cocnlude Riccesi - purché si faccia, a costo di indire una
consultazione tra i cittadini».
Silvio Maranzana
Porto vecchio, nuove tariffe per gli “ospiti” - Il
Comune avvia la revisione dei canoni di concessione alle realtà presenti
nell’area dell’antico scalo, dall’Irci alla Tripmare
Affrontare la questione-concessionari: è una delle numerose incombenze che
toccano al Comune nel subentrare all’Autorità portuale nelle competenze di Porto
Vecchio. I concessionari non sono molti, una quindicina circa, di peso assai
variabile: si va dall’armamento, come nel caso di Tripmare, alla gestione dei
parcheggi, come nel caso di TpT. Si va da un utility come AcegasApsAmga fino
all’utenza “sociale”: per esempio il magazzino 18, che è gestito dall’Irci e che
contiene le masserizie degli esuli istriani, o i depositi di associazioni
benefiche o le sedi di sindacati e di cooperative. Capitolo a parte le grandi
“grane” come il dossier Greensisam. Al netto della vicenda Greensisam e del
calcolo in corso sulla partita TpT, l’incasso preventivabile dai canoni si
aggira sui 100 mila euro, con una punta massima di 30 mila euro ma con molti
canoni da poche migliaia di euro. Il fascicolo è nelle mani dell’assessore
Lorenzo Giorgi, che l’altro giorno si è visto con il responsabile dell’Area
contratti Walter Cossutta per fare il punto della situazione. L’amministrazione
comunale preparerà un tariffario apposito per Porto Vecchio e conta di
approntarlo prima dell’estate: «Apposito - spiega Giorgi - perchè non possiamo
applicare in automatico i parametri comunali. Sarebbero troppo alti e metteremmo
in difficoltà i concessionari che pagano i canoni fissati dall’Autorità
portuale. Il Porto Vecchio è una realtà a sè stante, con differenze giuridiche
che vanno regolamentate a parte». Giorgi ha incontrato i titolari di concessioni
in Porto Vecchio e li ha rassicurati: «Il Comune non butta fuori alcuno, abbiamo
garantito la continuazione del rapporto. C’è un’attenzione di carattere sociale
alla quale non verremo meno». Quindi l’orientamento è quello di non
differenziare troppo i canoni da quelli attualmente corrisposti. Anche perchè il
Municipio sta gradualmente prendendo coscienza del patrimonio trasferito
dall’Autorità: dall’inizio dell’anno operano tre professionisti esterni con
l’incarico di “fotografare” le condizioni di stabili, magazzini, ecc. che adesso
sono nelle disponibilità comunali. Si tratta del cosiddetto “stato di
consistenza”, che implica la valutazione di ogni manufatto passato da
un’amministrazione all’altra. Il Comune ha appostato 76.318 euro per le parcelle
dei tecnici. L’area di Porto Vecchio è stata suddivisa in tre lotti e l’appalto
prevede la verifica di agibilità sintetica/vulnerabilità degli immobili: insomma
il Comune cerca di comprendere l’effettiva situazione di quanto ora deve gestire
(con relative responsabilità). Intanto, lo stesso Cossutta ha provveduto con una
recente determina, a modificare il contratto stipulato nell’aprile 2016 tra il
Comune e l’advisor Ernst&Young, incaricato del piano strategico per la
valorizzazione del Porto Vecchio. Viene prevista un’integrazione alla fase II e
in particolare alle linee guida per la redazione del documento strategico -
riporta l’atto - e si decide una proroga di 90 giorni per consentire sia lo
svolgimento di queste modifiche che lo svolgimento della fase III “supporto e
assistenza nell’illustrazione, condivisione, comunicazione e approvazione del
Piano”. La quantificazione di questo lavoro supplementare ammonta a 15 mila
euro, Iva compresa.
Massimo Greco
SINISTRA PER TRIESTE «Serve un patto politica-industria
per il futuro della Ferriera»
Il problema della chiusura dell’area a caldo della Ferriera «va risolto
sedendosi a un tavolo, confrontandosi fra soggetti coinvolti, non certo
ricorrendo al Codice penale». Questo il concetto espresso con forza ieri da
Waldy Catalano di Sinistra per Trieste nel corso di una conferenza stampa sul
tema.
«A nostro avviso - ha spiegato - è possibile trovare un accordo consensuale per programmare la chiusura dell’area a caldo. Fin dalla prima manifestazione di interesse del gruppo Arvedi questa ipotesi esisteva. L’asset strategico che ha portato Arvedi a Trieste è lo sbocco a mare, con la prospettiva di creare un pontile intermodale. A quel punto, la cokeria potrebbe diventare area di retroporto per aumentare la capacità di deposito». «Essendo queste le premesse - ha proseguito Catalano - non si capisce perché, al cospetto di un Comune che considera non più sostenibile la situazione, non si riesca a trovare un punto d’incontro con l’impresa, per aprire un’istruttoria per programmare la chiusura dell’area a caldo. Su Servola serve un compromesso politico-industriale che può portare risposte a cittadini e lavoratori, conservando i livelli occupazionali. Perché sulla Ferriera non si può arrivare a un dialogo come per esempio si fa su Porto vecchio, sapendo che il problema è tutto politico e richiede una risposta politica»? Marino Sossi ha ribadito a sua volta che «risulta incomprensibile come mai, dopo tanti anni, non si arrivi a un tavolo di confronto per affrontare le problematiche dell’area a caldo. Arvedi ha fatto dichiarazioni in questi due anni e mezzo che non trovano riscontro. Cerchiamo di dare un contributo per risolvere la situazione. Altrove un punto d’accordo si è sempre trovato».
Ugo Salvini
IL PICCOLO - SABATO, 25 febbraio 2017
Microchip su cassonetti e cestini - La raccolta rifiuti
diventa hi-tech - Le targhette su 15mila contenitori consentono di segnalare
eventuali anomalie nelle attività di pulizia e svuotamento
Da qualche mese in città ogni cassonetto ha un nome e cognome, o meglio una
sigla che lo identifica con precisione. Quello entrato a regime, insomma, è una
specie di “Grande Fratello” delle immondizie, che monitora tutto costantemente,
con dati che vengono inviati in tempo reale alla centrale operativa. Una novità
resa possibile dopo aver “taggato”, vale a dire dotato di microchip, 10mila
contenitori della raccolta differenziata, 4mila contenitori dell'indifferenziato
e mille cestini stradali. Hergoambiente, di AcegasApsAmga, è entrato in vigore
ufficialmente il 16 gennaio scorso e ha praticamente messo ogni servizio in
rete, consentendo così di monitorare ancora più da vicino la complessa macchina
operativa dell’azienda. «La raccolta rifiuti a Trieste diventa un sistema
intelligente - sottolineano dall’ex municipalizzata -. Tutti i 15mila
contenitori cittadini adibiti alla raccolta rifiuti sono identificati da un
codice univoco posizionato su una targhetta leggibile in radiofrequenza dagli
operatori ambientali attraverso lettori portatili o smartphone. A questi si
aggiungono 50 automezzi, spazzatrici e camion rifiuti, su cui sono stati
installati i computer di bordo e asset di altro tipo, come, ad esempio, i
cassoni dei centri di raccolta». L'operatore alla guida deve soltanto inserire
alcuni dati a inizio turno, poi il computer fa il resto, anche grazie ad alcune
antenne posizionate sul tetto del mezzo. Per i furgoncini più piccoli, invece, è
l’autista ad essere munito di uno strumento che rileverà con un semplice “clic”
il tag del contenitore. «In questo modo - proseguono dall'azienda - si ha
l’immediata conoscenza di eventuali contenitori non correttamente svuotati.
Oppure si può valutare se il dimensionamento di contenitori in una determinata
zona è sufficiente o meno. Anche in caso di contenitori che presentano
problematiche, ad esempio sono stati danneggiati o non sono perfettamente
localizzati, è molto più agevole veicolare l’informazione dell’anomalia e
intervenire in modo mirato e tempestivo. Inoltre siamo in grado di tracciare in
modo puntuale l'attività di spazzamento delle strade». Tecnologia applicata alla
quotidianità, dunque, che semplifica un complesso sistema composto da 5mila i
cassonetti svuotati al giorno, 16 tipologie di “tour” nelle strade cittadine dei
mezzi, una sessantina di camion che escono ogni giorno nei 25mila turni spalmati
sui 12 mesi, due milioni di interventi complessivi che si registrano ogni anno.
Comprese le “operazioni straordinarie” richieste in condizioni particolari. È il
caso delle giornate di bora forte, che lo scorso gennaio ha messo in ginocchio
la città, in cui sono stati registrati picchi di 230 interventi di AcegasApsAmga
sul fronte cassonetti. Tanti cittadini si sono già accorti del “tag”, dopo aver
notato la piccola targhetta sistemata sui bidoni di tutti i tipi, dalla carta al
vetro, dalla plastica all’umido, dall'indifferenziato al verde, passando per
tutti i cestini più piccoli collocati un po’ ovunque. «Vogliamo far sapere ai
triestini - proseguono da Acegas - che quel piccolo supporto serve a comunicarci
se ogni singolo cassonetto è stato svuotato e quando. Oppure se, e quando
appunto, una macchina pulitrice ha operato in un determinato luogo. Questa
enorme mole di dati interconnessi fra loro e opportunamente georeferenziati su
mappe elettroniche, consente di avere a disposizione un capitale informativo
enorme, immediatamente utile sia per recuperare efficienza, sia per migliorare
continuamente il servizio erogato ai cittadini, grazie alla drastica riduzione
degli errori di imputazione, di trasmissione dei dati e di inefficienze nella
programmazione degli interventi. Inoltre è uno strumento prezioso a disposizione
del Comune e di altri enti di pianificazione e controllo per verificare qualità
e coerenza del servizio erogato». Oltre alla novità del tag sistemato sui
cassonetti, l'AcegasApsAmga ha anche ottimizzato il sistema di percorsi che
vengono effettuati ogni giorno dai mezzi. Grazie a una collaborazione con
l'Università è stato avviato un nuovo modo di raggiungere le varie zone della
città, grazie allo SpinOff AutoLogS s.r.l. Con il supporto di OpenStreet Map,
uno strumento molto preciso di mappe virtuali, è stato effettuato un censimento
completo di tutte le strade toccate dai mezzi, con tanto di indicazione sulla
larghezza della via, eventuali problematiche relative alle svolte del camion,
oltre a indicazioni utili in base alla particolare morfologia del territorio,
tra strade ripide o molto strette. Si è partiti provando a migliorare lo
svuotamento di tutti i 2.424 cassonetti per la raccolta dell' umido posizionati
nelle 1.474 isole ecologiche, quindi la novità è stata giudicata molto positiva
dai tecnici e dagli operatori del settore ed è stata estesa anche alle altre
linee che svuotano gli altri materiali.
Micol Brusaferro
LA STORIA - La missione di Carmine tra inciviltà e
rischi -
LA RACCOLTA DEI RIFIUTI A TRIESTE
«Ho cominciato con scopa e carrettino, pulendo le strade di San Giacomo; poi
anno dopo anno le competenze sono aumentate. Nel corso del tempo in strada ho
visto un po’ di tutto, ma alla fin fine questo resta un lavoro che mi piace».
Carmine Russo è dipendente AcegasApsAmga da 17 anni. Ogni giorno sale a bordo
del suo mezzo e, seguendo i percorsi indicati, svuota i cassonetti. «È cambiato
tanto rispetto a quando ho iniziato - racconta - è diventato tutto più moderno,
automatizzato e per noi più semplice». Sia nei primi anni, quando spazzava le
vie a piedi, sia successivamente a bordo del camion, Carmine ha assistito a vari
episodi di inciviltà e anche situazioni pericolose. «Tra gli interventi più a
rischio ricordo il ritrovamento di una serie di bombole di gas, che ha richiesto
l'intervento dei pompieri per evitare esplosioni. Abbiamo chiesto l'aiuto dei
vigili del fuoco anche il primo giorno del 2017, quando in un cassonetto sono
stati gettati fuochi d'artificio che hanno provocato un rogo. Ma ci sono anche
colleghi che hanno rischiato di farsi male tre anni fa, perché qualcuno aveva
scaricato in un cassonetto una serie di pali per impalcature». Situazioni di
maleducazione a parte, Carmine spiega di amare il suo lavoro e di farlo sempre
volentieri e con il sorriso. «Mi trovo bene - assicura - e non mi annoio visto
che cambio spesso percorso. Il mio preferito? Sicuramente quello che mi conduce
sulle strade dell’altopiano. Mi piace perché mi consente di allontanarmi dal
centro ed è bello guidare in mezzo al verde e alla natura».
(mi.b.)
Stufe, mobili e water gettati a bordo strada - Campagne
informative e multe non frenano i maleducati - Nel 2016 abbandonati quasi 30mila
articoli ingombranti
Letti, armadi, frigoriferi, materassi, stufe, tv e addirittura un water con
spiacevole contenuto all’interno. Sono quasi 30mila i rifiuti ingombranti
abbandonati nel 2016 a Trieste. Un’autentica piaga che ancora non trova
soluzione. Tanti triestini continuano a disattendere le indicazioni da seguire
per conferire tanto i piccoli quanti i grandi elettrodomestici oltre a i mobili.
Risultato? In alcuni punti della città il problema ciclicamente si ripete.
Secondo i dati di AcegasApsAmga, nel 2016 ci sono state 8.613 richieste per il
ritiro dell’ingombrante a domicilio, ancora troppo poche, visto il dato
complessivo che negli ultimi tempi mostra ancora una media di almeno 2.500
abbandoni su strada al mese. In molti continuano a scaricare di tutto fuori dai
normali cassonetti, e spesso pure all'interno, causando intasamenti. Tra le zone
più problematiche in tal senso, come evidenziato anche dalle segnalazioni degli
utenti sul web, via Molino a Vento, via della Tesa, via Gambini e piazzale
Moissi. In alcuni casi sono state effettuate sanzioni da parte della Polizia
locale, ma nella maggior parte delle situazioni, spiegano dall'AcegasApsAmga, è
difficile trovare i colpevoli che si liberano di mobilio e altri voluminosi
spesso nelle ore notturne e in particolare nei punti meno trafficati. Per
contrastare il fenomeno è stata avviata una campagna informativa ad hoc, con
cartelli posizionati tuttora sui mezzi dell'azienda, con lo slogan “Non
abbandonarli in mezzo a una strada, chiama 800955988 per un ritiro gratuito o
portali nel centro di raccolta più vicino”. Messaggio che, a quanto pare, non ha
sortito per ora l’effetto sperato. Molti cittadini però hanno effettuato
segnalazioni attraverso il Rifiutologo, lo strumento online sul sito
dell'azienda www.gruppohera.it, e nel 2016 sono arrivati 743 avvisi, alcuni con
foto. Nel 57% dei casi riguardano proprio rifiuti ingombranti, nel 19% si tratta
di servizi di spazzamento e il 24% problematiche dei cassonetti stradali. Sono
gli stessi operatori di Acegas nelle ultime settimane, a fotografare gli oggetti
e a segnalarli al sistema informatizzato. Tra gli ultimi ritrovamenti in ordine
di tempo una macchinetta per il caffè gettata a terra e una serie di
elettrodomestici da cucina, come forni elettrici e tostapane. Mesi fa c'è chi si
è separato senza troppi problemi dal contenuto di interi appartamenti: divani,
camere da letto e soggiorni, con l'aggiunta di stoviglie, valigie e
abbigliamento. A gennaio poi sono spuntati in vari rioni alberi di Natale: c’è
chi li ha incastrati nei contenitori dell'umido, occupando tutto lo spazio a
disposizione, chi li ha messi nei raccoglitori dell’indifferenziata e chi,
evidentemente indeciso, li ha semplicemente lasciati sul marciapiede. Pochi,
invece, li hanno correttamente inseriti (magari dopo averli fatti a pezzi) nei
contenitori del verde. Tante poi le segnalazioni di scarti edili, pure questi
depositati di nascosto nelle ore notturne, come una serie di secchi lasciati
qualche mese fa in via Locchi o cumuli di piastrelle rotte “dimenticate” in via
della Tesa. Tra i rifiuti più singolari, come si diceva, figura pure un water
scaricato in via San Marco con tanto di escrementi all'interno. Forse chi se ne
è disfatto ha pensato di utilizzarlo un'ultima volta prima di dirgli addio...
(mi.b.)
Il pentito e il cronista raccontano l’Italia sommersa
dai rifiuti - Il giornalista Paolo Coltro e l’ex camorrista Nunzio Perrella
firmano “Oltre Gomorra”, dossier sullo scempio ambientale
Nunzio Perrella, camorrista pentito, è un nome che ai più non dice niente.
Quando venne arrestato, nel ’92, decise di diventare collaboratore di giustizia.
E cominciò a parlare. Non del traffico d’armi e droga, i reati che gli venivano
imputati, ma del gigantesco sistema del traffico di rifiuti in Italia.
Interrogatori fiume che scoperchiarono un calderone infernale: luoghi, nomi,
aziende, politici, imprenditori, camorra. Connivenze coscienti, compiacenze
politiche, interessi a tutti i livelli, truffe, falsificazioni. È in quel
momento che Perrella avrebbe dovuto diventare noto a tutti, perchè per primo
parlava della “munnezza” connection. Non è stato così. Ventidue anni dopo,
pagato il suo conto con la giustizia e uscito dal programma di protezione,
Nunzio Perrella è un uomo libero e molto arrabbiato. Perchè quelle sue
rivelazioni, così dettagliate, avrebbero dovuto far saltare un business
consolidato di scempio del territorio e attentato alla salute pubblica, che
invece ha continuato a esistere e prosperare. Come se nulla fosse successo. Come
se niente fosse stato detto. È in questo momento che l’ex camorrista Perrella
incontra Paolo Coltro, giornalista in pensione con una lunga carriera nel gruppo
Finegil. Si conoscono, si parlano per un anno - anzi, Perrella parla e Coltro
domanda - e la storia di due decenni prima torna fuori. E diventa un libro,
“Oltre Gomorra. I rifiuti d’Italia” (CentoAutori, pagg.255, euro 15). Non un
saggio, ma un resoconto spietato, sconfortante, chirurgico del peggiore stupro
dell’ambiente del secolo. Il quadro di un’Italia, tutta, che si muove, vive,
lavora su un mare di rifiuti tossici: intombati ovunque. E per questo, in tante
regioni, si muore. Coltro, com’è avvenuto il suo incontro con Nunzio Perrella?
«Perrella ha vissuto e lavorato molti anni nel Nord Italia. Quando ha finito il
suo percorso e pagato il suo debito, nel 2014, dopo ventiquattro anni tra galera
e domiciliari, ha visto che nel frattempo non era successo niente. Era incazzato
nero e cercava qualcuno per raccontare la sua storia. Ci siamo visti per un
anno: parlava in napoletano stretto, io registravo, prendevo appunti, mi
documentavo. Il suo nome non è quello di un camorrista famoso, non ne sarebbe
uscita una biografia. Quello che raccontava, invece, era giornalisticamente
interessante perchè ti portava in altri territori, scopriva altre magagne.
Questo a me interessava: cercare di capire perchè, dopo la sua denuncia, per
vent’anni tutto è rimasto come prima». Che impressione le ha fatto Perrella? «È
un uomo che appartiene a un mondo in cui si ragiona in un modo che neanche ci
immaginiamo. Non ha istruzione, forse l’unico libro che ha letto è quello che
abbiamo firmato insieme. La prima volta che ci siamo incontrati, a Vicenza, è
arrivato con un guardaspalle, un omone che ha detto essere suo nipote, con
strani rigonfiamenti sotto le ascelle. Poi ci siamo visti da soli, nei baretti
di periferia: non raccontava balle, lo sapevo, ma io dovevo verificare tutto,
documentare. Nel libro c’è una parte sulla sua biografia che mi è piaciuto
scrivere. Ma Perrella è un ex delinquente praticamente sconosciuto, diventa
interessante se lo guardiamo sotto il profilo dell’uomo che ha rivelato qualcosa
che poteva essere una bomba e invece così non è avvenuto». È vero che è stato il
primo a far entrare la camorra nel business dei rifiuti? «Lui faceva
impermeabilizzazioni e lavorava in subappalto per la Soavi Asfalti di Vicenza.
Quella ditta riciclava di tutto, anche oli esausti che adoperava per fare
sottofondi stradali pasticciati, la cosiddetta “pastina”. Di solito li
smaltivano i dipendenti, un paio di fusti al colpo. Ma una volta ce n’erano
troppi e chiesero a Perrella di portarli a Napoli». Così venne fuori tutto...
«Gli si aprì un altro mondo. I cinquanta fusti non glieli accettarono, perchè
nelle discariche entrava solo il materiale degli imprenditori del Nord che erano
in affari con i proprietari del sito. Un fiume di denaro che nessuno voleva
spartire con altri. La camorra non ne sapeva niente, Perrella scoprì il giro e
ce la fece entrare, obbligando i proprietari delle discariche ad accettare anche
il suo smaltimento. Lui però voleva fare le cose legali, occuparsi solo del
trasporto, perchè già con quello si guadagnava moltissimo. Pensiamo a un rifiuto
che parte come “speciale” o “tossico” ed entra in un meccanismo di cambi di
bolle e falsificazioni, per cui alla fine viene declassificato, diventa rifiuto
normale: smaltirlo costa meno, nelle discariche si butta di tutto, e i guadagni
sono altissimi». Poi però lo presero. «Per traffico d’armi e droga. Fu allora,
nel ’92, che cominciò a parlare con i magistrati del traffico dei rifiuti e
diventò collaboratore di giustizia. Decine di ore di registrazione, più di cento
pagine di verbali: Perrella fa i nomi di oltre duecento aziende coinvolte,
elenca circostanze, località, metodi di smaltimento. C’era tutto». Sembra
incredibile che la camorra ignorasse questo traffico... «Il business era tra gli
imprenditori del Nord e quelli del sud che gestivano le discariche. Anzi, gli
imprenditori al Nord avevano fatto tutto da soli, all’inizio, riempiendo
Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia, Toscana. Anche il Friuli Venezia Giulia:
Perrella parlò di pezzi di strade in Carnia sotto cui c’erano i rifiuti. Quando
il Nord fu strapieno, si cominciò a mandare i camion a Sud. E adesso ripartono
verso Nord, in un traffico quasi incontrollabile. Eppure dopo l’inchiesta
Adelphi, tutta basata sulle dichiarazioni di Perrella, vennero accolte solo
dieci su ventuno richieste di rinvio a giudizio, il processo del ’93 si concluse
con solo sei condanne per abuso d’ufficio e corruzione, non per associazione
mafiosa e, all’appello del ’99, la prescrizione cancellò tutto. Non c’erano
norme penali per colpire i reati ambientali e, in mezzo, connivenze politiche,
incapacità, ritardi della magistratura». Quand’è che inquinare diventa reato?
«Dopo vent’anni di proposte di legge, nel maggio 2015 viene approvato l’articolo
452 bis del codice penale, reato di inquinamento ambientale, che funziona fino a
un certo punto. Per capire come mai c’è voluto tutto questo tempo, basta andare
a vedere gli interventi dei partiti in sede di commissione legislativa. Forza
Italia continuava a mettere emendamenti per fare gli interessi degli
imprenditori... è lì che si annida lo scandalo. La legge poi prevede il
“ravvedimento operoso”, che il procuratore Gianfranco Amendola ha definito
un’istigazione a delinquere. Ovvero, se chi ha inquinato si offre di mettere
tutto a posto, gli si affida la bonifica, un’ulteriore fonte di guadagno». Nei
giorni scorsi sono morti otto bambini nella Terra dei fuochi... «Questo fa
notizia, certo. Ma bisogna risalire alle cause del meccanismo. Il ministro
Lorenzin ha detto: “Sono 64 ettari...” Scherziamo? Lì è inquinato tutto. Perchè
non ci sono controlli? Perchè la Campania non ha un Registro tumori? Perrella ha
raccontato che vicino Napoli, in zona Licola, le case sono state costruite sopra
un buco con gli scarti dell’Italsider di Bagnoli e delle ceneri dell’Eni. Il
materiale era stato portato dai camion, venti al giorno, per mesi, passando
davanti a Carabinieri e Finanza. E loro dov’erano? A chi comprava si faceva
sottoscrivere un atto in cui dichiarava di essere a conoscenza di tutto, per
evitare cause successive. In questo quartiere oggi abitano professionisti, la
borghesia. Si fanno i carotaggi nel terreno, ma cinquecento metri più in là,
altrimenti salta il palco. Questo è l’intento del libro: dimostrare che basta
che qualcuno, in uno dei segmenti del processo di smaltimento, non faccia il suo
dovere, non veda, e tutto va a remengo». La magistratura è chiamata in causa?
«Prendiamo la discarica Pitelli a La Spezia, proprio sopra il Golfo dei poeti.
Il primo a parlare di come la gestiva il suo patrón, Orazio Duvia, è stato
proprio Perrella. Si arriva al rinvio a giudizio del 2003 per disastro
ambientale e una sfilza di altri reati. L’invaso è definito “imbonificabile”, al
punto che anche il ministero dell’Ambiente vuol costituirsi parte civile, ma il
magistrato respinge. Dopo otto anni di processo, gran parte dei reati è
prescritta. Resta il disastro ambientale, all’epoca sanzionato da
contravvenzione, ma in cinquecento righe di motivazione il giudice si addentra
nella legge per dire che il reato non sussiste. Tutti assolti. Certo, avrà
ragione in punta di diritto, ma va contro la realtà, il senso comune. Ci sono
anche queste antinomie, questi paradossi». Com’è la situazione dalle nostre
parti? «Come fai a scoperchiare la terza corsia, da Verona a Venezia? Là sotto
c’è di tutto. Come sotto l’A31, Valdastico sud Vicenza-Rovigo. E il parcheggio
dell’aeroporto di Venezia, pieno di una sostanza fatta di rifiuti, chi lo
toglie? Forse qualche sospetto lo deve far venire anche il passante di Mestre...
Speriamo che si salvino la Pedemontana, da Treviso a Vicenza, e la terza corsia
tra Venezia e Trieste. Pensiamo ai parcheggi enormi dei centri commerciali:
l’industriale riceve una certa somma e dice solo “fate una bella buca...”. Poi,
sopra, si butta l’asfalto».
ARIANNA BORIA
«Nessun incarico affidato al figlio di Agapito» -
Siderurgica Triestina ribatte alle accuse M5S sul presunto conflitto di
interessi sull’Aia della Ferriera
Siderurgica Triestina non ha mai affidato alcun incarico diretto - né di
progettazione né di direzione lavori - alla società Artec Ingegneria srl., di
cui risulta socio Daniele Agapito, figlio del direttore del Servizio tutela da
inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico della Regione. Lo stesso
direttore che ha firmato il rinnovo dell’Aia dell’impianto di Servola. Così la
proprietà della Ferriera di Servola ridimensiona il caso del presunto conflitto
di interessi sollevato dagli esponenti pentastellati. Esponenti che ieri, per
voce della consigliera regionale Eleonora Frattolin, hanno anche annunciato
l’intenzione di presentare già lunedì un esposto sulla vicenda sia alla Procura
della Repubblica di Trieste sia all’Autorità nazionale anticorruzione presieduta
da Raffaele Cantone. Per l’azienda però, come detto, tutto si sgonfierà come una
bolla di sapone. «Siderurgica Triestina - precisa una nota diramata in serata -
ha affidato direttamente solo due consulenze per lo stabilimento di Servola. La
prima, relativa alla predisposizione della documentazione necessaria al rilascio
dell'Aia, è stata affidata allo studio Barocci. Il secondo incarico è andato
invece alla società Tmc, chiamata ad occuparsi di progettazione, pratiche
edilizie e della progettazione architettonica e strutturale». Nessun altro
soggetto esterno quindi, è il messaggio forte e chiaro lanciato dall’azienda, è
stato coinvolto direttamente da Siderurgica Triestina nella partita del rinnovo
dell’Aia e della progettazione successiva. E il fatto che Tmc, a sua volta,
abbia dato ulteriori consulenze ad altre realtà, come la stessa Artec Ingegneria
in cui risulta lavorare il figlio di Luciano Agapito, non può di certo essere
“rinfacciato” alla proprietà dello stabilimento. Che, viene precisato
ulteriormente, ha assoldato solo la Tmc srl, e non eventuali suoi collaboratori,
senza peraltro affidarle mai «alcun incarico sulla documentazione predisposta
per l'Aia». Le precisazioni dell’azienda, come detto, sono arrivare all’indomani
dell’interpellanza depositata in Consiglio regionale dal gruppo M5S. Nel testo
si sollecitava anche un intervento da parte della Regione che, per voce della
presidente Debora Serracchiani, poche ore dopo ha espresso «sconcerto anche solo
per l'ipotesi che non siano state rispettate le regole» e annunciato l’avvio di
approfondimenti interni.
Sul Parco del Mare solo un’odiosa intimidazione - LA LETTERA DEL GIORNO di Giorgetta Dorfles per il Comitato La Lanterna
La Camera di Commercio si lamenta perché il Comitato La Lanterna ha fatto le sue considerazioni basandosi solo sul rendering del Parco del Mare, a dire il vero già di per sé abbastanza significativo; ma sono loro che hanno strombazzato in lungo e in largo (vedi il paginone a pagamento su Il Piccolo) che erano pronti a partire e che tutte le istituzioni erano d'accordo, senza aver ancora presentato il famoso concept del progetto. Potevano aspettare di renderlo pubblico e incassare i commenti dei cittadini, e poi far partire la grancassa. La Camera di Commercio minaccia ritorsioni legali al Comitato se non ritira immediatamente la petizione, perché la offende attentando alla sua immagine. In realtà non si tratta di un'offesa, ma di una legittima critica, garantita dalla libertà costituzionale di pensiero e di espressione. Il web è pieno di petizioni contro le iniziative più disparate e non credo che qualcuno sia stato minacciato per questo. Voler mettere a tacere un migliaio e più di cittadini che stanno liberamente esprimendo quello che pensano su un'iniziativa che comunque modificherà il water front della loro città, contestando non tanto il progetto in sé quanto la sua assurda collocazione, appare una azione alquanto intimidatoria. Inoltre, se l'Ente camerale è tanto sicuro della bontà del piano in questione, di cosa si preoccupa? Sarà il Comitato a fare una figura barbina quando verrà svelato l'arcano. Comunque sembra opinabile che un colosso di 22 metri risulti invisibile e che solo mettendosi in un punto speciale del Molo Audace - che potrebbe essere opportunamente indicato da qualche tabella segnaletica - si potrà finalmente ammirare. Ben visibile però sarà da tutto il colle di San Vito e dalla parte della città che si sviluppa in collina: abbiamo dimenticato questo particolare? Che dire poi delle navi da crociera, che si aspettano di approdare in una città di stampo austroungarico, con i suoi palazzi in uniforme stile eclettico, e riceveranno questo pugno nell'occhio? Un'ultima cosa che ci lascia perplessi è che il futuro volto della nostra città sia condizionato dal quel dott. Paoletti che negli ultimi anni ha mescolato le carte, per la sua ossessione del Parco del Mare, puntando su Barcola, Campo Marzio, Rive zona Pescheria - Magazzino vini, Porto Vecchio, per finire adesso sul Molo Fratelli Bandiera. Noi ci auguriamo che ci ripensi ancora, magari ricordandosi che in Porto Vecchio, che non è più demaniale, lo spazio non manca. Le nostre istituzioni, a cui spetterebbe l'onere di programmare un piano urbanistico in regime di trasparenza, in modo che si possano esprimere consensi o fare rilievi e opposizioni, cosa fanno? Perché sembra che si stia giocando a Monopoli. Rispondiamo dunque all'odiosa intimazione della Camera di Commercio che la petizione sarà ritirata dopo che avremo toccato con mano, in sede di Consiglio Comunale, il fatto che il progetto sia attuabile, sostenibile, condivisibile e soprattutto che la collocazione di un Parco del Mare sulle Rive sia la migliore soluzione.
IL PICCOLO - VENERDI', 24 febbraio 2017
«Conflitto di interessi sull’Aia della Ferriera» - Il
M5S: «Dall’azienda incarichi al figlio del direttore regionale». Serracchiani:
«Attendo chiarimenti»
L’accusa, messa nero su bianco in un comunicato stampa, è chiara: un
conflitto di interessi attorno alle procedure Aia della Ferriera. È il Movimento
Cinque Stelle a scatenarsi sul caso del direttore regionale del Servizio tutela
da inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico della Regione, Luciano
Agapito, che nel gennaio dell'anno scorso ha firmato il decreto di riesame per
il rinnovo dell’autorizzazione ambientale. Il problema, stando alla denuncia dei
grillini, è che il figlio del dirigente, Daniele Agapito, nell’aprile 2015 aveva
ricevuto dalla Siderurgica Triestina «un importante incarico di progettazione e
direzione lavori, seguito poi da ulteriori incarichi nel 2016 presso il medesimo
stabilimento». Ad accendere i riflettori sulla vicenda è tutto il gruppo di
consiglieri regionali pentastellati insieme al consigliere comunale Paolo Menis.
Il M5S ha notato una «curiosa» coincidenza tra gli incarichi e alcuni passaggi
specifici della procedura di rinnovo. «Ad inizio aprile del 2015 - puntualizzano
- il direttore del servizio ridefiniva i termini della diffida ad adempiere nei
confronti di Siderurgica Triestina, disponendo la limitazione dell’attività
produttiva, sulla base di un rapporto di Arpa che rilevava la non conformità
delle emissioni acustiche. Sempre ad aprile 2015 arrivava il maxi incarico al
figlio del direttore del Servizio». Nel frattempo, pochi giorni dopo, «il papà
riavviava il procedimento istruttorio di rinnovo dell’Aia cui seguirono diverse
conferenze di servizi istruttorie. Quasi contestualmente arrivavano anche altri
incarichi per il figlio, realizzati attraverso la Artec Ingegneria srl di cui è
socio». Il M5S ha chiesto spiegazioni alla Regione che sta già avviando
accertamenti interni, «volti a chiarire la sussistenza e la natura di tali
rapporti». «In attesa dei chiarimenti», la presidente Debora Serracchiani ha
espresso «sconcerto anche solo per l’ipotesi che non siano state rispettate le
regole». Ma è anche il destino dello stabilimento, al centro della riunione
ministeriale di mercoledì, a far discutere. «Aspettiamo la revisione dell’Aia -
ricorda il sindaco Roberto Dipiazza - la lavorazione del carbone e l’area a
caldo della Ferriera non sono compatibili con la salute di cittadini e
lavoratori. Dall’azione di controllo dell’amministrazione comunale continuano a
venire alla luce delle gravi inadempienze, dimenticanze e superficialità»,
compresa «l’analisi di dati importanti che indicano che l'area a caldo è una
fonte di emissioni pericolose e nocive». Il tavolo ministeriale è comunque
servito «a tentare di distendere lo scontro politico tra Comune, Regione ed
azienda - scrive Sasha Colautti, segretario provinciale della Fiom Cgil - questo
però non è bastato a far sì che l’azienda chiarisca quali siano le reali
intenzioni del cavalier Arvedi».
Gianpaolo Sarti
M’ILLUMINO DI MENO - Luci spente dalla città fino
all’Antartide
L’idea nasce da una trasmissione televisiva di Rai2, “Caterpillar”: la
giornata odierna è dedicata al “risparmio energetico”. Istituzioni e
associazioni si mobilitano a varia intensità, per ricordare all’opinione
pubblica come consumare meno e meglio energia. Qualche ente, per esempio, spegne
le luci. È il caso della Regione Fvg, che preme l’interruttore degli “esterni”
delle sedi: a Trieste toccherà, nella fascia oraria tra le 17.30 e le 19, al
palazzo della presidenza in piazza Unità e al Consiglio regionale in piazza
Oberdan. Secondo l’assessore Francesco Peroni, il tema suggerisce «comportamenti
quotidiani maggiormente responsabili». Il Comune lascia tutto acceso ma
partecipa all’iniziativa riepilogando ai cittadini un lungo elenco di buoni
consigli: spegnere le luci quando non servono, non lasciare in “stand by” gli
apparecchi elettrici, sbrinare il frigorifero, mettere il coperchio sulle
pentole, ridurre gli spifferi degli infissi, non lasciare le tende chiuse
davanti al termosifone, fare uso della bicicletta, eccetera... Anche
l’Università fa sapere che «smorza l’Light», come cantava Renzo Arbore: nel
campus di piazzale Europa, edificio A, facciata e scalinata resteranno al buio
tra le 18 e le 19.30. Non mancano adesioni a distanza come quella
dell’Osservatorio di geofisica sperimentale, che conferirà all’oscuramento la
nave “Explora”, impegnata in Antartide: i ricercatori a bordo ceneranno a lume
di candele elettriche a basso consumo. Quelle di cera, purtroppo, non sono
consentite per ragioni di sicurezza. Dice la sua l’utility territoriale
AcegasApsAmga (Hera), che in un comunicato ricorda come l’impegno per
l’efficienza energetica, incentrato sulla certificazione 50001, ha permesso
finora una minore emissione stimata in 5600 tonnellate di anidride carbonica
nelle aree servite. La società sottolinea gli interventi di riqualificazione
energetica mediante il graduale utilizzo dei sistemi a Led: per quanto riguarda
Trieste, AcegasApsAmga cita Ponterosso e viale XX settembre. Ma c’è anche un
rilevante aspetto di gestione interna, che concerne i risparmi energetici in
molti processi industriali (sollevamento acque, depurazione dei reflui, mezzi
per la raccolta dei rifiuti). Sul versante dell’associazionismo, Arci organizza
una serata a base di musica, danze, bassi consumi. Al circolo D-Sotto in via
Bernini 2 si comincia alle 19.30 con “NoDancing Project”, a seguire “Plastik dj
set”. Graditi costumi e maschere vista la concomitanza carnascialesca. Il buio
stimola Knulp a preparare un meni “in black”: riso nero venere, feijoada di
fagioli neri, spätzle di seppia con gamberi black tiger. Infine TriesteAltruista
chiede alla cittadinanza di spegnere le luci di casa per un’ora dalle 18 alle
19.
IL PICCOLO - GIOVEDI', 23 febbraio 2017
Il Comune corre ai ripari per l’ex discarica -
L’assessore Polli sul caso di via Errera: «Prima le analisi, poi elaboreremo un
piano». Due le ipotesi: bonifica o tombatura
L’ex discarica di via Errera, abbandonata da decenni, entra in cima
all’agenda della giunta Dipiazza. Le contaminazioni di terreno e mare,
documentate da un dossier della Provincia e dalle immagini del Piccolo, saranno
oggetto di studio del Comune, l’ente a cui la Regione aveva dato in concessione
il sito. «Ci stiamo attivando» riferisce l’assessore all’Ambiente Luisa Polli.
Tre gli step su cui il municipio intende muoversi. Innanzitutto con un’analisi
del suolo e dell’acqua per valutare l’impatto sull’ecosistema. Non ci dovrebbero
essere dubbi, in realtà, visto che il dossier della Provincia, portato di
recente all’attenzione dei Carabinieri del Noe, anche se non esiste ancora
un’indagine vera e propria, parla chiaramente di «rifiuti speciali pericolosi»:
all’interno della discarica, così come nel sedimento marino sottostante, dall’84
all’87 è stato accumulato materiale edile e industriale, resti di demolizioni e
scavi, scorie prodotte dall’inceneritore, pneumatici, plastica e legname. Il
Comune, all’epoca, avrebbe dovuto costruire una protezione in modo da impedire
l’inquinamento del mare. L’opera non è mai stata realizzata. E nel sito, tanto
nel terreno quanto nella falda che porta alla riva, sono stati rinvenuti
metalli, idrocarburi pesanti, benzopirene e diossine. Lo scarico dei rifiuti,
precisava proprio il dossier, è avvenuto direttamente sui sedimenti marini.
«Purtroppo un tempo la legge lo permetteva - rileva l’assessore - ma è inutile
fermarci al passato, ora ci occupiamo dell’analisi e di studiare un piano
valido». Accertamenti e progetti di intervento, dunque, per poi passare alle
bonifiche o a una “tombatura” del sito con il cemento. «Questa potrebbe essere
in effetti una soluzione - commenta Polli -, perché permette di isolare
l’inquinamento in modo permanente e rendere disponibile la zona ad altri usi.
Faccio notare che in Italia interi moli portuali sono stati costruiti così». Ma
servono fondi, naturalmente. L’Autorità portuale ha quantificato in 27 milioni
di euro la spesa per eventuali bonifiche, nel caso il Comune optasse per questa
ipotesi. «Ventisette milioni di euro? Non so se è una cifra corretta - ribatte
l’esponente della giunta Dipiazza - perché se prima non si studia l’area e il
livello delle contaminazioni non è possibile fare una stima. Non abbiamo idea di
quanto costi il tutto. Comunque - precisa - l’intenzione dell’amministrazione
comunale è di andare a Roma, al ministero dell'Ambiente, e concordare un
percorso. È lì, in quella sede, che domanderemo di accedere ai finanziamenti
previsti per fronteggiare l’inquinamento del Sin (Sito di interesse nazionale,
ndr), visto che è lì che si trova la discarica. Con le risorse, che chiederemo
anche alla Regione, sarà possibile avviare le caratterizzazioni, valutare la
pericolosità ambientale e decidere se procedere con le bonifiche o la tombatura.
Perché, ripeto, potrebbe darsi che quei rifiuti non debbano essere rimossi. Oggi
vige il principio di chi inquina paga, ma le norme - puntualizza ancora Polli -
allora permettevano di realizzare una discarica così». Ma il Comune ha anche il
compito di inviare tutta la documentazione della struttura alla Provincia (o
direttamente alla Regione, che sta assumendo le competenze dell’ente), vale a
dire il progetto e le relazioni su come è stata gestita l’area nel corso dei
decenni. E, come avvertiva lo stesso dossier, pure «fatti riguardanti eventuali
episodi di conferimento illecito di materiali». Riuscirà il Comune a risalire a
tutto? «Stiamo approfondendo - sottolinea l’assessore -, cerchiamo di affrontare
il problema con un sano buon senso». L’Autorità portuale, proprietaria
dell’area, non intende dichiarare guerra: «La cosa importante è collaborare -
afferma il presidente Zeno D’Agostino - Al di là delle responsabilità,
l’obiettivo è giungere a una soluzione. Comunque il coordinamento che il
ministero ci sta fornendo serve anche a trovare i finanziamenti per un
intervento che costa molto».
Gianpaolo Sarti
Il tavolo romano stempera il clima, ma il futuro di
Servola resta sospeso - L’INCONTRO AL MINISTERO CHIESTO DAI SINDACATI
Un incontro “interlocutorio”, come riconoscono un po’ tutti, che però non
scioglie il nodo di fondo: che ne sarà del futuro della Ferriera a Trieste?
L’interrogativo, alla fine del faccia faccia di ieri mattina al ministero dello
Sviluppo economico, sollecitato dai sindacati, resta sospeso. Il quesito si
gioca attorno al destino dell’area a caldo che il Comune, in guerra aperta
contro Arvedi, vorrebbe chiudere. L’industriale, davanti a tanta ostilità, poco
più di un mese fa aveva minacciato di lasciare. Di qui la necessità del tavolo
al Mise. I toni, par di capire, stavolta sono più distesi da entrambe le sponde.
La società, come precisava una nota diramata in serata, non ha potuto che
mettere l’accento «sugli impegni assunti con l’Accordo di programma». Tradotto:
il percorso di risanamento impiantistico, di messa in sicurezza del sito e di
reindustrializzazione. «Dal momento della firma dell’Accordo a oggi sono stati
incrementati i livelli occupazionali e lo stabilimento sta producendo nel pieno
rispetto di tutti i parametri ambientali disposti dall’Aia - rileva Siderurgica
Triestina - come confermato dai dati pubblici che riguardano Pm10,
benzo(a)pirene e deposizioni». Detto questo l’impresa conferma «la
preoccupazione» già espressa da Giovanni Arvedi, presidente del gruppo, nella
riunione dello scorso 12 gennaio. «In seguito agli atti e alle dichiarazioni
orientate alla chiusura dell’area a caldo da parte del Comune, cui il gruppo
riconosce il massimo rispetto da sempre garantito alle istituzioni, l’azienda
non è oggi in grado di poter pianificare le proprie azioni future, che
necessitano un quadro di lunga durata». È il terreno della contesa. Siderurgica
Triestina, comunque, condivide «la sensibilità manifestata dal Comune per il
rispetto dei quadri autorizzativi e prescrittivi» e accoglie «con estremo
favore» l’annuncio della Regione sul prossimo coinvolgimento dell’Istituto
superiore della sanità». L'impresa, inoltre, è pronta «ad adempiere alla
richiesta di ridefinizione del progetto di copertura dei parchi minerali,
qualora la Conferenza dei servizi ne faccia richiesta». La società, infine,
sollecita un chiarimento definitivo affinché «l'azienda possa operare in
condizioni più serene e per poter intraprendere con maggiore certezza le sfide
legate al piano industriale». La Regione, per voce dell’assessore al Lavoro
Loredana Panariti, dal canto suo ha ricordato la disponibilità dell’Arpa ad
accogliere il suggerimento del Comune di posizionare un nuovo deposimetro per la
misurazione delle polveri in un’area vicina all'impianto. La richiesta di
revisione dell’Aia, avanzata dalla giunta Dipiazza, verrà invece «valutata dai
tecnici competenti». Il fronte sindacale resta sul chi va là. «L’incertezza
sull’area a caldo rimane», hanno evidenziato Cristian Prella (Failms) e Umberto
Salvaneschi Fim-Cisl. Con loro Antonio Rodà (Uilm), convinto che «il botta e
risposta tra Comune e Arvedi non porterà a nulla». La giunta Dipiazza,
rappresentata ieri al tavolo dall’assessore Angela Bandi, ribadisce la linea:
«Più che la chiusura dell’area a caldo a noi importa la tutela della salute
delle persone. Se ciò non avviene si devono trarre le conclusioni».
(g.s.)
M'ILLUMINO DI MENO - Anche Trieste condivide la
campagna anti-spreco - Domani niente illuminazione su facciata e scalinata
dell’Università tra le 18 e le 19.30
In tutta la regione iniziative per la produzione di energia pulita e
riciclo dei rifiuti
Spegnere le luci e condividere. Condividere l'auto, la cucina, la lavatrice,
oppure un libro o un giornale, la rete, un sapere, la casa, lo sport, i vestiti,
i giocattoli. Il tempo, lo spazio e il silenzio. Praticamente, qualsiasi cosa,
basta pensarci. Ed è proprio questo, condividere per sprecare di meno,
l'obiettivo della campagna 2017 "M'illumino di meno", la manifestazione promossa
dagli ideatori del programma di Rai Radiodue "Caterpillar", giunta quest’anno
alla tredicesima edizione, alla quale aderirà, tra le centinaia di comuni
italiani, anche Trieste. Domani il capoluogo regionale è tra le città che
resteranno al buio per lanciare in primis un messaggio anti spreco. Piazza Unità
si aggiunge a tanti altri luoghi storici del Bel Paese: il Campidoglio, il
Senato, Montecitorio e il Quirinale a Roma, passando per la Mole Antonelliana a
Torino e il Maschio Angioino a Napoli. In Fvg Regione, Comune e università hanno
già confermato l'adesione - l'ateneo triestino spegnerà nel campus di piazzale
Europa-Edificio A, l'illuminazione della facciata e della scalinata dalle 18
alle 19.30 -, ma la conferma è arrivata anche da molte associazioni, musei,
privati e istituti scolastici. Anche quest’anno l'invito è quello di concentrare
in una giornata tutte le azioni virtuose per una razionalizzazione dei consumi,
sperimentando in prima persona le buone pratiche di riduzione degli sprechi,
produzione di energia pulita, contenimento dei rifiuti - grazie alla raccolta
differenziata, riciclo e riuso - ma soprattutto sul fronte della mobilità,
promuovendo l’uso della bicicletta e di tutti i mezzi a basso impatto energetico
come simbolo di pace e di rispetto per l’ambiente. Tenere spente le luci e usare
bici, car sharing, mezzi pubblici o concedersi una bella passeggiata a piedi
dovranno essere lo stimolo con il quale affrontare la giornata sin dal primo
mattino, con il proposito di ridurre quelle invisibili tonnellate di anidride
carbonica che ogni giorno produciamo nel pianeta. Ma lo slogan di quest'anno
aggiunge anche un altro ottimo proposito, quello di "condiVivere", ovvero
«spegniamo le luci e accendiamo l'energia della condivisione». Si potrà così
offrire un passaggio in auto ai colleghi, organizzare una cena collettiva,
aprire la propria rete wireless ai vicini. Ma anche trasmettendo conoscenze e
attività, condividendo lo sport, il tempo libero e qualche momento in compagni.
Tra le associazioni che aderiranno la lista è lunga: Uisp Trieste, Lega Navale
Italiana – Sezione di Trieste, associazione di cicloturisti e ciclisti urbani
Ulisse Fiab, Caritas di Trieste, Oltre quella Sedia, Società Adriatica di
Speleologia, mentre accanto alle istituzioni già precedentemente indicate -
Comune, Regione, università - ci sarà anche l'Agenzia Turismo Friuli Venezia
Giulia. Anche il mondo dei saperi parteciperà alla giornata, con il museo
speleologico Speleovivarium Erwin Pichl e il Science Centre Immaginario
Scientifico, mentre tra i privati hanno accettato di unirsi alla manifestazione
Simulware srl, Trieste LaBora e Radio Fragola. Ma se la riduzione dei consumi e
il contenimento degli sprechi è una bella abitudine che sempre più persone
dovrebbero adottare, ecco che occorrerebbe apprenderla sin dalla tenera età. E
così l'asilo nido "la mongolfiera" ha deciso di prendere parte alla campagna,
accanto al liceo Galilei che aderirà all'iniziativa per l'intera giornata.
GIULIA ZANELLO
Meno “veleni” spegnendo la luce - Domani due ore di
buio sono un invito alla razionalizzazione dei consumi, ma anche alla fantasia
TRIESTE - Domani, per il tredicesimo anno consecutivo, molte città si
spegneranno per “M'illumino di meno”, la campagna inventata da Caterpillar, il
programma di Rai Radio2 condotto da Massimo Cirri e Sara Zambotti. Hanno già
aderito centinaia di Comuni. Dalle 18 alle 20 resteranno al buio il Quirinale e
Montecitorio, Palazzo Madama e il Parlamento europeo a Strasburgo, il Palazzo
Reale a Milano e Piazza Stradivari a Cremona, quasi tutti i monumenti di Napoli
e il cuore di Assisi. Perfino la Trump Tower spegnerà almeno un piano. Spegnere
le luci è prima di tutto un messaggio anti spreco. Le immagini notturne del
pianeta, da satellite, rivelano una chiazza abbagliante che copre l'Europa,
l'America (con l'eccezione dell'Amazzonia) e buona parte dell'Asia. Dietro quel
chiarore diffuso ci sono milioni di invisibili tonnellate di CO2 che s'innalzano
al cielo: un inquinamento che potrebbe essere drasticamente ridotto utilizzando
fonti di energia pulita ed evitando gli usi dissennati, gli eccessi, le lampade
che sparano la luce verso l'alto invece di dirigerla in modo utile. Due ore di
buio sono un invito alla razionalizzazione dei consumi, ma anche alla fantasia.
«Molti hanno scoperto il piacere di svolgere le loro attività in modo diverso:
fanno allenamenti di karate e di scherma, o lunghe passeggiate al buio», ha
spiegato Massimo Cirri. La festa energetica include il mondo della scuola: in
molte classi si proporrà di inventare un supereroe del risparmio energetico e
affidargli imprese dall'esito sorprendente. Oltre all'allenamento dei sensi
“M'illumino di meno” quest'anno sarà l'occasione per allenare il rapporto con
gli altri. La proposta è: spegniamo le luci e accendiamo l'energia della
condivisione. É l'invito a "condiVivere: dando un passaggio in auto ai colleghi,
organizzando una cena collettiva, aprendo la propria rete wireless ai vicini. Si
può condividere un saper fare: t'appendo quel quadro, t'insegno lo spagnolo, ti
riparo la gomma della bicicletta. Si può condividere lo sport: correre insieme,
pedalare, nuotare e sudare. Si può condividere un telescopio e guardare le
stelle che con le luci spente sono più belle". La giornata in cui si gioca con
il risparmio energetico potrebbe diventare un appuntamento istituzionale.
Mercoledì verrà presentata una proposta di legge per trasformare l'iniziativa in
una Giornata nazionale del risparmio energetico. «La Commissione europea ha dato
il via alla seconda fase della procedura d'infrazione contro l'Italia e altri
Paesi dell'Unione per l'inquinamento da biossido d'azoto», spiega Chiara Braga,
responsabile ambiente del Pd e cofirmataria dell'iniziativa. «Per affrontare e
risolvere il problema ci vogliono politiche di gestione della mobilità e
dell'efficienza degli edifici, ma anche comportamenti quotidiani più
responsabili: i cittadini vanno informati e sensibilizzati».
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 22 febbraio 2017
Una collina di rifiuti pericolosi - Indagini del Noe su
via Errera - Dossier passato alla Regione dopo l’addio all’ente di palazzo
Galatti Mai inviati dal municipio i documenti richiesti
Eccola là, dimenticata in un angolo di zona industriale. Ma ora ritorna,
come un parente antipatico che non si vedeva da tempo e si presenta
all’improvviso alla porta. Come la polvere nascosta per anni sotto il tappeto.
Arriva il momento che spunta fuori. Trieste prima o poi doveva fare i conti con
l’ex discarica di via Errera, costruita dal Comune negli anni Ottanta e poi
lasciata a se stessa. Una collina in cui è finito di tutto. Rifiuti di ogni
genere, anche pericolosi. E idrocarburi, scivolati in mare nello specchio
d’acqua del Canale navigabile. Lentamente, giorno dopo giorno, anno dopo anno.
Un disastro ecologico che adesso presenta il conto. C’è un dossier di nove
pagine preparato dalla Provincia, passato alle competenze della Regione, e su
cui sono stati allertati i Carabinieri del Noe. Il documento punta il dito
proprio sul Comune, ritenuto colpevole di ciò che oggi è quella discarica:
nessuna amministrazione si è mai occupata di metterla in sicurezza. E l’attuale
giunta Dipiazza, viene precisato, non starebbe collaborando per intervenire. Di
più. C’è pure una somma per le bonifiche necessarie per salvare il salvabile,
stimata dall’Autorità portuale: 27 milioni di euro. Un decimo del bilancio
municipale. Ma siamo ancora a uno stadio nebuloso della vicenda per stabilire
chi pagherà e quando: l’Authority è proprietaria del terreno, ma non
responsabile dell’inquinamento. Il Comune invece è responsabile ma non
proprietario. Si preannuncia un gioco al rimpallo? Per capire di cosa si sta
davvero parlando occorre non solo analizzare a fondo quel dossier, ma anche
guardare da vicino lo scempio ambientale di cui pochi hanno memoria. La
discarica, autorizzata dalla Regione Fvg dall’84 all’87 in base alle norme
vigenti allora “per lo scarico di solidi inerti”, è in fondo a via Errera a
pochi metri dal termovalorizzatore. È in un’enorme campagna che si intravede
dalla superstrada, circondata da una rete arancione, ormai crollata in più
punti. Qui, a partire dall’84, hanno depositato roba edile e industriale: resti
di demolizioni e scavi, scorie prodotte dall’inceneritore. Pneumatici, plastica
e legname. Una quantità di monnezza che nel tempo è diventata un tutt’uno col
suolo. Si cammina tra la sterpaglia e i rovi cresciuti sulla spazzatura. Il
piede affonda spesso nella melma. Fango misto alla morchia sversata senza troppi
complimenti quando le leggi lo permettevano. In effetti il decreto regionale 426
del 24 agosto 1983 concede al Comune di disfarsi dei materiali “solidi inerti”
pure in acqua, ma con l’avvertimento che «l’avanzamento a mare sarebbe dovuto
avvenire con una barriera capace di impedirne l’inquinamento». Spallucce. Siamo
nell’89 quando il Comune comunica alla Regione la conclusione dell’attività di
discarica, avvenuta già due anni prima. Il municipio domanda però di mantenere
la concessione «in attesa di terminare i lavori di protezione a mare». Mai
fatti: la struttura viene chiusa proprio nell’87 ma, precisa il dossier, «senza
realizzare alcunché». La discarica, tira le somme il documento della Provincia,
è stata quindi costruita «scaricando rifiuti direttamente sui sedimenti marini».
Oggi, più che il lungomare triestino, quel lembo di costa ricorda le peggiori
periferie del Terzo mondo. Una brodaglia nerastra di copertoni, barili, tubi e
piloni di cemento armato. Dove si interrompe la collinetta, sulla riva, sul
terrapieno, si scorge tutta la spazzatura accumulata negli anni. Cavi, bidoni e
pezzi di asfalto inzuppati nella fanghiglia uno sopra l’altro. Come una torta a
strati che Madre Natura si sta pian piano divorando. Adesso i nodi vengono al
pettine. Vecchi e nuovi. Perché la vergogna di via Errera sta scrivendo una
pagina inedita. Lo dice proprio il dossier, visto che qualcuno negli ultimi due
anni ha cominciato a infilare il naso su quanto accaduto. È la Conferenza dei
Servizi ministeriale che con istruttoria dell’aprile scorso ha dato mandato alla
Provincia di trovare chi dovrà rispondere della contaminazione. Dal momento che
la discarica sta all’interno del Sin, il sito inquinato di zona industriale,
vige l’accordo di programma del 2012, secondo cui le opere di analisi
(caratterizzazioni) e le bonifiche sono a carico dei soggetti che hanno
determinato l’inquinamento. Una bomba: è il Comune di Trieste, come accusa il
dossier, cioè l’ente a cui era stata affidata la discarica. La Provincia,
incaricata a indagare, si è mossa avanti. E il 16 maggio scorso, negli ultimi
scampoli della giunta Cosolini, ha sollecitato il municipio a fornire tutta la
documentazione del caso: il progetto e la gestione dell’area. Non solo. Anche
«fatti riguardanti eventuali episodi di conferimento illecito di materiali». Un
passaggio delicato. La stessa richiesta è stata inoltrata all’Autorità portuale
(che si è dichiarata «non responsabile» di alcunché, ndr), a Regione Fvg, Arpa e
Asuits. Un mese dopo il Comune domanda una proroga per preparare il faldone. La
Provincia concede 60 giorni in più, precisando che «alla scadenza del termine le
indagini sarebbero state chiuse, dando corso agli atti conseguenti previsti
dalla norma di settore». Siamo ormai in piena giunta Dipiazza e il Comune,
denuncia il dossier, «non ha fornito elementi utili all’istruttoria». Nel
terreno e nella falda, intanto, sono stati rinvenuti metalli e idrocarburi
pesanti. Benzopirene. Diossine. Tutti i campioni sono ritenuti «rifiuti speciali
pericolosi».
di Gianpaolo Sarti
Ma c’è chi va a pescare in mezzo alle scorie
Sversamenti a mare a poche decine di metri in linea d’aria, rifiuti di ogni
tipo lungo la costa, terra mista a cavi e detriti pericolosi direttamente a
contatto con l’acqua. E di fronte a tutto questo la gente cosa fa? Pesca. Già,
il Canale navigabile della zona industriale spesso ospita più di qualche
pescatore delle domenica, con canna e cestello. Gli irriducibili di canne e
lenze, incuranti dei problemi di contaminazione ambientale, gettano l’amo lì,
come se fossero a Barcola. «Effettivamente mi hanno detto che c’è pure chi si
mette perfino nella zona dell’oleodotto, dove il sedimento è fortemente
inquinato - conferma l’ex presidente di Legambiente di Trieste e del Friuli
Venezia Giulia Lino Santoro -. Ci sono persone che vanno in quella zona di
notte, stranamente nessuno le vede. C’è da domandarsi dove va a finire il pesce.
Entra nel giro del commercio? Viene venduto sui banchi delle pescherie? Lo
mangiamo? Speriamo proprio di no - conclude l’ex responsabile dell’associazione
ambientalista - ma, a essere sincero, qualche dubbio sul destino di quel pesce
mi è effettivamente venuto». La presenza di pescatori è stata notata anche dagli
operai che lavorano nelle aziende che si trovano nei paraggi: talvolta
scavalcano i punti recintati e si siedono sui pontili. È accaduto, ad esempio,
nello specchio d’acqua lungo il terminale portuale di Italcementi, a poche
decine di metri dal termovalorizzatore e dal depuratore.
(g.s.)
"Un vero disastro ignorato per anni" L’ambientalista Santoro: «I nostri allarmi sono caduti colpevolmente nel vuoto»
LE AZIONI DA ATTUARE - Sono possibili interventi
precisi con fondi europei e nazionali
«Già, un vero disastro, non ci sono mezze parole». Lino Santoro, uno dei
fondatori di Legambiente a Trieste, per anni alla guida dell'associazione,
conosce a fondo la questione del deposito di via Errera. «Mi ricordo bene di
quella discarica, nessuno ha mai fatto nulla per anni». Santoro, Legambiente in
passato aveva denunciato pubblicamente il problema, cosa è successo? Avevamo
anche manifestato lì, in via Errera, era la fine anni Ottanta credo. Poi nel
tempo l'area è stata abbandonata a se stessa. Era una classica discarica, dove
una volta si buttava di tutto. Con l'andare del tempo la pioggia e le
infiltrazioni d'acqua nel terreno portano gli idrocarburi sotto. Questo accade
anche in Carso nelle grotte inquinate. In via Errera dovevano fare una barriera
a mare per evitare che l'acqua piovana a le falde trascinassero le sostanze
inquinanti nell'acqua. Visto che quella era una discarica di rifiuti all'interno
del Sito inquinato di Trieste, le soluzioni potevano essere due: o si tombava
tutto, quindi cementificando l'area, o si procedeva con lo svuotamento e la
bonifica. Non mi risulta si sia fatto alcunché. Come si potrebbe agire ora? Ci
sono dei finanziamenti nazionali ed europei per attivare interventi precisi, ad
esempio per il prelievo dell'acqua inquinata, il trattamento e il riversamento
in mare. Ma lì ci sono anche rifiuti, che vanno portati via. La zona deve essere
messa in sicurezza, altrimenti la falda che passa all'interno della discarica
continua a finire in mare. I documenti scrivono che l'inquinante è degradato nel
mare; anzi, più precisamente che «la discarica è stata realizzata scaricando
rifiuti direttamente sui sedimenti marini senza alcuna opera di protezione».
Questo cosa comporta dal punto di vista puramente ambientale? Beh, significa che
nel mare abbiamo acqua inquinata e quindi tutta la catena alimentare ne risente,
dai microrganismi marini al pesce. È un disastro. E qualcuno in quella zona del
Canale navigabile va pure a pescare, come noto. Perché nessuno è mai intervenuto
per la bonifica dell’ex discarica? Perché viviamo in Paese diciamo un po’
particolare, dove i soldi non vengono utilizzati in modo corretto. Evidentemente
conviene muoversi in un altro modo. Quale? Trascinare tutto nel tempo con la
scusa delle caratterizzazioni, cioè dello studio dei livelli di inquinamento sui
vari strati di terreno. Durano anni, perché ci sono soldi di mezzo. Ricordiamo
cosa è successo nella Laguna di Marano e Grado, con gli esiti giudiziari della
vicenda.
(g.s.)
Materiali e residui sparsi su 500 ettari - Acqua
torbida nel tratto dallo Scalo Legnami al Rio Ospo che include anche l’ex Esso a
Zaule e l’ex Aquila a Muggia
Forse non servono grandi esperti per rendersi conto di cos’è quella parte di
lungomare che va da Scalo Legnami a Rio Ospo. Acqua torbida, a tratti oleosa.
Tra piccole spiagge e banchine per lo scarico delle merci, si intravedono pezzi
di lamiera, taniche e copertoni di auto e camion. Un inquinamento di proporzioni
mai quantificate davvero che racconta la storia industriale di Trieste, dove
sono state autorizzate discariche un tempo pienamente legali. La costa in buona
sostanza coincide con la planimetria ufficiale del Sin, il Sito di interesse
nazionale, giudicato inquinato e quindi soggetto a studi e bonifiche. Questione
annosa e che blocca lo sviluppo imprenditoriale della città. Si parla di 500
ettari di terreno dove sono insediate decine di imprese e altri 1.200 a mare in
cui rientra a pieno titolo pure il Canale Navigabile. È la linea di mare
appunto, evidentemente contaminata. A cominciare dalla superficie occupata dalla
Ferriera, come noto, oggetto di interventi di risanamento e progetti per
impedire lo sversamento dei materiali. Nel novero rientra soprattutto l’area
dell’ex Esso, vicino a Zaule, secondo alcuni il punto peggiore in assoluto nel
Nord Adriatico. L’area è stata sede di attività di raffinazione del greggio dal
1895 al 1967; successivamente è stata affiancata pure la raffinazione di oli
lubrificanti. Nel ’69 il sito è stato adibito a deposito costiero della Esso
Standard Italiana spa, rimasto all’opera fino al ’79. Durante tutto quel periodo
varie aree demaniali del litorale sono state impiegate per l’accumulo di residui
delle lavorazioni (olii, morchie e fanghi bituminosi). Il tratto è stato
restituito al demanio nel 1982 senza alcuna bonifica. Studi, in quel punto, non
sono mancati: nel suolo e in acqua in passato e a diverse riprese è stata
accertata la presenza di residui catraminosi, idrocarburi, ceneri da
inceneritore, metalli pesanti (mercurio, cadmio, piombo e nichel), compreso
l’amianto. Per non parlare della zona ex Aquila a Muggia che un tempo ospitava
una raffineria. Una parte è stata acquistata dalla Teseco che punta alla
bonifica. La stessa ex discarica di via Errera, il grande problema che si sta
riaffacciando ora, giace nel perimetro del Sin, all’interno del “Comparto Grandi
Operatori”, come definito nell’accordo di programma del 25 maggio 2012. L’area
ricade proprio tra i punti “presuntivamente” inquinati dagli enti pubblici. Già,
enti pubblici, perché è stata proprio la Regione Friuli Venezia Giulia, con
decreto n. 426 del 24 agosto 1983, ad autorizzare il Comune di Trieste allo
scarico di materiali solidi inerti nello specchio acqueo tra il Canale
Navigabile di Zaule e via Errera, ai sensi delle normative vigenti in quel
periodo (legge regionale del 13 luglio 1981, articolo 15). La gestione della
discarica è stata concessa sempre dalla Regione Fvg con decreto del 19 ottobre
1983. È ubicata proprio a valle dell’ex Esso e a Ovest del terrapieno realizzato
a partire dagli anni ’40 e fino alla fine degli anni ’70 in tutta l’area della
sponda Nord del Canale. Un pezzo di terra messo su con le macerie dei
bombardamenti e con il parziale sbancamento del Monte San Pantaleone, nonché con
i rifiuti provenienti da altre discariche comunali.
(g.s.)
L’ente camerale difende il Parco del mare su Facebook
La Camera di commercio della Venezia Giulia ha attivato una pagina Facebook
dedicata al Parco del Mare di Trieste. L'iniziativa ha lo scopo di informare la
cittadinanza sulle azioni in corso per realizzare il progetto, considerato
«occasione di sviluppo economico del territorio». Nella pagina Facebook,
denominata “Parco del Mare di Trieste-Trieste Sea Park”, è anche riportata una
sintetica cronistoria. Spazio è destinato inoltre al dibattito in corso con la
cittadinanza e in particolare alla “petizione comitato La Lanterna su Change.org:
controdeduzioni e richiesta rimozione”: ci sono in quel documento «affermazioni
- sostiene il presidente camerale, Antonio Paoletti - che non corrispondono alla
realtà proprio perché il concept del progetto non è mai stato presentato».
Paoletti annuncia che «la Camera di commercio sta lavorando ad una presentazione
pubblica alla città del concept progettuale del Parco del Mare di Trieste che
verrà fatta a primavera». Nella sezione è spiegato anche che l'impianto «non
oscurerebbe un monumento storico ottocentesco», che la costruzione «non sarà
pressoché visibile dalle rive» ma «solo da metà Molo Audace verso mare, ad una
distanza ormai di quasi un chilometro!» e che «non sarebbe visibile nemmeno
dalla Sacchetta in quanto «coperto quasi totalmente dagli edifici già esistenti
attorno alla Lanterna». Infine, il Parco «non arrecherà nessun disturbo al bagno
storico Pedocin» né ci saranno problemi in merito «alla stabilità dell'Acquario
su terreno di riporto, e la costruzione sarà su micropali di lunghezza circa 40
metri, ovviamente come, ad esempio, la Stazione Marittima, la Piscina
Terapeutica o altri edifici in zona». Secondo il cronoprogramma camerale, la
realizzazione, prevista nell’area ex Cartubi sotto la Lanterna e di fianco al
Pedocin, richiede un investimento pubblico-privato di oltre 40 milioni di euro.
Il centrosinistra “blinda” la Tripcovich - Fronte
compatto di Pd e alleati per opporsi all’abbattimento. Sollecitata la ricerca di
nuovi fondi per pagare il restyling
Sala Tripcovich giù, Sala Tripcovich su. L’ex stazione delle autocorriere,
disegnata dall’architetto Umberto Nordio e costruita nel 1936, torna al centro
del dibattito politico. L’opposizione di centrosinistra ha infatti presentato
nei giorni scorsi una mozione (firmata in testa dall’ex sindaco Roberto
Cosolini) che si oppone al “piccone risanatore” ritirato fuori per la seconda
volta dal sindaco Roberto Dipiazza. “Salvaguardia e (addirittura) rilancio della
Sala Tripcovich” è il titolo della mozione che vede il gruppo del Pd, capitanato
da Fabiana Martini, schierato assieme all’ex presidente della Provincia Maria
Teresa Bassa Poropat (Insieme per Trieste) e a Roberto de Gioia (Verdi-Psi).
L’iniziativa si oppone all’idea della demolizione che starebbe dietro la
chiusura urgente (per motivi di sicurezza e agibilità) decisa dal sindaco il 7
febbraio di concerto con il sovrintendente del Verdi Stefano Pace: la Sala
Tripcovich fa parte infatti del patrimonio del teatro lirico. Nella Sala
Tripcovich si è concluso a fine gennaio il più importante festival
cinematografico della città (Trieste Film Festival) che ha ospitato (in una
struttura quindi “pericolosa”) Monica Bellucci (premiata con l’Eastern Star
Award 2017) e il regista Marco Bellocchio. «Quando c’era quella bellissima
attrice non mi sono presentato, perché mi vergognavo come sindaco» ha fatto
sapere a TeleQuattro Dipiazza, che è anche presidente della Fondazione del
Teatro lirico Giuseppe Verdi. Quale futuro per la Tripcovich? Il primo cittadino
non ha mai fatto mistero di vedere quella sala, regalata alla città dal barone
Raffaello de Banfield, un ingombro per piazza Libertà e un intralcio
all’ingresso monumentale in Porto vecchio. Nella mozione l’ex sindaco Cosolini
con tutto il centrosinistra eleva, invece, un elogio dell’ex stazione delle
autocorriere riconvertita in teatro nel 1994. «La Sala - si evidenzia nella
mozione - ha avuto un ruolo essenziale per il settore culturale cittadino e
regionale nel corso degli anni, passando da soluzione provvisoria per ospitare
spettacoli del Teatro Verdi e del Rossetti, durante i periodi delle rispettive
ristrutturazioni, a luogo ideale per iniziative di spettacolo di grande richiamo
al di fuori del sistema teatrale cittadino, a sede principale di due festival
cinematografici di livello internazionale e a sede per le iniziative di
prestigio come il Conservatorio Tartini e la Chamber Music». Una sala unica «per
ampiezza della platea, metratura del palco e acustica». Per questo la mozione
manifesta «la contrarietà di demolizione della Sala, fatta salva la preventiva
identificazione di una sede alternativa». E quindi vorrebbe impegnare il sindaco
e la giunta «a verificare, congiuntamente al sovrintendente del Teatro Verdi,
anche tramite il coinvolgimento di privati, la possibilità di reperire i
finanziamenti adeguati a supportare eventuali costi che di rendessero necessari
per mantenere l’agibilità della sala». Inoltre chiede di convocare «un tavolo
con i principali soggetti utilizzatori passati e potenziali della Sala
Tripcovich per valutarne le loro esigenze ed una loro eventuale disponibilità a
farsi carico della gestione della sala e comunque a rilanciare un progetto per
un maggior utilizzo della stessa». Giù le mani dalla Tripcovich, insomma.
Fabio Dorigo
IL PICCOLO - MARTEDI', 21 febbraio 2017
Giù alberi e siepi per liberare la scuola ostaggio dei
cinghiali - Al via i lavori all’istituto comprensivo di via Commerciale -
L’intervento durerà due settimane e costerà 45mila euro
È un po’ come decidersi a dare una bella accorciata ai capelli d’un bimbo
che frequenta una classe infestata dai pidocchi, a titolo giustamente
preventivo. È un po’ come, certo, ma non è proprio così, perché qui il rischio è
ben più serio del doversi semmai grattare la testa o del disgusto dato dal
ritrovarsi al caso un minuscolo parassita sul cuscino fresco di bucato. Per
scongiurare ogni eventuale incidente, qualsiasi imprevisto peggiore degli
avvistamenti di cinghiali denunciati finora nei paraggi, il Comune - anche in
risposta alle sollecitazioni giunte da insegnanti e genitori - scende
ufficialmente in campo con tecnici, manovali, motoseghe, falciatrici e rastrelli
per “rasare” la vegetazione incolta che oggi circonda il comprensorio scolastico
di via Commerciale sotto Campo Cologna e che rappresenta certamente una delle
concause principali delle allarmanti “incursioni” dei bestioni selvatici nel
comprensorio stesso. Costo dell’operazione - che partirà in questi giorni e che
prevede pure la sistemazione della recinzione nei punti in cui, proprio grazie
alla pulizia del verde, sarà nuovamente possibile localizzare i “buchi” da dove
trovano un facile accesso gli animali - circa 45mila euro, reperiti negli
assestamenti del bilancio 2016. Non proprio bruscandoli. Ma la sicurezza con la
“S” maiuscola, specie quando ci sono di mezzo i bambini - e si sa quanto
pericolose possono rivelarsi le scorribande dei cinghiali e soprattutto le loro
successive fughe tra le persone in preda alla paura - non ha prezzo. Ad
annunciare l’intervento è il ticket rosa, oramai collaudato quando si tratta di
mettere mano alle scuole, costituito dagli assessori ai Lavori pubblici e
all’Educazione Elisa Lodi e Angela Brandi, che ieri hanno fatto diffondere
all’Ufficio stampa del Comune un comunicato in cui informano appunto che al
sopralluogo urgente compiuto in loco esattamente due settimane fa, il 6 febbraio
- dopo che poche ore prima la Forestale aveva dovuto abbattere tre esemplari da
mezzo quintale dentro il recinto - ora segue finalmente l’attesissimo intervento
di messa in sicurezza della cintura verde attorno al polo che ospita
l’elementare Longo, la materna Tomizza e il nido comunale Verdenido. «Questa
settimana inizieranno le operazioni di sfoltimento di tutta una fascia di circa
due o tre metri lungo tutto il perimetro del comprensorio scolastico», così Lodi
e Brandi nella nota stampa. L’intervento - che dovrebbe durare una quindicina di
giorni - si concretizzerà in «un sensibile sfoltimento» tra «sottobosco» e
«rampicanti» sulla «recinzione», nonché nella «potatura» delle «alberature che
invadono le sedi stradali delle vie che circondano il comprensorio». E «sarà poi
sostituta la recinzione dove mancante o insufficiente e sarà garantito un
accesso agibile lungo tutto il perimetro per rendere possibili e meno costose le
future manutenzioni». A proposito quindi della «grande superficie verde di
pertinenza, molta parte di essa lasciata a bosco spontaneo, specialmente quella
lungo il perimetro», la giunta Dipiazza non manca neanche in questa occasione di
prendere - almeno a quanto è lasciato intendere - le distanze da quella che l’ha
preceduta: «Negli anni passati - recita in effetti la nota di Lodi e Brandi -
sono stati ridotti gli interventi di manutenzione ordinaria sul verde in genere
dei comprensori scolastici e in particolare di quelli di dimensioni come quello
di via Commerciale, limitando gli interventi alle zone realmente fruite
dall’utenza scolastica. Tutto ciò, oltre ad aver fatto raggiungere il limite
relativo possibile per ragioni di sicurezza e stabilità della situazione di
molte alberature lungo il perimetro che interferiscono con la viabilità
circostante, ha anche favorito il fenomeno dello stazionamento di cinghiali
nell’ormai fitto sottobosco che si è naturalmente creato in ampie zone del
comprensorio».
Piero Rauber
Insegnanti e famiglie in allarme da settembre -
Abbattuti di recente dai forestali tre esemplari - il caso
Insegnanti e famiglie convivono da settembre con l’ansia cinghiali in zona,
alimentata da avvistamenti a “intermittenza”. Ma la situazione si è fatta
insostenibile tra fine gennaio e inizio febbraio, quando un sabato la Forestale
è dovuta intervenire per abbattere un gruppo di quattro esemplari da 50 chili,
di cui uno è riuscito a fuggire. La dirigente scolastica Tiziana Farci ha
allertato ovviamente anche il Comune - e lo stesso Roberto Dipiazza (nella foto)
si è fatto un giro per verificare di persona l’andazzo - e ha preso una serie di
provvedimenti precauzionali come la chiusura degli accessi al giardino e alla
scuola più vicini al capolinea della 28, i più critici, limitando i passaggi al
solo ingresso principale.
(pi.ra.)
eHABITAT.it - LUNEDI', 20 febbraio 2017
Aree naturali terrestri: quasi un decimo distrutto negli ultimi 20 anni
Secondo un recente studio pubblicato sulla rivista
Current Biology, un decimo delle aree naturali terrestri è andato perduto dai
primi anni ’90 ad oggi. E senza una decisa inversione di tendenza, potrebbero
non esisterne più entro il 2100.
I ricercatori hanno scoperto infatti che un territorio pari al doppio della
superficie dell’Alaska è stato distrutto da attività umane quali la conversione
dei terreni ad uso agricolo, da attività di tipo industriale e dallo sviluppo di
nuove infrastrutture. Sono andati perduti 3.3 milioni di chilometri quadrati,
che equivalgono a poco meno del 10% del totale delle aree naturali terrestri. Le
perdite più consistenti sono state registrate in Sud America (-29.6%) e Africa
(-14%). Secondo i ricercatori, attualmente le aree che permangono intatte
ammontano al 23.2% della superficie terrestre globale, pari a 30.1 milioni di
chilometri quadrati.
«Nonostante le aree naturali siano fondamentali per la conservazione della
biodiversità, per la regolazione dei microclimi locali e per il sostentamento di
molte comunità locali emarginate politicamente ed economicamente, queste sono
completamente ignorate a livello di politica ambientale» ha affermato il dott.
James Watson dell’Università del Queensland in Australia, autore principale
dello studio. «Senza politiche specifiche volte a proteggere queste aree, esse
diventano vittime dello sviluppo diffuso. Ci rimangono probabilmente da uno a
due decenni per modificare tutto ciò. Gli organi politici internazionali devono
individuare le azioni necessarie per preservare le aree naturali esistenti,
prima che sia troppo tardi».
La perdita su vasta scala delle aree naturali esistenti potrebbe avere
conseguenze disastrose a livello di cambiamento climatico. Le foreste
immagazzinano infatti grandi quantità di carbonio che, se rilasciate
nell’atmosfera, potrebbero accelerare il processo di riscaldamento globale. Gli
autori precisano che «evitare le emissioni proteggendo le aree naturali, in
particolare quelle boreali e dell’Amazzonia, darebbe un contributo significativo
alla stabilizzazione delle concentrazioni atmosferiche di CO2».
Lo studio sostiene infatti che la distruzione delle foreste causata da attività
industriali ed estrattive, dagli incendi provocati dall’uomo e dai rapidi
cambiamenti climatici degli ultimi anni, potrebbe trasformare queste ultime da
serbatoi benefici in grado di assorbire carbonio, a dannose fonti di emissione
dello stesso. La perdita delle aree naturali, inoltre, minaccerebbe anche la
sopravvivenza di molte specie animali inserite nella lista rossa delle specie in
via di estinzione.
Lo studio avverte che la perdita delle aree naturali è irreversibile. Pertanto,
debbono essere intraprese azioni immediate su larga scala per proteggerle dalle
attività umane, al fine di assicurare che gli ecosistemi esistenti possano
continuare ad esistere, garantendo il persistere di processi ecologici ed
evolutivi essenziali, nonché il benessere stesso delle generazioni future.
ALESSANDRA VAROTTO
IL PICCOLO - LUNEDI', 20 febbraio 2017
Restyling senza Canale in piazza Sant’Antonio - I Lavori pubblici inseriscono nel Piano delle opere la riqualificazione ma non terranno conto delle indicazioni sortite dal concorso di idee
Una questione di coerenza urbanistica. O meglio di estetica urbana. La piazza di Sant’Antonio non può restare così come è. Poichè tutt’attorno a essa fervono o ferveranno importanti lavori per riqualificare il Borgo Teresiano, non ha molto senso che la piazza, svaniti i sogni acquei della giunta precedente, non abbia la stessa qualità di quanto si sta facendo nelle adiacenze. Per ora è ancora sotto traccia, ma i Lavori Pubblici comunali vogliono iscrivere nel Piano triennale delle opere, di prossima edizione e strettamente connesso al bilancio 2017, la “redenzione” di uno spazio urbano trascurato in mezzo a uno degli scorci più belli e più fotografati della città. Piazza Sant’Antonio si estende da via San Spiridione alla scalinata della grande chiesa neoclassica e ospita le bancarelle di prodotti alimentari, che in precedenza stazionavano in piazza Ponterosso. L’orientamento comunale, che andrà verificato con il sindaco e con il settore finanziario, è quello di risistemare la piazza prescindendo dalla riapertura del Canale, idea che all’attuale amministrazione non garba per molteplici ragioni, a cominciare da quelle finanziarie. Quindi si tratterà di un’operazione con caratteristiche “terrestri”, da realizzare con progettualità interna agli uffici, sulla quale non incideranno le risultanze del concorso di idee, che si svolse un anno fa e che in aprile ebbe i tre premiati. La convinzione, maturata nei Lavori pubblici, si basa sul fatto che lavori per poco meno di 3 milioni di euro sono cantierati nei pressi della chiesa e della sua piazza. Oltre un milione per pavimentare le sponde del Canale tra le Rive e via Roma. Circa 900mila euro sono destinati a finanziare il secondo lotto delle opere per la sicurezza e le facciate della chiesa. Alla riqualificazione di via XXX Ottobre, tra Sant’Antonio e piazza Oberdan, provvederanno 800mila euro agganciati al piano Pisus: il cantiere avrebbe dovuto essere aperto già in gennaio, ma l’appalto è stato impugnato e il Tar deciderà l’8 marzo prossimo il ricorso contro l’aggiudicazione a Friulana Costruzioni. Senza dimenticare che il Municipio sta svuotando palazzo Carciotti: nel 2018 sarà messo all’asta per una possibile riconversione alberghiera. Da un ventaglio di interventi, che coinvolge una significativa porzione del Borgo Teresiano a integrare quanto già realizzato durante l’era cosoliniana sull’asse Ponterosso-via Trento-largo Panfili, rischiava di rimanere estranea la piazza dedicata al Santo lisbonese-padovano: da questa premessa si comprende meglio l’impegno dei Lavori pubblici a reinserire la piazza nell’agenda delle opere triennali. L’attuale sito venne ottenuto nella prima metà degli anni Trenta con l’interramento del Canale, riempito con l’escavo di Montuzza. In precedenza l’acqua arrivava ai piedi della scalinata della chiesa. Una certa aria di precarietà ha accompagnato questa superficie, sulla quale si affacciano i lati della Chiesa serbo-ortodossa e della fondazione Scaramangà, uno storico caffè come lo Stella Polare. Dietro sollecitazione di Andrea Dapretto, assessore ai Lavori pubblici della giunta Cosolini, a fine 2015 il Comune decise di lanciare un concorso di idee, finalizzato a ottenere spunti progettuali per ripensare piazza Sant’Antonio: tra l’altro veniva apertamente riconsiderato l’interramento del Canal Grande, tanto da vagheggiare il ritorno dell’acqua vicino alla chiesa. Un sondaggio del “Piccolo” vedeva prevalere di stretta misura i cittadini favorevoli all’allungamento del Canale. Il Comune mise in palio un montepremi di 15mila euro. Al concorso di idee parteciparono 69 proposte (una venne eliminata per ragioni procedurali). Una commissione, composta da cinque membri, esaminò i progetti. Al primo posto si classificò il “gruppo Sagrado” (Anzil, Zetoni, Modena, De Stefani), che si era ispirato a un lavoro firmato da Gigetta Tamaro. La seconda piazza venne attribuita all’architetto bolognese Paolo Chierici. Medaglia di bronzo al gruppo coordinato da Barbara Fornasir (Fausto Benussi, Rossella Gerbini, Franco Umeri) con la consulenza di Vittorio Sgarbi. L’intero “podio” aveva come filo conduttore progettuale un ampio ricorso all’acqua. Quell’acqua di cui il Dipiazza III intende fare a meno o ne vuole comunque ridimensionare la rilevanza.
Massimo Greco
Verde e strade per migliorare piazza Libertà
Strade e verde pubblico in piazza Libertà. All’avvicinarsi delle scadenze di
bilancio, i Lavori Pubblici comunali redigono l’abituale elenco delle necessità
operative, tra le quali si recupereranno gli interventi in piazza Libertà.
Interventi che non dovrebbero comunque mutare l’attuale assetto dell’ampio
spazio davanti alla Stazione centrale: destino della Sala Tripcovich
permettendo, naturalmente. Ma sembra che il vertice dell’Amministrazione abbia
cambiato opinione sul tema dell’ex stazione delle corriere, che pertanto non
dovrebbe essere abbattuta. AcegasApsAmga sarà incaricata di curare gli aspetti
di competenza. Obiettivo dell’amministrazione è ridare pulizia e decoro a una
delle zone più difficili della città, che però è diventata accesso al Porto
Vecchio in versione “open”.
(magr)
Risorse all’imprenditoria giovanile - Scade oggi il
termine del bando Pisus che mette a disposizione 250mila euro
Artigianato, commercio, turismo, servizi alle persone in versione junior.
C’è un “Pisus” per tutti: dietro questo buffo lessema, acronimo di “Piano
integrato di sviluppo urbano sostenibile”, ci sono risorse Ue filtrate dalla
Regione Fvg e indirizzate alle pubbliche amministrazioni richiedenti. Tra queste
c’è il Comune di Trieste: oggi lunedì 20 febbraio alle ore 12, per esempio,
scade il bando per accedere ai contributi 2016 che supportano la piccola e media
imprenditoria giovanile operante nel territorio municipale. In questo caso sono
in palio 250 mila euro, attribuibili solo a progetti presentati da Pmi che
prevedano interventi ubicati nel Comune. Il bando avrà una durata di tre anni e
l’Amministrazione si riserva - nel caso fluiscano risorse fresche - di
rimpolpare la posta. Dal punto di vista anagrafico vengono distinte tre fasce
d’età “under 40”, “under 35”, “under 30”. Il comma “a” dell’art. 3, dedicato ai
requisiti della domanda, elenca cosa possa essere finanziato: «manutenzioni,
restauri, ristrutturazioni edilizie, interventi impiantistici, ampliamento o
ammodernamento della sede, degli spazi produttivi o espositivi anche con
acquisizione di beni e servizi, con particolare riguardo all’utilizzo di
tecnologie digitali». A cosa debbono essere finalizzati questi investimenti? Il
testo del bando replica: al miglioramento dell’attrattività, dell’immagine,
della visibilità dell’impresa. Al miglioramento dell’accessibilità della sede e
della sostenibilità ambientale dell’attività aziendale. L’abbattimento delle
barriere architettoniche e la riqualificazione energetica sono alcune degli
interventi considerati. Il contributo non potrà superare il 30% della spesa
ammissibile, con un limite massimo per progetto pari a 18 mila euro. Ma non
saranno erogati quattrini a progetti la cui spesa ammissibile determini un
contributo inferiore a 6 mila euro. Difficile prevedere quante proposte possano
essere soddisfatte, ma con questi parametri è ragionevole ritenere che alcune
decine di piccole imprese potranno avvantaggiarsi dell’ausilio Pisus. C’è un
altro paletto - previsto dalla legislazione regionale - inserito tra i requisiti
indispensabili per accedere al riparto: non si possono presentare domande che
riguardino sale-gioco posizionate entro 500 metri «dai luoghi sensibili». In
termini di ammissibilità sono particolarmente “premiate” le esecuzioni di opere
edili e impiantistiche fino a un massimo di 60 mila euro; fino a 30 mila euro
per l’acquisizione di beni e fino a 30 mila euro per l’acquisizione di servizi.
I lavori edili debbono essere avviati entro 60 giorni dalla comunicazione
comunale che concede il contributo. La gestione di questa operazione è in capo
alle Attività economiche del Comune. A fronte di domande ritenute irregolari o
incomplete gli uffici competenti assegneranno un periodo di 10 giorni -
prorogabili di altri cinque giorni - per provvedere alla regolarizzazione e
integrazione della domanda.
magr
«Fontana e alberi sono le priorità» - Non tutti
apprezzavano l’idea dell’acqua fin sotto la chiesa - Si pensa piuttosto alla
pavimentazione e a nuovi parcheggi
Basta progetti complessi, alla piazza serve un giardino curato, con nuove
piante, panchine e un pavimento sistemato. È l’opinione di commercianti ed
esercenti di piazza Sant’Antonio, che segnalano il degrado della zona e
propongono idee semplici ma a loro parere efficaci, per cambiare uno spazio
molto amato da triestini e turisti. Qualcuno si dice contento che il progetto
dell'allungamento del canale sia stato archiviato, altri invece preferivano
quella novità annunciata tempo fa. «Se non si farà è meglio così - commenta
Andrea Neri dall’omonima farmacia - già qui d'estate ci sono zanzare, che
sarebbero sicuramente aumentate, oltre al fatto che veniva meno uno spazio
fruibile dalla gente. Pensando a una sistemazione generale, credo che il primo
aspetto da migliorare con urgenza sia il pavimento, che è seriamente
danneggiato, si rischia di cadere, e in generale ci vuole pulizia e controllo.
Negli ultimi anni la situazione è peggiorata notevolmente, tra bivacchi e
sporcizia, ed è un peccato perché si tratta di punto della città che ogni giorno
segna l’arrivo di moltissimi turisti. Poi - aggiunge - credo sia opportuno
pensare a un parcheggio sotterraneo, liberando dalle auto le vie vicine. In
tempi di crisi economica ci vuole una soluzione così, per garantire una maggior
presenza di persone, come già accade in molte grandi città, e se sotto c’è
l’acqua esisteranno sicuramente sistemi moderni per costruire evitando
problemi». Nella vicina Libreria del Centro, ex Borsatti, dietro la cassa Lisa
Rabach ha un’idea diversa sul prolungamento del canale ormai tramontata. «Poteva
rappresentare qualcosa di nuovo - dice - un ritorno a quello che era un tempo
l’aspetto di questa zona, con l'acqua quasi fin sotto la chiesa. In ogni caso
suggerisco di pensare a piantare alberi, per creare un po’ d’ombra, e a curare
maggiormente le aiuole, perché non ci sia il rischio che diventi uno spazio
triste come il Giardino Pubblico. E qui siamo in pieno centro». «Importante
sicuramente - aggiunge il collega Marco Palcic - garantire nuova vita alla
fontana, che in questo momento fa davvero pena e poi risistemare la
pavimentazione, viste le tante persone che ogni giorno ci passano. L’idea del
canale allungato a me non convinceva molto, anche perché ogni tanto abbiamo la
percezione che la fogna in zona non funzioni benissimo, e forse aprire uno
spazio nel canale avrebbe peggiorato il tutto». Punta a un bel giardino anche il
parroco della chiesa di Sant’Antonio, don Fortunato Giursi, che però chiede pure
di poter spostare mercatini e bancarelle nella zona di Ponterosso. «Già nel
corso del tempo tante zone verdi di Trieste sono state eliminate - ricorda - qui
ci vogliono nuove piante, valorizzare la fontana, che funzioni sempre, e
sistemare le pietre dove si cammina, sono pericolose. Inserirei anche nuove
panchine, perché tra bar e negozi, è una parte della città molto attiva e un
punto di aggregazione che si potrebbe migliorare con poco. E poi - evidenzia -
credo sia giusto eliminare da questa piazza tutte le bancarelle, sia quelle di
frutta e verdura, sia quelle che vengono posizionate in occasione di particolari
eventi come a Natale, siano gazebo che piccole o grandi strutture. Starebbero
meglio in piazza Ponterosso, qui è bello poter contare su una visuale aperta,
dove la chiesa si possa ammirare sempre, già dall’inizio del canale». Poco più
giù, anche dal bar “Xè, gelati e caffè” si leva la richiesta di pensare a un
giardino curato. «Semplicemente serve un’area verde ben tenuta e una fontana
ripristinata - dice Alessandro Rossi -. Poi speriamo in una clemenza maggiore da
parte delle forze dell’ordine, siamo stati spesso bastonati con le multe. Un
parcheggio sotterraneo forse risolverebbe la carenza di parcheggi, ma solo se
fatto in tempi brevi e non con le solite lungaggini all’italiana». Alcune
famiglie a passeggio chiedono di pensare a uno spazio per i più piccoli. «La
fontana ogni tanto sembra una piscina abbandonata - sottolineano - ed è brutto
vederla così, se non c’è la voglia di metterla a posto o rivitalizzarla, meglio
eliminarla del tutto e sistemare magari qualche gioco per i bambini».
Micol Brusaferro
Gli scout liberano il Carso da pneumatici e batterie -
Trecento giovani dell’Agesci in azione sulla strada forestale Trebiciano-Gropada
Scoperti anche pezzi di auto e gabbiette di uccellini. Prevista
un’iniziativa bis
TRIESTE - Pneumatici, batterie usate, pezzi di vetture, gabbiette di
uccellini. Sono questi solo alcuni degli oggetti recuperati ieri dai trecento
scout del gruppo di Trieste dell’Associazione guide e scout cattolici italiani
(Agesci) impegnati nella pulizia della strada forestale che collega Trebiciano e
Gropada. È stata questa la modalità scelta per celebrare la Giornata del
Pensiero, evento scout internazionale che ricorda la nascita del fondatore del
movimento scoutistico, Robert Baden Powell. «I gruppi Agesci di Trieste e Muggia
- aveva spiegato alla vigilia Pietro Naccari, capo scout e membro del Comitato
della zona di Trieste dell’Agesci - quest’anno intendono svolgere un’attività di
educazione ambientale e di cura del territorio. Inizialmente l’idea era quella
di ripulire un’ampia zona del Carso da tutti i rifiuti più o meno ingombranti
che creano piccole discariche a cielo aperto - aveva precisato - e che sono
veramente uno scempio per il nostro bel territorio. Contattata la Stazione
forestale di Basovizza - aveva aggiunto - ci è stato chiesto di rivolgere il
nostro servizio a un’altra attività forse anche più importante, ovvero la
pulizia della strada forestale che collega Trebiciano a Gropada e che risulta
non essere percorribile dagli automezzi. In caso di emergenza, per esempio
quando scoppia un incendio, evento purtroppo non raro sull’altopiano,
soprattutto nei mesi estivi - aveva proseguito Naccari - questa strada, che è
una via di collegamento molto importante tra i due paesi, se non ripulita,
purtroppo risulta inutilizzabile». Perciò circa trecento ragazzi, fra i sette e
i vent’anni, si sono impegnati nel taglio della vegetazione arbustiva cresciuta
sul manto stradale e nel ripristino dei muretti a secco che, caduti, occupano la
strada. «Riteniamo - aveva continuato il capo scout - che la cura del
territorio, oltre a essere un importante segno di civiltà, potrebbe anche
aiutare nelle situazioni inaspettate e di emergenza, ecco perché questa scelta
la consideriamo adatta per festeggiare un evento per noi importante come la
celebrazione della nascita del fondatore del movimento scout internazionale.
L’occasione - aveva concluso Naccari - sarà anche utile per sensibilizzare la
popolazione della città sul tema della tutela dell’ambiente e del rispetto di
tutto ciò che ci circonda». Al termine dell’operazione lungo la strada forestale
da Trebiciano a Gropada, gli scout dell’Agesci si sono impegnati a tornare
sull’altipiano per completare l’opera, che ieri, vista la dimensione delle
immondizie e dei residui verdi, non si è del tutto esaurita.
Ugo Salvini
IL PICCOLO - DOMENICA,19 febbraio 2017
Assalto bis del Comune all’Aia «Il nodo polveri va riscritto»
Dopo il tentativo fallito sull’inquinamento acustico Dipiazza torna alla
carica e chiede alla Regione la revisione dell’Autorizzazione in possesso della
Ferriera
Il Comune di Trieste ci riprova. Dopo il tentativo fallito dello scorso
agosto, in quell’occasione sul fronte dell’inquinamento acustico, chiede
nuovamente alla Regione la revisione dell’Aia (l’Autorizzazione integrata
ambientale) della Ferriera di Servola, stavolta sul nodo polveri, aggiungendoci
la convinzione che, «viste le dichiarazioni costanti di essere dalla parte del
cittadini e della tutela dell'ambiente», l’amministrazione Serracchiani non
dovrebbe avere alcun problema a rispondere. Per adesso, da parte della Regione,
arriva la rassicurazione che «i tecnici prenderanno in esame il documento
inviato dal Comune di Trieste e come sempre lo faranno con l’attenzione e gli
approfondimenti dovuti a una questione di grande rilevanza per la città». Punti
di vista diversi. Da quello di Roberto Dipiazza, che informa di un’«approfondita
azione di controllo in relazione sia all’Accordo di programma che all’Aia
rilasciata per la Ferriera», portata avanti assieme all’assessore all’Ambiente
Luisa Polli e agli uffici, con il supporto del professor Pierluigi Barbieri, i
comitati dei cittadini e le associazioni ambientaliste: «Stanno continuamente
emergendo gravi inadempienze da parte dei soggetti che hanno rilasciato l’Aia».
Il sindaco ha per questo formalmente inviato alla Regione la richiesta di
revisione dell’autorizzazione «in forza sia dei nuovi elementi emersi dalle
indagini del Comune di Trieste, sia in base alla mancata acquisizione di atti
necessari per il rilascio dell’Aia», affermazione che viene accompagnata da una
documentazione allegata. Il Comune, prosegue il sindaco, «ha chiesto per la
prima volta il commento di dati già in possesso dell’Arpa da almeno cinque anni,
commento che la Regione avrebbe dovuto richiedere e tenere in considerazione
prima di rilasciare l’Aia». Secondo Dipiazza la relazione Arpa sul periodo
2011-2015 in merito alle deposizioni del benzo(a)pirene al suolo nell’abitato
mostra «evidenze preoccupanti». E per quel che riguarda il 2016 «l’attuale piano
di monitoraggio e controllo previsto dall’Aia non consente di valutare
miglioramenti rilevanti». Inoltre, «ad oggi manca nei punti critici identificati
nell’abitato un monitoraggio pubblico delle deposizioni, monitoraggio che nel
complesso è stranamente lasciato all’autocontrollo della proprietà dello
stabilimento. È veramente anomalo - conclude il sindaco - che il controllore sia
il controllato». Nel braccio di ferro con la Regione e il gruppo Arvedi,
l’iniziativa del Comune è in sostanza la replica di quanto tentato ad agosto. In
quell’occasione il casus belli fu l’inquinamento acustico. Il Municipio,
invocando la revisione dell’autorizzazione, spiegò che i residenti servolani non
avrebbero potuto attendere 30 mesi prima del miglioramento della situazione, un
riferimento temporale contenuto nel Piano di risanamento acustico presentato da
Siderurgica Triestina secondo i tempi previsti proprio dall’Aia. Fu la prima
tappa di uno scontro che, dopo il «no» tecnico della direzione regionale
Ambiente, è proseguito davanti ai giudici amministrativi, con il Tar che ha però
rigettato l’istanza di sospensiva proposta dal Comune contro il decreto
regionale che accertava il completamento da parte di Siderurgica Triestina di
una serie di adempimenti prescritti dall’Aia. Rispetto alla nuova richiesta di
ieri, la Regione spiega che la questione «ricade sotto la competenza di organi
tecnici, cui è deputato esprimere valutazioni oggettive, in base alle normative
di riferimento, ai dati ufficiali disponibili e, naturalmente, alle prescrizioni
dell’Aia». Ma ribadisce anche che, «in ogni fase del percorso seguito di
concerto con tutti gli altri soggetti coinvolti, ha avuto massima cura per gli
aspetti relativi alla salvaguardia dell’ambiente, alla tutela della salute di
cittadini e lavoratori, nonché ai livelli occupazionali. Anche in questa
circostanza, come in passato - è la conclusione della nota di Palazzo - il
principio di leale collaborazione istituzionale sarà rigorosamente rispettato».
Marco Ballico
Lotta dei tralicci di Chiampore - Nuova causa tra Dcp e
Comune - Ricorso della ditta al Capo dello Stato contro l’abbattimento di una
vecchia palazzina
L’amministrazione di Muggia si oppone alla mossa. E il contenzioso
trasloca al Tar
MUGGIA - L’eterna lotta tra la Dcp Telecomunicazioni di Povegliano (provincia di Treviso) e il Comune di Muggia si arricchisce di un nuovo capitolo. Oggetto della nuova querelle una vecchia palazzina servizi a Chiampore che l’amministrazione Marzi ha intimato alla ditta veneta di abbattere per avere così il permesso di costruirne una nuova. La Dcp Telecomunicazioni, invece che ottemperare a quanto richiesto dal Comune, ha deciso di fare ricorso «contro l’autorizzazione del Comune di Muggia per il completamento dell’impianto di telecomunicazioni di Chiampore». La società ha notificato al Comune l’intenzione di effettuare addirittura un ricorso straordinario al presidente della Repubblica. Poiché però la legge prevede che mediante l’opposizione al ricorso è possibile ottenere la trasposizione del giudizio in sede giurisdizionale, il Comune di Muggia ha deciso di agire, proponendo così opposizione proprio al ricorso straordinario. Una mossa dettata dal fatto che la trasposizione del giudizio dinanzi al giudice amministrativo può fornire, secondo il parere del Comune, «la più adeguata tutela degli interessi pubblici facenti campo all’amministrazione comunale». Di fatto quindi la giunta Marzi ha autorizzato la costituzione dell’amministrazione nel giudizio amministrativo conseguente all’eventuale riassunzione del caso dinanzi al competente Tar, il Tribunale amministrativo regionale. A raccontare la vicenda è il sindaco Laura Marzi: «Siamo stati costretti a fornire un’autorizzazione unica alla Dcp per erigere una casetta su due piani, di cui uno interrato. Al contempo però abbiamo chiesto che il vecchio manufatto esistente, non più congruo con l’attuale Piano regolatore, venisse abbattuto». La Dcp ha deciso invece di porre resistenza alla prescrizione del Comune. La rappresentanza, l’assistenza e la difesa dell’amministrazione sarà affidata dagli avvocati Walter Coren e Antonella Gerin. Dal 2010 circa Comune e Dcp sono entrate in conflitto in seguito alla costruzione del traliccio della Dcp - oltre 30 metri - posto a un centinaio di metri dalle case, vicino a San Floriano Ligon, a Chiampore. Ancora sotto l’amministrazione Nesladek, il Comune si era opposto a partire dal 2011 con due diffide alla Dcp, seguite da una ordinanza in cui si metteva per iscritto che «la Dcp non può vantare alcuna autorizzazione o atto di assenso, con conseguente insussistenza dei presupposti volti a legittimare l'avvio dei lavori» del tralicci. L’atto di sospensione temporanea dei lavori fu impugnato dalla Dcp di fronte al Tar del Friuli Venezia Giulia: prima vittoria dei trevigiani. Da qui il ricorso del Comune al Consiglio di Stato: seconda vittoria della ditta veneta. Ora invece un nuova querelle in vista, questa volta riguardante la palazzina esistente, che l’amministrazione Marzi ha chiesto espressamente venga appunto abbattuta prima della realizzazione di un altro manufatto su due piani. La Dcp ha rifiutato la prescrizione da parte del Comune. Motivo per cui, ancora una volta, si andrà in causa.
Riccardo Tosques
L’Ue finanzia il rigassificatore di Veglia - Bruxelles
dà l’ok al nuovo impianto stanziando 102 milioni di euro per il progetto.
Plenkovi„: rafforzata la sicurezza energetica
ZAGABRIA - La Croazia ha in pratica ricevuto disco verde da parte
dell’Unione europea per la realizzazione del rigassificatore di Veglia. E non
solo il disco verde, ma anche 102 milioni di euro che Bruxelles ha destinato, a
fondo perduto, proprio per la costruzione del futuro impianto. Ma non basta.
Altri 40,5 milioni sono stati garantiti per la realizzazione del progetto
croato-sloveno di miglioramento del sistema di trasporto dell’energia elettrica
“Sincro.Grid”. Da rilevare che questi due progetti fanno parte, assieme ad altre
16 iniziative sempre in campo energetico, del valore complessivo di 444 milioni
di euro, che sono state approvate su proposta della Commissione europea. Ai
Banski dvori il premier croato Andrej Plenkovi„ ha espresso grande soddisfazione
per quanto è stato stabilito a Bruxelles e ha garantito l’impegno del suo
esecutivo per la realizzazione del nuovo impianto a Veglia; esecutivo croato che
già nel novembre scorso aveva inviato alla Commissione europea la richiesta per
il co-finanziamento del terminal a Castelmuschio. Il premier ha altresì
precisato di avere incontrato nei giorni scorsi i rappresentanti dei potenziali
partner della Croazia nella realizzazione del rigassificatore. Stiamo parlando
del consorzio formato dalla spagnola Enagas, della lussemburghese Marguerite e
della lituana Klaipedos Nafta. «Con la realizzazione del rigassificatore
rafforzeremo la sicurezza energetica della Croazia - ha aggiunto Plenkovi - ed
entreremo a pieno diritto a far parte della rete di fornitura di gas
all’Europa». «Il rigassificatore di Veglia - gli ha fatto eco il ministro croato
dell’Ambiente e dell’Energia, Slaven Dobrovi„ - è uno dei progetti più
importanti non soltanto a livello nazionale, ma anche a livello regionale ed
europeo come è dimostrato dalla decisone dell’Unione europea di co-finanziarlo».
Il progetto di Veglia, secondo l’esecutivo croato, sarà in gradi assicurare
nuova linfa produttiva all’intero sistema industriale del Paese e di sviluppare
nuove tecnologie e servizi. Secondo il ministro Dobrovi„ l’opera garantirà
altresì una diminuzione del prezzo del gas metano per la Croazia. Il progetto
prevede la costruzione di un rigassificatore galleggiante a Castelmuschio
sull’isola di Veglia. Attualmente è in corso il procedimento per la scelta degli
investitori strategici. Il tutto dovrebbe diventare operativo nel 2019. Il
valore complessivo dell’investimento è pari a 363 milioni di euro. Per la
costruzione la Croazia ha stanziato ad oggi 101,4 milioni di euro pari al 27,94%
del valore complessivo della infrastruttura energetica.
Mauro Manzin
Trebiciano-Gropada pulita con la carica dei 300 - Gli
scout Agesci in campo oggi per una grande operazione ambientale lungo la vecchia
strada forestale
OPICINA Pulire la strada forestale che collega Trebiciano e Gropada. È
questa la modalità che hanno scelto i 300 ragazzi del gruppo di Trieste
dell’Associazione guide e scout cattolici italiani (Agesci) per celebrare,
stamane, la Giornata del Pensiero, evento scout internazionale che ricorda la
nascita del fondatore del movimento scout, Robert Baden Powell. «I gruppi Agesci
di Trieste e Muggia - spiega Pietro Naccari, caposcout e membro del Comitato
della zona di Trieste dell’Agesci - quest’anno intendono svolgere un’attività di
educazione ambientale e di cura del territorio. Inizialmente l’idea era quella
di ripulire un’ampia zona del Carso da tutti i rifiuti più o meno ingombranti
che creano piccole discariche a cielo aperto - precisa Naccari - e che sono
veramente uno scempio per il nostro bel territorio. Contattata la Stazione
forestale di Basovizza - spiega - ci è stato chiesto di rivolgere il nostro
servizio a un’altra attività forse anche più importante, ovvero la pulizia della
strada forestale che collega Trebiciano a Gropada e che risulta non essere
percorribile dagli automezzi. In caso di emergenza, per esempio, quando scoppia
un incendio che è un evento purtroppo non raro sull’altopiano soprattutto nei
mesi estivi - prosegue Naccari - questa strada, che è una via di collegamento
molto importante tra i due paesi, se non ripulita, purtroppo risulta
inutilizzabile. Oggi perciò circa 300 ragazzi, di età compresa tra i sette e i
20 anni, saranno impegnati nel taglio della vegetazione arbustiva cresciuta sul
manto stradale e nel ripristino dei muretti a secco che, caduti, occupano la
strada. Riteniamo - continua il caposcout - che la cura del territorio, oltre a
essere un importante segno di civiltà, potrebbe anche aiutare nelle situazioni
inaspettate e di emergenza, ecco perché questa scelta la consideriamo adatta per
celebrare un evento per noi importante come la celebrazione della nascita del
fondatore del movimento scout internazionale. L’occasione - conclude Naccari -
sarà anche utile per sensibilizzare la popolazione della città sul tema della
tutela dell’ambiente e del rispetto di tutto ciò che ci circonda». Oggi il
movimento internazionale dello scoutismo, fondato da Baden Powell nel 1907,
conta circa 40 milioni di aderenti. Durante le pattuglie svolge nell’ambito del
servizio militare, Baden Powell ebbe modo di approfondire le sue conoscenze in
ambito di sopravvivenza e comportamento, rivolgendo il suo pensiero
all’applicazione di queste arti presso un pubblico giovane, ponendo così le basi
per quelle che sarebbero state poi le capacità richieste nonché i codici d’onore
nello scautismo, contenuti nel libro pubblicato nel 1908 dallo stesso Baden
Powell.
Ugo Salvini
IL PICCOLO - SABATO, 18 febbraio 2017
Ripartono in marzo i cantieri dell’elettrodotto Udine
Ovest-Redipuglia
Il ministero dello Sviluppo economico ha emanato il decreto autorizzativo
dell'elettrodotto Udine Ovest-Redipuglia. Lo rende noto la stessa Terna, gestore
della rete elettrica nazionale che ha accolto «con soddisfazione» il
provvedimento, «che chiude il procedimento aperto a fine 2015 e permetterà di
far ripartire i cantieri e quindi di completare un'opera necessaria alla
sicurezza elettrica del Fvg e già realizzata per l'80%». Terna ha comunicato
alle istituzioni la riapertura dei cantieri, il prossimo 22 marzo. Il 12
novembre 2015 Terna aveva ricevuto l'approvazione dell'avvio del procedimento di
rideterminazione. Il nuovo iter procedimentale ha comportato anche un
procedimento di Valutazione d'impatto ambientale (VIA). I 40 chilometri di nuova
linea, realizzati con un investimento di circa 110 milioni di euro, metteranno
in sicurezza la rete in Regione.
IL PICCOLO - VENERDI', 17 febbraio 2017
Guasto alla centrale nucleare di Krsko Attivato il blocco automatico
Allarme ieri mattina alle 8.30 alla centrale nucleare di Krsko in Slovenia, a ottanta chilometri da Trieste. Il sistema di sicurezza ha automaticamente interrotto l’operatività della centrale stessa per un guasto ai ventilatori delle pompe d’acqua verso il reattore. Questa è stata la spiegazione fornita dalla centrale. Il presidente del consiglio di amministrazione dell’impianto nucleare (Nek), Stane Rožman ha dichiarato che non c’è stata nessuna fuga radioattiva, che il personale ha reagito mettendo in opera tutte le procedure previste dal caso e che si sta lavorando al guasto. Oggi la centrale nucleare di Krsko dovrebbe essere riaccesa e ricollegata al sistema di erogazione dell’energia elettrica della Slovenia. Ricordiamo che nell’autunno scorso la stessa centrale è stata completamente revisionata e che nell’anno in corso la attende la visita della missione internazionale Eprev che valuterà il sui livello di sicurezza.
(m.man.)
Parco del Mare, quante sofferenze inutili per gli
animali - LA LETTERA DEL GIORNO di Daniela Schifani Corfini Luchetta
Vorrei dire anch’io quello che penso del Parco del mare a Trieste : dal
punto di vista economico persone ben più autorevoli di me in materia continuano
a sottolineare come si tratti di un investimento ad altissimo rischio per la
città, che non porterebbe affatto i guadagni di cui si favoleggia. Anzi. Spendo
due parole, però, su un aspetto che mi sta particolarmente a cuore, cioè il
rispetto per la sofferenza. È mai possibile che ancora oggi, in cui possiamo
disporre di video ad altissima definizione alla portata di tutti, si continui a
proporre l’apertura di zoo, parchi del mare ...per non parlare delle
autorizzazioni che vengono ancora concesse a chi propone spettacoli con gli
animali? Chi va a divertirsi osservando un povero animale chiuso in una gabbia,
d’aria o di acqua non cambia nulla, assiste ad uno spettacolo di una violenza
inaudita che continua ad esistere per l’interesse di pochi. Finché la nostra
società continuerà ad avere come unico “valore morale” il guadagno, non potremo
sperare di fare passi avanti. Chiedo a tutti quelli che lavorano con i giovani o
che hanno figli che stanno crescendo in questo mondo così arido, di cominciare a
trasmetterli questi valori, facendo ragionare i ragazzi su quello che significa
ammirare un animale in un video, ma ripreso nel suo ambiente naturale, o un suo
simulacro, spesso impazzito e condannato alla cattività per il piacere degli
uomini. Il rispetto per la sofferenza di tutti gli esseri viventi potrebbe fare
la differenza, anche per gli uomini.
IL PICCOLO - GIOVEDI', 16 febbraio 2017
MUNICIPIO: gli immobili sfitti del Comune - Dai mini alloggi alle ville storiche - Le proprietà fantasma del Comune
Più di cinquanta edifici, 341 alloggi, quattro ville storiche ed altrettanti ruderi: è questa la stima del patrimonio immobiliare sfitto e non locato di proprietà del Comune di Trieste.
L’elenco, reso noto dall’amministrazione dopo la richiesta di accesso civico da parte del Piccolo (uno strumento, questo, a disposizione di tutti i cittadini), restituisce la fotografia dei palazzi “fantasma” di proprietà pubblica, emendata per motivi di sicurezza e ordine pubblico dei numeri civici di ciascuno stabile. Scorrendo la lista è possibile trovare magazzini, ex scuole, locali d’affari, caserme ma anche alcuni stabili già oggetto di dibattito in passato, come l’ex Macello, l’ex carcere femminile, l’ex Meccanografico, il Gasometro o l’ex Crda. In città c’è chi non possiede neanche un tetto e chi invece è erede della storica grande ricchezza immobiliare ma non ha più la possibilità di mantenere tutto il patrimonio. «La coperta oggi è corta, dobbiamo darci delle priorità», conferma Lorenzo Giorgi, l’assessore comunale con deleghe a patrimonio e demanio. Analizzando punto per punto ciascun immobile in elenco, lo storico ex presidente della Circoscrizione Gretta-Barcola-Grignano individua le cinque principali aree di intervento del suo mandato. La prima riguarda quei 41 alloggi sfitti dell’ex comprensorio Erdisu in area Urban, prossimi alla riassegnazione tramite bando di gara, sulla sessantina di monolocali ricevuti complessivamente in eredità. Venti sono già stati assegnati agli allievi della nuova Accademia nautica dell’Adriatico che vengono da fuori regione a prezzo calmierato. «Una ristrutturazione realizzata grazie all’eccezionale lavoro degli Lsu (i lavoratori socialmente utili, ndr), a costo zero». Un alloggio verrà tenuto per le «emergenze sociali», mentre altri tre saranno destinati al progetto «Casa degli Sposi 3.0» pensato per permettere sei mesi di indipendenza a quelle giovani coppie (almeno un italiano, e con un figlio) che attendono di ricevere i finanziamenti di un mutuo. Gli altri monolocali saranno utilizzati per il turismo, «come albergo veloce», e dati in gestione mediante bando di gara. Altri otto locali, tra cui due depositi, saranno destinati ad un’area «start-up» artigianale, a prezzo d’affitto ridotto, in una zona che storicamente ha attitudine di bottega. Una delle “bandierine” di Giorgi, a suo dire, è la realizzazione di una «Casa delle associazioni» nell’ex scuola di via Combi, al momento nell’elenco degli immobili inutilizzabili. «Tre o quattro associazioni a settimana vengono a trovarmi per chiedermi una sede: lì dentro vorrei metterne 36 o 40 che possano restituire qualcosa alla società». La spesa stimata è di circa 700mila euro. C’è quindi la questione delle quattro ville storiche in rovina e a cui è necessario garantire sopravvivenza. Per farlo servono soldi: dai due ai tre milioni per la sola dimora Haggiconsta, per esempio. L’obiettivo, almeno per la Stavropulos, è quello di svincolarsi dall’obbligo di lascito, ovvero quello di fungere da luogo d’ispirazione e ospitalità per gli artisti. Al quarto punto dell’agenda c’è «mettere a posto gli alloggi per chi ha problemi sociali», a costi sostenibili. Per riuscirci, chiede alla Regione di poter usufruire di Lsu locali (niente richiedenti asilo, dunque) per almeno un anno invece che sei mesi, oltre a dare un occhio di riguardo all’Ater triestina «nell’ottica del recupero di questi alloggi». Alcuni immobili sono stati destinati all’alienazione: i soldi ricevuti da chi vorrà acquistare edifici come la don Marzari di Prosecco, fatiscente e con il problema amianto, saranno gestiti dal bilancio. Più che al flusso di denaro in entrata per la vendita di questi dieci stabili, bisognerà guardare piuttosto agli affitti dei 33 immobili la cui locazione verrà bandita a breve. «Daranno possibilità di lavoro ai triestini e consentiranno all’amministrazione di fare cassa». Per accelerare i tempi e ridurre i costi delle certificazioni Ape, «che un privato può acquistare su Groupon», il Comune ha «preso due dipendenti e fatto fare loro il corso da certificatori». Così facendo i locali hanno avuto il via libera per trovare una destinazione d’uso e non rimanere vuoti.
Lillo Montalto Monella
L’edilizia sovvenzionata - Vuoti oltre 200 appartamenti
a gestione Ater
Nella lista di immobili comunali al momento inutilizzati, e quindi vuoti,
figurano 32 case destinate agli sfrattati e oltre duecento alloggi a edilizia
sovvenzionata di gestione Ater (a cui se ne aggiungono otto nel portfolio Caccia
Burlo). A Trieste circa 20mila cittadini già vivono in case Ater ma la lista
delle persone ancora in attesa di alloggiamenti pubblici è lunga: solo in città
nelle graduatorie giacciono 3355 domande, 3678 in tutta la provincia. «Stiamo
utilizzando tutti i canali possibili, statali e regionali, per rimettere in
locazione queste case», commenta il direttore dell’Ater di Trieste, Antonio Ius
(nella foto). Gli alloggi Erp (Edilizia residenziale Pubblica) inseriti nel
piano di recupero statale del 2014 sono, in regione, 250. L’Ater può usufruire
di finanziamenti per due linee di interventi: la prima fino a 15mila euro per
alloggi vuoti a causa di piccoli danni o problemi che ne compromettono
l’abitabilità; la seconda per manutenzioni straordinarie più impegnative fino a
50mila euro. «Per quanto riguarda Trieste», aggiunge Ius, «al 31 dicembre 2016
abbiamo recuperato 147 alloggi sulla prima linea di intervento (fino a 15mila
euro). Il cronoprogramma per quelli i cui costi di ristrutturazione sono fino a
50mila euro sta andando avanti correttamente». Il 70% dei finanziamenti statali
(13 milioni) è stato così impiegato, calcola Ius, «tra manutenzione ordinaria e
straordinaria». Al momento Ater Trieste gestisce 13mila unità abitative.
L’obiettivo è quello di far sì che tutti gli alloggi sfitti del patrimonio
immobiliare possano a breve accogliere famiglie in difficoltà. «Massimizziamo lo
sforzo: le risorse non sono infinite ma cerchiamo di concentrarci su questi
interventi di recupero», conclude Ius.
(l.m.m.)
Sinergie tra enti pubblici e non e autoriparazioni tra
le idee di sindacati e urbanisti - LA SIGLE DEGLI INQUILINI Per Cgil e Sunia è
alto il valore dei piccoli interventi in proprio
Secondo stime ufficiose del Sunia, il sindacato degli inquilini, a
Trieste ci sarebbero circa 11mila alloggi sfitti tra pubblici e privati.
Cercare di recuperarne il più possibile «significa incentivare l’occupazione in un settore in crisi come quello dell’edilizia», commenta Giorgio Uboni, referente per ambiente, territorio e casa della Cgil. Una delle vie indicate dal sindacato è quella del cosiddetto “auto-recupero”, anche per gli alloggi di edilizia popolare. «Abbiamo accolto con favore la decisione del Piano regolatore della giunta Cosolini per arginare il consumo di suolo e recuperare il ricco patrimonio esistente. Il valore è dato anche dall’auto-recupero da parte dell’inquilino disposto a fare lavori di piccola manutenzione in mancanza di fondi pubblici». Scorrendo la lista fornita dal comune, Uboni e Renato Kneipp, commissario provinciale del Sunia, si domandano quali sono i criteri dietro alla scelta di vendere alcuni asset come l’ex Meccanografico o la Don Marzari. «Non siamo contrari alla vendita in sè: l’importante è che il Comune sappia quanto è possibile ricavare da ciascun immobile ma soprattutto come utilizzare poi questo denaro: una parte andrebbe investita nella ristrutturazione degli alloggi», commenta Kneipp. La proposta dell’auto-recupero trova sponda anche nell’Accademia, ma ricordando che «è sempre un po’ complicato in quanto qualsiasi impianto deve essere poi certificato», come riflette Alessandra Marin, docente della Facoltà di Architettura di Trieste e specialista in materia di imprenditorialità, residenzialità e rigenerazione dei centri urbani. Secondo la studiosa il modello vincente è quello della partnership pubblico-privato: cita infatti il caso del Vega, il Parco Scientifico Tecnologico di Porto Marghera in cui era presente «attore pubblico forte che ha lavorato in sinergia con altri attori privati»; oppure la capacità di attrarre fondi privati da parte della Ca’ Foscari nello sviluppo del suo polo sulla terraferma; o, ancora, processi “bottom-up” per riqualificare il patrimonio dei centri storici a partire da una prima fase di trasformazione promossa dalle associazioni territoriali. L’esempio è quello dei Cantieri Culturali della Zisa a Palermo che porterà alla bonifica e alla ristrutturazione di tre capannoni trasformati in un avamposto della cultura ambientale siciliana. Anche la professoressa Marin, così come l’ingegnere Milan, scommette sul modello della concessione di valorizzazione, menzionando a proposito il progetto Valore Paese Fari che punta alla promozione di una rete nazionale dedicata ad una forma di turismo sostenibile legata alla cultura del mare. «La nostra università lavora con l’Agenzia del Demanio per stilare bandi di affidamento con questa formula: così facendo i patrimoni non vengono alienati ma concessi purché valorizzati in una determinata maniera».
(l.m.m.)
La ricetta indicata da Milan, collaboratore di Renzo
Piano «Gli spazi vanno assegnati a privati disposti a valorizzarli» - «Beni da
recuperare sul modello inglese»
Come fare a rispondere al bisogno di casa (possibilmente a prezzi
sovvenzionati) ed il contenimento dei costi? Recuperare i patrimoni dismessi è
proprio una delle soluzioni indicate dall’ingegnere Maurizio Milan,
collaboratore di architetti di fama internazionale e di Renzo Piano. A Trieste,
come mostra la lista di immobili comunali inutilizzati o inutilizzabili, tante
sarebbero le aree di intervento. I soldi a disposizione, però, sono sempre meno:
è necessario trovare un modo di “fare le nozze con i fichi secchi”. «In Italia
si costruisce a mille e si rivende a cinquemila: la casa dovrebbe andare sul
mercato al vero valore del bene, e con il patrimonio dismesso questo è
possibile», commenta il docente accademico veneziano che ben conosce Trieste,
avendo lavorato con il senatore a vita al progetto di Portopiccolo Sistiana. «In
fase costruttiva si può incentivare il completamento delle case da parte degli
inquilini: la casa viene consegnata a uno stadio avanzato di costruzione, quasi
da rustico, e ad un prezzo inferiore. Subentra poi l’auto-costruzione dei
giovani, che si possono organizzare in piccole imprese. Questo aumenterebbe il
numero di start-up e permetterebbe loro di imparare delle tipologie di mestiere
che si stanno perdendo». Milan cita l’esperienza delle HLM francesi dove questo
modello già si applica. L’ingegnere è anche tutor del progetto G124, il gruppo
di lavoro di Renzo Piano per progettare la riqualificazione delle periferie
delle città italiane. L’utilizzo della manodopera fornita dai migranti per
ristrutturare gli edifici fatiscenti è un’altra pratica virtuosa. «Dipende
sempre dalla visione politica, ma l’esperienza di Verona dove c’è un sindaco
leghista che ha aperto le porte all’immigrazione a patto che i soggetti
lavorassero funziona bene: si riduce la delinquenza e si alimenta la convivenza
sociale». In generale, quando si ha a che fare con un patrimonio immobiliare
inutilizzato, secondo l’ingegnere bisogna «domandarsi perché questi stabili sono
sfitti o liberi. Sono privati? Non c’è richiesta? E se non c’è richiesta,
perché? Solo dopo aver ragionato sulle cause si possono considerare i singoli
casi, vedendo quanto conviene operare edificio per edificio. Ce ne sono alcuni
che sono arrivati a fine vita ed è inutile pensare di riqualificarli». Puntare
sulle concessioni di valore, ovvero accordare l’immobile ad un privato affinché
lo possa valorizzare pur mantenendone la proprietà, sarebbe in quest’ottica
fondamentale. Si potrebbe, riflette Milan, mutuare l’esempio inglese dove il
terreno è un bene della Corona che ne permette però l’utilizzo a tempo (modello
leasehold, in cui viene concesso il diritto di superficie per 99 anni). «In
questo caso va definito bene il ruolo del detentore del patrimonio e quello
dell’utilizzatore. I meccanismi esistono già, si tratta di volerli utilizzare.
Ma prima è fondamentale cercare di capire cosa richiede la società. Il problema,
in questo caso, è il dialogo tra pubblico e privato», conclude Milan.
«L’amministrazione pubblica deve sentire cosa vuole il cittadino: è una
struttura di servizio, e il servizio deve essere mirato».
(l.m.m.)
Il Parco del mare - torna sotto “indagine” in Consiglio
comunale - Entro 20 giorni una seduta straordinaria richiesta dal Pd - In ballo
l’analisi della collocazione nell’area della Lanterna
Il Parco del mare ritorna in Consiglio comunale. Non è la prima volta visto
che è da più di dieci anni che si aggira per la città. Stavolta sarà oggetto di
un Consiglio comunale straordinario chiesto ieri dal Partito democratico per
aprire il dibattito sulla sua attuale ubicazione nell’area della Lanterna che
sta dividendo Trieste. Un modo per conoscere “lo stato di avanzamento del
progetto”, il business plan (il piano finanziario), la localizzazione della
proposta ed eventuali alternative. La richiesta è già stata esaminata dalla
Conferenza capigruppo e il presidente del Consiglio Marco Gabrielli convocherà
la seduta entro i 20 giorni previsti dallo Statuto sentendo i capigruppo e
verificata la disponibilità delle persone invitate a intervenire. Oltre al
sindaco Roberto Dipiazza, il Pd chiede la presenza del presidente della Camera
di commercio della Venezia Giulia Antonio Paoletti (il “padre” del Parco del
mare), il presidente della Fondazione CRTrieste Massimo Paniccia (pronto a
sostenere finanziariamente il progetto), il presidente dell’Autorità di sistema
dell’Adriatico orientale Zeno D’Agostino (concessionario dell’area di Porto
Lido), un rappresentante della Regione Friuli Venezia Giulia (che ha dato il
placet all’operazione) e un rappresentante del neonato comitato che chiede una
diversa localizzazione dell’area della Lanterna. «Nella scelta della data ho
preferito coinvolgere i capigruppo - spiega Gabrielli -. Credo sia importante e
utile aprire un dibattito su un progetto del genere. Anch’io non mi sono ancora
fatto un’idea precisa. È un tema su cui si dibatte molto. Il Consiglio serve
anche per questo. Approfitterò dell’occasione per farmi anche un’idea
personale». La questione, al di là degli investimenti necessari e della
sostenibilità futura del progetto, è legata al suo ultimo approdo sul Molo
Fratelli Bandiera all’interno della concessione di Porto Lido (ex Cartubi)
proprio nel momento in cui si è arrivati (dal primo gennaio) alla
sdemanializzazione di Porto vecchio. Nella sua storia decennale il Parco del
mare è stato collocato ovunque: dal terrapieno di Barcola all’ex Pescheria sulle
Rive, dal Porto vecchio (area Greensisam) al Mercato ortofrutticolo di Campo
Marzio (dove l’attuale sindaco vuole realizzare una mega Spa). «È un tema
importante per la città, da affrontare in modo serio e approfondito per le sue
implicazioni turistiche, urbanistiche, di mobilità, insomma di visione di città,
senza ricadere nella contrapposizione tra il “se devi” e il “no se pol”
pregiudiziale», aggiunge l’ex sindaco Roberto Cosolini che, come consigliere
comunale del Pd, ha promosso il Consiglio comunale straordinario. «Non mi sono
ancora fatto un’idea precisa - aggiunge Lorenzo Giorgi, assessore al Patrimonio
-. Credo che un approfondimento sia utile per tutti. Si tratta di un progetto
oneroso destinato ad avere forti ricadute. Ben venga un Consiglio comunale sul
tema». L’ex sindaco Cosolini non ha mai fatto invece mistero sulla sua
preferenza per la collocazione del Parco del mare in Porto vecchio. «Da sindaco
avevo posto due condizioni per appoggiare il progetto: l’individuazione di un
partner privato che condividesse l’investimento, non solo pubblico, e un serio
raffronto tra costi e benefici tra la proposta di Porto Lido della Camera di
commercio e l’opzione Porto vecchio tornata attuale dopo la sdemanializzazione.
Sono convinto che da questo confronto uscirebbero smentiti alcuni luoghi comuni
come quello, per esempio, che Porto vecchio richiederebbe tempi molto più lunghi
dell’area della Lanterna. E questa era anche la posizione della Regione». Il
dibattito in Consiglio è anche il modo per dare voce al comitato che sta
raccogliendo firme (quasi un migliaio) contro l’ipotesi della collocazione sul
Molo Fratelli Bandiera. Da questo punto di vista esiste anche il parere
autorevole dell’advisor Ernst&Young che ha redatto il piano strategico per il
Porto vecchio. Dal suo punto di vista non vi sono dubbi: il Parco del mare deve
ritornare in Porto Vecchio. Stavolta magari senza passare dal via.
Fabio Dorigo
Per Ernst&Young il sito ideale è Porto vecchio
«Il Parco del mare attualmente è previsto in un’altra ubicazione, ma
dagli stakeholder è uscita univoca l’indicazione che la sua collocazione ideale
è proprio il Porto vecchio».
A sostenerlo sono stati gli esperti di Ernst&Young nell’illustrazione del piano strategico per il Porto vecchio del futuro. Il Parco del mare dovrebbe entrare a far parte del Polo museale e dell’intrattenimento e che dovrebbe includere il Museo del mare, la Centrale idrodinamica e la Sottostazione elettrica assieme al pontone galleggiante Ursus. Alla realizzazione del Museo del mare, del resto, sono finalizzati la metà dei 50 milioni stanziati dal ministero della Cultura (altri cinque sono invece destinati al restauro dell’Ursus). «L’opportunità data dal piano strategico per Porto vecchio dell’advisor Ernst&Young - spiega l’architetto William Starc - consente all’amministrazione comunale di valutare con più cognizione di causa la possibilità di ubicare nel medesimo una simile iniziativa, garantendo un recupero di aree che oggi sono completamente dismesse sia esse siano libere, ex parco ferroviario e terrapieno a ridosso delle società nautiche di Barcola, sia si tratti di ampi magazzini vuoti».
Rifiuti, Bruxelles bacchetta 8 Regioni - Fvg: noi in
regola
Otto regioni italiane - Abruzzo, Basilicata, Emilia-Romagna, Friuli Venezia
Giulia, Liguria, Piemonte, Sardegna e Sicilia, nonché la provincia autonoma di
Bolzano, non hanno ancora aggiornato, come invece le norme Ue prevedono debba
essere fatto ogni sei anni, i loro piani per la gestione dei rifiuti risalenti
al 2008 e per questa inadempienza l'Italia rischia ora di essere deferita alla
Corte di giustizia. Lo ha reso noto ieri la Commissione Ue, annunciando l'invio
all'Italia di un parere motivato nel quale chiede al governo di intervenire
entro due mesi per sanare la situazione. A stretto giro la replica dalla
Regione: «Il Friuli Venezia Giulia ha le carte in regola, ha aggiornato nei
tempi previsti i propri piani di gestione dei rifiuti, sia urbani che speciali,
ed ha già trasmesso alla Commissione europea, tramite il ministero dell'
Ambiente, tutta la documentazione», ha affermato l'assessore all'Ambiente, Sara
Vito, negando che anche il Fvg, con altre Regioni italiane, possa essere ancora
nel mirino della Ue per non aver adeguato i piani sui rifiuti.
Smog, ultimo avviso dall’Unione - Le nostre città fuori
norma con altri 5 Stati. All’orizzonte maximulta sulle fogne
BRUXELLES - Basta allo smog in città, i grandi Paesi europei devono prendere
provvedimenti per fermare l’inquinamento che avvelena i polmoni di centinaia di
migliaia di europei ogni anno. È la battaglia che ha ingaggiato la Commissione
Ue mettendo sotto pressione l’Italia ma anche Francia, Germania, Gran Bretagna,
e Spagna per l’inquinamento eccessivo da biossido d’azoto (NO2) riscontrato
nell’aria di città come Roma, Milano, Torino, Berlino, Londra e Parigi.
Stringendo le maglie della procedura d’infrazione, i diretti interessati
dovranno fornire risposte concrete a Bruxelles entro due mesi. Se il ministro
Galletti è certo che l’Ue riconoscerà il cambio di marcia, l’Italia rischia però
ancor più sul fronte ambientale: potrebbe infatti scattare a breve la maximulta
Ue per le fogne non a norma da 180 milioni di euro che, sommata alle sanzioni
già in vigore per rifiuti e discariche fuorilegge, porterebbero a un conto
record da quasi mezzo miliardo di euro. La Commissione ha inviato un ultimo
avvertimento all’Italia e agli altri Paesi perché «non hanno affrontato le
ripetute violazioni dei limiti di inquinamento dell’aria per il biossido di
azoto» che «costituisce un grave rischio per la salute». Soprattutto perché «la
maggior parte delle emissioni provengono dal traffico stradale» e in particolare
dai motori diesel. È dal maggio 2015 che Bruxelles ha puntato l’attenzione sul
problema, dove misure concrete - che Bruxelles chiede entro due mesi - possono
realmente fare la differenza a fronte degli oltre 400mila morti l’anno per la
cattiva qualità dell’aria e milioni di malati per problemi cardiovascolari e
alle vie respiratorie. «Governo, Regioni e Comuni hanno già scelto di lavorare
insieme per la qualità dell’aria e di farlo programmando misure strutturali,
uscendo dalla logica delle risposte emergenziali», ha affermato il ministro
Galletti, dicendosi «convinto che la Commissione riconoscerà il nostro cambio di
marcia». Se non ci saranno interventi urgenti, un altro fronte che rischia di
diventare un enorme boomerang ambientale per l’Italia è quello delle fogne. La
supermulta chiesta dalla Commissione Ue a dicembre per la mancanza di depuratori
in 81 comuni potrebbe infatti scattare già prossimamente, per un ammontare
record da 180 milioni di euro.
Domani - Corso di apicoltura al parco di San Giovanni
Domani pomeriggio alle 17, al Padiglione I dell’ex Opp (vicino al Posto
delle fragole), si terrà il quinto appuntamento del ciclo di lezioni teoriche
deI corso di avviamento all’apicoltura promosso da Urbi et Horti, Bioest, Il
Ponte, Legambiente Trieste, Aias, Anglat Fvg, Lapis, Multicultura, Arci Servizio
civile, Comitato pace convivenza solidarietà Danilo Dolci e Azienda sanitaria
Trieste AsuiTs D3. A grande richiesta dei partecipanti, oltre 50, sono state
aggiunte due lezioni al ciclo che inizialmente prevedeva 4 lezioni teoriche.
Libero e aperto a tutti, il corso si terrà al Padiglione I fino al 23 febbraio e
in apiario, al parco di San Giovanni, ogni sabato mattina alle 10 fino al 25
febbraio. Obiettivo del corso è quello di far acquisire ai partecipanti le
competenze di base per poter iniziare ad allevare le api con piacere e
soddisfazione. Il corso infatti, pur avendo una base teorica, è strutturato
essenzialmente sugli aspetti pratici dell’allevamento e prevede, oltre alla
teoria, anche quattro lezioni pratiche in apiario. Il confronto con docenti
esperti del settore sarà alla base dell’apprendimento. Un altro gruppo di
incontri sarà orientato a far conoscere il mondo delle api anche agli alunni
delle scuole elementari. Per informazioni e iscrizioni contattare Tiziana
Cimolino al numero di cellulare 3287908116.
COMUNICATO STAMPA - MERCOLEDI', 15 febbraio 2017
Caso Ferriera - Inquinamento delle aree verdi della
città
E' stata finalmente riconosciuta valida la soluzione proposta da
LEGAMBIENTE Trieste per la bonifica delle aree verdi della città interessate da
inquinamento da IPA, diossine e metalli, attribuito alla Ferriera di Servola.
La proposta di applicare tecniche di fitorimedio ai giardini inquinati è
stata oggetto di assemblee pubbliche e conferenze stampa organizzate dal Circolo
nel corso del 2016, fin dalla comunicazione dei risultati delle analisi delle
aree verdi.
Proprio in questi giorni la Regione, supportata dal parere positivo del Tavolo
Tecnico istituito per la gestione del caso Ferriera, ha sottoposto il piano di
bonifica, basato appunto sul fitorimedio, al parere dell'Istituto Superiore di
Sanità. Questa decisione rappresenta un'importante forma di gratificazione per
il costante impegno della nostra associazione profuso nell'analisi e nella
gestione dei problemi di inquinamento generati dalla Ferriera.
Molti dubbi e interrogativi circa gli impatti ambientali e sanitari sono ancora
oggetto di dibattito e non hanno quindi trovato risposte soddisfacenti e
rassicuranti. Proprio per questo il circolo, coerentemente con la propria
missione, rafforzerà il suo impegno per far si che alla città siano garantite
condizioni di sostenibilità ambientale e difesa della salute.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 15 febbraio 2017
Paga più “ricca” per l’esperto di Ferriera - Il Comune
rivede al rialzo i compensi assegnati al consulente Barbieri per la lettura dei
dati sulle emissioni dell’impianto
Altri mille euro per leggere e controllare meglio i dati relativi ai fumi
delle Ferriera di Servola. L’amministrazione comunale, che evidentemente non si
fida proprio dell’Arpa (l’Agenzia regionale per l’ambiente), ha deciso di
incrementare la spesa di 1.063,80 euro collegata all’incarico affidato al
professor Pierluigi Barbieri, esperto di chimica ambientale, come supporto
tecnico al sindaco Roberto Dipiazza nel tenere appunto sotto occhio la Ferriera.
Un incremento che si aggiunge ai 17.730 euro stabiliti per la consulenza (5.910
euro per i tre mesi del 2016 e 11.820 per i primi sei mesi di quest’anno). I
mille euro aggiuntivi sono determinati da un rapporto di lavoro originariamente
non chiaro del consulente che all’inizio della sua collaborazione appunto aveva
dichiarato di non effettuare per professione abituale il lavoro autonomo pur
avendo un incarico come docente all’Università al Dipartimento di scienze
chimiche e farmaceutiche. I mille euro insomma coprono un differenziale tra
oneri previdenziali e Iva che va a carico del Comune di Trieste. I mille euro
non aumenteranno ovviamente le “diottrie” di Barbieri nel monitorare i dati
della Ferriera per conto del sindaco. Le aspettative riposte sul consulente
finora non sono state proprio rispettate. L’intenzione del sindaco di inchiodare
la Ferriera e la Regione («Faremo il c... ad Arvedi», era uno dei proclami del
sindaco) con i dati passati sotto la lente del consulente è rimasta una pia
illusione. E neppure la conferenza stampa di lunedì ha mantenuto appieno le
promesse. Il sindaco aveva annunciato in televisione che avrebbe sganciato una
bomba. «Abbiamo tirato le reti con Barbieri. Li abbiamo incastrati sulle urine e
sulla copertura dei parchi minerali. Ora la cosa si fa seria», aveva annunciato
Dipiazza. In realtà lunedì non si è andati oltre la richiesta alla Regione
dell’apertura di un tavolo per la revisione dell’Aia (l’Autorizzazione integrata
ambientale) usando, tra l’altro, i dati pubblici prodotti dalla precedente
amministrazione con l’invito a collocare delle centraline più vicine alla
cokeria. «I dati delle deposizioni però vengono raccolti ogni tre mesi e ciò non
consente di verificare gli effettivi miglioramenti - ha rilevato il consunte -.
E poi c’è la necessità di avere un controllo in prossimità della cokeria, invece
il più immediato punto di verifica è a 570 metri da questo impianto, mentre
alcune case sono più vicine». Barbieri, che in campagna elettorale era stato
presentato come ipotetico assessore della seconda giunta Cosolini, è diventato
il primo ottobre scorso consulente della giunta Dipiazza dopo un selezione
pubblica durata un paio di mesi. «La cosa importante è rappresentare quel che
succede a Trieste e gestire al meglio la situazione - si giustifica da esperto
chimico -. Io dico sempre: Senatus popolusque tergestinus». Durata del
contratto: nove mesi, prorogabili a giugno, per un compenso di 17.730 euro a cui
ora vanno aggiunti altri mille.
Fabio Dorigo
«Ma l’inquinamento è in forte calo» - L’Arpa apre a
nuovi controlli in zona - Botta e risposta Dipiazza-regione -
Deposizione di polveri medie annuali a confronto
«Arpa sta valutando positivamente le richieste del Comune per il
posizionamento di un ulteriore deposimetro in prossimità delle abitazioni di via
San Lorenzo in Selva. Quest’ultimo deposimetro, in aggiunta a quelli del piano
di monitoraggio e controllo di Siderurgica Triestina, consentirà d’effettuare
ulteriori verifiche sui dati già oggi a disposizione». L’Agenzia regionale per
la protezione dell’ambiente lo ha reso noto all’indomani della conferenza stampa
in cui il sindaco Roberto Dipiazza ha annunciato che chiederà alla Regione la
revisione dell’Aia anche sulla base della relazione sulle polveri consegnata nei
giorni scorsi da Arpa al Comune. «Ma in quella relazione - ha precisato ieri
Arpa - viene segnalato che nel 2016 i quantitativi di polveri depositate al
suolo sono stati inferiori di circa un terzo rispetto al quinquennio precedente.
La novità sta nel fatto - sintetizza l’Agenzia - che sono confermate le ipotesi
formulate in sede di Conferenza dei servizi in merito all’entità e alla
distribuzione spaziale delle dispersioni di polveri. Le deposizioni delle
polveri grossolane decadono, molto rapidamente a partire dal punto di emissione,
tanto che a circa 400 metri la quantità è confrontabile con il fondo urbano».
Arpa specifica di essere giunta a queste conclusioni «elaborando i dati della
rete di sette deposimetri prescritta dall’Aia. Di questi deposimetri, uno
rappresenta il fondo urbano, gli altri sono posti a distanze crescenti a partire
dal punto di emissione (due all’interno dello stabilimento: Portineria operai e
Palazzina qualità, due a meno di 250 metri dal limite dello stabilimento, uno a
meno di 500 metri, uno a meno di 750 metri dal medesimo limite). «La normativa
relativa alla qualità dell'aria - viene fatto notare - non fissa limiti per le
deposizioni delle polveri. Dei limiti sono stati invece introdotti dall'Aia che
è migliorativa in termini di tutela dell'ambiente. Ad esempio il valore
obiettivo di qualità per le polveri totali è fissato dall'Aia in 250 milligrammi
al metro cubo al giorno, valore che - precisa Arpa - è stato rispettato durante
tutto il 2016». Dipiazza ha replicato ieri alle dichiarazioni dell’assessore
regionale Sara Vito che ha tra l’altro sostenuto che nell’ultima relazione Arpa
non ci sono novità in base alle quali poter richiedere la revisione dell’Aia.
«Probabilmente l'assessore Vito - ha commentato il sindaco - non ha avuto modo
di approfondire i contenuti che il Comune ha fatto emergere relativamente alla
Ferriera perché, se confermate, le sue dichiarazioni aggraverebbero la posizione
della Regione e certificherebbero gravi negligenze compiute per il rilascio
dell’Aia. Con il professor Barbieri - rimarca Dipiazza - abbiamo evidenziato che
sino ad oggi si analizza il benzo(a)pirene nelle pm10 (come riportato anche nel
sito dell'Arpa), ma non si è andati a commentare la presenza di benzo(a)pirene
nelle deposizioni, ovvero nelle particelle che ricadono al suolo, in un raggio
di 400 metri e che i cittadini respirano e mangiano attraverso gli alimenti.
Considerando che gli enti pubblici devono tutelare la salute dei cittadini e
dell'ambiente - ha concluso - la rigidità della Regione alla nostra richiesta di
revisione dell'Aia che ha proprio queste finalità è alquanto strana». «Per
finirla con le chiacchiere, verso le quali c'è grande accondiscendenza dei
fiancheggiatori in passato così severi - è il commento che fa sulla sua pagina
facebook l’ex sindaco Roberto Cosolini - il Comune evidenzi con fondamento
tecnico giuridico oggettivi fatti nuovi, se li ha, per chiedere la revisione
dell'Aia: c’è una legge, una procedura e non servono annunci o tavoli. Se poi la
situazione fosse estremamente grave esiste uno strumento nelle mani del sindaco:
si chiama ordinanza, per ridurre, sospendere, chiudere l'attività».
Silvio Maranzana
Scattano le perizie per le morti fra gli ex operai -
Disposto l’incidente probatorio nell’ambito del procedimento che coinvolge 15 ex
manager “ante Arvedi”
Sarà la prova principale. Quella che servirà a definire il cosiddetto nesso
di causalità tra 40 morti accertati - uccisi dal mesoteloma pleurico o dal
carcinoma polmonare - nonché due malati, uno dei quali è il sindacalista Luigi
Pastore, e il loro lavoro come dipendenti tra il 1979 e il 2004 della Ferriera
di Servola. La consulenza tecnica - nelle forme dell’incidente probatorio e
quindi utilizzabile in dibattimento - è stata disposta dal gip Laura Barresi su
richiesta dei pm Cristina Bacer e Matteo Tripani. I nomi dei periti sono quelli
di Celestino Panizza di Brescia e di Enzo Merler di Padova. Saranno formalmente
incaricati dal giudice il prossimo 20 marzo. Dovranno per l’appunto definire
allo stato attuale la possibile rilevanza causale dell’esposizione dei
lavoratori agli inquinanti, precedente al periodo che viene indicato in gergo
tecnico come “latenza reale”. Il gip chiede anche agli esperti di conoscere
quale possa essere stata l’influenza di eventuali esposizioni successive alla
cosiddetta fase di induzione della malattia, ovvero il lasso di tempo più
“pericoloso”. Nel fascicolo compaiono con l’accusa di omicidio colposo e lesioni
gravi i nomi di 15 ex dirigenti della fabbrica di Servola che, «in ragione della
carica rivestita in una posizione di garanzia della salute e della sicurezza dei
lavoratori», avrebbero avuto «responsabilità» attive nella sequenza di decessi.
Quindici nomi, appunto. Quelli di manager legati alle “vecchie” proprietà della
Ferriera, non riconducibili quindi al Gruppo Arvedi e a Siderurgica Triestina. I
più noti sono Piero Nardi, ex consigliere delegato della Servola Spa e poi fino
al 2004 amministratore dello stabilimento, e Giuseppe Lucchini, presidente di
Servola Spa fino al 2001. Tra gli indagati compaiono anche Didimo Badile,
componente del comitato esecutivo dell'Italsider dal 1979 al 1981, Sergio Noce,
direttore generale di Italsider dal 1981 al 1982, Gianbattista Spallanzani, pure
direttore generale, Guido Denoyer, amministratore della Terni Spa e poi della
Attività industriali triestine fino al 1988, e Costantino Savoia, componente del
Cda di Terni Spa. E ancora Attilio Angelini, presidente di Terni Spa fino al
1989, Luigi Broccardi Schelmi, procuratore della stessa Terni Spa e poi
direttore generale della Attività industriali triestine fino al 1989, Paolo
Felice, direttore generale di Aliforni e ferriere di Servola fino al 1995 e
direttore dello stabilimento fino al 1996, e Franco Asquini, commissario
straordinario della Altiforni e ferriere di Servola fino al 1995. Nella lista
compaiono infine anche Michele Bajetti, amministratore delegato della Servola
Spa fino al 2001, Vittorio Cattarini, presidente dei cda di Servola Spa fino al
2002 e Servola Srl fino al 2004, Francesco Chindemi, direttore dello
stabilimento fino al 1997, e Mauro Bragagni, consigliere della Servola Srl fino
al 2003. Difensori al momento gli avvocati Giovanni Borgna e Daniela Jolanda
Cuccaro.
Corrado Barbacini
Dal pediatra all’architetto - Mille no al Parco del
mare - Traguardo raggiunto in pochi giorni dalla petizione lanciata dal comitato
La Lanterna
Da Razeto a Bassa Poropat cresce il dissenso: «La collocazione ideale è
Porto vecchio»
Ormai sono un migliaio le firme raccolte sotto la petizione lanciata dal
comitato La Lanterna che si oppone al progetto del Parco del mare sul Molo
Fratelli Bandiera. «Tra gli altri - spiega la portavoce Giorgetta Dorfles -
hanno firmato i docenti universitari Fulvio Senardi, Marina Petronio, Guido
Pesante, l’editore Walter Chiereghin, il regista Giampaolo Penco, l’architetto
William Starc, il pediatra Andrea de Manzini, il presidente del Pen club Antonio
Della Rocca, l’ex direttrice del Revoltella e dei Civici musei Maria Masau». Le
motivazioni del dissenso vengono definite molteplici. Il sito del comitato ne
delinea le principali: verrebbe oscurata la Lanterna, monumento storico
ottocentesco dell’architetto Matteo Pertsch che caratterizza il porto nautico e
la città; verrebbe devastato il profilo delle Rive, esempio paradigmatico
dell’abbraccio di una città con il mare; il macroscopico edificio fungerebbe da
enorme paravento: verrebbe spezzata la linea dell’orizzonte; il Parco graverebbe
con la sua mole sull’armonico impianto della Sacchetta. Non vengono
sottovalutate le conseguenze pratiche: il surplus di traffico e l’invasione di
automobili in una zona già penalizzata dalla scarsità di parcheggi; i problemi
relativi alla fruizione del contiguo bagno storico “Pedocin”, il terreno da
riporto con cui è stato costruito il Molo che inficerebbe la stabilità di un
edificio così imponente. Infine si sottolineano le perplessità sulle ricadute
economiche di una simile impresa e sulla riduzione in cattività degli animali.
«La nostra mobilitazione non è che all’inizio - continua Giorgetta Dorfles - sto
prendendo accordi con le associazioni ambientaliste e in particolare con Italia
nostra, Wwf, Legambiente e Trieste bella per organizzare una conferenza stampa
comune e annunciare una serie di iniziative. La raccolta di firme ora passerà
anche alla fase “cartacea”. Si potrà firmare in alcuni locali pubblici e se non
sarà sufficiente faremo anche dei banchetti in piazza. Vogliamo raggiungere un
numero di autografi molto consistenti per far comprendere che la nostra è una
posizione estremamente condivisa». Piovono intanto i commenti favorevoli
all’iniziativa via web sotto il sito del comitato e molti non sono affatto
contrari al Parco del mare in sé, ma vedono come unica sua collocazione
possibile quella del Porto vecchio. È la linea sostenuta proprio ieri dal
consigliere regionale dei Cittadini Emiliano Edera e dalla consigliera comunale
Maria Teresa Bassa Poropat che rilevano che «è ben poco razionale pensare al
Molo Fratelli Bandiera perché si tratta di una zona quasi priva di parcheggi,
specialmente durante la stagione estiva, dove il traffico manderebbe in tilt un
sistema viario già in difficoltà, mentre è logico che chi frequenta il bagno
alla Lanterna abbia valide ragioni per non essere d’accordo. Al contrario per il
Porto vecchio - aggiungono i due consiglieri - rappresenterebbe un’opportunità
all’interno del rilancio di un’area con grandi spazi disponibili per la quale
sono già stati stanziati 50 milioni, andando a integrare l’ipotesi di
trasferimento e ampliamento del Museo del mare». Secondo Antonio Paoletti,
storico promotore del Parco del mare, la struttura sul Molo Fratelli Bandiera
potrebbe essere inaugurata tra fine 2020 e inizio 2021. Il sindaco Roberto
Dipiazza ha recentemente convocato una riunione operativa per stringere i tempi
dell’iter amministrativo. A sostegno dell’opzione Portolido un manifesto firmato
da 35 rappresentanti di categorie, associazioni e aziende private. Lo stesso
presidente di Confindustria Venezia Giulia Sergio Razeto ha firmato dicendosi
favorevole, ma spiega che «la collocazione ideale sarebbe stata quella del Porto
vecchio, ma ormai l’unica possibilità di partire in tempi relativamente brevi è
quella di Portolido, a patto che ci si trovi di fronte a un business plan
credibile che certifichi la capacità della struttura di autofinanziarsi».
Silvio Maranzana
eHABITAT.it - MARTEDI', 14 febbraio 2017
Emergenza smog, il verde urbano può mitigarne gli effetti?
Ne abbiamo parlato ripetutamente, ma non fa male
ribadire il concetto: l’emergenza smog in Italia e al di fuori dei nostri
confini è reale: l’inquinamento atmosferico risulta essere uno dei principali
fattori di morte a livello mondiale.
Il particolato (PM, Particulate Matter) è un inquinante costituito da
particelle disperse nell’atmosfera con diametro variabile da qualche nanometro (nm)
a decine/centinaia di micrometri (μm). Le sorgenti di PM possono essere naturali
(eruzioni vulcaniche, incendi boschivi, erosione del suolo ecc…) e antropiche.
Gran parte delle particelle emesse derivano dalle attività umane, principalmente
dall’uso di combustibili fossili e delle biomasse (riscaldamento domestico,
produzione di energia), ma svolgono un ruolo essenziale anche le emissioni degli
autoveicoli e l’usura degli pneumatici, dei freni e del manto stradale.
In uno studio del 2015 (Contributions to cities’ ambient particulate matter
(PM): A systematic review of local source contributions at global level,
Karagulian et al.) pubblicato dalla Commissione Europea, gli autori hanno
sistematicamente esaminato e analizzato le ricerche pre-esistenti sulla presenza
di PM10 e PM2.5 in contesti urbani con l’obiettivo di stimare le quote relative
alle fonti di inquinamento a livello globale. Sebbene lavori così ampi e
complessi spesso non possano offrire conclusioni certe e necessitino di
ulteriori approfondimenti, da questo studio emerge che il traffico è una
sorgente importante di PM in città, accompagnato dalle attività industriali e
dal riscaldamento domestico.
Ammettiamolo: la soluzione reale a questo problema sarebbe la diminuzione o
meglio ancora l’eliminazione delle emissioni alle fonti. Impossibile? Utopico?
Proviamo a concentrarci allora sulle soluzioni individuate per mitigare gli
effetti dell’inquinamento atmosferico.
Voglio soffermarmi in particolare sull’utilizzo del verde all’interno dei
contesti urbani. La Sezione del Piemonte e Valle d’Aosta della Società Botanica
Italiana organizza presso l’Orto Botanico diversi incontri incentrati sul tema
del verde urbano, la scorsa settimana Enrica Roccotiello, dottore di ricerca in
Scienze Ambientali e in Botanica Applicata all’Agricoltura e all’Ambiente presso
il Laboratorio di Biologia Vegetale dell’Università degli Studi di Genova, ha
sapientemente mostrato la complessità insita nel concetto di verde urbano.
Le strutture verdi (parchi urbani, tetti verdi, pareti viventi, orti urbani,
wildlife crossing ecc…) offrono innumerevoli benefici psicofisici alla
popolazione, ma devono essere gestite in modo corretto e attento, prendendo in
considerazione diversi parametri. Ad esempio: le città presentano dei veri e
propri canyon urbani racchiusi tra edifici che fungono da barriere che le
correnti possono superare o aggirare attraverso moti turbolenti.
Un albero inserito in un contesto simile potrebbe, ostacolando l’aria,
contribuire ad un aumento di concentrazione di inquinamento a livello del
tronco. Da questo caso emerge in modo efficace la necessità di una valutazione
accurata del contesto ambientale e delle interconnessioni tra i vari elementi.
Ogni organismo vegetale ha caratteristiche peculiari e modalità diverse di
interagire con l’ambiente in cui è immerso. Si tratta di un campo di indagine
estremamente complesso e nonostante gli studi siano numerosi, è necessario
approfondire ulteriormente molti aspetti non dimenticando che gli inquinanti non
si accumulano solo nell’aria.
Quindi viva il verde, ma un verde consapevole. Riportando le parole della
dottoressa Roccotiello: “Non stiamo parlando di un arredo, stiamo parlando di un
organismo che subisce stress ambientali esattamente come noi“, non
dimentichiamocelo.
ALESSANDRA CONDELLO
IL PICCOLO - MARTEDI', 14 febbraio 2017
Scempio della Val Rosandra - In Appello quattro condanne - I giudici ribaltano la decisione presa in primo grado quando gli imputati erano stati assolti
Sei mesi e 18mila euro di ammenda all’ex vicepresidente della Regione Ciriani, all’ex direttore della Protezione civile Berlasso e ai funzionari Trocca e Morettin
Il 24 e il 25 marzo del 2012 i lavori motivati dalla necessità di pulizia dell’alveo del torrente per ragioni di sicurezza
TRIESTE - Sei mesi e diciottomila euro di ammenda per lo scempio della Val Rosandra. È questa la pena alla quale è stato condannato l’ex vicepresidente della giunta regionale Luca Ciriani, oggi consigliere di Fratelli d’Italia-An in carica nell’aula di piazza Oberdan. A pronunciare la sentenza che ha riguardato anche l’allora capo della protezione civile Guglielmo Berlasso, il funzionario Cristina Trocca e l’operativo Adriano Morettin è stato il giudice Donatella Solinas che ha presieduto il collegio della Corte d’Appello composto da Anna Fasan e Gloria Carlesso. La sentenza è stata pronunciata nel pomeriggio di ieri, in Tribunale a Trieste, e ha completamente ribaltato quella di primo grado che aveva mandato assolti gli imputati. A ricorrere era stato il procuratore generale. La vicenda Il processo è stato innescato dalle indagini sui lavori di deforestazione della Val Rosandra eseguiti tra il 24 e il 25 marzo del 2012. Operazioni che all’epoca erano state definite veri e propri “assalti” degli uomini della Protezione civile, “armati” di motoseghe e alla guida di mezzi cingolati. In quell’occasione, come in Apocalipse now, il vicepresidente e assessore della giunta Tondo, Luca Ciriani, era giunto in elicottero dopo aver roteato su tutta l’area che è una zona protetta. Ricorso in Cassazione Il difensore di Ciriani, l’avvocato Caterina Belletti, ha annunciato il ricorso in Cassazione spiegando che il proprio assistito rinuncerà alla prescrizione. Ha aggiunto: «Da qui in avanti si porrà un problema su chi è chiamato ad assumere provvedimenti sulla base di validi pareri tecnici e di legittimità. La giunta regionale all’epoca aveva deliberato sulla scorta del parere degli uffici della Protezione civile al quale era seguito il vaglio di legittimità da parte degli uffici della Segreteria generale». Il ricorso alla suprema corte è stato annunciato anche dai difensori degli altri imputati, gli avvocati Luca Ponti e Paolo Pacileo dopo la lettura delle motivazioni. L’esposto del Wwf - A far scattare le indagini era stato un esposto presentato all’epoca dall’avvocato Alessandro Giadrossi per conto del Wwf e in cui si parlava di danni ambientali irreparabili provocati con la scusa dell’urgenza. Erano stati tagliati ben settanta alberi di alto fusto ed era stato devastato un sito protetto di alto valore botanico e faunistico. La mobilitazione Le proteste avevano invaso il web e gli “esposti” presentati alla Procura anche dai vertici regionali di Legambiente e da numerose persone indignate per la devastazione, avevano avuto il merito di richiamare l’attenzione degli inquirenti su quanto era accaduto in quell’area protetta. Erano state anche chieste le dimissioni di Luca Ciriani che oltre alla carica di vicepresidente della Regione aveva anche il ruolo di assessore all’Ambiente. Le accuse A definire il quadro dell’accusa del pm Antonio Miggiani erano state le perizie del biologo Dario Gasparo e del professor Ezio Todini, docente di idrologia e costruzioni dell’Università di Bologna. I due consulenti avevano parlato di danno ambientale importante perché aveva riguardato un ambiente comunitario. Il pubblico ministero aveva contestato due ipotesi di reato definite dagli articoli 733 e 734 del Codice penale. La prima - per chi distrugge un habitat all’interno di un sito protetto o lo deteriora compromettendone lo stato di conservazione - prevede la pena della reclusione fino a diciotto mesi e un’ammenda non inferiore a tremila euro. La seconda prevede come sanzione solo una pena pecuniaria peraltro piuttosto “salata” per chi ha distrutto o deturpato le “bellezze naturali” di luoghi protetti. I lavori del marzo 2012 L’intervento in Val Rosandra era stato effettuato - a seguito di una serie di sopralluoghi promossi dal Comune, dalla Protezione civile e dalla Comunella - per pulire l’alveo del torrente. Scopo dichiarato, mettere in sicurezza in caso di piene o di eventuali inondazioni, le vite e i beni dei residenti. In totale erano arrivati nella valle duecento “volontari” da tutta la regione. E alla fine era rimasta solo desolazione. Poi il processo di primo grado presieduto dal giudice Marco Casavecchia che, dopo una serie interminabile di udienze, si era concluso con l’assoluzione di Ciriani, Berlasso e dei due funzionari regionali. Il pm Miggiani aveva chiesto, nella sua requisitoria, un anno di reclusione e duemila euro di multa. Dopo la pronuncia della sentenza di assoluzione, l’ex vicepresidente Ciriani aveva dichiarato: «Esco a testa alta, come a testa alta sono entrato». Ieri il suo telefonino ha squillato a vuoto. Mentre Berlasso ha preferito chiudere bruscamente la comunicazione.
Corrado Barbacini
Inquinamento in Ferriera - Dipiazza lancia l’ultimatum
«Pronti a rivolgerci alla Corte di giustizia Ue se la Regione non modificherà
l’Aia»
Ma Vito gela il Comune: «Non ci sono elementi nuovi che giustifichino
revisioni»
Arriverà fino a Bruxelles e Lussemburgo la battaglia del Comune di Trieste
per chiudere l’area a caldo della Ferriera di Servola. Lo hanno annunciato ieri
in una conferenza stampa il sindaco Roberto Dipiazza e l’assessore all’Ambiente
Luisa Polli affiancati dal consulente Pierluigi Barbieri, docente di Chimica.
Dopo essersi vista rigettata dal Tar la richiesta di sospensiva del decreto
regionale che accertava il completamento da parte di Siderurgica Triestina di
una serie di adempimenti prescritti dall’Autorizzazione integrata ambientale
(Aia), l’amministrazione tenta ora un’altra controffensiva. La Corte di
giustizia europea e la Direzione generale Ambiente sono considerate l’extrema
ratio. L’ipotesi prioritaria è un’altra: «Chiederemo alla Regione - è stato
affermato - di aprire un tavolo per la revisione dell’Aia». In realtà non è
trascorsa che qualche ora che la Regione, per bocca dell’assessore all’Ambiente
Sara Vito, l’ha sostanzialmente già bocciata. Uno stop a una prima richiesta di
revisione era già arrivato a settembre. Ieri è partito il secondo tentativo su
questo terreno perché, dirà Dipiazza alla fine, «quest’Aia è stata emessa quando
tutte le istituzioni erano conniventi e non tutela i cittadini». Su quali basi
la nuova richiesta? «L’Arpa ci ha fornito il riscontro sulla deposizione delle
polveri - ha riferito Polli - e si evidenzia che è interessata la zona in un
raggio di 400 metri dallo stabilimento. Non solo provocano imbrattamento, ma
vengono respirate, si posano sugli alimenti. Vi sono risvolti di carattere
sanitario, cioè cancerogeno: è acclarata la pericolosità. E la situazione non
sembra essersi modificata tra il 2011 e il 2016. Tutto questo non è stato tenuto
in considerazione per l’Aia ed è un fatto grave perché l’Autorizzazione non deve
servire per tutelare l’imprenditore, ma pone obblighi di tutela sanitaria e
ambientale». «Analizzando gli stessi dati autoprodotti da Siderurgica Triestina
- ha aggiunto Barbieri - le sorgenti emissive dal confine dell’impianto
siderurgico provocano ricadute fino a 400 metri di distanza, c’è un calo
progressivo molto rapido, ma comunque si arriva a 400 metri. Il benzopirene ha
una sorgente identificata nella cokeria e si propaga per alcune centinaia di
metri. I dati delle deposizioni però - ha commentato il consulente - vengono
raccolti ogni tre mesi e ciò non consente di verificare gli effettivi
miglioramenti. E poi c’è la necessità di avere un controllo in prossimità della
cokeria, invece il più vicino punto di verifica è a 570 metri da questo
impianto, mentre alcune case sono più vicine». Secondo Barbieri bisogna dunque
installare strumentazioni più vicine e che rimandino dati in continuo. «Queste
sostanze infatti - ha commentato - possono generare nelle persone quello stress
ossidativo di cui si è parlato nello studio commissionato all’Azienda sanitaria.
Il Comune ha di conseguenza chiesto all’Asuits di verificare la presenza di
queste sostanze nelle urine degli abitanti». «Non è nostra intenzione rompere il
principio di regolare collaborazione con le altre istituzioni - ha concluso
Polli - ma si sappia che le direttive comunitarie sono immediatamente
applicabili e vi sono precedenti di sentenze della Corte giustizia in questi
ambiti. Ma non vorremmo inoltrarci in un percorso che si prospetterebbe comunque
lungo. Ci sono fin d’ora infatti i presupposti per poter rivedere l’Aia: oltre a
quelli appena illustrati, il fatto che l’azienda non intende provvedere alla
copertura del parco minerali; che fino al 22 dicembre, data del decreto di
accertamento da parte della Regione, lo stabilimento ha prodotto ghisa superando
i limiti. E per il fatto infine che la Regione non ha avviato alcun procedimento
sanzionatorio, anzi non sappiamo nemmeno se sia stata emanata una semplice
diffida». «Tutte le azioni della Regione dimostrano che per noi la tutela
dell'ambiente e della salute dei cittadini è una priorità assoluta - ha
replicato in serata Vito - Non ci lasceremo trascinare nella crociata politica
lanciata dal Comune di Trieste. È gravissimo che un sindaco si esprima sui
rapporti tra Regione e amministrazione comunale precedente utilizzando il
termine “connivenza” - ha continuato Vito - introducendo il dubbio che esse
siano giunte al rilascio dell'Aia senza tener conto della salute dei cittadini.
La Regione invita il Comune a utilizzare toni più misurati e attenti». Quanto
alla revisione dell’Aia, l’assessore regionale afferma che può essere richiesta
solo dinanzi a elementi nuovi, «ma tali elementi nuovi - ha concluso - non si
ritrovano nel documento dell'Arpa che, all'opposto, certifica un innegabile
miglioramento per quanto riguarda le polveri per l'anno 2016».
Silvio Maranzana
Sicurezza, un piano per la segnaletica stradale -
Progetto annunciato in Consiglio comunale. Passa la mozione per salvare la
polizia di frontiera di Opicina
In arrivo un piano unico per la segnaletica stradale, semafori inclusi, che
uniformerà il sistema cittadino per renderlo più sicuro. È il progetto
annunciato ieri sera in Consiglio dall’assessore all’Urbanistica Luisa Polli, di
concerto con la collega Elisa Lodi, in risposta alla mozione con primo
firmatario il forzista Andrea Cavazzini. «Le circoscrizioni ci comunicheranno
entro il 31 marzo l’elenco dei luoghi critici, grazie anche alle segnalazioni
dei cittadini», ha detto Polli. Quel rapporto sarà poi coniugato ai dati in
possesso alla polizia locale per definire un piano coerente d’azione: «Gli
uffici sono al lavoro sulle soluzioni più innovative sul mercato», ha precisato
Polli. È stata poi approvata la mozione presentata dal capogruppo Lista Dipiazza
Vincenzo Rescigno che chiede ad Ater di sottoscrivere una convenzione con uno o
più Caf per aiutare gli inquilini, soprattutto quelli con difficoltà motorie, a
sciogliere la matassa dell’Isee. Ma anche al Comune di avviare una ricognizione
per verificare i valori catastali attribuiti agli appartamenti. Il tema, fresco
dopo la recente audizione della dirigenza Ater, ha visto gli interventi di
numerosi consiglieri. Per il resto, quella di ieri si è rivelata una serata di
normale amministrazione per il Consiglio. Approvate anche due mozioni
convergenti di Forza Italia e Lega Nord (la prima anche col voto del
centrosinistra) che chiedevano di impedire la «soppressione» del posto della
polizia di frontiera di Opicina. Nel difendere il proprio testo, criticato dalla
capogruppo Pd Fabiana Martini - «non possiamo condividerne le premesse
catastrofiste» -, il leghista Paolo Polidori si è lanciato in una disamina
storica, tirando in ballo la caduta dell’impero romano d’Occidente e l’assedio
ottomano di Vienna, portati come esempi dei possibili sviluppi dell’odierna
crisi migratoria. «Eh, ma Marco d’Aviano li ha respinti!», è scattato il
cattolicissimo consigliere Salvatore Porro (Fdi) sentendo evocare l’assedio
viennese. Ha commentato Giovanni Barbo (Pd): «Strano che la Lega difenda
l’impero romano dopo aver preso per tanto tempo la parte dei celti». Il forzista
Alberto Polacco ha sottolineato l’importanza della «lotta alla tratta degli
esseri umani che interessa anche il nostro territorio». Il capogruppo forzista
Piero Camber ha poi presentato una mozione, poi approvata, in cui si chiedeva al
sindaco di intervenire nei confronti della Regione «perché non si attui la
fusione tra Pronto soccorso e Medicina d’urgenza». Un’operazione che per i
firmatari avrebbe portato a «un’illogica disparità di trattamento» nei confronti
di Medicina d’urgenza. Approvata all’unanimità anche una mozione per il
ripristino delle frequenze dell’emittente televisiva Telequattro, sovrapposte a
quelle di un’emittente slovena.
Giovanni Tomasin
IL PICCOLO - LUNEDI', 13 febbraio 2017
Lo spettro dei treni veloci torna ad agitare il Carso - Ambientalisti in allarme dopo la notizia di un rinnovato interesse delle Ferrovie
Pressing bis sulla Regione per fare chiarezza sui
progetti per la Venezia-Trieste
DUINO AURISINA - Torna alla ribalta, con il consueto e inevitabile corredo
di secchi “no” di ambientalisti e politici locali, il vecchio progetto della
Italferr che prevede un tunnel ferroviario di una ventina di chilometri sotto il
Carso. Parliamo del tratto compreso nella nuova linea ad alta velocità e alta
capacità, che dovrebbe essere realizzato sulla Ronchi dei Legionari - Aurisina,
nell'ambito della futura costruzione del cosiddetto Corridoio Mediterraneo.
Stavolta l'occasione per riparlarne si è concretizzata, come ricorda il
consigliere regionale della Slovenska skupnost, Igor Gabrovec, «nel corso della
recente cerimonia della posa della prima pietra del Polo intermodale di Ronchi a
servizio dell'aeroporto regionale. In tale contesto - precisa - è stata
riportata l'attenzione sull'intero progetto riguardante il collegamento
ferroviario tra Venezia e Trieste. Tutto questo - sottolinea Gabrovec -
nonostante il fatto che il progetto studio, predisposto dalla Italferr nel 2012,
abbia già ricevuto numerosi pareri negativi da parte delle amministrazioni
locali chiamate a esprimersi al riguardo e sia stato in seguito accantonato per
gli abnormi costi di realizzazione». «Qualcuno ha scelto - continua l'esponente
del partito della comunità slovena - di predisporre un nuovo studio preliminare,
al quale sono seguiti anche la sottoscrizione di un protocollo d'intesa con la
Regione e un programma di finanziamento. Dalle dichiarazioni fatte dai massimi
esponenti del Gruppo FS a margine della cerimonia di Ronchi - dice preoccupato
il consigliere regionale - non si evince però nulla di più dettagliato sui
lavori previsti, che dovrebbero comprendere, stando ai contenuti dello studio
preliminare aggiornato a luglio 2016, anche un tratto a doppio binario del tutto
nuovo con 22,7 km in galleria». Gabrovec si rivolge perciò alla presidente della
Regione, Debora Serracchiani, con un'interrogazione in cui chiede maggiori
dettagli sulle opere che saranno intraprese sul territorio compreso tra Ronchi e
Trieste «con particolare riguardo a quanto attiene il loro impatto ambientale e
paesaggistico». «Ricordo - conclude Gabrovec - le rassicurazioni espresse a suo
tempo dalla Regione con le quali si escludevano opere di questo tipo. Chiedo
perciò di prevedere anche un'audizione in Regione, dedicata al tema, alla quale
invitare i vertici di Rfi». Forte anche la presa di posizione negativa nei
confronti del progetto studio espressa dai “Cittadini per il golfo”, gruppo
ambientalista che segue da vicino tutte le problematiche riguardanti la
salvaguardia dell'ambiente nell'area di Duino Aurisina. «Ci sembra impossibile
pensare a uno stravolgimento del Carso che sarebbe indispensabile per realizzare
un'opera di tale dimensione - spiega Vladimiro Mervic, portavoce del gruppo -
perché in tal modo si deturperebbe per sempre un paesaggio straordinario e
ricco. Ci batteremo sempre contro proposte di questo tipo». Sul tema interviene
anche il presidente del Comitato per la vita del Friuli rurale, Aldevis Tibaldi:
«Nonostante gli sforzi fatti in Regione e in sede nazionale con più deputati -
evidenzia - gli elaborati grafici della tratta sottoposta al progetto Rfi, da
Ronchi dei Legionari ad Aurisina, da noi più volte richiesti, non saltano fuori.
Allo stato - prosegue - è disponibile solo la relazione preliminare rilasciata
nel mese di luglio e fornita alla Regione con gli annessi elaborati grafici.
Oltre a essere un progetto che inciderebbe in maniera devastante sul territorio
e dai costi elevatissimi - insiste Tibaldi - la stazione di Monfalcone
resterebbe tagliata fuori, opzione che sembra inaccettabile, considerando
l'importanza dello scalo marittimo monfalconese e la presenza di numerose
aziende di varia dimensione che lo circondano. Ma ciò che sconcerta - conclude -
è la difficoltà nell'ottenere i documenti a corredo del progetto».
Ugo Salvini
Pressing per riqualificare via Giulia - Sesta
Circoscrizione
La Sesta circoscrizione del Comune ha approvato una mozione del Movimento 5
Stelle che chiede alla giunta Dipiazza di dare attuazione al progetto di
riqualificazione di via Giulia. Presentata dai consiglieri del M5S Alessandra
Richetti, Emanuela Segulin e Stefano Fonda, la mozione ha trovato l’appoggio
anche del Partito democratico, a dimostrazione che, di fronte a progetti di
pubblico interesse e dalla evidente valenza ecologica e ambientale, le forze
politiche riescono a trovare un punto di convergenza. L'intervento di
riqualificazione di via Giulia, che riguarda l’area compresa tra piazza
Volontari Giuliani e viale Raffaello Sanzio, è dettato soprattutto da esigenze
legate alla mobilità sostenibile e alla sicurezza stradale, visto l’alto numero
di incidenti che si sono verificati nella zona, coinvolgendo pedoni e ciclisti,
categorie a rischio nel traffico cittadino. A questo proposito va ricordato che,
a suo tempo, il Comune di Trieste aveva partecipato a un bando della Regione,
supportato da finanziamenti europei, ottenendo 135mila euro per la
riqualificazione di via Giulia. Un progetto che prevedeva la messa in sicurezza
degli attraversamenti pedonali, la creazione di una pista ciclabile e la
realizzazione del Pedibus, un particolarissimo “autobus” fatto di bambini che
vanno a scuola a piedi accompagnati da due adulti, un “autista” e un
“controllore”. «Fare di Trieste una città ciclabile, sicura per chi si muove sui
pedali e officina di una nuova mobilità. Sono questi gli obiettivi del MoVimento
5 Stelle - afferma una nota - che da sempre si batte per valorizzare la mobilità
sostenibile in centro città e per promuovere e ampliare i percorsi ciclabili».
IL PICCOLO - DOMENICA,12 febbraio 2017
“Prove” di convivenza tra gli uomini e i lupi - Il Wwf
critica gli abbattimenti; apprezzamento per le misure antibracconaggio
Dubbi sul censimento. Per il governo necessario mediare tra opposte
esigenze
ROMA - Il “Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia” tornerà il
23 febbraio in Conferenza Stato-Regioni, dopo la ritirata strategica del primo
del mese. Nel frattempo gli enti locali e il ministero dell’Ambiente valuteranno
se stralciare o meno la possibilità di deroga al divieto di uccisione
dell’antagonista per eccellenza delle fiabe(in casi eccezionali e in misura
massima dal 5% della popolazione totale), al centro di una focosa protesta da
parte di un variegato fronte di animalisti che unisce i deputati 5 stelle ai
conservazionisti del Wwf. La specie è protetta dal 1971, anno in cui il baratro
dell’estinzione è stato a un passo: erano rimasti appena un centinaio di lupi
fra le Alpi e gli Appennini. Oggi le stime disponibili parlano di una
popolazione di 1.600 esemplari diffusi sulle catene montuose italiane. Circa il
9-10% dei lupi europei e circa il 17-18% nella zona Ue. Appena 150 risiedono
sulle Alpi, divisi in branchi stabili tra il Piemonte (dove si trova la quasi
totalità), la Liguria, la Valle d’Aosta, la Francia, il Veneto e il Trentino.
Esemplari randagi si aggirano nella provincia di Biella, in Alto Adige e in
Friuli Venezia Giulia (in tutto cinque coppie e tre solitari). Poi ci sono i
1.580 individui diffusi sugli Appennini: dalla Calabria all’Emilia. Ne consegue
che la popolazione diffusa sul dorso dello Stivale sarebbe “sufficiente”, mentre
quella alpina no. Infatti nel piano si caldeggia la possibilità che i lupi si
diffondano verso Nordest, fino ad abbracciare i loro fratelli balcanici. Ma
anche i dati sono al centro di polemiche, in particolare quelli sull’Appennino.
«La valutazione - scrive il Wwf in un decalogo contro gli abbattimenti - deriva
da un insieme di conoscenze non comparabili con quelle alpine e frutto di un
modello predittivo e non da censimenti stabilizzati e pluriennali». Spiega Marco
Galaverni, presidente di Wwf Emilia Romagna e studioso del lupo: «I censimenti
sono un compito demandato alle Regioni, sarebbe opportuno dedicarvi fondi a
livello nazionale e una Cabina di regia dell’Ispra che è il braccio scientifico
del ministero. Oggi i dati sono ottimi in alcune regioni e carenti in altre.
Dunque quelli che abbiamo non possono che essere stime». Galaverni sottolinea
che la decisione di permettere gli abbattimenti, anche se in casi estremi e in
un massimo del 5% della popolazione totale, «è grave perché distoglie lo sguardo
da azioni più importanti previste, soprattutto dalla prevenzione: cani da
guardia e recinzioni in particolare. Poi è provato da studi fatti all’estero che
questo tipo di apertura favorisca il bracconaggio, perché ci si sente più
legittimati a uccidere i lupi». Inoltre, ripete il Wwf, gli abbattimenti
«destrutturano i branchi soprattutto se ci sono perdite di leader che guidano la
caccia». Eppure il piano, secondo Galaverni, è in parte buono e necessario.
«Anzitutto perché aggiorna problematiche del 2002 (l’ultima versione) al 2017»,
spiega. «E poi perché prevede una serie di azioni: il contrasto al bracconaggio,
le task force regionali, regolamenta l’utilizzo dei veleni e modalità di caccia
come quella in “braccata”, favorisce una corretta informazione alle parti
coinvolte». Inoltre il progetto responsabilizza gli allevatori: la possibilità
dei risarcimenti è legata all’adozione delle misure di prevenzione. C’è anche il
contrasto all’ibridazione con i cani randagi, il fenomeno che genera i danni
maggiori: crea individui che non hanno paura dell’uomo e si avvicinano ai
recinti degli allevatori. E spesso fanno strage di pecore. Come scrivono gli
esperti del ministero nel piano, è necessaria un’opera di mediazione tra
l’esigenza di «salvaguardare la specie e minimizzare suo impatto sulle attività
dell’uomo». Perché non si tratta solo degli abbattimenti, ma sul rapporto
atavico tra uomini, lupi e territorio.
Andrea Scutellà
«Risorse per risarcire le perdite» - Gli allevatori
pronti a marciare su Roma: i danni che subiamo sono incalcolabili
ROMA - Il fronte degli allevatori è pronto alla mobilitazione. Un comitato
che nasce in Maremma - terra di “butteri” i cowboy in salsa grossetana - ma
guarda alla Tuscia, alla Valdarno e ai colli senesi è pronto a manifestare il 23
febbraio sotto la Conferenza Stato-Regioni a Roma. In quello che sarà il
prossimo “giorno del lupo”, dopo il rinvio della discussione del piano lo scorso
primo febbraio. A Magliano, un comune maremmano che non conta neanche 4mila
anime, esiste un assessorato alle predazioni. La titolare è Mirella Pastorelli,
una delle anime del comitato, che ha le idee abbastanza chiare in merito al
piano lupo. «Chiederemo fermamente - spiega - che i lupi e gli ibridi siano
catturati e portati via dal territorio della Maremma perché lupo e pecora
insieme non possono convivere». Giudica tutto sommato buono il progetto
presentato dal dicastero dell’Ambiente, soprattutto per «la fermezza del
ministro di fronte alle proteste degli animalisti». Però non la convincono le
misure di prevenzione perché «fa male vedere le pecore chiuse nei recinti come
in prigione, che non potranno più vivere libere come è nelle loro abitudini. I
prodotti perderanno di qualità». Franco Mattei di Scansano fa l’allevatore
perché era il mestiere del padre e del nonno. «Loro - ci confida - non mi hanno
mai raccontato di problemi legati ai lupi, perché all’epoca non c’erano. Io sono
fortunato, perché negli ultimi anni ho avuto solo sette o otto attacchi. Ma i
colleghi vicini al Monte Amiata». Mattei in questi anni ha perso una trentina di
capi, ma c’è anche chi ne ha persi cinquanta con un solo attacco e chi ha subito
quattro predazioni in due mesi. «Ma non ci sono solo i danni diretti, che si
possono quantificare intorno ai 150-200 euro a capo, ma anche quelli indiretti:
il latte che quell’animale avrebbe potuto dare, lo spavento che blocca la
produzioni degli altri, gli aborti degli agnellini. Il danno vero è
incalcolabile». Tullio Marcelli, che rappresenta gli allevatori di Coldiretti
Toscana, condivide le linee di fondo del piano del ministero. «Da un lato -
spiega - cerca di salvare la specie di lupo, dall’altro aiuta gli allevatori che
non vogliono più i danni, ma solo fare il loro lavoro già reso difficile dalla
crisi». Il piano, secondo Marcelli, permetterebbe di risarcire tutti i danni
«con un’interpretazione anche quelli indiretti. Attualmente non ci sono risorse
per i risarcimenti. Pensate che in Toscana ci sono stati 800 attacchi denunciati
nell’ultimo anno».
(and. scut.)
I “lupari” di Carlo Magno e il ritorno al Medio Evo -
IL COMMENTO / LA CACCIA INSENSATA
Negli anni ’70 andavamo a Pescasseroli a difendere il presidente Michele
Cifarelli e il direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo Franco Tassi i quali
cercavano di preservare la residua biodiversità del Parco, compresi alcuni lupi.
Venivamo affrontati per strada: «Voialtri sete amici del lupo, non dell’omo...»
A Civitella Alfedena però un sindaco pioniere, Giuseppe Rossi, poi presidente di
Parchi, inaugurava con coraggio il primo Museo del Lupo. Pertanto la notizia che
si sarebbe riaperta una caccia, sia pure “controllata”, al lupo ha sorpreso
quanti si occupano di natura e di parchi da tanti anni. Ma come? Dopo gli sforzi
fatti perché non si estinguessero com’era già avvenuto in Francia e in Svizzera
dove li avevano sterminati alla fine dell’800? Dov’era finita la convivenza
pacifica con gli animali selvatici? Si regrediva al “lupo cattivo” di proverbi e
favole? Eppure un rischio serio c’è stato. Sventato, o rimandato per ora, dalla
Conferenza Stato-Regioni. Persino fra i cacciatori ve n’erano di contrari a
quella insensata misura. Sembrava di tornare al Medio Evo quando i lupi
popolavano anche la pianura, la brughiera della Lomellina o le pinete ravennati,
temuti come “bestie del diavolo”. Con Carlo Magno che istituiva e remunerava i “lupari”.
È vero che San Francesco aveva invece dimostrato a Gubbio che il lupo poteva
essere ammansito e sfamato. Un bel po’ prima l’irlandese San Colombano in
viaggio sui monti della Borgogna, circondato da ben dodici lupi era rimasto
immobile invocando Dio e i lupi lo avevano lasciato stare. Non così era avvenuto
coi briganti. Insomma meglio le bestie degli umani... In realtà, è assodato che
i lupi tendono a non aggredire l’uomo (specie se questi non si mostra
spaventato), mentre lo fanno i cani randagi inselvatichiti i quali ben conoscono
noi e le nostre debolezze. Secondo il direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo,
Dario Febbo, all’origine di almeno la metà dei danni provocati a pastori e
allevatori ci sono branchi di cani inselvatichiti, quelli abbandonati
colpevolmente dagli stessi cacciatori alla fine della stagione venatoria. E poi,
mentre il lupo caccia con discernimento scegliendo nel gregge quanto gli serve,
i cani randagi non hanno coordinamento, abbattono e dissanguano quanto più
possono. Nel 1976 si era toccato il minimo dei lupi italici presenti sul
territorio: 100-110 appena, in Abruzzo e nell’Appennino fra Forlì e Firenze. Con
gran fatica e con una politica di protezione favorita da leggi illuminate si è
arrivati in un decennio a 250 esemplari e a 600 nel 2000 favoriti dalla
creazione di una ventina di Parchi Nazionali e da decine di Parchi Regionali.
Anche se i bracconieri distruggevano persino intere cucciolate di lupi. Oggi
dovrebbero esserci 2.000 lupi dall’Aspromonte agli Appennini centrali e alle
Alpi. Piccoli gruppi di lupi, chiamati “metropolitani”, sono stati avvistati di
notte nella pianura vicino a Bologna o nell’Agro romano. Il lupo è un grande
camminatore, anche di notte, e una famiglia, monitorata dagli scienziati, è
partita anni fa dall’Alpe della Luna incamminandosi verso nord ovest. Ha sostato
sull’Appennino fra Voghera e Genova lasciando qualche coppia. Poi si è diretta
verso le Alpi Marittime rientrando da lì nella Savoia, dopo un secolo
abbondante, in Svizzera (20-30 lupi di origine appenninica) e persino in Spagna
(dal 2009 in Catalogna). Il lupo appenninico (sulle Alpi sono arrivati branchi
dalla ex Jugoslavia, come gli orsi del resto) si nutre di camosci, caprioli,
cervi, daini e cinghiali. Ha quindi una precisa funzione ecologica di
riequilibrio e di contrasto, anzitutto coi cinghiali, aggressivi, diffusisi in
maniera abnorme, fin nelle periferie di città come Genova e Roma. Quindi si
lascino in pace i lupi, si rimborsino più prontamente allevatori e pastori e si
cerchi di sterilizzare i cani randagi e si puniscano severamente i cacciatori
che con fredda crudeltà li abbandonano.
VITTORIO EMILIANI
Stop al resort del golf da un miliardo di euro sulle
alture di Ragusa - Ora l’iter dovrà ricominciare da zero. Pressioni sul governo
- Grande vittoria degli ambientalisti e del comitato cittadino
ZAGABRIA - Il progetto che prevedeva la costruzione di un campo da golf e di
un grande centro residenziale sul monte Sergio (Srdj), sopra Ragusa (Dubrovnik),
ha subito questa settimana una pesante battuta d'arresto. Venerdì scorso,
infatti, il tribunale amministrativo di Spalato ha infatti revocato la licenza
edilizia, accogliendo il ricorso presentato dall'organizzazione ecologista
Zelena Akcija (Azione verde) e dal movimento ragusano "Srdj je nas!" (Srdj è
nostra!), costringendo così gli investitori e gli amministratori locali a
ricominciare da zero tutto il percorso burocratico. Del faraonico progetto
edilizio da più di un miliardo di euro si parla ormai dal 2006, ovvero da quando
il piano urbanistico della Perla dell'Adriatico è stato improvvisamente
modificato per estenderne l'area edificabile sopra le mura. Dai 100 ettari si è
passati allora a quota 340, scatenando l'ira di cittadini e ambientalisti.
Mentre i dettagli del progetto venivano resi noti - circa 250 ville e 400
appartamenti a uso turistico - le associazioni presentavano un primo ricorso,
accolto positivamente a fine 2014. Per l'Alta corte amministrativa croata, il
piano urbanistico era stato modificato illegalmente e, di conseguenza, tutte le
decisioni prese successivamente su tale base andavano riviste. «Da allora
abbiamo ottenuto altre vittorie legali - racconta Djuro ‹apor, coordinatore
dell'iniziativa "Srdj je nas" - anche lo studio d'impatto ambientale, ad
esempio, è stato giudicato illegale, in quanto esaminava solo una parte del
progetto». Con la vittoria di questa settimana, il «progetto deve ripartire da
zero», prosegue ‹apor che avverte: «Gli investitori stanno già facendo pressioni
sul governo, minacciando di portare la questione davanti al tribunale arbitrale
di Washington, ma noi continueremo a vigilare affinché il verdetto croato sia
rispettato». Rompere l’equilibrio paesaggistico e ambientale che
contraddistingue una città unica come quella di Ragusa è estremamente facile,
visto la configurazione dell’area su cui si sviluppa, quindi una giusta
vigilanza ambientale potrebbe solo portare alla conservazione di questo gioiello
dell’Adriatico.
Giovanni Vale
IL PICCOLO - SABATO, 11 febbraio 2017
Parco del mare sotto tiro - Nasce il comitato del “no”
Avviata una petizione: già più di duecento le adesioni
alla bocciatura del progetto su molo Fratelli Bandiera. «A rischio il profilo
delle Rive. Si vada in Porto vecchio»
Si sono dati un nome, “La Lanterna”, e una missione: opporsi. È nato a
Trieste il comitato anti-Parco del Mare, la struttura acchiappa turisti che
dovrebbe sorgere nel 2020 in Molo Fratelli Bandiera. È il sogno di Antonio
Paoletti, presidente della Camera di commercio, che da anni si batte alla
ricerca di sostegno e fondi. Il comitato ha preparato una petizione che si può
sottoscrivere online sul portale di “change.org” collegandosi alla pagina web di
riferimento https://tinyurl.com/zw5qd3m. Oltre duecento le adesioni finora:
ambientalisti o semplici cittadini, fra cui anche studenti e professionisti.
«L’intento è sensibilizzare la città - spiega la portavoce, Giorgetta Dorfles -
e far capire perché un acquario del genere, in quella zona, non ci può stare».
Le ragioni del dissenso, estetiche e paesaggistiche, sono elencate per filo e
per segno nel documento. La costruzione, che secondo le intenzioni dovrebbe
portare nel capoluogo 900mila visitatori l’anno, andrebbe innanzitutto a
oscurare un monumento ottocentesco: la Lanterna, appunto, attribuita
all’architetto Matteo Pertsch. «Devasterebbe tutto il profilo delle Rive,
esempio paradigmatico dell’abbraccio di una città con il mare», protesta il
comitato. Che scende ancora più nel dettaglio dei possibili danni che un
acquario delle dimensioni prospettate (si parla di 17mila metri quadrati di
base, a terra, e altri 24mila a mare) potrebbe arrecare. «Il macroscopico
edificio - si legge nella petizione - fungerebbe da enorme paravento, perché
verrebbe spezzata la linea dell’orizzonte, lungo cui si stagliano, quando l’aria
è limpida, le magiche sagome delle montagne. Inoltre verrebbe oscurato anche il
calare del sole nel golfo con i suoi fantastici colori e graverebbe con la sua
mole sull’armonico impianto della Sacchetta». Fin qui l’estetica. «Ma non
bisogna sottovalutare gli aspetti pratici della faccenda - viene fatto notare -
il surplus di traffico e l’invasione di automobili in una zona già penalizzata
dalla scarsità di parcheggi, i problemi relativi alla fruizione del contiguo
bagno storico Pedocin, il terreno da riporto con cui è stato costruito il Molo
che inficerebbe la stabilità di un edificio così imponente». Non vanno
trascurate, infine, le perplessità sulle ricadute economiche e sulla riduzione
in cattività degli animali, avverte il comitato. E poi la proposta: perché non
realizzare il progetto, piuttosto, nel fronte mare del Porto vecchio? «Vogliamo
sensibilizzare i triestini e la classe politica - ripete Dorfles -: prima di
mettere in moto la macchina delle autorizzazioni ci pensino». La petizione sarà
contenuta anche in documento cartaceo che il comitato intende diffondere alla
cittadinanza con banchetti e altre forme di promozione. Numerosi i commenti di
chi ha sottoscritto la campagna. «Un obbrobrio», scrive Laila Grison. «Si punti
piuttosto a trovare fondi per Miramare o per tutti quei piccoli musei
disseminati in città», interviene Matteo Sandrin. «Ubicazione assurda», mette in
guardia Lorenzo Tissini, «e se proprio si dovesse fare, abbiano il coraggio di
chiedere una cauzione che copra i costi di demolizione e smaltimento, il giorno
in cui diventerà l’ennesimo sarcofago di cemento, vuoto». È la rabbia della
società civile che teme di ritrovarsi un “mostro” lungo le Rive, come rileva
Ennio Zuffi. Perché «deturpa, congestiona, è ingestibile economicamente»,
insiste Guido Pesante. Tanti temono per gli animali e molti, come Nicolò Fumolo,
Valentina D’Odorico, Liliana Servadei, Federica Misturelli o Pietro Tamburini,
suggeriscono invece il Porto vecchio come sede ideale per un acquario. Il
dibattito si allarga pure all’estero, tra chi conosce bene Trieste. «La città ha
altre priorità», riflette Giulio Groppi dal Belgio. O, Darius Bork, originario
di Berlino: «Un blocco di cemento e vetro non è la scelta giusta. Da quando sono
venuto la prima volta qui, due anni fa, mi sono innamorato della città. I
pianificatori urbani devono ripensare questa strana costruzione su tale luogo
emblematico».
di Gianpaolo Sarti
Stop all’amianto nello Scalo Legnami - L’Authority
pubblica il bando del valore di due milioni di euro per sostituire tutte le
tettoie che sono costruite in eternit
Due milioni di euro per bonificare dall’amianto lo Scalo Legnami. È il
valore dell’appalto che l’Autorità di sistema portuale dell’Adriatico orientale
ha messo a gara. Nella fattispecie si tratta di sostituire le attuali tettoie
che coprono la gran parte dei piazzali del terminal e che sono realizzate in
eternit (cemento-amianto). La situazione è sempre stata giudicata sicura dato
che non sono segnalati casi di sfregolamento delle tettoie che potrebbero
mettere a rischio immediato la salute degli operatori, fatto sta che la
necessità della bonifica appariva ineludibile già una quindicina di anni fa, ma
si era innescata tra l’altro la questione se i costi fossero addebitabili al
terminalista oppure all’Autorità portuale. Nel 2012 si era affacciata la
possibilità dell’intervento di una ditta che si sarebbe accollata la spesa in
cambio dell’installazione sulle tettoie di un impianto fotovoltaico e della
gestione dell’energia prodotta, ma l’operazione era presto saltata. Tra l’altro
a ricalcare la necessità dell’operazione, il fatto che al Tribunale di Trieste è
in corso un processo per la morte causata da mesotelioma di 32 tra braccianti,
pesatori, autisti e pulitori che avevano lavorato in porto tra gli anni Sessanta
e Novanta. Le tettoie in questione sono una ventina. I lavori previsti sono la
rimozione e lo smaltimento di quelle contenenti amianto a la posa in opera di
nuove coperture in metallo. L’importo previsto è 1.845.179 euro, di cui 90.900
euro per oneri di sicurezza, più Iva. Le offerte dovranno pervenire
all’Authority entro le 12 del 2 marzo e il 6 marzo alle 9.30 verranno aperte le
buste. Tra i criteri della commissione giudicatrice vi saranno la tipologia
delle lastre di copertura, dei sistemi di fissaggio, delle lattonerie, le
caratteristiche di sicurezza, il personale impiegato. Lo Scalo Legnami viene da
decenni di precarietà anche se il bilancio 2014 si era chiuso in nero dopo anni
di rosso e attualmente, oltre al traghetto che una volta alla settimana
raggiunge Durazzo in Albania, la sua banchina è utilizzata anche da Arvedi per i
trasporti del Gruppo quando il molo della Ferriera è già occupato. La
maggioranza delle quote della società che gestisce il terminale, cioè la General
cargo terminal, è in mano al Gruppo Gavio, ma l’ex presidente Alberto Cattaruzza
(che rappresentava il socio di minoranza Ocean) ha dato da tempo le dimissioni
(mentre Walter Preprost ha conservato il ruolo di amministratore delegato) e per
lunedì è fissato un consiglio di amministrazione che dovrebbe distribuire le
nuove cariche. Frattanto il presidente dell’Authority, Zeno D’Agostino, ha
confermato anche per il 2017 la riduzione nella misura del 30% dei canoni
demaniali che riguardano le aree e i manufatti utilizzati esclusivamente per il
deposito di legname. Ciò a causa della forte flessione nell’ultimo decennio di
un traffico che comunque ha un’importanza strategica fondamentale per il porto
di Trieste. Analogamente, una riduzione, contenuta però nel 20%, è stata
decretata per quanto riguarda i canoni relativi ai magazzini utilizzati
esclusivamente per il deposito di caffé crudo. Questo decreto comporterà minori
entrate per circa 300mila euro.
Silvio Maranzana
Ambiente - Gestione rifiuti, nuove norme
L’assessore del Friuli Venezia Giulia, Sara Vito, ha reso note alla Giunta regionale le linee direttrici della nuova normativa in materia di gestione dei rifiuti e principi di economia circolare. Come ha precisato Vito, tra le priorità che la Regione ha individuato per innovare il settore dei rifiuti vi è la riscrittura della legge 30 che risale al 1987. Dobbiamo snellire le procedure, ha ricordato Vito, senza dimenticare in chiave politica che la legge 30 è anche concettualmente superata in quanto considera ancora il problema dei rifiuti esclusivamente nell'ottica dello smaltimento.
Allarme cinghiali, appello al Comune - Mozione di
Tremul per far sì che l’amministrazione solleciti la Regione
TRIESTE - Cinghiali a ridosso di scuole, abitazioni e monumenti, è allarme
totale. A lanciarlo la circoscrizione di Altipiano Ovest, con una mozione
specifica del consigliere Francesco Tremul (Lista Dipiazza) e proposta
all’intero parlamentino che sovrintende le frazioni di Prosecco, Contovello e
Santa Croce. Secondo Tremul, i cinghiali continuano a imperversare ovunque,
spesso a ridosso dei centri abitati e negli orti urbani. Numerose infatti sono
le segnalazioni dei cittadini, che avvistano i selvatici nei posti più
impensati, e non si contano gli appelli lanciati dalle associazioni agricole per
i danni causati su pascoli e coltivazioni. «Branchi di cinghiali ormai dimorano
abitualmente a ridosso delle abitazioni, delle scuole e addirittura dei
monumenti (recente l’avvistamento nei pressi del Faro della Vittoria, ndr) -
afferma Tremul - non solo in orario notturno, con pericolosi inserimenti sulla
viabilità ordinaria e lungo le linee ferroviarie». Il documento chiede
all’amministrazione comunale di adoperarsi tempestivamente sollecitando la
Regione a individuare gli strumenti per la gestione della fauna selvatica,
ricordando che a partire dal 1 giugno 2016 le funzioni in materia di vigilanza
ambientale, forestale, ittica e venatoria, caccia e pesca risultano trasferite
proprio all’ente regionale. La pressione venatoria e gli abbattimenti in deroga
però, osserva la circoscrizione, non possono essere la sola strategia per la
risoluzione del problema. Per tale ragione l’approccio di contenimento alla
proliferazione di selvatici deve essere realizzato con un piano multisettoriale.
(m.lo.)
ZULLO (M5S) «Centrali nucleari scarsa informazione»
Dopo l’incidente nella centrale nucleare francese di Flamanville, e vista la vicinanza della centrale slovena di Krsko, l’europarlamentare M5S Marco Zullo scrive che «Regione e Arpa non riportano indicazioni nei siti internet, di un piano regionale o interprovinciale per informare o dare indicazione sui comportamenti da seguire in caso di problemi nucleari».
Animali La Lav alle Torri Firme anti-circhi
Questa mattina dalle 10 alle 18, la Lav Trieste sarà presente con un tavolo informativo al Centro commerciale “Le Torri d’Europa” per sostenere un’importante iniziativa: il Disegno di legge del Governo sulla disciplina dello spettacolo, che prevede la graduale dismissione degli animali nei circhi. La petizione - che chiede il rispetto dell’impegno preso - scade il 5 marzo 2017 e la si può firmare anche on line collegandosi a www.lav.it/petizioni.
GREENSTYLE.it - VENERDI', 10 febbraio 2017
Mediterraneo: quanto inquinano le grandi città, studio
lo rivela
L’inquinamento delle grandi città del Mediterraneo in uno studio
svizzero-canadese. Sono 19 le metropoli prese in esame dalla ricerca, che ha
interessato continenti e Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum. Un bilancio
che vede Istanbul e Il Cairo in cima alla classifica delle più inquinanti, in
funzione della densità demografica seguite al terzo posto da Barcellona e al
quarto da Roma.
Il maggiore impatto ambientale di queste quattro città sul Mediterraneo è
stato valutato in questo caso sulla base dei rispettivi abitanti: Istanbul
(13,02 milioni), Il Cairo (12,83 mln), Barcellona (4,72) e Roma (4,17).
Differente l’andamento nel caso si analizzi l’impatto in ettari procapite il
primo posto passa a La Valletta, Malta, con un valore di 5,3.
Analizzando il consumo procapite Roma scende al quinto posto (4,7 ettari
procapite) dietro la già citata La Valletta, Atene, Genova e Marsiglia. Seguono
la capitale italiana Barcellona, Tessalonico, Valencia, Tel Aviv e Venezia.
Appena fuori dalla “worst ten” Palermo e Napoli, seguite a loro volta da
Istanbul, Tunisi, Izmir, Il Cairo, Antalya, Alessandria d’Egitto e Tirana. A
causare la variazione delle posizioni è soprattutto il tenore di vita, con
l’impatto ambientale che cresce in maniera proporzionale all’aumento dei livelli
di reddito.
L’andamento in Italia ha visto nel periodo 2010-2015 un leggero miglioramento
della situazione per quanto riguarda Roma, Genova e Palermo, mentre è al
contrario peggiorata per Napoli. Stabile è invece la situazione di Venezia. A
incidere sull’ambiente del Mediterraneo è soprattutto il consumo di generi
alimentari: è responsabile secondo lo studio per il 20% dell’impatto nei Paesi
più ricchi e per il 40% nei restanti. Gli altri due riferimenti utilizzati sono
stati “Trasporti” e “Consumo dei beni“: se il primo dei due incide tra il 14 e
il 25% sull’impatto della singola città, il secondo lo fa per il 12-15%. Sui
parametri citati pesa però un’ulteriore variabile, il turismo: i visitatori che
si recano ogni anno nei Paesi del Mediterraneo sono circa 220 milioni.
Claudio Schirru
IL PICCOLO - VENERDI', 10 febbraio 2017
I giardini inquinati in Consiglio regionale - Vito: «La situazione è sotto controllo»
Il problema dell'inquinamento delle aree verdi di Trieste è stato affrontato in IV Commissione del Consiglio regionale, presieduta da Vittorino Boem, nel corso di un'audizione alla quale hanno preso parte l'assessore regionale Sara Vito, l'assessore comunale triestina Luisa Polli, e i tecnici dell'Arpa. La Vito ha ripercorso la vicenda, iniziata nel 2016 e ha sottolineato come il problema sia stato affrontato tempestivamente con 350 mila euro, che siano stati messi in campo subito tutti gli interventi necessari, che la situazione venga costantemente monitorata e tenuta sotto controllo, e che il tavolo tecnico continui in modo proficuo il suo lavoro. D’accordo con una valutazione positiva dell’operato regionale i consiglieri Emiliano Edera (Cittadini) e Giulio Lauri (Sel). Il capogruppo forzista Riccardi ha chiesto se la Regione non avesse un piano B per la Ferriera ma la Vito non ha risposto in quanto il tema non era all’ordine del giorno. Stessa sorte l’intervento su Servola di Andrea Ussai (M5s).
Discarica di tubi nella Grotta Impossibile - Scoperti
dalla Commissione Boegan i resti dei sondaggi geognostici effettuati per
realizzare poi la galleria della Gvt
LO SPELEO TORELLI - Inquinamento con materiale plastico e ferroso: è un
fatto che turba, considerando anche le nuove norme introdotte dalla Regione
Uno degli ipogei più belli e vasti dell’intero Carso triestino deturpato dai
lasciti del cantiere del “tubone” di Cattinara. L’inattesa documentazione è
stata registrata da alcuni membri della Commissione Grotte “Eugenio Boegan” del
Sag-Cai di Trieste che durante una ricognizione all’interno della cosiddetta
Grotta Impossibile, proprio nella nuova grande stanza dedicata alla memoria del
giovane naturalista triestino Thomas De Marchi, hanno rinvenuto cospicui resti
dei sondaggi geognostici - carotaggi a distruzione - propedeutici alla
costruzione del tunnel autostradale. In poche parole un centinaio di metri di
tubi in plastica e una sonda in acciaio che giacciono nelle viscere del Carso da
oltre dieci anni. «Anche alla luce della nuova recente riforma della legge sulla
speleologia emanata dalla Regione e delle norme da rispettare, l’inquinamento e
la deturpazione della cavità con materiale plastico e ferroso è un fatto che
accende e turba per l’ennesima volta il sentimento, non solo degli speleo o dei
grottisti», ha spiegato fermamente la guida speleologica regionale Louis
Torelli, past president della Boegan. Nel 2004, durante gli importanti lavori di
costruzione del tunnel autostradale della nuova Grande viabilità triestina,
l’impresa Collini, su mandato del Comune di Trieste, perforò una grossa galleria
naturale. All’epoca nel primo tratto della “Canna Venezia”, a circa 450 metri
dall’inizio degli scavi, venne alla luce una nuova importantissima grotta. Nelle
primissime ricognizioni assieme all’allora Dipartimento di Geoscienze
dell’Università degli Studi di Trieste diretto dal professor Franco Cucchi, la
Commissione Grotte “Boegan” ebbe la possibilità di accedere al cantiere e di
constatare la notevole portata della struttura sotterranea: una grotta, per
l’appunto, Impossibile. «Ci vollero diversi mesi di impegno anche in termini di
politica speleologica, per poter gestire in forma equilibrata questa scoperta, e
poi anni di esplorazioni per completare un quadro generale che rappresentasse
questa notevole chilometrica cavità», racconta Torelli, che allora cercò in
tutti i modi di sensibilizzare gli amministratori comunali, accompagnandoli più
volte in grotta. L’Impossibile è una delle grotte più strettamente connesse al
tessuto infrastrutturale di Trieste, e nonostante tutto, ancora poco studiata e
poco conosciuta. «Recentemente si è presentata l’occasione per tornare
all’Impossibile con l’obiettivo di affrontare la grande parete nord della
Caverna dedicata al “Maestro” Carlo Finocchiaro, per mettere naso in alcune
anomalie intraviste nelle mastodontiche evorsioni ed erosioni presenti sul tetto
della caverna, girando lo sguardo a Nord Ovest», spiega Torelli. Nel corso dello
scorso autunno Louis Torelli, Paolo Toffanin, Lorenzo Marini e Tom Kravanja
hanno individuato e raggiunto una considerevole apertura sul soffitto della
caverna, a una quota di circa 250 metri sul livello medio marino, attorno alla
quale si sono sviluppati i maggiori tratti del complesso sotterraneo. «Gli
ambienti fossili raggiunti sono di notevoli dimensioni e rara bellezza: un’ampia
galleria, cui si è pervenuti con una elegante arrampicata mista, in libera ed in
artificiale, e un traverso, per uno sviluppo in altezza e in diagonale di oltre
cento metri, e a circa cinquanta metri da terra», racconta il past president
della Boegan. All’interno di questa nuova galleria si trovano consistenti
depositi di pietrisco in fase di cementificazione intercalati da straterelli di
calcite. Nella parte mediana, invece, i cospicui resti dei sondaggi geognostici,
carotaggi a distruzione, propedeutici alla costruzione del tunnel autostradale.
Questo nuovo tratto della Grotta Impossibile è stato dedicato alla memoria di
Thomas De Marchi, naturalista triestino scomparso prematuramente nel luglio 2015
a 34 anni. «Con Thomas, negli ultimi tempi avevo condiviso l’interesse per la
Grotta Impossibile - conclude Torelli -, sicuramente se avesse visto tutto
questo indecoroso lascito di tubi di plastica ne sarebbe rimasto tristemente
sconvolto, come tutti noi».
Riccardo Tosques
Francia, allarme nucleare - Fiamme in una centrale -
Greenpeace chiede spiegazioni. Una petizione per dismettere i reattori obsoleti
L’incidente in Normandia ma le autorità rassicurano: «Nessun rischio
radiazioni»
ROMA Alle 9.40 di ieri mattina un brivido corre lungo la schiena
dell’Europa. Arriva la notizia di un’esplosione nella centrale nucleare di
Flamanville. Il sito si trova in Francia nella zona della Bassa Normandia, nel
Nord-Ovest del paese, che affaccia sul canale della Manica. Le autorità, però,
precisano immediatamente: non c’è alcun rischio legato alla radioattività,
perché l’incidente è avvenuto nella sala macchine al di fuori della cosiddetta
«isola nucleare». Il prefetto di zona, Jacques Witkowski, parla di «cinque
intossicati lievi», che però sarebbero usciti indenni dalla centrale. Nonostante
abbia annunciato l’apertura di «un’indagine tecnica» per determinare le cause
dell’incidente, che si sarebbe verificato «su un banale impianto elettrico»,
Witkowski si è lanciato in una prima spiegazione dell’accaduto. Si tratterebbe
«un surriscaldamento sulle guaine dei macchinari» che avrebbe causato lo
sprigionarsi delle fiamme e del fumo. Dopo l’intervento dei pompieri il primo
reattore, il più vicino alla sala macchine, è stato spento per precauzione. Una
versione confermata dalla società Électricité de France (Edf), proprietaria
dell’impianto. «Non c’è alcuna vittima - hanno scritto - e nessuna conseguenza
per la sicurezza e per l’ambiente». Falso è risultato il video diffuso da
WikiLeaks dell’esplosione e dell’incendio, smentito dalla stessa azienda su
Twitter. L’Edf è la maggior produttrice di energia in Francia ed è uno dei
colossi mondiali del settore. Greenpeace Francia, però, chiede spiegazioni
sull’accaduto. «Chiediamo informazioni pubbliche - scrive l’Ong - su cause e
conseguenze, il più presto possibile. “Non ci sono rischi per l’ambiente” -
prosegue, citando il tweet della società - ma lo stato del parco nucleare
francese è inquietante». L’associazione ambientalista approfondisce il concetto
in un comunicato pubblicato anche su Ouest France, il primo quotidiano a dare la
notizia. «Insieme ai due recenti incidenti che hanno avuto luogo alle centrale
di Cattenom, questo è il terzo incendio in una centrale in dieci giorni.
L’Autorità sul nucleare stessa ha dichiarato che lo stato della sicurezza delle
centrali è preoccupante. Tutto questo in un contesto di grave deterioramento dei
reattori francesi, più della metà sono affetti da un centinaio di gravi
anomalie». In Francia, a oggi, sono attive 19 centrali nucleari secondo la mappa
pubblicata dal quotidiano Liberation, con un’anzianità compresa tra i 15 e i 39
anni. Non mancano, poi, le polemiche sulla stessa centrale di Flamanville: i due
reattori sono in funzione dagli anni Ottanta e hanno una storia
ultratrentennale. È in costruzione un terzo reattore di ultima generazione, i
cui tempi di realizzazione e i relativi costi, sono però lievitati nel tempo.
Sul sito “MesOpinions.com” è possibile trovare una petizione diretta al
presidente Hollande per dismettere la centrale di Flamanville.
Andrea Scutellà
IL PICCOLO - GIOVEDI', 9 febbraio 2017
Ferriera, il Tar stoppa il Comune - I giudici
amministrativi rigettano la richiesta di sospensiva contro il decreto regionale
di fine dicembre
Il metaforico ammasso di carte che il "caso Ferriera" ha accumulato
sull'altrettanto metaforica scrivania del Tar regionale si è alleggerito ieri di
qualche faldone. Il Tribunale amministrativo del Friuli Venezia Giulia ha
comunicato infatti il rigetto dell'istanza di sospensiva proposta dal Comune di
Trieste contro il decreto regionale che accertava il completamento da parte di
Siderurgica Triestina srl di una serie di adempimenti prescritti
dall'Autorizzazione integrata ambientale (Aia). Il provvedimento impugnato dal
Comune è conosciuto ormai con il nome di "decreto Agapito" dal nome del
firmatario, che è il direttore del Servizio tutela da inquinamenti atmosferico,
acustico ed elettromagnetico Luciano Agapito. Quel documento era stato trasmesso
il 22 dicembre scorso dalla Regione al Tar proprio in risposta all'intimazione
che il Tribunale le aveva inviato durante lo svolgimento di un altro
procedimento. Quale? Quello sull'impugnazione da parte di Siderurgica triestina
dell'ordinanza con cui il sindaco Roberto Dipiazza imponeva allo stabilimento
industriale nel cuore di Servola di limitare la produzione a 34mila tonnellate
mensili «ai fini della tutela della salute pubblica». La prima udienza di quel
procedimento si era tenuta il 16 dicembre, ma i giudici amministrativi avevano
rinviato la pronuncia sulla sospensiva all'11 gennaio. La motivazione del rinvio
da parte del Tar era proprio l'assenza dell'atto conclusivo della Regione sulla
verifica delle prescrizioni previste dall'Aia per la Ferriera. Senza quel
documento, rilevavano i giudici amministrativi, non era possibile prendere una
decisione sulla richiesta del gruppo Arvedi di sospendere l'ordinanza marcata
Dipiazza. Pochi giorni dopo, il 22 dello stesso mese, la Regione aveva risposto
inviando un documento agli uffici del tribunale. Il famoso decreto Agapito. A
quel punto è toccato al Comune il turno dell'impugnazione, occasione che palazzo
Cheba non si è lasciata sfuggire. Per la giunta comunale il decreto risultava
illegittimo «in quanto carente della presupposta attività istruttoria oltre che
delle necessarie determinazioni che lo stesso doveva assumere, considerato
l’indiscusso sforamento del limite di produzione mensile di ghisa così come
autorizzata dall’Aia». Secondo il Comune gli uffici regionali si erano limitati
a ricalcare passo passo i rapporti delle ispezioni Arpa. Il Tribunale, però, non
ha condiviso la posizione della giunta, rigettando l'impugnazione. Dalla Regione
viene evidenziato come «il Tar, nell'ordinanza, abbia rilevato la mancanza, allo
stato, di un'apprezzabile fondatezza (fumus boni iuris) del ricorso del Comune,
non essendo stati nemmeno contestati gli interventi strutturali all'altoforno».
Il Comune è stato altresì condannato alla rifusione delle spese a favore di
Regione e Siderurgica.
Giovanni Tomasin
Le ruspe sulla Tripcovich “emarginano” Dipiazza -
L’annuncio dell’abbattimento scatena reazioni contrarie pure nel centrodestra
Riemerge un piano di recupero del 2009 che costerebbe come la demolizione
L’abbattimento della Sala Tripcovich riporta a galla un progetto di otto anni fa e spacca la maggioranza. Il partito dei demolitori, capeggiato dal sindaco picconatore, dovrà fare i conti con chi vuole riaprire il capitolo Tripcovich al punto dove la seconda amministrazione Dipiazza l’aveva lasciato. «Riemerge l’idea di abbattere l’edificio di Umberto Nordio. Ma da anni esiste un ottimo progetto di riconversione, peraltro incoraggiato dall’amministrazione comunale nel precedente mandato di Roberto Dipiazza. Una soluzione sempre attuale, innovativa e utile, che andrebbe rivalutata», riapre la partita l’ex assessore Paolo Rovis che condivideva la passione per questo progetto assieme agli allora consiglieri regionali Piero Camber e Maurizio Bucci. Il progetto è quello della Nuova Tripcovich lanciato nel 2009 da un gruppo di giovani tra i quali ci sono Andrea Rodriguez (ora impegnato nel Comitato 5 dicembre per la chiusura dell’area a caldo della Ferriera) che ieri ha pure rilanciato il progetto: «La Sala Tripcovich è potenzialmente un grande patrimonio per Trieste e già otto anni fa un gruppo di visionari tra cui me, Roberto, Piero, Marco, Magda e Claudio, e forse qualcun altro che oggi non mi sovviene, creò. Un progetto completo e sostenibile per restaurarla. È tutto pronto. Basta ripensare due cosette e Trieste può avere una struttura meravigliosa, per i giovani ma non solo, in pieno centro, che non disturberebbe nessun vicinato e porterebbe lavoro e ricchezza. Chissà se stavolta non riusciamo». Del gruppo di visionari favevano parte Roberto Lisjak, Piero Boncompagno, Marco Boncompagno e Claudio Farina. «Si tratterebbe di prendere spunto dall’esperienza pordenonese del Nuovo Deposito Giordani (che ha chiuso l’anno scorso, ndr), creando così un contenitore polifunzionale che abbia all’interno delle sale destinate alla musica dal vivo ed alla musica da ballo ed uno studio di registrazione - si legge nel progetto -. Una struttura da sfruttare sia dal punto di vista dell’intrattenimento che della formazione di nuove professionalità, con la creazione di corsi in settori riguardanti la fonica, la logistica, l’organizzazione di eventi e tutto quello che non viene coperto in questi ambiti dal punto di vista didattico al momento a Trieste». Il costo del progetto per risistemare lo spazio è di circa due milioni e mezzo di euro per una struttura autosostenibile. Più o meno gli stessi costi che servirebbero ora per rimetterla a posto. «Quanto alla Tripcovich anche a me pare inutile abbatterla - scrive Francesco Cervesi -. Tanto i costi per sistemarla (si parlava di due milioni) alla fine sono equivalenti ai costi per abbatterla e sistemare l'area». Neppure Serena Tonel, primo assessore ai teatri di Trieste, vuole essere ricordata come quella che ha raso al suolo una sala teatrale. «In questo momento chiuderla è stata una scelta obbligata. Non può essere aperta al pubblico. Quello che possiamo fare come Comune è trovare delle soluzioni alternative. Sto lavorando per trovare delle soluzioni immediate». E che fine far fare alla Tripcovich? «Non sono io a dirlo. È un edificio vincolata dalla Soprintendenza», spiega l’assessore che non ha le manie distruttive del primo cittadino. «Approfondiremo nei prossimi giorni la questione della Sala Tripcovich e del preannunciato abbattimento. Per ora possiamo dire che prima di fare a meno di un luogo di cultura come quello è necessario non solo progettare ma anche realizzare un posto alternativo, altrimenti il rischio sarà quello di perdere eventi e manifestazioni importanti, cosa che Trieste non può permettersi», dichiara Paolo Menis, capogruppo del Movimento 5 Stelle. «Un'area verde o uno spazio equivalente e una sala alternativa per eventi quali i festival del cinema, la musica eccetera. Perché Rossetti e Verdi sono molto cari e con un calendario fitto quindi offrono poche possibilità», propone l’ex sindaco Roberto Cosolini. «Ma mi fate capire dove sta la strategia? Forse altri parcheggi? C’è il Silos a due metri! Forse riqualificare l’ingresso in Porto vecchio? In teoria parrebbe avere un senso, ma in realtà non ce l’ha se l’idea di progetto è fare uno spiazzo con sotto un parcheggio. E quindi che cosa esprime questa uscita “muscolare”: che quando si hanno poche idee si cerca di dare loro forza sparandole grosse?», si chiede l’ex assessore Elena Marchigiani senza aspettarsi risposte.
Fabio Dorigo
Trieste-Mestre in 70 minuti, più fantasia che realtà - LA LETTERA DEL GIORNO di Brunello Zanitti Giuliano
In merito all'enunciata futura velocizzazione dei Traffici su Rotaia "70 minuti per percorrere la Tratta Ferroviaria Mestre/Trieste" penso sia condivisibile l'affermazione che possano sorgere alcuni velati e giustificati dubbi/perplessità sia per la velocità che per la reale capacità di poter smaltire i traffici merceologici attuali/futuri generati dallo scalo, perplessità determinate specialmente dalla conformazione della vetusta ultima tratta relativa al tracciato Ferroviario Linea Bassa "Aurisina / Trieste Stazione Centrale" percorribile a velocità ridotta e dove si può contare su due soli binari. Questa situazione in termini di potenzialità non credo sia in grado di assecondare e supportare la somma delle esigenze sia del trasporto dei passeggeri, che le ventilate ambizioni della Portualità Triestina che vorrebbe assumere in futuro in tema di Logistica di Porto e Retroporto il significativo ruolo "di Hub Adriatico" per la gestione di una quota dei traffici relativi ai notevoli volumi dell'interscambio merceologico Euro/Asiatico in transito nel Mediterraneo, purtroppo per noi l'inadeguatezza dell'attuale tracciato rischia chiaramente di incidere negativamente sia nei confronti delle strategie dell'armamento che nella nostra capacità di poter sfruttare le notevoli ed opulente opportunità che il Corridoio Baltico Adriatico sarebbe in grado di generare. Il citato ambito ruolo per la Portualità Triestina contemplerebbe una capacità di movimentazione annua di diversi milioni di contenitori, valori difficilmente smaltibili dai due soli binari presenti attualmente sulla Linea Bassa, quindi penso sia il caso di non farsi molte illusioni per il futuro poiché per far si che lo Scalo Triestino possa realmente diventare uno dei fulcri della Portualità Mediterranea, e quindi contribuire al possibile ed auspicabile "spostamento un po' più a sud verso l'Alto Adriatico del baricentro del sistema Trasportistico Comunitario" le nuove opere da cantierizzare sarebbero molteplici e particolarmente impegnative per costi/problematiche. Penso sia alquanto evidente che se gli amministratori dello scalo triestino credono realmente "nelle variegate economie che il mare sarebbe in grado di generare" e se volessero realmente in futuro materializzare gli ambiziosi citati obbiettivi, sulla falsariga di quanto sta facendo Genova per potenziare la sua portualità con la cantierizzazione e realizzazione "del Terzo Valico" nel nostro caso gli interventi, opportunamente pianificati, dovrebbero contemplare sia il raddoppio dei binari Ferroviari esistenti sulla Linea Bassa portandoli da due a quattro, che l'adeguamento ed opportuno sfruttamento della vecchia Ferrovia - Campo Marzio - Cattinara - Opicina - e quindi essere ben più consistenti degli aggiornamenti tecnologici annunciati "dall'ad del Gruppo F.S.". Per concludere, penso che nelle menti di molti "addetti ai lavori e non" rimangono comunque delle più o meno velate perplessità, da imputare principalmente alle particolari caratteristiche ambientali del territorio carsico ed al livello d'urbanizzazione presente lungo tutto il costone, e ai presumibili rilevanti costi necessari per cantierizzare delle soluzioni.
Le chiavi di Miramare ad una medievalista in arrivo da
Israele - Franceschini affida il ruolo di direttore di parco e castello alla
storica dell’arte ed esperta di codici Andreina Contessa
Il ministro Dario Franceschini incorona Andreina Contessa. Sarà lei a
guidare Miramare. Il governo ha chiuso la partita dei direttori ieri, con dieci
nomine per altrettante strutture pubbliche di interesse nazionale: oltre a
Trieste compaiono il Complesso monumentale della Pilotta di Parma, i musei della
Civiltà all'Eur, l'Etrusco di Villa Giulia, il Museo Nazionale Romano, Villa
Adriana e Villa d'Este e i parchi dell'Appia Antica, dei Campi Flegrei, di
Ercolano e di Ostia Antica. «Sono riconosciute eccellenze italiane», il commento
di Franceschini. Due dei dieci super-manager, come hanno fatto notare dal
ministero, rientrano in Italia dopo un'esperienza professionale all'estero. È
proprio il caso di Andreina Contessa, scelta per il “Museo Storico e il Parco
del castello di Miramare di Trieste”: la nuova direttrice, originaria di
Brescia, arriva dal Nahon Museum of Italian Jewish Art di Gerusalemme. Storica
dell’arte e medievalista, specialista di arte ebraica, si è occupata
principalmente di iconografia biblica, esegesi e illustrazione nei manoscritti
miniati medievali, codici latini e codici ebraici. Dopo la laurea in Storia
dell’arte medievale all’Università di Parma, ha conseguito un dottorato
all’Università ebraica di Gerusalemme. Qui, così recita il curriculum, ha
insegnato per molti anni al Dipartimento di storia dell’arte. Ha collaborato con
diverse istituzioni accademiche in Israele e in Europa. Dal 2009 è la
conservatrice del Museo di arte ebraica italiana “Umberto Nahon” di Gerusalemme.
Ha pubblicato numerosi articoli su riviste italiane e internazionali. Il parco
triestino, insieme alle altre realtà fresche di direttore, è uno dei dieci musei
dotati di autonomia, individuati a inizio anno dal ministero Franceschini. È
stato Corrado Azzollini, già alla Soprintendenza del Friuli Venezia Giulia, a
reggere l’interim di Miramare in questi mesi. Il nome di Contessa è spuntato
dopo almeno due fasi di selezione, tra cui un colloquio con una commissione
tecnica ad hoc presieduta da Paolo Baratta e composta da Lorenzo Casini
(ordinario di diritto amministrativo della Scuola Imt alti studi di Lucca),
Keith Christiansen (storico dell'arte e curatore capo del Department of Eurepean
Paintings del Metropolitan Museum of Art di New York), Claudia Ferrazzi
(consigliere di amministrazione del Louvre-Lens) e Michel Gras (archeologo e
direttore di ricerca del Centre national de la recherche scientifique di
Parigi). «La commissione ha fatto un grande lavoro e ha offerto al direttore
generale dei Musei del Mibact, Ugo Soragni, e a me la possibilità di scegliere
in terne di assoluto valore», le parole del responsabile dei Beni culturali. I
nuovi direttori, fa notare il ministro, «sono italiani con elevata
professionalità nella direzione del patrimonio culturale, con alcuni che tornano
nel nostro Paese dopo importanti esperienze all'estero». È nelle mani di
Contessa, ora, il non facile rilancio del parco e del castello. E non solo la
Riserva marina: una delle prime decisioni che il neo-direttore dovrà affrontare
riguarda l'introduzione del biglietto di ingresso al parco, di cui si parla
ormai da tempi biblici.
Gianpaolo Sarti
Eni, chiesto giudizio per Descalzi - Il manager
accusato di corruzione con altri 8: mazzetta da 1 miliardo
MILANO L’ad di Eni Claudio Descalzi, l’ex “numero uno” Paolo Scaroni, l’uomo
d’affari Luigi Bisignani e altre 8 persone, oltre alla stessa Eni e a Shell,
devono andare a processo per una presunta maxi tangente da 1 miliardo e 92
milioni di dollari che sarebbe stata versata dal colosso petrolifero italiano e
da quello olandese a politici nigeriani per l’acquisizione nel 2011 di un
giacimento petrolifero nel Paese africano, noto con la sigla “Opl-245”. È la
richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura di Milano che poco più di
un mese fa ha chiuso le indagini a carico di tredici persone, comprese le due
società, indagate in base alla legge sulla responsabilità amministrativa degli
enti. La presunta maxi “stecca”, equivalente al prezzo dell’acquisizione da
parte di Eni e Shell del giacimento petrolifero, sarebbe servita, secondo le
indagini, a corrompere una sfilza di politici del Paese africano e in parte
sarebbe stata anche retrocessa a manager del gruppo. Intanto, il cda dell’Eni ha
confermato «la massima fiducia sulla estraneità della società» e dell’ad alla
vicenda ribadendo «la correttezza dell’operazione relativa all’acquisizione
della licenza del blocco Opl 245». Secondo i pm sarebbe stato l’allora ad
Scaroni a dare «il placet all’intermediazione di Obi» Emeka, presunto
intermediario, «proposta da Bisignani e invitando Descalzi», all’epoca dg della
Divisione Exploration & Production Eni, «ad adeguarsi». Sia Scaroni che Descalzi
avrebbero poi incontrato «il presidente» nigeriano Jonathan Goodluck «per
definire l’affare».
Corso di avviamento all’apicoltura
Alle 17 al Padiglione "I" dell'ex Opp (vicino al Bar "Il posto delle
Fragole") il quarto appuntamento, deI corso di avviamento all'apicoltura
promosso da Urbi et Horti, Associazione Bioest, associazione Il Ponte,
Legambiente Trieste, Aias, Anglat Fvg, Lapis, Multicultura, Arci Servizio Civile
Trieste, Arci Servizio Civile FVG, Comitato pace convivenza solidarietà Danilo
Dolci e Azienda Sanitaria Trieste. Info: 328-7908116.
GREENSTYLE.it - MERCOLEDI', 8 febbraio 2017
Glifosato: California lo etichetterà come probabilmente
cancerogeno
La California potrà etichettare il glifosato come probabilmente
cancerogeno. A stabilirlo il giudice di Fresno, che ha accolto la richiesta
dello Stato americano di tutela della sicurezza dei lavoratori che utilizzano
l’erbicida RoundUp. Forti proteste dalla Monsanto, azienda che produce la
sostanza chimica.
La Monsanto aveva citato in giudizio la California accusandola di aver
intrapreso in maniera illegittima l’operazione di etichettatura del glifosato
come “probabilmente cancerogeno”, come indicato dallo IARC (International Agency
for Research on Cancer). Tra gli avvocati che hanno vittoriosamente difeso lo
Stato USA anche Robert Kennedy Jr. Secondo gli avvocati della Monsanto tale
imposizione pregiudicherà in maniera fatale il commercio del prodotto, causando
gravissimi danni finanziari per l’azienda. Un’opinione non condivisa da Robert
Kennedy Jr, che ha dichiarato: Questa etichettatura non li metterà fuori dal
commercio. Si tratta di un avvertimento, che permetterà ai lavoratori di sapere
che hanno a che fare con un prodotto chimico che può provocare danni alla loro
salute.
Nel frattempo prende il via anche in Europa un’offensiva ambientalista volta a
interrompere l’utilizzo di glifosato entro i confini UE. Si tratta di una
Iniziativa dei cittadini europei (ICE), avviata al fine di chiedere alla
Commissione Europea un bando totale per la sostanza chimica. Il lancio è
avvenuto con una serie di eventi in diverse città europee, tra cui Roma,
Berlino, Bruxelles, Madrid e Parigi, e vedrà coinvolte organizzazioni presenti
in 15 Paesi. Al raggiungimento del milione di firme la Commissione UE sarà
chiamata all’adozione di una “risposta formale per illustrare le eventuali
azioni che intende proporre a seguito dell’iniziativa dei cittadini”. Federica
Ferrario, responsabile campagna Agricoltura sostenibile di Greenpeace Italia:
"Quest’anno abbiamo finalmente l’opportunità di togliere il glifosato dai nostri
campi e dai nostri piatti. Sono sempre di più i corsi d’acqua in Italia e in
Europa contaminati con questo diserbante, classificato come “probabile
cancerogeno” dallo IARC. Si trovano tracce nel cibo, nelle bevande e persino
nelle urine. Il messaggio alla Commissione Ue e ai Paesi membri è chiaro:
l’interesse e la salute delle persone devono venire prima dei profitti delle
aziende agrochimiche".
Claudio Schirru
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 8 febbraio 2017
Il Comune chiude la Tripcovich e lancia il piano per la
demolizione - L’operazione abbattimento verrà illustrata a breve al
consiglio di indirizzo della Fondazione Verdi proprietaria della struttura
La Sala Tripcovich chiude e, in prospettiva, potrebbe non riaprire mai più.
Sì, perché il Comune, secondo il quale l’edificio ha seri problemi strutturali,
ha ufficialmente dichiarato guerra all’ex stazione delle corriere costruita nel
1936 dall’architetto Umberto Nordio, vincolata dalla Soprintendenza dal 2006,
diventata teatro nel 1992 e dal 2012 entrata nel patrimonio della Fondazione del
Teatro Verdi. Un’ex stazione che il sindaco Roberto Dipiazza, rispolverando un
vecchio cavallo di battaglia, farà di tutto per buttare giù. Non è dunque un
caso che lo spettacolo “Solo” di Arturo Brachetti, che doveva andare in scena
ieri e oggi, sia saltato. Che l’idea di radere al suolo l’edificio non sia solo
di una vaga intenzione, lo dimostra il fatto che Dipiazza, anche presidente
della Fondazione, ha già fatto dei sopralluoghi con gli assessori di competenza.
Lo spiega il consigliere forzista Piero Camber, che aggiunge: «Nel cassetto c’è
già un progetto articolato, che si affiancherebbe a quello già previsto per la
riqualificazione di piazza Libertà e che in teoria dovrebbe partire entro un
anno. Dipiazza dovrebbe presentare il suo programma al consiglio d’indirizzo
della Fondazione Verdi e nel caso di assenso, lo stesso ente culturale dovrebbe
poi avviare ufficialmente la domanda alla Soprintendenza per ottenere l’iter di
rimozione del vincolo». Al posto della Tripcovich il sindaco ipotizza un grande
spazio che dia visibilità all’imponente ingresso di Porto vecchio. E, per
soddisfare la grande sete di posteggi in centro, vorrebbe costruire un
parcheggio sotterraneo. La soluzione per il piano del nuovo contenitore secondo
Camber potrebbe prevedere un ampio numero di stalli. «Se la proprietà torna al
Comune, potrebbe fare un bando di gara e ricavare 300-4000 parcheggi
sotterranei». Alla base di questo progetto non ci sarebbero solo l’intenzione di
Dipiazza di realizzare l’antica promessa e la constatazione di un «sottoutilizzo
della Tripcovich come depandance del teatro Verdi negli ultimi anni», ma anche
la volontà di risparmiare i due milioni di euro previsti per la ristrutturazione
dell’ex stazione. Quei soldi - che, al momento, fanno capire dal Comune, non ci
sono - sarebbero necessari per risanare una piccola parte del soffitto crollata
a terra, mettere a norma l’impianto elettrico, sostituire le poltroncine e
rifare i camerini che si trovano ora nei container dietro la struttura. Ma per
riuscire a demolire la Tripcovich, il Comune deve riuscire a superare due grossi
ostacoli: il Consiglio di amministrazione del Verdi, che deve approvare la
“rinuncia” all’edificio, e la Soprintendenza alle Belle Arti: sulla vecchia
autostazione per corriere, infatti, esiste un vincolo culturale. Vincolo di cui
il sindaco si preparerebbe appunto a chiedere la cancellazione. Operazione
possibile ma non rapidissima, come dimostra il caso dell’ex Teatro
filodrammatico, che impiegò ben 15 anni prima di riuscire a svincolarsi dalla
tutela della Soprintendenza. La speranza della giunta, ovviamente, è che per la
Tripcovich - prima Stazione centrale di autocorriere d’Italia a opera
dell’ingegner Giuseppe Baldi assieme a Nordio -, servano tempi meno biblici. Se
le cose dovesse poi complicarsi, ipotizza Camber - che all’epoca in cui il
sindaco Riccardo Illy per primo propose di donare la sala alla Fondazione, si
oppose - si potrebbe sempre perseguire la strada della vendita. «A comprarla
potrebbe essere per esempio il Conservatorio Tartini - afferma il consigliere
azzurro -, utilizzando magari i fondi del ministero per usarla come sala da
concerti. In ogni caso una soluzione alternativa andrà trovata: la destinazione
teatrale di quella sala non sta più in piedi. Ci sono già quattro stabili in
città, serve ancora un altro teatro? Ci sarà poi il pubblico che farà staccare
un numero considerevole e sufficiente di biglietti? Piuttosto che farla morire
su stessa, diamo più decoro alla città». Della “rivoluzione” per la Tripcovich,
Dipiazza aveva già parlato in pubblico qualche settimana fa. In quell’occasione
tuttavia aveva detto: «Il teatro non è mio, lascerò decidere la cittadinanza».
Resta da capire ora se darà la parola alla città o tenterà di forzare le cose, a
patto che Cda della Fondazione e Soprintendenza diano il placet».
Benedetta Moro
Riqualificazione energetica, Quarnero al top -
Interventi su 141 edifici nella regione con il sostegno di fondi Ue. Investiti
oltre 12 milioni
FIUME - Il boom delle facciate. È stata definita in questo modo la corsa
all'efficientamento energetico che negli ultimi due anni ha riguardato Fiume e
la regione del Quarnero e Gorski kotar. Gli interventi di riqualificazione
energetica, che hanno il sostegno dell'Ue, sono stati compiuti in 141 edifici,
di cui 91 a Fiume.
Per i lavori di ristrutturazione delle facciate, che hanno permesso di ridurre il consumo di energia migliorando condizioni abitative e benessere termico, sono stati spesi 91,3 milioni di kune (12,3 milioni di euro). Il Fondo croato per l'efficienza energetica ha assicurato ecobonus per un valore di 36,5 milioni di kune (4,9 milioni di euro), coprendo oltre un terzo delle spese sostenute dagli inquilini. Fiume (con i suoi 130mila abitanti) e la regione sono al primo posto nella graduatoria nazionale relativa ai lavori di coibentazione, per i quali nel biennio 2015-2016 è stato manifestato un forte interesse. Ad esempio a Zagabria (che conta 790 mila abitanti) la riqualificazione ha riguardato 35 immobili, mentre in tutta la regione zagabrese la ristrutturazione delle facciate è stata compiuta in 55 edifici. A Spalato l'efficientamento energetico ha riguardato 45 edifici (in tutta la contea 64 immobili), mentre a Osijek è stato ritoccato un solo involucro edilizio. Oltre a questi lavori di miglioria nei condomini, sono stati rimessi a nuovo centinaia di tetti. A stimolare gli inquilini a richiedere mutui per questi interventi sono stati non solo le garanzie di risparmio energetico, che in alcuni casi ha superato il 50%, ma anche la concessioni di prestiti a condizioni assolutamente agevolate. Al bando per l’efficientamento energetico in Croazia hanno aderito gli abitanti di 624 edifici di tutto il Paese, dei quali 140 dislocati nella regione di Fiume. Non solo edifici privati: proprio in questi giorni - presente anche il ministro croato dell'Edilizia, Lovro Kuscevic - si è tenuta nella scuola elementare fiumana Nikola Tesla (ex Manin) la cerimonia che ha segnato la chiusura dei lavori di rinnovamento energetico: un progetto che ha richiesto una spesa di 850mila euro. Il 30% dell'investimento è stato coperto dal Fondo europeo di sviluppo regionale, mentre il 40% è stato coperto dal Fondo croato per l'efficienza energetica.
(a.m.)
IL PICCOLO - MARTEDI', 7 febbraio 2017
FERRIERA - Manutenzione conclusa - Si riaccende l’altoforno
Siderurgica Triestina ha annunciato che ieri è stato rimesso in marcia, dopo cinque giorni di fermata, l’altoforno della Ferriera di Servola.
Durante questo intervallo l’impianto è stato sottoposto a un intervento di manutenzione straordinaria. L’altoforno era stato fermato mercoledì 1 febbraio per una manutenzione ordinaria, prevista dal programma di manutenzione periodica, che aveva riguardato il manto refrattario dei canali e i dispositivi esterni di colata. Nel corso delle operazioni di manutenzione programmata tuttavia si era palesata la necessità di un intervento di portata maggiore che evitasse ulteriori fermate nei mesi successivi. I tecnici hanno quindi consigliato un programma di ripristino consistente nella sostituzione delle carpenterie esterne dell’altoforno stesso. L'intervento è stato condotto da operatori qualificati sotto la supervisione di tecnici esperti e si è concluso sabato mattina. A seguire sono state realizzate le operazioni di preriscaldo dei canali refrattariati e il successivo riavvio delle operazioni di soffiaggio. Come previsto dalle prescrizioni AIA, venerdì 3 febbraio Acciaieria Arvedi aveva dato sintetica comunicazione della ripartenza a tutti i soggetti istituzionali. Trattasi di Regione, Comune, Arpa e AsuiTs. La riaccensione dell'altoforno infatti avrebbe potuto generare brevi emissioni dal piano di colata e dai campioni di colaggio. Questa eventualità, temporanea e comunque limitata alle prime 8/10 ore di rimessa in marcia dell'altoforno, è dovuta alla stabilizzazione delle temperature durante il processo di fusione. Tutte le attività di manutenzione e ripartenza si sono svolte sotto la direzione del personale preposto dell’area a caldo, che ha seguito costantemente le operazioni. Acciaieria Arvedi è subentrata da gennaio 2015 a Siderurgica Triestina nella gestione degli impianti produttivi. Il mese scorso l’annuncio del cavaliere: «Se non cambia l’atteggiamento politico interrompo l’acquisto di materie prime per l’area a caldo».
Beffa per i pendolari - Abbonamenti ai treni più cari
da dieci anni - Algoritmo errato, pagano fino al 33% in più. Trenitalia ammette
ma incolpa le Regioni: toccava a loro. In Fvg si valuta
ROMA Da 10 anni un algoritmo (errato) ha calcolato le tariffe dei treni con
aumenti dal 15 al 33%. Penalizzati i pendolari che dal 2007 hanno pagato a
Trenitalia gli abbonamenti sovraregionali, i percorsi che coinvolgono più
territori con diversa autonomia e tariffazione. Un esempio: l’abbonamento
mensile di 2.a classe per la tratta Ancona-Pescara centrale costa 145,50 euro.
Ma nel calcolo dell’algoritmo giusto dovrebbe costarne 109,50. Quindi gli utenti
pagano 36 euro in più. Dopo le numerose denunce delle associazioni dei
pendolari, Assoutenti si è fatta promotrice di una campagna di sensibilizzazione
volta a superare la «distorsione tariffaria insita nell’attuale meccanismo di
calcolo tariffe». Il 2 febbraio Assoutenti ha incontrato Trenitalia che ha
ammesso l’errore e condiviso recriminazioni e disagio dei pendolari proponendo
un percorso per risolvere il problema abbonamenti. Per la partecipata di Fs la
palla va passata alle Regioni:sono queste a formulare e applicare le tariffe. E
le Regioni dovranno farsi carico della differenza tra le tariffe corrette e gli
importi dei contratti di servizio pluriennali già stipulati con Trenitalia.
Trenitalia «La determinazione delle tariffe nel trasporto regionale è competenza
esclusiva di Regioni e Province autonome. L’algoritmo cui fanno riferimento i
media è quello definito e approvato in sede di Commissione Trasporti della
Conferenza delle Regioni e Province autonome nel luglio 2007» fa sapere
Trenitalia, precisando che esso «riguarda il modo per calcolare il costo dei
biglietti e dei circa 7mila abbonamenti per le corse su treni regionali che
hanno inizio e termine in regioni diverse. Parliamo di tariffe sovraregionali».
«In quell’occasione fu deciso di calcolarle sommando il costo delle tratte
regionali secondo i prezzi in vigore in ciascuna regione e applicando alla somma
un correttivo matematico che tenesse conto di una serie di fattori», precisa
Trenitalia. Il prossimo passo. Su richiesta di Trenitalia, la Conferenza delle
Regioni si riunirà entro fine mese. Assoutenti cercherà di far valere i diritti
dei pendolari puntando a un ritocco (al ribasso) delle tariffe da aprile.
Rischio class action. Ma la questione non finisce con la correzione dell'errore.
Ci sarebbero da recuperare 10 anni di abbonamenti pagati più del dovuto dagli
utenti. La class action sarebbe già pronta a partire. In Fvg. L’assessore
regionale Maria Grazia Santoro fa sapere di stare valutando se la questione
riguardi tratte in Fvg. Non prende posizione il Comitato pendolari Alto Friuli,
in attesa di capire - dice il portavoce Andrea Palese - «gli effetti
dell’algoritmo sui prezzi. Positivo che Trenitalia si sia mossa subito, anche se
ci chiediamo ora se gli uffici regionali di Trenitalia e Regione hanno contezza
di come vengano calcolate le tariffe. Ma ripeto, aspettiamo di capire».
Annalisa D’Aprile
Allarme cinghiali nel parco scolastico di via
Commerciale - Vari esemplari visti girare nelle aree attraversate dai bambini -
E nel weekend sono stati abbattuti tre “bestioni” da 50 chili
Da mesi l’istituito comprensivo di via Commerciale è in allerta. Il giardino
dove sono ospitati anche i giochi per i piccoli alunni è meta gradita di un
branco di cinghiali. Ma la scorsa settimana la situazione si è aggravata e
sabato la Guardia forestale ha abbattuto tre esemplari di circa 50 chili intenti
a passeggiare all’interno del recinto. Un esemplare è riuscito a scappare.
L’istituto ospita la primaria Longo, la scuola per l’infanzia Tomizza e in
un’ala anche il nido comunale Verdenido. Alcuni giorni fa la dirigente
scolastica era stata costretta a prendere dei provvedimenti. «Ho avvertito
immediatamente il Comune e la Forestale - precisa la dirigente Tiziana Farci - e
ho fatto chiudere gli accessi al giardino e alla scuola più vicini al capolinea
dell’autobus 28, dove la situazione della recinzione è più critica e la parte
boschiva più fitta, per non far entrare bimbi, personale e genitori in quella
fetta di giardino. Obbligandoli ad accedere solo dall’ingresso principale». «Ho
avvisato i genitori - aggiunge - di non sostare in giardino quando vengono a
prendere i bambini e ho invitato gli insegnanti delle elementari a non far
correre i bambini liberi nel giardino tenendoli più sotto controllo». Alcuni
bimbi per attraversare il parco sono stati affiancati dalla bidella. «Nel corso
di una giornata - spiega la dirigente - ho dovuto interdire anche l’accesso alla
palestra perché i cinghiali stazionavano proprio davanti alla sua entrata». Gli
animali sono stati avvistati e fotografati dal personale dell’istituito e dai
genitori degli alunni sia nelle ore mattutine che in quella pomeridiane. Ad
attrarli molteplici fattori. All’interno della struttura scolastica c’è una
mensa, talvolta i rifiuti organici vengono sistemati nei bidoni fuori dalla
cucina. Nel giardino della scuola, pulito e ben curato, ci sono degli alberi da
frutto. Alle spalle della struttura scolastica c’è una parte boschiva poco
governata. In alcuni punti della recinzione che delimita il giardino i cinghiali
sono risusciti a creare dei varchi d’accesso. Già a settembre la dirigenza aveva
lanciato l’allarme. «All’inizio dell'anno scolastico li avevamo visti più volte
mentre si facevano una scorpacciata dei frutti caduti da un meleto al centro del
giardino», ammette Farci . Dopo l’allarme lanciato la scorsa settimana, il
sindaco Roberto Dipiazza ha effettuato un sopralluogo e ieri mattina anche
l’assessore comunale all'Educazione, Angela Brandi, e quello ai Lavori Pubblici,
Elisa Lodi, sono tornate a visionare la situazione. «Da giorni monitoriamo la
questione - spiega Brandi - e siamo stati informati dell’intervento della
Guardia forestale di sabato». «Ho già peso accordi con i tecnici del Comune e
sono già stati stanziati circa 50mila euro per gli interventi, come da
prescrizione della Guardia forestale, di pulizia della parte boschiva e di
sistemazione della recinzione, magari con sistemi che dissuadano gli animali»,
assicura Lodi. «Appena il tempo lo consentirà siamo pronti a far partire i
lavori», aggiunge. Una serie di interventi che consentirebbero di garantire
sicurezza ai piccoli alunni e di non dover intervenire in modo cruento sugli
animali. Intanto gli uomini della Forestale continuano a monitorare l’area.
«Siamo stati chiamati lo scorso venerdì, abbiamo analizzato la situazione e
sabato che l’istituto era chiuso siamo intervenuti abbattendo tre capi», spiega
l’ispettore Lucio Ulian, comandante della Stazione forestale di Trieste alla
quale dallo scioglimento delle Province si sono aggiunti anche i guardiacaccia.
«Sono azioni d’emergenza per mettere in sicurezza l’area - precisa Ulian - e
siamo intervenuti in sei già da venerdì scorso per fare una ricognizione
nell’area circostante. Domenica e lunedì mattina abbiamo fatto altri
sopralluoghi per constatare non via siano altri cinghiali in prossimità o dentro
il giardino dell’istituto e abbiamo indicato al Comune gli interventi da fare:
recinzioni e alleggerimento delle parte boschiva circostante».
Laura Tonero
Veleni tra i Verdi dopo il placet a Zamparini
Il presidente Fiorelli bacchetta il portavoce regionale Claut: "La Federazione ha criticato il progetto"
Legambiente all'attacco sul progetto di Grado - Tonzar: "Paradossale e incredibile la difesa del cemento"
"Una ricomparsa sulla scena, quella dei Verdi - afferma Legambiente - scomposta e degna di miglior causa"
Pago, la pianta-killer cancella i pascoli «Zagabria ci
aiuti»
PAGO Allarme a Pago per l’ormai incontrollata la diffusione di una pianta
che i locali allevatori di ovini e gli apicoltori considerano una iattura. Si
tratta del ginepro licio o fenicio, chiamato anche cedro liscio (Juniperus
phoenicea): apparso una trentina d'anni fa, da allora ha occupato vaste aree
dell'isola croata. La specie è molto invasiva e la sua presenza impedisce alle
altre piante di prosperare: in primo luogo alla salvia, all'elicriso italico e
anche all'erba. Il risultato è che sono scomparsi centinaia di ettari di
pascolo, e finora a nulla sono valsi i tentativi di distruggere o limitare la
crescita del ginepro licio. C’è chi ha tentato di eliminarlo bruciando decine di
ettari, altri hanno messo in azione le ruspe, qualcuno ha anche fatto ricorso a
un potente erbicida, ma senza risultati. Si tema ora che la pianta possa
infliggere un colpo perfino fatale all’attività - antichissima sull’isola -
dell’allevamento di ovini, stimati in circa 35mila esemplari. Il problema è
presente in primo luogo nella località di Colane (Kolan), dove numerose famiglie
- per un totale di ottomila ovini - si occupano di pastorizia. «Sono ben conscio
della situazione, che perdura ormai da anni - ha dichiarato il sindaco di Pago,
Zeljko Marzi„ - e da parte nostra stiamo facendo quello che possiamo destinando
mezzi finanziari agli allevatori danneggiati. La maggior parte dei pascoli
presenti sull'isola è di proprietà statale: Zagabria dunque dovrebbe impegnarsi
di più per la risoluzione del problema. Purtroppo - aggiunge il sindaco - in
alcuni terreni le ruspe non possono agire, e non solo a causa dell'area
impervia: ci sono anche siti archeologici, che non possono naturalmente essere
toccati o devastati e diversi di essi sono ricoperti da questo ginepro. Occorre
un'azione comune, efficace e soprattutto tempestiva». Ma non tutti la pensano
così: gli esperti del Demanio forestale croato ritengono all’opposto un bene la
presenza del ginepro perché sta portando al rimboschimento di un'isola avara di
vegetazione da apparire. Fino a qualche anno fa gli allevatori di Pago portavano
le loro greggi sul vicino isolotto di Maun, che è disabitato. Non lo fanno più
in quanto metà dell’isoletta risulta ricoperta dal ginepro: da qualche tempo
Maun non può più essere percorsa a piedi dall’una all’altra parte dell'isola,
tanto è fitto il ginepraio. Anche Franjo Zubovi„, presidente dell'associazione
che raggruppa gli allevatori di Kolan, punta il dito accusatore verso lo Stato:
«Il problema non può essere risolto a livello locale per mancanza di mezzi.
Forse potrebbero esserci d'aiuto i macchinari dell'esercito, pagati dalle casse
statali».
Andrea Marsanich
IL PICCOLO - LUNEDI', 6 febbraio 2017
SIOT - Il terminal petrolifero di Trieste verso il mezzo secolo di attività
Nell’aprile 1967 attraccò alla Siot la prima nave, “Daphnella”.
Iniziative per celebrare la ricorrenza. Oggi lo scalo è il primo del
mediterraneo per il greggio sbarcato con oltre 40 milioni di tonnellate. La
costruzione dell’oleodotto Tal cominciò nel dicembre 1964 per concludersi
nell’ottobre 1967. Il costo totale fu di 192 milioni di dollari
Il 13 aprile 1967 la prima petroliera attraccava al terminal Siot del porto
di Trieste, inagurandone una importante biografia logistica. Perché all’esatta
distanza di mezzo secolo Siot si classifica primo scalo mediterraneo per il
trasporto di greggio, mentre dalle acque della baia di Muggia parte la
principale pipeline dell’Unione europea, un’infrastruttura che alimenta le
grandi raffinerie della Germania meridionale, dell’Austria, della Cechia. La
nave inaugurale si chiamava “Daphnella” e, per ricordarne l’arrivo, il gruppo
Tal (Transalpine ölleitung), che gestisce l’oleodotto, organizzerà nella
prossima primavera una serie di iniziative. In cartellone un evento al Ridotto
del Verdi con la partecipazione di personalità del mondo istituzionale ed
economico austro-tedesco, incontri nelle scuole triestine dedicati ai temi
dell’energia e della sicurezza. Dal gennaio 2016 è Alessio Lilli alla guida
operativa di Tal e il manager è convinto dell’importanza di rafforzare i legami
con l’Oltralpe germanica: «Trieste ospita due grandi opportunità di lavoro e di
collaborazione con il mondo germanico, una si chiama Allianz, l’altra siamo
noi». L’inaugurazione del terminal Siot e della pipeline diretta in Europa
centrale, di cui si celebrerà il 50° genetliaco, venne preparata da un intenso
lavoro di diplomazia economica, che si avviò già negli anni Cinquanta. Un
protagonista della vita pubblica nazionale e internazionale di quel periodo
intuì l’importanza di intensificare i rapporti con la Germania, in particolare
con la Baviera desiderosa di approvvigionamento energetico: si trattava di
Enrico Mattei, fondatore dell’Eni. In tale contesto venne prima realizzato
l’oleodotto Cel da Genova a Ingolstadt, che iniziò a funzionare nel 1961. Nel
1962 venne “affiancato” dalla pipeline Sepl tra Marsiglia e Karlsruhe. Ma questi
approdi si rivelarono ben presto insufficienti e lo sguardo delle grandi
compagnie (Eni, Bp, Esso, Shell) si volse a Est, verso l’alternativa
rappresentata dall’Adriatico. Si cominciò con l’affidare alla Bechtel la
verifica di un progetto presentato dal finanziere veneto Marco Barnabò, creatore
della Sava. Poi nel novembre 1963 si tenne la prima riunione del consorzio Tal.
Incrementare i flussi petroliferi nel cuore produttivo dell’Europa e abbreviare
i viaggi delle cisterne: risultato finale fu la scelta di Trieste, favorita dai
fondali profondi. Il governo italiano promosse l’opzione Trieste per lenire le
difficoltà dell’economia giuliana, schiacciata sul confine disegnato dalla
Guerra fredda. I lavori per la realizzazione dell’oleodotto Tal ebbero inizio
nel dicembre 1964 e vennero completati nel giugno 1967: il 13 aprile giunse “Daphnella”,
il 3 ottobre il primo assaggio di greggio “adriatico” bagnò gli impianti di
Ingolstadt. Un consorzio formato da 83 banche finanziò la costruzione
dell’infrastruttura energetica lunga 753 chilometri, che costò complessivamente
192 milioni di dollari. Allora furono tre le Nazioni europee attraversate dalla
pipeline: Italia, Austria, Germania. Sull’asse portante Trieste-Ingolstadt si
sviluppò, nel quarto di secolo tra gli anni ’70 e ’90, un’ampia rete di
collegamenti, per cui il petrolio, sbarcato nel porto alto-adriatico, raggiunse
Vienna, Karlsruhe, Neustadt, fino ai terminali della Cechia (Krapuly e Litvinov).
Nel 1997 Trieste assorbì i rifornimenti del Cel Genova-Ingolstadt, che fu poi
riconvertito al trasporto del gas. Oggi porto e depositi della Siot servono otto
raffinerie nell’Europa centro-orientale. Dei 41,3 milioni di tonnellate sbarcate
a Trieste i tre quarti hanno alimentato gli impianti tedeschi, il restante è
stato intercettato soprattutto dall’Austria (7 milioni) e in misura minore dalla
Cechia (1 milione). A Tal piace sottolineare, accanto agli aspetti di carattere
economico, anche quelli di ordine ambientale: «L’oleodotto - spiega Lilli -
evita che 3 milioni di cisterne (1,5 all’andata e 1,5 al ritorno) corrano sulle
autostrade europee, con grave pregiudizio per la sicurezza generale».
Massimo Greco
IL PICCOLO - DOMENICA,5 febbraio 2017
Alta velocità - «Da Trieste a Mestre in 70 minuti si andrà a 200 chilometri orari» - la ferrovia superveloce
L’ad del Gruppo Fs Mazzoncini annuncia l’avvio del cantiere sulla linea: lavori finiti entro 7 anni Ma avverte: «Stop alle nuove stazioni, solo il transito nelle città rende sostenibili le Frecce»
«Il conto alla rovescia è partito. Quest'anno avvieremo i primi cantieri fra Brescia e Vicenza, entro 7 anni il sistema Alta velocità sarà completato fino a Venezia e la linea ammodernata fino a Trieste». Parola di Renato Mazzoncini, amministratore delegato del Gruppo Fs Italiane. Che aggiunge: «Così in circa due ore il treno andrà da Milano a Venezia, e poi da Mestre a Trieste in circa 70 minuti. Cambia la vita per Veneto e Friuli Venezia Giulia». Mazzoncini parla in questa intervista anche degli investimenti per collegare ai binari gli aeroporti di Venezia e di Trieste, e di sviluppare il traffico merci con i relativi porti, e di una stazione a ponte per connettere Mestre e Marghera, e di una vera “cura del ferro” anche per il servizio locale. Una prima consistente quota dei denari necessari è già stanziata. «Rimane in particolare interamente da finanziare la tratta Vicenza-Padova per 1,3 miliardi. Ma confidiamo di recuperare fondi e progetti nell’arco dei sette anni». Prima delle infrastrutture nuove, parliamo dei treni di oggi e di quelli per i pendolari? «Andremo al rinnovamento della intera flotta in Veneto e Friuli Venezia Giulia, per fornire davvero un servizio metropolitano. Con la Regione Veneto riguardo al finanziamento di nuovi treni, abbiamo sottoscritto un accordo ponte di 9 anni e negoziato un investimento di 500 milioni. Dal 2019 inizieranno a arrivare 44 nuovi convogli denominati Rock. È la prova che non pensiamo solo alle Frecce». A proposito di Frecce e di Tav, dopo un quarto di secolo di indecisioni siamo davvero alla boa? «La Trasversale padana è destinata a divenire una realtà fondamentale su scala europea, poiché stiamo risolvendo uno a uno i nodi sui territori. Per esempio, riguardo a una delle tratte più complicate, ossia la Torino-Lyon, con l'ultimo accordo tra Italia e Francia direi che resistenze non ce ne sono più: ne avremo la conclusione al 2030. Non stiamo più discutendo sulla utilità dell'opera ma su come realizzarla. E in area padana siamo arrivati a Brescia». Ma controversie su aspetti attinenti all'impatto ambientale ce ne sono ancora. «Vero, stiamo puntando a minimizzare il consumo di suolo e i costi sociali e ambientali dell'opera. Di sicuro. Prendiamo il tema di Brescia e dell'attraversamento del basso Garda: complessivamente l'occupazione dei pregiati terreni destinati alla coltivazione della Lugana, da parte della nuova infrastruttura ferroviaria, sarà ridotta al 3% del totale. E così, confermando la centralità della storica stazione di Brescia e non andando in variante, riduciamo l'uso di suolo e serviamo meglio il territorio. Quanto all'aeroporto di Montichiari, stiamo valutando di servirlo con una bretella». Le stazioni storiche da Milano a Trieste sono tornate tutte fondamentali: qui ci sta un cambio radicale nel progetto. «Vero. Quando la Tav fu concepita nel '91 era pensata con stazioni nuove indipendenti come Roma Tiburtina, Napoli Afragola o il polo disegnato per Firenze da Norman Foster. Ma le Frecce stanno in piedi solo con un coefficiente di riempimento dei posti del 70%, obiettivo irrealizzabile se non passi in centri storici. Saranno poi le imprese di trasporto a stabilire quante fermate fare a Verona, Vicenza, Padova, Mestre, Venezia e via dicendo. Ma stop ai bypass che accorciavano la linea ma saltavano le città». Quali effetti produce questa scelta su un territorio fortemente antropizzato e densamente costruito? «Sceglieremo soluzioni di minimo impatto. Per esempio non ho dubbi che da Brescia l'uscita sarà in quadruplicamento, dove la zona sud presenta ampie zone libere. Cercheremo ovunque i corridoi e i varchi più appropriati». Un altro aspetto chiave attiene ai finanziamenti. «Il costo della tratta Brescia-Verona è pari a 3,8 miliardi, di cui 2,2 già finanziati. Il lotto da Verona al bivio di Vicenza costa 2,8 miliardi, di cui 1,3 miliardi già finanziati. Per questo posso dire serenamente che entro il 2017 partiranno i cantieri e che, man mano che procederanno, arriveranno i finanziamenti che mancano». Un punto di svolta è la soluzione del nodo di Vicenza. «Significa che la nuova linea nell'abitato di Vicenza andrà in affiancamento alla storica. Tutto si semplifica, funziona meglio per l'utente e costa meno. Il Consiglio comunale di Vicenza ha scelto nella seduta del 30 giugno 2016 di mantenere la stazione in via Roma, sede storica. Ed è coerente con la nostra tesi riguardante anche Padova o Mestre. Le stazioni tornano assolutamente centrali. Il caso tipo per noi è Verona, che è stata riqualificata e sta performando molto bene: funziona come hub per una modalità integrata del treno con bus e pullman, shuttle per aeroporto, bike e car sharing, auto a noleggio». Tutto da ripensare il nodo di Venezia e Mestre, anche per la relazione con l'aeroporto. «Venezia Santa Lucia ha un enorme valore perché consente di essere già nel centro urbano più prezioso del mondo. Ma non potrà mai avere grandi flussi. Mestre svolge un ruolo fondamentale, non solo per le funzioni passanti e avrà un formidabile incremento quando ammoderneremo i collegamenti verso Udine e Trieste, insomma verso l'Austria e l'Est Europa. Infatti con il sindaco Luigi Brugnaro stiamo discutendo a Mestre di una stazione a ponte per unire le due parti della città separate dalla ferrovia. Siamo molto interessati a questo intervento, dentro a un contesto urbano in fase di rivitalizzazione». Una stazione strutturata a ponte è stata immaginata anche per Padova. «Ci è stata richiesta dall'allora sindaco Massimo Bitonci e ne capisco le ragioni. Ma qui non abbiamo esigenza di ulteriori spazi. Su Padova stiamo invece investendo per potenziare l'Interporto, con nuovi binari dove allestire treni di 750 metri di lunghezza. E stiamo iniziando a progettare la bretella con la stazione centrale, se possibile con sottopasso della viabilità urbana». Torniamo a Venezia e al collegamento con l'aeroporto. «Con il presidente di Save, Enrico Marchi, stiamo immaginando una sorta di bretella a forma di asola, che scendendo dalla linea storica vada in aeroporto. A Venezia sarebbero garantite alcune Frecce e soprattutto il servizio di treni navetta, secondo lo stesso schema di Fiumicino. Osservo anche che, con i lavori in corso per la fermata ferroviaria a margine dell'aeroporto di Ronchi dei Legionari, i due aeroporti di Veneto e Friuli Venezia Giulia saranno interconnessi». Quando avverrà tutto questo? La linea Mestre-Trieste è tra le più lente del Nord Italia. «Con la presidente Debora Serracchiani abbiamo condiviso che il progetto di una linea dedicata a treni da 300 km orari implica complicazioni enormi per tempi e costi. Più semplice e meno oneroso ottenere uno standard di 200 km orari guadagnando 25-30 minuti tra Trieste e Mestre, collegabili dunque in poco più di un'ora. Abbiamo sottoscritto un programma da 1,8 miliardi, di cui 200 milioni già finanziati e destinati alla progettazione e alle prime opere. Finiremo i lavori nel 2024». Il 2024 pare una data magica. «Procederemo in parallelo ai lavori sull'intero asse da Verona a Padova e poi da Mestre a Trieste. In questa seconda tratta le opere sono molto più semplici, si tratta di introdurre nuove tecnologie, di aggiustare il tracciato con una serie di rettificazioni di curve, di eliminare i passaggi a livello. Allo stesso modo, sono relativamente semplici gli interventi per la velocizzazione della Padova-Bologna: investiremo in tecnologie per 160 milioni e al 2019 garantiremo un recupero di 10-15 minuti sull'orario di percorrenza». Resta ancora un grande cantiere, ossia la linea del Brennero. «Al 2026 avremo concluso la galleria più lunga del mondo. Parliamo di una infrastruttura molto complessa: se il tunnel richiede 8 miliardi, di cui la metà già finanziati, la nuova asta della galleria a Verona ne chiede 6. E su questo siamo più indietro, in alcuni lotti ai progetti preliminari».
PAOLO POSSAMAI
I precedenti - Il primo progetto 25 anni fa: dalla Tav
all’adeguamento
PADOVA - Alla fine il governo ha sciolto il grande nodo di Vicenza che per
anni ha appeso a un filo il proseguimento dell’alta velocità a Est d’Italia. Il
primo febbraio il ministro Graziano Delrio ha firmato il protocollo d’intesa per
l’attraversamento del capoluogo berico. Ora Rfi e Italferr procederanno alla
progettazione preliminare che dovrà concludersi ad agosto. Il progetto da 805
milioni prevede il mantenimento della stazione storica di via Roma, una nuova
fermata in Fiera e una serie di opere complementari per 250 milioni tra cui un
filobus sull’asse Est-Ovest. «La Tav a Vicenza si farà alle nostre condizioni»
ha festeggiato il sindaco Achille Variati. Sono lontani i tempi, era il 2008, in
cui l’allora presidente degli industriali di Vicenza, Roberto Zuccato, stimolava
la città a una soluzione per l’alta velocità anche senza la fermata nel
capoluogo berico. E il sindaco Variati, allora, gli aveva dato quasi ragione
sperando nell’efficienza di una metropolitana di superficie moderna e veloce che
non è mai arrivata. Di Tav a Nordest si discuteva già da oltre 15 anni. Ma, alla
prova dei fatti, di reali c’erano solo i 25 chilometri tra Padova e Mestre.
«Ultima fermata a Treviglio» titolava il libro di Paolo Possamai edito nel 2012
con il resoconto puntuale di come il famoso, o famigerato, Corridoio V europeo
rischiasse di rivelarsi una sorta di vicolo cieco, non senza effetti per la
competitività del Nordest e dell’Italia intera. Solo quattro anni fa, i cantieri
per la ferrovia veloce erano finanziati, infatti, solo fino a Treviglio e il
Nordest ne era totalmente tagliato fuori. Con troppe incognite, oltre Vicenza,
come il nodo aeroporto di Venezia e poi l’approdo a Trieste. La politica locale
non ha aiutato, basti pensare al bizzarro progetto partorito nel 2006 della Tav
litorale nel Veneto orientale voluto dall’assessore alle infrastrutture
dell’epoca di Galan, Renato Chisso. Archiviato tra le polemiche tre anni fa, ha
lasciato un buco di denari su cui il Pd ha chiesto la verifica della Corte dei
Conti. Quel progetto costò ben 14 milioni. L’orizzonte si è aperto nel 2014 con
lo Sblocca Italia e lo stanziamento di 3 miliardi: 1,5 per la Brescia-Verona e
altrettanti sulla Verona-Padova che, sommati ai finanziamenti esistenti,
potevano dare il «la» ai cantieri. Ma lo scandalo “Grandi opere” che coinvolse
l’allora ministro Lupi bloccò tutto e solo con l’arrivo di Delrio si è riaperto
il fronte alta velocità a Nordest. Stando ai dati Rfi, l’iter autorizzativo
Brescia-Verona è in fase di conclusione e i lavori partiranno proprio
quest’anno. È in fase avanzata anche l’iter autorizzativo per raggiungere da
Verona il bivio Vicenza. La Tav proseguirà quindi in città con l’attraversamento
leggero della stazione storica, in superficie, votato dall’82% dei vicentini
chiamati a una consultazione popolare. Poi, fino a Mestre, dovrebbe essere “una
sorta di passeggiata”, avendo già costruito parte del tratto: la Padova-Mestre è
stata aperta nel 2006. Da Venezia-Mestre a Trieste, alla fine, si è optato per
un progetto di velocizzazione del tracciato esistente per far viaggiare i treni
a una velocità massima di 200 km orari e ridurre i tempi di viaggio a poco più
di un’ora, circa 25 minuti in meno rispetto l’attuale percorrenza. Si pensi che
il primo progetto di Tav del 1992 (il piano generale data 1986) era per una
velocità a 300 chilometri orari. Ma quel progetto fu bloccato proprio da Vicenza
perché fermare lì avrebbe rallentato l’alta velocità. Da qui l’idea di scendere
a 200 e di puntare sull’alta capacità. Per Trieste ora sono in corso le attività
progettuali ma è stato già completato lo studio di fattibilità. Resta poi, al
momento, solo un disegno la bretella verso l’aeroporto di Venezia. Ma che, con i
lavori in corso per la fermata a margine dello scalo di Ronchi dei Legionari,
potrebbe essere interconnesso al Fvg. E così, la rotaia potrebbe unire ciò che
oggi non è ancora andato a sistema.
Eleonora Vallin
IL PICCOLO - SABATO, 4 febbraio 2017
Ferriera - Debutta il tavolo di confronto
sull’inquinamento a Servola
«Nel corso del 2016 sono state rimosse o smaltite 10.200 tonnellate di
rifiuti speciali presenti da decenni ed è stata messa in sicurezza la falda con
la riattivazione e il miglioramento dei piezometri e dei sistemi di pompaggio,
mentre i suoli sono stati resi ambientalmente sicuri con la pavimentazione di
ulteriori 21mila metri quadrati di superficie e la realizzazione di reti di
raccolta delle acque meteoriche». Sono alcuni dei dati resi noti ieri da Arpa
nell’incontro sulla Ferriera convocato nel Palazzo del governo dal prefetto Anna
Paola Porzio su richiesta dei sindacati confederali, presenti ieri con i
segretari provinciali: Michele Piga (Cgil), Umberto Brusciano (Cisl) e Claudio
Cinti (Uil). Incontro a cui il sindaco ha chiesto di far partecipare in futuro
anche i rappresentanti dei cittadini. Come detto l’Arpa ha illustrato ai
presenti un report completo sullo “stato di salute” della zona dello
stabilimento . Per quanto riguarda il benzopirene, rilevato dalla centralina di
via San Lorenzo in Selva, nonostante un picco registrato ad agosto, nel 2016 i
valori si sono mantenuti al sotto del valore limite della media annuale. Anche
per le polveri sottili la media annuale è stata al di sotto del limite di legge,
passando dai 44 ai 30 microgrammi per metro cubo. Gli sforamenti giornalieri
sono stati meno di un terzo di quelli del 2015, ben al di sotto dei limiti
indicati dall'Aia. È stato rilevato che in generale, la qualità dell'aria del
quartiere di Servola, misurata nelle stazioni di via Svevo, Pitacco e Carpineto,
è risultata conforme alla legge, sia per le concentrazioni medie annue di pm 10
sia nel calcolo dei superamenti giornalieri del limite di 50 microgrammi per
metro cubo d'aria. Circa le deposizioni di polveri, che determinano
l'imbrattamento, si è registrato da agosto un progressivo calo in tutte le
stazioni, compresa la più critica in via del Ponticello. Il direttore generale
di Arpa, Luca Marchesi ha commentato che «emerge una situazione che
progressivamente sta migliorando, soprattutto dal punto di vista delle emissioni
industriali e della qualità dell'aria. Questo vale per gli impatti diretti
dell'impianto e vale anche per qualità dell'aria nel quartiere. Per quanto
riguarda invece gli impatti legati al rumore e alle molestie olfattive - ha
aggiunto - c'è ancora molto da fare, ma confido che con la stessa modalità di
approccio potremo produrre dei risultati». Nel sottolineare gli obiettivi
miglioramenti, riguardo alla salute dei cittadini l’assessore regionale Sara
Vito ha ricordato che «la presidente Serracchiani ha già coinvolto l'Istituto
superiore di Sanità, perché anche su un punto così sensibile si possa ragionare
su evidenze scientifiche a cura del più prestigioso organismo nazionale in
materia». Per il sindaco Roberto Dipiazza, però, c’è ancora molto da fare. Il
primo cittadino - che in serata, come ormai d’abitudine ha pubblicato un video
online -, ha ricordato anche «gli allarmanti esiti delle analisi sulle urine dei
cittadini, anche se non rappresentano un campione rappresentativo. Se lo
rappresentassero - ha concluso - avrei già provveduto a firmare un’ordinanza di
chiusura della Ferriera. Di chiuso comunque, in questi giorni, c’è l’altoforno,
interessato da fermo tecnico. Almeno una buona notizia».
Silvio Maranzana
IL PICCOLO - VENERDI', 3 febbraio 2017
Si allontana lo spettro del rigassificatore -
Serracchiani annuncia il no nella prossima Conferenza dei servizi: «Così si
chiude ogni ipotesi su un’opera che nessuno vuole»
TRIESTE - Nessuno vuole quel rigassificatore. Perché di quel rigassificatore
nessuno ha bisogno. Debora Serracchiani usa parole nette, una volta ancora, sul
progetto ipotizzato a Zaule. Lo fa, la presidente della Regione, commentando una
lettera ricevuta dal ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda. Si tratta
della risposta alla richiesta della Regione di precisare la posizione del
governo in merito all’infrastruttura. Ed è una risposta che rafforza il convinto
altolà di Serracchiani: alla prossima Conferenza dei servizi, assicura la
presidente, il Fvg esprimerà «un’Intesa negativa». Nel testo il ministro precisa
innanzitutto di essere a conoscenza della volontà della Regione Fvg, già
formalizzata nel Piano energetico regionale approvato nel 2015 dalla giunta, di
non autorizzare sul proprio territorio il terminale di Gnl di Gas Natural,
«ritenendo tale progetto sovradimensionato, oltreché in contrasto con il modello
di sviluppo del Porto di Trieste». Con questa chiara premessa, la sintesi di una
serie di ripetute posizioni negative locali, della Regione, del Comune,
dell’Autorità portuale, ancora Calenda conferma la prossima riunione della
Conferenza dei servizi. La data non è fissata, ma il ministro fa sapere che la
convocazione avverrà con un termine «che consenta alla Regione Fvg di esprimersi
in merito all’Intesa, necessaria in base alle norme vigenti per il rilascio
dell’autorizzazione». Quell’Intesa, nessuna sorpresa, non arriverà. «La Regione
- sono le chiare parole della presidente - formalizzerà la propria contrarietà
al progetto tramite l’espressione di un’Intesa negativa nella Conferenza dei
servizi al ministero dello Sviluppo economico». In presenza di un’Intesa
negativa da parte della Regione, il ministro ha già indicato, nella stessa
lettera, che «verranno effettuate le conseguenti valutazioni di interesse
complessivo così come previsto dalla normativa, ai fini della conclusione del
procedimento», e ha chiuso precisando che sarà tenuto conto anche «della
presenza in Italia già di altri progetti di impianti di rigassificazione
autorizzati, di cui non è stata ancora avviata la costruzione, e degli ulteriori
progetti similari in corso di esame al ministero». Un’interlocuzione che fa dire
infine a Serracchiani che è stato tracciato «un percorso preciso che, in virtù
della chiarissima posizione della Regione e dello scenario nazionale che ci era
già stato verbalmente disegnato dal ministro, porterà alla chiusura di ogni
ipotesi in merito a un rigassificatore che nessuno vuole e di cui nessuno ha
veramente bisogno». La novità emerge poco più di un mese dopo l’inatteso ritorno
dello spettro rigassificatore sulla città. Sempre di lettera si trattò, ma in
quell’occasione del ministero dell’Ambiente. Vi si leggeva la posizione della
direzione generale romana che, su richiesta della giunta comunale triestina di
Roberto Dipiazza, sosteneva «non sussistere i presupposti di natura tecnica,
giuridica e amministrativa per poter ipotizzare la riapertura del procedimento
di Via per il terminale di rigassificazione». Vale a dire che si escludeva
qualsiasi dietrofront rispetto al giudizio favorevole di compatibilità
ambientale del 2009. Tutto questo a fronte di ribaditi «no» delle istituzioni
Fvg. La reazione della Regione, poco prima di Natale, non fu in realtà
allarmata. «Il ministero dell’Ambiente aveva già ultimato il suo ruolo e la
palla del rigassificatore è passata al ministero per lo Sviluppo economico», il
chiarimento di Gianni Torrenti. Dall’assessore regionale un’ulteriore
precisazione: «Roma deve da tempo convocare la Conferenza dei servizi. Se non
l’ha mai fatto è proprio per i “no” molto pesanti piovuti da Regione, Comune e
Porto. Per cui è al Mise che bisognerebbe rivolgersi, perché è lì che la cosa è
impantanata». Ed è dal Mise che è arrivata non a caso la lettera di
aggiornamento. E la conseguente nota di Serracchiani. In serata, sulla vicenda,
interviene però anche Forza Italia. «Abbiamo più volte ribadito che la Regione
non aveva fatto nulla di ufficiale, e ci hanno pure accusato di fare demagogia.
Ora la conferma arriva nero su bianco», dichiara Sandra Savino. «Il ministro
Calenda - ricostruisce la coordinatrice azzurra - ha annunciato che a breve
verrà convocata la Conferenza dei servizi. Non ho dubbi che Serracchiani
confermerà il no, auspico però che la prossima volta ci sia una maggiore
prudenza in certi annunci. Ricordo inoltre che se oggi sarà possibile bloccare
l’impianto di Zaule sarà grazie a chi per primo ha sollevato dei dubbi come la
giunta Tondo, dopo che Riccardo Illy aveva avviato l'iter, e la ex presidente
dell’Autorità portuale Marina Monassi».
Marco Ballico
«Ferriera, un tavolo sul tema lavoro» - Il sindaco
Dipiazza invita la Regione a discutere della questione occupazionale
«Premettendo che non ci sono lavoratori di serie A e serie B e che già il
territorio, sotto il silenzio generale, ha purtroppo perso molti posti di lavoro
in comparti non meno importanti, ma sicuramente meno interessanti
mediaticamente, è mia intenzione chiedere alla Regione, competente sul tema del
lavoro, di aprire un tavolo di confronto (sulla questione occupazionale, ndr)
per quanto riguarda la questione Ferriera» L’invito al confronto arriva dal
sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, che ha così anticipato le intenzioni
dell’amministrazione comunale per quanto riguarda l’incontro che si terrà
quest’oggi, su invito della Prefettura, con la Regione, l’Arpa e i sindacati
sulla Ferriera di Servola. «Considerando che la vocazione e la crescita di
Trieste non sono rintracciabili nell’industria pesante - ha continuato il primo
cittadino -, ma nel turismo, nel terzo settore e in particolar modo nella
portualità, è inoltre opportuno confrontarsi con l’Autorità portuale per
iniziare a ragionare su come potrà essere bonificata, riqualificata e
riconvertita a fini portuali la superficie dove ora insiste l’area a caldo. La
proprietà dello stabilimento siderurgico troverà sempre in questa
amministrazione un interlocutore serio e propositivo per lo sviluppo del
laminatoio, della logistica e di quant’altro venga proposto avendo ben presente
che prima di tutto c’è sempre l’interesse alla tutela della salute e
dell’ambiente». La dichiarazione del sindaco partiva dalla premessa che
l’amministrazione comunale, relativamente alla questione Ferriera di Trieste, «è
particolarmente attenta alla tutela della salute dei cittadini, dei lavoratori e
dell’ambiente e a garanzia di ciò sta portando avanti un'operazione di massima
attenzione, trasparenza e controllo sul rispetto degli accordi che stanno
permettendo allo stabilimento di produrre. È anche impegnata sia a confrontarsi
sulle soluzioni migliori da mettere in campo per garantire i livelli
occupazionali nella situazione in cui l’aria caldo dello stabilimento venisse
chiusa perché incompatibile con la salute pubblica, sia ad avviare un percorso
strategico di sviluppo della portualità».
All’Isola della Cona una domenica speciale tra gli
uccelli acquatici - L’ornitologo accompagnerà i visitatori alla scoperta delle
zone umide, spiegandone l’importanza per il pianeta
Il 2 febbraio si è celebrata la “Giornata mondiale delle zone umide”, per
ricordarci quanto sia preziosa la tutela di questi ecosistemi fondamentali sia
per la biodiversità, sia per l'importanza storico-archeologica di alcuni siti.
In occasione della ricorrenza, anche nella nostra regione sono stati organizzati
alcuni eventi aperti a tutti e concentrati soprattutto nel fine settimana. Fra
questi, domenica, all'Isola della Cona, nel Comune di Staranzano, è in programma
una visita guidata gratuita con Paul Tout (si pagherà soltanto l'ingresso alla
Riserva Naturale “Foce dell’Isonzo”: 5€, ridotto 3,50€). L'appuntamento è alle
11, al Centro visite. L'esperto ornitologo e grande conoscitore dell'area
accompagnerà i visitatori alla scoperta dell’importanza delle zone umide e degli
uccelli acquatici che le popolano. Le nostre paludi costiere – frequentate, fra
gli altri, da anatre, oche, aironi, cormorani e limicoli – sono un vero e
proprio paradiso dei birdwatcher. Per gli amanti della natura e degli animali
queste sono settimane ideali per osservare in particolare gli uccelli migratori:
tra dicembre e inizio febbraio, infatti, dalla Russia e dal Nord Europa, ne
arrivano stormi e stormi per svernare. Chi desidera cimentarsi per la prima
volta con questa esperienza, anche per conto proprio, può approfittare di questo
periodo dell'anno per puntare dunque sui grandi numeri e avere più probabilità
di avvistare alcuni volatili. Le oche selvatiche, ad esempio, simbolo della
Riserva Naturale Valle Cavanata, arrivano a migliaia nell'area presso Fossalon
di Grado. Non sono da meno oasi naturali come appunto l'Isola della Cona, sulle
foci dell'Isonzo, o la Riserva di Canal Novo, alle foci dello Stella, dove
stazionano miriadi di volatili da qui ai primi mesi di primavera. Oltre alle
schermature naturali, le aree protette sono spesso dotate di pannelli
informativi e di osservatori coperti, creati ad hoc, che sono ottimi punti di
osservazione per ammirare l’avifauna senza disturbare gli animali. Non solo in
queste settimane ma durante vari periodi dell'anno, visite guidate a tema
vengono organizzate dal personale dei parchi o in collaborazione con le guide
naturalistiche della regione (a volte occorre richiederle su prenotazione).
Questa domenica, una visita dedicata alla laguna e alle valli da pesca, con un
approfondimento sulla delicata interazione tra uomo e natura, è prevista anche
nella Riserva Valle Cavanata, che si trova lungo la strada che da Grado porta a
Fossalon. La biologa ambientale Antonella Stravisi approfondirà insieme ai
presenti la delicata interazione tra uomo e natura. Il ritrovo è alle 11 al
Centro visite e la partecipazione all’evento è gratuita.
Cristina Favento
LA RICORRENZA - Il 2 febbraio è la Giornata di
sensibilizzazione
La “Giornata mondiale delle zone umide” si celebra il 2 febbraio, in ricordo
della sottoscrizione della Convenzione internazionale di Ramsar firmata in Iran
nel 1971. Istituita nel 1997 per aumentare la consapevolezza sull'importanza di
queste aree per l'umanità e il pianeta, ogni anno offre l'occasione a gruppi di
cittadini e organizzazioni - governative e non – di proporre attività gratuite
per sensibilizzare l'opinione pubblica.
SUL WEB - Ornitologi in rete si scambiano notizie
BN Italia (European Bird Net) consente ad appassionati birdwatcher italiani
ed europei di rimanere in contatto, scambiandosi segnalazioni e informazioni. In
regione, l'Associazione di Studi Ornitologici e Ricerche Ecologiche (http://webdefence.global.blackspider.com),
fornisce consulenza a vari enti e associazioni ambientaliste. Gli associati
costruiscono banche dati sull’avifauna selvatica e i suoi habitat, organizzano
corsi ed escursioni.
IL PICCOLO - GIOVEDI', 2 febbraio 2017
Giù l’inquinamento davanti alla Ferriera - L’Arpa comunica che sono rientrate nei limiti di legge le emissioni rilevate dalla centralina di via San Lorenzo in Selva
LA
MEDIA ANNUALE DEI VALORI DI BENZOAPIRENE
Anche la contestata centralina di via San Lorenzo in Selva, la più vicina
agli impianti della Ferriera di Servola, nel corso del 2016 ha rilevato valori
di benzo(a)pirene che su base annuale sono inferiori ai limiti di legge. Lo ha
riferito ieri la Regione riprendendo una nota emessa dall’Agenzia regionale per
la protezione dell’ambiente (Arpa) che sottolinea come la media dell’anno scorso
si sia attestata a 0.91 nanogrammi per metrocubo, mentre il limite da non
superare è di un nanogrammo per metrocubo. Secondo l’Arpa, «l’andamento del
benzo(a)pirene indica che gli adeguamenti impiantistici prodotti, qualora
accompagnati da corrette modalità di gestione dell’impianto, possono consentire
di rispettare sia gli indicatori previsti dall’Aia, sia il limite di legge». Ciò
mentre da alcuni giorni, date le condizioni meteo, i dati sulle Pm10 sono invece
sopra i limiti anche in piazza Carlo Alberto. Nel sito di Arpa si legge che «la
stazione di San Lorenzo in Selva (Rfi) è prevista dall'Autorizzazione integrata
ambientale (Aia), ai sensi dell'allegato B e C del Decreto 96/2016 come punto di
controllo dei sistemi di abbattimento delle emissioni di Siderurgica Triestina».
Già nel febbraio scorso l’azienda aveva rilevato che «dall’entrata in funzione
del nuovo sistema di aspirazione della cokeria, il livello di benzo(a)pirene
rilevato dalla centralina più vicina all’impianto (San Lorenzo in Selva) si è
mantenuto ampiamente sotto il limite di un nanogrammo per metrocubo, con una
media di 0,6 nanogrammi». Ad agosto il sindaco Roberto Dipiazza aveva però reso
noto di aver chiesto un incontro ad Arpa proprio su questo problema, mentre a
novembre anche l’assessore regionale Sara Vito aveva ribadito che «la media
progressiva del benzopirene, che sfiora il limite, va tenuta d’occhio». Ieri
Arpa ha fatto anche una breve cronistoria. «Nel 2010, con l'impianto siderurgico
a pieno regime, la media annua del benzo(a)pirene in via San Lorenzo in Selva
era pari a circa 7 ng/m3. Negli anni successivi il valore è sceso con la
riduzione dell'attività produttiva, fino a un minimo nel 2014, sebbene
quest'ultimo dato non sia confrontabile con le altre annualità, poiché
l'impianto siderurgico di Servola era in fermo tecnico. Nel 2015, con l'avvio
dei lavori di adeguamento previsti dalla Autorizzazione integrata ambientale, il
benzo(a)pirene era pari a 1,25 ng/m3. Con il completamento dei lavori di
adeguamento, avvenuto nel corso dello scorso anno, è ulteriormente sceso fino al
valore di 0,91 ng/m3, inferiore al limite di legge e confrontabile tra l'altro
con quanto viene registrato in alcune aree urbane non industriali anche della
nostra regione (ad esempio, Udine)». La governatrice Debora Serracchiani, in un
video diffuso successivamente, si rifa soprattutto a questo. «Il benzo(a)pirene
- afferma Serracchiani - è una sostanza cancerogena e nel 2010, quando c’era
l’amministrazione Dipiazza era sette volte superiore a oggi. Adesso è sotto i
limiti di legge e questa è una notizia veramente buona, scaturita dal lavoro
fatto sugli impianti da tante persone. Noi siamo attenti alla salute dei
cittadini e dei lavoratori. Siamo sulla strada giusta - ha concluso la
presidente Fvg che è anche commissario per la Ferriera, esibendo il grafico che
pubblichiamo - e lo dicono i fatti e di dati scientifici». La deduzione che fa
la Regione nella nota è che Arvedi è tenuto a briglia corta: «Gli indicatori
inseriti dall'Aia, testati per tutto il 2016, consentono, inoltre, di effettuare
un controllo giornaliero dell'andamento del benzopirene, obbligando il gestore
dell'impianto siderurgico a ridurre immediatamente la produzione qualora venisse
superato il limite di 1 ng/m3 su base tendenziale annua».
Silvio Maranzana
SAN DORLIGO - Al via la fase di “autoanalisi” degli
odori in zona Siot
SAN DORLIGO DELLA VALLE - Sarà una scheda, distribuita a tutti i residenti
coinvolti dal problema, chiamati a riempirla con una serie di dati, il primo
passo verso la soluzione dell’annosa questione relativa alle cosiddette
“molestie olfattive” nel territorio comunale di San Dorligo della Valle. Com’è
noto, da anni, decine di cittadini lamentano il diffondersi di emissioni che
provengono dagli insediamenti industriali storicamente situati nella parte
pianeggiante del Comune, in primis la Siot. «La seconda Commissione del Comune
che presiedo e che si occupa di ambiente - spiega il consigliere Roberto Potocco
- fin dal suo insediamento ha ritenuto di trattare, quale argomento di assoluta
priorità, questa emergenza. L’obiettivo è di portare a una soluzione definitiva
il grave e irrisolto problema di tali emissioni. A tale scopo, già alcuni mesi
fa abbiamo invitato, per un sopralluogo, un’azienda specializzata - prosegue -
che attualmente si sta occupando della problematica Ilva a Taranto ed è emerso
che il primo passo è un attento e formale rilevamento effettuato dai cittadini.
Abbiamo perciò creato una scheda di rilevazione che i cittadini completeranno,
indicando data, ora e intensità dei fenomeni. Queste rilevazioni - continua
Potocco - saranno oggetto di un primo consuntivo a giugno, e rappresenteranno un
campione statistico per mezzo del quale potremo intraprendere un colloquio
costruttivo quanto risolutivo con le imprese presenti sul territorio che
dovessero risultare origine del problema. Sarà in quel momento che lo studio dei
dati raccolti potrà indicarci i siti più adeguati dove eventualmente installare
una rete di “nasi elettronici”. Tale costosa quanto necessaria attività -
conclude il consigliere di maggioranza - potrebbe essere affidata in
collaborazione con gli organismi istituzionali preposti, come l’Arpa, o
richiesta in affitto a un’azienda specializzata del settore, che dovrà includere
anche l’appoggio di personale specializzato nell’effettuare prelievi e analisi
dei campioni».
Ugo Salvini
Aspiranti apicoltori - Nuove lezioni all’ex Opp
Oggi alle 17 al Padiglione “I” del’'ex Opp (vicino al Posto delle Fragole),
si terrà il terzo appuntamento del Corso di avviamento all’Apicoltura promosso
da Urbi et Horti, Bioest, Il Ponte, Legambiente, Aias, Anglat, Lapis,
Multicultura, Arci Servizio Civile Trieste e Fvg, Comitato pace convivenza
solidarietà Danilo Dolci e Azienda Sanitaria. Libere e aperte a tutti, le
lezioni teoriche si terranno ogni giovedì fino al 9 febbraio e quelle pratiche,
in apiario, al Parco di San Giovanni, ogni sabato alle 10 dal 4 al 25 febbraio.
Tema dell’incontro di oggi, “Le api nel susseguirsi delle stagioni - Il
calendario dei lavori in apicoltura”. Obiettivo del corso, inserito all’interno
del progetto “Suoni e colori nel verde... un mondo di sensazioni” e finanziato
dal Centro Servizi Volontariato, è quello di far acquisire ai partecipanti le
competenze di base per poter iniziare ad allevare le api con piacere e
soddisfazione. Il confronto con docenti esperti del settore è alla base
dell’apprendimento. Un altro gruppo di incontri sarà orientato a far conoscere
il mondo delle api anche agli alunni delle scuole elementari. Partito lo scorso
19 gennaio, il corso ha visto un consistente numero di iscritti e un forte
interesse per l’argomento, descritto da Livio Dorigo, storico apicoltore e
veterinario impegnato nella tutela e valorizzazione della biodiversità. Per
informazioni e iscrizioni: 3287908116.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 1 febbraio 2017
Ue,mobilità nei trasporti con sistemi intelligenti -
L’INTERVENTO DI TULLIO CAPPELLI HAIPEL
A ispirare questa strategia è la volontà politica in materia di
cambiamenti climatici. Oltre il 70% delle emissioni di gas serra è connesso ai
trasporti
Una strategia promossa dall'Unione europea ha come obiettivo la
realizzazione di una mobilità nei trasporti ispirata a sistemi intelligenti e
cooperativi. Tutto ciò prevede cambiamenti profondi sia in Europa che nel resto
del mondo, rispondendo anche alla necessità di rendere i trasporti più sicuri ed
efficienti. Gli strumenti essenziali di realizzo sono ovviamente le tecnologie
digitali che contribuiscono anche alla riduzione dell'errore umano, fra l'altro
principale causa di incidenti. Inoltre l'inevitabile scambio di dati fra le
parti agenti crea anche la possibilità di far incontrare l'offerta e la domanda.
In realtà la musa ispiratrice è la volontà politica lungimirante in materia di
cambiamenti climatici. Non dimentichiamo il programma europeo di finanziare la
necessità di adeguamento dei mezzi trasporto a Gnl, navi comprese, a beneficio
dell'ambiente. Si pensi che oltre il 70 per cento delle emissioni di gas a
effetto serra è connesso ai trasporti, forte contributo agli inquinamenti
atmosferici. Già in vari Paesi come Stati Uniti, Australia, Giappone, Corea e
Cina si sta realizzando l'applicazione delle tecnologie digitali con relativi
mezzi e servizi disponibili. In Europa alleanze strategiche puntano alla
diffusione di sistemi intelligenti, come il cosiddetto corridoio di cooperazione
della Ue che collega Rotterdam a Francoforte e Vienna, o il cosìddetto “gruppo
di Amsterdam”, un'alleanza tra autorità stradali, città attive in una rete di
città e regioni e la stessa industria automobilistica. Le forniture di
carburanti non inquinanti richiedono già fin d'ora che alcuni porti, in
Adriatico, Trieste, Ravenna e Bari, si attrezzino allo stoccaggio di gas
liquido. Questa “Comunicazione” porta la data del 30 novembre 2016, ma oltre ai
mirati contenuti deve far riflettere sulle possibili necessità collaterali,
sempre legate sostanzialmente ad un coordinamento informatico. Opportuno per la
via dell'Adriatico impostare un obiettivo di tal specie in gemellaggio con sedi
per esempio mitteleuropee, non ultima Vienna già impegnata col Nord Europa. Le
“stazioni” del trasporto che colloquiano con il “trasporto”. Certo è un impegno
che esige un apporto altamente scientifico e tecnologico ma il risultato sarebbe
promuovere la competitività europea e avere vantaggi nel risparmio energetico e
delle emissioni, e non dimentichiamo che indirettamente favorirebbero quei posti
di lavoro direttamente o indirettamente legati ai trasporti. Integrazione dei
modi di trasporto e collegamenti con l'automazione hanno già prodotto
l'erogazione di ingenti finanziamenti della Ue. Inoltre va valutata la sicurezza
informatica e la protezione dei dati. La “Comunicazione” indica fin d'ora un
particolareggiato elenco dei servizi, fra i quali uno spazio è dato alla ricerca
e alla progettazione per queste realizzazioni, con uno sguardo attento al
futuro, previa una politica comune per la sicurezza e la gestione e un'adeguata
opera di informazione. Le ragioni indicate che hanno ispirato questi programmi
non escludono ruoli delle sedi pertinenti al trasporto e alla gestione oculata e
protetta delle Comunicazioni e delle loro frequenze. In altra direttiva europea
si prevedono già norme finalizzate anche al collegamento tra i mezzi di
trasporto, e non solo a ruota, le infrastrutture di trasporto, nel senso cioè
“veicolo” e “veicolo”, “veicolo” e infrastruttura, infrastruttura e
infrastruttura. Tutto regolamentato anche da un necessario quadro giuridico
adatto. Ciò non toglie che esso possa essere strutturato da responsabili
esperienze sperimentali. È auspicabile quel percorso che prevede un gemellaggio
con sedi, per esempio portuali, così da reperire sinergie di progetti di ricerca
ed innovazione, magari ispirandosi ad esperienze già in atto in altri Paesi
extraeuropei.
San Dorligo della Valle - “Nasi elettronici” bocciati
dall’aula
SAN DORLIGO DELLA VALLE È stato approvato ieri dal Consiglio comunale lo
schema del bilancio di previsione di San Dorligo della Valle valido per il
periodo 2017-2020. L’assemblea si è espressa a favore del documento presentato
dal sindaco Sandy Klun, nel ruolo di assessore al Bilancio, al termine di una
lunghissima seduta nel corso della quale c’è stata una vivace discussione in
relazione a un emendamento presentato dal consigliere di opposizione Boris
Gombac, capogruppo della lista che porta il suo nome. Nel testo, Gombac,
rifacendosi a un problema molto sentito da una parte della popolazione di San
Dorligo della Valle, in particolare dalle famiglie che vivono nei pressi
dell’oleodotto della Siot che, da tempo, lamentano la presenza di un forte e
cattivo odore, ha proposto l’acquisto dei cosiddetti “nasi elettronici”. «Si
tratta di apparecchiature - ha spiegato - che permetterebbero di monitorare al
dettaglio l’inquinamento da odore. Vista la necessità di metter fine ai
nauseabondi miasmi che si diffondono sul nostro territorio - ha precisato -
nelle frazioni di Mattonaia, Lacotisce, Domio, Bagnoli, Francovec e Dolina,
attigue al parco serbatoi della Siot, durante lo stoccaggio del petrolio, e
preso atto della Convenzione tra il Comune di Trieste e l’Arpa per il
monitoraggio delle emissioni in atmosfera di sostanze odorigene provenienti
dalla Ferriera di Servola, proponiamo un intervento speculare». Al momento del
voto, si sono espressi contro l’emendamento i consiglieri del Pd, dell’Unione
slovena e della Sinistra unita, mentre si sono astenuti il sindaco Klun, visto
l’atteggiamento della sua maggioranza («ma mi riservo di tornare sul tema in
sede di variazione del bilancio - ha annunciato - proponendo l’acquisto dei
nasi»), e gli esponenti dell’opposizione Roberto Drozina (Lista civica
Territorio e ambiente), Roberto Massi (Forza San Dorligo) e Danilo Slokar (Lega
Nord), mentre si sono registrati i soli sì del firmatario dell’emendamento e di
Massimiliano Dazzi, anch’egli della lista Gombac. Slokar ha motivato
l’astensione spiegando che «sul problema degli odori prodotti dall’impianto
della Siot bisogna che il Comune assuma una posizione definitiva e organica,
convocando l’Arpa. Non possiamo andare avanti - ha aggiunto - con piccoli
provvedimenti estemporanei, perché la gente ha bisogno di chiarezza e non di
interventi tampone». Gombac da parte sua ha invece ribadito che «la presenza
della Siot nel territorio comunale di San Dorligo della Valle può essere
assimilata a quella della Ferriera a Trieste». Roberto Potocco (Pd) ha detto che
«il no all’emendamento di Gombac lo abbiamo espresso perché riteniamo sia utile
approfondire ulteriormente l’argomento per avere un quadro chiaro e dettagliato
della situazione». Approvato invece l’emendamento di Emilio Coretti (Pd) che
prevede di aumentare di 10mila euro la dotazione «per il rilancio del turismo di
San Dorligo della Valle».
Ugo Salvini
Dallo sciacallo dorato al gabbiano zafferano Gli ospiti Enpa del 2016 - il bilancio
Accolti negli spazi di via de Marchesetti 2.597 animali Numerosi i volatili feriti. E poi ci sono anche lepri e caprioli
La carica dei 2mila 597. Tanti sono gli ospiti presi in cura nel 2016 dall'Enpa di Trieste, la struttura di accoglimento animali di via de Marchesetti presieduta da Patrizia Bufo. Oltre 2mila sono gli animali selvatici soccorsi dall'Ente, pari all'80% del totale. Grande clamore fece nel giugno scorso la liberazione di uno splendido giovane sciacallo dorato, unico animale in tutta Europa di questa specie ad essere stato catturato vivo e ferito: dopo essere stato curato senza sedazione venne liberato in Carso diventando una piccola star del web. Gli uccelli rappresentano invece il 59%, ossia la percentuale maggiore, di animali curati. Molto elevato il numero di rapaci notturni con ben 28 assioli, nella maggioranza dei casi pulli (pulcini) nati in estate ma anche adulti debilitati dalla migrazione in aprile. Non sono mancati civette o gufi comuni. Tra i rapaci diurni ricoverati la poiana, lo sparviere (si ricorda l’esemplare rimasto ferito all'occhio e “incastrato” all'interno della stazione delle autocorriere di Muggia dopo una caccia al colombo avvenuta a inizio gennaio), nonché un gheppio giovane e un astore. Molti di più sono stati i piccioni, ben 279, ricoverati in seguito ad impatti contro vetri o automobili. E poi 149 rondoni, la maggioranza nidiacei rinvenuti a terra. Numeri ancora maggiori hanno coinvolto invece i gabbiani: 322 i reali e 19 i comuni. Il più ammirato è stato un raro esemplare di gabbiano zafferano curato e liberato. Hanno trovato accoglienza all'Enpa anche 180 cornacchie grigie e i simpatici 7 nidiacei di taccole, provenienti dalla zona di largo Panfili, dove è presente un'ampia colonia. Più complesso il caso dei soggetti di pappagalli calopsite avuti in affido giudiziario dal Corpo forestale regionale che presentavano una importante patologia aviaria che ha costretto l'Enpa ad un blocco sanitario del primo piano dei ricoveri: una volta risanati gli animali sono stati successivamente riconsegnati alle autorità competenti. Ultimi, ma non ultimi, i germani reali che hanno movimentato la scorsa fine estate muggesana essendo affetti da botulino e che hanno ritrovato la libertà nel rio Ospo lo scorso ottobre. Chiudono la lista dei volatili 124 merli, 145 passeri e 101 cincie. Tra gli animali selvatici vanno poi menzionati i 101 caprioli, curati dopo traumi, fratture agli arti da investimento ed emorragie interne. Indubbiamente frequenti anche i ricoveri di pipistrelli (65), spesso cuccioli ma anche adulti che hanno avuto un risveglio anomalo, dovuto a cause antropiche, o feriti. Chiudono l'elenco dei selvatici gli 88 ricci, spesso affetti da parassitosi cutanee che hanno richiesto una degenza di 20 giorni per permettere una terapia risolutiva del problema. Tra i 515 animali domestici ed esotici curati dall'Enpa i gatti rappresentano il 44% del numero totale, ricoverati in seguito della campagna di sterilizzazione, a cui l'Enpa partecipa in collaborazione con i Comuni. I gatti sterilizzati sono stati reimmessi nelle colonie di provenienza, mentre i cuccioli sono stati tutti dati in adozione. A chiudere ci sono i cosiddetti animali d'affezione non convenzionali (oltre 120) quali conigli, cavie, criceti e ratti da compagnia che sono stati accolti in seguito a rinunce da parte dei proprietari o sono stati rinvenuti in stato di abbandono sul territorio. Il caso più eclatante è quello del coniglio femmina rinvenuto due settimane fa all'interno di un cassonetto delle immondizie in via del Botro ad Altura. Per la cronaca Giuly sta bene. E presto potrà cercare una nuova casa.
Riccardo Tosques
Villaco si converte al teleriscaldamento - La svolta green - I vantaggi per Villaco saranno economici e ambientali
Un servizio innovativo Ad Arnoldstein il termovalorizzatore è stato ristrutturato quintuplicando la sua capacità operativa Molteplici i vantaggi
VIENNA Nell’autunno 2018 Villach - seconda città della Carinzia con i suoi 61.221 abitanti - sarà quasi per intero “teleriscaldata”, cioè riscaldata da fonti di calore a distanza. Il servizio sarà gestito dalla Kelag Wärme GmbH, che già ora distribuisce calore con due impianti a biomassa e ricicla calore di scarico di una fabbrica della zona. Questo calore (circa 100 milioni di kilowattora) viene erogato ad abitazioni private e ad aziende dell’area (tra cui l’Infineon, leader mondiale nella produzione di semiconduttori) con una rete di distribuzione lunga cento chilometri. Ai cento milioni di kilowattora già oggi disponibili se ne aggiungeranno nel 2018 altri cento prodotti dall’inceneritore di Arnoldstein, a due passi dal confine italiano di Tarvisio, dove vengono bruciati tutti i rifiuti della Carinzia (90.000 tonnellate all’anno). La denominazione più corretta dell’impianto, tuttavia, è “termovalorizzatore”, perché non si limita ad eliminare i rifiuti - è già questo sarebbe un bel risultato, visto che città come Roma e Napoli e regioni come la Sicilia non sono in grado di farlo da sé e devono trasportare i loro rifiuti proprio in Austria per farli bruciare - ma dalla loro combustione ne ricava un valore aggiunto: elettricità (42 milioni di kilowattora) e calore. Finora il termovalorizzatore di Arnoldstein produceva, oltre all’elettricità, 21 milioni di kilowattora di calore. Lo scorso anno è stato ristrutturato con nuove tecnologie che consentono di ricavare dalla stessa quantità di rifiuti 122 milioni di kilowattora di calore: i cento in più andranno a riscaldare Villach. In poco più di un anno, lungo la strada statale sarà posata una conduttura di diciassette chilometri, in cui sarà fatta circolare acqua alla temperatura di 130 gradi a una pressione di 25 atmosfere. A Warmbad-Villach la condotta si innesterà nel sistema ad anello che distribuisce il calore in tutta la città. Investimento complessivo 18 milioni di euro. Villach disporrà così complessivamente di 200 milioni di chilowattora, che corrisponde al fabbisogno di circa 30.000 abitazioni di medie dimensioni: in pratica, quasi tutte le case della città. L’allacciamento alla rete non è obbligatorio e per chi intenda farlo non vi sono contributi pubblici. Ma già ora quasi tutti i proprietari di casa ne hanno approfittato e tutte le nuove costruzioni prevedono l’allacciamento. E, ovviamente, sono allacciati al teleriscaldamento tutti gli uffici pubblici. Vi sono benefici economici e soprattutto benefici ambientali. L’eliminazione di impianti di riscaldamento individuali risolve all’origine il problema delle polveri sottili: a Villach problemi di inquinamento non si sono mai posti. Ma anche ad Arnoldstein, nonostante la presenza dell’inceneritore, tutti i rilevamenti effettuati hanno registrato un miglioramento della qualità dell’aria. Gli inquinamenti, temuti da alcuni, non ci sono stati, ma è accaduto invece il contrario, come si evince anche dalla tabella delle emissioni, disponibile sul sito web della società (http://www. krv.co.at/default.asp).
Marco di Blas
I cacciatori di frodo uccidono un cigno e le anatre protette
Caccia ai colpevoli in una cittadina alle spalle di
Zara mentre i roghi dolosi minacciano le specie dell’oasi di Vrana
ZARA - Nei giorni scorsi i cacciatori di frodo sono nuovamente entrati in
azione, impuniti, in una zona paludosa dei dintorni di Nona (Nin), cittadina
alle spalle di Zara, in Dalmazia. Stando a quanto riferito ieri dagli attivisti
dell’associazione Biom che si occupa di salvaguardia ambientale in Croazia,
specie di volatili, nei giorni scorsi è stata rinvenuta la carcassa di un cigno
minore (Cygnus columbianus), prontamente inviata al competente istituto di
Zagabria per l’autopsia. L’esame ha rivelato che il cigno è stato ucciso da un
fucile a pallettoni. Il cigno era stato avvistato per la prima volta a inizio
gennaio e subito inanellato. La sua apparizione era stata accolta con entusiasmo
dagli ornitologi croati e dagli amanti della natura in quanto si era trattato
del sesto avvistamento di cigno minore negli ultimi cinquant’anni in Croazia.
Quello di Nona era il dodicesimo esemplare visto dagli anni Sessanta del secolo
scorso ad oggi, come fatto notare dalla dottoressa Jelena Kralj dell’Istituto di
ornitologia che agisce in seno all’Accademia croata delle Scienze e delle Arti.
L’uccisione di questo stupendo volatile è stata denunciata alla polizia dalmata,
che finora non ha operato alcun fermo. È stata informata pure l’Impel, la rete
europea degli ispettori ambientali. Purtroppo non si è trattato di un caso
isolato: una decina di giorni fa - e nella stessa area nelle vicinanze di Nona -
erano state ritrovate le carcasse di ben otto volpoche in pratica il 10 per
cento della popolazione di questa specie di anatra presente nel Paese. Va
sottolineato che cigno minore e volpoca sono due uccelli rigorosamente protetti
(almeno sulla carta) in Croazia perchè specie considerate molto rare e dunque a
rischio estinzione. Interpellato dai giornalisti, il biologo Vedran Lucic di
Biom ha manifestato insoddisfazione e preoccupazione per i due vergognosi
episodi: «Quanto verificatosi a pochi chilometri da Nona è la prova provata
dell’anarchia esistente nel settore venatorio nazionale e del disinteresse delle
competenti istituzioni. Non c’è l’effettiva volontà di garantire almeno un po’
di ordine nella caccia agli uccelli. Nonostante le denunce precedenti e un paio
di controlli effettuati dalle forze dell’ordine, i bracconieri continuano ad
agire indisturbati in questa porzione di Dalmazia, causando danni gravissimi al
nostro patrimonio ambientale». In tale ambito va segnalato che da alcuni anni a
questa parte si stanno verificano grossi roghi nell’area del lago di Vrana, tra
Zara e Sebenico, il più grande lago in Croazia, da tempo in regime di tutela
perchè rappresenta un’importantissima riserva ornitologica. Vrana è classificato
parco naturale e si crede che gli incendi siano di natura dolosa, appiccati
intenzionalmente nella speranza di arrivare alla cancellazione dello status di
area protetta. Un tanto consentirebbe a cacciatori e pescatori di esercitare
liberamente le loro attività, attualmente vietate.
Andrea Marsanich
IL PICCOLO - MARTEDI', 31 gennaio 2017
Giardino di piazza Hortis, scatta il restyling - Aperto il cantiere per la riqualificazione e ripavimentazione dell’area. Investimento da 160mila euro
Al via i lavori di “restyling” del giardino di piazza Hortis a Trieste. L’intervento, per il quale il Comune ha previsto una spesa di 160mila euro, punta a riqualificare e valorizzare l’area. «Il primo step - spiega l’assessore ai Lavori pubblici, Elisa Lodi, sarà la posa della nuova pavimentazione in materiale naturale stabilizzato nei vialetti interni al giardino, con la realizzazione anche di un impianto di smaltimento delle acque meteoriche, l'ampliamento e il miglioramento delle superfici delle attuali aiole, il rifacimento dell'impianto di irrigazione (con l'eliminazione dei vecchi e antiestetici tubi a vista dell'attuale impianto), nonché la messa a dimora di nuove piante». È prevista inoltre la riqualificazione e l’allargamento della zona riservata ai giochi per bambini (la cui gomma antitrauma, ormai deteriorata, sarà sostituita e ampliata), la creazione di una zona destinata alla lettura, alla musica ed a piccole rappresentazioni teatrali e la realizzazione di una fontanella con acqua potabile. Particolare attenzione sarà posta all'eliminazione di tutte le barriere architettoniche, per garantire e favorire la massima fruizione del giardino da parte dei disabili. «Con questo intervento -ha detto ancora l'assessore Lodi- si vuole potenziale il ruolo e dare valore al giardino aperto di piazza Hortis, inteso come cerniera ed ideale estensione fra l'attività della limitrofa Biblioteca Civica, l'area verde alberata, i palazzi circostanti e la zona di piazza Cavana». Piazza Hortis sorge oggi su un antico sito cimiteriale dell’epoca paleocristiana. La piazza venne creata a seguito della demolizione di una parte del convento dei padri minoriti annesso alla chiesa di Sant'Antonio Vecchio, oggi Beata Vergine del Soccorso. L'amministrazione francese intitolò la nuova piazza alla vittoria di Lutzen, mentre il governo austriaco la ribattezzò piazza Lipsia per celebrare la sconfitta napoleonica. Il giardino occupa la quasi totalità della piazza con una superficie di 2.100 mq e ospita alberi d'alto fusto di pregio provenienti anche da paesi esotici. Al centro del giardino si trova, come noto, una statua intitolata a Jacopo Hortis, uomo politico cittadino, opera dello scultore G. Mayer.
Rifiuti industriali, a Hera, il ramo d’azienda di
Teseco
TRIESTE Waste Recycling, società toscana del Gruppo Hera controllata al 100%
da Herambiente, ha acquisito il ramo d'azienda impianti della pisana Teseco,
primaria realtà nel trattamento e recupero dei rifiuti industriali, con oltre 30
anni di esperienza nel settore dei rifiuti speciali e impianti innovativi
(allocati su un'area di complessivi 126.000 metri quadrati di cui oltre 30.000
coperti). L'acquisizione, spiega una nota, è stata portata avanti dalla
controllata Waste Recycling che da 25 anni gestisce con efficienza analoghe e
complementari linee di trattamento nei suoi impianti produttivi di Santa Croce
sull'Arno e Castelfranco di Sotto (Pisa). L'operazione, prosegue il comunicato,
consente «da un lato, di conservare e mantenere in attività un importante
segmento della realtà produttiva pisana, dall'altro, di ampliare la dotazione
impiantistica di Herambiente e i servizi offerti ai propri clienti,
rafforzandone la posizione di leadership nel trattamento e recupero dei
rifiuti», «si inserisce inoltre nel percorso di ampliamento del perimetro
societario avviato dal Gruppo Hera.
IL PICCOLO - LUNEDI', 30 gennaio 2017
Vito a Ussai "Ha dati diversi dall'ARPA ?"
«C'è chi vede male e rema contro la possibilità che la Ferriera divenga uno stabilimento sostenibile per salute e ambiente, perché perderebbe un argomento di attacco politico. E questo è uno degli aspetti piu preoccupanti». Lo afferma l'assessore regionale all'Ambiente Sara Vito, replicando al consigliere regionale M5s Andrea Ussai, che l'ha accusata di «difesa d'ufficio sempre meno credibile» verso lo stabilimento siderurgico. «A quanto pare - afferma Vito in una nota - il consigliere Ussai vorrebbe che fosse compito della politica dare i dati sull'inquinamento, magari li vorrebbe dare lui stesso. A Ussai che sostiene di avere “tantissimi dati certi sull'inquinamento a Servola e a Trieste” chiedo se si riferisce ai dati dell'Arpa, in base ai quali si rileva un netto miglioramento, oppure se possiede analisi parallele con esiti diversi. Grave poi che Ussai insinui che l'amministrazione regionale si adegui alle richieste di Arvedi, quando i fatti dicono il contrario, e la decisione della Conferenza dei servizi sulle coperture lo dimostra: la Regione c'era - conclude Vito - e non ha fatto sconti, come sempre».
IL PICCOLO - DOMENICA,29 gennaio 2017
M5S - Ussai sulla Ferriera «Aia da rivedere»
«La decisione della Conferenza dei servizi di valutare insoddisfacente il progetto di copertura dei parchi minerali della Ferriera di Servola conferma tutte le nostre perplessità» scrive in una nota il consigliere regionale del M5S Andrea Ussai. «Abbiamo ormai tantissimi dati certi sull’inquinamento a Servola e a Trieste: l’Aia deve essere rivista imponendo limiti più stringenti e non adeguandosi alle richieste di Arvedi. Inoltre, conclude Ussai, bisogna programmare una tempistica per il superamento dell’area a caldo, cercando di incidere il meno possibile sui livelli occupazionali».
Sorpresi a gettare rifiuti nel bosco - Due i denunciati
dai carabinieri. L’accusa è anche di inquinamento ambientale
Tre persone sono state arrestate dai carabinieri e altrettante sono state
denunciate. I carabinieri di via Hermet hanno deferito in stato di libertà, per
gestione dei rifiuti non autorizzata e inquinamento ambientale, due disoccupati
triestini di 34 e 24 anni perché sono stati ritenuti responsabili di aver
abbandonato i rifiuti recuperati dallo sgombero di un’abitazione di San Dorligo
della Valle, in varie zone boschive del territorio di quel comune. Inoltre,
intervenuti per un furto di abbigliamento in un negozio del centro, i
carabinieri hanno denunciato un minore straniero ospitato in una struttura di
accoglienza cittadina, che è stato sorpreso in possesso del capo di vestiario
rubato. I militari del Nucleo radiomobile del Comando provinciale hanno invece
sorpreso un cittadino italiano, M.S. le sue iniziali, di 67 anni che senza avere
l’autorizzazione era uscito dall’abitazione nella quale avrebbe invece dovuto
rimanere essendo agli arresti domiciliari. L’uomo - riferiscono i carabinieri -,
già gravato di svariati precedenti per numerosi reati, è stato sorpreso per
strada, dopo che era stato invano cercato al domicilio per i consueti controlli
ai quali sono sottoposti i soggetti in regime di detenzione domiciliare.
L’arrestato è stato nuovamente condotto a casa. Nel corso, invece, di un
intervento seguito alla segnalazione di un furto di profumi all’interno di un
negozio del centro i carabinieri hanno intercettato uno sloveno di 30 anni con
precedenti penali, E.C., che è stato trovato in possesso di alcune confezioni di
profumo. Il trentenne, accompagnato in caserma, a seguito di accertamenti è
risultato destinatario di un’ordinanza della Procura di Trieste, in base alla
quale deve scontare oltre due anni di reclusione per rapina, porto di armi e
resistenza a pubblico ufficiale. Il giovane è quindi stato arrestato e
accompagnato al Coroneo. Il terzo arresto è stato eseguito dai carabinieri della
Compagnia di Aurisina che in un servizio di contrasto all’immigrazione
clandestina a Fernetti hanno arrestato un romeno di 51 anni. Anche lui è
risultato destinatario di un ordine di carcerazione, ma della Procura di Forlì,
in quanto deve espiare sei mesi di reclusione per truffa per cui è stato portato
in carcere.
Pedoni più sicuri agli incroci di via San Nicolò -
Iniziati i lavori per la collocazione di semafori alle intersezioni con via San
Spiridione e via Roma
Più sicurezza per i pedoni e un traffico più fluido. Dopo il positivo
risultato fornito dall’impianto semaforico installato di recente in via Canal
Piccolo, in corrispondenza dell’attraversamento pedonale fra via Cassa di
risparmio e piazza della Borsa, altre due “intersezioni” fra percorsi pedonali e
traffico veicolare saranno regolate a breve da semafori. Entrambi questi
interventi riguardano via San Nicolò. Nei giorni scorsi AcegasApsAmga, su
incarico dell’assessorato ai Lavori pubblici, ha iniziato i lavori di scavo
all’incrocio con via San Spiridione, in vista appunto dell’installazione
dell’impianto semaforico. Lavori che dovrebbero essere conclusi nel giro di un
paio di giorni, dopodiché si passerà a un analogo intervento all’incrocio con
via Roma, che si protrarrà per circa due settimane. Una volta completata la
parte edile, in via San Spiridione si passerà alle opere di carattere
impiantistico, con la posa dei cavi e l’installazione dei semafori. Il
completamento di entrambi gli interventi e l’entrata in funzione degli impianti
semaforici è prevista tra una quarantina di giorni. Per consentire l’operatività
del cantiere all’angolo con via Roma, il Servizio mobilità e traffico del Comune
ha emesso un’apposita ordinanza che prevede il restringimento della carreggiata,
l’istituzione di divieti di sosta e di fermata (con rimozione) nel tratto di via
Roma fra l’incrocio con via Mazzini e il civico 3 (lato numeri dispari) e nel
tratto di circa 20 metri nei pressi dell’intersezione con via San Nicolò (lato
numeri pari). In questi tratti la carreggiata di via Roma sarà ristretta a una
sola corsia di marcia. La stessa ordinanza prevede poi il divieto di transito
per i pedoni in via Roma, nel tratto di circa 40 metri compreso fra l’incrocio
con via San Nicolò e via Mazzini, dalla parte dei numeri civici dispari. Questo
divieto sarà chiaramente attivo solo nelle due settimane previste per i lavori
riguardanti l’installazione dell’impianto semaforico. Per garantire l’incolumità
dei pedoni, il provvedimento ordina infine che il divieto di transito venga
segnalato in maniera opportuna nei pressi del cantiere e degli attraversamenti
pedonali più vicini o, in alternativa, di garantire un percorso pedonale
protetto della larghezza minima di un metro.
Le antenne di Chiampore non inquinano quasi più -
L’Arpa certifica una riduzione dei punti di sforamento, passati da 43 a soli tre
L’assessore muggesano Litteri: «Adesso affrontiamo le ultime situazioni»
MUGGIA «Bene, molto bene ma guai a indietreggiare: ora arriva forse la parte
più difficile». Giuseppe Poropat, uno dei leader di vecchia data del Comitato
antiantenne di Chiampore, esulta. Tre giorni fa, durante un incontro con
l’assessore all’Ambiente di Muggia Laura Litteri, il Comune ha comunicato un
risultato storico per la verde frazione rivierasca: l’inquinamento
elettromagnetico è stato (quasi) completamente debellato. L’Arpa Fvg ha infatti
divulgato al Comune i dati ottenuti da una campagna di rilievi iniziata nel 2015
sullo stato di salute dell’aria di Chiampore, frazione di Muggia da oltre
trent’anni deturpata da tralicci e ripetitori radiotelevisivi. L’Arpa ha dunque
effettuato una serie di misurazioni volte a valutare le emissioni dei ripetitori
radio presenti in quell’area al fine di accertare se a seguito delle azioni di
bonifica e delocalizzazione, attuate durante l’amministrazione Nesladek, fosse
migliorata la situazione dell’inquinamento elettromagnetico rispetto all’ultima
campagna di rilievi ufficiale del 2005. Con grande soddisfazione per il Comune
ma soprattutto per i residenti i dati comunicati sono stati più che
incoraggianti. I punti di sforamento sono passati da 43 a 3, una diminuzione
vertiginosa. «Dopo tanti anni di battaglie qualcosa abbiamo raggiunto - ammette
con soddisfazione Poropat -, non si può negare che l’amministrazione Nesladek e
ora quella Marzi stiano facendo il massimo per risolvere la situazione, anche se
ora bisognerà capire come affrontare i tre punti di sforamento rimanenti».
Dall’incontro tra l’assessore Litteri e il Comitato antiantenne è emerso che
l’antenna che sta continuando a produrre il maggior inquinamento
elettromagnetico è quella in dotazione alla Rai. Da qui il probabile incontro
tra Comune di Muggia e Rai per analizzare la situazione e cercare di trovare una
soluzione condivisa come racconta Litteri: «Certamente i pochi valori oltre 6
V/m riscontrati non sono accettabili, anche perché tutti rilevati in prossimità
di case, e proprio in tal senso abbiamo già avuto un incontro con i tecnici
Arpa, con i quali abbiamo concordato di contattare le emittenti responsabili
degli sforamenti affinché riportino le emissioni nei limiti previsti dalla
legge». Ma come si è svolta la campagna di misurazioni? Negli ultimi due anni
(le misurazioni si sono concluse nel mese di dicembre del 2016) l’Arpa ha
effettuato un’opera di monitoraggio sulla frazione eseguendo controlli a
tappeto. Fino al 2010 tali misurazioni avevano evidenziato esattamente 43 punti
nei quali erano state riscontrate radiazioni superiori ai 6 V/m, ossia il limite
massimo consentito dalla legislazione. «In prima battuta, Arpa ha effettuato
misure in banda larga in tutte le aree in cui nella campagna rilievi del 2005 si
erano verificati dei superamenti dei limiti di legge», racconta Litteri. Sulla
base di questi rilevamenti sono stati quindi individuati i punti in cui
effettuare le misure in banda stretta, ma non solo: «Sono state poi effettuate
misurazioni prolungate nel tempo con centraline per il monitoraggio in continuo
e misurazioni nei punti di controllo già individuati nelle campagne precedenti:
gli esiti delle rilevazioni hanno evidenziato la risoluzione dei superamenti
delle campagne condotte fino al 2005». In seconda battuta, Arpa ha esteso le
indagini ad altre aree che, sulla base dei sopralluoghi e delle misure in banda
larga, risultavano significative per l’esposizione della popolazione: anche in
questo caso, le indagini svolte hanno dimostrato un complessivo e sensibile
miglioramento della situazione rispetto ai dati del 2005. Soddisfatto il sindaco
muggesano Laura Marzi: «Abbiamo lavorato tantissimo per risolvere la situazione
di Chiampore e grazie alla delocalizzazione effettuata durante la precedente
amministrazione Nesladek abbiamo ottenuto un ottimo risultato. Ma questo lavoro
proseguirà ancora, questo è certo». Sulla stessa lunghezza d’onda Giuseppe
Poropat: «Ora è importante mantenere questi risultati e migliorarli
ulteriormente, cercando, dopo tanti anni di battaglie, di chiudere al meglio
questa lunga partita».
Riccardo Tosques
Lavori sulla rete fognaria di Duino - Da martedì
viabilità modificata per gli interventi sul collegamento fino a Sistiana
DUINO AURISINA - Nuova ordinanza relativa alla viabilità nel territorio
del comune di Duino Aurisina. Riguarda proprio il centro abitato di Duino.
Friuli Venezia Giulia Strade comunica infatti che - per consentire i lavori di
AcegasApsAmga di completamento della rete fognaria comunale nel collegamento tra
Duino e Sistiana - è stato rilasciato il nulla osta all’attivazione di un
semaforo provvisorio per la regolamentazione della circolazione stradale. Il
semaforo sarà attivo - questo riferisce AcegasApsAmga - a partire da martedì 31
gennaio, cioè dopodomani, e per circa un mese, fino al termine dei lavori. Si
tratta appunto dell’opera di completamento della rete fognaria comunale
nell’ambito occidentale - primo lotto. L’impianto semaforico provvisorio di
cantiere andrà a regolamentare la circolazione stradale all’altezza
dell’intersezione al chilometro 133+450 lungo la strada statale 14.
Ogm: l’Ue si spacca e non decide sui mais transgenici -
il voto favorevole dell’Italia
BRUXELLES - L'Ue non riesce a decidere sull'autorizzazione di tre mais
ogm, ma crea polemiche la scelta dell'Italia di esprimere voto favorevole, pur
essendo tra i 17 paesi europei che hanno vietato le colture transgeniche sul
proprio territorio. Immediata la levata di scudi di ong e associazioni
ambientaliste ed agricole, che hanno denunciato l'ipocrisia di Roma.
I rappresentanti degli stati membri nel comitato
permanente Ue per piante, animali, alimenti e i mangimi (Paff) erano chiamati a
votare, in base alle nuove regole, per approvare o respingere la richiesta di
autorizzazione di tre mais ogm resistenti ai parassiti. Non sono però arrivati a
esprimere la maggioranza qualificata necessaria. A favore, oltre all'Italia, si
sono pronunciati anche altri paesi che vietano le coltivazioni ogm sul proprio
territorio come l'Olanda. Altri, come Germania e Belgio, si sono astenuti a
causa delle divisioni sul tema nelle rispettive coalizioni di governo, mentre
altri ancora si sono schierati con la Francia, che ha votato contro. «Vedere
l'Italia votare a favore dell'introduzione di queste sementi geneticamente
modificate è uno schiaffo ai nostri agricoltori», accusa Marco Affronte dei
Verdi europei. Di «ipocrisia bella e buona» parla una nota di Slow Food, che
prosegue: «I rappresentanti dei nostri Paesi dovrebbero riconoscere una volta
per tutte che i cittadini non vogliono ogm in Europa e smettere di
autorizzarli». Greenpeace Italia definisce il voto un «clamoroso voltafaccia»
per il nostro paese «che si schiera dalla parte degli ogm» mentre «la
Commissione sarebbe cieca a interpretare il voto odierno come una luce verde».
Di avviso opposto Europabio, l'associazione delle industrie biotech europee: «I
tre prodotti sono stati in attesa di autorizzazione per 15 anni e più» e la
Commissione dovrebbe «approvarli a meno che una maggioranza qualificata di Stati
membri si opponga».
IL PICCOLO - SABATO, 28 gennaio 2017
Sterpaglie a fuoco, allarme sopra Barcola - Fiamme
domate da pompieri, forestali e volontari della Protezione civile. In azione
anche l’elicottero
Vigili del fuoco, uomini del Corpo forestale regionale e volontari sono
stati impegnati per ore ieri, dalle 12.30 circa, per domare un incendio di
sterpaglie che aveva aggredito il costone che dal mare sale fino al ciglione
carsico. Più precisamente, la zona che è stata interessata dal rogo si trova
alle spalle dell’abitato di Barcola. L’incendio, le cui cause saranno stabilite
dai tecnici specializzati anche alla luce dei rilievi effettuati sul posto da
forestali e pompieri, ha intaccato un’area di circa 20mila metri quadrati, su un
fronte di 300 metri lineari. Proprio a causa dell’entità della zona,
caratterizzata prima del rogo da sterpaglie, arbusti e qualche albero, a dare
man forte ai vigili del fuoco del Comando provinciale triestino sono intervenuti
anche volontari della Protezione civile e squadre del Corpo forestale regionale
(gli uomini di quello Statale sono transitati dal primo gennaio nell’Arma dei
carabinieri). Il lavoro delle squadre è risultato gravoso, anche per la
particolare pendenza del terreno, isolato, tra la strada del Friuli e la strada
Napoleonica sul quale stavano operando: tutte caratteristiche che rallentavano
le operazioni. Per agevolare lo spegnimento è stato così chiamato a operare
anche un elicottero gestito dal Corpo forestale. Il velivolo, dotato dello
speciale “cesto” per il trasporto di acqua o liquido ritardante assicurato al
gancio ventrale, è stato osservato da molti cittadini. L’elicottero ha compiuto
infatti più volte la spola tra il Golfo e il costone lambito dal fuoco,
immergendo il contenitore nel mare per riempirlo e poi svuotarlo sui focolai
dell’incendio boschivo. Spente le fiamme, i vigili del fuoco sono rientrati in
caserma mentre gli uomini del Corpo forestale si sono trattenuti per porre in
sicurezza il sito. Tranne una forte pioggia, nelle ultime settimane il clima è
rimasto molto secco, favorendo le condizioni adatte allo svilupparsi di focolai,
anche se non si può escludere che un gesto incivile, come un mozzicone di
sigaretta ancora acceso lanciato per terra, abbia potuto produrre le fiamme.
COMUNE - Il Giardino pubblico fruibile da stamattina
Il Comune informa che il Giardino pubblico, rimasto chiuso nei giorni scorsi, tornerà ad essere regolarmente fruibile da questa mattina a seguito della fine degli interventi di bonifica e di messa in sicurezza delle alberature presenti all’interno e del sopralluogo avvenuto ieri da parte del responsabile del Comune di Trieste con la ditta incaricata. L’orario d’apertura sarà quello consueto nel periodo invernale: dalle 7 alle 19.
IL PICCOLO - VENERDI', 27 gennaio 2017
La grana “parchi minerali” sul futuro della Ferriera
La Conferenza dei servizi giudica insoddisfacente la
relazione dell’azienda «Non osservata la prescrizione dell’Aia che impone la
copertura dei depositi»
«Non è stata soddisfatta da Siderurgica Triestina la prescrizione contenuta
nell’Autorizzazione integrata ambientale, che impone la copertura dei parchi
minerali». È la conclusione a cui è arrivata ieri all’unanimità la Conferenza
dei servizi coordinata dalla Regione e composta anche da Comune, Arpa, Azienda
sanitaria e Vigili del fuoco. In una nota la Direzione Ambiente della Regione ha
ricordato come l’Aia avesse stabilito per Siderurgica Triestina l’obbligo di
presentare, entro nove mesi dal suo rilascio, un progetto di copertura dei
parchi minerali. Tuttavia entro il termine, peraltro prorogato di un mese su
richiesta della società, l’azienda ha proposto una relazione che - si legge
nella nota della direzione Ambiente - «pur contenendo alcune ipotesi
progettuali, conclude evidenziando l'eccessiva onerosità degli interventi
richiesti e la difficoltà tecnica della realizzazione degli stessi». «Più
precisamente - si legge ancora nella nota - la relazione non contiene elaborati
grafici, né soprattutto il cronoprogramma e il quadro economico degli interventi
da effettuare. E in particolare si afferma che «la copertura, seppur
astrattamente possibile, non sarebbe tecnicamente realizzabile». Di qui, come
detto, la decisione di non approvare la relazione presentata dall’azienda,
invitando l’autorità competente, ovvero la Regione, ad adottare i provvedimenti
conseguenti. Un verdetto che l’azienda, contattata in merito, ha scelto di non
commentare. Nel pomeriggio però Francesco Rosato, consigliere di amministrazione
di Siderurgica Triestina, ha convocato i sindacati (presenti Failms, Fim-Cisl e
Uilm) e, secondo quanto riferito dai rappresentanti dei lavoratori, ha
comunicato l’intenzione della società di attenersi a quanto verrà chiesto, se
del caso anche con la realizzazione della tettoia, che potrà essere realizzata
tramite gara d’appalto. Rimane comunque sempre il problema dell’autorizzazione.
Per l’amministrazione regionale ha commentato la decisione l’assessore
all’Ambiente Sara Vito, che ha messo in evidenza «l’assoluto rigore con cui da
sempre operano su questo tema gli uffici regionali», e ha ribadito la «ferma
volontà della Regione al pieno rispetto delle regole e delle procedure». La
presidente della Regione Debora Serracchiani, a sua volta, ha ribadito la
necessità del rispetto dell’Accordo di programma, ricordando che, se ci sono
soluzioni alternative, come la filmatura dei parchi minerali che attualmente
viene impiegata per evitare che i materiali accatastati volino via in caso di
bora, vanno concordate con i ministeri competenti. Sulla linea espressa dalla
Conferenza dei servizi è intervenuto in serata anche Roberto Dipiazza. «Tutti
gli attori coinvolti hanno ribadito la necessità che l’azienda rispetti quanto
previsto dall’Accordo di programma - ha affermato in un video postato su
Facebook -. Oggi quindi (ieri ndr) abbiamo vinto. La Regione dovrà ora intimare
ad Arvedi di realizzare la copertura del parco minerali per tutelare la salute
dei servolani e non solo dei servolani». Soddisfatto anche il capogruppo della
Lega alla Camera, Massimiliano Fedriga. « «Un plauso all'amministrazione
comunale per essere riuscita a imporre la massima fermezza nei confronti del
mancato rispetto delle prescrizioni Aia da parte di Siderurgica Triestina».
Sullo stop alla relazione dell’azienda, infine, è intervenuto il M5S. «La
decisione della Conferenza di valutare insoddisfacente il progetto di copertura
dei parchi minerali della Ferriera di Servola conferma tutte le nostre
perplessità - ha commentato il consigliere regionale Andrea Ussai -. È urgente
quindi che la politica prenda decisioni conseguenti. Servono iniziative
concrete, partendo dall’Aia che deve essere rivista immediatamente».
Silvio Maranzana
IL PICCOLO - GIOVEDI', 26 gennaio 2017
Arpa in Ferriera, residenti in assemblea
Odori, rumori ed emissioni dai camini. Sono i tre fronti su cui si è concentrata ieri la nuova visita ispettiva eseguita dai tecnici dell’Arpa all’interno dello stabilimento siderurgico di Servola. Una visita annunciata via Twitter, in tarda mattinata, a controlli avvenuti. In realtà, hanno fatto poi sapere dall’Arpa, si è trattato “solo” della coda della visita ispettiva eseguita a fine dicembre scorso. Un sopralluogo già calendarizzato, insomma, a cui ne seguirà un altro tra circa tre settimane. Anche il quel caso i “bersagli” dei controlli saranno monitoraggio dell’inquinamento odorigeno, Sme (il sistema di controllo su camini ed emissioni) e primi interventi di insonorizzazione. Intanto ieri sera al Caffè San Marco si è svolta l’assemblea pubblica organizzata dal Comitato 5 dicembre per fare il punto sulla questione Ferriera, soprattutto alla luce del recente ultimatum di Arvedi contro «il clima ostile» della città. Tra i partecipanti anche il sindaco Roberto Dipiazza. Nel corso della serata si è discusso della possibilità di scendere nuovamente in piazza per la chiusura dell’area a caldo e della Conferenza dei servizi in programma oggi.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 25 gennaio 2017
Giardini inquinati - Via al programma di risanamento -
Il tavolo istituzionale incarica il Comune della stesura - L’approvazione
spetterà poi all’Istituto superiore di Sanità
La bonifica degli spazi gioco per le scuole di Servola. Le super-piante per
assorbire i veleni dei giardini pubblici. Serviva un piano per partire. E
finalmente, a nove mesi dalla clamorosa scoperta dell'inquinamento nelle aree
verdi della città, le istituzioni hanno partorito qualcosa di operativo. La
situazione si è sbloccata ieri pomeriggio al termine del tavolo che coinvolge
Regione, Arpa, Comune e Azienda sanitaria universitaria integrata. Era presente
anche l'esperto a cui gli enti spesso di rivolgono per tematiche analoghe: il
professor Pierluigi Barbieri, del Dipartimento di scienze chimiche e
farmaceutiche dell'ateneo, pratico di tecniche di decontaminazione naturale. È
lì, in quella riunione, che si è deciso di dare mandato al municipio di stendere
un programma. Sarà l'Istituto superiore di sanità ad approvarlo in via
definitiva; ma, trattandosi di amministrazioni centrali, come ha lasciato
intendere l'assessore comunale all'Ambiente Luisa Polli, i tempi non sono
affatto certi. Comunque la novità è che l'assessore, assieme alla collega Elisa
Lodi, responsabile dei Lavori pubblici, stavolta hanno stabilito cosa fare.
Precisato che Trieste deve fare i conti con un "inquinamento diffuso" del suolo,
a macchia di leopardo, le cui ragioni sono varie e poco chiare (smog da
traffico, impianti di riscaldamento, porto, industrie, tipologia di terreno
usato in passato), il Comune ora sa come muoversi: negli spazi verdi del "don
Chalvien" di via Svevo e della “Biagio Marin” di via Praga, le due scuole con
giardini off-limits, si procederà con la rimozione (tecnicamente
"scorticamento") dello strato di terra contaminato. Le zolle saranno sostituite
con un nuovo manto erboso. Per gli altri cinque siti si applicherà il
"fitorimedio", cioè piante capaci di produrre microrganismi in grado di
degradare le sostanze. Si tratta, nello specifico, di piazzale Rosmini, del "de
Tommasini" di via Giulia, della pineta "Minussi" di Servola, del cortile della
chiesa di San Lorenzo e dello spazio aperto dell'Associazione amici del presepio
in via dei Giardini. Il programma predisposto dal Comune, sollecitato anche da
un ordine del giorno del Consiglio comunale, sarà illustrato al tavolo
regionale, per essere quindi sottoposto al vaglio finale dell'Istituto superiore
di sanità. Sarà ancora l'Arpa, non appena conclusi gli interventi, a monitorare
le aree verdi in modo da capire se il problema persiste o meno. «In ogni caso -
ha precisato Polli - se verranno individuati altri siti problematici avremo uno
strumento operativo pronto. Perché questo è un piano permanente. Tra l'altro
possiamo affermare che è una sorta di progetto pilota per il Paese». Il
municipio dispone di 350 mila euro stanziati dalla Regione e di ulteriori 100
mila ripartiti con il proprio bilancio, ha ricordato l'assessore Lodi. «Quella
che andremo ad attuare - ha puntualizzato invece Polli - è una sorta di
depurazione delle zone in cui sono state rinvenute le sostanze. Per quanto
riguarda le scuole - ha evidenziato - già le linee guida dell'Istituto superiore
di sanità prevedono che, di fronte alla presenza di siti utilizzati dai bambini,
si proceda con la massima cautela. Per questo togliamo lo strato di terreno, per
poi piantare altra erba».
Gianpaolo Sarti
TEST - Nuove centraline per verificare l'esito
Centraline, ancora centraline. L'Arpa, come ha annunciato ieri in conferenza stampa l'assessore comunale all'Ambiente Luisa Polli, ha acquistato una ventina di dispositivi da impiegare per la raccolta e l'analisi delle particelle che si trovano nell'aria. «Saranno posizionate nei punti della città dove si presume un maggior inquinamento - ha precisato l'assessore - e serviranno a capire se, dopo l'attività di bonifica e di fitorimedio, la contaminazione nel terreno persiste o no. Comunque, anche la direzione del vento, nel corso degli anni, può aver influito sulla situazione nei giardini. In particolare, da quanto proviene dal porto. Ecco perché monitoreremo ancora i siti individuati. È una verifica - ha proseguito - che serve ad appurare se l'inquinamento è risolto o se continua, magari perché causato dallo smog. Quindi, conclusi gli interventi, andremo ad accertare se sarà tutto risolto. La nostra intenzione - ha concluso - è darci da fare rapidamente, almeno per ciò che ci compete».
(g.s.)
GLI INTERVENTI - Menis (M5s): «Stravolta la nostra
mozione»
L’inquinamento dei giardini è ancora terreno di scontro politico. È il
Movimento Cinque Stelle, stavolta, ad attaccare. «Lunedì sera - ripercorre il
capogruppo Paolo Menis - è stata portata con urgenza nell'aula del Consiglio
comunale una nostra mozione sull'uso del fitorimedio per bonificare i giardini
contaminati di Trieste. Il fitorimedio è una tecnologia di bonifica già
sperimentata a Trieste all'ex Opp nel 2007 - ricorda il consigliere - con
risultati di rilievo nel ridurre le concentrazioni delle sostanze inquinanti. A
detta dei tecnici dell'Università di Trieste, che se ne sono occupati, è una
tecnica che richiede tempi contenuti, costa dalle 10 alle 15 volte in meno delle
bonifiche tradizionali ed è almeno altrettanto efficace. La nostra mozione -
afferma ancora Menis - riportava nelle premesse il riferimento esplicito alla
natura industriale degli inquinanti riscontrati dall'Arpa nei giardini pubblici.
L'Arpa ha infatti rilevato nel terreno dei giardini concentrazioni elevate di
diossine e furani clorurati, noti per essere prodotti prevalentemente da
combustioni di tipo industriale». Ma, protesta il grillino, la mozione
sull'utilizzo delle tecniche di fitorimedio per bonificare le aree contaminate
da sostanze di derivazione industriale, «è stata prima bocciata sia dal
centrodestra del sindaco anti-Ferriera che dal centrosinistra a trazione
Serracchiani - polemizza Menis - e poi prontamente sostituita da un documento
debolissimo, con il quale si afferma sì l'intenzione di portare avanti tale
sistema naturale, ma sostenendo al contempo la tesi dell'inquinamento dovuto a
cause non precisamente individuabili, prendendo per l'ennesima volta in giro i
cittadini». Di qui la presa di posizione dei Cinquestelle: «Siamo convinti
dell'utilità del fitorimedio per eliminare le contaminazioni dei giardini
pubblici - conclude il capogruppo - ma il M5s non può abdicare alla richiesta di
conoscere da dove questo inquinamento provenga. Se non si identificano
chiaramente le fonti, e non si prendono provvedimenti di conseguenza, gli
inquinanti continueranno a depositarsi sul suolo dei nostri giardini, a
prescindere da qualsiasi tipo di rimedio si metta in campo».
(g.s.)
San Dorligo in prima linea nella tutela del verde
pubblico
SAN DORLIGO - Il Comune di San Dorligo della Valle, insieme al Comune di
Rivignano Teor, organizza sabato alle 9.30 all’auditorium “A. Comelli” nella
sede della Regione a Udine in via Sabbadini 31, il convegno dal titolo “Gli
alberi in ambiente urbano: attuazione delle nuove norme, responsabilità, buone
pratiche e cura degli alberi nel paesaggio urbano. L’evento è realizzato in
collaborazione con esperti florovivaisti lombardi e veneti, con i direttori e
tecnici dei giardini pubblici del Fvg e con il circolo Legambiente di Udine. Per
partecipare è necessario iscriversi online sul sito www.regione.fvg.it. Il
convegno si pone come obiettivi la sensibilizzazione degli amministratori e
tecnici degli enti locali, professionisti del settore, cittadini e del Fvg sulla
efficace attuazione delle attribuzioni assegnate (art. 12, legge n. 154/2016,
c.d. “Collegato agricoltura”) secondo le linee guida nazionali in fase di
elaborazione e vuole favorire il coordinamento delle associazioni di settore
regionali con quelle nazionali per una condivisione di strategie comuni e
coordinate a livello nazionale. L’evento è rivolto a istituzioni, professioni,
scuole, cittadini, al fine di condividere pratiche corrette, valide da ora e per
il futuro. A moderare i lavori sarà Paolo Tubaro, del Circolo Legambiente “Laura
Conti” di Udine. Il sindaco di San Dorligo Sandy Klun porterà i saluti
dell’amministrazione a inizio convegno. Gli interventi spazieranno su diversi
temi: dalla proposta di istituire la “Carta degli alberi ornamentali” alla
gestione sostenibile del verde urbano tra problemi e prospettive fino alla
gestione della foresta urbana tra tutela della sicurezza ed incremento del
benessere ambientale. Prevista la partecipazione, tra gli altri, dell’assessore
regionale alla Pianificazione Mariagrazia Santoro.
IL PICCOLO - MARTEDI', 24 gennaio 2017
In treno all’aeroporto - Parte il cantiere dopo 29 anni
di attesa - Lo scalo di Ronchi sarà collegato alla linea Trieste-Venezia - Al
via i lavori del polo intermodale da 17,2 milioni di euro
RONCHI DEI LEGIONARI - Era il 1988 quando il polo intermodale di Ronchi dei
Legionari veniva inserito nel piano regionale dei trasporti. Ieri, 29 anni dopo,
l'area di 20mila metri quadrati compresa tra l'aeroporto e la linea ferroviaria
Trieste-Venezia ha ospitato la cerimonia per la posa della prima pietra. I
cantieri verranno chiusi tra un anno e il primo convoglio ferroviario fermerà
nel febbraio del 2018. Alla cerimonia per la posa della prima pietra hanno
partecipato la governatrice Debora Serracchiani e il presidente della società di
gestione dello scalo, Antonio Marano, entrambi soddisfatti per il decollo di
lavori che “valgono” qualcosa come 17,2 milioni di euro. «Quest’opera sarà un
unicum a livello nazionale - ha detto Marano -, un volano di crescita per tutto
il territorio. Ora tocca a noi promuovere nella maniera giusta il Trieste
Airport, ma posso dire che anche su questo fronte non mancano le novità». Da
parte sua Serracchiani ha rivendicato l'importanza dell'azione svolta a Roma in
sede governativa, che ha portato al finanziamento del secondo lotto di 6,9
milioni di euro, recentemente approvato dal Cipe. «È tempo di smettere di dire
che nessuno ci conosce - ha detto - e anche di criticare i miei famosi viaggi a
Roma. Se, come nel caso del finanziamento del secondo lotto, quei viaggi portano
risultati, io continuerò a farli. È vero, le prime risorse erano state stanziate
nel 2000, ma non serve a nulla allocare risorse se poi non si spendono i soldi».
Ad entrare nel dettaglio del progetto il direttore generale, Marco Consalvo. Il
piano prevede, in particolare, una nuova fermata ferroviaria, da utilizzare non
solo per i treni regionali; una nuova autostazione con 16 stalli in linea per i
bus e una superficie pedonale di 2800 metri quadrati; un parcheggio multipiano
con una capacità di 500 posti auto; un parcheggio a raso, della capacità
complessiva di 1000 posti auto, di cui 320 dedicati agli utenti con abbonamento
TPL e ferroviario (pendolari) e infine un collegamento pedonale tra
l’aerostazione e le strutture del polo con passerella sopraelevata della
lunghezza totale di 425 metri, con tappeti mobili per facilitare la percorrenza.
Prossima sfida, incrementare voli e passeggeri. Questi ultimi negli ultimi
cinque anni sono stati in continua riduzione, ma da novembre scorso il traffico
è in significativa crescita (novembre +2,1%, dicembre +5,3%, gennaio +17%),
mentre la stima per il 2017 è di 840mila passeggeri con una crescita del 15 %.
Alitalia, che garantirà tra l’altro per tutto l’anno il quinto volo con Roma,
con l'entrata in vigore dell'orario estivo effettuerà due voli settimanali, dal
1 luglio al 10 settembre, su Olbia. Altrettanti saranno poi i voli settimanali
con destinazione Bruxelles-Charleroi, operati da Tui Fly. La spagnola Primera
Air volerà, dal 30 maggio al 12 settembre, una volta alla settimana su Reykjavik,
mentre ci saranno charter per Madrid, Minsk, Riga, Tallin, Valencia e Londra.
Ryanair, infine, ha annunciato l'annualità dei suoi voli su Catania (3 frequenze
settimanali), Trapani (1 volo settimanale in più da giugno a settembre) e
Valencia (1 volo settimanale in più a luglio). E lo stesso vale per Volotea su
Napoli e Borajet su Istanbul.
Luca Perrino
Auto elettriche, balzo di ricariche - Nel 2016 sono
aumentati del 200% i “rifornimenti” nelle dieci colonnine piazzate da
AcegasApsAmga
I numeri sono ancora modesti e AcegasApsAmga è la prima ad ammetterlo: la
tendenza però è buona e promettente, ragion per cui l’utility non esclude di
rafforzare il servizio. La società, partecipata dal Comune di Trieste e
controllata da Hera, ha reso noto le cifre sul “rifornimento” delle auto
elettriche a Trieste: nel 2016 il numero delle ricariche, eseguite utilizzando
le dieci colonnine attivate ai primi del 2015, è salito a 734 rispetto le 239
dello scorso anno. L’incremento percentuale viaggia sul 200%, decisamente alto
ma, come si è detto, da tarare su quantità ancora esigue in termini assoluti.
AcegasApsAmga vuole crederci, anche perché le 66 ricariche mediamente
calcolabili per ogni colonnina hanno generato un consumo totale pari a circa
8000 kWh, determinando un aumento dell’energia erogata superiore al 400%,
reputato «ottimo» dalla società. Alcune colonnine, sistemate in luoghi di forte
passaggio o di maggiore accessibilità, hanno registrato una particolare
attrattività: si rammentano i casi di Basovizza con 237 cariche, di via Slataper
vicino all’Ospedale Maggiore con 222 “rifornimenti” e del parcheggio di via San
Nazario a Prosecco con 214 servizi. Ma AcegasApsAmga, che intende spingere sul
pedale elettrico, ricorda anche le altre sette “stazioni” disponibili: Quadrivio
Opicina, piazzale 11 Settembre, via Ginestre a Roiano, Rotonda Boschetto,
piazzale Straulino sulle Rive, ratto Pileria a Servola. L’azienda aveva
programmato l’inserimento di altre 10 colonnine, che avverrà se la tendenza si
manterrà favorevole. La nota, diffusa ieri mattina, insiste sul dato ambientale,
che è quello che spiega l’attenzione sulla propulsione elettrica: calcolando che
una ricarica media è di circa 15 kWh e consente un’autonomia di 100 chilometri,
le colonnine di Trieste avrebbero evitato nel corso del 2016 il consumo di quasi
4250 litri di carburante, equivalenti a 11 tonnellate di anidride carbonica. Tre
le priorità sulle quali AcegasApsAmga sta operando in questo scorcio iniziale
dell’anno, di cui un paio dalle forti connotazioni ambientali. Difatti l’azienda
è impegnata sullo sviluppo di HergoAmbiente, programma mirato su una raccolta
“intelligente” dei rifiuti: ognuno dei 15 mila cassonetti triestini è dotato di
una “tag” che consente la lettura informatica dell’attività svolta. Rush finale,
inoltre, per il depuratore di Servola, che AcegasApsAmga intende inaugurare la
prossima estate: dall’alto è possibile verificare il rapido cammino delle opere
murarie. La terza iniziativa, su cui la struttura aziendale è all’opera,
riguarda HergoReti, dedicata alla gestione degli impianti idrici, dei quali, per
favorire una puntuale manutenzione, è stata realizzata una sorta di minuzioso
censimento informatico. A cavallo tra settore idrico e ambientale sono i
progetti fognari, che hanno AcegasApsAmga come stazione appaltante: tra
Caresana, Santa Croce, Longera sono in programma oltre 5 milioni di opere, tese
ad ammodernare una rete obsoleta.
Massimo Greco
Rifiuti a domicilio per Sgonico e Monrupino - Sarà
eseguita a giorni fissi la raccolta della differenziata secca. Contenitori
dotati di microchip
SGONICO Sarà fatta a giorni fissi la raccolta a domicilio della
differenziata secca nei Comuni di Sgonico e Monrupino. Nel primo sarà effettuata
al martedì e al venerdì, a Monrupino al lunedì. L’annuncio della novità, che ha
un significato ben più ampio di ciò che potrebbe sembrare a prima vista, è della
Isontina Ambiente, la srl che, dopo Duino Aurisina, ha ricevuto l’incarico di
smaltire i rifiuti anche nei territori di Sgonico e Monrupino. «In questa
maniera - spiega Stefano Russo, responsabile dell’Ufficio relazioni esterne
dell’azienda di Ronchi dei Legionari - potremo garantire un servizio porta a
porta che ha l’obiettivo di garantire una puntuale razionalizzazione dello
smaltimento. In sostanza - aggiunge - le famiglie di Sgonico e Monrupino
porteranno i rifiuti di plastica, carta, vetro e dell’umido negli appositi
contenitori, tutto il resto della differenziata lo andremo a prendere noi e lo
porteremo direttamente nel termovalorizzatore. Si allestirà così un circuito
virtuoso - precisa - che dovrebbe garantire una perfetta efficienza». Ovviamente
molto dipenderà dalla disponibilità dei residenti, ma il meccanismo predisposto
dalla Isontina Ambiente è rassicurante sotto questo profilo: le famiglie sono
state dotate, per la raccolta della differenziata secca, di appositi contenitori
ciascuno dei quali è dotato di un suo microchip. Gli addetti che effettueranno
la raccolta a domicilio saranno muniti di un braccialetto anch’esso munito di
microchip, che stabilirà così un dialogo con ogni contenitore. «Si tratta di uno
schema - riprende Russo - in grado di garantire un controllo pressoché totale
sui vari canali di raccolta dei rifiuti, a tutto vantaggio della popolazione
perché è evidente che, se si riesce a razionalizzare il servizio, il relativo
costo potrà, in prospettiva, essere rivisto». La definizione del programma è
stata concertata con le giunte dei due Comuni, che hanno espresso entrambe
compiacimento per l’avvio di questa nuova procedura. «In territori come quelli
di Sgonico e Monrupino - conclude il portavoce della Isontina Ambiente - il
nostro compito è anche facilitato dal fatto che si tratta di paesi con case
sparse, dove la collaborazione fra residenti è diffusa».
Ugo Salvini
IL PICCOLO - LUNEDI', 23 gennaio 2017
Giardini inquinati, la ricetta ambientalista -
Legambiente in pressing sul Municipio per l’impiego di piante in grado di
assorbire benzene e metalli
Legambiente si schiera a favore del fitorimedio, cioè l'impiego di piante
in grado di purificare l’ambiente, per risanare le aree verdi della città e, in
particolare, gli ormai tristemente noti giardini inquinati. A ribadirlo, nel
corso di un incontro con la stampa, è stato il presidente provinciale
dell’associazione ambientalista, Andrea Wehrenfennig.
«Si tratta - ha spiegato - di utilizzare piante che sono in grado di assorbire dal suolo sia i metalli pesanti sia gli idrocarburi policiclici e aromatici e il benzene, a seconda della specie impiegata. Nei nostri giardini - ha precisato - ci sono scorie di vario tipo, perciò questa tecnica, che fra l'altro costa pochissimo e non è invasiva, ci sembra la più adatta. La Regione e l'Arpa hanno già dato il loro parere favorevole a questa soluzione - ha concluso Wehrenfennig - e sembra che anche il Comune finalmente si stia orientando in questa direzione, perciò auspichiamo che quanto prima si cominci concretamente su questo versante». «Prima di individuare le cause dell'inquinamento - ha osservato Mario Mearelli, ex docente universitario ed esperto di Legambiente - aspetto comunque importante, è fondamentale purificare l'ambiente in cui tutti viviamo quotidianamente. Il fitorimedio permette di operare con efficacia e ad ampio raggio, senza limitarci a specifici aspetti dell'inquinamento. Essenziale - ha concluso - è effettuare, in via preliminare, un'analisi dei terreni per capire quali sono gli elementi inquinanti per eliminarli». «Parlare di inquinamento diffuso senza approfondire - ha evidenziato Lino Santoro, anch'egli esperto di Legambiente - è un giochetto che non funziona. Il fitorimedio non solo costa pochissimo rispetto a tutti gli altri espedienti di tipo ingegneristico, ma ha anche il pregio di essere gradevole sotto il profilo estetico- ha continuato - in quanto si tratta di arricchire il tessuto urbano e i giardini di fiori e piante. Molto più invasivo l'intervento di scavatori per spostare masse di terreno. Una volta individuata la principale causa di inquinamento in un dato sito - ha concluso - si procede utilizzando la pianta che meglio si presta a debellarlo».
Ugo Salvini
I big romani della sanità annunciati a Servola non riuniscono la città - Pd e sindacati: «Segnale concreto verso lavoratori e residenti»
Ma per Forza Italia, M5S e comitati l’obiettivo non
cambia
Dal Pd ai sindacati è vissuta come la mossa giusta al momento giusto,
decisiva per superare quel dualismo lavoro-salute che sta divorando Trieste.
Fuori dal centrosinistra, e tra i comitati chiamati da Roberto Dipiazza a fargli
da consulenti in materia, la si vede invece come un che di inconferente rispetto
all’obiettivo, uno, solo e immutabile, dello spegnimento dell’area a caldo. Le
reazioni domenicali all’intervista rilasciata al Piccolo da Debora Serracchiani
sulla Ferriera dicono che l’annuncio della discesa in campo degli esperti
dell’Istituto superiore di sanità, da deputare allo studio dell’impatto
ambientale della fabbrica a garanzia dei residenti, non schioda il dibattito,
per lo meno apparentemente, dalle posizioni cementate nell’ultima campagna
elettorale, e non solo quella. Mentre l’assessore all’Ambiente di Dipiazza (a
sua volta in silenzio) Luisa Polli e il capogruppo alla Camera e segretario
regionale del Carroccio Massimiliano Fedriga non commentano, nel centrodestra a
rischiararsi la voce a botta calda è la coordinatrice regionale e onorevole di
Fi Sandra Savino. «Quella della presidente secondo cui la Ferriera inquina meno
è una dichiarazione che non ci sta, non ci può stare», afferma tranchant Savino
che si rituffa ai tempi della precedente giunta regionale, quella di Renzo
Tondo, di cui lei faceva parte: «Noi avevamo impostato un Accordo di programma
che prevedeva una riconversione vera, affrontare la Ferriera come una questione
isolata non va bene, mai vorrei che questa cosa restasse lì in eterno». «La
siderurgia pulita vera prevede altri tipi di impianto e lì hanno visto che non
ne vale la pena», chiude Savino prendendo le difese di chi non parla:
«Serracchiani imputa al sindaco di vivere una contrapposizione costante per
motivi elettorali, le ricordo che a lui è deputata la salute dei cittadini». A
Dipiazza il capogruppo in Consiglio comunale ed ex candidato sindaco grillino
Paolo Menis non fa cenno, ma rileva «un discorso contraddittorio di Serracchiani
là dove prima dice che la Ferriera inquina meno e poi non sottovaluta gli sbuffi
e le segnalazioni dei cittadini. Quest’area a caldo il territorio non se la può
permettere». «Ma il punto fondamentale - aggiunge Menis - è capire in questo
momento, oltre al destino dei trenta in cassa che dovevano essere riassunti a
fine anno di cui non sappiamo nulla, se Arvedi rispetta o meno i contenuti
dell’Accordo di programma, dopo quello che si è detto sugli ultimi incontri in
Regione». Un assist per Alda Sancin, presidente del Comitato No Smog, che
insiste «sul fatto che l’Accordo di programma prevedeva anche la copertura del
parco minerali, e ora Arvedi ha detto che non serve, così pare non interessi
più. Come poi sarebbe da cementare sotto il parco per evitare la contaminazione
della falda e da intervenire sullo stato delle acque antistanti». «Alcuni punti
dell’intervista - chiosa Sancin - ci lasciano perplessi. La signora Serracchiani
dice che il mostro non inquina? Allora vorrei capire tutti quei nuvoli
dall’altoforno perché continuano a esserci. Parliamo di due realtà diverse,
quella che vediamo noi è diversa da quella che vede lei da piazza Unità.
L’Istituto superiore di sanità? Sono già stati fatti due studi in passato che
testimoniano che l’incidenza dei tumori qui è piu alta». Il capogruppo Pd alla
Camera Ettore Rosato plaude invece, convintamente, all’annuncio di Serracchiani
sui big romani della sanità in campo a Servola: «Quella della presidente è una
posizione seria, in linea con il lavoro che sta facendo come commissario
dell’area di crisi complessa, teso concretamente a salvaguardare salute e
occupazione insieme». Fatti insomma, per Rosato, da esibire di fronte alle
chiacchiere della controparte: «La contrapposizione di Dipiazza? È sulle parole,
perché sui fatti da parte sua mai si è visto niente. La sua strategia sul piano
dialettico non porta da nessuna parte, se non creare mero allarmismo nei
lavoratori e disorientamento nei cittadini». D’accordo un altro parlamentare dem,
il senatore Francesco Russo: «Ha ragione Serracchiani quando ricorda a Dipiazza
le incongruenze di chi come lui negli ultimi 15 anni ha promesso e basta. È il
centrosinistra ad aver fatto fatto qualcosa». Ma ancora non abbastanza, secondo
lo stesso Russo: «Il coinvolgimento dell’Istituto superiore di sanità è un
segnale forte, apprezzabile, perché qualcosa anche il centrosinistra ha
sbagliato e i nostri risultati elettorali tra Servola e Valmaura lo dimostrano.
Non siamo riusciti a mantenere appieno le promesse neanche noi, là dove Cosolini
si era impegnato sia a garantire il fronte occupazionale che a lavorare per un
processo di riconversione in cui, comunque, non si capisce quale orizzonte possa
avere l’area a caldo». Il placet agli ispettori dell’Istituto superiore di
sanità viene anche da Franco Palman, storica Rsu della fabbrica in quota Uilm:
«Più e nuovi controlli possono dare maggiore sicurezza sia ai lavoratori che ai
cittadini. Se domani mi dicessero che la Ferriera inquina decisamente sarei il
primo a dire chiudiamo. Ma i dati sono inequivocabili e la situazione è
migliorata. Di molto. Quanto al sindaco, beh, quasi ci mette in imbarazzo. Non
sta prendendo la situazione seriamente, credo non abbia mai incontrato il
Cavaliere (Arvedi, ndr) per fare un ragionamento articolato con lui in separata
sede. E a chi alimenta la baruffa dicendo “siamo centomila contro mille” non
posso che dirgli che questa è assurda. E lungi da noi sindacati dal voler fare
l’avvocato dell’imprenditore».
Piero Rauber
DOLINA - San Dorligo della Valle - Riparte il servizio sulla differenziata
Si sta provvedendo al recupero della raccolta dei rifiuti differenziati nel territorio comunale di San Dorligo della Valle dopo la recente sospensione del servizio in occasione della forte bora della scorsa settimana. L'Area Servizi sul territorio del Comune di San Dorligo della Valle comunica quindi che effettuerà con le consuete modalità e i mezzi usuali il recupero dei rifiuti differenziati "porta a porta" non raccolti a causa della forte bora, secondo le seguenti modalità. Raccolta degli imballaggi (plastica, vetro, lattine): il giorno lunedì 23 gennaio 2017 in località Dolina, Crogole, Dolina zona Suhorje. Il giorno martedì 24 gennaio 2017 in località Domio, Lacotisce e Puglie. Raccolta di carta e cartone: il giorno lunedì 23 gennaio 2017 in località S.Antonio, Bottazzo, Mocco, Hervati, Crociata, Prebenico, Monte d'Oro e Caresana. Le restanti raccolte rifiuti verranno effettuate secondo il calendario consueto.
IL PICCOLO - DOMENICA,22 gennaio 2017
Serracchiani schiera i “big” della salute al fianco dei
servolani «Pronti a firmare un accordo con l’Istituto superiore di sanità. Ma
grazie ad Arvedi la Ferriera oggi inquina meno del passato»
TRIESTE Assicura di comprendere davvero la diffidenza e le paure degli
abitanti di Servola, esasperati da decenni di promesse e immobilismo. Rivendica
però i risultati ottenuti negli ultimi 18 mesi sul fronte della riduzione
dell’inquinamento. E annuncia un ulteriore impegno per vigilare sulla salute dei
cittadini con il coinvolgimento del più accreditato organismo italiano in
materia, l’Istituto Superiore di Sanità. Debora Serracchiani, governatrice e
commissario straordinario per la Ferriera e l’attuazione degli interventi
nell’area di crisi complessa di Trieste, manda in campo insomma i “big” del
settore sanitario. E lo fa per dimostrare ancora una volta la determinazione con
cui la Regione punta ad affrontare, e vincere, quella che lei definisce la
«grande sfida», e cioè la possibilità di tenere insieme risanamento ambientale e
continuazione dell’attività industriale. Quella stessa attività che, appena
pochi giorni fa, Giovanni Arvedi ha minacciato di interrompere. Presidente,
Arvedi ha lanciato un autentico ultimatum alla città: o cambia il clima ostile
attorno alla Ferriera, o lo stabilimento rischia di chiudere. Sono molto
preoccupata dalle posizioni espresse dal Cavaliere, che so essere serie e
sincere. Allo stesso tempo, però, non mi faccio condizionare da nessuno.
Affronterò Arvedi, come già accaduto in passato, e gli dimostrerò che noi, come
lui, stiamo lavorando per raggiungere un obiettivo alto: tutelare salute e
lavoro. C’è però chi, come Roberto Dipiazza, ha un altro obiettivo dichiarato:
chiudere per sempre gli impianti. Io credo che il sindaco Dipiazza viva, anche
per motivi elettorali, una contrapposizione costante con questo tema. Invece
sapere che esiste una Ferriera che rispetta le regole, che in questo momento non
inquina e che dà lavoro a quasi 600 persone, un numero peraltro destinato
rapidamente a salire, non dovrebbe essere una sconfitta per lui. Comune e
comitati dei “contras” contestano però l’affermazione secondo cui la Ferriera
non inquina e imputano a Siderurgica Triestina il mancato rispetto delle
prescrizioni ambientali. I progressi ottenuti nell’ultimo anno e mezzo sul
fronte della riduzione dell’impatto ambientale sono inequivocabili e certificati
dai costanti monitoraggi dell’Arpa che, vorrei ricordarlo, è l’unico soggetto
autorizzato dalla legge ad eseguire i controlli. Qualcuno, però, considera
l’Arpa troppo “vicina” alla politica. Stiamo parlando di un soggetto autonomo,
responsabile e indipendente dall’amministrazione regionale. Peraltro noi abbiamo
individuato i vertici con avviso pubblico ed esame dei curricula. E l’attuale
numero uno dell’Agenzia, Luca Marchesi, ha dei precedenti professionali talmente
inattaccabili da essere stato scelto come presidente di tutte le Arpa regionali.
Ma cosa dicono, in concreto, questi dati dell’Arpa? Dicono, solo per fare
qualche esempio, che i valori di benzo(a)pirene sono oggi sette volte inferiori
rispetto a quelli rilevati nel 2010. E provano altrettanto inconfutabili
progressi a livello di emissioni e sforamenti nelle concentrazioni medie di
Polveri sottili. Rispetto al passato, quando cioè la produzione era ferma o
comunque sensibilmente inferiore, la Ferriera oggi inquina molto meno. E le
critiche di scarsa trasparenza dei dati dell’Arpa mosse da più parti? Ecco,
queste proprio non le capisco. Per la prima volta nella storia della Ferriera
chiunque può trovare online, direttamente sul sito arpa.fvg.it, tutti i dati di
carattere ambientale, mentre sul sito della Regione c’è la sezione relativa alla
struttura commissariale, in cui sono inseriti tutti gli interventi legati
all’attuazione dell’accordo di programma. Se c’è un rilievo quindi che davvero
non può essere mosso a questa amministrazione, è quello dell’assenza di
trasparenza. Detto questo, c’è un altro discorso da fare. E cioè? Dire che i
dati sono in miglioramento, e come abbiamo visto lo sono, non significa
sostenere che a Servola vada tutto bene. Tutt’altro. Io capisco la diffidenza
che provano gli abitanti di Servola: hanno tutte le ragioni del mondo per essere
così preoccupati. Ce le hanno perché per decenni nessuno ha fatto nulla
all’interno della Ferriera che, lo ricordo, esiste dal 1897. Negli anni passati
- anche quando al governo della città c’era l’attuale amministrazione comunale -
non sono state trovate soluzioni né per la salute dei residenti né per le
condizioni di lavoro degli operai. Capisco quindi che le persone non siano
ancora contente. Non potranno esserlo del tutto fino a quando non avremo portato
a termine il percorso delineato dall’articolo 252 bis del Testo unico
ambientale. Articolo che delinea la grande sfida che in tutto il Paese solo noi,
qui a Trieste, abbiamo accettato di affrontare: fare risanamento ambientale e
contemporaneamente continuare la produzione industriale. E per riuscirci sono
serviti tre fattori. Quali? Ottenere il riconoscimento per Trieste dello status
di crisi industriale complessa chiesto dall’amministrazione Tondo e ottenuto poi
da noi. Riuscire, grazie a questo riconoscimento, ad avviare l’accordo di
programma. E infine trovare l’industriale, Arvedi appunto, pronto ad investire
in questo progetto d’intesa con la parte pubblica. Se non ci fosse stato questo
mix di fattori, oggi ci troveremmo di fronte all’ennesimo sito inquinato
lasciato a se stesso, in cui nessuno investe un euro e che quindi inquina molto
di più. Di lavoro da fare, però, ne resta ancora molto. Certamente. Nessuno ha
la bacchetta magica e pretende di risolvere problemi tanto profondi in pochi
mesi. Gli strumenti che abbiamo a disposizione - a partire dalla novità dell’Aia
aperta, che consente di modificare e rivedere le prescrizioni ogni volta che
accade qualcosa - e l’impegno dell’azienda hanno permesso però di realizzare
buona parte degli interventi previsti. Resta da centrare a breve un altro
risultato importante. Quale? Occorre imparare a gestire correttamente l’impianto
e trovare l’equilibrio che consenta, in prospettiva, di evitare sbuffi, nuvole
rossastre e tutte le altre anomalie che registriamo in questa fase. E che
peraltro fanno sempre scattare l’intervento dell’Arpa, come previsto dall’Aia
aperta. Proprio la frequenza delle anomalie crea apprensione tra i residenti. Da
parte nostra non c’è alcuna sottovalutazione delle percezioni dei cittadini.
Teniamo in massima considerazione le loro preoccupazioni, specie per un tema
cruciale come quello della salute. Proprio per questo abbiamo avviato un
progetto che chiama in causa l’Istituto Superiore di Sanità, vale a dire il
massimo organismo pubblico in materia di salute. Cosa prevede il progetto?
Puntiamo a sottoscrivere in tempi brevi un accordo quadro di programma per
offrire ai cittadini e ai lavoratori la possibilità di accedere ad una serie di
metodiche tra le più tecnologicamente avanzate per lo studio dell’impatto
ambientale, oltre ad attività di coordinamento e raccolta dati di carattere
scientifico. Fin qui il tema fondamentale della salute. Ma in ballo, come detto,
ci sono anche i posti di lavoro. I dipendenti di Siderurgica Triestina oggi sono
540. In futuro, una volta completati gli interventi previsti (dal laminatoio a
freddo alla parte della logistica), dovrebbero salire a 650. E a loro si
aggiungono quasi 100 lavoratori dell’indotto. Bene, sa quanto spende oggi
l’azienda per i loro stipendi? Ventitrè milioni di euro lordi. Una cifra che poi
“ritorna” sul territorio visto che le famiglie degli operai vivono e spendono in
città. Siamo sicuri di poterci permettere di perdere una simile ricchezza che va
poi sommata alla ragguardevole cifra di 1,5 milioni di tasse pagate da Arvedi su
questo territorio? Io non credo. Così come non credo a certe cose che ho sentito
in giro. Quali? Ho sentito dire che i 650 operai della Ferriera e dell’indotto
dello stabilimento sarebbero facilmente riassorbibili: nell’amministrazione
pubblica, nelle pizzerie e nei negozi. Ricordiamoci tra l’altro che stiamo
parlando di operai che lavorano in Ferriera e hanno una formazione importante
sulla quale bisogna continuare a lavorare. Ma, a prescindere da questo, se a
Trieste si contano oggi settemila lavoratori disoccupati ed è così facile
reimpiegarne 650 “nuovi”, beh, allora direi intanto di partire da quei
settemila.
Maddalena Rebecca
Le strategie - Dalla sfida con il Comune nelle aule di
tribunale al rilancio dell’area dell’ex Ezit -
i numeri della Ferriera di
Servola
Non solo il piano politico. La “guerra” sul futuro della Ferriera si gioca
anche nelle aule del Tribunale amministrativo. Debora Serracchiani, tuttavia,
preferisce non esprimersi sulle mosse del Comune. «Non commento un procedimento
giudiziario in corso - afferma la presidente della Regione -. Mi limito ad
affermare che il Tar si è già pronunciato respingendo in un’occasione
l’ordinanza del sindaco».Quando si parla di crisi industriale complessa a
Trieste non si fa riferimento solo a Servola, ricorda la governatrice. Della
partita fa parte anche tutta l’area ex Ezit per la quale Invitalia, insieme al
commissario, ha già avviato la “caccia” a società e imprenditori pronti a
investire. «Sono già arrivate 29 manifestazioni di interesse - ricorda
Serracchiani - che potrebbero creare 300 posti di lavoro»
IL SOLE 24ORE - SABATO, 21 gennaio 2017
2i Rete Gas punta sulle attività italiane di Gas
Natural Fenosa
È imminente un altro riassetto, di medie dimensioni, nel settore del gas
italiano. Il gruppo spagnolo Gas Natural Fenosa starebbe infatti per cedere le
sue attività sul suolo tricolore e in corsa per esaminare il dossier ci
sarebbero alcuni fondi infrastrutturali e in particolare 2i Rete Gas,
controllata del fondo F2i.
Attraverso le acquisizioni di Enel Rete Gas e G6 Rete Gas, 2i Rete Gas
rappresenta attualmente il secondo operatore nazionale indipendente nel settore
con circa 57.000 chilometri di rete gestita e oltre 3,8 milioni di utenti
serviti dalla rete.
Presente su tutto il territorio nazionale e impegnata nell’opera di
metanizzazione di molti comuni delle regioni del Sud Italia, 2i Rete Gas sta
cercando di assumere il ruolo di consolidatore del sistema.
Un target interessante potrebbe essere proprio il network di Gas Natural Fenosa,
presente in Italia dal 2002 dove ha raggiunto, operando tramite società
separate, un posizionamento nei servizi, nella distribuzione del gas naturale e
nella vendita di gas naturale ed elettricità.
Attualmente serve oltre 420.000 famiglie italiane e circa 17.000 clienti
business. Parte delle attività sono nel Sud dell’Italia e la sede operativa è ad
Acquaviva delle Fonti (in provincia di Bari). Da notare che 2i Rete Gas (fonti
vicine alla società contattate dal Sole 24 Ore non hanno commentato i rumors)
starebbe guardando il dossier, anche se con interesse, al pari di altri
operatori.
La dismissione delle attività italiane di Gas Natural Fenosa sarebbe infatti
all’inizio della procedura. Secondo quanto indicato da Dealreporter, un mandato
in questa direzione sarebbe stato affidato dal gruppo iberico alla banca
d’affari Rothschild.
Il valore della transazione, secondo alcune indiscrezioni, potrebbe essere
superiore ai 400 milioni di euro. Nel 2015 le attività di Gas Natural sul
territorio italiano hanno generato un margine operativo lordo di 66 milioni di
euro. In ogni caso l’interesse dei potenziali acquirenti potrebbe essere
focalizzato soprattutto sulla base di clienti della controllata italiana di Gas
Natural.
Tra gli altri soggetti che verrebbero dati come pronti ad esaminare il dossier
ci sarebbe anche Italgas, anche se secondo altri rumors il gruppo energetico
sarebbe tiepido sull’operazione. In realtà, il deal potrebbe interessare in modo
particolare ad alcuni fondi infrastrutturali pronti a crescere in Italia in
termini di asset gestiti.
Carlo Festa
IL PICCOLO - SABATO, 21 gennaio 2017
«La città abbassi i toni sulla Ferriera» - L’appello
delle Rsu. Il Pd attacca Dipiazza: «Smetta di fomentare tensioni». Razeto: «Con
Arvedi impegni rispettati»
«La proprietà della Ferriera non sta ottemperando all’accordo di programma
che prevede la copertura dell’area minerali. Allora cosa deve fare un sindaco?
Deve inchinarsi e deve dire sì a questi che inquinano e che minano la salute dei
cittadini? Io dico di no, e continuerò la mia battaglia». Attraverso un
messaggio filmato postato sul suo profilo Facebook, il sindaco Roberto Dipiazza
risponde così alle dichiarazioni della segretaria regionale del Pd, Antonella
Grim (di cui riferiamo a fianco). «La Ferriera di Servola - aggiunge Dipiazza -
è un problema serio, un problema di salute dei cittadini. Abbiamo fatto le
analisi, e dalle urine si evince che l’inquinamento che emana da quello
stabilimento è molto grave». Dipiazza “accusa” poi il Pd di aver voluto portare
Arvedi, di «aver riattivato questo cancro al centro della città, che non è il
futuro di Trieste, e di aver firmato un accordo di programma e l’Aia che sono
documenti politici».Un invito ad abbassare i toni per evitare che sulla
questione Ferriera il clima, giù fin troppo teso, diventi letteralmente
incandescente. L’hanno rivolto ieri i rappresentanti di Fim Cisl e Fiom Cgil nel
corso di un incontro con i vertici del Pd. Incontro voluto per ribadire ancora
una volta la necessità di mettere lo stabilimento siderurgico- e i circa 700
operai che lì lavorano - al riparo da attacchi e tentativi di
strumentalizzazione. Gli stessi da cui ha preso le distanze anche il numero uno
di Confindustria, Sergio Razeto, tornato a ricordare «gli impegni assunti e
rispettati dal Gruppo Arvedi per il ripristino manutentivo degli impianti e
l'adeguamento dei presidi ambientali, con l'obiettivo di una drastica riduzione
delle emissioni, dimostrando serietà in relazione alla tutela della salute dei
lavoratori e dei cittadini». «C’è bisogno di abbassare i toni attorno alla
Ferriera - ha sottolineato durante il confronto con i vertici Pd Umberto
Salvaneschi della Fim Cisl - , altrimenti si rischia di andare oltre la
dialettica, e in quel caso la situazione diventerebbe di difficile gestione».
Thomas Trost della Rsu Fiom invece, ha invece ribadito la necessità di portare
le questiono sollevate da Arvedi direttamente in sede ministeriale, visto che
«solo con un piano industriale ben definito si può discutere con le istituzioni
la prosecuzione dell’attività della Ferriera». Netta la presa di posizione dei
dem. «Si è creato un clima molto pesante, che ha nel sindaco il principale
responsabile. Dipiazza deve uscire dalla campagna elettorale e iniziare a fare
il sindaco di tutti, anche dei 700 lavoratori che vivono grazie allo
stabilimento servolano - ha affermato la segretaria regionale Antonella Grim,
presente all’incontro insieme a Roberto Treu e Marco Cernich, del Pd triestino
-. Il suo compito è essere un interlocutore serio per l’azienda, evitando di
rilasciare dichiarazioni gravi e irresponsabili, come quando racconta che, se la
Ferriera dovesse chiudere, assumerebbe lui centinaia di lavoratori in Comune o
in qualche negozio monomarca. Affermazioni che denotano una leggerezza e una
mancanza di serietà incredibili». È appunto quello occupazionale il grande
timore che aleggia in questi giorni, specie dopo le ultime uscite del cavalier
Arvedi. «Trieste - hanno proseguito Grim e Treu - non potrebbe permettersi una
crisi occupazione di tale portata, quando già ci sono fin troppe persone alla
ricerca di un lavoro. Dipiazza sta creando un clima di tensione molto alto, che
sta lacerando la città. Per questo facciamo nostro l’appello dei sindacati a
tentare di parlare di Ferriera in modo serio, per evitare di arrivare a uno
scontro sociale molto pericoloso. In questa città - hanno concluso - c’è chi
fomenta il clima di tensione, e ciò è grave». Sul futuro di Servola, come detto,
ha paralto anche il presidente di Confindustria Friuli Venezia Giulia, che
giovedì è stato infatti sentito dalla Commissione Industria del Senato. «Il
Gruppo Arvedi - ha affermato Razeto in quella sede - sta rispettando il
programma di risanamento ambientale previsto dalla nuova Aia, sia in termini di
parametri che di tempi da rispettare». Nel 2015 e nel 2016 ci sono stati
fenomeni di malfunzionamento, ricorda l’associazione di categoria, ma si
inseriscono in un percorso di interventi che, a detta degli enti di controllo,
sta producendo miglioramenti visibili. «Lo stesso cavalier Arvedi ha ribadito
l'attenzione della proprietà alla sostenibilità ambientale, e probabilmente
questo è il primo sforzo condiviso per raggiungere la tutela dell'ambiente e
della salute dei cittadini e per proseguire e ampliare attività industriale e
occupazione». Di fronte a questo quadro, il percorso di ammodernamento va
ulteriormente monitorato. «Bisogna quindi attendere il termine degli interventi
- concludono gli industriali - per avere il nuovo quadro complessivo e dati
oggettivi sulla riduzione degli inquinanti che è stata prospettata».
Tari scontata a ristoranti e negozi per la lotta allo
spreco alimentare
Delibera di giunta innescata da una mozione di Forza Italia e Cinque
stelle Modifiche anche sul compostaggio domestico e per i b&b
La lotta contro lo spreco passa da una delibera varata dalla giunta comunale
in questi giorni. Un documento che, su indicazione dell’assessore al Bilancio
Giorgio Rossi, promette sconti fino al 10% sulla tassa dei rifiuti per
supermercati, ristoranti, fabbriche alimentari o semplici botteghe che si
impegneranno a non buttare nella spazzatura il cibo. Quanto avanza da scaffali,
pentole o prodotti non più adatti per la vendita, magari semplicemente perché
prossimi alla scadenza o soltanto ammaccati nella confezione. Il municipio, su
spinta del consigliere di Forza Italia Piero Camber, studierà un piano per
creare una rete di volontariato, con associazioni e onlus, in modo da
organizzare la distribuzione alle famiglie più bisognose. L’iniziativa
anti-spreco non è l’unica novità della delibera: la giunta ha rivisitato e
allargato il sistema di sconti sulla Tari attualmente in vigore, pari al 20%,
pure per chi garantisce il compostaggio dei rifiuti organici. Dovrà farlo in
modo continuativo reimpiegando il materiale nei giardini di casa. Lotta agli
sprechi La delibera della giunta fa riferimento alle «attività commerciali,
industriali e professionali che producono o distribuiscono beni alimentari». Si
tratta dunque di supermercati, industrie o anche ristoranti ad esempio: chi cede
a titolo gratuito, in forma diretta o indiretta, prodotti agli indigenti (o
anche per l’alimentazione animale), può ricevere una riduzione della Tari
(imposta sui rifiuti). Il valore dello sconto è calcolato in proporzione alla
quantità del cibo che viene donato: chi cede un ammontare annuo compreso tra i 5
e i 10 quintali pagherà il 6% in meno. -8% da 10 a 20 quintali; -10%, infine,
per chi riesce ad andare oltre. È necessario dimostrare l’avvenuta cessione
delle eccedenze ad associazioni assistenziali o di volontariato riconosciute. La
rete di volontariato Le buone intenzioni, messe nero su bianco nella delibera,
ci sono tutte. Ora bisogna organizzare la rete di volontariato per il ritiro e
la consegna dei prodotti alle persone in difficoltà economica. «Faccio notare
che il progetto era stato suggerito in una mozione di Forza Italia e del
Movimento Cinque Stelle - precisa Piero Camber -, indicazioni prontamente
recepite dall’assessore Giorgio Rossi. In effetti il fabbisogno a Trieste è in
constante aumento, perché cresce il numero dei poveri come purtroppo noto.
Quindi dobbiamo darci da fare e non perdere tempo. Propongo all’assessore
Lorenzo Giorgi, che in giunta detiene la delega al volontariato, di riunire
quanto prima tutte le associazioni e le onlus che potrebbero entrare
nell’operazione di raccolta e consegna, per creare una cabina di regia.
L’obiettivo - rileva il capogruppo di Fi in Consiglio comunale - è fare in modo
che il progetto diventi sistematico, quindi sarebbe opportuno che venga
coinvolto anche il Centro servizi volontariato». Sconti per il riciclo La
riduzione del 20% sulla Tari per tutti i privati che hanno avviato il
compostaggio dei rifiuti organici esiste già dal 2015. Ma il ventaglio ora si
amplia: nella delibera di giunta viene precisato che per rifiuti organici si
intendono quelli da cucina, ma anche gli sfalci e potature di erba e arbusti.
Per ricevere lo sconto si dovrà smaltire il materiale direttamente nei propri
giardini di casa, precisa il documento, assicurando di farlo in modo
“continuativo”. Sarà inoltre necessario dimostrare di possedere l’apposito
contenitore per la raccolta. Il Comune, dal canto suo, procederà alle verifiche
famiglia per famiglia. Per ottenere il beneficio si deve fare domanda in
municipio entro il 30 ottobre. La novità è estesa pure alle imprese agricole e
vivaistiche. «Finora - osserva Camber - non esisteva una regolamentazione e
nessuno controllava». Un passaggio della delibera di giunta riguarda i bed&breakfast:
d’ora in avanti la superficie destinata a pernottamento, dunque l’attività
commerciale vera e propria, viene equiparata a un’abitazione. Per il calcolo
finale della tariffa Tari annua, sarà quindi possibile ottenere una riduzione.
Gianpaolo Sarti
Amianto all’Arsenale - Assolti i sei dirigenti - la
sentenza
I dirigenti dell’Arsenale Triestino San Marco e di Fincantieri non ebbero
alcuna responsabilità per la morte di 27 dipendenti che sarebbe stata causata
dall’amianto. Lo ha stabilito ieri il giudice monocratico Francesco Antoni che
in maniera per molti versi inattesa ha assolto per non aver commesso il fatto
Manlio Lippi, Corrado Antonini, Enrico Bocchini, Giuseppe Sassi, Francesco Carrà
e Andrea Cucchiarelli, quest’ultimo deceduto alcuni mesi fa, ma scagionato con
la medesima motivazione. La sentenza è tanto più clamorosa in quanto l’accusa e
nella fattispecie il pm Matteo Tripani, nel corso dell’udienza che si era svolta
nell’ottobre scorso, aveva chiesto condanne complessive per ben ventiquattro
anni e mezzo di carcere. I manager erano accusati di omicidio colposo in
cooperazione e, nel dettaglio, di aver cagionato o non impedito la morte di 27
lavoratori - impegnati nel cantiere di Trieste nella riparazione e
ristrutturazione delle navi - non adottando tutte le misure di prevenzione,
igieniche e di protezione individuale utili a evitare una massiccia e
incontrollata esposizione alle polveri di amianto. Nel dettaglio, Tripani aveva
chiesto al giudice monocratico di infliggere la pena di sette anni e mezzo a
Lippi, presidente del cda dell’Arsenale triestino San Marco dal 25 settembre del
1972 al 30 giugno 1984 e amministratore delegato fino al 15 luglio del 1974, e
poi cinque anni all'ex presidente di Confindustria Trieste Antonini, componente
del cda e direttore generale di Fincantieri dal 30 giugno del 1984 al 9 luglio
1985 e poi amministratore delegato fino alla chiusura dello stabilimento. E
ancora, quattro anni e sei mesi ciascuno per Bocchini e Sassi: il primo
presidente del cda Fincantieri dal 9 luglio 1985 fino a quando la struttura è
stata chiusa e il secondo direttore dello stabilimento di Trieste della
Divisione Riparazioni navali dal primo gennaio 1987 al 28 febbraio del 1990.
Infine, per l'accusa Carrà, successore di Sassi e in carica fino al 6 aprile del
1993, doveva essere condannato a tre anni. Le richieste del pm non erano tutte
uguali in termini di quantificazione della pena, perché differente è il numero
dei morti, sul totale di 27, per i quali i cinque imputati erano stati chiamati
a rispondere in aula, sulla base dei rispettivi periodi in posizioni societarie
di vertice. Nella sentenza il giudice ha accolto le tesi della difesa che era
rappresentata dagli avvocati Giovanni Borgna (il quale ha voluto sottolineare
che l’assoluzione del suo assistito, Andrea Cucchiarelli non è stata dichiarata
per morte del reo, bensì per non aver commesso il fatto), Corrado Pagano e Elisa
Scaroina. È presumibile ora che la procura e le parti civili facciano richiesta
di appello.
(s.m.)
IL PICCOLO - VENERDI', 20 gennaio 2017
Ok ai fitorimedi per i giardini inquinati - Intervento
da eseguire entro marzo per evitare lo slittamento al 2018. Passa la mozione dei
grillini
Il Comune accelera sul piano di bonifica tramite fitorimedi dei giardini
inquinati: o si chiude tutto entro marzo oppure si dovrà rimandare l'operazione
all'anno prossimo. La bonifica con l'utilizzo di fitorimedi infatti è legata
alla semina di nuove piante, erbe e arbusti da scegliere in base al tipo di
contaminazione, che deve per forza avvenire in primavera.
Così ieri nella seduta della Quarta Commissione, non senza una serie di distinguo e un po' di bagarre, è stata licenziata, con alcune modifiche e un emendamento, la relativa mozione a firma dei consiglieri Elena Danielis e Gianrossano Giannini (M5S). L'intenzione, condivisa all'unanimità, è di portarla già lunedì prossimo alla discussione in Consiglio Comunale, per poi sfruttare il successivo tavolo tecnico di martedì tra Comune e Regione per presentare il progetto pilota. «Dopo la riunione di approfondimento con i vari attori coinvolti, Arpa, Azienda sanitaria, Università e Regione, presso la quale è istituito un apposito tavolo tecnico per la predisposizione di un piano contro l'inquinamento diffuso - spiega il presidente della Quarta Commissione Michele Babuder (FI) - sarà ora il Comune a farsi promotore dell'iniziativa con la Regione e a chiedere un'audizione all'assessore regionale Sara Vito». «Se riusciremo ad ottenere l'ok del Consiglio Comunale - sottolinea l'assessore all'Ambiente Luisa Polli - potremo presentarci alla Regione con un progetto per la città condiviso da tutte le forze politiche. Come step successivo chiederemo quindi una progettazione del piano condivisa tra Regione e Comune, con il supporto tecnico degli altri attori coinvolti. Servirà comunque l'avallo dell'Ispra ('Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). In base ai contenuti del piano potremo poi pensare a rintracciare le risorse finanziarie per attuarlo». Trattandosi di un progetto pilota che prevede per la bonifica l'utilizzo di fitorimedi - evidenzia l’assessore - si potrà chiedere anche alla Regione un impegno finanziario per attuarlo. Altre risorse potrebbero venire da una modifica della destinazione d'uso di quei 350 mila euro già stanziati dalla Regione a beneficio del Comune per interventi per la messa in sicurezza di queste aree, che non sono ancora stati impiegati. Una variazione di bilancio pari a 100mila euro è stata invece già operata - rimarca l'assessore ai Lavori Pubblici Elisa Lodi - a favore di interventi di manutenzione nei giardini inquinati eseguiti dal global service. Ricordiamo che sono stati rilevati inquinanti al di sopra dei limiti di legge nei terreni di piazzale Rosmini, nei giardini "Miniussi" di Servola e "de Tommasini" di via Giulia, all'esterno di due scuole di Servola, il "don Chalvien" di via Svevo e la Biagio Marin di via Praga, e, sempre nello stesso rione, nei cortili della chiesa San Lorenzo e dell'Associazione amici del presepio in via dei Giardini.
(g.b.)
«Se rispetta le regole la Ferriera di Servola non si
può chiudere» - Giudizio del presidente della Commissione Industria del Senato
dopo la visita allo stabilimento e le audizioni
«Possiamo anche ritenere che una Ferriera a Trieste non vada bene, ma se
un’azienda privata rispetta le prescrizioni che le sono state poste, ha tutto il
diritto di svolgere la propria attività».
È il succo di un primo giudizio dato dalla Commissione Industria del Senato nella conferenza stampa al termine della visita fatta ieri allo stabilimento e di una serie di audizioni. A formularlo è stato il presidente Massimo Mucchetti (Pd), che era accompagnato da soli altri tre componenti: Salvatore Tomaselli (Pd), Bernabò Bocca (Fi-Pdl) e Gianni Pietro Girotto (M5S). «Lo abbiamo fatto rilevare anche al sindaco e al segretario comunale - ha precisato Mucchetti - sottolineando che solo se le prescrizioni sono eluse in modo patente si può giungere a una chiusura d’autorità. Ma il sindaco ci ha manifestato la volontà politica di arrivare alla chiusura dell’area a caldo prendendo iniziative che non ci sono state riferite». Oltre alle voci di prefetto, Regione, sindacati e Confindustria, la commissione ha raccolto in audizione anche i pareri di associazioni ambientaliste e comitati di residenti, critici nei confronti della presenza dello stabilimento. «Ci sono state riferite preoccupazioni che è giusto tenere da conto - ha aggiunto - ma non sono ben quantificate. Considerato che l’Arpa sta facendo i controlli, le valutazioni non devono partire da posizioni politico-emozionali che possono sempre avere un quid di strumentale, ma basarsi sull’acquisizione di dati certi, rilevati scientificamente da un soggetto pubblico che non deve fare il tifo per nessuno, ma rappresentare la verità oggettiva». Per l’azienda è stato sentito l’amministratore delegato di Finarvedi, Mario Caldonazzo. «Il cavalier Giovanni Arvedi lo incontreremo domani a Cremona - ha aggiunto Mucchetti - doveva essere a Trieste, ma è stato convocato dal ministro per lo sviluppo economico Carlo Calenda con il quale ritengo abbia parlato anche di Servola». Sullo sfondo c’è l’acquisizione dell’Ilva di Taranto, il più grande stabilimento siderurgico europeo. «Non possiamo dire che impatto avrà Taranto su Trieste, dipenderà dall’andamento della domanda di prodotti siderurgici - ha specificato il senatore -. Servola funziona nell’ambito del Gruppo Arvedi: produce ghisa che consente di migliorare la qualità dell’acciaio prodotto dai forni elettrici di Cremona, ma qui ha iniziato a operare anche l’area a freddo che perfeziona i coils che vengono da Cremona. L’ingresso di Arvedi, dapprima al 10% e poi forse con una quota un po’ superiore, nell’ambito dell’Ilva potrà portare a intese più forti tra i due Gruppi. Nella cordata di Arvedi il 35% lo avrà Jindal e il rimanente 55% gli altri due partner italiani: la Cassa depositi e prestiti e Del Vecchio. La seconda cordata in corsa per l’Ilva è quella di Arcelor-Mittal, ma parte sfavorita perché quella italo-indiana ha in progetto di produrre a Taranto 8 milioni di tonnellate annue di prodotti contro i 6 dell’altra che metterebbe in atto forti tagli occupazionali». A esprimersi sul futuro del complesso triestino, anche un altro componente della commissione del Senato, Salvatore Tommaselli, anch’egli del Pd: «La chiusura della sola area a caldo pare difficilmente sostenibile per chi ha un ciclo produttivo integrato. Un’azienda che viene, investe e accetta i limiti previsti dentro un processo industriale integrato o fa tutto o niente, non può limitarsi a una parte sola. Ecco perchè auspichiamo che i vari soggetti discutano tra di loro: società civile, amministrazioni locali e azienda. E se ci si sono parti dell’Aia da rivedere, la si riveda in maniera concorde». «Questa giornata - ha concluso Mucchetti - ci è servita a capire la consistenza del lavoro fatto da Arvedi a Trieste e le prospettive che questo lavoro apre alla luce di Taranto che costituirà il perno dell’intera industria siderurgica italiana. Sono impegnati a vario titolo anche soldi pubblici ed è responsabilità di governo e parlamento verificare l’uso che di queste risorse viene fatto, considerato che l’orientamento del governo e della maggioranza è promuovere lo sviluppo industriale che deve includere anche la siderurgia, nel quadro della compatibilità ambientale, ma senza alcuna preconcetta ostitità ideologica verso l’industria pesante. Leggera o pesante che sia, l’industria se rispetta le regole, va bene. Non vogliamo un’Italia fatta soltanto di pizzerie e di alberghi, perché è dall’industria che viene la spinta alla ricerca e innovazione e quei Paesi che avevano puntato tutto sui servizi, come Gran Bretagna e Stati Uniti - ha concluso Mucchetti - è all’industria che ora stanno tornando».
Silvio Maranzana
La regione «Fatte 6 ispezioni L’Aia prevede una»
La presidente della Regione, Debora Serracchiani, ha fornito una serie di
informazioni alla Commissione.
Tra queste il fatto che tutte le centraline che monitorano l'ambiente sono pubbliche, gestite esclusivamente dall'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente. «I dati forniti dall'Arpa - ha ricordato - sono accessibili a tutti i cittadini sul sito dell'Agenzia, dove sono caricati in tempo reale, così come tutte le notizie fornite dalla struttura commissariale sono pubblicate sul sito della Regione per un'informazione quotidiana». Un'altra delucidazione fornita ha riguardato le prescrizioni contenute nell'Aia sullo stabilimento di Siderurgica Triestina, la quale prevede la necessità di un'ispezione l'anno. «Nel solo 2016 - ha ricordato - ne sono state fatte quattro ordinarie e due straordinarie e si sono contati un totale di sessanta accessi allo stabilimento».
Due treni veloci al posto degli Intercity - Intesa fra
Serracchiani e vertici Fs dopo le proteste per i tagli sulla Trieste-Mestre. Si
parte lunedì. Invariati orari e fermate
UDINE - I due Intercity Trieste-Venezia cancellati trovano altrettanti
sostituti. Debora Serracchiani e Mariagrazia Santoro tornano dalla missione
romana con la buona notizia per gli utenti penalizzati da lunedì scorso dal
doppio taglio dell'Ic 734 con partenza da Trieste alle 22.06 e arrivo a Mestre
alle 0.05 e del 735 in partenza da Mestre alle 5.50 e arrivo a Trieste alle
7.46.
Al loro posto da lunedì prossimo, secondo l'intesa raggiunta coi vertici di Trenitalia e Fs, due treni regionali veloci. Gli orari? In fotocopia per tempi e fermate (San Donà, Portogruaro, Latisana, San Giorgio di Nogaro, Cervignano e Monfalcone). L’accordo giunge peraltro nel giorno in cui Stato e Trenitalia firmano il nuovo contratto di servizio Intercity. I due Intercity Trieste-Venezia, nel mirino perché non troppo frequentati (a volte non si andava oltre i 40 passeggeri), erano infine stati tagliati perché non più finanziati dal ministero in una fase in cui si è intervenuti con le forbici anche in altre parti d'Italia a fronte di un servizio Ic che accumula ogni anno 45 milioni di perdite. Ma stavolta l'utenza si è ribellata. Hanno protestato comitati e singoli pendolari, professori e studenti, turnisti e lavoratori diretti a Fincantieri. Non solo perché quei treni non erano più in agenda, ma anche per quella che è stata considerata una «presa in giro», la sostituzione con un servizio pullman inutilizzabile. La corriera del mattino, in particolare, è partita questa settimana sempre alle 5.50 da Mestre, ma è arrivata a Monfalcone alle 8.29 (anziché alle 7.21 dell'IC) e a Trieste alle 8.59 (anziché alle 7.46). Sollecitata pure ieri dal M5S («Serracchiani ricordi a Trenitalia che un anno e mezzo fa la Regione ha acquistato 8 treni nuovi di zecca e che altri 4 sono in arrivo», così il capogruppo Cristian Sergo), la presidente ha incontrato, con l'assessore alle Infrastrutture Santoro, gli ad di Fs Renato Mazzoncini e Trenitalia Barbara Morgante, portando a casa il risultato, a costo zero per un'amministrazione che già tutela il servizio delle Frecce dirette a Milano e Roma con 3 milioni di euro all'anno. «Il vertice è stato estremamente soddisfacente - il commento di Serracchiani - si sono colte le necessità del territorio legate a questi due collegamenti. Ed è importante che il ripristino avvenga senza costi aggiuntivi sia per i cittadini che per la Regione, in quanto il collegamento farà parte del contratto di servizio tra la Regione e Trenitalia». E dunque, precisa Santoro, «gli abbonati al trasporto regionale potranno utilizzare la tratta senza aggravio di costi, mentre in passato, salendo a bordo degli Intercity, avrebbero dovuto acquistare un altro biglietto». Soddisfazione anche da Morgante: «La soluzione individuata consente di conservare due collegamenti ferroviari che la Regione e i cittadini ritengono importanti». I più contenti sono però gli utenti. Tra questi, nei giorni scorsi, erano emerse le storie quotidiane di Nicolò, studente del Nautico, e Cristiano, del liceo musicale Carducci-Dante, ma anche del professor Graziano Benelli, docente di francese alla Scuola interpreti dell'Università di Trieste. A loro e a qualche altra decina di persone quei collegamenti servono eccome. «È stato un lavoro di squadra che ha funzionato», sottolinea Erica Del Gobbo, «mamma felicissima» di Nicolò. «Obiettivo raggiunto per il bene di tanti ragazzi», dice il vicepreside del Nautico Bruno Zvech. «Ripristinando il treno del mattino - conclude Santoro - diamo una risposta positiva agli studenti della Bassa friulana che si recano a scuola a Trieste. Se fosse rimasto il servizio sostitutivo di bus, i ragazzi non sarebbero arrivati in orario, mentre l'inserimento del regionale veloce permette loro di raggiungere in tempo la destinazione. Abbiamo inoltre chiesto a Trenitalia di effettuare uno specifico e puntuale monitoraggio delle frequentazioni sulle fasce orarie interessate da questo servizio, al fine di valutare i flussi passeggeri con la nuova offerta».
Marco Ballico
«Salvate il lago di Scutari» Battaglia al maxiresort - Lanciata una petizione Raccolte in pochi giorni oltre cinquemila firme
Struttura sulla sponda montenegrina del più vasto
specchio acqueo dei Balcani, in un parco nazionale. Ambientalisti e opposizione
al governo: «Fermate i lavori»
BELGRADO Il turismo contribuisce allo sviluppo del Paese e rimpingua le
casse di privati e dello Stato. Ma rischia anche di stravolgere paradisi
incontaminati. È quanto potrebbe presto accadere a uno dei gioielli naturali dei
Balcani, il più grande specchio d’acqua dell’intera regione, diviso in due tra
Albania e Montenegro: il lago di Scutari. Sulle sponde della parte montenegrina,
la più preziosa, nel cuore del “Nacionalni Park Skadarsko jezero”, sotto tutela
fin dai tempi della Jugoslavia, sorgerà presto un resort di lusso che potrebbe
minarne il delicato e fragilissimo equilibrio di flora e fauna. A denunciare il
caso è stata l’organizzazione non governativa montenegrina “Green Home”,
sostenuta anche da vari deputati dell’opposizione, da mesi impegnata a bloccare
il progetto, per ora senza successo. Battezzato “Porto Skadar Lake”, a
costruzione terminata – fine lavori, da poco iniziati, nel 2019 – il progetto
metterà a disposizione una marina con moli per far attraccare barche e yacht, un
ristorante panoramico, una «eco-spa», terme «ecologicamente responsabili», si
legge sul sito ufficiale del progetto. E ancora, «trenta ville di lusso, da 520
metri quadri l’una, con piscina privata, vista spettacolare sul lago e sulle
colline circostanti, un hotel». Tutto bene? Non proprio. Secondo Green Home e
secondo altre Ong ambientaliste, il progetto rappresenta una «minaccia
incombente» sul lago di Scutari con le sue «rive incontaminate, paludi, foreste
di salici», ha scritto Green Home in una nota che affianca una petizione online
anti-resort che chiede al governo di fermare i lavori. E che in pochi giorni ha
raccolto più di cinquemila sottoscrizioni. Il lago, ha sottolineato l’Ong, offre
rifugio a ben «281 specie di uccelli», tra cui il raro pellicano riccio a
rischio estinzione, e il cormorano pigmeo, oltre a «48 specie di pesci e 50 di
mammiferi, numerosi anfibi, rettili e insetti». Basterebbero questi numeri,
secondo l’Ong montenegrina, per far tornare sui propri passi il governo che
dovrebbe imporre «una moratoria» all’edificazione nel perimetro del parco
nazionale, inclusa quella dove, entro il 2019, dovrebbe sorgere appunto Porto
Skadar. Green Home, spiega al Piccolo la sua direttrice esecutiva, Natasa
Kovacevi„, ha evidenziato altre pecche nel progetto del resort. Sarebbero solo
promesse campate in aria quelle dello sviluppo sostenibile, come «la
fitodepurazione» delle acque reflue, mentre gravi ombre peserebbero sulla
concessione dei permessi edilizi all’interno del Parco. Ma il punto principale è
che il resort, avvisa Kovacevi„, «distruggerà un ambiente splendido e inviolato,
valorizzato per decenni dal turismo tradizionale e dalle comunità locali». I
turisti già oggi arrivano al lago, «passeggiano, vanno in barca e kayak, a
cavallo, cenano nei vicini ristoranti, alloggiano nelle case della gente del
posto». E presto chi li abita e le guide «dovranno spiegare perché ci siano
escavatori all’opera in questa parte vergine del lago e come sia possibile
costruire una megastruttura del genere in un parco nazionale protetto». Ma le
versioni di una storia sono sempre doppie. Ed è ben diverso il punto di vista
degli investitori dietro Porto Skadar, tra cui il proprietario, il francese
Lionel Sonig. Che ha assicurato che il futuro “eco-resort”, per la cui
realizzazione sulla penisola di Biski serviranno quasi 80 milioni di euro, sarà
rispettoso dell’ambiente e delle leggi locali. «Sono arrivato in Montenegro
sette anni fa e mi sono innamorato del lago», ha sottolineato Sonig ribadendo di
voler sviluppare un progetto immobiliare e turistico «responsabile e
prestigioso, degno di questo ambiente unico ed esclusivo», circondato da «una
bellezza preservata e intatta». Che sarà trattata con ogni riguardo mantenendo
«vivo lo spirito del lago». Opinioni discordanti, come quelle che si ascoltano
in Montenegro. «Se non si ferma il progetto questo lago assomiglierà alla
riviera» adriatica, «abbiamo venduto il mare, non cementifichiamo il lago»,
hanno denunciato alcuni ambientalisti interpellati dalla Tv pubblica. La gente
del posto, invece, spera in posti di lavoro e sviluppo. Grazie a un progetto
destinato a far discutere a lungo.
Stefano Giantin
IL PICCOLO - GIOVEDI', 19 gennaio 2017
Commissione del Senato in città per la Ferriera - Oggi
il sopralluogo dei parlamentari allo stabilimento di Servola, a seguire le
audizioni in Prefettura
Il Parlamento vuole vedere da vicino la Ferriera di Servola e valutare lo
stato della riconversione industriale nell’ambito della siderurgia nazionale.
Oggi la Commissione Industria, commercio e turismo del Senato arriva a Trieste per effettuare un sopralluogo allo stabilimento siderurgico di Servola e per svolgere un ciclo di audizioni nell’ambito dell’indagine conoscitiva “sul gruppo Ilva nel quadro della siderurgia e dell’industria italiana”. Alle 17, la Commissione del Senato, presieduta da Massimo Mucchetti del Pd, incontrerà la stampa in una sala della prefettura di Trieste. Le audizioni, che si terranno nel Palazzo del governo di piazza Unità, avranno come protagonisti la presidente della Regione Debora Serracchiani, il sindaco Roberto Dipiazza, il prefetto Annapaola Porzio, Confindustria, le rappresentanze sindacali, associazioni e comitati ambientalisti. Obiettivo della trasferta passare al setaccio le prospettive di sviluppo dello stabilimento e affrontare, inevitabilmente, i nodi legati alle emissioni. «L’iniziativa si iscrive in un’indagine che abbiamo aperto da qualche tempo sull’Ilva e sulla situazione della siderurgia italiana più in generale - ha anticipato nei giorni scorsi Mucchetti -. Dopo Trieste, infatti, ci recheremo all’acciaieria Arvedi di Cremona. Lo scopo è accertare lo stato dell’arte, tanto a Trieste quanto a Cremona, dei due principali stabilimenti del gruppo, per capire come vanno le cose in una delle realtà più importanti del Paese nel settore, visto che Arvedi è l'industriale italiano presente nella cordata promossa dalla Cassa depositi e prestiti per l’acquisizione dell'Ilva, assieme a Leonardo Del Vecchio e al gruppo indiano Jindal». E quindi? « In sostanza - ha proseguito Mucchetti - l’interesse del governo e del Parlamento si focalizza sul gruppo Arvedi in quanto tale e sul gruppo Arvedi in quanto socio della cordata italiana che punta all’Ilva. I giochi si faranno a febbraio, di qui l’utilità di ascoltare le varie realtà del territorio». Anche il tema ambientale sarà preso in considerazione. «Certo - ha concluso Mucchetti -, la questione è costantemente all’attenzione del Senato. Il nostro focus, però, sarà soprattutto sulle opportunità di carattere industriale. Un quadro che non può prescindere dall’impatto sul territorio circostante, ma nella logica che le produzioni ci devono essere».
Treno per l’aeroporto: il Cipe stanzia tutti i fondi
L’annuncio di Serracchiani: via libera alla seconda tranche di lavori per
Ronchi del nuovo polo intermodale da 17,2 milioni. Marano: pronto entro gennaio
2018
UDINE Entro tredici mesi, e quindi per il gennaio del 2018, il polo
intermodale di Ronchi dei Legionari sarà cosa fatta. Non solo per quel che
riguarda il primo lotto, ma anche per il secondo. È di ieri infatti la
comunicazione che il Comitato interministeriale per la programmazione economica
(Cipe) ha approvato il progetto presentato dalla Regione relativo anche alla
seconda tranche di lavori da 6,9 milioni di euro per la realizzazione di
un'opera da complessivi 17,2 milioni che consentirà in zona aeroportuale
l'interscambio tra i vari mezzi di superficie (bus, auto e treno) con
conseguenti miglioramenti del sistema di trasporto pubblico e del servizio di
mobilità passeggeri in regione. L'annuncio arriva direttamente dalla presidente
Debora Serracchiani, raggiunta da una comunicazione dalla presidenza del
Consiglio dei ministri proprio nel giorno in cui la società del presidente
Marano annunciava la cerimonia, in programma lunedì 23 gennaio, di posa della
prima pietra dei lavori per la costruzione del polo. La presidente, ricordando
che l'infrastruttura rientra nell'elenco delle opere che il Friuli Venezia
Giulia considera «essenziali per consentire la crescita e lo sviluppo e per
rafforzarne il ruolo di ponte con l'Europa Centro-orientale e di piattaforma
logistica» e sottolineando che consentirà a Trieste Airport di entrare nel
ristretto gruppo degli otto scali italiani collegati alla rete ferroviaria,
«elemento chiave per dare competitività e sviluppo e per rendere la regione più
attrattiva per gli operatori economici e i flussi turistici», informa nel
dettaglio che la decisione del Cipe è in fase di formalizzazione nel
Dipartimento per la programmazione economica e verrà pubblicata sulla Gazzetta
Ufficiale dopo il previsto controllo preventivo della Corte dei conti. Il
progetto è il frutto di un Accordo di Programma sottoscritto nell'agosto 2014
tra Regione, Provincia di Gorizia, Comune di Ronchi e Società Aeroporto Fvg. Il
costo di quadro economico è di 17,2 milioni, di cui 10,3 per il primo lotto, già
interamente finanziati, e 6,9 per il secondo. Con il primo lotto (23% di
finanziamento con fondi societari, il resto con contributi comunitari Pac, Piano
azione e coesione) è prevista la costruzione di una stazione passeggeri
collegata al terminal aeroportuale con una passerella che attraverserà con un
ponte la statale 14 e sarà dotata di ascensori e scale mobili. A fianco è in
agenda anche la stazione dei bus per 16 linee con piazzale di manovra asfaltato
di 3.800 metri quadrati e una superficie pedonale di 2.800 mq. Sono inoltre
previsti parcheggi per 1.500 posti, uno multipiano da 500, gli altri 1.000 a
raso. Il secondo lotto (che, visto il via libera del Cipe, vedrà la vincitrice
dell'appalto, Ici Coop, impegnata a consegnare i lavori entro i 13 mesi previsti
per il primo lotto) servirà quindi a completare la passerella (per complessivi
425 metri), il tassello finale. Antonio Marano, il presidente dello scalo
regionale, anticipa i ringraziamenti di lunedì prossimo a Serracchiani «per la
caparbietà e le capacità dimostrate nel raggiungimento di un obiettivo che
consente di avvicinare con i fatti la nostra regione alle aree più moderne
d'Europa».
Marco Ballico
Porto Tolle, assolti Tatò e Scaroni - Cancellata in
appello la condanna sulle emissioni della centrale
VENEZIA Sono stati assolti perché il fatto non sussiste, dalla corte
d’appello di Venezia, gli ex amministratori di Enel, Franco Tatò, Paolo Scaroni
e Fulvio Conti. Erano accusati di presunto pericolo di disastro ambientale
derivante dalle emissioni della centrale termoelettrica di Porto Tolle, sul
delta del Po. In primo grado, davanti al tribunale di Rovigo, il 31 marzo 2014,
Tatò e Scaroni erano stati condannati a tre anni di reclusione, mentre Conti era
stato assolto perché il fatto non costituisce reato. La Corte ha inoltre
revocato tutti i risarcimenti alle parti che erano stati stabiliti dal tribunale
rodigino. In particolare era prevista una provvisionale complessiva di 430mila
euro suddivisi tra le parti civili (Ministeri dell’ambiente e della salute,
provincia di Rovigo, alcuni comuni polesani, associazioni come Legambiente,
Italia Nostra, Greenpeace e Wwf). La sentenza di fatto rigetta le richieste
presentate dalla procura rodigina e dalla parti civili che chiedevano il
riconoscimento del reato riconducibile alla consumazione del disastro ambientale
e non al solo pericolo come deciso dai giudici del tribunale, accogliendo invece
le richieste delle difese.
Apicoltori si diventa. Con pazienza - Da oggi al 9 febbraio un corso gratuito e aperto a tutti al parco di San Giovanni
Due obiettivi in uno. A lezione per riconoscere le api
locali e imparare quegli strumenti utili a intraprendere un vero e proprio
mestiere
Imparare a riconoscere e tutelare le api originarie del nostro territorio e
ottenere gli strumenti utili a intraprendere l’attività di apicoltore urbano. È
lo scopo del corso di avviamento all’apicoltura promosso da Urbi et Horti (in
collaborazione con Bioest, Il Ponte, Legambiente, Aias, Anglat Fvg, Lapis,
Multicultura, Arci Servizio civile, Comitato pace convivenza solidarietà Danilo
Dolci e Azienda sanitaria). Libero e aperto a tutti, si terrà da oggi al
Padiglione I dell’ex Opp e proseguirà ogni giovedì alle 17 fino al 9 febbraio.
Oltre a quelle teoriche, sono previste pure lezioni pratiche nell’apiario
ospitato dal parco di San Giovanni (il sabato alle 10 dal 4 al 25 febbraio). Una
successiva serie di incontri farà conoscere il mondo delle api anche agli alunni
delle elementari. Inserito nel progetto “Suoni e colori nel verde … un mondo di
sensazioni” e finanziato dal Centro servizi volontariato regionale, il corso è
finalizzato a far acquisire ai partecipanti le competenze di base per poter
iniziare ad allevare api. Per questo sarà basato essenzialmente sugli aspetti
pratici dell’allevamento con lezioni pratiche tenute da esperti del settore. «Il
corso - spiega Tiziana Cimolino di Urbi et Horti, che introdurrà gli incontri -
fa parte di una serie di attività legate all’orticoltura urbana e la tutela del
territorio che proseguirà con il birdwatching. L’apicoltura sta sempre più
prendendo piede e la città sembra esserne innamorata. Da anni si tengono corsi
introduttivi sulle api e il miele, ma stavolta l’idea è quella di formare
persone che possano realmente intraprendere un’attività. È importante
riconoscere e tutelare l’ape autoctona, capace di vivere nel nostro contesto
urbano e sul territorio, orientandosi anche con la bora. Uno dei docenti del
corso sarà l’apicoltore e veterinario Livio Dorigo, presidente del Circolo
Istria». Durante le lezioni si parlerà della storia e importanza
dell’apicoltura, si forniranno nozioni di flora apistica, razze, ecotipi,
morfologia e patologie dell’ape, si descriveranno l’alveare e le attrezzature
usate, si imparerà a condurre un alveare e si apprenderà la legislazione
apistica. Per informazioni e iscrizioni cell. 3287908116.
Gianfranco Terzoli
GREENREPORT.it - MERCOLEDI', 18 gennaio 2017
Innalzamento del mare: le mappe dell’Italia che finirà
sott’acqua nel 2100 - Inondati 5.500 kmq di coste italiane. Ma si costruiscono
infrastrutture che andranno sott’acqua
Un team di ricercatori italiani di Enea – Sspt, Istituto nazionale di
geofisica e vulcanologia, università di Bologna, Conisma e del Lesia
Observatoire de Paris, hanno pubblicato su Quaternary Science Reviews lo studio
“Sea-level rise and potential drowning of the Italian coastal plains: Flooding
risk scenarios for 2100” che mostra gli scenari dell’innalzamento del mare nel
2100 in 4 aree della penisola italiana: Nord Adriatico, il golfo di Taranto, il
golfo di Oristano e quello di Cagliari. -
Innalzamento del Mare Italia - I casi di Nord Adriatico,
Taranto, Cagliari e Oristano
I ricercatori del team guidato da Fabrizio Antonioli dell’Enea Sspt spiegano che
Le nostre stime sono basate sul Rahmstorf (2007) e sui rapporti Ipcc- Ar5 del
2013 per gli scenari RCP-8.5 ( www.ipcc.ch ) del cambiamento climatico, rivisto
con i dati ei movimenti verticali terrestri (isostasia e tettonica)».
Lo studio si è concentrato sul cedimento costa nord adriatica (compresa la
laguna di Venezia), su due aree tettonicamente stabili delle pianure costiere
della Sardegna (Oristano e Cagliari) e sulla pianura edificata di Taranto, in
Puglia. I ricercatori sottolineano che «Le mappe degli scenari di allagamento
mostrano Digital Terrain Models in alta risoluzione per lo più basati su dati
Lidar. Il relativo aumento del livello del mare previsto entro il 2100 cambierà
radicalmente l’attuale morfologia, inondando potenzialmente fino a circa 5.500
km2 di pianure costiere».
Il mare si mangerà il territorio e questo avrà un impatto sull’ambiente e le
infrastrutture locali, per questo lo stus dio suggerisce ai pianificatori e ai
decisori locali di «prendere in considerazione questi scenari per una gestione
costiera consapevole. Il nostro metodo messo a punto per le coste italiane può
essere applicato in tutto il mondo in altre zone costiere che ci si aspetta
saranno colpite dall’ingressione marina a causa del cambiamento climatico
globale».
Anche riducendo le emissioni di gas serra, ampi tratti delle nostre coste
saranno sommerse entro la fine del secolo, calcola uno studio. Chiedendo di
correre ai ripari.
Lo studio è stato rilanciato anche da National Geographic Italia e Eleonora
Degano ricorda che «Il livello del mare non è immutabile ma cambia nel tempo,
influenzato dai movimenti tettonici, dalle caratteristiche del territorio e
soprattutto dai cambiamenti climatici: a causa del riscaldamento globale molte
aree costiere sono oggi a rischio allagamento e sempre più persone rischiano di
dover lasciare la propria casa, diventando a tutti gli effetti migranti
climatici. Negli Stati Uniti sono circa 25 milioni gli abitanti che vivono in
territori vulnerabili alle inondazioni, mentre in Europa un terzo della
popolazione abita entro 50 chilometri dalla costa».
Antonioli, research director al Laboratorio modellistica climatica e Impatti
dell’Enea, spiega a National Geographic Italia che in Italia «Alcune aree sono
già oggi a zero o sottozero (rispetto al livello del mare, ndr) e la costa si
abbassa, si alza o si sposta per vari motivi. Da qui a qualche decennio
l’innalzamento ci sarà e su questo non c’è nulla da fare, ma costruendo dighe,
idrovore e prendendo provvedimenti adatti sarebbe possibile evitare gli
allagamenti. Rispetto alle pubblicazioni passate ci sono due grandi novità: le
ultime previsioni sull’Italia si basavano sul report Ipcc (Intergovernmental
panel on climate change) del 2007, mentre stavolta abbiamo usato le proiezioni
del 2013 per creare quattro mappe in altissima definizione, con tre linee che
indicano tre diversi modelli sull’aumento del livello del mare».
Dalle mappe realizzate dateam risulta che nell’area del Nord Adriatico, poco
sotto Venezia, l’ingressione del mare supererà i 30 km e che la costa tra
Trieste e Venezia è tra le più vulnerabili. «A Venezia ci sono abbassamenti
tettonici che arrivano quasi a raddoppiare l’effetto dello scioglimento dei
ghiacci – spiega ancora Antonioli alla Degano – La costa è piatta, come quella
di Oristano, quindi ci troviamo di fronte a una pianura con sedimenti fini e non
rocciosi, dove non ci sono dune a fare da riparo naturale all’ingressione
marina. Ci sono poi zone di totale antropizzazione, anch’esse prive di difese di
fronte al mare che sale».
Le comunità costiere sembrano invece impreparate e inconsapevoli di un rischio
che è alle porte e che sicuramente cambierà il paesaggio, la vita e le abitudini
dei nostri nipoti, visto che si parla di eventi che si verificheranno entro 80
anni. Invece si continuano a costruire infrastrutture destinate a finire
sott’acqua, mente non si fa praticamente niente perché l’innalzamento del mare
inghiotta interi territori.
Ne è ben consapevole Antonioli, che aggiunge su National Geographic: «Ma la mia
speranza è che con l’ultimo lavoro passi finalmente il messaggio, perché è a
questo che serve fare studi di previsione. E che perlomeno si scelga di non
costruire ferrovie o strade in zone che nel giro di qualche decennio non saranno
più così come le vediamo ora».
Il rapporto Ipcc del 2013 prevede entro il 2100, a seconda della concentrazione
di gas serra presente in ‘atmosfera, un innalzamento del mare a livello globale
che varia da 53 centimetri a 97 cm. Anche riducendo le emissioni come previsto
dall’Accordo di Parigi, il livello globale di mari e oceani dovrebbe salire tra
i 28 e i 60 cm, ma con impatti molto diversi secondo la conformazione delle aree
costiere e le diverse regioni del nostro pianeta.
«Per ogni territorio bisogna includere nelle previsioni anche altri elementi,
come i fenomeni tettonici, e questo livello di precisione si inizia a vedere
solo ora – conclude Antonioli – Noi abbiamo cercato di essere il più rigorosi
possibile: grazie ai voli satellitari abbiamo acquisito mappe con definizione
inferiore al metro, in grado di intercettare differenze di quota molto
dettagliate. Analizzarle non è stato semplice ma integrandole con dati
tettonici, quindi informazioni sulla geofisica del pianeta, ci hanno permesso di
identificare sito per sito il livello del mare atteso sulle coste italiane».
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 18 gennaio 2017
La crisi Teseco non blocca lo scalo Masini all’ex
Aquila - L’imprenditore toscano conferma la volontà di realizzare un terminal
portuale
È caccia ai partner operativi. L’Authority aspetta che i contatti si
concretizzino
Gualtiero Masini non molla. L’imprenditore toscano, fondatore del gruppo Teseco che il Tribunale di Pisa ha ammesso al concordato preventivo, è riuscito a tenere fuori dal crac le attività triestine, stoccandole in una società a parte, la “Aquila srl”. Con questo strumento è intenzionato a proseguire la navigazione verso un terminal multi-purpose, realizzato nell’area della dismessa raffineria all’imbocco del Canale navigabile, esteso su una superficie di 250 mila metri quadrati, di cui 190 mila di proprietà e 60 mila concessi per sessanta anni dall’Autorità portuale (Ap). «Il progetto su Trieste procede - ha risposto l’ingegnere al telefono - ci è costato anni di fatica e ci impegna costantemente, attraverso contatti con operatori di livello». Ma sui tempi necessari affinchè questi contatti - probabilmente internazionali ma non specificati - si concretizzino, l’imprenditore non vuole o non può esprimersi: «Un anno o un secolo», scherza per sdrammatizzare le iniziative negoziali. L’idea di Masini non si discosta da quella originaria, decisamente ambiziosa, della quale sono note solo le linee generali: uno scalo multi-funzionale, connesso con la ferrovia attraverso la vicina stazione di Aquilinia, terminal che andrebbe costruito in 5-6 anni, drenando finanziamenti per 90 milioni. Occuperebbe 170 addetti “diretti”, salirebbe a 5-600 unità con le iniziative indotte. La concessione dell’Ap venne ottenuta nel settembre 2014, ma da allora, stante le difficoltà del gruppo Teseco in grave crisi di liquidità, il progetto portuale all’ex Aquila è rimasto saldamente ancorato alle buone intenzioni. L’Autorità portuale è disposta a concedere ancora tempo a Masini e si muove con circospezione. Perchè la partita è oggettivamente complicata, perchè prima di buttare a mare una concessione pluridecennale bisogna pensarci bene, perchè le aree private e demaniali interessate sono attigue, perchè occorre bonificare i terreni e Masini detiene il know-how per provvedervi. Nessun ultimatum ma nessuna indifferenza, è la parola d’ordine alla Torre del Lloyd. «Il concessionario - spiega, misurando le parole, il segretario generale Mario Sommariva - è impegnato nella ricerca di partner che possano integrare e supportare la proposta progettuale. Attendiamo che da questi contatti maturino risposte operative». Anche Sommariva preferisce non esprimersi sul “timing” a disposizione di Masini, perchè non vuole condizionare le trattative in corso. La situazione di Teseco, azienda specializzata nei trattamenti ecoambientali, era precipitata nello scorso autunno: le aste per la vendita delle due “business unit” non erano andate a buon fine e al ministero del Lavoro era stato firmato un verbale per la messa in mobilità dei 155 dipendenti. Ma la sezione fallimenti del Tribunale pisano ha autorizzato una procedura competitiva per la cessione del “ramo impianti” e del “ramo bonifiche”, sui quali sono pervenute il 21 dicembre scorso offerte complessive per 8,7 milioni. Aperte al recupero occupazionale. Tempo fino al 26 gennaio per presentare proposte migliorative, udienza il giorno successivo per l’apertura delle buste dinnanzi al giudice delegato Giovanni Zucconi.
Massimo Greco
IL PICCOLO - MARTEDI', 17 gennaio 2017
Via al piano operativo per liberare le aiuole dall’inquinamento
“Previsto l’impiego di piante in grado di assorbire
idrocarburi e altre sostanze rischiose per la salute dei frequentatori
Un piano di gestione per i giardini inquinati della città. Lo stileranno nei
prossimi giorni i tecnici comunali, incaricati di affrontare e sciogliere il
nodo delle contaminazione nelle aree verdi della città. È il primo vero step che
aprirà la strada alle future bonifiche o alle operazioni di “fitorimedio” sui
sette siti contaminati. Il programma del municipio, che ricalcherà le linee
guida stabilite da Regione, Arpa e Azienda sanitaria, dovrà attendere però il
via libera dell'Istituto superiore di sanità. La tabella di marcia è stata
tracciata in Quarta Commissione del Consiglio comunale presieduta da Michele
Babuder (Fi). «Auspichiamo che ci sia un adeguato sostegno della Regione e dello
Stato - ha rilevato l'assessore all'Ambiente Luisa Polli - visto che Trieste
rappresenta una sorta di città pilota per un progetto del genere. Ma intendiamo
affrontare nel più breve tempo possibile il problema». Il Comune, come ha
chiarito l'assessore, ha già concluso gli interventi di messa in sicurezza delle
parti tossiche, a iniziare dalle aree verdi delle scuole. Il caso
dell'inquinamento “diffuso” dei giardini della città era scoppiato la scorsa
primavera con la scoperta delle contaminazioni in ben sette dei dodici punti
analizzati dall'ex giunta Cosolini. La passata amministrazione aveva avviato il
piano di campionamento con l'obiettivo di sapere se le emissioni della Ferriera
producono effetti anche nel suolo. Risultato: sono risultati fuori legge
piazzale Rosmini, il Miniussi" di Servola e il "de Tommasini" di via Giulia, il
polmone verde della città. E, ancora, due scuole dell'infanzia ed elementari che
si trovano a Servola: il "don Chalvien" di via Svevo e la Biagio Marin di via
Praga. Si sono poi aggiunti, sempre nello stesso rione, pure i cortili della
chiesa San Lorenzo e dell'Associazione amici del presepio in via dei Giardini.
In tutti questi siti sono spuntati inquinanti al di sopra dei limiti previsti
dalle norme: benzoapirene, ad esempio, ma anche benzoantracene e
benzofluorantene. La soluzione del “fitorimedio” appare comunque percorribile.
«Nei giardini è possibile impiegare delle particolari tipologie di piante per
stabilizzare, degradare o accumulare inquinanti», ha spiegato Pierluigi
Barbieri, professore del Dipartimento di Scienze chimiche e farmaceutiche
dell'Università. «Si possono usare erbe e arbusti, ma la scelta dipende dal tipo
di contaminazione. Ciò che sappiamo è che non siamo di fronte a sostanze
volatili, quindi sono relativamente facile da contenere. Le piante possono far
prosperare microrganismi capaci di degradare gli inquinanti. Oppure è la pianta
stessa che può assorbire nelle radici». Difficile però, come emerso nel corso
della seduta della commissione, stabilire una tempistica esatta con cui i vari
enti in gioco riusciranno a porre fine alla vicenda. Franco Sturzi, direttore
della direzione Tecnico-scientifica dell'Arpa, ha esortato tutti alla
collaborazione: «Dobbiamo costruire un piano condiviso, perché questo diventa un
progetto pilota a livello nazionale».
Gianpaolo Sarti
Foreste vergini a rischio estinzione - Fenomeno
triplicato in tre anni. Via un milione di chilometri quadri
ROMA - Fra il 2000 e il 2013, il mondo ha perso il 7,2% delle sue foreste
vergini. Sono sparite selve incontaminate per 919.000 chilometri quadrati,
un’area grande come il Venezuela.
E la deforestazione accelera: fra il 2011 e il 2013 è stata il triplo che nel periodo 2001-2003. I ricercatori dell’Università del Maryland, negli Stati Uniti, hanno coordinato il lavoro di colleghi in Europa, Nord America e Asia, confrontando le foto dei satelliti nel periodo preso in considerazione. Il risultato del loro lavoro è stato pubblicato sulla rivista Science Advances. Le foreste vergini, per lo studio, sono quelle di almeno 500 chilometri quadrati che non presentano segni di attività umana. Hanno un ruolo fondamentale nell’assorbire anidride carbonica (riducendo l’effetto serra), proteggere la biodiversità e regolare il flusso dell’acqua negli ecosistemi. Nel 2000 coprivano 12.800.000 chilometri quadrati, nel 2013 ne coprivano 11.881.000. Quasi due terzi della perdita (60%) si sono registrati ai tropici, soprattutto in Sudamerica, poi in Asia sudorientale e Africa equatoriale. La prima causa di questa deforestazione è l’industria del legname, seguita da espansione agricola, incendi di origine umana, produzione di energia e attività mineraria. Il paese che ha perso più foresta vergine in assoluto è la Russia (179.000 km quadrati), seguita da Brasile (157.000) e Canada (142.000). Vengono poi Repubblica democratica del Congo, Perù, Stati Uniti (soprattutto Alaska), Indonesia, Colombia e Venezuela. L’area geografica più deforestata è il Sudamerica, dove sono spariti 322.000 chilometri quadrati di foresta incontaminata. In Africa ne sono spariti 101.000 chilometri. In termini percentuali, il paese che ha perso più foresta vergine è la Romania (100 per cento), seguita da Paraguay (79 per cento), Cambogia (38 per cento), Laos, Guinea Equatoriale e Nicaragua (35 per cento). Paraguay, Cambogia, Laos e Guinea Equatoriale. Di questo passo perderanno tutta la loro foresta vergine nei prossimi 20 anni. Repubblica del Congo, Gabon, Camerun, Bolivia e Myanmar rischiano lo stesso nel giro dei prossimi sessanta anni. La deforestazione si è accelerata negli ultimi anni: la foresta vergine scomparsa fra il 2011 e il 2013 è stata il triplo di quella scomparsa fra il 2001 e il 2003. Ci sono però anche Paesi che riescono ad essere virtuosi. L’Uganda, la Repubblica Dominicana, la Thailandia e Cuba, ad esempio, hanno messo sotto protezione il 90 per cento delle loro foreste vergini.
Sempre più grave il degrado del Bosco del Farneto - La lettera del giorno di Óscar García Murga (vicepresidente Circolo Verdeazzurro Legambiente Trieste)
Ogni giorno faccio un’ora di jogging nel bosco del Farneto e vedo con preoccupazione lo stato di abbandono di questo bellissimo parco urbano. Le condizioni della donazione fatta nel 1844 dall’imperatore Ferdinando I alla città non sono rispettate: mantenere in buon stato il bosco per godimento della cittadinanza triestina. Incontro persone che come me godono di quest’oasi in piena città, e dalle nostre “ciacole” emergono varie problematiche: In via Marchesetti non si rispettano i limiti di velocità e le strisce pedonali; ci sono già stati incidenti mortali e l’attraversamento di via Segré è ad alto rischio. Cartelli informativi dei sentieri, fauna, flora, “percorso benessere”, cani al guinzaglio, raccolta delle deiezioni non esistono. Per non parlare della presenza di cinghiali e del terreno scivoloso. La frana sul viale al Cacciatore minaccia la strada, le persone e gli animali. Le staccionate sono poco visibili di notte, e quelle del sentiero lungo il Patok sono crollate. Il retro del parcheggio di Villa Revoltella, poi, è diventato una discarica. Non bastasse tutto ciò, un traliccio di 23 metri troneggia, irriverente all’imperatore Ferdinando e incurante della salute dei triestini, all’interno del Boschetto all’altezza di via Segré, proprio all’inizio del “percorso benessere” (e i camion dei montatori hanno danneggiato le sbarre d’accesso). I cittadini che abitano nell’area via Marchesetti - Segré - Gridelli”, con già tre antenne (due di impianti di telefonia e uno di un’emittente radiofonica), temono l’aumento dell’inquinamento elettromagnetico. Ancora, alla fine del bel percorso dal quarto ponte sul sentiero del Patok al viale al Cacciatore, i ferri interrati lasciati dagli operai sono pericolosi. Servirebbero poi strisce pedonali con dissuasori di velocità per raggiungere la scalinata che porta al parcheggio dell’Orto botanico, e all’inizio del percorso occorrerebbe un po’ di ghiaia per rendere il terreno meno scivoloso. Sono queste le questioni e le domande pongono i frequentatori del Boschetto. Aggiungo: quando verranno sostituiti gli alberi che sono stati abbattuti?
IL PICCOLO - LUNEDI', 16 gennaio 2017
Fiom pronta alla mobilitazione per difendere la
Ferriera
«Siamo pronti alla lotta a difesa del ciclo siderurgico integrale della
Ferriera di Servola». È quanto afferma in una nota il Comitati iscritti Fiom
Acciaierie Arvedi Trieste. «I valori di centraline e deposimetri - sostengono -
sono sotto i limiti di legge e ciò è frutto sia degli investimenti aziendali sia
del grande sforzo dei lavoratori che ha permesso alla fabbrica di tornare
competitiva sui mercati». I dipendenti Fiom da un lato assicurano che
vigileranno sul rispetto delle leggi ambientali, dall’altro sferrano dure
critiche all’amministrazione Dipiazza. «È chiaro che un impianto di queste
dimensioni, e di queste complessità, necessita sempre di una continua
manutenzione per essere compatibile con le leggi ambientali. E su questo noi
vigileremo, accompagnando sempre l'attività di controllo così come previsto
dall' accordo di programma e dall'Aia rilasciata. Quanto al sindaco - prosegue
la sigla sindacale - conduce una ricerca continua e morbosa per trovare vizi di
forma a cavilli legali atti a screditare e lordare il lavoro fatto in questi
anni», mentre «le promesse occupazionali dell’amministrazione comunale sono pura
e semplice demagogia». Sempre sul fronte sindacale si registra l’intervento di
un’altra sigla, la Failms, che attraverso il segretario Cristian Prella
sollecita la Regione a farsi carico dei 30 operai in cassa integrazione e in
attesa di rientrare in Ferriera. Tra loro anche l’ex sindacalista Luigi Pastore.
«In base a un accordo della fine 2014 saremmo dovuti tornare al lavoro dalla
cassa integrazione entro il 31 dicembre scorso. Veniamo chiamati dai consulenti
del lavoro - sostiene Pastore - e ci vengono fatte offerte impossibili da
accettare oppure ci viene proposta la frequentazione di corsi incompatibili con
il nostro stato di salute, visto che alcuni di noi hanno hanno patologie serie,
come tumori, da tenere sotto controllo».
(s.m)
Piano da tre milioni per la rete fognaria di Santa
Croce - Opera completa in tre anni con il collegamento fino a Grignano - Si
parte con un lotto da 554mila euro per il primo chilometro
Oltre quattro milioni di euro per costruire nuove reti fognarie a Santa
Croce e a Longera. Due tipiche situazioni in cui pecunia non olet: l’argomento
non sarà dei più charmant, ma risulta gradito ai residenti, agli amministratori
pubblici, e anche alla salubrità ambientale delle aree interessate. Le decisioni
provengono dall’ultima riunione della Consulta d’ambito per il servizio idrico
integrato orientale triestino (Cato), presieduta dal sindaco di Trieste Roberto
Dipiazza e partecipata dai rappresentanti degli altri comuni (mancava solo San
Dorligo), alla presenza del direttore Fabio Cella, già manager provinciale e ora
regionale. Sarà l’utility AcegasApsAmga, in qualità di gestore del piano, a
fungere da stazione appaltante. Dunque, sono due le delibere più importanti per
la realtà territoriale ex provinciale, la 228 e la 230. La prima, in
particolare, riguarda Santa Croce e ha visto approvati il progetto preliminare
generale e l’esecutivo del primo lotto. L’opera, una volta interamente
realizzata in un arco temporale pianificato su 38 mesi, convoglierà i reflui
fognari da Santa Croce al depuratore di Sistiana attraverso una rete estesa
circa otto chilometri: il costo dei lavori ammonterà a circa tre milioni di
euro. Intanto si procede con il primo lotto, sul quale vengono investiti 554mila
euro, che consentiranno nello specifico la posa di una nuova canalizzazione per
un’estensione di un chilometro. Andrà a beneficio di una parte della borgata e
di una zona ad essa limitrofa attualmente non servita. «Il bando di gara
relativo al primo lotto - aggiunge Cella - dovrebbe essere pronto tra febbraio e
marzo, dopo l’aggiudicazione i lavori dovrebbero protrarsi per 15 mesi». Il
secondo e il terzo lotto, che definiranno l’opera completa, riguarderanno -
spiega ancora Cella - i collegamenti con i Filtri e con Grignano, fino
all’impianto di Servola. Il secondo intervento si concentra invece su Longera.
Il preliminare generale in questione, che ha ottenuto il via libera dal Cato,
divide l’area interessata in due parti, una a monte che coincide con Longera e
una a valle che comprende Sottolongera. L’obiettivo è realizzare una rete
fognaria in grado di connettersi con le utenze già presenti, destinando la
“raccolta” verso il depuratore di Zaule. In questo caso il costo dell’opera si
attesta a un milione e 255mila euro, articolato su due lotti di analoga entità.
Ancora da Cella alcuni dettagli operativi: «La gara sarà bandita in estate, tra
giugno e luglio, e dovrà tenere conto del vincolo paesaggistico. È prevedibile
che la costruzione implichi un anno di lavori». L’opera è stata progettata -
completa il direttore del Cato - per evitare che i reflui di Longera continuino
a disperdersi nell’idrografia minore della zona. Con Santa Croce e Longera siamo
al terzo atto deliberato dal Cato negli ultimissimi mesi nel quadro del
riassetto della rete territoriale: infatti a novembre sono stati stanziati 1,3
milioni per la riqualificazione delle fognature di Caresana, che fungeranno a
propria volta da collettore per l’alta valle dell’Ospo e contribuiranno a tener
pulite le acque del piccolo fiume.
Massimo Greco
IL PICCOLO - DOMENICA,15 gennaio 2017
Il futuro della Ferriera all’esame del Parlamento
Tappa in città per la commissione Industria del Senato
impegnata in un’indagine sul futuro della siderurgia in Italia. I dubbi dei
servolani dopo l’aut aut di Arvedi
Sul futuro della Ferriera accende i riflettori il Parlamento. Giovedì
approderà in città, più precisamente nel palazzo della Prefettura, la
Commissione Industria del Senato, presieduta dall’esponente Pd Massimo Mucchetti.
La giornata sarà interamente dedicata alle audizioni con la presidente della
Regione Debora Serracchiani, il sindaco Roberto Dipiazza, il prefetto Annapaola
Porzio, Confindustria, le rappresentanze sindacali, associazioni e comitati
ambientalisti. Obiettivo della trasferta, passare al setaccio le prospettive di
sviluppo dello stabilimento e affrontare, inevitabilmente, i nodi legati alle
emissioni. «L'iniziativa si iscrive in un'indagine che abbiamo aperto da qualche
tempo sull’Ilva e sulla situazione della siderurgia italiana più in generale -
anticipa Mucchetti -. Dopo Trieste, infatti, ci recheremo, già il giorno
successivo, all'acciaieria Arvedi di Cremona. Lo scopo è accertare lo stato
dell'arte, tanto a Trieste quanto a Cremona, dei due principali stabilimenti del
gruppo, per capire come vanno le cose in una delle realtà più importanti del
Paese nel settore, visto che Arvedi è l'industriale italiano presente nella
cordata promossa dalla Cassa depositi e prestiti per l'acquisizione dell'Ilva,
assieme a Leonardo Del Vecchio e al gruppo indiano Jindal. In sostanza - precisa
Mucchetti - l'interesse del governo e del Parlamento si focalizza sul gruppo
Arvedi in quanto tale e sul gruppo Arvedi in quanto socio della cordata italiana
che punta all'Ilva. I giochi si faranno a febbraio, di qui l'utilità di
ascoltare ora le varie realtà del territorio». Anche il tema ambientale sarà
preso in considerazione. «Certo - conferma il parlamentare del Pd -, la
questione è costantemente all’attenzione del Senato grazie all’attività della
commissione preposta. Il nostro focus, però, sarà soprattutto sulle
problematiche e le opportunità di carattere industriale. Un quadro che non può
prescindere dall’impatto sul territorio circostante, ma nella logica che le
produzioni ci devono essere. L’obiettivo è lavorare per renderle sostenibili
sotto il profilo ambientale e della salute. E non tanto di perseguirne, di per
sé, la chiusura. A noi - ripercorre ancora il senatore - interessa accertare
prima di tutto quale ruolo, dal punto di vista industriale, potrà avere la
Ferriera di Servola nell'ambito del gruppo Arvedi e della società nel suo
complesso interessata all'Ilva. Vogliamo sondare il contesto. Per quanto
riguarda il futuro di Servola, questo è un tema legato alla vocazione produttiva
della città. Non a caso - conclude Mucchetti - ascolteremo pure la presidente
della Regione e il sindaco, non solo sindacati e Confindustria. Non abbiamo
pregiudizi di alcun genere. Siamo a Trieste per capire, non per fare operazioni
partigiane». All’attenzione della commissione arriveranno di certo anche le
posizioni dei comitati di residenti di Servola. Residenti che, dopo l’aut aut
lanciato da Giovanni Arvedi, si interrogano sul futuro dello stabilimento. «In
realtà - commenta Linda Tagliapietra - alle affermazioni di Arvedi non credo
molto. O, meglio, non credo siano risolutive. Perché se anche il suo gruppo
decidesse davvero di andarsene, arriverebbe comunque qualcun altro e quindi
saremmo punto a capo». Alessandro Ardetti è per metà contento e per metà
preoccupato. «Se Arvedi lasciasse Treste e l’area a caldo venisse chiusa, non
potrei che essere felice - afferma -, ma il prezzo sarebbe alto perché nessuno
saprebbe cosa fare dei dipendenti. Prima di fermare la fabbrica bisogna dare un
posto di lavoro alle persone, è gente che ha famiglia. Noi ci interessiamo anche
a loro, non guardiamo soltanto ai nostri interessi». «Da un lato non vedo l'ora
che chiudano tutto - rileva Renzo Pozzari, gestore del supermercato sulla strada
- dall'altro mi domando cosa si potrebbe fare degli operai. Ma senza la Ferriera
Servola sarebbe magnifica». Lorella Buzzai conferma, ma si chiede: «Com’è
possibile che nonostante tutti i contributi pubblici investiti, i risultati
siano sempre così insoddisfacenti?».
di Gianpaolo Sarti
Orti urbani o spazi sociali - Muggia decide su Pianezzi
MUGGIA - “Un orto sociale a Muggia. Dove, con chi e perché?” e “Condividere idee e progettualità”: sono questi i rispettivi titoli dei prossimi due incontri di “Pian(ezz)i condivisi” - il progetto di orto sociale previsto nell’area di Pianezzi - che si svolgeranno il 23 e il 30 gennaio, alle 17, in sala Millo. Il progetto, organizzato dal Comune di Muggia in collaborazione con l’Università (Dipartimento di ingegneria e architettura), mira a individuare assieme alla popolazione e ai portatori d’interesse quale sia la funzione e la configurazione più opportuna da dare a quest’area. «Il percorso partecipativo è infatti organizzato come parte di ricerca e progetto operativi “sul campo” di una tesi di laurea magistrale in Architettura dell’Università di Trieste, e cercherà di verificare se la popolazione sia interessata ad avere a disposizione spazi verdi in prossimità del centro urbano in cui realizzare e curare orti e giardini condivisi o se possa invece maggiormente interessare la realizzazione di uno spazio dedicato al sostegno sociale mirato e al reinserimento di soggetti deboli», racconta il vicesindaco Francesco Bussani. In entrambi gli appuntamenti una prima parte dell’incontro si terrà nella sala Millo, dove vi sarà la fase di iscrizione e presentazione oltre alla divisione in gruppi che, protagonisti della seconda parte, potranno dedicarsi alla discussione vera e propria per ritrovarsi infine nuovamente e condividere quanto emerso nei singoli tavoli. L’iscrizione si potrà effettuare in loco, ma è prevista la possibilità di preiscriversi ai tavoli di lavoro inviando una mail con i propri dati (nome, cognome e mail) a urbanistica.muggiacomunedimuggia.ts.it. «Gli orti urbani sono una risposta concreta alle esigenze della comunità: permettono di investire positivamente il proprio tempo libero ed entrare in relazione con le persone che abitano il quartiere, favoriscono lo scambio di conoscenze e, non da ultimo, rispondono al desiderio di mettere nel proprio piatto cibi sani», ha commentato l’assessore agli Orti urbani Laura Litteri. Il primo incontro, oltre alle finalità, ai contenuti operativi e alle modalità di partecipazione al progetto, aveva visto anche la presentazione di alcuni esempi di buone pratiche per la gestione degli spazi verdi urbani e periurbani e il coinvolgimento attivo dei cittadini nella loro cura oltre al progetto Interreg Ita-Slo “Gates-Agricoltura e Turismo per economie sostenibili” che si sviluppa anche sull’area oggetto di studio e che vede coinvolti, per l’Italia, Interland Consorzio per l’integrazione e il lavoro-Società cooperativa sociale e il Consorzio Ausonia cooperativa sociale Onlus, oltre a Comune di Muggia e Università. Infine, per favorire una maggiore partecipazione e condivisione di informazioni, il Comune ha aperto anche la pagina Facebook “Pianezzi condivisi” dove verranno caricati anche materiali preparatori e report degli incontri, e per i cittadini sarà possibile interagire con i promotori del progetto anche al di fuori degli incontri stessi. «Confidiamo che l’interesse cresca e alimenti sempre più questa rinnovata attenzione verso l’agricoltura sociale», ha aggiunto Francesco Bussani. D’altronde Muggia ha già dimostrato di essere particolarmente interessata alla riscoperta dei saperi legati alla terra e alla sua cura, motivo per il quale l’amministrazione comunale riproporrà anche i corsi di agricoltura tanto apprezzati».
Riccardo Tosques
IL PICCOLO - SABATO, 14 gennaio 2017
Sindacati contro Dipiazza dopo l’aut aut di Arvedi -
Cgil, Cisl e Uil: «No a strumentalizzazioni politico-istituzionali mascherate»
Accuse pure dal Pd ma il sindaco rilancia: «Arvedi sta ricattando
Trieste»
Lo stop all’attività della Ferriera minacciato giovedì da Giovanni Arvedi,
in risposta ad un clima giudicato ormai insopportabilmente ostile? Musica per le
orecchie del sindaco, hanno pensato subito in molti, visto che da mesi Roberto
Dipiazza porta avanti la sua battaglia per centrare l’obiettivo della chiusura
dell’area a caldo. E invece no. Tutto il contrario. Anzichè festeggiare la
vicina uscita di scena del “nemico” Arvedi, presentandola come una vittoria
della linea dura dell’amministrazione, il primo cittadino è andato su tutte le
furie, arrivando a definire l’uscita del Cavaliere «un ricatto alla città».
Ricatto, ha fatto capire Dipiazza, che il Comune non intende accettare. Anche
se, accettarlo, significherebbe appunto raggiungere l’atteso risultato e mettere
la parola fine alla vicenda Ferriera. Una reazione inattesa e imprevedibile,
insomma, quella del sindaco. Paradossale, in un certo senso. Lo stesso aggettivo
usato ieri anche dai vertici di Cgil, Cisl e Uil, entrati ieri pesantemente in
campo per scongiurare l’addio del Cavaliere, ribadire la serietà del lavoro
fatto negli ultimi due anni da Siderurgica Triestina, e denunciare le
incongruenze dell’amministrazione comunale. «Siamo di fronte a un paradosso - è
stato l’affondo di Michele Piga della Cgil, Umberto Brusciano della Cisl e e
Claudio Cinti della Uil -: da un lato ci sono i dati dell’Arpa che parlano
chiaro, certificando come le emissioni siano sotto i valori di legge; dall’altro
c’è il sindaco che si richiama a numeri di tutt’altra natura e di cui vorremmo
avere conto». Perchè su questo punto, attaccano i rappresentanti dei lavoratori,
il Municipio non ha certo brillato per trasparenza. «Non vorremmo che gli sforzi
fatti con l’Accordo di programma in atto, le prescrizioni dinamiche dell’Aia e
la dichiarazione, faticosamente ottenuta, di Trieste come area di crisi
industriale complessa, venissero vanificati con un colpo di spugna per effetto
di azioni del Comune, che hanno più il sapore di uno scontro politico
istituzionale, che di vero perseguimento del benessere della cittadinanza.
Perché la chiusura dell’area a caldo della Ferriera, e di conseguenza come più
volte detto di tutto il sito industriale, non può essere un obiettivo a
prescindere dalla migliorata realtà ambientale certificata dagli organi
competenti. Ambiente, salute e lavoro - concludono Piga, Brusciano e Cinti -
sono i valori sui quali come organizzazioni sindacali ci siamo ispirati, e non
solo per la Ferriera. Non accettiamo strumentalizzazioni politico-istituzionali
mascherate. Chiudere la Ferriera significherebbe compromettere in via definitiva
lo sviluppo del territorio, che passa necessariamente attraverso l’industria.
Già oggi contiamo circa 8 mila disoccupati, ai quali non vorremmo aggiungere
anche i 600 di Servola, senza contare l’indotto». Un affondo ad alzo zero,
dunque, in linea con quello sferrato anche dai vertici Pd. «Il rischio di
perdere centinaia di posti di lavoro a Trieste è frutto del modo superficiale e
irresponsabile con cui Dipiazza ha trattato il tema della Ferriera e si è
rapporto con la proprietà e la Regione - tuonano Adele Pino e Antonella Gri,
rispettivamente segretario provinciale e regionale del partito -. Dipiazza esca
dalla campagna elettorale, la smetta di fare guerra alla Regione e si comporti
da sindaco, mediando e individuando soluzioni equilibrate per il bene della
città tutta. La perdita di centinaia di posti di lavoro è un rischio che non
possiamo permetterci». Un rischio a cui Dipiazza, nello sfogo di ieri, non ha
fatto alcun riferimento, limitandosi a ricordare che «il Comune sta facendo solo
quello che deve fare per tutelare la salute dei cittadini e dei lavoratori,
vigilando sul rispetto da parte dell’azienda delle prescrizioni imposte
dall'accordo di programma e dall'Aia, nell’interesse della salute dei servolani.
Mi spiace che Arvedi interpreti questo come un clima ostile, ma le sue parole si
possono interpretare solo come un ricatto alla città». Interpretazione sposata
anche dal M5S. «Sembra che Arvedi si sia detto pronto a lasciare Trieste a causa
di un clima (politico?) ostile - commenta il consigliere comunale Paolo Menis -.
Ogni impresa agisce (o almeno dovrebbe) nell'ambito delle leggi vigenti. In
questo caso ci sono due Accordi di programma che vanno rispettati. Se le
istituzioni agiscono per verificare il rispetto di quegli accordi, non significa
creare un clima ostile».
Maddalena Rebecca
Paoletti pensa a una mediazione - Per Bruni prima
salute poi lavoro - l’economia
Antonio Paoletti mette a disposizione la Camera di commercio come luogo di
incontro e di mediazione. «L’ente non è mai stato coinvolto nel caso Ferriera,
ma, essendo l’organismo che organizza categorie e interessi economici, ritengo
che possa fornire un contributo». Intanto pensa a una convocazione della giunta.
Sergio Razeto, presidente di Confindustria, non ritiene che quello di Arvedi sia
un ricatto, quanto piuttosto «l’indice di disillusione perchè l’impegno profuso
non ha il riconoscimento atteso». Diverso il parere di Dario Bruni, presidente
di Confartigianato, secondo cui «la salute viene prima del lavoro». «Abbiamo
avuto carrozzerie sequestrate per molto meno, allora quello che vale l’artigiano
non deve valere per Arvedi?. «L’artigianato triestino ha perso quasi mille posti
in 5 anni ma non ho visto altrettanta mobilitazione sindacale».
(magr)
L’intervento della magistratura e i “nasi elettronici”
antipolveri - le emissioni
Sull’intera partita pesa pure l’intervento della magistratura. Nelle ultime
settimane, come noto, la Procura è tornata ad accendere i riflettori annunciando
l’intenzione di installare nel rione di Servola nuove centraline per il
controllo delle emissioni inquinanti dello stabilimento siderurgico. Gli
impianti, che andranno ad aggiungersi a quelli dell’Arpa, saranno capaci anche
di intercettare le polveri “ipersottili”, come le Pm 2,5. Non solo. Accanto alle
centraline saranno posizionati anche dei dispositivi capaci di sondare l’impatto
degli odori nel centro abitato. Si tratta di veri e propri “nasi elettronici”.
Le verifiche sugli odori sono peraltro previste espressamente all’interno
dell’Allegato 3 dell’Autorizzazione integrata ambientale. L’Aia, dunque, che
impone alla proprietà di studiare anche questo aspetto delle emissioni della
fabbrica “entro un anno” dal varo del documento.
(g.s.)
La battaglia nelle aule giudiziarie - L’annuncio
dell’imprenditore dopo la bocciatura della “sospensiva”
Si gioca anche sul piano giudiziario, oltre che su quello
politico-economico, la battaglia che vede contrapposti Giovanni Arvedi e Roberto
Dipiazza. Giovedì il Tar ha reso noto di aver respinto la richiesta di
sospensiva presentata da Siderurgica Triestina contro l’ordinanza con cui il
sindaco lo scorso novembre aveva intimato all’azienda di contenere la produzione
mensile di ghisa entro le 34mila tonnellate. Ciò in attesa della sentenza di
merito, ma anche questo pronunciamento è stato un elemento che ha indotto lo
stesso cavalier Arvedi a lanciare l’ultimatum contro il presunto accerchiamento
politico - mediatico - giudiziario. Anche perché mentre si attendeva questa
sentenza, il Comune era già passato al contrattacco rivolgendosi a propria volta
al Tribunale amministrativo regionale e prendendo però di mira la Regione. Sotto
accusa del municipio il decreto emesso dall'amministrazione regionale il 22
dicembre in risposta a quanto richiesto dagli stessi giudici nell’ambito
dell’altro procedimento. Al termine dell'udienza del Tar del 16 dicembre scorso
infatti alla Regione era stato intimato di emanare l'atto conclusivo della
verifica del rispetto da parte di Siderurgica Triestina delle prescrizioni
previste per lo stabilimento siderurgico dall'Autorizzazione integrata
ambientale, rilevando che senza questo atto non si sarebbe potuto decidere in
merito al ricorso contro l'ordinanza di Dipiazza. La Regione ha appunto
adempiuto il 22 dicembre depositando il decreto il giorno successivo. Il Comune
però, giocando d'anticipo rispetto all'udienza che era fissata per l'11 e che ha
bocciato la sospensiva, ha impugnato il decreto. Lo aveva deciso la giunta
comunale nella seduta che si era tenuta il 30 dicembre e nella relativa delibera
aveva sostenuto che «il suddetto decreto regionale si sostanzia in una mera
riproduzione del contenuto dei rapporti di visita ispettiva di Arpa Fvg nonché
del verbale di sopralluogo congiunto del 13 settembre 2016» e che «detto decreto
risulta illegittimo in quanto carente della presupposta attività istruttoria
oltre che delle necessarie determinazioni che lo stesso doveva assumere,
considerato l'indiscusso sforamento del limite di produzione mensile di ghisa
così come autorizzata dall'Aia». I giudici del Tar hanno specificato che «l'Aia
stabilisce che l'accertamento del completamento degli interventi verrà
effettuato dalla Regione previo sopralluogo congiunto degli Enti che partecipano
alla Conferenza dei servizi». Ma anche che «impone di concludere detto segmento
procedimentale con un atto formale della Regione la quale, se del caso, può
anche limitarsi a fare proprie le risultanze del sopralluogo congiunto
effettuato in data 13 settembre 2016». La Regione ha poi precisato che «con
decreto 2955/Amb del 22 dicembre 2016 il direttore del Servizio tutela da
inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico, Luciano Agapito, ha
accertato il completamento da parte di Siderurgica Triestina degli interventi di
adeguamento dell'altoforno previsti nell'Aia rilasciata nel gennaio 2016. Il
decreto, che formalizza quanto già comunicato agli enti competenti con nota del
24 ottobre 2016 sulla base delle evidenze del sopralluogo congiunto effettuato
nell'impianto nel mese di settembre - continua l'amministrazione regionale - è
stato adottato in ottemperanza all'ordinanza emessa dal Tar Friuli Venezia
Giulia in occasione dell'esame dell'istanza proposta da Siderurgica Triestina
avverso l'ordinanza del sindaco di Trieste di limitazione della produzione di
ghisa». È la stessa Aia a stabilire che la ghisa debba restare sotto le 34mila
tonnellate mensili finché non siano stati conclusi tutta una serie di interventi
strutturali sull'altoforno. L’azienda però afferma di averli fatti e il decreto
della Regione dovrebbe averlo certificato. Ora il Tar, che ha bocciato la
richiesta di sospensiva, deve pronunciarsi nel merito
Silvio Maranzana
E in fabbrica monta la paura di perdere il posto di
lavoro - All’assemblea in sala mensa la preoccupazione è palpabile: «La città ce
l’ha con noi»
Il doppio timore di un operaio: «Se si ferma la produzione io e mia
moglie in strada»
Mani in tasca, bavero del giaccone alto fin sopra il mento, sguardi bassi.
Entrano alla spicciolata, gli operai, all’assemblea della fabbrica. Prendono
posto tra i tanti tavoli della mensa borbottando, scuotendo la testa. Mentre
fuori si addensano altre nubi nere sul destino dello stabilimento, dentro sfila
lo smarrimento. Ma più che rabbia e delusione, è angoscia. Sono finiti per
l’ennesima volta tra l’incudine e il martello, nell’eterna lotta che si rinnova,
di tanto in tanto, tra il management e la politica. Che poi tutto, per chi
lavora, si riduce a pochi ed elementari concetti, ma pesanti come montagne: la
paura di trovarsi in strada con una famiglia da mantenere e un mutuo da pagare.
Ecco cosa si consuma, in fondo, dietro ai bracci di ferro. Dall'ingegnere
specializzato, all'ultimo dei manovali. Dall’immigrato con il suo primo
contratto regolare, al triestino doc. Demis Minarda è sui trent’anni, lavora
nell’altoforno. «La situazione è di nuovo grave, non so cosa dire...», mormora.
«Io ho due figli, non saprei come fare senza questo posto. Per noi non è facile,
la città ce l’ha con noi, i servolani ci considerano degli scarti». I
sindacalisti sono nel pieno del dibattito, alternandosi al microfono davanti
alle bancate. Attorno a Demis, sul fondo, si forma un gruppetto di colleghi,
tutti con tute ed elmetto. Carlo Abate, giovane pure lui, è dipendente della
Ferriera da otto anni.«Ne ho sentite tante in tutto questo tempo - racconta - e
sembra che noi stiamo qui per la gloria, invece lottiamo per il salario. Potrei
essere d’accordo sulla chiusura, ma qualcuno dovrebbe garantirmi un impiego
sostitutivo, io vado a fare anche il giardiniere se serve. Però va detta una
cosa: Dipiazza continua con la sua battaglia - osserva - con un gioco molto
pericoloso per noi. E pensare che qui, in fabbrica, abbiamo gente che ha votato
per lui...». Il discorso scivola presto in politica, riproponendo il solito
ritornello su «chi doveva fare e non ha fatto» e sulla credibilità delle
promesse passate. «La verità è che siamo nel panico», interviene un operaio
dell’officina, che qui tutti conoscono come “Rocky”. "Penso che siamo ripiombati
nella stessa condizione incerta di qualche anno fa con la Lucchini - commenta -
e io personalmente non avrei mai creduto a una situazione del genere. Se si
ferma l’area a caldo perdiamo il lavoro io e mia moglie. Ho 45 anni, chi mi
prende? I politici dovrebbero avere più pazienza con Arvedi, non si può
pretendere che nel giro di due anni risolva tutto. Bisogna dargli tempo».
L’assemblea ormai è sul finire, gli operai devono riprendere i turni. È servita,
forse, a quietare gli animi? La battaglia, preannunciano i sindacati, si
sposterà a Roma. «Di fronte alle dichiarazioni di Arvedi, visto che gli accordi
sono di livello statale, porteremo la questione a livello ministeriale», spiega
Umberto Salvaneschi (Fim Cisl). «Vogliamo capire se dietro ai malumori causati
dallo scontro politico e da quanto ha scritto la stampa ci sono altre
motivazioni. Vogliamo sapere con esattezza cosa può mettere a repentaglio
l’accordo di programma». D'accordo Franco Palman (Rsu Uilm): «Questa assemblea
era utile per fare chiarezza sulle dichiarazioni del cavaliere - puntualizza -
parole che preoccupano molto. Ma allo stesso tempo sono perplesso, perché non
può essere che Arvedi di colpo decida di mollare tutto. Sapeva benissimo, fin da
subito, fin da quando ha rilevato la fabbrica, che la città è contraria alla
Ferriera. Io credo che però siamo in linea con il rispetto dell’Aia, quindi non
capisco perché si è creato questo clima negativo attorno a noi. Quali sono i
problemi? Non credo che sia la città il nodo - riflette ancora Palman - perché
il clima sfavorevole attorno alla Ferriera esisterà sempre. Anche se domani
mattina mettiamo in ogni camino un Arbre magique i servolani diranno che c’è
troppo odore di pino. A questo punto io credo che ci sia qualcos’altro sotto. Lo
scopriremo nelle sedi romane». Cristian Prella (Failms) sposta l'accento
«sull’unitarietà delle forze sindacali, perché quella di Arvedi - evidenzia -
non è assolutamente una boutade. Come hanno detto i miei colleghi, l’unica
strada è di portare la questione davanti agli attori che finora hanno gestito la
partita. Cioè le sedi istituzionali».
Gianpaolo Sarti
A febbraio le offerte vincolanti per l’Ilva
Ai primi di febbraio si sapranno le offerte vincolanti per l’Ilva di
Taranto, cui concorre anche Arvedi. Il cronoprogramma prevede che sarà
consegnato nella prossima settimana alle due cordate il parere del ministero
dell’Ambiente sui rispettivi piani ambientali. I commissari Piero Gnudi,Enrico
Laghi e Corrado Carrubba stanno mettendo a punto la relativa procedura. Una
volta che il parere sarà trasmesso alle cordate, queste avranno 15 giorni di
tempo per adeguare i piani ambientali alle prescrizioni e presentare l’offerta
economica vincolante. Il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti ha dichiarato
nei giorni scorsi che sia Arcelor Mittal con Marcegaglia che Arvedi con Cassa
Depositi e Prestiti, Delfin di Leonardo Del Vecchio e Jindal hanno presentato
«ottime proposte». Ai commissari Ilva il ministero dell’Ambiente ha consegnato
lunedì scorso il parere, frutto di una valutazione dei tre esperti nominati a
luglio scorso dallo stesso Galletti.
Msc punta al terminal bis in Porto vecchio - Interesse
della compagnia di crociere per una seconda Marittima all’Adriaterminal.
L’annuncio al convegno al Savoia
La firma tra due settimane del Protocollo operativo per l’utilizzo dei
primi 50 milioni stanziati dal Cipe, il probabile arrivo dell’incrociatore
lanciamissili Vittorio Veneto da trasformare in museo galleggiante, una
prestigiosa manifestazione d’interesse per realizzare una seconda Stazione
marittima all’Adriaterminal.
Sono fioccate le novità all’incontro “Porto vecchio: da ieri a domani” organizzato da Confindustria Venezia Giulia e svoltosi all’Hotel Savoia in una sala gremita da operatori e cittadini. La prima parte dell’incontro è stata riservata all’illustrazione degli esiti del sondaggio commissionato a Swg che hanno rilevato un interesse e una fiducia crescente da parte dei triestini nei confronti dell’operazione di riutilizzo. Alquanto scoppiettante la tavola rotonda che ne è seguita, moderata dal giornalista Cristiano Degano, in cui la governatrice Debora Serracchiani, il sindaco Roberto Dipiazza e il segretario generale dell’Autorità di sistema portuale (Adsp) Mario Sommariva si sono divertiti ad annunciare novità. Quella assolutamente inedita è venuta da Sommariva. «Abbiamo una manifestazione d’interesse - ha annunciato - per la realizzazione di un terminal crocieristico al posto dell’Adriaterminal. Non posso entrare nei dettagli, ma dico che di grossi armatori in questo campo nel Mediterraneo ce ne sono soprattutto due, e uno a Trieste c’è già». La pista porta dunque a Msc, diretta concorrente di Costa, che recentemente ha aumentato la propria partecipazione nel terminal container portandola al 50%. «La mia opinione - ha però aggiunto - è che lì debba venir realizzata la seconda Stazione marittima perché non si può certo rinunciare a quella di fronte a piazza Unità». Dipiazza e Serracchiani hanno annunciato la prossima firma del Protocollo operativo tra Regione, Comune e Adsp per dare esecuzione agli interventi inclusi nel finanziamento Mibact, e la governatrice ha così sintetizzato quelli principali: 25 milioni per il Museo del mare nei Magazzini 24 e 25, 12 milioni per l’Icgeb nel Magazzino 26, altri milioni per il viale principale e per la gru galleggiante Ursus «che il sindaco non voleva - ha scherzato - ma che invece sarà il simbolo del Porto vecchio». «Già a febbraio - ha aggiunto Dipiazza - gli architetti cominceranno a buttare giù i progetti e ben presto partiranno i lavori per il viale alberato che partirà da una rotonda all’incirca a 300 metri dal ponte di ferro per sbucare all’altezza della Sala Tripcovich che mi auguro di far presto sparire». E il sindaco ha anche riferito di aver già avuto un incontro con l’Authority per realizzare un megaparking al Molo Quarto che possa far sparire tutte le automobili parcheggiate sulle Rive. «Ho già parlato con il ministro Pinotti - ha detto ancora Serracchiani - e se il ministero della Difesa pagherà la bonifica la nave Vittorio Veneto sarà ormeggiata dinanzi al Polo museale e ne farà parte integrante». Come se non bastasse, Sommariva ha anche annunciato che Trieste con 7.631 convogli è divenuto il primo porto italiano per la movimentazione di treni avendo sorpassato anche lo scalo di La Spezia. Alla fine, in uno scambio di battute con Dipiazza, ha detto di ritenere giusto che i ricavi provenienti dalla vendita dei Magazzini sdemanializzati vadano all’Authority per il potenziamento delle infrastrutture del Porto nuovo. Su questi introiti il Comune rivendica una percentuale «perché il solo fatto di pensare che son il responsabile della sicurezza e della pulizia di questa nuova enorme area mi sta turbando il sonno». E dopo i 50 milioni, come si andrà avanti? «Con fondi europei e non solo, oltre agli investimenti privati, abbiamo contattato la Banca europea per gli investimenti al fine di reperire altre importanti risorse», così Serracchiani. «Adesso - ha concluso Dipiazza - non ci ferma più nessuno».
Silvio Maranzana
I dettagli dell’indagine swg - Il sì della città agli
hotel ma non alle case private
Assodato che l’82% dei triestini considera positivamente l’operazione di
riutilizzo del Porto vecchio e che l’88%, rispetto all’81% di un anno prima, è
convinta che il recupero possa essere un trampolino per una Trieste più
dinamica, dopo l’introduzione del presidente di Confindustria Venezia Giulia,
Sergio Razeto, Maurizio Pessato, presidente di Swg, ha illustrato nell’incontro
di ieri gli altri riscontri venuti dal sondaggio che tra il 2 e il 6 maggio 2016
ha interessato 1256 triestini maggiorenni. Il 76% è convinto che ne deriverà
anche un significativo aumento dell’occupazione, il 60% che potrà arricchire
l’offerta commerciale e di servizi. Oltre che sull’aspetto di possibile fenomeni
di corruzione temuti dal 50% degli intervistati, qualche nota dolente arriva
alla domanda sulla progressione del progetto: soltanto il 16% ritiene che
procederà velocenete, mentre a detta del 62% andrà avanti molto lentamente e il
22% è addirittura drastico nell’affermare che si fermerà come già avvenuto più
volte. Ma cosa vorrebbero vedere i triestini realizzato nel Porto vecchio? Il
29% privilegierebbe spazi culturali, musei, arte, teatro, bilblioteca e cinema;
il 28% attività portuali, terminal crociere, attività inerenti alla nautica; un
altro 28% strutture turistiche, alberghi, ristorazione e attrazioni; il 19% aree
congressuali ed espositive. Le abitazioni private sono ben viste solo dal 4%
degli intervistati, le case per studenti e i campus dal 3% e le abitazioni
popolari dall’1%. Sarà questa la volta buona per arricchire Trieste di quello
che è uno dei più prestigiosi waterfront d’Europa? Se lo è augurato anche
l’imprenditore Federico Pacorini nello scomodo ma utile ruolo di rammentatore
degli insuccessi. Bisogna tornare indietro di ben trent’anni per riferirsi al
progetto Polis «osteggiato - secondo Pacorini - da una lobby di commercianti che
temevano per i propri affari di Borgo Teresiano con la conseguenza che le
Generali anziché lì hanno realizzato la propria sede a Mogliano Veneto dove oggi
lavorano 5.600 persone». Dopo dieci anni anche allora con l’apparente sostegno
dell’80% della popolazione migliaia di persone guidate da Confindustria
nell’ambito del progetto Trieste futura hanno marciato dentro l’antico scalo
«osteggiate dagli stessi funzionati dell’Ente porto». E infine Trieste Expo,
dieci anni fa, allorché l’esposizione venne fatta saltare anche per segnalazioni
contrarie giunte da Trieste.
(s.m.)
DALMAZIA - A Carino - Ancora una tartaruga spiaggiata
La lotta contro la bora, le condizioni meteomarine e il freddo: un’altra tartaruga - la terza - è stata trovata spiaggiata lungo la costa fra Carino e Pridraga, alle spalle di Zara, nella Dalmazia settentrionale. Era già morta. Alcuni abitanti del villaggio di Carino si sono accorti dell’esemplare che giaceva sulla terraferma, a pochi metri dal mare. Come nel caso dei precedenti due rettili, anche questo non presentava alcun segno di violenza, a conferma appunto che la morte è sopravvenuta per sfinimento, disidratazione e per le brutte condizioni meteomarine. È stato allertato il veterinario locale, Marino Mirceta, che ha preso la tartaruga per poi consegnarla agli esperti dell' Agenzia croata per la protezione degli animali, che eseguiranno l'autopsia per accertare le cause esatte del decesso. Gli abitanti peraltro hanno avvistato il rettile perché in questi giorni, con le temperature rigide dell'aria e del mare, e con la bora, si è ripetuto il fenomeno dei pesci uccisi e quindi raccolti senza fatica dagli abitanti stessi.
(a.m.)
MUGGIA - Sviluppo di Pianezzi con gli orti urbani
Dopo la presentazione generale del 19 dicembre sono stati organizzati i prossimi due incontri del Progetto di orti urbani "Pian(ezz)i condivisi" del Comune di Muggia in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria e architettura dell’Università , finalizzati a condividere le idee sulle modalità di sviluppo dell’area di Pianezzi e si svolgeranno lunedì 23 e lunedì 30 gennaio con inizio alle 17 al Centro Millo in Piazza Repubblica 4 a Muggia. Al fine di agevolare l’organizzazione, è possibile preiscriversi inviando all’indirizzo urbanistica.muggia@comunedimuggia.ts.it.
SEGNALAZIONI - Trasporti - Binario morto solo a Trieste
“Treni, Trieste sul binario morto. Il taglio degli Intercity fa infuriare i pendolari. Fvg sempre più isolato” (nove colonne in prima pagina del Piccolo). “ Brexit. Trenitalia entra nel mercato del Regno Unito e compra Next; … ha infatti acquisito per 80 milioni di euro (70 milioni di sterline) la società inglese che gestisce i collegamenti tra Londra e Shoesburyness ” (Piccolo del 12/1). “Otto anni orsono solo l’intervento da 3 milioni della Regione era riuscito a salvare le corse dirette verso Milano... sempre via pagamento dei 3 milioni allo Stato, le cose si sono almeno stabilizzate.”(Marco Ballico sul Piccolo del 12 Gennaio). La Regione finanzia, in pratica, Fs/Trenitalia per migliorare il servizio all’estero, ottenendo in cambio il disimpegno di Fs e l’isolamento della nostra regione. Se non si pone rimedio all’aberrante “politica dei trasporti”(lanciata dalla sapiente regia di Tremonti - Matteoli - Moretti per affrontare il “mercato europeo” con l’acquisizione della tedesca Tx, per le merci, e il regionale delle ferrovie tedesche DB, per i viaggiatori) l’isolamento è ormai assicurato per tutto il Paese. S’impone un deciso intervento del ministro delle infrastrutture e dei trasporti per riportare sui binari giusti (quelli italiani !) i finanziamenti di stato e regioni, che abbiano come faro la riconversione modale, per le merci, e l’integrazione funzionale e tariffaria con un’offerta competitiva sull’intera rete nazione, per i viaggiatori, e non una velleitaria “internazionalizzazione” che nulla ha a che vedere con il miglioramento del servizio ferroviario italiano connesso alle reti europee in una sana competizione. Una verifica è necessaria e urgente: comparazione del costo delle tre acquisizioni rispetto al profitto conseguito e prevedibile. Ma urgente è soprattutto una decisa inversione di tendenza.
Luigi Bianchi
IL PICCOLO - VENERDI', 13 gennaio 2017
Arvedi lancia il suo ultimatum «Clima ostile, pronto a chiudere»
Mossa inattesa dell’imprenditore arrivato ieri a Trieste dove ha
incontrato anche la presidente della Regione Serracchiani
Una nuova spada di Damocle pende sul futuro degli oltre 500 lavoratori della
Ferriera e di diverse centinaia dell’indotto. Ma, più in generale, a risentire
in maniera pesantissima dall’eventuale chiusura dell’attività produttiva sarebbe
l’intera economia cittadina. A mettere in evidenza i rischi che corre la
continuazione della produzione nello stabilimento di Servola è stato lo stesso
presidente del gruppo, il cavalier Giovanni Arvedi, in un incontro con i
sindacati svoltosi, nel primo pomeriggio di ieri, nella sede di Siderurgica
Triestina a Servola. Una riunione convocata due o tre giorni fa, senza però che
fosse specificato l’ordine del giorno, e alla quale solo all’ultimo si è appreso
avrebbe partecipato anche Arvedi. Dall’altra parte del tavolo, le segreterie
confederali di Cgil, Cisl e Uil, le segreterie dei metalmeccanici di Fim, Fiom,
Uilm e Failms, assieme alle rispettive Rsu. L’incontro è iniziato in maniera
“soft”, con i rappresentanti dell’azienda che hanno illustrato i dati ambientali
relativi al 2016. Cifre che, si legge in una nota sindacale delle segreterie
provinciali, «evidenziano un netto miglioramento rispetto al 2015 in relazione a
tutti i parametri previsti dall’Autorizzazione integrata ambientale». Poco dopo
c’è stato il colpo di scena con l’atmosfera che si è fatta subito pesante.
Giovanni Arvedi ha preso la parola ed è andato dritto al cuore del problema,
manifestando «estremo disappunto - spiega sempre il comunicato sindacale -
rispetto al clima mediatico, politico e giudiziario che si sta determinando» con
riguardo all’attività dello stabilimento servolano. Arvedi non ha usato mezzi
termini e nel prosieguo del suo intervento ha evidenziato come «l’attuale clima
politico nei confronti dell’azienda - si legge sempre nella nota sindacale -
rischi di compromettere la possibilità della continuazione del progetto
industriale e del risanamento ambientale». Il presidente del gruppo non si è
fermato qui. Sempre secondo quanto riferisce il comunicato sindacale «ha
dichiarato chiaramente che “se entro il 28 febbraio non saranno chiariti questi
fatti” verrà meno l’approvvigionamento delle materie prime necessarie alla
prosecuzione dell’attività produttiva dello stabilimento». Arvedi ha dunque,
secondo i sindacati, «lasciato intendere, di fatto, la possibilità reale della
cessazione delle attività della fabbrica». Le normali scorte di materie prime
consentono di proseguire l’attività per due mesi. Ciò significa che la
produzione si arresterebbe giocoforza entro la fine di aprile. Dalle istituzioni
coinvolte in prima linea nell’attività della Ferriera - Comune e Regione - non è
giunta ieri alcuna reazione alle affermazioni di Arvedi. Più precisamente né il
sindaco Roberto Dipiazza né la presidente della Regione Debora Serracchiani, pur
interpellati attraverso i loro portavoce, hanno inteso rilasciare dichiarazioni.
Sempre ieri (pare nel pomeriggio) Serracchiani ha incontrato Giovanni Arvedi, ma
nulla è trapelato sui contenuti di tale riunione. A fronte delle affermazioni
del presidente del gruppo, i rappresentanti sindacali hanno respinto con
decisione l’impostazione dell’azienda, sottolineando «il rischio reale di una
grave crisi occupazionale». E hanno annunciato per oggi un’assemblea nello
stabilimento, per spiegare ai lavoratori i punti dell’incontro di ieri. Gli
stessi sindacalisti si sono poi attivati immediatamente affinchè la discussione
iniziata ieri si sposti nelle dovute sedi ministeriali, alla presenza del
governo e con il supporto delle organizzazioni nazionali di categoria. Al
momento non è chiaramente ipotizzabile quando questo tavolo romano potrebbe
essere riunito. Le segreterie provinciali di Fim, Fiom, Uilm e Failms lanciano
comunque già ora un segnale di speranza, confidando che «in quella sede
l’azienda e tutte le istituzioni locali, Comune compreso, confermino gli impegni
assunti in sede di accordo di programma».
Giuseppe Palladini
Il Tar respinge la “sospensiva” della proprietà sui
limiti alla produzione imposti dal Municipio - LA PARTITA PARALLELA
L’atteso pronunciamento si è appalesato sul sito del Tribunale
amministrativo regionale ieri mattina. Sì è così appreso che il Tar ha deciso,
in camera di consiglio l’11 gennaio, di respingere la richiesta di sospensiva
presentata da Siderurgica Triestina contro l’ordinanza con cui il sindaco
Dipiazza, lo scorso novembre, ha intimato all’azienda siderurgica di contenere
la produzione mensile di ghisa entro le 34mila tonnellate. Ordinanza che
imponeva inoltre a Siderurgica triestina di comunicare settimanalmente al
Comune, alla Regione, all’Arpa, alla Provincia e all’AsuiTs un report
riepilogativo della produzione giornaliera di ghisa, per consentire di
verificarne l’andamento temporale. La ragione principale di quanto stabilito dal
Tar sta, come si legge nell’ordinanza, nella mancanza del requisito del
“perciculum in mora”. In sostanza l’ordinanza del sindaco, secondo il Tar, non
arreca danni immediati a Siderurgica triestina. Il limite delle 34mila
tonnellate è del resto quello fissato dall’Autorizzazione integrata ambientale.
Stringato il commento dell’assessore comunale all’Ambiente, Luisa Polli: «La
decisione del Tar riguarda l’istanza cautelare. Aspetto di leggere la sentenza
di merito». Il Comune attende ora un’altra decisione del Tar, che lo riguarda
più da vicino. L’amministrazione ha infatti impugnato il provvedimento del 22
dicembre con cui la Regione ha accertato il completamento degli interventi di
adeguamento previsti dall’Aia del gennaio 2016. Commentando la decisione del
Tar, la Regione, in una nota, rileva che «l’ordinanza del Tribunale
amministrativo regionale acclara che il punto in discussione è stato eseguito
nel rispetto delle regole, ed è auspicio che questo indirizzo sia perseguito
anche in futuro».
"Impatto occupazionale gravissimo" - L’APPELLO DI BELCI
- Il Comune accantoni le pregiudiziali e pensi al bene della città
Le preoccupazioni dell’ex sindaco Cosolini mentre Dipiazza resta in
silenzio
È il giorno della grande scossa di Arvedi. Inattesa. Ma è anche il giorno
del grande silenzio delle istituzioni. Le dichiarazioni dell’industriale devono
aver spiazzato un po’ tutti a partire dal sindaco Roberto Dipiazza che pur si
sta battendo con foga per la chiusura dell’area a caldo. Nessun commento
ufficiale da parte sua, così come dalla collega di giunta, Luisa Polli, la
responsabile comunale dell’Ambiente. «Su questo tema parla soltanto Dipiazza»,
mette le mani avanti l’assessore. Sceglie di non commentare pubblicamente anche
la presidente della Regione Debora Serracchiani, commissario dell’area di crisi
complessa, che tuttavia ieri ha incontrato l’imprenditore. Ma, nonostante il no
comment delle istituzioni, la battaglia politica si scatena ugualmente. Infatti
Roberto Cosolini ha qualcosa da dire. Eccome. «È noto che sono tra quelli che
più hanno scommesso sulla prospettiva di mantenere l’attività rendendola
compatibile con la salute e l’ambiente», premette l’ex sindaco. «Uno sforzo
avviato che sta dando risultati e a cui ho creduto molto, pagandone un prezzo
molto alto. Forse la prospettiva della chiusura, perché di questo si parla, farà
contenti molti. Ma personalmente mi allarma, soprattutto perché l’impatto
occupazionale sarebbe gravissimo». Cosolini cita i numeri: «Ci sono 550 addetti
più i 250-300 dell’indotto. Dove vanno queste persone?». Non basta: «Più in
generale mi pare che Trieste abbia un serio problema di lavoro che lo stop della
Ferriera peggiorerebbe. E avverrebbe dopo la chiusura di altre due “ferriere”,
il commercio e l’edilizia. Trieste oggi è priva di un piano di sviluppo
economico, non saranno un centro monomarca su cui punta Dipiazza o il Parco del
mare a dare risposte. Auspico che si continui invece nella strada del
risanamento» conclude l’ex sindaco. Franco Belci, ex segretario regionale della
Cgil, interviene a sua volta e non nasconde la preoccupazione. «Le dichiarazioni
di Arvedi sono pesanti, anche se in realtà non sono un fulmine a ciel sereno. Il
rapporto col Comune si è talmente inasprito che la società sta pensando di
mettere in discussione progetto e investimenti. I rapporti sono sempre più tesi
e manca anche un canale di interlocuzione. Tutto ciò rende difficile la gestione
della vicenda. Il Comune - rileva l’ex segretario della Cgil - deve accantonare
le pregiudiziali della campagna elettorale e pensare al bene della città. Si
deve arrivare a un confronto sereno sul tema. Bisogna recuperare il buon senso
ed evitare che sfumi l’occasione. Il rischio è di trovarci un enorme cadavere,
visto che nessuno investirebbe per il risanamento». Da centrodestra il
capogruppo di Fi Piero Camber dà una lettura completamente diversa per spiegare
l’ultimatum dell’imprenditore: «L’altro giorno c’è stato un tavolo in Regione.
Ad Arvedi è stata chiesta la copertura strutturale del parco materiali in
attuazione dell’Accordo di programma del 2014. L’imprenditore, come noto,
ritiene che sia sufficiente continuare a bagnare quei materiali residui. Ma
tutti in quella riunione, dalla Regione all’Azienda sanitaria, si sono detti
contrari. La magistratura, inoltre, ha annunciato altri controlli e indagini
mentre Dipiazza va a testa bassa con la sua operazione verità finalizzata alla
tutela della salute di lavoratori e residenti. La somma delle cose ha fatto
capire all’imprenditore che è meglio lasciar stare. E sta gettando la spugna».
Gianpaolo Sarti
Treni tagliati, Serracchiani in pressing - Lettere a
Delrio, Fs e Trenitalia per salvare in extremis i due Intercity Venezia-Trieste.
«La soppressione non è sostenibile»
TRIESTE Debora Serracchiani scrive al ministro, a Fs, a Trenitalia.
L’obiettivo è salvare in extremis i due Intercity che collegano Venezia e
Trieste, mezzi di trasporto indispensabili per studenti, docenti, lavoratori
diretti a Fincantieri, turnisti e utili pure a qualche turista. Un tentativo,
rimarca la presidente, in linea con la politica dei trasporti attuata nel corso
della legislatura. Sollecitata da pendolari, singoli utenti, dirigenti
scolastici e, a livello politico, dal M5S, Serracchiani ricorda quanto sin qui
fatto, dal «riavvio di grandi opere bloccate come la terza corsia» al «nuovo
ruolo» del hub aeroportuale. Quanto ai treni, la presidente mette in fila
«l’inserimento di due coppie di Frecce per Milano e Roma in più rispetto a
prima, la trasformazione di alcune di queste in FrecciaRossa, le ulteriori
fermate delle Frecce a Monfalcone, Cervignano e Latisana, la messa in servizio
dei nuovi Caf», oltre alla conquista della prima posizione in Italia quanto a
puntualità del servizio passeggeri, «risultati dovuti all’impegno della Regione
nell’ambito dei rapporti con il governo e Trenitalia». Entrando poi nel merito
del taglio dei due Intercity - l’Ic 734 in partenza da Trieste alle 22.06 e
arrivo a Mestre alle 00.05 e il gemello 735 in partenza dalla città veneta alle
5.50 e arrivo nel capoluogo regionale alle 7.46, cancellati da Trenitalia a
partire da lunedì 16 gennaio -, già definito dall’assessore Santoro
«sconcertante nel merito e nel metodo», Serracchiani fa sapere di avere
formalizzato la richiesta di ripristinare i collegamenti con una lettera già
inviata al ministro delle Infrastrutture e Trasporti Graziano Delrio, all’ad del
Gruppo Fs Renato Mazzoncini e all’ad di Trenitalia Barbara Morgante. In quel
testo la presidente cita il silenzio di Trenitalia rispetto alle richieste di
informazione della Regione, sottolinea «l’imbarazzo» nei confronti dei
viaggiatori che a loro volta chiedevano spiegazioni e boccia come «inadeguato»
il servizio autobus proposto da Trenitalia in alternativa agli Ic cancellati
che, benché ricompresi nel contratto con lo Stato, «oltre a svolgere una
funzione di servizio nazionale, sono complementari alla maglia dei servizi
regionali». Per questo motivo, incalza Serracchiani, «era stato proposto, in
passati incontri tra le strutture tecniche di Trenitalia e Regione, di
consentire l’accesso agli stessi senza sovrapprezzo da parte degli abbonati Fvg,
provvedimento che avrebbe certamente portato a una maggiore frequentazione, in
particolare in territorio regionale, vista la collocazione oraria». In
controtendenza con «la forte azione di miglioramento dei servizi ferroviari
ottenuta anche grazie a ingenti investimenti della Regione», conclude la
presidente, il doppio taglio «non appare sostenibile». A rincarare la dose il
deputato del Pd Giorgio Brandolin aggiunge una sua interrogazione a quella del
senatore Carlo Pegorer. Azioni tardive? Bruno Zvech, vicepreside del Nautico e
direttore dell’Accademia nautica dell’Adriatico, spera che ci sia ancora tempo
per rimediare. «Sui treni non ci sono colori politici - dice Zvech, già
capogruppo del Pd in Regione -. Siamo intervenuti in era Illy, come poi Tondo e
Serracchiani -. Dati oggettivi confermano che si procede con una politica di
isolamento del Fvg, ma pure in questa occasione conto che, di fronte
all’incomprensibile decisione nemmeno comunicata da Trenitalia, si riesca a
salvaguardare i diritti di cittadinanza, studio e lavoro dell’utenza».
«Inaccettabile», prosegue Zvech, immaginare che da lunedì qualche decina di
studenti si debba alzare alle 5 per andare a scuola. Ma il disagio riguarda
anche, tra gli altri, un professore come Graziano Benelli, docente di francese
alla scuola per interpreti dell’Università di Trieste: «Arrivo da San Donà a
Trieste via treno dal 1978, e sempre alle 7.45. Da lunedì, per la prima volta,
scenderò in stazione alle 8.20 senza poter insegnare la prima ora. Basterebbe
far partire il treno alternativo mezz’ora prima, e pazienza se ci faranno
comunque cambiare a Portogruaro».
Marco Ballico
Riuso di Porto vecchio - Sale la fiducia di Trieste -
Sondaggio commissionato da Confindustria a Swg sul futuro dell’area
Per l’88% degli interpellati può essere il volano per il capoluogo del
Fvg - Dall’indagine emerge come i cittadini valutino positivamente il rilancio
Preoccupa il pericolo di fatti di corruzione
TRIESTE La gran parte della popolazione di Trieste, per l’esattezza l’82%,
considera positivamente l’operazione di utilizzo del Porto vecchio ai fini dello
sviluppo urbano ed economico della città. In secondo luogo, la cittadinanza è
convinta che l’operazione possa essere un trampolino per una Trieste più
dinamica (88%). Anche la fattibilità del progetto è ritenuta possibile: il 55%
della popolazione risulta essere in disaccordo con una prospettiva di fallimento
dell’iniziativa perché vista come operazione troppo imponente per una città come
il capoluogo giuliano. È quanto emerge da una seconda indagine campionaria di
opinione commissionata da Confindustria Venezia Giulia a Swg i cui esiti
completi saranno illustrati e commentati oggi, come si legge nel riquadro. Le
prime interviste erano state somministrate nel periodo che va dal 29 maggio al 4
giugno 2015, queste ultime dal 2 al 6 maggio 2016. L’indagine quantitativa è
stata condotta mediante due rilevazioni con tecnica mista Cawi (Computer
assisted web interview) - Cati (Computer assisted telephone interview),
all’interno di due campioni rispettivamente di 1296 e 1256 soggetti maggiorenni
residenti in provincia. Il confronto tra le due indagini mostra che l’opinione
complessiva sul progetto non ha variazioni significative e resta largamente
positiva, ma la cittadinanza è ancora più convinta che il recupero possa essere
un trampolino per una Trieste più dinamica (88% nel 2016 rispetto all’81% del
2015). Il dato negativo che emerge riguarda la scarsa fiducia che gli
intervistati hanno dimostrato di nutrire sulla possibilità di far fronte alla
corruzione nonostante la presenza di istituzioni come l’Autorità anticorruzione.
Secondo il 50% la corruzione è difficilmente scansabile data la grande quantità
di denaro in gioco e solo il 36% la ritiene evitabile. Secondo Confindustria si
tratta di una preoccupazione molto probabilmente influenzata da esperienze
nazionali di opere pubbliche che sono state oggetto anche recentemente di
fenomeni che non hanno rassicurato i cittadini. Contestualmente, Swg e
Confindustria Vg hanno organizzato un forum di esperti sulle prospettive e le
opportunità relative al progetto di riutilizzo del Porto vecchio al quale hanno
partecipato Rocco Giordano (Università Roma La Sapienza), Antonio Marano
(presidente Trieste airport), Giangiacomo Martines (dirigente Mibact), Giulio
Mellinato (Università Milano Bicocca), Stefano Micelli (Università Venezia Cà
Foscari), Mauro Montagner (responsabile Real Estate Allianz spa), Andrea Oddi
(consulente private equity), Pietro Perelli (Progettazione), Alberto Polacco
(Pianificazione territoriale e dei trasporti). Queste le considerazioni
conclusive degli esperti. «Un primo elemento costitutivo dell’intervento è
rendersi conto che non si tratta solo di un contenitore dove vi è la possibilità
di intervenire senza vincoli; non nel senso burocratico, ma di rispetto di
un’identità costitutiva del luogo. La comunità triestina si ritroverà
nell’equilibrio tra la conservazione dello spirito del posto e l’innovazione
delle funzioni. In questo modo recepirà positivamente il nuovo». «Il progetto
deve necessariamente avere una visione e pianificazione complessiva che affronti
in modo coordinato i problemi. A questa impostazione si collega la capacità di
mantenere una flessibilità nell’esecuzione per incrociare il divenire delle
richieste e le modificazioni funzionali che potrebbero intervenire nel tempo».
«La partecipazione dei cittadini appare indispensabile - proseguono -; la città
deve vivere questo momento che ha caratteristiche quasi rifondative. Forme di
coinvolgimento dei triestini, oltre l’informazione, sono necessarie e
predispongono a un’accoglienza favorevole delle conseguenze determinate
dall’entità dell’opera». «La mobilità è uno dei punti nodali della progettazione
e della futura vita del comprensorio e del successo delle sue attività; dai
collegamenti, alla fruizione dall’esterno, al trasporto interno, alla
movimentazione delle merci». Gli esperti continuano poi: «Un costante e
stringente rapporto tra pubblico e privato per quanto riguarda la
programmazione, le risorse e gli adempimenti appare elemento imprescindibile. A
questo si accompagna la necessità di un forte coordinamento tra tutte le parti
interessate nell’opera lungo il suo divenire». «La salvaguardia dei beni
architettonici, culturali e paesaggistici e la cura dell’archeologia industriale
richiedono un piano unitario del complesso e - concludono - una capacità di
mantenimento delle caratteristiche di larga parte degli edifici».
Silvio Maranzana
L’illustrazione dei risultati e una tavola rotonda alle
16 al Savoia
I risultati del sondaggio su Porto vecchio commissionato da Confindustria a
Swg e le considerazioni emerse dal forum qualitativo, cui hanno partecipato
esperti di profilo nazionale che hanno fornito le loro indicazioni sull’analisi
delle prospettive, delle opportunità e attenzioni attinenti al progetto di
riutilizzo saranno presentati questo pomeriggio alle 16 all’hotel Savoia
Excelsior. La presentazione di Maurizio Pessato, presidente di Swg, fornirà gli
spunti per una tavola rotonda a cui interverranno Zeno D’Agostino, presidente
dell’Autorità di sistema portuale, Roberto Dipiazza, sindaco di Trieste e Debora
Serracchiani, presidente della Regione Friuli Venezia Giulia. L’incontro sarà
aperto da Sergio Razeto, presidente di Confindustria Venezia Giulia, e
introdotto da Federico Pacorini, presidente Infin. Modererà i lavori Cristiano
Degano, presidente dell’Ordine dei giornalisti del Friuli Venezia Giulia.
L’appuntamento è a ingresso libero, fino all’esaurimento della capienza della
sala. Verrà data priorità a chi si sarà preaccreditato sul sito
dell’Associazione: www.confindustriavg.it.
Doppia sessione di rilevazioni - Più di 2.500 cittadini
intervistati - il metodo
L’indagine quantitativa è stata condotta da Swg - la società guidata dal
presidente Maurizio Pessato - mediante due rilevazioni con tecnica mista Cawi
(Computer Assisted Web Interview) e Cati (Computer Assisted Telephone Interview),
all’interno di due campioni di 1296 e 1256 soggetti maggiorenni residenti nella
provincia di Trieste. Le interviste sono state somministrate nel periodo che va
dal 29 maggio al 4 giugno 2015 e poi in un altro lasso di tempo dal 2 al 6
maggio 2016. I metodi utilizzati per l’individuazione delle unità finali (Cawi)
sono di tipo casuale, come per i campioni probabilistici. Il campione
intervistato online è estratto dal panel proprietario Swg. Tutti i parametri
sono uniformati ai più recenti dati forniti dall’Istat. I dati sono stati
ponderati al fine di garantire la rappresentatività rispetto ai parametri di
sesso, età, titolo di studio e condizione professionale. I metodi utilizzati per
l’individuazione delle unità finali Cati sono di tipo casuale, come per i
campioni probabilistici. Tutti i parametri sono uniformati ai più recenti dati
forniti dall’Istat.
Fincantieri punta ai megayacht - E l’Adriaterminal sarà
la seconda stazione marittima per le crociere
TRIESTE - A parte il Polo museale con la Centrale idrodinamica, la
Sottostazione elettrica, i Magazzini 23, 24 e 25 o in alternativa il 26 se
l’Icgeb sarà dirottato in un’altra area, ben pochi sono i progetti concreti già
evidenziatisi per Porto vecchio. Il più suggestivo è legato alla manifestazione
di interesse avanzata da Fincantieri ancora il 25 giugno 2014 (e che dovrà
essere reiterata) per la creazione di un porto per megayacht. La richiesta
riguarda però gli stessi «capannoni 24 e 25, Molo Zero e bacino compreso tra il
Molo Zero e il Molo Primo e corpi annessi per la durata di anni 35 allo scopo di
creare un porto per megayacht di rilevanti dimensioni fornito di tutti i servizi
vari a supporto dei clienti (foresterie, alberghi, uffici e servizi) e dotato di
infrastrutture per effettuare lavori di piccola manutenzione ai natanti». La
società anche recentemente ha affermato di «continuare a guardare con estrema
attenzione allo sviluppo del processo che sta interessando il Porto vecchio di
Trieste per il quale una manifestazione di interesse è già stata presentata» e
ha aggiunto che «il settore del rimessaggio e del refitting è in forte
espansione e foriero di ulteriori sviluppi sia per quanto riguarda i megayacht
che le navi da crociera». Fincantieri ha fatto anche intendere che sinergie a
distanza estremamente ravvicinata potrebbe svilupparsi con i bacini di
carenaggio del Porto nuovo dove negli ultimi anni sono stati fatti importanti
lavori di ristrutturazione su navi da crociera. L’Adriaterminal dovrà invece
essere trasformato in un secondo terminal crocieristico. L’attuale terminalista,
Genoa metal terminal che fa parte del gruppo Steinweg-Handelsveem di Rotterdam,
titolare della concessione fino al 2022 si sarebbe detto disponibile a operare
in questo settore. L’Adriaterminal occupa un’area di circa 70mila metri quadrati
di cui 25mila di magazzini coperti, ha 570 metri lineari di banchina con fondali
di quasi 12 metri. Il terminalista è attualmente specializzato in spedizioni,
trasporto, stoccaggio e movimentazioni soprattutto di metalli non ferrosi,
acciai, ferroleghe e rottami. Alcuni dei magazzini (12, 13 e 14) sono
autorizzati dal London metal exchange, la Borsa dei metalli non ferrosi più
importante del mondo e il Magazzino 13 è autorizzato anche dal Liffe per lo
stoccaggio di caffé e cacao. Nell’ambito della casa madre di Rotterdam comunque
non mancherebbe l’expertise riguardo ai traffici passeggeri e la riconversione
potrebbe costituire una crescita del business per lo stesso terminalista.
Dall’Adriaterminal devono essere eliminate le quattro gru che l’Authority sta
invano cercando di vendere con ripetute aste. L’attuale amministrazione comunale
ha individuato i magazzini 28 e 30 come sede del nuovo Mercato ittico, ma l’iter
per la sua realizzazione si prospetta più lungo del previsto. È imbalsamata la
porzione più prestigiosa dell’area, quella più prossima alla Stazione centrale.
La Greensisam di Pierluigi Maneschi, concessionaria infatti dei primi cinque
magazzini ha visto andarsene i potenziali investitori svizzeri e ha fatto causa
al Comune che aveva revocato il permesso a costruire dal momento che i lavori
non sono mai partiti. Il progetto Greensisam prevede la creazione di una
passeggiata frontemare con pavimentazione in pietra locale e una copertura a tre
navate trasparenti di due viali, la creazione di una piscina di acqua di mare,
un percorso per il jogging e un’area wellness. Nel magazzino più arretrato
rispetto al mare dovrebbe venir creato un parcheggio multipiano, mentre gli
altri hanno funzioni turistiche, direzionali, commerciali. Dunque negozi, studi
professionali, uffici, forse alberghi.
(s.m.)
Battista: «Chi paga l’urbanizzazione?»
«Il fattore dirompente per la restituzione alla città dei sessanta ettari
del Porto vecchio è rappresentato dai canoni di urbanizzazione: strade, fogne,
illuminazione pubblica, rete di distribuzione energia elettrica e gas». Lo
sottolinea il senatore Lorenzo Battista (Gruppo per le autonomie), auspicando
che nel corso della Tavola rotonda di oggi venga finalmente fatta chiarezza.
«Con la legge di stabilità votata a dicembre del 2014 - ricorda Lorenzo Battista
– il Comune aliena le aree e gli immobili sdemanializzati e i relativi introiti
sono trasferiti all’Autorità portuale per gli interventi di infrastrutturazione
del Porto nuovo. Qui rilevo un punto di possibile contraddizione - continua il
senatore - perché con gli introiti di un’area si finanzia un’altra lasciando a
un eventuale nuovo insediamento privato il compito di pagare gli oneri di
urbanizzazione. La soluzione migliore sarebbe stata – afferma Battista – un
Decreto per Trieste».
«Sito ideale per sviluppare ricerca e innovazione» - Il
presidente degli industriali della Venezia Giulia: «Ricadute nazionali positive»
E scommette su attività legate all’economia del mare e progetti di
industria 4.0
TRIESTE «Confindustria Venezia Giulia - sottolinea il presidente Sergio
Razeto - sostiene da tempo che il riutilizzo del Porto vecchio è un’opportunità
per tutto il tessuto cittadino che darà ricadute positive sull’economia
triestina, regionale e addirittura nazionale. Abbiamo dunque ritenuto opportuno
- spiega - sentire a più riprese il polso del territorio. Le indagini hanno
dimostrato che c’è consapevolezza dell’argomento e che la cittadinanza
ultimamente si è ancor più convinta che il recupero della grande e prestigiosa
area possa essere un trampolino per una Trieste più dinamica». Eppure le ultime
iniziative di forte rilievo giunte a compimento, come Eataly, oppure finalmente
ben incanalate come il Parco del mare, hanno strategicamente evitato Porto
vecchio. Forse proprio per non finire nel pantano? La scelta della collocazione
di iniziative come Eataly e il Parco del Mare sulle Rive triestine credo
risponda a una logica necessità di attivare in breve tempo gli investimenti e
vedere la realizzazione degli stessi. In particolare ciò vale per Eataly che ha
trovato nel Magazzino Vini della Fondazione CrTrieste un manufatto che si
prestava in maniera ottimale alle esigenze di spazi interni ed esterni,
collocazione in un’area già molto frequentata e prestigio della struttura. Anche
il Parco del Mare, che ha alle spalle una lunga serie di studi in siti diversi,
ha individuato ormai più di un anno fa la sua possibile collocazione a partire
dal recupero dell’area e dal riutilizzo dei manufatti ex Italia Navigando, che
con grande probabilità apparivano disponibili prima dell’esito della
sdemanializzazione. Come riutilizzare i prestigiosi contenitori del Porto
vecchio? Confindustria ritiene che gli spazi del Porto vecchio vadano
valorizzati per diventare nuove opportunità di insediamento per realtà che
abbiano un profilo legato all’economia del mare, al turismo - penso alla
possibilità di un nuovo terminal crocieristico - ma anche ad attività
imprenditoriali legate alla ricerca ed all’innovazione. In questa direzione,
come Confindustria, abbiamo iniziato, già con la passata amministrazione
comunale e continuato con l’attuale, a dare avvio a un progetto di recupero
degli spazi dell’ex Agenzia delle Dogane, ubicata in corso Cavour, in prossimità
dell’area del Porto vecchio, per ospitare un “urban centre” dedicato
all’attività di ricercatori e imprese che daranno avvio a progetti nell’ambito
“Internet of things” in particolare nei settori del biomedicale e della salute.
Questo spazio potrebbe diventare anche sede per l’attivazione di ulteriori
progetti di “industria 4.0” ovvero di divulgazione e sperimentazione di utilizzo
degli strumenti digitali nei cicli di produzione industriale. È opportuno
spostare qui la sede dell’Icgeb oggi collocato in Area science park come
previsto dal riparto dei primi fondi pubblici? Gli spazi del Porto vecchio si
prestano a poter ospitare insediamenti di enti scientifici e di ricerca, centri
di educazione e formazione, nonché per ospitare attività di tipo culturale, che
possano contribuire a rendere quest’area di città frequentata, viva e
attrattiva. A scanso di dubbi, l’Associazione vede quest’area in un’ottica
addizionale e non sostitutiva di altre zone cittadine. Si tratta quindi di dover
individuare e intercettare nuove opportunità di sviluppo. Non c’è il rischio di
ricadere nell’ipotesi-spezzatino riemersa dopo il fallimento dell’operazione
Portocittà? Proprio per evitare questa possibilità, in merito alle ipotesi circa
il futuro bando per il riutilizzo degli spazi, Confindustria vedrebbe
positivamente la presenza di un soggetto autorevole, di esperienza, in grado di
organizzare in una logica complessiva la pianificazione del recupero dell’area.
Per quanto riguarda invece i potenziali investitori, è chiaro che oltre alle
risorse già messe in campo dal governo, saranno necessarie ulteriori e robuste
iniezioni di capitale. Indipendentemente da quello che sarà il piano
urbanistico, sarà molto probabilmente necessario mettere l’iniziativa
all’attenzione internazionale. Il fatto che Trieste sia appetibile per
investimenti stranieri è dal nostro punto di vista un segnale che va visto
positivamente. I 50 milioni del Cipe sono un buon punto di partenza? Va visto
senz’altro positivamente che il governo abbia deciso di stanziare 50 milioni di
euro per il recupero del Porto vecchio. Si tratta di una cifra importante da
convogliare sull’infrastrutturazione e nel complesso abbastanza modesta, ma è un
segnale che ci conforta nel ritenere questo progetto di valenza non solo
territoriale.
(s.m.)
IL PICCOLO - GIOVEDI', 12 gennaio 2017
Parte l’offensiva del Municipio a tutela della sicurezza stradale
All’indomani dell’impegno del sindaco sui fondi da
destinare ad hoc, maggioranza e opposizione votano il via ai lavori
Dopo l’incontro del sindaco Roberto Dipiazza con le compagne di classe di
Giulia Buttazzoni, la ragazza deceduta dopo essere stata investita sulle strisce
pedonali in via De Marchesetti lo scorso 2 dicembre, in Comune scatta
l’offensiva per la sicurezza stradale. Un’operazione bipartisan, che mette
d’accordo maggioranza e opposizione, perché le tragedie sulle strade non hanno
colore politico. Ieri nella seduta della sesta commissione è stata presentata e
approvata all’unanimità una prima mozione che riguarda l’installazione di
semafori, il potenziamento della segnaletica stradale e la creazione di nuovi
attraversamenti pedonali. In prima battuta il focus sicurezza si concentrerà
sulla tutela dei pedoni, in particolare nelle vicinanze delle scuole e delle
fermate del trasporto pubblico. «Vogliamo concentrarci sulla sicurezza sulle
nostre strade, perché dopo gli ultimi tragici fatti i cittadini ce lo chiedono a
gran voce - spiega l’assessore all’Urbanistica Luisa Polli -. Potremo contare
anche su più fondi, perché come dichiarato dal sindaco parte del contributo
economico una tantum che il Viminale ha destinato ai Comuni che nel 2016 hanno
ospitato richiedenti asilo (una cifra compresa tra i 400 e i 500mila euro, ndr)
verrà utilizzata per potenziare tutti quegli strumenti utili a scoraggiare
comportamenti a rischio da parte di automobilisti e motociclisti». Oggetto dei
primi interventi, come evidenziato dalla mozione che passerà alla discussione in
Consiglio comunale, saranno i comprensori scolastici, con sopralluoghi per
valutare l’eventuale carenza di segnaletica che evidenzi la presenza di
attraversamenti pedonali utilizzati da genitori e alunni delle scuole. In
particolare ci si concentrerà con urgenza su alcune strade maggiormente a
rischio: la mozione, firmata dai consiglieri di Forza Italia Andrea Cavazzini,
Guido Apollonio, Everest Bertoli e Manuela Declich, sottolinea come intervento
prioritario l’installazione di un semaforo a chiamata o di apposita segnaletica
luminosa verticale vicino all’attraversamento pedonale di via Commerciale, in
prossimità delle scuole Corsi e Manna. L’altro problema evidenziato è quello,
tristemente balzato alla cronaca, di via De Marchesetti. Qui si valuterà la
creazione di un attraversamento pedonale all’altezza del civico 21, vicino alla
fermata di Trieste Trasporti. E si valuterà l’installazione nelle strade ad alta
percorribilità, da via Forlanini a via De Marchesetti stessa, di semafori a
chiamata o dissuasori, per limitare la velocità dei veicoli. Sempre in via
Forlanini si provvederà con urgenza all’installazione di un semaforo, a chiamata
o dissuasore, vicino al comprensorio dell’Iqbal Masih. Altra soluzione che si
sta prendendo in considerazione è l’installazione di dossi, lo strumento forse
più utile in assoluto per obbligare gli automobilisti a ridurre la velocità
nelle zone più sensibili. Una pratica già molto utilizzata nei vicini comuni, da
Monfalcone a Capodistria. Ma i cosiddetti dissuasori di velocità non si possono
mettere dovunque. Sono regolati da un’apposita normativa, da qui l’impegno
dell’assessore Polli a inoltrare un quesito formale al Ministero dei Trasporti
per richiedere in quali categorie di strade possono essere installati.
L’obiettivo a lungo termine, sottolineato dall’assessore, sarà quello di
esaminare le migliori tecnologie disponibili sul mercato nell’ambito della
sicurezza stradale, per poi stilare una programmazione d’interventi pluriennale,
con l’utilizzo omogeneo delle stesse tipologie di segnaletica stradale,
dissuasori e semafori, nelle zone con maggiori criticità. Si partirà quindi da
una valutazione oggettiva delle criticità, fornita dalle tavole 15 e 16 del
Piano del Traffico, che evidenziano le strade in cui c’è stata una maggiore
incidenza di sinistri mortali negli ultimi cinque anni, sulla base dei rilievi
della Polizia locale. Nel frattempo sono già stati deliberati e saranno
realizzati entro l’anno otto nuovi attraversamenti pedonali: due in via Flavia,
tre in viale Miramare, due in via Revoltella e uno in via Locchi.
Giulia Basso
E i ciclisti invocano piu' attenzioni - Soluzioni a
misura di due ruote chieste durante la diretta social con Fiab-Ulisse
Il taglio delle catene Contestata la linea dura prevista dal regolamento
dei vigili
Da un lato la richiesta di più attenzioni e maggior sicurezza per chi, in
ambito cittadino, si sposta su due ruote. Dall’altro una netta contrarietà alla
bozza del regolamento della Polizia locale, che prevede la multa e il taglio
delle catene alle bici “abusive”. Sono i temi affrontati ieri mattina dal
presidente di Fiab-Trieste Ulisse durante la diretta Facebook del Piccolo
dedicata al mondo delle due ruote. Questioni molto sentite, come dimostrato dai
tanti commenti dei lettori. Interventi che non si sono limitati a muovere
rilievi al regolamento comunale, ma sono andati ben oltre spaziando sulle
iniziative per rendere la città più sicura, sulla pista ciclabile di Campo
Marzio e sulle opportunità offerte, in futuro, dall’utilizzo degli spazi del
Porto vecchio. Ma è sul documento della giunta che la Fiab ha preparato le sue
obiezioni, in un testo più “soft” che sarà spedito in Consiglio comunale. «Il
recente dossier di Legambiente sulla qualità dell'aria respirata in Italia
conferma una volta di più che Trieste è nella lista nera delle città con il
maggiore inquinamento ambientale - rileva il referente dell'associazione
Federico Zadnich - ed è emersa chiaramente la necessità di promuovere la
mobilità a “emissioni zero” per migliorare la qualità dell'ambiente cittadino».
Detto questo la Fiab torna a ribadire la propria contrarietà al regolamento di
Polizia Urbana. «Va controcorrente perché costituisce un serio ostacolo alla
diffusione dell'uso delle biciclette a Trieste. I 194 stalli presenti in città -
annota il rappresentante - sono gli unici luoghi nei quali sarebbe consentito
fissare le bici. Ma sono in numero molto inferiore a quello delle persone che
utilizzano con regolarità la bicicletta». Zadnich cita, a riguardo, un recente
sondaggio della Swg che avrebbe quantificato un fabbisogno di 3.500 posti. «Per
rendere più esplicita e concreta la nostra posizione, abbiamo elaborato una
proposta di modifica dell'art.6 (del regolamento, ndr) che riguarda i divieti di
sosta per le biciclette e l'abbiamo inviata ai consiglieri comunali e agli
assessori». In questa versione, consultabile anche nel sito internet
dell'associazione, si suggerisce il divieto di posteggiare le bici in prossimità
di monumenti e di intralciare la circolazione pedonale e veicolare. «In questo
modo - ha affermato Zadnich rispondendo alle domande dei lettori nella diretta
social - rispettiamo le esigenze fondamentali di decoro della città e di
sicurezza degli utenti deboli (come i disabili, ndr) presenti nel testo
dell'amministrazione comunale, ma concediamo una maggiore libertà di sosta ai
ciclisti urbani. Le forze dell'ordine, nella nostra proposta, avrebbero la
facoltà di rimuovere i mezzi che costituiscono pericolo, quelli abbandonati da
più di 60 giorni e quelli considerati “rifiuti”. Tutte le biciclette, una volta
portate via, verrebbero prese in custodia per la successiva restituzione ai
legittimi proprietari, mentre i “rifiuti” verrebbero smaltiti come tali. In
nessun caso sarebbe consentita da parte della polizia municipale, l'apertura
della catena di fissaggio e l'abbandono della bici sul posto, fatto che ha
sollevato numerose e giustificate perplessità da parte di molti cittadini».
Gianpaolo Sarti
Il futuro della ferriera - L’attesa per la decisione
del Tar sulla sospensiva chiesta da Arvedi
In serata ancora nessuna notizia. Sono perlomeno in tre ad aspettare una
risposta importante sulla Ferriera: in attesa sono - con aspettative differenti
- Siderurgica Triestina, il Municipio triestino, la Regione Fvg. Il Tar del
Friuli Venezia Giulia aveva dato infatti appuntamento a ieri per decidere sulla
sospensiva dell’ordinanza che il sindaco Roberto Dipiazza aveva emanato sui
limiti produttivi di ghisa in Ferriera. L’azienda del cavalier Giovanni Arvedi
aveva impugnato l’ordinanza, che imponeva un barrage di 34 mila tonnellate
mensili «ai fini della tutela della salute pubblica». Lo scorso 16 dicembre si
era svolta la prima udienza davanti ai giudici amministrativi, i quali avevano
rinviato la pronuncia sulla sospensiva a ieri 11 gennaio. In particolare, il Tar
aveva eccepito che - in assenza dell’atto conclusivo della Regione riguardo la
verifica delle prescrizioni previste dall’Aia (Autorizzazione integrata
ambientale) per lo stabilimento servolano - non aveva elementi sufficienti per
assumere una decisione sulla richiesta aziendale di sospendere l’efficacia del
provvedimento sindacale. Come ormai consolidata tradizione in tutto quanto ruota
attorno a Servola, la questione si è ulteriormente attorcigliata. Perchè la
Regione ha ottemperato all’intimazione del Tar Fvg, trasmettendo il 22 dicembre
l’atto conclusivo richiesto. Ma il Comune ha impugnato, a sua volta, il
provvedimento firmato da Luciano Agapito, direttore del Servizio tutela da
inquinamenti atmosferico, acustico ed elettromagnetico, che aveva accertato il
completamento da parte di Siderurgica Triestina degli interventi di adeguamento
previsti dall’Aia datata gennaio 2016. Secondo il Comune, il “decreto Agapito”
si sarebbe sostanziato in una «mera riproduzione» dei rapporti ispettivi svolti
dall’Arpa Fvg. La giunta comunale del 30 dicembre, che aveva deciso il
controricorso, ha rilevato nella delibera che «detto decreto (Agapito, ndr)
risulta illegittimo in quanto carente della presupposta attività istruttoria
oltre che delle necessarie determinazioni che lo stesso doveva assumere,
considerato l’indiscusso sforamento del limite di produzione mensile di ghisa
così come autorizzata dall’Aia». In buona sostanza, i giudici amministrativi si
sono trovati davanti un quadro piuttosto complesso composto dall’ordinanza
Dipiazza e dal ricorso della Siderurgica contro di essa, dal decreto della
Regione Fvg e dal ricorso del Comune contro di esso. Rispetto al 16 dicembre il
volume degli atti è raddoppiato, rendendo sempre più intricato il ginepraio
Ferriera.
magr
Intercity cancellati - Fvg sempre più isolato - Ora gli
Ic 734 e 735, prima anche i collegamenti con Napoli, Lecce e Roma
L’ultimo taglio su Trieste entra in un elenco di soppressioni partito dal
2009
Otto anni or sono solo l’intervento da tre milioni
della Regione guidata da Tondo era riuscito a salvare le corse dirette verso
Milano
TRIESTE Non solo il problema di adeguarsi al detestato “orologio di Mestre”,
quello con le coincidenze mai troppo favorevoli per l'utenza regionale. Il
Friuli Venezia Giulia dei treni, da anni periferia dei collegamenti ferroviari
nordestini, è costretto a fare i conti con i tagli. L'ultimo, quello che
cancella i due Intercity di collegamento tra Venezia e Trieste, utili a
turnisti, studenti e lavoratori diretti a Fincantieri, è in coda a un lungo
elenco di soppressioni. Isolamento. Non più solo un timore, ma la realtà.
L’inizio di un ridimensionamento pesante è datato 2009. Da allora il cambio di
orario ha sempre creato apprensione. E, talvolta, ha segnato qualche addio,
nonostante le barricate di una Regione costretta a subire la spending review
nazionale. Non a caso il doppio “zac” all'Ic 734 in partenza da Trieste alle
22.06 e arrivo a Mestre alle 00.05 e al gemello 735 in partenza dalla città
veneta alle 5.50 e arrivo nel capoluogo regionale alle 7.46 è dettato da
questioni economiche: le tratte in perdita, questa è la linea ministeriale,
vanno eliminate. Otto anni fa i protagonisti erano diversi. L'amministratore di
Ferrovie dello Stato era Mauro Moretti, oggi ad di Finmeccanica, mentre in
piazza Unità era il turno del centrodestra: Renzo Tondo presidente della
Regione, Riccardo Riccardi assessore alle Infrastrutture. Solo l'intervento
economico della Regione (3 milioni di euro), poi continuato nel tempo, riuscì a
salvare i collegamenti diretti su Milano. Niente da fare invece, nonostante la
trattativa serrata con Moretti, per l'Eurostar Trieste-Roma delle 7.49. Dopo
cinque anni di necessari cambi a Mestre, nel 2014 i friulgiuliani
riconquistarono il diretto per la capitale, il Frecciargento delle 6.45, ma, non
mancarono di rilevare i comitati, «con la clamorosa esclusione della fermata a
Monfalcone». Nel frattempo, nel biennio 2010-11, c’erano state altre
soppressioni sulle direttrici Napoli e Lecce, con l’obbligo del cambio verso le
due città del Sud (il Trieste-Napoli delle 21.54 era tra l’altro stato già
limitato a Roma prima della definitiva cancellazione). Tagli considerati a Roma
fisiologici se l’allora ministro dei Trasporti Altero Matteoli, in risposta a
un’interrogazione del senatore del Pdl Ferruccio Saro, si limitò a spiegare che
«eventuali limitazioni di tratte in Fvg sono state decise solo alla luce di
basse frequentazioni riscontrate su certe linee ma, comunque, la clientela
friulana dispone di molteplici soluzioni alternative di viaggio con interscambio
nella stazione di Venezia». Come dire, al di là di Mestre, arrangiatevi. La
sollecitazione di Saro era pure dettata dall’urgenza di «non tagliare fuori
l'euroregione Fvg dalla competizione con gli altri Paesi». Euroregione
evidentemente non così strategica se in quegli stessi anni sfumavano pure i
diretti direzione Budapest, Lubiana, Zagabria e Vienna. Un altro mondo rispetto
ai bei tempi andati quando si contavano 12 diretti al giorno da Trieste verso la
capitale austriaca. Durante la giunta Serracchiani, sempre via pagamento dei 3
milioni allo Stato, le cose si sono almeno stabilizzate. Si è pure aggiunto un
Frecciabianca Trieste-Milano, con due soli stop a Mestre e Verona, per la prima
volta sotto le 4 ore. «Stiamo tornando a collegarci con l'Italia», esultò la
neopresidente a fine 2013 presentando quel collegamento aggiuntivo alle tre
coppie di treni in servizio verso la capitale della finanza. Negli anni
successivi, tra Frecciabianca e Frecciargento, il Fvg ha così messo in fila otto
convogli veloci da Trieste e Udine verso Roma e Milano/Torino. La novità 2016,
dallo scorso settembre, sono i Frecciarossa. Con l'ingresso sulla Milano-Napoli
di cinquanta 1000 “Pietro Mennea”, sono diventati disponibili anche per la
regione gli Etr 500 in grado di sfrecciare a 300 all’ora nei tratti ad alta
velocità. Peccato che l’alta velocità in Fvg sia ancora un sogno. Così che la
riduzione dei tempi del viaggio da Trieste a Milano (con il 9710 delle 6.08 ci
si mette 3 ore e 42 minuti) è consentita non tanto dal mezzo quanto dalla Tav
Treviglio-Brescia, completata lo scorso dicembre e naturale prosecuzione della
Milano-Treviglio completata nel luglio del 2007.
Marco Ballico
Senato - Il caso approda in Parlamento - Interrogazione
di Pegorer
La decisione di Trenitalia di tagliare i treni Intercity che collegano
Trieste con Mestre finisce al centro di un’interrogazione a risposta scritta
depositata ieri dal senatore del Pd Carlo Pegorer e rivolta al Ministro delle
Infrastrutture e dei Trasporti. «La soppressione aggrava notevolmente la
situazione di isolamento del Fvg - così Pegorer - costringendo a nuovi sacrifici
i viaggiatori in partenza da Trieste, Mestre e dal basso Friuli, che dovranno
trovare in autonomia una soluzione: i due autobus sostitutivi messi a
disposizione risultano inefficaci, più lenti e disagevoli». «Non si capisce con
quale ratio sia stata presa questa decisione - prosegue il senatore - senza
contare che tutto è stato pianificato da Trenitalia tenendo, a quanto è dato a
sapere, all’oscuro la Regione Fvg e gli utenti, che vedranno ulteriormente
ridotta la praticabilità del loro abbonamento. Per questo, ho chiesto al
ministro quali misure e iniziative intenda promuovere, in accordo con le
Regioni, per salvaguardare gli attuali collegamenti Intercity e garantirli in
futuro».
I pendolari alzano la voce "Ci sentiamo presi in giro"
La madre di uno studente del Nautico: «Le alternative?
Mio figlio arriverebbe in classe con mezz’ora di ritardo o in città alle 7.20. E
il pullman è inutilizzabile»
I LAVORATORI DEL CANTIERE - Oltre una ventina di persone non riuscirà a
presentarsi in orario se non usando altri mezzi. Si solleciti un regionale
veloce
TRIESTE «Mamma di uno studente. Arrabbiatissima». Erica Del Gobbo il suo
Nicolò lo deve fare arrivare a Trieste tutti i giorni, in tempo per la prima ora
di lezione al Nautico, classe seconda. Non appena ricevuta notizia che
l’Intercity Ve-Ts del mattino sarebbe stato soppresso da lunedì 16 gennaio, ha
scritto all’assessore regionale all’Istruzione Panariti, alla collega alle
Infrastrutture Santoro, alla dirigenza del Nautico, al sindaco Dipiazza, alle
redazioni. Ieri ha aggiunto la mail estrema, a Debora Serracchiani. Perché senza
quel treno Nicolò, a scuola, non può arrivare in orario. «Siamo di Lignano
Sabbiadoro - racconta la mamma -. Al mattino accompagniamo in auto il ragazzo a
Latisana a prendere l’Ic 735. Al ritorno, sempre da Latisana, prende la corriera
per tornare a casa». Un problema anche di costi: il carburante, i 138 euro di
abbonamento al treno, i 51 euro di abbonamento alla corriera. E adesso, senza
alcun preavviso se non le anticipazioni sulla stampa, la beffa di un treno che
non c’è più. L’alternativa? «Con il collegamento successivo Nicolò entrerebbe in
aula con mezz’ora di ritardo. Con quello precedente si ritroverebbe in città
alle 7.20. E certo non potremo utilizzare il pullman sostitutivo che si prevede
a Trieste alle 8.59, un’autentica presa in giro». Non resta che sperare in un
pressing della Regione, che si è già espressa in termini molto critici con
Trenitalia («Totale contrarietà», ha detto Santoro) e che viene chiamata
all’azione dal M5S, pure dalla deputata di San Donà Arianna Spessotto,
capogruppo grillino in commissione Trasporti. «L’intervento deve essere
tempestivo», dice il consigliere regionale Cristian Sergo. «La cancellazione di
due treni da e per Venezia è l’ennesimo impoverimento per Trieste, il capoluogo
regionale è sempre più isolato», aggiunge il capogruppo in consiglio comunale
Paolo Menis. A dar man forte altri singoli utenti come Silvia Barboni di San
Michele al Tagliamento, mamma di Cristiano Tollon, studente di terza del liceo
musicale Carducci-Dante. Altra partenza in macchina verso Latisana e salita sul
735 per arrivare al suono della campanella. «Tre anni fa ho spostato mio figlio
da Udine dopo aver verificato che Trieste era meglio servita - spiega la signora
Silvia -. Adesso che quell’Ic non c’è più le cose cambiano radicalmente». Pure
la famiglia di San Michele si è mossa in fretta non appena avuto sentore del
taglio e ha interessato in primis il dirigente del liceo, da un lato per
verificare la sostenibilità di un ritardo permanente, dall’altro per suggerire
un’azione congiunta tra i vari istituti scolastici interessati dal problema. A
quanto pare gli studenti penalizzati dalla cancellazione del treno in partenza
da Mestre alle 5.50 dovrebbero essere una decina, uno in arrivo proprio dalla
città veneta e ora obbligato a recarsi a Portogruaro per trovare un collegamento
opportuno. Ma i disagi non sono solo per chi va a scuola. A prendere l’Ic 734
delle 22.06, pure soppresso da lunedì, anche turnisti e turisti. Al mattino,
invece, i pendolari sono pure docenti universitari e lavoratori diretti
soprattutto a Fincantieri. Non a caso tra i primi a rivolgersi ai comitati
pendolari è stato Giovanni Amore, capocantiere per un’azienda terziaria a
Monfalcone. «Il bus in arrivo alle 8.29, salvo inconvenienti stradali, è una
soluzione inservibile e di facciata. Purtroppo oltre una ventina di persone non
riuscirà ad arrivare in orario se non con altri mezzi. Tra l’altro il 735
garantiva lo spostamento del personale tra il cantiere di Fincantieri Marghera e
quello di Monfalcone, il cui numero è variabile in funzione dei carichi di
lavoro. A questo punto non resta che sollecitare un regionale veloce che possa
consentire l’arrivo a un orario ragionevole, tra le 7 e le 7.30, e, se
possibile, un servizio di pullman dalla stazione verso lo stabilimento». Dal
coordinatore del comitato pendolari Alto Friuli Andrea Palese un ultimo appello:
«Auspichiamo che la Regione si attivi immediatamente con Trenitalia per
ricercare una soluzione. Restiamo basiti come dal 15 dicembre ad oggi non si sia
riusciti ad alzare il telefono e a convocare un incontro e si pensi di tutelare
gli interessi degli utenti del Fvg con l’invio di una semplice lettera, seppur
dovuta».
(m.b.)
FERPRESS.it - MERCOLEDI', 11 gennaio 2017
FVG: Ambiente. Qualità aria a Trieste, prime
indicazioni sul 2016 positive
Per l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente del Friuli
Venezia Giulia (ARPA FVG), la qualità dell’aria nella zona di Trieste nel 2016
rientra negli standard previsti dalla normativa, nonostante un rilevante carico
emissivo legato principalmente al settore dei trasporti (via nave e su gomma),
al riscaldamento domestico e alle attività produttive. La qualità dell’aria nel
capoluogo della regione non presenta dunque criticità confrontabili con quelle
delle principali aree urbane del Paese e in particolare con quelle della Pianura
Padana.
I confronti tra le aree urbane possono essere effettuati solamente
rapportando i dati ufficiali diffusi dal Sistema nazionale di protezione
dell’ambiente (le ARPA/APPA e l’ISPRA) relativi a stazioni con caratteristiche
tra loro omogenee (ad esempio, stazioni di fondo urbano o di tipo traffico). Per
il confronto a livello nazionale, a oggi sono disponibili i dati del 2015,
mentre quelli del 2016 lo saranno solo dopo la conclusione delle procedure di
validazione delle misure.
Nel Rapporto ISPRA sulla qualità dell’aria nelle aree urbane nel 2015 risulta,
ad esempio, che buona parte delle stazioni di fondo urbano presenti nella
Pianura Padano-veneta presentano dei livelli di polveri sottili (PM10)
significativamente più elevati rispetto al Friuli Venezia Giulia. Il numero di
giorni con superamento della soglia di 50 microgrammi/m3 per le polveri sottili
è spesso maggiore di 70 (Torino 84-86, Milano 71-100, Vicenza 106, Padova 88,
Venezia 69-78), contro un valore di 58 a Pordenone (è il capoluogo che evidenzia
il maggior inquinamento atmosferico, principalmente a causa della sua posizione
geografica), 26-28 a Udine, 23 a Gorizia e 18-27 a Trieste.
Un’analoga situazione si presenta per la media annua della concentrazione delle
polveri sottili. Molte stazioni della Pianura Padano-veneta presentano livelli
prossimi o leggermente superiori alla soglia di legge di 40 microgrammi/m3
(Torino 36-38, Milano 33-42, Vicenza 43, Padova 38, Venezia 35), mentre in
regione la media annua delle polveri sottili si attesta su 31 microgrammi/m3 a
Pordenone, 22-26 a Udine, 23 a Gorizia e 22-26 a Trieste.
Per il 2016 in Friuli Venezia Giulia al momento possono essere fatte, dunque,
solo delle proiezioni, poiché i dati non sono ancora completamente validati. Per
garantirne la piena affidabilità dal punto di vista tecnico-scientifico,
infatti, è necessario ricorrere a una serie di complesse elaborazioni e
verifiche – di tipo normativo, tecnico, modellistico e statistico – che
richiedono anche diverse settimane.
Pur con questa precisazione, l’ARPA FVG segnala che nel 2016 le polveri sottili
sono rimaste al di sotto della soglia dei 35 superamenti giornalieri in tutte le
stazioni della rete regionale di rilevamento della qualità dell’aria (ad
esclusione di quelle posizionate per monitorare le prestazioni degli impianti
industriali). Per Trieste nella stazione di fondo urbano di via Carpineto sono
stati registrati solamente 10 giorni sopra soglia. Anche per il particolato più
fine (PM2.5) la situazione per Trieste risulta soddisfacente, dato che le
rilevazioni indicano valori abbondantemente inferiori ai 20 microgrammi/m3 come
media annua. Tale valore è inferiore al limite attuale di 25 microgrammi/m3, ma
è anche in linea con il valore obiettivo a lungo termine che entrerà in vigore
nel 2020.
Per quanto riguarda gli inquinanti tradizionali , come gli ossidi di azoto e il
benzene, già da diversi anni si sta assistendo a una progressiva riduzione nelle
concentrazioni rilevate presso le stazioni di rilevamento poste nei contesti di
fondo urbano. È da tenere inoltre presente che ulteriori dati sulla qualità
dell’aria di un comprensorio o di un’area territoriale, inclusa quella
triestina, sono forniti dalle stazioni di monitoraggio delle prestazioni degli
impianti industriali. I dati di questo secondo gruppo di stazioni – tra le quali
rientra anche quella di San Lorenzo in Selva (RFI) di Trieste – assumono
tuttavia un significato diverso, non comparabile con quelli rilevabili nelle
stazioni urbane.
Nel 2016 in RFI, sempre al netto delle necessarie operazioni di validazione, ci
sono stati 40 giorni in cui la concentrazione media delle PM10 ha superato la
soglia di 50 microcrammi/m3, mentre la media annuale si è attestata sui 30
microgrammi/m3. Tuttavia, va evidenziato che in RFI, considerata la particolare
natura della stazione prescritta dall’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA)
della Ferriera di Servola, per le PM10 è rilevante il numero di giorni con
superamento della concentrazione di 70 microgrammi/m3, che nel 2016 è stato pari
a 11, a fronte del massimo consentito dall’AIA di 35. Tali valori sono inferiori
a quanto registrato in molte aree urbane del bacino padano-veneto e comunque in
miglioramento rispetto a quanto riscontrato negli anni più recenti, in
particolare nel 2015.
L’ARPA FVG ritiene che i dati di Trieste del 2016 siano indicativi di uno stato
della qualità dell’aria complessivamente buona; tuttavia l’Agenzia sottolinea
come l’attenzione non deve in alcun modo essere abbassata, ma devono proseguire
le azioni di contenimento delle emissioni previste dalla normativa nazionale e
recepite anche in ambito regionale. Ciò è importante in primo luogo perché, in
particolare a Trieste, la qualità dell’aria è fortemente dipendente dalle
condizioni meteorologiche e anni di ristagno atmosferico, come il 2012 o il
2007, possono portare nuovamente a superare i limiti di legge. In secondo luogo
perché, come mostrato da recenti studi, ridurre le emissioni di sostanze
inquinanti quali gli ossidi di azoto, i composti organici volatili e il PM10
comporta dei benefici anche in termini di lotta ai cambiamenti climatici.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 11 gennaio 2017
Antenna al Farneto - L’ira ambientalista - Fa discutere la scelta di posizionare il ripetitore all’interno di un parco pubblico. Le associazioni: «Inappropriato»
C’è un nuovo ripetitore per la telefonia privata sul colle di Chiadino. E questo, di suo, non farebbe di certo notizia, tanti sono i tralicci che fanno capolino tra edifici, androne e periferia triestina.
Ripetitori che consentono a tutti i cittadini di utilizzare i propri telefonini a casa, in strada, sugli autobus, ovunque. Dannoso o meno lo si voglia considerare, il telefonino rappresenta un ausilio irrinunciabile per restare in contatto con il resto del mondo, vicino o lontano che sia. Questa volta però la questione è diversa. La nuova antenna è stata costruita all’interno del parco e bosco pubblico del Farneto, a pochi metri dalla Gloriette e a un tiro di schioppo dal palazzo del Ferdinandeo. A nemmeno una cinquantina di metri dal nuovo ripetitore, in una proprietà privata posta al culmine di via De Marchesetti, un altro traliccio funziona da tempo. E dunque nemmeno i parchi pubblici - il bosco del Farneto è il principale della nostra città, sorta di monumento verde regalato alla città da Francesco I d’Austria nel 1844 - risultano risparmiati da impianti tecnologici che emettono campi magnetici. Che contribuiscano o meno all’aumento dell’elettrosmog, è evidenza che lasciamo volentieri agli studiosi e agli specialisti del settore per l’ennesima disputa sui pro e sui contro la costruzione di tali impianti. Quel che qui importa è constatare come neppure nei boschi si possa pensare di poter passeggiare immersi in una natura che sia tale. Eppure il desiderio di sentirsi parte di qualcosa che profuma di magia, di incanto, di libertà sta ancora nei cuori di tante persone. Girolamo Agapito, nella sua “Descrizione della fedelissima città di Trieste unitamente alle sue vicinanze e passeggi (Vienna, 1830)” descrisse un Cacciatore ben diverso: «Fra gruppi di querce annose, vi è la casa attinente alla società dilettanti del Bersaglio, la quale specialmente nelle giornate festive vi tiene i suoi nobili esercizi». «In effetti la questione estetica ha il suo peso - afferma la vicepresidente della sezione triestina di Italia Nostra Giulia Giacomich -. Non discuto sul fattore sanitario e sul fatto della necessità di piazzare proprio in quel punto il traliccio per coprire una certa zona. Quello che intendo dire è che dal punto di vista paesaggistico un impianto del genere nel Boschetto non ci sta certo bene. Io risiedo vicino a un bosco altrettanto bello, quello del Bovedo. A pensarci, sarebbe davvero assurdo erigere un traliccio in questa sede». «È difficile valutare l’impatto del nuovo ripetitore sulla salute di animali e persone - interviene per la sezione locale di Legambiente Circolo Verdeazzurro Lino Santoro -. Come sempre è una pura questione di soldi e per l’amministrazione comunale un’entrata del genere appare tutt’altro che disprezzabile. Fermo restando che ritengo che la responsabilità di questo impianto non debba ricadere sull’attuale Giunta - precisa -. Comunque sia, dal punto di vista urbanistico costruire un traliccio nel Farneto è inappropriato. Continua a mancare un regolamento nel quale vengano individuate le aree dove possano essere ospitati tali impianti - prosegue -. Ci troviamo in un bosco pubblico, uno spazio nel quale si deve promuovere solo la cultura dell’ambiente nei suoi diversi aspetti. Se mi si passa la similitudine, è come aver posizionato in una chiesa una statua del diavolo».
Maurizio Lozei
Qualità dell’aria - L’Arpa “smentisce” Legambiente «Nel 2016 sforamenti nella norma» - il caso
Contrordine, a Trieste non si sta poi così male. A pochi giorni dal dossier di Legambiente, che segnalava per l’anno appena passato 38 giornate di sforamento delle soglie limite di polveri sottili, collocando il capoluogo del Friuli Venezia Giulia tra le città più inquinate d’Italia , ecco la presa di posizione dell’Arpa.
A detta dell’Agenzia regionale, nel 2016 la qualità dell’aria rientrava pienamente negli standard di legge. Anche se, ammette proprio l’Arpa, i cittadini hanno comunque dovuto fare i conti con un “rilevante” carico di emissioni legate ai trasporti (traffico e porto), al riscaldamento domestico e alle attività produttive. Tirando le somme, Trieste «non presenta criticità confrontabili con quelle delle principali aree urbane del Paese e in particolare con quelle della pianura Padana». Le ragioni sono squisitamente tecniche. O di metodo: i confronti tra le aree urbane, avverte l’agenzia, si possono fare soltanto mettendo in rapporto i dati ufficiali diffusi dal Sistema nazionale di protezione dell’ambiente (le Arpa/Appa e Ispra) sulla base delle rilevazioni che risultano dalle centraline con caratteristiche omogenee. Un’analisi di questo tipo nel territorio nazionale, a oggi, non sarebbe possibile perché manca ancora il timbro sui dati. L’Arpa fa dunque notare che nel Rapporto Ispra sulla qualità dell’aria dei centri urbani per il 2015 risulta, ad esempio, che buona parte delle stazioni presenti nella pianura padano-veneta presentano dei livelli di polveri sottili (Pm10) significativamente “più elevati” rispetto al Friuli Venezia Giulia. Di quanto? Il numero di giorni in cui è avvenuto un superamento della soglia di 50 microgrammi/m3 per le polveri sottili è spesso maggiore di 70 (Torino 84-86, Milano 71-100, Vicenza 106, Padova 88, Venezia 69-78); contro un valore di 58 a Pordenone (è il capoluogo che evidenzia il maggior inquinamento atmosferico, principalmente a causa della sua posizione geografica), 26-28 a Udine, 23 a Gorizia e 18-27 a Trieste. Questo, dunque, il verdetto per il 2015. Un quadro sostanzialmente analogo che si presenta per la media annua della concentrazione delle polveri sottili: molte centraline della pianura padano-veneta evidenziano livelli prossimi o leggermente superiori alla soglia di legge di 40 microgrammi/m3 (Torino 36-38, Milano 33-42, Vicenza 43, Padova 38, Venezia 35), mentre in regione la media annua delle polveri si attesta su 31 microgrammi/m3 a Pordenone, 22-26 a Udine, 23 a Gorizia e 22-26 a Trieste. Tutto da definire, invece, l’andamento esatto dell’anno scorso. «Al momento - precisa una nota dell’Arpa - possono essere fatte solo delle proiezioni, poiché i dati non sono ancora completamente validati». Per garantirne la piena affidabilità su piano scientifico bisogna ricorrere a una serie di elaborazioni e verifiche che richiedono diverse settimane. L’Arpa precisa, tuttavia, che nel corso del 2016 le polveri sono rimaste al di sotto del tetto dei 35 superamenti giornalieri in tutte le stazioni della rete regionale di rilevamento. Discorso diverso per il monitoraggio degli impianti industriali: la centralina di San Lorenzo in Selva, che si trova in prossimità della Ferriera, nel 2016 ha riportato 40 giorni di sforamento di Pm10 del valore limite di 50 microgrammi/m3, mentre la media annuale si è attestata sui 30 microgrammi/m3. L’Aia, tuttavia, considera come rilevante il numero di giorni con superamento della concentrazione di 70 microgrammi/m3, che nel 2016 si è attestato a 11, a fronte del massimo consentito di 35. Tali valori «sono inferiori a quanto registrato in molte aree del bacino padano-veneto e comunque in miglioramento rispetto a quanto riscontrato negli anni più recenti, in particolare nel 2015».
Gianpaolo Sarti
Parchi inquinati e fitorimedi in commissione
Domani alle 16.30, nella Sala giunta del Municipio, è annunciata una
sorta di “Conferenza dei servizi” per tentare di risolvere la questione dei
parchi pubblici inquinati.
Alla Quarta commissione del Consiglio comunale competente in materia di Lavori pubblici, Patrimonio immobiliare Verde pubblico, convocata dal suo presidente, Michele Babuder di Forza Italia, per la trattazione del tema “Aree verdi e giardini comunali contaminati: discussione e valutazione dell’ipotesi di impiego di fitorimedi”, sono stati infatti invitati anche «i referenti di Arpa, Regione, Asuits, Università e Provincia», come si legge proprio nel documento di convocazione, indirizzato da Babuder anche agli assessori Elisa Lodi e Luisa Polli, le cui responsabilità nella giunta Dipiazza riguardano rispettivamente le deleghe ai Lavori pubblici e a Città e territorio, Urbanistica e Ambiente.
Rivive la rete dei sentieri attorno al centro di Banne - intitolata a Burgstaller-Bidischini
BANNE - È tornato a vivere lo storico circuito di sentieri che circonda la frazione di Banne, sull’altopiano triestino. Si tratta del frutto del lavoro svolto in collaborazione fra il Centro didattico naturalistico del Corpo forestale regionale e il Circolo culturale Grad.
Questo sentiero escursionistico è stato intitolato a Giuseppe Burgstaller-Bidischini, importante uomo politico triestino dell’Ottocento, che ricoprì, fra gli altri, il ruolo di presidente della Commissione d’imboschimento del Carso e fu l’ultimo proprietario, assieme alla consorte, di un’antica tenuta del paese di Banne. L’itinerario unisce sentieri già esistenti e frequentati, fin dall’Ottocento, da numerosi escursionisti e, nella sua parte centrale, coinvolge il percorso dall’Alpe Adria Trail che collega i Tauri all’Adriatico ed è l’unico che consente di raggiungere il Carso a piedi. Per permettere a tutti coloro che vorranno ammirare, fruendo del Burgstaller-Bidischini, il tratto dell’altipiano che va da Banne a Opicina, godendo, fra l’altro, della magnifica vista che si apre all’altezza della vecchia cisterna, una realizzazione che risale al 1849 e serviva a fornire acqua all’intero abitato, è stata realizzata una pubblicazione. «Si tratta di 25 pagine - spiega Diego Masiello, ispettore forestale, responsabile del Centro didattico naturalistico di Basovizza, dove la pubblicazione è disponibile - all’interno delle quali si trovano tutti i riferimenti storici relativi alla presenza della famiglia Burgstaller-Bidischini a Banne e illustra i 15 punti informativi storici e naturalistici di questo percorso. Nel testo ci sono anche puntuali riferimenti florofaunistici, che arricchiscono la pubblicazione, rendendo molto interessante il circuito anche sotto il profilo naturalistico». L’anello propone complessivamente una passeggiata di circa cinque chilometri, che parte nei pressi della caserma “Monte Cimone”, attualmente in disuso, per raggiungere, dopo un passaggio nel bosco, la cisterna che, all’epoca del suo utilizzo, era capace di contenere fino a 70mila litri d’acqua. Sono ancora visibili alcuni dei canali che la alimentavano. Una parte del percorso comprende anche l’attraversamento del vecchio campo carro armati. «Si tratta di un'area - precisa Masiello - nella quale è rimasta pressoché intatta la classica landa carsica. Siamo molto soddisfatti - conclude il coordinatore del Centro di Basovizza - perché questo sentiero riporta ai saperi di un tempo, al rapporto secolare fra l’uomo e l’ambiente che lo circonda». Alla cerimonia di inaugurazione, alla quale hanno partecipato una cinquantina di persone, che hanno sfidato l'intenso freddo di questi giorni, ha presenziato, in rappresentanza del Comune, l’assessore Maurizio Bucci.
Ugo Salvini
Un progetto per crociere meno inquinanti - Elaborato da
Area science park tende a razionalizzare l’afflusso dei passeggeri e dei
rifornimenti
Il turismo crocieristico rappresenta un settore in crescita in Italia e a
Trieste. Questo tipo di turismo sembra fornire impulso alle economie locali,
creando investimenti e occupazione e aumentando la notorietà internazionale
delle città di destinazione, ma crea anche problemi alla viabilità urbana e
periurbana durante le operazioni di imbarco e sbarco dei passeggeri e quelle di
carico/scarico merci e fornitura di servizi. La questione viene affrontata dal
progetto “Locations” (Low carbon in cruise destination cities) con l’obiettivo
di sostenere le amministrazioni pubbliche locali nella redazione di piani di
mobilità a bassa emissione di carbonio, che prevedano misure specifiche dedicate
a ottimizzare il flusso di merci e persone conseguente al turismo da crociera.
Il progetto “Locations”, finanziato dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale,
è promosso da Area Science Park e sviluppato in collaborazione con l’Autorità di
sistema portuale, con il sostegno del Comune di Trieste e della Regione. Vi
partecipano diciannove partner di Italia, Croazia, Spagna, Portogallo e Albania,
con il coinvolgimento di sette città portuali europee: Trieste, Ravenna,
Lisbona, Malaga, Zara, Fiume e Durazzo. Una metodologia sarà testata per
rispondere alle specifiche problematiche legate alla mobilità nelle città
coinvolte. L’idea è definire pacchetti modulari di interventi esportabili in
diversi Paesi dell’area mediterranea che contribuiscano a decongestionare il
traffico cittadino e a ridurre inquinamento e impatto ambientale. Sono previste
anche campagne di sensibilizzazione che incoraggino azioni di responsabilità per
migliorare la qualità della vita nelle città, con il coinvolgimento di cittadini
e passeggeri. «La sfida da cogliere è quella di progettare soluzioni di mobilità
per passeggeri e merci capaci di preservare le risorse naturali, paesaggistiche
e culturali dei porti a destinazione crocieristica, in modo da conservarne il
loro valore attrattivo nel tempo – spiega Fabio Tomasi di Area science Park -
“Locations” contribuirà a definire piani per la gestione sostenibile del
traffico generato dalle crociere da inserire all’interno dei Piani urbani della
mobilità sostenibile (Pums) e dei Piani d’azione per l’energia sostenibile (Paes)
delle città coinvolte. Area in questo punta a rafforzare il ruolo di referente
tecnico per le pubbliche amministrazioni su temi strategici, come è quello della
mobilità sostenibile».
Cancellati due Intercity Trieste-Venezia - Tagli
operativi da lunedì. L’ira della Regione: «Da Trenitalia iniziativa sconcertante
e non concordata». La rabbia dei pendolari
TRIESTE Stavolta non c'è stato un salvataggio in extremis. Dal 16 gennaio la
coppia di Intercity Trieste-Venezia verrà soppressa, come da rumors di inizio
dicembre. Al posto dei due collegamenti gli utenti troveranno altrettanti
autobus. La notizia era nell'aria, ma ieri sono arrivate le definitive conferme.
Nel sito di Trenitalia, a partire da lunedì prossimo, non compare più l'Ic 734
in partenza da Trieste alle 22.06 e arrivo a Mestre alle 00.05. Stessa sorte per
il gemello 735 in partenza dalla città veneta alle 5.50 e arrivo nel capoluogo
regionale alle 7.46. Un taglio secco cui l'assessore regionale ai Trasporti
Mariagrazia Santoro ribatte con la «totale contrarietà della Regione e lo
sconcerto per le modalità attuative della decisione». Fatto sta che quei due
treni (il primo per turnisti e turisti, il secondo anche per i pendolari),
entrati nel mirino perché non troppo frequentati (a volte non si andava oltre i
40 passeggeri), non verranno più finanziati dal ministero in una fase in cui,
d'intesa con Fs, si interviene anche in altre parti d'Italia a fronte di un
servizio Intercity che accumula ogni anno 45 milioni di perdite. I pendolari
sono informati dei fatti, ma non digeriscono. La notizia della sforbiciata è
confermata nel blog del comitato Alto Friuli e non è per nulla addolcita dalla
futura presenza dei bus. Quello del mattino, in particolare, partirà alle 5.50
da Mestre e arriverà a Monfalcone alle 8.29 (anziché alle 7.21 dell'IC) e a
Trieste alle ore 8.59 (anziché alle 7.46). «Soluzione inservibile e di mera
facciata», avevano già tuonato i passeggeri che non dimenticano di far sapere
che una loro mail di metà dicembre indirizzata all'Ufficio mobilità della
Regione e all'assessore Santoro non ha avuto riscontro. «La doppia cancellazione
- si legge ancora nel blog - comporterà un grave danno a molti lavoratori che
utilizzano questi collegamenti per recarsi soprattutto alla Fincantieri di
Monfalcone e agli studenti residenti nella Bassa friulana e nel Veneto orientale
diretti a Trieste». Il Comitato, ricordate un paio di alternative via treno,
chiede quindi l'immediata convocazione di un tavolo tra la Divisione passeggeri
Long Haul di Trenitalia, la Regione Fvg e la Regione Veneto allo scopo di
rivedere «l'orologio di Mestre» e chiama in causa anche Debora Serracchiani:
«Dalla presidente, spesso a Roma e responsabile nazionale per i trasporti del Pd,
ci attendiamo una decisa presa di posizione con i vertici nazionali di
Trenitalia, che vada ben oltre a una semplice letterina spedita prima di
Natale». Una prima risposta arriva da Santoro. «Si tratta di treni pagati
direttamente dallo Stato a Trenitalia ma complementari al servizio di trasporto
regionale - precisa l'assessore -. La Regione è nettamente contraria a questa
soluzione, che impatta anche sul trasporto pendolare del nostro territorio e ha
già espresso questa posizione in modo diretto e formale a Trenitalia, che
inspiegabilmente non ha dato riscontro alle nostre lettere. Cosa ancora più
grave, non ha comunicato ufficialmente alla Regione alcunché sulla sua scelta,
condizione minima per consentire di valutare per tempo effetti e definire azioni
correttive per non danneggiare l'utenza e i cittadini». Che fare ora? «La
sostituzione dei due treni con altrettanti autobus risulta una soluzione
inefficace e di nessuna attrattività. La Regione continuerà nei prossimi giorni
il pressing nei confronti del ministero e di Trenitalia per risolvere la
situazione». Sulla vicenda interviene con una nota, critica con Serracchiani,
anche il M5S. Il consigliere regionale Cristian Sergo, demolita come «inutile»
la soluzione bus, cita i disagi dei pendolari della Bassa friulana, mentre la
consigliera comunale di Latisana Loredana Pozzatello segnala la beffa per chi ha
acquistato l'abbonamento mensile per un servizio che a metà mese evaporerà.
Marco Ballico
La maxi tartaruga spiaggiata dalla bora - Melita
è stata rinvenuta e soccorsa sul litorale dello Zaratino - Il veterinario: «Ci
sono voluti otto uomini per trasportarla»
ZARA Si è spiaggiata dopo essersi opposta con tutte le sue forze ai refoli
di bora che superavano i 150 chilometri orari. Un magnifico e anziano esemplare
di tartaruga marina (Caretta Caretta) ha dovuto ieri mattina guadagnare
giocoforza la terraferma lungo il tratto costiero tra le località di Carino e
Pridraga, nell’entroterra di Zara. L’enorme rettile è stato avvistato da un
abitante di Pridraga, Ivica Culina, che ha provveduto immediatamente ad
allertare il veterinario locale Marino Mirceta. «Nelle acque dello Zaratino sono
già accaduti casi simili e personalmente ho curato questi stupendi animali,
purtroppo a rischio di estinzione - ha detto il veterinario - ci sono voluti
otto uomini per trasportare la tartaruga a casa mia, dove ha avuto le prime
cure. Non ho mai visto una Caretta Caretta così grande. Da quanto ho potuto
osservare, ha sicuramente un secolo di vita. Per fortuna non ha riportato ferite
serie e tutto sommato appare alquanto in forma. Non l’ho portato nella stazione
di veterinaria perchè la porta sarebbe stata sicuramente troppo stretta per
farvi entrare questo gigantesco esemplare. Gli abbiamo alzato la temperatura
corporea, cosa di cui aveva bisogno. Lo abbiamo fatto con dell’acqua di mare
riscaldata e infine gli abbiamo messo sopra una coperta. Melita, questo il nome
che le ho dato, ha gradito». L’animale sarà ora trasferito al Centro di recupero
delle tartarughe a Pola, dove avrà tutta l’assistenza necessaria da parte di un
team di esperti, che sicuramente la rimetterà in sesto. Il viaggio di Melita da
Zara a Pola avverrà a bordo di un furgone la cui parte posteriore è stata
trasformata in una specie di mini piscina, dove questa specie di Matusalemme dei
mari potrà restare tranquilla per un paio d’ore. Certo che la bora e le
temperature rigide di questi giorni (fino a 10 gradi sottozero) non hanno
riservato alla tartaruga la sorte toccata un paio d’anni fa a parecchi esemplari
di pesci, tipo branzini, cefali, sogliole e altre specie, uccisi a causa delle
pessime condizioni meteo marine e finiti in diverse spiagge di Zara, Pago e
dintorni. Per la gran gioia di chi li aveva raccolti e successivamente cucinati.
Andrea Marsanich
IL PICCOLO - MARTEDI', 10 gennaio 2017
Il mondo delle due ruote in diretta Facebook - Domani a
partire dalle 10 il confronto con il presidente di Fiab-Ulisse organizzato dal
Piccolo
Strade più sicure e una maggiore sensibilità nei confronti degli amanti
della bicicletta, a cominciare dai posti per parcheggiarle. È la Fiab
Trieste-Ulisse, l'associazione che si batte per la viabilità sostenibile, a
esortare il Comune a intervenire con provvedimenti che incentivino l’utilizzo
delle “due ruote” nell’area urbana.
Lo farà anche domani con il proprio rappresentante, Federico Zadnich, nella diretta Facebook organizzata dal “Piccolo” a partire dalle 10. Una quarantina di minuti in cui verrà affrontato anche l'argomento che più ha fatto scalpore in queste settimane: il regolamento del municipio che potrebbe dare mano libera alla Polizia locale, consentendo agli agenti di tagliare le catene e i lucchetti di tutte le bici agganciate a pali, semafori o ringhiere. Cioè non negli stalli preposti. «Faremo una controproposta - anticipa Zadnich - che diffonderemo proprio durante la diretta Facebook, perché la tolleranza zero che dimostra il Comune non è accettabile. Proponiamo una soluzione di buon senso, pensata per tutelare il decoro ma pure i ciclisti. Tagliare le catene e dare multe è un approccio repressivo al problema che non condividiamo». «Nelle altre città d'Italia ciò non esiste - prosegue l’esponente di Fiab Ulisse - è permesso invece parcheggiare nelle aree pedonali con paletti pensati a non impedire il passaggio di persone, mezzi di soccorso e disabili». L'altro tema di cui si dibatterà investe le iniziative per promuovere la viabilità sostenibile, come gli incentivi per l'acquisto di biciclette particolari. «Sono quelle con la pedalata assistita - ricorda il rappresentante della Fiab Trieste-Ulisse - la Regione ha rinnovato il bonus». Si parlerà, più in generale, pure della sicurezza stradale e delle promesse della giunta comunale. Questione questa, emersa anche alla luce degli ultimi fatti di cronaca. «Come Fiab Trieste-Ulisse - scriveva Zadnich recentemente - facciamo notare che tra gli impegni presi in campagna elettorale dal sindaco Dipiazza vi è quello di utilizzare il 10% dei fondi a disposizione per i lavori pubblici finalizzati per la sicurezza di pedoni e ciclisti. Ha inserito questo punto anche nel programma dei suoi primi 100 giorni predisponendo un piano apposito».
(g.s.)
Incidenti stradali, anche ciclisti e pedoni sono responsabili - LA LETTERA DEL GIORNO di Fulvio Zonta
Pare che il bilancio cittadino dell’ultimo semestre
evidenzi un calo negli introiti da multe. In effetti anche la sanzione più
comune come il divieto di sosta deve essere diminuita, si vedono vetture
impunemente in sosta vietata in molte vie. Ci sono poi quelle piccole infrazioni
che risultano essere molto pericolose per chi le commette , ma soprattutto
coinvolgono terzi. Pedoni che attraversano con il rosso, maratoneti e
pattinatori che si allenano sulla carreggiata, ciclisti che percorrono viale
Miramare in gruppo, invece che in fila, ma soprattutto nelle ore serali privi di
segnalazione luminosa. Tutte attività pericolosissime e giustamente sanzionate
dal codice. Investire un ciclista o un pedone che attraversa la strada
all’improvviso è un trauma anche per chi guida, oltre al lato emotivo si viene
coinvolti in una serie di incombenze pesanti che non di rado si concludono
davanti al giudice. Possibile che non si riesca a mettere in campo una moral
suasion comminando poche di multe ben pubblicizzate che servano da monito e
deterrente? La prevenzione non si fa solo piazzando l’autovelox in una giornata
feriale di dicembre in viale Miramare alle nove del mattino, ma anche
sanzionando i semplici che percorrono la corsia preferenziale destinata agli
autobus in bicicletta come se fossero sulla ciclabile del Danubio. Oppure
perseguendo i pensionati che con scatto non bruciante ma improvviso attraversano
la via Carducci nonostante il semaforo rosso, con una foga degna di miglior
causa. Non servono misure draconiane o pistole: basta il buon senso. Ci
propinano le statistiche dei morti evitati dal tutor, ma nessuno parla dello
stress dei conducenti di veicoli pubblici costretti ad evitare con manovre
improvvise le bizzarrie di pedoni e ciclisti. Poi quando accade l’inevitabile
entrano in campo periti, avvocati, assicurazioni, magistrati, ma la società ha
già perso pagando soccorsi, assistenza, cure, riabilitazione, cause civili e
penali, patenti sospese. Non dimentichiamo che la maggior parte degli incidenti
mortali avviene nella cinta urbana: un comportamento adeguato è dovere di tutti
gli utenti.
IL PICCOLO - LUNEDI', 9 gennaio 2017
Via Bonomea, cinghiale contro auto - L’animale
all’improvviso sulla carreggiata. La vettura ha riportato dei lievi danni
Ennesimo episodio con protagonisti i cinghiali, ieri mattina in via
Bonomea. Per la precisione un cinghiale, che ha invaso la carreggiata
sfortunatamente scontrandosi con una vettura che stava transitando in quel
tratto di strada. L’automobilista, evidentemente, non ha fatto in tempo a
schivare l’animale, definito di buona taglia, che ha così impattato il frontale
dell’auto.
Dopo l’urto il cinghiale è corso via, probabilmente ferito, e la vettura è rimasta danneggiata lievemente nella parte anteriore. L’incidente è avvenuto verso le 11 di ieri, mentre l’automobilista stava risalendo via Bonomea, che a tratti è contigua a “isole” di vegetazione, che gli animali da tempo frequentano. «Mi chiedo chi pagherà i danni provocati da questi animali, ormai diventati un rischio anche per chi guida» ha commentato l’automobilista dopo la disavventura. «Ormai i cinghiali da anni stanno danneggiando proprietà» ha chiosato. Sono ormai lunghi la diatriba e il rimpallo di responsabilità sul proliferare di questi animali, così come le polemiche su come contenerne la crescita.
IL PICCOLO - DOMENICA, 8 gennaio 2017
Trieste fra le città più inquinate d’Italia - Il rapporto annuale di Legambiente sugli sforamenti delle polveri sottili - La lista si è ridotta rispetto al 2015 ma il capoluogo Fvg è ancora presente
È ultima in classifica, ma c’è. E non è una bella classifica. Con 38 giorni di sforamento Trieste compare tra le 32 città italiane inquinate nel 2016. Lo certifica un’elaborazione di Legambiente su dati Arpa. L’associazione ambientalista sforna come di consueto Mal’Aria di città, il dossier sulla qualità dell’aria respirata nel Paese. La situazione in città Trieste, l’anno scorso al quarantottesimo posto con 36 giorni di sforamento della soglia limite di 50 microgrammi per metro cubo di polveri sottili (Pm10) si ritrova una volta ancora nell’elenco: è la quinta volta negli ultimi otto anni. A far testo sono i valori registrati dalla centralina urbana peggiore. Nel caso di Trieste si tratta delle rilevazioni di via San Lorenzo in Selva, lì dove, dal 2007, si verificano le emissioni della Ferriera. Rispetto al 2015 gli sforamenti nel capoluogo regionale sono saliti da 36 a 38 in un contesto generale tuttavia migliore: le città fuorilegge rispetto al dettato del decreto legislativo 155/2010 che prevede un numero massimo di 35 giorni/anno con concentrazione over 50 microgrammi/metrocubo sono scese da 48 a 32. La graduatoria Guardando ai posti alti della classifica, Torino (86 sforamenti), Frosinone (85), Milano e Venezia (73) si piazzano ai primi posti, quindi Vicenza (71), Padova e Treviso (68). Fra le prime dieci città, il risultato migliore da un anno all’altro è di Pavia, che passa dal secondo all’ottavo posto e vede calare i giorni inquinati da 114 a 67. A preoccupare è soprattutto il Nord. In Lombardia tranne Sondrio e Varese tutte le città indossano la maglia nera, in Veneto si salva solo Belluno, in Piemonte lo smog riguarda quattro province su otto, in Emilia Romagna quattro su nove. La posizione di Legambiente «Molte città italiane sono costantemente in allarme smog sia per le ricorrenti condizioni climatiche che favoriscono l’accumulo degli inquinanti, sia per la mancanza di misure adeguate a risolvere il problema - commenta Rossella Muroni, presidente di Legambiente -. Sono necessari interventi strutturali, di lunga programmazione, i cui tempi di messa in opera superano quelli del mandato elettorale di un sindaco». Di qui l’appello dell’associazione a favore di un piano nazionale «che aiuti i primi cittadini a prendere e sostenere le decisioni giuste, anche radicali e a volte impopolari, per la cui realizzazione occorrono peraltro investimenti largamente al di sopra della portata dei Comuni, stretti dal patto di stabilità. Troppo spesso i sindaci sono lasciati soli di fronte all’emergenza e improvvisano cure inadeguate e scarsamente efficaci - prosegue Muroni -. Per questo Legambiente ha preparato un elenco di proposte sugli interventi necessari a migliorare davvero la qualità dell’aria. Bisogna da un lato trasformare strutturalmente le città, le modalità di trasporto e di spostamento, i servizi e le infrastrutture, dall’altro - conclude la presidente dell’associazione - riqualificare il patrimonio edilizio pubblico e privato rendendolo energeticamente sostenibile». La ricetta Dieci le proposte di Legambiente. Se lo spazio pubblico è per l’80% destinato alla carreggiata e al parcheggio, vanno ridisegnati innanzitutto strade, piazze e spazi urbani per favorire gli spostamenti a piedi e in bicicletta. In prospettiva servono dunque piste ciclabili, una mobilità “emissioni zero”, autobus più rapidi, affidabili ed efficienti, una flotta di mille treni pendolari, metropolitane, tram e diecimila bus elettrici o a bio-metano per il trasporto pubblico all’interno di città in cui bandire i veicoli diesel. Obiettivo nel quinquennio: ridurre gli spostamenti in macchina a non più di uno su tre. Sosta e combustibili Le ultime mosse riguardano l’istituzione di zone a pedaggio urbano e di una politica tariffaria sulla sosta mirata a utilizzare le conseguenti risorse per l’efficientamento del trasporto pubblico locale, la riqualificazione degli edifici pubblici e privati per ridurre i consumi energetici e le emissioni inquinanti (quattrocentomila interventi all’anno tra ristrutturazioni radicali e ricostruzioni), il divieto dell’uso di combustibili fossili, con esclusione del metano, nel riscaldamento degli edifici per incentivare, a partire dalle aree urbane, l’utilizzo delle moderne tecnologie che migliorano l’efficienza e riducono le emissioni.
Marco Ballico
«C’è un mix di problemi in ballo» - L’assessore Polli:
«Dall’uso dei veicoli ad aziende come la Ferriera, fino alle navi»
È ultima in classifica, ma stavolta stare sul fondo sta a indicare che i
danni sono più limitati. Anche se ha sforato due giorni in più rispetto al 2015,
Trieste è nella classifica di Legambiente che annuncia le 32 città che l’anno
scorso hanno superato la soglia di polveri sottili consentita per legge.
L’assessore comunale all’Ambiente Luisa Polli, consapevole del dato, prosegue
nel contrattacco annunciato all’avvio del suo mandato, nell’attesa dei nuovi
progetti ministeriali e comunitari sulla questione inquinamento che dovrebbero
essere annunciati a breve. «Rientra fin dall’inizio nella mia idea, perché c’è
anche nel programma di governo, la volontà di rafforzare la rete pubblica più
possibile, di creare parcheggi di contorno alla città, di usare i mezzi
elettrici - afferma -. Poi bisogna pensare ad alcune aziende presenti sul
territorio: una per tutte la Ferriera. E a un elemento storico per le città di
mare ovvero le navi che arrivano in porto. L’analisi è molto complessa e
strutturata su diverse fasce di problematiche». Ma l’unione fa la forza e dunque
i gettoni europei potrebbero aiutare a sanare il tappo di inquinamento. «Ho
parlato con il ministero dell’Ambiente - prosegue l’assessore - per vedere di
partecipare a qualche forma di progettazione comunitaria che ci consenta di fare
una sistematica educazione ambientale nelle scuole almeno dell’obbligo.
Usciranno una serie di programmi e presterò molta attenzione attraverso gli
uffici per tentare di essere soggetti finanziati per questo tipo di interventi».
Per quei giorni in più di sforamento rispetto ai 36 del 2015 l’ex sindaco
Roberto Cosolini non sembra davvero preoccupato, perché «possono dipendere molto
- afferma - anche da fattori meteoreologici, se c’è scarsa circolazione eolica.
Se le variazioni sono leggere, può accadere questo». Ma in ogni caso la
complessità c’è: «Trieste ha un problema di polveri sottili, come altre città
italiane, e per questo è necessaria anche l’attuazione del Piano del traffico
che a suo tempo avevamo varato. Cioè ridurre il traffico automobilistico
privato, privilegiando trasporto pubblico, pedoni e ciclabilità». A spronare la
programmazione di «un piano energetico ancora mai realizzato a Trieste» è
Giorgio Cecco, coordinatore regionale di FareAmbienteFvg, «collegandolo - spiega
- a quello del traffico e del piano regolatore». Ma bisogna puntare in primis, a
suo giudizio, sul risparmio energetico: «L’inquinamento poi è prodotto da varie
sorgenti, anche dalla Ferriera. Bisogna incentivare il trasporto pubblico con
nuove corsie preferenziali per il bus, riprendere in mano il discorso della
mobilità elettrica e limitare il traffico da attraversamento». Andrea
Wehrenfenning, presidente del Circolo Verdeazzurro di Legambiente Trieste,
spinge sull'attuazione «di un piano nazionale e regionale per la mobilità
elettrica. Anche i Comuni devono attivarsi. Hera, ad esempio, ha distribuito le
postazioni, ma se non ci sono incentivi nazionali per fare costare meno l’auto,
non si fa nulla». Propone dunque nell’attesa «un miglioramento dei mezzi
pubblici e l’installazione del “car sharing”, anche elettrico, per la mobilità
obbligatoria, c’è un progetto regionale che sta aspettando fondi europei. Questo
diminuirebbe molto il numero delle auto usate, che a Trieste dovrebbero servire
solo per andare in Carso o per uscire la sera tardi». Per Andrea Ussai,
consigliere regionale M5S, «c’è un problema sulla centralina di San Lorenzo in
Selva dove spesso il valore non è disponibile e inoltre è stato aumentato lo
sforamento limite di polveri sottili da 50 per metrocubo a 70, perché non la
considerano una centralina che rileva la qualità dell’aria, bensì che misura la
performance dell’impianto siderurgico. Quindi i dati non sono paragonabili».
(b.m.)
Il verde pubblico - La scoperta dei giardini inquinati
Trieste è anche alle prese con il problema dei giardini inquinati. Il caso
era scoppiato la scorsa primavera in seguito alla scoperta dei livelli di
tossicità riscontrati in ben sette dei dodici punti campionati dall’ex giunta
Cosolini per verificare l’impatto della Ferriera non solo nell’aria, ma pure nel
suolo. Nell’elenco ora figurano piazzale Rosmini, il Miniussi di Servola e il de
Tommasini di via Giulia. E, ancora, due scuole dell’infanzia ed elementari che
si trovano a Servola: il don Chalvien di via Svevo e la Biagio Marin di via
Praga. Sono ritenuti contaminati pure i cortili della chiesa San Lorenzo e
dell’Associazione amici del presepio in via dei Giardini. In tutti questi siti
sono spuntati inquinanti al di sopra dei limiti di legge: benzopirene, ad
esempio, ma anche benzoantracene e benzofluorantene. Le decisioni finali su come
intervenire spettano alla Conferenza dei servizi. Il Comune ha proposto
l’utilizzo di una speciale “pianta spugna” in grado di assorbire le sostanze
tossiche del terreno. Una soluzione, questa, che potrebbe essere impiegata
proprio nel giardino pubblico di via Giulia.
(g.s.)
L’industria - Il braccio di ferro su Servola
Il tema dell’inquinamento, a Trieste, fa spesso rima con l’annosa vicenda della Ferriera. Sul destino dello stabilimento siderurgico di Servola, su cui è in atto un duro braccio di ferro tra l’amministrazione comunale della giunta Dipiazza e la proprietà, Arvedi, pesano anche le indagini della magistratura del capoluogo. Proprio recentemente la Procura ha annunciato l’intenzione di posizionare alcuni “nasi elettronici” in grado di analizzare le componenti chimiche degli odori e valutarne l’esatta provenienza. Il capitolo “odori” è previsto espressamente all’interno dell’Allegato 3 dell’Autorizzazione integrata ambientale: un passaggio che impone alla proprietà di studiare pure questo aspetto dell’inquinamento “entro un anno” dal varo del documento. Non solo. In futuro, sempre su indicazione della Procura, potrebbero sorgere altre centraline di controllo, da aggiungere a quelle dell’Arpa, per studiare con ulteriore precisione le particelle che fuoriescono dalla fabbrica.
(g.s.)
Stretta sulla pesca - Multe raddoppiate e licenze a
rischio - Tutte le nuove disposizioni di legge per l’intera filiera - Rimane il
limite massimo di cinque chili per gli “sportivi”
TRIESTE Una nuova legge introduce importanti cambiamenti ai regolamenti in
materia di pesca marittima. Nello specifico, viene depenalizzata la pesca ittica
sottomisura, ma con multe raddoppiate fino a 150mila euro in caso di specie
pregiate, e sono intensificate le pene accessorie, fino alla sospensione della
licenza, per alcune specifiche infrazioni. Restano invece le sanzioni penali per
gli esemplari protetti. Per spiegare nel dettaglio il significato della nuova
norma, tesa a favorire una pesca sostenibile per tutti gli operatori dell’intera
filiera, è arrivato anche a Trieste l’ammiraglio Pietro Verna. Il responsabile
del reparto Pesca marittima del corpo delle Capitanerie di porto al ministero
delle Politiche agricole è infatti impegnato in un tour informativo di appoggio
alle Capitanerie italiane. In compagnia del comandante della Capitaneria di
porto del capoluogo giuliano e direttore marittimo del Fvg, Luca Sancilio, ha
illustrato il senso e il contenuto della recente normativa 154. In particolare
si è soffermato sull'articolo 39 in vigore da agosto che introduce importanti
modifiche nella parte relativa alle sanzioni in materia di pesca e acquacoltura.
Si tratta di un’applicazione delle direttive europee e una risposta positiva
alla ricerca scientifica per «garantire alle future generazioni la disponibilità
delle risorse in quantità sufficienti», ha affermato Verna. Obiettivi: «evitare
l’eccesso di pesca, garantire e mantenere la biodiversità, ridurre lo spreco, la
cattura delle specie non bersaglio e favorire la protezione di tutti i cruciali
habitat della pesca nell'ecosistema marino». Cosa prevede la norma Nel cuore
della novità dell’articolo 39 c’è un inasprimento delle misure. Nessuno scapperà
alla mannaia. C'è in ballo il coinvolgimento dell’intera filiera commerciale:
dal pescatore al grossista. I cambiamenti riguardano diversi fronti. Si parla di
depenalizzazione di alcune disposizioni che riguardano il pesce sottomisura
rendendole dunque amministrative. S’intendono le specie giovanili, che non sono
ancora arrivate alla riproduzione e vanno tutelate per consentirne la
conservazione. Gli importi delle multe sono commisurati al quantitativo pescato
in eccesso e che possono raggiungere, raddoppiando, anche i 150mila euro nel
caso di pesca di specie pregiate come tonno rosso e pesce spada. Ma perché di
mezzo ci vanno proprio questi due vertebrati? «Si tratta di specie che
interessano moltissimi paesi - ha spiegato Verna -, cosiddette pelagiche e cioè
che attraversano gli oceani, per cui c’è uno sforzo mondiale per tutelarle. Sono
specie migratorie e quindi c’è un’attenzione corale a difenderle ovunque esse
passino». Restano invece penali le sanzioni per le specie protette. Si parla poi
di un’intensificazione delle pene accessorie con previsione di sospensione della
licenza di pesca, che in media varia da uno a tre mesi, o direttamente della
revoca di questa in alcune circostanze. Tra queste, ad esempio: la detenzione di
attrezzi non consentiti in caso di recidiva, e qualora si utilizzino reti da
posta derivante, cioè quelle utilizzate soprattutto in alto mare, libere di
muoversi in balìa delle correnti. Oppure, sempre nell'ipotesi di recidiva, in
alcune situazioni in cui in oggetto siano le specie ittiche tonno rosso o pesce
spada. È regolata poi anche la sospensione dell’iscrizione nel registro dei
pescatori marittimi, da un minimo di 15 giorni a un massimo di tre mesi in base
alla trasgressione. Sanzioni sulla pesca di frodo Pure il pescatore sportivo,
per il quale rimane l’obbligo di non superare i cinque chili giornalieri di
pescato, sarà soggetto a simili ammende in proporzione al quantitativo raccolto,
con il raddoppio delle multe in caso di vendita di prodotti ittici provenienti
dalla pesca non professionale (da 4mila a 12mila euro). Le nuove norme
colpiscono anche i commercianti e quindi i ristoranti che acquistino prodotti
della pesca sportiva. Infatti è prevista la sanzione della sospensione
dell’esercizio commerciale da 5 a 10 giorni lavorativi a carico del
trasgressore.
Benedetta Moro
IL PICCOLO - SABATO, 7 gennaio 2017
Fondi quadruplicati per pulire e censire le grotte
carsiche - La Regione rivede il budget a favore delle associazioni - Premiani:
«Un salto di qualità che attendevamo da tempo»
TRIESTE - Gli speleologi triestini tornano al centro dell'attività di
controllo e di censimento delle cavità del Carso, sotto l'egida dell'Assessorato
regionale per l'ambiente. Avranno principalmente la funzione di verifica dello
stato di inquinamento delle grotte dell'altipiano e di tutto la provincia,
ricoprendo un ruolo di primario rilievo nella tutela del territorio. Per poter
rispondere al meglio a questa esigenza, che riguarda l'intera collettività, i
nove gruppi locali che si occupano di speleologia e che aderiscono alla
Federazione regionale (Fsr) potranno beneficiare del sensibile aumento delle
risorse finanziarie messe loro a disposizione dalla legge regionale n.15 del 14
ottobre 2016. «In luogo dei 15mila euro di cui potevamo disporre fino a due anni
fa - spiega Furio Premiani, presidente della Fsr per il Friuli Venezia Giulia -
per il 2017 la Regione ci garantirà una somma di 82mila e 363 euro, che con ogni
probabilità sarà riproposta anche nel 2018». In proporzione, crescerà anche la
disponibilità per i gruppi dell'isontino e del Friuli: complessivamente, le 23
associazioni che, in Friuli Venezia Giulia, si occupano di speleologia,
passeranno da un contributo totale di circa 50mila euro, che arrivava loro
attraverso le Province, ai circa 230mila attuali, messi a disposizione dalla
Regione. Un considerevole salto di qualità, al quale si accompagna anche
un'altra decisiva novità: gli speleologi non saranno più accorpati, per quanto
concerne l'organizzazione delle varie attività, all'assessorato regionale per lo
Sport, ma saranno coordinati da quello per l'Ambiente. «Un cambiamento che
attendevamo da tempo - riprende Premiani - perché obiettivamente con lo sport
c'entriamo poco. Molto più specifico il riferimento alla tutela dell'ambiente -
precisa il presidente regionale della Frs - che ci vede impegnati in prima
fila». La fase di declino dell'attività degli speleologi regionali era iniziata
nel 2007, quando si stabilì che avrebbero dovuto essere le Province a fungere da
ente di riferimento. «Cominciò in quel momento - ricorda Premiani - un decennio
di grandi difficoltà per noi, a causa della progressiva diminuzione dei
finanziamenti a nostro favore. A un certo punto, non avevamo nemmeno i soldi per
comperare le corde e, di conseguenza. Per molti è difficile capire l'importanza
della speleologia e della nostra instancabile opera scientifica. Ora, con la
promulgazione della legge regionale n. 15 che sostituirà de facto l'obsoleta
legge regionale n.27 del '66 tutto cambierà in meglio». In questo nuovo testo, è
stata fra l'altro meglio definita la figura dello speleologo, posta in un
contesto riguardante aspetti puramente geologici. «Va dato atto all'assessore
Sara Vito - conclude Premiani - dell'attenzione dimostrata nei confronti dei
problemi del mondo della speleologia». I gruppi triestini beneficiari dei nuovi
contributi sono il Club alpinistico triestino, la Società Alpina delle Giulie,
il Gruppo San Giusto, la Società adriatica di speleologia, il Gruppo Triestino
speleologi, la società Trenta Ottobre Cai, il Gruppo grotte Carlo Debeljak, il
Gruppo Flondar e l'Associazione sportiva Gmada.
Ugo Salvini
IL PICCOLO - VENERDI', 6 gennaio 2017
«Troppa ghisa in Ferriera» - Il Comune chiede sanzioni
- Controricorso al Tar nei confronti della Regione in vista del verdetto dell’11
gennaio
La replica dell’amministrazione Serracchiani: «Fatti gli interventi
previsti dall’Aia»
Si fa più violento il tiro alla fune sulla produzione di ghisa a Servola e
il Comune chiede che la Ferriera venga sanzionata. All’ordinanza del sindaco
Roberto Dipiazza che intima a Siderurgica Triestina di rimanere sotto le 34mila
tonnellate mensili, la società del Gruppo Arvedi ha replicato con un ricorso al
Tar sul quale i giudici amministrativi dovrebbero pronunciarsi l’11 gennaio. Nel
frattempo però il Comune contrattacca rivolgendosi a propria volta al Tribunale
amministrativo regionale e prendendo però di mira la Regione. Sotto accusa del
municipio il decreto emesso dall’amministrazione regionale il 22 dicembre in
risposta a quanto richiesto dagli stessi giudici. Al termine dell’udienza del
Tar del 16 dicembre scorso alla Regione era stato intimato di emanare l’atto
conclusivo della verifica del rispetto da parte di Siderurgica Triestina delle
prescrizioni previste per lo stabilimento siderurgico dall’Autorizzazione
integrata ambientale, rilevando che senza questo atto non si sarebbe potuto
decidere in merito al ricorso contro l’ordinanza di Dipiazza. La Regione ha
appunto adempiuto il 22 dicembre depositando il decreto il giorno successivo.
Adesso il Comune però, giocando d’anticipo rispetto all’udienza fissata per
l’11, impugna il decreto. Lo ha deciso la giunta comunale nella seduta che si è
tenuta il 30 dicembre e nella relativa delibera sostiene che «il suddetto
decreto regionale si sostanzia in una mera riproduzione del contenuto dei
rapporti di visita ispettiva di Arpa Fvg nonché del verbale di sopralluogo
congiunto del 13 settembre 2016» e che «detto decreto risulta illegittimo in
quanto carente della presupposta attività istruttoria oltre che delle necessarie
determinazioni che lo stesso doveva assumere, considerato l’indiscusso
sforamento del limite di produzione mensile di ghisa così come autorizzata
dall’Aia». I giudici del Tar hanno specificato che «l’Aia stabilisce che
l’accertamento del completamento degli interventi verrà effettuato dalla Regione
previo sopralluogo congiunto degli Enti che partecipano alla Conferenza dei
servizi». Ma anche che «impone di concludere detto segmento procedimentale con
un atto formale della Regione la quale, se del caso, può anche limitarsi a fare
proprie le risultanze del sopralluogo congiunto effettuato in data 13 settembre
2016». Ieri la Regione ha precisato che «con decreto 2955/Amb del 22 dicembre
2016 il direttore del Servizio tutela da inquinamento atmosferico, acustico ed
elettromagnetico, Luciano Agapito, ha accertato il completamento da parte di
Siderurgica Triestina degli interventi di adeguamento dell’altoforno previsti
nell’Aia rilasciata nel gennaio 2016. Il decreto, che formalizza quanto già
comunicato agli enti competenti con nota del 24 ottobre 2016 sulla base delle
evidenze del sopralluogo congiunto effettuato nell’impianto nel mese di
settembre - continua l’amministrazione regionale - è stato adottato in
ottemperanza all’ordinanza emessa dal Tar Friuli Venezia Giulia in occasione
dell’esame dell’istanza proposta da Siderurgica Triestina avverso l’ordinanza
del sindaco di Trieste di limitazione della produzione di ghisa, effettuato nel
corso della Camera di consiglio tenutasi il 16 dicembre scorso, quando il
collegio giudicante ha disposto anche il rinvio al prossimo 11 gennaio, data
nella quale il Tribunale deciderà se accogliere o meno l’istanza di sospensiva».
Il Comune al contrario sottolinea come chi non rispetti le prescrizioni dell’Aia
è soggetto a sanzione amministrativa e rivela che la stessa Siderurgica
Triestina ha riferito che tra il 5 e il 16 dicembre ha prodotto 16.302,8
tonnellate di ghisa e quindi che «applicando una semplice proiezione lineare (il
cui computo darebbe 42.115,6 tonnellate mensili) sta eccedendo la produzione
mensile di ghisa (34mila tonnellate) autorizzata dall’Aia» e che «il decreto
regionale in oggetto non assume le necessarie misure sanzionatorie in merito,
atte a garantire la tutela della salute pubblica e dell’ambiente».
Silvio Maranzana
«La Befana dem porta il carbone di Servola» - Dipiazza
ribatte ai consiglieri del centrosinistra: «Lo stabilimento stava chiudendo,
l’avete riaperto»
«Anche quest’anno la Befana del Pd porterà ai triestini il carbone
velenoso della Ferriera di Servola, la cui chiusura era stata già siglata, ma
che proprio il Pd ha deciso di riaprire». Il sindaco di Trieste, Roberto
Dipiazza ribatte così alle dichiarazioni fatte dagli esponenti dell’opposizione
in Consiglio comunale.
«È proprio vero - sostiene il sindaco - che chi non sa fare le cose, spesso pensa di poter insegnare. I consiglieri del Pd hanno perso un’altra buona occasione per stare in silenzio e relativamente alla lista dei buoni propositi mi sento di consigliare al Pd di iniziare da se stesso cercando di capire le cause dell’implosione che lo ha colpito e chiedendo scusa ai triestini e agli italiani per i danni che ha creato in città e nel Paese». «Il politicamente corretto e il populismo buonista del Pd - secondo l’analisi che ne fa Dipiazza - in cinque anni di amministrazione hanno portato solo danni a Trieste. Il degrado e l’insicurezza che viviamo e che ora stiamo cercando di risolvere sono sotto gli occhi di tutti. Noi del centrodestra - continua - mettiamo in campo quello che sappiamo fare meglio: ovvero lavorare, realizzare fatti concreti, assumerci la responsabilità delle decisioni così come i cittadini ci chiedono. In questi iniziali sei mesi oltre ad essere riusciti a tamponare emergenze e a risolvere problemi ereditati dalla precedente amministrazione, abbiamo già messo in campo nuovi progetti, indirizzi e percorsi di crescita per i triestini e la città. Ma soprattutto, in appena sei mesi, siamo riusciti a cambiare il vento sulle nostre vele, a ridare energia, entusiasmo, voglia di fare, prospettive di crescita e orgoglio alla nostra città e al nostro essere triestini, cancellando quel senso di rassegnazione, sconfitta e abbandono con cui il Pd aveva avvolto tutto». «Trieste è una capitale d’area, questo è il ruolo che le appartiene e che vogliamo che svolga. Per il 2017 – conclude Dipiazza – ho anche io dei consigli da dare al Pd: il primo è quello di scendere dalla cattedra e rispettare i cittadini che lo hanno bocciato con il voto, il secondo è quello di iniziare a prendere le distanze da quei pochi adepti capaci solo di urlare in piazza, imbrattare i beni comuni e fare della bestemmia il proprio manifesto culturale».
L’ARPA - La prima causa dei cattivi odori sono le
scorie e i catrami
Le principali cause dei cattivi odori che si diffondono a Servola
provenienti dall’area della Ferriera sono riferibili in particolare ai processi
di granulazione della loppa (scoria da altoforno, ndr.) e del trattamento dei
catrami. È quanto viene rilevato nella relazione tecnica finale dell’Arpa Fvg
nell’ambito della convenzione (per una valore di 20.008 euro, Iva compresa)
stipulata con il Comune “per attività tecniche e monitoraggio delle emissioni in
atmosfera di sostanze odorigene provenienti da attività produttive e in
particolare dalla ferriera di Servola”. Nella relazione si legge tra l’altro che
«il processo di granulazione della loppa, il caricamento della cokeria e lo
stoccaggio delle materie prime nel parco fossili mostrano caratteristiche
chimiche simili e alta correlazione nella risposta dei nasi elettronici. Allo
stesso modo si hanno alte correlazioni tra l’area sifoni e l’area lavorazione
catrami. Lo sfornamento della cokeria sembra essere invece il processo
relativamente meno odorigeno tra quelli presi in considerazione». Nella delibera
in cui prende atto delle risultanze dello studio, la giunta comunale stabilisce
anche che dopo la prima valutazione dei dati raccolti in via San Lorenzo in
selva, Arpa procederà con l’installazione di due strumenti nelle proprie
postazioni rispettivamente di via Pitacco e di via del Ponticello per ottenere
una copertura adeguata dell’area impattata. Rispetto alle scadenze previste
l’Arpa aveva chiesto e ottenuto una proroga di sei mesi e il Comune ha esluso
ora l’applicazione di una penale in quanto i ritardi non sono addebitabili
all’Agenzia regionale. «La strumentazione acquisita dall’Arpa consistente in due
“nasi elettronici” Msem (prodotti da Sensigent con sede in California - viene
rilevato nella delibera - in sede di controllo ha dimostrato un’anomalia e
pertanto la messa a punto della strumentazione da parte della ditta fornitrice
ha comportato la necessità, da parte di Arpa-Fvg, di chiedere un arco temporale
maggiore per la consegna degli elaborati rispetto ai termini prescritti».
(s.m.)
Cala il sipario sull’esperimento bus elettrico - Al via
lunedì l’ultima settimana del servizio speciale che ha collegato Barcola a Campo
Marzio
Nessun dietrofront sullo stop alle corse speciali dei bus sul percorso
Barcola-Campo Marzio. Trieste Trasporti ha confermato l’intenzione di far calare
il sipario sulla prima fase di sperimentazione per gli autobus elettrici in
città. L’atto finale, precisa in una nota l’azienda del trasporto pubblico
locale, andrà in scena la prossima settimana.
Quella tra il 9 e il 14 gennaio sarà infatti, almeno per il momento, l’ultima settimana di operatività per la linea a emissioni zero denominata 6 barrata. Il servizio (fortemente voluto dal Comune di Trieste e dal socio Arriva, e reso possibile grazie al contributo della Regione) ha collegato fino allo scorso 31 dicembre Campo Marzio a Barcola, dando modo a Trieste Trasporti di valutare le capacità di adattamento ai tragitti urbani delle due vetture a trazione elettrica prodotte dalla Jiangsu Alfa Bus. L’ulteriore settimana di operatività servirà a completare l’analisi di dati e parametri tecnici. Il collegamento, anche da lunedì a sabato prossimi, sarà quotidiano e seguirà il tragitto dei mesi scorsi. I capolinea saranno collocati in via di Campo Marzio, di fronte al grattacielo, e a Barcola, in piazzale 11 Settembre. L’itinerario prevede la percorrenza delle rive e di viale Miramare, in entrambe le direzioni (saranno operative tutte le fermate lungo il tragitto). I due autobus a trazione elettrica, di colore bianco, sono dotati di 23 posti a sedere e 71 posti complessivi: per usufruire del servizio sarà necessario dotarsi di un normale titolo di viaggio (biglietto o abbonamento). La prima corsa, da Campo Marzio, partirà alle 7 del mattino: seguiranno corse ogni 30 minuti fino alle 10.25, per poi riprendere tra le 16.00 e le 20.55. Le partenze da Barcola sono invece programmate tra le 7.30 e le 10 e, nel pomeriggio, tra le 16.30 e le 20.30. E sempre sul fronte del trasporto pubblico in città, la Regione ha comunicato che, da mercoledì prossimo, lo Sportello trasporto pubblico agevolato di Trieste, attualmente situato in via Sant’Anastasio 3, verrà trasferito in via Mazzini 14/a, negli uffici che già ospitano la Motorizzazione civile. Lo sportello sarà aperto al pubblico dal lunedì al venerdì tra le 9 e le 12.
IL PICCOLO - GIOVEDI', 5 gennaio 2017
Tregua Regione-Comune su Porto vecchio
Faccia a faccia tra Serracchiani e Dipiazza. Intesa su cronoprogramma e
modalità di spesa dei 50 milioni stanziati da Roma
Le strette di mano, gli auguri e l'auspicio di una "proficua"
collaborazione. Per Debora Serracchiani e Roberto Dipiazza il 2017 si è aperto
sotto una buona stella: quella del Porto Vecchio. La presidente della Regione e
il sindaco di Trieste ieri hanno fissato un primo cronoprogramma per avviare le
opere sostenute dal maxi finanziamento del governo Renzi. Ci sono 50 milioni di
euro in ballo e ora si deve decidere come e quando spenderli. I due hanno le
idee piuttosto chiare. Serracchiani ha deciso innanzitutto di sottoscrivere un
protocollo operativo tra Regione, Comune, Autorità portuale e ministero dei Beni
e delle Attività Culturali, in modo da definire la fase progettuale e attuativa
degli interventi. In particolare, come già stabilito in sede ministeriale, i
lavori riguarderanno la viabilità (3 milioni e 500 mila euro), il Polo museale
(25 milioni), il trasferimento in Porto vecchio dell'Icgeb (12 milioni), il
recupero dell'Ursus (5 milioni e 500 mila), il restauro della "Locanda" (800
mila) e la riqualificazione delle banchine (3 milioni e 200 mila euro). Il
protocollo servirà a chiarire anche «chi fa cosa»: la Regione intende accordasi
con il sindaco su quale sarà, in futuro, il ruolo del Comune, vale a dire il
"soggetto attuatore" dei lavori. La governatrice, dal canto suo, ha anche messo
a disposizione gli uffici tecnici regionali di Fvg Strade per affiancare quelli
municipali così da progettare la nuova viabilità. «Abbiamo ottenuto delle
risorse importanti dal governo precedente - ha rilevato la presidente della
giunta - per passare a un'operatività concreta su una parte di Trieste che
rappresenta il futuro non solo della città, ma dell'intera regione. Per questo
abbiamo inteso imprimere un'accelerazione che possa essere coerente con quello
che poi sarà il progetto complessivo del riuso di Porto Vecchio. Sta andando
avanti uno dei più grandi regali che la Regione fa alla città di Trieste e al
Friuli Venezia Giulia, cioè il recupero di un'area importante. È un lavoro di
squadra, in cui la Regione ha fatto il suo e in tempi direi piuttosto veloci,
grazie anche all'attenzione del governo». «Cioè del governo Renzi prima - ha
evidenziato - e poi adesso, ancora, del ministro Franceschini. Stiamo quindi
andando avanti per predisporre tutti gli atti che ci permetteranno di impiegare
i 50 milioni». Soddisfatto Dipiazza, che abbozza una data. «Credo che nel giro
di 30-40 giorni avremo il protocollo per partire». E, sottolineando «l'ottimo»
rapporto con la Regione, ha puntualizzato che «quando si lavora assieme
nell'interesse del territorio i risultati si raggiungono». Perché il Porto
Vecchio, consegnato al Comune, «è patrimonio della città, è un ambizioso
progetto per tutta la regione e solo uniti possiamo raggiungerlo». Una partita,
ha fatto sapere lo stesso Dipiazza, che il diretto interessato e la presidente
fin qui hanno voluto gestire «in silenzio, sia da una parte che dall'altra,
perché l'accordo tra noi era di stare zitti e risolvere i problemi. Infatti, a
inizio anno, ci siamo subito incontrati. Lei è in gamba, io altrettanto. E i
risultati si vedono». È rimasto sostanzialmente fuori dal tavolo, per il
momento, l'annoso tema della Ferriera: «Ogni istituzione svolge il suo ruolo -
ha chiosato Serracchiani - a volte le opinioni possono essere diverse, ma per
quanto mi riguarda la collaborazione tra noi sarà sempre utile e fattiva».
Gianpaolo Sarti
Il Masterplan di Italia Nostra “timone” per Porto
vecchio - L’INTERVENTO di Antonella Caroli - referente Porto vecchio - Italia
Nostra Nazionale
In questi giorni dovrebbe essere stato definito il passaggio al Comune di
Trieste delle aree del Porto vecchio a seguito dell'emendamento inserito dal
senatore Francesco Russo nella Legge di stabilità 2014. Il governo, tramite una
delibera del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica),
ha stanziato 50 milioni di euro da spendere nell'arco di sei anni per l'avvio
dei lavori di riqualificazione del Porto vecchio. Il finanziamento fa parte del
Fondo sviluppo e coesione 2014-2020 e precisamente del Piano stralcio "Cultura e
Turismo" previsto dalla delibera del Cipe n. 3/2016. Delibera che inquadra il
recupero del Porto vecchio tra gli «interventi di grande spessore volti al
recupero di strutture dismesse e degradate di grande valore culturale». Il
Masterplan di Italia Nostra, redatto nel 2013, è stato fondamentale in tale
assegnazione. Infatti nella scheda ministeriale si indicano le linee guida del
Masterplan, considerato strumento direttorio per il Porto vecchio e si fa
evidente riferimento alla corposa documentazione che lo compone e che ne sta
alla base. Infatti nella Scheda d'intervento si dichiara che l'intervento sul
Porto vecchio, per cui sono stati stanziati 50 milioni di euro finalizzati al
restauro e alla valorizzazione dell'area «prende le mosse dal Masterplan
elaborato da Italia Nostra che si prefigge l'obiettivo strategico del recupero
funzionale e strutturale dell'ambito del Porto vecchio...» e aggiunge alla fine
del documento che «gli utilizzatori finali (dei fondi)... dovranno assumere
l'impegno di attuare le previsioni del Masterplan». Si dice che «nella prima
fase d'intervento si procederà con la messa in sicurezza di tutti gli edifici e
che gli interventi sui magazzini e i manufatti storici saranno di recupero
funzionale secondo criteri edilizi di restauro leggero...». Si raccomanda la
tutela architettonica stabilita nel 2001 affinché l'area non diventi un
qualsiasi waterfront e mantenga l'identità del distretto storico portuale. Per
il riutilizzo dell'area si deve provvedere alle opere di infastrutturazione e ai
sottoservizi. A questo proposito nel documento si fa riferimento a quanto già
ipotizzato da Portocittà. L'attuazione degli interventi non dovrà inoltre
avvenire attraverso un concessionario unico. Considerato che storicamente il
Porto vecchio è stato luogo di sperimentazioni, di applicazione di brevetti, di
nuove tecnologie e di nuovi materiali costruttivi, il Masterplan propone la
collaborazione scientifica di studiosi internazionali (Comitato scientifico
internazionale attivo dal 2010), di competenze specifiche da individuare
nell'Università di Trieste e nell'Area Science Park, per applicazioni di
tecniche e di materiali ecosostenibili. A seguito della nuova situazione
giuridica del Porto vecchio, alcune parti del Masterplan andranno modificate.
Quindi esso sarà modificato nella parte in cui sarà necessario farlo, ai sensi
del Decreto del commissario del Governo nella Regione Friuli Venezia Giulia del
26 gennaio 2016, in virtù del quale è stato stabilito lo spostamento di parte
del Punto Franco del Porto vecchio in altri siti, nonché ai sensi delle intese
intercorse fra la presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, l’Autorità
Portuale e il sindaco di Trieste, in accordo a loro volta con le altre
istituzioni interessate, così come è stata concordata la cosiddetta “dividente”
del territorio del Porto vecchio. Per gli effetti di tale accordo la linea di
costa rimane in capo all'Autorità di sistema portuale e al Demanio, con la
continuità del regime di Porto Franco, mentre la rimanente parte del territorio
viene sdemanializzata e trasferita al patrimonio del Comune di Trieste. Il
Masterplan potrà diventare il punto di partenza su cui confrontarsi e Italia
Nostra Nazionale, a nome del presidente nazionale Marco Parini, è pronta a
offrire la propria collaborazione e le competenze nei tavoli tecnici
istituzionali.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 4 gennaio 2017
La “strage” di pini in Carso che piace agli ambientalisti - Al via a Basovizza il disboscamento di un’area di cinque ettari che diventerà pascolo
Wwf e Legambiente soddisfatte: «Giusto e opportuno ripristinare l’originaria landa»
SAN DORLIGO DELLA VALLE - Cinque ettari di terreno disboscato per creare una landa carsica da destinare a pascolo per ovini - in particolare alle pecore di razza istriana, una specie in via di estinzione -, ripristinando così un’antica tradizione pastorizia del Carso. È iniziato da qualche settimana, in un fazzoletto di terra fra Draga Sant’Elia e San Lorenzo, nel territorio comunale di San Dorligo della Valle, nei pressi dell'inizio del sentiero che porta sul monte Stena da cui si gode di una magnifica vista sul golfo di Trieste, un importante intervento di trasformazione dell'ambiente naturale, inserito nel Piano di gestione forestale della Comunella di Draga. Intervento che rientra nelle competenze dell'Ispettorato forestale di Trieste - Riserva della Val Rosandra. L’area in questione era storicamente destinata a pascolo ma, nel tempo, si sono sviluppati i pini neri, introdotti sul Carso qualche secolo fa dai botanici dell’impero asburgico per aumentare la superficie boschiva del territorio e che, periodicamente, invadono le lande destinate agli ovini. «Quando abbiamo registrato l'interesse di operatori del settore agricolo per quell’area - spiega l'assessore del Comune di San Dorligo della Valle, Franco Crevatin - ci siamo subito attivati perché, in virtù di questo intervento, si ricostituirà il territorio originario e si garantirà una maggiore difesa dagli incendi. I pini neri che sono in via di abbattimento, infatti, sono pericolosi sotto questo profilo perché portatori di resina, facilmente infiammabile». Soddisfatto anche Emanuele Frascatore, marito di Francesca Mari, titolare dell’azienda agricola che gestirà il pascolo. «Abbiamo lottato per tre anni per ottenere tutte le autorizzazioni del caso - precisa - e ora siamo alla vigilia di un'operazione che porterà una quarantina di ovini a pascolare nella zona nella quale stiamo effettuando il disboscamento». Contrariamente a questo si potrebbe pensare, tra l’altro, l’niziativa sta riscontrando il favore di tutte le organizzazioni ambientaliste locali. «L'80 per cento delle piante e degli animali presenti sul Carso vivono meglio nella landa - sottolinea il naturalista Nicola Bressi, che fa parte del comitato scientifico del WWF -. Un ambiente per loro molto più adatto del sottobosco. L' importante - prosegue - è che ci sia una regia a coordinare l'attività di pascolo. Chi fa mantenimento della landa nel modo corretto, crea le situazioni ottimali per la salvaguardia dell'ambiente originario del Carso. Essenziale che si installi il cosiddetto pastore elettrico, cioè che si posizionino i recinti elettrificati, per evitare che i lupi, spesso provenienti dalla vicina Slovenia, possano danneggiare gli animali del pascolo. Nell'esplosione turistica che Trieste sta fortunatamente vivendo - conclude il naturalista del WWF - questo progetto gioca al meglio, dal momento che i turisti che vengono in città anche per ammirare e vivere il Carso sperano di vedere l'ambiente autentico, quello nel quale prosperano le querce, il ginepro è tutto ciò che caratterizza storicamente il circondario della città». Soddisfatto anche Andrea Wehrenfennig, presidente di Legambiente: «In linea generale, la landa carsica è l'ambiente originale e caratteristico del nostro Carso - evidenzia - perciò ben venga un'iniziativa come questa, che riporterà quell'area alla sua conformazione naturale». Nel dettaglio, l'operazione di disboscamento dovrebbe essere completata entro fine febbraio, dopo di che si comincerà con l'inserimento graduale degli ovini. Nei progetti dell'azienda agricola di Francesca Mari dovrebbero essere 38 gli animali che fruiranno a regime del nuovo pascolo, una quindicina dei quali, appartenenti alla specie delle pecore istriane e di Bovec (Plezzo) dovrebbero essere messe a disposizione dall'Università di Lubiana. «Sappiamo che l'ateneo della capitale slovena - spiega Giulio Cosola, l'agronomo che fa parte dello staff che si sta occupando dell'intervento - si sta interessando a questa specie che rischia di scomparire e noi siamo ben lieti di poter ospitare pecore istriane». L'opera, una volta ultimata, oltre alla delimitazione del pascolo e al sistema di difesa, necessario per salvaguardare gli ovini dai lupi, comprenderà anche una tettoia e un ricovero per garantire agli animali un rifugio nelle giornate particolarmente fredde e quando soffia la bora d'inverno.
Ugo Salvini
«Giardini inquinati, sgravi fiscali ai bar vicini»
Mozione di Forza Italia per alleviare i disagi di chi ha visto calare gli
affari dopo la chiusura delle aiuole
Una mozione urgente per sollecitare il Comune a farsi carico dei disagi che
la chiusura al pubblico dei giardini interessati da livelli record di
inquinamento, ha provocato e continua a provocare ai commercianti vicini alle
aiuole off limits. A proporre il testo - fatto proprio dalla giunta in una delle
ultime sedute del Consiglio comunale - la sono stati i consiglieri di Forza
Italia Michele Babuder, Piero Camber e Alberto Polacco. « Come noto - ricorda
Polacco - recenti analisi effettuate dall’Arpa hanno evidenziato la presenza di
inquinanti in alcune aree verdi del territorio, in particolare nel Giardino
Pubblico “Muzio de Tommasini”e in quello di Piazzale Rosmini. Una situazione
che, oltre ad aver determinato l'interdizione di alcuni spazi, ha causato disagi
anche ai titolari di alcuni esercizi pubblici insistenti in quelle aree, che
stanno risentendo in modo significativo del ridotto afflusso di utenti legato
all'impossibilità di fruire completamente dei giardini». Di qui la scelta di
fare pressing sull’amministrazione per «adottare quanto prima iniziative e
misure straordinarie di supporto che possano almeno in parte sostenere gli
esercenti le cui difficoltà siano anche legate alla fattispecie in esame». Nel
dettaglio la mozione forzista «propone di valutare la possibilità di adottare, a
favore degli esercenti le cui attività insistano nei pressi delle aree nelle
quali sia stato accertato l'inquinamento, misure di agevolazione e/o riduzione
dei tributi comunali, nello specifico - eventualmente - degli oneri relativi al
canone di occupazione del suolo pubblico (Cosap)». «Un tanto perlomeno -
prosegue il vicecapogruppo azzurro Polacco - , al fine di alleviare le
comprensibili difficoltà sia dei commercianti sia dei residenti. Al riguardo è
stato ulteriormente evidenziato dagli estensori del documento lo sforzo
dell'amministrazione per definire e attuare gli interventi atti a limitare
l'ampliarsi dei disagi e la manutenzione straordinaria delle aree verdi, per le
quali il competente assessorato ai Lavori Pubblici ha inserito i relativi
stanziamenti per l'esecuzione degli interventi nell'ultima variazione al
bilancio comunale. Si tratta - conclude - di un segno di attenzione necessario
verso chi più di tutti sta soffrendo per questa situazione».
IL PICCOLO - MARTEDI', 3 gennaio 2017
Piante “antismog” in via Giulia - Il Comune ipotizza di
utilizzare l’«erba spugna» nelle aiuole contaminate del giardino de Tommasini
Arriva la “pianta spugna”, una specie in grado di assorbire le sostanze
cancerogene presenti nel terreno. È la soluzione che il Comune di Trieste sta
meditando di adottare per risolvere il clamoroso caso dei giardini inquinati
scoppiato la scorsa primavera, e che ha comportato la chiusura di numerose aree
verdi cittadine.
L'ipotesi di ricorrere a questo stratagemma sarà affrontata la prossima settimana nell’incontro in quarta commissione, con la partecipazione di Azienda sanitaria, Arpa ed esperti della Regione. Il problema, come noto, era sorto in seguito alla scoperta dei livelli tossicità fuori legge riscontrati in ben sette dei dodici punti campionati dall'ex giunta Cosolini per verificare l'impatto della Ferriera nel suolo. Nell'elenco erano finiti piazzale Rosmini, il “Miniussi” di Servola e del “de Tommasini” di via Giulia, il polmone verde della città. E, ancora, due scuole dell'infanzia ed elementari che si trovano a Servola: il “don Chalvien” di via Svevo e la Biagio Marin di via Praga. Nel novero si sono aggiunti, sempre nello stesso rione, pure i cortili della chiesa San Lorenzo e dell'Associazione amici del presepio in via dei Giardini. In tutti questi siti sono spuntati inquinanti al di sopra dei limiti: benzopirene, ad esempio, ma anche benzoantracene e benzofluorantene. Materiale tossico, che sulla carta presenta un rischio più “potenziale” che effettivo, ma che per legge richiede interventi massicci di bonifica. Il più contaminato è apparso il giardino pubblico di via Giulia: qui, come è stato appurato dall'Arpa, il benzopirene ha una media di 2,8 milligrammi per kg di sostanza secca, quando le normative indicano una soglia di 0,1. Quasi trenta volte tanto. Per fare un altro esempio, le aiuole di piazzale Rosmini, pure queste off limits dalla scorsa primavera, sono a 0,84 mg/kg. La posizione centrale del “de Tommasini” di via Giulia, più esposto al traffico urbano rispetto agli altri giardini di periferia, lascia presupporre che l'inquinamento sia causato dallo smog prodotto dalle automobili e dagli impianti di riscaldamento delle case circostanti. Ed è proprio nelle aree verdi di via Giulia che il Comune potrebbe sperimentare la cosiddetta «erba spugna». Tecnicamente una «fito-depurazione», adatta all’inquinamento da smog. L’assessore Luisa Polli ha già approfondito la possibilità. «Ci stiamo pensando - commenta - perché in alcuni siti questo potrebbe essere effettivamente il percorso da imboccare. Andremo a piantare alcune tipologie specifiche di erbette che puliscono la terra senza neppure doverla togliere. Questa è una delle soluzioni applicabili, forse, in via Giulia. Altrove si dovrà invece ricorrere ad altro». Le decisioni finali comunque spettano alla Conferenza dei servizi in capo alla Regione: il Comune è soltanto un esecutore delle indicazioni stabilite. «L'intento è capire come agire - prosegue Polli -, ma è necessario ancora accertare fino in fondo l'entità del fenomeno con ulteriori analisi, proprio con l'obiettivo di scegliere la tipologia di intervento più opportuna».
Gianpaolo Sarti
FareAmbiente incalza su fumi e polveri rilevati
nell’area attorno alla Ferriera
Nel 2017, secondo una nota di FareAmbiente Fvg, «le priorità per il
territorio sono ben evidenti, viste le problematiche legate alla salute
pubblica, alla sicurezza e al lavoro». In particolare, a giudizio del
coordinatore regionale Giorgio Cecco, «la salute pubblica legata soprattutto
all’inquinamento delle attività industriali come la Ferriera e al traffico
veicolare».
«Di recente ci sono stati segnali sul Porto Vecchio, sulla Ferriera che è la madre di tutte le battaglie con l’impegno del Comune in sinergia con le associazioni ed i cittadini: siamo ottimisti, ma tutti questi segnali non sono ancora ben definiti per una risoluzione in tempi accettabili». «Noi anche nel 2017 saremo a fianco dei cittadini per sensibilizzare le istituzioni, proporre soluzioni, nel limite delle nostre competenze e possibilità, con le azioni rivolte agli obiettivi suddetti e auspichiamo ci sia la convergenza tra i bisogni della gente e dell’ambiente con i programmi delle amministrazioni pubbliche locali, perché spesso questo è mancato nel recente passato».
A Duino apre il cantiere “taglia depuratori” - Partono
i lavori di AcegasApsAmga per la nuova fognatura. Protesta per l’eliminazione di
alcuni alberi
DUINO AURISINA - È stato aperto in questi giorni il primo cantiere del
2017 nel territorio del Comune di Duino Aurisina. Si tratta dei lavori che
l'AcegasApsAmga farà per posizionare le nuove condutture della fognatura nel
tratto della strada statale n. 14, all'altezza del supermercato Conad (ex Gran
Duino).
Si tratta di un cantiere che rientra nel piano di
rivoluzione del sistema fognario di Duino Aurisina, la cui conclusione è
prevista per il 2020. A quel punto, dal Villaggio del Pescatore a Servola ci
sarà un'unica condotta fognaria, con l'eliminazione dei depuratori attualmente
operanti a Sistiana e Duino e dei relativi scarichi a mare. Un'operazione che
porterà un evidente beneficio per il tratto di mare su cui si affaccia il
territorio del Comune guidato dal sindaco, Vladimir Kukanja. Prima di poter
cominciare con i lavori, che hanno già comportato l'abbattimento di alcuni
alberi, si è dovuto attendere il parere positivo della Soprintendenza e
l'autorizzazione della Forestale. I lavori si completeranno con la realizzazione
del condotto fognario che trasporterà i reflui dal depuratore provvisorio, che
attualmente serve il Villaggio del Pescatore, fino a quello di Duino, dove si
allaccerà alla condotta, ora in costruzione, che collegherà tale impianto al
depuratore di Sistiana. In questa maniera, potrà essere finalmente dismesso il
problematico impianto del Villaggio del Pescatore, mentre quello di Duino sarà
inizialmente bypassato e rimarrà inattivo fintanto che gli scarichi di
Portopiccolo, che confluiscono a Sistiana, rimarranno su livelli paragonabili a
quelli attuali. Con il completamento del collegamento tra Sistiana e Barcola,
spariranno i due impianti di Sistiana e Duino e tutti i reflui saranno
concentrati sull'impianto di Servola, attualmente in fase di radicale revisione
e potenziamento». La partenza del cantiere ha provocato le proteste di un gruppo
di residenti per le modalità con le quali si è operato sugli alberi «sradicati
con metodi quanto meno discutibili - hanno scritto in un documento diffuso sui
social - perché si poteva fare molto meglio utilizzando le motoseghe. Siamo
all'interno dell'area delle Falesie - hanno aggiunto - e certamente si doveva e
poteva fare diversamente». Finita questa fase, il cantiere si sposterà di
qualche centinaio di metri in direzione di Duino. (u.s.)
Rossi accelera sul viale in Porto vecchio - L’annuncio
dell’assessore: «I lavori per la costruzione dell’asse viario principale
partiranno nel 2017»
«Partiranno quest’anno i lavori per la realizzazione del viale principale
del nuovo Porto vecchio». Lo ha annunciato l’assessore alla Cultura Giorgio
Rossi intervenendo alla conferenza stampa organizzata sul tema dall’associazione
Italia Nostra.
«Alla fine - ha precisato Rossi - la strada principale affiancherà la ferrovia e andrà dalla stazione centrale alla pineta di Barcola. Già quest’anno però collegheremo la stazione con l’uscita che ora sbocca su viale Miramare. Questa prima parte della “dorsale” culminerà in due rotatorie: una interna al porto prima del Magazzino 26 e un’altra esterna, sullo stesso viale Miramare». Per Rossi, questa infrastruttura sarà cruciale, ancor più che dal punto di vista urbanistico, da quello psicologico simboleggiando l’appropriazione del Porto vecchio da parte della città. Nella stessa prima fase in tempi velocissimi dovranno essere completate l’illuminazione pubblica e la rete fognaria per raggiungere le strutture già riqualificate. «Nella seconda fase - ha continuato l’assessore - il Comune materialmente si approprierà della Centrale idrodinamica, della Sottostazione elettrica e dei due quinti del Magazzino 26 già ristrutturati o ristrutturabili con poco costo. L’avvio della vita in Porto vecchio - ha aggiunto Rossi - sarà favorito anche da una linea di autobus che collegherà la Stazione ferroviaria al 26. Qui sorgerà anche il visitor centre della città, punto di smistamento logistico per turismo e cultura: i turisti potranno essere convogliati a San Giusto con navette o a Miramare con un collegamento marittimo. Nella terza fase - ha concluso - si tratterà di realizzare il Museo del mare: nei Magazzini 24 e 25 se il 26, dove entrerà anche l’Immaginario scientifico, dovrà ospitare l’Icgeb, nel 26 stesso se l’Icgeb verrà spostato altrove». Rossi ha anche riferito che la Mostra sulle navi del Lloyd ha abbandonato gli spazi della Centrale idrodinamica e i reperti sono stati spostati all’attuale Museo del mare di Campo Marzio dove la mostra verrà riallestita in formato ridotto. Attraverso la responsabile per il progetto Porto vecchio Antonella Caroli e la presidente Giulia Giacomich, Italia Nostra ha voluto rivendicare la propria primogenitura nella realizzazione del masterplan del Porto vecchio «che è stato fondamentale nell’assegnazione dei 50 milioni di euro con delibera Cipe. Nella scheda ministeriale - è stato specificato - si indicano le linee guida del masterplan come strumento direttorio per il Porto vecchio». In base a ciò Italia Nostra ha chiesto, anche attraverso il suo presidente nazionale Marco Parini, di prendere parte accanto a Regione, Comune e Autorità portuale ai tavoli tecnici che si terranno sul recupero del Porto vecchio. Caroli ha annunciato una serie di incontri con i vari soggetti interessati all’operazione che prenderanno il via il 27 gennaio.
(s.m.)
Corse del bus elettrico verso il capolinea
Sperimentazione prorogata di una settimana. Ma dal 14 gennaio stop alla
linea Barcola-Campo Marzio. La parola alla Regione
Ancora una settimana di esperimenti poi basta. In attesa che la Regione
confermi il supporto concesso nello scorso autunno. Da lunedì 9 a sabato 14 il
bus elettrico, con il nome di battaglia “6 barrato”, farà un’altra settimana di
spola tra Campo Marzio e Barcola. A quel punto sospenderà il servizio, che non
avrà sostituti “tradizionali”, mentre il concessionario Trieste Trasporti (Tt)
valuterà con l’assessorato competente della Regione se e come proseguire in una
esperienza che Roberto Gerin, direttore d’esercizio Tt, definisce «interessante
e positiva». Esperienza durata un mese e mezzo, da lunedì 14 novembre a sabato
31 dicembre. E’soprattutto il potente partner privato di Tt, il colosso Arriva
(controllato dalle ferrovie tedesche Db), a manifestare un forte interesse per
una sperimentazione che a Trieste, area urbana di non facile approccio
trasportistico, ha un laboratorio di valenza europea nello studiare la
combinazione risparmio/ambiente. Nell’ipotetica lavagna che ripartisce
positività/criticità, a favore del bus elettrico sono a referto l’alto
gradimento dell’utenza per un servizio all’insegna del silenzio, un’autonomia di
oltre 200 chilometri senza ricarica, un consumo di 1,1 chilowattora in linea con
le prestazioni misurate in altri siti continentali. Qualche problema, invece, in
termini di manovrabilità, soprattutto per quel che concerne lo sterzo, e nella
capacità di trasporto (71 posti, il 30% di passeggeri in meno rispetto agli
altri veicoli della flotta aziendale): Arriva ha messo a disposizione due mezzi
costruiti dalla cinese Jiangsu Alfa Bus Co. Ltd, perchè i grandi costruttori
occidentali, che nel recente passato hanno scommesso sull’ibrido, sembrano
invece ancora timidi in tema di elettrico. Il percorso Campo Marzio-Barcola è
agevole dal punto di vista altimetrico, ma traffico e barriere semaforiche
costituiscono per altri versi un banco di prova ritenuto significativo. La
Regione aveva contribuito all’esperimento elettrico con circa 30 mila euro, a
coprire i 9 mila chilometri percorsi dai due bus elettrici. Adesso, sulla base
dei dati raccolti, Trieste Trasporti si confronterà con l’interlocutore
istituzionale che, dopo la recente sepoltura della Provincia, resta
l’assessorato ai trasporti della Regione Fvg. I due bus elettrici, distinguibili
dal colore bianco, compivano la prima corsa alle 7 mattutine, partendo da Campo
Marzio. Poi effettuavano servizio ogni 30 minuti fino alle 10.25, per riprendere
tra le 16 e le 20.55. Da Barcola invece le partenze erano sequenziate di mattina
tra le 7.30 e le 10 e nel pomeriggio tra le 16.30 e le 20.30. Prima
dell’operatività in linea dalla metà di novembre, i mezzi erano stati testati
nei mesi precedenti da Trieste Trasporti.
Massimo Greco
IL PICCOLO - LUNEDI', 2 gennaio 2017
A Trieste cala il biglietto dell’autobus
Da ieri prezzo più basso di 10 centesimi con le nuove
direttive della Regione sul ticket orario a 1,25 euro
TRIESTE Se aumentano i costi al casello, da ieri gli utenti dei bus di
Trieste sono entrati nel nuovo corso della tariffa regionale, quello che regala
un risparmio di 10 centesimi. Dal primo gennaio 2017, infatti, i triestini
pagano il biglietto orario sull'intera rete esattamente come nel resto del
Friuli Venezia Giulia: non più 1,35 ma 1,25 euro. La novità (gradita non meno
della gratuità per i minori fino a 10 anni) è inserita nel percorso che dal
prossimo agosto dovrebbe portare alla gestione unica del Tpl Fvg. Il
condizionale è d'obbligo perché in Regione si attende che BusItalia, la società
della Ferrovie dello Stato battuta nella gara d'appalto da 2 miliardi di euro
dal consorzio che unisce gli attuali gestori del servizio nelle quattro
province, faccia sentire nuovamente la sua voce. Dopo aver ripetutamente
attaccato il bando della direzione Infrastrutture, è probabile che Busitalia
possa nuovamente ricorrere al Tar. Nell'attesa, il passeggero Fvg continuerà a
pagare le stesse tariffe del 2016. I costi sono infatti fotocopiati, oltre che
per il biglietto da 1,25, anche per le due tratte di una linea (1,55 euro), il
giornaliero su tutta la rete (4,35 euro), l'abbonamento mensile su una linea (da
26,40 a 27,75 euro) e sull'intera rete (da 33,55 a 34,45 euro). Quanto ai
pullman, tutto dipende dalla distanza. Si parte da una corsa semplice sotto i 4
km da 1,25 euro fino a un massimo di 178,95 euro per viaggi superiori ai 225 km.
Invariato il quadro dei servizi marittimi: da Trieste a Muggia 4,25 euro per la
corsa singola e 7,90 ritorno compreso; da Grado a Trieste 7 euro (10,65 andata e
ritorno), da Trieste a Barcola 2,55 e da Marano a Lignano 3,40. Nel “pacchetto”
varato dalla giunta, oltre ai biglietti gratis per gli under 10, entra anche lo
sconto del 20% a partire da febbraio nelle giornate di sabato e domenica sul
biglietto di corsa semplice dei servizi ferroviari in ambito regionale gestiti
da Trenitalia. Sono inoltre confermati i bonus 2016 a favore di studenti,
famiglie e viaggiatori abbonati (già beneficiati da una riduzione del 5% in caso
di acquisto online). A Trieste e nell'Isontino scatterà poi il potenziamento dei
servizi scolastici e proseguiranno i nuovi collegamenti sperimentali con la
Fincantieri di Monfalcone. Sono inoltre in corso di valutazione l'attivazione di
un servizio festivo di collegamento con Fernetti e l'intensificazione del
festivo Trieste-Muggia.
(m.b.)
Incendio sul San Michele - Distrutti 5 ettari di bosco
- Botti e petardi hanno innescato le fiamme in Carso vicino all’abitato di Moccò
Colpita anche Trebiciano. Roghi a Opicina, Padriciano e in viale Miramare
Carso in fiamme nell'ultimo giorno del 2016. Un vasto incendio notturno,
visibile da parecchi punti del territorio triestino, ha interessato l'area
boschiva del monte San Michele, l'altura sopra l'abitato di Bagnoli della
Rosandra, a ridosso della frazione di Moccò, nel comune di San Dorligo della
Valle. Poco dopo le 22.30 di sabato tre squadre dei vigili del fuoco, assieme
alla Forestale di Trieste e Duino, i volontari antincendio di San Dorligo ("Breg")
e Muggia, i pompieri volontari di Trieste, hanno affrontato un incendio, che è
stato domato parzialmente alle prime luci dell'alba di ieri e completamente
attorno alle 18. Oltre cinque gli ettari di terreno boschivo andati in fumo sul
monte noto per la presenza delle rovine di un castelliere, struttura difensiva
risalente all'Età del Ferro, considerato il più esteso dell'area triestina. Non
sicura, ma quasi certa l'origine del rogo, attribuita allo sconsiderato utilizzo
di fuochi di artificio a ridosso dell'area verde: il vento e un terreno
particolarmente secco (non piove da diverse settimane) hanno favorito il
propagarsi delle fiamme estesesi fortunatamente senza coinvolgere persone o
abitazioni. Inizialmente l'area indicata sul web dal rogo era stata identificata
nel monte Carso, anche in seguito all'errato messaggio twittato dalla Protezione
Civile di Trieste che evidenziava come l'incendio boschivo si fosse propagato in
un'altra delle alture che dominano la Val Rosandra. Le dinamiche del rogo
sviluppatosi sul monte San Michele sono molto simili a quelle occorse anche il
giorno di Capodanno del 2015, quando un incendio, provocato anche in quel caso
dello scellerato utilizzo di fuochi d'artificio vicino ad un'area boschiva,
investì il vicino monte Carso, nei pressi dalla "cava cuore". Ma in questo
impegnativo fine 2016, i Vigili del fuoco e le squadre della Forestale sono
intervenuti anche in altre zone del territorio. A Opicina, Padriciano e anche
nella zona di viale Miramare sono sorti piccoli roghi, anche questi dovuti, con
quasi ogni probabilità, ai botti di fine anno. Prezioso a tale proposito
l'intervento di bonifica in queste zone operato dai volontari antincendio della
Protezione civile di Trieste. Ma i pompieri hanno spento anche diversi principi
di incendio dovuti ad alcuni cassonetti delle immondizie dati alle fiamme forse
per qualche stupido gioco dovuto al lancio di petardi all'interno dei bottini
stessi. Le aree interessate sono state via Bartolomeo d'Alviano, strada di
Guardiella, via Giuseppe Di Vittorio, Valmaura (vicino al Bricofer) e la
frazione muggesana di Zindis. Nella giornata di ieri, infine, un altro nuovo
incendio ha interessato questa volta la frazione di Trebiciano. Oltre 3mila mq
di prati cespugliati, a margine di un'area boschiva, sono andati completamente
bruciati. Fondamentale l'intervento della Forestale di Trieste e dei vigili del
fuoco, che dalle 15.30 alle 18 circa, hanno spento le fiamme provocate da
qualche botto di fine anno lanciato in ritardo. Le operazioni di spegnimento
degli incendi di Trebiciano e del monte San Michele coordinate dal maresciallo
della Forestale Giovanni Flapp.
Riccardo Tosques