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RASSEGNA STAMPA  gennaio - giugno 2017

 

 

 

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 30 giugno 2017

 

 

Il "patto" di San Dorligo contro gli odori molesti

Il Comune volta pagina in tema ambientale e vara un tavolo tecnico con Arpa, Regione, Azienda sanitaria, Porto e Municipio di Muggia. Si parte a metà luglio
SAN DORLIGO DELLA VALLE - Il Comune di San Dorligo delle Valle volta pagina sul fronte dell'ambiente e vara iniziative che coinvolgono in modo concreto istituzioni, aziende e cittadini. L'amministrazione guidata dal sindaco Sandy Klun sta dando vita a un tavolo tecnico sulle "molestie olfattive" (i forti odori che si manifestano spesso nel territorio), che si riunirà per la prima volta nella seconda metà di luglio e al quale siederanno l'Arpa, la Direzione ambiente e energia della Regione, l'Azienda sanitaria integrata, l'Autorità portuale e il Comune di Muggia. Subito dopo, come ha spiegato l'assessore all'Ambiente e territorio Franco Crevatin, nella conferenza stampa indetta ieri in Municipio assieme alla Seconda commissione, sono previsti incontri con Siot e Wärtsilä. E successivamente altre riunioni saranno programmate con i cittadini. Parallelamente il tavolo tecnico inizierà a lavorare, per cui «fra settembre e ottobre - ha precisato Crevatin - avremo una fotografia concreta della situazione dell'ambiente nel nostro comune». Un comune la cui superficie è occupata per un terzo da attività industriali e artigianali, e che, come ha ricordato il sindaco Sandy Klun, «ospita le due più grandi aziende della provincia, Siot e Wärtsilä». Il nodo principale è costituito, come detto, dalle "molestie olfattive", un tempo limitate a singole zone ma che ora si manifestano in tutto il territorio comunale. «Alla fine dello scorso anno - ha spiegato l'assessore - abbiamo distribuito una scheda a una quarantina di persone, che hanno riportato per sei mesi i dati degli eventi molesti, aiutando così il Comune e in particolare la Seconda commissione. E a fine aprile - ha proseguito - abbiamo discusso con l'Arpa i metodi di rilevazione. In questi sei mesi la gente ha fortemente collaborato, e spero continui a farlo anche quando ci incontreremo con le aziende, Siot e Wärtsilä in primis». Un metodo di lavoro, quello che coinvolge i cittadini, i cui risultati saranno appunto al centro dei confronti con le aziende, per individuare procedure che permettano di determinare con certezza l'origine dei fenomeni e di ridurne l'impatto sugli abitanti ma anche sulle colture.«Siot ha comunicato a suo tempo - ha rilevato ancora Crevatin - che sta investendo molto per ridurre gli effetti olfattivi, ma ciò finora non ha dato risultati. E visto che è qui da 50 anni sarà il caso che attui delle modifiche, introducendo qualche sistema per eliminare il problema. Pensiamo che la tecnologia possa risolvere queste questioni, assieme alla buona volontà e alle risorse che non mancano». La Seconda commissione si occupa dei problemi ambientali già da tre anni, e nel suo ambito, come ha sottolineato il presidente Roberto Potocco (Pd), fra i componenti c'è «una condivisione totale e trasversale sull'importanza della salute dei cittadini». Potocco ha anche osservato che «si è sopportato molto in termini di molestie olfattive, con conseguenze anche sull'impossibilità di vendere le abitazioni». E riguardo ai dati raccolti dai cittadini, attraverso schede "zonizzate", ha spiegato che verranno incrociati con quelli che d'ora in avanti saranno annotati su altre schede indicate dall'Arpa.«Non ci sono prove scientifiche che gli odori vengano dal parco serbatoi della Siot - ha ancora affermato Potocco - ma si tratta di odori di idrocarburi, per cui non possono venire da altre parti. Su sei dei 32 serbatoi Siot ha installato dei nebulizzatori, ma gli effetti sono tutti da capire». Il problema di fondo, secondo il presidente della commissione, è che «in Siot non si è notata la responsabilità sociale d'impresa. Qualche momento critico - ha aggiunto - si è vissuto anche con Wärtsilä. Il tavolo tecnico dovrà individuare i modi di convivenza con queste aziende, coniugando le loro esigenze con quelle degli abitanti». Fra i problemi sul tavolo, anche il del rumore prodotto dal traffico della Grande viabilità. «Stiamo lavorando - ha spiegato Potocco - perchè l'Anas metta in pratica le decennali promesse sull'installazione delle barriere fonoassorbenti e sostituisca i giunti ormai usurati».

Giuseppe Palladini

 

 

La proprietà della Ferriera esamina la diffida regionale
«Acciaierie Arvedi, stabilimento di Trieste, conferma di aver ricevuto giovedì 29 giugno (ieri, ndr) la diffida da parte della Direzione Ambiente della Regione recante la limitazione alla produzione. È in corso la valutazione dei profili tecnici e legali di tale prescrizione, con riserva di comunicare le azioni da intraprendere nel corso dei prossimi giorni». Così la proprietà della Ferriera di Servola è intervenuta ieri con una nota ufficiale dopo l'atto formale inviato dalla Regione alle Acciaierie Arvedi stesse e finalizzato a mettere fine agli sforamenti nei livelli delle polveri e a far rientrare le emissioni «nei valori obiettivo previsti dal decreto di autorizzazione integrata ambientale (Aia) del 2016». Sempre nella giornata di ieri, il sindaco Roberto Dipiazza ha osservato: «Già a inizio anno questa amministrazione comunale aveva diffidato la proprietà a non sforare i limiti di produzione imposti. Diffida che fu stroncata dalla Regione, che ora chiede la stessa cosa. Attendo quanto prima - ha continuato - di incontrare il Cavalier Arvedi con la presidente Serracchiani per poter sviluppare insieme un'industria pulita. La zona dove esiste l'area a caldo potrà essere riqualificata a fini di portualità, d'intesa con l'Autorità portuale». Intanto, in piazza Unità, prosegue il presidio avviato dieci giorni or sono dal Comitato 5 dicembre proprio davanti al palazzo della Regione. Un'iniziativa che «resterà permanente fino a quando verrà chiusa l'area a caldo», avevano specificato da subito gli organizzatori.

 

 

Navigazione a batteria - Wärtsilä spinge la propulsione ibrida - Concepito nello stabilimento triestino il primo modulo completamente integrato per ridurre le emissioni
TRIESTE - I primi due esemplari sono già stati venduti alla maggiore compagnia di rimorchiatori del Mediterraneo, la genovese "Rimorchiatori riuniti", e permetteranno all'imbarcazione su cui saranno montati di muoversi nelle acque del porto prevalentemente a batteria. Così funzionerà il nuovo modulo ibrido Wärtsilä HY, concepito dal Marine engineering team dello stabilimento triestino della multinazionale. Puntando sullo sviluppo della tecnologia green, Wärtsilä ora annuncia dunque l'immissione sul mercato del modulo ibrido HY, che la società presenta come «innovazione assoluta nel settore della propulsione navale». Certamente già esistono applicazioni che vedono motori marini addizionati di batterie, ma ora per la prima volta - come spiega Matteo Natali, manager Technical Sales di Wärtsilä - un sistema ibrido integrato viene offerto sul mercato come modulo "chiavi in mano". Di cosa si tratta? In sostanza il collaudatissimo motore 26, già da tempo costruito negli spazi triestini di Wärtsilä, viene modificato e ottimizzato dal team ingegneristico che affianca la parte elettrica - proveniente dagli stabilimenti norvegesi che hanno lavorato insieme ai tecnici triestini - per combinare insieme motori, sistema di stoccaggio dell'energia ed elettronica di potenza da fare interagire sinergicamente. I vantaggi del nuovo sistema, come si legge in una nota di Wärtsilä, «comprendono la riduzione del consumo di carburante e delle emissioni, per un miglioramento complessivo delle prestazioni dell'imbarcazione; in particolare, la modalità Green permetterà un azzeramento delle emissioni». Non ci sono cifre sull'entità della riduzione di emissioni: cambiano notevolmente, si fa sapere dall'azienda, a seconda delle potenze in gioco, dell'utilizzo delle batterie e del profilo operativo della nave. Di certo c'è invece che il sistema integrato di gestione dell'energia può essere ottimizzato anche durante la vita della nave, secondo le esigenze di operatività.Il modulo HY ha già ottenuto un certificato di approvazione dal Lloyd's Register, mentre è in attesa di brevetto una nuova procedura automatizzata che permetterà di «eliminare le emissioni di fumi a ogni livello di carica e in qualsiasi modalità operativa». Wärtsilä sottolinea inoltre come la riduzione dei tempi di operatività dei motori permetterà di «diradare gli interventi di manutenzione». Il nuovo prodotto dunque, sostiene Giulio Tirelli, direttore di Marine Engineering Wärtsilä Solutions, «apre la strada a una nuova era della cantieristica navale, impensabile fino a poco tempo fa». Wärtsilä HY verrà presentato in versioni ad hoc per ciascuna categoria di navi. Le prime versioni disponibili saranno dedicate appunto a rimorchiatori e traghetti di medie dimensioni; in un secondo momento è prevista invece l'applicazione del modulo anche su imbarcazioni di dimensioni maggiori.

 

Da oggi obbligatorio il conta-calore per i termosifoni
ROMA - Scade oggi il termine per installare nei condomini i contatori per misurare e regolare l'effettivo consumo di calore nelle case. Il termine era già stato prorogato di sei mesi, ma adesso scattano le sanzioni. Questo prevede la legge approvata nel 2014 e poi modificata nel 2016. Ma nell'applicazione pratica ci sarà ragionevolezza. I controlli che faranno scattare le sanzioni, interverranno quasi certamente dopo l'estate. Se i lavori sono già stati deliberati, se sono iniziati, e se alla fine l'impianto sarà pronto e funzionante per l'inizio della stagione invernale, i condomini riusciranno molto probabilmente ad evitare le sanzioni. Sanzioni che tra l'altro navigano fra i 500 e i 2.500 euro «per ciascuna unità immobiliare». Ma non tutti i condomini sono tenuti a mettere i contabilizzatori. Tutto dipende dall'effettivo vantaggio che si può ottenere installandoli, deve trattarsi di un vantaggio economico tenuto conto dei costi di installazione e il risparmio del costo energetico spalmato su qualche anno. Nei condomini dove è stato installato il termovalorizzatore ora la divisione delle spese energetiche sarà a consumo. La prassi prevede che il primo anno il consumo venga diviso per millesimi. Dal secondo anno parte la divisione a consumo vera e propria.

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 29 giugno 2017

 

 

«Arvedi riduca la produzione in Ferriera» - Diffida della Regione dopo gli sforamenti nei valori delle polveri registrati dall'Arpa. L'azienda studia le contromosse
L'aveva annunciato poche settimane fa, dopo l'ultimo richiamo formale da parte dell'Arpa. E ieri è passata all'azione. La Regione ha intimato alle acciaierie Arvedi di ridurre la produzione all'interno della Ferriera. Una mossa ritenuta essenziale per mettere fine agli sforamenti nei livelli di polveri e far rientrare le emissioni «nei valori obiettivo previsti dal decreto di autorizzazione integrata ambientale (Aia) del 2016». L'ultimatum è stato lanciato attraverso una diffida, con effetto immediato, firmata dal direttore centrale dell'Ambiente. Un provvedimento che ha colto evidentemente di sorpresa l'azienda, che sceglie al momento di non rilasciare commenti nel merito. «Siderurgica Triestina attende la citata diffida che non è ancora pervenuta - ha fatto sapere in serata l'ufficio stampa - e si riserva di valutarne i contenuti sul piano tecnico e legale». L'atto della Regione fa seguito al report inviato nei giorni scorsi dall'Arpa sugli esiti del monitoraggio dei parametri di stato e pressione per la qualità dell'aria a Servola. «Dall'analisi - riferisce in una nota la Regione - emergerebbe infatti che il valore di polverosità rilevato a maggio nella stazione di via Ponticello sarebbe pari a 336 microgrammi per metro quadro; questo dato farebbe scattare la procedura di riduzione della marcia dell'impianto, in quanto il valore obiettivo di polverosità su base mensile in quella postazione risulterebbe pari al 134 per cento del tetto prefissato». Nella diffida la Regione chiede alle acciaierie di adottare le misure previste dal decreto Aia del 2016 al fine del rispetto del valore obiettivo. Le iniziative da intraprendere consistono nel contenimento delle colate mensili in un numero massimo di 290, la limitazione della marcia dell'altoforno entro le 34 mila tonnellate nell'arco dei 30 giorni e la limitazione della produzione di coke a quelle strettamente funzionali alla produzione di ghisa. «La società Acciaierie Arvedi deve comunicare alla Direzione centrale Ambiente della Regione, al Comune di Trieste, ad Arpa Fvg, all'AsuiTs ed al Comando provinciale dei vigili del Fuoco entro cinque giorni dalla data del provvedimento, la limitazione della marcia degli impianti di cokeria ed altoforno. La riduzione dell'attività - si legge nell'atto - avrà effetto fino a quanto la Regione avrà formalmente accertato il rispetto del valore obiettivo imposto dal decreto Aia del 2016. Ciò avverrà attraverso l'analisi dei parametri rilevati in autocontrollo dall'Azienda e quelli registrati da Arpa nel processo di validazione».Ma il pressing sferrato dall'amministrazione regionale nei confronti del gruppo Arvedi non finisce qui. Sempre ieri la governatrice Debora Serracchiani, al termine di un confronto con i sindacati sulle attuali prospettive dello stabilimento, ha esortato l'azienda a presentare al più presto il piano industriale per la Ferriera di Servola. «Anche in qualità di commissario straordinario per l'attuazione degli interventi della crisi industriale complessa di Trieste - chiarisce ancora la nota della Regione - la presidente Serracchiani ritiene fondamentale la stesura del business plan. Sulla base di tale documento è infatti possibile fare una valutazione concreta sugli impegni che la proprietà dello stabilimento ha preso riguardo agli interventi ambientali. Il rispetto delle regole è secondo la presidente della Regione un aspetto imprescindibile. Ed è proprio per questo - ha informato Serracchiani - che l'amministrazione regionale, con atto del direttore centrale dell'Ambiente, ha diffidato le acciaierie Arvedi a ridurre la produzione affinchè le polveri rientrino nei valori obiettivo previsti dal decreto di autorizzazione integrata ambientale del 2016».

(red.cr.)

 

 

Cresce l'allarme pedoni - Un investito ogni 48 ore - I dati del Centro di monitoraggio Fvg. Viale Miramare l'arteria più pericolosa
In generale oltre due episodi al giorno. Aumentano anche quelli con ciclisti - GLI INCIDENTI A TRIESTE
Aumentano a Trieste e provincia gli incidenti stradali che coinvolgono i soggetti più a rischio di gravi lesioni, ovvero i pedoni e i ciclisti. Lo si evince dai numeri messi a disposizione dal centro di monitoraggio della sicurezza stradale della Regione (Crmss) che in una banca dati raccoglie tutte le segnalazioni delle forze dell'ordine e delle polizie municipali. A livello provinciale, infatti, la Polizia locale di Trieste (il corpo che effettua il maggior numero di rilievi rispetto a Carabinieri e Stradale) ha indicato 621 incidenti con lesioni ai soggetti coinvolti nel 2013; 657 nel 2014; 827 nel 2015 e - in calo - 769 per l'anno scorso, il 2016. Il totale, considerando anche Carabinieri e Polstrada, è di 928. Quanto al numero di pedoni coinvolti in sinistri con morti o feriti (dato questo a valenza Istat), è passato da 151 nel 2015 a 179 nel 2016. Come a dire: nello scorso anno si è viaggiato con la media di più di due incidenti stradali al giorno nel territorio giuliano. Un pedone ogni due giorni viene coinvolto. Le conseguenze variano: dalle più tragiche, come nel caso di Giulia Buttazzoni, uccisa mentre attraversava sulle strisce in via de Marchesetti, fino al colpo di frusta. Che si parli del totale degli schianti o del dato parziale sugli investimenti pedonali, un risultato non cambia: la strada più pericolosa di tutta la provincia era e rimane viale Miramare. L'infausto podio delle arterie da incubo per chi procede a piedi include via Giulia (9 incidenti nel 2016) e via dell'Istria, mentre la seconda e terza strada più pericolose nel complesso sono via Flavia (33 sinistri), il primo tratto della Trieste-Opicina e via Carducci, con 21 incidenti ciascuna. Il mancato rispetto della segnaletica semaforica da parte dei pedoni e l'utilizzo dei telefonini (unito all'ebbrezza alcolica) sono le cause principali contro cui punta il dito l'ex presidente dell'Aci triestina Giorgio Cappel, che oggi si occupa della ricostruzione dei sinistri. «L'altro giorno ho impiegato circa un quarto d'ora del mio tempo per sbirciare, in prossimità di un incrocio semaforizzato, il comportamento dei pedoni», segnalava sul Piccolo ad aprile. «Su circa 200 passanti, una cinquantina, uomini, donne, vecchi e bambini, erano al telefonino. Ben dieci hanno attraversato la strada senza guardare il semaforo ed esattamente 4 sono transitati con il rosso, creando imbarazzo ai conducenti che passavano con il verde. Che ognuno di noi faccia un esame di coscienza». Sulle nostre arterie di traffico nel solo 2016 si sono persi 259 anni di vita sana in seguito a tragici schianti. Si tratta di un calcolo provvisorio di Crmss in collaborazione con Insiel e la direzione centrale Sanità basato sul sistema dei Disability Adjusted Life Year (Daly). Il metodo, raccomandato dall'organizzazione mondiale della sanità, combina in una sola misura gli anni di vita persi a causa di una morte precoce rispetto alla speranza di vita e gli anni di vita vissuti con disabilità. Ben 98 se ne sono persi in un solo istante, quando un trentaquattrenne, al volante in stato di ebbrezza, ha imboccato la Gvt contromano uccidendo Luca Sussich e Valentina Gherlanz. Era la notte tra il 19 e il 20 giugno (ne riferiamo anche in basso). Tutti questi dati sono disponibili sia sul sito Aris, l'archivio regionale incidenti stradali, sia su quello del Piccolo, dove è possibile consultare una mappa interattiva che mostra a colpo d'occhio le strade più pericolose sia per i pedoni che, per esempio, per le biciclette. A proposito, dal 2015 al 2016 gli incidenti che hanno coinvolto e ferito dei ciclisti sono passati da 32 a 42. Anch'essi in aumento, dunque. I responsabili del centro regionale di monitoraggio della sicurezza stradale evidenziano come sia importante lavorare non solo con i dati relativi agli incidenti con lesioni, ma anche con quelli che indicano i danni ai soli mezzi. «Incrociando i risultati si possono infatti comporre mappe di rischio stradale più complete». Fondamentale, sempre a detta del Crmss, sarebbe uniformare i metodi di rilevazione di Carabinieri, Stradale (che operano su strade extraurbane e in quelle urbane tra le 2 e le 7 del mattino) e Polizia locale. «Il volume del traffico va limitato tramite il potenziamento del trasporto pubblico», commenta Sergio Tremul, fondatore di Camminatrieste. «Non ci sembra che l'amministrazione locale si stia impegnando come richiesto. Serve un cambio di mentalità per la viabilità e il traffico consultando anche studenti, lavoratori e utenti che sono la parte più interessata».

Lillo Montalto Monella

 

«Servono luci e dossi davanti alle "zebre"» - «La gente vede il rettilineo e si lascia andare correndo» - Esercenti e residenti di viale Miramare chiedono interventi
«Basterebbe un dosso». Il sistema salva-vita a tutela di chi cerca di attraversare le strisce pedonali sarebbe a portata di mano, secondo Daniela del bar Condor che, di fronte al suo locale, in viale Miramare - la strada più pericolosa secondo il centro di monitoraggio della sicurezza stradale della Regione - assiste spesso a incidenti. Sinistri che avvengono per diversi motivi, a suo avviso. In primis, osserva, «a causa della doppia corsia, può essere ad esempio che ai pedoni venga data la precedenza da chi si dirige verso Miramare - spiega - mentre i mezzi che procedono in direzione città non li lascino passare e così restano in mezzo alla strada in balia dei veicoli». E poi c'è il fatto degli scooter che, sorpassando le auto che giustamente danno la precedenza alle persone a piedi, frenano di colpo e cadono. «Ma essendo in torto questi ultimi, tirano su la moto e continuano il percorso senza fiatare». Dal suo bancone però Daniela fa notare anche quanto sia «inutile quella specie di slargo» che da viale Miramare poi dovrebbe far procedere le auto verso scala al Belvedere: «Molti entrano in questa specie di seconda via per reimmettersi su viale Miramare, andando così contro senso». Ecco che dunque propone di chiudere la seconda uscita, quella che porta su via Boccaccio. Per Massimo Ziberna, dell'autoscuola Accademia di guida, che sta proprio sull'insenatura di viale Miramare vicina al bar Condor, la questione riguarda «una situazione di traffico particolare, che si accentua durante la stagione balneare». In realtà la via non ha grandi caratteristiche che inducono alla pericolosità, semplicemente «è che la gente vede il rettilineo e si lascia andare, correndo». D'accordo con Ziberna anche Marina Tuta, residente nella parte di viale Miramare vicino alla pineta di Barcola. «I mezzi vanno troppo veloci, non rispettano le strisce pedonali e si creano incidenti, la gente pensa già di essere in autostrada - afferma -. Bisognerebbe mettere dei lampeggianti sulle zebre, perché di notte la visibilità è scarsa e quindi capita che non si vedano. Noi l'avevamo chiesto al sindaco precedente, ma ancora nessuno l'ha fatto».Di parere completamente opposto invece è Alessia Ziberna, la quale rimane solo colpita dal traffico che c'è in viale Miramare: «Non mi sembra ci siano grossi problemi». Della stessa opinione Mattia Fusi, da poco trasferitosi a Trieste da Firenze: «Nella mia città d'origine ci sono incidenti quotidiani, qui invece mi sembra che non ci sia assolutamente caos, anzi, io mi sento molto sicuro». Tanto sicuro che non si fa nessun problema a percorrere il tragitto da Barcola a Trieste e viceversa a piedi, attraversando «senza particolare difficoltà le strisce e attendendo i semafori verdi».

Benedetta Moro

 

L'allarme degli abitanti di Gretta - Riunione alla Microarea sul tema dell'alta velocità dei veicoli anche in zona scuole
Emergenza sicurezza stradale a Gretta. Se ne è discusso nella sede della Microarea in via dei Toffani. L'incontro è stato promosso dagli operatori dell'AsuiTs. L'obiettivo? Trovare una soluzione ai problemi legati all'eccesso di velocità degli automobilisti in transito su strada del Friuli e salita di Gretta. Hanno partecipato all'assemblea, oltre alla referente del progetto Microaree a Gretta Michela Degrassi, la consigliera comunale del Pd Fabiana Martini, il consigliere di circoscrizione in quota Fi Gianluca Papallo e Selenia Bortelli, presidente del comitato dei genitori dell'Ic Roiano - Gretta. La situazione - stando a quanto emerso - sta peggiorando nell'ultimo periodo. Da inizio anno, infatti, si sono verificati due incidenti che hanno coinvolto due giovani studenti: il primo a gennaio e il secondo a maggio. In circostanze simili, diversi anni fa, una donna ha perso la vita. Questi episodi hanno stimolato le preoccupazioni delle famiglie di Gretta, che a marzo si sono rivolte con una lettera al Comune. Segnalazione firmata da 234 genitori a cui il sindaco Roberto Dipiazza ha risposto assicurando l'impegno della giunta sul tema. «Ho paura solo al pensiero che i miei figli possano attraversare la strada non accompagnati per andare a scuola o a fare sport - racconta Bortelli -. Gli automobilisti sfrecciano a velocità altissime ignorando sistematicamente le strisce pedonali, la segnaletica verticale è assente e l'illuminazione scarsa». Quali le soluzioni? La situazione di disagio mette d'accordo le diverse parti politiche, come testimonia l'intervento di Papallo: «A gennaio, dopo l'incidente, ho presentato una mozione urgente alla quale è seguito un sopralluogo dell'assessore Luisa Polli, del direttore del Servizio Mobilità e Traffico del Comune Giulio Bernetti e del consigliere comunale Everest Bertoli. È importante che i rappresentanti di tutti i partiti, dalla maggioranza all'opposizione, collaborino». Una proposta arriva da Martini, firmataria di un emendamento al bilancio comunale che prevede l'acquisto di colonnine porta autovelox per un investimento di 40mila euro: «Sarebbe il primo passo per affrontare il problema e promuovere la sicurezza stradale». Così invece Degrassi: «Abbiamo deciso di convocare questo tavolo di coordinamento, per segnalare all'amministrazione e all'opinione pubblica i disagi e i pericoli che gli abitanti di Gretta vivono quotidianamente».

(l.a.)

 

 

Lo sciacallo dorato riappare sul Carso e fa strage di galline - Devastato l'allevamento del tredicenne Alex «Voleva attaccare anche la nonna»
GRADISCA - Lo sciacallo dorato ricompare sul Carso. E fa razzie. L'allarme viene da San Michele del Carso, dove in un paio di giorni si sono registrate ben due blitz notturni del temibile predatore. Nella prima circostanza il canide ha preso di mira il pollaio di un'abitazione sita nel centro abitato, facendo una vera e propria strage di polli, galline ed oche: ben dodici le vittime della razzia. Qualche giorno dopo l'amara sorpresa in un'altra zona di San Michele: in un'abitazione circondata dalla boscaglia sono state ritrovate le carcasse di due polli. Nel primo caso un testimone oculare, pensando all'assalto di una volpe, ha invece riconosciuto con chiarezza le tipiche fattezze del predatore dal pelo grigio. La ricomparsa dello sciacallo dorato è anche la storia di Alex Devetak, 13 anni, nato e cresciuto proprio a San Michele. E' lui ad avere visto devastato il proprio piccolo allevamento cui teneva molto. Un ragazzo dalle molte passioni, prima fra tutte quella per gli animali. Fin da piccolo ne ha sempre avuti e se ne è sempre occupato con amore e dedizione. Alex ha una gran passione per i polli ornamentali e grazie all'aiuto dei nonni ha potuto costruirsi il suo primo pollaio dove poter ospitare i suoi nuovi amici. Iscritto nella sezione Junior dell'AFA, Associazione Friulana Avicoltori, Alex ha deciso di intraprendere l'hobby dell'allevatore amatoriale di polli spinto dalla sua grande sensibilità e passione nel voler custodire razze avicole che altrimenti rischierebbero di scomparire. Cosi grazie alla sua associazione Alex ha potuto iniziare l'allevamento di alcuni capi di polli e la sua scelta si è rivolta ad una razza italiana al 100 per cento: la Livorno, accudita con passione e competenza anche vista la giovane età. La passione di Alex ha vissuto pero' un brusco risveglio. Qualche mattina fa la nonna di Alex si è alzata presto e come suo solito verso le cinque di mattina si è recata nel pollaio a portare un po' di verdura e ad aprire le porte per permettere alle gallinelle di pascolare nel giardino. All'improvviso una furia appare nel giardino e inizia a scagliarsi sulle povere bestiole. «Era uno sciacallo, il manto grigio era inconfondibile», ha assicurato ai familiari. Ad una ad una la belva ha iniziato a lacerare le gallinelle indifese. Versi strazianti. «Quello che ci chiediamo - si domandano gli esponenti dell'associazione Afa - è come faccia un simile animale ad essersi spinto nel mezzo di una zona abitata, con il sole che sorge e un essere umano presente. La belva ha provato ad attaccare anche la nonna. Lo sciacallo è un pericolo anche per gli uomini, Forestale e cacciatori dovrebbero fare qualcosa per limitare almeno che questi esemplari arrivino sino a un centro abitato». Quando Alex giunge nel pollaio trova solo carcasse fredde, senza vita. Le sue amiche, i pulcini che aveva visto crescere e a cui si era dedicato con tutto se stesso ora erano li davanti a lui, morte. «Possiamo stare sicuri? Chi ci dice che non tornerà a fare razzia in altre case? - incalza l'Afa, associazione con sede a Udine -. Chi ci assicura che i nostri animali ma soprattutto i nostri bambini siano al sicuro? Cosa possiamo fare di fronte a questi predatori? Dove sono gli enti predisposti a gestire tali situazioni?». La presenza dello sciacallo dorato in Friuli Venezia Giulia è ormai consolidata. La specie occupa le nicchie lasciate libere dal lupo o dalla volpe. In Regione le prime segnalazioni risalgono alla metà degli anni Ottanta. Nel 1997 due individui sono stati fotografati a Doberdò del Lago e i monitoraggi condotti dall'Università di Udine hanno evidenziato che i branchi del Carso goriziano sono gli unici a registrare una permanenza costante in una determinata area.

Luigi Murciano

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 28 giugno 2017

 

 

Portualità - Il governo fa decollare il Punto franco di Trieste
TRIESTE - A quasi trecento anni dalla sua proclamazione, avvenuta nel 1719 con la patente di Carlo VI, il Porto franco di Trieste è stato resuscitato con un decreto del governo che il ministro di Infrastrutture Graziano Delrio ha firmato ieri davanti ai triestini nel salone di rappresentanza della Regione che non a caso evidentemente sorge in quello che fu il Palazzo del Lloyd Triestino. Un decreto che più di qualcuno, tra i presenti, ha definito di portata epocale. Grazie al decreto attuativo che norma il regime speciale - e che porta la firma anche del ministro delle Finanze Pier Carlo Padoan -, vengono prima di tutto messe nero su bianco tutte le agevolazioni derivanti dell'extraterritorialità doganale con la libertà di accesso e di stoccaggio illimitato delle merci, il pagamento differito e la riduzione delle tasse (tutta materia che finora era rimessa alla libera interpretazione dei vari funzionari doganali). Inoltre, con un ampliamento di opportunità che per Trieste potrebbe rappresentare un nuovo 1719 (fino ad allora la città era un villaggio di pescatori), si prevede l'estensione delle agevolazioni anche al settore della trasformazione industriale delle merci stesse. Caso unico in modo così accentuato a livello europeo, che potrebbe vedere nel giro di qualche anno l'insediamento di decine di nuove aziende internazionali nelle aree ex Ezit e sul Canale navigabile. Nel decreto sono espliciti i richiami all'Allegato VIII del Trattato Internazionale di pace del 1947, al memorandum di Londra del 1954, ai decreti del commissario del Governo del 1955 e del 1959 che testimoniano da parte governativa la vocazione internazionale dello scalo giuliano, come singolo caso particolare nel panorama del nostro Paese. Ma, come ha sottolineato lo stesso presidente dell'Autorità di sistema portuale dell'Adriatico orientale Zeno D'Agostino, dal momento in cui l'Italia è rientrata a governare questo territorio, cioè dal 1954, non c'era una norma che fornisse chiarezza giuridico amministrativa per l'applicazione di queste prerogative. «Si va a sanare una lacuna normativa che dal punto di vista gestionale era aperta da più di 60 anni - ha specificato D'Agostino - stabilendo che sia l'Authority a organizzare, gestire e promuovere i Punti franchi del Porto franco di Trieste. L'emendamento Russo che permette lo spostamento dal Porto vecchio unito a questi nuovi poteri - ha aggiunto - ci dà una capacità organizzativa di un sistema logistico-industriale che ora rappresenta un unicum a livello continentale. E avere un'area con queste caratteristiche non a Dubai o a Tangeri ma all'interno dell'Europa, fornisce a Trieste opportunità immense a livello mondiale. E infatti - ha svelato il presidente dell'Authority - abbiamo già manifestazioni di interesse sia a livello immobiliare che industriale per milioni di metri quadrati». Tra i contenuti salienti del decreto, l'attribuzione all'Authority del potere di modificare l'area dei Punti franchi. È la novità più importante che attualizza i principi contenuti nell'Allegato VIII del Trattato di pace: prevede infatti che la valutazione spetti al presidente del porto, quale soggetto istituzionalmente deputato alla gestione dei Punti franchi. L'Autorità avrà anche il potere di autorizzare le attività di manipolazione e trasformazione industriale delle merci nei Punti franchi, fornendo assistenza agli investitori. «Quando hanno sentito parlare di Punti franchi, gli occhi a mandorla hanno incominciato a brillare». Più o meno così D'Agostino aveva sintetizzato i risultati dell'ultima missione in Cina e già qualche settimana fa funzionari dell'ambasciata di Pechino in Italia si erano recati in visita allo scalo triestino subito dopo che le massime autorità cinesi avevano ribadito al premier Paolo Gentiloni l'interesse per il porto di Trieste. Alla domanda su cosa il governo stia facendo per fare di Trieste, assieme a Genova il principale gate italiano della nuova Via della seta, il ministro Delrio ha risposto così: «Stiamo aumentando gli investimenti nel porto, nei raccordi ferroviari e nella digitalizzazione delle Dogane e abbiamo completato un adempimento cruciale come questo del regolamento del Punto franco: sono elementi determinanti che faranno correre Trieste». All'inizio dell'incontro una raggiante Debora Serracchiani aveva ricordato come siano 77 i milioni di risorse pubbliche messi a disposizione negli ultimi anni a favore della componente ferroviaria del porto. «Tutta l'Italia sta imparando da Trieste come si possano togliere migliaia di Tir dalle strade - aveva chiosato Delrio - Ora questo porto deve seguire fino in fondo la propria vocazione internazionale». Soddisfattissimi i molti operatori portuali intervenuti ieri tra cui Stefano Visintin e Alessandro De Pol, presidenti rispettivamente di spedizionieri e agenti marittimi, e in particolare Enrico Samer, Francesco Parisi e Fabrizio Zerbini protagonisti di forti finanziamenti privati sui Moli V, VI e VII, i primi due con colossi turchi e il terzo con la società di Pierluigi Maneschi assieme a Msc. Presenti anche alcuni lavoratori accompagnati dal sindacalista Renato Kneipp.

Silvio Maranzana

 

«Una svolta epocale che cambierà la città» - Serracchiani sottolinea le ricadute in termini di attrattività e lavoro. Dipiazza: «Giornata storica. Mi sono emozionato»
TRIESTE «Una svolta epocale che segna un momento storico per il porto di Trieste». Così Debora Serracchiani ha definito il regolamento sui Punti franchi reso operativo ieri. «La firma del decreto - ha continuato la presidente - significa la possibilità di poter fare manifattura industriale, trasformazione delle merci e logistica in un sistema doganale unico in Europa. Lo sblocco di una situazione di stallo che attendeva una soluzione operativa da sessant'anni». Quanto allo scalo, Serracchiani ha ricordato che «da due anni si sta già sviluppando con 250 posti in più, ma adesso avrà un'ulteriore impennata che può tradursi in tanti posti di lavoro». Anche a detta del sindaco Roberto Dipiazza, questo «è un momento storico per la città e porterà interesse, lavoro e sviluppo per Trieste perché credo che oggi siamo l'unico scalo d'Europa Porto Franco. Mi sono emozionato - ha proseguito - perché ho capito l'importanza della giornata. I triestini forse non lo ricordano, ma il Porto franco era fermo da 20-30 anni. Ora il decreto attuativo lo sblocca, con grandi opportunità di lavoro e crescita. Dopo l'approvazione del Piano regolatore e la sdemanializzazione di Porto vecchio arriva la firma da parte del ministro Delrio del decreto attuativo per i Punti franchi. In meno di quattro anni assieme a Zeno D'Agostino e a Mario Sommariva - ha concluso il sindaco - si può davvero sostenere senza peccare di enfasi eccessiva che abbiamo cambiato il futuro della portualità triestina». Così il senatore democratico Francesco Russo, raggiunto a Roma dalla decisione del ministro dei Trasporti. «Ricordo che il giorno della sdemanializzazione in tanti ci avevano attaccato sostenendo che stavamo togliendo a Trieste la possibilità di usare le potenzialità della zona franca. In realtà spostando i Punti franchi lì dove sono funzionali e rendendoli finalmente operativi abbiamo creato le condizioni perché succeda esattamente il contrario. Finalmente. Questo ulteriore strumento mette Trieste e il Fvg - ha concluso il senatore dem - in grado di giocare con ancora più chance le proprie carte sullo scacchiere della logistica internazionale in particolare alla luce delle opportunità aperte dalla nuova Via della seta. Alla politica il compito di continuare unitariamente il lavoro fin qui svolto». Anche il presidente dei deputati del Pd, Ettore Rosato, ha voluto sottolineare «il lavoro di grande spessore fatto da Delrio, Serracchiani e D'Agostino per una rivoluzione nel porto di Trieste finora sempre promessa, ma mai attuata». «È una giornata straordinaria - ha affermato -. I risultati non tarderanno ad arrivare sia in termini di nuovi insediamenti sia di creazione di posti di lavoro. Siamo di fronte a un decreto che cambierà radicalmente in positivo la stessa essenza del nostro porto, ma anche dell'intera città». Sulla stessa riga la segretaria dem Antonella Grim: «Governo, Regione e Autorità portuale mettono la firma su un momento di svolta per la nostra città. Un percorso di grande successo in cui il Pd, a tutti i suoi livelli istituzionali, in questi anni ha contribuito in modo insostituibile. Ne siamo fieri». «Sono contento - ha aggiunto il senatore dem Lodovico Sonego - il decreto è un passo avanti per Trieste e per la regione e contribuirà ad arricchire lo spettro delle attività che si possono svolgere con profitto nello scalo ma anche a spingere lo sviluppo dell'intera attività retroportuale». Soddisfatti anche gli esponenti M5S. «Una grandissima notizia per la città e il frutto dell'ottimo lavoro svolto dal presidente D'Agostino - afferma il capogruppo in Comune Paolo Menis -. Si tratta di un atto che chiediamo fin dal 2012 con mozioni a tutti i livelli istituzionali. Purtroppo a quell'epoca il Pd non aveva minimamente compreso l'importanza di questo strumento, preso dalla follia di togliere il punto franco dall'area del Porto vecchio. Ora per fortuna si pone in parte rimedio all'ottusità del centro sinistra».

(s.m.)

 

I sindacati invocano dialogo e progettualità

Con la firma del ministro Delrio al Decreto attuativo del porto franco di Trieste «si pone fine a una vicenda decennale e si definiscono finalmente le potenzialità del porto e più in generale vengono indicate le straordinarie opportunità, che questo provvedimento arrecherà a tutta l'economia triestina». Lo affermano in una nota la Cgil e la Filt triestine. Definendo il Decreto attuativo «il giusto riconoscimento a una città e al suo porto, del ruolo internazionale, che per anni era stato a loro negato», i Cgil e Filt ritengono «fondamentale che le parti sociali, le amministrazioni e le istituzioni, individuino un luogo di confronto, che potrebbe essere l'ex Ezit, nel quale realizzare quel punto di discussione che può e deve mettere assieme progettualità, innovazione e la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori, in funzione delle realtà esistenti, ma soprattutto per i nuovi insediamenti». Di «risultato storico» parlano anche le Usb provinciali, assegnandone il merito all'impegno dei «lavoratori del Porto franco internazionale»

 

 

FERRIERA - L'ISPEZIONE dell'ARPA - «Nube nera a Servola - Colpa del vento forte»
La polvere che si è alzata domenica mattina attorno alla Ferriera, creando un nuovo allarme tra i residenti di Servola, è stata causata da un colpo di vento molto intenso, vento che ha raggiunto la velocità di 100 all'ora nel giro di appena tre minuti. È l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente, l'Arpa, che lunedì ha effettuato un sopralluogo all'interno dello stabilimento, a renderlo noto. La nube color nero-violetto si è sollevata dai parchi minerali della fabbrica, come già appurato. Un evento che si è verificato nonostante l'azienda abbia certificato che erano state attivate le contromisure preposte: «La direzione di Siderurgica Triestina - afferma l'Arpa in un comunicato - ha esibito ai tecnici dell'Agenzia evidenze dalle quali risulta che domenica erano attivi i sistemi di bagnatura della superficie dei parchi minerali con sostanze filmogene». Si tratta, nello specifico, di una pellicola applicata sui cumuli. Per la direzione dello stabilimento, viene spiegato nella nota, il sollevamento della polvere è stato un caso «particolarmente gravoso e localizzato», provocato appunto dal colpo di vento. L'Arpa segnala che tutte le stazioni meteo installate nel territorio provinciale (Molo Bandiera, Cattinara e Muggia) hanno registrato tra le 11 e le 12 di domenica raffiche massime fino a 16 metri al secondo (circa 60 chilometri orari), associate al passaggio di un forte temporale. Mentre, localmente, la velocità del vento ha toccato valori superiori. Nel corso del sopralluogo, la direzione di Siderurgica ha riferito all'Agenzia che è stato ultimato l'impianto di bagnatura attraverso l'aggregante del carbone, da impiegare durante la fase di scarico dalle navi. Tale sistema permetterà di trattare in modo opportuno l'intera massa del cumulo e non solo la superficie come avviene al momento. Un modo per evitare proprio fatti analoghi a quelli di domenica. «L'attivazione di questo nuovo impianto - aggiunge l'Arpa - avverrà per la prima volta in occasione del prossimo scarico di carbone, previsto intorno all'8 luglio». Ma il monitoraggio sullo stabilimento va avanti: nei prossimi giorni, annuncia il comunicato, l'Arpa proseguirà la verifica del sistema di bagnatura della superficie dei parchi minerali; inoltre, l'Agenzia sarà presente durante la prossima operazione di scarico del carbone dalla nave per accertare la funzionalità del nuovo impianto aggregante. Continua, nel frattempo, il presidio permanente in piazza Unità anti-Ferriera organizzato dal Comitato 5 dicembre con la partecipazione di No Smog e FareAmbiente.

Gianpaolo Sarti

 

 

Via Cavana - Niente più auto nell'ultimo tratto - La parte in cui svoltano ora i bus della 24 diventerà pedonale - Via Venezian sarà percorribile in un unico senso di marcia
Un ultimo tassello per completare l'isola pedonale della lunga via Cavana. È allo studio degli uffici del servizio Mobilità e traffico infatti una novità che non resta che attuare, già inserita com'è nel piano del traffico vigente. Novità che interesserà quel lembo di strada dove svolta il bus 24 risalendo via Felice Venezian. Da lì via Madonna del Mare diventerà percorribile solo a piedi fino a via del Bastione. Una mossa che mancava e che l'assessore all'Urbanistica Luisa Polli punta ora a realizzare per completare l'itinerario vietato alle auto che, da via Trento, arriva fino a piazza Venezia. Il nuovo percorso del bus - Non si sa ancora quale giro alternativo faranno i bus in servizio sulla linea 24. Il nuovo percorso, infatti, andrà deciso insieme ad altri attori. «Dobbiamo confrontarci con Trieste Trasporti e la Regione, che ora detiene alcune competenze prima in capo alla Provincia - spiega Polli -. Probabilmente il bus potrebbe fare lo stesso giro della 30 (che dalle Rive svolta poi in via San Giorgio, ndr), ma sono solo ipotesi». Proprio per questo la realizzazione del progetto non ha ancora un data, perché bisogna attendere l'esito del confronto. Come cambia la viabilità San Michele, che poi prosegue diventando via Felice Venezian, resterà percorribile dai veicoli a quattro e due ruote. Le auto potranno andare in un unico senso di marcia (dall'alto verso il basso). Chi vorrà risalire potrà farlo solo girando a sinistra in via del Bastione e non più svoltando a sinistra alla fine di via Venezian all'incrocio con via Cavana perchè quel tratto verrà appunto pedonalizzato. Su via Felice Venezian, che diventerà così più spaziosa, ci sarà la possibilità di inserire stalli per i motorini, per le auto dei disabili e per lo carico-scarico. I mezzi che ora sbucano da via Diaz, non avranno più la possibilità di girare verso via Felice Venezian, ma solo di proseguire dritto. Rimarrà intatto l'attraversamento pedonale su via Cavana. I residenti - Chi abita in via Madonna del mare, dovrà muoversi sfruttando le direttrici via della Valle - via San Michele, e via San Michele via del Bastione. Sempre gli abitanti di via Madonna del Mare dovranno rinunciare invece agli stalli per i motorini nel tratto iniziale che, come detto, diventerà isola pedonale e quindi off-limits a tutti i veicoli, scooter compresi. ue in via Madonna del Mare. Il piano pedonalizzazioni - La giunta comunale ha approvato in questi giorni la delibera che permette di inserire nuovi semafori su via Valdirivo e via Milano agli incroci con via XXX Ottobre che, da piazza Oberdan a via Torre Bianca, sta per diventare pedonalizzata e ciclabile. «Valorizziamo l'esistente e rendiamo più fruibile questa parte della città per tutti gli esercenti che vorranno mettere poi dei dehors davanti ai propri locali - spiega l'assessore -. Abbiamo concordato con le diverse attività alcuni spostamenti degli stalli per il carico/scarico e per i parcheggi per portatori di handicap». Resta invece zona a traffico limitato la parte che va da via Torre Bianca a via Machiavelli, fruibile solo per l'area parcheggio, che coinvolge la Guardia di Finanza e chi è alla ricerca di un posteggio blu e deve accedere ai garage sotterranei. «Ma non è detto che - conclude Polli - in un futuro, con nuovi contenitori in questa cambi anche questo pezzo».

(b.m.)

 

 

Chiampore si libera dalla maxi antenna - Il Consiglio di Stato sconfessa il Tar e dichiara abusivo il traliccio Finmedia. Demolizione più probabile rispetto a una multa
MUGGIA «Un grande risultato che conferma la bontà del nostro agire». Laura Marzi, finalmente, può cantare vittoria: la partita sull'enorme traliccio di Finmedia srl è stata vinta. Con una sentenza un po' a sorpresa il Consiglio di Stato di Roma ha ribaltato completamente la sentenza di primo grado fornita dal Tar Fvg di Trieste a proposito del titolo abilitativo di Finmedia per la realizzazione appunto di un impianto di diffusione di segnali radiotelevisivi a Chiampore. A tutti gli effetti, visto che non ci potranno più essere ricorsi, il traliccio Finmedia alto circa 30 metri è stato dichiarato abusivo. Una sentenza che quindi rende valido il ricorso in appello amministrativo promosso dal Comune di Muggia contro la sentenza del Tar del 13 agosto 2015 e che sancisce la perdita di efficacia immediata del titolo autorizzatorio della società. «Non è stata una scelta semplice ma, con la stessa grande motivazione e determinazione che da sempre ha contraddistinto il nostro impegno in questo campo, abbiamo ricorso in appello dinanzi al Consiglio di Stato per cercare di bloccare l'antenna di Finmedia a Chiampore», ricorda Marzi. «È sempre grazie alla determinazione e al duro impegno, infatti, che in questi anni siamo riusciti a conseguire importanti risultati quali l'abbattimento degli abusivi, con relativo valore aggiunto dell'ottimizzazione degli impianti esistenti e del miglioramento del territorio anche sul piano paesaggistico, nonché la riduzione dell'inquinamento, testimoniata dagli ottimi dati emersi dalla misurazione Arpa: in quest'ottica non potevamo lasciare alcuna strada intentata, neppure e soprattutto dopo la sentenza del Tar Fvg», aggiunge il primo cittadino muggesano. Proprio il Tar aveva disposto l'annullamento dell'ordinanza comunale che interrompeva i lavori per la realizzazione di un nuovo traliccio per telecomunicazioni in località Chiampore. L'ordinanza, datata 7 febbraio 2015, era stata infatti annullata assieme a tutti gli atti connessi con condanna del Comune di Muggia al pagamento delle spese di lite. Non potendo l'Avvocatura civica, nella sua composizione, garantire lo svolgimento del patrocinio dinanzi alle magistrature superiori, il Comune di Muggia aveva registrato la necessità di affidare l'incarico di difesa e rappresentanza in giudizio ad un legale esterno, individuato nell'avvocato Sandro Amorosino del Foro di Roma. L'attesa per la pronuncia del Consiglio di Stato è stata piuttosto lunga, ma, a un anno dall'udienza pubblica del 28 giugno 2016, non si è dimostrata vana per il Comune. Soddisfazione viene espressa anche dall'assessore all'Ambiente Laura Litteri: «Ci sono due motivi per essere particolarmente contenti per questa vittoria. Da un lato una ulteriore e inappellabile dimostrazione della correttezza della linea seguita in questi anni dal Comune nel processo di risanamento dall'inquinamento elettromagnetico a Chiampore. Dall'altro la riaffermazione del principio di superiorità dell'interesse collettivo, ossia i cittadini rappresentati dal Comune, sopra interessi puramente economici: la caparbietà con la quale la società voleva costruire una nuova antenna derivava semplicemente dalla incapacità di accordarsi per questioni economiche con chi, a pochi metri, stava erigendo un altro impianto». Litteri annuncia i passi futuri: «Nei prossimi giorni, assieme ai tecnici e alla nostra Avvocatura, valuteremo se, in virtù di questa sentenza, potremo accelerare anche la seconda fase della nostra azione a Chiampore: risolto il prioritario problema dell'inquinamento, infatti, ora si può pensare anche ad un risanamento paesaggistico». Ed è proprio questo il nodo più importante da sciogliere ora: che fine farà quel traliccio? Non prima della fine di luglio il Comune dovrà decidere quali sanzioni applicare e se conservare o meno il manufatto. Ma la sensazione e che si andrà verso l'abbattimento.

Riccardo Tosques

 

 

Il gas prima fonte di energia in Italia
Lo scorso anno, mentre il costo per le forniture petrolifere è sceso ai minimi di sempre, per la prima volta nella storia in Italia il gas ha superato il petrolio diventando la prima fonte di energia. A tirare le fila dei consumi energetici e più in generale della situazione della filiera lo scorso anno è stata l'Unione Petrolifera che, nel corso dell'assemblea annuale, è tornata anche a lanciare l'allarme contro l'illegalità nella distribuzione di carburanti. Illegalità che si è tradotta per le casse dello Stato in un mancato introito di circa 2 miliardi sotto forma di evasione di Iva ed accise. In un appuntamento incentrato quest'anno sul tema della transizione verso uno scenario 'low carbon', il presidente dell'Up Claudio Spinaci, riconfermato oggi per 4 anni, ha assicurato l'impegno dei petrolieri «a guidare un percorso sostenibile a livello ambientale, industriale e sociale». E in tale ottica ha suggerito l'importanza di rinnovare il parco auto italiano, tra i più obsoleti in Europa. Se si pensasse infatti al ricambio di 2 milioni di veicoli all'anno di quei 17 milioni tutt'oggi in circolazione e che risalgono a prima del 2005 (ovvero il 45% dei 37 milioni totali), ha spiegato, potremmo contare su una riduzione delle emissioni di CO2 del 37% al 2030.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 27 giugno 2017

 

 

Da Barcola a Cattinara - Semafori verso l'addio - Scatta la fase due della "rivoluzione rotatorie" pianificata dal Comune
Debutto entro fine anno a Valmaura nel piazzale sopra via Baiamonti
Scatta il secondo round della "rivoluzione rotatorie". Dopo via Flavia, la trasformazione destinata a cambiare le abitudini di automobilisti e motociclisti toccherà a breve via Baiamonti, via Caboto, Cattinara e viale Miramare-Porto Vecchio. È lo stesso sindaco Roberto Dipiazza ad anticipare il piano: «Siamo pronti a togliere i semafori», annuncia. Il primo cittadino fa riferimento innanzitutto alla zona dell'ingresso sud di Trieste, dunque il versante Valmaura, che il Comune vorrebbe rendere più scorrevole anche in vista dei lavori per la ristrutturazione della galleria Montebello, attesi nel 2018. Ma se per via Caboto-piazzale Cagni per il momento c'è solo un'indicazione di massima ancora in fase di studio, per via Baiamonti presto si passerà allo step progettuale. Lo conferma l'assessore con delega all'Urbanistica Luisa Polli: «È vero, ci stiamo già muovendo. Noi in città abbiamo sostanzialmente due porte principali, quella di viale Miramare per una direzione, e l'altra su via Flavia per chi proviene dalla parte opposta. Sicuramente - sottolinea l'assessore - gli snodi fondamentali su cui interverremo sono quelli elencati dal sindaco». Ma cosa succederà esattamente in via Baiamonti, incrocio di fondamentale importanza tanto per chi va verso la periferia, tanto per chi deve raggiungere il centro? Un punto, tra l'altro, che notoriamente conduce anche a Servola e, per i mezzi che arrivano dal cimitero di Sant'Anna, in via dell'Istria. Lì, insomma, si aprono ben quattro direzioni. Il piano è chiaro: via tutti i semafori, sia quelli in corrispondenza dell'uscita della galleria che quelli che si trovano nella parte opposta e sul lato di via Baiamonti. E poi spazio a una nuova grande rotatoria.Il progetto, che sarà pronto entro fine 2017, prevede naturalmente anche una rivisitazione dei passaggi pedonali dell'intero perimetro. Nelle scorse settimane i tecnici del Comuni sono andati a verificare diversi aspetti del futuro assetto viario, a cominciare dal numero di macchine che transitano nelle fasce orarie della giornata. «Riteniamo che l'introduzione della rotatoria in via Flavia abbia avuto un impatto sul traffico delle zone successive - spiega Polli - soprattutto su via Baiamonti che rappresenta il primo grosso incrocio cruciale, visto che il semaforo di Valmaura all'altezza del Grezar è sicuramente meno critico. Questo è il nostro indirizzo politico, ora spetta gli uffici entrare nel merito della fattibilità tecnica stabilendo le modalità possibili. Non è facile perché ci sono diversi flussi di marcia, quindi bisogna capire con quale sequenza realizzare le precedenze in modo da non creare ripercussioni sul traffico, in considerazione del fatto che il prossimo anno prenderanno il via i cantieri per la galleria di piazza Foraggi. Ma il sindaco ha già incontrato i miei uffici, il ragionamento è in corso». Soluzioni analoghe saranno attuate prossimamente anche in altre zone della città. A partire dalla futura rotonda che troverà spazio in corrispondenza dall'entrata di viale Miramare in Porto Vecchio, già ampiamente annunciata dalla giunta comunale: il provvedimento, in fase di progettazione, attende ancora i fondi ministeriali per l'apertura dei lavori. «Sono i famosi 50 milioni di euro - ricorda Polli - lì si prevede una bretella di collegamento verso le Rive e una passeggiata con la ciclabile, da allacciare a quella di Barcola». Mobilità da rivoluzionare pure a Cattinara, all'altezza del supermercato "Zazzeron": «Al posto di quell'incrocio invertito - evidenzia l'assessore - andremo a metterci una nuova rotatoria. Anche perché lì il traffico è effettivamente aumentato e sono già avvenuti molti incidenti». Dopo l'approvazione del bilancio, partirà pure la gara d'appalto per assegnare l'intervento. I cantieri, secondo la tabella di marcia della giunta, dovrebbero cominciare nei prossimi mesi, non oltre il 2017.

Gianpaolo Sarti

 

E il ring resta in un cassetto chiuso - Dipiazza rinvia l'anello per le auto attorno a un centro per pedoni e bus elettrici
Il "ring" del Piano del traffico è rimandato a data da destinarsi: con molta probabilità in questo terzo mandato del sindaco Roberto Dipiazza non si farà, come ha dichiarato proprio il primo cittadino nell'intervista al Piccolo della scorsa settimana. Nei prossimi quattro anni, dunque, non verranno attuate altre maxipedonalizzazioni del centro. E non si darà certamente corso al "ring", appunto, che prevede un percorso per le automobili che va da San Vito alla galleria di piazza Goldoni, a via Carducci, piazza Libertà e, quindi, alle Rive. Il centro, nell'ambito di questo disegno, sarebbe riservato agli autobus elettrici. La giunta si è data, piuttosto, altre priorità: un progetto per la sicurezza e per migliorare la mobilità cittadina. «Il Piano del traffico - osserva l'assessore all'Urbanistica Luisa Polli - è ormai storia. Dopo due anni è carta straccia: ora è scaduto. C'è una previsione di massima, ma non è cogente. Adesso ci concentriamo soprattutto sulla sicurezza degli attraversamenti pedonali e sui limitatori di velocità. Alcune strade, in particolare, verranno declassificate come "residenziali", in modo da poter installare i dissuasori. Questo non riguarda le vie di scorrimento, ma soprattutto le viuzze rionali dove gli automobilisti corrono troppo. Ci focalizzeremo, ad esempio, su Borgo San Sergio e Opicina con alcune sperimentazioni poi estendibili in altri punti cittadini».Di pari passo la giunta si dedicherà a una stesura del Piano della mobilità: «Rientra parzialmente nel progetto Portis - ricorda Polli - che riguarda da una parte la viabilità del Porto vecchio, del Porto nuovo e delle Rive, ma anche le vie di scorrimento del centro. Si inizierà con qualche intervento di pedonalizzazione simile a quello di via XXX ottobre, dunque procederemo a piccoli passi perché abbiamo visto che i cittadini si abituano più facilmente se le modifiche sono graduali. Anche perché solo così si riesce a valutare l'impatto sul traffico e pure sui pedoni. Serve una visione d'insieme». A proposito di progetto Portis, va ricordato che se ne parla dal marzo 2016. L'acronimo sta per Port-cities Integrating Sustainability ed è opera di un consorzio formato da cinque città portuali europee - Aberdeen, Anversa, Costanza, Klaipeda e, per l'appunto, Trieste - che si era aggiudicato ben 16,7 milioni di euro da parte dell'Unione Europea nell'ambito di Horizon 2020. Da questi fondi, ecco i due milioni e 779mila euro che sono andati proprio a Trieste per l'elaborazione di proposte innovative e a misura d'uomo volte a rafforzare l'integrazione tra la città e il suo porto. E l'opposizione in Comune? Non aspetta in silenzio. Già due mesi fa l'ex assessore Elena Marchigiani aveva contestato quelle che a suo dire sono le non scelte in materia dell'attuale giunta. «Se il nostro Piano del traffico non va bene, allora ne facciano un altro. Cosa fanno al posto di ciò che buttano via?». Più che il "ring" a bruciare è stata la possibilità, cassata, di una via Mazzini "free", che era stata molto discussa con i commercianti e la cittadinanza.«Dopo due anni di confronto pubblico - aveva sottolineato la docente universitaria, esperta di Urbanistica - ci vuole una bella responsabilità a bloccare tutto. La città ha bisogno di interventi sulla mobilità, innanzitutto per l'inquinamento e la salute» . E ancora: «La pedonalizzazione di via Mazzini andava di pari passo agli interventi su Corso Italia, dove sarebbero stati dirottati i bus e tolte le auto. Era tutto un disegno complessivo. Ma questa amministrazione non ha in mente un progetto d'insieme, non se ne sta proprio occupando. Non fanno e non faranno nulla. Una giunta non può concentrarsi solo sui regolamenti di polizia e sulla pulitura delle caditoie, dovrebbe avere iniziative di grande respiro. Anche perché l'idea di allontanare le automobili dal centro è applicata ovunque».

(g.s.)

 

Raffica di posteggi per moto e scooter - In arrivo 230 nuovi stalli riservati solamente alle due ruote - Via Battisti, Carducci e San Spiridione tra le zone interessate
Da via Battisti a via Carducci, passando per via Imbriani, via San Spiridione e via Molino a Vento, ma anche Campi Elisi, Valmaura e Ponziana. La giunta Dipiazza, su iniziativa dell'assessore all'Urbanistica Luisa Polli, cala un altro asso: un'ordinanza comunale per aggiungere nel centro cittadino nuovi posteggi per i motorini e posti auto per i disabili. Sono 230 in tutto. Un provvedimento atteso, vista la penuria di stalli che spesso rende la vita difficile agli scooteristi. L'intenzione, precisa il documento del municipio, è «soddisfare l'aumentata domanda di sosta di ciclomotori e motocicli». Nelle scorse settimane gli uffici preposti hanno concluso le verifiche sulle zone in cui andrà predisposta la segnaletica, in modo da non gravare sulla circolazione veicolare. I parcheggi troveranno spazio in via Battisti, sul lato dei civici dispari, in particolare sul marciapiede all'intersezione con via Polonio e via Gatteri. E poi in via Carducci, sul lato dei civici pari, nel tratto tra il semaforo di via Crispi e via Battisti; in via Commerciale, sul lato dei civici dispari, nel tratto compreso tra il civico 27B e il 29; in via Imbriani. L'elenco dell'ordinanza continua con via d'Isella, in Ponziana, tra via Orlandini e via Ucekar; via del Molino a Vento nei pressi del civico 158 e via dei Salici all'altezza del civico 4. Tornando nuovamente verso il centro, nuovi posteggi pure in via Slataper, tra piazza dell'Ospitale e via del Toro. Nella lista figura pure via San Spiridione, sul lato dei civici dispari, nel tratto compreso tra via Genova e piazza Sant'Antonio. Altri posteggi, inoltre, pure in viale dei Campi Elisi, sul lato dei civici pari, all'altezza del civico 58 e in via De Amicis in corrispondenza del civico 9C, tra il palo luce e il varco di accesso all'area privata. Per la parte più periferica sono previsti posti in piazza Foraggi, tra l'uscita del distributore di benzina e l'immissione di via Signorelli; piazzale Valmaura, immediatamente prima dell'attraversamento pedonale posizionato in corrispondenza dell'accesso carrabile della parrocchia della Beata Vergine Addolorata. L'ordinanza prosegue annunciando per i prossimi giorni la rimozione dei segnali stradali in contrasto con le nuove dsiposizioni e il posizionamento della segnaletica stradale che definirà l'esatta collocazione degli stalli. I posteggi di via Carducci, all'altezza dei lavori sul torrente Chiave, saranno invece spostati provvisoriamente tra via Carducci e via Crispi, in modo da poter allargare il cantiere e garantire lo spazio sufficiente per le corsie di scorrimento.

(g.s.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 26 giugno 2017

 

 

Opere pubbliche -» gli interventi - Via XXX Ottobre diventa pedonale - E Campagna Prandi torna alla città
Pisus agli sgoccioli. Gli eurofondi per i Piani integrati di sviluppo urbano sostenibile delle aree urbane sbloccati nel 2015 con la giunta Cosolini, che l'amministrazione Dipiazza dovrà rendicontare entro il 2019, stanno per essere esauriti, in particolare per la parte dedicata alla riqualificazione urbana. Ovvero uno dei tre filoni di finanziamento concesso al Comune di Trieste, arrivato secondo dopo Tarvisio nella graduatoria degli enti del Fvg. Ciò vuol dire che i principali lavori dei progetti volti ad aumentare la qualità urbana e migliorare l'accessibilità all'area del centro storico dal punto di vista della mobilità sostenibile - questo uno dei tre indirizzi - sono finalmente partiti e, a parte il rinnovo del piano terra di palazzo Biserini, verranno terminati entro il 2017. Avviati non senza lunghi intralci dovuti a ricorsi di qua e di là da parte di enti e imprese. Quasi sei milioni dei totali 8,5 sono stati sfruttati per dare vita alla pedonalizzazione di via XXX Ottobre, al tetto del Salone degli Incanti con una guaina fotovoltaica, a Campagna Prandi con la riapertura degli spazi e a una rivitalizzazione di piazza Hortis. Una preziosa iniezione di fondi derivanti per 5,654milioni dall'adesione al Piano di azione e coesione della Ue (Pac), per 2,7 dal Comune e per 144mila euro dall'ente camerale. Ecco gli interventi. Sono in dirittura d'arrivo i cantieri che riconsegneranno alla città al massimo entro settembre Campagna Prandi (198mila euro) e piazza Hortis (200mila euro). Nel primo caso si apre finalmente il sentiero tra il giardino di via San Michele a via Tor San Lorenzo, area acquistata dal conte Giacomo Prandi a fine '700, dove aveva costruito la sua villa, un edificio padronale circondato da un parco, la prima vera casa importante della strada, dove è stata realizzata anche una grotta artificiale. L'intervento prevede un disboscamento dell'appezzamento di terra che è diventato nel tempo una specie di foresta. Vi si potrà accedere da una nuova entrata del parco accanto o appunto da via Tor San Lorenzo. Resterà chiuso invece l'antico portone che dà su via San Michele. Le risorse economiche però sono troppo esigue per riuscire a fornire tanti ornamenti come panchine e altro, sottolinea il direttore dei lavori Carmelo Trovato. Ma l'assessore ai Lavori Pubblici Elisa Lodi non esclude in futuro per terminare l'arredamento di questo piccolo polmone verde nuove iniezioni di liquidità da parte del Comune. «Per il momento non vengono nemmeno tolte le barriere architettoniche - spiega Trovato - perché l'eliminazione della pendenza non lo permetteva». Quanto al giardino tra l'istituto Nautico e palazzo Biserini verrà riqualificata l'area verde e quella dei giochi (il risultato è già visibile in parte ora) con attrazioni nuove di zecca (anche inclusive, grazie al contributo della Fondazione CRTrieste), pavimentazione antitrauma, fontanelle, illuminazione a led, rivestimento di ghiaia compatta adatta anche al passaggio delle sedie a rotelle e uno spazio con lastricato in legno. C'è pure un po' di High-line newyorkese in centro storico, perché le panchine saranno quelle continue come appunto nella zona completamente restaurata nella Grande Mela. È passata sotto l'incudine del ricorso al Tar (intrapreso dall'impresa seconda classificata nella gara, che contestava l'applicazione del codice appalti da parte del Comune), ma ce l'ha fatta: la pedonalizzazione di via XXX Ottobre, stile via Trento, che con 900mila euro vedrà trasformato in particolare il tratto dall'agenzia viaggi fino a piazza Oberdan, lasciandola parte precedente accessibile alle auto solo per il parcheggio, diventando una zona a traffico limitato. La gara è stata espletata, l'amministrazione deve accordarsi con gli esercenti della via per pianificare l'inizio lavori (in teoria partendo da piazza Oberdan), che dovrebbe cominciare nelle prossime settimane. E infine in questi giorni dovrebbero essere aperte le buste per il montaggio della guaina fotovoltaica dell'energivoro Salone degli Incanti, che ha subìto un ritardo nell'installazione a causa dell'istanza di precontenzioso presentata dall'Associazione imprenditoriale degli edili e dei costruttori, respinta dall'Agenzia anti-corruzione, sull'obbligo per le imprese edili di avere i cosiddetti "criteri ambientali minimi". Saranno 150 i giorni di lavoro per un'ex Pescheria al passo con i tempi.

di Benedetta Moro

 

L'associazione Andandes «Pronti a gestire il nuovo parco»
L'Associazione Andandes, tramite la sua portavoce Laura Flores, che ha preso in mano la gestione del giardino di via San Michele nel 1999, ci tiene a parlare del futuro del parco stesso collegato al rinascente parco di Campagna Prandi. «Vorremo poter continuare lo stesso progetto culturale ed educativo avviato in questo giardino anche in Campagna Prandi in sinergia con il Comune - spiega Flores - ma, quando parlo di noi, intendo anche tutti i cittadini e vicini che abitano in questa zona, vogliamo sentirci partecipi di questa nuova opportunità e per questo ci rendiamo disponibili alla collaborazione per la gestione di Campagna Prandi, che senza un giusto controllo, potrebbe finire nel degrado, come sarebbe finito questo spazio se non ci fosse stato qualcuno che ogni giorno si occupasse di supervisionare l'area». Per questo Flores pensa a un progetto per Campagna Prandi «a cui collabori tutta la giunta, dall'assessore all'Urbanistica a quello al Turismo, dall'assessore al Sociale a quello al Verde pubblico. In modo da creare qualcosa di strutturato».

 

Cupola in vetro, bar e shop nell'ex Biblioteca civica - Conto alla rovescia per i lavori di riqualificazione da due milioni dell'edificio
Nella corte interna laboratori per ragazzi, eventi culturali e spazi espositivi
Piazza Hortis rivivrà anche per merito di una "sorella agorà" che accoglierà i visitatori di palazzo Biserini e li metterà direttamente in comunicazione con gli spazi all'aperto. Il piano terra, ex sede della Biblioteca civica, sta infatti per rivedere la luce sempre grazie ai fondi Pisus. Offrirà nuovi spazi che affiancheranno l'attuale emeroteca e proporrà una nuova copertura in vetro stile Galleria del Tergesteo o, azzardando, stile Louvre. La nuova versione dell'edificio, che ha ospitato per anni il Museo di storia naturale oggi in via dei Tominz, prevede la realizzazione di una sala polifunzionale in grado di accogliere un laboratorio per ragazzi, eventi e manifestazioni socio-culturali nonché, parzialmente, uno spazio espositivo per temporary shop. Inoltre contempla la creazione di un'emeroteca per ragazzi con attiguo archivio a scaffale aperto. Il progetto vale due milioni e mezzo di euro, la parte più consistente del Piano di sviluppo urbano sostenibile, e in realtà parte già nel 2004 con il "progetto preliminare per la ristrutturazione con il recupero architettonico e funzionale" del palazzo, sempre a firma della prima giunta Dipiazza, che oggi si ritrova ad approvare il progetto esecutivo. L'anno e mezzo di lavori previsti darà particolare importanza alla creazione di un percorso interno con uno spazio di aggregazione mediante il restauro dell'atrio principale, dell'accesso da via SS. Martiri, della corte interna chiusa da anni (con la sua copertura) e alla realizzazione di un bar interno. Il lucernaio sarà in acciaio, alluminio e vetro a quattro falde, parzialmente apribile. «È finalizzata - viene specificato nella relazione tecnica - a rendere la corte interna maggiormente fruibile destinandola a "zona viva" dove organizzare eventi legati alle attività bibliotecarie o semplicemente come punto di comunicazione e aggiornamento verso l'esterno delle attività svolte dall'istituto. Il fruitore potrà così, attraversando l'edificio, prendere cognizione attraverso la corte delle attività svolte e dei servizi proposti all'utenza, nonché delle attività ludico-culturali collaterali». I cantieri partiranno a breve, non appena si sarà conclusa la gara, ulteriormente posticipata a causa di un'istanza di precontenzioso presentata dall'Ance Fvg all'Anac, che l'ha rifiutata, verso la stazione appaltante (ovvero il Municipio) perché richiedeva alle aziende partecipanti di documentare certificazioni ambientali Emas e ISO14001 oppure «prove di misure equivalenti». Il bando non era piaciuto all'associazione dei costruttori triestini in quanto a loro dire avrebbe rischiato di tagliare fuori gran parte delle imprese locali prive di quel tipo di requisito. Non è ancora arrivato invece il momento di restaurare tutti gli altri piani dell'edificio. Al momento i fondi non ci sono.

(b.m.)

 

 

Nuvola nera in Ferriera, allarme a Servola - L'azienda: «Solo una dispersione di polveri causata dal vento. A giorni il progetto sui parchi minerari». Oggi ispezione dell'Arpa
Ancora una fumata dalla Ferriera di Servola, anche se questa volta gli impianti dell'area a caldo non c'entrano. È successo ieri mattina poco prima di mezzogiorno. Improvvisamente, come in analoghe recenti occasioni, dallo stabilimento industriale si è levata una fitta nube di color nero-violetto che in pochi minuti ha saturato la zona circostante di una caligine piuttosto corposa, anche per la concomitante presenza di un vento sostenuto che, secondo le ricostruzioni dell'azienda, è stato di fatto il responsabile dell'incidente. Alla fine la nuvola si è dissolta in circa mezz'ora. Ma sono state numerosissime le segnalazioni dei lettori pervenute alla redazione del Piccolo, mentre sul web la notizia si diffondeva in tempo reale. Non risultano, invece, chiamate ai vigili del fuoco o altre forze dell'ordine. L'Agenzia regionale per la protezione dell'Ambiente (Arpa) ha immediatamente fatto sapere che oggi effettuerà un'ispezione per verificare le cause della dispersione delle polveri. «Andrà verificato - ha fatto sapere l'agenzia - se la cosiddetta "filmatura" dei cumuli di polveri sia stata effettuata o no e, nel caso sia stata effettuata, se la specifica tipologia dell'intervento sia adeguata a evitare il ripetersi di simili fenomeni. Va rilevata peraltro l'alta attendibilità delle previsioni meteorologiche, secondo cui ci sarebbe stato maltempo con vento forte». Proprio il vento forte, come detto, è stato l'elemento scatenante chiamato in causa nel pomeriggio dall'azienda. «Non si è trattato di una fumata nera - ha fatto sapere nel pomeriggio Siderurgica Triestina attraverso l'ufficio stampa - ma di uno spolveramento. In altre parole una grande quantità di polvere si è sollevata dal deposito in modo improvviso e inaspettato, visto che il clima è cambiato letteralmente da un momento all'altro, ed è "volata" via». Situazioni del genere si erano già verificate in passato ma, proprio per evitarle, l'azienda aveva messo in atto tutta una serie di accorgimenti, operativi anche ieri. «In quel momento - si legge nella nota - nello stabilimento erano attivati tutti i presidi ambientali di bagnatura per rendere le polveri compatte e non volatili ma l'improvvisa ondata di vento le ha fatte sollevare egualmente». Cosa non ha funzionato, allora? Da cosa è dipesa questa fuoriuscita sgradita? Si parla al riguardo di una sorta di "groppo" di vento, una sorta di "neverin", ben noto ai velisti, che in pochi istanti riesce letteralmente a innescare una sorta di mini-bufera e a mettere a rischio la stessa navigazione, figurarsi un deposito di polveri giacenti. Siderurgica Triestina comunque, prosegue l'ufficio stampa, è decisa ad affrontare ogni tipo di evenienza, adottando gli interventi strutturali più idonei. E in quest'ottica l'azienda ha voluto anche ricordare che «l'atteso progetto di copertura dei parchi minerali, nato proprio per evitare problemi come quelli verificatisi ieri, verrà presentato alla Conferenza dei servizi per il rinnovo dell'Aia della Regione entro i primi di luglio».

(f.b.)

 

Esponenti di Forza Italia "in tour" nel rione per illustrare le strategie del Municipio
Un incontro con i cittadini di Servola sulle azioni intraprese dal Comune in relazione all'attività della Ferriera. Protagonisti il capogruppo di Forza Italia in Municipio, Piero Camber, e il suo vice Alberto Polacco. Nel corso del confronto i due esponenti della maggioranza hanno ricordato prima di tutto l'ordinanza del novembre 2016 con la quale il sindaco ha intimato alla proprietà di limitare la produzione di ghisa. «A quell'ordinanza - spiega Camber - sono seguite poi svariate richieste ad AsuiTs e Arpa in tema di rischi per la salute dei servolani, la recente diffida alla proprietà sulla copertura dei parchi e, da ultimo, l'ordinanza con la quale si è chiesta la verifica di staticità e funzionalità di parte dell'impianto. Fatti e non parole quindi - conclude Camber in risposta a chi, come i Cinquestelle, hanno accusato la maggioranza di inattività su questo tema - a dimostrazione che il Comune sta da solo portando avanti una battaglia sulla quale la Regione non può continuare a far finta di niente».

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 25 giugno 2017

 

 

Quintali di rifiuti dal fondale di Barcola - Successo dell'operazione pulizia voluta da tre club nautici. Emersi motori marini, pneumatici e persino un frigorifero
Una sessantina di pneumatici, una mezza dozzina di motori fuoribordo - roba da 100-150 kg, mica motorini - sporcizia assortita. Persino una bottiglie di spumante ancora sigillata (e qui, non essendo il primo caso, bisognerà incominciare a investigare su chi compone questo club di spreconi...). Tutto emerso dal fondale marino e frutto di anni di incuria e scarso senso civico. Le società nautiche che hanno le proprie basi logistiche e concessioni dei posti barca nel porticciolo di Barcola hanno dato vita ieri, sotto l'inclemente calura, a una pulizia radicale dello specchio acqueo. L'iniziativa si deve alle Società Velica di Barcola e Grignano, Amici del Bunker e Sirena, che sono riusciti a coinvolgere Italspurghi, il Comune e AcegasApsAmga. E a suscitare l'interesse dello stesso governatore del Fvg, Debora Serracchiani, presente ieri ai lavori di pulizia. Dalle 8 alle 18 una quindicina di subacquei istruttori Cmas titolari di centri immersione in varie zone d'Italia coordinati dal vicepresidente degli Amici del Bunker Franco Macinelli, hanno percorso in lungo e in largo il fondale individuando i pezzi da rimuovere. Fondamentale, in tal senso si è rivelata la presenza dei mezzi dell'Italspurghi, perchè solo avvalendosi di appositi palloni da sollevamento è stato possibile far emergere dal fondo del porto certi rifiuti ingombranti e molto pesanti. Tra gli altri hanno rivisto la luce anche un frigorifero, e varie batterie di automobile. Non sono mancati neanche i residui, diciamo così, stratificati, relativi ai relitti di piccole imbarcazioni che hanno pagato pegno alle mareggiate degli ultimi anni. L'iniziativa vuole essere - hanno spiegato in una nota i presidenti dei tre circoli sportivi - anche una sensibilizzazione nei confronti delle persone che vivono il porticciolo a mantenerlo pulito, a salvaguardia dell'ambiente e del mare in particolare. «Sono stato colpito - racconta Mitja Gialuz della Svbg - dal fatto che per la prima volta i bagnanti non si sono lamentati e, anzi, in certi casi hanno anche aiutato. Segno che la consapevolezza sull'ambiente sta crescendo». Dopo che le immondizie sono state smaltite da Italspurghi e Acegas Aps non è mancato un momento di convivialità, che si ripeterà oggi, con il Sirena a fornire il vino e la Svbg i prosciutti. Oggi toccherà agli Amici del Bunker fornire il pesce, per un pranzo all'insegna della collaborazione e della tutela del territorio«Una bella iniziativa - conferma Mitja Gialuz - che ha visto coinvolti anche i soci degli Amici del mare, che dal 1 gennaio scorso sono confluiti nella Svbg. Una vera festa del porticciolo oltre che un'operazione di sensibilizzazione che mi sembra decisamente andata a buon fine».

(f.b.).

 

 

Strade e aiuole sporche - Maxi multa per l'Acegas - Sanzioni da 170mila euro inflitte dal Comune per carenze nei servizi di pulizia
Le irregolarità più numerose in Piazzale della Risiera, via Lorenzetti e via Rigutti
La somma fa circa 170 mila euro. A tanto ammonta la maxi sanzione per le inadempienze contrattuali che gli uffici del Comune hanno rilevato, controllando l'igiene urbana gestita da AcegasApsAmga tra il 2014 e il 2016. Diserbamenti marciapiedi e cigli stradali, spazzamento strade, riparazione contenitori: le pratiche erano andate un po' a rilento, poi l'accelerazione data nell'ultimo bimestre, con otto determine sfornate dal servizio ambiente&energia, ha consentito di chiudere il dossier e di presentare il conto all'utility, controllata dal gruppo Hera, di cui il Comune è azionista con il 4,6%. La "regina" delle penali applicate dal Comune riguarda i 144.277,80 euro appioppati alla voce "diserbamento marciapiedi e cigli stradali" sul 2015: il testo della determina 1320/2017 - si tratta di formulazioni standard reiterate negli altri atti con la sola differenza della tipologia di servizio - evidenzia la «mancata attuazione delle prestazioni contrattualmente previste» mirate a eliminare «arbusti ingombranti, sterpaglia o erbacce». Alle contestazioni espresse dal servizio comunale ambiente&energia, afferente all'Area città-territorio e alla delega assessorile della leghista Luisa Polli, AcegasApsAmga «non ha fornito ... delle motivazioni esaustive dei fatti», «pertanto l'ufficio non le ha ritenute sufficienti a rendere ingiustificate le applicazioni delle penali».In allegato l'elenco dei 35 siti che, a giudizio del Comune, sono stati ignorati o scarsamente curati dall'utility. Si tratta in genere di zone periferiche o semi-periferiche, a nord come a sud della città, da Gretta a Campanelle, dal Centro di fisica a Valmaura, da San Giacomo a Servola. Vediamo allora una campionatura delle strade "inquisite": via Beirut, via Venzone, via Carmelitani, via Dell'Acqua, via Costalunga, via Pigafetta, via Caboto, via Vigneti, via Soncini, via Davis, via del Veltro ... Ma ci sono anche zone più centrali, come via Leghissa e via Risorta. Le più "multate" risultano piazzale Risiera, via Colleoni-Lorenzetti, via Rigutti-Pollaiolo, con oltre 10 mila euro di penalità cadauna.In genere - spiegano dagli uffici del Municipio - le verifiche comunali avvengono in seguito a segnalazioni dei residenti. Poi parte una particolare procedura, che vede una sorta di contraddittorio tra Comune e AcegasApsAmga, a base di contestazioni e di repliche. Con le otto determine dovrebbe essersi esaurita l'integrazione delle istruttorie, relative alle annate 2014-16: a firmarle la "posizione organizzativa", che segue il contratto di igiene urbana, Alberto Rigo. La volontà dell'amministrazione - precisano dagli uffici - non è quella di "punire" l'azienda affidataria, ma è piuttosto quella di rendere più efficace lo svolgimento del servizio, sul quale l'attenzione del cittadino-utente tende a essere piuttosto occhiuta. D'altronde, come si è potuto constatare quando a marzo il Consiglio comunale ha discusso il Piano economico-finanziario della gestione ambientale, il complessivo, che AcegasApsAmga fattura al Municipio triestino, ammonta a quasi 30 milioni di euro. In particolare, il totale del servizio "a corpo" supera i 22 milioni di euro. Sono cifre importanti. Tra le novità programmate nel 2017 c'è la sperimentazione del progetto "pulizie radicali", che è già stato rodato in due luoghi urbani, a Servola e Valmaura.

Massimo Greco

 

 

Porto vecchio dreaming fa il salto - L'evento, nato per raccogliere spunti e idee, cambia pelle e diventa associazione
"Porto vecchio Dreaming" da evento diventa associazione. Nel maggio scorso il Rotary Club Trieste, in collaborazione con Il Piccolo e con il patrocinio dell'Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico orientale, aveva raccolto una dozzina di progetti elaborati dalla cittadinanza sul tema del Porto vecchio: questi erano stati poi presentati nel corso di una conferenza alla centrale idrodinamica. Nel corso dell'ultima conviviale del Rotary Club la presidente Cristina Pedicchio e Pierpaolo Ferrante, ideatore dell'iniziativa, hanno annunciato la nascita di un'associazione che avrà lo scopo di proseguire nello spirito dell'evento. Il nome resta quello, "Porto vecchio Dreaming": «È un nome nato sulle note dei Mamas and Papas - ha spiegato Ferrante -. Da quando il Comune è diventato proprietario del Porto vecchio, abbiamo pensato fosse il momento di sognare il futuro, ma partendo dal basso». Per questo è stata ideata un'iniziativa che desse la parola ai cittadini: «Il successo è stato straordinario. Oltre dieci proposte di altissimo livello, presentate in cinque minuti ciascuna dai gruppi di cittadini. Le autorità hanno potuto discutere gli spunti della popolazione». L'associazione opererà per promuovere lo sviluppo del Porto vecchio anche attraverso momenti di divulgazione, incontro e studio. L'adesione è gratuita, e agirà sulla base di contributi volontari, di associazioni, istituzioni. «Il desiderio - ha concluso Ferrante - è di fare qualcosa di positivo per la città». Sempre in "casa Rotary" va registrata una seconda iniziativa: la presentazione della guida dedicata all'ex Ospedale militare, prezioso tassello del patrimonio storico della città, recentemente tornato al pieno splendore dopo una lunga opera di restauro. Il complesso è stato costruito tra il 1863 e il 1866 su progetto del maggiore Romano Roszner, comandante del Genio militare Austriaco, sulle pendici del colle che fiancheggia via Fabio Severo. La guida dedicata a quel complesso si inserisce nella serie di volumi dedicati ai musei e ai monumenti che, da oltre 27 anni, il Club realizza per valorizzare i luoghi della città.

 

 

Ciclisti in pressing per far decollare la Trieste-Muggia
TRIESTE - Una ciclabile tra Trieste e Muggia, con un'ipotesi di realizzazione in tre anni e un costo di poche decine di migliaia di euro, una soluzione a vantaggio dei triestini che si muovono in bici, che favorirebbe anche i percorsi cicloturistici del territorio. A presentare il progetto della pista tra la galleria di Montebello e il centro di Muggia, con un itinerario ciclabile continuo, veloce e sicuro, è stata la Fiab di Trieste che, in una conferenza stampa, ha illustrato i dettagli del piano. Prossimo passo sollecitare i due comuni, per valutare la possibilità di avviare concretamente i lavori. «Investire sul cicloturismo vuol dire creare sviluppo economico - ha esordio Luca Mastropasqua, presidente Fiab - con ricadute importanti, come dimostrano esempi di altre città, in Italia e in Europa, che hanno puntato su percorsi per le biciclette. E ovviamente costituisce anche un supporto per chi ha scelto in città la mobilità sostenibile». A spiegare i dettagli dell'opera Federico Zadnich, coordinatore regionale Fiab Fvg. «È una ciclabile di otto chilometri, che necessita di risorse contenute, poche decine di migliaia di euro, da impiegare principalmente nella segnaletica orizzontale e nella creazione di un cordolo di protezione. Uno dei punti di forza è rappresentato dal fatto che parliamo di un'infrastruttura leggera, che attraverserebbe rioni molto popolati e senza particolari pendenze, dove sono presenti attività commerciali e industriali. Una ciclabile che potrebbe quindi dare un'importate spinta all'uso della bici come mezzo di mobilità quotidiana. Un altro punto di forza - prosegue - è che si trova lungo l'itinerario cicloturistico EuroVelo8 Cadice-Atene e che farebbe arrivare la ciclovia Parenzana fino al centro di Trieste». E sull'aspetto turistico è stato posta particolare attenzione, visto che sono già una decina i tour operator che propongono pacchetti di viaggi in bici includendo proprio il capoluogo giuliano. «Sono ventimila i cicloturisti passati nel 2015 da Trieste a Muggia, numeri che potrebbero crescere ancora di più grazie alla realizzazione della ciclabile - prosegue Zadnich - e si tratta di un intervento poco invasivo». Attraverso foto e rendering, Fiab ha mostrato il progetto, che prevede la realizzazione in alcuni tratti con corsie per bici in entrambe le direzioni, in altri spazi con misure di sicurezza nuove, da adottare anche a tutela dei pedoni. «Ora Fiab mette a disposizione questa proposta ai Comuni di Trieste e Muggia e chiede che si apra un tavolo tecnico per vedere se è possibile avviare nei prossimi mesi un percorso che porti alla stesura di un progetto esecutivo da presentare alla Regione per recuperare i finanziamenti per realizzare l'opera. Se tutti gli attori in gioco lavoreranno in modo concreto - concludono da Fiab - fra 36 mesi si potrebbe già pedalare sul percorso».

Micol Brusaferro

 

 

 

 

IL SOLE 24ORE - SABATO, 24 giugno 2017

 

 

Dopo 15 anni la Toscana dice no al rigassificatore di Rosignano

Dopo mesi di riflessione, arriva il verdetto: la Regione Toscana dice no al rigassificatore di Rosignano, sulla costa toscana a sud di Livorno, proposto nel 2002 da Edison con Bp e gruppo chimico Solvay e “risorto” un anno e mezzo fa, quando Edison ha presentato una revisione al progetto. Ora la Giunta regionale mette la parola “fine” sull’investimento da 650 milioni di euro: con una delibera di pochi giorni fa, promossa dal presidente Enrico Rossi, ha espresso all’unanimità parere negativo sulla realizzazione del progetto ritenendo «non opportuno l’incremento che produrrebbe sull’attuale livello delle pressioni sulle matrici ambientali dell’area».
La Regione si è dunque allineata alla volontà del sindaco del Comune di Rosignano Marittimo, Alessandro Franchi, contrario alla revisione del progetto del rigassificatore per i possibili rischi sull’ambiente che, a suo avviso, avrebbero richiesto un nuovo studio di impatto ambientale. Contrari al rigassificatore anche alcuni comitati locali appoggiati da Movimento 5 Stelle e Sì-Toscana a sinistra. La nuova versione del progetto Edison prevedeva un terminale di stoccaggio del gas naturale liquido con una capacità di 8 miliardi di metri cubi l’anno, localizzato nella parte sud del complesso industriale Solvay, e un allungamento del pontile per l’attracco non solo di navi metaniere, ma anche di bettoline. La prospettiva di Edison era infatti quella di rispondere alla futura domanda di gas per le grandi navi a gasolio, che avranno lo stop dall’Europa, e i camion ad alta percorrenza. Rosignano, secondo il gruppo energetico, sarebbe stata una location ideale per la vicinanza con i porti di Piombino, Livorno e Genova, e avrebbe potuto essere un hub dell’approvvigionamento navale e terrestre del Gnl. Secondo Edison, inoltre, questo progetto si sarebbe integrato perfettamente con lo stabilimento Solvay che produce soda, rispondendo alle esigenze di gas manifestate da tempo dal gruppo chimico, e avrebbe avuto le potenzialità per attrarre nuove attività industriali.
La partita sul rigassificatore di Rosignano è iniziata 15 anni fa: proposto nel 2002, bocciato dalle istituzioni locali, è stato modificato nel 2005 e ha ottenuto la valutazione d’impatto ambientale (Via) con prescrizioni nel 2010; fino alla modifica del dicembre 2015, quando Edison ha presentato una “revisione alla variante progetto Rosignano”. La Regione Toscana, che dieci anni fa aveva bocciato il progetto con la motivazione (anche) di aver già autorizzato il rigassificatore offshore al largo di Livorno (oggi in funzione), si è mantenuta cauta per mesi, annunciando che avrebbe espresso una valutazione dopo l’esame della nuova versione. La decisione, scontata per molti, è il no definitivo.

Silvia Pieraccini

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 24 giugno 2017

 

 

Scatta la variante al Piano regolatore in chiave antiricorsi - La giunta Dipiazza corre ai ripari e avvia l’iter per rivedere lo strumento urbanistico entrato in vigore nel maggio 2016

Aspetti normativi, disciplina dei pastini, ricognizione degli errori, ricorsi davanti al Tar: parte la macchina amministrativa che dovrà predisporre la variante al Piano regolatore comunale, messo a punto dalla giunta Cosolini ed entrato in vigore il 5 maggio dello scorso anno. L'esecutivo Dipiazza aveva affrontato il tema-variante già in aprile, quando si era espresso favorevolmente a proposito dell'adozione di alcuni correttivi rispetto allo strumento urbanistico varato un anno fa. Nella riunione di giunta di qualche giorno fa l'assessore Luisa Polli, titolare dell'Urbanistica, ha stretto sull'argomento, portando una delibera che definisce le linee di indirizzo su cui dovrà cimentarsi l'Area territorio&ambiente. Il provvedimento non anticipa spese e non prevede tempistica, demandando ad atti futuri la definizione di un gruppo di lavoro interdisciplinare interno al Municipio, al quale probabilmente si affiancheranno esperti esterni in materia ambientale. Il testo della delibera tratta assai sinteticamente i quattro punti che costituiranno il nocciolo duro della variante. Riguardo gli "aspetti normativi", l'attenzione si concentrerà in particolare sugli incentivi per la riqualificazione energetica, alfine di renderli coerenti con altri strumenti di pianificazione e con la vigente normativa. Alcune «discrasie interpretative» infestano, stando ancora alla delibera, recupero e valorizzazione dei pastini, urge approfondire quanto emerso in sede applicativa. Terza esigenza, rilevata dall'atto giuntale, è la necessità di emendare errori materiali, incongruenze, refusi grafici e testuali nei quali gli uffici si sono imbattuti operando sul documento urbanistico. Sul quarto punto niente di più facile che si riaccenda una polemica già vista tre mesi fa: si tratta dei ricorsi presentati da privati cittadini contro il Piano regolatore generale, ricorsi poi accolti dal Tar. «Andranno apportate - precisa la delibera - le necessarie modifiche azzonative» in quanto l'annullamento di alcune destinazioni urbanistiche ha di fatto cancellato la copertura pianificatoria dei siti interessati. Quando in marzo la Polli sollevò questa questione, fece presente che un certo numero di ricorsi avanti al giudice amministrativo sul "piano Marchigiani" aveva visto il Comune soccombente. Secondo l'assessore, ce n'erano venti pendenti e quattro erano già stati persi. Alcuni avevano oggettiva rilevanza rispetto all'impianto pianificatorio, altri toccavano ambiti più circoscritti. Ma i ricorsi persi dal Municipio creavano - a giudizio dell'assessore - zone "bianche" che paralizzavano l'attività urbanistica. Secondo l'assessore, i molti emendamenti accolti durante la discussione in Consiglio comunale, avevano finito con lo squilibrare l'assetto pianificatorio. Questi rilievi erano stati immediatamente contestati dall'ex primo cittadino Roberto Cosolini e dalla diretta interessata, l'ex assessore Elena Marchigiani. Venti ricorsi per un Piano regolatore approvato a diciotto anni da quello precedente - avevano replicato - sono davvero molto pochi. E dei venti ne erano stati discussi 12, con 9 vittorie comunali e tre sconfitte. Non quattro dunque, a detta di Marchigiani, come invece riteneva l'assessore Polli.

Massimo Greco

 

 

Italia nella morsa dell'afa - nove città da "bollino rosso" - È allarme per l'agricoltura - La grande sete
ROMA - L'acqua non basta più. Alla vigilia di un weekend infuocato, con nove città contrassegnate dal "bollino rosso" (oggi Bologna, Bolzano, Brescia, Perugia e Torino, domenica Ancona, Campobasso, Firenze, Perugia e Pescara) a causa di una ondata di caldo che comporta il massimo livello di rischio per la salute, il ministro dell'Ambiente Gianluca Galletti, ammette che «l'emergenza sta diventando la normalità» e che per questo «sono necessari nuovi invasi in cui raccogliere l'acqua piovana. «Dei 300 miliardi di metri cubi d'acqua che in Italia cadono ogni anno, riusciamo a captarne solo l'11 per cento. È troppo poco». Un piano per le infrastrutture da 7 miliardi è stato già consegnato ai consorzi di bonifica - dice Erasmo D'Angelis, coordinatore di "Italia sicura", struttura di Palazzo Chigi per la lotta al dissesto idrogeologico - bisogna accelerare». Ma le piogge dimezzate a causa dei cambiamenti climatici e il drastico innalzamento delle temperature sono un campanello di un allarme finora sottovalutato. Per questo Galletti, ieri a Piacenza per un vertice, invita a «usare l'acqua con la massima prudenza e a non sprecarne nemmeno una goccia». E con Roma in difficoltà a causa dell'abbassamento del livello del lago di Bracciano, sottolinea: «Penso per esempio che chiudere per qualche giorno i 2500 "nasoni" (fontanelle) di Roma sarebbe un bel segnale». Per il ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina, «serve un cambio di mentalità per organizzare nuovi strumenti di gestione di un bene fondamentale come l'acqua». La prima risposta del governo a un allarme drammatico soprattutto nelle zone di Parma e Piacenza, è stata la dichiarazione dello stato di emergenza siccità e lo stanziamento di 8.650.000 euro per le due province a secco. Ma in prima linea ci sono le Regioni. Per correre ai ripari l' Emilia Romagna ha raggiunto ieri un accordo con la Liguria per il rilascio di 4 milioni di metri cubi d'acqua per uso agricolo dalla diga del Brugneto, il più grande lago ligure. È stata stabilita poi una deroga al "minimo vitale" per assicurare l'acqua ai 35mila abitanti della val d'Arda, mentre proseguirà la consegna di acqua con autobotti e la ricerca di pozzi. «Staremo vicini alla popolazione» ha assicurato il governatore Stefano Bonaccini. Ma la siccità sta assetando tutta l'Italia, da nord a sud. Il Po soffre: il livello idrometrico del fiume è più basso di oltre un metro e mezzo rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Un dramma, perché dal bacino del Po dipende il 35% della produzione agricola nazionale. Nel Cuneese, là dove lascia le montagne per dirigersi verso la pianura, il grande fiume è ridotto a un rivolo di 13 centimetri sopra lo zero idrometrico, dopo che giovedì era sceso fino a 8 centimetri. Nella provincia, secondo la Coldiretti, il 40% del foraggio e il 25-30% di grano sono persi.In Sardegna la grave situazione dell'agricoltura, determinata da siccità e prezzi «troppo bassi» ha provocato la rivolta degli agricoltori che ieri hanno manifestato portando in strada nel centro dell'isola e sulla "Carlo Felice" pick up e trattori, che hanno provocato disagi lungo la statale 131: «Servono almeno 40 milioni di euro per lenire le perdite causate dalla siccità» ha detto il presidente della Coldiretti sarda, Battista Cualbu. Il presidente della Toscana Enrico Rossi ha chiesto al governo la dichiarazione di stato di emergenza nazionale: in regione la situazione è «drammatica» in agricoltura, soprattutto nella fascia meridionale, in Maremma e sulle coste. Secondo la Coldiretti la produzione di cereali è crollata del 40%, ortaggi e frutta del 50%. Tra le prime misure annunciate da Rossi, 25 nuovi pozzi entro poche settimane. Sotto scacco anche la Campania, dove il governatore Vincenzo De Luca ha lanciato un appello a risparmiare l'acqua. A Benevento il sindaco Clemente Mastella ha emerso un'ordinanza per limitare l'uso di acqua potabile, consentito solo a scopo alimentare o igienico-sanitario. A Salerno è stata ridotta la portata in uscita dai serbatoi dalle 23 alle 6 del mattino. Rubinetti a secco di notte anche in alcuni quartieri di Pozzuoli. Permane l'emergenza anche in Irpinia, un'area tradizionalmente ricca d'acqua, dove proseguono gli interventi per riparare i guasti ad adduttrici principali che hanno lasciato per giorni i rubinetti a secco e dove l'esasperazione ha provocato anche un tentativo di aggressione verso un operaio. Danni «all'intera produzione agricola» in Calabria soprattutto nel Crotonese, e in Puglia, con temperature fino a 40 gradi nel Foggiano, e dove gli agricoltori invocano «l'irrigazione di soccorso». Si stanno svuotando anche gli invasi siciliani, scesi a meno 16% rispetto al giugno 2016 e con un deficit d'acqua in mezza regione pari al 50% a causa dell'assenza di piogge: una situazione «più grave della grande siccità del 2002».

Maria Rosa Tomasello

 

Da ottobre le piogge si sono dimezzate - I meteorologi: «Crollo rispetto alla media degli ultimi 30 anni, è colpa dei cambiamenti climatici»
ROMA Sono i cambiamenti climatici i responsabili della siccità e delle temperature elevate che in alcuni mesi hanno "prosciugato" la penisola, colpendo principalmente il Centro Italia, le regioni tirreniche e la pianura padana. Ma sono anche i responsabili delle alluvioni e delle piogge brevi ma intense che si registrano non solo in Italia. Lo sostengono gli esperti del Consorzio Lamma del Cnr, che si dicono preoccupati per le scarse piogge e nevicate registrate dallo scorso autunno (in alcuni mesi, dicembre, marzo e aprile, si è avuta una flessione dell'80-90% rispetto alla media). «Il 50% di piogge in meno da ottobre a luglio rispetto alla media degli ultimi 30 anni, ma anche rispetto alla stagione 2015-2016 che si è allineata alla media, è un dato significativo - spiega il meteorologo Tommaso Torrigiani - perché non si tratta di un solo mese. Quello che si può dire è che l'estremizzazione dei fenomeni come questi è uno degli effetti dei cambiamenti climatici». Dall'autunno del 2016, ricorda Ramona Magno, ricercatrice del Consorzio, «le piogge in tutto il territorio italiano sono state molto inferiori alla media. È anche caduta poca neve sulle Alpi, e non c'è stato quindi l'accumulo che avrebbe potuto rimpinguare i corsi d'acqua, come l'Adige e il Po, che ora stanno attraversando un periodo di crisi». Per il fiume più importante d'Italia, sottolinea Magno, la siccità "ha colpito" già ad aprile maggio, e si è manifestata con l'ingresso nel corso d'acqua di un cuneo salino del mare che potenzialmente può provocare danni all'agricoltura. Settore che è stato la principale vittima delle scarse precipitazioni, con danni in particolare agli allevamenti e alle coltivazioni». La portata del fiume, inoltre, è scesa del 65% rispetto alla media dello stesso periodo e il minimo del Po, appena 13 cm di acqua, è stato registrato a 30 km dalla sua sorgente. «La siccità - aggiunge la ricercatrice - è un fenomeno ciclico, ma negli ultimi anni si sta verificando sempre più spesso e in maniera intensa in base a un'analisi che stiamo elaborando a partire dal secolo scorso fino al 2014. Le prime conclusioni di queste analisi concordano con gli ultimi report internazionali, che hanno individuato un legame con i cambiamenti climatici non solo della siccità, ma anche di fenomeni come le alluvioni, frequenti nel Nord Europa, e delle piogge - rare ma più intense - del bacino del Mediterraneo».

 

La situazione - Allerta per le coltivazioni in Fvg - Ma per ora l'Isonzo regge
GORIZIA - Per ora nel Goriziano c'è solo apprensione. L'Isonzo regge, e per Trieste le condizioni dei pozzi di San Pier d'Isonzo non destano preoccupazione. Insomma, per l'agricoltura fra Trieste e Isontino non è scattato l'allarme rosso. Certo la siccità, dice il presidente di Coldiretti Fvg Dario Ermacora, è «inusuale» per il periodo: «Di solito ce l'aspettiamo per fine luglio, inizio agosto». L'assenza di acqua è critica soprattutto per l'agricoltura della pedemontana friulana: «Le stime dei danni non possiamo ancora farle, in un certo senso siamo all'inizio del problema, dipende dalle fasi vegetative. Le piante ora in fioritura, come qualche mais, possono avere danni significativi. Altre coltivazioni ancora non soffrono». La preoccupazione è per le riserve: «Quest'anno ha piovuto poco e non ce ne sono. Contiamo che il meteo cambi e arrivino un po' di temporali. Ci preoccupa vedere a fine giugno un quadro climatico che di norma si presenta un mese più tardi». Ma conclude Ermacora, «non ci sono particolari contromisure da prendere, almeno per ora». Mentre Confagricoltura Fvg sottolinea come occorra «attivare iniziative che permettano di affrontare l'emergenza idrica a partire da un coordinamento di tutti i soggetti coinvolti», per l'Isontino fa il punto il presidente del Consorzio di Bonifica, Enzo Lorenzon. «Oggi la situazione è di relativa tranquillità. È un momento di massima irrigazione e ci vuole tanta acqua». Perciò «nei prossimi giorni contatteremo i gestori della diga slovena di Salcano: chiederemo loro di garantire un certo rilascio d'acqua se non dovessero esserci precipitazioni abbondanti. Non vogliamo brutte sorprese». Peraltro, sono stati a dir poco provvidenziali i finanziamenti del Fondo Gorizia che hanno permesso di trasformare il sistema di irrigazione da scorrimento a pioggia. «Questo ci consente di risparmiare il 50% dell'acqua», rammenta Lorenzon. Un bel risultato. «Le concessioni per "innovazione del sistema irriguo" dal 1979 al 2015 ammontano a 25.300.477 euro», fa sapere la Camera di commercio. Il dato è riferito a concessioni per la totalità delle iniziative di trasformazione delle pratiche irrigue. Nel 2016 sono stati concessi ulteriori 750.000 euro: 630.000 per opere irrigue zona collinare Collio (1° intervento), 120.000 euro per opere irrigue a Gorizia. E nel 2017 concessi 60.000 euro per il completamento di impianti irrigui nel Comune di Cormons. Lorenzon ammette che però «un po' di apprensione c'è»: in passato egli condusse una lunga battaglia per la realizzazione di una diga o uno sbarramento sull'Isonzo nella zona di Piedimonte «È di vitale importanza la costruzione di una traversa di rifasamento: non chiamiamola diga, è un invaso capace di garantire un flusso costante minino di 25 metri cubi al secondo. Tale quantitativo metterebbe al riparo dalle conseguenze della siccità». Ma troppi ostacoli: «Nel 2007 c'era già l'accordo con la Camera di commercio e con la Regione per la realizzazione dello sbarramento ma qualche saggio si mise di traverso e non se ne fece nulla». Si concretizzerà, invece, un altro progetto: l'acqua delle idrovore, anziché finire in mare, verrà riutilizzata per l'irrigazione. Intanto il ministero della Sanità, per l'emergenza caldo, affibbia a Trieste un bollino arancione per oggi. L'agenzia Arpa prevede però qualche temporale per il fine settimana e, soprattutto, la possibilità che a metà della settimana prossima la siccità venga interrotta da un periodo di piogge. Una possibilità concreta: domani e dopodomani sono previsti temporali un po' su tutta la regione. Domani in particolare i fenomeni temporaleschi investiranno tutto il territorio portando a un leggero calo delle temperature, anche se sulla costa l'afa potrebbe resistere. La vera svolta dovrebbe arrivare a metà della prossima settimana: secondo i metereologi del Fvg la fase siccitosa dovrebbe rompersi e dovrebbe iniziarne una più piovosa. Anche se, precisano, è ancora presto per avere certezza della tendenza. A Trieste, AcegasAps assicura che al momento la situazione idrica è sotto controllo. Le condizioni dei pozzi di San Pier d'Isonzo sono monitorate ogni settimana e non destano preoccupazione. Il tema, annota l'azienda, è molto presidiato ed è oggetto di frequenti riunioni fra i tecnici. In ogni caso l'indicazione è quella di fare buon uso della risorsa idrica, tanto che sul sito dell'azienda è stato pubblicato un decalogo del buon consumatore.

Francesco Faine - Giovanni Tomasin

 

Reti colabrodo, Roma perde il 44% - Pressione diminuita di notte. Lago di Bracciano giù di 1,4 metri
ROMA - Per il momento a Roma non è emergenza siccità, si parla di media criticità. Certo è che non piove e, stando alle previsioni, non pioverà chissà per quanto. Il lago di Bracciano, riserva idrica di Roma, si abbassa pericolosamente ogni giorno di più e, dopo l'ordinanza del sindaco Virginia Raggi che invita i cittadini a non sprecare l'acqua, ieri è stata la Regione Lazio a chiedere una verifica per accertare il corretto utilizzo dei fondi pubblici destinati a ridurre le perdite idriche. Per il momento, a Roma, solo di notte viene diminuita la pressione dell'acqua. Il campanello d'allarme non è dettato però solo dalla siccità, ma anche dalla vetustà delle condutture idriche, «molto vecchie, risalenti a 30-50 anni fa, come ha spiegato il "Blue book" di Utilitalia (la Federazione che riunisce i gestori dell'acqua), e a causa di rotture o di allacci abusivi perde il 40% dell'acqua», ricorda Acea. Secondo Utilitalia a Roma l'acqua pubblica è tra le più economiche d'Europa costa 1, 65 euro per mille litri, circa 34 euro all'anno per abitante, ma ne servirebbero 80 per avere una rete più efficiente. Intanto il livello del lago di Bracciano quest'anno è di 1 metro e 40 centimetri sotto la sua soglia. Lo scorso anno era a meno 70 centimetri, quindi è sceso del doppio. «Il prelievo che sta effettuando Acea in questi primi sei mesi dell'anno ha inciso per una minima parte, 18 centimetri», spiega Acea. Secondo Legambiente Lazio «l'assenza di eventi meteorici ha causato, oltre al minor apporto di acqua nel lago, la riduzione estrema di portata dalle due fonti principali di approvvigionamento idrico di Roma, l'acquedotto del Peschiera da Rieti e dell'Acqua Marcia dai Simbruini. Dopo tale crollo di portata, il gestore del servizio aveva iniziato una fortissima captazione del lago di Bracciano, pari anche a 2. 500 litri al secondo, a vantaggio di Roma» dove, sottolinea l'associazione, c'è una dispersione idrica del 44, 4% (Rieti al 58%, Latina al 67%, Frosinone al 75, 4%), con «il consumo idrico nella capitale alle stelle con 165 litri per abitante». La Regione Lazio vuole vederci chiaro e ha attivato una verifica per «conoscere l'ammontare degli investimenti sostenuti nel biennio 2015-16, di quelli in corso e programmati per il biennio 2016/17 relativamente ai Piani di recupero delle perdite» di acqua. «I cittadini del Lazio non possono subire il danno delle perdite di acqua: siano adducibili ad acquedotti non correttamente manutenuti o ai "nasoni" di Roma, che continuano a sversare senza alcun criterio di risparmio». I "nasoni" per il momento non sono a rischio chiusura erogazione, anche perché, spiega Acea «la loro funzione è quella di riequilibrare la pressione nella città, considerato che Roma non è una città piana».

 

 

OGGI A MUGGIA - Gran festa al parco Rio Ospo sulla mobilità sostenibile
Oggi a Muggia oggi si fa festa per promuovere una cultura "verde" e la conoscenza delle novità nel settore della mobilità sostenibile. Dalle 11 al parco pubblico Rio Ospo si terrà la "Festa d'estate", una giornata di divertimento, meditazione e benessere, fotografia, sport e danza, organizzata per promuovere una mobilità sostenibile e offrire la possibilità di acquistare prodotti a chilometro zero. La manifestazione sarà infatti dedicata alla mobilità sostenibile con l'esposizione di vetture ibride di una nota concessionaria e veicoli elettrici (bici a pedalata assistita, monopattini, mini quad e buggy). L'evento, promosso da Querciambiente, offrirà anche l'occasione per inaugurare il rinnovato parco giochi e presentare il programma degli eventi che si svolgeranno all'interno del parco nel corso dell'estate.Nel pomeriggio, si terrà poi - a cura di mc59.com in collaborazione con l'associazione culturale Centofoto - il "Green Shooting Day" aperto gratuitamente alla partecipazione di fotografi e fotoamatori che desiderano conoscere e immortalare le novità nel settore della mobilità sostenibile.Ad aprire la giornata di festa sarà l'inaugurazione, alle 11, del nuovo parco giochi per i bambini, a cui seguiranno il saluto delle autorità e la presentazione degli eventi in calendario nel parco Rio Ospo per tutta la stagione estiva. Dalle 10 sarà attivo un mercatino di prodotti locali per incentivare la cucina con prodotti del territorio e a chilometro zero. Sempre nel pomeriggio ci sarà spazio anche per alcune attività e discipline olistiche: dalle 17 "Massaggi e benessere" con l'associazione culturale e sportiva Metamorfosys e dalle 18 "Meditare per riavvicinarsi a se stessi, meditare per essere felici", un'ora per potenziare la percezione di benessere assieme alla dottoressa Irene Del Gaudio. A concludere la serata lo spettacolo di flamenco e non solo a cura dell'associazione "Il Ventaglio". A intrattenere musicalmente gli ospiti del parco, situato all'ingresso della cittadina istroveneta, "Cippo and Friends", una voce, una chitarra.

Gianfranco Terzoli

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 23 giugno 2017

 

 

Emergenza acqua in Italia - A secco Parma e Piacenza - Il governo stanzia 8.6 milioni per l'allerta. Preoccupano i livelli di Po e Adige
Bacini idrici in crisi: anche Toscana e Sardegna chiedono lo stato di calamità
ROMA - L'estate italiana inizia nella morsa della siccità e del caldo. A Parma e Piacenza il governo dichiara lo stato d'emergenza nazionale «in conseguenza della crisi idrica in atto». Un fenomeno che inizia nell'autunno 2016, ma oggi è «aggravato dalle elevate temperature estive e dai rilevanti afflussi turistici che hanno determinato un considerevole aumento delle esigenze idropotabili». I campi agricoli sono a secco, i pomodori rischiano di non arrivare a maturazione ed è difficile garantire fonti per abbeverare gli animali. Ma in alcune zone tra le due province emiliane, c'è bisogno delle autobotti messe a disposizione dal governo - insieme a 8 milioni e 600mila euro per fronteggiare l'emergenza - anche per garantire l'acqua potabile. D'altronde il calo delle precipitazioni è arrivato al 50% rispetto alla media, mentre la falda acquifera è agli sgoccioli: è al di sotto di 1,26 metri. Se Parma e Piacenza piangono, Firenze e Cagliari non ridono. In Toscana il presidente della Regione Enrico Rossi ha firmato la dichiarazione di stato d'emergenza il 16 giugno, alla vigilia della giornata mondiale delle Nazioni Unite contro la Desertificazione e la Siccità. Preoccupano l'Autorità idrica toscana i bacini della Lunigiana. I terreni aridi, poi, rischiano di favorire gli incendi: il 20 giugno i vigili del fuoco sono intervenuti 72 volte in Maremma. Sulla stessa scia, la Sardegna ha chiesto al ministro Martina la dichiarazione dello stato d'emergenza. Scrive il ministero dell'Ambiente in una nota che nella regione dei Quattro mori «l'anno in corso si presenta» come «il più siccitoso dall'inizio delle osservazioni nel 1922. I tre mesi di marzo-aprile-maggio fanno registrare deficit intorno al 70% in tutte le aree, con punte prossime al 90% per Gallura e Flumendosa». Il ministero parla di siccità propriamente detta solo per «i bacini idrografici padano e delle Alpi orientali, nonché il lago di Bracciano nel Lazio e la Sardegna». In Piemonte il Po è calato del 65% rispetto al valore mensile storico. Pavia Acque, in una nota, parla di «una siccità senza precedenti» nei comuni dell'alto Oltrepo. In Veneto il presidente Zaia ha firmato la terza ordinanza che certifica lo stato di crisi idrica. Qui a preoccupare è lo stato del fiume Adige, mentre in Friuli Venezia Giulia si monitora il Tagliamento. A Roma la sindaca Virginia Raggi ha chiesto di «limitare l'uso superfluo di acqua». D'altronde gli sprechi vengono da lontano, come l'Istat ha certificato qualche settimana fa: la rete idrica italiana è un colabrodo, gli acquedotti perdono in media il 40% dell'acqua - con punte del 68% a Potenza - e servirebbero 5 miliardi di euro per rimetterli a posto. Nel frattempo un anticiclone africano sta facendo schizzare i termostati italiani: per oggi le massime potranno arrivare ai 38 gradi al Nord, 37 al Centro e 35 al Sud. Solo domenica nelle zone settentrionali le prime infiltrazioni di aria fresca potranno garantire un inizio di settimana con temperature più miti. Ma la situazione peggiorerà al Sud e nelle Isole.

Andrea Scutellà

 

Agricoltura, danni per un miliardo - Le anomalie climatiche del 2017 hanno messo in ginocchio le produzioni
ROMA - Le anomalie climatiche della prima parte del 2017 hanno già provocato alle coltivazioni e agli allevamenti danni per quasi un miliardo di euro. Tracciata dalla Coldiretti, la situazione Regione per Regione. In Emilia in sofferenza tutte le colture dal pomodoro ai cereali, ma anche gli ortaggi. In Lombardia stessa situazione: il caldo sta provocando un taglio fino al 20 per cento della produzione di latte. In Sardegna l'assenza di piogge sta condizionando tutti i settori agricoli, con perdite nella produzione di oltre il 40 per cento e gli agricoltori della Coldiretti sul piede di guerra. In Veneto si parla di poche settimane di autonomia e la vendemmia si prevede anticipata di almeno una settimana. In Toscana scarseggiano anche i foraggi per il bestiame e crolla la produzione di miele. In Umbria i girasoli e il granoturco stanno seccando. Nel Lazio ampie aree in difficoltà, con la produzione di frumento che risulta stentata, con pesante contrazione dei raccolti e perdita di qualità e con il rischio, senza interventi immediati, di perdere del tutto ortaggi, frutta, cereali, pomodori. L'assenza di piogge sta condizionando tutta la produzione agricola regionale, con perdite finora stimate fino al 40 per cento. Per fare fronte alla sofferenza idrica in alcuni comuni - a cominciare da Roma - la Regione Lazio ha autorizzato un maggiore prelievo idrico alle sorgenti Pertuso. In Campania nel Cilento, nell'Alento e nella piana del Sele ci sono problemi per gli ortaggi e la frutta, ma anche per la mozzarella di bufala perché la mancanza di acqua mette in crisi anche gli allevamenti e i caseifici. In Puglia perdite di produzione, aumento dei costi per le risemine, ulteriori lavorazioni, acquisti di nuove piantine e sementi sono gli effetti della siccità con gravi danni al granaio d'Italia nelle province di Foggia e Bari, dove si riscontra una perdita del 50% della produzione. In Sicilia la siccità è una realtà concreta, con gli invasi a secco e la necessità di anticipare l'inizio della stagione irrigua negli agrumeti. In Umbria e nelle Marche terremotate si registra una produzione di fieno insufficiente con pascoli e prati asciutti. È crollato del 15 per cento il raccolto di grano - per effetto congiunto del maltempo e della riduzione dei terreni seminati dopo le scosse - mentre la produzione di latte è calata del 20 per cento anche per stress, decessi e chiusura delle stalle. Una situazione che a quasi un anno dal sisma è ancora di piena emergenza tanto che per consentire la normale esecuzione dei lavori estivi nelle campagne terremotate, la Coldiretti ha annunciato anche la consegna di gasolio gratuito, per oltre mezzo milione di litri, a 800 aziende delle aree colpite. Se non bastasse, a quasi dieci mesi dalla prima scossa sono ancora sfollati quasi la metà degli animali sopravvissuti che non possono ancora essere ospitati nelle stalle provvisorie che sono state realizzate e rese operative al 55per cento del fabbisogno. La mappa della Coldiretti prosegue con il Friuli la regione ha decretato lo stato di sofferenza idrica per garantire l'acqua alla media Pianura friulana per circa 26.000 ettari di coltivazioni mentre in Piemonte è stato dichiarato lo stato massima pericolosità incendi.

 

 

"Next" ritorna a settembre e punta gli occhi sul mare
Dal 21 al 23 novembre la nuova edizione del Festival della scienza a Trieste con una serie di incontri e una mostra sull'eccellenza dell'industria navale
A partire dal prossimo autunno Trieste per un anno si concentrerà sempre più su una delle sue risorse naturali più preziose, destinata a esserlo sempre di più in futuro. Trieste Next, il festival della scienza in calendario dal 21 al 23 settembre, aprirà le danze svelando il tema: si tratta del mare, che farà da minimo comune denominatore in relazione a ricerca scientifica, innovazione tecnologia e imprenditoria. Temi che verranno approfonditi a giugno 2018, con il ritorno a Trieste, dopo 30 anni, del più importante convegno internazionale dedicato alle tecnologie marittime organizzato su suolo italiano, l'International Conference on Ships and Maritime Research - Nav. A cavallo tra i due eventi, il primo organizzato dall'Università in collaborazione con Comune e Venezie Post, il secondo da Atena (Associazione italiana di tecnica navale) con l'Università, Mare Fvg e molti altri enti, istituzioni e partner, saranno organizzati anche una serie d'incontri e un'esposizione destinati a cittadinanza e turisti dedicati alle eccellenze dell'industria navale presenti sul nostro territorio. Che conta un porto industriale, un'azienda leader nella cantieristica come Fincantieri, Wärtsilä per i motori, e la massima densità di studi tecnici d'ingegneria navale d'Italia. Oltre a un sistema formativo di tutto rispetto: l'istituto Nautico, l'Accademia del Mare, i corsi di laurea d'Ingegneria navale, l'Ogs. Ne abbiamo parlato con il professor Vittorio Bucci, ricercatore di Costruzioni e Impianti Navali e Marini dell'ateneo giuliano e segretario della sezione del Friuli Venezia Giulia di Atena, associazione che riunisce la maggior parte degli ingegneri navali d'Italia. «Ospitare il Nav a Trieste è per noi un grande piacere e un grande risultato, che ci sta mettendo alla prova perché le forze a disposizione sono esigue. D'altra parte si tratta di un'occasione unica per accendere i riflettori sulla qualità della nostra didattica e della nostra ricerca, che quest'anno si è particolarmente distinta, consentendoci di vincere ben 13 progetti regionali Por Fesr, un progetto del Ministero dei Trasporti e il progetto europeo Assess in collaborazione con Ogs». Ingegneria Navale, ricorda Bucci, è uno dei corsi di laurea più antichi di Units: è stato infatti il primo ad essere istituito nella facoltà d'Ingegneria nel 1942 e ha continuato a operare incessantemente fino ad oggi. In questi ultimi anni però, a causa di molti pensionamenti e della mancanza di turnover, ha potuto contare su un numero di docenti in costante diminuzione: dal 2011 a oggi gli studenti sono duplicati, mentre i docenti si sono quasi dimezzati, da 12 a 7. «Oggi abbiamo un'ottantina di matricole e una quarantina di studenti al secondo e al terzo anno. Alla magistrale contiamo 40 studenti all'anno provenienti da tutt'Italia», racconta Bucci, che non nasconde le difficoltà legate alla carenza d'organico. Con l'elezione l'anno scorso del nuovo coordinatore dei corsi di studio in Ingegneria Navale, professor Alberto Marinò, oggi si sta cercando di rilanciare e far conoscere questo percorso di studi.«Abbiamo stretto rapporti con Fincantieri, Wärtsilä, Montecarlo Yacht e molti altri studi di progettazione presenti sul territorio - spiega Bucci -, che oltre ad ospitare i nostri studenti in tirocinio o per la tesi di laurea ci aiutano anche con borse di studio e con docenze nelle materie professionalizzanti». Entro settembre il corso di studi potrà inoltre contare, grazie a Fincantieri e a Intergraph, su un nuovo laboratorio informatico. Per rimanere al passo con le innovazioni di settore e i nuovi regolamenti in materia di costruzioni navali sono stati introdotti nuovi insegnamenti quali Navi Speciali, Progettazione per la sicurezza delle navi ed Organizzazione della produzione navale, e due percorsi di specializzazione post laurea: il master nato dal progetto Assess, sui temi di Safety and Security navale, e il master in Blue Growth, promosso da Ogs sui temi dell'economia del mare.

Giulia Basso

 

 

 

 

COMUNICATO STAMPA - GIOVEDI', 22 giugno 2017

 

 

PROVVEDIMENTI ANTI SICCITA’ IN FVG. SERENA PELLEGRINO: URGENTE ATTUARE POLITICHE AGRICOLE COERENTI CON LE CONSEGUENZE DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO.

AGRICOLTURA E AMBIENTE, SORELLE PER L'ECOSISTEMA, SORELLASTRE PER LE ISTITUZIONI.
“La scelta politica di dimezzare per 15 giorni il deflusso minimo vitale del Tagliamento dall’impianto di Ospedaletto, disposto con decreto della Presidenza della Regione Friuli Venezia Giulia, si dimostrerà molto pesante per l’ecosistema fluviale, già sottoposto al fortissimo stress idrico causato dalle anomalie climatiche.
Senza voler sminuire la gravità dell’emergenza affrontata con questo provvedimento, si deve tuttavia osservare che ancora una volta si manifesta, in Regione come nel resto del Paese, l’incomunicabilità tra le politiche del settore agricolo e quelle a protezione delle risorse idriche, nell’ambito di un’unica programmazione che prenda atto del cambiamento climatico e dei suoi impatti sul territorio e sull’ambiente.”
Lo dichiara la parlamentare Serena Pellegrino ( Sinistra Italiana – Possibile) vicepresidente della Commissione ambiente alla Camera dei deputati.
“ Sulla carta, e con riferimento alle indicazioni europee, sta scritta a chiare lettere la necessità di una comune gestione che renda compatibili le necessità dell’irrigazione e della fornitura d’acqua al settore zootecnico con la salvaguardia dei corpi idrici superficiali e sotterranei. Gli strumenti, per affrontare le criticità che di stagione in stagione si fanno più pesanti da affrontare, sono disponibili : basta leggersi gli Elementi per una Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici sul sito del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
Troviamo scritto, tra le mille altre indicazioni, questo : L’introduzione di pratiche per migliorare la gestione efficiente dell’acqua e del suolo al fine di evitare ripercussioni sulle produzioni delle colture agricole è un’azione identificata come prioritaria, insieme alla sostituzione delle colture o varietà in relazione alle caratteristiche ambientali specifiche dei siti e riduzione di cultivar che necessitano di enorme richiesta idrica , tra le quali il mais.”
Conclude Pellegrino: "Si continua a ignorare che servono con urgenza politiche agronomiche sostenibili, che ci sono coltivazioni esageratamente idro- esigenti che vanno sostituite con altre più adattabili, suoli degradati che richiedono misure importanti di miglioramento, gestioni delle aree fluviali che vanno completamente reimpostate.
Dei singoli temi si discute su tavoli rigorosamente separati, mettendosi le medaglie scegliendo gli interlocutori e mai riunendo tutti i portatori di interesse attorno all’unica questione, cioè che siamo diventati, per causa nostra, estremamente vulnerabili.”
http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/clima/snacc_2014_elementi.pdf
 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 22 giugno 2017

 

 

Siderurgia - «Malinteso» tra Arvedi e vescovo sul futuro della Ferriera di Servola
Un «malinteso» sulla Ferriera di Servola, come si scopre in serata, manda in fibrillazione i palazzi del potere. Protagonisti Debora Serracchiani, autrice di una lettera scritta a Giovanni Arvedi per avere chiarimenti in merito ad una sua presunta disponibilità a chiudere l'area a caldo. Giampaolo Crepaldi, il primo a mettere in giro la notizia del possibile dietrofront del Cavaliere, e infine lo stesso patron del gruppo a capo dello stabilimento di Servola che, in serata, con un comunicato, nega di aver mai parlato di possibili chiusure, bollando il tutto come uno «spiacevole malinteso». E chiudendo il caso. Il primo atto della "pièce", segnata appunto da una serie di note scritte e contatti telefonici, è andato in scena ieri mattina con l'annuncio dell'invio della lettera firmata da Serracchiani e indirizzata ad Arvedi. La presidente ha chiesto di vedere l'industriale «in tempi brevi» per chiarire il destino dello stabilimento. Un'iniziativa assunta dalla governatrice dopo il faccia a faccia avuto alla presenza di Roberto Dipiazza con gruppi ambientalisti e anti Ferriera (Fare Ambiente, Comitato 5 dicembre e No smog). I comitati, come noto riuniti in presidio in piazza Unità per sollecitare lo stop della produzione, hanno riferito a Serracchiani quanto detto loro dall'arcivescovo, vale a dire la disponibilità dell'imprenditore a chiudere l'area a caldo. Una versione ribadita anche ieri pomeriggio dal vicario Ettore Malnati che, a domanda precisa, ha risposto così: «L'arcivescovo ha sentito quello che ha poi riferito ai comitati». Di lì la scelta di Serracchiani di vederci chiaro. «La presidente - chiarisce la Regione in una nota - ha evidenziato la necessità di un chiarimento in merito alla volontà dell'industriale, espressa all'arcivescovo di Trieste, secondo quanto riportato dai comitati, di procedere alla chiusura dell'area a caldo dello stabilimento». Anche perché, afferma la governatrice, «al di là dei dati asettici, rimane un disagio umano che, nel mio ruolo istituzionale, non ho mai voluto trascurare e, anzi, rappresenta uno dei miei pensieri costanti». «Prendo atto di quanto mi è stato detto - continua Serracchiani - e lo ritengo molto importante, perché ci preoccupiamo della salute dei cittadini, quindi intendo vedere Arvedi per capire quali siano le sue intenzioni». Una questione «molto delicata» che «non può essere trattata semplicemente chiedendo l'annullamento dell'autorizzazione integrata ambientale (Aia) che contiene prescrizioni precise. Se queste vengono rispettate le istituzioni si muovono all'interno della legalità. Ma ciò non significa che non siamo attenti ai problemi che anche oggi ci sono stati presentati e che quotidianamente cerchiamo di monitorare e risolvere». Serracchiani ha comunque spiegato di essere «consapevole che un insediamento industriale di quel tipo è assolutamente impattante all'interno della città e sappiamo tutti che senza l'arrivo dell'imprenditore sarebbe rimasto una cloaca a cielo aperto». Di fronte al pressing della governatrice, la reazione di Siderurgica Triestina non si è fatta attendere. In una nota diramata all'ora di cena la società «rileva con stupore come si sia generato uno spiacevole malinteso sulla presunta disponibilità di procedere alla chiusura. Si ribadisce quanto affermato in ogni circostanza: è intenzione di questa azienda produrre ghisa fino a quando sarà possibile, nel rispetto di tutte le normative ambientali e con tutti gli interventi impiantistici già programmati per i prossimi mesi». Caso chiuso, insomma, ma non per tutti. «Lo ripeto: l'arcivescovo - ha ribadito don Malnati - ha detto ai comitato esattamente quello che ha sentito nell'inconto di sabato. Arvedi ora cambia versione? Vorrà dire che è giunto il momento di mettere le carte in tavola».

(g.s.)

 

«Assurdità sugli operai di Servola» - «Portarli in Comune? Costerebbero dodici milioni di stipendi»
Non l'ha presa con entusiasmo, per usare un eufemismo. Ma delle tante esternazioni che il suo successore Roberto Dipiazza ha affidato al giornale («trionfalismi che nascono solo da progetti fatti da noi, tra l'altro...»), ce n'è una che Roberto Cosolini giudica particolarmente campata in aria: la possibilità di riassorbire in Comune i 350 e passa lavoratori della Ferriera. «È una cosa - debutta l'ex sindaco - che non sta né in cielo né in terra. Non si può dire a quella gente che perderà il lavoro ma andrà in Comune. Ma hanno fatto almeno due calcoli? Parliamo di 12 milioni solo di stipendi! E per giustificarli bisognerebbe dare milioni e milioni di appalti in più, ipotesi che è ovviamente irrealizzabile. No, quella battuta la poteva proprio evitare. Avesse detto, che so, che gli interessa la salute collettiva e quindi avrebbe fatto di tutto, compreso affrontare il problema occupazione, l'avrei capito, ma quella sortita era proprio assurda».È polemica, intanto, anche sul cosiddetto "presidio permanente" allestito davanti al Comune. Giovanni Barbo, consigliere del Pd scrive su Facebook: «Prendiamo atto del fatto che questa giunta ha deciso di concedere l'uso di piazza Unità anche per manifestazioni politiche. La delibera che regolamenta l'uso dello spazio dice che la piazza può essere concessa per manifestazioni di alto carattere istituzionale e per grandi eventi culturali, oppure per eventi significativi (saggi di società sportive, partenze e arrivi di gara, manifestazioni) di breve durata: ora, dubito che un presidio che si autodefinisce "ad oltranza" rientri in queste categorie...».

(f.b.)

 

 

MUGGIA - Viaggiare Slow contro il no alle biciclette in centro storico
Aumentano le voci contrarie all'ordinanza di chiusura al passaggio delle bici nel centro storico di Muggia preannunciata dalla giunta comunale a fine maggio e poi "congelata". Alla contrarietà espressa da Fiab Muggia Ulisse a inizio giugno si è aggiunta l'associazione Viaggiare Slow, nonché «molti cittadini e diversi esercizi commerciali del centro storico, in quanto «il provvedimento annunciato potrebbe essere un freno sia alla mobilità ciclistica urbana che al cicloturismo, entrambi in forte crescita negli ultimi anni a Muggia. Fiab Muggia Ulisse e Viaggiare Slow, come si legge in una nota, «sono preoccupati per i problemi di sicurezza che questo provvedimento, se attuato, porterà. Con la chiusura del centro i ciclisti saranno tenuti ad utilizzare la stretta e lunga galleria per attraversare la città arrivando dal lungomare». Inoltre «se l'ordinanza verrà attuata avrà anche un effetto negativo sull'economia cittadina. Muggia ha, nel 2016, visto passare più di 11mila cicloturisti. È la bellezza del centro Storico a trainare questa invasione pacifica e redditizia. Nessuno di questi viaggiatori si mette in viaggio da sprovveduto. In rete le notizie viaggiano velocemente. Da indesiderati è un gioco saltare la sosta a Muggia per dirigersi direttamente a Capodistria e Isola che li accolgono a braccia aperte. Di questo sono consapevoli diversi esercizi commerciali del centro storico che per questo hanno manifestato la contrarietà al provvedimento». Fiab Muggia Ulisse e Viaggiare Slow ritengono che «se vi sono problemi di convivenza tra pedoni e ciclisti generati da alcuni maleducati si debba su questi agire applicando le regole già scritte nel Codice della strada (i ciclisti debbono procedere a una velocità tale da evitare situazioni di pericolo per i pedoni), e non togliere a tutti la possibilità di attraversare il centro storico in bici». Le associazioni sostengono, inoltre, che «si dovrebbe sopratutto agire sulla leva della comunicazione e dell'educazione per costruire una positiva convivenza tra tutti gli utenti del centro storico e si dichiarano disponibili a collaborare con il Comune su questo aspetto».

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 21 giugno 2017

 

 

FERRIERA - «In piazza fino allo stop dell'area a caldo»
La Ferriera può vivere senza area a caldo. Gli operai non devono perdere il lavoro. Le soluzioni ci sono. E vanno trovate subito. Con queste motivazioni il Comitato 5 dicembre, armato di gazebo e borse di sopravvivenza, ha dato il via alle 18 di ieri in piazza Unità, di fronte al palazzo della Regione, al presidio "h24" che «resterà permanente fino a quando verrà chiusa l'area a caldo». Mentre ci si conta (dodici le persone presenti sul posto alle 18, destinate a crescere via via), qualcuno appoggia gli striscioni a terra, e altri ancora cominciano a montare il primo di due gazebo bianchi. Un esponente del comitato, Fabio Predonzan, spiega: «Resteremo qua fino a quando non verrà annullata l'Aia, che ha innalzato il limite di pm10 da 50 ng/m³ a 70, nonostante la Comunità europea raccomandi di non sforare la soglia di 35. Questo fa sì che la gente di Servola debba vivere prigioniera nelle proprie case». Al suo fianco Alberto Kostoris del Nimdv: «Non possiamo più aspettare». Le donne in piazza lamentano un grave peggioramento negli ultimi anni. Fra queste, Lara Poiani («adesso l'aria è diventata irrespirabile») e Marilena Era («di notte si sente un rumore assordante che non permette di dormire; ci si sente male, gli occhi lacrimano e la gola brucia»). E ieri è intervenuto anche il Pd, per voce della segretaria regionale Antonella Grim: «Basta sfruttare la Ferriera come arma politica». Le fa eco la segretaria di Trieste, Adele Pino: «Abbiamo lavorato recuperando risorse per un giusto equilibrio fra tutela del lavoro e della salute, quell'impegno va portato avanti».

(el.pl.)

 

 

La Regione punta a una fetta di bonifiche - Alla Conferenza dei servizi sarà chiesto al ministero di riperimetrare il Sito inquinato per gestire l'iter sul Canale navigabile
Due colpi di scena potrebbero forse scuotere il lungo sonno in cui sono cadute le bonifiche relative al Sito di interesse nazionale (Sin). A muovere le pedine sullo scacchiere nazionale, sulla base di una indicazione giuntale, è la Regione, che aveva avocato a sè la materia ambientale dopo il commissariamento dell'Ezit risalente al novembre 2015. Sara Vito, assessore all'Ambiente, è stata incaricata di ridefinire con il governo il perimetro dell'area inquinata e di modificare l'accordo di programma, firmato nel 2012 tra ministero dell'Ambiente ed Ezit, allo scopo di sveltire le procedure che proprietari e gestori debbono affrontare nell'ambito del Sin. Gli obiettivi sono ambiziosi, sia nei contenuti che nei tempi, perchè Sara Vito spera di farcela entro la fine dell'anno (anche perchè a seguire ci saranno le elezioni regionali). «Cercheremo di intervenire a vantaggio dei piccoli-medi operatori - commenta l'assessore - e a breve censiremo le aziende interessate con una delibera giuntale». «Il percorso prevede una conferenza di servizi, convocato dal ministero dell'Ambiente, le cui conclusioni saranno recepite da un apposito decreto - completa la narrazione - non dovrebbero essere previste modifiche di carattere normativo, a livello nazionale e regionale». Appare evidente che la duplice operazione, per concretizzarsi, richiede una forte reciprocità politica tra centro e periferia. Comunque Sara Vito preannuncia che contatterà urgentemente anche Confindustria e Confartigianato, le principali associazioni imprenditoriali coinvolte nel tema bonifiche, per aggiornarli sulle modalità dell'improvviso risveglio. Dunque, le parole d'ordine sono "riperimetrare" e "decentrare". Nel primo caso la Regione chiede al ministero dell'Ambiente competenza diretta sulla bonifica dell'area di un'ottantina di ettari che s'affaccia sul Canale navigabile di Zaule. Scelta non casuale, valutata insieme all'Autorità portuale, che, in procinto di essere la maggiore azionista del nascente consorzio "nuovo Ezit", è interessata a rendere fruibili i terreni prossimi alle banchine. Anche Area Science Park è stata coinvolta dalla Regione, come interlocutrice negli investimenti maggiormente innovativi. «Non cambierà l'iter - precisa la Vito - ma la gestione locale della bonifica consentirà di ridurre i tempi del procedimento». Passiamo al secondo atto: la modifica dell'Accordo di programma consentirebbe alla Regione di agire in via sostitutiva nelle aree non contaminate dalla mano pubblica e di recuperare poi le spese anticipate. In questa maniera verrebbero superate le criticità inevitabilmente legate alla stipula di centinaia di convenzioni con gli operatori economici interessati. Un'ultima buona notizia riguarda una ventina di ettari ex Ezit tra Noghere e Rio Ospo, dove la Regione - ricorda Sara Vito - ha svolto una serie di "analisi del rischio": ebbene questi venti ettari attendono solo il suggello della conferenza dei servizi ministeriale per affrancarsi dalle procedure di bonifica. E diventare così utilizzabili sotto il profilo produttivo.

Massimo Greco

 

 

Patto anti Tir con la Slovenia - Basovizza libera dai camion - Perfezionato lo stop transfrontaliero ai mezzi pesanti lungo l'ex valico di Pese
L'obbligo dell'autostrada tra i due stati alleggerirà pure il traffico al bivio ad H
TRIESTE - Divieto transfrontaliero di passaggio dei Tir lungo l'ex valico di Pese. A nove mesi dalla promessa di voler intervenire sull'oramai insostenibile traffico dei mezzi pesanti lungo la regionale 14, l'arteria principale che collega Basovizza a Hrpelje e Kozina, il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza - che assieme al primo cittadino di San Dorligo Sandy Klun aveva promosso il "boicottaggio" dei Tir lungo il percorso italiano - ha annunciato di aver raggiunto l'obbiettivo comune con la Slovenia. «Ringrazio Sasa Likavec Svetelsek, sindaco di Herpelje-Kozina, e Mauro Ricci dell'Anas, oltre al sindaco Klun, perché insieme abbiamo finalmente vietato il transito dei Tir sul valico di Pese in entrambe le direzioni. È stato molto difficile, ma abbiamo risolto insieme un problema veramente serio: prima o dopo avremmo davvero rischiato di avere un incidente mortale», ha spiegato Dipiazza. Il primo cittadino triestino ha evidenziato le conseguenze positive dello stop imposto ai mezzi pesanti: «Non vedremo più le file di Tir e verrà garantita la tutela dei cittadini di Basovizza e più in generale dell'altipiano, ma anche quella dei contadini che non potevano più uscire con i loro trattori». La questione dei Tir era stata affrontata nel settembre scorso con la richiesta formulata all'Anas da parte dei comuni di Trieste e San Dorligo di interdire il traffico ai mezzi pesanti superiori a 7,5 tonnellate sull'ex statale 14. Successivamente Dipiazza e Klun avevano incontrato anche il sindaco d'oltreconfine Svetelsek appunto, per concordare un'azione comune e risolvere il problema alla radice. Anche il Comune di Hrpelje-Kozina aveva di fatto evidenziato lo stesso problema di sicurezza riscontrato sul territorio italiano, lamentando addirittura passaggi di oltre 1.500 Tir al giorno in determinati periodi dell'anno. Dal primo giugno, grazie all'apporto dell'Anas, è stato imposto il primo stop lungo l'arteria stradale italiana tra il bivio ad H e Basovizza. Da domenica scorsa è scattato anche lo stop in Slovenia, un risultato raggiunto anche grazie all'intervento diretto del ministero dei Trasporti della vicina Repubblica sollecitato dal sindaco Svetelsek. I cartelli apposti nei rispettivi territori a ridosso dell'ex valico indicano che potranno transitare solo i frontisti, ossia chi, munito di bolla di accompagnamento, dovrà effettivamente scaricare la merce a Basovizza. Per tutti gli altri camion dalle 7,5 tonnellate in su l'obbligo di imboccare l'autostrada. «I Tir provenienti dalla Slovenia, per evitare di pagare pochi euro di autostrada, non possono mettere a rischio la vita delle persone passando nel tratto tra Basovizza e il bivio ad H», aveva evidenziato il sindaco Dipiazza. Ora non resterà che fare i dovuti controlli per evitare che i soliti furbetti bypassino le nuovi disposizioni. Con questo provvedimento, dunque, i mezzi pesanti sono stati messi al bando anche nell'altipiano orientale dopo che già nell'altipiano Ovest della provincia triestina, ossia nel Comune di Duino Aurisina, era stato posto il veto di transitare lungo diversi tratti non autostradali tra cui l'ex valico di frontiera di (Comeno). Non si registrano infine problemi di Tir lungo il confine tra Monrupino e Vogliano e lungo gli ex valichi di frontiera muggesani, come conferma il sindaco di Muggia Laura Marzi: «Fortunatamente non abbiamo di questi problemi, i Tir qui sono soliti imboccare l'autostrada lungo il valico di Rabuiese».

Riccardo Tosques

 

CICLISTI - La Fiab ora studia la Trieste-Muggia
Questo sabato la Fiab Trieste Ulisse presenterà una proposta per realizzare un "Collegamento ciclabile Trieste-Muggia".Gli incontri si terranno uno a Trieste alle 10.30 al Caffè Tommaseo in piazza Nicolò Tommaseo, 4/C e l'altro a Muggia alle ore 12.15 in piazzale G.Galilei n.4 al bar Molto Ghiaggio.Negli incontri verranno esposte le soluzioni tecniche per realizzare l'itinerario e verranno illustrate le ricadute positive che un'infrastruttura di questo tipo potrebbe portare sia alla mobilità che all'economia cicloturistica, fenomeno in crescita continua anche nella nostra area provinciale.

 

 

Ridotta la portata del Tagliamento per l'allarme siccità - Piogge scarse da otto mesi, la Regione emana un decreto per garantire l'irrigazione delle coltivazioni

Dalle proiezioni alle tipologie climatiche future nella nostra regione
TRIESTE - I meteorologi prevedono a livello nazionale un'ondata di caldo africano in ascesa nei prossimi giorni. E intanto piove troppo poco. Anche in Friuli Venezia Giulia. E non da oggi: nella nostra regione le precipitazioni sono scarse da otto mesi. E hanno causato una siccità perdurante che ha portato con sé una «forte riduzione del flusso del Tagliamento», dal quale fra l'altro dipende l'irrigazione di circa 26mila ettari di coltivazioni nella media Pianura friulana. Così la Regione interviene riducendo la portata del fiume, o meglio del suo deflusso minimo vitale (Dmv). La presidente del Fvg Debora Serracchiani ha firmato ieri un decreto che sancisce lo «stato di sofferenza idrica» e autorizza alla riduzione del Dmv per 15 giorni. Il provvedimento si basa sui dati della direzione centrale Ambiente, dai quali si evidenzia un deficit idrico generalizzato che si riflette sulle acque superficiali e sotterranee del Fvg. I numeri parlano chiaro: a maggio e giugno la pioggia è caduta con valori ben al di sotto della media del periodo. Nel bacino montano del Tagliamento le precipitazioni sono state il 54% del valore medio mensile, mentre in pianura sono oscillate fra il 65% e il 72%. E anche il mese in corso si preannuncia particolarmente arido, «in particolare nella fascia montana dove ha piovuto fra il 25 e il 36% dell'usuale».Sul Tagliamento ci sono difficoltà in corrispondenza della sezione di Ospedaletto, dove è ubicata la derivazione del Consorzio di bonifica Pianura friulana. La portata naturale del fiume non basta a garantire contemporaneamente il deflusso minimo e l'approvvigionamento del Consorzio, che fornisce l'acqua alla media Pianura friulana, appunto, per circa 26.000 ettari di coltivazioni. Di qui la decisione di dimezzare la portata del Tagliamento dall'impianto di Ospedaletto da 8 a 4 metri cubi al secondo. Il tutto - precisa la Regione - per evitare una mancanza d'acqua che «avrebbe pesanti ricadute per le coltivazioni con conseguenze economiche sull'intero comparto agricolo del Fvg». Il provvedimento naturalmente potrà essere modificato o sospeso in caso di piogge che modificassero la situazione. Tenendo presente che «la scarsità di precipitazioni e l'esiguo contributo dello scioglimento delle nevi causeranno un'ulteriore diminuzione della portata del Tagliamento».Il decreto firmato da Serracchiani segue di poco quelli presi da altre regioni: già l'Emilia Romagna e la Toscana avevano dichiarato lo stato di emergenza regionale per la crisi idrica, mentre la Sardegna è giunta a chiedere al governo lo stato di calamità naturale. La governatrice del Fvg ha emanato il decreto nel giorno in cui a Trieste, nel palazzo della giunta regionale, studiosi ed esperti del settore si sono riuniti in un seminario tecnico-scientifico dedicato ai cambiamenti climatici in atto, come in tutto il mondo, anche nella nostra regione. Anche il Fvg nel suo piccolo vuole attrezzarsi per fronteggiare, come ha ricordato l'assessore regionale all'Ambiente Sara Vito, «gli impatti dovuti a questi mutamenti epocali». L'obiettivo è quello di presentare entro fine anno un primo rapporto sulle conoscenze in base al quale impostare «strategie di adattamento» e indicare alla popolazione «buone pratiche» da mettere in atto. Punto di partenza è uno studio affidato a inizio anno dalla Regione all'Agenzia regionale per l'ambiente, l'Arpa, mirato ad aggiornare le conoscenze sul fenomeno a livello regionale e individuare i settori economici e sociali sui quali gli impatti previsti nei diversi scenari futuri potranno essere più rilevanti. Un lavoro per il quale l'Arpa ha messo in piedi una serie di collaborazioni con gli Atenei di Trieste e Udine, gli Istituti di ricerca del territorio - dall'Ictp, all'Ogs al Cnr-Ismar e la direzione centrale Ambiente. Ieri è stato fatto un primo punto analizzando in via preliminare i risultati e individuando alcune linee progettuali da seguire. Ma sono stati anche forniti alcuni dati e ipotetici scenari che potrebbero delineare fra il 2070 e il 2100 un territorio decisamente diverso da quello che conosciamo oggi. Un territorio dove a Tarvisio si potrebbe coltivare la vite e dove a Grado e Lignano prospererebbero carrubi e fichi d'india. La costa del Fvg come il Sud, insomma. Per capirlo basta uno sguardo al grafico qui accanto, frutto di uno studio dell'Arpa Fvg sulla base di modelli climatici rielaborati dall'Ictp: si vede un avanzare delle zone fitoclimatiche più calde (la più calda è il Lauretum) a scapito di quelle proprie di climi più freddi, come appunto il Picetum (che prende il nome dall'abete rosso). In sostanza: aumento delle zone calde in cui sono presenti specie botaniche di tipo mediterraneo come l'olivo e l'arancio, e diminuzione spiccata delle zone a foresta di gimnosperme. Fra il 2070 e il 2100 la zona del Lauretum caldo - termine scientifico per definire le aree più calde del territorio nazionale - che oggi non è presente in Fvg, potrebbe coprire il 5% del territorio. Scenari ipotetici, naturalmente. Intanto Filippo Giorgi, responsabile del gruppo di Fisica della Terra all'Ictp, ha prodotto le proiezioni climatiche stagionali del Fvg per i periodi 2021-50 e 2071-2100 rispetto al trentennio 1976-2005, da cui si evince l'andamento già riscontrato negli ultimi decenni: gli scenari futuri indicano un aumento delle piogge invernali e un calo delle piogge estive, mentre quanto alle temperature sono previste in aumento le ondate di calore. Proiezioni che fanno il paio con i grafici presentati dal direttore dell'Arpa-Osmer Stefano Micheletti: aumento di temperatura e variazione del regime delle piogge in atto. Fra i prossimi passi ci sarà, ha ricordato il direttore generale di Arpa Luca Marchesi, l'elaborazione delle proiezioni climatiche future: indici da cui valutare gli impatti dei cambiamenti sotto i vari profili, da quello fisico a quello economico. E prendere, appunto, le contromisure.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 20 giugno 2017

 

 

La Ferriera torna in scena in piazza Unità - Ieri la protesta del Circolo Miani. Da oggi comitati in presidio no stop contro l'area a caldo
"Ferriera 365 giorni. Dipiazza dimettiti". "Ferriera: inizio presidio permanente". Ieri pomeriggio, alle 18, si è svolta la manifestazione di "No Ferriera" organizzata dal Circolo Miani. Oggi, alle 18, inizia il presidio ad oltranza per la chiusura dell'area a caldo dello stabilimento siderurgico di Servola promosso dal Comitato 5 Dicembre. Stesso luogo (piazza Unità d'Italia), stesso argomento (Ferriera di Servola), motivazioni opposte. La manifestazione del Circolo Miani chiede a gran voce le dimissioni di Dipiazza («Ha fallito, vada a casa»), quella del 5 Dicembre vuole sostenere il sindaco nella battaglia per la chiusura dell'area a caldo. L'iniziativa di ieri, capeggiata da Maurizio Fogar, ha visto la partecipazione di 12 persone (una ventina gli uditori) e si è tenuta a un anno esatto dall'insediamento del sindaco, ricordando anche la questione dei "100 giorni". Una mezz'ora di comizio di Fogar nell'indifferenza generale con l'esibizione di uno striscione con la richiesta imperativa delle dimissioni. «C'è perfetta continuità tra Cosolini e il sindaco Dipiazza. Due professionisti dello scaricabarile», sintetizza Fogar. Oggi invece saranno i comitati cittadini a piantare letteralmente le tende in piazza Unità. «Non si può più aspettare. Portiamo nel cuore della città la rabbia e la sofferenza che non solo Servola ma anche Muggia e Trieste vivono sulla loro pelle ogni giorno» spiega il Comitato 5 Dicembre sulla sua pagina Facebook. Così da questa sera in piazza Unità, di fronte ai palazzi di Regione, Comune e Prefettura ci sarà un presidio permanente per chiedere che venga trovata immediatamente una soluzione al problema Ferriera. «La soluzione c'è. L'area a caldo - spiega il comitato - non è compatibile con la città. Si deve chiudere e si può chiudere senza perdere posti di lavoro perché l'intera area dello stabilimento è enorme e offre possibilità alternative pulite e sane per operai e cittadini». Il presidio non ha scadenza. «Non è un corteo di un paio d'ore: è ad oltranza. Chi vuole risolvere la situazione - esorta il comitato - doni un po' del suo tempo. Occorre esserci, essere presenti fisicamente per presidiare 24 ore su 24. È una sfida enorme. Campeggio senza interruzioni». La protesta ha già trovato l'adesione del gruppo "Nimdvm". «Un protesta pacifica ma ferma, civile ma dura, propositiva ma intransigente - spiega l'avvocato Alberto Kostoris -. Perché è inutile girarci attorno: l'area a caldo deve e può chiudere».

 

 

Clima, la febbre aumenta -  Allarme per i colpi di calore - Entro il 2100 i tre quarti della popolazione del pianeta correranno rischi mortali
Il Consiglio Ue: «Accordi di Parigi non rinegoziabili». Dal G20 pressioni su Trump
BRUXELLES - L'accordo di Parigi sul clima «non si rinegozia, si applica». Così il commissario Ue Miguel Arias Canete ha aperto il dibattito tra i ministri dell'ambiente dei Ventotto sulla decisione degli Stati Uniti di sfilarsi dal trattato di Parigi per rinegoziarlo da capo. Eppure, la strada per arrivare a modalità di applicazione condivise tra i paesi Ue sembra essere ancora lunga. Tanto più mentre gli scenari futuri si fanno sempre più cupi. Tre persone su quattro (74%), nel mondo, saranno esposte a ondate di calore potenzialmente letali entro il 2100, se le emissioni di CO2 continueranno a crescere al tasso attuale alimentando il riscaldamento globale. L'allarme arriva da uno studio internazionale pubblicato sulla rivista Nature Climate Change. Stando agli esperti, capitanati dall'università hawaiana di Manoa, attualmente il 30% della popolazione mondiale è esposto a ondate di calore letali per almeno 20 giorni l'anno. Se le emissioni di carbonio saranno ridotte in modo drastico, in futuro l'esposizione riguarderà comunque una persona su due (48%). «Per le ondate di calore, le nostre opzioni ora vanno da avverse a terribili», afferma Camilo Mora, autore dello studio. Le ondate di calore hanno già dato prova del loro potere di morte. Eclatante fu quella che colpì l'Europa nel 2003 facendo 70mila vittime. Quanto agli accordi di Parigi, sulla scelta degli Usa, ieri mattina, si sono espressi sia i ministri degli Esteri che quelli dell'Ambiente. Il Consiglio esteri ha adottato conclusioni inequivocabili, in cui ci «si rammarica profondamente della decisione unilaterale dell'amministrazione statunitense» e si «ribadisce che l'accordo di Parigi è idoneo allo scopo e non può essere rinegoziato». Contenuti ripresi successivamente dal dibattito tra i ministri dell'Ambiente sullo stesso tema. Il ministro Gian Luca Galletti ha ribadito la necessità del dialogo con Washington. In linea con il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, che nelle stesse ore a Pesaro diceva di voler «rinnovare la pressione sul presidente Usa a rivedere la sua posizione sull'accordo di Parigi sul clima», in occasione del prossimo G20, tra 15 giorni.Uniti su Trump, i Ventotto sono ancora divisi sugli impegni concreti. Una «mancanza di progressi» che «è in contrasto con le dichiarazioni sull'impegno inequivocabile dell'Ue per l'accordo di Parigi», sintetizza Caroline Westblom del Climante Action Network. Nel dibattito pubblico sul pacchetto "non Ets", che include un regolamento per la ripartizione tra i paesi dello sforzo di riduzione delle emissioni di gas serra nei settori agricoltura, edilizia e trasporti e un altro sul ruolo del suolo e della silvicoltura, sono riemerse le divisioni degli ultimi mesi. E anche la gestione delle foreste, su cui i paesi dotati di grandi patrimoni boschivi vogliono continuare ad avere mano libera, resta «questione critica che va risolta», come riconosciuto nella conferenza stampa finale. Secondo José Herrera, presidente maltese di turno del Consiglio, i paesi sapranno «trovare un accordo prima della fine dell'anno». La Cop 23 di Bonn è a novembre e il prossimo consiglio Ambiente, a ottobre, ha il sapore di un'ultima chiamata per l'Europa che reclama la leadership mondiale sul clima

 

 

L'INSIDIA DEGLI "ALIENI" PORTATI DALLE NAVI - La minaccia meno controllabile per il mare è l'arrivo di organismi da altri habitat
Più forti delle specie autoctone, le soppiantano decimando le popolazioni di pesci
Uno specchio delicato e prezioso. Il mare dell'Alto Adriatico non è blu e trasparente come quello della Sardegna o della Croazia, ma contrariamente a quello che si pensa comunemente è un mare pulito, perché le leggi ambientali degli ultimi anni hanno prodotti i loro effetti, e ricco dal punto di vista biologico e naturalistico. Vanta anche alcuni paradisi dal punto di vista naturalistico e biologico come le "Tegnùe" ancora non sufficientemente conosciute e valorizzate. I pericoli, per lo specchio d'acqua che si affaccia davanti alle coste del Veneto e del Friuli Venezia Giulia, vengono piuttosto dalla globalizzazione, dalle grandi navi che girano il mondo e scaricano acque raccolte chi sa dove, immettendo "specie aliene" che potrebbero produrre danni irreversibili all'ecosistema. L'Alto Mare Adriatico è la parte della pianura padana finita sommersa quando, dopo il Pleistocene, il livello del mare si è innalzato a causa dello scioglimento dei ghiacci. Questo gli dà una conformazione particolare che rende l'ambiente marino costiero estremamente sensibile: c'è una bassa profondità, una circolazione un po' difficile, talvolta rallentata in termini di correnti, e i fiumi convogliano a mare scarichi di provenienza agricola, civile e industriale. Equilibrio delicato - Se a questo aggiungiamo il traffico marittimo, la pesca, e turismo che insistono sulla fascia costiera possiamo capire quanto l'equilibrio sia delicato. È un recettore definito dalla normativa «area sensibile». Sensibile all'eutrofizzazione, cioè all'ingresso dei nutrienti tramite il sistema fluviale o, in misura minore, fognario. Su questo habitat delicato, le politiche ambientali imposte soprattutto dall'Europa negli ultimi anni, hanno dato i loro frutti. Il dato più immediatamente visibile è quello della balneabilità delle spiagge: «Nella classificazione condivisa a livello europeo, in una scala di quattro valori (scarso, sufficiente, buono, eccellente), il mare del Veneto su 95 punti di rilevazione ha 5 punti buoni e 90 eccellenti», spiega Paolo Parati, responsabile dell'Osservatorio Acque Marine e Lagunari dell'Arpav, l'Agenzia di prevenzione e protezione ambientale del Veneto. Ma il miglioramento delle condizioni di salute dell'Alto Adriatico è stato generale, non solo davanti alle spiagge, e questo grazie alle azioni di prevenzione e di tutela attuate a monte. «Seguendo le varie normative ambientali, si è agito sugli scarichi civili, sul collegamento dei reflui urbani e sulle emissioni di origine agricola (inquinamento diffuso) e questo ha fatto sì che il mare ne beneficiasse», dice Parati. Gli sforzi sono stati indirizzati a ridurre al massimo l'immissione di nutrienti, sia di origine civile, sia di origine agricola (in particolare azoto e fosforo).«Se osserviamo il nostro mare a due miglia dalla costa, nelle aree più a Nord abbiamo anche 10 metri di trasparenza: se il mare fosse eutrofico, l'abnorme sviluppo di microalghe limiterebbe molto la visione", commenta Parati. Barriera corallina Il Veneto ha anche la sua "barriera corallina" che si eleva dal fondale sabbioso a una profondità di circa 20 metri. I pescatori hanno chiamato queste formazioni rocciose con nome dialettale "tegnùe", perché trattengono le loro reti. Paradiso dei sub per la grande varietà delle forme di vita che le popolano, tutelate dal 2002 come "Zona di Tutela Biologica" dove è vietata la pesca, l'origine di questo habitat è stato recentemente oggetto di uno studio dell'Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Ismar-Cnr) a cui ha partecipato anche l'Università di Padova che ne ha rivoluzionato la teoria sull'origine: le "tegnùe" si sarebbero sviluppate lungo le strutture morfologiche allungate e sinuose attribuite ad antichi canali fluviali, presenti nella pianura, durante l'ultimo periodo glaciale, circa 20 mila anni fa. Gli organismi alieni - È a rischio questo delicato ecosistema per l'interazione umana? Anni fa si parlava dell'inquinamento come causa del fenomeno delle mucillagini che provocò gravi danni per il turismo e la pesca tra la metà degli anni '80 e i primi anni '90. Studi successivi hanno chiarito che la mucillagine è un fenomeno naturale, una sostanza di origine vegetale che in presenza di particolari situazioni ambientali dà luogo ad aggregati vischiosi o gelatinosi. Ma non ha nulla ha a che fare con l'inquinamento. La preoccupazione per interazione umana sull'ecosistema marino dell'Alto Adriatico è legata invece alla globalizzazione. «Il giro sempre più massivo», spiega Parati, «di grandi navi che caricano le acque di zavorra da un capo del globo e le scaricano con i loro microorganismi in altre parti del mondo crea dei grossi problemi. Alcuni organismi che vengono importati in questo modo, che noi chiamiamo "specie aliene" possono creare dei danni irreversibili, perché quando una specie viene introdotta poi diventa molto difficilmente controllabile». Nell'Alto Adriatico, ad esempio, desta preoccupazione la presenza di un organismo noto col nome scientifico di Mnemiopsis leidyi, simile ad una piccola medusa. Originaria dell'Atlantico, introdotta nel Mar Nero tramite acque di zavorra delle petroliere negli anni '80, dove grazie all'abbondanza di cibo e alla scarsità di competitori e predatori ha iniziato a produrre grandi aggregazioni che, alimentandosi soprattutto di uova e larve di pesce, nel giro di pochi anni ha decimato gli stock ittici. È arrivata anche nell'Alto Adriatico e bisogna tenerla sotto controllo, sapendo che però ben poco si può fare per l'eradicazione di specie più competitive di quelle autoctone una volta che si sono insediate. Estrazioni di metano - Altra preoccupazione desta la ripresa delle estrazioni di metano. Nell'Alto Adriatico la pratica iniziata negli anni Cinquanta, subì una battuta di arresto dopo un incidente nel 1994 ed è ferma dal 2008 quando il Governo decise affidare ad una commissione tecnica l'analisi di una possibile connessione tra estrazione di gas in mare e subsidenza a Venezia. Grande preoccupazione ha però suscitato nel Polesine la notizia che la società Po Valley Operation ha avviato una procedura di valutazione di impatto ambientale per estrarre gas metano da un giacimento a 12,58 miglia dalle coste polesane (che quindi non soggiace alle legge che vieta le estrazioni entro le 12 miglia). Secondo i tecnici, l'estrazione non sarà impattante per le coste venete e la subsidenza sarà circoscritta alle immediate vicinanze del giacimento. Ma le popolazioni locali non sono per nulla tranquille e il caso è stato affrontato anche dal Consiglio regionale veneto.

SILVIA GIRALUCCI

 

 

 

 

 

CON - mensile COOP - LUNEDI', 19 giugno 2017

 

 

Siccità, causa di fame e migrazioni di massa - Oggi alle isole Tuvalu, domani a chi tocca ?
La grave siccità che ha colpito la Siria prima del 2011 è stata tra le cause della guerra civile che tuttora divampa in medio oriente: la pessima politica agricola del governo siriano aveva reso estremamente vulnerabile la produzione agroalimentare e l’anomala carenza idrica ha costretto milioni di piccoli produttori a una migrazione interna verso le città, sfociata poi negli scontri di popolo e nella crisi bellica. I cambiamenti climatici non potranno che peggiorare situazioni di questo genere: la siccità sta ora infierendo nel Corno d’Africa e nello Yemen, esacerbando tensioni di regioni già instabili.
C’è poi il più lento ma non per questo meno importante problema dell’aumento del livello marino: ghiacciai in fusione e dilatazione termica delle acque stanno già facendo salire gli oceani di circa tre millimetri all’anno e attualmente gli atolli corallini del Pacifico come le isole Carteret, Tuvalu e Salomon vedono già i primi provvedimenti di evacuazione delle comunità più minacciate dalle acque. Per ora si tratta di poche migliaia di persone, ma come faremo quando saranno scacciati i milioni di abitanti del Bangladesh, del delta del Nilo, della Florida? Per non parlare di Venezia e Rovigo! Scenari che non sono fantascienza ma rientrano nelle proiezioni dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) per questo secolo, al termine del quale, a seconda delle politiche di riduzione o meno delle emissioni, i mari potranno aumentare tra mezzo metro e un metro. E poi il colpo di grazia lo danno pure uragani e alluvioni, con le loro distruzioni dei raccolti e degli abitati, dalle quali spesso è difficile risollevarsi e si preferisce dunque fuggire.
Nonostante queste evidenze, lo status di profugo climatico o ambientale non è ancora riconosciuto, anche se il World Economic Forum colloca i cambiamenti climatici e le migrazioni di massa ai primi posti tra i rischi globali nel suo Global Risk Report 2016. Da qui all’esplosione dei conflitti tra diverse regioni del mondo il passo è purtroppo breve come dimostra l’insofferenza per il dramma dei migranti nel Mediterraneo, o tra Messico e Usa: e si tratta di numeri per ora molto più piccoli di quelli attesi in futuro!
Il documentario americano “The age of consequences” di Jared P. Scott dipinge proprio questa crescente inquietudine ormai entrata prepotentemente nelle discussioni di strategia militare al Pentagono. La mitigazione dei cambiamenti climatici diviene dunque sempre più urgente, al fine di contenere l’aumento della temperatura atmosferica e del livello dei mari entro livelli socialmente accettabili, ma è chiaro che ciò non basterà, e lo sforzo di adattamento alle nuove condizioni, nonché i meccanismi di aiuto e solidarietà internazionale, saranno fondamentali per prevenire gli attriti in un mondo che a metà secolo sarà popolato da oltre nove miliardi di individui. Lo scrittore Bruno Arpaia ha immaginato un’Italia desertificata tra non molti decenni, dove una miserabile colonna di profughi climatici da Napoli cerca di raggiungere la salvifica frescura della Scandinavia: è il romanzo “Qualcosa là fuori”, lo si etichetta come “climate fiction” ma è più realistico di quanto si pensi.
Luca Mercalli

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 19 giugno 2017

 

 

Le dieci tartarughe ritornate in libertà
POLA - Un folto pubblico composto anche da villeggianti è accorso sulla spiaggia sotto il popolare faro di Verudella per assistere alla rimessa in mare di una decina di tartarughe dopo aver trascorso un lungo periodo di cura e di convalescenza presso l'apposito Centro per la cura e la riabilitazione che sorge nei pressi della vicina fortezza austroungarica.

Dopo una breve introduzione sull'attività del centro stesso fondato nel 2006, le tartarughe sono state presentate e rimesse in mare una ad una. Quasi tutte erano state soccorse in diversi punti dell'Adriatico causa ipotermia o assideramento in seguito al forte freddo dell'inverno scorso.Va ricordato che questi animali tutelati dalla legge, non sono in grado di emigrare al sud in cerca di mari più caldi per cui spesso vengono stroncati dal freddo e trascinati dalle onde sulle spiagge dove fanno una brutta fine. Shiggy-Lola (lunghezza della corazza 26 cm e peso di 2,5 kg) era stata trovata nel dicembre del 2016 con la pinna posteriore danneggiata nel mare vicino a Lussinpiccolo. Marko-Beni con la corazza di 58,5 cm e peso di 22,2 kg era stato rinvenuto nello zaratino nel gennaio scorso e subito portato a Pola. Lo stesso mese è stato soccorso Miro con la corazza di 64 cm e peso di 28,8 kg, anche lui è stato trovato presso Zara in condizioni di semiassideramento. Patricija accolta nel centro lo stesso giorno di Miro, presenta la corazza di 65 cm e 33 kg di peso. Nelle stesse condizioni e nello stesso mare era stata trovata Brankica, giunta anche lei a Pola lo scorso gennaio. La sua corazza è lunga 68 centimetri per il peso di 38 chilogrammi. La tartaruga più grande è Giovanni con la corazza di ben 73,5 cm e il peso di 48 chilogrammi. Era stato trovato in preda al forte freddo verso la fine di gennaio vicino a Sebenico cosi come Raslinka della corazza di 62,8 cm e peso di 29 chilogrammi. La tartaruga più piccola è Luce arrivata a Pola alla fine di febbraio. La sua corazza è di soli 26,5 di lunghezza e il peso di poco più di 2 kg. Era stata trovata nel mare di Novi Vinodolski con diverse contusioni superficiali segno che era stata per lungo tempo in balia delle onde per ipotermia.Tina (corazza di 60,5 cm e peso di 27 kg) era stata soccorsa l' aprile scorso a Lesina per aver ingoiato della plastica. L'ultima arrivata nel centro è Issa (corazza di 72 cm e peso di 43 kg ),soccorsa nel maggio scorso vicino a Lissa con i sintomi di assideramento. Nel centro per la cura e la riabilitazione delle tartarughe di Verudella esiste la cosiddetta stanza delle piscine dove vengono curate, e subito accanto troviamo l'aula didattica del centro dove sono custodite le fotografie la relativa documentazione di tutte le tartarughe finora salvate, da 10 a 15 all'anno. Le tartarughe che finiscono in cura a parte l'ipotermia, presentano ferite dovute soprattutto all' urto con le imbarcazioni o perché finiscono impigliate nelle reti dei pescatori che le raccolgono facendo quindi intervenire gli attivisti di Verudella. Qualche esemplare viene trovato sofferente di disturbi naturali, come quelli gastrointestinali.

(p.r.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 18 giugno 2017

 

 

Il vescovo visita la Ferriera «Basta con i toni esasperati» - Crepaldi ha incontrato Arvedi, sindacati, lavoratori e poi in parrocchia i comitati
«Serve tornare a un dialogo sereno fra le parti. I problemi possono essere risolti»
Ha invocato il ritorno a un dialogo «sereno, fecondo e pacato, al di fuori degli interessi politici», l'arcivescovo Giampaolo Crepaldi, ieri in Ferriera. Perché, ne è certo, «il clima attorno a questa straordinaria realtà produttiva è esasperato e non trovo le ragioni di questi toni». È stata una lunga mattinata quella del presule in fabbrica. A tratti leggera, con il sorriso, come quando ha scherzosamente scambiato il suo zucchetto con l'elmetto di un operaio. Il vescovo sta compiendo una visita pastorale nella parrocchia di Servola e non ha voluto tralasciare lo stabilimento di Siderurgica Triestina. Tanto più in questo periodo in cui lo scontro tra proprietà, il Comune e il fronte delle associazioni anti-Ferriera, non dà segnali di distensione. Crepaldi si è intrattenuto con il cavalier Giovanni Arvedi, ha parlato con i sindacati, ha stretto mani, è salito sugli impianti e, subito dopo in parrocchia, ha incontrato pure i comitati. Ma prima ha impartito la benedizione. Lo ha fatto nell'enorme capannone del laminatoio in una veloce cerimonia davanti a un gruppo di dipendenti con le loro famiglie e lo stesso Arvedi. Parole non di circostanza, è apparso subito evidente, né le sue né quelle dei presenti. «La Chiesa triestina non è fuori dai cancelli, la sentiamo vicina», ha detto a nome dei colleghi il responsabile della produzione del laminatoio, Manuel Antonaz, offrendo in dono al vescovo un crocefisso in ghisa. «Lo metterò sul mio tavolo - ha risposto Crepaldi - e state sicuri che sì, la Chiesa è dentro a questi cancelli. Io ogni giorno vi ricordo nella mia preghiera. Molti problemi - ha osservato ancora - possono essere risolti nel rispetto della salute e del lavoro. Io mi impegno fortemente su questa strada». Il presule, accompagnato dal parroco di Servola, don Carlo Gamberoni, e da don Andrea Mosca, è stato accolto nello stabilimento da Arvedi. «La dignità dell'uomo, non come essere antropomorfo, ma come persona - ha suggerito il numero uno del gruppo durante il colloquio - sta prima di tutto nel lavoro». Crepaldi ha offerto all'imprenditore la propria intercessione «affinché si smorzino i toni accesi e il clima fra gli interlocutori ritorni sereno», rende noto un comunicato di Siderurgica Triestina. Di qui il messaggio, rivolto alla popolazione e alla classe politica. «Il vescovo auspica un clima di dialogo sereno, fecondo e pacato - ha ripetuto Crepaldi - perché è in questa maniera che si può combinare insieme due esigenze che oggi sembrano in conflitto: la salvaguardia del diritto al lavoro e la salvaguardia della salute. Arvedi lo crede fermamente. Certo, miracoli neanche lui li fa e neanche io. Però piano piano si può costruire qualcosa di buono». «Vedo - ha rilevato - soprattutto dal fronte sindacale una maturità che mi ha molto colpito. Purtroppo il clima è esasperato, questo è il punto. Non so chi abbia interesse a esasperarlo. Però credo, lo dico come vescovo e come Chiesa, che la strada del dialogo dinnanzi a problemi seri e oggettivi sia l'unica». Concetti sottolineati, poco prima, proprio dinnanzi ai sindacati. «Dietro di voi ci sono famiglie, figli, c'è la vita. I processi avviati in Ferriera sono importanti, c'è stato un cambiamento. La Ferriera ha la mia fiducia». I rappresentanti di Uilm, Fiom-Cgil, Failms, Fim-Cisl, hanno espresso soddisfazione per il ruolo che la Diocesi intende giocare nel ricostruire il ponte del dialogo tra le diverse parti. «Il vescovo può sensibilizzare la città sul diritto al lavoro e alla salute - ha suggerito Franco Palman (Uilm) -, può far capire alla popolazione che le due cose sono sulla stessa strada».

Gianpaolo Sarti

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 17 giugno 2017

 

 

Rigassificatore - «Il Fvg si batterà contro l'ok al metanodotto»
Il no dell'amministrazione Fvg al rigassificatore di Zaule non è in discussione, così come al metanodotto. Lo ribadisce Debora Serracchiani in merito al progetto Trieste-Grado-Villesse, per il quale il Ministero dell'ambiente ha stabilito con un decreto la compatibilità ambientale. Decreto, fa sapere la presidente della Regione, che verrà impugnato. Le motivazioni (verranno portate in Conferenza dei servizi) sono anzitutto tecniche: «Il porto di Trieste sta vivendo una fase di sviluppo e grazie alla presenza della Siot è anche il maggior scalo europeo per gli idrocarburi, con l'ovvia presenza di numerose petroliere. Le navi gasiere sarebbero quindi ostative al traffico navale all'interno del Golfo, dove sono peraltro già presenti importanti insediamenti industriali». Ma Serracchiani sottolinea anche l'urgenza di «ascoltare la voce del territorio: i cittadini sono contrari e anche Slovenia e Croazia si sono già espresse in questo senso».

(m.b.)

 

 

Piste ciclabili invase dagli ostacoli - Cantieri, siepi e auto parcheggiate - mobilità: il caso
Mancata manutenzione, ostacoli o interruzioni, automobilisti indisciplinati e progetti mai decollati. Mentre il Comune di Trieste dichiara guerra alle bici in sosta, con multe e rimozioni per i mezzi abbandonati o ancorati ai pali di zone pedonali, molti ciclisti chiedono a sindaco e giunta di pensare a rendere sicuri e fruibili i percorsi, prima ancora delle sanzioni. Le piste ciclabili della città presentano diverse criticità, portate all'attenzione da chi abitualmente si muove con la propria due ruote, confermate da Fiab Trieste Ulisse, associazione punto di riferimento per tanti appassionati. La più problematica è la ciclabile di Barcola, compromessa anche da un cantiere dimenticato e dal verde incolto. C'è poi quella di campo Marzio, quotidianamente bloccata da mezzi in sosta vietata, stessa cosa per il breve tratto ciclabile nella zona del Sincrotrone. Manca un collegamento tra Rive e Barcola, auspicato da molti in Porto vecchio, così come quello tra viale XX settembre e via Imbriani e tra piazza Perugino e piazza Goldoni, questi ultimi due annunciati ma ancora fermi. Partendo da Barcola verso Miramare, tratto particolarmente amato d'estate, ci si trova subito davanti a un cantiere, all'altezza del Cedas, che blocca il passaggio, fermo almeno da un anno per un muro pericolante. Superate le transenne, da lì in poi le siepi in alcuni punti coprono interamente la corsia delle bici, mentre più avanti, in corrispondenza dei locali con tavoli, il ciclista deve tornare sulla carreggiata delle auto. Nei weekend poi non si contano auto e scooter parcheggiati in sosta selvaggia lungo tutto l'asse. «Dalla stazione dei treni al bivio sono sei chilometri, in realtà ci sono solo tratti non lineari e tutti monodirezionali - spiega Federico Zadnich, coordinatore regionale di Fiab -, bisognerebbe dare una continuità alla pista, che attualmente si riduce a una serie di tronconi, servirebbe poi togliere i parcheggi davanti alla Marinella, dove i ciclisti devono deviare perché il locale giustamente ha il servizio dei tavoli esterni, e ancora manca un'attenta manutenzione». Spaventa la Fiab poi la nuova rotonda prevista all'ingresso nord del Porto vecchio. «Sono soluzioni che riducono l'incidentalità per le auto ma sono molto pericolose per le bici. Il Comune ci ha detto che non intende realizzare l'anello ciclabile». Anche la pista di Campo Marzio, pur in condizioni migliori, presenta alcune problematiche. «Il percorso, sebbene costruito rispettando le norme tecniche, ha punti critici - prosegue Zadnich -: manca il passaggio dietro la rampa autostradale di fronte la piscina Bianchi e pure quella di connessione alla ciclabile Cottur. Ci sono poi gli automobilisti che ogni giorno parcheggiano l'auto proprio sulla ciclabile, soprattutto nel piazzale davanti alla Bianchi, una maleducazione che riscontriamo davvero quotidianamente, qui si dovrebbero sanzionare auto e scooter». Sosta selvaggia anche sul tratto di ciclabile in prossimità del Sincrotrone, scambiato soprattutto nei weekend come parcheggio per auto. Un altro punto dolente per i ciclisti sono le Rive, un marciapiede ciclopedonale che secondo la Fiab è la peggior soluzione tecnica per chi si muove sia camminando sia pedalando. Se la passa meglio la ciclabile Cottur, ma secondo molti manca una pulizia attenta e una valorizzazione della struttura di inizio percorso, al momento chiusa e semi abbandonata. «Attendiamo poi due novità promesse dal sindaco Roberto Dipiazza in campagna elettorale - conclude Zadnich -: il collegamento tra viale XX settembre e via Imbriani, molto importante per i tanti che transitano proprio sul viale, e l'utilizzo dell'asse dei bus anche per le bici tra piazza Perugino e piazza Goldoni. Per adesso non si muove nulla, siamo fiduciosi che la giunta attuale possa ascoltare le nostre richieste».

Micol Brusaferro

 

Il progetto che guarda a Muggia - L'idea
Sabato 24 giugno la Fiab Trieste Ulisse presenta la proposta di un nuovo collegamento ciclabile Trieste-Muggia con partenza da piazza Foraggi. L' idea sarà illustrata alle 10.30 al Caffè Tommaseo in piazza Nicolò Tommaseo da Luca Mastropasqua, presidente Fiab Trieste Ulisse, che parlerà delle opportunità e dell'importanza della realizzazione di un nuovo percorso ciclabile, e da Federico Zadnich (foto), coordinatore regionale Fiab Fvg, che esporrà le soluzioni tecniche dell'itinerario. L'incontro si sposterà poi alle 12.15 a Muggia, sotto il portico del municipio, dove ai due relatori si aggiungerà anche Jacopo Rothenaisler, responsabile Fiab Muggia Ulisse. Nei due appuntamenti, aperti al pubblico, verranno spiegati sia i dettagli del progetto sia le ricadute positive che l'infrastruttura potrebbe portare alla mobilità e all'economia. In riferimento a Muggia, la sezione locale di Fiab Ulisse recentemente ha espresso contrarietà all'annunciata ordinanza di chiusura del centro storico alle biciclette, ricordando che la cittadina nel 2016 ha visto passare più di 11mila cicloturisti.

(mi.b.)

 

«Ragioniamo sul Porto vecchio» - L'assessore Polli: «Interventi in programma». Marchigiani attacca la giunta
La Fiab ricorda le politiche positive avviate durante la passata amministrazione, in particolare la pista di campo Marzio, la corsia ciclabile in via Mazzini e la creazione di un centinaio di stalli per i mezzi. Attende invece le promesse fatte dalla giunta Dipiazza in tema di ciclabili. Sull'argomento botta e risposta tra l'ex assessore alla Pianificazione Urbana Elena Marchigiani e l'assessore all'Urbanistica in carica Luisa Polli. «Non capisco - spiega Marchigiani - l'atteggiamento ideologico attuale, e non vedo grande attenzione nei confronti della mobilità sostenibile. Noi siamo stati mossi dalla consapevolezza che c'era una forte esigenza sul territorio. Muoversi in bici fa bene alla salute ma è anche una soluzione utile a fronte dei livelli di inquinamento, per i quali incidono sì molti fattori, e sicuramente lo smog è uno di questi, oltre al fatto che diminuisce il numero di persone che utilizza l'auto. La nostra attenzione ai ciclisti è passata anche attraverso il piano del traffico e un progetto su via Giulia ormai dimenticato. Mi auguro che ci sia una maggior sensibilità, che si guardi al reale benessere dei cittadini e di Trieste e che si continui un percorso virtuoso iniziato». Sui problemi segnalati da Fiab e su alcuni progetti previsti in futuro risponde l'assessore Polli. «Per esempio - dice - per nuovi percorsi richiesti in Porto vecchio è un impegno già inserito nel programma elettorale, andrà discusso con i vari partner responsabili della zona, non dimentichiamo che in parte è ancora area portuale, con camion che transitano. Ricordo poi che a settembre si terrà un convegno, che arriva dopo un anno di lavoro, proprio sulla mobilità sostenibile, per avviare un dialogo con tutti i soggetti coinvolti nel trasporto cittadino e non solo, per dare il via a quel progetto di smart city dal quale potranno partire interventi anche sul fronte delle ciclabili. Un percorso che si è aperto con Portis e che è appena all'inizio». L'assessore si riferisce al finanziamento di oltre 2 milioni di euro ottenuto dal Comune di Trieste nell'ambito di Horizon 2020, che l'Unione europea ha creato per promuovere attività di ricerca e innovazione volte a migliorare il potenziale economico e industriale dei Paesi. Il Comune aveva partecipato in qualità di partner, all'interno di un consorzio che aveva presentato la proposta denominata Portis (Port-cities Integrating Sustainability), per una migliore integrazione tra ambiente urbano e porto per una crescita più coordinata e sostenibile. «Ci sono quindi molte cose ancora da fare - prosegue Polli - senza dimenticare che i costi per realizzare le piste ciclabili sono elevati e va creato il giusto clima di collaborazione, valutando studi compatibili con le caratteristiche della nostra città. A breve incontreremo anche la Fiab, sarà poi necessario creare le giuste sinergie con altre associazioni e stiamo valutando anche nuovi percorsi ciclabili turistici sul Carso».

(mi.b.)

 

LE STORIE - «Tutti i giorni  pedalo fra le pecche  andando a lavorare»
Stefano Cozzini utilizza ogni giorno la bicicletta per andare al lavoro: percorso sulle Rive e poi prosegue verso Barcola fino a Miramare, per recarsi negli uffici degli istituti scientifici che hanno sede a Grignano. Un tragitto caratterizzato da varie problematiche, con le quali si confronta da tempo. «Muovermi con la bici è un'abitudine quotidiana da quando mi sono trasferito a Trieste nel 1999 - racconta -, credo sia comodo e semplice, tutto l'anno». Come risponde a chi dice che "Trieste non è per bici"? «Si sente spesso, per la conformazione di alcune vie, ma non credo sia così, è una città sicuramente adatta anche alla bicicletta, lo dimostrano i tanti che la usano. In più molti hanno adottato la pedalata assistita, un aiuto che negli ultimi anni è stato scelto da un numero sempre crescente di persone, quindi affrontare anche le strade più impervie non costituisce un problema. Personalmente mi capita di raggiungere la Sissa in via Bonomea, con la salita impegnativa, senza grande difficoltà e così è anche per altri». Come migliorare, dunque, la vita di chi pedala? «Certo non chiedo una ciclabile per quella via ripida - puntualizza - ma almeno per Barcola, molto frequentata e con tante pecche, dovrebbe esserci più attenzione. Al momento è una ciclabile monodirezionale, solo in uscita dalla città, in più non è a norma in vari punti ed è piena di interruzioni, per rientrare devo per forza utilizzare la strada, affiancandomi agli altri veicoli. Sarebbe opportuno creare anche il senso inverso, di rientro verso il centro, sfruttando magari il Porto vecchio, valorizzando in tal senso un'area molto amata da chi va in bici». E Stefano sottolinea anche la percezione di una crescente passione per il mezzo ecologico in città. «In generale ho notato che negli ultimi sei, sette anni, a Trieste l'uso della bicicletta è aumentato tanto, c'è un'esigenza di ciclabilità sempre più sentita e di pari passo è cresciuta anche la domanda di stalli, che sono davvero pochi. Aggiungo - conclude Cozzini - che dovrebbe migliorare anche l'educazione di ciclisti e automobilisti, in egual modo, per rendere Trieste, in particolare il centro, più fruibile per entrambe le categorie, nel rispetto reciproco».

(mi.b.)

 

«Non mi sento sicura  se giro in centro città  - Poche corsie ad hoc»
«Vado in bici soprattutto per gite o per andare al mare d'estate, mi piacerebbe muovermi anche in città, ma con i percorsi attuali non mi fido, è pericoloso». Ilaria Ericani è una sportiva che nel tempo libero sale in sella e si gode lunghi giri in relax, ma che vorrebbe poter scegliere la bici sempre, anche negli spostamenti di ogni giorno. «Preferisco optare per la ciclabile che parte da San Giacomo, perché protetta e lontana dal traffico, così mi sento sicura. D'estate mi spingo fino a Barcola, per andare al mare, ma utilizzando esclusivamente la pista con partenza dalla stazione dei treni, che andrebbe sicuramente migliorata. Le poche volte che vado in centro spesso passo sul tratto ciclabile di via Trento, anche se breve, purtroppo molte persone non sanno che possono transitarci anche le biciclette e ti ritrovi in mezzo a chi cammina, oltre ad auto e furgoni in sosta sul marciapiede, tutti fattori che creano inevitabili disagi. Ultimamente - prosegue - c'è anche un cantiere, che non aiuta, perché costringe i pedoni a spostarsi proprio dove passiamo noi. Insomma non è il massimo». Ma il centro cittadino non è comunque una soluzione che sceglie spesso. «Ammetto che ho paura, bisogna fare continua attenzione alle automobili, finisce che non ti godi la pedalata, ma sei concentrata sui pericoli che corri e a quel punto meglio rinunciare. Devo dire che anche i pedoni molte volte non prestano attenzione alle bici, anche in questo caso si rischia. Ci sono poi alcune carenze evidenti, d'estate sono in molti ad andare a Barcola e mancano i parcheggi, io mi dirigo in particolare a Miramare e lì non ci sono proprio stalli». Anche Ilaria Ericani, proprio come Stefano Cozzini (si veda l'articolo qui a fianco), ha notato a Trieste un movimento crescente di amanti della biciclette negli ultimi anni, un trend in cui sono comprese molte famiglie. «Vedo tanti genitori, anche con bambini piccoli, che finiscono per impegnare la strada visto che mancano tracciati dedicati. Credo che le ciclabili a Trieste siano poche e alcune da implementare, sono convinta che se ci fossero percorsi cittadini più completi in tanti, io per prima - conclude -, si sposterebbero in bicicletta abitualmente».

(mi.b.)

 

 

La Ferriera ribatte ad Arpa «Nessuno sforamento» - Siderurgica Triestina: «Valori delle polveri diminuiti rispetto ai dati di maggio»
Oggi il vescovo Crepaldi visiterà lo stabilimento incontrando Arvedi e sindacati
L'altolà dell'Arpa e del ministero dell'Ambiente sulle polveri sottili e sul rumore della Ferriera non resta inascoltato. È Siderurgica Triestina, sotto la lente di ingrandimento del fronte istituzionale, a reagire. Non ci sta, la Ferriera, a continuare a passare da incorreggibile "babau", si legge in un comunicato della società. «Non si è verificato alcuno sforamento». L'impresa, dunque, ribalta la presa di posizione della Regione, che nei giorni scorsi aveva comunicato quanto chiesto dall'Arpa: una riduzione della produzione, in modo da contenere le emissioni. «I dati rilevati dalla rete dei deposimetri installati in prossimità dello stabilimento indicano che nell'ultimo mese si è verificato un deposito di polveri superiore a quello dei mesi precedenti nell'area prospiciente l'altoforno», ammoniva l'Agenzia ambientale. Era stata la stessa Arpa, ancora, a segnalare l'insufficienza degli interventi di Siderurgica Triestina per la mitigazione del rumore. Di qui il decreto del ministero dell'Ambiente per l'avvio di una procedura di revisione dell'Aia con l'obiettivo di migliorare l'impatto acustico. La società non ci sta. Innanzitutto ricorda che dall'arrivo del cavalier Arvedi ha investito 137 milioni di euro per le bonifiche dei terreni e gli interventi impiantistici, oltre ad aver eliminato «il mostruoso cumulo storico di rifiuti». L'azienda assicura inoltre che «è in atto uno stretto e costante monitoraggio interno». E porta i numeri: «Già nella prima settimana di giugno - avverte la nota - il valore del deposimetro "Palazzina Qualità" ha evidenziato una diminuzione di circa il 20% rispetto al dato di maggio. La completa disponibilità della Siderurgica Triestina nella prosecuzione dell'impegno ambientale - viene puntualizzato - si esplicita sia nel comunicare mensilmente in autocontrollo i dati di monitoraggio interno nel rispetto totale dei severi limiti imposti, in particolare secondo il deposimetro che è posizionato nello stesso stabilimento, sia nel costante rispetto dei valori di inquinanti entro i limiti previsti dalla legge». Risultati, prosegue il comunicato, «che saranno garantiti anche in futuro». L'Arpa, rincara la società, «non ha imposto alcuna frenata, poiché non si è verificato nessuno sforamento, piuttosto ha reso pubblico quanto già noto all'azienda, indicando un approccio di verifica tecnica alla marcia dell'altoforno». Ma anche l'Aia a cui si fa riferimento, «non è quella della Siderurgica Triestina - ribatte l'impresa - bensì quella Elettra. Hanno preso tutti un granchio: l'Aia di cui si parla - precisa la nota - non è quella dello stabilimento di competenza regionale, bensì quella della centrale elettrica, ereditata dalla precedente proprietà e su cui era già stato presentato un piano di valutazione acustica che la commissione ministeriale aveva approvato in marzo. È accaduto che il decreto del ministero abbia recepito la richiesta del Comune di fare ulteriori due misure in punti dei quali l'azienda aveva già tenuto conto in precedenza». La Ferriera ritorna al centro dell'attenzione proprio oggi: il vescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi si recherà nella fabbrica nell'ambito di una visita pastorale alla parrocchia di Servola. L'arcivescovo incontrerà anche Giovanni Arvedi e i rappresentanti sindacali. Alla fine della mattinata, presso il laminatoio, il presule si raccoglierà in preghiera con i lavoratori.

Gianpaolo Sarti

 

Circolo Miani - Una manifestazione per chiedere a Dipiazza di dimettersi
«Mi dispiace dire a un mio personale amico, qual è il sindaco Roberto Dipiazza, di andarsene, ma nessuno lo ha costretto a promettere il 19 giugno del 2016 che in 100 giorni avrebbe chiuso l'area a caldo». E così Maurizio Fogar con il suo Circolo Miani, di cui è a capo dagli anni '90, ha organizzato di fronte al Municipio la manifestazione "Ferriera 365 giorni Dipiazza dimettiti" per lunedì - il 19 giugno - alle 18, esattamente un anno dopo la promessa firmata dal primo cittadino durante la campagna elettorale.«In cento giorni era impossibile chiuderla - continua Fogar -, ma se volesse davvero farlo, basterebbero 21 giorni : come sindaco, riveste anche l'incarico di autorità sanitaria locale, che gli permette di emanare ordinanze non appellabili. Così ha fatto il sindaco di Piombino per la Lucchini. Tutte le mosse di Dipiazza durante questi 365 giorni sono state sbagliate, a partire dalla richiesta di revisione dell'Aia inviata alla Regione anzichè all'ufficio che l'ha rilasciata. Fare speculazione politica sulla pelle dei cittadini - conclude - è orribile».

(b.m.)

 

 

Si riaccende a Muggia la guerra delle nutrie - I grillini contestano la legge tesa a eliminarle e le rilanciano come attrazione turistica di rio Ospo. Decolle: «Dov’erano finora?»

Gli animalisti e l’assessore - Punti di vista diversi tra le associazioni e la delegata all’Ambiente Litteri ma è concorde l’auspicio che si utilizzino metodi non cruenti

MUGGIA «Il turismo didattico delle nutrie può essere un punto di forza per creare indotto a Muggia: mi chiedo perché l’amministrazione comunale rimanga in silenzio sulla decisione di eliminare questi animali, anche sul rio Ospo». Emanuele Romano, capogruppo del M5S, alza la voce sulla delicata tematica nutrie. I roditori sono finiti nel mirino della Regione che ha stilato una proposta di legge atta ad eradicare e contenere questa specie. «La proposta di legge impone su tutta la regione la stessa misura senza distinguere le zone dove la nutria fa danni da quelle dove potrebbe convivere in armonia, se non addirittura rappresentare una risorsa come prospettato a Muggia dallo stesso assessore Stefano Decolle», stigmatizza Romano. Per l’esponente grillino le nutrie del rio Ospo potrebbero essere inserite nell’ampio contesto del cosiddetto slow tourism, il turismo sostenibile, su cui Muggia ha deciso di puntare. «Mi chiedo dove sia finita la condivisibile idea del Nutria Day muggesano, e perché non vi sia una presa di posizione contro la proposta di legge regionale», aggiunge Romano. Pronta la replica di Decolle: «Quella sulle nutrie era una boutade, una provocazione. Mi chiedo invece perché Romano, all’epoca, non abbia espresso il suo interessamento per la proposta». Sulla questione nutrie sono intervenute anche l’Associazione MujaVeg, l’Associazione culturale Naica, la Leal Lega Antivivisezionista e la Lav: «Bocciamo senza esitazione la proposta di legge sull’eradicazione delle nutrie, da diversi punti di vista. Eticamente, siamo contrari ad uccidere animali la cui unica colpa è esser nati nel posto sbagliato per colpa di alcuni allevatori che, chiusi gli allevamenti per pellicce, hanno abbandonato al loro destino centinaia di nutrie. Riteniamo inoltre che il contenimento della nutria vada gestito con metodi non letali, come la sterilizzazione». Secondo l’assessore all’Ambiente Laura Litteri «il proliferare incontrollato delle nutrie costituisce un problema. Hanno un tasso di riproduzione piuttosto elevato e si espandono rapidamente e sul nostro territorio non hanno nemici naturali che ne controllino la crescita. Sono sicuramente dannose per l’agricoltura e per gli argini dei fiumi, in quanto scavano grosse gallerie, ma anche per l’avifauna in quanto distruggono i nidi e predano le uova». Ricordando come da un punto di vista strettamente faunistico la legge 116 del 2014 ha escluso le nutrie dalla fauna selvatica e le ha classificate alla stregua di talpe, ratti, topi, Litteri stigmatizza il fatto che «per lo squilibrio creatosi all’interno del nostro ambiente naturale sia responsabile l’essere umano che ha importato questi animali, ma è necessario porre un freno a questa crescita incontrollata, anche per non danneggiare altre specie autoctone». E in attesa del piano triennale che la Regione dovrà approvare entro 90 giorni dall’entrata in vigore delle “Misure per il contenimento finalizzato all’eradicazione delle nutrie” , piano nel quale saranno indicate le modalità di coinvolgimento dei Comuni, Litteri auspica, in accordo con gli ambientalisti, «che gli interventi siano prevalentemente di tipo non cruento, come ad esempio la sterilizzazione». Insomma per le nutrie del rio Ospo, diventate vere e proprie superstar quest’anno, con centinaia di visitatori soprattutto nella zona di Rabuiese, si preannunciano tempi davvero difficili.

Riccardo Tosques

 

 

L'Italia a secco ora conta i danni - Piove la metà, laghi e fiumi ai minimi. Stato di emergenza in Toscana. Necessario ridurre gli sprechi
L'Italia ha sete. Una frase ormai ricorrente, utilizzata troppe volte negli ultimi anni, ma che di fatto è una triste realtà. Le riserve idriche del Paese, è proprio il caso di dirlo, sono agli sgoccioli, con conseguenze terribili per l'agricoltura, l'allevamento e anche semplicemente per l'uso domestico. L'approvvigionamento, in alcuni comuni dove la crisi è più acuta, è garantito dalle autobotti o con interventi di emergenza da parte dei gestori del servizio idrico (e siamo solo a giugno). Una vera e propria emergenza frutto dei continui e imprevedibili cambiamenti climatici: qualche giorno fa almeno 150 persone sono morte nelle alluvioni che hanno colpito il Bangladesh. L'aumento vertiginoso della temperatura, con le massime che in Italia sono in continua crescita rispetto alle naturali medie del periodo, è al centro del problema. Ogni anno che passa gli inverni che ci lasciamo alle spalle non sono poi così rigidi come una volta. Si conferma anche in Italia la tendenza al surriscaldamento dopo che il 2015 si era posizionato come l'anno più bollente della storia. Un trend ormai perenne visto che gli anni più caldi dal 1880 a oggi sono stati il 2016, 2014, 2012, 2007, 2002 e il 2001. Ad allarmare è il livello di laghi e fiumi. Non piove e non nevica a sufficienza, laghi, fiumi e invasi artificiali sono ai minimi. Ecco, quindi, lo stato di emergenza nazionale. Perché di questo si tratta: l'Emilia-Romagna ha nei giorni scorsi avviato l'iter; mentre la Toscana, dopo gli ultimi rilevamenti dell'Autorità Idrica, proprio in queste ore ha dichiarato lo stato di emergenza idrica e idropotabile. In alcune aree d'Italia, infatti, la situazione è drammatica. In Emilia-Romagna, secondo l'Anbi (Associazione Nazionale dei Consorzi di bonifica), la criticità è evidente, è piovuto fino al 50% meno di quanto non fosse atteso, e il deficit idrico, a seconda delle zone, si attesta tra il 20% e il 40%. Addirittura a Piacenza, essendo ai minimi le dighe di Mignano e Molato (rispettivamente al 29% e 18% della loro capacità), le istituzioni locali hanno sollecitato gli agricoltori a rivedere i loro programmi di semina e trapianti, compensando alcune zone del comprensorio che altrimenti potrebbero restare a secco. Parlando poi della Toscana, la primavera che si avvia a conclusione è la più secca della storia da 56 anni a questa parte e, secondo l'Agenzia meteorologica regionale, è piovuto quasi il 20% in meno rispetto alla media stagionale. Desta evidente apprensione il Veneto, in quello che storicamente è uno degli acquiferi più ricchi d'Europa, dall'inizio dell'anno non è piovuto praticamente mai. A marzo, sempre stando all'Anbi, è piovuto il 66% in meno rispetto alla media, Adige e Piave in alcuni tratti hanno una portata ridotta anche del 60%. Questa situazione sta portando gravi danni alle colture di grano e orzo, che non possono beneficiare neppure dell'apporto idrico della neve dal momento che di nevicate, quest'anno, nemmeno l'ombra. Dunque, in modo molto consistente il caldo sta influendo su coltivazioni e allevamenti, anche se occorre segnalare come la siccità record di questi mesi colpisca anche l'industria idroelettrica. I consumi sono spinti al massimo, le centrali vedono la propria produzione di kilowatt/ora di energia drasticamente frenata e così le fonti rinnovabili sono in calo, per soddisfare la domanda di energia elettrica del Paese si ricorre maggiormente alle centrali termoelettriche e a quelle a metano, con costi sempre più alti. L'emergenza, insomma, è a 360 gradi, e richiama tutti a un intervento compatto, non solo oggi nella Giornata Mondiale contro la Desertificazione e la Siccità delle Nazioni Unite ma sempre, anche se, purtroppo, di fronte a eventi climatici estremi come questi le soluzioni non sono semplici. La strategia mondiale della "resilienza" ci dice che bisogna ridurre le emissioni climalteranti e aumentare la capacità di assorbimento dell'anidride carbonica da parte della biomassa, incentivando l'efficienza energetica e l'uso di fonti rinnovabili. Nel frattempo non possiamo ignorare questa realtà, bensì adattarci ad essa. In materia di siccità significa usare in modo razionale l'acqua, riducendo gli sprechi (in agricoltura, nell'industria e nei consumi umani di tutti i giorni) e continuare ad investire per ridurre le perdite di rete, fare invasi, desalinizzatori e serbatoi. Occorrono investimenti rilevanti, che vanno fatti - all'interno di un piano nazionale per la sicurezza degli approvvigionamenti - prima che il rubinetto sia vuoto.

ALFREDO DE GIROLAMO

 

Il Sud rischia di diventare deserto - L'allarme del Wwf nella Giornata Onu per la lotta alle catastrofi
ROMA -- Desertificazione e siccità, denuncia Agire, rete di 19 Ong impegnate soprattutto in Africa, sono «le nuove catastrofi naturali a bassa intensità e di lunga durata» e «stanno stravolgendo gli assetti sociali e economici di intere regioni del mondo, causando gravissime perdite in vite umane». E l'Italia non è risparmiata dall'assenza di acqua: circa un quinto del territorio è ritenuto a rischio desertificazione e la siccità che sta prosciugando numerosi bacini idrici «rende necessaria e urgente una reazione operativa», denuncia il Wwf in vista della Giornata Mondiale contro la Desertificazione e la siccità indetta dall'Onu per oggi, 17 giugno. È il Sud Italia il più minacciato di desertificazione (Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Sardegna e Sicilia), ricorda il Wwf, ma il fenomeno coinvolge anche Emilia-Romagna, Marche, Umbria e Abruzzo. Secondo gli scenari del cambiamento climatico realizzati in particolare dal Centro Euromediterraneo per i Cambiamenti Climatici, entro fine secolo si stimano incrementi di temperature tra 3 e 6 gradi con riduzione delle precipitazioni, soprattutto nei periodi estivi. Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici predisposto da numerosi specialisti coordinati dal ministero dell'Ambiente e in via di approvazione definitiva non potrà non andare in questa direzione, afferma l'associazione che lancia l'Sos per le Oasi Wwf dove i livelli delle acque delle aree umide stanno calando e ci sono aree già secche. Le falde si sono abbassate in più luoghi. La vegetazione di alcune aree è già in stress idrico avanzato e si stanno comunque monitorando le condizioni per prevenire incendi o danni alla fauna. Agire richiama lo studio «Atlas of the Human Planet 2017: Global Exposure to Natural Hazards» (Atlante del Pianeta umano 2017: esposizione globale ai rischi naturali) del Joint research Centre della Commissione Europea, secondo cui «l'esposizione globale ai rischi di catastrofi naturali è raddoppiato tra il 1975 e il 2015, soprattutto a causa di urbanizzazione, crescita della popolazione e sviluppo socio-economico. Nel mondo una persona su tre è esposta a terremoti, un numero che è quasi raddoppiato negli ultimi 40 anni. Circa un miliardo di persone in 155 paesi sono esposti a inondazioni e 414 milioni vivono nei pressi di uno dei 220 vulcani più pericolosi». Vincenzo Giovine, vicepresidente del Consiglio Nazionale dei Geologi, afferma: «La situazione è allarmante ed è destinata a peggiorare. Anche la catena alimentare costituisce il vero problema, troppo spesso sottovalutato e trascurato».

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 16 giugno 2017

 

 

Si riapre la battaglia sul rigassificatore - Ok ministeriale dopo nove anni al metanodotto collegato all'impianto. La Regione impugna subito l'atto e ribadisce il suo no
La partita sul rigassificatore di Zaule sembra non voler finire mai dopo che il ministero dell'Ambiente, di concerto con il ministero dei Beni culturali, ha emesso un decreto con il quale ha stabilito la compatibilità ambientale del progetto della società Snam rete Gas spa che punta alla realizzazione del relativo metanodotto tra Trieste, Grado e Villesse. Il parere ministeriale, giunto al termine di un iter durato nove anni, dovrebbe anticipare l'atto finale di una vicenda che vede il Comune e la Regione schierati sul fronte del no. «Siamo arrivati al dunque - sottolinea il parlamentare triestino del Gruppo misto Aris Prodani - se consideriamo che la Conferenza dei servizi decisoria per l'approvazione del rigassificatore non poteva essere convocata proprio perché mancava l'ok definitivo al metanodotto. Ho appena depositato una specifica interrogazione per conoscere le tempistiche con le quali il Mise convocherà tutti i soggetti interessati». Solo a quel punto potranno venire ratificate le posizioni di Comune e Regione, che fino a questo momento - con gli altri enti territoriali - si sono detti appunto contrari all'opera. Il decreto ministeriale che ha stabilito la compatibilità ambientale del metanodotto ha immediatamente scatenato le reazioni politiche, in particolare del Movimento 5 Stelle, che ha presentato un'interpellanza urgente alla giunta Serracchiani. «La Regione deve dire immediatamente se intenda agire, anche in sede giudiziaria, contro questo provvedimento - attaccano i consiglieri M5S Ilaria Dal Zovo e Andrea Ussai -. Bisogna far sapere ai cittadini quali azioni saranno adottate nei confronti sia del ministero competente che di ogni Conferenza dei servizi che verrà indetta, per scongiurare la realizzazione del metanodotto e di tutte le opere ad esso collegate». Non si è fatta attendere la risposta dell'assessore regionale all'Ambiente Sara Vito, la quale ha ribadito la posizione della Regione: «Il nostro era ed è un no secco al Rigassificatore di Zaule - le sue parole - e altrettanto vale per l'ipotesi di realizzare un metanodotto tra Trieste, Grado e Villesse. È ovvio che le due opere sarebbero funzionalmente interconnesse e dunque senza il rigassificatore non ha senso pensare di costruire un metanodotto. La decisione di impugnare il decreto ministeriale sul metanodotto è già presa e a questo fine già per domani (oggi, ndr) - continua Vito - è convocato un vertice tecnico presso la direzione dell'Ambiente». Non rimane che attendere che il Mise convochi la Conferenza dei servizi, «momento conclusivo e risolutivo di questa partita - conclude Vito - nel corso del quale la Regione ribadirà il proprio no, chiudendo ogni ipotesi rispetto a un'opera che nessuno vuole». Intanto l'Arpa ha comunicato che i forti odori di idrocarburi rilevati sabato scorso nella zona prospiciente l'area portuale di Trieste sono molto probabilmente riconducibili a degli sfiati di alcune petroliere alla fonda e non alla Ferriera di Servola, come da alcuni ipotizzato.

Luca Saviano

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 15 giugno 2017

 

 

L'Arpa impone la frenata alla Ferriera - «Sforamento sulle polveri, abbassate la produzione». Il ministero dell'Ambiente modifica l'Aia sull'impatto acustico
Due cartellini gialli alla Ferriera di Servola. Uno estratto dall'Arpa, l'altro dal ministero dell'Ambiente. Sotto accusa polveri e rumore. Cominciamo dalla nota della Regione Fvg, con cui si comunica che Arpa ha chiesto di ridurre la produzione, per tenere sotto controllo il fenomeno delle polveri. «I dati rilevati dalla rete dei deposimetri installati in prossimità della Ferriera di Servola indicano - è scritto - che nell'ultimo mese si è verificato un deposito di polveri superiore a quello dei mesi precedenti nell'area prospiciente l'altoforno». L'Agenzia per la protezione dell'ambiente chiarisce inoltre di aver inviato «una lettera di avviso ad Acciaieria Arvedi-Siderurgica Triestina con precise indicazioni sul rispetto degli indicatori previsti dall'Autorizzazione integrata ambientale (Aia), e sulla necessità che vengano assunte iniziative». I valori rilevati in maggio nella stazione di Palazzina Qualità sono pari a 486 microgrammi/metrocubo/giorno (limite obiettivo di 500 microgrammi/metrocubo/giorno), mentre in via Ponticello sono stati raggiunti i 245 microgrammi/metrocubo/giorno, contro un limite obiettivo Aia di 250. Arpa ritiene che, tenuto conto del limite obiettivo per la polverosità valutata su base mensile e degli andamenti delle deposizioni dei mesi precedenti, in aumento a partire da gennaio 2017, sussistono i presupposti affinché l'azienda si attivi autonomamente per ridurre la produzione dell'impianto in attuazione dell'Aia. Per Arpa l'aumento delle polveri è correlabile al deterioramento della bocca di carico dell'altoforno, la cui sostituzione è programmata per l'inizio di settembre. L'Agenzia, come al solito, ha trasmesso i dati all'autorità giudiziaria. Ma non basta. Oltre alle polveri persiste la questione rumore. Come segnalato da Arpa e rilevato dalla Regione nella Conferenza dei Servizi, gli interventi effettuati da Siderurgica Triestina per la mitigazione del rumore non sono stati sufficienti, quindi il ministero dell'Ambiente ha emanato un decreto che avvia una procedura di revisione dell'Aia intesa a migliorare l'impatto acustico. Questo atto, che mantiene valide tutte le altre prescrizioni del vigente decreto di Aia, conferma - evidenzia un secondo comunicato della Regione - «l'efficacia della natura "aperta" e in continuo aggiornamento dell'autorizzazione stessa, che è a tutela della salute dei cittadini in quanto caratterizzata da verifiche continue di dati puntuali e che consente di modificare e rivedere le prescrizioni qualora si presentino condizioni che lo richiedano». Il ministero ha emanato un decreto di riesame dell'Aia per l'esercizio dell'acciaieria Arvedi, con cui si chiede alla proprietà di effettuare ed inviare all'autorità competente e all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) la valutazione dell'impatto acustico, eseguendo almeno due ulteriori rilievi, preventivamente sottoposti all'attenzione di Ispra, in diurno e in notturno. L'azienda, contattata, si è riservata di dare una risposta sui due temi a breve.

 

 

SALUTE E LAVORO»L'ALLARME - Le 380 vittime dell'amianto in regione
La drammatica statistica riguarda soltanto le morti verificate e in via di certificazione soprattutto a Trieste e Monfalcone
TRIESTE - Nelle province di Trieste e di Gorizia i morti certificati a causa dell'amianto sono finora 273. Per esattezza, sono 196 nel Goriziano e 77 nel territorio triestino. Già, finora: perchè la prossima attivazione di un quarto procedimento giudiziario sul tema da parte della magistratura isontina vedrà probabilmente aggiungersi una sessantina di "parti offese". Non è finita: la Ferriera di Servola ha mietuto altre 40 vittime, sulle quali i giudici aspettano da un team di specialisti un'ulteriore verifica per accertare il nesso causale tra esposizioni alle sostanze e tumori mortali. La tragica statistica, sommando tutti i fattori qui elencati (compresi quelli in via di definitivo accertamento), indica che nella Venezia Giulia, una delle aree più colpite d'Italia insieme a quella genovese, la falce dell'amianto ha ucciso ufficialmente circa 380 persone. I grandi produttori di morte sono stati ormai individuati, in sede scientifica come in quella processuale: sono soprattutto le costruzioni navalmeccaniche (a Monfalcone e dintorni) e la portualità (a Trieste) a sedere sul banco degli imputati. Un bilancio complessivo sul dossier amianto sarà stilato nell'odierno pomeriggio a Trieste, nell'ambito di un seminario "open" organizzato dal circolo "Che Guevara" e patrocinato dal Comune, che si terrà nell'auditorium dell'ex Pescheria a partire dalle ore 17. I relatori, coordinati dal presidente del circolo Riccardo Devescovi, si sono divisi i compiti a seconda delle competenze. L'ex procuratore generale presso la Corte d'appello triestina Beniamino Deidda puntualizzerà genesi e svolgimento delle indagini relative al processo goriziano sulla Fincantieri di Monfalcone. A Umberto Laureni, già componente del pool tecnico di Gorizia, spetterà approfondire gli aspetti del lavoro peritale. Valentino Patussi, responsabile del dipartimento prevenzione dell'Azienda sanitaria universitaria triestina, si soffermerà sull'accertamento delle malattie professionali nei contesti processuali del capoluogo regionale. Aprirà i lavori l'assessore regionale all'Ambiente Sara Vito, che farà il punto su obiettivi e risultati del "piano amianto", gestito dalla stessa Regione Fvg.Le cifre, riportate all'inizio, sono state anticipate da Laureni, già dirigente dell'Ass e assessore comunale nella giunta Cosolini. Cifre che emergono nella loro ufficialità processuale, ma dietro le quali con ogni probabilità si celano numeri molto più ampi, perchè l'osservazione della casistica si concentra nel ventennio 1996-2015. A tale proposito è lo stesso Laureni a citare un recente articolo di Pietro G. Barbieri e da Anna B. Somigliana apparso sulla "Medicina del lavoro": gli autori ipotizzano, alla luce delle patologie evidenziate tra i lavoratori Fincantieri prima del 1996, che mesoteliomi e tumori polmonari sfiorino il migliaio di casi. Nelle aule giudiziarie il dossier amianto ha registrato un'energica accelerazione dal giugno 2008, quando la Procura triestina aveva avocato una serie di procedimenti penali pendenti presso la collega goriziana. Venne avviata un'indagine per verificare se sussistesse un rapporto causa-effetto tra le malattie (tumore polmonare e mesotelioma della pleura) e l'esposizione all'amianto all'interno del cantiere navale monfalconese. Il pool di esperti, incaricati della consulenza tecnica, consegnò il suo lavoro nell'autunno 2008: da allora è trascorso quasi un decennio dedicato a rendere giustizia a vittime e familiari.

Massimo Greco

 

 

Capodistria si fa "green" - Stop alle auto in centro - Dal 2025 l'area storica sarà pedonale o percorribile solo con veicoli elettrici
Saranno costruiti parcheggi e sarà sviluppata una rete di percorsi ciclabili
LUBIANA - Entro il 2025 il centro storico di Capodistria sarà chiuso al traffico veicolare. Lo prevede il nuovo piano della viabilità urbana approvato dal Consiglio comunale e si basa sullo studio effettuato dalla società slovena Harpha Sea sovvenzionato dal governo e dai fondi di coesione dell'Unione europea. Capodistria, dunque, si riscopre un'anima verde e ambientalista. Sfruttando la collocazione geopolitica del capoluogo del Litorale saranno avviate le costruzioni di nuove piste ciclabili che collegheranno tutti i piccoli centri dell'entroterra a Capodistria. La quale, peraltro, sarà circondata da una sorta di semi anello dove scorrerà il traffico veicolare e dei bus. Lungo le principali vie di accesso alla città saranno collocati dei noleggi per biciclette o di automobili elettriche per poter accedere così al centro storico. Nella nuova "geografia" della viabilità sono previsti anche parcheggi periferici da dove successivamente raggiungere il centro sempre a bordo di bus navetta, bicicletta oppure veicolo elettrico. Saranno quindi elaborati dei veri e propri corridoi di traffico a ridosso del centro storico e saranno attivati dei percorsi opportunamente attrezzati (pista ciclabile, noleggio biciclette o auto elettriche) per agevolare il flusso delle persone.La prima parte di tale progetto sta già lentamente prendendo forma nel tratto della vecchia strada statale, ora chiusa al traffico) che unisce Zusterna a Isola. Disco verde, inoltre, è stato dato anche al progetto di costruire in quest'area un mega ascensore che dalla costa sale sulle pendici del Monte San Marco. Ascensore che potrebbe essere utilizzato dai cittadini che abitano a ridosso di Semedella per "scendere" sul litorale e poi qui muoversi con le biciclette a noleggio o con le auto elettriche.«La chiusura alle auto del centro storico di Capodistria - spiega alle Primorske Novice Aljosa Zerjal della società Harpha Sea - determinerà un miglioramento della qualità dell'aria, ma appare chiaro che prima di rendere le vie centrali off-limits per i veicoli a motore dovremo costruire i parcheggi necessari per le auto stesse. E questo non si fa in quattro e quattr'otto, comunque lo stiamo progettando». Così come st sta pensando di introdurre a Capodistria, soprattutto per il collegamento con Zusterna, una linea via mare (tipo il traghetto che opera tra Trieste e Muggia) offrendo così un'ulteriore mezzo di trasporto soprattutto per i pendolari che dalla periferia si spostano in centro per motivi di lavoro ma anche per sbrigare commissioni, visitare uffici pubblici o, più semplicemente, per fare shopping.

Mauro Manzin

 

 

Asia primo produttore di energia verde - L'indagine
ROMA - Nel 2016 è andato in scena il sorpasso dell'Asia sull'Occidente nel campo delle energie rinnovabili: la Cina ha superato gli Usa diventando il Paese con la maggiore produzione di elettricità da fonti verdi, mentre l'Asia Pacifica ha tolto a Europa ed Eurasia lo scettro di regione con la produzione green più alta. A delineare il quadro è il 66mo rapporto annuale di Bp sull'energia mondiale, da cui emerge un mercato in transizione, con le fonti pulite in crescita che compensano il calo nel settore altamente inquinante del carbone. In base al report, diffuso alla vigilia della Giornata mondiale del vento che ricorre il 15 giugno, anche nel 2016 le rinnovabili sono state la fonte energetica con la crescita maggiore, pari a un +12% escluso l'idroelettrico. A spingere è la Cina, seguita da Usa, Giappone, India e Brasile. Oltre la metà dell'incremento è arrivato dall'eolico, (+15,6% su base annua, pari a 131 terawattora), mentre un terzo della crescita è stato apportato dal fotovoltaico (+29,6%, 77 terawattora). Nonostante l'andamento positivo, le rinnovabili rappresentano ancora solo l'8% della generazione elettrica mondiale complessiva. In diverse realtà, tuttavia, le energie green fanno la differenza: in Danimarca forniscono il 59% dell'elettricità, in Germania il 26%, in Spagna il 25% e il 23% in Italia e Regno Unito. Sul fronte delle fonti fossili, il consumo mondiale di carbone è sceso per il secondo anno consecutivo facendo segnare un -1,7%. A trainare gli Usa (-8,8%) e la Cina (-1,6%). Flessione ancora più marcata per la produzione di carbone, con un calo record del 6,2%. Il traino è sempre di Usa (-19%) e Cina (-7,9%). Il consumo globale di petrolio è aumentato dell'1,6%; quello di gas naturale dell'1,5%.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 14 giugno 2017

 

 

Arrivano al Silos i posteggi "rapidi" gratis

Accordo tra Comune e Saba: da domani i primi venti minuti non si pagheranno. Scende da 16 a 10 euro la tariffa giornaliera
Era ed è tuttora uno dei parcheggi più grandi e più sottoutilizzati in città. Per la posizione, considerata decentrata sia dai triestini che dai turisti alle prese con una visita veloce della città, e anche per una tariffa oraria (1.50 euro) che rende impossibili le soste veloci e salate quelle a lunga permanenza. Da domani, 15 giugno, però, la musica cambia, al Silos. Con l'arrivo dell'estate, infatti, sarà introdotta per la prima volta la possibilità di parcheggiare gratuitamente per 20 minuti. Quelli, cioè, generalmente necessari a triestini e foresti per accompagnare qualcuno alla vicina stazione ferroviaria. Di più: contestualmente verrà applicata la nuova tariffa giornaliera ridotta per turisti e residenti, frutto allo stesso tempo della necessità espressa dalle società che gestiscono le crociere, e segnatamente dalla Costa, e da quella di razionalizzare le soste nell'area della stazione centrale. L'annuncio arriva da un particolarmente soddisfatto assessore comunale al Turismo, Maurizio Bucci, nell'occasione spalleggiato dai referenti di Saba Italia, gestore del parking, Claudio Borghetto, responsabile per il Nordest e dalla coordinatrice Rafaella Vuch. Vediamo dunque questi sconti. La nuova tariffa giornaliera da 16 euro scende a 10 euro, e consentirà, come ha annotato l'assessore, a chi deve lasciare la macchina perchè si imbarca su una qualche dreamboat di godere di un parcheggio vicino e, soprattutto coperto, rispetto all'attuale soluzione del Molo IV. «Abbiamo operato questa scelta - racconta - per favorire un servizio soprattutto turistico nel parcheggio del Silos, uno dei principali e strategici contenitori nel centro della città. E abbiamo voluto delle opportunità economiche calmierate, con prezzi inferiori rispetto ai normali parcheggi coperti, ottenuti grazie agli ottimi rapporti instaurati con la società Saba Italia». «Ci siamo mossi - ha spiegato dal canto suo Borghetto - per soddisfare due tipologie. Da un lato la necessità di chi magari accompagna dei parenti alla stazione ed è costretto a lasciare l'auto in seconda fila per la mancanza di posti macchina, Silos escluso, in zona. Dall'altro fornire un'opportunità di parcheggio a lungo termine per chi si imbarca sulle navi. In tal senso abbiamo ridotto a 10 euro la tariffa giornaliera, dato che vale per tutti, mentre a partire dal secondo giorno se ne pagheranno solamente nove, cifre che ci sembrano più che ragionevoli».«Era una scelta doverosa - ha spiegato Bucci - per venire incontro a tutti, anche se confesso che ho ancora una certa nostalgia per il servizio di car-valet, da me stesso lanciato, che permetteva di lasciare l'auto direttamente sotto bordo, ma pazienza». Una soluzione che sta esattamente nell'ottica di un maggior servizio a chi parte è già in divenire, comunque. «Un ulteriore obiettivo dell'amministrazione comunale, sempre nell'ottica di promozione turistica e anche in questo caso per espressa richiesta della Costa Crociere, in accordo con Trieste Trasporti - ha aggiunto Bucci - sarà affiancare agli spazi per la sosta un servizio di bus-navetta che faciliti la connessione alla Marittima. E non è finita. «Nel piano turistico che andremo a varare - ha rilevato ancora l'assessore - è prevista anche una necessaria revisione della cartellonistica per fornire precise indicazioni ai turisti che vengono a visitare la nostra città muovendosi con l'automobile per individuare i parcheggi disponibili». A proposito di parcheggi, potrebbe tornare d'attualità anche la navetta con quello comunale di via Carli, «esperimento che lo scorso Natale ci ha dato delle soddisfazioni», assicura Bucci, mentre resta in sospeso la kafkiana vicenda dell'ascensore di Park San Giusto e la possibilità di aprirlo ai turisti. «I condomini remano contro - sottolinea Bucci - ma esiste un accordo preciso firmato anche da loro... Forse troveremo una via di mezzo, con l'ascensore verso San Giusto aperto solo in salita, magari avvalendosi di una gettoniera...».

Furio Baldassi

 

 

Parte il patto Regione-Roma per Servola - Vertici dell'Istituto superiore di sanità in città per il monitoraggio. Dipiazza contro i rumori notturni
È entrato nella fase operativa l'accordo che la presidente della Regione, Debora Serracchiani, ha sottoscritto in aprile con il presidente dell'Istituto superiore di Sanità (Iss), Gualtiero Ricciardi, finalizzato a elaborare un programma congiunto di ricerca, con l'obiettivo di valutare le eventuali conseguenze sullo stato di salute dei cittadini a causa di esposizioni ad inquinanti di varia natura, in particolari aree soggette a maggiore pressione ambientale. Fuor dal burocratese, un'altra pagina in cui la vicenda Ferriera occupa una posizione importante. A Trieste infatti si è riunita per la prima volta la cabina di regia, incaricata di fornire gli indirizzi operativi per la realizzazione del programma che, come previsto, riguarderà appunto, nella fase iniziale, l'impatto sulla popolazione residente legato alla presenza dell'impianto siderurgico nel rione di Servola. All'incontro erano presenti tutti i soggetti coinvolti (rappresentanti di Regione, Arpa, Sistema sanitario regionale e Iss, con il direttore generale Angelo Lino Del Favero e la responsabile scientifica del programma nonché direttore del Dipartimento ambiente e salute, Eugenia Dogliotti). Durante questo primo confronto Azienda sanitaria triestina e Arpa Fvg hanno illustrato le iniziative già realizzate e quelle in corso per il monitoraggio degli effetti sulla popolazione e sui lavoratori legati alla presenza del sito industriale. Ulteriori approfondimenti tecnico-scientifici proseguiranno già nelle prossime settimane a Roma, con esperti della sezione di ricerca ambientale dell'Istituto. A breve, dunque, da questi confronti tecnici, che permettono un proficuo scambio di buone pratiche adottate a livello nazionale ed internazionale, emergerà la proposta per uno specifico programma di monitoraggio e controllo sulla Ferriera, coordinato e supervisionato dall'Iss, che sarà realizzato e curato in stretta collaborazione tra tutti gli enti di competenza. A seguito di questa prima fase saranno definiti successivi programmi riguardanti altri siti sensibili o fonti inquinanti o inquinate, che hanno rilevanti impatti sulla salute della popolazione potenzialmente esposta, esempio tipico quello di molte aree e giardini pubblici. Sull'argomento si segnala anche una nota su Facebook del sindaco Dipiazza. «La notte scorsa dallo stabilimento della Ferriera - scrive - oltre ai già fastidiosi e costanti rumori, sono stati fatti dei lavori a notte fonda che hanno creato un ulteriore disagio ai residenti di Servola. Questo non è accettabile. Abbiamo allertato la polizia locale che continuerà a vigilare. Intanto il ministero dell'Ambiente ha accolto la nostra richiesta ed ha intimato che entro trenta giorni vengano fatte due valutazioni fonometriche sia diurne che notturne che poi dovranno essere valutate da Ispra». «A tutela dei cittadini - conclude - stiamo portando avanti una intensa attività di controllo e pressione, i risultati stanno arrivando e sono convinto che vinceremo questa battaglia».

 

 

Il trasloco delle maxicozze nell'oasi marina di Brioni
Duecento esemplari minacciati dai futuri marina di Santa Caterina e Monumenti vengono staccati dai fondali polesani e portati in battello nell'arcipelago protetto
POLA - Le Pinne nobilis di Pola hanno già le... valigie pronte. Sono più o meno duecento e stanno traslocando armi e bagagli nell'oasi di Brioni. Non è uno scherzo ma una misura di tutela ambientale che, sotto l'egida del progetto europeo Merces sul restauro dei sistemi degradati dei mari, vede per una volta alleati i biologi e gli investitori. Il punto di partenza della storia è la costruzione di due centri nautici all'interno del bacino portuale di Pola e più esattamente a Monumenti e Santa Carina. C'è un problema, però: l'avanzare delle ruspe, le colate di cemento e i cantieri minacciano gli abitanti del mare. Ma, mentre i pesci possono arrangiarsi e cercarsi un nuovo habitat, le Pinne nobilis sono in gravissimo pericolo: i più grandi bivalvi del Mediterraneo, possono raggiungere il metro di lunghezza e sono chiamati comunemente nacchere, pinne comuni, cozze penne o stura, vivono infatti fissati con una parte della propria conchiglia triangolare nella sabbia o nella roccia. E quindi non possono muoversi. Ma le Pinne nobilis, specie minacciata dalla raccolta per il collezionismo, sono fortunatamente tutelate. E quindi, nell'attesa dell'avvio dei lavori per i centri nautici, i biologi hanno potuto "pretenderne" la salvaguardia. «Lo studio d'impatto ambientale sui progetti dei marina - spiega la biologa Tatjana Bakran-Petricioli che insegna alla facoltà di Scienze naturali e Matematica di Zagabria - ha confermato che nel mare di Monumenti e Santa Caterina ci sono numerose Pinne nobilis a rischio sopravvivenza. Due le alternative: l'eliminazione, che impone però all'investitore Kermas Istra di pagare un risarcimento, oppure il trasferimento. Ci siamo accordati con la stessa società e, con grande soddisfazione di noi biologi, si sta procedendo al "trasloco"». La futura destinazione è invidiabile: due baie nell'oasi naturale del Parco nazionale di Brioni dove le Pinne nobilis polesane troveranno diverse "sorelle". Il trasferimento è già iniziato e non è banale: «Il fondale marino di Santa Caterina - spiega ancora la biologa - è piuttosto roccioso per cui è molto complicato staccare i bivalvi visto che bisogna asportare anche un po' di sedimento circostante. Ma i sub della società Loligo, armati di tanta pazienza, stanno facendo un ottimo lavoro». Una volta "liberate" le Pinne nobilis vengono rapidamente spostate dalla barca dei sub al battello diretto a Brioni che ha a bordo una grande tinozza piena di acqua di mare. I bivalvi trapiantati nell'arcipelago caro a Tito continueranno a essere oggetto di studio in particolar modo in riferimento alla loro condivisione dell'ambiente con le erbe marine. «Si aiutano a vicenda - conclude la biologa - e quindi sarà interessante vedere se l'erba marina aumenterà la sua estensione con l'arrivo dei nuovi "abitanti"».

(p.r.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 13 giugno 2017

 

 

Stretta a Staranzano sulla differenziata
Finita la fase sperimentale, gli operatori non raccoglieranno i rifiuti sbagliati e metteranno su sacchi e cesti il bollino rosso
STARANZANO - Giro di vite per la raccolta differenziata a Staranzano. Dal 15 giugno in poi, basta con i rifiuti esposti nelle modalità non corrette con il contenuto non conforme, con il sacco o contenitore non conforme a quelli distribuiti dall'azienda multiservizi e nella giornata di esposizione sbagliata. Gli operatori li lasceranno sul posto. Sui sacchi o sui mastelli di carta e umido, sarà apposto oltre al bollino rosso, un volantino di invito a ritirare quanto lasciato per terra correggendone il contenuto (o il contenitore), in vista della successiva giornata utile alla loro esposizione e recupero. È una sorta di ultimatum quello annunciato da Isontina Ambiente dopo la fase sperimentale della nuova differenziata cominciata ufficialmente il primo di aprile, poiché a distanza di due mesi dall'avvio della distribuzione, sono ormai poche decine i cittadini che non hanno ancora ricevuto il nuovo kit per la raccolta dei rifiuti. Semplice distrazione o poca sensibilità per la nuova raccolta differenziata? Un quesito che si sono posti l'amministrazione comunale di Staranzano e Isontina Ambiente. Ma i ritardatari che non fossero ancora in regola con le proprie dotazioni, potranno ritirare il calendario della raccolta 2017, il mastello della carta e la fornitura annuale di sacchetti per la plastica e le lattine e per l'umido rivolgendosi, all'ufficio tecnico del comunale aperto al pubblico dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 12.30 e di pomeriggio anche il lunedì e il mercoledì dalle 17 alle 18.«La consegna del kit pressoché ultimata- spiega Isontina Ambiente - consentirà a tutti gli utenti di effettuare correttamente le operazioni quotidiane di separazione e di raccolta dei rifiuti e di migliorare ulteriormente la quantità e la qualità del materiale destinato al riciclo nel rispetto delle giornate di asporto. Sia il Comune che Isontina Ambiente - afferma - rimangono comunque a disposizione per fornire ai cittadini tutte le informazioni necessarie volte a migliorare la differenziazione domestica e a ridurre le situazioni di conferimento non conformi». Gli utenti possono avere ulteriori informazioni anche tramite i canali a disposizione quali il sito internet o l'app di Isontina Ambiente, il numero verde di Isa (800. 844. 344) e il sito istituzionale del Comune. Il nuovo sistema illustrato in un incontro pubblico a metà marzo, è stato avviato nell'ottica di diminuire i costi a vantaggio dei cittadini dal direttore generale dell'azienda, Giuliano Sponton, anche se alcuni avevano espresso perplessità su un vero risparmio sulla bolletta dei rifiuti, poiché eventuali benefici si potranno vedere solo nel 2018. Un concetto che aveva ribadito anche dall'assessore Erika Boscarol nell'ambito del dibattito pubblico, sostenendo che nel 2017 col nuovo sistema, i nove mesi in meno di giri di raccolta differenziata, avrebbero portato il risparmio annuo della spesa stimabile attorno ai 35-40 mila euro tutto a vantaggio dei cittadini e che i mastelli e i sacchetti erano intanto forniti gratuitamente dalla ditta Sangalli incaricata della raccolta e smaltimento come miglioria del servizio e senza essere imputati al Comune e neanche ai cittadini. Per quanto riguarda i risultati della differenziata nel 2016, Staranzano è stato uno dei Comuni più ricicloni della provincia di Gorizia avendo raggiunto quota 76%. Pur non avendo ancora a disposizione gli ultimi dati, il trend nei continua sempre sullo stesso livello. Isontina Ambiente sostiene che il dato si può ancora migliorare in quanto ci sono tutte le premesse della buona volontà delle famiglie a collaborare seguendo questa direzione.

Ciro Vitiello

 

 

Ospiti del Cara "spazzini" sulle rive dell'Isonzo
Si è svolta a Gradisca la tradizionale iniziativa di Legambiente che ha visto in azione assieme ai volontari diversi richiedenti asilo in un progetto di inclusione sociale
GRADISCA - Una cinquantina di sacchi di rifiuti asportati, una quarantina di richiedenti asilo - ospiti del Cara - coinvolti. E un riuscito momento di educazione civica e relazione. È positivo il bilancio, ma soprattutto il messaggio sociale che viene dalla tappa gradiscana di "Puliamo il Mondo", iniziativa congiunta di Legambiente, amministrazione comunale, coop Minerva e Isontina Ambiente che nella giornata di sabato si è dimostrata come negli auspici molto di più che una semplice operazione di pulizia dai rifiuti abbandonati. A essere interessate, le zone da tempo al centro delle segnalazioni dei gradiscani, esasperati, e ancor di più esasperati sono i residenti dei borghi Basiol e Trevisan per tanti comportamenti non certo e non sempre ineccepibili da parte degli ospiti della struttura governativa (ma non solo). Suddivisi in gruppi, i migranti si sono dati un bel da fare, fianco a fianco nel riempire sacchi e sacchi, soprattutto di plastica, lattine e bottiglie di vetro. Raggiunto a piedi il sentiero che porta al ponte ferroviario sull'Isonzo della mai realizzata tratta Cormons-Redipuglia, i volontari si sono spinti all'interno della vegetazione e hanno raccolto i rifiuti che, qua è là, hanno trovato. In gran parte plastica: bottiglie e sacchetti, ma anche imballaggi per alimenti, lattine e bottiglie di vetro.Alla fine della mattinata sul camion del Comune si potevano contare una cinquantina di sacchi pieni di rifiuti. «L'impressione - spiega Michele Tonzar del circolo monfalconese "Ignazio Zanutto" di Legambiente - è che, in paragone alle edizioni precedenti di "Puliamo il Mondo", effettuate sui medesimi luoghi, i rifiuti trovati e raccolti siano stati decisamente di meno». Hanno voluto dare il buon esempio, partecipando all'iniziativa, il sindaco di Gradisca Linda Tomasinsig, l'assessore al Welfare, Francesca Colombi e il consigliere comunale Stefano Aschi. Durante le operazioni di pulizia si sono potuti creare momenti di dialogo tra i volontari e i ragazzi, in gran parte provenienti da Pakistan e Afghanistan, ma anche da Paesi africani. «Ascoltare le loro storie non può lasciare indifferenti e la necessità di far prevalere i principi dell'accoglienza e della solidarietà, accantonando gli istinti di egoismo ed esclusione» commenta Tonzar. A Gradisca sono molti i progetti d' integrazione - ma noi preferiamo chiamarli di inclusione sociale - che tentano in tutti i modi di coinvolgere gli ospiti del Cara cercando di insegnare rispetto delle regole, educazione civica e ambientale che invece tante volte mancano nei bivacchi in riva all'Isonzo. Un vero e proprio «modello Gradisca» che per ampiezza di proposte non ha molti eguali in Italia.

Luigi Murciano

 

 

A lezione di avvistamenti a bordo del bus del mare - Una volta la settimana con gli esperti a "caccia" di delfini e tartarughe marine
Riparte con novità la collaborazione tra Apt e DelTa nel viaggio Trieste-Grado
GRADO - Non solo una suggestiva traversata via mare da Trieste a Grado a bordo del Delfino Verde, ma anche un'esperienza unica, assieme agli esperti, di avvistamento di delfini e tartarughe con la possibilità di partecipare a bordo a piccole lezioni per apprendere la filosofia e le tecniche di conservazione delle specie marine. Si tratta dell'ampliamento dell'iniziativa che ha debuttato lo scorso anno con successo, che sarà proposta anche nel corso di questa stagione estiva e con alcune novità. Anche per questa stagione estiva, dunque, continua e si amplia la collaborazione fra Azienda Provinciale Trasporti (Apt) che è titolare della linea marittima che si svolge con l'utilizzo del Delfino Verde e l'Associazione DelTa (Delfini e Tartarughe dell'Alto Adriatico). Come lo scorso anno biologi marini e studenti universitari, una volta alla settimana, saranno a bordo della linea marittima Grado-Trieste per osservare il mare e ricavare i dati di presenza di cetacei e tartarughe nel golfo. E sarà pure l'occasione per monitorare anche la presenza di rifiuti e pure verificare l'intensità del traffico marittimo. Due aspetti quest'ultimi che sono i principali pericoli per le specie marine che possono soffocare inghiottendo rifiuti scambiati per prede o rimanere feriti in scontri accidentali con le imbarcazioni. Durante le uscite di tecnici ed esperti saranno pertanto coinvolti i passeggeri a bordo per un'opera di sensibilizzazione sull'argomento ma anche l'equipaggio dello stesso Delfino Verde. Quest'anno, poi, oltre al monitoraggio settimanale che proseguirà durante tutta l'estate, l'intervento a bordo sarà dedicato anche al progetto denominato N2K (specie Natura 2000), che ha come obiettivo lo svolgimento di azioni a sostegno della formazione di cittadini responsabili e sensibilizzati sul tema della conservazione delle specie marine minacciate. E tra queste, è precisato, sono comprese anche quelle della rete Natura 2000, principale strumento della politica dell'Ue per la conservazione della biodiversità. Tra l'altro il progetto ha ottenuto il contributo regionale 2016-2017 per il finanziamento a progetti speciali da parte della direzione centrale lavoro, formazione, istruzione, pari opportunità, politiche giovanili, ricerca e università e coinvolge diversi Istituti scolastici di Trieste e della provincia di Gorizia, anche nell'ambito del programma "alternanza scuola lavoro". E saranno proprio alcuni studenti assieme ai responsabili dell'Azienda Provinciale Trasporti e di quelli dell'associazione Delta a illustrate con maggiori dettagli il progetto nel corso di una conferenza stampa in programma oggi alle 123 a bordo del Delfino Verde ormeggiato lungo il Molo Bersaglieri a Trieste. Intanto per quanto concerne il regolare traffico passeggeri i primi dati indicativi parlano di un leggero aumento rispetto la scorsa stagione, in particolar modo con partenza da Trieste. Evidentemente ci sono tanti triestini che preferiscono lasciare la macchina a casa, farsi una bella traversata, trascorrere una giornata al mare a Grado e poi far rientro a casa. Senza problemi di traffico e senza consumare carburante e anche, da non valutare, senza problemi di andare in cerca di parcheggio. Tra l'altro molti di queste persone viaggiano con la bicicletta al seguito tanto che, come abbiamo già annunciato, per il prossimo anno ci sarà un nuovo Delfino Verde con una capienza bici notevolmente più ampia. Per dire del traffico a bordo del Delfino verde sulla rotta Trieste-Grado e ritorno (ci sono tre corse giornaliere) in una giornata festiva come quella di due giorni fa sono stati movimentati circa 500 passeggeri.

Antonio Boemo

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 12 giugno 2017

 

 

Uranio impoverito in Serbia - Cause contro i Paesi Nato

Un team di avvocati vuole portare in tribunale una ventina di Stati per i missili sganciati sulla Jugoslavia di Milosevic: «Ogni anno 33mila nuovi casi di cancro»
BELGRADO - Un team di avvocati, sguinzagliato nei tribunali di mezza Europa e oltre, con l'obiettivo di portare sul banco degli imputati le autorità dei Paesi Nato. Il crimine da dimostrare: quello di aver bombardato la Jugoslavia di Milosevic anche con missili all'uranio impoverito, con pesanti ricadute a distanza di decenni sulla salute della popolazione. È questo il temerario programma di un gruppo di avvocati serbi che, affiancati da colleghi di altre nazioni europee, intenteranno in futuro una serie di cause contro i membri dell'Alleanza. A confermarlo è stato Srdjan Aleksic, avvocato nella città serba di Nis, anima dell'iniziativa. Parlando nei giorni scorsi con il braccio serbo dell'agenzia russa Sputnik, Aleksic ha spiegato che il team è in via di formazione e si avvarrà del lavoro di oncologi e tossicologi locali per documentare davanti agli organi giudicanti i devastanti effetti dell'uranio. Ha poi specificato di voler «portare in giudizio in tribunali nazionali» e non davanti alla Corte internazionale di giustizia una ventina di membri Nato «che hanno partecipato all'aggressione contro la Jugoslavia». In quella guerra, gli aerei Nato «hanno sganciato tra le 10 e le 15 tonnellate di uranio impoverito», ha aggiunto. E i risultati sarebbero visibili anche oggi, con «33mila nuovi casi di cancro ogni anno» in Serbia. Aleksic ha inoltre rivelato la strategia dell'operazione, che ha avuto amplissima eco in un Paese dove i bombardamenti sono una ferita aperta: quella di basare la linea dell'accusa sui risarcimenti concessi a «45 soldati italiani» che avevano operato in Kosovo, in aree dove erano piovuti nel 1999 proiettili in uso alle forze Nato. «Le nostre cause si fonderanno su questo», sulle sentenze italiane, ha confermato l'avvocato. Rimane da vedere come si svilupperà ora l'operazione, ma qualche dubbio è lecito, come suggerito alla stessa Sputnik per bocca dell'esperto russo Mikhail Ioffe, che ha parlato sì di idea «percorribile», sottolineando però anche l'esistenza di vari ostacoli giuridici «di difficile superamento». Molto duro invece il commento di Domenico Leggiero, presidente dell'Osservatorio Militare, organizzazione italiana che da anni si batte a fianco dei soldati vittime dell'uranio. «A me sembra un'operazione di pura speculazione, anche pericolosa per i militari», una «strumentalizzazione di tipo politico, non c'è nulla di serio», commenta Leggiero con Il Piccolo. «L'avvocato Tartaglia», dell'Osservatorio Militare è «l'"autore" delle sentenze», menzionate dall'avvocato serbo, «abbiamo fatto sostanzialmente nascere il caso uranio nel mondo - continua Leggiero - e né Tartaglia né l'Osservatorio Militare sono stati interpellati». Leggiero puntualizza anche sui numeri forniti da Aleksic, su quei 45 militari risarciti. Non sono corretti, sono molti di più, spiega.Il mancato approccio con l'Italia deriva solo dal fatto di non avere avuto a disposizione contatti con gli avvocati che si sono occupati dei casi, si giustifica però Aleksic. Che conferma poi che i suoi piani sono seri, perché il fine delle future cause è quello di «aiutare i cittadini malati a causa dell'uranio», in una Serbia «dove la situazione è allarmante» per l'aumento e la diffusione dei casi di tumore. La strategia, ribadisce il legale, è quella di promuovere cause «nei tribunali» nazionali dei Paesi Nato che «hanno partecipato» alla guerra del 1999. E di cittadini che vogliono farsi aiutare da Aleksic ce ne sarebbero già molti. «A Subotica abbiamo la gente di un'intera via che si è ammalata di cancro, non è possibile che non ci sia una relazione con i bombardamenti Nato», aggiunge l'avvocato. «Noi non abbiamo nulla contro la Nato, né odiamo quei Paesi, ma riteniamo che ci siamo ammalati» per quelle bombe. E «chiediamo che si curino» i malati, «un mese di cure costa fino a tremila euro, costi insostenibili qui. E chi ha provocato questi danni deve sapere che ci sono conseguenze, anche se questo è il Paese più potente al mondo. Vogliamo giustizia».

Stefano Giantin

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 11 giugno 2017

 

 

Ciclisti a piedi nel centro di Muggia - I residenti a favore dell'ordinanza
MUGGIA - No ai ciclisti in sella per le calli muggesane. I residenti del centro storico, che da tempo chiedono maggior tutela anche dai "furbetti" con le automobili, plaudono all'ordinanza sindacale (per ora congelata) che impone ai ciclisti di condurre a piedi le proprie bici all'interno dell'area che rientra nelle mura muggesane. Durante l'incontro pubblico organizzato dall'amministrazione Marzi nella sala "Millo" è stato affrontato il delicato tema dei ciclisti nel centro storico. Se da un lato i residenti del centro hanno evidenziato la necessità di regolamentare la situazione a causa di troppi ciclisti che fanno slalom tra i pedoni anche a velocità sostenuta, dall'altra i filociclisti, pur continuando a perorare le cause dei velocipedi pronunciandosi scettici sulla disposizione proposta dalla giunta che definisce i parametri per l'accesso delle biciclette in centro, hanno allo stesso tempo teso una mano all'amministrazione per cercare di trovare una soluzione più condivisa. «Sapevamo che i residenti del centro storico fossero d'accordo con noi, anche perché da loro sono partite le tante segnalazioni che ci hanno indotto a muoverci per regolamentare la viabilità del centro stesso. All'incontro abbiamo ascoltato tutti. Ora a brevissimo riprenderemo in mano il documento e sicuramente entro il mese di giugno prepareremo una volta per tutte l'ordinanza che poi entrerà ufficialmente in vigore», racconta l'assessore alla Polizia locale Stefano Decolle. Il quale ha evidenziato poi come l'altra grande parte dell'ordinanza sulla viabilità in centro storico inerente le limitazioni alle automobili abbia invece ricevuto pressoché un'adesione totale. «Purtroppo ci si è concentrati solamente sulla parte delle biciclette, ma nel documento redatto dalla giunta vogliamo mettere mano anche alla regolamentazione delle automobili, imponendo una serie di limitazioni necessarie per garantire la massima sicurezza sia ai residenti che a tutti i pedoni che frequentano il centro», aggiunge Decolle. Per ora, dunque, l'ordinanza rimane ancora bloccata. La sensazione è che molto per cambiare la decisione di far condurre a mano le biciclette nella zona del centro storico, ossia nell'area racchiusa fra le vie Roma, Naccari, Manzoni, Sauro e in salita alle Mura (l'unica deroga concessa quella agli under 10, esclusi dal divieto di pedalare in centro), non si potrà fare. «Qualcuno ha ipotizzato di creare una pista ciclabile ad hoc nella zona del centro: vista la conformazione del nostro territorio e gli spazi esistenti mi pare che la proposta sia piuttosto difficile da accettare e mettere in pratica», conclude Decolle. La giunta, quindi, avrà una ventina di giorni ora per chiudere il cerchio e cercare una via di mezzo che possa soddisfare un po' tutti. Sulla carta però le posizioni dei pro e dei contro l'utilizzo delle bici in centro a Muggia rimangono difficilmente conciliabili. Da vedere se il sindaco Laura Marzi, che ha fatto della mediazione uno dei suoi cavalli di battaglia, riuscirà anche questa volta a trovare una soluzione condivisa.

Riccardo Tosques

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 10 giugno 2017

 

 

I ritardi in cima ai reclami di chi viaggia sull'autobus - Una media di due segnalazioni al giorno alla Trieste Trasporti: 777 nel 2016
Anche le informazioni di servizio nel mirino. La linea 6 al top per lamentele
Di cosa si lamenteranno mai gli utenti del trasporto pubblico se non del mancato passaggio dei mezzi in orario? Ebbene, anche qui da noi non si fa eccezione. Fra i reclami ricevuti da Trieste Trasporti nel 2016, una media di due al giorno per un totale di 777, il più gettonato riguarda proprio il più classico dei problemi: il ritardo. L'assenza o l'intempestività delle comunicazioni in caso di interruzioni di servizio è la seconda criticità segnalata dagli utenti e tallona l'imprecisione oraria con ridotto margine. Sul gradino più basso del podio delle lamentele locali si piazza, a sorpresa ma con distacco, il mancato rispetto della fermata da parte degli autisti, indicato dal 17.2% degli utenti come la terza questione più annosa che l'azienda - di proprietà pubblica per il 60% - dovrebbe affrontare. La buona notizia per la società, che dal 2001 gestisce il servizio di trasporto pubblico locale, è che mentre cresce il numero di passeggeri (67.2 milioni nel 2016, +3% rispetto all'anno precedente), il numero dei contatti della clientela è in costante diminuzione dal 2014. Di pari passo ai contatti è calato l'anno scorso anche il numero dei reclami (-6.8%). Inutile dire che il punto più caldo della rete, non solo per la sua particolare funzione, è quello della linea 6 diretta a Barcola che da domani, con l'entrata in vigore dell'orario estivo, verrà raddoppiata con le vetture della 36. Analizzando i reclami ricevuti dall'Urp, «il vero tema che è emerge è quello della necessità di dare la più precisa stima possibile del tempo di passaggio dei mezzi», commenta il direttore di esercizio Roberto Gerin. La questione reclami è un po' come quella della classifica del Sole 24 Ore che vedeva Trieste all'84° posto in Italia in fatto di ordine pubblico. «Come ebbe a dire l'allora questore Padulano, in città siamo soliti segnalare di tutto», continua Gerin. «Non esiste un termine di paragone delle lamentele con le altre aziende trasporti dell'operatore Arriva (che detiene il restante 40% di Tt, ndr), ma esiste sulla capillarità di servizio. E per le città di fascia intermedia, in questo campo, siamo al top in Italia». Quelle nove persone che nel 2016 hanno contattato l'ufficio relazioni esterne di Trieste Trasporti per lettera, come una volta, o quell'unico individuo che invece ha preferito il fax, concorderebbero nell'auspicare una comunicazione più tempestiva in caso di lavori stradali, incidenti, maltempo o blocchi alla circolazione. «Il contatto con il Comune e la polizia locale è diretto e funziona», riflette Ingrid Zorn, responsabile Urp e Relazioni Esterne per Tt. Ufficio in cui lavorano due addetti fissi al numero verde e due per quanto riguarda la comunicazione. «Stiamo valutando l'apertura di nuovi canali, senza essere ridondanti». Facebook, a tale proposito, potrebbe essere uno degli indiziati. Sul fronte operativo sono in previsione invece altre 150 "paline elettroniche" che non andranno a coprire tutte le 1400 fermate, ma potranno offrire più tempestività informativa soprattutto per le fasce di utenti meno "digitalizzate", ovvero quelle che non sono attive su Twitter, non consultano il sito dell'azienda o l'app gratuita. «La mancanza di corse serali è un'altra grande lamentela», puntualizza Zorn. «Stiamo attendendo l'esito della gara, l'affidamento e l'avvio del nuovo servizio». Per il momento, tuttavia, Gerin esclude modifiche alla frequenza dei bus al chiaror di luna. Quanto alle altre lamentele, come il mancato accosto al marciapiede del mezzo (4.5% dei reclami), Tt ricorda che tutte le fermate ad eccezione del capolinea sono a richiesta: niente braccia alzate, niente fermata. Pesa, come evidenziato sia da Gerin che da Zorn, la poca disponibilità di corsie riservate agli autobus. «Da anni c'è una unità di riserva in piazza Oberdan per evitare disservizi e lunghe attese in caso di problemi», aggiunge il dirigente. «Ogni giorno teniamo 15-20 mezzi di riserva su un totale di 271 dell'intero parco motorizzato». Un'altra "piaga" per il trasporto pubblico locale riguarda i danneggiamenti e gli atti vandalici ai danni delle emettitrici automatiche, il cui malfunzionamento è all'ottavo posto dei cahiers de doléances triestini. L'azienda segnala che solo nel 2016 sono stati 7.690 gli interventi di manutenzione (sia straordinaria che ordinaria) per le 73 macchinette automatiche: una media di 21 interventi al giorno. A breve inizierà l'installazione in città di dispositivi di nuova generazione, più resistenti e con tecnologia touch. Insomma, se del passaggio puntuale del bus non v'è certezza, assicurata è la risposta di Tt ad ogni lamentela. «Cerchiamo di evadere il 100% dei reclami», dice l'azienda.

Lillo Montalto Monella

 

Il trenino torna di moda - E ora punta verso Barcola - Il Tramway di nuovo in moto per il summit degli armatori dei rimorchiatori
Percorso già allungato di 300 metri ma si lavora per raggiungere i club nautici
Non si smette mai di giocare coi trenini. L'amministrazione comunale attuale, dopo aver soppresso il servizio attivato dalla precedente giunta in Porto vecchio, ha cambiato idea. Il Tramway Porto Vecchio Trieste è ripartito. L'altro giorno ha effettuato una corsa regolare in occasione del "summit" internazionale degli armatori dei rimorchiatori. Alcune corse "clandestine" erano state effettuate durante la presentazione nell'illustrazione del piano strategico di Ernst&Young per Porto vecchio. Del resto il Tramway Tpv rischia di diventare un servizio essenziale ora che un'ordinanza comunale vieta il transito sulla bretella fra Largo Santos e Magazzino 26. L'occasione è stata offerta dalla cena di benvenuto offerta ai partecipanti al 54.mo incontro internazionale dell'Associazione europea degli armatori dei rimorchiatori (Eta, European Tugowners Association). Un evento internazionale ospitato per la prima volta a Trieste. Gli oltre 150 operatori portuali, alloggiati per la gran parte all'Hotel Savoia Excelsior Palace, hanno preso alle 19.30 di mercoledì il trenino all'inizio del Molo IV per arrivare al Magazzino 26. Il rientro è avvenuto intorno alla mezzanotte. «Il Tramway Tpv trasporterà gli ospiti del convegno europeo degli armatori di rimorchiatori dal Molo 4 alla centrale idrodinamica per la cena di gala! Ancora una volta il Tramway Tpv dimostra la sua utilità e praticità. Grazie al lavoro di pulizia e diserbo fatto dall'Autorità portuale assieme a noi», hanno fatto sapere i volontari di Ferstoria che non si sono mai rassegnati al taglio del trenino. L'idea di utilizzarlo per il "summit" dei rimorchiatori è arrivata dalla stessa amministrazione comunale che dal primo gennaio ha la titolarità sull'area di Porto Vecchio a seguito della sdemanializzazione. «È stato un successo - racconta Alberto Cattaruzza, amministratore delegato di Tripmare -. L'intenzione era quella di far conoscere a questi imprenditori le potenzialità e opportunità di Porto vecchio. Tutti sono rimasti allibiti di fronte a tutti questi metri cubi di bellezza sprecata. Non è escluso che tra questi armatori ci possano essere dei possibili investitori». Un'azione di marketing territoriale fatta usando il trenino. Prima della cena di benvenuto gli armatori dei rimorchiatori (in rappresentanza dell'intero armamento europeo, oltre 800 imbarcazioni) hanno visitato anche la vicina Centrale idrodinamica. «Erano tutti entusiasti di questo mezzo di trasporto utilizzato per attraversare il Porto vecchio», spiegano i volontari di Ferstoria. Il trenino, insomma, si è rimesso in moto. Il percorso si è addirittura allungato di 300 metri: ora arriva fino alla bretella d'ingresso di viale Miramare. E in futuro potrebbe arrivare in 10 minuti "quasi" a Barcola dove ci sono le società nautiche. L'obiettivo è arrivare proprio a Barcola. «Per il prolungamento stiamo lavorando assieme al Comune. Abbiamo iniziato e si continuerà nei prossimi mesi a pulire il binario fino a Barcola. Chissà che per la prossima Barcolana non si riesca ad arrivare a Barcola? Noi come sempre ci impegneremo al massimo», fanno sapere ancora i volontari di Ferstoria. Tra persone comodamente sedute e in piedi il Tramway Tpv può portare circa 300 passeggeri a corsa. La collaborazione con l'attuale amministrazione è ormai totale. L'interlocutore principale è l'assessore Giorgio Rossi che ha messo al lavoro sul progetto del trenino il direttore del Servizio mobilità e traffico Giulio Bernetti. Il Comune ora è in possesso delle storiche mappe ferroviarie di Porto Vecchio. Su questo fronte si sta spendendo anche l'assessore all'Ambiente Luisa Polli. E pure il sindaco Roberto Dipiazza sembra essere ricreduto sul trenino di Cosolini. L'unico ostinatamente contrario resta l'assessore al Turismo Maurizio Bucci: non ne vuole proprio sapere del trenino (preferisce gli idrovolanti). A sostenere il progetto c'è l'Autorità portuale che ci ha messo la faccia (il logo) sul trenino. E pure l'associazione Italia Nostra che da sempre chiede un collegamento certo per il polo museale del Porto vecchio. «Ci sono richieste anche dall'estero per il trenino», aggiungono i volontari di Ferstoria. Il prossimo appuntamento è per metà luglio quando si aprirà alla Centrale idrodinamica la mostra sui 160 anni della ferrovia Vienna-Trieste, indicata anche come Ferrovia meridionale (Südbahn). Nell'occasione si potrebbe avviare un servizio regolare del trenino. Magari con una locomotiva a vapore funzionante. Un'operazione in cui verrà coinvolto il Museo ferroviario di Campo Marzio e la Fondazione Fs. La locomotiva sarà proprio una di quelle che un tempo faceva servizio in Porto vecchio.

Fabio Dorigo

 

 

Il laghetto da fiaba torna all'antico - Via al restyling dello stagno di Contovello amato da Massimiliano e Carlotta: in arrivo 100mila litri d'acqua
TRIESTE - Lo storico stagno di Contovello torna a splendere. Dopo anni di incuria e abbandono il Comune di Trieste è riuscito a riportarlo alla luce, con tanto di canneto e ninfee. Rischiava di sparire, divorato dalla vegetazione. Ma adesso è davvero un angolino di paradiso, non c'è che dire. Ieri è andato in scena il sopralluogo dell'assessore all'Ambiente Luisa Polli e del vicesindaco Pierpaolo Roberti che ha la delega alla Protezione civile, il corpo che si sta occupando materialmente di riempire d'acqua il piccolo laghetto con le autobotti. Ci vorranno 100mila litri, quindi una ventina di camion in tutto, per raggiungere nell'arco di qualche settimana il livello d'un tempo. Le operazioni sono in corso proprio da ieri. La giunta Dipiazza è intervenuta grazie alla spinta della circoscrizione competente, la Prima, presieduta da Maja Tenze (Pd). Anche lei, ieri, era presente a Contovello per accompagnare i due assessori comunali e constatare personalmente la riuscita dell'opera. La situazione si è sbloccata in questi giorni: è stato sufficiente pulire la zona e tagliare erba e arbusti, compresa l'area giochi, per far riaffiorare lo stagno. Ridando così un altro volto al posto. Le cisterne della Protezione civile faranno il resto. Comprensibile la soddisfazione di Polli, Roberti e Tenze. «Nel corso degli anni, a causa dell'urbanizzazione, è stato bloccato il flusso naturale della falda - spiega Polli - e dei torrenti sottostanti. Nel fondo è stata poi messa l'argilla che ha fatto da tappo». «Per non parlare dei pesci rossi, delle carpe e delle tartarughe portate qui dalla gente, che hanno alterato l'habitat naturale», puntualizza Roberti. La mozione è stata sostenuta dall'intera circoscrizione, come ricorda Tenze. «Avevamo di fronte un problema ambientale che si trascinava da tempo - osserva la presidente - anche perché l'anno scorso abbiamo dovuto fronteggiare un'estate secca che ha inciso negativamente. Il laghetto era in grande sofferenza e poteva veramente scomparire». Per la conservazione dell'area la giunta Dipiazza intende ora coinvolgere la Regione. «La tutela della biodiversità - sottolinea ancora l'assessore Polli - non è una competenza comunale. Anche perché da qui si prende il sentiero che porta a Miramare, un percorso che fa parte della Rete Natura 2000. Faccio notare che la Regione Fvg è già intervenuta con progetti ad hoc in altri punti del territorio in cui l'ambiente è stato alterato. L'obiettivo è restituire al sito la sua originalità naturalistica». Il secondo step, oltre al riempimento del laghetto, è chiaro: spostare pesci rossi, carpe e tartarughe altrove. «L'idea è portarli nel parco di Miramare, in accordo con la Soprintendenza», anticipa Polli. «Dobbiamo occuparci al meglio di questo luogo che è bellissimo - insiste Tenze - anche perché dobbiamo pensare che qui, proprio da Miramare, venivano a passeggiare Massimiliano e Carlotta». Salivano a piedi lungo il sentiero e si inerpicavano fin qui, a Contovello, per raggiungere la chiesetta.

Gianpaolo Sarti

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 9 giugno 2017

 

 

"Treno+bici" nei weekend - NUOVO ORARIO
Il nuovo orario di Trenitalia, in vigore da domenica, aumenta l'offerta verso le mete turistiche. Il treno diventa anche la soluzione più comoda per raggiungere le località di villeggiatura, i parchi naturalistici, le città d'arte. Saranno raggiungibili tutte le mete turistiche regionali: Trieste, Udine, Cervignano e le spiagge di Grado, Latisana con le spiagge di Lignano e Bibione, ma anche Venzone, Gemona, Carnia, Tarvisio. Per gli amanti della bici, fino a sabato 21 ottobre, sono attivi nei weekend i nuovi collegamenti treno+bici per raggiungere la ciclovia Alpe Adria. Ventidue treni ogni fine settimana collegano Trieste, Udine, Carnia e Tarvisio alle principali località di interscambio con la ciclovia, tra cui Gemona, Venzone, Pontebba e Ugovizza. Inoltre la promozione "Weekend Fvg", il sabato e la domenica, consente di acquistare biglietti di corsa semplice scontati del 20%

 

MUGGIA - Faccia a faccia sul centro proibito alle bici
«Siamo pronti ad ascoltare proposte che possano essere utili a migliorare la situazione attuale del centro storico». Stefano Decolle, assessore alla Polizia locale, annuncia così l'incontro pubblico in programma oggi alle 18.30 nella sala Millo intitolato "Vivere il centro storico". Il tema caldo dell'appuntamento a cui presenzieranno anche il sindaco di Muggia Laura Marzi e l'assessore all'Urbanistica Francesco Bussani sarà la nuova ordinanza (attualmente congelata dalla Giunta) sul divieto di circolazione in bicicletta nel centro storico. «Insieme, alla ricerca di un equilibrio tra residenti, lavoratori e turisti, nella consapevolezza che il centro storico, oltre al cuore della comunità, rappresenta un asse fondamentale per lo sviluppo della città, abbiamo organizzato un appuntamento per dare voce a chi il centro storico lo vive, per suggerire soluzioni possibili in modo da raccogliere idee e sintetizzare proposte che aiutino anche il centro della città a vivere e crescere», racconta il vicesindaco Bussani. Ma intanto sul web, dopo il clamore suscitato dall'ordinanza, sono stati pubblicati alcuni video di protesta. Un gesto definito di "disobbedienza civile" in cui un paio di ciclisti, con telecamerina sul caschetto, si sono autoripresi mentre circolavano a bordo del loro bici attraversando le calli e piazza Marconi.

(ri.to.)

 

Ripulito il sentiero Baca rubra al Farneto
La bellezza, le peculiarità e la salvaguardia della natura apprese adottando un sentiero. "Baca rubra", ovvero bacca rossa, dal pungitopo abbondante in zona, è il nuovo nome di un vecchio sentiero del bosco Farneto che, preso a cuore dalla scuola media Codermatz e dai suoi alunni, da una "traccia" dismessa è diventato un percorso sicuro, a disposizione della città. Il Baca rubra vedrà oggi la sua inaugurazione ufficiale: dopo una presentazione alle 9.30 nella sede della VI Circoscrizione (Rotonda del Boschetto 6), il ritrovo per il taglio del nastro del sentiero escursionistico è al suo imbocco, alle 10.20. «La Circoscrizione - sottolinea la presidente Alessandra Richetti - ha condiviso gli obiettivi del progetto: l'attenzione per il verde pubblico, la scelta di sollecitare il senso di responsabilità verso il bene comune». «Sarà la scuola Codermatz - spiega l'ideatrice e referente del progetto, la docente Nadia Milievich - a occuparsi della manutenzione e del monitoraggio della zona». I ragazzi hanno realizzato cartelli e pannelli informativi per rendere agevole alla cittadinanza la fruibilità del Baca rubra.

(an. pe.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 8 giugno 2017

 

 

Dipiazza strizza l'occhio ai "runners" - Sulla viabilità di Porto vecchio il sindaco assicura a chi corre che non sarà multato
Nessun problema e nessuna multa. Ai cittadini, e in particolare ai "runners", allarmati per la nuova ordinanza che limita l'accesso al Porto vecchio, il sindaco Roberto Dipiazza ha lanciato ieri, attraverso il suo profilo Facebook, un messaggio tranquillizzante. «Tutti potere entrare, e continuare a correre», ha sottolineato il primo cittadino, aggiungendo che queste ordinanze sono atti formali, che i dirigenti devono predisporre stante «la pericolosità dell'area, che comunque esiste». Dipiazza ha rassicurato i frequentatori del Porto vecchio che nessuno verrà multato se percorrerà la bretella fra Largo città di Santos e il Magazzino 26, invitando anzi la cittadinanza a frequentare il Porto vecchio e chi già vi si reca per ragioni sportive a proseguire nell'utilizzo del tratto di strada in questione. Non solo. In relazione alla seconda ordinanza (quella che regolamenta la circolazione fra l'ingresso/uscita su viale Miramare e il Magazzino 26) il sindaco rivendica di avere aperto quell'area al traffico, e al pubblico in generale, considerato che il precedente provvedimento (un'ordinanza del marzo 2016, firmata congiuntamente dall'allora sindaco Cosolini e dall'allora commissario dell'Autorità portuale Zeno D'Agostino) vietava la circolazione sull'intera bretella, da Largo città di Santos a viale Miramare. Al di la del messaggio volto a tranquillizzare i frequentatori del Porto vecchio, e in particolare del primo tratto della bretella, sta di fatto che il provvedimento porta la firma del sindaco Dipiazza, e stabilisce il "divieto di circolazione (accesso, transito e sosta) per tutti i veicoli e per i pedoni", con una serie limitata di eccezioni. E le richieste di autorizzazione per accedere alla zona, da parte di categorie non comprese fra quelle "ammesse", dovranno essere valutate dal sindaco. L'ordinanza stabilisce inoltre che i veicoli in sosta abusiva saranno rimossi d'autorità, in quanto intralcio e pericolo per la circolazione. I funzionari con compiti di polizia stradale sono poi obbligati a far rispettare il provvedimento, procedendo nei riguardi dei trasgressori.

 

 

Rigassificatore a Capodistria - allarme del sindaco Popovic - Secondo il primo cittadino Petrol e Luka Koper stanno stilando un piano segreto
Ma gli interessati smentiscono. Impianto vietato da una direttiva del Parlamento
LUBIANA - I rigassificatori tornano d'attualità. Bocciato quello di Trieste, sta avanzando invece quello di Veglia in località Castelmuschio in Croazia. E a Capodistria, nel corso dell'ultima seduta allargata del Consiglio comunale, il sindaco Boris Popovic ha affermato che Petrol (azienda petrolifera slovena) e Luka Koper (la società che gestisce il Porto di Capodistria) stanno segretamente progettando la realizzazione di un rigassificatore. «Stanno parlando di un rigassificatore a nostra insaputa - ha ribadito come riportato dalle Primorske Novice - e il piano territoriale nazionale lo permetterebbe».Il sindaco però è stato immediatamente smentito da Petrol. «La Società Petrol non sta progettando alcun rigassificatore», si legge in una nota. Società che alle spalle dell'area portuale capodistriana ha i suoi depositi di nafta e non si occupa di gas. «In tutti i nostri progetti - prosegue Petrol - collaboriamo con le varie autorità locali della Slovenia e, quindi, anche con il Comune di Capodistria». Ergo, se ci fosse un progetto di rigassificatore l'amministrazione municipale del capoluogo del Litorale ne sarebbe stata informata. Altrettanto secca la smentita di Luka Koper. «Il piano territoriale nazionale - si legge in un documento - non prevede impianti di rigassificazione nell'area portuale, quindi qualsiasi speculazione in merito è assolutamente infondata». Il sindaco, peraltro, non ha risposto alle domande in merito al fantomatico progetto rivoltogli dai media locali. Quindi la domanda che ci si pone è: perché il primo cittadino ha lanciato pubblicamente una simile "bomba" in pasto all'opinione pubblica, quella stessa che anni fa si era mobilitata contro il rigassificatore di Zaule a Trieste? Già nel 2010 il Parlamento sloveno aveva vietato la realizzazione di rigassificatori lungo le coste dell'Adriatico. E tali impianti non sono previsti neppure nel Piano territoriale per il Porto di Capodistria varato nel 2011. Divieti che, in un'ottica futura però, mettono in difficoltà la gestione dello scalo in quanto entro il 2025 una direttiva europea impone l'esistenza di depositi di gas (a cui è equiparato il rigassificatore) in tutti i porti commerciali per rifornire le navi che vi attraccano.Ma la "offensiva" di Popovic non si ferma qui. Il sindaco infatti è riuscito a far approvare all'unanimità dei presenti in Consiglio comunale anche l'appoggio all'iniziativa nazionale referendaria nei confronti della legge approvata dal Parlamento per la realizzazione del secondo binario sulla tratta Capodistria-Divaccia. E anche qui non mancano le polemiche in quanto lo stesso primo cittadino e i suoi funzionari vengono accusati di lavorare in prima persona per la raccolta delle fire necessarie a indire la consultazione popolare. Fino ad oggi ne sono state raccolte complessivamente 17.200 e non sono sufficienti. Popovic e i suoi collaboratori rimandano le accuse al mittente sottolineando che non c'è alcun impegno dei dipendenti pubblici a favore di iniziative di privati. Politicamente, comunque precisano, la posizione espressa dal Consiglio comunale su un'infrastruttura che lo riguarda direttamente è assolutamente lecita.Sta di fatto che Popovic con il suo endorsement al referendum si è ritrovato politicamente molto vicino al Partito democratico (Sds) dell'ex premier Janez Jansa (attualmente all'opposizione ma in gran spolvero per quanto riguarda le intenzioni di voto) che ufficialmente ha "sposato" l'idea del referendum. Fonti vicine al sindaco non vedono all'orizzonte nuove alleanze politiche ma parlano di una convergenza di vedute visto che, precisano, «il ministro delle Infrastrutture non ascolta le motivazioni del Comune di Capodistria»

Mauro Manzin

 

 

 

Giornata degli oceani - All'Ogs e in città eventi per tutti
Oggi è la Giornata mondiale degli oceani che vuole incoraggiare scelte sostenibili per fronteggiare l'inquinamento. L'Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale per l'occasione promuove - insieme a Wwwf-Area marina protetta di Miramare - un ricco programma per le scuole e il pubblico di tutte le età, nella sede di via Beirut 2. Ma ecco il programma: la mattina, gli eventi del World Oceans Day sono dedicati alle scuole. Il pomeriggio, dalle 15 alle 17, il percorso è aperto a tutti e si articola in laboratori e incontri con gli scienziati. Antonio Terlizzi (Università di Trieste) parlerà di forme emergenti di inquinamento e sfruttamento delle risorse in mare; Silvia Ceramicola (Ogs) illustrerà le pericolosità naturali dei fondali dei nostri mari; Cosimo Solidoro (Ogs) spiegherà come si fanno previsioni, proiezioni e valutazioni sullo stato dei sistemi marini; Fabio Raicich (Cnr-Ismar) mostrerà il livello marino nell'Adriatico in un secolo e mezzo di osservazioni. E Maurizio Spoto (Amp; nella foto) racconterà la storia e le attività della prima Area marina protetta italiana, quella di Miramare. Sarà possibile inoltre ammirare le mostre "Le trezze del golfo di Trieste" e "Marine litter". Per prenotare le attività pomeridiane: info@riservamarinamiramare.it e 040-224147 (orario ufficio). Infine, alle 18.30, il Salone degli incanti ospita la proiezione del documentario "I segreti del golfo di Trieste" di Pietro Spirito e Luigi Zannini, introdotta da Maria Cristina Pedicchio.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 7 giugno 2017

 

 

Bretella in Porto vecchio - Scatta la rivoluzione - Chiuso al transito da oggi il tratto da Largo Santos al passaggio a livello
Accesso consentito solo da viale Miramare fino all'area del Magazzino 26
Circolazione rivoluzionata sulla bretella interna al Porto vecchio. Oggi e venerdì scattano due ordinanze che cambiano le "abitudini" di tutte le persone che, per diversi motivi, percorrono la bretella da più di qualche anno. Esattamente dal 2011, quando quel tratto di strada fu aperto per consentire l'accesso dei visitatori alla Biennale diffusa, allestita al Magazzino 26. Da oggi, dunque, la bretella viene divisa in due. Un primo tratto, da largo Città di Santos al Magazzino 20 (adiacente al 26), sul quale un'ordinanza del sindaco Roberto Dipiazza vieta la circolazione, intesa come accesso, transito e sosta. Nel secondo tratto della bretella, dal retro del Magazzino 26 all'entrata/uscita in viale Miramare, la circolazione sarà invece regolamentata da un'ordinanza del "mobility manager" Giulio Bernetti, che entrerà in vigore venerdì, trascorsi i 15 giorni dall'affissione all'albo pretorio (e dall'inserimento nel sito Rete civica). Ma andiamo con ordine. Ciclisti, podisti, pedoni e conducenti di qualsiasi mezzo, da domani non potranno più percorrere o sostare lungo la strada che dal varco di Largo Città di Santos conduce all'area del Polo museale (Magazzino 26, Centrale idrodinamica e Sottostazione elettrica). Il limite dell'area interdetta è fissato all'altezza del Magazzino 20, subito dopo l'attraversamento dei binari, da dove si accede al piazzale retrostante il Magazzino 26. In seguito al passaggio di proprietà di gran parte del Porto vecchio dall'Autorità portuale al Comune, alcuni mesi fa, la bretella è divenuta una strada di competenza comunale. Ma siccome ha le caratteristiche di un'area portuale, per ragioni di sicurezza l'amministrazione comunale ha preso una serie di provvedimenti per la circolazione e la sosta, che si sostanziano nelle due ordinanze già ricordate. Di conseguenza, chi non rispetterà i nuovi divieti potrà essere multato come avviene su qualsiasi altra strada cittadina. Non solo multe, poi, ma anche rimozioni (d'autorità) sono previste per i veicoli che verranno trovati in sosta abusiva lungo la bretella o che dovessero essere posteggiati al di fuori dei tracciati nelle zone destinate al parcheggio. Il provvedimento del sindaco prevede comunque una serie di eccezioni, che riguardano veicoli e personale dei mezzi di soccorso, i mezzi delle amministrazioni e delle autorità, i veicoli operativi delle aziende di servizio pubblico (per precisi interventi di pubblica utilità), i mezzi che hanno uno specifico permesso degli uffici comunali (manutenzioni edilizie, traslochi o allestimento di mostre), e da ultimo i veicoli e il personale della Tertrans srl, società concessionaria dell'Autorità portuale. Tutti i veicoli "ammessi" non potranno poi superare il limite dei 30 chilometri orari. Altri tipi di richieste per accedere o sostare nella zone vietata saranno valutate dal sindaco, e saranno comunque a carattere temporaneo. E veniamo al secondo provvedimento, che regolamenta circolazione e sosta nella seconda parte delle bretella - dal Magazzino 26 a viale Miramare, inclusa l'area della Centrale idrodinamica e della Sottostazione elettrica - e che, come detto, entra in vigore venerdì. Nel tratto compreso fra i varchi di ingresso/uscita in viale Miramare e il Magazzino 20 (a fianco del "26"), questa seconda ordinanza fissa il limite di velocità a 30 chilometri orari e stabilisce l'installazione di dissuasori e "rallentatori ottici" in diversi punti fra l'area antistante la Centrale idrodinamica e l'ingresso/uscita su viale Miramare. In termini di circolazione, i veicoli che escono dal Porto vecchio e si immettono su viale Miramare debbono dare la precedenza e girare a destra, in direzione del centro città. Sui tratti di strada che circondano il Magazzino 26 viene poi istituito il senso unico, con senso di marcia antiorario. Il provvedimento prevede anche la creazione di quattro aree di parcheggio per le auto: una sul lato posteriore del Magazzino 26; una seconda nello spazio fra la Centrale idrodinamica, la Sottostazione elettrica e il Magazzino 27; un'altra nello slargo fra il Magazzino 27 e il Magazzino 25; l'ultima sul tratto fra il Magazzino 27 e il Magazzino 28 (il collegamento verso viale Miramare). Sono poi previsti sette posti auto (in diversi punti) riservati ai portatori di handicap. Un'area di parcheggio riservata alle moto verrà invece creata lungo il lato Est del Magazzino 26. Anche nell'area della bretella aperta al traffico i veicoli in sosta abusiva o parcheggiati all'esterno dei tracciati, saranno rimossi.

Giuseppe Palladini

 

E all'ingresso dello scalo spuntano due voragini -
Il crollo delle volte del torrente Chiave che scorre nel sottosuolo ha provocato l'apertura di maxi buchi da cui fuoriescono acque sporche e maleodoranti
Due voragini capaci di inghiottire un furgone si sono aperte all'ingresso dell'antico scalo, pochi metri dopo il monumentale varco doganale di Largo Santos. Il responsabile è il torrente Chiave, lo stesso che sta costringendo l'amministrazione a lavori straordinari (e costosi, almeno un milione di euro) in via Carducci. Le volte in pietra della galleria del torrente rischiano di crollare per una lunghezza di 160 metri. In Porto vecchio le volte sono già collassate, almeno in due punti, interrompendo una linea di vecchi binari e lasciando intravedere delle acque non proprio limpide. Al momento, per evitare incidenti, l'area è stata recintata. A denunciarlo per primo è stato il blog di informazione indipendente "Rinascita Triestina" che ha postato la foto dei crateri. Il Comune, insomma, ha ricevuto in dote un Porto vecchio coi buchi. Dal primo gennaio infatti, come noto, l'area è sdemanializzata e quindi è di proprietà dell'amministrazione municipale. Il Chiave, o torrente Grande, è formato dall'unione di due torrenti, il Settefontane e il Farneto, riceve più a valle le acque del rio Romagna e del rio Scorcola. Raccoglie le acque di un bacino di 1.560 ettari. Il torrente, all'altezza di piazza Dalmazia, ospita un impianto che separa le acque scure da quelle chiare indirizzando le prime, attraverso un sistema idraulico a pompe, verso il depuratore di Servola e le altre verso il mare. Il Chiave sfocia infatti tra il Molo III e il Molo IV in Porto vecchio, nell'area in concessione alla Greensisam di Pierluigi Maneschi. Il problema è che la separazione delle acque non pare così efficace all'olfatto: le due voragini in Porto vecchio si presentano come una fogna a cielo aperto. I miasmi maleodoranti, con la brezza marina serale, arrivano fino alla stazione. Ne sono testimoni i finanzieri e le guardie giurate che quotidianamente presidiano l'ingresso in Porto vecchio. E ne ha fatto esperienza, probabilmente, anche la governatrice Debora Serracchiani durante la visita pochi giorni fa al pontone galleggiante Ursus, ormeggiato alla foce del Chiave. Le acque riversate in mare hanno tutta l'aria di liquami. Chi pagherà la bonifica e il ripristino della galleria del torrente Chiave in Porto vecchio? A seguito della sdemanializzazione gli oneri spettano al Municipio. «È una cosa che riguarda il Comune. La proprietà è loro. Noi per il momento abbiamo ancora la giurisdizione, ma la proprietà è comunale» spiega Mario Sommariva, segretario dell'Autorità di sistema portuale del mare Adriatico orientale. Dovrà essere il Comune quindi a mettere mano al portafogli per il Chiave, che allunga il suo conto dopo via Carducci. Il problema è che i soldi non ci sono. I 9 milioni, ritagliati dai 50 milioni stanziati dal governo con finalità culturali, non bastano neppure per infrastrutturare l'area attorno alla Centrale idrodinamica. E al momento mancano persino le risorse per mettere in sicurezza il varco aperto nel 2011 in occasione della Biennale diffusa di Vittorio Sgarbi. Del resto l'urbanizzazione primaria di tutta l'area di Porto vecchio viene stimata in almeno 300 milioni. Solo per la bonifica del Chiave si parla di 11 milioni e mezzo (4,5 milioni, invece, per il Rio Martesin). Il torrente, del resto, è un problema atavico del Porto vecchio. Attorno alla sua bonifica si è consumato un contenzioso che ha bloccato per più di 10 anni la concessione novantennale di Greensisam. «Prima opera che partirà a breve - scriveva il Piccolo il 9 agosto 2002, riportando i contenuti della convenzione siglata tra Comune e Autorità portuale - sarà la bonifica del torrente Chiave che scorre nel sottosuolo e che sfocia tra il Molo III e Molo IV. Il corso d'acqua che in passato si riversava nel canale di Ponterosso raccoglie gli scarichi meteorici e acque nere di mezza città. Da qui l'urgenza di intervenire con l'apporto dell'Acegas». Un'urgenza rimasta tale cinque anni dopo. «Il torrente Chiave ha anche inquinato tutto lo specchio d'acqua prospiciente - spiegò nel 2008 Pierluigi Maneschi, presidente di Italia Marittima -. Già oltre un anno fa abbiamo mandato alle autorità la richiesta di provvedere alla bonifica, ma com'era prevedibile non si è mossa una foglia: Comune e Autorità portuale non si mettono d'accordo su chi debba fare il lavoro». Secondo il segretario generale dell'Authority l'onere dei lavori spettava al Comune. Ma il sindaco di allora, sempre Roberto Dipiazza, non era d'accordo: «Siamo nell'ambito dei cosiddetti sottoservizi che comprendono condutture e fognature e dovrebbe essere la stessa Evergreen a realizzarli come oneri di urbanizzazione anche perché ha ottenuto in concessione cinque magazzini per novant'anni in cambio di un canone veramente modesto». L'assessore Maurizio Bucci propose un altra versione: «In base a una nuova norma di legge è la Regione competente in materia di torrenti per cui spetterà alla Regione intervenire anche in questo caso». Così nessuno fece nulla. Oggi non ci sono dubbi. Grazie all'emendamento del senatore Francesco Russo, in odore di sigillo trecentesco, è il Comune titolare di onori e oneri (oltre che odori) sull'area di Porto vecchio

Fabio Dorigo

 

 

Corsa a cinque per gestire l'Urban center - Partita da 5,2 milioni. Tra le candidature arrivate in Comune quella della cordata trainata da Tbs Group e Area di ricerca
La "pentafiche". Cinque le manifestazioni di interesse pervenute alla mezzanotte dello scorso lunedì al direttore dei Lavori Pubblici comunali, Enrico Conte: è il risultato della consultazione preliminare di mercato, lanciata dal Municipio per censire i possibili candidati a realizzare e a gestire la "casa delle start-up" in corso Cavour 2/2. Attività formativa, promozione, laboratorio: una sorta di vetrina, intitolata "Urban center", dedicata all'innovazione nel campo della salute. Il Comune ha ottenuto 5,2 milioni, tra fondi europei e regionali, per sistemare all'uopo un edificio ricevuto dall'Autorità portuale, nel quadro dell'operazione Porto Vecchio, e situato in corso Cavour. Come da premessa, cinque le risposte - senza alcun vincolo - all'invito comunale. La prima è una cordata composta da Tbs Group, Riccesi holding, studio Pierpaolo Ferrante, Facau (Giancarlo Cappellari), Biovalley Investment (Diego Bravar), fondazione Pietro Pittini. La seconda proposta è stata presentata dall'Area di ricerca. La terza dall'associazione culturale Laby, presieduta da Gabriella Marra. La quarta a cura dell'architetto Agata Lacava, che aveva partecipato al concorso di idee per riqualificare piazza Sant'Antonio. Alla quinta hanno provveduto le associazioni "Progettiamo Trieste", con la firma di Alessandro Tronchin, e "Agire", con l'autografo di Domenico Maiello. Gli uffici comunali procederanno all'istruttoria amministrativa e, possibilmente entro la fine del corrente mese, Conte vorrebbe presentare alla giunta il percorso da seguire, dai bandi al cronoprogramma. C'è un primo termine da rispettare: impiegare 200 mila euro entro il 31 dicembre 2018. Da un primissimo sguardo alla griglia degli interessati, balza all'occhio il possibile "derby" pubblico/privato tra la cordata Tbs e l'Area di ricerca. Da quanto è dato sapere, la squadra Tbs avrebbe prospettato un'operazione "double face": in prima istanza un intervento edile per sistemare l'edificio di corso Cavour, sul quale sarebbero disponibili 1,3 milioni provenienti dal Bic (vecchio finanziamento del Fondo Trieste) e una analoga cifra investita dalla cordata. In totale 2,6 milioni. Una volta compiuta la riqualificazione, entrerebbe in azione, per gestire contenitore&contenuto, un'associazione temporanea di scopo formata da Rete BioHighTech, Cbm, Confindustria, Camera di commercio, Fit, Itis, Mib, Ance. Uno sconfinato assortimento tra pubblico e privato, ricerca e industria, assistenza e costruttori. Pare che in un primo tempo fosse della partita anche il Bic, che però in extremis si sarebbe sfilato. Per comprendere appieno l'operato del Comune, occorre ricordare che il finanziamento euro-regionale presenta un problema, cioè non copre le spese di carattere edile e la programmazione triennale municipale non contempla investimenti in corso Cavour 2/2. Per non trovarsi nella paradossale situazione di rinunciare a 5,2 milioni di risorse pubbliche, gli uffici comunali hanno pensato a un "project financing" che coinvolga realtà private. Entro giugno la giunta si esprimerà sull'iter da seguire.

Massimo Greco

 

 

Sfalcio straordinario da parte del Comune - Il Giardino pubblico chiuso due giorni
Niente passeggiate nel verde e niente sosta "strategica" anti-caldo sulle panchine del Giardino pubblico "Muzio de Tommasini". Almeno per due giorni. Il perché è presto detto: il Comune di Trieste infatti, come riporta una nota diffusa nella giornata di ieri, informa che oggi, a partire dalle 8, partirà l'intervento di sfalcio straordinario. I lavori in via Giulia si protrarranno probabilmente fino a domani: il giardino sarà di conseguenza chiuso al pubblico nei due giorni previsti per i lavori. Ad ogni modo, l'intervento sarà segnalato anche attraverso opportuni cartelli posti sui cancelli di entrata dello stesso giardino. Il Giardino pubblico di via Giulia sarà peraltro interessato, probabilmente a settembre - come altre aree verdi cittadine -, dalla sistemazione in loco del fitorimedio con le "super piante" capaci di assorbire le sostanze inquinanti.

 

 

La partita del gas -  Mosca rilancia il South Stream - Dialogo avviato con Serbia e Ungheria - Lo snodo resta però la posizione bulgara
BELGRADO - Ha messo l'una contro l'altra Bruxelles e Mosca, per anni. Ha infiammato gli animi nei Balcani. Ed è finito ingloriosamente, cancellato nel 2014, su pressione dell'Ue. Ma come un'araba fenice, il defunto progetto del gasdotto South Stream potrebbe risorgere dalle sue ceneri. È quanto suggeriscono alcune mosse a sorpresa di Ungheria, Serbia e Russia, che appaiono intenzionate a rilanciare l'idea del metanodotto tanto inviso all'Unione europea. Mosse come incontri d'altissimo livello che si sono tenuti nei giorni scorsi a San Pietroburgo, in Russia. Al tavolo delle discussioni, leader del calibro di Peter Szijjarto, ministro degli Esteri d'Ungheria, il suo omologo serbo e premier ad interim, Ivica Dacic, quello russo, Sergei Lavrov. E soprattutto il potente numero uno di Gazprom, Alexei Miller.Riunioni e vertici che, ha rivelato l'agenzia di stampa ungherese Mti, avevano un solo obiettivo: resuscitare il progetto South Stream. «Serbia, Russia e Ungheria stanno riannodando il dialogo per la costruzione di un gasdotto che rifletta in parte» il percorso originario di South Stream, ha informato l'agenzia riportando dichiarazioni di Szijjarto. Szijjarto stesso ha confermato che Budapest ha tutto la convenienza alla «costruzione rapida di un altro gasdotto» in sostituzione di South Stream, d'«interesse fondamentale» per l'Ungheria perché contribuirebbe alla diversificazione delle fonti di energia. E l'Ungheria contatterà quanto prima la Commissione europea, oltre alle autorità della Bulgaria - perno fondamentale per l'eventuale realizzazione dell'opera - per discutere i prossimi passi. Unione europea che non «può scovare argomenti realistici contro questo gasdotto», ha arringato Szijjarto. E resuscitarlo sarebbe anche nell'interesse della Russia, che è pronta a far partire in fretta i lavori, anche perché tutte le joint venture con compagnie nazionali in Serbia, in Ungheria e oltre, sono ancora attive. E Mosca, ha ricordato Szijjarto, ha già iniziato a collocare, a inizio maggio, le tubazioni sui fondali del Mar Nero per il gasdotto Turkish Stream che convoglierà gas russo verso la Turchia. E da lì, questa l'idea di fondo del "mini South Stream", potrebbe biforcarsi un ramo settentrionale, attraverso Bulgaria, Serbia, Ungheria. Una boutade pre-estiva? Non proprio. Che ci sia una speciale attenzione per l'idea è stato confermato anche dalla Tv pubblica serba, che ha precisato che al momento «non ci sono conferme ufficiali», ma che nei corridoi del potere «si sta discutendo» concretamente con la Russia di «riportare in gioco South Stream». Tv che ha riportato anche le parole di Vojislav Vuletic, rappresentante dell'Associazione serba per il gas, che ha sottolineato che «si tratta di una buona notizia», soprattutto se «nel 2019 dovessero interrompersi le forniture via Ucraina». Conferme che qualcosa si stia muovendo sono arrivate infine da una delle "voci" del Cremlino, l'agenzia Sputnik, che ha riportato dichiarazioni del numero due di Gazprom, Alexander Medvedev, che ha ricordato che anche la Bulgaria «ha tutto pronto per iniziare la costruzione» del gasdotto, progetto bloccato solo «su pressione esterna». E basterebbe poco, a Sofia, per unirsi al nuovo treno chiamato "South Stream 2". Che sembra sul punto di partire.

Stefano Giantin

 

Navalprogetti - Il viaggio del gas dentro ai container L’Europa crede all’idea nata in Carso

Un container per trasportare il gas: in prima mondiale. In genere si pensa che nei 20/40 teu viaggino elettrodomestici, mobili, alimentari, macchinari ... Invece Navalprogetti, uno studio di engineering fondato nel 1975 da Nicolò Luchetta a Opicina, vuol fare del container una modalità di trasporto che supporta l’approvvigionamento energetico dell’Unione europea. E a Bruxelles hanno creduto al progetto GasVessel preparato in via dei Papaveri 21 da una équipe di 15 ingegneri con un lavoro durato oltre quattro anni. Al punto che l’europrogramma Horizon 2020 lo ha premiato con 14,5 punti su 15, ma soprattutto lo ha lautamente finanziato con circa 12 milioni di euro. Il presidente della società è Loris Cok, ingegnere navale, 75 anni fatti in aprile, già direttore del Cantiere Alto Adriatico a Muggia. Innanzitutto spiega l’obiettivo del progetto, presentato nel settembre dello scorso anno: trasportare per mare e per terra gas naturale allo stato gassoso all’interno di appositi contenitori, dai quali, senza la previa liquefazione e senza la successiva rigassificazione, la materia prima, tramite impianti situati in aree sicure (marine o terrestri), verrà infine iniettata nella rete dei metanodotti. In Italia esiste un impianto, che a Fiumicino richiama questo modulo operativo. I vantaggi, a giudizio di Loris Cok, sono ambientali e industriali, in quanto il procedimento containerizzato “salta” - come abbiamo visto - liquefazione e rigassificazione. Il container così progettato presenterà una duplice dimensione, a seconda che viaggi in mare o in treno/camion/chiatta: nel primo caso avrà un diametro di 2-3 metri e una lunghezza di 20-30 metri; nella seconda opzione 2 metri di diametro e 11 metri di lunghezza. Il prototipo sarà approntato tra due anni e mezzo, alla fine del 2019. L’operazione parte dal Carso ma implica vaste ramificazioni territoriali e internazionali, che avranno oggi all’hotel Riviera formale suggello con la firma del rappresentante Ue e dei numerosi compagni di viaggio. Vediamo la rassegna. In regione Cenergy ed Esteco operano nell’Area di ricerca, la BM Plus lavora a Buttrio e sarà la realizzatrice materiale del prototipo. La Slovenia “conferisce” Cngv; Cipro partecipa con Cyprus Hydrocarbon co.; per l’Ucraina interviene Vtg; la Norvegia è presente con Sintef Marintek; dal Belgio arriva Pno Innovation. La Germania ci mette la filiale tedesca del colosso statunitense Dow Chemical e Hanseatic Lloyd Schiffahrt. Fin dall’inizio partner di Navalprogetti è stato il registro navale “American bureau of shipping” (Abs), considerato una delle grandi firme mondiali della classificazione navale: sarà questo organismo a certificare la buona riuscita finale di GasVessel, al quale ci accinge a lavorare un battaglione di 740 ricercatori.

magr

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 6 giugno 2017

 

 

Le polveri sottili e l'ozono i nemici dell'aria in regione - Nel rapporto dell'Arpa per il 2016 i due inquinanti sono le uniche criticità
Il benzo(a)pirene sempre sotto i limiti ma "osservato speciale" in Friuli - La qualita' dell'aria nel 2016 in Friuli Venezia Giulia
TRIESTE - Nella regione la qualità dell'aria è mediamente buona. Quasi tutti i principali indicatori mostrano valori al di sotto dei limiti di legge, e le uniche criticità riguardano le polveri sottili, nella zona attorno a Pordenone, e l'ozono, soprattutto nella pianura. Questo il quadro relativo al 2016, illustrato ieri dall'assessore regionale all'Ambiente, Sara Vito, e dai vertici dell'Arpa, nella conferenza stampa con cui ogni anno si tirano le somme delle rilevazioni sul territorio regionale. Da questi rilievi emerge appunto che i livelli di diversi inquinanti sono ampiamente al di sotto dei limiti di legge. È il caso del benzene, per il quale la concentrazione media annua in tutta la regione è rimasta molto al di sotto del limite (5 microgrammi per metro cubo), e del biossido di azoto, le cui concentrazioni medie annue risultano in lenta e costante diminuzione, sempre sotto al "tetto" previsto alle norme (40 microgrammi per metro cubo). Prossime al limite analitico di rilevabilità e molto inferiori al limite, poi, le concentrazioni del biossido di zolfo. E anche quelle dei cosiddetti "metalli normati" (arsenico, nichel, cadmio e piombo) sono risultate molto al di sotto del limite in tutte le postazioni tenute sotto controllo dall'Arpa. Infine, il monossido di carbonio mostra livelli molto bassi e "tali da renderne difficoltosa la rilevazione". Fra questi inquinanti solo il benzo(a)pirene, originato da combustioni inefficienti, benché non si siano rilevati superamenti del limite di legge (media annua di 1 nanogrammo per metro cubo), lo scorso anno, in diverse stazioni della pianura friulana, ha raggiunto valori prossimi alla soglia limite, e in particolare 0,8 nanogrammi a Udine e 0,7 a Pordenone. «Continuiamo a monitorarlo - ha spiegato Fulvio Stel, responsabile dell'Arpa per la qualità dell'aria - perchè ci sono segnali che questo inquinante possa aumentare nei prossimi anni». Le criticità, come detto, sono rappresentate dalle polveri sottili e dall'ozono. Quanto alle Pm10, il limite dei 35 superamenti annui della concentrazione media giornaliera (50 microgrammi/metro cubo) è stato rilevato a Porcia (36 sforamenti) e a Brugnera (55 superamenti). Le cause, hanno spiegato i tecnici, sono da indagare: potrebbero essere locali (bassa ventilazione e quindi ristagno) o legate alla vicinanza con la pianura veneta. In ogni caso si tratta di dati legati alla variabilità delle condizioni meteo. Dati decisamente inferiori, sempre con riguardo agli sforamenti annui delle Pm10, nel resto della regione. Quanto alla situazione nei quattro capoluoghi di provincia, a Pordenone si sono rilevati 28 superamenti rispetto ai 35 fissati come limite annuo, a Udine e Gorizia gli sforamenti sono stati 15, mentre a Trieste se ne sono rilevati 10. Nell'area di Trieste, inoltre, è stato sottolineato che dal 2014 al 2016 si sono registrati dati inferiori ai limiti di legge. Rispondendo a una precisa domanda, i tecnici dell'Arpa hanno precisato che nell'area della Ferriera le polveri sottili e gli altri inquinanti sono «tenuti costantemente sotto controllo, così da poter intervenire in tempo reale, e la situazione, in tutte le stazioni di rilevamento, è molto migliorata rispetto a cinque anni fa, con valori inferiori anche di sette volte». In particolare i valori di benzo(a)pirene sono risultati inferiori ai limiti , con il massimo rilevato dalla stazione di via San Lorenzo in Selva (Rfi). Sul sito Internet dell'Arpa, alla voce "focus Ferriera", è disponibile il quadro dettagliato. Sempre in relazione alle Pm10, nel 2016 la concentrazione media annuale è stata inferiore al limite (40 microgrammi/metro cubo) in tutta la regione, e lo stesso è avvenuto, ancora lo scorso anno, con riguardo alle polveri più sottili (Pm 2.5), le cui concentrazioni sono risultate inferiori anche al valore obiettivo che dovrebbe entrare in vigore dopo il 2020. Quanto all'ozono, tipico inquinate del periodo estivo, che si forma per una reazione chimica favorita dai raggi del sole, è risultato diffuso in quasi tutta la pianura friulana, da Pordenone a Gemona, con 25 sforamenti dei limiti medi giornalieri nei territori della regione al di sotto dei 500-700 metri.«Il rapporto sulla qualità dell'aria per il 2016 - ha commentato l'assessore Sara Vito - conferma gli andamenti noti ormai da tempo, e cioè che in Friuli Venezia Giulia la qualità dell'aria è sostanzialmente buona, sebbene con la presenza di alcune criticità determinate prevalentemente da fattori climatici e geografici. L'inquinamento - ha aggiunto l'assessore - va comunque affrontato a livello sovraregionale, ed è per questo che la Regione ha aderito al progetto prepAIR, che riunisce 18 partner nazionali e internazionali, fra cui tutte le regioni del bacino padano e anche la Slovenia, che sarà presentato fra pochi giorni a Bologna».

Giuseppe Palladini

 

PORTO E AMBIENTE - Certificazione di qualità al sistema dell'Authority
Dopo l'approvazione del piano regolatore portuale che ha visto integrati, primo caso italiano, i due procedimenti di Via e di Vas, lo scalo triestino fa ancora da apripista in materia ambientale. È infatti la prima Autorità di sistema portuale italiana a ottenere la conferma e l'estensione della certificazione del proprio sistema di gestione integrato, ai sensi dell'ultima revisione degli standard 9001 e 14001. «Nel 2016 abbiamo puntato molto sul miglioramento e l'integrazione dei sistemi di gestione per la qualità e l'ambiente - dice il presidente dell'Authority Zeno D'Agostino -. Quest'ultimo step nella certificazione non rappresenta la mera acquisizione della correttezza delle procedure, ma un vero e proprio punto di riferimento per il processo di riorganizzazione che l'ente sta perseguendo». In particolare, la certificazione di qualità è stata estesa anche alla Direzione demanio e alla Direzione attività portuali. Inoltre, il Sistema qualità è stato integrato con il Sistema di gestione ambientale ed entrambi sono stati adeguati agli standard revisionati nel 2015. Il tutto, come sottolinea D'Agostino, con il fine di «aumentare la sicurezza e la tutela dell'ambiente all'interno del porto». Un secondo versante sul quale l'Authority giuliana si sta impegnando attiene alla recente revisione legislativa in materia portuale: nel contesto della riforma, è stabilito che la gestione del demanio marittimo debba avvenire esclusivamente tramite il Sistema Informativo Demanio marittimo (Sid). Il Sistema è nato per fornire supporto non solo alle pubbliche amministrazioni interessate alla gestione e alla tutela dei beni demaniali marittimi ma anche ai cittadini che intendono fruirne, rende disponibili online le banche dati che consentono la conoscenza dello stato d'uso del Demanio marittimo, insieme con procedure automatizzate. Il Sid prevede sostanzialmente l'utilizzo da parte dei concessionari di modelli di domanda normalizzati per tutte le fattispecie (rilascio di nuova concessione demaniale marittima, rinnovo della concessione, variazioni nel contenuto della concessione, subingresso ecc.). Tutte le istruzioni al link www.porto.trieste.it/ita/modulistica/concessioni-demaniali.

 

 

Tanti auguri per il futuro dei mari - Giovedì l'Ogs e il Wwf celebrano la giornata mondiale degli oceani con documentari e incontri
È dedicato alla salvaguardia del cuore blu del pianeta la giornata mondiale degli oceani che si celebra l'8 giugno. L'Ogs per l'occasione promuove insieme a Wwf Area marina protetta di Miramare un ricco programma di incontri gratuiti per le scuole e il pubblico di tutte le età nella sede di via Beirut 2, in collaborazione con Università di Trieste, Scienza Under 18 isontina, Ismar-Cnr e Comune, nell'ambito del progetto TemaRisk Fvg finanziato dalla Regione. E nel pomeriggio, alle 18.30 al Salone degli Incanti, ci sarà anche la proiezione del documentario "I segreti del golfo" di Pietro Spirito e Luigi Zannini prodotto dalla sede regionale della Rai, introdotta da Maria Cristina Pedicchio, presidente di Ogs. «Un documentario - commenta Paola Del Negro, direttrice della sezione di Oceanografia dell'Ogs - che ci accompagna a scoprire i segreti nascosti nei fondali del Golfo di Trieste, dai relitti di navi affondate nel corso delle guerre mondiali evidenziati grazie alle tecnologie di rilievo di Ogs, agli affioramenti rocciosi naturali che rappresentano le "barriere coralline" dell'Adriatico settentrionale». La rilevanza di questa manifestazione la racconta Pedicchio: «Per noi è molto importante promuovere un dialogo attivo con i cittadini. E in questa occasione abbiamo fatto squadra con altri istituti per favorire la Ocean Literacy: far capire come il mare influenza la nostra esistenza e come noi influenziamo l'esistenza del mare, partendo dal principio che l'oceano è grande, ma le sue risorse sono limitate». A organizzare la kermesse appunto anche il Wwf. «Il futuro di mari e oceani si basa su un corretto e sostenibile uso delle risorse marine e sulla creazione di una rete di aree marine protette che possa assicurare in maniera duratura la conservazione di habitat e specie. L'Amp di Miramare, gestita dal Wwf - spiega il direttore Maurizio Spoto - opera da oltre trent'anni in questo senso. A breve un nuovo ecomuseo sulla biodiversità marina adriatica nelle Scuderie di Miramare rafforzerà il ruolo educativo dell'Amp». Dalle 9 alle 13 il programma del World Oceans Day prevede per le scuole un percorso in sei tappe. Dalle analisi dei rifiuti spiaggiati, ai laboratori dedicati, alle microplastiche che dalle creme di bellezza finiscono in mare. E poi dallo studio dei sedimenti e dei fondali con la modellazione 3D, alla simulazione dell'ambiente marino. La mattinata è scandita da quattro chiacchiere con i ricercatori e i referenti dell'Accademia nautica di Trieste.Dalle 15 alle 17 il percorso è aperto a tutti e si articola in laboratori e incontri con gli scienziati. Antonio Terlizzi parlerà di forme emergenti di inquinamento e sfruttamento delle risorse in mare. Silvia Ceramicola illustrerà le pericolosità naturali dei fondali dei nostri mari. Cosimo Solidoro spiegherà come si fanno previsioni, proiezioni e valutazioni sullo stato dei sistemi marini. Fabio Raicich mostrerà il livello marino nell'Adriatico in un secolo e mezzo di osservazioni. Spoto racconterà la storia e le attività della prima Area marina protetta italiana, quella di Miramare. Visitabili pure le mostre: "Le trezze del Golfo di Trieste" sulla biodiversità dei fondali del Golfo triestino e "Marine litter" sull'inquinamento. Per prenotare le attività pomeridiane: info@riservamarinamiramare.it e 040 224147 (orario ufficio), oppure https://goo.gl/WjsJmb

Benedetta Moro

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 5 giugno 2017

 

 

Cala il sipario su Bioest tra musica e cibi veg - Bilancio positivo per la Fiera dei prodotti naturali e delle associazioni ambientaliste a San Giovanni
Bilancio positivo per Bioest 2017, la tradizionale Fiera dei prodotti naturali e delle associazioni ambientaliste, culturali e del volontariato allestita al Parco di San Giovanni a Trieste con ingresso libero. Un folto pubblico ha assistito agli eventi inseriti nel ricco cartellone della due giorni. La manifestazione, promossa dall'Associazione Bioest - Gruppo ecologista naturista di Trieste in collaborazione con il Comune e giunta alla XXIV edizione, aveva per tema la "Terra". Particolarmente ampia è stata la presenza delle associazioni per le quali Bioest da sempre rappresenta un'attesa vetrina e offre una preziosa opportunità per informare, discutere e presentare progetti. Sono state due intense giornate per conoscere, provare, condividere e divertirsi tra degustazioni, risparmio etico, biocosmesi, benessere, salute, mostre, spettacoli, musica e animazione per bambini e adulti. Andate letteralmente a ruba le corone di fiori che tradizionalmente si preparavano per la festa di San Giovanni, e hanno riscosso grande apprezzamento gli Show Cooking Vegani con degustazioni. Massiccia la presenza delle famiglie, che hanno potuto vivere al meglio gli spazi del parco e le animazioni per i bambini, durante le quali i genitori hanno avuto modo di poter visitare gli stand e frequentare le molteplici attività proposte per tutto l'arco della due giorni. Applauditi i concerti di Agrakal, Tiresia's Folk Bunch, Adriano Doronzo (accompagnato da Maxino e Franco Toro) e del Coro "Le putele dell'ARIS" e le esibizioni di Danze Greche e africane, di percussioni tradizionali africane e i corsi di campane tibetane.Grande partecipazione per le lezioni gratuite di Hatha Yoga, Taichi Chuan Chen, Yoga, Campane, Pilates,Tai Chi, Karate e Difesa Personale, Massaggio Thailandese, Verci Yoga Posturale Dinamico,Taiso, Kundalini Yoga, N.I.A. e Danza del Ventre. Molto interesse ha suscitato la serie di incontri dedicate alle neomamme e a tutto quello che ruota attorno al ciclo della vita e della nascita con la trasmissione dei saperi e delle conoscenze di chi ha già vissuto questa esperienza a chi si apprestava ad affrontare per la prima volta questa fase della vita. Un successo l'iniziativa offerta alle mamme che hanno potuto lasciare "posteggiati" e custoditi i loro passeggini e provare a utilizzare le fasce da braccio per poter passeggiare comodamente all'interno della fiera.

 

 

Ambiente - La Regione illustra il report sull'aria

Oggi alle 12.30 nella sede della Regione, in piazza dell'Unità d'Italia 1 a Trieste, l'assessore regionale all'Ambiente ed energia, Sara Vito illustrerà la Relazione sulla qualità dell'aria in Friuli Venezia Giulia nel 2016.

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 4 giugno 2017

 

 

Riscaldamento globale «Esiti catastrofici se non si interverrà» - Giorgi (Ictp): avanti così e la Terra cambierà totalmente - Il costo necessario a limitare il fenomeno è sostenibile
«La temperatura del pianeta è aumentata di circa un grado nell’ultimo secolo, a una velocità che non ha precedenti negli ultimi 11.500 anni.

TRIESTE«Il riscaldamento globale è un fenomeno reale. Il costo necessario a limitarlo è sostenibile, e se non lo facciamo potrebbe avere conseguenze catastrofiche. È una questione di volontà politica». Così il fisico dell'Ictp di Trieste Filippo Giorgi, membro dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) che nel 2007 vinse un Nobel assieme ad Al Gore, sintetizza la questione del "climate change" tornata di prepotente attualità dopo che il presidente Donald Trump ha annunciato l'uscita degli Usa dall'Accordo di Parigi sul clima. Non fa nomi, Giorgi, ma il pensiero è chiaro: conseguenze catastrofiche, appunto, se non si limiterà il riscaldamento globale.Lo scienziato ne ha parlato nella relazione tenuta davanti ai soci del Rotary Club Trieste presieduto da Maria Cristina Pedicchio. Partendo dall'illustrare le dinamiche che, con l'aumento dei gas serra, hanno innescato il fenomeno del riscaldamento. Questi gas in atmosfera, fra cui anidride carbonica e metano, spiega Giorgi, assorbono la radiazione emessa dalla superficie terrestre e la riemettono, riscaldando tanto la superficie quanto l'atmosfera. «Se non ci fossero i gas serra la temperatura del pianeta sarebbe di circa 30 gradi più bassa». L'inizio dell'Antropocene, ossia l'era in cui l'uomo influisce sul clima terrestre, ha portato però a un aumento dei gas serra che tramite una complessa rete di fenomeni sta innalzando la temperatura globale: «Ora siamo alla fine di un periodo interglaciale, quindi dovremmo stare andando nel corso delle prossime decine di migliaia verso la prossima glaciazione». E invece «la temperatura della terra è aumentata di circa un grado negli ultimi cento anni». È uno sbalzo che normalmente il pianeta affronta su una scala di 10mila anni, non di un secolo: «Una velocità che non ha precedenti nell'Olocene, ovvero negli ultimi 11.500 anni». E possiamo dire con un grado di certezza molto elevato, «circa il 95%», che questa situazione è dovuta all'intervento dell'uomo, e in buona parte all'uso dei combustibili fossili. Il riscaldamento globale porta, fra molti altri effetti, a un innalzamento del livello del mare, a eventi catastrofici sempre più frequenti e a uno scioglimento di ghiacci continentali e marini. Ora, spiega Giorgi, si aprono due scenari: rispettare quanto prospettato dagli accordi di Parigi, ovvero fermare a 2 gradi il riscaldamento rispetto ai valori pre-industriali (cioè circa un grado rispetto a quelli attuali), accedendo a uno scenario difficile ma gestibile. «Oppure adottare una linea "business as usual", ovvero andare avanti come se nulla stesse accadendo. Se continuiamo così fra qualche centinaio di anni il mare sarà 10-12 metri più alto, le circolazioni oceaniche molto diverse, e gli eventi meteorologici più estremi. L'ambiente della terra sarà completamente diverso da quello che abbiamo oggi, con una temperatura di 4 o 5 gradi più alta». Si tratta sostanzialmente di un clima simile a quello dei tempi dei dinosauri: «Tutto il carbonio di allora, che era stato preso dalla biosfera diventando poi petrolio e carbone, noi lo stiamo rimettendo in atmosfera» attraverso l'uso di combustibili fossili. Adottare una politica di forte contenimento delle emissioni avrebbe un costo iniziale che andrebbe a diminuire nel tempo, mentre il non farlo porterebbe costi sempre più vertiginosi per contenere le conseguenze del riscaldamento. «In ogni caso, il Pil impiegato di qui al 2050 per contenere le emissioni verrebbe recuperato in un anno e mezzo, due. Mi pare un prezzo sostenibile»

Gabriele Sala

 

LA SCHEDA - Da Sulmona al Premio Nobel

«Il PIL impiegato da qui al 2050 per contenere le emissioni verrebbe recuperato nel giro di qualche decina di mesi»

Nato a Sulmona nel 1959, Filippo Giorgi dalla fine degli anni Novanta opera all'Ictp, Centro internazionale di fisica teorica, di Trieste, dove è direttore della sezione di Fisica della Terra. Si è laureato in fisica nel 1982 all'Università dell'Aquila per poi ottenere il PhD nell'86 alla School of Geophysical Sciences del Georgia Institute of Technology di Atlanta negli Stati Uniti. Dopo avere lavorato come ricercatore al National Center for Atmospheric Research di Boulder, in Colorado, si è spostato a Trieste. Dal 2002 al 2008 ha fatto parte, unico scienziato italiano, dell'organo esecutivo (Bureau) del Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), organizzazione vincitrice del Premio Nobel per la pace 2007 insieme ad Al Gore. Ha contribuito alla stesura di tutti e cinque i rapporti dell'Ipcc sui cambiamenti climatici e i loro impatti.

 

 

Congelata a Muggia l'ordinanza antibici - Le polemiche frenano il divieto di pedalare in centro storico. «Dobbiamo discuterne con le parti in causa»
MUGGIA«In accordo con il sindaco abbiamo deciso di sospendere momentaneamente la pubblicazione dell'ordinanza sulle biciclette». Non è ancora un passo indietro, lascia intendere l'assessore Stefano Decolle, piuttosto un momento di riflessione, che ha indotto la giunta Marzi a congelare la tanto discussa ordinanza sul traffico dei velocipedi in centro storico a Muggia. A destare tanto clamore tra i ciclisti ma anche a livello politico - vedi lo "strappo" effettuato dal consigliere comunale Pd Marco Finocchiaro - è stata la decisione di far condurre a mano le biciclette nella zona del centro storico, ossia nell'area racchiusa nelle vie Roma, Naccari, Manzoni, Sauro e in salita alle Mura. L'unica deroga concessa quella agli under 10, esclusi dal divieto di pedalare in centro. L'ordinanza - votata e approvata dalla giunta, ma non ancora entrata in vigore non essendo pronta la cartellonistica adeguata - è stata fortemente contestata.«Invece di punire chi non rispetta queste regole togliendo a tutti la possibilità di attraversare il centro storico in bici, si corre il rischio di disincentivare l'uso di questo mezzo sostenibile che migliora il traffico, l'ambiente e la salute», aveva spiegato in una nota la sezione Fiab Ulisse Muggia, associazione di cicloturisti e ciclisti urbani. Il sodalizio aveva espresso forte preoccupazione soprattutto per dei possibili problemi di sicurezza legati a questo provvedimento, nello specifico pensando agli studenti della scuola media «che da Zindis vanno o potrebbero andare a scuola in bicicletta», oppure «ai numerosissimi bagnanti adolescenti che sempre in maggior numero usano la bicicletta. Con la chiusura del centro saranno obbligati ad utilizzare la stretta e lunga galleria per attraversare la città arrivando dal lungomare. Da questo punto di vista il pericolo l'ordinanza non lo previene ma lo crea». Sul piatto anche il discorso di un possibile effetto boomerang per quanto riguarda il turismo. Fiab Ulisse ha ricordato che lo scorso anno a Muggia sono passati undicimila cicloturisti, molti dei quali arrivati con il Delfino Verde: «È la bellezza del centro storico - ha specificato l'associazione - a trainare questa invasione pacifica e redditizia». A contestare fortemente l'ordinanza anche il consigliere Finocchiaro, portabandiera nella precedente amministrazione Nesladek della mobilità sostenibile, il quale vede in questa disposizione addirittura «una dichiarazione di guerra» ai ciclisti. «Probabilmente valuteremo di togliere le restrizioni sulle biciclette», ha spiegato ieri il sindaco Laura Marzi. Decolle, padrino del documento, conferma: «Per ora abbiamo congelato il documento in attesa di avere un confronto con le parti in causa». Convincere dunque i ciclisti a percorrere duecento metri a piedi, o giù di lì, accompagnando la propria bicicletta prima di risalire in sella e continuare a pedalare. Questa la nuova ardua sfida degli amministratori muggesani.

Riccardo Tosques

 

 

"COSTITUZIONE E PACE" - L'associazionismo in pressing per la rinascita della Val Rosandra
In occasione della "Festa della Costituzione per una Repubblica di Pace", giunta a Trieste alla settima edizione e realizzata quest'anno da Comitato Pace Dolci, Cgil, Comitato Difesa Costituzione, Legambiente, il Ponte e diverse altre associazioni, oggi al Bioest alle 16, nel parco ex Opp, avrà luogo un incontro pubblico centrato sul ripristino ambientale del Sito protetto di rilevanza europea della Val Rosandra. Il primo invitato all'iniziativa è il Comune di San Dorligo, che governa la Riserva naturale e dal quale gli organizzatori si attendono «una decisione positiva per l'avvio dell'agognato Piano di recupero della "foresta a galleria" nel Sito protetto di rilevanza europea, che dà lustro alla preziosa Val Rosandra». L'incontro sarà aperto dalla proiezione di video e foto prima e dopo il contestato intervento eseguito dalla Protezione civile regionale nel 2012.

 

Ambiente - Pronto il report della Regione sulla qualità dell'aria

Domani alle 12.30 nella sede della Regione in piazza Unità, l'assessore all'Ambiente Sara Vito presenterà la Relazione sulla qualità dell'aria in Fvg nel 2016. Il documento contiene una sintesi commentata delle rilevazioni effettuate dalla rete di stazioni di monitoraggio gestita dall'Arpa. Oltre ai dati relativi al 2016 per i principali inquinanti (PM10,PM2.5, biossido di azoto, ozono, monossido di carbonio, biossido di zolfo, benzene, benzo(a)pirene e metalli), il documento contiene anche i confronti con le rilevazioni degli anni precedenti.

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 3 giugno 2017

 

 

Al parco di San Giovanni apre Bioest - il programma
Scatta oggi alle 10, al parco di San Giovanni, Bioest, annuale fiera del biologico e dei prodotti naturali promossa da associazione Bioest-Gruppo ecologista naturista di Trieste in collaborazione con il Comune e aperta dalle 9 alle 21 con ingresso libero. Quest'anno l'evento sarà dedicato alla "Terra" e vedrà la presenza di oltre 150 espositori da Italia, Austria e Balcani. Saranno due intense giornate per conoscere, provare, condividere grazie alla presenza di oltre 50 associazioni. Per tutta la giornata, dalle 10.30 alle 18, sia oggi che domani, nello Spazio Energia Vitale (a fianco della palazzina M) si potranno provare gratuitamente Hatha Yoga, Taichi Chuan Chen, yoga, campane, Pilates. Oggi e domani alle 10 visita in apiario, alle 11 Birdwatching e alle 15 passeggiata alla scoperta degli oleoliti. Solo oggi alle 10, incontro di orticoltura. Alle 14.30 danza del ventre, alle 15 racconti ad alta voce, alle 15.30 conferenza su "Rivoluzione umana a chilometri zero" con Sabrina Gregori e Ornella Serafini. Alle 17 Arci presenterà i suoi progetti di servizio civile e alle 18 si illustreranno le opportunità di mobilità nel settore ambientale del Servizio Volontario Europeo. Alle 17, racconti sull'erba per bambini e concerto del coro Le putele dell'Aris. Alle 18 esibizione di danze greche e incontro sull'ipnosi regressiva. Alle 19 percussioni africane con Mamaya e alle 19.30 concerto degli Agrakal. Al padiglione "I" dalle 11 in poi si parlerà infine di nascita e parto naturale.

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 2 giugno 2017

 

 

Parte la sfida "Urban Center" sulle Rive - Dal Bic al Comune 1,2 milioni dell'ex Fondo Trieste necessari al restyling del palazzo che ospiterà l'europrogetto delle startup
Via libera alla ristrutturazione dell'edificio all'ingresso del Porto vecchio dove si insedierà il nuovo incubatore d'imprese operanti nel settore del bio o dell'high tech. Un passo in avanti decisivo per l'utilizzo dei 4,5 milioni di fondi europei che, tramite la Regione, sono finite nelle disponibilità del Comune.Il progetto europeo "Por Fesr", da cui sono stati ricavati i fondi, già prevedeva di insediare aziende e istituti di ricerca nel palazzo semiabbandonato di corso Cavour 2/2. Ma non contemplava che le risorse potessero venire utilizzate per coprire le spese edili. Così il Comune, per quanto avesse già individuato la sede del nuovo "Urban Center"nell'immobile afferente al Porto vecchio, non era ancora riuscito a risolvere il nodo sulla sua ristrutturazione. E ieri finalmente il coniglio è stato tratto dal cilindro. La novità è stata annunciata dall'assessore ai Progetti europei e allo sviluppo economico, Maurizio Bucci: «Il Bic di Trieste ha ceduto all'amministrazione comunale un finanziamento di 1,3 milioni di euro che aveva ottenuto dal Fondo Trieste e che giaceva inutilizzato. Grazie alla Prefettura, siamo riusciti a trovare un accordo con l'Autorità Portuale che ci permetterà di usare quel finanziamento per recuperare l'edificio senza intaccare il bilancio comunale di difficile quadratura». Che il Bic potesse essere disponibile a fare questo passo era già nell'aria, ma ora il grande interrogativo ha finalmente trovato una risposta. Bisognerà comunque attendere fino alla fine del 2018 per vedere investiti i primi 200mila euro. «La scadenza dell'utilizzo della prima tranche, inizialmente prevista entro il 2017, è slittata in corsa», spiega Bucci, assicurando comunque che «entro il 2023 l'intero progetto dovrà essere finito».Il prossimo passaggio avverrà lunedì alle 14 al Mib, dove il Comune ha convocato 110 aziende che potrebbero essere interessate a insediarsi nell'Urban Center. «L'invito è rivolto alle imprese operanti nei settori della salute, del benessere, del bio-medicale, dell'innovazione e dell'alta tecnologia. La Regione ha infatti individuato questi come principali che impegnano le imprese che si occupano di ricerca a Trieste», aggiunge il direttore dell'Area Sviluppo e innovazione del Comune, Lorenzo Bandelli. A queste ditte si possono affiancare start up e neo- aziende operanti negli stessi settori («il coinvolgimento di queste ultime è una novità contemplata dalle modifiche in corsa») verrà chiesto di partecipare a un bando con un progetto valido per insediarsi. La creazione di nuovi posti di lavoro sarà il requisito fondamentale per vincere la selezione. In palio tre dei 4,5 milioni, che saranno assegnate direttamente a loro. Il Comune deve ancora capire se, come pare, deciderà di premiare un minor numero di aziende che assicurino un maggior numero di posti di lavoro. Per l'allestimento degli strumenti informatici verranno invece usati 700mila euro dei 4,5 milioni, e i restanti 800mila andranno al privato che si incaricherà della gestione del Centro. Per individuare quest'ultimo soggetto «dotato di professionalità di altissimo livello», verrà indetta quanto prima una gara d'appalto. «Non si escludono altre forme di selezione previste dal Codice degli appalti e una partnership pubblico-privata» sottolinea il responsabile unico del procedimento, Enrico Conte.Ai 4,5 milioni di fondi si aggiungerà infine 1,2 milione di euro di derivazione europea, ottenuto dalla Regione mediante il progetto "Par".

Elena Placitelli

 

 

L'ittico in Porto vecchio sempre fermo al palo - Sopralluogo della terza commissione

«Siamo arrivati alla soluzione del molo Zero che sarà un regalo che faremo ai pescatori e ai pescivendoli. Spenderemo pochissimi euro e tra un anno in questo periodo potremo già essere dall'altra parte. Sarà il primo insediamento produttivo per la riqualificazione del Porto vecchio: mettete lo spumante in frigo». Così parlava il sindaco Roberto Dipiazza il 15 luglio 2016 a proposito del mercato ittico che era stato appena chiuso dai Nas. Ieri, 10 mesi e mezzo dopo, la Terza commissione consiliare, presieduta da Francesco di Paola Panteca, si è data appuntamento davanti alla Centrale idrodinamica, proprio difronte al molo Zero, per fare il "punto nave" sul progetto. «A che punto siamo?» domanda Everest Bertoli (Forza Italia) che ha chiesto il sopralluogo assieme ad altri consiglieri. Al punto di partenza. Il mercato ittico continua a vivere dal 1999 in uno stato di precarietà all'ex Gaslini (Scalo legnami) in virtù di una proroga concessa dall'Autorità portuale. Lo spostamento in 400 giorni, sbandierato dal sindaco, va derubricato. Non c'è nessun cantiere aperto al molo Zero e nessun trasloco imminente. Siamo all'anno zero. «Noi eravamo pronti a settembre con un primo progetto. Siamo stati bloccati dal segretario generale visto che sull'area non c'è ancora chiarezza su come saranno utilizzati i 50 milioni stanziati dal governo per fare un polo museale e scientifico», spiega l'assessore Lorenzo Giorgi.Ad affondare il mercato ittico al molo Zero è stato per primo l'incrociatore Vittorio Veneto che dovrebbe finire in Porto vecchio la sua carriera come cimelio del nuovo museo del mare. Un progetto sostenuto soprattutto dalla presidente della Regione Debora Serracchiani. «Se arriva l'incrociatore non può attraccare neanche una barchetta» spiega Giorgi. Si attende quindi una chiarezza da Roma anche sul progetto della Fincantieri che vorrebbe sistemare tra i moli Zero e Primo un porto per megayacht. Per il mercato ittico l'amministrazione aveva messo inizialmente gli occhi sul Magazzino 28 che vanta una superficie coperta di 2.994 metri quadrati. «Un po' troppo grande», spiega l'assessore. E così ora l'attenzione si è spostata sul vicino capannone, contrassegnato dal numero 30, che non è sotto tutela e quindi teoricamente può anche venir abbattuto e ricostruito ex novo, magari a due piani, per comprendere anche il Fish market, con qualche ristorante, che piace al sindaco. Costo? Si parla di quattro milioni di euro che potrebbero essere dimezzati in regime di project financing. Il Comune, infatti, non ci pensa proprio a gestire in proprio il mercato ittico (come pure, in futuro, quello ortofrutticolo). Ma è tutto da definire. L'unica nota positiva è la compatibilità del mercato ittico con l'Allegato VIII del Trattato di pace (a differenza del polo museale) assicurata dal leghista Paolo Polidori. Trieste potrebbe invadere i mercati con il pesce franco. «In virtù del Pescato VIII» sottolinea il collega Antonio Lippolis.

(fa.do.)

 

Bici nell'antico scalo, alleanza Fi-Fiab - La mozione sulla ciclabile interna per evitare viale Miramare trova concordi i ciclisti
Nuova ciclabile in arrivo in Porto vecchio? Possibile. Ieri mattina, alla riunione della Quarta Commissione del Comune di Trieste, se ne è parlato. In discussione c'era la mozione per la "Realizzazione di un tratto ciclabile in Porto Vecchio" presentata dai consiglieri comunali di Forza Italia Michele Babuder, Piero Camber e Alberto Polacco. La proposta dei consigliere della maggioranza, sostenuta anche all'associazione Fiab Ulisse, prevede di creare una ciclabile nell'ingresso nord del Porto Vecchio da via del Boveto fino all'attuale ingresso di viale Miramare. Nella mozione si ipotizza di realizzare questo percorso ciclabile riqualificando il già presente sedime ghiaioso parallelo ai binari dismessi della rete ferroviaria di Porto vecchio. Babuder, primo firmatario della mozione, sottolinea che «l'attuale pista ciclabile di viale Miramare è vetusta e disastrata» e che «occorre creare un nuovo tragitto sicuro da e verso la città». Niente di meglio che, insomma, utilizzare l'area di Porto vecchio. Fiab Trieste Ulisse condivide e sostiene questa proposta che se realizzata renderebbe più sicuri gli spostamenti in bicicletta da Trieste a Barcola, un percorso molto utilizzato in particolare d'estate da adulti, famiglie e ragazzi. L'associazione di ciclisti urbani si augura che ci sia un consenso ampio in Consiglio comunale e una veloce presa in carico da parte della giunta comunale per realizzare questa auspicata nuova infrastruttura ciclistica. Il tratto in questione è lungo quasi un chilometro è sarebbe l'ideale inizio di un percorso ciclabile sicuro e di qualità che vada a collegare Barcola con le Rive passando attraverso il Porto Vecchio. Questa realizzazione sarebbe inoltre in linea con gli impegni presi dal sindaco Roberto Dipiazza che sottoscrivendo il documento "Trieste, il futuro va in bici" si è impegnato a «prevedere nella riqualificazione del Porto Vecchio due piste ciclabili monodirezionali (continue, riconoscibili, veloci e sicure) che attraversino tutta l'area dal piazza Duca degli Abruzzi a Barcola». Nel programma del sindaco, inoltre, esiste l'obiettivo di arrivare nel medio termine di arrivare a una bici ogni dieci automobili a Trieste.

 

Muggia off limits, ciclisti in rivolta - La Fiab Ulisse chiede un incontro al sindaco Marzi. «Un freno anche al turismo»
L'ordinanza di chiusura del centro storico di Muggia, annunciata dal Comune, non va giù alla sezione locale di Fiab Ulisse, l'associazione di cicloturisti e ciclisti urbani, che esprime in una nota "forte contrarietà al provvedimento". "Sarebbe un freno sia alla mobilità urbana che al cicloturismo, entrambi in forte crescita negli ultimi anni a Muggia", spiegano dalla Fiab. "Sorprende poi che si proponga questo provvedimento restrittivo nonostante non sia mai registrato un incidente: per contrastare eventuali eccessi di singoli basterebbe applicare il codice della strada che prevede che i ciclisti debbano procedere a una velocità tale da evitare situazioni di pericolo per i pedoni. Invece di punire chi non rispetta queste regole, togliendo a tutti la possibilità di attraversare il centro storico in bici si corre il rischio di disincentivare l'uso di questo mezzo sostenibile". Inoltre, la Fiab è "preoccupata per i problemi di sicurezza: pensiamo ai ragazzi delle medie che da Zindis vanno o potrebbero andare a scuola in bici, o ai bagnanti. Con la chiusura del centro saranno obbligati a utilizzare la galleria per attraversare la città arrivando dal lungomare". Ma non basta: perché c'è anche il risvolto turistico "Muggia nel 2016 ha visto passare più di 11mila cicloturisti. In rete le notizie viaggiano velocemente: è un gioco saltare la sosta a Muggia per dirigersi a Capodistria e Isola". Quindi, Fiab Muggia Ulisse chiede su questo tema "un confronto con il sindaco Marzi per trovare delle soluzioni equilibrate che da una parte stimolino una giusta convivenza pedoni-ciclisti e dall'altra non siano da freno alla mobilità ciclistica e al cicloturismo".

 

 

EVENTI: Domani e domenica - Dai mercatini agli spettacoli - La natura è di casa a Bioest  - Per due giorni al parco di San Giovanni la fiera delle associazioni ambientaliste

Focus sulla maternità e sull’importanza dell’alimentazione a chilometro zero

Dedicata alla Terra e ai temi che parlano di maternità e ruolo delle famiglie. Si basa su queste tracce la 24° edizione di Bioest, la fiera delle associazioni ambientaliste in programma domani e domenica al parco di San Giovanni, manifestazione a cura dell'associazione Bioest Gruppo ecologista naturista di Trieste in collaborazione con il Comune di Trieste. Mercato, conferenze concerti, laboratori e vetrine di progetti in chiave di volontariato o di turismo sostenibile. Bioest anche quest'anno resta fedele ai suoi temi classici, cucinati in abbondante salsa new age nell'arco di una due giorni a ingresso libero (sabato dalle 9 alle 21, domenica dalle 9 alle 20) e che all'interno dell'ex Opp trova teatro in cinque aree distinte: Prato, Chiesa, Villas, Glicine e Rosa. L'aspetto più significativo di quest'anno, almeno sulla carta, risiede nel focus sul concetto di maternità, sulla (ri)scoperta dei valori che accompagnano la gestazione e il parto, un tema che proverà a coinvolgere bimbi, famiglie e soprattutto le stesse mamme, aspiranti o consolidate nel ruolo, grazie a una serie di appuntamenti programmati al Padiglione I del parco di San Giovanni.Tra le tappe in cartellone che riguardano il selfie ideale con la cicogna, il primo giorno della manifestazione propone "Il parto naturale" (alle 11), la "Ginnastica intima" (alle 13.30), "Yoga in gravidanza" (alle 14.30), il "Massaggio tra genitori e figli" (15.30), "La respirazione consapevole" (16.30), "Proiezione: il ragionevole dubbio" (18.30) e "Il potere sessuale della nascita" (20.30).L'altro spunto principe della 24esima edizione di Bioest si lega ai criteri dell'alimentazione a chilometro zero, altro spunto vitale ma qui trattato nelle accezioni del vegetarianesimo e del culto vegan, le scelte che da tempo caratterizzano le fonti di ristorazione presenti all'interno nella manifestazione. L'intero calendario appare nutrito da molteplici appuntamenti sparsi sui vari fronti della concezione etico-ambientalista, spaziando quindi nella cosmesi, nel risparmio energetico, nel rapporto con la natura, nei possibili sviluppi del turismo sostenibile e del volontariato, anche in forma di servizio civile targato Arci.La musica e la danza provano a ritagliarsi uno spazio portando alla ribalta la danza del ventre, il coro Le putele dell'Aris, le danze greche, le percussioni e le danze tradizionali africane, la Mediterranean Music, il folk e un concerto a cura di Adriano Doronzo. E nella parata non potevano poi mancare vari stili di yoga, Tai Chi, arti marziali, Pilates e campane tibetane. Ulteriori informazioni sulla manifestazione e il programma dettagliato viaggiano sul sito www.bioest.org o si raccolgono scrivendo a info@bioest.org o telefonando ai numeri 3287908116 e 3205738445.

Francesco Cardella

 

 

 

COMUNICATO STAMPA - GIOVEDI', 1 giugno 2017

 

 

MOVIMENTO CINQUE STELLE TRIESTE: Siderurgica Triestina è in ritardo sui lavori previsti dall'AIA, uno per tutti la copertura del parco minerali.

Vanno prese misure immediate per mettere la proprietà di fronte alle proprie responsabilità
I recenti problemi sorti sugli impianti della Ferriera, con particolare riferimento alle esplosioni verificatesi il 18 aprile, sollevano interrogativi importanti sull'opportunità di mantenere attiva l'area a caldo. Il sindaco Dipiazza ha opportunamente emesso un'ordinanza sindacale nei giorni immediatamente successivi l'incidente, alla quale però Siderurgica Triestina non ha dato seguito, ponendosi in posizione di inottemperanza a un atto ufficiale del Comune di Trieste.
Dipiazza e l'assessore Polli si sono ritrovati, insieme a Siderurgica Triestina, Arpa Fvg, Capitaneria di Porto, Invitalia e struttura commissariale (che fa capo alla presidente Debora Serracchiani) qualche giorno fa negli uffici del Ministero dell'Ambiente.
Lunedì sera in Consiglio comunale l'assessore Polli ha riportato che all'incontro il Ministero ha sollecitato la conclusione degli interventi di messa in sicurezza previsti dall'Accordo di Programma del 21/11/2014, pena il rinvio della conferenza dei servizi che dovrebbe approvare la variante al progetto definitivo del laminatoio, richiesta da Siderurgica Triestina a marzo di quest'anno. Apparentemente, senza l'approvazione della variante il laminatoio a freddo non potrà essere completato. Se in un certo senso il laminatoio a freddo dovrebbe sostituire l'area a caldo per mantenere la redditività dell'impianto, questa decisione sembra presa apposta per mantenere l'area a caldo in servizio.
L'assessore ha inoltre dichiarato che il Comune di Trieste ha richiesto l'elenco delle prescrizioni assolte da Siderurgica Triestina che sono 91 su 115 e la scadenza prevista sarebbe quella di trenta mesi ovvero il 1/5/2018.
"L'assessore dimentica che Siderurgica Triestina è già in ritardo sui lavori previsti dall'AIA, uno per tutti la copertura del parco minerali, prevista "solamente" per fine 2015 e a tutt'oggi ancora un miraggio - spiega la portavoce M5S, Cristina Bertoni -. Come dire, continuano a menare il can per l'AIA... intanto i giorni, le settimane e i mesi passano, e la Ferriera continua a emettere diossine e polveri".
"Mentre alcuni soggetti come Confindustria operano difese d'ufficio di fronte a situazioni non sostenibili - continua la portavoce pentastellata - come esplosioni e continue fumate di colori sgargianti, che certo piaceranno agli esteti dell'inquinamento ma che preoccupano non poco gli abitanti della città, il M5S Trieste, da sempre sostenitore della chiusura dell'area a caldo, ritiene che la situazione sia insostenibile e che occorra prendere misure immediate per mettere la proprietà di Siderurgica Triestina di fronte alle proprie responsabilità".
 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 1 giugno 2017

 

 

«Il progetto Spurg funzionava bene. E la giunta lo taglia»
«Tra le tante cose buone tagliate dalla giunta Dipiazza ora c'è anche il progetto Spurg (Spazi urbani in gioco): un successo che durava da diciassette anni e che l'assessore Angela Brandi butta al macero. Ci chiediamo se di mezzo non ci sia la questione dei giardini inquinati. A Trieste ci sono spazi verdi aperti: perché non usare quelli?». Lo affermano i consiglieri del Partito democratico di Trieste Giovanni Barbo e Antonella Grim, commentando la decisione dell'amministrazione comunale di cancellare il progetto Spazi urbani in gioco. Secondo i due esponenti democratici «parliamo di una delle iniziative estive di maggior successo a Trieste, che ha saputo creare aggregazione tra bambini e ragazzi negli spazi verdi della nostra città». Non si capisce dunque la scelta della nuova amministrazione. «È un progetto che è stato apprezzato e portato avanti da amministrazioni di colore diverso proprio in virtù della sua bontà e funzionalità. Lo scorso anno- aggiungono Grim e Barbo - come giunta Cosolini avevamo deciso di estendere il progetto: non più solo un'esperienza estiva, ma prolungata nel corso dell'intero anno, coinvolgendo i comitati dei genitori». Dall'estensione alla scomparsa. «Ora l'assessore Brandi lo cancella. Tra le curiose motivazioni ci sarebbe anche il fatto che si tratta di un'idea "vecchia". Ci chiediamo da quando - osservano i consiglieri dem - un progetto si elimina in quanto longevo. Al contrario, un'esperienza di successo andrebbe valorizzata e ulteriormente innovata. Spurg andrebbe portato avanti, continuando a coinvolgere ragazzi, famiglie e le tante associazioni che in questi anni si sono distinte per l'ottimo lavoro svolto». Eppure neppure un anno fa l'assessore Brandi, appena entrata in carica, si era espressa in tutt'altro modo: «Si tratta di un progetto storico, nato 15 anni fa e che è stato inserito tra le buone pratiche dell'Osservatorio nazionale della famiglia» dichiarò nel 1uglio 2016.

 

 

Il 18 luglio la firma del ministro FRANCESCHINI - Il rilancio del Museo ferroviario passa dal valico di Monrupino
Da Campo Marzio a Miramare. E in Slovenia e Austria attraverso il valico ferroviario di Monrupino. Save the date. Il prossimo 18 luglio verrà sottoscritto, alla presenza del ministro dei Beni e delle Attività culturali Dario Franceschini, il protocollo per l'avvio dei lavori finalizzati al ripristino della stazione museo di Campo Marzio di Trieste che sarà collegata al Castello di Miramare, ripercorrendo la vecchia ferrovia di Rozzol, che verrà completamente riattivata. È questo uno dei punti affrontati ieri a Trieste nell'incontro che la presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, ha avuto con il presidente della Fondazione Fs, Mauro Moretti, davanti al sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza. Presente all'incontro il direttore della Fondazione Fs Luigi Francesco Cantamessa che il giorno prima aveva anticipato l'accordo ai volontari del Museo ferroviario di Campo Marzio. Si tratta di un'opera dal valore complessivo di 18 milioni di euro, la cui prima fase dei lavori di recupero e restauro comporta una spesa di quattro milioni.«L'obiettivo - spiega Moretti - sulla scorta di quanto la Fondazione ha fatto in altre parti d'Italia è creare un percorso capace di attrarre un importante flusso turistico di qualità proveniente da tutta Europa valorizzando dei siti che prima erano inutilizzati». E il «Friuli Venezia Giulia - sottolinea Cantamessa- è la seconda regione in Italia per investimenti nel turismo sostenibile su rotaia». Tra le novità ci sarà la riattivazione dell'antico valico di Monrupino, da dove si entrava ai tempi della Jugoslavia quando non era ancora attivo il transito di Villa Opicina. «Questo consentirà - spiega Serracchiani - di far arrivare treni turistici dalla Slovenia e dall'Austria». Il fine di questo processo articolato e concreto è quello di offrire un prodotto turistico importante, che può diventare un concreto volano economico per Trieste e la regione.  Soddisfazione infine per la road map tracciata, che vede nel 18 luglio la prossima tappa, è stata espressa da Dipiazza, il quale ha previsto nell'area della stazione di Campo Marzio un'area di forte attrattività turistica in vista della realizzazione del Parco del Mare vicino alla Lanterna e dello spostamento del mercato ortofrutticolo con la realizzazione di future strutture alberghiere dotate di Spa.Il piano di recupero predisposto dalla Fondazione Fs prevede, in una prima fase, il restauro dell'area aperta al pubblico - lungo via Giulio Cesare - dove sarà esposta la collezione di cimeli ferroviari fra cui alcuni pezzi unici sia italiani che dell'ex impero austroungarico. Il restauro sarà finanziato grazie al contributo economico del ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo (due milioni), della Regione Fvg (750mila euro) e del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, proprietario dell'immobile (un milione). Il Museo ferroviario di Campo Marzio, che sarà gestito dopo il restauro dalla Fondazione Fs, ha sede nella ex stazione terminale dell'antica linea austroungarica Trieste-Vienna. La collezione dei treni storici contenuta nel Museo, ancora raccordato alla rete ferroviaria in esercizio, è unica nel suo genere e il sito può essere stazione di origine per viaggi con treni d'epoca all'interno della Regione o verso l'Austria e la Slovenia, tramite appunto l'antico valico di Monrupino.

(fa.do.)

 

 

Trump verso la rottura dell'intesa - Il rischio: 3 miliardi di tonnellate di Co2 in più ogni anno
Secondo gli esperti di varie università e think tank, l'uscita degli Stati Uniti dall'accordo di Parigi aggiungerebbe 3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica (Co2) all'anno alle emissioni globali, aumentando la temperatura della Terra da 0, 1 a 0, 3 gradi per la fine del secolo. L'Accordo di Parigi impegna i paesi firmatari a contenere il riscaldamento globale entro i 2 gradi dai livelli pre-industriali, se possibile entro 1, 5 gradi. Già oggi le temperature medie sono 1 grado sopra i livelli pre-industriali, un cambiamento avvenuto in massima parte negli ultimi decenni. Con l'Accordo i 195 stati firmatari hanno preso impegni di riduzione delle emissioni. Ma per gli esperti, questi impegni sono insufficienti a garantire l'obiettivo dei 2 gradi e dovrebbero essere aggiornati. Lasciare l'intesa non sarebbe facile per gli Usa, causa i vincoli internazionali, e comporterebbe defatiganti battaglie diplomatiche, in stile Brexit. Le opzioni di uscita sono almeno tre. I paesi firmatari dell'Accordo non possono uscire prima di tre anni, e la procedura di uscita dura un altro anno. Trump non potrebbe sbarazzarsi dei vincoli di Parigi prima del 2020, a meno di violare il diritto internazionale. Una scorciatoia sarebbe quella di abbandonare del tutto la Convenzione Onu sui cambiamenti climatici, l'Unfcc, che Trump ha aspramente criticato in passato. La terza opzione sarebbe che Washington pretendesse di rinegoziare i suoi obiettivi di taglio delle emissioni, avviando una guerra diplomatica di logoramento.

 

Legambiente - In Italia alluvioni e ondate di calore per 126 Comuni
ROMA - I cambiamenti climatici minacciano il Pianeta. Gli impatti sono evidenti soprattutto sulle città, dove vive il maggior numero di persone. In Italia per esempio negli ultimi sette anni, dal 2010 ad oggi, sono stati 126 i Comuni italiani in cui si sono verificati "effetti" per via dei 242 fenomeni meteorologici estremi, provocando danni all'ambiente e sulla salute dei cittadini. Il bilancio è stato messo a punto da Legambiente in un report che offre una mappa degli impatti dei cambiamenti climatici (alluvioni, piogge estreme, violente nevicate, lunghi periodi di siccità e ondate di calore). Legambiente - che ha lanciato anche l'osservatorio on-line'cittaclima. it'- fa presente che sono proprio le città a pagare di più con 98 casi di danni alle infrastrutture, 56 giorni di stop di autobus e metro (tra cui 19 a Roma, 15 a Milano, 10 a Genova), 55 giorni di blackout elettrici (il più lungo a gennaio 2017, in una settimana oltre 150 mila case senza luce e riscaldamento per le forti nevicate in Abruzzo). Ma, soprattutto con oltre 145 vittime e oltre 40 mila persone evacuate. Dal report emerge che ci sono stati 8 casi di danni al patrimonio storico, 44 casi di eventi tra frane causate da piogge intense e trombe d'aria, 40 eventi causati da esondazioni fluviali. Tra le grandi città, Roma negli ultimi setti anni ha registrato 17 episodi di allagamento intenso. Tra le regioni più colpite da alluvioni e trombe d'aria, la Sicilia con più di 25 eventi. A questo bisogna sommare la fragilità del suolo italiano, dove si registra «un elevato rischio idrogeologico» in 7. 145 Comuni (l'88%) e «oltre 7 milioni di italiani» esposti. Dal 2013 al 2016 sono state colpite 18 Regioni da 102 alluvioni o frane, sono stati aperti 56 stati di emergenza; dal censimento dei danni si stima che il fabbisogno per fronteggiare l'emergenza emerge è di 7, 6 miliardi di euro. Da considerare anche le ondate di calore: nel 2015 hanno causato 2. 754 morti tra gli over 65 in 21 città italiane. Per esempio, a Roma è stato stimato un incremento della mortalità pari a più 34% nel 2015. Per il vicepresidente di Legambiente Edoardo Zanchini «le città non possono essere più lasciate sole. Cambia il clima e devono cambiare le politiche e bisogna approvare il Piano nazionale di adattamento».

 

In FVG -  Arriva l’ok alla caccia alle nutrie Il consiglio regionale approva le norme mirate a limitare i roditori

TRIESTE - Nutrie, soccorso alpino, vaccini, sistema idrico, uso del velo islamico e welfare. È un consiglio regionale tuttologo, quello riunitosi ieri per l'approvazione di tre leggi e la discussione di altrettante mozioni. - Nutrie La giornata comincia con l'ok trasversale (contrario solo il M5S) alle norme mirate all'eradicazione dei roditori che si stanno diffondendo in modo incontrollato anche in Friuli Venezia Giulia, provocando danni alle coltivazioni e agli argini dei corsi d'acqua. La legge prevede un piano triennale per la limitazione del fenomeno, che includerà forme di controllo delle nascite ma soprattutto un'estensione dei limiti per la caccia di questi animali. Se per Diego Moretti (Pd) «si risponde a una reale emergenza», Mara Piccin (Fi) parla di «testo coraggioso, non ideologicamente antianimalista ma necessario per evitare i danni». Secondo Ilaria Dal Zovo (M5S) «serve invece una gestione attraverso metodi non letali». L'assessore Panontin spiega tuttavia che «le norme pianificatorie già in atto hanno mostrato scarsa efficacia». Soccorso alpino Via libera unanime alla legge che razionalizza il Soccorso alpino regionale, inserendolo nel sistema sanitario dell'emergenza e urgenza, sia per quanto attiene gli indirizzi strategici, sia dal punto di vista operativo e finanziario. La novità di maggiore impatto per l'utenza sta nella scelta di prevedere una compartecipazione della spesa, qualora chi chiede l'aiuto dell'elicottero non abbia bisogno di ricevere soccorso medico. A sostenere parzialmente i costi dell'elisoccorso, anche in caso di infortunio, saranno infine i praticanti degli sport estremi. Grazie alla proposta di Luca Ciriani (Fdi), la legge prevede inoltre la possibilità di noleggio di trasmettitori gps da parte degli escursionisti, che consentano l'individuazione della posizione in assenza di segnale telefonico. Un emendamento della giunta assegna infine 120mila euro all'anno ai Comuni che vogliano attrezzare campi sportivi e altre strutture per le attività di elisoccorso.Vaccini Votata all'unanimità anche la mozione del Pd sulla promozione della cultura vaccinale, che evidenzia la necessità di una sensibilizzazione che porti la popolazione a vaccinarsi per convinzione, al di là degli obblighi di legge. Il testo invita a realizzare campagne informative e a rafforzare il ruolo informativo di medici di famiglia e pediatri. Secondo l'assessore Maria Sandra Telesca, «non sempre è necessaria la coercizione: giusto recuperare una capacità di dialogo con con le famiglie».Il resto della giornata Il consiglio ha inoltre approvato la modifica di alcuni aspetti tecnici per consentire l'avvio definitivo dell'Autorità unica per i servizi idrici e rifiuti (Ausir), rimandando invece la discussione sulla mozione con cui Barbara Zilli (Ln) chiedeva il divieto dell'uso del velo islamico in scuole, ospedali, mezzi pubblici e uffici. Approvata infine solo la parte della mozione di Cristian Sergo (M5S) in cui si domanda che la misura di sostegno al reddito sia tarata così da essere erogata anche ai possessori di prima casa che non percepiscano un reddito e siano dunque senza liquidità.

Diego D'Amelio

 

 

Knulp - "ColOURs", docufilm sui profughi
Creare un'occasione per riflettere sull'accoglienza dei richiedenti asilo sul territorio: è questo l'obiettivo della proiezione, alle 18.30 al Knulp, del documentario "ColOURs" realizzato da Elisa Cozzarini per Legambiente lo scorso autunno a Gradisca d'Isonzo. In questa cittadina di circa 6.500 abitanti, come è noto, da anni è presente un Cara, centro di accoglienza che ospita attualmente circa 500 persone. Chi sono i richiedenti asilo ospiti del Cara? Come passano le loro giornate? Il documentario cerca di rispondere a queste domande. L'appuntamento è organizzato dal circolo Verdeazzurro di Trieste. Sarà presente l'autrice, che dialogherà con Erika Cei, fotografa. Interverrà Stefano Mantovani, presidente di Cooperativa Noncello, storica realtà della provincia di Pordenone che si occupa di inserimento socio-lavorativo e di accoglienza dei richiedenti asilo. L'ingresso è libero fino a esaurimento posti.

 

 

Comitato Danilo Dolci - Letture e riflessioni in piazza Cavana.

Il richiamo forte alla Costituzione, le immagini figurate di Ro Marcenaro degli articoli della Carta, musiche e riflessioni, letture animate. Saranno questo gli ingredienti dell'incontro in programma oggi alle 17.30 in piazza Cavana promosso in occasione della Festa delle repubblica dal Comitato per la pace Danilo Dolci. L'incontro terminerà con un concerto giovanile dei Bencazzadadiscoparty2.

oggi
Repubblica, la Festa con il Comitato Dolci
Il Comitato pace Danilo Dolci organizza oggi la festa della Repubblica. Il programma: alle 17.30, in Cavana, introduzione da parte di Michele Piga (Cgil); alle 17.45 presentazione "La Costituzione secondo Ro Marcenaro"; alle 18 performance "Io sono possibile" realizzata da Oltre quella sedia; alle 18.15 letture animate sulla Costituzione con Teatrobàndus; alle 18.45 spettacolo "Esercizi di Costituzione" con i Teatranti da diporto (allievi del Nautico-Galvani); alle 19.20 letture animate sulla Costituzione con Il Ponte; alle 19.20 presentazione di immagini, filmati "Il sacco della Val Rosandra" a cura di Legambiente; alle 19.50 Conversazione sulle politiche di pace e di accoglienza a cura del Comitato Danilo Dolci.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 31 maggio 2017

 

 

Museo ferroviario, restyling da settembre - Il direttore della Fondazione Fs scopre le carte. A breve la firma dell'accordo rifare facciata e interni. Caccia ad altri 15 milioni
La svolta c'è davvero. E ha due date: luglio, innanzitutto, per la firma di un accordo con cui dare il via ufficiale ai lavori, e settembre per aprire i cantieri veri e propri. Ieri mattina il brioso direttore di Fondazione Fs, Luigi Cantamessa, ha scoperto le carte sul futuro del Museo Ferroviario. La riqualificazione interesserà sia la facciata che gli interni per 4 milioni di euro.

I soldi ci sono. Ma l'intenzione è andare avanti e trasformare anche la parte dei binari in qualcosa che va a metà tra il vecchio e il nuovo. Il vecchio: ripristinare la struttura di un tempo installando una copertura architettonica simile alla stazione di Milano, così come esisteva ai tempi dell'impero austroungarico. Il futuro: fare in modo che la stessa area sia utilizzabile, a mo' di piazzale, per eventi e mostre. «Qui verrà una cosa spettacolare - ha detto il funzionario durante una riunione con i responsabili del museo - però serve un cambio di mentalità».L'accordo La Fondazione Fs si sta muovendo per portare a Trieste, già a luglio, i vertici delle Ferrovie dello Stato e il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini. L'intenzione è di organizzare un incontro con la presidente della Regione Debora Serracchiani e il sindaco Roberto Dipiazza per firmare l'accordo che darà origine all'avvio dei cantieri. «Stiamo lavorando con la Sovrintendenza, che è un attore principale per il nulla osta», avverte Cantamessa.L'ala museale «Questo museo tornerà com'era una volta, cioè un'antica ferrovia austroungarica», ha anticipato il dirigente della Fondazione Fs. Si parla di «restauro conservativo» dell'esistente, ma con l'aggiunta di «tecnologia a basso impatto» in chiave moderna, ha precisato il manager, per favorire le visite dei turisti e delle scolaresche. L'inizio degli interventi è programmato per settembre o comunque non più tardi di ottobre. Andranno rifatte le facciate che danno su via Giulio Cesare, tetti, muri, serramenti, impianti elettrici, riscaldamento e infissi. È previsto il ripristino delle parti in legno originario mantenendo il mobilio d'epoca. Costo dell'opera? 4 milioni di euro: 2 sono ministeriali, uno lo mette la Fondazione Fs e circa 750 la Regione. Non si escludono anche risorse comunali. In ogni caso, l'intervento parte a settembre e si protrae per circa dieci-dodici mesi.La volta esterna Un tempo la stazione di Campo Marzio era dotata di una grande volta esterna sul lato dei binari, smantellata durante la guerra. L'intenzione è ripristinarla costruendo una struttura in ferro e vetro simile a quella di Milano centrale, ricalcando i disegni dell'epoca. «Andremo a ristabilire qualcosa di meraviglioso che servirà a proteggere i treni dal degrado ma, soprattutto, ricreare all'esterno una piazza al coperto», ha evidenziato il manager. «Immagino uno spazio esteso sui quattro binari, di cui uno a disposizione per il collegamento Campo Marzio-Miramare, da usare per concerti e meeting. I treni vanno e vengono per l'utilizzo turistico, ma l'area è ottima per gli eventi - ha annunciato il direttore - perché quando le carrozze storiche sono ferme, non fai altro che spostarle e mettere sul pavimento delle tavole tra un marciapiede e l'altro, così realizzi il piazzale». La stima dei lavori, considerando anche questa parte dell'intervento per cui esiste già un progetto e una perizia, raggiunge complessivamente i 20 milioni di euro.«Come Fondazione, grazie all'interlocuzione del ministro Franceschini, della presidente Serracchiani e delle Ferrovie - ha puntualizzato Cantamessa - abbiamo trovato i primi 4 milioni e possiamo iniziare, questo mi pare già un dato importante che ci permette di aprire i cantieri per il museo a settembre. Per il resto vanno trovati altri 10-15 milioni, ma mi pare che l'intenzione ci sia. Anche perché su questa città ormai, a cominciare dal porto e dal Porto vecchio, c'è un'attenzione nazionale e internazionale che non vedo altrove»

Gianpaolo Sarti

 

In carrozza da Campo Marzio a Miramare - Viaggio inaugurale in estate con Franceschini. In futuro corse ogni weekend. E si pensa al biglietto unico
Il taglio del nastro per la ristrutturazione del museo dell'ex stazione di Campo Marzio è atteso dunque a luglio con i vertici di Ferrovie, ministero dei Beni culturali, Regione e Comune. Sarà anche l'occasione per un viaggio inaugurale con un treno storico, del 1920, che arriverà appositamente da Milano per percorrere la vecchia linea Campo Marzio-Miramare. Il tratto diventerà pienamente funzionante per i triestini, e naturalmente per i turisti, non appena si concluderanno i lavori. L'intenzione, in futuro, è impiegare le carrozze d'epoca ogni fine settimana per ricreare una sorta di "rondò" che seguirà questo percorso: Campo Marzio-Rozzol-Villa Opicina-Bivio di Aurisina-Stazione di Miramare con accesso pedonale al castello. Si pensa a un biglietto unico museo-treno-parco. «La potenzialità è enorme, perché le carrozze transiteranno su un itinerario meraviglioso lungo i binari ottocenteschi di Trieste con vista sul golfo», ha osservato il direttore della Fondazione Fs Luigi Cantamessa. «I costoni delle gallerie sono già in sicurezza - ha spiegato il funzionario - quindi a luglio potremo simulare questa partenza. Così il museo sarà una cosa unica in Europa, perché non sarà né statico né polveroso, ma una realtà dinamica. Va detto che questa struttura rappresenterà la storia delle ferrovie nel compartimento di Trieste ma anche il secondo museo nazionale delle Fs. Il primo è a Pietrarsa a Napoli». La tappa della Campo Marzio-Miramare, fino a Opicina, percorre l'unico tratto italiano della vecchia ferrovia Transalpina. «Cioè il collegamento tra il porto di Trieste e il centro dell'impero austroungarico - precisa Roberto Carollo, responsabile del museo ferroviario - quindi si parte da Campo Marzio per transitare lungo la linea Rozzol-Guardiella. È un tracciato forse poco conosciuto ai più, ma è una ferrovia che abbiamo in città e passa nella zona di San Giacomo e poi risale, appunto, verso Rozzol dietro l'ippodromo e poi va a Guardiella. Ha degli scorci bellissimi, come il viadotto che si trova nei pressi di via San Cilino, oltre l'università. Così si arriva a Opicina, dove si inverte la marcia per tornare a Trieste centrale facendo tappa ad Aurisina e Miramare». Il museo di Campo Marzio conserva carrozze, macchinari, cimeli, targhe, archivi e ricostruzioni modellistiche. La struttura è gestita da un gruppo di appassionati e studiosi associati al Dopolavoro ferroviario.

(g.s.)

 

In piazza Libertà “lifting” ai servizi igienici

Non c'è solo Campo Marzio. Perché sono in programma dei lavori anche alla stazione ferroviaria di piazza Libertà. Nella prima settimana di giugno, infatti, inizieranno gli interventi di ristrutturazione completa dei servizi igienici che si trovano all'interno della struttura di piazza Libertà. Lo annuncia Centostazioni, la società del gruppo Ferrovie dello Stato italiane. L'intervento, rende noto un comunicato stampa, è destinato a protrarsi grosso modo per tre mesi, stando al progetto. Per consentire l'intera riqualificazione degli ambienti, per tutta la durata del cantiere saranno installati tre bagni provvisori all'esterno del fabbricato viaggiatori, lato via Flavio Gioia. Un'apposita segnaletica, precisa la nota, ne indicherà la direzione. I box wc temporanei, in particolare, saranno naturalmente distinti per uomini, donne e disabili. Nello stesso periodo sarà sospeso il pagamento del servizio, deciso soltanto alcuni mesi fa. L'investimento dei lavori ammonta complessivamente a centosettantaduemila euro.

(g. s.)

 

 

Il rilancio di Porto vecchio in cinque mosse Ernst & Young svela lo studio finale. Previste aree tematiche dedicate a intrattenimento, nautica, servizi, ricerca e congressi

Dicembre 2017: piano definitivo per il recupero del Porto vecchio. Inizio 2018: avvio degli interventi di sviluppo. Annus Domini 2029: Trieste è una città diversa, con un centro storico raddoppiato sul mare. È l'orizzonte da sogno tratteggiato dai manager della società Ernst & Young ieri sera alla centrale idrodinamica, dove hanno presentato il risultato dello studio commissionato dal Comune nel 2016. In platea sedavano rappresentanti di Comune, Regione, Soprintendenza, Camera di commercio, enti scientifici. Nei prossimi mesi si vedrà che possibilità avranno questi auspici di tramutarsi in fatti. Ad esporre i contenuti dello studio c'erano il partner di E&Y Andrea Bassanino e il senior manager Pietro Sepe. Il piano prevede la divisione del Porto vecchio in cinque aree: quella “leisure e intrattenimento” è la più estesa per E&Y è fondamentale per la «rigenerazione dell'intera area». Questo spazio dovrebbe estendersi dal terrapieno di Barcola fino a lambire la Centrale idrodinamica. Il secondo è l'ambito nautico, più focalizzato e improntato al potenziamento del traffico passeggeri. E&Y lo colloca all'ingresso del Porto, vicino al centro. Segue verso nord un'area multi servizi, volta ad essere fruibile h24. Il quarto ambito è “ricerca e formazione”, destinato a valorizzare il carattere di Trieste come città scientifica, compresa tra il multi servizi e l'ultimo ambito, quello congressuale, che si collocherebbe nella zona del magazzino 26 e della centrale idrodinamica. L'idea è sviluppare il tutto in tre fasi parzialmente sovrapposte: un avviamento 2018-2022, una fase intermedia 2022-2024 circa, il consolidamento fino al 2029. La società ha proposto anche una linea di lavoro per i cinque ambiti sulle tre fasi, e anche Sepe ha sottolineato come tutti gli ambiti vadano realizzati in parziale simultaneità: «Il recupero del Porto vecchio non deve essere un cantiere decennale chiuso. Bisogna partire da subito con le cose immediatamente fruibili dalla popolazione, ma poi avviare anche gli altri interventi». Bassanino ha sottolineato come la determinazione e la certezza del risultato siano fondamentali per attrarre gli investitori: «È importante che nelle prime fasi di sviluppo del progetto si dia l'idea di rispettare i tempi. Bisogna dare l'impressione agli investitori internazionali che è chiara l'evoluzione del percorso e che le cose si fanno veramente». La serata è stata aperta da un intervento dell'ex sindaco Roberto Cosolini: «Ringrazio il sindaco Roberto Dipiazza per l'invito. Dallo studio ci aspettiamo un apporto indispensabile per costruire un masterplan strategico. Anche perché questo intervento è inedito nella storia delle rigenerazioni urbane: di solito si recuperano aree portuali più piccole in città molto più grandi». Il sindaco Dipiazza ha dichiarato che negli ultimi mesi il Porto vecchio di Trieste ha attratto le attenzioni di potenziali investitori austriaci, americani, russi, tedeschi: «Arrivano richieste di interessamento per tutto l’antico scalo, neanche per singole parti». Sullo sviluppo dell'area «dovremo inserire un minimo di residenzialità, attorno al 10%, in maniera da mantenere viva la zona anche la sera». L'assessore regionale alla Cultura Fvg Gianni Torrenti ha dichiarato: «Dobbiamo dare il segnale che questa volta lo sviluppo del Porto vecchio di Trieste si farà. Troppi anni sono passati dai primi progetti, lo scetticismo è cresciuto e noi dobbiamo combatterlo». Le risorse «non sono molte» ma la cooperazione tra tutti gli enti coinvolti «dà finalmente l'idea che forse non possiamo più sottrarci». L'assessore comunale al Bilancio Giorgio Rossi ha parlato di «forte condivisione di obiettivi e strategie» e illustrato quanto il Comune sta facendo per infrastrutturare l'area. Al termine della presentazione, l'assessore al Demanio Lorenzo Giorgi ha commentato: «È uno studio di base che va implementato. Ciò che dobbiamo capire è chi sono gli imprenditori che devono investire. Serve qualcosa di più». Critico l'assessore al Turismo Maurizio Bucci: «Manca un elemento fondamentale: il mare. Bisogna creare un fulcro, ad esempio una stazione marittima, che con effetto domino consenta lo sviluppo di tutta l'area».

Giovanni Tomasin

 

 

Rigassificatore a Veglia - l'Ue stanzia 102 milioni - L'opera sarà conclusa nel 2019. Già disponibili i tre quarti dei finanziamenti
A regime l'impianto potrà lavorare 6 miliardi di metri cubi di metano all'anno
ZAGABRIA - Nei Balcani si sta combattendo una guerra strategica per la distribuzione delle risorse energetiche. Se Trieste ha rinunciato al rigassificatore a Zaule, la Croazia sta procedendo speditamente sulla realizzazione del medesimo impianto sull'isola di Veglia. Un'infrastruttura che bene si inserisce nel risiko energetico che si sta giocando nella regione tra la Russia di Vladimir Putin e gli Stati Uniti di Donald Trump.E nella vicenda si inserisce anche l'Unione europea che proprio per il rigassificatore di Veglia ha concesso al governo di Zagabria finanziamenti pari a 102 milioni di euro. L'obiettivo di Bruxelles è quello di uscire dalla servitù del monopolio russo nel metano. Della realizzazione del progetto si sta interessando anche il Qatar che, assieme all'Algeria sarebbe uno dei principali Paesi fornitori di gas.Ma c'è di più. L'Ue ha garantito, come scrive il Sole 24 ore, altri 40,5 milioni di euro per finanziare la realizzazione del progetto croato-sloveno del miglioramento del trasporto dell'energia elettrica inalta tensione denominato Sincro Grid. Ricordiamo che nei mesi scorsi la Commissione Ue ha approvato 18 progetti energetici per un totale di 444 milioni finanziati dal fondo europeo Connecting Europe Facility.Ma la Croazia non si ferma al rigassificatore di Veglia. Zagabria sta studiando, infatti, la realizzazione di un gasdotto per collegarsi al tratto balcanico del metanodotto Tap, opera fortemente contestata in Puglia. Il progetto prevede una condotta lunga 500 chilometri per un costo stimato di 620 milioni di euro che si allaccerà al Tap in Albania per poi portare il gas fino a Spalato.Nel intricato quadro si inserisce, come detto, anche la politica degli Usa la quale ha praticamente posto il veto alla Croazia di vendere le proprie quote della raffineria Ina di Fiume al colosso del gas russo Rosnyeft. Ma il Cremlino non sta certo a guardare e, dopo aver firmato l'accordo con la Turchia per la realizzazione della cosiddetta Turkish Stream che giungerà fino alla porzione europea del Paese di Erdogan, sta già trattando con i governi di Atene e Sofia per prolungare il tracciato del gasdotto verso Nordovest. L'ulteriore mossa sarà quella di far giungere il progetto nel cuore dei Balcani. L'impianto a Castelmuschio (Omislaj) di Veglia potrà rigassificare 6 miliardi di metri cubi di metano all'anno ed è stato progettato dalla Lng Hrvatska. Molti, come detto, gli investitori internazionali interessati all'impianto che ha avuto una forte accelerazione quando l'Italia ha abbandonato il progetto di Trieste. L'opera dovrebbe essere conclusa nel 2019 e, finora, ha già ricevuto quasi i due terzi dei finanziamenti necessari stimati in 363 milioni di euro.Le prospettive di utilizzo dei grandi impianti di rigassificazione sono molto ampie, per esempio per alimentare i motori delle grandi navi o flotte di camion. Proprio in quest'ottica il rigassificatore di Veglia potrebbe assumere un ruolo importante anche negli sviluppi della cosiddetta nuova Via della seta patrocinata dalla Cina e che vede i porti dell'Alto Adriatico in prima fila nell'imponente idea di Pechino di sviluppo dei traffici dal proprio Paese verso l'Unione europea.Quella della nuova mobilità e dell'energia, viste le sinergie che possono essere messe in atto proprio tra generazione elettrica, reti metanifere e grandi trasporti, dunque, è una carta vincente, per rispettare i vincoli ambientali dettati dall'Unione europea da qui al 2030

Mauro Manzin

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 30 maggio 2017

 

 

Museo ferroviario a un passo dalla svolta - Oggi il sopralluogo del direttore di Fondazione Fs Cantamessa. Attesa per l’avvio dei primi lavori di restauro da 3,5 milioni
Il “super museo ferroviario” di Campo Marzio a Trieste? «Stiamo per metterci mano. Sarebbe il perfetto contraltare adriatico del polo di Napoli. E anch’io ho un sogno: collegare le due città con un treno notturno che dia accesso gratuito a entrambi i musei». Il sogno è di Luigi Cantamessa, rivelato a fine marzo a Paolo Rumiz alla vigilia del restauro del museo ferroviario di Pietrarsa, alle porte di Napoli. Oggi il giovane direttore della Fondazione Fs sarà a Trieste quasi in incognito a rivelare se il suo sogno può diventare realtà. È atteso attorno a mezzogiorno a Campo Marzio. «Siamo stati allertati - spiega Roberto Carollo, responsabile del museo gestito dai volontari di Ferstoria -. Non sappiamo però cosa verrà a dirci». L’attesa, dopo gli annunci di fine anno, è grande. Come le aspettative. Non ci sono conferme, però, di incontri con le istituzioni interessate: Comune e Regione. A fine dicembre erano stata annunciate le risorse già disponibili (3,5 milioni) per dare il via a un primo lotto di interventi sulla Stazione di Campo Marzio, che ospita il museo ferroviario, riguardante il restauro della facciata di via Giulio Cesare, il rifacimento del tetto dell'area espositiva e il ripristino dei vetusti impianti e serramenti della zona aperta al pubblico. Soldi scovati grazie alla collaborazione fra ministero dei Beni culturali, Fondazione Fs e Regione. Dalla legge di stabilità regionale arrivano 500mila euro. La parte più cospicua la mettono il Mibact (2 milioni) e la Fondazione Fs (1 milione), nata nel 2013 per preservare il patrimonio storico delle Ferrovie italiane. La situazione si era sbloccata dopo un incontro fra Cantamessa e la presidente della Regione Debora Serracchiani per individuare il percorso per avviare i lavori sulla stazione asburgica della Transalpina. Il restauro complessivo della struttura, dei binari e della vecchia volta in metallo (attualmente scoperta) richiederebbe 12 milioni. «Per questo primo lotto manca ancora mezzo milione: il Comune è un player fondamentale e speriamo possa fare la sua parte», disse nell’occasione Cantamessa, parlando di «un progetto ambizioso di stazione museo, da cui possano partire treni turistici sull'anello che unisce Campo Marzio, Opicina, Aurisina, Miramare e Stazione centrale». La Fondazione avrebbe consegnato a metà gennaio il progetto alla Soprintendenza: «Si tratta di interventi conservativi, basati sui progetti ottocenteschi, senza intromissione di elementi moderni», spiegò l’ingegnere Cantamessa. L’intenzione era di «partire in primavera e restituire in un anno il primo lotto alla bellezza originaria. Poi serviranno risorse per le successive due fasi. Ci vogliono finanziamenti importanti che speriamo arrivino anche da fondi europei: vedrete questa stazione della Sübahn come non l'avete mai vista». Un sogno che è anche una promessa.

Fabio Dorigo

 

La “desertificazione” ferroviaria con l’Istria e con Fiume - La lettera del giorno di Luigi Bianchi

Il rilancio di un sogno che viene da molto lontano. Livio Dorigo continua a pensare al futuro della “Ciceria” con un preciso disegno che sposa ecologia ed economia, per la rivitalizzazione di quello che resta “unico e autentico spartiacque di civiltà, tra mondo mediterraneo e Danubio”, secondo il pensiero di Paolo Rumiz. Ma anche il sogno di Dorigo, come quello di Rumiz, si scontra con la dura realtà delle comunicazioni ferroviarie dell’Istria. Con la caduta dei confini e con la divisione della Jugoslavia, la continuità della rotaia europea è stata compromessa, in contrasto con l’esigenza del coordinamento e dell’integrazione dei trasporti, che è alla base della mobilità sostenibile a misura di pedone e della logistica di livello europeo. Oggi non esiste un collegamento ferroviario tra Trieste e Pola, così come tra Fiume e Trieste. Tre porti che, secondo Romano Prodi, dovrebbero promuovere il sistema portuale dell’Alto Adriatico con Venezia e Ravenna. La “cura del ferro” di Zeno D’Agostino, che ha portato il porto di Trieste a un importante sviluppo delle relazioni ferroviarie europee, non può trovare applicazione in Istria, con evidenti ricadute negative sul traffico merci e sul servizio viaggiatori. Non mancano gli studi, numerosi sono i convegni ma la dura realtà è la desertificazione della rotaia istriana che incide pesantemente sull’economia e sul turismo. Un barlume di speranza per un’inversione di tendenza sul piano infrastrutturale si apre con il comunicato del gruppo FS sulla lettera di intenti, firmata a Zagabria per la cooperazione tra reti ai fini del Corridoio merci mediterraneo: Rete Ferroviaria Italiana ha pianificato interventi di potenziamento infrastrutturale che consentiranno un significativo miglioramento del trasporto merci nel breve-medio periodo. Preoccupante è invece il silenzio di Trenitalia riguardo alla ripresa di un’azione commerciale con Slovenia e Croazia, sia per le merci che per i viaggiatori, possibile con le attuali infrastrutture ferroviarie. Se non si sfruttano prontamente le opportunità si compromette lo sviluppo dei traffici, cargo e passeggeri, che non possono aspettare la realizzazione delle opere. I dirottamenti sono senza ritorno, in mancanza di una seria iniziativa commerciale. Che cosa impedisce di realizzare subito un Minuetto, ma anche una Littorina, Trieste-Pola e Trieste-Fiume ? FS-Trenitalia dovrebbe decidersi a convocare una conferenza dei servizi con le Ferrovie slovene e croate per la rivitalizzazione del servizio passeggeri con l’Istria, nel quadro della rivisitazione, o meglio della ricostruzione delle relazioni ferroviarie ai transiti orientali, trascurati proprio con la caduta dei confini. Abbandonare tale iniziativa significa arrendersi al “tutto gomma” e rinunciare alla “cura del ferro” che è alla base del coordinamento e dell’integrazione dei trasporti, vitale non solo per l’Istria.

 

 

L’olio delle fritture domestiche trova “casa” - In arrivo i primi contenitori specifici per lo smaltimento. Funziona la raccolta dei lubrificanti industriali
Saranno quattro, in corrispondenza dei centri di raccolta delle immondizie già attivi in città, i punti in cui sarà possibile, a breve, smaltire gli oli derivanti da fritture domestiche. L’ha annunciato ieri l'assessore comunale Luisa Polli, a margine dell'appuntamento allestito dal Consorzio obbligatorio degli oli usati (Coou) che ha organizzato, in piazza del Ponterosso, l'ultima tappa del tour nazionale "CircOLIamo - Campagna educativa itinerante". «Sarà sufficiente raccogliere fra le mura di casa, in un contenitore che potrà essere di qualsiasi tipo, l'olio che rimane al termine di una frittura. Raggiunta una quantità significativa, ogni cittadino potrà utilizzare gratuitamente questo servizio, il cui risultato in termini di salvaguardia ambientale è evidente» ha esordito Polli. «Per abitudine infatti - ha continuato l'assessore con delega all’Ambiente - si scaricano gli oli esausti delle cucine nel wc di casa, ma questo comportamento implica gravi conseguenze nell'equilibrio ambientale, perché quell'olio finisce, pressoché integro, in mare». «Ecco perché - conclude - invitiamo fin d'ora i triestini e tutti i residenti a portare l'olio esausto nei centri di raccolta, non appena avremo predisposti i necessari contenitori, che saranno facilmente identificabili da apposite scritte». Si tratta di una novità assoluta per la città, che ieri è stata portata a esempio positivo nell'ambito della campagna nazionale che punta a stimolare gli operatori economici a smaltire correttamente gli oli lubrificanti usati. «Sono state oltre 1.185 le tonnellate di oli lubrificanti usati raccolte sul territorio provinciale nel 2016 su un totale di 3.995 recuperate nell'intero Friuli Venezia Giulia. Nell'ambito della campagna “CircOLIamo”» ha aggiunto Paolo Tomasi, presidente del Consorzio. «In due anni abbiamo percorso circa 19mila km, toccando gran parte del capoluoghi provinciali del Paese, coinvolgendo circa 10mila studenti, principali destinatari del messaggio che intendiamo lanciare» ha concluso. Nel 2016 il Coou, che coordina 74 aziende private di raccolta e gestisce quattro impianti di rigenerazione distribuiti sul territorio nazionale, ha raccolto complessivamente 177mila tonnellate di olio lubrificante usato «un risultato - ha chiosato Tomasi - molto vicino al 100% del potenziale raccoglibile».

Ugo Salvini

 

 

Bici proibite in centro, scintille tra Pd e giunta - Il consigliere Finocchiaro: «Testo inutile e non condiviso». L’assessore Decolle: «No alle lobby nel partito»
MUGGIA «Né il Circolo del Partito democratico né la maggioranza sapevano di questa iniziativa che è una dichiarazione di guerra alle biciclette». L’ordinanza contro i ciclisti in cento storico adottata dalla giunta Marzi (sarà possibile solo muoversi accompagnando a mano la bici) ha suscitato subito delle aspre polemiche. Non tanto da parte dei partiti di opposizione, bensì dalla maggioranza stessa. Ad ergersi a paladino dei mezzi a due ruote è il consigliere comunale nonché ex assessore ai Lavori pubblici Marco Finocchiaro: «Bastava far rispettare le regole esistenti senza far passare questa dichiarazione di guerra alle biciclette. Non condivido né il metodo né il contenuto di questa iniziativa di cui il Circolo Pd e i consiglieri di maggioranza non erano a conoscenza». Secondo l’esponente del Pd «il nostro Codice della strada e la nostra pianificazione contengono già tutti gli strumenti per una condivisione delle strade ed anche delle aree pedonali senza dotarsi di questa ulteriore limitazione che ritengo fuori luogo». Finocchiaro cita nello specifico l’articolo 182, comma 4, del Codice della strada, inerente la circolazione dei velocipedi: «I ciclisti devono condurre il veicolo a mano quando, per le condizioni della circolazione, siano di intralcio o di pericolo per i pedoni. In tal caso sono assimilati ai pedoni e devono usare la comune diligenza e la comune prudenza». Il consigliere dem mette poi sul piatto anche la parte seconda della Circolare della Pcm del 31 marzo 1993, numero 432: «Nel caso in cui la circolazione ciclistica sia consentita in promiscuo con i pedoni, i ciclisti debbono procedere a una velocità tale da evitare situazioni di pericolo con velocità generalmente non superiore ai 10 orari». Pronta la replica dell’assessore alla polizia locale Stefano Decolle (del Pd anche lui), padrino dell'ordinanza contestata: «L’ordinanza è stata valutata dalla giunta ed è passata nel luogo istituzionalmente più adatto. Da un punto di vista politico mi rende perplesso che venga vista solo questa parte del documento e non la forte regolamentazione che verrà finalmente applicata al traffico veicolare del centro storico». Decolle, che evidenzia ancora come «i documenti esistenti non bastavano», auspica «vivamente che il Pd non si divida per lobby, in questo caso i ciclisti che difendono i ciclisti, perché un partito politico è ben altra qualcosa». A cercare di chiudere la querelle è il vicesindaco Francesco Bussani, nonché segretario del Circolo Pd muggesano: «Confermo che la tematica non è stata discussa all’interno del Circolo. Difendo l’ordinanza perché, pur essendo la nostra amministrazione a favore delle piste ciclabili e della mobilità sostenibile, la situazione nel centro storico andava regolamentata in difesa delle categorie più deboli quali bambini e anziani. Certo, sarebbe anche sempre auspicabile condividere le tematiche con il Circolo, soprattutto se queste possono avere degli effetti impattanti sulla vita dei nostri cittadini».

(tosq.)

 

 

Eni e Fincantieri insieme per il gas naturale - Intesa di collaborazione per ricerca e sviluppo di sistemi energetici a partire dalla filiera del gnl
MILANO Fincantieri va a tutto gas. E punta fare sistema anche con i big nazionali dell'industria. All'indomani della firma ufficiale per l'acquisizione di Stx France, che creerà l'Airbus dei mari della crocieristica, il gruppo navalmeccanico triestino ha sottoscritto un accordo con Eni per la ricerca e lo sviluppo di sistemi energetici a gas naturale. Un'intesa che a prima vista dovrebbe interessare solo gli addetti ai lavori. Ma non è così. Intanto perché due campioni nazionali, tra le ultime industrie di rilievo del sistema paese, provano a mettere a fattor comune competenze e tecnologie. E poi perché il gas naturale liquefatto sembra configurarsi come il sistema di alimentazione del futuro del trasporto via mare (e non solo) perché permette di ridurre il volume specifico del gas di 600 volte e consente così lo stoccaggio a costi molto competitivi. Eni e Fincantieri non si sbilanciano su progetti futuri. Ma non nascondono l'ambizione di lanciare una collaborazione ad ampio raggio lungo tutta la catena di trasporto di gas naturale e Gnl. Le due aziende lavoreranno assieme per mettere a punto progetti relativi a piattaforme galleggianti per produzione offshore e la valutazione di progetti energetici a ridotto impatto ambientale. Ma questo è solo un primo passo. Nonostante "l'antipatia" dei connazionali per il Gnl, o meglio quella dei decisori politici per i rigassificatori, l'Italia comincia a dotarsi di una rete di distributori a gnl. Oggi nel paese ce ne sono una decina e servono soprattutto ai grandi tir che con un pieno di Gnl possono percorrere anche 900 km. Fincantieri non è a digiuno di Gnl. Nel 2015 il gruppo guidato da Giuseppe Bono ha messo in mare un traghetto alimentato a Gnl Gauthier, realizzato negli stabilimenti di Castellamare di Stabia e destinato alla società di trasporti marittima del Québec. Dal quartier generale di Trieste, la società spiega che l'accordo con Eni non prevede - almeno per ora - lo sviluppo di tecnologie destinate al mercato del trasporto passeggeri. L’intesa mira innanzitutto a ricerca e sviluppo di sistemi energetici che potranno essere usati in tutta la filiera. Quanto a Eni, l'accordo s’inquadra nella strategia del Cane a Sei Zampe che prevede un forte impegno sul fronte del climate change, dello sviluppo sostenibile e del sostegno all'uso del gas per trasporto. Infine, va ricordato che le maggiori compagnie di crociere, come Costa e Msc, hanno già ordinato alcune navi alimentate a Lng. Una Msc sarà sviluppata dai cantieri francesi ex Stx, ora Fincantieri.

Christian Benna

 

 

AMBIENTE - LA TRATTATIVA - Il G7 continua con la scienza - A Trieste summit sui mari - Esperti da tutto il mondo a confronto per lanciare l’offensiva anti inquinamento

Obiettivo spingere i grandi della Terra a farsi carico della salute di golfi e oceani

TRIESTE Il G7, che si è appena concluso a Taormina, in realtà continua, anche sui temi della scienza. E passa pure per Trieste, dove da oggi al primo giugno si terrà l'evento satellite “Progettazione condivisa di un sistema efficiente e sostenibile per l'osservazione dei mari costieri nei Paesi in via di sviluppo”, legato all'iniziativa più ampia “Il futuro dei mari e degli oceani” e in preparazione al G7 Scienza di Torino in settembre. A parteciparvi 15 esperti provenienti dagli Stati membri del G7 ed emergenti. I lavori si svolgeranno nella sede del Centro internazionale di fisica teorica a Grignano e saranno coordinati dall'Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (Ogs) e dal britannico National Oceanography Centre. Il meeting ha l’obiettivo di contribuire all'agenda del summit annuale dei ministri, quest'anno capitanato e ospitato dall'Italia, evidenziando il ruolo essenziale dello studio dei mari regionali per contribuire a “fotografare” lo stato di salute dell’oceano globale. Sarà dunque discussa l'importanza del fatto che in molte aree deve essere accelerato il potenziamento delle competenze e delle tecnologie oceanografiche e la loro connessione con le esigenze di conoscenza richieste dagli sviluppi dell'economia blu. «La salute degli oceani - puntualizza Maria Cristina Pedicchio, presidente dell'Ogs - è considerata cruciale anche per lo sviluppo economico e il suo monitoraggio è un prerequisito fondamentale per promuovere la salvaguardia e l'uso responsabile delle risorse marine e, in generale, uno sviluppo sostenibile, anche attraverso la creazione di nuove professionalità in campo marino e marittimo». Tutto il sistema di check-up dei mari è strettamente correlato ad un altro tema che verrà affrontato: quello dell'inquinamento. Lo scopo delle piattaforme automatiche che misurano il mare costiero, e dell'intervento umano tramite raccolta di campioni e studio di inquinanti e contaminanti, è proprio quello di dare un'allerta tempestiva delle condizioni delle acque. E dunque prevenire e intervenire. «L'Italia - spiega il ricercatore di Ogs Alessandro Crise, incaricato di co-dirigere il gruppo - ha fatto pressione in particolare affinché si parlasse di mari regionali e coste. Il G7 è formato da Paesi che geograficamente hanno di fronte un oceano. L’Italia è l'unica con una situazione diversa, abbiamo il Mediterraneo, che ha una priorità per motivi scientifici, socio-economici e politici e la scienza ha un ruolo importante anche come motore di Science diplomacy: il fatto di avere rapporti con Paesi indipendentemente dal loro status politico è importante per mantenere vivi i contatti con una comunità ampia, anche perché il mare non ha confini e così nemmeno la scienza». Nel corso dell'incontro verranno esaminate e approfondite le buone pratiche adottate nelle attuali reti di analisi costiera e le iniziative in corso. Verranno inoltre valutati i problemi e le esigenze specifiche dei sistemi di osservazione regionale per il controllo continuo marino e costiero, soprattutto per quanto riguarda i Paesi emergenti, per individuare i requisiti minimi, gli strumenti e le infrastrutture adeguate. Ma non occorre andare lontano, perché anche nella costa Est e Ovest dell'Area adriatico-ionica «ci sarebbe la necessità di partire con azioni sulla stessa linea di quelle che approfondiremo a livello globale, perché ci siamo resi conto in un recente incontro, che anche in questa zona la conoscenza è tutt'altro che uniforme, il monitoraggio non è sufficientemente esteso e inoltre c'è una frammentazione di iniziative e programmi». Cosa emergerà da questo convegno? «Il nostro obiettivo ora è che nel comunicato congiunto al G7 Scienza di Torino - spiega Crise -, si ribadisca una volta di più che è indispensabile continuare a progredire nella conoscenza del mare e nella necessità di mantenere reti di indagine multidisciplinare che coprano tutto il globo, dal mare aperto fino alle regioni costiere, perché il mare è uno, un'importante sorgente di vita e di biodiversità, che raccoglie anche importantissimi interessi economici, che via via si sviluppano e non si può avere uno sfruttamento sostenibile delle risorse marine, che non sono infinite, senza un’adeguata conoscenza e monitoraggio». Al termine dei lavori di Trieste verrà prodotto un documento di sintesi «semplice e breve, in modo da essere compreso dai politici» annuncia Crise, per sottolineare la necessità di fare crescere le competenze per l'osservazione e il monitoraggio degli oceani anche nei Paesi che non sono avvantaggiati, per i quali l’economia blu gioca un ruolo chiave. Il documento verrà infine integrato con le azioni previste dall'iniziativa G7 “Il futuro dei mari e degli oceani”

Benedetta Moro

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 29 maggio 2017

 

 

Canovella torna pulita con i rifugiati - Spiaggia liberata da un “mare” di rifiuti grazie alla campagna di Legambiente
DUINO AURISINA-  In seguito al monitoraggio “Beach litter” di Legambiente a fine aprile su 62 spiagge italiane, è stata trovata una media di 670 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia. L’84% degli oggetti trovati è di plastica e il 64% dei rifiuti spiaggiati proviene da oggetti usa e getta. Su www.legambiente.it/marinelitter si può vedere la mappa interattiva dei rifiuti e le foto: rifiuti di ogni forma, genere, dimensione e colore, compresi blister di medicinali, aghi da insulina, assorbenti e preservativi, frutto della cattiva gestione a monte e dell’abbandono consapevole, continuano infatti ad invadere le spiagge italiane e quelle del resto del Mediterraneo, e Canovella de’ Zoppoli non fa eccezione, tanto che la spiaggia triestina è stata fra le protagoniste della tradizionale campagna di sensibilizzazione di Legambiente denominata “Spiagge e fondali puliti” per smuovere le coscienze e incoraggiare una corretta gestione dei rifiuti e una partecipazione attiva tesa al rispetto della natura e del mare. Sabato, con il contributo di Sammontana, i volontari di Legambiente Trieste, con l’aiuto di Trieste Altruista e dei richiedenti asilo assistiti dall’Ics, hanno così raccolto numerosi sacchi di rifiuti spiaggiati o abbandonati proprio lungo la spiaggia di Canovella, scelta grazie a 670 like sui social. Il risultato finale è di ben 665 rifiuti, per il 93% di plastica: soprattutto pezzi di reti per la coltivazione dei mitili (43%), frammenti di plastica e polistirolo (21%), tappi e coperchi (6%), bottiglie e contenitori di plastica (4%).

(vedi l'articolo)

 

“L’Armata degli scarti viventi”: ragazzi, ecco il secondo indizio del concorso - il contest
“L’Armata degli scarti viventi” è il contest di ShorTs International Film Festival in collaborazione con “Il Piccolo” e AcegasApsAmga dedicato ai ragazzi che vogliono passare due giornate a divertirsi, imparando a riutilizzare quello che ogni giorno scartiamo e farne un film. Il contest è dedicato ai ragazzi dai dieci ai quattordici anni, ma verranno accolte anche proposte fantasiose, divertenti e realizzabili anche se i proponenti saranno più piccoli o più grandi. Il laboratorio di animazione sarà tenuto dal regista Francesco Filippi alla Mediateca (in via Roma 19, a Trieste) sabato 1 e domenica 2 luglio dalle 10 alle 18 e sarà a numero chiuso. Potranno essere accolti al massimo quindici ragazzi. Che cosa bisogna fare per iscriversi? Raccogli tutti gli indizi che trovi qui accanto fino a domenica 4 giugno: sono gli spunti per liberare la tua fantasia. Per candidare la tua creatura e te stesso per il laboratorio pratico con Francesco Filippi bisogna registrarsi alla pagina dedicata sul sito www.maremetraggio.com e compilare il form relativo. Alla fine del laboratorio tutti i personaggi creati verranno animati con la tecnica della stop motion dando vita a un cortometraggio di animazione inventato dai ragazzi, che verrà presentato al pubblico la sera di domenica 2 luglio in piazza Verdi assieme ai ragazzi e al regista Francesco Filippi.

 

 

Muggia dichiara fuorilegge le bici nel centro storico - Arriva l’obbligo di portare a mano i velocipedi all’interno delle cinta murarie
L’unica deroga sarà per i bambini sotto i dieci anni. Multe fino a 168 euro
MUGGIA - Divieto di circolazione in bicicletta e nuove limitazioni per gli autoveicoli. Sono le principali novità adottate dall’amministrazione comunale di Muggia che, a pochi giorni dall’inizio dell’estate, ha approvato un’ordinanza con molti provvedimenti in materia di viabilità che interesseranno il centro storico. Perentorio l’assessore al Turismo e alla Polizia locale Stefano Decolle: «Basta sfrecciare a 30 all’ora per le calli». La novità più eclatante riguarda i velocipedi. Istituendo di fatto un’area pedonale nel centro storico, individuata in vie, calli e piazze ricadenti all’interno dell’antica cinta muraria e specificatamente racchiusa nelle vie Roma, Naccari, Manzoni e Sauro e in salita alle Mura, il Comune ha deciso che le biciclette dovranno essere rigorosamente condotte a mano. L’unica deroga sarà per i bambini, per l’esattezza per i minori di 10 anni. «Non abbiamo mai registrato un incidente conclamato, ma da diverso tempo stiamo ricevendo tante lamentele da parte dei muggesani per i ciclisti che sfrecciano nel centro storico», racconta Decolle. Tra le giornate più critiche il sabato mattina, ma anche il giovedì, giorno di mercato. «Non nascondo che soprattutto in estate i turisti siano più disciplinati dei muggesani in bicicletta - aggiunge Decolle - quindi abbiamo deciso di produrre delle regole chiare e certe». I trasgressori saranno puniti secondo il Codice della strada con sanzioni che andranno da un minimo di 41 ad un massimo di 168 euro. Nell’area pedonale all’interno del centro storico si è deciso di utilizzare il pugno duro anche con gli autoveicoli. Nell’area vigerà il divieto di transito e sosta con rimozione forzata per tutte le categorie di veicoli a motore, ma con alcuni distinguo. I mezzi di privati residenti nel centro storico con garanzia di rimessaggio in garage o cortili, quelli privati per scarico merci (traslochi, lavori edili vincolati ai permessi rilasciati dagli uffici competenti) e i mezzi di trasporto merci per le attività commerciali operanti all’interno dell’area potranno accedere dalle 6 alle 9.30 e nei mesi da novembre ad aprile anche dalle 19 alle 20. Potranno essere utilizzati esclusivamente mezzi fino a 35 quintali di massa, con un tempo massimo consentito di 30 minuti (l’esposizione dell’ora di arrivo sarà obbligatoria) e transito a velocità non superiore ai 10 orari. Potranno inoltre accedere al centro storico i mezzi di accompagnamento di funerali, matrimoni e unioni civili, ciascuno per un totale massimo di tre auto. Consentito anche il transito di mezzi a servizio delle manifestazioni autorizzate, delle persone disabili o adibiti al trasporto delle stesse, per visite ed assistenza domiciliare, ma anche di taxi, mezzi di soccorso ed emergenza e infine di mezzi utilizzati da imprese aventi quale attività specifica la consegna a domicilio di bombole di gas o altri combustibili. Il percorso a traffico limitato riguarderà via Dante (accesso da via Battisti), piazza Santa Lucia, la parte discendente di via Verdi e passo Marcuzzi. Ma quando saranno attive le nuove disposizioni? «L’ordinanza entrerà in vigore contestualmente alla posa della segnaletica - spiega Decolle - quindi ci sarà tutto il tempo per abituarsi a queste nuove regole che abbiamo deciso di adottare in seguito ai consigli ricevuti in questi anni da parte dei cittadini muggesani». A conti fatti, dunque, entro l’inizio dell’estate sarà vietato pedalare in bicicletta in centro.

Riccardo Tosques

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 28 maggio 2017

 

 

Le due ruote - Bici rimosse La Fiab chiede un confronto col Municipio
«In questi giorni la polizia municipale sta tagliando i lucchetti delle catene e rimuovendo bici parcheggiate. Ma il nuovo regolamento è applicato correttamente?». Se lo chiede Federico Zadnich della Fiab-Ulisse. «I vigili stanno portando via anche le bici parcheggiate in aree pedonali, non abbandonate e che non intralciano», fa notare il rappresentante dell’associazione che domanda un confronto con il vicesindaco Pierpaolo Roberti e con il comandante della polizia locale Sergio Abbate. «Il tono usato nel comunicato di Fiab-Ulisse mi ha lasciato stupefatto ed amareggiato - replica il comandante dei vigili urbani -, insinua il sospetto che la polizia locale agisca arbitrariamente e non sulla base delle leggi. Sia perciò chiaro - conclude Abbate - che la polizia locale agisce sempre secondo la legge. Se poi qualcuno dovesse ritenere di aver subito un torto, potrà utilizzare tutti quegli strumenti di difesa che sempre la legge mette a disposizione di chiunque». Sul caso interviene anche il Movimento 5 Stelle Trieste: «Il centrodestra in Circoscrizione ha più volte bocciato la nostra mozione finalizzata alla realizzazione di nuove rastrelliere a San Giovanni, Chiadino e Rozzol vicino a scuole, uffici postali, palestre, luoghi di culto e di aggregazione», rilevano i consiglieri M5S della Sesta Alessandra Richetti, Emanuela Segulin e Stefano Fonda. «Critichiamo duramente l’ipocrisia del centrodestra - aggiungono - che a parole incentiva lo sviluppo della mobilità sostenibile ma nei fatti la ostacola in tutti i modi».

(g.s.)

 

Biciclette fuori legge? Allora serve par condicio con le auto - LA LETTERA DEL GIORNO di Sandra Zoglia

Leggo a pagina 26 de Il Piccolo di oggi (26 Maggio) che il Comune avrebbe dichiarato guerra alle biciclette “fuori legge”, anche alla luce delle numerose segnalazioni pervenute dalla cittadinanza. La domanda sorge spontanea: le segnalazioni di auto in perenne sosta vietata sono forse di meno? Eppure direi che le contravvenzioni sono numerose ed abbastanza evidenti, di certo non solo tra i pedoni. Faccio un breve riepilogo di quanto segnalato più e più volte alla Polizia locale, evidentemente senza grande successo. Premetto che le zone che segnalo sono solo le poche in cui mi trovo a transitare abitualmente, ma va da sé che il campione è abbastanza rappresentativo. Per esempio le auto sostano ormai costantemente ed in tutta tranquillità in via Ghega (di fronte alla nota gelateria), spesso parcheggiate direttamente a pettine e sul marciapiede. In questa maniera causano rallentamenti pesanti del traffico, che in quella zona come sappiamo è particolarmente intenso e che si trova così costretto sulle restanti due corsie. Sostano inoltre indisturbate all'inizio di via Udine, in via de Rittmeyer, lungo tutta via Roma (spesso e volentieri sugli slarghi riservati agli autobus), in via del Mercato Vecchio, in corso Italia, in via San Spiridione, in corso Saba (ormai ridotto da anni ad un’unica angusta corsia), in via Oriani e in piazza Garibaldi (anche in questo caso in comoda sosta davanti ai bar). E ancora: di fronte al Mercato Coperto, in via Coroneo e così via. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. Eppure nonostante le ripetute segnalazioni non ho mai visto pattuglie applicare multe, nemmeno quando fisicamente in zona. Come mai? Viene da chiedersi per quale motivo i cittadini dovrebbero osservare le regole, dal momento che chi non le rispetta non viene punito e anzi, gode tutto sommato di maggiori diritti. Dalla gestione del traffico si passa facilmente a più ampie considerazioni sulla società. Il senso civico è da considerarsi un limite? Lo chiedo perché se per esempio il diritto individuale di gustare un gelato o di bere comodamente un aperitivo senza cercare un parcheggio regolare è garantito più del diritto della collettività di avere un traffico cittadino scorrevole e sostenibile, allora è necessario davvero rivedere il nostro “contratto sociale”. Sarò disposta a tollerare il pugno di ferro nei confronti delle biciclette solo quando lo stesso trattamento verrà riservato anche alle automobili ed a tutto il resto, perché solo allora avrò la certezza che si punisce la contravvenzione – qualunque essa sia - e non l’obiettivo di comodo, che tra l’altro in questo caso mi pare veramente il male minore.

 

Il nuovo viale Miramare non supera il test - Sotto accusa i restringimenti di carreggiata istituiti per consentire la svolta in Porto vecchio e la segnaletica poco chiara
il pericolo tamponamenti - Molti automobilisti all’altezza della bretella che porta al Magazzino 26, rallentano e frenano di colpo con il rischio di creare incidenti
Segnaletica poco chiara e fuorviante e modifiche alle corsie che creano rallentamenti e tratti pericolosi per i pedoni. La nuova viabilità della bretella in ingresso e uscita tra viale Miramare e il Porto vecchio non registra consensi tra i triestini. A lamentarsi automobilisti, scooteristi e pure i tanti ciclisti che attraversano la zona. I loro sfoghi hanno iniziato a riversarsi sempre più copiosi sul web nei giorni scorsi. Ma cos'è cambiato nell’arco delle ultime settimane? La corsia di sorpasso, che si apre dopo aver superato il cavalcavia del ponte ferroviario, è diventata una carreggiata per consentire la svolta a sinistra in prossimità dell'imbocco dell’antico scalo. E anche la corsia opposta, percorsa da chi è diretto in centro città, si restringe subito dopo lo slargo che consente di svoltare verso il Porto vecchio all'interno. Novità, come detto, poco apprezzate dagli habituè. Per rendersene conto basta fare un salto in zona. Nel tardo pomeriggio di sabato chi rientra in auto da Barcola verso il centro, in prossimità della segnaletica gialla provvisoria, rallenta e alle volte si ferma per controllare come mai la corsia si sia ristretta. Più di qualcuno poi finisce per sconfinare nella carreggiata che ospita ora il senso opposto di marcia, per poi ritornare frettolosamente a destra ed evitare di trovarsi di fatto contromano. Sul marciapiede che costeggia la vecchia ferrovia intanto camminano gruppetti di ragazzini, anche loro di rientro dal mare, che si trovano ad attraversare senza protezioni. «Sia andando sia tornando, il marciapiede si interrompe - spiega una ragazza indicando il tratto incriminato -. Non ci sono le strisce pedonali per proseguire e qui molte auto sfrecciano. In più, se per caso volessimo svoltare all'interno del porto, lo spazio pedonale non ci sarebbe comunque: si finisce nello sterrato, tra le erbacce». Qualcuno prova ad attraversare raggiungendo di corsa l'area spartitraffico in mezzo alle corsie, con il rischio di essere travolto. Alcuni ciclisti, che arrivano dal Porto vecchio invece, segnalano un’altra perplessità. «Volendo dirigersi verso Barcola - dicono - non è possibile alcuna svolta a sinistra su viale Miramare, ed è anche impossibile, vista la mancanza di attraversamenti pedonali, raggiungere la pista ciclabile di fronte». E le bici nel tratto sono davvero tante, tra triestini, gruppi di giovani e turisti di passaggio. Stessa considerazione espressa da alcuni centauri. Camminando poi tra blocchi spartitraffico caduti a terra e paletti abbandonati nel verde, a preoccupare è anche la mancata precedenza dei veicoli che arrivano da viale Miramare verso Porto vecchio. «Forse sarebbe meglio aggiungere un segnale di “stop” - spiega proprio uno dei pochi automobilisti al volante che rispetta la segnaletica orizzontale -, perché non ci si aspetta che possano arrivare altre auto da sinistra». Tra l’altro, a qualche metro di distanza, c’è gettato a terra proprio un grande cartello di “stop”, che fosse destinato a quello? L’ultimo dettaglio segnalato dai cittadini riguarda il cartello posizionato sempre in ingresso da viale Miramare verso le strutture del porto, con un chiaro “divieto di transito ed accesso veicolare e pedonale”. Sotto una scritta piccola cita varie eccezioni alla limitazione, compresa una per «i visitatori degli edifici museali». Peccato che siano in molti a scegliere la scorciatoia eludendo l'avvertimento, peraltro difficile da leggere per chi guida. C’è poi un altro aspetto. Stando alle intenzioni del Comune, la rivoluzione nell'asse di scorrimento sarebbe mirata proprio a favorire la fruibilità del Magazzino 26, della Sottostazione Elettrica e della Centrale Idrodinamica tanto ai cittadini quanto ai turisti, che sul web però segnalano lo stato di degrado in cui versa proprio il tratto che conduce ai tre gli edifici, tra cespugli che nascondono rifiuti, ancora pezzi di vecchia segnaletica dimenticati e pure una bicicletta rotta, forse rubata e abbandonata da qualcuno sul ciglio della strada.

Micol Brusaferro

 

 

Razeto: «Prematuro prendere posizione sulla Ferriera»
«Il gruppo Arvedi, con l’acquisizione dello stabilimento di Servola nel 2014, ha posto fine a un periodo di incertezze sul destino dello stesso, dei suoi lavoratori e di quelli dell’indotto. Parallelamente a quelli di voler proseguire e ampliare l’attività industriale e l’occupazione, il gruppo ha preso una serie di impegni concreti per il ripristino manutentivo degli impianti e l’adeguamento dei presidi ambientali, con l’obiettivo di una drastica riduzione delle emissioni. Tali impegni sono parti vincolanti di un Accordo di programma, sottoscritto con le istituzioni nazionali e del territorio, che prevede il rispetto di parametri stringenti imposti dalla nuova Aia e di un timing prestabilito». Lo afferma il presidente di Confindustria Venezia Giulia, Sergio Razeto, sulla questione Ferriera. «Dalle rilevazioni fatte dagli enti preposti al controllo, tra cui l’Arpa - prosegue Razeto -, emerge che gli interventi in attuazione stanno già portando dei miglioramenti visibili, pur essendo accaduti alcuni episodi di malfunzionamento con le emissioni che i cittadini hanno visto e lamentato. Dato che la sostenibilità ambientale e la salute sono due aspetti fondamentali da tutelare, l’associazione valuta positivamente che nei confronti dell’impianto e del percorso di messa in sicurezza e prevenzione, vi sia un costante monitoraggio da parte di tutte le istituzioni del territorio. Confindustria rileva nuovamente - conclude Razeto - che bisogna attendere il termine del percorso di ammodernamenti programmati per poter avere il nuovo quadro complessivo e dati oggettivi sulla riduzione degli inquinanti da giudicare. Se il processo, una volta completato, non dovesse portare a quanto previsto, il progetto andrà riconsiderato, come peraltro l’industriale ha già previsto di fare. Prendere posizioni ora è prematuro e potrebbe portare a decisioni in grado di pregiudicare il percorso di assunzioni che è iniziato e ha già portato all’incremento del numero di dipendenti».

 

 

L’Armata degli scarti viventi prende vita grazie ai ragazzi -

ShorTs Film Festival pensa ai più giovani: da oggi, ogni giorno, sul nostro giornale gli indizi per inventare un personaggio... dai rifiuti. Che poi diventerà un corto

Cosa succederebbe se i rifiuti che cestiniamo ogni giorno d’improvviso riprendessero vita? Parte da questa suggestione una nuova iniziativa dedicata ai ragazzi targata ShorTs International Film Festival, che nel titolo fa il verso ai film cult di George Romero e Sam Raimi. Si chiama “L’armata degli scarti viventi contest. Laboratorio di costruzione e animazione di fantastiche creature con i rifiuti” e Il Piccolo ha deciso di sostenerlo come partner per il suo valore educativo e didattico. A realizzarlo è il regista Francesco Filippi, che ShorTs ha il piacere di ospitare nuovamente a Trieste per questo originale progetto, realizzato grazie al sostegno di AcegasApsAmga. Con questa iniziativa, dunque, gli scarti “risorgeranno”, perché i ragazzi sono chiamati a scatenare la propria creatività e inventare un personaggio dai rifiuti. Nel corso del laboratorio poi i personaggi inventati verranno animati con la tecnica della stop motion, dando vita a un cortometraggio di animazione che verrà presentato al pubblico il 2 luglio, in piazza Verdi. “L’Armata degli scarti viventi”, spiegano da ShorTs, è un contest dedicato ai ragazzi dai 10 ai 14 anni, ma verranno accolte proposte fantasiose, divertenti e realizzabili anche se i proponenti saranno più piccoli o più grandi. Il laboratorio con Francesco Filippi si terrà alla Mediateca l’1 e il 2 luglio dalle 10 alle 18 e sarà a numero chiuso (max 15 ragazzi). Che cosa bisogna fare per iscriversi? Da oggi al 4 giugno verranno pubblicati quotidianamente su Il Piccolo gli indizi per la creazione del proprio personaggio: vanno raccolti e sulla base degli spunti forniti i ragazzi potranno liberare la propria fantasia. Per candidare la propria “creatura” bisognerà registrarsi su www.maremetraggio.com e compilare il form relativo.

Giulia Basso

 

 

 

 

COMUNICATO STAMPA - SABATO, 27 maggio 2017

 

 

Spiagge e Fondali Puliti - Clean up the Med di Legambiente : oltre 300 azioni di pulizia dal 26 al 28 maggio in tutta Italia e nel Mediterraneo, e anche in Friuli Venezia Giulia.

Oltre trenta volontari hanno raccolto rifIuti di ogni genere sulla spiaggia di Canovella de' Zoppoli (Comune di Duino Aurisina).
In seguito al monitoraggio “Beach Litter” svolto da Legambiente a fine aprile su 62 spiagge italiane, è stata trovata una media di 670 rifiuti ogni 100 metri lineari di spiaggia. L’84% degli oggetti trovati è di plastica e il 64% dei rifiuti spiaggiati proviene da oggetti usa e getta. A Canovella sono stati censiti ben 665 rifiuti, per il 93% di plastica: soprattutto pezzi di reti per la coltivazione dei mitili (43%), frammenti di plastica e polistirolo (21%), tappi e coperchi (6%), bottiglie e contenitori di plastica (4%).
Su www.legambiente.it/marinelitter la mappa interattiva dei rifiuti e le foto.
Rifiuti di ogni forma, genere, dimensione e colore, frutto della cattiva gestione a monte e dell’abbandono consapevole, continuano ad invadere le spiagge italiane e quelle del resto del Mediterraneo: come buste, reti per la coltivazioni di mitili, tappi e scatole di latta, mozziconi di sigaretta, bottiglie e flaconi, cotton fioc; per non parlare di quelli che si trovano in mezzo al mare come le microplastiche o quelli che si depositano sul fondale; tutti mettono in serio pericolo la biodiversità.
Quali sono le cause di questa situazione? Le principali sono: la cattiva gestione dei rifiuti urbani (49%), pesca e acquacoltura (14%) e mancata depurazione (7%). La scorretta gestione dei rifiuti a monte, le attività turistiche e ricreative, l'abbandono consapevole sono responsabili della metà dei rifiuti presenti sulle spiagge italiane. A far la parte da leone tra gli oggetti trovati sulle spiagge monitorate ci sono gli imballaggi (un rifiuto su tre). Le attività produttive (pesca e acquacoltura) sono invece responsabili di una media di 95 oggetti ogni 100 metri di spiaggia, tra cui calze da coltivazione di mitili, cassette e cime.
L’inefficienza dei sistemi depurativi si ripercuote anche sulla presenza dei rifiuti sulle spiagge, responsabile della presenza del 7% del beach litter come bastoncini cotonati, blister di medicinali, contenitori delle lenti a contatto, piccoli aghi da insulina, assorbenti e altri oggetti di questo tipo. Per prevenire, sensibilizzare e informare le amministrazioni e cittadini, incoraggiando una corretta gestione dei rifiuti e una partecipazione attiva, Legambiente organizza la campagna Spiagge e fondali puliti, che coinvolge migliaia di volontari che ogni anno raccolgono dati scientifici sul beach litter e si attivano per ripulire le spiagge
Sabato 27 maggio, oltre 30 volontari di Legambiente Trieste, con l'aiuto di Trieste Altruista e dei richiedenti asilo organizzati dall'ICS, hanno raccolto numerosi sacchi di rifiuti spiaggiati o abbandonati lungo la spiaggia di Canovella de'Zoppoli, in comune di Duino Aurisina. La giornata di pulizia e volontariato si è svolta con il contributo di Sammontana. La spiaggia di Canovella è stata scelta grazie a 670 like degli utenti sui social network.
 

 

IL PICCOLO - SABATO, 27 maggio 2017

 

Scontro Regione-Comune dopo il vertice sulla Ferriera
Dura nota dell’ente guidato da Serracchiani: «Non corrispondono al vero le parole dell’assessore Polli sulla posizione della struttura commissariale»
Botta e risposta a distanza tra Regione e Comune all’indomani della riunione ministeriale sulla Ferriera. «Non sono da considerare rispondenti al vero le dichiarazioni rilasciate dall’assessore comunale all’Ambiente, Luisa Polli, secondo cui nel corso dell’incontro con il ministero dell’Ambiente la struttura del Commissario per la Ferriera di Servola (che fa capo alla presidente Serracchiani, ndr) si sarebbe espressa negativamente rispetto agli adempimenti ambientali posti in essere da Siderurgica triestina», sottolinea la Regione a chiarimento delle parole espresse dall’assessore in un video pubblicato sulla pagina Facebook del sindaco Roberto Dipiazza. Il post era stato diffuso poco dopo che lo stesso dicastero aveva deciso di frenare provvisoriamente l’ampliamento del laminatoio all’interno dello stabilimento a causa di un ritardo della società, rilevato dal governo, «nell’attuazione delle misure che interessano il trattamento delle acque di falda». Ma la questione ora si è spostata su quanto riferito dalla giunta comunale al termine dell’incontro. «Ricordando che tutte le dichiarazioni sono state registrate e verranno riportate nel verbale redatto dal ministero - annota la Regione - va evidenziato che l’unico intervento della struttura commissariale è stato volto a precisare che, relativamente alle acque di falda, quanto posto in essere dalla parte pubblica non fa venir meno in alcun modo la necessità che anche Siderurgica adempia a quanto di propria competenza, come stabilito nell’Accordo di programma». Il comunicato, infine, invita il Comune «a diffondere notizie corrette e aderenti ai fatti, soprattutto quando attribuisce dichiarazioni a strutture della Regione. La distorsione o l’invenzione radicale da parte del Comune di dichiarazioni rese in sedi ufficiali contrasta gravemente con lo spirito di collaborazione istituzionale più volte invocato dall’amministrazione regionale». Sulla vicenda delle acque di falda è intervenuta pure Siderurgica Triestina. «Al momento, con i soggetti istituzionali preposti, si stanno effettuando le misure dirette sul terreno - scrive la società -, operazione che richiede un tempo tecnico necessario ai rilevamenti, intaccando inevitabilmente il cronoprogramma. A oggi sono state smaltite ben 45 tonnellate di materiale dell’area bonificata risalente al primo dopoguerra. Altro impegno portato a termine - fa sapere l’impresa - è lo smaltimento del cumulo storico di rifiuti da 12mila tonnellate che dilavavano e percolavano nel mare e nel sottosuolo e giaceva da tempo immemore sull’area demaniale, impattante anche sotto l’aspetto paesaggistico. Per quanto attiene alla richiesta di “Variante al progetto di reindustrializzazione”, vale a dire l’ingrandimento del laminatoio, Siderurgica Triestina aveva già trasmesso in data 17 marzo il piano che prevede l’ampliamento di circa 800 mq del capannone destinato a ricevere i nuovi impianti di decapaggio; con tali impianti lo stabilimento di Trieste sarà in grado di lavorare anche rotoli di acciaio grezzi ampliando in questo modo la sua gamma di prodotti e incrementando i volumi produttivi dell’area a freddo. Da notare - conclude il comunicato - che in quest’area già lavorano circa cento nuove risorse e con questo ampliamento si prevede l’assunzione di ulteriori 25/30 persone».

Gianpaolo Sarti

 

Vito: «Dai giardini di veleni nasce uno strumento anti inquinamento»
Prenderanno il via a breve i primi interventi del Comune di Trieste, finanziati dalla Regione, per fronteggiare l’inquinamento diffuso accertato nei giardini del capoluogo. I lavori, che costituiscono uno stralcio del piano di gestione in corso di predisposizione dal Tavolo tecnico (di cui fanno parte Regione, Comune, Arpa Fvg e Asuits), riguardano gli spazi verdi delle scuole Don Chalvien di via Svevo e Biagio Marin di via Praga, a Servola. Il Tavolo tecnico ha poi esaminato il protocollo operativo per l’elaborazione di piani di gestione per l'inquinamento diffuso, che potranno diventare uno strumento operativo per affrontare analoghe situazioni. Il Friuli Venezia Giulia sarà, quindi, la prima Regione in Italia a disporre di un protocollo operativo in tal senso. «Dal problema dei giardini inquinati di Trieste - ha commentato l’assessore regionale all'Ambiente, Sara Vito - ricaviamo ora un modello più avanzato per la lotta all'inquinamento diffuso».

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 26 maggio 2017

 

 

Il Ministero dell'Ambiente stoppa il laminatoio della Ferriera

Negata l'autorizzazione alle opere di ampliamento "fino a quando non saranno inviate da parte dell'azienda le relazioni afferenti gli interventi da compiersi sulle acque di falda".

Scontro Comune-Regione sui potenziali rischi di ordine pubblico nel rione - Al tavolo per fare il punto sull’Accordo di programma presenti le istituzioni, la proprietà della fabbrica , l’Arpa e Invitalia

TRIESTE  Stop provvisorio all'ampliamento del laminatoio della Ferriera di Servola. Il Ministero dell'Ambiente ha infatti negato l'autorizzazione alle opere "fino a quando non saranno inviate da parte dell'azienda le relazioni afferenti gli interventi da compiersi sulle acque di falda".
E' quanto è emerso nella riunione che si è tenuta giovedì 25 maggio a Roma, un incontro convocato dal Ministero per valutare lo stato di attuazione delle misure di prevenzione ambientale adottate da Siderurgica Triestina nell'area della Ferriera di Servola e per vagliare la richiesta di variante al progetto già approvato con decreto interministeriale, con la quale l'azienda richiedeva, per l'appunto, di essere autorizzata ad effettuare nuovi interventi sul capannone del laminatoio.
Alla riunione hanno partecipato il Comune di Trieste, la Regione, l'Arpa e la Capitaneria di Porto, oltre alla struttura commissariale per l'attuazione dell'accordo quadro sulla Ferriera e la società Invitalia. "Nella riunione - riferisce la Giunta regionale in una nota - Siderurgica Triestina ha dato conto di quanto è stato effettuato, evidenziando come larghissima parte degli interventi previsti sia dall'Accordo di Programma che dall'AIA siano già stati realizzati, alcuni saranno realizzati a breve e comunque entro i termini previsti, mentre solo determinati interventi specifici scontano delle difficoltà contingenti che sono in corso di risoluzione. In quest'ultimo caso - riferisce sempre la Giunta regionale - il riferimento è in particolare al rinvenimento di un deposito interrato risalente al primo dopoguerra, per la rimozione del quale sono state predisposte una serie di attività preliminari costantemente validate dall'Arpa".
Il Ministero ha comunque rilevato un ritardo da parte di Siderurgica Triestina nell'attuazione delle misure che interessano il trattamento delle acque di falda, invitando l'azienda a fornire maggiori dettagli tecnici delle attività effettuate in occasione della presentazione dei report periodici. Relativamente all'autorizzazione all'effettuazione di varianti al capannone del laminatoio, nonostante l'azienda abbia fatto presente come gli interventi richiesti si svolgerebbero in aree non interessate da attività di ripristino ambientale, il Ministero ha sottolineato come queste opere non possano essere autorizzate fino a quando non saranno inviate le relazioni sugli interventi da compiersi sulle acque di falda.
Il sindaco Roberto Dipiazza, presente assieme all'assessore comunale all'Ambiente Luisa Polli ha riferito in un video postato sulla sua pagina Facebook di aver sottolineato che i mesi estivi "saranno drammatici" per i residenti del rione di Servola, ventilando anche il rischio che tali criticità portino "a problemi di ordine pubblico".
A questo proposito, la Regione - riferisce sempre la Giunta regionale - "al termine della riunione ha espresso rammarico per i termini con cui, in un ambito evidentemente improprio e con modalità improvvisate, è stata sollevata una questione delicata come quella dell'ordine pubblico. È convinzione della Regione che tutte le Istituzioni debbano lavorare assieme per prevenire ed evitare qualsiasi disagio della popolazione. A Trieste ogni legittima manifestazione, anche di dissenso, si svolge usualmente con grande civiltà, per cui evocare problemi di ordine pubblico non pare congruo, e forse neppure opportuno da parte del sindaco del capoluogo".

 

 

La soddisfazione social dell’assessore Polli «Così metteremo alle corde l’azienda»

Il nodo Ferriera, come noto, è seguito direttamente dal sindaco Roberto Dipiazza. Ma al tavolo istituzionale di ieri al ministero, a conferma della delicatezza dell’intera partita, era presente anche l’assessore all’Ambiente Luisa Polli. Pure lei è intervenuta con un video postato su Facebook, in coda alle dichiarazioni del primo cittadino. «Efficacia ed efficienza, questo è stato chiesto per l’adeguamento dell’impianto», ha affermato l’esponente della giunta. Per poi rimarcare i concetti espressi dal sindaco sulla piega che ieri ha assunto la questione. «L’evolversi della situazione è stata delineata come negativa dalla Capitaneria di Porto e dalla struttura del Commissario (che fa capo alla presidente della Regione Debora Serracchiani, ndr). E allora oggi noi Comune abbiamo chiesto che Arvedi presenti nel più breve tempo possibile una scheda dettagliata su tutte le 115 attività che deve svolgere per l’Aia e per l’Accordo di programma. Grazie a questa scheda - ha osservato ancora l’assessore all’Ambiente nel suo intervento pubblico sul web - noi vedremo e potremo dimostrare ciò che non è stato fatto. Ma nel contempo non dimentichiamo che l’impegno chiesto dal sindaco nell'incontro con i cittadini porterà all’emanazione di un’ordinanza per mettere alle strette Arvedi» affinché faccia «ciò che deve essere fatto».

(g.s.)

 

«A rischio l’ordine pubblico» - È polemica Comune-Regione

Dipiazza parla di «mesi drammatici» in vista dei presidi del Comitato 5 dicembre - La replica: «Trieste è civile. Evocare problemi di questo tipo non è opportuno»

Sulla vicenda Ferriera i toni del sindaco di Trieste Roberto Dipiazza continuano a rimanere duri. Il primo cittadino, nel suo video online di ieri, stavolta ha ventilato «problemi di ordine pubblico». La Regione ha reagito immediatamente. Risultato: una polemica a distanza. Dipiazza ha evocato possibili problemi in riferimento al Comitato 5 dicembre, il gruppo di cittadini che si batte per la chiusura dell’area a caldo, regista delle grandi manifestazioni di piazza anti Ferriera prima delle elezioni dello scorso giugno. Quel gruppo, in una recente assemblea, ha infatti promesso di organizzare «presidi permanenti» per ottenere il proprio risultato e ha annunciato come prima cosa un picchetto permanente davanti al palazzo della Regione in piazza Unità. «Giugno, luglio e agosto saranno dei mesi drammatici, avremo problemi di ordine pubblico», ha scandito nel video su Facebook Dipiazza. «L’ho detto in maniera molto chiara», ha precisato poi riferendosi alla riunione con i rappresentanti ministeriali e quelli di Siderurgica Triestina a Roma. «Spero che questi si rendano conto - ha insistito il primo cittadino - che ora è inutile dire “abbiamo fatto protocolli col ministero”... eccetera... sono tutte cose che non servono a nulla. Cosa diciamo ai cittadini di Servola? In questo momento il ministero ha impegnato veramente in maniera molto forte Siderurgica Triestina, o Arvedi, come volete chiamarla, perché devono fare quello che non hanno fatto fino ad adesso». Il passaggio sull’ordine pubblico non è sfuggito alla Regione che ha deciso di rispondere nella nota diffusa nel pomeriggio. «Il Comune, rappresentato dal sindaco Roberto Dipiazza e dall’assessore all’Ambiente Luisa Polli, ha ricordato la criticità della situazione per i residenti del rione di Servola, in vista anche della stagione estiva alle porte», è la premessa del comunicato dell’amministrazione Serracchiani. «Il sindaco ha inoltre prospettato il rischio che tali criticità portino a generare problemi di ordine pubblico. La Regione ha ribadito come la questione relativa alla qualità della vita nel quartiere di Servola sia di preminente interesse per l’amministrazione regionale ed ha evidenziato come qualsiasi decisione non possa prescindere dall’acquisizione di dati obiettivi. In tale ottica - viene suggerito nel testo della Regione stessa - si colloca l’accordo stipulato recentemente con l’Istituto superiore di sanità per la valutazione degli impatti sulla popolazione derivanti dall’attività industriale, che verrà svolta prioritariamente sugli abitanti di Servola. Il ministero, nel concludere i lavori del tavolo, ha auspicato una rapida risoluzione da parte di Siderurgica Triestina delle criticità emerse al fine di poter proseguire nell’intervento di reindustrializzazione dell’area». Una lunga premessa che serve alla Regione per esprimere tutto il proprio «rammarico per i termini con cui, in un ambito evidentemente improprio e con modalità improvvisate, è stata sollevata una questione delicata come quella dell’ordine pubblico. È convinzione della Regione - conclude la nota della giunta regionale - che tutte le istituzioni debbano lavorare assieme per prevenire ed evitare qualsiasi disagio della popolazione. A Trieste ogni legittima manifestazione, anche di dissenso, si svolge usualmente con grande civiltà, per cui evocare problemi di ordine pubblico non pare congruo - è la chiosa - e forse neppure opportuno da parte del sindaco del capoluogo».

(g.s.)

 

«La città non può fare a meno dell’industria» - Convegno al Centro Veritas sul futuro economico della città. Gli altri pilastri: porto, ricerca e turismo

La crescita consistente del porto e del turismo non basta: il futuro economico di Trieste non può prescindere dall’industria. È il dato concorde uscito dal convegno organizzato ieri sera dal Centro Veritas e condotto dal suo direttore Luciano Larivera. Fin dall’inizio ha incanalato il dibattito su questa strada il segretario dell’Autorità di sistema portuale Mario Sommariva, che dopo aver identificato in industria, porto, ricerca e turismo i quattro pilastri della città, stavolta ha acceso un piccolo faro su quello che è uno dei pochissimi dati in negativo dello scalo: le rinfuse solide. «Calano - ha spiegato - perché sono in calo i trasporti alla banchina della Ferriera. Ma i grandi territori non possono vivere senza industria. La prima scommessa della città in questo settore è coniugare l’industria con forti investimenti migliorativi sul fronte ambientale. È questo che si sta facendo, eppure la Ferriera ha di fronte una politica di forte ostilità e non ci si rende conto che uno scenario diverso ci metterebbe di fronte a un’altra Aquila». «Nuove lavorazioni industriali - ha sottolineato Stefano Visintin, presidente dell’Associazione degli spedizionieri del porto - potranno avvenire in aree di Punto franco anche distanti dal mare, appunto in zona industriale. Il nostro regime di aree franche ci consente già le agevolazioni doganali, dobbiamo puntare ora su quelle fiscali: nessuna regione può averne diritto più del Friuli Venezia Giulia che confina con Slovenia e Austria, dove la tassazione estremamente più bassa che in Italia». Ma altre imprese possono trovare spazio anche in Porto vecchio, nella fattispecie quelle più innovative. Lo ha rilevato Diego Bravar, vicepresidente Confindustria Fvg. «Lo stesso traffico delle merci potrà essere incrementato - ha spiegato - grazie allo sviluppo delle tecnologie favorito da imprese innovative. Trieste è già ben attrezzata, ma manca l’ultimo miglio - ha ammonito - quello dove ricercatori e imprenditori si mettono assieme e procedono uniti». Si può chiudere il cerchio, secondo Bravar, costituendo un comitato che si impegni a far diventare Trieste capitale europea della scienza 2020. «C’è qualcosa che non va se a Trieste l’industria porta solo il 9% del Pil» ha chiuso gli interventi Paolo Deganutti, collaboratore di Limes dai cui articoli ha preso spunto l’incontro. E sottolineando come sia finita l’epoca in cui parlare di Porto franco a Trieste era ritenuto sconveniente, ha affermato che «la stessa Bers (Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo) che la governatrice Serracchiani vedrebbe bene in Porto vecchio è una sorta di riedizione dell’offshore di cui si parlava negli anni Novanta». Ha infine sintetizzato la ricetta per il definitivo rilancio di Trieste: «portualità, collegamenti ferroviari, Punto franco per insediare industrie 4.0, no tax area, Autorità di sistema portuale nel ruolo di catalizzatore e regolatore del territorio, turismo congressuale e culturale».

Silvio Maranzana

 

 

Bici “fuori legge”, segnalazioni a raffica - Il vicesindaco Roberti: «Sulle soste vietate nuovi controlli con un apposito furgone». Ogni giorno manciate di lamentele

Il Comune dichiara guerra alle biciclette abbandonate o semplicemente non parcheggiate negli stalli regolari. Fioccano le rimozioni e soprattutto le segnalazioni dei cittadini, alle quali seguono gli interventi dei vigili. Lamentele così numerose che sono in programma a breve nuovi controlli in tutta la città. Secondo il nuovo regolamento della Polizia locale, approvato recentemente, gli agenti possono tagliare le catene e aprire i lucchetti di tutte le biciclette agganciate a un palo, a un semaforo, a una ringhiera o a qualsiasi appiglio che non sia una rastrelliera regolare per bici. «Finora sono state rimosse nove carcasse di biciclette - fa sapere il vicesindaco Pierpaolo Roberti - mentre tante altre, anche se non abbiamo il numero preciso, sono state prelevate perché in posizioni non regolari, ma sono funzionanti e quindi vengono tenute in deposito. Quelle considerate al pari di rifiuti saranno smaltite, quelle in buono stato sono ferme, in attesa che il proprietario venga a reclamare il proprio mezzo, che potrà riavere dopo aver pagato la sanzione, da 30 euro se procurava intralcio fino a 100 se era abbandonato». Tutti gli interventi derivano da segnalazioni, ripetute quasi quotidianamente, da parte dei cittadini arrabbiati. «Registriamo davvero tantissime lamentele e quindi poi bisogna provvedere. Le bici lasciate sui pali o dimenticate creano problemi di decoro urbano o danno fastidio a chi deve passare. In più spesso vengono razziate, distrutte. Nelle prossime due settimane effettueremo nuovi controlli, con un furgone, per rimuovere ulteriori mezzi». Rabbia dei cittadini verso i catorci, ma anche verso chi lascia la bici su marciapiedi o aree pedonali. Alcuni, dopo aver visto svanire il proprio mezzo, hanno pensato fosse stato rubato. Poi l’amara sorpresa. Alla persona non arriva alcuna notifica, il proprietario saprà della sanzione soltanto quando andrà a richiedere la propria bici alla Polizia locale. E il fastidio dei cittadini nei confronti del fenomeno si dimostra anche attraverso ammonimenti fai da te. «Ho visto in via Diaz un cartello sistemato su una bici - ricorda Roberti - che indicava come creasse disturbo a un ingresso vicino». «Ho ricevuto un avvertimento - racconta una persona - sulla mia bici in via Udine, scritto da qualcuno a penna, che intimava di spostarla velocemente, altrimenti sarebbero stati chiamati gli agenti. Sono d’accordo con l’idea di fare pulizia e ordine, ma a patto che venga consentito ai ciclisti di trovare un numero adeguato di stalli in città, che al momento non ci sono». I posti per bici sono in totale 195, a fronte di circa 3500 ciclisti, secondo un recente sondaggio della Fiab. Troppo pochi stalli quindi per accontentare chi vuole lasciare il proprio mezzo in sosta consentita. Anche su questo fronte risponde Roberti: «Ci sono poche rastrelliere ma spesso sono libere, come ad esempio in largo Granatieri. Sono d’accordo che dovremo aumentarle e lo faremo, ma è altrettanto vero che se so di non trovare posto per l’auto in corso Italia non ci vado, così dovrebbe accadere per i ciclisti. La sosta selvaggia non è giustificabile per nessun mezzo». E passeggiando in Cavana tra bici attaccate un po’ ovunque, i ciclisti difendono la categoria. «Prima di colpire questo settore - dice Marco Svevo - bisognerebbe punire la “malasosta” di auto ovunque. In più mancano stalli, spesso in zone nevralgiche, come la stazione dei treni o il centro città». «Cerco di lasciarla meno possibile fuori, perché ne rubano tante - racconta Davide Carlin - ma gli spazi per appoggiarle regolarmente non ci sono. Inutile il pugno di ferro se le strutture mancano». D’accordo con i provvedimenti Gianluca Divo, rivenditore di bici proprio in zona: «In Cavana le vedi sistemate ovunque, compresi i rottami. Creano difficoltà ai pedoni - commenta -. Certe volte sembra una giungla, un po’ di disciplina ci sta». E sull’argomento interviene anche Diego Manna, scrittore, editore, ma soprattutto tra i più grandi sostenitori a Trieste della mobilità a due ruote. «Penso che l’utilizzo della bicicletta a Trieste sia in crescita esponenziale. Non ci si accorge che tutto ciò va a vantaggio anche di chi è costretto a utilizzare l’auto, perché più persone scelgono la bici, meno auto ci sono in giro e quindi le strade sono meno trafficate e più scorrevoli. La campagna “anti degrado” contro le bici parcheggiate sui pali ha generato e giustificato un clima di fastidio verso le biciclette. Speriamo corrano ai ripari stemperando il clima».

Micol Brusaferro

 

BOTTA E RISPOSTA «Sanzionata con 600 euro» - Ma i vigili: «Sono solo 100»

Bicicletta sparita e 600 euro da versare per riaverla. Non si tratta di un riscatto, ma di un episodio accaduto a una ciclista triestina. Nel suo caso la multa salata è dovuta al fatto che la bici, rimossa in Cavana, è stata segnalata come “abbandonata”. Peccato che la ragazza si serva quotidianamente del mezzo che, pur non essendo nuovissimo, di certo non era inutilizzato. Dalla Polizia locale però smentiscono che l’importo sia così elevato. «La parcheggio da sei anni nello stesso punto, non ha mai dato fastidio a nessuno, finchè qualche giorno fa è sparita. Ho telefonato alla Polizia locale - racconta la proprietaria - che mi ha detto come la mia bicicletta fosse stata rimossa, su segnalazione di un cittadino, e che la cifra da sborsare, causa “stato di abbandono”, era appunto di 600 euro. È assurdo perché non è vecchia o malmessa. La bici in sé vale poco, forse 50 euro, c’è poi il valore del lucchetto che ovviamente è stato tranciato e distrutto. A questo punto sono curiosa di leggere il verbale». La ragazza andrà a ritirarlo lunedì, ma intanto alla Polizia locale i conti non tornano. «Crediamo ci sia stato un fraintendimento - dicono dagli uffici - di sicuro la multa è di soli 100 euro». La proprietaria della bici invece è certa di aver sentito bene proprio i 600 euro. «Ho chiesto più volte di ripetermi la cifra perché mi sembrava impossibile e mi è stato confermato sempre lo stesso importo. In più - sottolinea - non mi spiego il considerare la mia bici in stato di abbandono come specificato dagli stessi uffici della Polizia locale. È in condizioni buone, funzionante, si vede chiaramente. Capivo una sanzione perché era appoggiata a un paletto, ma non accetto la multa come mezzo abbandonato».

(mi.b.)

 

 

Pulizia dei fondali “vietata” a Muggia - La Capitaneria non dà il via libera all’intervento programmato dai sub per domenica nella spiaggia di porto San Rocco

L’associazione SCUBA TORTUGA: «Siamo sconcertati. Volevamo rendere più sicura un’area molto frequentata in estate»

MUGGIA «Avremmo voluto pulire gratuitamente i fondali della spiaggia di porto San Rocco ma la Capitaneria di Porto ci ha negato l’autorizzazione». È sconcertato e dispiaciuto Luciano Agapito, rappresentante della Scuba Tortuga, l’associazione sportiva subacquea muggesana che si era prodigata per organizzare, domenica, un maxi-evento di pulizia marina: «Avremmo avuto in acqua un centinaio di subacquei tutti mossi dal desiderio di contribuire al miglioramento dell’area, ma l'autorizzazione alle operazioni di pulizia dei fondali della spiaggia di porto San Rocco ci è stata negata». Il diniego è arrivato «a voce», adducendo «motivi di sicurezza». L’area in questione è interdetta alla balneazione dal lontano 2005 in seguito a una ordinanza, firmata dall’allora comandante Paolo Castellani, in cui si evidenziava che nello specchio acqueo antistante il tratto di litorale prospiciente la zona verde e il parcheggio pubblico di porto San Rocco risultavano essere presenti «alcuni residui in ferro sommersi affioranti dal fondale del mare» per la cui presenza si rendeva necessario interdire alla balneazione lo specchio acqueo antistante la predetta area. Da dodici anni, non essendo stata eseguita alcuna bonifica dei residui, l’area è ufficialmente off-limits, ma in realtà i bagnanti continuano a usufruire della zona, rischiando quindi di incappare in una sanzione che va dai 100 ai 1000 euro ai sensi dell’articolo 1164 del Codice della Navigazione. Recentemente la presenza di materiale ferroso è riemersa con forza, essendo da tempo visibile uno spuntone di ferro affiorante dal mare soprattutto nelle giornate di bassa marea. Motivo per il quale è stato chiesto l’intervento dei sub e in particolare dell’associazione Scuba Tortuga. Marco Pacini, amministratore dei condomini che compongono borgo San Rocco, è quasi basito dinanzi alla notizia del diniego da parte della Capitaneria di concedere una deroga alla vecchia ordinanza che stabilisce appunto il divieto di balneazione nello specchio di mare incriminato: «Mi pare di dover assistere a una classica vicenda all’italiana. Noi ci siamo attivati con il Comune per cercare di mettere in sicurezza questa parte di costa. In dodici anni nessuno ha fatto niente. Ora che abbiamo trovato delle persone competenti non si può intervenire? Mi pare una cosa ridicola. A questo punto attendiamo che sia la Capitaneria a operarsi per risolvere la questione per mettere una volta per tutte in sicurezza l’area». Una bonifica necessaria per mettere in sicurezza e al contempo per avviare l’iter di balneabilità dell’area. «Sui fondali della spiaggia di Porto San Rocco, oggetto del diniego, avevamo pensato di fare la nostra parte di cittadini, di difendere, preservare e tutelare il bene comune - racconta ancora Luciano Agapito -. Sappiamo che, nonostante il divieto, la spiaggia è molto frequentata e si fa il bagno abitualmente. La verifica dello stato dei fondali e la pulizia degli stessi ci è sembrato un doveroso tributo che la nostra associazione deve al territorio che la ospita. Evidentemente non siamo riusciti a far capire la nostra iniziativa - conclude Agapito -, motivo per cui chiederemo a breve un incontro con i vertici della Capitaneria di Porto per vedere se è possibile, con le adeguate garanzie sulla sicurezza del sito e di chi vi opera, riproporre la manifestazione».

Riccardo Tosques

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 25 maggio 2017

 

 

La lettera di “difesa” di Agapito sulla Ferriera spedita dai grillini a Procura e Anticorruzione
I grillini hanno inviato alla Procura di Trieste e all’Autorità nazionale anticorruzione di Raffaele Cantone la lettera alla Direzione centrale ambiente ed energia della Regione con cui Luciano Agapito, direttore del Servizio tutela da inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico, «ha cercato di spiegare perché non si trovasse in una situazione di conflitto di interesse quando, il 27 gennaio 2016, firmò il Decreto 96/Amb di riesame con valenza di rinnovo dell’Aia della Ferriera, nonostante il fatto che, ad aprile 2015, il figlio dello stesso direttore autorizzante, Daniele Agapito, avesse già ricevuto da Siderurgica Triestina il primo di una serie di incarichi di progettazione e direzione lavori». Lo annuncia la consigliera regionale Eleonora Frattolin: «A nostro avviso, contrariamente a quanto sostenuto dalla giunta Serracchiani, la lettera dell’ingegner Agapito non fa che confermare una situazione di potenziale conflitto di interesse. Un fatto gravissimo che getta un’ombra sul procedimento di rinnovo dell’Aia».

 

 

Duino Aurisina - I grillini lanciano il progetto “Rifiuti zero”
DUINO AURISINA - Il candidato sindaco di Duino Aurisina del Movimento 5 Stelle, Lorenzo Celic, lancia il progetto “Rifiuti zero”. «Si tratta di un processo strategico in dieci punti di elevato senso civico - spiega Celic -. È un impegno che il Comune deve attuare ai fini della tutela ambientale, fornendo al cittadino gli strumenti necessari per la corretta gestione del processo di riciclaggio del rifiuto». Per il candidato sindaco, «vanno introdotti i compattatori di bottiglie in plastica, vetro e lattine nei principali centri di distribuzione alimentare. Inoltre si può prevedere che l’apertura dei bottini/compattatori sia attivata con una tessera personale del cittadino che permetterà poi al Comune di applicare ulteriori riduzioni sulla tassa rifiuti».

 

 

ARCHEOLOGIA A GRADO - “Pescata” l’ancora di una grande nave romana
Nelle reti del peschereccio Alex un ceppo in piombo del peso di 180 chili: «Era quattro miglia al largo a venti metri di profondità»
Sbarcata in banchina - Non è la prima volta che succede, ma il recupero è l’ennesima testimonianza della presenza di importanti reperti sul fondo del golfo
GRADO Una grande àncora di epoca romana – dovrebbe risalire al periodo fra il I e il III secondo dopo Cristo (è necessario verificare se ci sono iscrizioni o segni per una datazione più precisa) - appartenuta a una nave di lunghezza ipotizzabile fra i 25 e i 40 metri è stata trovata al largo di Grado ieri mattina. L’ha pescata l’equipaggio del motopeschereccio “Alex” del capobarca Rudy Bassetti. Oltre ai canestrelli e alle sogliole, racconta il capobarca, con l’ultima pescata della giornata, l’equipaggio dell’“Alex”, dotato dei ramponi per la pesca sul fondo, ha issato a bordo anche un’antica àncora in piombo di epoca romana. L’àncora, integra, pesa ben 180 chilogrammi ed è lunga oltre un metro e mezzo, quindi quasi sicuramente facente parte delle allora pur scarne dotazioni di bordo di uno scafo di grandi dimensioni. Lunghezza e portata che fanno ben capire come la nave fosse diretta proprio al porto di Grado. Ieri mattina l’equipaggio del motopeschereccio l’ha sbarcata e portata al mercato ittico di riva Dandolo accanto alla zona dove si effettua la pesatura e la vendita all’asta mattutina del pesce. Con un carrello-muletto è entrato in mercato il pescato; con un altro il prezioso reperto. Nonostante non si tratti del primo ritrovamento del genere, il recupero ha incuriosito notevolmente. Tutti gli altri pescatori che stavano portando il ricavato della loro fatica al mercato ittico si sono soffermati ad ammirare il reperto e a commentare. Ma anche, all’esterno, le numerose persone che giornalmente di buonora - ieri c’era anche qualche turista austriaco - si recano a osservare le operazioni di scarico del pescato, hanno assistito al trasporto di questa pesca davvero speciale. Tra cassette di seppie, cefali, sogliole, canestrelli e tanto altro ancora che transitavano lungo il molo, c’era, infatti, questa àncora. Un’altra àncora simile a questa (ma non integra) che pesava 155 chili l’aveva portata a terra nel 2004 lo stesso capobarca del motopeschereccio ”Alex”, Rudy Bassetti. Con lui ieri a bordo c’erano Paolo Zuppelli, Paolo Agosto, Davide Camuffo e Davide Pizzignacco. «La “pesca” dell’àncora di ieri mattina verso le 6.50 - dice Rudy Bassetti - è avvenuta a circa quattro miglia e mezzo al largo di Grado a una profondità di una ventina di metri». Altri pescatori, imbarcati sul peschereccio “Màmola”, che sulla loro barca ormeggiata nelle vicinanze del mercato ittico, stavano finendo di pulire le reti, hanno ricordato che molti anni fa c’era stata la concomitanza di tre pescherecci che nella stessa giornata avevano portato a terra, una ciascuno, delle ancore di epoca romana. Ciò per dire che i fondali dinnanzi a Grado sono ricchi di relitti e reperti di ogni genere. Uno di questi, la nave oneraria Iulia Felix risalente a un periodo fra fine I e inizi II secolo dopo Cristo secolo è stata recuperata totalmente, sia come scafo (è in mille pezzi depositati al costruendo museo di archeologia subacquea di Grado, contrassegnati e distinti che vanno riassemblati). Dalla Iulia Felix, ritrovata ancora nel lontano 1987, ben trenta anni fa, sono stati recuperati anche tutti i reperti. C’è poi la più grande “Grado 2” (è più antica della Iulia Felix; risale, infatti – la datazione è stata fatta basandosi sull’epoca delle anfore trovate a bordo – tra fine II e inizio I secolo ma avanti Cristo) il cui scafo pare destinato a rimanere stabilmente sotto il fondale. Di questo secondo ritrovamento è già stato recuperato una parte del carico. Tanto altro ne rimane, però, da recuperare ma tutto è fermo. Anche perché è necessario capire dove saranno depositati i reperti che diventano sempre più numerosi ma che nessuno, tranne i vari responsabili e operatori direttamente interessati, può vedere. C’è inoltre da ricordare che come certezza esiste pure la segnalazione della presenza di una terza nave romana individuata lo scorso anno ma sarebbe di epoca decisamente più recente, ma quasi certamente, l’àncora trovata ieri porterà a scoprire che c’è anche la “Grado 4”. @anboemo

Antonio Boemo

 

Occhi puntati sul Museo nazionale mai aperto - Rita Auriemma: «Non è detto che ci sia un relitto». Caburlotto: «Pronti a inaugurare entro il 2018»
GRADO Il reperto rimerso al largo di Grado è certamente un ceppo d’ancora in piombo di tipo fisso con perno nella scatola. Da una prima valutazione delle immagini disponibili Rita Auriemma, archeologa subacquea e direttore del Servizio catalogazione, formazione e ricerca dell’Erpac, ritiene che possa provenire da una nave romana di medio tonnellaggio di almeno 25 metri di lunghezza. «Le ancore romane - spiega l’esperta che ha seguito le dieci campagne di scavo e recupero dello scafo e carico della Julia Felix, imbarcazione del II secolo d.C. affondata al largo dell’Isola del Sole - erano composte da un fusto verticale in legno e da marre lignee diagonali che avevano il compito di agganciare il fondale. Il ceppo in piombo pesante serviva ad affondare e depositare l’ancora sul fondo». Il ritrovamento non implica necessariamente la presenza di un relitto. «Queste ancore venivano perdute per vari motivi - prosegue l’esperta -: se la nave doveva allontanarsi in fretta dal tratto di mare i marinai decidevano di tagliare la cima”. Lo stesso accadeva in caso l’ancora fosse incagliata sul fondo a profondità tale da rendere impossibile il recupero. Al momento non è stato ancora stabilito dove il reperto verrà conservato, decisione che spetta alla Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio del Fvg, titolare del manufatto. Certo una possibile collocazione potrebbe essere nel Museo nazionale dell'archeologia subacquea, da anni in attesa di essere aperto al pubblico. «Entro l’autunno - spiega Luca Caburlotto, direttore del Polo museale Fvg, potremmo aprire una prima parte dell’edificio, per organizzarvi appuntamenti di presentazione dei contenuti scientifici del Museo. Con l’Erpac e il comune di Grado abbiamo firmato un accordo e entro giugno dovremmo avere la certezza della disponibilità di un finanziamento di oltre 300mila euro da parte del Ministero per i Beni culturali». L’Erpac ha messo a disposizione due esperti per la catalogazione dei reperti della Julia Felix che saranno esposti nella mostra in programma da dicembre alla primavera 2018 a Trieste all’ex Pescheria dal titolo “Nel mare dell’intimità”. Alla chiusura dell’esposizione triestina i reperti ritorneranno sull’Isola d’oro.

Margherita Reguitti

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 24 maggio 2017

 

 

Giardini inquinati - Scattano le bonifiche - Si parte dalla scuola dell’infanzia di via Svevo e dalla Biagio Marin di Servola
Negli altri siti verranno utilizzate le “super piante”. Appalto da 350mila euro
Tra un mese partono i lavori per bonificare due dei sette giardini inquinati. Quello che sembrava un bubbone irrisolvibile, scoperto quasi per caso nella primavera dell’anno scorso dall’ex giunta Cosolini, ora ha un progetto, dei soldi e una data segnata sul calendario. Gli interventi cominciano negli spazi verdi delle due scuole dove sono state rinvenute le contaminazioni, il “don Chalvien” di via Svevo e la “Biagio Marin” di via Praga a Servola. L’operazione prenderà il via non appena si concluderà l’anno scolastico, dunque prima dell’estate. Fatto questo, si passerà al fitorimedio: le “super piante” capaci di assorbire i veleni. Verranno seminate in tutte le altre superfici in cui sono state trovate le sostanze cancerogene, a cominciare dal “de Tommasini” di via Giulia. È di ieri pomeriggio la riunione dei dirigenti comunali con i tecnici dell’Arpa che ha stabilito gli ultimi dettagli di uno dei due appalti. Il piano L’Istituto superiore di sanità, come conferma l’assessore all’Ambiente Luisa Polli, ha approvato il progetto preparato da Comune, Regione, Arpa, AsuiTs e Provincia. È il tavolo tecnico sorto per risolvere il problema dell’inquinamento riscontrato un anno fa su sette dei dodici giardini che erano stati presi a campione dall’ex giunta Cosolini per accertare l’impatto della Ferriera sul suolo. Si tratta di piazzale Rosmini, del Miniussi di Servola e del “de Tommasini” di via Giulia, il polmone verde della città. E, ancora, di due scuole dell’infanzia ed elementari che si trovano a Servola: il “don Chalvien” di via Svevo e la “Biagio Marin” di via Praga. Sempre nello stesso rione, compaiono pure i cortili della chiesa San Lorenzo e dell’Associazione amici del presepio in via dei Giardini. In queste aree verdi l’anno scorso sono spuntate contaminazioni elevate di benzopirene, benzoantracene e benzofluorantene e altre sostanze potenzialmente cancerogene. Ottenuto il via libera dell’Istituto superiore di sanità, il tavolo tecnico darà mandato al Comune di avviare i lavori. Il municipio intende procedere con un doppio appalto per un totale di 350mila euro: uno per le scuole, dove andrà risanato il terreno, e l’altro per il resto dei giardini. Lì, come detto, andranno seminate le piante in grado di assorbire le sostanze. Le scuole Si comincia con i giardini della “don Chalvien” di via Svevo e della “Biagio Marin” di via Praga, considerati i più sensibili perché ci giocano i bambini. Sarà indispensabile rimuovere le zolle avvelenate sostituendole con terra pulita. Sono 15-20 centimetri di profondità da rimpiazzare. I lavori partiranno non appena si concluderà l’anno scolastico, quindi a metà giugno. Il Comune, fa sapere il direttore dei Lavori pubblici Enrico Conte, conta di chiudere il tutto entro la fine di agosto, cioè prima che i bambini ritornino a scuola. Il fitorimedio Il fitorimedio, vale a dire la semina delle piante speciali, sarà adottato in tutti gli altri siti non appena concluse le operazioni nelle due scuole: in piazzale Rosmini, al Miniussi di Servola e al “de Tommasini” di via Giulia, oltre che nei cortili della chiesa San Lorenzo e dell’Associazione amici del presepio in via dei Giardini. Si tratta di una sperimentazione alla quale ha collaborato anche l’Università. Ma per il Giardino pubblico di via Giulia si prevede anche la piantumazione di un manto erboso nei punti maggiormente utilizzati dai bimbi, cioè le aree gioco. «La finalità - ricorda Conte - è impedire il contatto con il terreno inquinato, come indicato dall’Istituto superiore di sanità». Il monitoraggio Non finisce qui. L’Istituto superiore di sanità, l’AsuiTs e l’Arpa hanno chiesto al Comune di Trieste un piano di monitoraggio delle aree interessate dai lavori. Non basterà dunque bonificare o punteggiare il suolo di piante speciali, ma sarà necessario anche accertare se nelle superfici trattate il terreno continui a subire contaminazioni o meno. Inquinamento che, come per il Giardino pubblico di via Giulia, potrebbe essere causato dal traffico. O dalla Ferriera, come nel caso dei punti più vicini allo stabilimento. Saranno installati, a questo proposito, alcuni “deposimetri”, strumenti in grado di intercettare eventuali alterazioni del terreno

di Gianpaolo Sarti

 

IN CENTRO - Il più tossico di tutti è quello di via Giulia
Il più tossico di tutti è il Giardino pubblico di via Giulia, il “de Tommasini”. Si trova praticamente in pieno centro, e quindi evidentemente è il più esposto all’inquinamento. Certamente a quello del traffico. Il benzopirene, è stato accertato dall’Arpa, lì è presente con una media di 2,8 milligrammi per chilogrammo di sostanza secca quando le normative indicano una soglia limite di 0,1. È quasi trenta volte tanto rispetto a quanto stabilito dalla legge. Per fare un altro esempio, piazzale Rosmini è a 0,84 milligrammi per chilogrammo. Non appena scoperte le contaminazioni, dunque l’anno scorso, l’inquinamento del terreno è stato segnalato in tutte le aree interessate con una serie di cartelli che ne vietano l’accesso. I giardini sono utilizzabili, ma non le aree verdi. I veleni rintracciati nel suolo potrebbero comunque essere dovuti a varie cause: sversamenti di idrocarburi, traffico veicolare, riscaldamento domestico, attività industriale e portuale.

(g .s.)

 

Erba altissima in piazzale Rosmini - I residenti protestano. Al via una raccolta firme per sollecitare sfalcio e pulizia
Manca poco per l’avvio della bonifica di alcuni giardini inquinati. Ma intanto gli spazi verdi di piazzale Rosmini e del Giardino pubblico cadono in un inesorabile e inevitabile declino. L’erba è talmente alta a San Vito - dove sta per partire una raccolta firme - che i bambini, scorrazzando tra un gioco e l’altro, non si vedono nemmeno più. «Sarà più o meno alta 60 centimetri - osserva Fulvia Ada Rossi, residente del rione -, il giardino attualmente è in completo stato di abbandono. Anche se inquinato, le persone lo frequentano lo stesso. Solo all’inizio, quando erano state posizionate le transenne, c’era stato un momento di “panico” e per i primi 20 giorni nessuno ci andava più. Adesso in particolare, con il caldo, la gente vuole stare fuori». Tanto che nei giorni scorsi, il giardino era affollatissimo, fa sapere Rossi. Dalle mamme o nonni con bambino, al padrone con il proprio cane, alla badante assieme all’anziano. «I parapetti posizionati diversi mesi fa, quelli vicino alla centralina, che è stata presa d’assalto dai writer, sono completamente coperti dall’erba» aggiunge. I cespugli interni e sul perimetro del parco «non vengono potati, non hanno più né una forma né una misura, sono diventati dei muri verdi altissimi». Per fortuna però qualcosa viene fatto: «Con regolarità vengono svuotati i cestini e vengono soffiate le foglie». Visto il degrado in cui versa l’area, Rossi assieme ad altri residenti lunedì ha incominciato a pensare di realizzare una raccolta firme affinché venga falciato il prato e sia manutenuta la zona. A queste richieste si aggiunge anche l’esigenza che «il giardino non venga bonificato proprio quest’estate». «Se nei prossimi mesi dovessero chiudere questa parte di San Vito per fare i lavori - afferma Rossi -, penso che sarebbe un altro colpo per gli abitanti di piazzale Rosmini, perché vorrebbe dire privarli del verde. Piuttosto in autunno, già a settembre, quando insomma va via il caldo». L’ultima volta che l’erba è stata tagliata? «Forse prima del posizionamento della centralina - che aveva creato molte polemiche a causa della collocazione interna al giardino non voluta dai residenti -, un modo secondo me per darci il boccone amaro addolcito». A sollecitare un intervento del Comune affinchè si curi di quel piccolo appezzamento di terra verde ci sono anche Sindi Svik e Manuel Icardi. «È necessaria una ripulita del giardino, così come dei giochi per i bambini tutti pieni di scritte» dice Sindi. «Io sono sempre una buona esca per le zecche - aggiunge Manuel -, spero di non prenderle visto che l’erba è altissima». «Ormai una fetta di clienti l’abbiamo persa - si lamenta Marilena Lofino, titolare del Bar Rosmini -. Ci sono i topi e ora il Comune tarda, come l’anno scorso, a darmi la concessione stagionale, già pagata, per mettere i tavolini dall’altra parte della strada, vicino al giardino. Sia io che altri esercenti - conclude - siamo stufi, dobbiamo sempre inventarci qualsiasi cosa per avere clienti, ma così a un certo punto ci passa la voglia di lavorare». Dall’altra parte della città Barbara Napolitano del bar “L’angolo del pane” in via Marconi ripensa invece al mese in cui il Giardino pubblico è rimasto chiuso a causa del taglio di alcuni alberi. «Il mio locale ne ha risentito perché la gente non passando più per il giardino, faceva il giro e non veniva qui. Per fortuna d’estate, anche se il giardino ora non è messo proprio in ottime condizioni, ho comunque una clientela frequente. Il parco ha bisogno di una rapida bonifica».

Benedetta Moro

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 23 maggio 2017

 

 

Bretella di Porto vecchio chiusa al traffico - Fra 15 giorni scatta il provvedimento del Comune nel tratto da Largo Santos fino al magazzino 20
Pedoni, ciclisti, podisti, ma anche i conducenti di qualsiasi altro mezzo sono avvisati: fra due settimane non potranno più percorrere o sostare lungo la bretella interna al Porto vecchio, nel tratto dai varchi di Largo Santos fino al magazzino 20, situato a poca distanza dal magazzino 26, nei pressi dell’attraversamento dei binari. L’accesso al magazzino 26 e agli altri edifici In seguito al trasferimento al Comune della proprietà di gran parte delle aree del Porto vecchio, l’intera bretella, da Largo Santos a viale Miramare, è divenuta una strada di competenza comunale. Ma avendo le caratteristiche di un’area portuale, per motivi di sicurezza il Comune ha preso una serie di provvedimenti relativi alla circolazione e alla sosta. Da qui l’ordinanza emessa ieri (e resa nota attraverso l’Albo pretorio, anche sul sito Rete civica) che, nel tratto ricordato, istituisce il divieto di circolazione (accesso, transito e sosta) per tutti i veicoli e per i pedoni. Va da sè che chi violerà tale divieto potrà essere multato dalla Polizia municipale, come avviene su qualsiasi altra strada urbana. A fronte del divieto, l’ordinanza firmata dal sindaco prevede una serie di eccezioni, che nella fattispecie riguardano veicoli e personale dei mezzi di soccorso, quelli delle amministrazioni e delle autorità, i veicoli operativi delle aziende di servizi pubblici (per ben precisi interventi di pubblica utilità), i mezzi dotati di uno specifico permesso rilasciato dagli uffici comunali (manutenzioni edilizie, traslochi, allestimento di mostre), e infine veicoli e personale della Tertrans srl, società già concessionaria dell’Autorità portuale. L’ordinanza specifica poi che altre richieste di accesso o sosta nella zona, non comprese in quelle citate e comunque a carattere temporaneo, saranno valutate dal sindaco. Mano pesante anche in relazione alla sosta. Il provvedimento stabilisce che eventuali veicoli in sosta abusiva lungo la viabilità interna del Porto vecchio, ma anche quelli posteggiati all’esterno dei tracciati predisposti nella zone di parcheggio, poichè costituiranno motivo di pericolo e intralcio per la circolazione saranno rimossi d’autorità (in base all’articolo 159 del Codice della strada). Infine, su tutte le strade all’interno del Porto vecchio viene istituito il limite di 30 chilometri orari per tutti i veicoli.

(gi.pa.)

 

 

Il Friuli Venezia Giulia dichiara guerra alle nutrie “invadenti” - Già pronte due leggi (una della giunta, l’altra di Piccin) per tutelare l’agricoltura e la sicurezza dei corsi d’acqua
TRIESTE - Debellare l’invasione delle nutrie. È con questo obiettivo che l’assessore Paolo Panontin e la consigliera Mara Piccin (Fi) hanno depositato due testi di legge, distinti ma pressoché identici, che si propongono di eradicare la presenza dei grossi roditori che proliferano da tempo in numerose zone del Friuli Venezia Giulia, arrecando danni alle coltivazioni e impattando in modo negativo sulla sicurezza dei corsi d’acqua, come avviene d’altronde in tutta la Pianura padana. Si tratta di un roditore simile a un grosso castoro, originario del Sud America e introdotto in Italia a inizio Novecento per la realizzazione di pellicce a basso costo. Quando il settore è andato in crisi negli anni Ottanta, gli allevatori hanno liberato le nutrie, invece che sopprimerle come previsto dalla legge, evitando così di sostenere ulteriori spese. Ciò ne ha determinato la diffusione negli ambienti favorevoli e l’impatto negativo su colture e nidiate di uccelli acquatici, ma anche su argini minori, canali e sponde di fossati, perché la nutria scava gallerie nel sottosuolo e crea rischi per la sicurezza idrogeologica. Le nutrie sono considerate dagli agricoltori un vero flagello e la loro eliminazione contrappone da anni fautori degli abbattimenti e animalisti. Come ha spiegato Panontin, «il disegno di legge della giunta predispone uno strumento efficace per il controllo e l’eradicazione di questa specie: vareremo un piano triennale, conforme ai dettati dell’Ispra, coordinando i soggetti preposti all’attuazione del piano, guardie volontarie, guardiaparchi, addetti alla vigilanza idraulica e cacciatori, coordinando i cacciatori attraverso la Forestale e prevedendo anche forme non cruente di prevenzione della riproduzione». Sovrapponibile la proposta Piccin, che prevede a sua volta un piano triennale e la possibilità di cacciare la nutria «in ogni periodo dell’anno, su tutto il territorio regionale», senza limitazioni quantitative. La Quarta commissione si riunirà oggi stesso per cercare di giungere a un testo condiviso, da portare in aula a giugno. Se centrosinistra e centrodestra sono concordi, il Movimento 5 Stelle chiede di adottare strade diverse. Ilaria Dal Zovo teme «un buco nell’acqua e danni all’ecosistema: il problema non si risolve con l’uso delle armi e creando un regolamento di caccia più permissivo, che permetterà di entrare nei parchi protetti e sparare in ogni periodo dell’anno e in luoghi solitamente vietati. I piani di abbattimento sono crudeli e non hanno dato risultati in passato, ma anzi aumentano la fertilità della specie. Investiamo in programmi di sterilizzazione e riequilibrio ambientale». A favore del provvedimento si schierano gli operatori economici come Confagricoltura, secondo cui «l’eradicazione è una necessità: la nutria si sta accrescendo in modo abnorme. Se gli animalisti protestano, trovino una soluzione per i nostri mancati redditi». Coldiretti Fvg condivide e chiede di «riflettere anche sul contenimento di cinghiali, corvidi e cervidi». Favorevole anche l’Associazione vallicoltori di Grado e Marano, impegnata nell’allevamento di pesce, per la quale «si tratta di un discorso di sicurezza idraulica contro animali che creano situazioni di crisi». Gli esperti dell'Università di Udine ritengono sia però più saggio lavorare al contenimento delle nascite, anche tenendo conto di una certa repulsone dell’opinione pubblica agli abbattimenti di massa. Netta contrarietà viene invece dalla Lav, secondo cui «non esistono dati che dimostrino l’emergenza e tantomeno le nutrie sono portatrici di malattie pericolose. Inoltre gli abbattimenti indiscriminati otterranno l'effetto di indurre la specie a moltiplicarsi ed estenderanno la caccia 24 ore su 24 anche fuori dalla stagione venatoria, facendo girare persone armate e dando copertura alle attività di bracconaggio. Servono metodi non letali, come dicono i regolamenti Ue: altrimenti parliamo di una strage e non di prevenzione. Si cominci proibendo la caccia alla volpe, predatrice della nutria».

Diego D’Amelio

 

 

VALORI ACUSTICI - Ferriera, Dipiazza incalza la Regione

«È opportuno che la Regione acquisisca i pareri dell’Arpa e dell’Azienda sanitaria e verifichi in contraddittorio i valori acustici indicati dalla Ferriera di Trieste». Lo chiede in una nota il sindaco Roberto Dipiazza.

 

 

Caccia aperta ai rifiuti nel mare - L’Ogs guida il progetto per la realizzazione di una banca dati mondiale sull’inquinamento
Si è concluso da pochi giorni all’Ictp di Trieste il meeting sul progetto EMODnet Chemistry, (European Marine Observation and Data Network), un’iniziativa a lungo termine della Commissione Europea, Direzione Generale per gli Affari marittimi e la Pesca (Dg Mare) che costituisce uno dei pilastri della strategia Marine Knowledge 2020. Nato nel 2009 e coordinato dalla ricercatrice della Sezione di Oceanografia dell’Ogs Alessandra Giorgetti, durante gli incontri della scorsa settimana, a cui hanno partecipato partner provenienti da 25 diversi Paesi, è stata avviata la terza fase del progetto che, in particolare, si focalizzerà sui rifiuti marini e porterà alla realizzazione di una banca dati europea per la gestione delle informazioni sulle scorie spiaggiate e in mare. E inoltre gli studiosi si focalizzeranno sul «monitoraggio di tutti i mari europei – spiega Giorgetti – e appunto raccoglieremo le informazioni sui rifiuti marini: a Trieste abbiamo coordinato l’approccio con cui faremo questa raccolta. Esistono già dei database, il nostro ruolo sarà quello di integrare le informazioni, condividendo le best practice tra il Nord e il Sud Europa». Finora sono stati riuniti oltre 10 milioni di dati sullo stato di salute dei nostri mari proprio nell’ambito del progetto EMODnet Chemistry. «I valori aggiunti di questo progetto – specifica Giorgetti – riguardano l’armonizzazione delle informazioni e dei parametri misurati in relazione alle caratteristiche chimiche dei mari, come i nutrienti, gli inquinanti di origine antropica e i rifiuti marini sulle spiagge, sul fondo del mare o galleggianti, e le microplastiche. Componente essenziale nel processo di integrazione è anche la validazione delle informazioni, effettuata applicando procedure condivise pure a livello europeo, mettendo quindi assieme dati provenienti da diversi paesi ed evidenziando eventuali inconsistenze, come errori nelle unità di misura. I risultati del progetto vengono poi forniti agli organi decisori, che possono far riferimento ad esempio alla Commissione europea oppure al programma delle Nazioni Unite per la protezione dell'ambiente marino e lo sviluppo sostenibile delle zone costiere del Mediterraneo (Unep/ Map), responsabile per la definizione delle politiche ambientali e la relativa gestione». »La valutazione dello stato dei mari, di competenza dei diversi Ministeri dell’Ambiente - aggiunge Marina Lipizer, ricercatrice dell’Ogs -, è fondamentale poiché dallo stato di salute dell’ambiente dipendono le azioni e le politiche di riduzione degli impatti, come per esempio la riduzione o la tassazione dell’uso dei sacchetti di plastica, o l’aumento dei sistemi di depurazione». In pratica, gli enti coinvolti portano avanti un’azione di science diplomacy favorendo la cooperazione tra paesi Ue e non-Ue (Russia, Ucraina, Georgia, Turchia), per la salvaguardia dell’ambiente marino. «Monitorare lo stato di salute degli ecosistemi marini – afferma la presidente Maria Cristina Pedicchio - è una priorità per Ogs, nella convinzione che la salvaguardia dell’ambiente sia uno step fondamentale per perseguire gli obiettivi della cosiddetta Blue Economy: uno sviluppo intelligente e sostenibile attraverso un uso responsabile delle risorse marine e la cooperazione tra i paesi Mediterranei, grazie allo strumento della science diplomacy».

Benedetta Moro

 

 

Quelle vite controcorrente sul Piave - al Caffe' San Marco

Oggi alle 18, il circolo triestino di Legambiente organizza la presentazione del libro “Acqua guerriera. Vite controcorrente sul Piave” (Ediciclo editore), al San Marco. Con l’autrice, Elisa Cozzarini, dialogherà la fotografa Erika Cei. L’interesse nasce dal fatto che quello che dovrebbe essere il corso d’acqua più caro all’Italia racchiude oggi tutti i problemi ambientali di cui soffrono i fiumi italiani, dall’eccessivo sfruttamento idroelettrico nel suo tratto alpino, al prelievo indiscriminato di ghiaia nel medio corso e alla risalita del cuneo salino dal mare. Il Piave è il fiume guerriero per eccellenza. Il suo mormorio difese l’Italia dallo straniero, nella Grande Guerra. Eppure per la gente, in Veneto, è rimasto femminile: è l’acqua che ha plasmato la terra, le persone, la cultura. Cosa resta oggi di quel fiume abbondante, a tratti spaventoso? Questo libro è un viaggio alla ricerca dell’anima del Piave e della terra che attraversa, ferita da un benessere capace di travolgere ogni cosa. Traccia il ritratto dei suoi eroi contemporanei, gli arditi dell’ambiente, i devoti al territorio e al paesaggio, persone normali che si mettono controcorrente, perché tutta la bellezza non sia inghiottita dal cemento e dall’immondizia. Per capire il fiume devi uscire dall’auto, avvicinarti, scenderlo in canoa. Così puoi renderti conto di chi sono i mostri contro cui lottano oggi i guerrieri del Piave.

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 22 maggio 2017

 

 

Rivoluzione delle tariffe scontate nei parcheggi comunali al coperto - IL PIANO»sosta a pagamento - il PIANO TARIFFE per la sosta nei contenitori comunali
Le tariffe dei parcheggi “in struttura” del Comune sono state appena modificate con un sistema di sconti che mira a incentivare soprattutto la sosta negli stalli a rotazione. Nel corso dell’ultimo anno, Esatto ha effettuato delle verifiche volte a misurare il coefficiente medio di occupazione (cmo) dei singoli parcheggi. E nel rapporto stilato al termine delle ispezioni è emerso che i parcheggi con tariffe solo in abbonamento, come ad esempio quelli di via del Rivo o di via Tor San Piero, tendono alla piena occupazione, mentre le strutture con maggiore capienza, San Giovanni e Sant’Andrea, che dispongono di posti anche a rotazione, presentano un coefficiente inferiore al 40%. «Il Comune, rilevati questi aspetti, ha deciso, dove necessario, di intervenire con un sistema di sconti, di promozioni e una tariffa flat che ne incentivi l’utilizzo - spiega l’assessore comunale con delega alla Gestione del patrimonio, Lorenzo Giorgi - ma che soprattutto stimoli gli automobilisti a parcheggiare in zone più periferiche utilizzando poi l’efficiente sistema di trasporto pubblico locale per raggiungere il centro città». Il Comune ha stabilito così di introdurre una tariffa oraria fissa di 1 euro, con una promozione attiva fino al raggiungimento di un cmo del 75%, che prevede un abbattimento del 50% della tariffa stessa per le prime tre ore di sosta. Dunque, se prima di queste novità per un’ora si pagavano 60 centesimi, ora se ne pagheranno 50 nonostante appunto l’introduzione della tariffa di base di 1 euro. «La soluzione flat - specifica Giorgi - prevede inoltre che dopo la quinta ora la tariffa venga bloccata fino al raggiungimento dell’ottava ora». Quindi, se prima per 8 ore bisognava pagare 6,50 euro ora se ne sborseranno solo 3,50. Il nuovo piano tariffario prevede inoltre per i parcheggi di San Giovanni e Sant’Andrea l’introduzione di un prezzo vincolato di 6 euro per soste fino a 12 ore (il tariffario precedente prevedeva 10,50 euro) e di 10 euro per soste fino a 24 ore. Ma fino al raggiungimento di un coefficiente medio di occupazione del 75% è prevista un’ulteriore riduzione del 20% della tariffa. «Abbiamo deciso di rendere particolarmente vantaggioso restare più ore - valuta Giorgi - visto che chi parcheggia in quelle strutture non centrali prevede il più delle volte di spostarsi in centro e riprendere l’automobile dopo diverso tempo». A differenza dei parcheggi nel cuore di Trieste utilizzati da molti anche per poco tempo, magari per meno di un’ora. Il Comune ha individuato tre zone tariffarie: una ad altissima richiesta di parcheggi, un’altra ad alta richiesta e una terza zona a media richiesta di parcheggi. L’aggiornamento tariffario prevede di uniformare e semplificare i piani tariffari degli abbonamenti nelle strutture sistemate in zone definite ad alta richiesta ovvero Sant’Andrea, via del Rivo, via Tor San Piero, Park Salem, quello a Cologna e Park Querce. In questi parcheggi per un abbonamento annuale da 24 ore si pagheranno 936,50 euro. Un risparmio, ad esempio, per chi prima a Sant’Andrea pagava mille euro. Sempre per 24 ore l’abbonamento semestrale costerà 500 euro (in via del Rivo che conta 72 stalli costava 468,25 euro) e 93,50 se mensile (a Sant’Andrea la tariffa precedente era di 99 euro). Per alcuni park c’è un ritocco al ribasso, per altri al rialzo. Per i parcheggi sistemati in zone definite ad altissima richiesta di parcheggi, l’abbonamento è stato ritoccato al rialzo solo per la tariffa semestrale passando da 572,50 euro a 612,50. Invariato invece il costo degli abbonamenti mensili e annuali. L’amministrazione comunale nel caso di cmo inferiore al 70%, prevede anche di stipulare convenzioni, a tempo determinato, sugli abbonamenti con un abbattimento del costo fino al 20% da 10 a 20 posti, del 30% da 21 a 40 posti e fino al 50% per oltre 40 posti. Le tariffe di abbonamento per i posti riservati alle moto prevedono una riduzione del 50% rispetto a quelle per le automobili. In caso di cmo inferiore al 60%, è prevista anche una differenziazione delle tariffe introducendone una diurna-feriale e una notturna-festiva. Va considerato che il Comune di Trieste (che prevede l’acquisizione di ulteriori parcheggi “in struttura” tra i quali quelli in largo Niccolini, di via Flavia e di via dei Leo) continuerà a monitorare il coefficiente medio di occupazione di tutte le sue strutture adibite a park, intervenendo con l’introduzione della specifica riduzione delle tariffe quando l’occupazione dei posti dovesse essere inferiore ai limiti stabiliti.

Laura Tonero

 

Il trenino pronto a ripartire sulle rotaie di Porto vecchio - L’annuncio degli assessori Rossi e Polli: «Allo studio l’utilizzo dei binari storici»
Tramway Tpv: «Tornerà per la mostra sui 160 anni della Ferrovia Meridionale»
«I binari li lasciamo là sotto perché se qualcuno - nei prossimi anni - vorrà divertirsi con i trenini, su e giù, lo potrà fare. Lasciamo questa opportunità». Il sindaco Roberto Dipiazza, annunciando il 12 maggio - alla trasmissione “Ring” di Telequattro - i mille posti auto sul terrapieno di Barcola (poi diventati 500, la metà), sembrava avere seppellito una volta per tutte il trenino di Porto vecchio. «Porto 50 camion di ghiaia e faccio un mega parcheggio». E invece, una settimana dopo, sempre in tv, due assessori della sua giunta, Giorgio Rossi e Luisa Polli, si rimettono a giocare con il trenino riesumando i binari del vecchio scalo per la gioia del gruppo Tramway Porto vecchio Trieste che non si è mai rassegnato al fermo ferroviario deciso dalla giunta Dipiazza un anno fa, appena insediata. A riaprire la pratica per prima è l’assessore all’Ambiente Luisa Polli, che annuncia: «Con l’Autorità portuale abbiamo già pensato a come sarà la viabilità di attraversamento in Porto vecchio: strada, pista ciclabile e rotaie». Rotaie? In soccorso arriva Rossi che vuole evitare che il dibattito si riduca - parole sue - «alla questione del trenino sì, trenino no». «Una ventina di giorni fa ho avuto un incontro con il Museo Ferroviario che è in possesso della planimetria della rete ferroviaria in Porto vecchio. Credo che la nuova dorsale di collegamento interna ne debba tener conto. Non va trascurata una serie di parti e componenti della rete ferroviaria che certamente verranno mantenute sia per la loro realtà storica sia per un utilizzo parziale. Non credo che alla fine si debbano scartare queste cose». La collega Polli si spinge oltre: «Abbiamo allo studio con l’Autorità portuale la passeggiata a mare e la pista ciclabile. Lì accanto passa una linea di rotaie che potrebbero essere utilizzate per un tram tipo quello di Opicina a emissioni zero. Come assessore all’Ambiente devo puntare a dare un godimento a impatto zero». Parole colte subito con favore da Tramway Porto vecchio Trieste: «Alla fine i progetti intelligenti emergono naturalmente. Va dato atto al sindaco Roberto Dipiazza che aveva promesso, durante la conferenza stampa dell’11 novembre 2016, la collaborazione dei suoi uffici al progetto Tramway Tpv, di avere portato avanti questa idea assieme all’assessore Giorgio Rossi, affidando all’ingegner Giulio Bernetti il compito di interfacciarsi con Ferstoria, il Museo Ferroviario e Italia Nostra per il mantenimento e lo sviluppo dei binari utili a tale progetto di trasporto. Prossimamente inviteremo il sindaco Dipiazza e gli assessori Rossi e Polli a salire sul Tramway Tpv e verificare praticamente la validità del servizio nato proprio da un’idea condivisa tra il Comune di Trieste e l’Autorità portuale». Il trenino, infatti, è pronto a ripartire. «Ferstoria assieme al Comune di Trieste e all’Autorità portuale organizzerà, all’interno della Centrale idrodinamica, una mostra dedicata ai 160 anni della Ferrovia Meridionale-Südbahn, dove - oltre alle raccolte fotografiche e di materiali relativi - verrà esposta una locomotiva a vapore funzionante e il Tramway Tpv effettuerà il servizio di collegamento con il centro di Trieste». La giunta Dipiazza è pronta a divertirsi con i trenini. «Ricordiamo che il Tramway Tpv in appena otto weekend e durante la settimana della Barcolana aveva trasportato circa 12.000 persone. Per arrivare a Barcola è tutto pronto e basterà realizzare l’attraversamento stradale dei binari sulla bretella di accesso al Porto vecchio» aggiungono i promotori, ripescando il progetto dell’allungamento della linea ferroviaria in funzione balneare messo a punto dall’ex sindaco Roberto Cosolini. «Leggo con piacere che il sindaco Dipiazza annuncia un parcheggio per auto sul terrapieno di Barcola - fa sapere Cosolini -. È una buona idea: se collegato con mezzi pubblici alla città (ad esempio, il treno già esistente e i bus) potrebbe essere un’ottima soluzione per i visitatori della nostra città. Ed è anche bene che faccia proprie le buone idee che più di un anno fa la precedente amministrazione aveva avuto e che dopo la sua elezione gli aveva trasmesso». Con i trenini non si finisce mai di giocare

Fabio Dorigo

 

 

Nel “bottino” finale di MareNordest cellulari e un Cabernet - La pulizia dei fondali e le simulazioni dei cani da salvataggio chiudono la kermesse.

Riemersi 30 telefonini e 300 bottiglie - la manifestazione
La bellezza dei cani da salvataggio e i volontari subacquei che, nell’operazione di tutela e pulizia dei fondali, scoprono persino un cimitero marino di cellulari davanti a piazza Unità. Si chiude in crescendo “Mare Nordest 2017 - I mestieri e i misteri del mare”, la manifestazione di Trieste sommersa diving, organizzata in collaborazione con il Comune di Trieste, con il sostegno di AcegasApsAmga, Trieste Trasporti, Bignami Sub, Fondazione benefica Foreman Casali e Samer&Co.Shipping e con “Il Piccolo” come media partner. L’ultima giornata si consuma in gran parte all’aperto e vede il tratto compreso tra molo Audace e Scala reale ospitare gli appuntamenti più popolari della tre giorni che si propone di (ri)lanciare Trieste come “capitale” della cultura europea del mare. Dopo le prime giornate all’insegna di conferenze, cerimonie e laboratori, il mare “vero” conquista tutti i riflettori: quattordici associazioni e un centinaio di volontari - trenta di supporto a terra - danno vita alla terza edizione di “Operazione Clean Water”, coordinata da Adriano Lugnani e Roberto Lugnani, con il supporto dello staff dell’Area marina protetta di Miramare, del battello ecologico Spazzamari, dell’AcegasApsAmga. Collabora la III A del liceo Oberdan accompagnata dalla docente Claudia Giacomazzi. L’obiettivo di “Clean Water” è pulire i fondali raccogliendo i rifiuti e sensibilizzando i cittadini. La missione riesce e si chiude con un “bottino” per certi versi strabiliante (in negativo): i volontari recuperano una trentina di telefoni cellulari caduti davanti a piazza Unità. Così come riportano in superficie un monopattino, una cinquantina di lattine, una quarantina di bicchieri e trecento bottiglie sempre di vetro. Non basta. Gli “angeli del mare” fanno riemergere una bicicletta, una decina di sacchi di nylon, esche per calamari e seppie, una ventina di metri di tessuto per tende, un paio di ringhiere zincate e l’immancabile batteria. Il “trofeo” più originale? Se lo scorso anno fu un ordigno bellico, quest’anno stravince una bottiglia integra, mai stappata, di vino rosso individuata dal sub Enrico Torlo, un veterano della sigla Cst. Se smarrita o lanciata è impossibile saperlo. Ma poco importa: il recupero si tramuta in un brindisi. Uno dei tanti che sigillano la chiusura dei lavori di “Mare Nordest”. Per la cronaca la bottiglia “salvata” è un Cabernet. Forse il primo al mondo a poter vantare una conservazione speciale all’«acqua pazza». La “Clean Water” prevede anche una serie di graduatorie, quasi un pretesto per animare la cerimonia finale, premiando il gruppo più numeroso (i 24 veneti della Calypso), il sub più anziano (Maurizio Bettoncelli di 62 anni) e quello più giovane (Riccardo Vianello di 14 anni entrambi del clan di Marghera). Riconoscimenti anche per i Pompieri volontari Trieste e per la Scuola cani salvataggio Fvg. Già, i cani da salvataggio. Belli, docili, forti e utili. A dimostrarlo le simulazioni di ieri con l’ausilio di un gommone e di una moto d’acqua. Il sipario sulla sesta edizione di “Mare Nordest” cala nel teatro probabilmente più idoneo, il molo IV, dove è marcata la partecipazione delle scuole. «Uniti si può crescere e migliorare - commenta Roberto Bolelli della Sommersa Diving - . Stiamo già pensando all’allestimento del 2018 con l’obiettivo di creare qualcosa di ancor più coinvolgente per la città e la cultura marittima».

Francesco Cardella

 

 

Muggia - Opposizione spaccata sulla raccolta dei rifiuti
L’ultima riunione del consiglio comunale ha confermato in modo inequivocabile la spaccatura dell’opposizione. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la mozione sui rifiuti portata avanti da Movimento 5 Stelle (Emanuele Romano) e dalle liste civiche Obiettivo comune per Muggia (Roberta Vlahov) e Meio Muja (Roberta Tarlao). «La nostra richiesta di trasparenza e di premialità per i cittadini più bravi nel differenziare la raccolta dei rifiuti è stata bocciata non solo dal centrosinistra, ma anche dal centrodestra», ha spiegato Tarlao. La capogruppo di Meio Muja è stata protagonista assieme al consigliere di Forza Muggia-Dpm Andrea Mariucci di un acceso dibattito in aula. Alla fine tutte le forze del centrodestra - con i forzisti si sono schierati Lega Nord e Fratelli d’Italia - hanno imbeccato Tarlao, Vlahov e il grillino Romano per un modo di fare opposizione all’amministrazione Marzi che non sta piacendo, pur condividendo l’essenza dell’ultima mozione sui rifiuti: «Siamo fermamente convinti che introdurre premialità e puntualità nelle tariffazioni sia la strada giusta per introdurre il nuovo metodo di raccolta differenziata - spiega il centrodestra - ma non ci piacciono i toni, di mera supponenza e inesistente condivisione, con cui il Movimento 5 Stelle e le liste civiche hanno portato avanti temi così importanti. La voglia di protagonismo ha prevalso sul senso di responsabilità». Responsabilità che - secondo Forza Muggia, Lega e Fdi - è stata «dimostrata nei fatti, con il voto di astensione sul nuovo piano di raccolta immondizie, mentre 5 Stelle e liste civiche hanno preferito votare contro». I partiti di centrodestra hanno poi fatto un attacco diretto alla Tarlao: zNon si riesce proprio a capire come certi consiglieri cerchino sempre lo scontro a prescindere; quello a cui abbiamo assistito in aula è stato un episodio esemplificativo di cattiva politica, volta unicamente a suscitare un polverone anziché a risolvere i problemi dei muggesani». Che la spaccatura sia avvenuta e che sia difficilmente sanabile lo si evince anche dalle parole di replica utilizzate da Roberta Vlahov, capogruppo di Obiettivo comune per Muggia: «Se per il centrodestra fare cattiva politica significa dare la possibilità ai cittadini muggesani di risparmiare sulla bolletta oppure chiedere trasparenza all’amministrazione comunale allora sì, posso dire che noi siamo orgogliosi di fare questo tipo di “cattiva” politica». A mettere definitivamente una pietra sopra l’unità dell’opposizione ci ha pensato Roberta Tarlao: «Il centrodestra avrebbe potuto condividere la nostra mozione utile a premiare i cittadini. Neanche il centrosinistra lo ha voluto fare. Ne prendiamo atto e aggiungo che sono e siamo fieri di non essere come loro».

Riccardo Tosques

 

 

La Svizzera dice addio al nucleare - Il piano del governo approvato con una maggioranza del 58,2%
MILANO Con una maggioranza del 58,2%, gli svizzeri hanno approvato ieri in un referendum il graduale abbandono dell'energia nucleare e una politica di sviluppo delle energie rinnovabili. Una svolta energetica «storica», secondo molti commentatori, voluta dal governo e dalla maggioranza del parlamento, ma contestata dal partito di destra dell'Unione democratica di centro (Udc) che aveva promosso il referendum contro la nuova legge. Da Ginevra a Zurigo e al Ticino, in tutti i 26 cantoni della Confederazione tranne quattro gli elettori si sono schierati in favore della nuova legge sull'energia approvando un primo pacchetto di misure alla base della “Strategia energetica 2050” promossa dal governo. La quota più alta di sì è stata registrata nei cantoni di Vaud (73,5%) e Ginevra (72,6%). Tra i cantoni contrari, rilevante è la bocciatura di Argovia (51,8% di no) che ospita impianti atomici. La legge approvata prevede un netto incremento dell'efficienza energetica, una chiara riduzione dei consumi, un rafforzamento dell'energia idroelettrica, nonché un aumento della quota di energia da fonti rinnovabili, quali sole e vento. Si voltano gradualmente le spalle all'atomo, con la chiusura degli impianti esistenti al termine del loro ciclo di vita e con il divieto di costruire nuove centrali. La sfida è importante. La quota di energia elettrica di origine nucleare rispetto alla produzione complessiva svizzera è di circa il 39% e proviene e dalle 5 centrali entrate in funzione tra il 1969 e il 1984. Il governo elvetico aveva cominciato a lavorare all’addio al nucleare dopo l’incidente nucleare di Fukushima, nel 2011. É allora che governo e il parlamento decisero di gettare le basi di una nuova politica energetica per rinunciare al nucleare. Soddisfatta per l'esito della votazione, la presidente della Confederazione e ministro dell'Ambiente Doris Leuthard, in prima linea nella campagna per il Sì. Con il voto odierno «si apre una nuova pagina della nostra storia energetica», si è rallegrata. Scontata e unanime anche la soddisfazione degli ambientalisti: «La Svizzera è finalmente entrata nel 21esimo secolo», secondo la deputata dei Verdi Adèle Thorens. Per Greenpeace, si tratta di «una vittoria storica». Delusione è stata invece espressa dal partito Udc, primo partito del Paese e grande sconfitto del voto odierno. A suo avviso, la nuova legge minaccia l'approvvigionamento energetico e rischia di costare cara agli svizzeri. La partecipazione al voto è stata del 42%. In Svizzera ci sono cinque centrali nucleari, che saranno disattivate entro 20 e 30 anni.

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 21 maggio 2017

 

 

La “tassa di disturbo” porta 770 mila euro nelle casse del Comune

Spuntano gli arretrati del servizio di termovalorizzazione reso ad enti e privati non triestini: risorse subito a bilancio
Tra denaro già incassato e denaro da riscuotere gli uffici comunali dell’Ambiente calcolano una somma che fa circa 770 mila euro. E che fa contenta l’assessore leghista Luisa Polli, la quale ha potuto conferire queste risorse nel redigendo bilancio 2017, nelle sospirate voci di entrata. Questi 770 mila euro - spiega la Polli - sono spettanze che derivano al Comune dalla cosiddetta “tassa di disturbo ecologico”: poichè il territorio municipale ospita un impianto di smaltimento di rifiuti provenienti anche da altre zone, ha diritto a un risarcimento per il disagio subìto. Lo prevede un Decreto del presidente della giunta regionale, lo 0502 per esattezza, risalente all’ottobre 1991, quando a capo del governo giulio-friulano sedeva il democristiano Adriano Biasutti: si trattava del regolamento esecutivo della legge 30/1987. In base a quel provvedimento, il Comune triestino ha diritto a 2,54 euro/tonnellata per i rifiuti urbani e a 3,82 euro/tonnellata per i rifiuti speciali “non pericolosi”. Il termovalorizzatore attualmente funzionante, più noto come inceneritore, è situato in via Errera ed è gestito dalla srl Hestambiente posseduta al 100% dal gruppo Hera, attraverso le due controllate Herambiente (70%) e AcegasApsAmga (30%). Ma, fino al luglio 2015, il termovalorizzatore di Trieste (e quello di Padova) erano in mano della sola AcegasApsAmga. Queste spiegazioni preliminari, soprattutto per quanto riguarda l’avvicendamento gestionale, sono indispensabili onde comprendere perchè - a giudizio dell’assessore Polli e della struttura amministrativa - il Comune era rimasto indietro nelle riscossioni o, a seconda dei punti di vista, Hestambiente (o altra realtà del gruppo Hera) aveva rallentato la dazione. Al punto che una nota comunale datata 4 aprile presentava il conto degli insoluti, dal 2014 al 2016. Più precisamente gli uffici dell’Ambiente chiedevano sul 2014 l’integrazione del primo semestre e il saldo del secondo semestre per un totale di 255 mila euro; sul 2015 il pagamento del secondo semestre per un importo di 190 mila euro; sul 2016 l’intera tassa annuale per un ammontare di circa 335 mila euro. Una somma che, come anticipato, andava ad aggirarsi attorno a 770 mila euro. Nel giro di un paio di settimane il gestore ha parzialmente riscontrato la sollecitazione comunale: il procedimento di riscossione non è ancora concluso per quanto riguarda il 2014, mentre lo scorso 21 aprile la bolletta 16145 ha “onorato” quanto dovuto nel 2015 e nel 2016. Quindi, fisicamente, nelle casse municipali sono finora affluiti circa 525 mila euro rispetto al totale preteso di 770 mila euro. «Nessuna intenzione polemica contro la precedente amministrazione - vuole accuratamente chiarire Luisa Polli - ed è inutile rincorrere le responsabilità di questi “incagli”. E’invece importante evidenziare che queste risorse sono state finalmente recuperate e inserite nel bilancio 2017, ridando linearità e chiarezza al rapporto tra il Comune e il gestore dell’impianto».

Massimo Greco

 

 

Mare Nordest celebra sua maestà lo squalo - Studenti rapiti dall’intervento della biologa Andreotti impegnata in Sud Africa. Spazio anche ai nodi dell’inquinamento
Ha imparato a conoscerli, amarli, a difenderli dall’uomo. Da dieci anni esatti lo studio degli squali bianchi è la missione di vita di Sara Andreotti, biologa marina pordenonese laureatasi a Trieste e ora impegnata in Sud Africa, all’Università di Stellenbosch, in progetti di ricerca targati Shark Diving Unlimited. Ieri è stata lei la “stella” della seconda giornata dei lavori al Molo IV di Mare Nordest, il convegno a cura della Trieste Sommersa Diving, tre giorni dedicati ai “Mestieri e Misteri del Mare”. Il mestiere di Sara Andreotti è lo studio dello squalo bianco, sì, proprio la specie predatrice per eccellenza, la più temuta ma a quanto pare la più incompresa e vittima di letture distorte tra cinematografia e romanzi. Il compito di Sara, sin dal 2007, è invece la tutela e la comprensione, uno studio che comporta poco laboratorio e molta attività sul campo e a stretto contatto con “cavie” che oscillano dai quattro ai sei metri di lunghezza per una mole tra i mille e 1700 chili. La vetrina di Mare Nordest ha messo in luce gli ultimi riflessi della ricerca in Sud Africa, partendo da alcune cifre emblematiche, l’ultimo censimento della specie: «Sono sempre di meno, tra i 300 e i 500 esemplari, quindi pochi, molto pochi. I motivi? Il bracconaggio, l’inquinamento, l’eccesso di pesca e soprattutto le conseguenze delle reti anti-squalo, per altro legali, che si trovano nella zona, delle trappole tuttavia mortali per lo squalo». Ed è qui che verte l’attuale studio di Sara e del suo team, la creazione di una barriera efficace ma non letale (Sharksafe Barrier) costituita da magneti incastonati tra il kelp, un tipo di alga che ben si adatta al camuffamento. Insomma, lo squalo è come il lupo e non va demonizzato, bensì compreso: «È vero, anche perché quando attacca è colpa dell'uomo. Bisognerebbe capire il suo linguaggio e ricordarci che mentre noi lo studiamo, lui fa altrettanto con noi. Io lo faccio da dieci anni e nuotare con lui è diventato un puro onore». Intenso il resto del cartellone di ieri, vedi la platea di studenti rapita dall’intervento di Nicolò Carmineo e dal collegamento in video con Bruno Dumontet, due pionieri nel campo del monitoraggio dell’inquinamento da plastica. Oggi giornata di chiusura, sulla pulizia dei fondali in programma dopo le 9 davanti a Piazza Unità e sulle esibizioni dei cani di salvataggio alle 11.

Francesco Cardella

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 20 maggio 2017

 

 

Un relitto-laboratorio affondato nelle acque della Riserva marina - Mare Nordest riaccende i riflettori sull’ipotesi Parco navale
Già avviati i contatti con Marina e alcuni arsenali italiani - il costo iniziale dell’operazione si aggirerebbe sul milione di euro tra spese per il traino del mezzo da affondare e interventi di bonifica
Valorizzare l'ambiente del golfo di Trieste, incentivare la ricerca scientifica e creare un’attrazione in grado di portare ancora più turisti in città. Sono gli obiettivi del progetto “Parco navale di Trieste”, idea targata Associazione Trieste Sommersa Diving e riemersa a chiare lettere, e con qualche ulteriore sviluppo, nel corso della prima giornata di “Mare Nordest - I Mestieri e i Misteri del Mare”, la manifestazione ospitata nei saloni del Molo IV, una tre giorni interamente dedicata alla cultura del mare a cura della stessa Trieste Sommersa Diving, allestita con il sostegno di AcegasAps Amga, Trieste Trasporti, Fondazione "Casali", Bignami Sub e Samer&Co.Shipping. Una cornice ideale, appunto, per rilanciare un progetto che, di recente, è stato protagonista anche alla Eudi di Bologna, la maggiore manifestazione espositiva in campo europeo dedicata al mondo della subacquea. I promotori del progetto puntano a realizzare a Trieste un’operazione di scutling, ovvero l'affondamento volontario di navi e relitti ai fini di un ripopolamento della flora e della fauna marittima. Come location del Parco navale la Trieste Sommersa Diving ipotizza una fascia di mare di circa 50mila metri quadrati posta ai margini della “zona B” della Riserva naturale marina di Miramare, un tratto peraltro individuato dopo una serie di incontri con la Capitaneria di porto e la stessa Riserva. Un’area che soddisfa due criteri essenziali in progetti come questi: la «tutela di area protetta» e «l’impatto zero per la navigazione». Il secondo tassello del progetto ha già coinvolto la Marina Militare e alcuni arsenali, nel dettaglio Taranto, Augusta e La Spezia, interessati a fornire la materia prima, ovvero le navi destinate all'affondamento volontario e su cui (previa bonifica) andrebbero create le condizioni necessarie per riuscire a creare il “rifugio” ideale per fauna e flora della zona. Sulla carta, assicurano gli ideatori, il progetto rappresenterebbe un’attrazione turistica importante vista la forte presenza di appassionati di immersioni subacquee nel Nordest. E potrebbe rivelarsi anche uno straordinario scenario per la ricerca in campo biologico marino. Impianti simili attualmente se ne contano in Australia, Nuova Zelanda, Cuba, Maldive, Canada, Malta, Canarie e Stati Uniti. I costi iniziali? In conto bisogna mettere il traino dei relitti, le operazioni di bonifica e gli ulteriori lavori previsti dagli arsenali di competenza, partendo quindi da non meno di un milione di euro. Delle modalità dello “scuttling” e dei suoi possibili sviluppi si parlerà oggi a Mare Nordest in Molo IV alle 18.30, con gli interventi a cura del Contrammiraglio Francesco Chionna e della biologa marina Sara Andreotti. Intanto si fa già avanti uno “sponsor politico”, Massimiliano Fedriga. Il capogruppo leghista alla Camera ha infatti presentato un’interrogazione ad hoc al ministero dell'Ambiente: «Il progetto Parco navale si inquadra nell'ottica di sviluppo e rivalutazione dei fondali marini - ha sottolineato il parlamentare - e, oltre a rappresentare un unicum in Italia, avrebbe conseguenze positive per l'ambito turistico, quello scientifico e naturalistico, e con ricadute sulla piccola pesca costiera». La prima giornata di lavori a Mare Nordest ha offerto però anche altri spunti, legati soprattutto ai mestieri del mare, accompagnati in questo caso dal sigillo dell'eccellenza. Possono sicuramente essere annoverati tra i “fuori classe” del mare i due triestini saliti in cattedra per l’occasione: lo yacht designer Alberto Mancini e il comandante Dino Sagani, il primo presente in auditorium davanti a una folla di centinaia di studenti, il secondo collegato in video dalle rotte verso Genova a bordo della Majestic Princess (in sala c’erano i genitori). Un progettista di successo e un capitano che ha bruciato le tappe di una carriera favolosa al comando di navi. Due percorsi diversi, è vero, ma anche due storie che alal fine trasmettono messaggi e insegnamenti quasi analoghi, rivolti prima di tutto al pubblico dei più giovani: «Studiate, formatevi e abbiate coraggio. Sempre».

Francesco Cardella

 

L’invasione della meduse «Crescita inarrestabile» - La direttrice dell’Ogs Del Negro: «Spariti i predatori. A rischio le risorse ittiche»
Ma una soluzione ci sarebbe: basterebbe mangiarle come in Cina e Giappone
Un mare di meduse nel Golfo di Trieste. Come le rondini a primavera sono tornate in città le “bote marine”. E in grande quantità. In anticipo di quasi un mese rispetto lo scorso anno. Una vera invasione delle acque cittadine tanto da essere diventate un’attrazione turistica. Fotografate e filmate come delle star lungo le Rive. Uno spettacolo. Scientificamente si chiamano Rhizostoma Pulmo (polmone di mare). Hanno un cappello che può raggiungere i 60 centimetri di diametro, sono poco urticanti (ma gli effetti collaterali sono soggettivi). Di certo non invitano alla balneazione. I loro spostamenti sono ciclici. Il fattore il clima ha un suo peso: con le temperature più calde solitamente si ritirano verso le acque più profonde permettendo l’avvio della stagione dei bagni. Non c’entra il buono stato di salute delle acque. Questo è un trito luogo comune. «Lo si diceva una volta. È una leggenda» spiega Paola Del Negro, direttrice della sezione Oceanografia dell'Ogs. Un problema comunque per l’ecosistema. Il segnale di un equilibrio alterato da anni di pesca forsennata. Il problema è che da qualche anno a questa parte, il loro numero è in continua crescita. Da Muggia a Sistiana proliferano questi organismi gelatinosi. Alle classiche "bote marine", cioè le Rhizostoma Pulmo, grandi ma innocue, si sono aggiunte l'Aurelia aurita (non urticante), che presenta sull'ombrello una sorta di quadrifoglio, la Chrysaora Hysoscella (marrone, a spicchi e dai lunghi tentacoli, questa sì lievemente urticante). «È impossibile stabilire se il numero delle meduse è maggiore a quello dello scorso anno - spiega Del Negro -. È da un po di anni che si registra un aumento generalizzato di questi organismi gelatinosi in tutto il Mediterraneo. Quest’anno è massiccia la presenza di Rhizostoma Pulmo. La crescita è dovuta a una serie di concause: dall'innalzamento delle temperature fino alla diminuzione dei predatori delle meduse a causa della pesca». A rischio, insomma, ci sono i fragili equilibri dell'ecosistema marino. «Più meduse ci sono, più plancton mangiano e meno ne resta per pesci, molluschi e mitili. Inoltre mangiano e uova e larve di pesci. Le meduse sono dei predatori. Il depauperamento della risorse marine è già stato segnalato. Anche perché le meduse ci sono anche quando non le vediamo come in questi giorni. O quando ce ne preoccupiamo per la balneazione» spiega la ricercatrice dell’Ogs. Che fare allora? Basterebbe mangiarle come fanno in Cina e in Giappone. «Questo potrebbe essere una soluzione. A Slow Fish il biologo Silvio Greco ha presentato le meduse in pastella. Basterebbe utilizzare questa risorsa» aggiunge Del Negro. I menu triestini potrebbero così aggiungere ai sardoni panadi le “bote marine” panade. Altrimenti c’è il rischio serio di impoverire il mare a danno della pesca. «La risorsa ittica è già in sofferenza. L’anno scorso a fine estate c’è stata la presenza di uno xenoforo, un altro organismo gelatinoso, in quantità enormi. Qualcosa, prima o dopo, bisognerà fare» conclude la direttrice dell’Ogs. Magari cominciare a mettere le meduse in padella.

Fabio Dorigo

 

Pulizia dei fondali davanti a piazza Unità - il calendario
I lavori odierni della sesta edizione di " Mare Nordest" si aprono alle 9 con gli interventi di Nicolò Carmineo e di Bruno Dumontet, i pionieri del monitoraggio marino sull'inquinamento da plastica. Dalle 10 alle 13, il convegno ospita una lezione sui temi della divulgazione del settore, a cura di Romano Barluzzi e Leonardo d'Imporzano, incontro valido per la formazione crediti dei giornalisti. Alle 10.45 di scena “L'ultimo viaggio del Baron Gautsch”, rappresentazione tratta dall'opera di Pietro Spirito, con Sara Alzetta. Alle 11.30 “I Misteri e i Mestieri dei mari polari: l'Antartide”, con gli interventi dei ricercatori Miro Gacic, Ester Colizza e Gianguido Salvi. Dalle 14 alle 16 " Le mani in..Antartide", laboratori per le scuole, alle 15.30 il seminario Asi "Aggiornamento sulle tecniche di immersione sotto i ghiacci" mentre alle 17 è la volta delle premiazioni del Trofeo di fotografia subacquea, Memorial “ Genzo”. Domani, ultimo giorno di Mare Nordest, l’appuntamento clou inserito nel programma è la pulizia dei fondali antistanti piazza Unità. Il ritrovo è fissato per le 9.10 davanti alla Scala reale davanti alla quale, c’è da scommetterci, salteranno fuori alla fine rifiuti di ogni tipo. Alle 11 sono invece in programma le dimostrazioni in mare a cura delle unità cinofile della Scuola italiana cani salvataggio

(f.c.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 19 maggio 2017

 

 

IL PROGETTO A BARCOLA - Cinquecento posti auto nel futuro del terrapieno - L’ipotesi lanciata dal sindaco dopo un sopralluogo con i delegati dei circoli

La richiesta delle società sportive: «Prima gli spazi per pullmini e carrelli»

Le società nautiche di Barcola hanno bisogno di nuovi spazi a terra, in particolare per il parcheggio dei mezzi (pullmini e carrelli) necessari alle trasferte legate alle varie competizioni. L’esigenza, in verità, si era manifestata già alcuni anni or sono, ma non aveva trovato risposte concrete da parte dell’Autorità portuale, che gestiva quelle aree demaniali. Nelle ultime settimane il discorso si è riaperto, come spesso accade quasi per caso, durante un incontro fra il sindaco Roberto Dipiazza e alcuni dirigenti di uno dei sodalizi barcolani. Così nei giorni scorsi il primo cittadino ha coinvolto l’assessore ai Lavori pubblici Elisa Lodi, alcuni tecnici comunali e i delegati dei circoli in un sopralluogo per verificare la situazione del terrapieno, da qualche mese entrato anch’esso nella disponibilità del Comune come gran parte del Porto vecchio. In seguito al sopralluogo Dipiazza ha incaricato gli uffici comunali di predisporre un progetto per un parcheggio, nell’area attualmente occupata da una boscaglia spontanea, che negli anni si è fatta sempre più fitta oltre ad essere diventata habitat di varie specie non proprio gradite, a cominciare dai ratti. A quanto pare gli spazi che si ricaverebbero dall’eliminazione di quel bosco sarebbero più che sufficienti per sistemarvi i mezzi di trasporto “tecnici” dei vari sodalizi. E allora perché non pensare anche a parcheggi per i mezzi privati, dei soci e non. Dipiazza non ci ha pensato su due volte, e nell’occasione ha parlato di «almeno 500 posti auto». Quello che potrebbe sembrare un numero eccessivo, in realtà non lo è. Intanto le società sportive che gravitano attorno al terrapieno sono sei: Circolo marina mercantile, Canottieri Saturnia, Società velica di Barcola Grignano, Club del gommone, Circolo nautico Sirena e Surf Team Trieste. Ciascuna di esse ha in media almeno 500 soci, e molte decine di atleti. Oltre tremila persone, quindi, che diventano molte di più se si aggiungono familiari ed eventuali ospiti. Il parcheggio, quindi, ci sta tutto. Posto che la volontà del Comune di creare questo spazio c’è, va tenuto presente che il progetto è ancora tutto da studiare. E in questo contesto i presidenti delle società rimarcano la necessità di dare la precedenza ai mezzi necessari all’attività sportiva. Prima vanno quindi sistemati pullmini e carrelli, poi eventualmente le auto private. La richiesta di spazi, ribadiscono, non parte certo dalla ricerca di posteggi per i privati. La strada che porterà al progetto passa per una serie di approfondimenti tecnici, da fare con gli uffici comunali. A ricordarlo è il presidente della Barcola Grignano, Mitja Gialuz, che rileva la necessità di «verifiche per garantire la disponibilità di spazi oggi sottratti alle società». Approfondimenti che vanno fatti «anche con l’Autorità portuale, nell’ottica della futura mobilità in Porto vecchio e di altri eventuali progetti per lo stesso terrapieno». Anche Gialuz conferma che l’esigenza principale riguarda spazi di pertinenza per i mezzi necessari all’attività sportiva, attualmente parcheggiati alla meno peggio lungo la strada interna del terrapieno, ripensando quindi l’utilizzo degli spazi su quell’area dove, nelle settimane dedicate alle iscrizioni alla Barcolana, si verificano «enormi problemi di viabilità». Senza contare che, nel periodo della famosa regata, la Svbg organizza eventi collaterali proprio assieme a due società che hanno sede sul terrapieno, la Canottieri Saturnia e il Circolo nautico Sirena. L’idea di creare un parcheggio per i pullmini e i carrelli per il trasporto delle barche risale, come si diceva, ad alcuni anni fa. «Avevamo fatto una richiesta all’Autorità portuale - ricorda Fulvio Rizzi Mascarello, presidente del Circolo marina mercantile - per parcheggiare i carrelli delle barche, ma allora ci venne risposto che non era possibile realizzare uno spazio del genere. È anche un problema di sicurezza delle imbarcazioni - osserva - che non sempre, al rientro dalle gare a tarda ora, vengono subito scaricate e messe al riparo». La necessità di disporre di spazi per i mezzi di trasporto “tecnici” è ribadita anche dal presidente della Canottieri Saturnia, Gianni Verrone. «Sistemare carrelli e pullmini - rileva - è sempre un problema, non solo per noi ma anche per le altre società del terrapieno. Questo è l’interesse principale, non certo i posteggi per le auto». Le società non chiedono poi grandi investimenti. Sarebbe sufficiente, a quanto dicono, ricoprire le nuove aree con materiale drenante.

Giuseppe Palladini

 

Ceneri, carotaggi e marce indietro - L’area nata a fine anni ’70 come discarica. Rilevata diossina ma nessun rischio

Progetti a go-go per il terrapieno di Barcola. Se ne sono viste di tutti i colori per quell’area nata come discarica tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta. Avrebbe dovuto accogliere la nuova sede della Fiera, essere il punto di partenza di un tunnel sottomarino di collegamento con il Porto nuovo, ma anche ospitare il tanto discusso Parco del mare che ora sembra aver trovato un dimora definitiva. Nel mezzo un lungo periodo, oltre una decina di anni fa, in cui il terrapieno e le sedi delle società sportive che vi operano sono finiti sotto tiro (con il rischio di demolizione...) a causa delle numerose sostanze inquinanti - a cominciare dalla diossina - emerse attraverso una serie di carotaggi in quel terreno dove finirono anche le ceneri prodotte dall’impianto di smaltimento dei rifiuti di Monte San Pantaleone. Dei 500mila metri cubi di materiale di riporto con cui venne costruito il terrapieno, 30-35mila erano appunto ceneri, provenienti soprattutto dal vecchio inceneritore di Monte San Pantaleone, dalle quali come detto poteva sprigionarsi diossina. Per questo il terrapieno fu posto sotto sequestro giudiziario dal 30 novembre 2005. In quegli anni era emerso che sotto le ceneri, presumibilmente scaricate tra il 1978 e il 1981, vi sarebbero anche le macerie dei crolli causati dai bombardamenti angloamericani del 1944-1945 e il materiale dello scavo della galleria ferroviaria di circonvallazione. Nonostante gli esiti dei carotaggi, non emerse alcun pericolo per la salute dei frequentatori del terrapieno e nemmeno per gli abitanti della zona, come venne verificato attraverso le misurazioni sulla qualità dell’aria. Non furono quindi interdette le attività dei concessionari delle aree, e in particolare dei club nautici, fra cui la Barcola Grignano e il Circolo canottieri Saturnia. Le attività vennero però fermate per qualche mese con un’ordinanza proprio del sindaco Roberto Dipiazza (allora al secondo mandato) suscitando non poco allarme anche per l’impossibilità di effettuare gli allenamenti. I carotaggi di cui si è detto furono numerosi, tanto da riguardare campionature di terreno anche all’interno delle sedi delle società. I prelievi riguardarono anche i sedimenti marini. I risultati, che vennero poi validati dall’Arpa, furono confortanti: nei sedimenti marini non risultò esserci traccia della diossina trovata a terra. Diossina la cui presenza

 

 

PARCO DEL MARE - «Porto vecchio unica location per un acquario» - I “saggi” del Wwf bocciano l’opzione Lanterna
Il Parco del mare non ha alternative, a livello di possibili location, al Porto vecchio. Lo sostiene in una lunga relazione il Comitato scientifico del Wwf, di cui fa parte tra gli altri anche il rettore Maurizio Fermeglia, che scarta dunque l’opzione della Lanterna. «La gestione di un acquario - si legge - perché sia valida economicamente implica un alto afflusso di visitatori. Il contesto territoriale, indipendentemente dalle scelte architettoniche per il contenitore, deve avere caratteristiche coerenti con questo presupposto. L’area indicata ne è assolutamente priva. L’imprescindibile riordino di un contesto caratterizzato da un disordine urbanistico stratificatosi attraverso usi diversi come stabilimenti balneari, società nautiche, caserme, magazzini portuali, eccetera, per quanto auspicabile per restituire visibilità all’unico manufatto degno di grande valore architettonico, cioè la Lanterna, semmai potrà avvenire, avrà tempi non coerenti con quelli della realizzazione dell’acquario». «Ove le amministrazioni che si sono dichiarate disponibili a sostenere l’iniziativa dovessero valutare la validità economica di questo investimento - aggiunge il Comitato scientifico - unica localizzazione allo stato individuabile è quella dell’area del Porto Vecchio. Su quest’area, la cui riconversione è strategica per la città ma allo stesso tempo attuabile solo gradualmente, con la collocazione di funzioni ad alto valore attrattivo, la Regione e il Comune dovrebbero far convergere tutte le iniziative scientifiche, economiche e turistiche che vengono proposte».

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 18 maggio 2017

 

 

Il futuro di Porto vecchio nel mix turismo-cultura - Presentati gli undici progetti selezionati nel concorso lanciato dal Rotary

Serracchiani: «L’antico scalo deve riuscire a unire tradizione e innovazione»

Le idee rappresentano il grimaldello che farà saltare via gli ultimi lucchetti che impediscono alla città di riconquistare il Porto vecchio. Ne sono convinti al Rotary Club Trieste, a tal punto da aver lanciato un concorso di idee, denominato “Porto vecchio dreaming”, che ha consentito di individuare undici progetti per il riuso dell’antico scalo marittimo triestino. L’iniziativa, che ha visto la collaborazione del Piccolo e il patrocinio dell’Autorità di sistema portuale del mare Adriatico orientale, ha permesso di mettere in piedi un incubatore di sogni che ha iniziato a lavorare a pieno regime in seguito alla sdemanializzazione di gran parte dei 65 ettari della vecchia area portuale. «Non si torna più indietro», ha affermato il sindaco Roberto Dipiazza, sottolineando l’irreversibilità di un processo di cambiamento che dopo decenni di immobilismo sembra ormai avviato. Il primo cittadino ha partecipato a una tavola rotonda, moderata dal direttore del Piccolo Enzo D’Antona, alla quale hanno preso parte anche la presidente della Regione Debora Serracchiani e il presidente dell’Autorità portuale Zeno D’Agostino. La scena se la sono presa le undici idee che sono state selezionate da una commissione tecnica del Rotary Club, presieduta da Pierpaolo Ferrante e composta dai professionisti Francesco Granbassi dello Studio Mark e Francesco Menegoni di g&life, ai quali è toccato il compito di scremare i 25 progetti pervenuti inizialmente. «Se l’economia del mare è un modello di business capace di generare crescita e occupazione - così la presidente del Rotary Maria Cristina Pedicchio -, il Porto vecchio è un sogno che sta per diventare realtà». Cultura, integrazione, viabilità, musealità, innovazione tecnologica, sostenibilità, conoscenza, vivibilità, attrattività e internazionalità: sono solo alcune delle parole chiave che sono state pronunciate nel corso dei diversi interventi. L’associazione PortoArte ha illustrato il progetto (H)all, che prevede l’autorecupero dell’ex refettorio, una palazzina vincolata che, una volta destinata ad attività culturali, potrebbe scatenare un processo di riconversione di tutto lo spazio circostante. L’Ogs, l’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale, ha proposto di trasferire in Porto vecchio l’Istituto del mare, nell’ambito di un grande polo scientifico, tecnologico ed espositivo, mentre l’architetto Claudio Visintini ha delineato una modifica dell’attuale viabilità per poter raggiungere il centro cittadino attraverso il Porto vecchio. Enrico Mazzoli ha intravisto in questa area la possibilità di creare un grande polo museale della scienza e della cultura, in modo da innescare un effetto volano per il turismo. Di «funzione sociale da ridare allo spazio urbano» ha parlato Fiorella Honsell, attraverso una presentazione che ha illustrato anche le possibili connessioni fra viabilità veicolare e mobilità sostenibile. Paolo Giribona ha delineato la possibile nascita di un centro altamente tecnologico dove possano aggregarsi delle aziende per lo sviluppo di soluzioni nel campo della salute, mentre ProgettiAmo Trieste ha visto nella creazione di una serra-mercato la possibilità di aumentare gli spazi dedicati all’agricoltura biologica sostenibile all’interno delle aree urbane. L’Associazione Atlantis Mouxuom ha invece progettato un ambiente sottomarino, a impatto zero, da mettere a disposizione della ricerca scientifica e dell’economia del turismo. Simone Patternich, dal canto suo, si è prefisso di insediare un atelier di ricerca e formazione specializzato nel campo del design. Stefano Fantoni, presidente della Fit-Fondazione internazionale Trieste, ha puntato tutto sulla realizzazione di un grande Science Center di livello europeo nel Magazzino 26, da integrare con la Centrale idrodinamica e con la Sottostazione elettrica. Il presidente della Barcolana Mitja Gialuz, sulla scia del progetto che vedeva Trieste come possibile sede per le regate di vela, nel caso nel 2024 si fossero disputate le Olimpiadi a Roma, ha auspicato la creazione di una Accademia dedicata agli sport del mare. «In questi due anni passati a Trieste ho assistito a una crescita, non solo dell’area portuale, che non ho riscontrato in altre città - ha sottolineato D’Agostino -, tanto che in una recente intervista, rilasciata al Secolo XIX di Genova, il giornalista mi ha chiesto conto di questa isola felice che sembra essere questa parte del nordest italiano». La presidente Serracchiani, infine, ha descritto il Porto vecchio come «un luogo che deve riuscire a unire tradizione e innovazione. Per il futuro di Porto vecchio occorre mettere insieme pubblico e privato - le sue parole -. Abbiamo bisogno di luoghi dove far arrivare il turismo di qualità, senza dimenticare che cultura e scienza sono dei tasselli importanti per la crescita di questo territorio».

Luca Saviano

 

Nuovo accesso ultimato entro il fine settimana

Il conto alla rovescia per il nuovo accesso al Porto vecchio è iniziato. I lavori, partiti nella notte tra lunedì e martedì, hanno i giorni contati, visto che, secondo il cronoprogramma definito dall’amministrazione comunale, dovrebbero concludersi entro il fine settimana. E se ieri, dopo la seconda notte di cantiere, non è stata registrato alcun rallentamento significativo, adesso l’unica incognita resta appesa alle condizioni meteorologiche. «Se i lavori finiranno in tempo dipende solo dal meteo - aggiorna l’assessore all’Urbanistica Luisa Polli -. Se le buone condizioni meteorologiche permangono come è stato da sabato a oggi (ieri, ndr), allora credo proprio che potranno concludersi entro la settimana». Fino a domani il sito dell’Osmer Fvg prevede condizioni stabili, che potrebbero però variare a partire da sabato. Nel frattempo, la polizia locale di Trieste informa che il cantiere non ha dato particolari intralci al traffico anche perché, si diceva, i lavori vengono portati avanti di notte, quando viale Miramare è meno frequentato. Il progetto prevede di aprire un ingresso in sicurezza per l’area di Porto vecchio proprio da viale Miramare. Il nuovo accesso sarà predisposto anche a servizio dei veicoli che arrivano da Roiano e non solo da Barcola. Gli operai hanno già iniziato a disporre la segnaletica orizzontale che indicherà a chi proviene da Roiano di incanalarsi per poter svoltare successivamente a sinistra verso l’area interna dell’antico scalo. L’assessore Polli ha fatto un sopralluogo alle 16 di ieri appurando come siano in fase di predisposizione anche i rallentatori da disegnare sull’asfalto per ricordare che in quel tratto il limite di velocità è di 50 chilometri orari, come previsto per tutti i centri abitati. «Una misura che abbiamo ritenuto di dover prendere - continua l’assessore Polli - perché ci troviamo in un rettilineo dove si tende a premere troppo l’acceleratore. A maggior ragione a opera finita, sarà fondamentale mantenere i limiti di velocità. Solo in questo modo si permetterà, a chi da Barcola si muove in direzione del centro città, di frenare in tempo dietro a un’auto che volesse utilizzare il nuovo ingresso. Dal Ferroviario all’incrocio - aggiunge - c’è comunque abbastanza spazio per svoltare in tutta sicurezza». Nel piano dell’amministrazione viene contemplata anche per i pedoni la possibilità di inoltrarsi nel Porto vecchio, «seguendo un percorso - riprende Polli - che una volta veniva molto utilizzato a piedi e di cui oggi molti triestini non sono neppure a conoscenza. Per molti quel passaggio è pieno di ricordi, quando le navi ancora attraccavano al Porto vecchio e i lavoratori vi lavoravano all’interno». L’idea è quindi di creare dei collegamenti fra le diverse zone della città ancora sconnesse, anche a servizio degli abitanti oltre che in chiave turistica. L’accesso renderà più facilmente fruibili il Magazzino 26, la Centrale idrodinamica e la Sottostazione elettrica.

(el.pl.)

 

 

“MareNordest”, mestieri e qualche mistero al molo IV

Fino a domenica un programma fitto di conferenze, incontri, mostre e spettacoli incentrati sulla conoscenza e il rispetto dell’ambiente. Si finisce pulendo i fondali

Risorse da analizzare, ricerche e percorsi da valorizzare. I molteplici aspetti della cultura del mare dominano “Mare Nordest 2017”, la manifestazione in programma da domani a domenica al molo IV e sulle Rive, evento ideato e organizzato da Trieste Sommersa Diving in collaborazione con il Comune di Trieste e con “Il Piccolo” in veste di media partner (a proposito: domani, in edicola, troverete un inserto speciale tutto dedicato alla manifestazione, con interviste e l’intero programma della manifestazione). Edizione dunque numero 6, rinnovata nella logistica - dalla Marittima al molo IV - ma arricchita sul piano dei contenuti e delle proposte da articolare all’interno della tre giorni colorata da conferenze, incontri, cerimonie, dibattiti, laboratori e affreschi artistici sul tema. Un piano piuttosto articolato che quest’anno si avvale di un titolo emblematico come “I mestieri e i misteri del mare”, con cui dipanare alcuni temi riguardanti sia le professioni, gli sbocchi e le prospettive, che la sfera di casi magari non esoterici ma rivolti a missioni, studi e ricerche, in atto o compiuti su scala internazionale tra fondali o contesti polari. Uno dei riferimenti riguarda il coinvolgimento delle scuole. Dopo la puntata zero dello scorso anno, l’apertura al mondo scolastico si arricchisce ulteriormente grazie a una serie di iniziative curate dal Wwf di Miramare e sulla scia della prima edizione del concorso “Mare Nordest”, progetto suddiviso in tre categorie - elaborati, video e fotografia - e basato sullo spunto a carattere ecologico/ambientale dal titolo “Un mare di plastica”. La premiazione dei lavori è in programma al molo IV, alle 17 di domani. L’ambiente, i viaggi, la divulgazione e l’arte coniugata al respiro del mare. C’è insomma molto da esplorare quest’anno tra gli orizzonti di “Mare Nordest”, edizione che al suo primo giorno di lavori (dalle 9.15 alle 19.30) regalerà gli interventi di Alberto Mancini (Yacht designer e premio Compasso d’oro per il design industriale 2016), dello skipper Federico Stoppani, del comandante Dino Sagani (in collegamento dalla Majestic Princess), della ricercatrice dell’Ogs Francesca Malfatti, dei giornalisti Romano Barluzzi e Leonardo D’Imporziano e del docente universitario Nicolò Carmineo. L’arte non resta agli ormeggi e al primo giorno propone la rappresentazione teatrale (alle 11) de “La cameriera del Rex”, di Pietro Spirito con Sara Alzetta, e la vernice alle 19.30 della rassegna “Nello Pacchietto, un pittore a Nord Est”, a cura di Giorgio Parovel e Marianna Accerboni. Domenica, si chiude e si chiude in bellezza: alle 9.10 ecco la pulizia dei fondali antistanti a piazza Unità mentre alle 11 le dimostrazioni in mare delle unità cinofile. Il resto del programma naviga sul sito www.marenordest.it.

Francesco Cardella

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 17 maggio 2017

 

 

Accesso al Porto vecchio - Scatta la “rivoluzione” - Iniziati i lavori stradali per consentire la svolta a sinistra per chi arriva da Roiano
La corsia di sorpasso dopo il cavalcavia diventerà tratta di “canalizzazione”
Il nuovo ingresso in Porto vecchio da viale Miramare sarà pronto nel giro di una settimana. Le modifiche alla segnaletica, così come i ritocchi del manto stradale, sono iniziate nella notte tra lunedì e martedì e, tempo permettendo, non dovrebbero impegnare più di qualche giorno ancora. Presto sarà dunque possibile entrare nell'area dell'antico scalo anche arrivando da Roiano e non solo, come avviene finora, da Barcola. Per assicurare l'accesso agli automobilisti che provengono da quella direzione, gli operai stanno predisponendo le indicazioni sull'asfalto. In buona sostanza si tratta di trasformare la corsia di sorpasso che si apre dopo aver superato il cavalcavia del ponte ferroviario, in una carreggiata di “canalizzazione” per consentire la svolta a sinistra in prossimità dell'imbocco nel Porto. Anche la parte opposta sarà provvista di un'opportuna segnaletica stradale, sempre lungo l'asfalto, pensata per far transitare i veicoli nel rispetto del limite dei cinquanta chilometri orari. «I lavori per preparare il nuovo accesso sono in corso, li stiamo facendo di sera - sottolinea l'assessore con delega all'Urbanistica Luisa Polli -. Quindi in questi giorni raccomando una cautela aggiuntiva da parte di chi chi percorre quel tratto di viale Miramare. Per quanto attiene la segnaletica sulla velocità, ricordo che su quella strada il limite è già di cinquanta chilometri all’ora. Noi lo andiamo a ribadire per rafforzare il messaggio». Anche perché, naturalmente, chi proviene da Barcola si troverà davanti le auto che girano verso l'ingresso del Porto vecchio. «Ecco perché è necessario, a maggior ragione, mantenersi a quella velocità», puntualizza ancora l'esponente della giunta Dipiazza. L'intera operazione, stando alle intenzioni del Comune, punta a favorire la fruibilità soprattutto del Magazzino 26, della Sottostazione Elettrica e della Centrale Idrodinamica tanto ai cittadini quanto ai turisti. L'uscita dal Porto vecchio su viale Miramare, invece, rimane quella già prevista allo stato attuale con direzione obbligatoria verso il centro città. Il Comune ha in programma anche l'apertura di un passaggio pedonale all'altezza della fermata della 6, in prossimità del Magazzino 26, da un cancello già esistente. «Nei prossimi giorni - annuncia l’assessore Polli - organizzeremo una sorta di piccola passeggiata inaugurale». Quel punto, peraltro, sarà attrezzato con una pedana per i disabili, simile a quella già adottata per il castello di Miramare. Fin qui gli aspetti certi. Non c'è ancora, invece, una data esatta per la rotatoria. «Aspettiamo i 50 milioni di euro dal governo - precisa l'assessore - ma mi dicono che il provvedimento è quasi pronto visto che c'è l'accordo tra Comune, ministero e Regione sulla ripartizione dei fondi. Per quanto riguarda invece il nuovo ingresso su viale Miramare credo che tutto sarà pronto nell'arco di una settimana. Sempre che le condizioni meteorologiche lo permettano». Prossimamente, come rendevano noto nei giorni scorsi sia Polli sia la collega di giunta Elisa Lodi, assessore ai Lavori pubblici, sarà sistemato anche l'asse di attraversamento del Porto Vecchio. Lì è previsto il passaggio di una linea di autobus con sbocco sulle Rive.

Gianpaolo Sarti

 

Dipiazza dona il sigillo trecentesco a Russo dopo la sdemanializzazione dell'area portuale
Il sigillo trecentesco al senatore Pd Francesco Russo per aver ottenuto la sdemanializzazione del Porto Vecchio. L’idea, avanzata da Roberto Dipiazza in tv, non può che entusiasmare il diretto interessato. Che ieri ha commentato: «Se non fossimo nel mese sbagliato, quando mi hanno riferito delle dichiarazioni di Dipiazza avrei davvero pensato ad un pesce d'aprile - ha scherzato il senatore -. Invece, battute a parte, voglio ringraziare il sindaco. Non solo perché da cittadino sarà un onore ricevere il sigillo trecentesco. Ma specie per il messaggio simbolico che questo rappresenta. Segno di una politica che sa andare oltre le beghe di quartiere e lavorare unita sui grandi temi. Se vogliamo vincere la sfida di Porto vecchio, abbiamo il dovere di lavorare tutti insieme». Sull’iniziativa interviene anche la consigliera Barbara Dal Toè. «Rivolta l’Italia si congratula con il sindaco per il premio a Russo - afferma -. Anche lui, come noi, cerca il dialogo con gli antagonisti sui grandi temi per il futuro di Trieste».

 

Agorà scientifica e stampe 3D nei “sogni” per l’antico scalo - Ventitrè le proposte arrivate al concorso lanciato dal Rotary sul riuso dell’area
Oggi alla Centrale idrodinamica la presentazione delle dieci idee più convincenti
Sul Porto vecchio piovono sogni e idee. E molti parlano di scienza e innovazione. È la dimostrazione delle grandi aspettative, fantasie e speranze che suscita l’antico scalo tornato da inizio anno a disposizione della città. “Porto vecchio dreaming”, l’iniziativa del Rotary Club Trieste in collaborazione con Il Piccolo e con il patrocinio dell’Autorità di sistema portuale del mare Adriatico Orientale, svela oggi i risultati. Alla Centrale Idrodinamica, alle 17, saranno presentate le 10 idee selezionate sui 23 progetti arrivati. Il sistema bottom up, ovvero contributi “dal basso”, ha funzionato tanto che il Rotary Club Trieste sta pensando a breve a una nuova edizione dell'evento. «Una vera sorpresa. L’obiettivo è riuscito. Hanno partecipato giovani studenti, professionisti affermati, gruppi multidisciplinari, istituti scientifici, varie associazioni e persone comuni. Una variegata parte della città ha deciso di confrontarsi con il pubblico proponendo idee» spiega Pierpaolo Ferrante, coordinatore della commissione tecnica. “Presenta il tuo sogno sul riuso di Porto vecchio in pubblico e davanti alle autorità con l’aiuto del Rotary”, era l’invito rivolto dal concorso lanciato qualche settimana fa. Per raccogliere le idee innovative riguardanti la trasformazione del Porto vecchio di Trieste in una nuova parte della città. «Per tanti anni e attraverso molteplici iniziative a Trieste abbiamo sognato la rinascita del Porto vecchio, oggi sono finalmente maturi i tempi per passare dal sogno alla realtà - si legge nella presentazione del concorso -. Dall’inizio 2017 gran parte dei 65 ettari, 650 mila metri quadrati di territorio portuale denominato “Punto franco vecchio” è stata sdemanializzata e la proprietà è stata intavolata al Comune di Trieste. Sono state inoltre rilocalizzate in altre aree della città le superfici che godono dei benefici del Punto franco. Molte ipotesi di riutilizzo sono state analizzate e proposte da esperti e autorità, ma non è stata mai data la possibilità ai cittadini di esprimere il loro “Porto vecchio dreaming”». Oggi finalmente si capirà cosa sognano i triestini: a 10 soggetti verrà offerta la possibilità di pubblicizzare le idee di sviluppo del Porto vecchio. Una presentazione della durata massima di 5 minuti supportata da 15 diapositive. A seguire, le idee presentate saranno discusse in una tavola rotonda, coordinata dal direttore del Piccolo Enzo D’Antona, dal sindaco Roberto Dipiazza, dalla presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani, dal presidente dell’Autorità portuale Zeno D’Agostino e dalla presidente del Rotary Maria Cristina Pedicchio. E le sorprese non mancheranno. «Molte idee puntano a creare in Porto vecchio un’agorà scientifica, una piazza dell’innovazione, un museo aperto», spiega Ferrante. Una situazione che si collega allo sbarco annunciato al Magazzino 26 (grazie ai 50 milioni di euro messi a disposizione dal Mibact) dell’Icgeb e dell’Immaginario scientifico. La scienza sembra prevalere nelle idee presentate molto più del Museo del mare voluto dal ministero affiancato dal pontone galleggiante Ursus e dalla portaerei Vittorio Veneto. «C’è molta attenzione per un eventuale museo della scienza e della tecnologia come attrattore principale in cui compendiare anche gli altri musei. Un museo dell’innovazione legato alla città di Trieste. Non va dimenticato che l’elica è stata inventata qui. Anche un museo del mare può essere inglobato in un museo dell’innovazione. Pure l’Immaginario scientifico e il museo della Bora. Una grande agorà dove sono presenti tutti gli istituti triestini e in cui magari mettere a disposizione dei cittadini le stampanti 3D. Molte proposte si soffermano proprio su questo: diciamo che è l’idea più ricorrente», rivela Ferrante. In ogni caso si scontrano visioni diverse. «Qualcuno pensa a un’autostrada che attraversi il Porto vecchio, qualcun altro a una viabilità del tutto secondaria. Un dibattito aperto», aggiunge l’ingegnere Ferrante. Di mezzo c’è l’ipotesi di utilizzare i binari esistenti per un treno o un tram che colleghi l’area alla città. Un’ipotesi scartata dall’attuale amministrazione, che per ora pensa solo a una deviazione della linea 6 della Trieste Trasporti.

Fabio Dorigo

 

 

L’operazione “Pulizie radicali” delle strade prende il via domani nel cuore di Servola
Scatta domani in via Pitacco a Servola la fase pilota del programma “Pulizie radicali” che Comune e AcegasApsAmga hanno pianificato per il 2017 e che vedrà in corso d’anno ben 12 interventi in altrettante vie della città. Lo slogan del programma è “Sei ore e la tua strada sarà…come nuova”. L’obiettivo è restituire ai cittadini la strada in cui si abita o si lavora come fosse nuova a seguito di un intervento di pulizia “chirurgica” ed estremamente approfondita. In particolare si procederà prima con lo spazzamento manuale e di diserbo minuto degli arbusti che possono colonizzare i marciapiedi, seguirà quindi un robusto spazzamento meccanizzato, adottando ogni precauzione (es. nebulizzazione dell'acqua) per evitare il sollevamento di polveri. Infine è previsto un lavaggio stradale approfondito. Si approfitterà inoltre dell'occasione per effettuare la pulizia di tutte le caditoie e per lo svuotamento straordinario di tutti i cassonetti rifiuti. Il secondo intervento scatterà giovedì 25 maggio in via Valmaura.

 

 

I grifoni di Cherso si mettono in mostra al Centro di recupero - Si arricchisce di una esposizione permanente la struttura che si occupa di salvare e curare gli esemplari in difficoltà
CHERSO In previsione della stagione estiva che porterà un maggiore afflusso di visitatori, il Centro recupero grifoni aperto l’anno scorso nella località chersina di Caisole (Beli in croato) si arricchisce di una mostra permanente didattico-naturalistica dedicata appunto agli avvoltoi dalla testa bianca, ormai simbolo dell'isola di Cherso. La struttura è insediata nell’edificio che un tempo ospitava la scuola dell'obbligo di Caisole, rimesso a nuovo con i mezzi messi a disposizione da Regione quarnerino-montana, istituto pubblico Priroda (Natura in italiano), municipalità di Cherso e ministero croato del Turismo. «Grazie al Centro e alla sua esposizione permanente - ha detto il governatore Zlatko Komadina - potremo far capire a bambini, giovani e adulti l'importanza dei grifoni e della biodiversità di Cherso, e contribuiremo ad arricchire l'offerta turistica di quest'isola quarnerina». La nuova mostra permanente del Centro di recupero - di cui fa parte anche la mangiatoia allestita in zona Strganac, sempre a Cherso - si trova nel pianterreno della struttura, che al piano superiore ospita invece spazi per volontari, studenti e studiosi. Due le parti dell’esposizione, che parte presentando quella che è una specie animale tutelata in Croazia da leggi molto severe (chi ferisce o uccide un avvoltoio rischia fino a 5.500 euro di multa); la seconda parte focalizza invece i legami tra l'ambiente chersino e gli avvoltoi, così come il patrimonio naturale della Tramontana, l'area settentrionale dell'isola di Cherso. La mostra poggia su quella che è una peculiarità dell’area: l’unica colonia di grifoni ancora presente in Croazia è infatti quella delle isole del Quarnero, e la maggior parte degli esemplari vive e nidifica proprio a Cherso. L’assessore regionale all’Ambiente Koraljka Vahtar Jurkovi„ ha sottolineato come «l’Istituto Priroda, al quale è stato affidato il centro di Caisole, è l’unico del genere nel Paese ad avere ottenuto il permesso per tenere in cattività gli animali in regime di tutela». Il sindaco di Cherso, Kristijan Jurjako, si è detto convinto che la struttura «attirerà turisti, biologi e studiosi a livello internazionale», sottolineando come nei soli mesi di luglio e agosto 2016 «il Centro è stato visitato, e senza alcuna pubblicità, da tremila persone, molte delle quali villeggianti stranieri». Non solo mostra: Sonja Sisi„, direttrice di Priroda, ha ricordato che solo in questi ultimi mesi nel Centro sono stati curati fino a tornare in piena forma cinque avvoltoi, rimasti feriti o caduti in mare, poi rimessi in libertà.

Andrea Marsanich

 

Natura - La lenta scomparsa degli habitat umidi

Qual è lo stato in cui versano torrenti, pozze e paludi della nostra provincia? Stasera alle 19, nella sede di Legambiente Trieste, se ne parlerà nell'incontro su “Torrenti, pozze e paludi dei dintorni di Trieste: fauna, ecologia” con Fabio Stoch, oggi affiliato all’unità di ricerca di biologia evoluzionistica ed ecologia all’Università Libera di Bruxelles e che - rivela Tiziana Cimolino di Legambiente - «appena può torna a Trieste per seguire le problematiche di conservazione, in particolare delle grotte e delle zone umide di cui si è occupato per anni. L’incontro - prosegue Cimolino, coordinatrice del Forum dell’acqua - fa seguito a una serie di iniziative che abbiamo organizzato sul tema delle acque di Trieste. Particolarmente seguite sono state le due escursioni dedicate ai torrenti nascosti, accompagnati dalla guardia forestale Fabio Tercovich sulla via del rio Storto e dal naturalista Paolo Privitera sulle tracce del rio Settefontane (e la prossima si terrà venerdì domenica prossima a Muzzana). Le gite avevano lo scopo di sensibilizzare sulla particolarità e fragilità dei nostri paesaggi di verde urbano, poco conosciuti e ridotti talvolta a luoghi di degrado». Importantissimi per la conservazione della fauna, questi habitat negli ultimi vent'anni si sono drasticamente ridotti di numero e di estensione e sono andati incontro a un processo di interramento.

(g. t.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 16 maggio 2017

 

 

Giardini inquinati, sarà caccia alle cause - Il sindaco accoglie in Consiglio la petizione di 261 cittadini e si impegna a effettuare tutte le analisi necessarie dopo la bonifica
Il Comune di Trieste si impegna a fare tutte le analisi necessarie a identificare le sorgenti inquinanti che hanno contaminato i giardini pubblici della città, dopo la bonifica.

Nel mirino ci sono soprattutto gli spazi verdi di Servola e dintorni, e la possibilità che a causare l’inquinamento sia stato l’impianto siderurgico. È il risultato della petizione da 261 firme, raccolte soprattutto tra abitanti del quartiere, che il sindaco Roberto Dipiazza ha fatto propria in aula ieri sera. Ha presentato la petizione Alda Sancin, portavoce dello storico comitato No Smog. Ha ricordato come le norme europee identifichino il principio secondo cui chi inquina paga. Ha poi aggiunto: «Le analisi dei campioni di terreno, eseguite da Arpa, evidenziano a Servola diossine e furani in quantità quasi doppia rispetto al resto della città». Il 90% dei firmatari della petizione risiede nei rioni di Servola, Chiarbola, Valmaura e nella zona di Monte San Pantaleone, ha detto: «Circostanza questa che attesta come il problema sia particolarmente sentito in tali aree e non possa venir sottovalutato o non approfondito in maniera risolutiva fino all’identificazione delle sorgenti inquinanti interessate». Questa la richiesta: «Che l’episodio non venga definitivamente archiviato come un caso di “inquinamento diffuso” e che di conseguenza, contestualmente alle necessarie ed urgenti operazioni di bonifica ed applicazione del fitorimedio» il sindaco si impegni ad attuare «tutti gli atti opportuni e necessari al riconoscimento delle sorgenti inquinanti». Sorgenti che vanno identificate nei particolari per «individuare eventuali responsabilità dirette» e «stabilire se siano ancora attive». L’assessore all’Ambiente Luisa Polli ha assicurato che, dopo la bonifica, il Comune andrà ad analizzare nel tempo i terreni ripuliti: «Così capiremo se e quali fonti inquinanti sono ancora attive». Così il sindaco: «La petizione la faccio propria. Nelle prossime settimane ci saranno passaggi importanti. Il 25 maggio saremo al ministero dell’Ambiente, in una riunione in cui sarà convocata anche Siderurgica triestina, per parlare delle inadempienze sull’accordo di programma. Per noi la chiusura dell’area a caldo resta l’obiettivo primario». Il tema è stato affrontato anche da due domande di attualità, una del capogruppo Fi Piero Camber e una della consigliera M5S Cristina Bertoni, che ha commentato: «Ci preoccupano invece le dichiarazioni dell’assessore Polli che vuole monitorare le deposizioni degli inquinanti solo dopo la bonifica dei terreni». Cosa che per il M5S allungherà ulteriormente i tempi. Camber ha rilevato invece come «l’Aia non tiene conto dell’inquinamento acustico, che nel caso della Ferriera era già stato acclarato da Arpa in due diverse occasioni in passato. In queste condizioni quel documento è nullo o annullabile». Sempre nella giornata di ieri, il Comune ha emanato un comunicato in cui il sindaco commenta la relazione inviata dal gruppo Arvedi in risposta all’ordinanza seguita alle fumate del 18 aprile: «Non risponde alla richiesta di tutela dei lavoratori della Ferriera e della salute dei cittadini». Per questo motivo il Comune l’ha inoltrata ad Arpa, Azienda sanitaria e alla Procura della Repubblica.

Giovanni Tomasin

 

Si rafforza l’asse Servola-Cremona e Arvedi punta allo sprint per l’Ilva - LA PROPRIETA' DELLA FERRIERA
È tempo di giocare le ultime carte per vincere la partita intorno al salvataggio Ilva. E ieri, nel giorno in cui i commissari straordinari hanno depositato al Ministero dello sviluppo le valutazioni sulle offerte per gli asset del sito siderurgico di Taranto, il gruppo Arvedi - alla guida della cordata AcciaItalia per rilevare gli impianti pugliesi- ha sfoggiato dati economici in grande spolvero.

Nel 2016 l’azienda di Cremona, che a Trieste ha uno dei suoi stabilimenti più importanti, ha fatturato 2,2 miliardi di euro, incassando quasi 200 milioni di euro in più rispetto al 2015, e ha registrato un margine operativo lordo in crescita (40 milioni in più) e pari a 268 milioni, il 12% dei ricavi. L’obiettivo per il 2017 è portare il Mol al 16% del giro d’affari, una redditività che se raggiunta sarebbe una delle più alte del comparto. E sarebbe davvero un buon segnale per tutte le imprese siderurgiche perché controcorrente rispetto alla grande crisi che ha afflitto il settore fino a ieri. Dal 2007 a oggi l’acciaio made in Europa ha perso quasi il 25% della domanda e ha visto calare i prezzi del 50%. In questo lasso di tempo il gruppo Arvedi, che impiega 3.600 dipendenti, ha investito in Italia 1,5 miliardi di euro nel rinnovo degli stabilimenti, sia a Cremona che a Trieste, e soprattutto nello sviluppo di nuove tecnologie come quella Esp, che semplifica e accorcia il ciclo produttivo, impattando meno sull’ambiente, e che dovrebbe essere alla base del rilancio dell’Ilva se la spunterà la cordata AcciaItalia. «Siamo particolarmente soddisfatti perché finalmente iniziamo a raccogliere i frutti del duro lavoro svolto, a tutti i livelli, in questi ultimi anni - ha detto Giovanni Arvedi, presidente del gruppo che porta il suo nome -. Confidiamo che nei prossimi anni il settore recuperi il terreno perduto non solo per la crisi che ha colpito duramente il comparto ma anche a causa della pressione subita dalle importazioni “no fair”, in dumping, in particolare dei produttori cinesi ma anche russi, ucraini, iraniani, serbi e brasiliani». Grazie agli investimenti fin qui realizzati, il gruppo siderurgico conta di proseguire il percorso di sviluppo e dedicarsi al rafforzamento della propria solidità patrimoniale attraverso «una significativa riduzione dell’indebitamento finanziario netto». Nelle scorse settimane, inoltre, è stato installato a Cremona un nuovo forno elettrico di ultima generazione, alimentato in parte dalla ghisa prodotta nello stabilimento di Servola a Trieste e in grado di aumentare la capacità produttiva di circa 400mila tonnellate di acciai speciali, che saranno trasformate in coils laminati a freddo dal moderno impianto triestino, nonché di ridurre ulteriormente gli impatti ambientali. L’obiettivo di questo investimento, di cui si avvia l’operatività in questi giorni, ha due facce: da una parte apporta un ulteriore avanzamento tecnologico all’impianto, dall’altra incrementa la capacità produttiva per le successive fasi di lavorazione di laminazione a freddo previste a Trieste. Ora resta la partita più importante: quella dell’Ilva. Nonostante i rumor di un possibile rinvio della vendita, i commissari hanno confermato che la decisione finale sarà presa dal governo entro la fine di maggio. Solo allora si saprà chi sarà il dominus dell’acciaio italiano: AcciaItalia (Arvedi, Jw Steel, Cdp e Delfin di Leonardo Del Vecchio) o la cordata di Marcegaglia e il gruppo ArcelorMittal.

Christian Benna

 

 

A2A corre per gli asset Gas Natural - La multiutility in campo dopo che gli iberici hanno annunciato le cessioni
MILANO - A2A parteciperà alla gara per gli asset che Gas Natural potrebbe mettere in vendita in Italia, dopo che gli spagnoli hanno incaricato Rothschild di avviare una revisione strategica delle attività di vendita e distribuzione possedute nel nostro Paese. «Guarderemo anche» ad acquisizioni «nella distribuzione del gas e quindi anche a Gas Natural» ha detto l'amministratore delegato di A2A, Valerio Camerano, sottolineando che il processo di vendita «è prossimo alla partenza». Per gli asset di Gas Natural, già oggetto dell'interesse di Italgas, si parla di una valutazione attorno ai 700 milioni di euro. Camerano ha fatto il punto sulle mire di A2A nel gas (anche attraverso «la partecipazione a gare») a margine dell'assemblea che l'ha riconfermato, assieme al presidente Giovanni Valotti, alla guida della società, sulla scorta di un triennio di forte crescita, come testimoniano la performance di borsa (il titolo si è rivalutato di quasi il 70%, da 0,88 a 1,48 euro) e l'aumento del 50% del dividendo. Risultati apprezzati anche dai Comuni di Milano e Brescia, che hanno messo nel cassetto l'ipotesi scendere sotto il 50% del capitale, attraverso la cessione di una quota da 4% a testa. «Grazie al fatto che le casse ce lo consentono il Comune di Brescia non ha intenzione di scendere nella quota di partecipazione e intende mantenere il 25%» ha detto l'assessore al Bilancio, Paolo Panteghini. A2A continua poi a perseguire il suo disegno di aggregare utility medio-piccole in ambito lombardo.

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 15 maggio 2017

 

 

Consiglio comunale - I giardini inquinati approdano in aula

Torna a riunirsi questa sera alle 19 il Consiglio comunale. Piatti forti della seduta l’illustrazione e il dibattito sulla bonifica dei giardini inquinati e sull’intitolazione del Canal Grande all’imperatrice Maria Teresa d’Austria. All’ordine del giorno anche mozioni sul futuro della sala Tripcovich, l’istituzione dei volontari per la sicurezza e il contenimento dei gabbiani.

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 14 maggio 2017

 

 

«Bus della linea 6 in Porto vecchio» - L’assessore Rossi lancia l’idea per collegare il polo culturale dell’area al centro: «Ne ho parlato con Tt»
«Ormai abbiamo le chiavi dei tre contenitori museali del Porto vecchio: la Sottostazione elettrica, la Centrale idrodinamica, il Magazzino 26». Lo ha confermato, non senza una certa soddisfazione, l’assessore comunale alla Cultura Giorgio Rossi, che lo scorso venerdì ha approfittato del sopralluogo effettuato dalla Quinta Commissione al Salone degli incanti per fare il quadro sulla situazione complessiva degli edifici triestini da destinare alla cultura. E proprio in riferimento a quelli in Porto vecchio, ha annunciato, sul versante dei collegamenti con il centro, l’idea di far passare nell’area l’autobus della linea 6. Ipotesi allo studio, di cui ha già parlato con Trieste trasporti. «L’Autorità portuale ci ha già consegnato le chiavi e le strutture tra una decina di giorni ci verranno assegnate ufficialmente - spiega Rossi -. Per coprire i costi di questa operazione, dalle polizze assicurative alla vigilanza, passando per le spese ordinarie di gestione, verranno previsti dei fondi nel bilancio 2017». Bilancio che, come noto e stando ai tempi tecnici, non potrà essere approvato prima del mese di giugno. Nel documento di programmazione economico finanziaria, che l’assessore alla Cultura auspica sarà approvato da tutte le forze politiche, sono stati inseriti, puntualizza Rossi, 700mila euro che il Comune finalmente incasserà per le concessioni nell’area sdemanializzata e che saranno destinati all’operazione “Porto vecchio”. Oltre a questo denaro si prevede un ulteriore stanziamento di 200mila euro per sostenere le prime spese relative a luce, acqua, gas e assicurazione. Riguardo sempre al trasferimento di parte delle attività culturali nei tre edifici di Porto vecchio, l’assessore dice di avere già ricevuto richieste di prenotazione degli spazi per conferenze e mostre. L’altro tema caldo è quello dei collegamenti con il centro città, che l’assessore vorrebbe garantire non con un bus navetta o un trenino, ma attraverso gli autobus di linea: «Ora che faremo la rotatoria per l’ingresso in Porto vecchio, la cui realizzazione è prevista per il secondo semestre dell’anno, la mia idea, di cui ho già parlato con Trieste Trasporti, è quella di far passare la linea 6 all’interno dell’area dell’antico scalo», spiega Rossi. Nel frattempo l’assessore intende aprire quel portone a ridosso del cavalcavia di Barcola che, poco distante dalle fermate dei bus, consente l’accesso pedonale al Porto vecchio all’altezza della Centrale idrodinamica. Quanto all’altra zona che la giunta vorrebbe rivitalizzare in chiave culturale, quella del Colle di San Giusto, Rossi fa sapere che per la gestione dello spazio del piazzale delle Milizie dentro il Castello, che quest’estate ospiterà molte iniziative, l’intendimento è di rifarsi alla formula messa in atto per la mostra di Sgarbi all’ex Pescheria: «Potremmo proporre anche qualche operetta, ma secondo una formula chiara. Noi metteremo a disposizione sede, palco e sedie, ma gli organizzatori dello spettacolo saranno chiamati a coprire gli altri costi, che potranno poi recuperare con lo sbigliettamento».

Giulia Basso

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 13 maggio 2017

 

 

Campo Marzio - Testimonianze umane e non sulla ferrovia Transalpina
Ritorna la storia della ferrovia Transalpina, l’importante arteria ferroviaria che nel secolo scorso contribuì in maniera determinante allo sviluppo economico di Trieste. Questa volta ritorna in una rassegna allestita al Museo Ferroviario di Campo Marzio (nella foto), a pochi mesi dal suo 110° anniversario. La Transalpina costituiva il secondo collegamento ferroviario fra Trieste e Vienna e rappresentava sicuramente l’opera più urgente da realizzare per far decollare l’economia della città, in particolare quella legata al suo porto, all'inizio del Novecento. Curatrice di questa nuova mostra è Branka Sulli, già insegnante di ragioneria e computisteria in alcuni istituti tecnici cittadini ed autrice di altre rassegne storiche. L’idea di presentare questa retrospettiva nella stazione di Campo Marzio non nasce per caso: infatti questo edificio venne eretto nel 1906 proprio come capolinea meridionale della Transalpina. La rassegna presenta materiale inedito, proveniente da varie collezioni e musei, ma anche testimonianze di persone la cui vita in vario modo è stata collegata a questa infrastruttura: Elvira Šuc, Emmil Gomizel, Marta Šcuka, Peter Frovatin, Uroš Filiplic e Zoran Sosic. La mostra sarà visitabile fino al 31 maggio, nelle giornate di sabato, domenica e mercoledì dalle 9 alle 13, con regolare biglietto di accesso al Museo Ferroviario.

(a. d. m.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 12 maggio 2017

 

 

Polo energetico, parco o città del benessere - Idee per Porto vecchio - Le proposte sono state avanzate da tre università straniere

Plastici, foto, video e modelli in mostra da oggi al Gopcevich
Porto vecchio città del mare. Porto vecchio 24° distretto di Vienna. Porto vecchio zona di produzione energetica, Porto vecchio arcipelago galleggiante oppure Porto vecchio polo internazionale del benessere psico-fisico. Sono questi alcuni dei possibili scenari immaginati dagli studenti di tre università straniere e presentati in una mostra che apre oggi a Palazzo Gopcevich. L’esposizione “Trieste Città Nuova”, ad ingresso gratuito fino al 4 giugno, presenta al pubblico modelli, plastici, foto e video proposti di oltre cento studenti di architettura. La sfida è stata quella di immaginare un futuro per l’enorme area semi-abbandonata da 650mila metri quadrati, la cui gestione è in gran parte passata dal demanio al Comune il 31 dicembre. Le proposte sono state presentate dall’Accademia di Architettura di Mendrisio, dall’università di Zurigo e da 25 studenti del Politecnico di Vienna. Nella capitale austriaca insegna Luca Paschini, curatore triestino dell’iniziativa insieme a Federica Mian, Silvana Stedler e Andrea Battistoni. «Da un lato sono espresse proposte avveniristiche che devono fungere da stimolo per realizzare nuovi progetti per Porto vecchio. Dall’altro, accogliamo le idee di università esterne al territorio offrendo così un’utile occasione di confronto», ha dichiarato l’assessore alla cultura Giorgio Rossi, intervenuto alla conferenza stampa di presentazione. La mostra, che si inaugura questo pomeriggio alla presenza del sindaco Dipiazza, segue a ruota quella sugli idrovolanti allestita dalla Fondazione Fincantieri, ha ricordato Stefano Bianchi, conservatore del Civico Museo Teatrale - Carlo Schmidl. Passeggiare tra i rendering e i plastici offre uno spaccato di futuro, in bilico tra possibilità e utopia. «Le idee degli studenti possono essere un utile contributo al dibattito della città, con la consapevolezza che un’area come questa non può essere sviluppata solamente con energie locali», commenta l’architetto Luca Paschini. Due sale sono dedicate alle proposte di Mendrisio e Zurigo, che hanno lavorato su una scala più minuta ipotizzando anche il recupero dei singoli edifici. Tra i nove progetti “viennesi”, su scala urbana più ampia, ce n’è per tutti i gusti. “Sea city” lavora sull’ipotesi di rendere Porto vecchio un polo ludico, didattico e scientifico a tema marittimo; “Vienna 24 District” immagina un’area in grado di attirare le migliori energie dalla capitale austriaca; “La Città Autonoma” punta a fare di quei 65 ettari un centro di produzione di energia pulita: fotovoltaica, solare, termica ma anche eolica e idrica, con tanto di micro-orti per la produzione agricola autonoma. C’è poi l’ipotesi del sistema di rotaie soprelevate, per consentire gli spostamenti nei 3km di “vialone”, e quella più poetica di una città galleggiante in caso il riscaldamento globale giocasse brutti scherzi. «La mia speranza è quella di poter camminare presto sulla “promenade” di Porto vecchio», conclude l’assessore Rossi. Tornando alla realtà, l’amministrazione sta ultimando le sue considerazioni sul piano di Ernst&Young e «tra qualche mese» si tireranno le conclusioni.

Lillo Montalto Monella

 

 

Consorzio Ricrea - Trieste premiata per il riciclo di acciaio

Ha preso il via ieri in piazza Verdi il tour Capitan Acciaio, promosso dal Consorzio Ricrea. Nell’occasione è stato conferito alla città di Trieste un premio per l’impegno nella raccolta differenziata degli imballaggi in acciaio.

 

 

Nuovi limiti Ue, centrale A2A a rischio - Scatta la stretta sulle emissioni. Impianto di Monfalcone davanti a un bivio: costosi adeguamenti o chiusura dell’attività
MONFALCONE La centrale termoelettrica di Monfalcone finisce sotto la scure dell’Unione europea, alla luce dei nuovi limiti sulle emissioni inquinanti delle centrali a carbone. Limiti da adottare entro il 2022 e che comporteranno un «costoso adeguamento o la chiusura» di circa un terzo degli impianti o di parti di impianto. Nella “lista” delle 108 centrali europee più inquinanti per le quali l’adeguamento ai nuovi limiti sarà «più difficile», rientra infatti anche l’impianto monfalconese, assieme a Genova e al bacino carbonifero del Sulcis, zona mineraria situata nella parte sud-occidentale della Sardegna. Lo si evince dalla prima indagine dell’Istituto per l’economia e l’analisi finanziaria dell’energia proprio sugli effetti della “stretta” alle emissioni. Si tratta degli ossidi di azoto, dell’anidride solforosa, del particolato, e del mercurio per i grandi impianti a carbone. Una decisione, quella della Ue, assunta il 28 aprile. Nel contesto italiano, peraltro, il ministro allo Sviluppo economico, Carlo Calenda, ha parlato anche dell’uscita totale dal carbone tra il 2025, uscita che «è possibile», ha dichiarato durante un’audizione con Gian Luca Galletti sulla Strategia Energetica Nazionale, facendo anche i conti. Salati: 30 miliardi di euro rispetto allo scenario base, ha spiegato il ministro, che ha osservato come «dovrà essere affrontato il tema delle tempistiche autorizzative per nuove centrali e nuove infrastrutture». Insomma, è l’aut-aut: adeguamento o chiusura. Una questione per la quale ieri A2A Energie future ha spiegato: «I dati sui quali si basa lo studio Ieefa si riferiscono al 2014, prima pertanto dell’installazione dei Denox ai fini dell’abbattimento degli ossidi di azoto e dell’anidride solforosa, grazie ai quali i parametri risultano ben al di sotto dei limiti europei». L’azienda ha ricordato l’investimento di 25 milioni di euro per l’operazione-denitrificatori, sostenendo quindi di «essere in linea con le nuove disposizioni». A proposito dell’uscita dal carbone, A2A Energie Future ha ribadito la partecipazione al percorso, già garantito a suo tempo, per il quale è stato costituito il tavolo di confronto con la Regione. L’assessore regionale all’Ambiente, Sara Vito, da parte sua, ha annunciato, a proposito delle nuove strategie energetiche nazionali: «Proprio in questi giorni in Commissione Ambiente delle Regioni italiane, con capofila la Sardegna, grazie alla mia proposta di contributo del Fvg, sono state messe a punto le richieste ai fini del superamento del carbone verso sistemi a minore impatto ambientale, che verranno inoltrate al ministro dello Sviluppo Economico nell’ambito delle Strategie energetiche nazionali». Vito ha aggiunto: «La posizione della nostra Regione è chiara: tutto ciò che può limitare e abbattere le attuali emissioni non può che trovarci d’accordo. Si tratta ora di fare pressing sul progetto di calendarizzazione dell’uscita dal carbone». Quanto al tavolo con A2A dedicato, l’assessore regionale ha affermato: «Il tavolo non si è interrotto. Aspettiamo il piano da parte dell’azienda, contenente le proposte e la definizione delle tempistiche e delle modalità del percorso di riconversione della centrale. Lo abbiamo sollecitato. Certo è una questione complessa, abbiamo lasciato del tempo, anche perchè si tratta di posti di lavoro. Ma è ora che questa proposta venga presentata». Il sindaco Anna Maria Cisint ha commentato: «Questo territorio è stato a lungoà martoriato, drammaticamente colpito ogni giorno da morti e sofferenza a causa dell’amianto. Se la scienza e i dati attestano che il carbone è un fossile pericoloso per la salute, bisogna eliminarlo rapidamente. Stiamo lavorando, anche sul fronte giudiziario. Naturalmente tenendo presente però anche il nodo occupazionale».

Laura Borsani

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 11 maggio 2017

 

 

Emergenza a Meleda, l’alga killer minaccia la barriera corallina - Allarme ambientale nel lago protetto anche a causa di tecniche di pesca non legali e dagli scarichi inquinanti
SPALATO - Il recente rapporto dell'Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn) non lascia dubbi. Tra le specie di coralli a rischio estinzione nel Mar Mediterraneo vi è pure il Cladocora caespitosa, la madrepora a cuscino, comunemente conosciuta come madrepora pagnotta, specie endemica presente da ormai 3 milioni di anni e la cui popolazione è presente nel Parco nazionale dell' isola di Meleda (Mljet in croato), in Dalmazia e nelle Bocche di Cattaro in Montenegro. Proprio a Meleda, nel Lago maggiore (in regime di tutela perchè si tratta di un parco nazionale) si trova una piccola barriera corallina costituita appunto dalla madrepora pagnotta, che si estende su una superficie di circa 650 metri quadrati, ad una profondità tra i 4 e i 18 metri. Si tratta in pratica dell'unico esempio di barriera corallina segnalato nelle acque mediterranee. Purtroppo la colonia è minacciata da estinzione, come ammesso dal biologo croato Petar Kruzic, tra i maggiori esperti che hanno lanciato il grido d'allarme. La madrepora, che nel microclima mediterraneo costituisce uno dei garanti della biodiversità, viene purtroppo minacciata nelle acque orientali dell'Adriatico dalle tecniche di pesca non sostenibili, dal progressivo aumento della temperatura dell'acqua, come pure dagli scarichi inquinanti, dalla proliferazione di specie invasive e naturalmente anche dalla raccolta di questo corallo a scopi commerciali. I primi problemi con la madrepora a cuscino furono rilevati già nel 1999, mentre l'estate eccezionalmente calda nel 2003 decretò la morte di estese aree coralline sia sui fondali di Meleda, sia in quelli delle Bocche di Cattaro. A complicare la situazione è anche la presenza di un'alga molto dannosa, la Caulerpa cilindracea, una specie aliena, originaria dei mari australiani. Questa alga killer è una specie alloctona originaria dell’Indo-Pacifico, segnalata per la prima volta nel bacino del Mediterraneo nel 1990 lungo le coste della Libia. Oggi è presente in tutto il bacino del Mediterraneo. É molto invasiva e ama, diciamo così, sistemarsi al posto della madrepora pagnotta, impedendole lo sviluppo. Insomma, oltre all'opera deleteria dell' uomo, ecco aggiungersi la presenza nelle acque adriatiche di una tra le cento specie più invasive al mondo.

Andrea Marsanich

 

 

SAN DORLIGO - Cinque giorni di incontri sulla raccolta dei rifiuti
Il Comune di San Dorligo della Valle fa sapere che dal primo luglio prossimo il sistema di raccolta dei rifiuti subirà notevoli variazioni con la revisione delle giornate di raccolta e diverse modifiche nella differenziazione dei rifiuti, con lo scopo di aumentare la frazione differenziata degli stessi. A tutte le utenze verrà consegnata a domicilio una lettera con l’invito a partecipare agli incontri informativi che l’amministrazione comunale ha organizzato per illustrare le principali novità in questione. Gli incontri si terranno verso la fine di maggio (nella settimana che parte da lunedì 22) in diverse frazioni del Comune secondo il calendario di seguito: lunedì 22 maggio alle 20 a Caresana nella casa comunale e alle 20.30 a Bagnoli della Rosandra al centro visite; martedì 23 maggio alle 19 a Francovez all’Osteria Al Ponte e alle 20.30 a San Giuseppe alla “Babna hiša”; mercoledì 24 maggio alle 20 al municipio di San Dorligo della Valle e mezz’ora più tardi a Prebenico alla casa comunale; gli incontri proseguiranno ancora giovedì 25 maggio alle 20 a Grozzana, anche qui alla casa comunale, e alle 20.30 a Draga alla Locanda Mario; il calendario continua poi con gli appuntamenti di venerdì 26 maggio: alle 20 a Sant’Antonio alla casa comunale e alle 20.30 a Domio al centro Ukmar. Alla luce dell’importanza dell’argomento e della necessità di un’informazione il più capillare possibile, il Comune di San Dorligo della Valle lancia un appello ai cittadini, invitandoli a partecipare ai diversi appuntamenti in programma.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 10 maggio 2017

 

 

Maxipesca di ricci proibiti, barca confiscata - Quattro palermitani fermati mentre rientravano a riva con 268 chili, tutti già rimessi nel loro habitat alla Riserva di Miramare
IL DIVIETO E I CONTROLLI - La raccolta di questi echinodermi non è consentita in particolare dal primo maggio al 30 giugno, che coincide con il periodo di riproduzione
Con il loro barchino da neanche quattro metri e un’attrezzatura non a norma hanno raccolto abusivamente 268 chili di ricci di mare nella baia di Sistiana proprio nel periodo di fermo pesca. Non sapendo però che, nella parte superiore dell’area, l’occhio del Nucleo ispettivo della pesca della Guardia costiera li stava osservando. A quattro uomini palermitani, a uno in particolare, è stata così comminata una multa di quattromila euro. Ma non solo, dato che barca e attrezzatura sono state confiscate. È il riuscitissimo intervento di lunedì, che è stato completato ieri, dopo l’analisi del Servizio di sanità pubblica veterinaria della Regione, con il rilascio di tutta la quantità di pescato nella Riserva di Miramare. L’operazione arriva in seguito a diverse indagini e segnalazioni di privati cittadini, «che in questa regione sono sempre sensibili alle problematiche di difesa dell’ecosistema marino», sottolineano dalla Capitaneria di porto, che ha intensificato i controlli in particolare dal primo maggio al 30 giugno, periodo in cui la raccolta di questi echinodermi è assolutamente proibita visto che la specie è in via di riproduzione. Del gruppo di pescatori, che non avevano nessun titolo per esercitare tale attività, è stata multata soltanto una persona, l’unica che, secondo le dichiarazioni rilasciate, avrebbe effettivamente pescato, mentre le altre tre lo avrebbero soltanto aiutato. Oltre a ricevere l’ammenda, comunque, i quattro hanno subìto la confisca di tutto l’equipaggiamento, appunto non in regola, tra cui due autorespiratori con i rispettivi erogatori, quattro cinture con pesi di piombo, il natante da diporto con il quale si spostavano da un luogo di raccolta all’altro e il relativo motore. Si tratta dunque di una sanzione accompagnata anche dalla confisca automatica, prevista quest’ultima dagli effetti della nuova legge 154 e in particolare dell’articolo 39, in vigore dall’agosto scorso, che ha introdotto importanti modifiche al decreto legislativo 4 del 9 gennaio 2012, nella parte relativa proprio alle sanzioni in materia di pesca e acquacoltura. Prima infatti, oltre alla multa, si provvedeva anche al sequestro della dotazione, che poi in sede di pagamento il comandante poteva però anche restituire a sua discrezione. Oggi invece il pignoramento è obbligatorio. Il malloppo, probabilmente destinato al mercato del Sud visto che in questa zona d’Italia il riccio di mare non viene abitualmente utilizzato nella tradizione culinaria, è stato prelevato dai fondali marini dell'Adriatico in circa un’oretta e mezza nel pomeriggio di lunedì. «Sono molto rapidi», fanno sapere gli uomini della Capitaneria, che hanno osservato la dinamica in borghese fino all’approdo a riva del mezzo nautico e allo scarico del bottino nel furgone dei quattro pescatori di frodo. «Abbiamo agito in questo modo - ha fatto sapere la Guardia costiera sotto l’egida di Luca Sancilio, comandante della Capitaneria di porto e direttore marittimo del Fvg - per capire come si muovevano, dove portavano i ricci, quanti ne prendevano e se si trattava di un prelievo destinato alla commercializzazione vista la quantità. Siamo dunque intervenuti a operazione conclusa in modo da non tralasciare nulla». Dopo il sequestro i ricci, che sono molto richiesti in una certa piazza e che hanno un alto valore economico essendo come detto vietato reperirli in questo periodo, sono stati successivamente conservati nella cella frigorifera del mercato ittico e una volta espletata la verifica dei veterinari della struttura regionale, i quali hanno accertato che si trattava di esemplari ancora vivi e dunque in stato ottimale di salute, ieri mattina sono stati prelevati dalla motovedetta della Guardia costiera e ricollocati nella Riserva di Miramare attraverso una dissemina lenta in modo da non intaccare l’ecosistema marino.

Benedetta Moro

 

 

Via Pitacco - Il grande lifting stradale inizia vicino alla Ferriera
Cominciare le grandi pulizie stradali da via Giorgio Pitacco, a due passi dalla Ferriera, ha per il Comune un doppio significato: è un segnale di attenzione verso un rione dalla particolare sensibilità ambientale ed è il primo esperimento per capire “sul campo” le eventuali criticità logistiche che potrebbero essere prodotte da questa operazione di accurata nettezza urbana. Dunque, primo appuntamento con il lifting “radicale” viario giovedì 18 maggio, lungo i 750 metri della via dedicata al parlamentare e pubblico amministratore di sentimenti irredentisti, vissuto tra il 1866 e il 1945. Comune e AcegasApsAmga, incaricata del servizio, chiedono ai residenti sei ore di “franchigia” dalle 8.30 alle 14.30 per gli uomini e i mezzi che svuoteranno i cassonetti, provvederanno al minuto diserbo, effettueranno lo spazzamento manuale e meccanico con tecnologia “nebulizzante”, libereranno le caditoie, laveranno la strada. Ecco perchè in quelle sei ore scatterà il divieto di sosta lungo entrambi i lati della via servolana. I residenti saranno informati della “toeletta” a partire da 96 ore prima, in modo tale che per le sei ore di giovedì 18 abbiano tempo di trovare parcheggi alternativi. Il progetto “Pulizie radicali”, nel 2017 esperimento gratuito per l’utenza, è stato presentato ieri mattina dall’assessore all’Urbanistica e Ambiente Luisa Polli e dal nuovo dirigente del settore ambiente di AcegasApsAmga Giovanni Piccoli. La “spedizione” in via Pitacco, che sarà realizzata con una quindicina di addetti e 4-5 mezzi specializzati, sarà la prima di dodici puntate che saranno spalmate lungo il 2017: la seconda andrà in onda giovedì 25 maggio in via Valmaura, da via Ponticello a via Carpineto. Espletati gli esordi a Servola e Valmaura, resteranno da sbrigare dieci pulizie stradali in altrettanti punti nevralgici della città: Polli&Piccoli hanno spiegato che il progetto concentrerà le sue attività nelle aree periferiche e semi-periferiche, di più agevole operatività. A parte due test che riguarderanno zone centrali: Municipio e utility non hanno ancora deciso “dove”, in quanto vogliono prima verificare la risposta e gli umori dei residenti all’oggettivo disagio logistico. Le candidate centrali più accreditate all’esperimento dovrebbero comunque essere l’area di Barriera Vecchia e quella di Barriera Nuova (indicativamente tra l’Acquedotto e via Fabio Severo). L’intendimento dei due partner è passare nel 2018 dalla sperimentazione a una fase definitivamente inserita nella programmazione della gestione rifiuti: un parziale ritorno all’antico, quando la vecchia municipalizzata lavava le strade. Ma traffico e parcheggio veicolare erano più governabili.

Massimo Greco

 

 

Una famiglia di cinghialetti tra le case di strada del Friuli. La scoperta di un residente grazie alle telecamere installate fuori dal suo edificio.

Ma la scrofa ora puo' costituire un pericolo: chiesto l'intervento della Forestale

Una nidiata di cinghialetti nel giardino di casa a neppure cinque metri dalla finestra di un’abitazione e a sette metri da un’altra con la terrazza. È la scoperta fatta un paio di giorni fa da alcuni abitanti di strada del Friuli subito dopo il Faro della Vittoria, sopra Barcola. I cuccioli di cinghiale, quattro o cinque quelli individuati, sono stati segnalati prima al 112 e poi al Corpo forestale del Friuli Venezia Giulia. Un intervento è stato annunciato in queste ore. Non è chiaro ancora di che tipo: potrebbe trattarsi di un abbattimento o del prelievo dei cuccioli. La madre potrebbe costituire un pericolo per i residenti di strada del Friuli vista la presenza della prole. In due delle tre case più vicine abitano una coppia di anziani e una famiglia con bambini. La famiglia di cinghiali è stata ripresa da alcune telecamere installate da uno dei residenti. «Siamo preoccupati da questa presenza. Incontrare la scrofa, magari al buio, è un’esperienza che è meglio non fare. Il pericolo esiste. Anche se i cinghialetti sono carini, belli da vedere. Questi hanno la righetta, come i gattini», racconta il proprietario del giardino che ha segnalato la presenza della nidiata alla Forestale. Il giardino della casa, dove si trova il nido dei cinghialetti, non ha recinzioni: è un’area che verde che confina direttamente con il bosco. Un’unica stradina di accesso conduce alle tre casette di strada del Friuli, tutte abitate, con anziani e anche bambini appunto. «Sono anni che segnaliamo la presenza di cinghiali. La prima quasi 10 anni fa. Ma si trattava di avvistamenti. Intrusioni momentanee. In questo caso hanno deciso di prendere residenza in città. È come trovarsi i cinghiali in casa. Un mio vicino se l’è trovato una mattina sulla terrazza», spiega il titolare del giardino. E, infatti, nel 2008, proprio a maggio, era uscito un articolo sul Piccolo: «Cinghiali negli orti di strada del Friuli. Sono i primi avvistamenti a Barcola». Con tanto di foto di un esemplare di un quintale fotografato nei pressi della Casa Gialla. Da allora la fauna di strada del Friuli è aumentata e si è allargata. «Nelle riprese si vede ormai di tutto. Cinghiali, caprioli e persino lo sciacallo del Carso. Ho raccolto parecchi filmati, molto interessanti», racconta il proprietario del terreno dove si è sistemata la scrofa con la sua nidiata. La gestazione di una femmina do cinghiale dura circa 120 giorni ed il numero dei piccoli può variare in funzione del peso e dell’età della madre. Di norma si va da un minimo di 2/3 cuccioli fino ad un massimo di 7/8 con episodi eccezionali anche di 10/12. Le nascite risultano, nella maggior parte dei casi, concentrate tra marzo e giugno. Dopo una gestazione le femmine si isolano dal gruppo e partoriscono i piccoli in un nido, al quale rimangono legati per le prime due settimane, dopodiché seguono la madre alla ricerca del cibo e si riuniscono al gruppo. In generale le femmine partoriscono una sola volta all’anno. La presenza dei cinghiali nel tessuto urbano di Trieste è un dato consolidato. La specie aumenta in media il 14% all’anno. Lo scorso febbraio è stato lanciato l’allarme da parte dell’istituito comprensivo di via Commerciale. Il giardino dove sono ospitati i giochi per i piccoli alunni era diventato la meta preferita di un branco di cinghiali. Così è dovuta intervenire la Guardia forestale che ha abbattuto tre esemplari di circa cinquanta chili intenti a passeggiare all'interno del recinto. Un esemplare è riuscito a scappare. I cinghiali ormai si spingono fino al mare. Nel giugno scorso, all’inizio della stagione balneare, ne era stato addirittura trovato uno morto di circa 60 chilogrammi che galleggiava a pancia in su nelle acque al lardo del Bagno Ferroviario. La presenza nel parco di Miramare è accertata. Nel novembre del 2015 un esemplare di oltre 70 chilogrammi era stato recuperato vivo dai volontari della Protezione animali all’interno del Bagno Sticco. L’unica soluzione per limitare la crescita è l’abbattimento controllato. Ogni anno in provincia di Trieste vengono uccisi tra i 700 e gli 800 cinghiali. In particolare, la polizia ambientale è costretta ad abbattere tra i 150 e i 160 capi per ragioni di emergenza sorte a seguito di criticità segnalate dai cittadini. Sono gli ultimi dati forniti dall’amministrazione provinciale, le cui competenze in materia sono passate ora alla Regione. E non va meglio nelle altre province del Friuli Venezia Giulia

Fabio Dorigo

 

 

 

 

LA VOCE.info - MARTEDI', 9 maggio 2017

 

 

ENERGIA E AMBIENTE - Primi nelle energie rinnovabili. Ma a che prezzo?

L’Italia è di gran lunga prima tra i paesi europei per l’incidenza degli incentivi erogati alle rinnovabili in rapporto alla produzione totale di energia. Un primato che costa caro ai consumatori e alle imprese. Ed è frutto di politiche poco coerenti.
L’Europa degli incentivi alle rinnovabili
Il rapporto del Ceer (Consiglio dei regolatori europei dell’energia), uscito pochi giorni fa, offre un interessante panorama sui sussidi concessi per promuovere le energie rinnovabili in ventisei paesi europei. L’Italia è di gran lunga la prima per l’incidenza degli incentivi erogati in rapporto alla produzione totale di energia: circa 44 euro a MWh (megawattora) contro una media, esclusa l’Italia, di 13,8 (tabella 1).
Tabella 1 – Sussidi alle rinnovabili in rapporto alla produzione totale di energia elettrica (anno 2014)
*Italia esclusa.
Fonte: nostra elaborazione su dati Ceer
I sussidi gravano dunque sulla nostra produzione elettrica totale per più di tre volte la media degli altri venticinque paesi europei. Il nostro non invidiabile primato dipende in parte da una più elevata percentuale di energia ottenuta da fonti rinnovabili, ma ancor di più dal generoso livello di incentivazione concesso su tutte le tipologie non fossili. Il 25 per cento della nostra produzione totale deriva da fonti rinnovabili sussidiate, cui si somma un altro 15 per cento di energia idroelettrica non sussidiata.
La quota sussidiata della produzione totale è in Italia superiore alla media, ma non è molto più alta di quella della Germania o della Spagna. Dove distacchiamo tutti, invece, è nell’avere sussidi elevati per ogni fonte rinnovabile (tabella 2).
Tabella 2 – Sussidi per fonte di produzione (euro per MWh)
Fonte: Ceer
Le conseguenze di incentivi generosi
Siamo di gran lunga i più generosi per incentivi unitari tra tutti i ventisei paesi (ad esclusione della Repubblica Ceca); i nostri sussidi per MWh, nella media tra le varie fonti, sono quasi il doppio di quelli degli altri paesi; la Francia è più generosa nel solare, ma per un ammontare complessivo molto contenuto e solo per impianti di piccola taglia.
Il sussidio medio di 44 euro per ogni MWh prodotto non è lontano dal costo di produzione elettrica dalle fonti più efficienti: con gli aiuti alle rinnovabili abbiamo quasi raddoppiato il costo medio dell’energia elettrica prodotta in Italia. I sussidi, che costituiscono la gran parte degli “oneri generali di sistema” quantificati nelle nostre bollette non vengono pagati solo dai consumatori. Per più di due terzi gravano sulle imprese, per le quali l’energia costa un 20 per cento in più della media europea con evidenti effetti negativi per la competitività del paese e quindi per crescita e occupazione.
Il primato raggiunto non è il risultato di un disegno politico coerente, consapevole e approvato dal parlamento, ma il punto di arrivo di una combinazione di interessi di bottega, di ideologie astratte e, soprattutto, di malgoverno.
L’esempio più lampante è il fotovoltaico: partito col decreto Bersani-Pecoraro Scanio che prevedeva come obiettivo il raggiungimento di una potenza istallata di 3 GW nel 2016, ha fatto registrare una capacità di 18 GW. Non si è trattato dunque di una politica voluta: semplicemente, prima i governi di sinistra non hanno previsto massimali e poi quelli di destra non hanno ridotto gli incentivi mentre crollava il costo dell’investimento. Si è quindi offerta una magnifica opportunità di lauti e sicuri profitti a tanti, inclusi fondi d’investimento esteri, senza nemmeno avere il tempo per sviluppare un’industria nazionale.
È il più rilevante intervento dello stato nell’economia da decenni, ma non c’è da meravigliarsi se nessuno ama parlarne e tantomeno assumersene la responsabilità politica. Se ci fossimo allineati alla media europea per quota di produzione sussidiata e per entità unitaria dell’incentivo, il costo annuale sarebbe stato di 4,6 miliardi e non di 12,7 (cui andrebbero aggiunti poi i “capacity payments” per indennizzare le centrali termiche che devono stare in stand by per quando manca la produzione da rinnovabili). Un’operazione colossale, equivalente a tre punti di Iva, determinata solo da decreti ministeriali e gestita “fuori bilancio” perché i sussidi vengono addebitati alle bollette come “oneri generali di sistema” tramite la componente A3. Se per la copertura fosse stata prevista una “imposta ecologica” è verosimile che i governi avrebbero avuto grandi difficoltà a farla approvare in parlamento. E gli 8 miliardi in eccesso rispetto alla media europea avrebbero potuto essere destinati a ridurre il cuneo fiscale e migliorare così la competitività delle imprese che, invece, è stata pesantemente danneggiata dall’incremento del costo dell’energia.
Lo stesso modo di procedere nel disporre di ingenti risorse pubbliche sotto la spinta di lobby o per obiettivi astratti, ma privi di giustificazioni economiche valide lo troviamo anche in altri settori, in particolare in quello delle grandi opere ferroviarie o stradali a redditività bassissima quando non negativa, approvate senza adeguate analisi costi-benefici. C’è da chiedersi se uno dei principali motivi di debolezza dell’economia italiana non vada ricercato proprio nella scadente qualità della sua classe dirigente e di quella politica in particolare.

Giorgio Ragazzi e Francesco Ramella

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 9 maggio 2017

 

 

Ventinovesima bandiera blu - Grado da record - E' la spiaggia piu' premiata d'Italia con Moneglia. Lignano a "quota 28" si conferma ai vertici

Liguria, Toscana e Marche si confermano le tre regione con il maggior numero di riconoscimenti. Approdi turistici: dieci vessilli al FVG - LE BANDIERE BLU 2017

ROMA - Grado ha ricevuto la ventinovesima Bandiera Blu: un record nazionale che detiene assieme alla ligure Moneglia. Lignano Sabbiadoro sale invece a quota 28. Nell'anno in cui la fondazione che assegna la Bandiera Blu festeggia il trentesimo anniversario - è stato il presidente della Fee Italia, professor Claudio Mazza, a ricordarlo nel corso della conferenza stampa svoltasi ieri mattina a Roma -, il Friuli Venezia Giulia conferma le sue eccellenze, ovvero quelle di Grado e di Lignano che come abbiamo detto si trovano ai vertici nazionali. Il record assoluto è quello di Grado, ma Lignano è subito dietro. Certo il Friuli Venezia Giulia non può competere numericamente con la quantità di bandiere ricevute da località di altre regioni (la Liguria è in testa con 27 seguita dalla Toscana con 19), ma la nostra regione può vantare comunque di essere fra le migliori in assoluto in rapporto al numero di spiagge di una certa dimensione e importanza presenti sul territorio, e da un gran numero di anni. Per le spiagge di Grado le Bandiere Blu vanno a tutti i lidi: dalla spiaggia principale ormai individuata come "La Spiaggia dell'Imperatore" (è stato Francesco Giuseppe a firmare la legge istitutiva nel 1892), a quella della Costa Azzurra e a quella di Pineta. Per Lignano l'indicazione riguarda il Lido. Quest'anno le Bandiere Blu sono state assegnate a 163 Comuni italiani che complessivamente hanno 342 spiagge che possono far sventolare l'importante vessillo nel corso del 2017. Un numero che rappresenta il 5 per cento delle spiagge premiate a livello mondiale. Si tratta di 11 località in più dello scorso anno anche se in realtà ci sono 13 nuovi ingressi ma anche due uscite. Liguria, Toscana e Marche mantengono incontrastate i primi posti nella classifica delle Bandiere Blu 2017 e vedranno sventolare il vessillo simbolo di mare da favola su un totale di 63 spiagge. Da Bordighera (Imperia) ad Ameglia (La Spezia), da Carrara (Massa-Carrara) a Monte Argentario (Grosseto) la costa è un susseguirsi di spiagge bagnate da acque cristalline del mar Tirreno che, tra l'altro, ospitano il santuario Pelagos, area protetta per i cetacei. Scendendo, da Anzio (Roma) a Policoro (Matera), il litorale regala spiagge su acque incantevoli. Poi si passa alla Calabria ionica e alla Puglia, per incontrare di nuovo i vessilli della Fee che diventano più numerosi da Campomarino (Termoli) sino a Grado. Ma quest'anno il boom c'è stato per i laghi in Trentino, che ha raddoppiato le bandiere rispetto al 2016. La Fee, Fondation for Environmental Education presente in ben 73 Paesi, ha puntato quest'anno a parametri ancor più severi rispetto al passato e per tutti i 32 criteri che vengono presi in considerazione a iniziare dalla purezza delle acque ossia della balneabilità che viene certificata dai dati del ministero dell'Ambiente seguenti alle nutrite analisi effettuate dall'Arpa. In particolar modo è tenuta altresì in considerazione l'educazione ambientale, la depurazione e la gestione sostenibile del territorio. Il presidente Mazza ha affermato ieri che il binomio terra-mare è indissolubile poiché la salute del mare è strettamente collegata alla gestione del territorio: «Negli anni Grado e la comunità gradese hanno saputo innovare e investire sull'ambiente». A essere premiati con la Bandiera Blu sono stati anche 67 approdi turistici. Per quanto riguarda il Friuli Venezia Giulia a ricevere il riconoscimento ce ne sono 10. Uno in meno dello scorso anno in quanto nell'elenco non figura Porto San Vito di Grado che aveva sempre ricevuto in passato il prestigioso vessillo. Ad ogni modo Trieste si vede riconosciuto, come negli ultimi anni, solamente un approdo, quello della Lega Navale. In provincia di Gorizia c'è il Marina Hannibal di Monfalcone mentre la parte del leone la fa la provincia di Udine e in particolar modo l'area Lignano-Aprilia Marittima. La Bandiera Blu 2017 per gli approdi è stata assegnata, infatti, a quattro approdi di Lignano, esattamente Marina Uno, Marina Punta Verde, Marina Faro e Darsena Porto Vecchio. Premiate anche Marina Punta Gabbiani (Aprilia Marittima), Marina Aprilia Marittima e Marina Capo Nord (Aprilia Marittima). Infine Bandiera Blu al Marina Sant'Andrea di San Giorgio di Nogaro.

Antonio Boemo

 

 

Fumata rossastra dalla Ferriera. «Reazione anomala»
Una fumata rossastra si è levata ieri mattina, poco prima delle 6, dall’altoforno dello stabilimento servolano di Acciaieria Arvedi. L’azienda ha precisato in una nota che l’emissione dei fumi è avvenuta durante l’apertura del foro di colata dell’altoforno, operazione che avviene una dozzina di volte al giorno. Nel comunicato la società spiega che “il materiale refrattario con cui è realizzato il “tappo” del foro ha purtroppo avuto una reazione anomala” che ha causato appunto la nuvola rossastra. Nell'ultimo anno, prosegue la nota dell’azienda, la struttura tecnica hanno effettuato severi controlli dei fornitori del materiale refrattario, per evitare il rischio di eventi simili. “In virtù di queste attività, le forniture di materiali da parte della ditta coinvolta, sono state immediatamente sospese, a scopo cautelativo”. Anche con riguardo all’episodio accaduto ieri la Regione ha richiesto ad Acciaieria Arvedi Trieste un maggiore impegno “affinché siano drasticamente abbattute le fumate anomale provenienti dallo stabilimento. La nota della Regione precisa che “pur prendendo atto dell'annunciato intervento straordinario programmato per settembre e inteso a impedire la fuoriuscita di emissioni anomale, si è ritenuto di far pervenire questa indicazione all'azienda anche in vista della stagione estiva, durante la quale il verificarsi di simili episodi può venir enfatizzato dalle condizioni meteo”. Nella stessa giornata di ieri l’Arpa ha effettuato verifiche con la direzione dello stabilimento per accertare le cause dell'evento anomalo, confermando che lo stesso è riconducibile a un difetto di qualità del materiale refrattario usato per tappare il foro di colata della ghisa. Arpa rileva inoltre che l’evento non ha comportato conseguenze rilevate dalle centraline di monitoraggio dell’aria, annunciando per i prossimi giorni controlli agli interventi attuati da Acciaieria Arvedi per evitare il ripetersi di questi eventi anomali.

 

 

Partono le grandi pulizie delle strade - AcegasApsAmga comincia dalla zona di Servola e Valmaura. Ordinanza municipale sui divieti di sosta e di transito
Sarà la zona di Servola e di Valmaura a inaugurare la stagione delle grandi pulizie stradali, previste dal Piano economico-finanziario (Pef) che imposta la gestione dei rifiuti urbani affidata ad AcegasApsAmga, approvato poco più di un mese fa dal Consiglio comunale: come anticipato a suo tempo, il rodaggio avverrà nelle aree periferiche, che presentano minori criticità organizzative. “Progetto pulizie radicali” s’intitola il capitolo che il Pef dedica a una delle novità salienti della collaborazione Comune-utility, novità che, in virtù della connotazione sperimentale assunta per l’anno in corso, sarà a costo-zero per la municipalità. L’operazione inizierà a giorni, come testimoniato dall’ordinanza, emessa giusto ieri dal servizio “mobilità e traffico”, a firma del responsabile Giulio Bernetti: sarà valida fino al 31 dicembre prossimo venturo. AcegasApsAmga - spiega l’atto comunale - deve provvedere «in tempi molto ristretti all’esecuzione dei lavori di pulizia radicale della sede stradale con svuotamento cassonetti, diserbo minuto e spazzamento sia manuale che meccanico nonchè pulizia caditoie e lavaggio stradale». Poi l’ordinanza, che riscontra una richiesta presentata da AcegasApsAmga il 2 maggio, fornisce le indicazioni operative all’utility, indicazioni che però diventeranno assai utili anche per il cittadino-utente-automobilista, quando il turno della toeletta stradale toccherà le aree di parcheggio e di transito di sua abituale pertinenza. Infatti l’asciutta prosa dell’ingegner Bernetti dispone che gli interventi abbiano una durata massima di un giorno e si svolgano per singoli tratti lunghi non più di un chilometro. Prima che tali interventi vengano realizzati - chiarisce l’ordinanza - AcegasApsAmga dovrà provvedere ad apporre la prescritta segnaletica con almeno 4 giorni di anticipo. Per agevolare il dettagliato lavoro di pulizia programmato, AcegasApsAmga istituirà divieti di sosta e fermata con rimozione che potranno prolungarsi al massimo dalle 20.30 alle 18 del giorno seguente, con eventuali proroghe qualora avverse condizioni meteo ostacolino lo spazzamento. Analoghi provvedimenti riguarderanno il divieto di transito, che, a seconda delle esigenze, potrà andare dalle 9 alle 17.30 o coprire le ore notturne dalle 21 alle 7 del dì seguente. Naturalmente Bernetti si premura di rendere coinvolgibile la Polizia locale, per quanto concerne la regolamentazione del traffico, e Trieste Trasporti, laddove le pulizie dovessero interferire con le “rotte” dei bus. L’iniziativa sarà presentata ufficialmente stamane alle 12 in sala giunta, a cura dell’assessore all’Urbanistica & Ambiente Luisa Polli. Alcune informazioni erano comunque già filtrate alla fine di marzo, quando il Pef della “rumenta” era al vaglio del Consiglio. Sia la Polli che l’allora direttore della divisione ambiente di AcegasApsAmga Paolo Dal Maso - al cui posto oggi siede Giovanni Piccoli - illustrarono gli aspetti innovativi del “format”: alle grandi pulizie stradali si aggiungevano l’estensione della raccolta del “verde” con cassoni aperti (altri 100 contenitori da 3200 litri), la raccolta dell’olio alimentare esausto (una decina di contenitori), le opere civili per le “isole” di via Narcisi e di via Montasio, il servizio sperimentale in Porto Vecchio. Un aspetto delicato, per una città dove circolano molti animali domestici, atteneva il diserbo chimico, ovvero il trattamento che consentirà - secondo il Pef - l’eliminazione definitiva del vegetale infestante: l’assessore Polli aveva assicurato che non vi sarebbe stato pericolo per cani e altre bestiole.

Massimo Greco

 

 

Bombe inesplose a Servola - Operazione bonifica al via
Il Comune stanzia 10mila euro e avvia un’indagine di mercato per trovare un’azienda specializzata che prepari il terreno all’intervento degli artificieri
Cosa c’entra una bomba con un’indagine di mercato? C’entra, perchè proprio attraverso questa procedura amministrativa il Comune triestino vuole individuare un’azienda in grado di risolvergli un annoso problema: la bonifica di un terreno dove sono ancora conficcati ordigni bellici risalenti al secondo conflitto mondiale. L’atto, pubblicato lo scorso 3 maggio nel sito informatico municipale alla voce “amministrazione trasparente”, è correlato a una determina dell’Area polizia locale e sicurezza, a cura della “p.o.” Andrea Prodan, che spiega premesse e svolgimenti dell’insolita vicenda. Tanto per cominciare, gli scomodi ospiti, cioè i due ordigni bellici di cui sopra, si trovano in via del Pane Bianco in quel di Servola. Sonnecchiano in un terreno incolto di circa 500 metri quadrati. Li ha scovati - racconta la determina firmata da Andrea Prodan - un’indagine eseguita dal dipartimento di Matematica e Geoscienze dell’Università triestina, più esattamente dalla cosiddetta “Egg”, l’unità di geofisica di esplorazione. Dal lavoro della struttura universitaria sono emerse «due anomalie radiometriche compatibili con la presenza di ordigni bellici inesplosi risalenti al secondo conflitto mondiale». Ai rilievi hanno assistito - informa l’atto municipale - tecnici della Protezione civile ed esperti del 3° reggimento del Genio guastatori, acquartierato a Udine. In realtà il controllo si è concentrato su un’area più ristretta di 50 metri quadrati, dove le due «anomalie» sono state stimate a differenti profondità di 50-150 cm e di 150-250 cm. In seguito a questi risultati che confermavano il “sospetto” di vecchie bombe non lontanissime da zone abitate, la Prefettura incaricava il Comune, nell’espletamento delle competenze in materia di Protezione civile, di trovare una ditta specializzata nel trovare e isolare i due ordigni, lasciando poi agli artificieri il compito del disinnesco. In considerazione del particolare ufficio, la ditta in questione deve vantare requisiti appositi ed essere iscritta nell’albo delle imprese che si occupano di “bonifica bellica sistematica”, istituito con decreto ministeriale due anni fa. L’indagine di mercato avviata dalla “p.o.” Prodan convergerà su 6 aziende che hanno sede in Veneto, perchè il Friuli Venezia Giulia, nonostante decenni di passato confinario militare in prima linea, non è dotato di “bonificatrici”. Le 6 candidate hanno manifestato il loro interesse e la prossimità geografica al terreno servolano consentirà alla civica amministrazione il contenimento dei costi: a tale scopo Prodan ha messo da parte 10 mila euro, che saranno assegnati al competitore capace di prospettare al pubblico committente triestino il prezzo più basso. Il Comune spedirà alle candidate la documentazione prodotta dall’Università e un po’ di foto, invitandole a un sopralluogo in via del Pane Bianco. Insomma, passi avanti buro-amministrativi per venire a capo di una vicenda che, a dir il vero, dura da perlomeno 13 anni o, se si preferisce, da 73. Come ricordava Ferdinando Viola sul “Piccolo” del 14 dicembre 2014, la prima segnalazione della presenza di un ordigno di origine bellica venne fatta da un testimone oculare, Duilio Gurian. Allora di anni ne aveva 18, quando il 10 giugno 1944 su Trieste furono sganciate 400 bombe dai bombardieri Alleati appartenenti al 47th e 55th Bomb Wing, e al 449th e 450th Bomb Group: provocarono 463 vittime, 800 feriti ricoverati e 1.500 medicati, 101 case private e due edifici pubblici distrutti, oltre 4.000 sinistrati. Le bombe ridussero in macerie la Chiesa della Madonna delle Grazie in via Rossetti, danneggiarono seriamente la raffineria Aquila, lo Scalo Legnami, la zona di San Sabba, il magazzino dei Monopoli e lo stabilimento Omsa, il cantiere San Marco, l’Arsenale Triestino e altri impianti industriali. La prima ondata si abbattè sulla città alle 9.20 di una splendida giornata di sole, la seconda alle 9.30. Il giovane Gurian, con il padre, si trovava nel campo di via del Pane Bianco, preso in affitto e seminato a erba spagna. Era certo che uno degli ordigni si fosse conficcato nel terreno, senza esplodere. Dopo la denuncia alla Questura alcuni agenti si recarono sul posto, recintarono il terreno e posero un cartello con scritto “vietato entrare per pericolo ordigno". E basta. Ma Gurian non mollava: dopo varie segnalazioni ad autorità politiche e militari, finalmente nel 2004 il V Reparto Infrastrutture di Padova - Nucleo artificieri - effettuò un sopralluogo in via del Pane Bianco. Nella relazione gli artificieri chiedevano un approfondimento di indagine mediante una ditta specializzata per trivellazioni da spingere a 3-5 metri. Trivellazioni che nel 2010 l’allora questore Padulano - scriveva Viola - sollecitava Comune e Prefettura a eseguire. Ma che non furono mai eseguite. Vennero fatte solo «alcune analisi» il 16 febbraio 2011 ma non sembrava avessero rilevato traccia di ordigni inesplosi. Invece, tre anni dopo, il dossier “inesploso” planò sul tavolo della giunta Cosolini, tant’è che il vicesindaco Fabiana Martini ne riferiva in Consiglio comunale. E nel novembre 2014 la Prefettura convocò una conferenza di servizi per organizzare, attraverso la rinnovata consulenza dei militari padovani, un ulteriore approfondimento sul terreno di via del Pane Bianco. «In quella sede - aveva comunicato il vicesindaco - il rappresentante militare presente ha comunque escluso una pericolosità immediata dell'eventuale ordigno presente, significando che un pericolo potrebbe essere costituito, qualora messo alla luce, solo da un'azione diretta e violenta con il percussore dell'ordigno stesso». Da allora altri due anni e mezzo fino all’indagine di mercato che ha lo scopo di aprire il cantiere in quel campo abbandonato, seminato solo dagli aerei anglo-americani.

Massimo Greco

 

 

Musica, libri e poesia in piazza Oberdan - Il Comitato Dolci dice no a tutte le guerre
Oggi, 9 maggio, è il settantaduesimo anniversario dalla fine della Seconda guerra mondiale e il 67esimo anniversario della Festa dell’Europa. Inoltre, in questo 2017 si festeggiano i sessant’anni dall’istituzione della Comunità europea (con il Trattato di Roma) e i settant’anni dalla promulgazione della Costituzione italiana. Per ricordare tutto questo, ma soprattutto per dire no a qualsiasi guerra, il Comitato pace convivenza e solidarietà Danilo Dolci ha organizzato questo pomeriggio alle 17, in piazza Oberdan, un pomeriggio di festa con gruppi musicali e lettura pubblica di poesie e libri. “E se saremo in tanti - fanno sapere dal Comitato Dolci - ci terremo per mano formando un cerchio per la pace e l’amore». In caso invece di maltempo l’evento si svolgerà sotto i porticati di piazza Oberdan.

 

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 8 maggio 2017

 

 

Bollette dell’acqua - Aumento del 20% in quattro anni - Gli incassi tariffari totali da 45 a 54 milioni - Incidono le fogne e il depuratore di Servola
Le bollette dell’acqua sul territorio della vecchia provincia triestina cresceranno del 6,5% all’anno lungo il quadriennio 2016-19: cioè, alla fine del periodo indicato, saranno salite di oltre un quinto rispetto all’incasso precedente. Il calcolo è più o meno il seguente: le tariffe relative alle risorse idriche gestite da AcegasApsAmga aumenteranno suppergiù da 44 a 53 milioni di euro; le tariffe relative all’Acquedotto del Carso cresceranno invece dell’8% da 970mila a 1,2 milioni di euro. Quindi, sommando i due addendi, otteniamo una tariffa complessiva superiore a 54 milioni di euro: in cifra assoluta una decina di milioni in più rispetto a quanto i due gestori - considerati insieme - incassavano fino al 2015. In verità i rincari erano già scattati nel 2016 con un incremento pari al 6%, ma l’intervento dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il servizio idrico (Aee gsi) ha determinato un ricalcolo tariffario, che ha portato a un ulteriore incremento pari allo 0,5%. Fatto sta che per ogni utenza idrica triestina l’aggravio in bolletta viene graduato al 6,5% annuo, che implicherà, al termine del periodo 2016-2019, una maggiorazione complessiva superiore al 20%. Numeri e valutazioni provengono dai decreti emanati pochi giorni fa da Fabio Cella, dal 1° gennaio commissario della Consulta d’ambito per il servizio idrico integrato orientale (Cato) triestino in liquidazione: in liquidazione in quanto - come ricorda lo stesso Cella - confluirà, insieme alle analoghe strutture giulio-friulane, nell’Autorità unica per i servizi idrici e i rifiuti (Ausir), un organismo previsto dalla legge regionale 5/2016. «A fine marzo - precisa Cella, in passato responsabile dell’Ambiente in Provincia e oggi dirigente della Regione Friuli Venezia Giulia - ho convocato una riunione con gli amministratori comunali del territorio, per aggiornarli sul nuovo quadro tariffario. Non ne erano entusiasti, perché toccare le tasche dei cittadini in questi momenti non è mai simpatico, ma gli ordini dell’Autorità vanno eseguiti, altrimenti il nostro piano tariffario non sarebbe passato». Ma è interessante capire le ragioni che hanno determinato un rialzo tariffario così significativo. Cella enumera tre motivi rilevanti. Il primo è collegato all’applicazione del cosiddetto full cost recovery, una formula matematica impostata su costi/ricavi studiata per consentire al gestore idrico di non andare in perdita, poichè l’importanza sociale ed economica della risorsa richiede prioritariamente tenuta e continuità gestionale. Poi Cella passa al secondo motivo: l’entrata in funzione del depuratore di Servola, prevista ai primi di giugno, che assorbirà circa 3 milioni di euro. E Cella si tiene per ultimo il colpo di scena, che rimanda alla sentenza 335 del 2008, con la quale la Corte costituzionale ritenne che i Comuni non potevano chiedere la tariffa per la depurazione delle acque se erano sprovvisti dei relativi impianti. Nel 2013 si calcolò - spiega il commissario del Cato - che nel territorio triestino la restituzione dei canoni di fognatura agli utenti ammontava a 20 milioni di euro. Questi 20 milioni vengono adesso recuperati attraverso la manovra tariffaria finora sommariamente descritta: ma al termine del quadriennio 2016-2019 la “copertura” sarà stata solo parziale, circa 10 milioni che dimezzerà il “buco” di origine fognaria maturato negli anni precedenti. Quindi, il costituendo Ausir si troverà presumibilmente a dover decidere un nuovo rincaro per pareggiare i conti. Per inquadrare il tema-acqua nel territorio triestino ricordiamo alcuni numeri di riferimento: sono 236mila i cittadini serviti da 1073 chilometri di rete di acquedotti, dove vengono immessi circa 45 milioni di metri cubi del prezioso liquido. L’80% della risorsa idrica proviene da tredici pozzi disseminati nel basso corso dell’Isonzo, il restante 20% deriva dal Sardos.

Massimo Greco

 

 

Muggia - Antenne e tariffe rifiuti approdano in Consiglio
Antenne a Chiampore, strategie per l'attività turistica e richiesta di una tariffazione puntuale per i rifiuti. Questi alcuni dei dieci punti all'ordine del giorno che verranno discussi durante la prossima sessione straordinaria del Consiglio comunale di Muggia in programma mercoledì alle 20. Tre le interrogazioni presentate dall'opposizione. I partiti di centrodestra chiederanno delucidazioni sullo sforamento di emissioni elettromagnetiche registrato in località Darsella, a Chiampore. Invece il consigliere Roberta Tarlao (Meio Muja), oltre a chiedere quali siano le strategie adottate dall'amministrazione Marzi per la programmazione dell'attività turistica, desidera saperne di più in merito alla presenza di persone segnalate all'interno dell'ex Macello e all'interno del parco dell'ex Aquila. Secondo indicazioni fornite da residenti, sono state notate negli ultimi mesi persone che di notte scavalcherebbero le recinzioni, forse per accasarsi nelle due aree, e che al mattino farebbero l’operazione inversa per poi prendere l'autobus. Negli altri punti all'ordine del giorno la convenzione con il Comune di Trieste per l'uso del deposito di osservazione e della struttura obitoriale del Comune di Trieste in vigore sino al 27 aprile 2021. Verrà poi affrontata la nomina della Commissione comunale per le pari opportunità. Inoltre verranno proposte modifiche relative alle occupazioni per il mercato intervenendo dunque sul regolamento comunale per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche e per l'applicazione del relativo canone (Cosap). Un altro argomento delicato e sentito dalla cittadinanza riguarda la mozione proposta da Tarlao, Emanuele Romano (Muggia a 5 Stelle) e Roberta Vlahov (Obiettivo comune per Muggia). Mozione che impegna il sindaco Laura Marzi e l'assessore all'Ambiente Laura Litteri a individuare e applicare una tariffazione puntuale con il riconoscimento degli utenti fin dall'inizio del servizio. Accanto a questa proposta anche la richiesta di costituzione di un gruppo di lavoro chiamato a mettere a punto una Tari puntuale. Tra gli altri punti all'ordine del giorno la proposta di deliberazione consigliare per modificare il Regolamento per la tutela ed il benessere degli animali. Un'altra proposta di deliberazione di Consiglio comunale avrà come oggetto invece l'approvazione del Regolamento servizi integrativi scolastici (Sis). Infine il Consiglio comunale sarà chiamato a pronunciarsi sugli indirizzi in merito alla richiesta di costituzione di servitù di passaggio sulla particella catastale 1344/1 di Plavia di proprietà del Comune di Muggia e a favore delle particelle catastali 284, 276/3 e 276/1, ossia fondi interclusi di proprietà di Diana Babic in località Rabuiese.

Riccardo Tosques

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 7 maggio 2017

 

 

«Cessata l’attività» - Il Verdi abbandona la Sala Tripcovich - Escluso il recupero. I festival di cinema cercano un’alternativa

Il sindaco rilancia la demolizione ma non tutti sono d’accordo - I contrari in Forza Italia: Marini non vuole l’abbattimento ed è perplesso su Maria Teresa
Rip. La scritta Sala Tripcovich ha già perso una “c”. E così sulla facciata, si può isolare l’acronimo “Requiescat in pace”. Un necrologio a caratteri cubitali. Il sipario disegnato sulla facciata è pronto a calare per sempre sulla sala teatrale nata nel 1997 dalla riconversione della Stazione delle corriere realizzata nel 1936 dall’architetto Umberto Nordio. «Il Consiglio di indirizzo ha deliberato la cessazione delle attività», fa sapere in modo lapidario Stefano Pace, sovrintendente della Fondazione del teatro lirico Giuseppe Verdi che nel 2012 ha avuto in dono dal Comune la Sala Tripcovich senza saperne davvero cosa fare se non come bene patrimoniale da esibire alle banche. Negli ultimi quattro anni non c’è mai stata una vera programmazione alla Tripcovich che pure era sorta, grazie al mecenatismo del barone Raffaello de Banfield, per ospitare le stagioni liriche negli anni della ristrutturazione del Verdi. La Sala Tripcovich, vincolata nel 2006 dalla Soprintendenza, risulta abbandonata. «Spero di buttarla giù come la piscina Bianchi e di metterci al suo posto il monumento a Maria Teresa», insiste il sindaco Roberto Dipiazza pronto a usare persino l’occasione dei 300 anni della sovrana d’Asburgo per porre in essere il suo antico proposito. Radere al suolo quel teatro - che occulta l’ingresso monumentale al Porto vecchio - è un suo pallino fin dal primo mandato. La Sala Tripcovich è stata dichiarata inagibile, e quindi fuorilegge, ai primi di febbraio di quest’anno, immediatamente dopo l’ultima edizione del Trieste Film Festival (30 gennaio) che ha visto in passerella alla sala Monica Bellucci e Marco Bellocchio. Nessuno ha mai reso noto i costi della sua messa a norma. Si è parlato di una cifra che oscilla tra i 400mila e i due milioni di euro, ma non esiste un progetto o un preventivo. La Fondazione del Verdi non pare interessata a ridare vita alla sala. «La competenza è solo del sindaco - aveva spiegato lo scorso febbraio Pace -. Nel momento in cui ci dovrebbe essere un impatto nullo sul patrimonio della Fondazione, non vedo perché il Consiglio d’indirizzo si dovrebbe opporre alla restituzione dell’immobile al Comune». Tripcovich addio, insomma. I due maggiori festival, Trieste Film Festival e Trieste Science+Fiction Festival, si sono ormai rassegnati a dover abbandonare a malincuore la Tripcovich dopo diverse edizioni realizzate nella sala di piazza Libertà. «Stiamo lavorando con il Comune per trovare delle soluzione alternative. Ci sono due ipotesi in piedi», spiega Daniele Terzoli, presidente della Cappella Underground. L’assessore ai Teatri, Serena Tonel, resta fuori scena. Non vuole fare conoscere il suo pensiero sulla statua di Maria Teresa d’Austria in piazza Libertà al posto della Sala Tripcovich. Del resto non è bello essere ricordata come l’assessore ai Teatri che ha messo un monumento sopra una sala da più di 900 posti. I contrari alla demolizione non mancano nella maggioranza. «Un’idea strampalata. Altro che scelta politica. Mi lascia sconcertato. Sono assolutamente contrario all’abbattimento della Sala Tripcovich. Ha un’acustica perfetta, una posizione logistica unica. E soprattutto non ha senso privarsi di uno spazio del genere visto che la città non ha ancora un centro congressi. Inoltre sono molto perplesso sull’idea di mettere lì la statua di Maria Teresa a pochi metri da quella di Sissi», spiega il consigliere regionale e comunale di Forza Italia Bruno Marini. «La Sala Tripcovich può apparire come un corpo estraneo, ma nel corso degli anni si è integrata nel contesto. E soprattutto è una struttura centrale e funzionale. Anche demolirla costa parecchio. Non mi pare una buona idea», aggiunge Manuela Declich (Forza Italia), presidente della Quinta commissione. La speranza è che il suo destino segua quello del Magazzino Vini. Doveva essere demolito ed è diventato il tempio del gusto con Eataly grazie all’intervento della Fondazione CRTrieste. Forse basta solo attendere.

Fabio Dorigo

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 6 maggio 2017

 

 

Il nodo Ferriera sul tavolo del Ministero dell’Ambiente
Siderurgica Triestina sta «operando in linea con i tempi previsti relativamente agli interventi aventi ad oggetto il suolo e la rimozione dei rifiuti» nella Ferriera di Servola, mentre viene rilevato «uno scostamento dalle tempistiche previste con riferimento alle attività inerenti le acque di falda. Tali dati sono stati confermati anche dalle relazioni prodotte dall’azienda». A riferirlo, nel corso della riunione convocata a Roma martedì scorso dal Ministero dell’Ambiente - a cui hanno partecipato anche il Ministero dello Sviluppo economico, l’Autorità portuale, l’Arpa e il Comune di Trieste - sono stati i tecnici della Regione e dell’Arpa. Scopo dell’incontro, era la verifica del cronoprogramma degli adempimenti previsti nell’Accordo di programma sottoscritto nel novembre 2014 per quanto riguarda la messa in sicurezza ambientale nell’area della Ferriera. Gli enti hanno «convenuto sulla necessità di una prossima convocazione dei rappresentanti di Siderurgica triestina - si legge nella nota della Regione -, al fine di dare completa e tempestiva attuazione alle misure di prevenzione ambientale previste». Il sindaco Roberto Dipiazza ha precisato: «Il Ministero dell’Ambiente a breve convocherà la proprietà della Ferriera, assieme al Comune di Trieste e agli altri soggetti istituzionali, per fare chiarezza sulle inadempienze rispetto all’Accordo di Programma. Oltre a illustrare il contenuto e le motivazioni dell’ultima ordinanza - ha continuato Dipiazza -, abbiamo evidenziato le inadempienze della proprietà e il Ministero ha convenuto sulla necessità di approfondire la questione». Nel corso della stessa riunione è stato affrontato anche il tema della «grave situazione di inquinamento che sussiste nell’area dell’ex discarica di via Errera - si legge nella nota della regione -. Gli enti hanno concordato che l’Autorità portuale si farà temporaneamente carico dell’effettuazione delle misure urgenti di prevenzione, nell’attesa che vengano reperite le risorse per la bonifica».

 

 

Ambiente - Cestini per l’umido in regalo a Opicina

Prosegue il tour dell’iniziativa itinerante “L’umido che fa la differenza”, promossa da AcegasApsAmga e Comune. Lunedì verranno distribuiti gratuitamente i cestini per l’umido al mercato di Opicina, dalle 9.30 alle 12.30. Il giorno dopo in piazza S. Antonio e infine, l’ultima tappa, si svolgerà mercoledì 10 maggio al mercato di Borgo San Sergio.

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 5 maggio 2017

 

Da Muggia a Parenzo - 130 chilometri in bici nel nome dell’Europa
Si chiude oggi la super pedalata di 25 allievi della media Sauro protagonisti di un’iniziativa transfrontaliera senza precedenti
MUGGIA Tre nazioni in tre giorni in sella alle proprie biciclette. Pedalata transfrontaliera senza precedenti per venticinque studenti muggesani iscritti alla IIIB della scuola media Nazario Sauro, protagonisti assoluti di una gita scolastica ecosostenibile e decisamente atipica. Partita mercoledì da piazza Marconi, con tanto di saluto del sindaco Laura Marzi, la comitiva ha preso la via per la Parenzana, la ciclovia sull’ex ferrovia istriana. Alla presenza degli insegnanti aderenti al progetto, e accompagnata da Viaggiare Slow, l’associazione che ha curato l’organizzazione dell'evento, la III B (che peraltro ha come seconda lingua di insegnamento lo sloveno) raggiungerà oggi Parenzo dopo aver effettuato complessivamente 128 chilometri. Il rientro è previsto per questa sera con pullman e carrello per le bici. Pedalando in bicicletta, lungo quello che è stato il tracciato di una ferrovia dismessa nel 1935, i ragazzi stanno così scoprendo le opere e i manufatti ancora presenti lungo il percorso, quali per esempio le stazioni, i ponti e le gallerie che vantano oltre un secolo di storia. Ma gli obbiettivi di questa gita ecologica a due ruote puntano anche alla (ri)scoperta del contatto con altre culture e altre lingue incontrate durante il viaggio nelle zone di confine, come racconta Fabrizio Masi presidente di Viaggiare Slow: «Attraverso un viaggio informativo-educativo multidisciplinare si darà modo ai ragazzi di comprendere meglio la storia contemporanea che ha segnato il nostro territorio e ridisegnato nuovi confini. Nello specifico, dopo la caduta della Repubblica di Venezia, e il successivo dominio austroungarico, le lacerazioni intervenute dopo le due guerre mondiali che hanno segnato, con prevaricazioni e l’esodo, queste terre». Quello intrapreso dai giovani studenti muggesani è anche a tutti gli effetti un viaggio di notevole interesse dal punto di vista paesaggistico e ambientale, con la scoperta lungo il tracciato di zone di significativa biodiversità - dalle aree umide costiere alla distesa delle saline, dalla costa rocciosa adriatica alla foresta di Montona nella valle del Quieto - e di sensibili differenze anche dal punto di vista geomorfologico. «E non è da sottovalutare il fatto poi che la chiusura delle giornate si fa a tavola, dove si scoprono anche i piatti legati alla tradizione istriana», aggiunge con un pizzico di ironia Masi. Alla partenza degli studenti Marzi ha elogiato un progetto fortemente voluto dalla precedente amministrazione comunale per opera dell’ex assessore alle Politiche giovanili Loredana Rossi: «Sono felice che si sia riusciti a realizzare un progetto di questa portata. La bici è un mezzo rispettoso dell’ambiente, che migliora la salute delle persone ed è senza dubbio più coinvolgente per i ragazzi. Una didattica informale, nella quale le distanze fra studente e insegnante si accorciano, in cui ogni cosa diviene possibile materia di approfondimento durante il viaggio». Un’iniziativa dunque originale, ideata per pubblicizzare una nuova forma di turismo scolastico, quello in bicicletta, ma anche per incrementare la conoscenza del territorio circostante puntando ad un raggio di poco più di 100 chilometri. Imparare a muoversi nel proprio territorio, insomma, per imparare a muoversi nel mondo.

Riccardo Tosques

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 4 maggio 2017

 

 

SERVOLA, STRATEGIE - In Ferriera scatta il "piano anti fumate"

Il gruppo Arvedi annuncia l'installazione a breve di un sistema impiantistico in grado di controllare la pressione dell'altoforno e bloccare le emissioni.

Addio agli sbuffi. Nel giro di qualche mese la Ferriera sarà sottoposta ad una modifica impiantistica in grado, secondo le previsioni della proprietà, di eliminare le fumate nere che in più di qualche occasione, anche di recente, si alzano dai camini della fabbrica allarmando i servolani. Il gruppo Arvedi ha presentato l’intervento ai tecnici dell’Arpa del Friuli Venezia Giulia durante un sopralluogo nello stabilimento. Si tratta di una miglioria di «carattere straordinario», così la definisce la società in una nota diramata ieri in mattinata, applicata sull’altoforno. Una miglioria che dovrebbe risolvere il problema una volta per tutte o, perlomeno, arginarlo in modo deciso. L’operazione, in realtà, era già stata programmata a settembre proprio per bloccare le emissioni; ma, a quanto pare, ha subìto un’accelerazione dopo le ultime segnalazioni dei cittadini. Le fumate, stando a quanto accertato dalla stessa Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente insieme agli addetti dell’azienda, fuoriescono sporadicamente dai “bleeder”, le valvole di sicurezza poste vicino alla bocca dell’impianto. È quanto accaduto appena qualche giorno fa, preoccupando la cittadinanza. Era il mattino del 18 aprile: un forte boato, percepibile anche a distanza, seguito da una nube di fumo nero e denso che faticava a dissolversi nell’aria. Il frastuono aveva fatto sobbalzare chi abita nelle case attorno alla fabbrica, suscitando un certo timore. Svariate le telefonate ai numeri d’emergenza e alle testate giornalistiche, accompagnate dal tam tam sui social. In tanti si erano chiesti, in quell’occasione, il motivo dell’anomalia e le possibili implicazioni sulla sicurezza. L’Arpa si era affrettata a definire il caso come «un fenomeno raro e atipico», rassicurando i triestini. Nessuna reale emergenza, insomma. L’agenzia e i tecnici dello stabilimento avevano accertato un’inconsueta pressione dei fumi prodotti dalle lavorazioni nell’altoforno. In pratica, come è stato chiarito, le sostanze gassose avevano preso una strada diversa da quella abituale, provocando una sorta di tappo. Che, come una bottiglia, a un certo punto è saltato causando il botto e le emissioni color pece. «I boati accompagnati dal fumo nero verificatisi nello stabilimento di Siderurgica Triestina a partire dalle 8.50 sono stati causati dall’apertura delle valvole di sicurezza in seguito a delle sovrappressioni che si sono generate nell’altoforno - scriveva la stessa Arpa -. All’origine delle sovrappressioni, un’anomala canalizzazione dei gas di combustione in fase di fermata dell’impianto per interventi di manutenzione». Nella stessa giornata l’Agenzia aveva annunciato «approfondimenti» assieme alla direzione dello stabilimento, così da accertare la possibilità di adottare gli accorgimenti più opportuni per evitare analoghi incidenti. Detto fatto. La società ha illustrato il nuovo intervento impiantistico in collaborazione con gli esperti della Paul Wurth, l’azienda specializzata che ha curato il progetto assieme all’Acciaieria Arvedi. Sul piano tecnico, la modifica aggiunge al sistema alcune “vie” alternative in grado di controllare la pressione dell’altoforno. In questo modo si scongiura la fuoriuscita degli sbuffi scuri, «che sono l’indesiderata conseguenza dell’entrata in esercizio del sistema di sicurezza dell’impianto», precisa l’azienda. «Il nuovo sistema - viene evidenziato ancora nel comunicato - contribuirà a evitare casi di sovrapressione che potrebbero generare eventi emissivi visibili; nel peggiore dei casi si genereranno brevissime emissioni totalmente “ripulite” dal passaggio negli specifici filtri». Per raggiungere la soluzione più adeguata, sono stati necessari studi e simulazioni ad hoc. Ecco perché serve attendere ancora qualche mese prima di vedere in funzione i ritocchi all’impianto. «Questo intervento riflette la continua attenzione alle preoccupazioni della popolazione - si legge ancora nella nota del gruppo Arvedi - che spronano l’azienda a ideare nuove soluzioni tecniche in grado di rispondere a sollecitazioni non rivolte alla produttività, ma legate alla coesistenza dello stabilimento con il nucleo abitato più prossimo agli impianti».

Gianpaolo Sarti

 

 

L'INTERVISTA - «Operazione in linea con gli standard Aia» - Il direttore scientifico dell'ARPA promuove l'intervento. «Passi avanti verso il continuo miglioramento dell'impianto»

«Fumate nere e boati come quello che si è verificato qualche settimana fa rappresentano eventi molto rari, ma l'intervento tecnico che sarà apportato all'impianto va proprio nella direzione dell'Aia: migliorare lo stabilimento ed evitare problemi del genere». Franco Sturzi, direttore tecnico scientifico dell'Arpa ha collaborato alla modifica “anti-sbuffi” dell'altoforno.

Direttore, cosa dobbiamo aspettarci ora? Anomalie come quella che si è vista a metà aprile sono davvero molto rare. Ma la società, assieme all'Arpa, ha deciso comunque di trovare una soluzione. Perché, anche se dovesse accadere di nuovo ancorché con bassa probabilità, bisogna evitare gli effetti sull'ambiente. Durante l'ultima visita ispettiva, Arvedi ci ha presentato questo miglioramento all'altoforno. Noi sapevamo già da tempo che l'azienda sarebbe intervenuta, anche perché quando il sistema va in sovrapressione non c'è niente da fare: bisogna scaricare la pressione altrimenti collassa. Arvedi ci aveva parlato un anno fa di questa miglioria, ma quanto accaduto a metà aprile è stato in qualche modo l'evento scatenante che ha fatto accelerare la decisione da parte della direzione dell'impianto. E noi come Arpa siamo d'accordo sull'opportunità di adottare questa tecnologia. Quando sarà messo in funzione il nuovo meccanismo? Entro l'anno, probabilmente durante la fase di fermata dell'impianto dell'altoforno programmata tra fine agosto e metà settembre. Tecnicamente si prevede anche la sostituzione della bocca di carico dell'altoforno, che ha passato tre anni e quindi va cambiata, a cui va aggiunto questo nuovo elemento capace di evitare il fumo nero e i boati. Tecnicamente come funziona la modifica? L'intervento permette di fare in modo che, nel caso di sovrapressioni dell'altoforno che fuoriescono dalle valvole di sicurezza, il fumo passi nell'impianto di trattamento anziché scaricare nell'atmosfera. Si utilizza un sistema di abbattimento a servizio dell'altoforno che, in pratica, depura gli scarichi delle valvole di sicurezza. È un'operazione importante perché il fumo significa polveri e disagio per i residenti, e comporta un peggioramento degli standard prescrittivi indicati dall'Aia. Che tipo di accertamenti avete messo in campo? È da un anno che lavoriamo con Arvedi per ottimizzare la conduzione dell’impianto in modo che anomalie come quella di metà aprile accadano con meno probabilità. Abbiamo collaborato molto con la società per arrivare a questo risultato, anche con diversi parametri di controllo dell'altoforno. L'iniziativa è comunque della direzione dello stabilimento, ma noi abbiamo fatto pressing in una logica di miglioramento gestionale. Che è, appunto, ciò che dispone l'Aia. Quale sarà l'effetto concreto? Non si vedranno più le fumate nere quando il sistema va in sovrapressione. Dunque, possiamo dirlo, mai più fumate nere dai camini della Ferriera? Gli altoforni raggiungeranno standard elevati, quindi possiamo aspettarci che ciò accada con molta meno probabilità. E se mai dovesse succedere di nuovo, ci attendiamo effetti nulli sull'ambiente. È il senso dell'Aia: il continuo miglioramento dell'impianto.

(g.s.)

 

Ma residenti e ambientalisti restano scettici - Lo sfogo di No Smog: «Siamo stanchi di annunci. Vogliamo misure che eliminino del tutto le criticità»
No smog, una delle realtà che da anni si batte per la tutela della salute dei residenti, non accoglie favorevolmente l'annuncio di Arvedi e Arpa sulle modifiche tecniche all'impianto. L'associazione non ha più alcuna fiducia nei confronti della proprietà. Lo dice chiaro e tondo Adriano Tasso, fondatore e segretario. «Non siamo per nulla soddisfatti - spiega il rappresentante di No smog - le persone subiscono disagi continui. E il problema - fa notare - non sta soltanto nella valvola superiore dell'altoforno, ma anche in quella inferiore. Non c'è una parte che non perda fumi. Sono due anni e mezzo ormai che è arrivato Arvedi - insiste - e le cose, a nostro giudizio, non sono migliorate». Ma No smog si rivolge anche all'Arpa. «L'agenzia regionale - accusa ancora Tasso - dovrebbe preoccuparsi di ciò che non va, non deve fare il consulente della proprietà come invece, secondo noi, sta facendo adesso. Mi pare che ci sia un’eccessiva confusione dei ruoli». A preoccupare, ora, è l’arrivo della bella stagione. «In estate - afferma ancora il fondatore e segretario dell'associazione - gli abitanti della zona desidereranno tenere le finestre aperte come fa qualsiasi cittadino quando ha caldo. Ma se la situazione ambientale non migliora, cosa si devono aspettare per i prossimi mesi i servolani? Non oso nemmeno immaginare. Le fumate nere e i rumori si stanno ripetendo in continuazione, noi abbiamo fotografie e filmati che lo possono dimostrare». Il comunicato pubblicato ieri mattina da Arvedi sulle future modifiche all'altoforno viene definito da No smog «offensivo nei confronti della popolazione». «Viene descritta una situazione quasi rosea - osserva ancora Tasso - come se quelle fuoriuscite nere fossero soltanto eventi rari. Ma le segnalazioni e i disagi, ripeto, si presentano ogni giorno. La situazione - ribadisce il fondatore dell'associazione - è insopportabile. Siamo molto nervosi, delusi e arrabbiati». Critico anche Lino Santoro, ex presidente provinciale e regionale di Legambiente, che ha seguito per anni la questione Ferriera e le battaglie contro l'inquinamento dell’impianto. Più che commentare il nuovo impianto per la riduzione delle emissioni dall’altoforno, però, lo storico esponente ambientalista riflette sul quadro generale: «Come noto l’Accordo di programma impone ad Arvedi di provvedere alle coperture dei cumuli di minerali e carbone che vengono messi nell'altoforno - ricorda Santoro -. È un’operazione che costa ben 70 milioni di euro. Io allora suggerisco, piuttosto, che sia arrivi alla chiusura dell'area a caldo. Questa a mio avviso è l'unica soluzione possibile per ottenere risultati concreti».

(g.s.)

 

Camber accende i riflettori sull’Aia «Serve chiarezza sull’impatto acustico»
Forza Italia chiede alla giunta Dipiazza di far chiarezza sull’impatto acustico della Ferriera di Servola. Lo fa con un’interrogazione firmata dal capogruppo Piero Camber.

Nel documento preparato dal consigliere comunale forzista si sollecita il sindaco a fornire precisazioni sul rilascio della documentazione necessaria all’Autorizzazione integrata ambientale. «Si interroga per sapere se in fase di Aia, per il prosieguo dell’attività, siano stati depositati da parte di Siderurgica Triestina i calcoli delle valutazioni previsionali fonometriche», scrive Camber nel testo. In particolare, precisa il capogruppo forzista, per l’aspiratore della cockeria e i nuovi impianti per le lavorazioni di laminazione a freddo. Il consigliere domanda di sapere, inoltre, se l’Arpa ha mai rilevato i rumori prodotti dallo stabilimento siderurgico tra le abitazioni che si trovano nel quartiere di Servola. «Il tutto - insiste il forzista - per conoscere l’impatto attuale della fabbrica e quale sarà quello previsto con il nuovo impianto di laminatoio a pieno regime. Si chiede di fornire quindi, seppur in sintesi, i dati attuali - conclude il capogruppo degli azzurri Piero Camber - e quelli previsti con riferimento a quanto sopra esposto».

(g.s.)

 

Agapito assolto sul conflitto di interessi - Frattolin (M5S): «Chiederemo l’accesso alle carte»
«Sul caso Agapito la giunta Serracchiani sta continuando a far melina, dispensando informazioni con il contagocce esclusivamente in risposta alle nostre interrogazioni». L’accusa arriva dalla consigliera regionale del Movimento 5 Stelle Eleonora Frattolin e riguarda ancora una volta il caso, sollevato dagli stessi grillini nei mesi scorsi, del direttore regionale del Servizio tutela da inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico della Regione, Luciano Agapito, che a gennaio ha firmato il decreto di riesame per il rinnovo dell’Aia alla Ferriera di Servola. Il problema, stando alla denuncia dei grillini, è che il figlio del dirigente, Daniele Agapito, aveva ricevuto «importanti incarichi» dalla Siderurgica Triestina. Il Movimento 5 Stelle aveva quindi chiesto spiegazioni sul presunto conflitto di interessi alla Regione. «Oggi (ieri, ndr) abbiamo scoperto, attraverso le parole in aula dell’assessore Sara Vito che il direttore Agapito non sarebbe responsabile da un punto di vista disciplinare. Punto. Senza dare alcuna motivazione né al Consiglio regionale né ai cittadini che attendono un po’ di chiarezza sull’intera faccenda» continua Frattolin. «Annunciamo da subito - ha concluso Frattolin - che presenteremo un accesso agli atti per poter leggere tutti i documenti prodotti dagli uffici della Regione che hanno portato la giunta Serracchiani ad assolvere l’ingegner Agapito».

 

 

Revocati i divieti nell’Ospo - Ma le analisi non ci sono - Balneazione, caccia e pesca erano state bandite dopo il caso del botulino killer
Il sindaco Marzi: «Emergenza rientrata». Manca però il monitoraggio delle acque
MUGGIA «Nelle acque del rio Ospo non sussistono più le condizioni ambientali che hanno favorito lo sviluppo della neurotossina botulinica». Il sindaco di Muggia Laura Marzi ha revocato ufficialmente l’ordinanza che dal settembre scorso imponeva una serie di divieti sul torrente rivierasco in seguito alla moria di germani reali e cigni avvenuta nell’estate 2016. La decisione è stata presa in totale autonomia dall’amministrazione, dal momento che le analisi delle acque dell’Ospo, richieste invano agli organi competenti, non sono mai state effettuate. La storia Una cinquantina di esemplari di uccelli acquatici trovati morti nel rio Ospo: era questo il macabro scenario presentatosi la scorsa estate nel torrente muggesano, una situazione inedita che per settimane non aveva trovato una risposta, diventando un vero e proprio enigma. Le segnalazioni fornite dai cittadini alla polizia ambientale e all’Enpa iniziano già a fine luglio: alcuni esemplari vengono rinvenuti morti, galleggianti a pelo d’acqua, altri ancora vivi ma agonizzanti. Ad agosto è stata la volta di cinque cigni. A settembre le analisi dei cadaveri dei pennuti acquatici evidenziano la presenza in concentrazioni elevate del Botulino di tipo C, una neurotossina naturale che colpisce gli uccelli acquatici. L’ordinanza Una volta recepite le cause della moria, il Comune decide di emanare un’ordinanza con una serie di divieti tra cui quelli di cacciare, pescare e raccogliere animali nelle aree corrispondenti al letto del rio Ospo, dei relativi argini e nelle aree immediatamente adiacenti utilizzate a scopi diportistici fino alla foce. L’ordinanza comprende le aree del parco urbano pubblico denominato “Rio Ospo” e quelle interrate del “Molo Balota”. Il documento vieta inoltre la destinazione all’alimentazione di qualsiasi animale (compresi i molluschi) proveniente dalla zona. Vietata anche la balneazione di persone ed animali con rigoroso obbligo di condurre i cani al guinzaglio per evitare che possano nutrirsi di carogne di animali presenti sulle rive o in acqua. Le azioni Nel frattempo vengono fornite le disposizioni da effettuare in caso di rinvenimento di animali. La rimozione di eventuali carcasse di animali morti, che dovranno essere smaltiti in un idoneo impianto di incenerimento, spetta alla polizia ambientale del Corpo forestale regionale. In caso di avvistamento di animali vivi in difficoltà, invece, la competenza passa all’Enpa. Il Comune di Muggia, invece, annuncia che provvederà con proprio personale della polizia locale a effettuare periodiche verifiche sui tratti interessati. Ma accanto all’ordinanza il Municipio annuncia un’iniziativa che riguarda le future analisi delle acque del rio Ospo: «L’ente si attiverà affinché l’Arpa provveda a effettuare le analisi necessarie a monitorare il corso d’acqua». La revoca L’ordinanza è rimasta in vigore dallo scorso settembre perché, come spiegato dal Comune, doveva rimanere valida «fino a quando le condizioni climatiche - le temperature elevate e lo scarso ricambio delle acque nel torrente rio Ospo - avessero mantenuto elevato il rischio di sviluppo di Clostridium Botulinum con conseguente presenza di neurotossine botuliniche negli animali acquatici e in quelli che su di essi basano il loro ciclo alimentare». Ma perché il provvedimento di revoca non è stato assunto mesi addietro? E soprattutto, qual è il riscontro delle analisi effettuate sul rio Ospo? «Le analisi non sono state effettuate» spiega il sindaco Laura Marzi. L’Arpa ha infatti dirottato la richiesta del Comune all’Azienda sanitaria, la quale, a quanto pare, ha ritenuto che non ci fossero più gli estremi per fare i controlli richiesti. «Abbiamo atteso senza esito quanto richiesto» conclude il sindaco Marzi

Riccardo Tosques

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 3 maggio 2017

 

SEGNALAZIONI - LAVORI - Il cedimento in via Carducci

Da circa un paio di mesi fanno “bella mostra” di se, in via Carducci, sulla corsia autobus, alcune transenne che costringono i mezzi pubblici ad un tortuoso slalom. Pare vi sia un cedimento nella volta del sottostante torrente Chiave. Possibile che in due mesi non si sia ancora potuto far nulla? Ricordo che la scelta di affidare la gestione del servizio fognature, anni fa, all'Acegas, fu fatta poiché ritenuta molta più reattiva ed efficiente, nel gestire il servizio, di quanto non lo fosse il Comune. Analoghi cedimenti si verificarono anche durante la gestione comunale. Uno per tutti: ricordo un cedimento della volta al ponte della Fabra. In pochi giorni, gli stessi operai del Comune allargarono il foro e rifecero la volta con un getto con calcestruzzo espansivo, così da ripristinare la compressione nell'arco. Mi piacerebbe che un qualche dirigente Acegas, mi spiegasse le difficoltà che viceversa incontrano loro. Sicuramente avrà le sue buone ragioni. In due mesi, un servizio efficiente avrebbe rifatto non solo la chiave di volta, ma l'intero arco, se necessario. Non ci sarà mica da rimpiangere la gestione comunale? Lo confesso, essendo stato a capo del Servizio comunale, mi sto togliendo un sassolino dalla scarpa. Qua però le ipotesi che riesco a pensare, sono due: o eravamo più efficienti di quanto non pensassero gli amministratori, o l'Acegas non dà i risultati che ci si aspettava.

ing. Paolo Pocecco

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 1 maggio 2017

 

 

TELEFONINI, L’USO È PERICOLOSO PURE DA PEDONI - LA RUBRICA di GIORGIO CAPPEL
Vale la pena di approfondire un argomento già trattato, l’uso anomalo dei telefonini. Inizio con un esempio pratico. Stavo per immettermi nella nuova rotatoria di via Flavia quando davanti a me, fermo all’attestamento, c’era un motociclo. Mi sono fermato subito dietro, attendendo con calma il momento della ripartenza. Che non arrivava. Ad un certo punto, verificato che nessun veicolo stava transitando sulla rotatoria, ho pensato di attivare il clacson. La motociclista si è immediatamente girata verso di me e in quel momento ho percepito che stava telefonando. Ha alzato il braccio in segno di protesta perché mi ero permesso di suonarle e, bontà sua, è ripartita. Questo aneddoto riporta alla cronaca quotidiana il problema del telefonino. E sia ben chiaro: il problema sussiste in moto, in macchina e, come vedremo, anche a piedi. Parlando in generale, la negatività dell’uso dei telefonini mentre si è alla guida si è acuita negli ultimi tempi a causa della ormai preponderante diffusione degli smartphone. Per telefonare non basta premere un bottone, come una volta, ma bisogna strisciare il dito sullo schermo, amplificando significativamente la distrazione e l'impedimento alla guida stessa. Sembra sia vicinissimo un decreto che aumenterà le già pesanti sanzioni previste per chi viene colto in fallo. Si parla della sospensione della patente per minimo un mese e molti soldi da pagare come sanzione amministrativa. Purtroppo devo dire che è cosa giusta. Staremo a vedere. Ma come accennavo prima, il problema sussiste anche camminando. L'altro giorno ho perso, anzi impiegato, circa un quarto d'ora del mio tempo per sbirciare, in prossimità di un incrocio semaforizzato, il comportamento dei pedoni. Su circa 200 passanti che ho visto una cinquantina, tra uomini, donne, vecchi e bambini, erano al telefonino. Ben dieci hanno attraversato la strada senza guardare il semaforo ed esattamente 4 sono transitati con il rosso, creando imbarazzo ai conducenti che passavano con il verde. È evidente che il problema sussiste e peggiora ogni giorno di più. Che ognuno di noi faccia un esame di coscienza.

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 30 aprile 2017

 

 

Raffica di nuovi manager in posti chiave del Comune - Concluso l’iter dei concorsi per dirigenti. Sette incarichi su nove assegnati a donne
Età media cinquant’anni. I compensi varieranno tra i 130 mila e i 106 mila euro
Undici nuovi dirigenti. La squadra al vertice dela macchina comunale è quasi completata, manca solo una figura che durante il mese entrante verrà “arruolata” con la procedura di mobilità. Sugli 11 manager inseriti nell’organigramma municipale, nove sono stati selezionati nelle prove concorsuali tenutesi tra marzo e aprile, mentre altri due sono passati attraverso la griglia della mobilità regionale. I 9 dirigenti di freschissima nomina prenderanno servizio tra il 1° e il 22 maggio. Resteranno in carica per il mandato dell’attuale sindaco. Uno dei più grandi datori di lavoro triestini, con circa 2500 addetti, ha così reintegrato la cabina di regìa che negli ultimi anni si era vista diradare dai pensionamenti: ha inizio una nuova stagione per il Comune triestino, che alla fine dello scorso anno era sceso sotto i venti dirigenti. Erano partiti in 370. Infine i 9 manager, scremati dai concorsi, sono - come si evince dal grafico - Ambra De Candido (Politiche sociali), Paolo Jerman (Polizia locale), Riccardo Vatta (Servizi generali), Lea Randazzo (Territorio e ambiente), Francesca Dambriosi (Sviluppo economico), Francesca Locci (Promozione culturale), Giovanna Tirrico (Servizi finanziari), Manuela Sartore (Personale), Laura Carlini Fanfogna (Musei). Molto buona la performance degli “interni”, dal momento che 7 indicazioni su 9 erano già dipendenti comunali: uniche esterne Manuela Sartore, proveniente dalla Uti del Medio Friuli, e Laura Carlini Fanfogna, ultimo incarico nella civica musealità bolognese. Alcune curiosità tra curricula e iter concorsuali: preponderanza femminile con 7 vittorie su 9; l’età media, come si poteva presumere alla luce degli elevati requisiti richiesti, è abbastanza alta con una media anagrafica di 50 anni, tra i 62 anni di Laura Carlini Fanfogna e i 40 di Lea Randazzo. Il massimo del punteggio conseguibile era fissato a quota 144 (24 i titoli, 60 lo scritto, 60 l’orale): ad Ambra De Candido il riconoscimento maggiore con 135 punti, seguita dai 126 della Locci e di Jerman. I duelli più tirati si sono disputati in terreno culturale, dove la Carlini Fanfogna e la Locci l’hanno spuntata di stretta misura. Le commissioni hanno utilizzato anche “giudici” esterni - come Raffaella Sgubin, Romano Vecchiet, Nicola Manfren - ed ex manager dell’amministrazione - come Corina Sferco ed Edgardo Bussani. Le determine, che approvano la graduatoria, riportano anche le retribuzioni, che, a partire dal prossimo anno (visto che quello in corso ha evidentemente una capienza inferiore), si attesteranno tra il massimo lordo di 130 mila euro attribuito alla Carlini Fanfogna e i 106 mila lordi di quasi tutti gli altri “neo”. Per quanto concerne le dirigenze da mobilità, ricordiamo che due sono già scattate e sono già operanti: si tratta di Giulio Bernetti, che si occupa del traffico nell’Area territorio&ambiente, e di Walter Milocchi, vicecomandante dei Vigili Urbani, in passato responsabile della Polizia locale monfalconese. Il terzo arrivo, che dovrebbe essere fornito dalla platea amministrativa regionale, è previsto a maggio e andrà a rafforzare i Lavori pubblici. In realtà ci sarebbe un’ulteriore posizione da coprire, ma viene lasciata libera per consentire l’eventuale rientro di Walter Toniati, attualmente direttore generale dell’Ogs, nell’organico del Municipio. Il bilancio dei concorsi, che hanno consentito nel giro di due mesi un sostanziale rinnovamento dell’impianto direttivo comunale, è valutato con soddisfazione dagli apicali: «Il budget dell’amministrazione è gestito solo da personale che ha affrontato e superato prove concorsuali», sottolinea il segretario generale Santi Terranova. Ma il processo di rinnovamento ha bisogno di altri passaggi fondamentali, a cominciare dall’infornata di una settantina di livelli “C” e “D” che, previa attivazione della mobilità, dovrebbe seguire l’insediamento dei nuovi manager.

Massimo Greco

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 29 aprile 2017

 

 

«Parco del mare, quattro milioni dal futuro gestore»

«Il gestore del Parco del mare contribuirà con quattro milioni alla realizzazione»: a dichiararlo il presidente della Camera di commercio Antonio Paoletti, che è intervenuto alla conviviale del Rotary Club Trieste su invito della presidente Maria Cristina Pedicchio. Un gestore che, ha detto Paoletti ai rotariani, «sarà probabilmente Costa Edutainment, che si è detta interessata molte volte in questi anni, a cui si aggiungono però altri potenziali gestori, non italiani». Una possibilità su cui Paoletti ha preferito però mantenere il riserbo. «Comunque un privato c’è già, ha aggiunto, ed è la Fondazione CRTrieste che è stata al nostro fianco in tutti questi anni e che continua a sostenerci». Il presidente dell’ente camerale ha riportato anche i contenuti dell’incontro avuto con Dipiazza: «Anche il sindaco ha ribadito di essere completamente al nostro fianco in questa impresa e di specificare che entrambi vogliamo tagliare il nastro del Parco del mare entro il nostro mandato». Paoletti è tornato a più riprese sull’ipotesi di locazione in Porto vecchio: «Quell’area della città deve ancora essere infrastrutturata con fognature, acqua, elettricità. Lavori costosi che richiedono tempo. Io penso invece che la città non possa più aspettare. Ora abbiamo i soldi a disposizione e l’appoggio di tutti gli attori coinvolti». Ha quindi difeso la scelta di Porto Lido come destinazione finale dell’acquario: «Ci dicono che l’impatto visivo sarà forte. Ma la realtà è che l’edificio non si vedrà dalla città e non farà parte delle Rive. Piuttosto ripuliremo una zona ora in preda a un degrado devastante, con tanto di amianto che sta venendo eliminato in questi giorni». I soci hanno anche sollevato il problema dei posteggi: «Ci saranno 180 posti auto e 15 posti per i bus - ha risposto Paoletti -. L’acquario di Genova di posti auto ne ha 170. Faremo in modo poi da segnalare i parcheggi oggi deserti, come il Silos o via Locchi».

 

Il Times chiama gli investitori a Trieste - Per il prestigioso quotidiano britannico la città ha «fascino centroeuropeo» e il suo antico scalo è «un sogno» per chi ha soldi

Non ha ancora soddisfatto appieno le sue ambizioni turistiche, ed è già un sogno per gli investitori. Trieste ottiene un altro attestato di stima internazionale, e questa volta per merito del suo nodo più annoso, il Porto vecchio. A tesserne le lodi il prestigioso quotidiano inglese “The Times”, che, in un articolo pubblicato ieri mette in risalto proprio i quattro chilometri di magazzini portuali abbandonati «che potrebbero essere un sogno per un promotore immobiliare dalle tasche capienti». Il capoluogo giuliano viene poi descritto come una «mini Vienna», per «l’affascinante mix di grandi influenze centroeuropee». «Per cinquecento anni - continua il “Times” - buona parte di quest’area è stata sottoposta al dominio austriaco e Trieste era il principale porto dell’Impero austro-ungarico. Culturalmente ed economicamente ha prosperato e declinato prima della Prima guerra mondiale». «Trieste sorge sull’Adriatico, quasi in Slovenia, ed è una destinazione strategica e seducente» che la rendono appetibile anche a quella fetta di italiani cui è ancora sconosciuta. E non più dunque “solo” per i suoi classici, come «le opere di Joyce che ha lasciato la città dopo averci vissuto per un decennio», o il suo Golfo, «apprezzato dai marinai veterani dell’Adriatico». Il “Times” sdogana i gioielli giuliani di fresca valorizzazione, puntando sul potenziale business. Cita così Trieste come «luogo di nascita del prosecco» e come «sede della Illy con la sua Università del caffè«. Fra le righe, sciorina pure i prezzi con cui l’acquirente d’oltremanica può acquistare un pied-à-terre, con riferimenti precisi ai «villaggi di Portopiccolo e Porto San Rocco». La notizia fa sorridere i politici. «Viviamo una città meravigliosa - commenta il sindaco Roberto Dipiazza - e l’attenzione che ci dedica il “Times” non mi sorprende. Quando si lavora seriamente, come sto facendo con la mia giunta, i risultati non possono mancare. Vogliamo ridare alla nostra importante città il ruolo che merita quale capitale d’area. Questo è solo l’inizio di un percorso che stiamo portando avanti con grande determinazione». Per la presidente della Regione, Debora Serracchiani «il più autorevole quotidiano di Londra ha fatto un ritratto puntuale ed efficace: Trieste è bella, cosmopolita e seducente, è una città per intenditori. In un momento storico in cui è sempre più ricercata e premiata la qualità delle mete turistiche - argomenta la governatrice - Trieste si colloca in una fascia che, per la varietà della sua offerta, può andare incontro alle esigenze della toccata breve, di chi cerca una pausa più riflessiva o addirittura di quegli anglosassoni che eleggono a loro casa l’Adriatico. In pochi anni il nostro capoluogo ha moltiplicato le offerte ricettive e la qualità degli eventi, cosicché arrivi e presenze si sono impennati. Va detto che questo è anche grazie a un poderoso impegno della Regione nella promozione della città con PromoTurismo Fvg e nei contatti con le compagnie di crociera». L’ultima eco mediatica in chiave turistica di Trieste risale a pochi giorni fa, con la redazione di “Travel 365” che l’ha inserita tra le 15 città italiane da visitare nel 2017.

Elena Placitelli

 

URBANISTICA - IL PROGETTO - Scatta “Porto vecchio dreaming” - Le idee sul riuso arrivano dal basso

I PROMOTORI DELL’INIZIATIVA - Il Rotary ha la collaborazione del Piccolo e il patrocinio del Porto

È la “fetta” della città su cui si concentrano più aspettative, più fantasie, più speranze. Perché allora non concretizzarle in progetti, in idee realizzabili, in contributi “dal basso” per le istituzioni e i grandi gruppi che avranno il compito di rivitalizzare quest’area. Nasce così il progetto “Porto vecchio dreaming”, che ha l’obiettivo dichiarato di portare per l’appunto nuove idee alla “causa” del Porto vecchio facendo in modo che, a portarle, siano proprio i cittadini. Il Rotary Club Trieste , in collaborazione con Il Piccolo e con il patrocinio dell’Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico orientale, lancia infatti il progetto “Porto vecchio dreaming”, aperto a tutti coloro che hanno idee innovative riguardanti la trasformazione del Porto vecchio in una nuova parte della città. Attraverso quest’iniziativa si può dunque presentare il proprio sogno sul riuso del Porto vecchio in pubblico e davanti alle autorità. «Per tanti anni ed attraverso molteplici iniziative - si legge nella presentazione del progetto - a Trieste abbiamo sognato la rinascita del Porto vecchio, oggi sono finalmente maturi i tempi per passare dal sogno alla realtà. Dall’inizio del 2017 gran parte dei 65 ettari, 650 mila metri quadrati di territorio portuale denominato “Punto franco vecchio”, è stata sdemanializzata e la proprietà è stata intavolata al Comune di Trieste. Sono state inoltre rilocalizzate in altre aree della città le superfici che godono dei benefici del Punto franco. Molte ipotesi di riutilizzo sono state analizzate e proposte da esperti e autorità, ma non è stata mai data la possibilità ai cittadini di esprimere il loro “Porto vecchio dreaming”». Per i promotori che fanno capo al Rotary insieme al quotidiano locale e all’Authority è dunque arrivata l’ora di «raccogliere le idee e dibattere sulle possibili destinazioni da dare alle aree e agli edifici, sull’infrastrutturazione, sull’integrazione con la città». Il Rotary Club Trieste organizza a tale scopo un forum di ascolto di chiunque manifesti interesse, dando la possibilità di pubblicizzare in particolare 12 idee di sviluppo del Porto vecchio, che saranno selezionate tra le proposte inviate. I proponenti avranno la possibilità di esporre in sede pubblica, mercoledì 17 maggio, con una presentazione della durata massima di cinque minuti e un supporto di 15 diapositive, le loro idee, che potranno riguardare anche solo ambiti parziali dell’area. A seguire, le idee presentate saranno discusse in una tavola rotonda, coordinata dal direttore de Il Piccolo Enzo D’Antona, dal sindaco Roberto Dipiazza, dalla presidente della Regione Debora Serracchiani e dal presidente del Porto Zeno D’Agostino. Per partecipare va inviata una richiesta via posta elettronica a rotarytrieste@rotarytrieste.com, con oggetto “Porto vecchio dreaming” entro lunedì 8 maggio, indicando nome e cognome del proponente, indirizzo email e telefono, eventuale gruppo di appartenenza e breve curriculum più un cenno sulla proposta che si intende lanciare. Le varie proposte saranno anticipatamente presentate e selezionate al Rotary Club Trieste di via Giustiniano 3 l’11 e il 12 maggio alle 17 alla presenza di una commissione tecnica del Rotary stesso coordinata dall’ingegner Pierpaolo Ferrante, responsabile del progetto, che presterà supporto alla realizzazione delle presentazioni in Power Point.

 

 

Bus deviati in via Geppa costretti alle gimkane - Le auto posteggiate rendono difficile il lavoro degli autisti nel primo giorno di cantieri in zona
Il primo giorno di stop al transito degli autobus e dei mezzi pesanti su via Milano è passato senza provocare clamorosi problemi alla viabilità. Nel corso della mattinata non è mancato comunque qualche disagio. È quanto riferito dagli uffici della polizia locale di Trieste, dopo che, ieri, sono entrate in vigore le modifiche alla viabilità resesi necessarie a causa del cedimento, in corrispondenza dell’incrocio fra via Milano e via Carducci, delle volte di copertura del torrente Chiave, che scorre nel sottosuolo. Le linee della Trieste Trasporti interessate al cambio di rotta sono la 17 e la 17 barrata, che, insieme ai mezzi pesanti superiori a 70 quintali, non possono pertanto transitare lungo via Milano, come imposto dalla relativa ordinanza comunale. Da ieri gli autobus hanno pertanto dovuto deviare il percorso lungo via della Geppa, nella direttrice largo Città di Santos - piazza della Libertà - via della Geppa - piazza Dalmazia - via Carducci. Un tanto per evitare il sovraccarico della corsia di via Ghega, notoriamente trafficata. La municipale ha comunque fatto sapere che nei prossimi giorni verrà migliorata la segnaletica, in modo da avvisare in loco gli automobilisti meno informati. Nel corso della giornata, infatti, qualche conducente è stato colto alla sprovvista e ha dovuto rimuovere subito l’auto che, ignaro, aveva appena parcheggiato di fianco al palazzo della Genertel, nel tratto compreso fra via Filzi e via Carducci. In quell’incrocio lo spazio di manovra, piuttosto angusto, ha messo a dura prova gli autisti della Trieste Trasporti. È così capitato che gli autobus non siano riusciti a transitare senza dover prima chiedere a suon di clacson agli automobilisti che avevano parcheggiato proprio lì di spostare la propria macchina. Intanto dagli uffici fanno sapere che la soluzione sarà temporanea fino al ripristino, prevedibilmente tra alcuni mesi, delle condizioni idonee al transito dei bus lungo via Milano. Per gli utenti del trasporto pubblico locale, allo stato attuale, non sono previste fermate lungo via Geppa. L’ordinanza comunale è stata emessa in seguito alle verifiche svolte dall'AcegasApsAmga sullo stato delle strutture di tenuta del torrente Chiave, che hanno riscontrato una criticità statica cui l’amministrazione comunale sta facendo fronte.

(el.pl.)

 

 

Capodistria-Divaccia, no alla legge - Stop all’iter per il raddoppio: il Consiglio di Stato boccia il piano finanziario ritenuto lacunoso e oneroso

LUBIANA - Il Consiglio di Stato della Slovenia ha bocciato con 23 voti favorevoli e due contrari la legge approvata dal Parlamento di Lubiana relativa alla realizzazione del secondo binario della ferrovia tra Capodistria e Divaccia. In pratica i consiglieri hanno fatto proprie tutte le perplessità espresse sulla norma da parte delle varie istituzioni civili che del progetto si stanno interessando da mesi per cercare di trovare una soluzione vuoi sul piano del tracciato, vuoi su quello della reperibilità dei finanziamenti necessari alla sua realizzazione. Il Consiglio di Stato ha così ritenuto assolutamente insufficiente quanto contenuto nella norma, che si basa sulla neo istituita società 2Tdk creata proprio per realizzare l’infrastruttura, relativamente ai finanziamenti. In essa si parla in maniera vaga, senza fare cifre né predisporre un vero e proprio piano di un intervento di capitale ungherese e si stabilisce una sorta di tassa sulla movimentazione dei container nel Porto di Capodistria che ha fatto letteralmente infuriare Luka Koper, la società che gestisce lo scalo e di cui anche lo Stato sloveno è proprietario, che vede in ciò un attentato alla proprio concorrenzialità. Bocciato, dunque, il finanziamento “spezzatino” proposto dalla normativa, in quanto sarebbe più oneroso per la Slovenia e foriero di maggiori rischi legati a corruzione, appalti truccati e subappalti teleguidati. La tesi che le istituzioni civili sposano, invece, è quella riportata sul Dnevnik di Lubiana dell’economista Jože P. Damijan, il quale parte da un ragionamento di base. In Slovenia, spiega, secondo i dati della Banca centrale del Paese i cittadini e le società hanno depositati in banca 16,8 miliardi di euro e le aziende hanno complessivamente 5,5 miliardi di depositi. «Lo Stato - sostiene Damijan - potrebbe dare loro la possibilità di acquistare obbligazioni relative alla nuova infrastruttura e con questo anche di guadagnarci». Perché allora, si chiede, lo Stato cerca co-finanziatori ungheresi e un prestito da parte della Banca europea per gli investimenti (Bei) al tasso d’interesse dell’1,5%? Perché piuttosto, si chiedono l’economista ma anche i consiglieri di Stato, non emanare obbligazioni decennali all’1% e venderli agli sloveni? Gli investitori avrebbero così la possibilità di realizzare un guadagno ad esempio di mille euro in dieci anni su una somma di 10mila euro in obbligazioni. E in più sarebbero garantiti dallo Stato per la solvibilità. Oggi una somma di 10mila euro vincolata nella Nova Ljubljanska Banka rende in 5 anni appena 257 euro. Adesso però anche il governo sostiene che la norma non esclude l’emissione di obbligazione e che la questione sarà discussa con la Bei nell’ambito del prestito pari al 30% della realizzazione dell’opera ancora da contrattare. La legge ora torna in Parlamento dove dovrà essere riapprovata ma solamente a maggioranza assoluta.

Mauro Manzin

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 28 aprile 2017

 

 

Via Milano diventa off limits per bus e Tir - Preoccupa la tenuta delle volte che coprono il torrente Chiave. Corse della 17 e 17/ deviate su via Geppa
Stop agli autobus e ai camion in via Milano. Lo ha deciso il Comune ieri, in via provvisoria, con una delibera di giunta che ha preso le mosse dalle verifiche sulla tenuta delle strutture che si trovano nel sottosuolo. Una tenuta giudicata dagli esperti evidentemente problematica. I controlli, come precisa una nota del municipio diramata ieri pomeriggio, sono stati effettuati dagli ingegneri e dai tecnici dell’AcegasApsAmga e hanno comportato una serie di indagini da cui è emerso lo stato di “criticità” delle volte di copertura del torrente Chiave (o torrente Grande) che scorre in quella zona, in corrispondenza dell’incrocio tra via Carducci e via Milano. Nulla di particolarmente pericoloso, ma a scopo puramente cautelativo, informa ancora il comunicato stampa del municipio, per i prossimi mesi non saranno più concesse deroghe al transito dei mezzi pesanti. La delibera della giunta comunale non si è limitata a fornire indicazioni generiche, tanto più che l’intervento interferisce con la viabilità dei bus, ma è entrata più nel dettaglio. Il documento varato ieri ha imposto, nello specifico, un limite di massa non superiore ai 70 quintali in particolare nel tratto compreso tra l’intersezione con via Fabio Filzi e l’intersezione con via Carducci. Il che significa, per il momento, niente più autobus per tutto il tempo necessario ai futuri interventi strutturali che potranno rendersi necessari nei punti interessati. Cosa cambia? Va da sé, naturalmente, che pure la viabilità dei mezzi pubblici che finora percorrevano abitualmente lungo via Milano dovrà subire alcune modifiche. Si tratta, precisamente, delle linee 17 e 17/. I bus dovranno temporaneamente venir fatti transitare lungo via Geppa, nella direttrice largo Città di Santos/piazza della Libertà-via Geppa-piazza Dalmazia-via Carducci. Un tanto per evitare il sovraccarico della corsia di via Ghega, notoriamente trafficata. L’ordinanza di viabilità è stata emanata da parte del competente Servizio mobilità; stando a quanto ha deciso l’ufficio comunale, non sono previste fermate lungo via Geppa e tale soluzione sarà temporanea fino al ripristino, prevedibilmente tra alcuni mesi, delle condizioni idonee al transito dei bus lungo via Milano.

Gianpaolo Sarti

 

 

Lo sconto benzina appeso a un filo - Bruxelles denuncia l’Italia alla Corte Ue per i prezzi agevolati in Fvg - Nel mirino anche l’inquinamento da Pm10
Non solo carburanti. Contro l’Italia la Commissione Ue ha lanciato anche un’altra procedura di infrazione sull’inquinamento da polveri sottili: il nostro Paese ha ora due mesi di tempo per «adottare azioni appropriate per garantire una buona qualità dell’aria e salvaguardare la salute pubblica», altrimenti potrà essere deferita davanti alla Corte di Giustizia. In Italia, secondo Bruxelles, l’inquinamento da Pm10 «è causato principalmente da emissioni connesse al consumo di energia elettrica e al riscaldamento, ai trasporti, all’industria e all’agricoltura». Secondo le stime dell’Agenzia europea dell’ambiente, «ogni anno l’inquinamento da polveri sottili provoca nel Paese più di 66mila morti premature», rendendo l’Italia lo Stato Ue più colpito in termini di mortalità connessa al particolato. Il Friuli Venezia Giulia rientra nel gruppo delle 30 zone in cui si sono registrati i maggiori superamenti dei livelli massimi consentiti per l’inquinamento.

 

 

Sorpresa a lasciare rifiuti “fuori posto”

Una donna di 51 anni, D.G. le sue iniziali, di passaporto croato, è stata multata l’altro giorno dalla polizia locale che l’ha ritenuta responsabile dell’abbandono di una serie di rifiuti ingombranti sia all’interno che ai piedi dei cassonetti di un’isola ecologica di via San Marco, rifiuti che dunque non sono stati conferiti correttamente nei centri di raccolta, le cosiddette “discariche”, una delle quali oltretutto si trova molto vicina alla stessa via San Marco. Lo rende noto in un comunicato il Comune, che ricorda come la sorveglianza ambientale rientri fra le attività del corpo di polizia locale: «Testiera di un letto, cuscini, stufa elettrica - si legge in tale comunicato - sono solo alcune delle masserizie che gli agenti hanno trovato depositati a casaccio in via San Marco nei contenitori della piazzola ecologica o depositati direttamente sul suolo nei dintorni dei cassonetti per le immondizie. Qualche minuto dopo il loro arrivo è giunta sul posto una signora che inequivocabilmente era l’autrice del deposito». D.G. appunto, «sanzionata per l’abbandono dei rifiuti sul suolo pubblico».

 

 

Natura - Birdwatching, ora si passa alla pratica
Alla ricerca di pettirossi, cinciallegre e cardellini, ma anche di tutti gli altri volatili meno conosciuti che sono soliti “cinguettare” nei nostri parchi, orti e giardini. Per i frequentatori del corso gratuito di birdwatching, ma anche per tutti gli altri cittadini curiosi di riconoscere l’avifauna locale, è tempo di sperimentare quanto imparato nel corso delle lezioni teoriche gratuite (promosse da Urbi et Horti, associazioni Bioest, Il Ponte, Legambiente Trieste, Aias, Anglat Fvg, Lapis, Multicultura, Arci Servizio civile, Comitato pace convivenza solidarietà Danilo Dolci e Asuits) e frequentate da una cinquantina di persone, a conferma del grande interesse per l’argomento. L’appuntamento per il primo incontro pratico condotto da Matteo Giraldi, delegato della sezione Lipu di Trieste, è fissato per domani alle 9 alla Rotonda del Boschetto. «Passeggeremo - spiega la naturalista Tiziana Cimolino, referente di Urbi et Horti - all’interno del bosco urbano del Farneto e, allontanandoci dal rumore della strada, cercheremo di immergerci nei suoni della natura tentando di riconoscerli: distinguere i maschi dalle femmine e il differente canto delle sia pure non tantissime specie autoctone, non è semplice, ma a venirci incontro saranno le nozioni imparate. Sabato ascolteremo i canti primaverili dell’avifauna locale e con i nostri binocoli cercheremo di riconoscerne la specie e la modalità di canto». Anche se il grosso delle adesioni è avvenuto durante il corso, «chiunque può partecipare alla passeggiata purché si presenti in orario. Il consiglio è di indossare abiti comodi, scarpe adeguate e portare con sé il binocolo». Info al 3287908116.

(g. t.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 27 aprile 2017

 

 

«Differenziata raddoppiata in un anno» - Il Comune di Duino Aurisina e la società Isontina che gestisce la raccolta commentano i dati del “Sole”
DUINO AURISINA Il 67,94% a Sgonico, il 46,51% a Monrupino, il 42,03% a Duino Aurisina. Sono questi i dati della raccolta differenziata registrati a fine 2016 nei tre comuni della Provincia usciti piuttosto malconci dall’analisi pubblicata sul Sole 24 Ore di martedì relativa al 2015. Isontina ambiente, la srl di Ronchi dei Legionari che recentemente è diventata partner dei tre comuni per quanto concerne la raccolta e la gestione dello smaltimento delle immondizie, ha subito reso pubblici i numeri che caratterizzano il netto miglioramento nella gestione della differenziata nei tre territori messi sotto la lente dal quotidiano economico, sottolineando in particolare proprio «il sensibile miglioramento - spiega Stefano Russo, portavoce dell’azienda - nella raccolta della differenziata, frutto di un attento lavoro di riposizionamento e distribuzione delle isole ecologiche e dell’introduzione del sistema porta a porta». Le cifre in effetti parlano chiaro: Sgonico era partito, a fine 2015, dal 16,32%, Monrupino dal 18,99% e Duino Aurisina dal 21,23%. Si tratta per lo meno di un raddoppio in tutti e tre i territori. «Un risultato - spiega a propria volta il sindaco di Duino Aurisina Vladimir Kukanja - che è l’effetto di una precisa scelta operata dalla mia amministrazione, che ha puntato parecchi mesi fa a un accordo proprio con la Isontina ambiente, con lo specifico obiettivo di far salire quella percentuale che ci vedeva in una cattiva posizione. I dati più recenti denotano un evidente cambio di passo in materia e le prospettive sono di ulteriore miglioramento». Incalza l’assessore Lorenzo Corigliano: «Abbiamo quasi raddoppiato il numero dei contenitori destinati alla differenziata e il miglioramento è stato netto, anche grazie alla collaborazione con la popolazione, che si è sempre dimostrata sensibile sul tema». Il membro della giunta di Duino Aurisina evidenzia anche che «sono stati sistemati numerosi contenitori per il residuo del verde, mentre al Villaggio del Pescatore, su esplicita richiesta delle due società nautiche locali, Laguna e San Marco, abbiamo collocato un container raccoglitore di rifiuti, di cui si sono dichiarati molto soddisfatti». Per Russo, infine, le prospettive «sono quelle di un costante miglioramento nella raccolta differenziata in tutti e tre i comuni nei quali siamo entrati come partner». «A fine 2017 - conclude il portavoce della Isontina ambiente - siamo certi che la media che si registrerà sarà uguale o addirittura superiore a quella relativa all’ultimo bimestre del 2016 in tutti e tre i territori dei quali stiamo parlando».

Ugo Salvini

 

 

Tra sei mesi il progetto per l’ex Fiera - Primo sopralluogo tecnico dei nuovi proprietari del complesso per valutare viabilità e collegamenti
Ci vorranno altri sei mesi prima di vedere un progetto per il recupero dell’ex Fiera. Ma qualcosa si sta già muovendo. I nuovi proprietari dell’area, gli austriaci della Mid Holding, sono approdati ieri mattina a Trieste per un sopralluogo del sito. È la prima visita ufficiale nel comprensorio per il management della società, presente con il titolare Walter Moser e un gruppo di progettisti. I rappresentanti della holding sono stati accompagnati dal direttore dell’Area Servizi del Comune, Walter Cossutta, e dal direttore del Servizio gestione e controllo Demanio e patrimonio immobiliare, l’ingegner Alberto Mian. Una visita, dunque, squisitamente tecnica per sondare l’area anche in relazione al traffico della zona e alle connessioni con i trasporti pubblici, in modo da valutare le soluzioni più consone per la viabilità all’interno degli spazi attualmente per buona parte in disuso. L’incontro ufficiale tra la società e la giunta comunale è programmato invece verso metà maggio, con l’intento - precisa una nota del Comune - «di delineare un percorso condiviso per il recupero di un così significativo spazio urbano della nostra città». La Mid si è aggiudicata la fiera all’asta di inizio aprile per un totale di 12 milioni e 318,44 euro, 2 milioni in più rispetto alle valutazioni iniziali stimate dall’amministrazione comunale, mentre il contratto di vendita del complesso sarà ufficializzato entro l’estate. Il progetto edilizio non è stato ancora elaborato, ma stando alle indicazioni del piano regolatore, il comprensorio prevede abitazioni, aree commerciali, alberghi e parcheggi. I residenti devono aspettarsi un cantiere da 20mila metri quadrati, compresi tra piazzale De Gasperi, via Rossetti, via Revoltella e via Settefontane. Di questi, ben 7.160 sono scoperti, per un volume fabbricabile di 108mila metri cubi. «Troppo presto per decidere cosa faremo effettivamente in quegli spazi - aveva affermato il general manager Moser nelle scorse settimane - non posso dire in anticipo cosa verrà edificato. Il piano urbanistico obbliga a costruire almeno 9.500 mq di appartamenti - ricordava - ma sul resto siamo liberi di fare ciò che desideriamo. L’intenzione - anticipava - è dare spazio a negozi, uffici e hotel. Certamente ci sarà un garage sotterraneo». Ci vorrà un anno e mezzo, grosso modo, per chiudere i lavori. L’investimento si aggira indicativamente tra i 60 e i 70 milioni di euro.

(g.s.)

 

 

Legambiente - Seguendo le acque verso la città
Le acque verso la città sabato alle 9 www.legambientetrieste.itSabato mattina Legambiente organizza la visita guidata “Le acque verso la città”, con risalita del rio Storto (o rio Zaule) da Borgo San Sergio alla pista ciclabile della Val Rosandra. Ritrovo alle 9.00 a Borgo San Sergio all’inizio di via di Peco (vicino all’autodemolitore “Apollo”). Questa seconda escursione, che continua il discorso iniziato con la gita del 1° aprile sui torrenti Settefontane e Farneto, farà conoscere un versante molto diverso dello stesso monte di Cattinara, o Montebello, dal quale hanno origine anche le due vallate (Rozzol e Longera) della data precedente. Verrà risalito il versante rivolto a sud, quindi una zona molto assolata, riparata dal vento freddo, e assai calda d’estate; condizioni che, unitamente alla caratteristica geologica del terreno flyschoide, ne fanno una zona assai adatta all’orticoltura di qualità, su entrambi i versanti di questa ed altre vallate della zona.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 26 aprile 2017

 

 

“Differenziata” - il primato va a San Dorligo - Nel 2015 sfiorò il 56%. Muggia al secondo posto - Trieste si ferma al 35,3. Sgonico fanalino di coda - la raccolta in provincia di Trieste
SAN DORLIGO DELLA VALLE Trieste è una provincia virtuosa per quanto concerne la raccolta differenziata. Nel suo piccolo territorio si trovano realtà comunali, come quella di San Dorligo della Valle, che, nel raffronto col resto d'Italia, raggiungono in questo campo l'eccellenza, altre che la sfiorano, come Muggia, altre ancora che si collocano in una media classifica, come Trieste, e altre infine che hanno avviato processi di conversione dei metodi utilizzati in passato, proprio per risalire la graduatoria nazionale. È questo il quadro che emerge da una precisa analisi, fatta dal quotidiano economico Il Sole 24 Ore e relativa al 2015, che mette in fila tutti i Comuni italiani, sulla base dei numeri pubblicati dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). A San Dorligo della Valle, due anni fa, si sfiorò il 56 per cento, Muggia si attestò sul 39,82, Trieste sul 35,29, Duino Aurisina sul 21,23, Monrupino sul 18,99 e Sgonico sul 16.32. Differenze piuttosto nette, come si può notare, ma dovute essenzialmente al fatto che i Comuni che spiccano per la loro efficienza, in questo specifico settore, sono quelli partiti per primi con una politica dedicata a migliorare il servizio relativo alla differenziata. «Posso dire - spiega Franco Crevatin, assessore all’Ambiente a San Dorligo della Valle - che, nel nostro Comune, si iniziò ad applicare un metodo molto puntuale per la raccolta differenziata già nel 2007 e che, da quel momento, si è proseguito in un costante perfezionamento di tale politica. Oggi - afferma con soddisfazione Crevatin - siamo al 60 per cento. Gran parte del merito - conclude l'assessore che, già nel suo precedente incarico di assessore in Provincia aveva affinato le competenze in materia di raccolta dei rifiuti - va riconosciuto alla popolazione residente nel nostro Comune,che ha sempre risposto positivamente alle nostre sollecitazioni e oggi è premiata dalle tariffe più basse dell'intero territorio provinciale per quanto concerne il servizio della raccolta dei rifiuti». Ottimista, nonostante il risultato poco brillante ottenuto nel suo Comune nel 2015, è Monica Hrovatin, sindaco di Sgonico: «Lo scorso anno abbiamo cambiato politica sulla differenziata - spiega - iniziando con il porta a porta dell'indifferenziata e con la predisposizione di isole ecologiche. I risultati sono in netto miglioramento rispetto alla tabella del Sole 24 Ore - continua Hrovatin - e alla fine del 2017 contiamo di ritrovarci in una posizione molto migliore in questa particolare graduatoria». A livello nazionale, si collocano in media molto bene il Triveneto, più che discretamente la Sardegna, la Campania e le Marche. Ma anche in Lombardia e in Piemonte la raccolta della differenziata funziona. Si va male invece nel resto d'Italia, con punte negative in Sicilia, Calabria e Basilicata. Se si guarda alle provincie, è Treviso quella in cui la gestione dei rifiuti ha permesso di ottenere i risultati migliori in termini di riciclo. Lì infatti nel 2015, in media, l'85,22% dell'immondizia fu differenziata. Seguono Mantova, con l'80,3% e, di nuovo in Veneto, Belluno con il 76%. Oltre a ottenere la prima e terza piazza, la regione della Serenissima è una delle più attente al tema: delle dieci migliori province per raccolta differenziata, ben sei sono nel Veneto. Solo Rovigo rimane fuori dalla top 10, ma si piazza comunque al tredicesimo posto. All'estremo opposto, la Sicilia. Le quattro province peggiori per raccolta differenziata, sempre secondo Ispra, sono Enna, Siracusa, Messina e Ragusa. Più in generale, tutte e nove le province dell'isola si trovano tra le peggiori 15. Lusinghiero infine il risultato medio del resto del Friuli Venezia Giulia, nel cui ambito ci sono comuni come Pagnacco (Udine), Sesto al Reghena e San Martino al Tagliamento (Pordenone), che già nel 2015 si attestarono fra l'80 e il 90 per cento. Ma in quasi tutta la regione la raccolta della differenziata due anni fa funzionava.

Ugo Salvini

 

Porta a porta a Muggia, opposizione in pressing - TARLAO, VLAHOV E ROMANO Bisogna puntare a premiare i cittadini virtuosi

Il sindaco Laura Marzi concorda che andrà premiato chi sarà più virtuoso ma il metodo andrà individuato quando il sistema sarà a regime

MUGGIA - Tariffe puntuali per premiare i più bravi differenziatori, sanzioni ai furbetti che non si applicano. Su questi due punti tre partiti di opposizione promettono battaglia in relazione all' imminente inizio della raccolta dei rifiuti “porta a porta”. «Siamo perplessi per l'impostazione che la maggioranza intende dare al nuovo sistema della differenziata, quindi avanziamo alcune proposte per ottenere un buon risultato tramite il "porta a porta spinto" di cui siamo fermi sostenitori», spiegano unitamente i consiglieri comunali Roberta Tarlao (Meio Muja), Emanuele Romano (Muggia 5 Stelle) e Roberta Vlahov (Obiettivo comune per Muggia). Le proposte dei tre esponenti sono fondate sulla normativa europea in materia di rifiuti e su quella nazionale che regola la Iuc (Imposta unica comunale). «La normativa europea, oltre a perseguire l'obiettivo della riduzione dei rifiuti, afferma il principio per cui, "chi più inquina più paga", consentendo la copertura dei costi del ciclo dei rifiuti e premiando con tariffe inferiori i cittadini virtuosi», puntualizza Tarlao. La Iuc è un'imposta federale che i Comuni possono rimodulare aumentando o riducendo le aliquote. Secondo Tarlao le amministrazioni possono dunque «commisurare la tariffa alla quantità e qualità media di rifiuti prodotta per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia delle attività, nonché al costo del servizio dei rifiuti. Le tariffe per ogni categoria o sottocategoria sono determinate dal Comune moltiplicando il costo del servizio per la superficie accertata». Nella modulazione della tariffa potrebbero dunque essere assicurate riduzioni per la differenziata nelle utenze domestiche. Anche il consigliere Emanuele Romano punta sugli incentivi ai cittadini virtuosi: «Il Piano regionale dei rifiuti certifica che le raccolte differenziate domiciliari secco-umido, con tariffa puntuale, sono le più efficaci e garantiscono il superamento dell'80% di differenziata. Il Comune deve intervenire nella promozione di questo tipo di raccolta attraverso incentivi economici». Il consigliere grillino stigmatizza invece come «a seguito dell'approvazione del Pef non è stata inserita alcuna previsione di tariffa puntuale che applichi premialità o sanzioni a chi non differenzia correttamente, e tale sistema non è applicato nemmeno al gestore del servizio Net a cui invece viene riconosciuto quanto viene conferito, senza distinzione alcuna». Roberta Vlahov evidenzia invece le carenze del capitolato rifiuti: «Mancano specifici riferimenti alla forza lavoro impiegata e ai macchinari che verranno usati per la raccolta. Per questo intendiamo costituire un gruppo di lavoro tecnico con l'assessore con delega ai rifiuti e i rappresentanti dei gruppi consiliari». La proposta prevede che il gruppo si occupi di revisionare il Pef, redigere un piano industriale e un capitolato di prestazione con obiettivi incentivanti o penalizzanti per il gestore. Sul complesso argomento il sindaco Laura Marzi rileva che «è nostra intenzione introdurre le premialità una volta che il servizio sarà a regime, ed è chiaro che va premiato chi più differenzia. Il metodo di individuazione di chi è più virtuoso, però, non è detto debba riguardare la pesatura o la misurazione del conteggio dei prelievi della differenziata, ma la premialità può essere calcolata in base al fatto che chi meno produce indifferenziata, sembra evidente, più differenzia. Solo dopo aver deciso l'assetto organizzativo della differenziata potremo applicare la premialità».

di Riccardo Tosques ◗

 

 

Sopralluogo Arpa per i boati in Ferriera - Oggi i tecnici dell’Agenzia verificheranno gli impianti dopo i rumori e il fumo di martedì 18
Oggi Arpa conclude l’ennesima ispezione in Ferriera per capire cosa sia accaduto martedì 18 aprile, quando boati e nuvole nere sono echeggiati e hanno coperto il cielo di Servola. Erano le 8.50 mattutine, quando i residenti hanno avvertito rumori e fumi di particolare intensità. Molte le chiamate ai numeri d’emergenza, allertati i canali dell’informazione. Poi tecnici dello stabilimento siderurgico e dell’Arpa hanno fatto il punto della situazione: un’accentuata e anomala pressione dei fumi, derivante dalle lavorazioni, avrebbero determinato una sorta di “tappo”, che, una volta saltato, ha causato boati e nuvole nere. Più in dettaglio una nota Arpa spiegava che il fenomeno era da addebitarsi all’apertura delle valvole di sicurezza in seguito a sovrapressioni generate nell’altoforno. All’origine delle sovrapressioni - argomentava ancora Arpa - un’anomala canalizzazione dei gas di combustione in fase di fermata dell’impianto per interventi di manutenzione. Questa sovrapressione sarebbe un fenomeno piuttosto raro e atipico. Ma Arpa ha ritenuto opportuno approfondire le ragioni di questo incidente e ha svolto ulteriori indagini che si concluderanno oggi - precisa una nota - con un sopralluogo al quale parteciperà il consulente della Regione Fvg, Boscolo. Gli approfondimenti sono stati coordinati dal responsabile tecnico-scientifico, Franco Sturzi. Il rapporto conclusivo su questa vicenda sarà approntato entro metà maggio. Nella stessa nota diffusa ieri pomeriggio, Arpa insiste sull’accordo stipulato lo scorso 19 aprile a Roma tra la Regione Friuli Venezia Giulia e l'Istituto superiore di sanità (Iss), a proposito del quale è stato annunciato che il tema dello stabilimento siderurgico sarà il primo a essere sviluppato. «Se l'Aia contiene tutti gli strumenti per verificare la soluzione dei problemi contingenti e strutturali di funzionamento degli impianti dello stabilimento industriale - si legge nella nota Arpa -, il coinvolgimento dell'Iss permetterà di dare una risposta approfondita di massimo livello scientifico sul tema specifico e capitale dell'impatto dello stabilimento siderurgico triestino sulla salute di lavoratori e cittadini».

ge.be.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 25 aprile 2017

 

 

«Bomba ecologica minaccia le fonti dell’acqua potabile» - L’allarme del deputato istriano Demetlika in Parlamento: «Vicino al torrente Foiba 400 tonnellate di rifiuti tossici»
POLA «Ci sono 400 tonnellate di rifiuti tossici che incombono sulle sorgenti d'acqua che riforniscono gli utenti dell'Istria meridionale». L'allarme è stato rilanciato dal deputato istriano e sindaco di Albona Tulio Demetlika nell'aula parlamentare, sollecitando le competenti istituzioni dello Stato ad attivarsi per scongiurare effetti devastanti sulla salute della popolazione. Demetlika ha quindi ricordato gli antefatti. In sintesi: la società Ecooperativa, che nel 2007 aveva iniziato la propria attività nella gestione dei rifiuti tossici, è poi fallita lasciando 400 tonnellate di rifiuti non pericolosi e altrettante di rifiuti tossici nel proprio magazzino ubicato nella terza zona di tutela sanitaria delle sorgenti di acqua potabile e nelle immediate vicinanze della seconda zona di tutela. Nei paraggi scorre il torrente Foiba, la cui acqua finisce nelle sorgenti collegate alla rete idrica di Pola e dell'Istria bassa in generale. «L’autorità cittadina di Pisino e quella regionale istriana - sostiene Demetlika - ha più volte segnalato il problema al ministero per la Tutela dell'ambiente, ma senza esito». A dire il vero due anni fa l'ispezione ministeriale aveva effettuato un sopralluogo per prendere atto della situazione e aveva invitato la Ecooperativa a rimuovere i rifiuti tossici e risanare l'area; ma nulla è stato fatto. «È inspiegabile - afferma il sindaco di Pisino Renato Krul›i„ - che lo Stato non abbia impugnato i necessari strumenti legali per costringere la Ecooperativa a rimuovere i rifiuti. Se lo avesse fatto il problema non esisterebbe». Krul›i„ accusa Zagabria di voler scaricare la responsabilità e i costi di rimozione dei rifiuti (si parla di circa 520mila euro) sulle aziende ora attive nella zona imprenditoriale Pazina I e sull'Autonomia locale. «Penso che il ministero intenda addossare le spese della pulizia - dice Krul›i„ - all'azienda Reginex che ha acquistato l'immobile in cui operava l'Ecooperativa». Interpellato, il direttore della Reginex Edi Rados spiega però che l'operazione spetta all'Ecooperativa poiché nel contratto di compravendita dell'immobile si era impegnata a consegnarlo “pulito” in caso di cessione. «Abbiamo più volte richiamato l'attenzione sull'inadeguatezza del magazzino sopra la Foiba di Pisino», aggiunge Krul›i„ esprimendo l'auspicio che in futuro il ministero tenga maggiormente in considerazione il parere dell'Autonomia locale e non conceda più licenze per attività di questo genere. Ma intanto i rifiuti sono sempre là.

(p.r.)

 

Nessuna multa per la collinetta inquinata - Il Tar annulla la sanzione di 400mila euro che il Comune di Muggia avrebbe dovuto versare allo Stato per l’area bonificata
MUGGIA - Il Comune di Muggia non dovrà pagare la sanzione di 400mila euro per la collinetta inquinata di Porto San Rocco. La notizia giunge in seguito alla sentenza del Tar del Lazio che ha annullato la nota di rivalsa avviata dal ministero dell'Economia e delle Finanze nei confronti del Comune. Nuovo importante capitolo, dunque, nella vicenda inerente l'area inquinata, poi bonificata e messa in sicurezza. Nell'aprile dell'anno scorso il Comune si era trovato coinvolto in un “effetto domino” di sanzioni pecuniarie per una cifra intorno ai 400mila euro. Il tutto era scaturito dopo la condanna milionaria (40 milioni di euro più una penalità di 42,8 milioni per ogni semestre di ritardo) inflitta all'Italia dalla Corte dell'Ue nel dicembre 2014. Secondo l'Ue il Governo italiano non si era adeguato alla direttiva rifiuti sulle discariche “abusive”. La sanzione, però, era stata trasmessa dallo Stato a diverse Regioni, e da queste ai singoli Comuni. Sostanzialmente il Mef, per dare esecuzione alla sentenza della Corte dell'Ue, aveva provveduto, a titolo di anticipazione, al pagamento integrale della sanzione iniziale e della prima penalità semestrale, intendendo però procedere al recupero degli importi anticipati nei confronti dei diretti interessati. Nel Friuli Venezia Giulia, assieme ai comuni di Majano e Trivignano Udinese figurava anche quello di Muggia, chiamato in causa per la collinetta di Porto San Rocco. Muggia, però, aveva però deciso di opporsi alla nota con cui il ministero si era rivalso sui tre Comuni chiamati in causa. «Nello specifico caso muggesano, peraltro, l'azione di rivalsa del Mef appariva del tutto ingiusta e infondata - spiega una nota del Comune - e non solo perché il sito di Porto San Rocco non era mai stato considerato dagli enti nazionali competenti in materia quale “discarica abusiva”, ma anche perché risaliva al 2015 la determina con la quale la Provincia aveva certificato la conformità del progetto di messa in sicurezza e completati gli interventi di bonifica previsti nell'area». Soddisfatta dell'esito positivo del ricorso il sindaco Laura Marzi: «È un ottimo risultato frutto della proficua collaborazione tra le avvocature della Regione e del Comune, che ha un risvolto positivo non sottovalutabile anche sul piano economico, legato al bilancio dell'ente ed alle ripercussioni che altrimenti ci sarebbero potute essere». Ma lo stesso primo cittadino teme che la partita non sia definitivamente chiusa: «Siamo di fronte a una sentenza importante, anche se alla luce di quanto preannunciato dall'Avvocatura dello Stato nell'udienza dinanzi al Tar Lazio, a breve la questione potrebbe venir riproposta dopo l'assunzione di nuovi decreti che potrebbero regolare ex novo la materia. Cosa faremo in questo caso? Il Comune impugnerà l'eventuale nuovo provvedimento per far valere le proprie ragioni».

Riccardo Tosques

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 24 aprile 2017

 

 

Alimenti, la giungla delle etichette a semaforo nell’Ue - confusa attuazione dei regolamenti
ROMA Secondo le norme Ue, regimi di etichettatura nutrizionale come il semaforo possono essere adottati solo in modo volontario. Una situazione che ha portato in Europa a una vera e propria giungla di interventi. - Regno Unito. Ha un sistema a tre colori per visualizzare il tenore di grassi, sali e zuccheri per porzione di 100 grammi o millilitri. È volontario sulla carta, ma nella pratica è adottato dal 98% della grande distribuzione d'Oltremanica. - Francia. Parigi sta per adottare il NutriScore, una scala di cinque colori che vanno dal verde al rosso secondo parametri quali l'apporto calorico, il contenuto di zuccheri, grassi saturi e sale, per 100 grammi. L'etichetta è stata scelta tra quattro diverse tipologie, dopo una sperimentazione iniziata nel settembre 2016 e durata 10 settimane in 60 punti vendita di quattro regioni francesi. Secondo il governo di Parigi la NutriScore, che segnala anche la presenza di componenti «buoni» per la salute come frutta o legumi, si è rivelata più efficace a informare in modo equilibrato in consumatori. - Belgio. Fonti del governo federale belga hanno manifestato interesse all'approccio francese. Nel mercato unico europeo esistono sistemi di etichettatura nutrizionale che non danno «cartellini rossi», ma si basano su una classificazione positiva. A inizio marzo, sei multinazionali dell'agroalimentare hanno comunicato di aver incaricato un team di esperti di studiare un'etichetta «armonizzata a livello Ue» che intende utilizzare i colori per grassi, sali e zuccheri, ma non sulla base di quantità uguali per tutti gli alimenti, quanto sulle «porzioni di riferimento», sviluppate dall'industria alimentare Ue per ogni specifico prodotto.

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 23 aprile 2017

 

Fumo a Servola. Ma è colpa della petroliera - Psicosi sui social per la fuoriuscita di una nuvola nera. In molti hanno temuto fosse della Ferriera
Quella dei fumi della Ferriera è diventata una vera e propria psicosi. Lo dimostra quanto successo ieri mattina: attorno alle 9 si è levata una grande nuvola nera nel cielo di Servola, e subito sui social - con tanto di foto scattate dalla città - si è scatenata la caccia alla “strega” appunto, cioè alla Ferriera. Ma i fatti hanno poi dimostrato che - in questo caso - lo stabilimento siderurgico era del tutto “innocente”. In realtà, si è poi saputo, a colorare di nero il cielo sopra il golfo è stata una petroliera che si trovava nel Vallone di Muggia, diretta al terminale della Siot, che non è lontano dallo stabilimento della Siderurgica Triestina. Da qui appunto l’equivoco, presto chiarito da una foto inequivocabile nella quale si vede il momento della fuoriuscita del fumo dalla nave. Insomma il timore, questa volta, è stato quello di scottarsi con l’acqua fredda. Un timore che si è manifestato attraverso le telefonate giunte ai numeri d'emergenza e al centralino del “Piccolo”, e soprattutto nei tanti post pubblicati sui social network da chi cercava di sapere il motivo, l’origine e soprattutto le eventuali implicazioni per la sicurezza. L’altro giorno, al contrario, dopo un boato ben udibile a distanza ragguardevole, nello stabilimento siderurgico c’è stata la fuoriuscita di una nube di fumo nero, denso, che saliva e stentava a dissolversi nell’aria carica di umidità. La causa, in quella circostanza, è stata quella di un’accentuata e anomala pressione dei fumi derivanti dal processo produttivo che si effettua nell’altoforno: le sostanze gassose hanno preso una via diversa dal solito, causando una sorta di tappo che, quando è “saltato”, ha generato il fragoroso boato e le nuvole nere . Un fenomeno ben diverso da quello verificatosi ieri mattina, quando, come detto, una nave petroliera diretta alla Siot ha improvvisamente “sbuffato”, determinando la nuvola nera. Una “fumata” notata da molte persone e che, vista dalla città ha fatto appunto ipotizzare che fosse stata originata dalla Ferriera. Da ciò l’«esplosione», è il caso di dirlo, dei post sui social network. E la pioggia di telefonate ai centralini d’emergenza.

 

 

I cestini e le tappe di AcegasApsAmga per incentivare la raccolta dell’umido
Obiettivo: aumentare l’attenzione del pubblico triestino verso l’impegno per una raccolta differenziata che tenga anche conto del comparto “umido”. Proprio per questo AcegasApsAmga ha fatto partire lo scorso weekend la campagna di sensibilizzazione con la distribuzione gratuita di diecimila cestini appositi per raccogliere questo tipo di immondizia. Nella prima tappa agli Horti Tergestini sono già andati a ruba duemila cestini. L’iniziativa ha come scopo finale quello di aumentare di mille tonnellate i volumi di umido raccolti, che oggi corrispondono a 5500 tonnellate in un anno. Per richiedere il cestino in omaggio e le utili informazioni sulle modalità di raccolta c’è ancora una decina di tappe che vedranno nei mesi di aprile e maggio la presenza di uno stand dell’ex municipalizzata al Mercato coperto di via Carducci, nei mercati rionali (in piazza Vittorio Veneto, a Opicina, in piazza Ponterosso e a Borgo San Sergio) e in alcuni punti vendita della Coop Nordest (Roiano, Barriera e Torri d’Europa) a Trieste.

(b.m.)

 

 

Esposizioni - “Pesci killer” in mostra da Era

Prosegue la mostra dedicata ai predatori dei mari “Pesci killer” alla nuova sede di Era–Esposizione di ricerca avanzata di via Diaz 14. Dal barracuda ai carangidi, dalla cernia gigante ai pesci palla e scorpione, “Pesci killer” propone un viaggio di indiscutibile bellezza tra gli abitanti dei mari.

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 22 aprile 2017

 

 

Dopo la fumata nera - Il sindaco “ordina” l’ispezione all’impianto della Ferriera

«A seguito delle esplosioni che si sono verificate lo scorso 18 aprile durante il fermo dell'altoforno per interventi manutentivi, e sulla base del rapporto ispettivo dei vigili del fuoco, ho deciso di emettere questa ordinanza perché ci sono le condizioni cautelari e urgenti derivanti da una situazione eccezionale e imprevista che costituisce una concreta minaccia per la pubblica incolumità. In tempi certi (entro 15 giorni) è stato ordinato che venga effettuata, da parte di un tecnico abilitato, una approfondita verifica statica e di funzionalità della parte dell'impianto della Ferriera interessato dall'evento e quindi eseguiti gli interventi di messa in sicurezza a salvaguardia dell'incolumità dei lavoratori e a tutela della salute pubblica». Il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza ha emesso ieri un’ordinanza sindacale, la seconda da quando è in carica, riguardante la Ferriera di Servola. Il provvedimento, si legge in una nota, è «a tutela dell'incolumità delle persone e della salute, data l'impossibilità di utilizzare i normali mezzi dell'ordinamento giuridico». «Se l'Arpa, da un lato, dopo aver sentito i referenti dello stabilimento siderurgico - commenta il sindaco - ha comunicato che si è trattato di una “canalizzazione del vento caldo con sovrappressione in altoforno che ha determinato l'apertura dei bleeders provocando uno scoppio ed emissione di fumi”, c'è anche la specifica nota formale inviata a questa amministrazione da parte dei vigili del fuoco di Trieste che sono intervenuti nello stabilimento a seguito della segnalazione della Polizia locale allertata dai cittadini residenti a Servola, la quale indica che “si rende necessaria una approfondita verifica statica e di funzionalità da parte di tecnico qualificato, della parte di impianto coinvolta nell'evento, e tutte le opere di assicurazione e ripristino che il caso richiede”». L’ordinanza prevede quindi una riposta in due settimane. «Entro quindici giorni vogliamo una relazione da parte del tecnico abilitato che attesti l'avvenuta esecuzione di quanto richiesto. Inoltre il Comune avverte che, per quanto riguarda gli aspetti ambientali e in particolare per quanto attiene all'Aia, la cui competenza è della Regione Fvg, si mette in evidenza che l'esecuzione di quanto disposto sarà accertata da questo Comune, mediante apposita verifica da effettuarsi da Arpa e Azienda sanitaria nell'ambito delle rispettive competenze». Ma non basta. «Il Comune di Trieste grazie all'impegno degli uffici, all'attenzione dell'assessore Luisa Polli, alle capacità specifiche del nostro consulente professor Pierluigi Barbieri e con l'importante aiuto dei cittadini che compongono il tavolo di lavoro sta portando avanti una intesa attività di controllo a tutela della salute pubblica e dell'ambiente e di verifica del rispetto dell’accordo di programma e dell’Aia - prosegue Dipiazza -. Gli importanti elementi nuovi prodotti sino ad oggi, in forza dei quali è stata già richiesta la revisione dell'Aia, ma che la Regione non ha concesso, li stiamo trasferendo anche alla Procura della Repubblica e alla Corte dei Conti». Nel finale viene chiamata in causa direttamente la proprietà dello stabilimento. «Come più volte detto, l'area a caldo della Ferriera non è compatibile con la salute della popolazione e non rappresenta il futuro industriale ed economico sia per la città sia per la proprietà. Ritengo opportuno - conclude Dipiazza - un confronto con il cavalier Arvedi per decidere assieme la chiusura dell'area a caldo e sviluppare, con l'appoggio di questa amministrazione, un'industria pulita e compatibile con l'ambiente rappresentata da laminatoi e logistica. I canali per questo incontro sono stati già avviati». Nessuna conferma o smentita, in questo senso, da Cremona, quartiere generale di Arvedi. Nessun commento da parte di Siderurgica Triestina nemmeno sull’ordinanza sindacale.

 

E Polli chiede di nuovo la revisione dell’Aia
«Il rifiuto della Regione Friuli Venezia Giulia, peraltro inaspettato dato che si dice attenta alla salute pubblica, alla richiesta più che motivata di revisione dell’Aia, non ha fermato l'attività di questa amministrazione comunale che è determinata nella sua azione di tutela della salute pubblica e dell'ambiente», dichiara l’assessore all'Ambiente del Comune di Trieste Luisa Polli che dal 1976 e fino allo scorso settembre è stata dipendente della Regione Friuli Venezia Giulia con responsabilità nel servizio tutela paesaggio e biodiversità. Quasi quarant’anni di onorato servizio hanno prodotto un rifiuto alla richieste di revisione dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) rilasciata ala Ferriera di Servola. «Riaprano l’Aia o ricorreremo alla Corte di giustizia europea», aveva dichiarato Polli il 13 febbraio scorso in una conferenza stampa con il sindaco, Roberto Dipiazza, e il consulente del Comune, Pierluigi Barbieri. L’Aia è rimasta chiusa.

 

 

La gara “ecologica” premia i virtuosi della differenziata - Patto Trieste Running Festival-Acegas per ridurre i rifiuti - Previsti sconti per stand e pubblico del Villaggio Miramar
Il legame tra il Trieste Running Festival targato Miramar e l’AcegasApsAmga quest’anno ruota intorno a una percentuale molto ambiziosa: 80%. È questo il traguardo di raccolta differenziata prefissato per l’evento podistico più triestino che mai. Come? Stimolando attraverso diverse iniziative gli esercenti, che hanno la responsabilità più diretta, e il pubblico che usufruiranno del Villaggio allestito sulla Riva del Mandracchio da giovedì 4 a sabato 7 maggio. C’è un premio in palio: se verrà raggiunta quota 80%, infatti, a tutti gli stand sarà riconosciuta una riduzione del 5% sul costo dello spazio commerciale. Una cifra corrispondente che potrà essere riscossa oppure devoluta in beneficenza per la costruzione di un centro polifunzionale nelle aree del Centro Italia colpite dal terremoto. L’idea di agganciare un incentivo economico all’obiettivo di raccolta differenziata per quello che viene denominato “ZeroImpactEvent by AcegasApsAmga” ha anche lo scopo di sensibilizzare tutti i triestini sull’importanza di una corretta separazione dei rifiuti, in una città in cui tale percentuale è sensibilmente aumentata negli ultimi anni (attualmente al 40%), ma che rimane ben al di sotto della media regionale. «Penso sia davvero uno stimolo importante per tutti, perché tutta la cittadinanza è chiamata a raggiungere questi obiettivi» ha sottolineato il vicesindaco Pierpaolo Roberti. «Se ognuno fa cadere la propria “goccia”, ne trarrà beneficio tutta la società e l’ambiente sarà migliore» ha aggiunto l’assessore all’Ambiente Luisa Polli. «Trieste running festival rappresenta la veste pulita della città che vogliamo vivere noi triestini e i turisti - ha commentato Fabio Carini, presidente di Miramar -. L’evento “Zero impact” accompagnerà l’intera kermesse». Per facilitare lo sforzo in questa direzione sono stati organizzati numerosi servizi, «perché - ha specificato il direttore dell’utility Roberto Gasparetto - per questo obiettivo dell’80% dobbiamo dotare le persone di strumenti adeguati e poter intercettare i rifiuti per i flussi differenziati». All’interno del Villaggio saranno posizionate nove isole di contenitori per i rifiuti. Per gli espositori sarà allestito un punto di raccolta mobile dedicato per il conferimento di imballaggi ingombranti come scatole, cartoni, ecc. Sarà poi messa in pista una forte attività di comunicazione: totem informativi sulle norme di comportamento da tenere e un “green team” di ragazzi di Miramar con il compito di monitorare i corretti comportamenti e indicare le giuste modalità di conferimento rifiuti. La raccolta differenziata sarà potenziata anche al di fuori del Villaggio Miramar. Innanzitutto attorno alla zona di arrivo delle competizioni di domenica 7 maggio con 12 batterie da cinque contenitori (organico, plastica, carta, vetro-lattine e secco non differenziabile). E poi lungo il percorso della non competitiva Generali Miramar Family, di gran lunga la più partecipata con circa 8mila al via, che da Miramare arriverà in piazza Unità, verrà allestito a ogni chilometro uno speciale totem segna-distanza dotato dei cinque contenitori. Verranno poi aggiunti 20 operatori per lo svuotamento dei contenitori e per lo spazzamento. Il Trieste Running Festival sarà anche l’occasione per la promozione dell’acquedotto triestino. Tutti i partecipanti alla Family troveranno nel pacco gara un’esclusiva bottiglietta per contenere l’acqua di rete: un oggetto formato borsetta, progettato e realizzato da Koan Moltimedia, su disegno dall’architetto Sotirios Papadopulous di Vicenza e realizzato in Petg (polietilene teraftalato glicolico), la cui molecola assicura trasparenza, robustezza e ne permette il lavaggio e quindi il riutilizzo assolutamente sicuro. Assieme alla bottiglietta saranno veicolate le istruzioni per scaricare l’App Acquologo e vicino al molo Audace ci sarà un erogatore di acqua di rete

Benedetta Moro

 

 

Stretta sulle regole per i circhi a difesa degli animali
La Terza commissione del Consiglio regionale, presieduta dal triestino del Pd Franco Rotelli, ha approvato all’unanimità le modifiche presentate dal consigliere Roberto Novelli di Forza Italia alla legge regionale 20 del 2012 sul benessere e la tutela degli animali d’affezione, riguardanti nello specifico gli animali impiegati nei pubblici spettacoli, ovvero nei circhi, di cui Trieste è tappa tradizionale. Nessun Comune può impedire la concessione di spazi per l’attendamento di un circo con animali - si legge nella nota di resoconto delle attività del Consiglio regionale - però è possibile intervenire per assicurare condizioni di vita accettabili con il rispetto delle misure minime richieste e strutture conformi alla legge. Punto di partenza la Convenzione di Washington, a cui l’Italia ha dato attuazione con una legge del 1992 e che consente ai circhi di detenere animali pericolosi solo se dichiarati idonei dalle autorità competenti in materia di salute e incolumità pubblica sulla base dei criteri fissati dalle linee guida della Commissione scientifica denominata Cites. Con le disposizioni votate ieri si dà così la possibilità al Comune di vietare l’attendamento dei circhi che non rispettino queste linee guida. La stessa Terza commissione ha affrontato quindi le tematiche tecniche inerenti la proposta di legge della leghista Barbara Zilli sulle disposizioni in merito ai requisiti igienico-sanitari e di sicurezza delle piscine a uso natatorio: un provvedimento - ha specificato Zilli - che ha l’obiettivo di fornire una chiara cornice normativa per garantire sicurezza ai sempre più numerosi frequentatori delle piscine: dagli atleti agli utenti privati o che a vario titolo usufruiscono di piscine pubbliche e private, oltre alla popolazione studentesca, poichè molte scuole di ogni ordine e grado hanno stipulato convenzioni con impianti e associazioni sportive inserendo il nuoto nelle attività di educazione fisica.

 

IL PICCOLO - SABATO, 22 aprile 2017

 

Il cantiere della terza corsia salva l’antica Rosa Moceniga (vedi articolo)

Autovie Venete ha modificato il tracciato per preservare il bosco di Alvisopoli dove tra la vegetazione cresce un fiore raro che risale al Settecento
GORIZIA Ci sono grilli, rane, libellule, uccelli che a dispetto dalla loro esigua fisicità hanno la forza evocativa di piegare ai loro diritti ferrovie, insediamenti industriali e autostrade. A questa schiera di novelli benandanti ecco aggiungersi un fiore: l’antica e misteriosa Rosa Moceniga. Per preservarla e tutelare il bosco in cui fiorisce da almeno duecentocinquanta anni a questa parte Autovie Venete ha in parte modificato il tracciato del terzo lotto della terza corsia tra Alvisopoli e Gonars. I cui lavori in questo periodo sono entrati nel vivo con le attività del cantiere che corre a fianco dell’infrastruttura, con la realizzazione delle nuove strade poderali a servizio dei fondi agricoli e delle proprietà, con la realizzazione dell'allargamento vero e proprio dell’autostrada, con lo spostamento delle interferenze e con la bonifica da ordigni bellici. Cantiere nel cantiere l’area dove verrà costruito il nuovo ponte sul Tagliamento. Ed è ad Alvisopoli, in questa splendida città inventata alla fine del Settecento dal visionario conte Alvise Mocenigo, che si nasconde nel fitto del bosco che lambisce l’A4 il tesoro della Rosa Moceniga. I lavori della terza corsia rischiavano di sfregiare questo piccolo eden, dove crescono piante secolari, irrorato da acqua di risorgiva e popolato da una ricca fauna. Di conseguenza Autovie Venete ha provveduto a mettere in sicurezza il bosco, un tempo rigoglioso e ben curato parco annesso a Villa Mocenigo. «Il roseto del bosco di Alvisopoli - fa sapere Autovie Venete - non ha specie autoctone, ma è importante perché risale al 1700. È in ogni caso un’area protetta in quanto rientra in una zona Sic (Sito di Interesse Comunitario). Per questo, su precisa prescrizione del Cipe, l’allargamento dell’autostrada, che normalmente viene realizzato in modo simmetrico, in quella zona è stato modificato». La nuova modalità ha previsto lo spostamento più a nord proprio per rispettare l’area boschiva. Autovie Venete ha anche sviluppato uno studio di incidenza sul Sic, dove insiste il bosco. A diffondere la storia affascinante e intrigante della Rosa Moceniga ci ha pensato, tra gli altri, lo scrittore Andrea di Robilant, discendente del conte Mocenigo. Nel 2014, per Corbaccio, di Robilant ha pubblicato un grazioso volume dal titolo “Sulle tracce di una rosa perduta”. E freschi di lettura del libro, che in parte si presenta come un dotto trattato sulla storia delle rose, numerosi sono stati coloro che si sono addentrati nel bosco di Villa Mocenigo in cerca dell’antica rosa. Non ci si aspetti un roseto esteso, anzi. Per scorgere la Moceniga ci vuole pazienza e scegliere il periodo dell’anno in cui è in fioritura. Al parco si accede solo con le guide brave a indicare la ricchezza del sito al di là della presenza del decantato fiore. Il suo colore è di un rosa quasi metallico, che cambia a seconda della luce che riceve e dello stadio di fioritura; si legge nei siti specializzati che “la disposizione dei suoi petali, la tipologia di foglie e steli, da sempre la catalogano come una bengalese, ovvero una rosa cinese di fine Settecento”. Che sia profumata non è dato sapere al visitatore che si attiene ligio alle raccomandazioni delle guide. La Rosa Moceniga cresce nel fitto di arbusti, protetta da uno steccato che le consente di non essere “accarezzata” da mani maldestre. Di conseguenza, per quanto riguarda il suo profumo, diamo per buono quanto indicato dagli esperti. Affascinante, si diceva, la storia vera o presunta di questa rosa, per svelare la quale di Robilant ha intrecciato una trama molto avvincente. Proviamo a riassumere. Bisogna partire da Lucietta Memmo, moglie di Alvise Mocenigo, descritta come donna intelligente e colta, vissuta da protagonista nel trambusto napoleonico, amica dell’imperatrice Josèphine, frequentatrice della Malmaison, studiosa al Jardin des Plantes de Paris e allieva del professor Des Fontaines come del grande vivaista Noisette. Dopo la caduta di Napoleone, Lucia partì da Parigi con le carrozze piene di piante e semi per realizzare quel bosco di Alvisopoli poi divenuto oasi Wwf proprio in virtù della sua varietà botanica. Tra le duecento varietà di rose, Lucia portò anche la progenitrice della Moceniga, che ora pare un unicum. Molti esperti si sono occupati di isolare la storia botanica della Moceniga e di confermare l’ipotesi di una così nobiliare provenienza. Tra gli esperti figura anche Eleonora Garlant, appassionata di rose antiche, proprietaria ad Artegna, di una roseria nota in tutta Europa. Garlant si dedica in particolare alle rose galliche, di cui nell’Ottocento si conoscevano tremila specie, scese oggi a trecento, di cui lei coltiva ben duecentocinquanta esemplari. «La Moceniga" - come lei la chiama - è una bengalese, ma rispetto alla Old Blush ha un petalo in meno». Rimandiamo al libro di di Robilant la dissertazione sugli intrecci e le provenienze delle rose, fiori che nell’Ottocento sono stati oggetto di vero e proprio contrabbando nei traffici marittimi verso le Indie e la Cina. Ci teniamo invece il mistero della Rosa Moceniga che in modo efficace sintetizza quella che oggi come trecento anni fa è la sensibilità verso l’ambiente. All’epoca fu il conte Mocenigo a restituire al territorio e alla sua gente parte della ricchezza che quel territorio gli garantiva con i raccolti agricoli. Oggi ecco Autovie Venete raccogliere l’appello e provvedere alla tutela del bosco di Villa Mocenigo e della sua ospite d’onore.
Roberto Covaz
 

La storia - Alle origini della città inventata
Scrive Andrea di Robilant nel suo libro “Sulle tracce di una rosa perduta”: «Alvisopoli era un’invenzione del mio quadrisnonno, Alvise Mocenigo. Alla fine del Settecento aveva bonificato una vasta zona di terre paludose che appartenevano alla sua famiglia. E aveva costruito una comunità agricola e manifatturiera modello, con case comode per i contadini, una struttura sanitaria, una scuola e un istituto tecnico d’avanguardia. All’indomani della Grande guerra, mio nonno, Andrea di Robilant, ereditò Alvisopoli. Negli anni Trenta aveva già messo tutto in vendita per pagare i suoi debiti. La terra continuò a essere coltivata dai nuovi proprietari, ma il paese fu lasciato a se stesso. Alvisopoli divenne così, negli anni, un villaggio fantasma perso nella campagna al confine tra Veneto e Friuli».

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 21 aprile 2017

 

 

I conti del Parco del mare dividono il Consiglio - Il Pd invoca chiarezza sul possibile coinvolgimento di privati nel rischio d’impresa
Lega favorevole: «Al Comune non si chiede nulla». Forza Italia chiede trasparenza
Questo Parco del Mare s’ha e non s’ha da fare, o meglio s’ha da fare in questo o in quel modo, a secondo di chi si interpelli. Le forze politiche reagiscono in vari modi al piano finanziario dell'acquario, commissionato dalla Fondazione CRTrieste e consegnato al Comune attraverso la Camera di Commercio. Se il centrodestra sembra orientato positivamente, seppur con qualche distinguo, il centrosinistra assume un posizione di critica più forte, per quanto il Pd ribadisca di avere «una posizione aperta e non di contrarietà». Il M5S, da parte sua, aveva già nei giorni scorsi ribadito la necessità di capire se il futuro gestore contribuirà alla costruzione della struttura. Partiamo dal centrodestra. Per il capogruppo di Forza Italia Piero Camber le cose da fare sono due: «La prima è sicuramente garantire molta trasparenza in tutto il procedimento», dice. L'altra? «L'ho detto anche in Consiglio comunale durante l'audizione sul tema: è il chilometro zero. Trattandosi di un gruppo composto in buona parte da soggetti privati, non dovrebbero avere l'obbligo di seguire strettamente il codice degli appalti e quindi mi auguro si voglia favorire l'impiego di realtà locali, assicurando così un impatto positivo sull'economia cittadina». Per il capogruppo leghista Paolo Polidori bisogna partire proprio dal piano finanziario: «Ci sono i nove milioni della Camera di commercio, i nove della Fondazione, i due dichiarati della Regione. Al Comune quindi non si chiede nulla. Ci sono anche dei fondi pubblici, ma si tratta comunque di enti che in autonomia mettono in piedi un progetto che si sostiene da sé. E su questo noi dobbiamo dirci favorevoli o contrari». Prosegue l'esponente del Carroccio: «Secondo il piano finanziario il progetto sta in piedi anche nelle ipotesi più pessimistiche. Il gestore dovrebbe essere Costa, gente che conosce bene la materia. Inoltre, a differenza di Genova, qui parliamo di un progetto che non viene realizzato al 100% con fondi pubblici». In conclusione per la Lega «il progetto è ben strutturato, non ci sembra utile mettere il bastone tra le ruote, fatto salvo il giusto controllo richiesto in casi simili». Passiamo al centrosinistra. La capogruppo del Pd Fabiana Martini dice: «La nostra posizione non è di contrarietà, anzi è aperta. Ma abbiamo dei punti interrogativi che rimangono dirimenti». Spiega: «Anche di fronte a dati certamente più precisi di quelli che ci sono stati forniti, o meglio non forniti, durante l’audizione sul Parco del Mare in Consiglio comunale, ribadiamo ancora una volta la richiesta già avanzata, ovvero la necessità a nostro avviso di una comparazione complessiva e puntuale di costi, tempi e benefici tra il sito individuato nell’attuale concept, ovvero Porto Lido, e il Porto vecchio». Prima di scegliere la destinazione il Pd chiede come la giunta «intenda sviluppare le Rive e il fronte mare e come pensi di risolvere i problemi legati a viabilità, trasporti e parcheggi nel caso in cui la scelta rimanga quella attuale». Inoltre, aggiunge «non è ancora chiaro se è previsto o meno il coinvolgimento di soggetti privati nel rischio d’impresa». Dal punto di vista personale Martini si dice dubbiosa anche sulla reale attrattività di animali chiusi nelle vasche. Così invece l'ex sindaco Cosolini: «Non ho alcun dubbio che un advisor scelto da Fondazione CRTrieste abbia fatto un lavoro serio. È chiaro che i business plan si fanno a monte su una serie di indicatori, danno elementi importanti ma sono anche soggetti a molte variabili. Ad esempio non è chiaro come si fa a stabilire che per oltre un decennio si avranno visite da 800mila unità annue». Proprio in quest'ottica, «visto che i business plan a volte si confermano e a volte no», «è importante capire quanto il privato è disposto a partecipare la rischio d'impresa». In conclusione anche Cosolini torna sul sito: «Penso che una comparazione seria tra Porto vecchio e Lanterna vada fatta, nell'interesse della città».

Giovanni Tomasin

 

 

Rotatoria sull’Ospo ok a fine 2017 - La burocrazia rallenta il cantiere. All’inizio la chiusura era stata fissata a maggio
MUGGIA Quando sarà pronta la rotatoria sull’Ospo? Entro la fine dell’anno. La domanda, sempre più ricorrente tra gli automobilisti che ogni giorno attraversano l’ingresso nonché l’uscita principale di Muggia, ha ricevuto risposta durante un sopralluogo effettuato dall’assessore ai Lavori pubblici Francesco Bussani. I lavori - iniziati a luglio dell’anno scorso dalla Provincia e ora presi in carico dalla Regione - hanno subito qualche intoppo e la chiusura prevista per inizio maggio è dunque slittata. La tabella di marcia di 300 giorni è stata modificata in seguito ad alcune richieste e vincoli espressi da parte della Soprintendenza. In particolare è stato evidenziato come il rio Ospo debba essere visibile dalla rotatoria stessa. Un’altra richiesta che ha rallentato i lavori del cantiere riguarda la verifica di possibili reperti archeologici nell’area. Il piano economico del progetto, che ha una genesi quasi trentennale, è stimato in circa 2,6 milioni, di cui un milione e 35mila euro finanziati ancora dall’amministrazione provinciale Scoccimarro. Tra le tante difficoltà incontrate lungo il percorso della realizzazione di questa opera pubblica la necessità di bonificare l’area essendo rientrante nel Sito inquinato nazionale. Ben 300mila euro sono stati investiti per la bonifica imposta dal ministero dell’Ambiente. «La viabilità gioverà moltissimo di questa importante opera: troppo spesso, infatti, si vengono a creare delle file di automobili lungo la strada di Farnei», spiega l’assessore Bussani. Rispetto ai tempi previsti lo slittamento del cantiere regionale comporterà evidentemente dei disagi durante la stagione estiva. «Come spesso accade, quando c’è un cantiere, vi sono dei rallentamenti o comunque dei disagi per gli automobilisti. Anche se il cantiere non è di nostra competenza, sono convinto, vista pure la grande disponibilità dimostrata dai tecnici della Regione, che le deviazioni o i rallentamenti che si verranno a creare saranno gestiti al meglio», puntualizza Bussani che però, come già accaduto con altri cantieri comunali, chiede «un po’ di pazienza» agli automobilisti muggesani e non per i prossimi mesi. I lavori previsti prevedono anche l’allargamento della strada di Farnei. Fattore che dovrebbe comportare la soluzione all’annoso caso del ripristino della fermata della linea 20 a Rabuiese nel tragitto Trieste-Muggia. La petizione promossa da 120 residenti della località rivierasca e appoggiata dal consigliere comunale Andrea Mariucci (Forza Muggia-Dpm) evidenziava come la fermata sulla Strada provinciale 15 di Farnei in rientro da Trieste verso Muggia fosse stata cancellata circa otto anni fa, dopo i lavori di sistemazione della Grande viabilità delle Noghere. Attualmente la sosta più vicina a Rabuiese è quella del centro commerciale Arcobaleno, vicino al supermercato Famila, distante più di mezzo chilometro dall’abitato. «Anche qui la Regione ha dimostrato grande sensibilità e interesse a risolvere la questione - conclude Bussani -. Credo dunque che assieme alla rotatoria, a breve, avremo un’altra opera pubblica completata».

Riccardo Tosques

 

 

Il Palazzo lancia l’offensiva antigabbiani - Il centrodestra ipotizza l’inserimento di uova di plastica nei nidi per confondere gli uccelli e ridurne la fertilità. Ornitologi contrari
il metodo croato - La soluzione lanciata da Forza Italia è stata adottata da Zagabria nei piani di contenimento delle colonie di volatili

l’ironia dell’esperto - La sperimentazione tentata oltreconfine? Una balla Questi animali sono furbi e riconoscono subito gli intrusi
Se la maggioranza, con Forza Italia lancia in resta, scalpita, l’assessore comunale che ha competenza nel settore, Michele Lobianco, frena: «Prima di attuare qualsiasi tentativo concreto per diminuire la popolazione di gabbiani presente nella nostra città dobbiamo disporre di uno studio scientifico a riguardo - osserva - in ogni caso questo è un compito che non spetta al Comune bensì all’amministrazione regionale, che ha “ereditato” la competenza sulle iniziative per contenere la proliferazione dei gabbiani». Ancora più scettico Gianfranco Urso, coordinatore regionale dell'Enpa, ex presidente della sezione di Trieste ed ex responsabile del “progetto gabbiani”: «La proposta di Forza Italia è inutile, non aiuta a contrastare il fenomeno. In passato - ricorda Urso - la facoltà Psicologia dell’Università di Trieste aveva svolto uno studio da cui era emerso che la femmina, quando si accorge di un uovo finto, lo sposta e ne fa un altro dopo un po’. Realizzare un'operazione del genere non ha senso, non porta a nulla. Il fenomeno, come noto, si potrebbe arginare soltanto con la sterilizzazione del gabbiano». (g.s.)di Gianpaolo Sarti La nuova battaglia comunale punta al cielo, ai tetti e ai tavolini dei bar: in altre parole ai terreni di conquista dei gabbiani, che tanto fastidio arrecano alla cittadinanza. La dichiarazione di guerra ai “cocai” porta la firma di Forza Italia con una mozione sottoscritta dal capogruppo Piero Camber e dai colleghi Michele Babuder e Alberto Polacco, che presto approderà in municipio. Il documento sollecita il sindaco e l’assessore competente, Michele Lobianco, ad approvare un finanziamento ad hoc da assegnare a un esperto del settore così da ridurre il numero di volatili che sta rapidamente colonizzando il capoluogo. Camber propone di attuare un metodo sperimentato in Croazia: infilare uova di plastica nei nidi in modo tale che il gabbiano covi quelle e non produca. Basterà per arginare il fenomeno? In effetti gli esemplari stanno aumentando al ritmo del 10% l'anno: attualmente ne abbiamo tra i 2 mila e i 2.500. I disagi sono noti: oltre al caos mattutino per chi abita ai piani superiori dei condomini, non mancano gli assalti alle persone che camminano in centro con cibo in mano. Fatti del genere sono stati segnalati sulle Rive, in viale XX Settembre e in altre zone della città, tra cui gli stabilimenti balneari come il Pedocin. Passeggiando con un toast, un panino o un gelato, si rischia di rimetterci le dita. Scrivono i forzisti: «In questi anni è stato registrato un importante incremento della popolazione - si legge nel testo della mozione - tale situazione rappresenta fonte di disagio ai cittadini dal momento che i gabbiani sono soliti nidificare nei tetti degli edifici e che, per nutrirsi, tendono a prendere di mira le isole ecologiche nonché i tavolini dei bar e quant'altro riescono a trovare lungo le strade pubbliche». Le iniziative per contenere la proliferazione spettavano finora alla Provincia ma, come ricordano Camber, Babuder e Polacco, l'ente è stato chiuso. «La competenza ora è della Regione, che ha avocato a sé la delega - fanno notare i tre consiglieri comunali - quindi è da lì che devono arrivare i finanziamenti necessari affinché il Comune possa attuare un'immediata opera di contenimento dell'espansione dei volatili». I forzisti citano quanto attuato nella vicina Croazia: «Ha portato concreti risultati un progetto di monitoraggio e di controllo del popolamento dei gabbiani, più precisamente del gabbiano reale (Larus cachinnans) varato nel 2011, che in sei anni sul territorio compreso tra i comuni di Cittanova e Rovigno ha visto calare di un terzo il numero di questi volatili. La sperimentazione in questione - sottolineano - consiste nel collocare nei nidi uova finte di plastica in modo da evitare il proliferare dei gabbiani stessi senza in alcun modo avvalersi di tecniche invasive quali la rottura delle uova». Camber insiste: «La gente è molto arrabbiata, ormai i gabbiani sono come predatori carnivori, attaccano i colombi e pure le persone con cibo in mano. Dobbiamo trovare fondi per finanziare esperti che se ne occupino. Così non si può andare avanti». Ma la proposta di Forza Italia si scontra con il parere degli esperti. L'ornitologo Enrico Benussi, che segue il problema a Trieste e a livello nazionale da metà degli anni Ottanta, scuote il capo: «Ridurre la popolazione è estremamente difficile - spiega - e comunque questi animali sono in grado di riconoscere subito un uovo finto, quindi lo abbandonano. Abituiamoci a convivere, perché la situazione è ormai sfuggita di mano». E la sperimentazione tentata in Croazia? «Una balla», taglia corto l'ornitologo. «Ciò che si può fare, invece, è agire sulle fonti alimentari, evitando di dar da mangiare e di lasciare immondizie fuori dai cassonetti, ad esempio». Anche perché, come precisava l'esperto in una recente intervista sulla questione, «parliamo di animali capaci di adattarsi al contesto in cui vivono. In città i gabbiani frequentano i cassonetti ma è pieno di gente che li alimenta regolarmente. A Trieste - ironizzava - non ci sono soltanto le “gattare” ma pure le “gabbianare”».

 

 

AURISINA - Passeggiata creativa domani sul Carso

È in programma domani la Passeggiata creativa di primavera “Itinerario al chiaroscuro”, organizzata da Casa Cave di Visogliano. L’obiettivo è andare alla scoperta di un incantevole territorio, fra soleggiati sentieri e ombrose grotte carsiche, dando vita a un laboratorio fotografico itinerante, ideato da Alice Sattolo, guida naturalistica, e Fabiola Faidiga, artista visiva. A guidare il gruppo sarà Massimo Goina. Lo sguardo e il lavoro fotografico dei partecipanti permetterà lo sviluppo di un progetto visivo e collettivo, che sarà presentato entro il 2017 nel corso della Mostra “Il colore dei luoghi”. Ritrovo alle 9.30 ad Aurisina.

 

 

 

 

Affari Internazionali - GIOVEDI', 20 aprile 2017

 

 

Da Mediterraneo a Ue via Italia - Gas: una visione strategica paga

Un accordo storico è finalmente giunto a maturazione, in un clima di disattenzione generale, per il gasdotto East Med che potrà collegare il Mediterraneo orientale all’Europa. Attingerà dalle enormi risorse di gas off shore del Leviatano, a nord di Israele (circa 530mmc), e ne trasporterà una parte verso l’Unione europea passando per Cipro, la Grecia e l’Italia
All’inizio di aprile è stata firmata l’intesa dal commissario europeo per l’energia Miguel Canete, dal ministro Carlo Calenda e dai ministri corrispondenti degli altri Paesi, nella distrazione causata dall’esito deludente del G7 Energia.
Il percorso viene da lontano. East Med è stato incluso già nel 2015 tra i Progetti di Comune Interesse (PCI) della Commissione europea; è stato compreso nel Piano decennale di investimenti per rafforzare il mercato unico dell’energia; ha beneficiato del fondo Connecting Europe Facility (CEF), con due milioni di euro che hanno co-finanziato lo studio di fattibilità di IGI-Poseidon (società ad oggi 50% Edison e 50% Depa).
L’esito positivo ha quindi aperto alla progettazione di un gasdotto di circa 1.300 km off-shore per il collegamento tra Israele, Cipro, Creta e il Peloponneso e circa 600 km in superficie per attraversare la Grecia, e poi l’Italia, dopo l’Accordo di aprile. Una capacità di trasporto di 10 miliardi di mc di gas, estendibile a 20, con un costo previsto di sei miliardi di euro.
Un accordo di rilevanza straordinaria
È un accordo di rilevanza straordinaria, poiché ripropone le risorse del Mediterraneo orientale al centro degli interessi economici e politici dell’Ue, in un momento delicatissimo per quella regione in cui l’Europa stenta a marcare il protagonismo che le compete nell’area. Si pone come rotta complementare alle forniture esistenti e programmate del gas russo: non è quindi un’azione diretta contro la Russia, che l’Italia non avrebbe potuto sottoscrivere.
Da anni, chi ha a cuore il ruolo dell’Italia in Europa e nel Mediterraneo, e si occupa di energia, auspica e si adopera per la conclusione di un accordo di questa natura: un tassello concreto per la costruzione di un hub mediterraneo del gas in cui l’Italia potrebbe riacquisire il peso costruito ai tempi di Enrico Mattei, al quale si è di nuovo predisposta in questi anni rafforzando le infrastrutture e disponendo regole necessarie e chiare per dare certezza agli investimenti.
I benefici di una strategia di lungo periodo
Il valore del progetto sta nei molti elementi che contribuiscono a una strategia di lungo periodo, economica e geopolitica, basata sull’energia, che trascendono i confini dell’Ue e dei Paesi del Mediterraneo orientale. Con le necessarie precauzioni per l’incertezza futura, anche l’Italia potrebbe trarne vantaggi importanti. Posso solo richiamare qui i benefici principali.
1. Per l’Ue il gasdotto rappresenta un evidente passo avanti nella strategia dell’Energy Union (2016), volta a diversificare le fonti di importazione di gas e petrolio. L’Ue, si sa, importa 70% del gas che consuma di cui il 40% dalla Russia. Il nuovo gasdotto vede il Mediterraneo tornare al centro della sicurezza energetica.
In termini di politica interna il transito del gas dal Mediterraneo verso il Nord riequilibra la geografia europea e rafforza la posizione dei Paesi della faglia Sud, troppo spesso indicati solo come elemento di debolezza nella contabilità dell’Unione. Aggiunge inoltre un elemento di sicurezza per l’Unione, consolidando la capacità di approvvigionamento attraverso corridoi meridionali che non dipendono direttamente dal transito attraverso la Turchia.
2. Per l’Italia il transito del gas integra e rafforza la posizione del Paese in Europa, offrendo un contributo positivo sul terreno delicatissimo della sicurezza energetica. In termini economici, l’indotto delle nuove infrastrutture creerà reddito e occupazione, oltre a valorizzare gli investimenti di Snam Rete Gas, già attuati in conformità con la regolazione europea per consentire il flusso bidirezionale del gas.
Nella stessa ottica il nuovo Accordo si colloca nella prospettiva dell’impegno italiano nel Mediterraneo, che vede l’Eni protagonista delle grandi scoperte di gas in Egitto (la riserva di Zohr). L’Italia è storicamente un grande importatore del gas russo e continuerà ad esserlo nella transizione energetica; il gasdotto del Mediterraneo è dunque complementare alla fonte russa.
3. Per le due sponde del Mediterraneo, infine, East Med si configura come una strategia di mutuo interesse economico e politico. In un’ottica geopolitica, la costruzione di interessi comuni non può che essere vincente nello scenario drammatico del Mediterraneo orientale. Dopo la “pace dell’acqua”, stretta tra Rabin, Peres e re Hussein di Giordania nel 1994 sulla quale è stato costruito un percorso duraturo di cooperazione e non belligeranza, l’energia costituisce un secondo tassello nella stessa direzione di accordi regionali.
Non è ancora chiaro come Donald Trump imposterà alla fine la politica di esportazione del gas non convenzionale; per l’Ue e per l’Italia i passi perché si avvii in concreto un hub del gas nel Mediterraneo con l’Accordo firmato in aprile costituisce un elemento di sicurezza e crescita.
Contrasti e ostacoli per venditori e compratori
I contrasti da tenere sotto controllo sono sembrati di volta in volta insormontabili per varie ragioni. Il produttore, Israele, ha superato con difficoltà nel 2015 lo scoglio del consenso del Parlamento all’esportazione del gas, facendo salvo l’uso per il consumo futuro interno; ha poi tenuto aperta per lungo tempo l’opzione della via verso il Pacifico, da privilegiare poiché il differenziale di prezzo significativo con l’Europa (7 $/mmBtu in Europa a fronte di 11 $/mmBtu in Giappone, 2015 fonte BP) rendeva più conveniente la vendita del gas a questa regione.
È prevalsa infine la strategia di dirigere il gas anche in Europa, data l’entità delle riserve disponibili e l’arco temporale di lungo periodo coinvolto. Ma la Turchia prima, i Balcani poi, sono parsi allora i candidati favoriti per il transito verso l’Europa, mentre restava aperta la via del GNL da trasportare in Europa, possibilmente attraverso i rigassificatori spagnoli. Tutti progetti che avrebbero escluso il passaggio dall’Italia
Anche da parte dei compratori gli ostacoli erano di complessa soluzione. Infatti l’Ue esprime una storica diffidenza nei confronti di Israele, aggravata dalle recenti politiche di Benjamin Nethanyau nei confronti dei palestinesi. E nel contempo la strategia europea dell’Energy Union (2016) volta a diversificare fonti, Paesi e rotte di approvvigionamento del gas, non ha prodotto politiche conseguenti, in particolare per la valorizzazione delle riserve del Mediterraneo orientale.
Le cause sono complesse: le rotte meridionali sono state di fatto congelate dalla dialettica tra i programmi di Putin sui nuovi gasdotti e le regole dell’Unione volte a contenere il potere di mercato e la strumentalità politica del gas russo; un aspetto nel quale a tratti si è intromessa la voce sotto traccia degli Stati Uniti, oltre all’incertezza politica causata dagli eventi in Turchia.
Nel 2016 si è poi aggiunto il progetto bilaterale tra Germania e Russia per la costruzione del gasdotto North Stream 2 che raddoppierebbe la capacità di trasporto del gas russo verso l’Ue, facendo della Germania lo snodo centrale delle importazioni di gas verso l’Europa e rendendo di fatto ridondanti investimenti in infrastrutture nel corridoio sud; il progetto russo-tedesco è ancora in stallo, bloccato dalla verifica del rispetto della concorrenza e dalle regole frapposte dall’Ue per la salvaguardia degli impegni comuni europei, ma l’esito della trattativa politica non è affatto scontato.
La distrazione del G7 ha creato le condizioni straordinarie per cogliere il momento e firmare l’Accordo: un beneficio inatteso dell’era Trump!
In estrema sintesi, l’intesa stretta tra i quattro Paesi del Mediterraneo e l’Europa mostra in tutta evidenza la valenza strategica di lungo periodo, in cui la convergenza di interessi economici tra Ue e sponda orientale del Mediterraneo può e deve giocare un ruolo politicamente strategico. La costruzione in tempi brevi del gasdotto East Med potrebbe segnare una svolta decisiva anche per il ruolo dell’Italia nella strategia energetica europea. Il condizionale è d’obbligo, poiché si tratta di un passo importante nell’ambito di un lungo percorso travagliato, dove ogni ostacolo rischia di bloccare la traiettoria di lungo periodo.
Valeria Termini (*)

(*) Commissario dell’Autorità per l’Energia elettrica, il gas e il Sistema Idrico (Aeegsi); Vice Presidente del Council of European Energy Regulators (Ceer). L'autrice esprime opinioni proprie e non coinvolge le istituzioni di appartenenza.

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 20 aprile 2017

 

 

Il Parco del mare svela i numeri - Mutuo trentennale da 30 milioni progetti» il piano finanziario - il conto economico del primo decennio
Stimata una spesa di 19 milioni solo per l’acquisto e la manutenzione delle vasche e degli impianti interni al grande acquario
Le vasche per i pesci costan care: il prezzo previsto per i soli interni del Parco del Mare è di circa 19 milioni di euro. È uno dei dati che emergono dalla “radiografia” del progetto contenuta nel piano finanziario realizzato nel 2015 dal Gruppo Acb per conto della Fondazione CRTrieste. Di recente la Camera di commercio ha inoltrato il documento al Comune, finito ora sotto la lente del “Piccolo”: consente di farsi un’idea dettagliata di quali saranno i costi e i potenziali ricavi dell’acquario, oltre al costo complessivo, già noto, di 47,7 milioni di euro. Lo studio Come nasce e in cosa consiste il piano? A fine 2014 l’architetto Peter Chermayeff, maestro mondiale degli acquari, propone una prima versione del progetto e un piano finanziario, elaborato da una società specializzata. Il progetto è magnificente, tanto che i committenti chiedono di valutare anche una versione ridotta. Per farlo, nel 2015 la Fondazione si affida al gruppo Abc. Gli esperti della società prendono in analisi i bilanci dei più importanti acquari del globo e, ricorrendo ai ferri del mestiere, calcolano la possibile evoluzione di un acquario a Trieste. Elaborano tre scenari: lo scenario A, basato sulla proposta Chermayeff, lo scenario B, basato sul progetto Chermayeff ma applicandovi i dati dei primi anni dell’acquario di Lisbona, e lo scenario C, ovvero la versione ridotta che alfine ha conquistato la Fondazione. Quello che, almeno in teoria, dovrebbe veder la luce nei prossimi anni alla Lanterna. Lo scenario Se il progetto Chermayeff prevede una titanica vasca centrale, per un totale di 9,5 milioni di litri d’acqua, lo scenario C parla di 5,5 milioni di litri d’acqua. Una massa minore ma comunque molto grande, se si considera che la grande vasca di Lisbona ne contiene 3,8 milioni. La superficie lorda per ogni scenario è di circa 11mila metri quadrati: quindi anche con la variante ridotta l’area occupata sarà più o meno la stessa, anche se l’edificio sarà più basso. I tempi di realizzazione sono di circa 4 anni e mezzo. Partendo nel 2015, la struttura doveva esser pronta nel 2020, che lo studio considera come primo anno di attività dell’acquario. Per la Camera di commercio, primo promotore del progetto, la scadenza è ancora valida. La realizzazione Per lo scenario C lo studio prevede costi da 47,7 milioni. Ma come dovrebbero essere spesi questi danari? La spesa più onerosa riguarda interni e impiantistica, 19 milioni. Segue la costruzione dell’involucro, 10,7 milioni, e le demolizioni e preparazione del sito, 5,172 milioni. La progettazione e direzione lavori dovrebbe costare 4,363 milioni. Con quali soldi? Lo studio prevede un mutuo trentennale da 30 milioni di euro e un patrimonio di partenza di 20 milioni. Fonti interne ai promotori del progetto assicurano che il capitale iniziale è già superiore (18 milioni vengono già da Fondazione e Cciaa, cui si aggiungono i fondi della Regione, almeno 4 milioni) e che il mutuo da stipulare sarebbe ventennale. Costi e ricavi Secondo Abc lo scenario C consentirebbe di chiedere un canone di locazione di circa 2,6 milioni. Molto superiore alla cifra prospettata negli altri due scenari. Nel primo anno di attività si prevedono ricavi da quasi 16 milioni di euro e costi per quasi 13 milioni. Le cifre salgono fino a 18 milioni di ricavi e 15 milioni di costi per il 2028. Secondo le proiezioni, inoltre, lo scenario C sarebbe l’unico ad avere un rapporto utile netto/fatturato in linea con i parametri medi degli altri grandi acquari mondiali. Ma da dove vengono i ricavi? Prendiamo il primo anno, il 2020. La parte del leone la farebbero i biglietti: oltre tre milioni e mezzo. Un altro milione e 300mila euro verrebbero dal merchandising, a seguire le altre voci. Come tutti i documenti degli esperti, il piano finanziario va preso così com’è, sarà in caso la realtà a confermarlo o smentirlo. Di certo bisognerà consultarlo a lungo per scoprire se era corretto. Alcune proiezioni arrivano a futuri lontanissimi, come il 2049: infin che'l mar fu sovra noi richiuso.

Giovanni Tomasin

 

Un documento spuntato dopo un lungo silenzio - LO STUDIO
Un piccolo giallo: perché il piano finanziario è saltato fuori soltanto adesso? La Camera di commercio sostiene di averlo trasferito già a suo tempo al Comune, con cui intratteneva regolare corrispondenza. Le carte però in Municipio non si trovavano, e l’allora sindaco Roberto Cosolini è tra i firmatari della richiesta dell’audizione sul Parco del Mare in cui si chiedevano lumi proprio sul piano finanziario. Il capogruppo del M5S Paolo Menis è «perplesso»: «Io ho fatto una domanda di attualità su questo, ma il vicesindaco Pierpaolo Roberti ha negato che il Comune abbia a disposizione questi documenti. Adesso li abbiamo, ma da quel che mi risulta sono arrivati dopo». Quanto al progetto Menis commenta: «Devo approfondire il piano finanziario. L’ultimo studio che avevo visto risaliva al 2009 e parlava di cifre enormi di visitatori per sostenere una struttura del genere». Ma le cose veramente importanti a questo punto, incalza il pentastellato, sono altre: «I soldi per realizzarlo verranno anche dal futuro gestore Costa oppure la società entrerà nell’impresa con poco rischio?». Per quanto riguarda il Comune, conclude, «basta fare una modifica al Piano regolatore. Poi però bisogna capire l'impatto su viabilità, parcheggi e così via».

(g.tom.)

 

Previsti a regime 68 posti di lavoro - I settori con più addetti sono destinati a essere quelli tecnici - Sette dipendenti impegnati nel marketing e 12 nel negozio
Il Parco del mare dovrebbe impiegare direttamente una settantina persone. È uno dei dati più interessanti del piano finanziario del Gruppo Acb. Il rapporto ipotizza una struttura organizzativa composta da 68 lavoratori. Il costo del personale previsto (sui dati del 2015) è di 2,57 milioni di euro, con un’ipotesi di incremento pari al 2% annuo. Cosa faranno i dipendenti della società di gestione che prenderà in mano la struttura? Secondo lo studio 23 persone dovrebbero essere impegnate direttamente nell’acquariologia e nello sviluppo del percorso. Altre 12 curerebbero l’aspetto tecnico e di sviluppo dell’acquario. Sette sarebbero poi destinate al settore vendite e marketing. L’amministrazione e il settore personale occuperebbero quattro persone, mentre i servizi e la direzione generale altri sette. La didattica culturale e scientifica impegnerebbe tre addetti. Nel negozio lavorerebbero invece 12 persone. La sezione “costi” del piano fornisce anche molte altre informazioni. Curiosando tra le spese che il gestore dovrà sostenere dopo aver preso in mano la struttura, si possono capire molte cose su come si sostiene oggi giorno un acquario. Ci sono ad esempio i costi definiti “aquariologia”, intrinsechi a questo genere di struttura, che ammontano a circa 0,28 euro per litro d’acqua. È proprio questo particolare a far sì che la variante “ridotta” del progetto, il cosiddetto scenario C, abbia una spesa sensibilmente minore rispetto a quello iniziale: 1,55 milioni di euro contro 2,67 milioni. I costi di marketing, comunicazione e promozione dovrebbero aggirarsi invece attorno al milione. Quelli per la rivisitazione e le migliorie del percorso di visita sono stati stimati attorno ai 220mila euro, mentre le manutenzioni dovrebbero attestarsi sui 330mila euro. Il piano parla poi di assicurazioni per 15 euro ogni metro quadrato di superficie lorda (circa 165mila euro), emolumenti agli organi societari per 250mila euro e altri costi generali per 410mila euro. Su tutte le voci Acb ipotizza un incremento medio annuo del 2%, le stime sono basata sui dati del 2015. Il gestore dovrebbe poi pagare un canone di locazione di 2,6 milioni di euro, pari al 16,6% del fatturato. Anche in questo caso si ipotizza una rivalutazione annua, pari all’1,5%. La società prevede anche, nell’anno antecedente all’apertura, ulteriori costi relativi al personale e alla sua formazione, ad esempio corsi di marketing e comunicazione. E i guadagni? La stima di Acb prevede un introito medio per visitatore di 17,8 euro. Ovviamente non si tratta del costo del biglietto, che dovrebbe prevedere riduzioni di vario tipo, e che in media dovrebbe aggirarsi sui 14 euro. Al dato vanno sommati 1,7 euro per l’acquisto di merchandising e 1,5 euro per la ristorazione. Si ipotizzano inoltre ricavi da 150mila euro l’anno grazie all’organizzazione di eventi e ricavi da sponsorizzazione pari a 0,35 euro per visitatore. Altri 150mila euro dovrebbero arrivare dalla didattica, contributi per programmi scientifici e altre donazioni. Tutto da calcolare è l’impatto dell’eventuale indotto.

(g.tom.)

 

In vetrina solo pesci nati in cattività - Garantita l’assenza di delfini. Preventivato un budget di 425mila euro per il cibo
il “parco” da arricchire È prassi per questo tipo di strutture ampliare le dotazioni
I delfini non ci saranno. I promotori del progetto del Parco del Mare l’hanno ribadito più volte, l’acquario non metterà in mostra mammiferi prigionieri. E gli altri animali nelle vasche saranno tutti nati in cattività. Ma gli animali, appunto, saranno presenti e costituiranno il principale fattore di attrazione per i 700mila visitatori annui previsti dal piano finanziario. Di quali creature marine si tratterà non è ancora dato sapere. Potrà chiarirlo soltanto il progetto definitivo dell’opera, chiunque sia il suo autore finale: ancora non si sa, infatti, se l’architetto statunitense Peter Chermayeff accetterà di firmare anche una versione ridotta di quello che voleva fosse il suo capolavoro di fine carriera. Quel che sappiamo, però, è che le spese per la voce “cura degli animali” sono previste nel piano finanziario. Solo nel primo anno si prevedono 100mila euro, che diventano 425mila nel secondo e aumentano gradualmente fino a circa 500mila verso la fine degli anni Venti. Il piano tiene conto poi del costo degli alimenti, che dovrebbe aggirarsi attorno a 385mila euro l’anno: è un altro fattore che abbassa la spesa rispetto all’idea Chermayeff, che avrebbe comportato una spesa di 665mila euro. Realizzare gli habitat per gli animali e acquisire gli stessi “ospiti” non sarà un'operazione facile. La spesa prevista dal piano finanziario è di 4.7 milioni di euro, per i quali è previsto un ammortamento in otto anni. Ma nessun acquario vive nel tempo della dotazione che aveva all'inizio. È prassi in tutti i grandi acquari del mondo di ampliare gradualmente il proprio parco ospiti, rinnovando l'offerta per attrarre visitatori e riportare alla propria porta quelli passati. Ecco quindi che il piano ipotizza per gli esercizi fra il 2022 e il 2028 investimenti pari a 1,2 milioni di euro per singolo esercizio, proprio al fine di rinnovare le dotazioni e apportare migliorie al percorso di visita. È un aspetto che ha suscitato le proteste della Lega Antivivisezione e del Comitato Trieste per gli animali, contrari a rinchiudere in cattività gli animali. I comitati hanno spiegato più volte le loro ragioni, scendendo in piazza per ben due volte sotto al municipio con cartelli e striscioni. Per loro i fondi dell’acquario andrebbero impiegati altrimenti. Hanno dichiarato alla vigilia di una delle ultime manifestazioni: «Con quei soldi si possono fare tante altre cose: incentivare il patrimonio culturale triestino; risolvere il degrado del parco di Miramare; investire nel Museo di Storia ed Arte di Piazza della Cattedrale; curare il verde dei parchi cittadini, molto trascurati, a beneficio di chi ha famiglie ed animali».

(g.tom.)

 

Hotel e garage sotterranei nell’ex Fiera - Prime coordinate del progetto di rilancio delineato dai nuovi proprietari austriaci. Martedì incontro a Trieste con la giunta
Il futuro dell'ex Fiera di Trieste inizia pian piano a delinearsi. Il management della Mid, la holding austriaca che una decina di giorni fa ha acquisito all'asta il comprensorio di Montebello per 12 milioni di euro, sarà a Trieste martedì prossimo per un sopralluogo all’interno di piazzali e padiglioni. Probabile anche un incontro con la giunta comunale e altri incontri d'affari. Una tappa in città che testimonia la volontà del gruppo di Klagenfurt di non perdere tempo. Difficile però, al momento, entrare nel dettaglio di ciò che sarà costruito nell'intero perimetro. Il Piano regolatore comunale prevede comunque abitazioni, aree commerciali, alberghi e parcheggi, ad esempio. Ed è su queste coordinate che il progetto dovrà porre le proprie basi. «È troppo presto per decidere - mette le mani avanti Walter Moser, general manager della società - non posso dire in anticipo cosa verrà edificato. Il piano urbanistico obbliga a costruire almeno 9.500 mq di appartamenti - ricorda - ma sul resto siamo liberi di fare ciò che desideriamo. L'intenzione è dare spazio a negozi, uffici e hotel. E certamente ci sarà un garage sotterraneo». Il contratto di vendita del complesso sarà ufficializzato entro l'estate. Ma la holding si prende sei mesi, grossomodo, per articolare con esattezza il progetto. Subito dopo contatterà le autorità locali per i permessi necessari. Un anno e mezzo, a grandi linee, i tempi per chiudere i lavori. L'investimento complessivo nell'ex fiera, tra demolizioni e nuove edificazioni, dovrebbe aggirarsi indicativamente tra i 60 e i 70 milioni di euro. Si tratterà di un mega cantiere da 20 mila metri quadrati, compresi tra piazzale De Gasperi, via Rossetti, via Revoltella e via Sette Fontane. Di questi, ben 7.160 sono scoperti, per un volume fabbricabile di 108 mila metri cubi. Sono stati gli uffici comunali a stabilire il valore: per la destinazione immobiliare era stato usato un parametro di 2.250 euro al metro quadrato, per quella commerciale di 2.047 euro; per gli uffici, ancora, la di 2119 al mq, oltre ai possibili ricavi derivanti dalla vendita dei posti auto nel garage che si pensa di costruire. Sarà proprio la Mid a gestire l'intero intervento. La società, che come noto ha sede a Klagenfurt, è specializzata nell'immobiliare e vanta un'esperienza decennale nel settore. Opera in Europa, tra cui Ungheria, Slovacchia, Croazia e Slovenia, oltre che in Austria. È alla holding che si deve, ad esempio, i centri commerciali “Qlandia” di Maribor e Nova Goriza. L'azienda si è aggiudicata la fiera nell'asta di dieci giorni fa per 12 milioni e 318,44 euro, 2 milioni in più rispetto alle valutazioni iniziali stimate dal Comune. L'interesse sul comprensorio di Montebello è motivato dalla particolare collocazione geografica del capoluogo del Friuli Venezia Giulia, come aveva spiegato lo stesso Moser. «Trieste è una città molto importante - affermava - che ha un'ottima posizione sul confine con la Slovenia, questo è un buon motivo per investire lì. Non abbiamo ancora una pianificazione concreta - ribadiva - ma il Piano regolatore ci permette di avere un'idea su cosa siamo autorizzati a fare: negozi al dettaglio, hotel, uffici, appartamenti e supermercati. Abbiamo una storia lunga che si è focalizzata soprattutto sui centri commerciali, ma per quanto riguarda Trieste siamo dell'opinione che quella è un'area già sufficientemente coperta da questo punto di vista». Più facile quindi veder ipotizzare la creazione di negozi di vario genere, e dimensioni più contenute, distribuiti sull'intera area assieme ad abitazioni e hotel, insomma, che un unico blocco coperto simile al Giulia o alle Torri. «Noi - puntualizzava Moser - abbiamo molta fiducia nelle istituzioni e io verrò a breve per osservare la situazione complessiva». Il manager è atteso in città proprio martedì prossimo

Gianpaolo Sarti

 

Dal valore immobiliare ritoccato all’insù all’asta aggiudicata al prezzo di 12 milioni
Il valore immobiliare dell'ex fiera, passato da 7 milioni a 10 milioni e 304.273,03 euro, è cresciuto grazie alle modifiche urbanistiche apportate al Piano regolatore del Comune. Era di poco più di 10 milioni, dunque, la base d'asta del comprensorio su cui contavano i soci della spa in liquidazione. Ma la Mid ha acquisito la struttura una decina di giorni fa per 12 milioni e 318,44 euro, 2 milioni in più rispetto alla somma prevista inizialmente. L'investimento che adesso si prospetta in quel perimetro potrà variare tra i 60 e i 70 milioni di euro. La struttura è comunque di proprietà della Fiera spa: i due terzi dell'area afferiscono alla società e un terzo al Comune. Dal punto vista delle quote sociali, la spa è partecipata dal Comune per il 25,50% (765 mila euro), dalla Camera di commercio per una quota analoga e dall’ex Provincia per il 24,95% (748 mila euro). A questo assetto azionario pubblico, superiore al 75%, si affianca una platea di soggetti privati (banche, assicurazioni, associazioni di categoria).

(g.s.)

 

 

Dipiazza “convoca” Arvedi a Trieste dopo i boati e le fumate nere

«Arvedi venga a Trieste a trattare la chiusura dell'area a caldo». Il sindaco Roberto Dipiazza “convoca” via Facebook il cavaliere di Cremona dopo le esplosioni e il fumo nero che martedì mattina hanno interessato l’impianto della Ferriera di Servola. «Interessante quanto comunicato nella loro relazione dai vigili del fuoco in merito alle esplosioni e al fumo - riferisce Dipiazza in un video girato e Servola e postato poi ieri su Facebook -. “Si rende necessaria un’approfondita verifica statica di funzionalità da parte di tecnico qualificato alla parte d’impianto coinvolta nell’evento e tutte le opere di assicurazione che il caso richiede”». Il video non fa riferimento invece alle spiegazioni fornite dall’Arpa, secondo cui boati e fumate nere erano da attribuire a «fenomeni rari causati dall'apertura delle valvole di sicurezza in seguito a delle sovrappressioni che si sono generate nell'altoforno: un’anomala canalizzazione dei gas di combustione in fase di fermata dell'impianto per interventi di manutenzione». Il sindaco ha però colto l’occasione per chiedere la chiusura della cokeria. «La Ferriera oltre a mettere a rischio la salute dei cittadini sta diventando molto rischiosa anche per i suoi lavoratori. Invito il cavalier Arvedi a venire a Trieste sia per discutere insieme della chiusura dell’area a caldo perché la città non ne può più, sia pensare a come sviluppare un’industria pulita con il laminatoio». Oltre all’incontro il primo cittadino ha annunciato anche altri iniziative. «Il Comune intanto prosegue con la sua attività di verifica e controllo a tutela della salute dei cittadini e dell’ambiente, e tutta la documentazione che stiamo producendo è trasmessa alla Procura della Repubblica ed alla Corte dei Conti» . La presa di posizione di Dipiazza è stata accolta con soddisfazione dai Comitati che stanno lavorando a fianco dell’amministrazione. «Finalmente questo video contiene un'azione concreta che attendevamo da settimane: la convocazione di Arvedi a Trieste per trattare la chiusura - scrive il Comitato 5 Dicembre -. Certamente il video non è la convocazione ufficiale che forse è già partita o partirà adesso per iscritto ma è un'azione reale. Bene! Aspettiamo la reazione e la risposta di Arvedi».

 

Studi su rischi ambientali e danni alla salute - Accordo pilota con l’Istituto superiore della sanità. In arrivo dal Cipe 7 milioni per il Polo intermodale
TRIESTE Missione romana dal doppio risultato quella portata a termine ieri dalla presidente della Regione. Debora Serracchiani, da un lato, ha firmato l’accordo con i vertici dell’Istituto superiore di sanità (Iss) per attività di monitoraggio e ricerca sullo stato di salute dei cittadini residenti nelle aree a maggior rischio ambientale, come gli abitanti del rione di Servola, a Trieste, “vicini di casa” della Ferriera. Dall’altra ha incassato il via libera del Cipe allo stanziamento da 6,9 milioni di euro per il secondo lotto di lavori legati alla realizzazione del polo intermodale dell’aeroporto di Ronchi. Primo impegno della giornata, come detto, l’accordo con la massima autorità nazionale in materia di sanità, definito da Serracchiani «un passo in avanti importante che coniuga ambiente, salute e lavoro». L’intesa si svilupperà attraverso una serie di articolati interventi, il primo dei quali riguarderà, per l’appunto, l’impatto sulla popolazione residente legato alla presenza dell’impianto siderurgico di Servola. «Il possibile legame tra esposizioni ambientali e danni per la salute rappresenta una preoccupazione costante dell’amministrazione regionale - ha sottolineato la governatrice -. Da qui la ferma volontà di sviluppare, assieme all’Iss, in un'ottica di prevenzione, un innovativo sistema di sorveglianza, che, nel determinare la pericolosità dell’esposizione a contaminanti, consenta di intervenire tempestivamente, se necessario, per mitigarne gli effetti e programmare lo sviluppo. Avevamo promesso - ha aggiunto Serracchiani - che la Ferriera poteva continuare a produrre a patto di non inquinare e di vedere applicata una costante attenzione per la salute di lavoratori e dei cittadini. Ora, con questo accordo, stiamo andando verso quella direzione». Tornando ai dettagli dell’accordo sui rischi ambientali, sarà predisposto un sistema di sorveglianza sanitaria che consenta di individuare indicatori di contaminazione ambientale ed eventuali patologie correlate. Parallelamente saranno attuati studi integrati dell’inquinamento dell’atmosfera e del suolo, studi epidemiologici, analisi sui ricoveri ospedalieri e sarà realizzato un avanzato sistema di prevenzione, con verifica nel tempo della sua efficacia. Entro due mesi saranno presentati la progettazione di dettaglio, i compiti e il cronoprogramma delle linee di ricerca e delle singole attività da sviluppare sulle diverse aree del territorio regionale che verranno individuate. Sul fronte infrastrutturale, invece, ottime notizie sono arrivate dal Cipe, che ha pubblicato la delibera 57 con cui viene formalizzato il finanziamento del progetto, presentato dalla Regione e dall'Aeroporto del Fvg, relativo al secondo lotto dei lavori per la realizzazione del Polo intermodale. «Un’opera strategica e attesa da anni - conclude Serracchiani -, che ha oggi tutti gli elementi per essere realizzata in tempi brevi».

 

 

«Una rotonda al posto del semaforo all’Obelisco di Opicina»
OPICINA Spegnere il semaforo e affidarsi alle rotatorie per fluidificare il traffico nell’area sotto l’Obelisco. È l’indicazione prioritaria che il Consiglio circoscrizionale Altipiano Est affida al Comune di Trieste per decongestionare il traffico alle porte di Opicina. Solo uno dei suggerimenti sulla viabilità che il parlamentino ha condensato in un documento inviato al Municipio. «Dalla precedente consigliatura il nostro parlamentino continua a denunciare come quel semaforo sia causa di gravi problemi alla circolazione lungo Strada nuova per Opicina», afferma il presidente della Seconda circoscrizione Marko De Luisa: «Nelle ore di punta si formano lunghe colonne di mezzi che mettono in crisi pure il trasporto pubblico. Il discorso non cambia, anzi peggiora nei giorni festivi. Per risolvere la questione si rende necessaria la dismissione del semaforo, colpevole di tali intasamenti». Perfezionato questo provvedimento, continua il presidente, si deve mettere mano alla viabilità creando a valle del piazzale dell’Obelisco una rotatoria, che permetterebbe ai veicoli da via Bonomea e Scala Santa e intenzionati a proseguire verso Opicina di percorrerla per riprendere il senso di marcia che porta al quadrivio. Per i veicoli da Trieste la creazione di un delimitatore centrale obbligherebbe chi intende raggiungere via Bonomea e Scala Santa ad arrivare al quadrivio per poi ritornare. Tra i nodi più delicati del traffico opicinese, l’incrocio tra Strada per Vienna e via di Basovizza, secondo Altipiano Est, richiede una particolare attenzione. L’indicazione anche qui è di una rotatoria. Si chiede poi di istituire il limite di 30 orari per chi da piazza Brdina accede a via di Prosecco. Quanto all’incrocio tra piazzale Monte Re e via Nazionale la proposta è di ripristinare il doppio senso per via di Conconello, con l’obbligo di svolta a destra, direzione rotatoria centrale, per chi da via di Conconello si immette in via Nazionale.

Maurizio Lozei

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 19 aprile 2017

 

 

Anomalia in Ferriera, boati e nuvole nere - Decine di segnalazioni di residenti. Fenomeno provocato da un’insolita canalizzazione degli scarichi. Intervento dell’Arpa
Un boato deciso, ben udibile a distanza ragguardevole e poi una nube di fumo nero, denso, che saliva e stentava a dissolversi nell’aria carica di umidità della mattinata. Ieri, pochi minuti prima delle 9, in molti nelle zone attorno alla Ferriera di Servola, sono sobbalzati nell’udire il frastuono. E il timore, gli interrogativi, senza giungere alla paura, si sono diffusi: molte le telefonate ai numeri d’emergenza e alle testate giornalistiche e tanti i post pubblicati sui social per tentare di sapere il motivo, l’origine e soprattutto le eventuali implicazioni per la sicurezza di quello che l’Arpa, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, ha subito definito come «un fenomeno raro e atipico», comunque in nessun caso un’emergenza. Tanto che i pompieri non sono stati allertati. Il direttore dell’impianto della Siderurgica Triestina, invece, come da protocollo concordato da tempo ha chiamato il direttore tecnico scientifico dell’ente regionale, Franco Sturzi. I due sono rimasti in costante contatto per un aggiornamento in tempo reale della situazione. Ma cosa ha generato boato e fumata, poi ripetutisi in forma minore? Un’accentuata e anomala pressione dei fumi derivati dalle lavorazioni che la Ferriera effettua nell’altoforno: ieri mattina le sostanze gassose hanno “preso una via” diversa dal solito, provocando una sorta di “tappo” che, quando è “saltato”, ha generato i boati e le nuvole nere. Per fare un paragone e una raffigurazione si può immaginare il motore di un’auto diesel: a volte lo scappamento “fuma nero”. Il comunicato dell’Arpa fornisce una versione più tecnica dell’episodio di ieri. «I boati accompagnati dall'emissione di fumo nero verificatisi nello stabilimento di Siderurgica Triestina a partire dalle 8.50 sono stati causati dall'apertura delle valvole di sicurezza in seguito a delle sovrappressioni che si sono generata nell'altoforno. All'origine delle sovrappressioni, un’anomala canalizzazione dei gas di combustione in fase di fermata dell'impianto per interventi di manutenzione». Per Arpa la sovrappressione durante la fase di rallentamento dell'impianto è, come detto, un fenomeno piuttosto raro e atipico. A tale proposito l'Agenzia per l'ambiente effettuerà degli approfondimenti assieme alla direzione dello stabilimento, al fine di verificare l'adozione di accorgimenti tecnico-gestionali necessari ad evitare il ripetersi di tali anomalie. Arpa fornirà ulteriori ragguagli sulle emissioni di ieri e sull'andamento complessivo dell'impianto siderurgico nel rapporto finale della visita ispettiva, che inizierà oggi e la cui conclusione è prevista nei prossimi giorni.

Pier Paolo Garofalo

 

Aiuole inquinate, via libera al piano - L’Istituto superiore di Sanità ha approvato gli interventi previsti del tavolo tecnico
Parere favorevole dell'Istituto superiore di Sanità sulla proposta di piano stralcio per le aree sensibili elaborata dal Tavolo tecnico composto da Regione, Comune di Trieste, Arpa e Asuits e chiamato ad indagare sull'ipotesi di inquinamento diffuso di sette aree (cinque comunali e due private) del capoluogo giuliano, suddivise fra verde scolastico e giardini pubblici. Lo rende noto un comunicato diffuso ieri pomeriggio dalla Regione Fvg. In dettaglio, l'istituto ha condiviso le scelte di intervento proposte che mirano a interrompere i percorsi di esposizione delle persone agli agenti inquinanti e, allo stesso tempo, a mitigare o bonificare le aree trattate relativamente alle matrici ambientali contaminate. Si tratta di interventi di copertura mediante la posa di un tappeto erboso pronto e/o la stesa di uno strato di ghiaia, oltre alla sperimentazione del fitorimedio, ovvero il miglioramento della qualità dei suoli grazie a particolari tipi di piante. L'istituto superiore di Sanità ha altresì raccomandato, peraltro in linea con gli orientamenti del Tavolo tecnico, di programmare specifici piani di monitoraggio finalizzati alla verifica dell'efficacia delle misure di intervento e di bonifica, alla valutazione della possibile dispersione degli agenti contaminanti e al controllo della qualità dell'aria nella fase successiva agli interventi. Il Tavolo ha quindi dato mandato al Comune di realizzare gli interventi previsti, anche utilizzando le risorse economiche messe a disposizione della Regione per l'ammontare di 350mila euro. Recentemente il problema dell'inquinamento delle aree verdi di Trieste era stato affrontato in IV Commissione del Consiglio regionale, presieduta da Vittorino Boem, nel corso di un'audizione alla quale hanno preso parte l'assessore regionale Sara Vito, l'assessore comunale triestina Luisa Polli, e i tecnici dell'Arpa. La Vito aveva ripercorso la vicenda, iniziata nel 2016, sottolineando come il problema fosse stato affrontato tempestivamente con 350 mila euro e come la situazione fosse costantemente monitorata.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 18 aprile 2017

 

 

La giunta “sfratta” automobili e moto da via Teatro Romano - Stop ai posteggi davanti al monumento e a Santa Maria Maggiore
Masegni e marciapiedi in formato extra large per corso Italia - Gli interventi rientrano nella nuova versione del piano di riqualificazione che attende il via libera dal ministero dell’Ambiente
Tor Bandena? No, perchè ci sono i parcheggi della Questura. Via del Rosario e Piazza Vecchia? No, perchè ci sono i “bouquinistes” triestini. E non è facile trovare siti differenti dove alloggiare vetture e libri. Allora bisogna modificare le coordinate del progetto di riqualificazione di parte del entro storico e con esso la destinazione delle risorse. Lavori Pubblici e Urbanistica comunali hanno pronto l’alternativa: risistemare il marciapiede sud di corso Italia, insieme all’area che raccoglie largo Riborgo, lo spazio prospiciente il teatro Romano, “piazzetta” Marenzi. La traduzione è fornita dall’assessore all’Urbanistica Luisa Polli: «Masegni in corso Italia, ampliamento dei marciapiedi per consentire il transito ciclo-pedonale, segnalazioni di pericolo per gli ipovedenti. Niente auto parcheggiate davanti al Teatro Romano e davanti alla scalinata che porta a Santa Maria Maggiore. Abbattimento della struttura a fianco del teatro, una volta utilizzata a supporto degli spettacoli». Un intervento che, nelle intenzioni della giunta, premette e imposta il percorso storico-artistico tra il teatro romano e il colle di San Giusto. Sono a disposizione circa 730 mila euro: 415 mila a cura del ministero dell’Ambiente, la quota restante sarà garantita dal Comune. La delibera 131, con la doppia firma degli assessori Luisa Polli e Elisa Lodi, è stata approvata di recente in giunta e prospetta un nuovo quadro di opere nella grande “elle” che conduce da piazza della Borsa a via del teatro Romano. Va fatto però in passo indietro per spiegare le ragioni del provvedimento. Tutto risale all’accordo di programma firmato nel dicembre 2008 tra il ministero dell’Ambiente e il Comune triestino (anche allora il primo cittadini era Roberto Dipiazza), che aveva come scopo il finanziamento di opere pubbliche mirate al miglioramento della qualità dell’aria. Su un totale di quasi 4 milioni di euro, il cofinanziamento ministeriale ha coperto i tre quarti della spesa, che è servita a riqualificare piazza della Borsa. E adesso va in scena il secondo atto: dai lavori in piazza della Borsa il Comune è riuscito a ricavare un’economia di 415 mila euro, che l’amministrazione ha “girato” su un ulteriore progetto di riqualificazione riguardante stavolta “le aree limitrofe a piazza della Borsa”. La proposta triestina era stata approvata nel dicembre 2014 dal ministero dell’Ambiente con decreto direttoriale. L’idea dell’esecutivo Cosolini era quella di rimettere a posto appunto via Tor Bandena, via del Rosario e piazza Vecchia, ma la giunta del Dipiazza III - in considerazione della difficoltà a trovare soluzioni alternative per le auto della Questura e per le attrezzature semi-fisse utilizzate dai librai - ha ritenuto di modificare l’orientamento ereditato. Ecco allora apparire largo Riborgo, teatro Romano, “piazzetta” Marenzi. O riapparire, come nel caso di “piazzetta” Marenzi, che in buona sostanza è lo spazio tra via del teatro Romano e il cortile di palazzo Marenzi, ospite di sportelli e uffici AcegasApsAmga. Ancora 9 anni fa si era ipotizzato di intervenire su quel sito, poi non se ne fece niente e il dislivello tra il piano della strada e la corte del palazzo non è stato colmato. La delibera, presentata da Polli&Lodi sulla base del lavoro preparatorio coordinato dai dirigenti Marina Cassin e Enrico Cortese, prevede la trasmissione del cosiddetto “pod” (programma operativo di dettaglio) al ministero dell’Ambiente, onde ottenere il nulla osta alla modifica proposta. Una volta che Roma avrà dato disco verde, l’intervento sarà inserito nel cronoprogramma dei pagamenti in conto capitale sul triennio 2017-19. Il grosso della spesa è assorbito da corso Italia (490 mila euro). La nuova indicazione parte da una valutazione critica dell’attuale degradato assetto viario, sia pedonale che veicolare. Si tratta di un’area molto frequentata dai cittadini come dai turisti e presuppone la necessità di un ripristino all’insegna della buona qualità. Luisa Polli ne è sicura: «Non appena il ministero avrà dato il placet, bandiremo le gare per l’affidamento dei lavori».

Massimo Greco

 

 

Cinque spritz scientifici per salvare il nostro mare

L’Associazione Officina organizza un ciclo di incontri gratuiti con biologi marini per sensibilizzare i cittadini sui temi della pesca e dell’ecosistema marino

Cinque spritz scientifici dedicati al mare e alla pesca, per esplorare la storia di quest’attività da sempre praticata nel nostro Golfo, i problemi, le prospettive future e la sostenibilità delle pietanze ittiche che mettiamo in tavola. È la proposta dell’Associazione Officina, che in collaborazione con Arci Trieste e con il contributo della Regione propone nell’ambito del progetto EcologicaMente l’iniziativa “Tu, Mare, Trieste”: conferenze-dibattito tenute da biologi ed ecologi marini, molti dei quali impiegati all’Ogs, che si propongono di sensibilizzare i partecipanti sull’influenza che hanno le loro scelte alimentari nel preservare l’equilibrio dell’ecosistema mare. «Con questi incontri andremo ad analizzare quale sarà il futuro della pesca in un contesto in cui le risorse ittiche sono in forte diminuzione - spiega l’ecologo marino Simone Libralato -. Ciò è dovuto, oltre che all’inquinamento e al cambiamento climatico, anche alle tecniche adottate per la pesca. Penso al rapido, una pesca a strascico che ara il fondale tirando su tutto quello che trova». La pesca nel nostro Golfo invece è operata spesso in modo sostenibile. Un esempio viene dalla pesca con le lampare, che a Trieste si svolge ormai da cent’anni. «A fine Ottocento per pescare sardine e acciughe in notturna si usavano bracieri sospesi sulle barche - racconta -, poi negli anni ’20 i pescatori napoletani trapiantati a Trieste iniziarono a utilizzare lampade ad acetilene per attrarre il pesce e reti a saccaleva per raccoglierlo. Tutta un’altra storia rispetto alla pesca praticata a Chioggia, dove invece dagli anni ’60 si usano le “volanti”, grandi imbarcazioni che sono in grado di lavorare anche d’inverno, quando le lampare si fermano». Anche se è difficile trovare una soluzione per impedire lo svuotamento dei mari i consumatori possono fare molto: «Basta scegliere il pesce giusto in pescheria - spiega Libralato -. È importante fare caso alla taglia, che non dev’essere troppo piccola, e alla stagionalità del pesce. Se mangiamo sardine o acciughe in inverno possiamo stare certi che non verranno da Trieste». Tutti questi temi saranno approfonditi nei prossimi incontri di “Tu, Mare, Trieste”, che oltre alla conferenza prevedono anche un buffet a tema. Gli appuntamenti sono a ingresso libero: giovedì 20 alle 19 al Circolo Di-Sotto di via bernini 2 Tomaso Fortibuoni parlerà di “Il mare com’era”. L’11 maggio toccherà a Diego Panzeri con “Cento anni di pesca con le lampare a Trieste” al’Arci di via del Bosco, seguito, il 25 maggio, da Diego Borme con “Aspettando il momento giusto”. Due gli appuntamenti di giugno: l’8 con “il pesce e le sue stagioni” e il 22 con “Che pesci pigliare?”. Info e calendario completo sul sito arcitrieste.org o sulla pagina Fb di Arci Trieste.

Giulia Basso

 

L’Ogs alla sfida sulla biodiversità - L’Osservatorio geofisico sperimentale di Trieste entra nel progetto europeo LifeWatch

Biodiversità ed ecosistemi, due tematiche fondamentali che richiedono sempre un maggiore approfondimento in una società che si trova ad affrontare sfide di livello globale che riguardano elementi cruciali come approvvigionamento delle risorse, sviluppo economico, sicurezza ambientale e benessere dell'uomo. Indirizzata a studiare questi aspetti è la struttura europea LifeWatch, composta da otto stati membri, tra cui l'Italia che coinvolge pure l'Ogs, e che recentemente ha ricevuto dall'Unione europea lo status di Organismo Internazionale di Infrastruttura Europea di Ricerca che corrisponde all'acronimo Eric. La prima assemblea di questo nuovo gruppo sarà a Siviglia l'8 e 9 maggio. Perché questo nuovo "formato" ? La Comunità Europea riconosce la ricerca nel campo della biodiversità come prioritaria, non soltanto attraverso i puntuali programmi di finanziamento per le numerose azioni progettuali a breve termine, ma vi attribuisce una rilevanza tale da decretare l'istituzione di LifeWatch-Eric come soluzione di lungo periodo per garantirne la sostenibilità in un tempo maggiore. Questa iniziativa è la 14° infrastruttura di ricerca europea ad ottenere l’ importante riconoscimento. Nasce con otto stati membri fondatori e tre sedi comuni. Attraverso l'utilizzo delle nuove tecnologie informatiche, garantisce l'accesso a estesi sistemi di dati sulla biodiversità, assicurandone standardizzazione ed interoperabilità, e mettendo a disposizione di ricercatori e decisori politici strumenti e servizi che permettono la creazione di veri e propri ambienti di ricerca virtuali e sostengono il processo politico decisionale. L'Italia, attraverso il Miur ed il Cnr, vi gioca un ruolo fondamentale. Lavorano in sinergia gruppi di ricerca attivi sulle tematiche dell'ecologia informatica, della biodiversità e degli ecosistemi, appartenenti a trentuno istituzioni di grande rilevanza nazionale. Joint Research Unit (Jru) coordina il contributo italiano a LifeWatch e il Bel Paese ospita all'Università del Salento il Centro Servizi, una delle tre sedi europee comuni del progetto, e contribuisce con l'Istituto Italiano Distribuito di Ricerca sulla Biodiversità. In particolare l'Ogs si occupa di svolgere studi sempre inerenti alla biodiversità e di fornire dei dati. «Attraverso la sezione di Oceanografia fisica e biologica - spiega Bruno Cataletto, ricercatore dell' istituto triestino nella sezione di Oceanografia fisica -, partecipiamo rilevando elementi relativi alla biodiversità. Ad esempio la boa Mambo, posizionata a Miramare, raccoglie dati chimico-fisici riguardanti ad esempio la salinità e la temperatura dell'acqua». Cosa cambia ora con questo nuovo status? «Avviene una modifica nella struttura perché anche attraverso il centro italiano si creerà la possibilità di sviluppare maggiori ambienti di ricerca virtuali e reali e dunque una maggiore collaborazione fra istituti europei e partecipazione a progetti con il vantaggio per i singoli istituti di ulteriori scambi scientifici, pubblicazioni di articoli. Insomma si creeranno dei motivi maggiori per realizzare un enorme networking».

Benedetta Moro

 

 

Knulp - Viaggio nella mente delle api - Nella mente delle Beezzz alle 17.30 Via Madonna del Mare 7/a

Oggi pomeriggio alle 17.30 al Knulp Bar di via Madonna del Mare 7/a, i volontari di Greenpeace di Trieste organizzano un incontro divulgativo in collaborazione con Cinzia Chiandetti, dal titolo “Nella mente delle Beezzz – Le cose insospettabili che sanno fare le api”. La ricercatrice dell’Università di Trieste terrà un intervento sul comportamento delle api, a conclusione del quale ci sarà spazio per le domande del pubblico e per il dibattito. A seguire, i volontari del gruppo locale di Trieste presenteranno la campagna “Agricoltura sostenibile” condotta da Greenpeace, con particolare riferimento alle questioni legate alle api e ad altri insetti impollinatori, i veri protagonisti dell’evento. L’incontro è libero e aperto a tutti. Sempre al Knulp, alle 21, serata musicale con lo Sfregola Trio con Fabio Sfregola, Luca Demicheli e Andrea D’Ostuni.

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 16 aprile 2017

 

 

Pacchetto da 3,4 miliardi per le grandi opere in Fvg - Circa 1,8 miliardi per la velocizzazione della linea ferroviaria Venezia-Trieste

Gli interventi sulla Terza corsia e per il porto. C’è anche una pista ciclabile - LE OPERE PRIORITARIE NEL FVG
TRIESTE Il governo conferma le opere strategiche del Friuli Venezia Giulia. Nell'allegato Infrastrutture che accompagna il varo del Def, un totale di 119 voci da complessivi 35 miliardi, ci sono anche i treni, i porti e le autostrade della regione. A un "pacchetto" già noto si aggiunge pure l'impegno per una ciclovia lungo la direttrice Trieste-Lignano Sabbiadoro. Il totale delle risorse necessarie a completare l'agenda infrastrutturale Fvg? Circa 3,4 miliardi. L'intervento più rilevante dal punto di vista economico è la velocizzazione della Venezia-Trieste, opera a carico di Rfi da 1,8 miliardi. Il sogno costosissimo della Tav, con il Nordest che spingeva per inserirsi nel puzzle infrastrutturale del terzo millennio, è tramontato. Si parlava di Corridoio 5 (oggi Mediterraneo) e si ipotizzavano imponenti investimenti, quantificati nel 2010 in 7,4 miliardi per le tratte Venezia-Ronchi e Ronchi-Trieste. Nel 2014 Fvg, Veneto, governo e Rfi concordarono però sulle modifiche del tracciato (quello che, in Veneto, puntava sui treni ad alta velocità in prossimità delle spiagge) optando per la valorizzazione della tratta esistente, con un impegno finanziario di 1,8 miliardi (tra gli interventi in regione pure sdoppiamento e scavalco del bivio San Polo a Monfalcone). Nell'accordo 2016 tra Regione e Rfi si sono ulteriormente definiti i dettagli che, migliorando le prestazioni del tracciato ferroviario ed eliminando le criticità esistenti (raggi delle curve, passaggi a livello), consentiranno di aumentare la velocità della linea ferroviaria fino a 200 km/h, al punto da ridurre i tempi di viaggio tra Mestre e Trieste fino a 50 minuti in meno rispetto a oggi. A metà agosto scorso il Cipe ha dato il via libera a una tranche da 150 milioni che, in aggiunta ai 50 milioni stanziati in precedenza, confermavano l'annuncio di 200 milioni fatto dal ministro Delrio un anno fa in occasione di un vertice Italia-Cina a Trieste. Nel Def viene poi confermata la strategicità della terza corsia, altra opera che in tempi di crisi ha visto ridotto l'investimento: rispetto al 2009 si è passati da 2,1 a 1,5 miliardi. Lo Stato è già intervenuto con 160 milioni, mentre il finanziamento di Cassa depositi e prestiti è stato raddoppiato da 150 a 300 milioni. Un tesoretto che, unito a entrate crescenti grazie alla ripresa dei traffici, ha consentito ad Autovie Venete di riavviare la stagione dei cantieri. A fine 2016 è stato sottoscritto l'affidamento dei lavori tra Gonars e Palmanova: il primo stralcio del quarto lotto, circa 5 chilometri per la cui realizzazione saranno spesi 65 milioni. In programma quest'anno anche il secondo sublotto - nodo di Palmanova-casello di Ronchis -, cui seguirà la sottoscrizione dell'accordo per il terzo che comprende il tratto da Palmanova a Villesse. In totale, il valore dell'intero quarto lotto ammonta a 222 milioni di euro. Il Def cita quindi i collegamenti ferroviari portuali e la razionalizzazione della capacità nei segmenti Ro-Ro e container di alcuni porti, tra cui Trieste. Anche in questo caso la premessa è un'intesa con Rfi firmata nel novembre 2016 da Debora Serracchiani, dal presidente dell'Autorità portuale Zeno D'Agostino e dall'ad di Rete Ferroviaria Italiana Maurizio Gentile. I miglioramenti, che interessano il nuovo Piano regolatore dell'area di Campo Marzio e la connessione con le aree portuali del Punto Franco Nuovo, costeranno 70 milioni, di cui 50 finanziati da Rfi e la restante parte dall'Autorità di Sistema Portuale. La novità del Def è infine l'inserimento della ciclovia Trieste-Lignano (tra aggiustamenti delle rete esistente e nuovi collegamenti il costo è di 10,8 milioni). La sollecitazione era arrivata dalla Fiab regionale, la Federazione italiana amici della bicicletta, e Serracchiani se n'è fatta carico chiedendo in una lettera al ministro Delrio di tenere conto anche del tratto in regione, all'interno dell'Eurovelo 8, la dorsale che parte in Spagna e termina in Grecia.

Marco Ballico

 

 

Tutti pazzi per gli Horti nel parco di San Giovanni

Primavera non bussa. E a san Giovanni sboccia la voglia di pollice verde: i fiori di Horti tergestini, il festival a tema green giunto alla 12.ma edizione, hanno attirato nel parco dell’ex ospedale psichiatrico uno sciame composito di curiosi e appassionati, novelli e habitué, ragazzi, vecchie signore raminghe e intere famiglie. Noncuranti del maltempo, sono arrivati anche dal Friuli, dal Veneto e dalla Slovenia per fare acquisti all’ombra dei glicini. E non si sono limitati agli articoli da giardinaggio. Per chi volesse unirsi al coro c’è tempo fino a domani sera. Il trio composto da Claudio, Andrea e Rosalba si è sbizzarrito nello shopping: hanno comprato fragole, piante grasse ma anche diverse salse. «Sono venuto qui per la prima volta l’anno scorso e mi sono innamorato della location», ha detto Andrea. Tra gerani e azalee si trovano anche stand con prodotti più rari. Come quello di Ivan Lupatelli, dell’azienda agricola Morello, che da Cantiano nelle Marche ha portato a Trieste le sue conserve, preparate a partire dai cosiddetti “frutti antichi”. Pera angelica, corniolo, mirabolano, visciola: i nomi bastano a evocare i profumi della campagna appenninica. Maria Pia è arrivata da Concordia Sagittaria, spinta dal passaparola: «Ne ho sentito parlare molto bene - ha detto -, così mi sono decisa a visitare Horti Tergestini, nonostante il maltempo. È la prima volta che vedo il parco di San Giovanni e sono impressionata dalla sua bellezza. Mi piacerebbe tornare a maggio, per la fioritura del roseto». Nel frattempo, Maria Pia curiosa tra gli oggetti di “Le Marchand de Sable”: noci brasiliane profumate all’uva rossa, foglie di cocco alla verbena, petali di caprifoglio allo zenzero sono solo alcuni dei profumatori per ambienti naturali ottenuti tramite la tecnica dell'immersione negli oli essenziali. L’idea è del signor Massimo Rocco, che porta avanti l’attività a Musile di Piave aiutato dalla figlia Agnese. L’elenco delle particolarità potrebbe continuare, dai gioielli in metalli riciclati realizzati da Marco Paolini di Rupinpiccolo, ai dolci artigianali della pasticceria Liberty della triestina Lisa Angelini. Nell’ambito della botanica si spazia dagli ortaggi alle piante decorative, fino alle erbe aromatiche e officinali. La società agricola Cosolo-Le officinali, di Pieris, coltiva queste ultime con metodo biologico, poi le trasforma in oli essenziali e saponi. Non sono mancati gli ospiti fissi, come Laura e Rita, che vengono tutti gli anni da Udine «a comprare qualche piantina», o come il triestino Jacopo in compagnia dei parenti: «Per noi gli Horti Tergestini sono una tradizione di famiglia: ogni anno troviamo un nuovo elemento per il nostro giardino». La mostra-mercato sarà visitabile a ingresso gratuito anche oggi e domani, da mattina a sera. Chicca di oggi, il concerto balkan delle 19. All’inaugurazione, ieri, hanno preso parte anche Nicola Bressi, direttore dei Musei Scientifici di Trieste, la governatrice Debora serracchiani e l’assessore regionale alla Cultura Gianni Torrenti, che ha dichiarato: «Questo parco è un modello culturale, d’integrazione e inclusione. Ecco perché la Regione, per valorizzarlo, è pronta a collaborare con L’Azienda sanitaria e con il Comune».

Lilli Goriup

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 15 aprile 2017

 

 

Dibattito in consiglio - Maxirotonda in viale Miramare - A breve il via alle prove tecniche
Prove tecniche di ingresso in Porto vecchio attraverso la rotonda. Le annuncia l'assessore all'Urbanistica Luisa Polli, dopo che in Consiglio comunale la capogruppo del Pd Fabiana Martini ha chiesto se la rotonda sarà accompagnata da una ciclabile o meno. Polli a questo proposito coglie la palla al balzo per annunciare che a breve sarà fatta appunto una «prova tecnica» di ingresso anche per le automobili che lungo viale Miramare provengono dal centro di Trieste e sono dirette verso Barcola, e che l’accesso all'area sarà confinato al parcheggio del Magazzino 26: «In questo modo avvieremo di fatto i lavori per la realizzazione della rotonda e capiremo come gestire il flusso del traffico». Ma partiamo dall'interrogazione. In Consiglio comunale Martini ha chiesto se il progetto della nuova rotonda in viale Miramare prevede un «anello ciclabile di qualità»: «Le rotonde - ha spiegato l’ex vicesindaco - riducono l'incidentalità per le auto, ma se di raggio ampio e sprovviste di anello ciclabile possono essere invece molto pericolose per chi si muove in bici a causa dei numerosi punti di intersezione e degli angoli ciechi». In questo modo, ha aggiunto Martini, si terrebbe fede al punto del programma Dipiazza che prevede «due piste ciclabili monodirezionali in Porto vecchio». In quanto titolare della delega all’Urbanistica, Polli interviene per dire che «le piste ciclabili rientrano nel progetto della bretella che dovrebbe collegare l'ingresso di viale Miramare alle Rive»: «La pista verrà quindi realizzata quando arriveranno i 50 milioni stanziati dallo Stato, una parte dei quali dovrebbe servire proprio per la bretella. Prima di iniziare quei lavori, ovviamente, dobbiamo far passare le opere di urbanizzazione, almeno la condotta in cui si potranno poi infilare le fognature e tutto il resto». Al momento, quindi, «un progetto ancora non c’è, aspettiamo prima di avere i soldi in mano». Bisognerà poi avviare un lavoro di concertazione assieme alla Sovrintendenza per capire come e dove si potrà metter mano per costruire la bretella: «Bisogna tener conto del fatto che in Porto vecchio tutto è vincolato, anche le rotaie del treno. Per cui dovremo confrontarci a lungo per stilare un progetto che sia rispettoso dei vincoli sul patrimonio culturale». Nel frattempo, però, il Comune sta apprestando le prime opere per rendere fruibile il Porto vecchio anche dal punto di vista normativo: «Bisogna tener conto del fatto che attualmente la gente che entra in Porto vecchio non dovrebbe poterlo fare - dice Polli -. Quel che faremo quindi sarà di collocare una barriera provvisoria in maniera tale che si possa accedere fino al parcheggio del Magazzino 26, magari per assistere a una mostra». Ci saranno degli interventi di manutenzione anche sul manto stradale: «Al momento la strada è usurata e dobbiamo metterci mano perché non sia pericolosa per gli scooter. Si tratterà comunque di lavori provvisori, visto che poi dobbiamo aprire tutto per le opere di urbanizzazione».

(g.tom.)

 

FIAB ULISSE «Ascensore di San Giusto per i ciclisti»

«Per quanto riguarda l’annuncio degli assessori Rossi e Polli inerente l’accesso al pubblico dell’ascensore interno al Park San Giusto, Fiab Ulisse auspica che l’accordo includa i ciclisti diretti verso San Giusto». Così il presidente di Fian Ulisse Luca Mastropasqua: «Sarebbe un forte incentivo per i cicloturisti».

 

 

Cestini omaggio per la raccolta dell’umido - Al via il progetto itinerante dedicato all’importanza della differenziata. Oggi il debutto a Horti Tergestini
Far compiere alla raccolta differenziata dei rifiuti umidi un salto decisivo. È l’obiettivo dell’iniziativa itinerante lanciata da AcegasApsAmga e denominata “L’umido che fa la differenza”. Oggi a Trieste si raccolgono infatti circa 5.500 tonnellate di umido-organico in un anno, corrispondente a circa 6% del totale dei rifiuti raccolti sul territorio triestino. L'iniziativa ha come obiettivo finale di aumentare di 1000 tonnellate i volumi di umido raccolti: uno sforzo che AcegasApsAmga saprà valorizzare, dal momento che già oggi il 98,4% del rifiuto umido-organico raccolto a Trieste va inviato a recupero. A tale scopo la multiutility coglie l’occasione degli Horti Tergestini, che si svolgeranno da oggi a martedì, per lanciare la nuova campagna che prevede 14 tappe itineranti a cavallo dei mesi di aprile e maggio in cui sarà possibile recarsi presso la postazione AcegasApsAmga, in base ad un calendario prestabilito, e richiedere all’addetta presente allo stand un cestino omaggio insieme al quale verranno fornite utili informazioni sulle modalità di raccolta di questo tipo di rifiuto. I cestini sono un’iniziativa già nota ai triestini visto che a Natale 2014, si sono recati in decine di migliaia allo stand AcegasApsAmga dei mercatini natalizi per richiederlo alle addette presenti. Il successo riscontrato e le richieste di una replica dell'iniziativa arrivate in questi anni, hanno spinto AcegasApsAmga a sfruttare l'occasione pasquale per realizzare una nuova campagna dedicata a questo rifiuto, ma questa volta non stazionerà per due settimane in un unico mercato, si sposterà, invece, da una postazione all'altra per venire incontro alle diverse necessità dei cittadini. Qui di seguito il calendario de “L'umido che fa la differenza”: oggi e lunedì dalle 9.30 alle 16 a Horti Tergestini nel parco dell’ex Opp; domani sempre a Horti Tergestini ma dalle 14 alle 20. Sabato prossimo, 22 aprile, al mecato Piazza Goldoni - dalle 9.30 alle 12.30. Giobedì 27 aprile al punto vendita Cocop di Roiano dalle 9.30 alle 12.30. Due giorni dopo, il 28 aprile, al punto Coop di Barriera dalle 9.30 alle 12.30. Sabato 29 sarà poi la volta delle Coop all’interno delle Torri d’Europa dalle 9.30 alle 12.30. Fissato anche il calendario di maggio: il 2 dalle 9.30 alle 12 al mercato di piazza Vittorio Veneto; il giorno dopo al mercato coperto di via Carducci. I giorni 8,9 e 10, infine, tappa ai mercati di Opicina, Ponterosso e Borgo San Sergio.

 

I fondali del canale ripuliti da ruote, barche e cartelli - Chiusa la maxioperazione di bonifica voluta dall’Autorità portuale a Ponterosso

Quattro sub specializzati hanno lavorato per due settimane davanti a tanti curiosi - Riesumati dall’acqua moltissimi rifiuti ingombranti accumulati negli anni per colpa della bora ma pure dell’ inciviltà di alcuni

Imbarcazioni, tavoli, sedie, tabelle stradali e pneumatici sono solo alcuni degli oggetti recuperati dai fondali del canale di Ponterosso in una vasta operazione di pulizia, la prima commissionata dall’Autorità portuale ed effettuata dai sommozzatori della Geomar. Per una quindicina di giorni in quattro si sono immersi, facendo riaffiorare di tutto, materiali spesso finiti in acqua nelle giornate di bora, ma alle volte gettati anche dai maleducati di turno. A seguire le giornate di lavoro sempre un folto pubblico, che in qualche caso ha pure espresso curiosità a dir poco strane, con domande in presa diretta ai sub, oltre che fare foto e video in attesa forse di una “pesca miracolosa” tra un rifiuto e l’altro. Grande l’interesse dimostrato dalla gente, tanto da chiedere interventi simili anche in altre zone della città. «L’attività, svolta per conto dell’Autorità di sistema portuale dell’Adriatico Orientale e coordinata dall’ingegner Eric Marcone dell’Ufficio tecnico, si è conclusa il 13 aprile - spiega Paolo Furlan, della Geomar Sommozzatori Srl - e abbiamo potuto contare anche sull’ausilio di palloni di sollevamento e altre attrezzature professionali che hanno provveduto a rimuovere dal fondale del canale una notevole quantità di oggetti, di varia natura, che negli anni si erano depositati, in parte a causa dell'incuria dei cittadini, vedi le tante batterie o i copertoni, in parte a causa della bora, in tal caso risultano essere venuti a galla tabelle, cassette, teloni, tavolini e sedie. Sono stati anche recuperati quattro relitti, altri sono stati smantellati e portati in superficie a pezzi. Il tutto, una volta salpato dal fondo, è stato caricato sui mezzi messi messi a disposizione dall’AcegasApsAmga e conferito nelle discariche». Nelle varie giornate di intervento si è formato sempre un numeroso pubblico di spettatori sulla riva, attenti a ogni piccolo movimento dei sub e a tutto ciò che riemergeva dal fondale un po’ alla volta. «In tanti si sono fermati a osservare pazientemente le operazioni di pulizia», aggiunge Barbara Fornasaris, sempre della Geomar: «Alcuni erano turisti di passaggio, che si sono messi a sbirciare cosa stava succedendo, ma la maggior parte erano triestini. Guardavano ma ponevano anche delle domande, in un misto di curiosità e quesiti anche strampalati. Tra i più strani ci hanno chiesto se era in atto una caccia a uno squalo, e poi se sott’acqua c’era una perdita di gas. In generale si sono dimostrati felici per lo smantellamento della sporcizia accumulata. Finora erano già stati fatti interventi simili nel canale, ma da gruppi sportivi senza queste attrezzature e solo in determinati punti. Si tratta della prima pulizia commissionata dall’Autorità portuale e di tale portata, con grandi macchinari utilizzati. Ha suscitato così tanto entusiasmo da parte della gente che in molti ci hanno chiesto di poter ripulire anche altri spazi. Vedremo se sarà possibile». E così tra le richieste di delucidazioni sui vari oggetti ripescati, ai sommozzatori è stato dunque proposto dai triestini di ispezionare e liberare dalle immondizie anche altri tratti di mare. «Ci hanno segnalato tutto il tratto delle Rive e poi ancora spazi in prossimità di moli e società nautiche, zone dove le persone passeggiano e sono abituate a notare nell’acqua vari oggetti. Molto spesso è il vento a farli cadere e lì rimangono. Anni fa avevamo fatto interventi per conto dell’AcegasApsAmga in particolare durante una giornata di forte bora, quando tanti bidoni erano finiti in acqua proprio a Ponterosso. Così sarà successo sicuramente anche per altre aree che i cittadini ci hanno descritto, tratti di mare vicino alla costa». Sarà forse un buon suggerimento per procedere a nuove attività di pulizia in caso ci siano nuove commissioni e fondi da impiegare. A beneficio dell’ambiente e anche del pubblico di passaggio, che a quanto pare ha trovato lo spettacolo imperdibille.

Micol Brusaferro

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 14 aprile 2017

 

 

Ambiente - Rio Ospo e Rosandra sotto manutenzione

Il servizio Difesa del Suolo della direzione regionale Ambiente ha effettuato i lavori di manutenzione idraulica stagionale del rio Ospo, del Rosandra e dei corsi d’acqua minori. Realizzata anche la pulizia del rio Grignano, in prossimità dell’Ictp. «Questi interventi - ha spiegato l’assessore regionale all’Ambiente, Sara Vito - rientrano nell’obiettivo della prevenzione e della cura del territorio, elementi fondamentali per scongiurare il rischio idrogeologico».

 

 

Il cuore verde della città negli “Horti Tergestini” - EVENTO »San Giovanni
Ritorna nel fine settimana al Parco di San Giovanni, più ricca e profumata che mai, "Horti Tergestini", la kermesse di primavera dedicata alla cultura del verde, dei fiori e dei giardini. Giunta alla 12ma edizione, la rassegna ospiterà nella tre giorni di mostra mercato il meglio del florovivaismo italiano dell'artigianato locale, proponendo ai visitatori dalle nove al tramonto (con ingresso libero), una ricca gamma di piante, fiori, erbe officinali, agrumi, rosai e specie rare, ma anche attrezzi e prodotti per prendersi cura del proprio spazio verde. Oltre a un ricco programma di incontri e conferenze a tema. Promoter di Horti Tergestini, l'Agricola Monte San Pantaleone, la cooperativa che storicamente cura la manutenzione del rigoglioso polmone verde dell'ex Opp, assieme a una nutrita lista di partner, tra cui l'associazione orticola del Fvg "Tra piante e fiori", la Provincia e il Comune di Trieste, l'Università, l'Azienda sanitaria integrata, Trieste Trasporti e Acegas ApsAmga SpA. A siglare domattina alle 11 l'avvio della tre giorni (sabato, domenica e lunedì di Pasquetta) verde, il direttore dei Musei scientifici di Trieste, Nicola Bressi. Non solo mostre mercato di piante, dunque, ma eventi botanici, laboratori sulle potature, incontri culturali, convegni sulle rose, approfondimenti sulle erbe aromatiche, passeggiate guidate nel parco e seminari a tema. 112 gli espositori professionisti da tutt'Italia e anche dall'estero, che proporranno piante, sementi, attrezzi, fiori, ma anche libri di giardinaggio e arredo giardino. Tra gli appuntamenti (programma completo su www.hortitergestini.it) sabato alle 14.30 allo stand 41 del Vivaio Belfiore, l'incontro "Cura, potatura e trattamenti degli alberi da frutto", mentre alle 15, con ritrovo davanti a Il Posto delle fragole, è in scaletta la visita guidata nel parco assieme alla cooperativa La Collina. Alle 17.30 allo spazio Villas, appuntamento imperdibile per gli estimatori delle iris: incontro con Cristina Mostosi per scoprire il mondo delle celebri Iris di Trebecco. Domenica alle 16.30, l'autore Francesco Da Broi presenterà "Il prato è servito" e "D'ogni erba un piatto". A chiudere la domenica di Pasqua, il concerto balkan "Drom pale luma live Cigansky music. Lunedì dell'Angelo, da segnalare (16.30) la conversazione con Elena Macellari, autrice del libro "Botaniche italiane, scienziate naturaliste appassionate".

Patrizia Piccione

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 13 aprile 2017

 

 

«Serve un tavolo con la Regione sull’agricoltura del Carso»
TRIESTE - Organizzare una conferenza sui problemi che l’agricoltura si trova ad affrontare nelle aree svantaggiate. Un tanto per sensibilizzare le comunità sulle difficoltà in cui si trovano a lavorare coloro che, come gli operatori triestini, lavorano in zone impervie, in condizioni difficili, oberati da burocrazie e vincoli asfissianti. La proposta arriva direttamente dall’assemblea ordinaria dell’Associazione agricoltori, riunitasi in Camera di Commercio. Accanto al presidente Franc Fabec e agli altri funzionari dell’Associazione, l’assessore regionale Gianni Torrenti, la segretaria di Stato al ministero dell’Agricoltura sloveno Tanja Strnisa, il presidente della Cia nazionale Dino Scanavino e il professor Gianluigi Gallenti per l’ateneo triestino. «L’assemblea di quest’anno - ha puntualizzato Fabec - è in realtà un convegno. Il tema “Agricoltura: è tempo di cambiamenti” è stato voluto per richiamare l’attenzione delle autorità e della comunità sul momento delicato in cui ci troviamo a operare». Le difficoltà sono note e risalgono sostanzialmente - come sostiene la categoria - al mancato rispetto di Regione e ministero delle Attività agricole di quel Protocollo d’intesa siglato nel 2010 per la realizzazione della Doc transregionale “Prosecco”, che conteneva misure utili a far risorgere l’agricoltura triestina. Nonostante l'impegno e le capacità profuse sul territorio locale da agricoltori e viticoltori, permangono ostacoli e criticità. Vincoli di ogni genere e mancanza di piani di gestione nelle zone gravate dalle protezioni speciali comunitarie di “Natura 2000” sono di ostacolo all’espansione delle colture che vengono comunque prodotte in territori impervi e al limite della praticabilità. Situazioni che non riguardano quelle colture intensive praticate in pianura, privilegiate dalla politica agricola comunitaria. «Per tale ragione - ancora Fabec - invitiamo la Regione a incontrare coloro che, come noi, lavorano in condizioni proibitive».

Maurizio Lozei

 

 

Tommaseo - La scienza si degusta con un caffè

Nuova puntata, al Caffè Tommaseo, del Caffè delle Scienze, il ciclo di incontri informali a tu per tu con ricercatori e docenti ormosso dal Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Trieste. Due gli interventi in programma dalle 17.30, come sempre a ingresso libero: Giorgio Fanò, docente di Fisiologia applicata all’ateneo di Chieti, parlerà de “L’uomo è ciò che mangia. Le incursioni di un fisiologo nella nutrizione umana”, mentre Francesca Malfatti, ricercatrice dell’Ogs di Trieste, discuterà con il pubblico de “Il nuovo Mare! Acidificazione, plastica e black carbon: sfide agli organismi marini”. Come al solito al pubblico non sono richieste particolari competenze, ma solo una certa dose di curiosità. L’obiettivo del ciclo è quello di continuare a rafforzare il dialogo tra l’Università e la cittadinanza, attraverso lo scambio di opinioni e conoscenze sui risultati degli studi e della ricerca.

 

 

Orti e verde urbano Ultimo - incontro

Grande successo, con oltre 100 partecipanti a serata, per gli incontri del programma-percorso di formazione con tema “Orti e verde urbano 2017” promosso dal gruppo Urbi et Horti in collaborazione con il Comune di Trieste. Oggi alle 17.30 nella sala Arac del giardino de Tommasini di via Giulia si terrà il quarto e ultimo incontro su “La cura e la sicurezza del patrimonio arboreo pubblico” con Francesco Panepinto. Il corso, gratuito e aperto al pubblico, si rivolge a chiunque abbia interesse a coltivare un orto per diventare agricoltore urbano, anche sul balcone di casa, o semplicemente sia curioso di apprendere nozioni sulla coltivazione di piante e ortaggi.

 

 

 

 

COMUNICATO STAMPA - MERCOLEDI', 12 aprile 2017

 

 

INTERROGAZIONE PARLAMENTARE SULLE TRIVELLE DI SERENA PELLEGRINO. "IL DECRETO DEL MISE E’ IL CAVALLO DI TROIA PER NUOVE INSTALLAZIONI"

TRIVELLE. SERENA PELLEGRINO ( SI – POSSIBILE): IL GOVERNO NON SI FERMA DAVANTI A NIENTE PER CONSENTIRE ALLE COMPAGNIE PETROLIFERE DI CONTINUARE CON LE TRIVELLE ENTRO LE 12 MIGLIA. IL DECRETO DEL MISE E’ IL CAVALLO DI TROIA PER NUOVE INSTALLAZIONI. INTERROGAZIONE IN COMMISSIONE AMBIENTE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI.
“Il Governo italiano non può continuare a ossequiare i petrolieri e prendere in giro i 12 milioni di cittadini e le 9 Regioni che si sono espresse contro le trivelle in occasione del relativo referendum. Il recente decreto del MISE consente agli impianti di estrazione di idrocarburi che stanno dentro il limite delle 12 miglia dalla costa e dalle aree protette di realizzare nuovi pozzi e nuove piattaforme con la scusa di dover realizzare attività funzionali alla coltivazione di giacimenti di idrocarburi già autorizzate, fino all’esaurimento degli stessi.”
Lo dichiara la parlamentare Serena Pellegrino ( SI – POSSIBILE), vicepresidente della Commissione ambiente della Camera dei deputati che ha rivolto un’interrogazione al Ministero dello Sviluppo economico sul decreto che consente nuove trivellazioni in aree in cui dovrebbero trovarsi solo le infrastrutture comprese nei progetti originari oggetto di autorizzazione.
“ Il Governo – spiega la parlamentare - consente di modificare il programma originario delle concessioni di sfruttamento non certo pensando alle attività di decommissioning, già previste dalle leggi vigenti e soggette alla Valutazione di impatto ambientale e all’autorizzazione da parte del MISE, visto che queste attività, insieme al ripristino ambientale, appartengono a fasi successive a quelle della coltivazione. L’obiettivo reale è consentire alle compagnie petrolifere di modificare in corsa il programma di sviluppo previsto al momento del rilascio della concessione. Sarebbe questa la messa in pratica delle roboanti dichiarazioni dell’ex capo del Governo sull’inutilità del referendum perché di trivellazioni entro le 12 miglia non si sarebbe mai più dovuto discutere?
Il meccanismo normativo congegnato, evitando accuratamente il Parlamento, sembra scritto sotto dettatura dai petrolieri e consente la costruzione di nuove infrastrutture per portare ad esaurimento le riserve ancora presenti nei giacimenti sottomarini. L’evidenza di quanto sosteniamo, ossia che viene eluso il divieto di legge, sta nel testo del decreto: alla lettera a) comma 3 dell’articolo 15 è specificato che sono autorizzate le attività funzionali alla coltivazione “fino ad esaurimento del giacimento e all’esecuzione dei programmi di lavoro approvati in sede di conferimento o di proroga del titolo minerario, compresa la costruzione di infrastrutture e di opere di sviluppo e coltivazione necessarie all’esercizio”
Il risultato del referendum costituzionale, però, ha evitato che le Regioni perdessero completamente la potestà legislativa concorrente allo Stato ed il loro ruolo riequilibratore della tendenza governativa accentratrice delle politiche energetiche. Veneto, Puglia e Basilicata si sono già mosse per far valere il diritto a dire la loro su nuove iniziative di trivellazione. L’attenzione del Parlamento su quanto accadrà in forza del decreto del MISE, dopo questo ennesimo affronto al proprio ruolo, è altissima.”
 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 12 aprile 2017

 

 

Pronti sessanta milioni per trasformare la Fiera

Complesso acquistato dalla Mid di Klagenfurt specializzata nella costruzione di grandi centri commerciali. «Ma per Trieste pensiamo a soluzioni diverse»

La società austriaca che si è appena aggiudicata all’asta per 12 milioni la Fiera è la Mid, grossa holding attiva nel mercato immobiliare con sede a Klagenfurt. Un gruppo con un’esperienza decennale nel settore, a cui in passato si devono analoghe operazioni in Ungheria, Croazia e Slovenia. Per intenderci, è il costruttore degli enormi centri commerciali Qlandia di Maribor e Nova Goriza. Ha intenzione di fare sul serio anche qui a Trieste, evidentemente. D’altronde l’investimento in cui quest’impresa si è imbarcata parla da sé: l’operazione vale appunto 12 milioni e 318,44 euro, due milioni in più rispetto alle valutazioni iniziali stimate dal Comune. Il contratto di vendita sarà ufficializzato entro l’estate. Il futuro dell’area è però ancora tutto da stabilire. Il Piano regolatore del Municipio offre comunque ampie possibilità: abitazioni, spazi commerciali e parcheggi, ad esempio. La Mid ne è consapevole e proprio per questo ha focalizzato la sua attenzione sull’ex Fiera. «Siamo interessati alla collocazione - spiega Walter Moser, general manager della holding - dove possiamo sviluppare un nuovo progetto .Trieste è una città molto importante che ha un’ottima posizione sul confine con la Slovenia, questo è un buon motivo per investire lì». «Non abbiamo ancora una pianificazione concreta - ci tiene a chiarire Moser - ma il Piano regolatore ci permette di avere un’idea su cosa siamo autorizzati a fare: negozi al dettaglio, hotel, uffici, appartamenti e supermercati. Noi - prosegue - abbiamo molta fiducia nelle istituzioni e io verrò a breve per osservare la situazione complessiva», annuncia il manager. Che aggiunge: «Siamo una realtà che opera in molte città della Slovenia, della Croazia, della Slovacchia e dell’Ungheria oltre che dell’Austria - sottolinea - e io mi reco personalmente in ciascuno dei posti per decidere cosa fare. Bisogna capire, inoltre, se troviamo dei buoni affittuari. E scegliere se fare un hotel, ad esempio, dipende dall'investimento complessivo». «Ricordo che siamo un’azienda nata nel ’74», rimarca ancora Moser: «Inizialmente ci eravamo concentrati nello sviluppo di centri commerciali, ad esempio Qlandia a Maribor e Nova Goriza o, ancora, uno dei più grandi in Croazia, a Zagabria, e in Ungheria, a Budapest, alla fine degli anni Ottanta. Abbiamo dunque una storia lunga che si è focalizzata soprattutto sui centri commerciali, ma per quanto riguarda Trieste siamo dell’opinione che quella è un’area già sufficientemente coperta da questo punto di vista». L’investimento futuro nell’ex fiera, tra demolizioni e nuove edificazioni, si aggira comunque attorno ai 60 milioni di euro su un totale di 20mila metri quadrati, compresi tra piazzale De Gasperi, via Rossetti, via Revoltella e via Sette Fontane. Di questi, ben 7.160 sono scoperti, per un volume fabbricabile di 108mila metri cubi. Sono stati gli uffici comunali, come fa notare l’assessore Lorenzo Giorgi, a stabilire il valore del comprensorio. Inizialmente per la destinazione immobiliare era stato usato un parametro di 2.250 euro al metro quadrato, per quella commerciale 2.047 euro. Per gli uffici, invece, la cifra stabilita ammontava a 2119 euro al metro quadrato. Una somma a cui poi sono stati aggiunti i potenziali ricavi che potrebbero arrivare dai posti auto e box. La giunta Dipiazza, con Giorgi in prima fila, è visibilmente soddisfatta e conferma la riuscita dell’operazione immobiliare. «Per poter cedere la struttura della Fiera spa abbiamo fatto un lavoro importantissimo - ribadisce l'assessore - visto che la valutazione del comprensorio è stata fatta interamente dai nostri uffici. Va ricordato che la prima stima ammontava a sette milioni di euro, ma grazie al nuovo Piano regolatore, che guarda a quella parte della città come a una realtà di grande trasformazione, abbiamo raggiunto una quotazione migliore pari a 10 milioni di euro. Il fatto poi che il gruppo austriaco alla fine abbia deciso di acquisire la struttura per 12 milioni, dunque due milioni in più della somma di partenza, vuol dire che il Comune aveva formulato una valutazione azzeccata. Crediamo molto nel rilancio di quell’area e la dimostrazione - afferma l’esponente della giunta - sta nella rapidità con cui abbiamo bandito l’asta. Un risultato che nei prossimi mesi consentirà di portare a Trieste investimenti per 60 milioni. Questo significa rilancio del rione e posti di lavoro. Sono soldi che restano tutti in città, quindi è un risultato eccezionale".

Gianpaolo Sarti

 

GLI AGENTI IMMOBILIARI - «Non solo si recupera un’area degradata Si rilancia pure il valore di un intero rione»

Sull’operazione Fiera arriva il plauso anche dagli agenti immobiliari. «Siamo contenti, finalmente la città potrà recuperare una zona che era in disuso da tanto tempo», commenta Stefano Nursi, presidente provinciale della Fiaip, la Federazione italiana agenti immobiliari professionali.

«La notizia dell’aggiudicazione dell’asta alla società austriaca è estremamente positiva, non ci avrei scommesso - aggiunge - e ora bisogna capire quale sarà effettivamente il progetto che verrà attuato in quell’area. In una superficie così grande probabilmente sorgeranno svariate realtà, d’altro canto il Piano regolatore lo permette - osserva Nursi - e questo è un ottimo risultato per Trieste. Per quanto riguarda la zona in sé, il degrado dell’ex Fiera aveva causato effetti negativi anche per il mercato immobiliare del rione. L’area era decisamente in sofferenza, quindi la vendita del sito è da accogliere con soddisfazione anche da questo punto di vista». La struttura, va ricordato, è di proprietà della Fiera spa: i due terzi dell’area afferiscono alla società e un terzo direttamente al Comune. Dal punto vista delle quote sociali, la spa è partecipata dal Comune per il 25,50% (765 mila euro), dalla Camera di commercio per una quota analoga e dalla Provincia per il 24,95% (748 mila euro). Quindi, di fatto, il Comune controlla più o meno la metà del perimetro. A questo assetto azionario pubblico, superiore al 75%, si affianca una platea di soggetti privati (banche, assicurazioni, associazioni di categoria).

(g.s.)

 

«Le priorità? Negozi e parcheggi» I residenti sperano nella realizzazione di uno “shopping center” che animi la zona

Gli spazi verdi - Tra le richieste degli abitanti anche la creazione di un parco - Il poco movimento - C’è chi rimpiange i tempi in cui le fiere attiravano folle

Un centro commerciale in primis. Ecco cosa fare al posto della Fiera di Trieste. Ma anche un parco e dei posteggi. E chissà che la holding austriaca Mid non ascolti i residenti dell'area intorno, tra Montebello e l'Ippodromo. Ogni posizione ha una ragione d'essere precisa. Nena Stojimirovic, proprietaria dell’omonimo coiffeur, nota proprio la mancanza di negozi in questa zona. Ma anche di parcheggi. «Un tempo c’era più vita da piazza Foraggi in su - dice -, oggi, nonostante l’area sia molto tranquilla e la gente che ci abita anche, manca un po’ di fermento». Se si aggiungesse dunque un centro commerciale, ecco che si fornirebbero nuovi servizi al momento mancanti. «A parte un ristorante qui di fronte, non c’è nient’altro che possa essere un buon punto ristoro qui vicino», osserva. Ma a mancare sono anche i posteggi. «A Trieste - dice - non è una novità questa carenza». Sulla necessità di un blocco di negozi al posto dei padiglioni è d’accordo anche Silvia Crosara, da un anno residente in questa zona. Come se lo immagina questo “shopping center”? «Con diversi fori dedicati alle scarpe, ai giocattoli - risponde Silvia -, ai vestiti per bambini, a una cartoleria, a una lavanderia. Insomma un classico centro commerciale». Anche Shqiprona Buqa, che abita vicino all' ippodromo, è d'accordo. «Ci vogliono nuovi negozi», afferma. Ma poi ci pensa e cambia idea. «Anzi, no, abbiamo bisogno di un parco. Questo giardino in piazzale de Gasperi è pericoloso. È in mezzo alla città, bisogna stare attenti alle auto. Mio fratello, ogni volta che ci va, deve essere guardato in continuazione perché si ha paura finisca in strada». «Spazi di divertimento, residenziale, commerciale e parcheggio - afferma invece Lucio Bassanese, proprietario dell' enoteca Bere Bene - come destinazione mi sembra abbastanza intelligente e soprattutto in sintonia con quelle che possono essere le esigenze del rione, tanto più che ora c'è anche in corso la ristrutturazione della ex fabbrica Sadoch, realizzata all'epoca dall'architetto Romano Boico». Ormai l'edificio della Fiera «è fuori dal tempo. A parte la fiera del caffè, che poi comunque si è spostata e che è internazionale, tutte le altre che sono state fatte nel frattempo erano senza una logica e senza un ritorno perché mi pare il bilancio fosse negativo da tanti anni e non di poco. Rispetto alle altre fiere, ci sono differenze lunari per parcheggio, organizzazione ecc., non ha i servizi - dal casello autostradale ci vuole almeno un' ora per entrare in fiera. Se poi dovessero dare anche un indirizzo migliore all'ippodromo, che è un'altra palala al piede, sarebbe meglio, perché non muove nulla, ci sono quattro gatti che vanno ad assistere e a giocare, è tutto fermo agli anni 60 - 70 come affermano quelli che lo frequentano e vengono da fuori». Maurizio Godnic, del bar Wayra, è proprio contento di questo cambio di rotta per un luogo abbandonato ormai da tanto tempo. «È una bella soluzione, soprattutto perché sono degli austriaci i nuovi proprietari e hanno le idee più chiare di altri nel fare qualcosa di costruttivo perché la zona è stata abbandonata da decenni. Io son qui da 31 anni e la fiera è sempre stata - diciamo - meno fiera perché tutte le manifestazioni sono state spostate man mano in altri luoghi. Anche l'ex Caserma di via Rossetti sarebbe da rivalutare». E quanto pesava questa zona così vuota, lui lo sa bene. «Quando c'erano le fiere qui si lavorava anche la domenica, tutto il giorno, c'era un passaggio e un continuo via vai». E poi c'è anche l'ex fabbrica Sadoch che rappresenta un’altra sfida per rivitalizzare questa parte di Trieste. «È in disuso praticamente da 20 anni. Ora è stata riavviata la procedura per costruire appartamenti. Qualcosa insomma si muove».

 Benedetta Moro

 

 

Il laghetto di Percedol attende il salvataggio di Comune e Regione - Definito l’impegno a un sopralluogo congiunto alla conca e ad altri siti naturali che versano in cattive condizioni

Il progetto di chiusura con un tappo in cemento dell’inghiottitoio d’acqua era stato prima definito e poi bloccato in extremis

A breve il Comune di Trieste effettuerà assieme ai delegati degli assessorati regionali al Territorio e all’Ambiente un sopralluogo alla conca di Percedol, al laghetto di Contovello e ad altri siti naturalistici e antichi sentieri che versano in condizione di criticità. L’intento è di reperire quelle attenzioni e quegli aiuti assolutamente necessari per effettuare manutenzioni straordinarie e ordinarie indispensabili per assicurare un futuro a una serie di ecosistemi oggi in serio pericolo. L’informazione arriva dall’assessore comunale al Territorio, Urbanistica e Ambiente Luisa Polli, intervenuta alla seduta della Commissione per la trasparenza comunale, riunitasi agli ordini del suo presidente Roberto De Gioia per far luce sulla situazione del tutto precaria in cui versa la conca di Percedol con il suo pittoresco laghetto. L’approfondimento sul tema è stato chiesto dall’ambientalista e rappresentante di Legambiente Tiziana Cimolino: «Siamo in tanti a essere preoccupati per la salute della conca di Percedol, con il suo specchio d’acqua sempre più ristretto anche per la presenza di sedimento e tante specie arbustive che ne erodono l’area. Sappiamo che lo scorso mese è stato effettuato un intervento manutentivo diverso da quanto precedentemente previsto - afferma la Cimolino - ma il recupero del sito passa attraverso una ben più lunga serie di lavori che, a quanto consta, sono stati rimandati al prossimo inverno, ovviamente per non disturbare il risveglio primaverile della natura. Intanto le condizioni di salute del laghetto si aggravano». La conca di Percedol, che ricade nel territorio gestito dal Comitato degli Usi Civici opicinese, è un sito di importanza comunitaria, o meglio una Zona Speciale di Conservazione inclusa nell’ambito del progetto comunitario di “Natura 2000”. A causa della presenza di un inghiottitoio naturale che assorbiva lentamente ma inesorabilmente l’acqua, il Comune aveva deciso di intervenire con l’otturazione del sifone e la conseguente bonifica del sedimento marcescente accumulatosi nel letto del laghetto. I lavori, autorizzati dal Servizio paesaggio e biodiversità della Regione e diretti dal direttore del Servizio dei Musei scientifici di Trieste Nicola Bressi, prevedevano l’utilizzo di una sorta di “tappo” di cemento per la chiusura dell’inghiottitoio. «Un’operazione dettata dalla logica - ha fatto presente Bressi alla commissione - anche perché in precedenza i tentativi di otturazione con argilla e tessuto speciale non avevano sortito alcun effetto. Il mio consiglio di realizzare in sostanza una botola in cemento era stato valutato e concordato con tutte le autorità preposte, autorizzato dopo che gli Usi Civici avevano adempiuto alla lunga raccolta di tutti i permessi. In tre anni, con interventi diversi, avremmo inoltre ripulito dai sedimenti l’alveo e i dintorni del laghetto, rimettendo in sesto tutta la conca». Il progetto di Bressi però è rimasto sulla carta. A poche ore dall’esecuzione dei lavori, lo scorso marzo, l’intervento di un soggetto non ancora individuato portava la Regione a bloccare la realizzazione della copertura in cemento e a preferire il riutilizzo di argilla e di tessuto speciale per chiudere il sifone, riproponendo, in sostanza, quanto già fatto in precedenza. A occuparsi dei lavori di copertura una ditta locale. «È chiaro che a qualcuno l’utilizzo del cemento abbia creato delle inquietudini - ragiona Bressi - ma la preoccupazione era infondata. L’occultamento dell’inghiottitoio prevedeva una gettata minima, successivamente occultata da uno strato d’argilla. E a ogni modo, il tempo e la natura avrebbero provveduto in qualche maniera a far legare il calcestruzzo con la pietra carsica. Ricordo poi che la conca di Percedol non è una foresta vergine. Nel passato veniva utilizzata per abbeverare i cavalli lipizzani. Quando lo specchio d’acqua era ben più ampio, veniva utilizzata per pattinare, e il governo austriaco aveva provveduto a realizzare qui un capanno per il noleggio dei pattini. Di quella struttura sono ancora visibili le fondamenta in cemento. Gli alleati a suo tempo avevano piantato qui querce rosse americane e abeti che, sebbene ambientatisi, non appaiono di certo alberi tipici delle nostre doline. Va da sé - conclude - che con un minimo intervento, utilizzando un po’ di cemento, avremmo potuto risolvere definitivamente i problemi di Percedol». In attesa del sopralluogo annunciato, i lavori di asporto dei sedimenti potranno ricominciare solo a partire dal tardo autunno.

Maurizio Lozei

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 11 aprile 2017

 

 

Fiera comprata per dodici milioni da un misterioso gruppo austriaco - Patrimonio»la svolta
La vendita del comprensorio costringerà ora la Trieste Atletica e il Comitato per il Carnevale a lasciare i padiglioni attualmente in uso
Case, negozi, supermercati, parcheggi. Un pezzetto di città, da anni nel degrado, potrà finalmente rinascere. Ieri il Comune ha messo a segno il primo importante atto per il futuro della Fiera di Trieste. Il grande comprensorio è stato battuto all'asta: ad aggiudicarselo una società austriaca. Il contratto di vendita, stando alle primissime indicazioni dell'operazione, sarà ufficializzato entro l'estate. Il nome esatto dell'imprenditore, per ora, resta top secret. Vicenda di una certa riservatezza, par di capire. Nemmeno l'assessore che ha seguito la partita, Lorenzo Giorgi, può sbottonarsi più di tanto. Ma il risultato è certo e pure la cifra con cui è avvenuto il passaggio: 12 milioni e 318,44 euro. Il gruppo austriaco ha dunque offerto 2 milioni in più rispetto alle valutazioni iniziali. Giorgi parla di «autentico miracolo». La notizia dell'acquisto ieri ha cominciato a circolare attorno a mezzogiorno. «Vero, ce l'abbiamo fatta», ha subito ammesso, con soddisfazione, l’esponente della giunta Dipiazza. «Per arrivare a questo esito, veramente sorprendente, ho dovuto vestire i panni dell'immobiliarista - scherza Giorgi - ci è andata bene». Ma cosa ne sarà del complesso edilizio, ora praticamente abbandonato? Le ipotesi si rincorrono, proprio perché molte sono le opportunità offerte dal Piano regolatore. «In quell'area si possono costruire residenze - ricorda Giorgi - ma anche locali commerciali e posti auto, di cui il rione ha un bisogno direi quasi vitale». Probabilmente la zona si trasformerà nella somma di tutto ciò. «Può darsi, vedremo», annuisce l'assessore. Una cosa, però, è certa: nei padiglioni di Montebello non potranno più trovare ospitalità i soci della Trieste Atletica e i carri mascherati del Palio dei rioni. Entramne le realtà, accolte provvisoriamente nei padiglioni vuoti e inutilizzati, saranno ora costretti a sloggiare. Il Prg fa da punto di riferimento non solo per le destinazioni d'uso di edifici e piazzali, ma per l'intera pratica. Compresa la parte economica: le stime aggiornate sul valore dell'area, passate da 7 milioni a 10 milioni e 304.273,03 euro, derivavano dalle modifiche urbanistiche apportate al documento. Era quella, dunque, la base d'asta su cui contavano i soci della spa in liquidazione (Comune, Provincia, Camera di Commercio). L'investimento che adesso si prospetta in quel perimetro, tra demolizioni e nuove edificazioni, si aggira a circa 60 milioni di euro. Non poca cosa per lo zoppicante tessuto economico cittadino. «Già - riflette Giorgi - questo significa lavoro per i triestini». Si tratta in effetti di una zona che si estende per quasi 20 mila metri quadrati, compresa tra piazzale De Gasperi, via Rossetti, da via Revoltella e via Sette Fontane, di cui ben 7.160 scoperti, per un volume fabbricabile di 108 mila metri cubi. Per la quantificazione del valore immobiliare era stato impiegato un parametro di 2.250 euro al metro quadrato, per quella commerciale 2.047 euro; per la parte uffici, invece, la cifra ammontava a 2119 euro al mq. A ciò si sono aggiunti i potenziali ricavi che potrebbero arrivare dai posti auto e box da vendere. «Ho trascorso giornate intere a lavorare sul discorso fiera - sottolinea ancora - e averla ceduta, nonostante tutti avessero escluso qualsiasi possibilità, è un dato sorprendente. Poi il fatto di aver ottenuto 12 milioni di euro...beh, non si può che essere raggianti». Tirando le somme, considerando l'assetto societario, al Comune di fatto vanno poco meno di 4 milioni. «Sono risorse che andranno a bilancio al capitolo alienazioni, da impiegare per opere pubbliche che altrimenti non sarebbero finanziabili».Gli altri 8 milioni e 21 mila euro, invece, sono attribuiti all'ente Fiera spa (di cui il Comune detiene il 25,50% delle quote). Di questi, 6 milioni saranno usati per pagare i debiti dell'ente. «Debiti che, se non fossimo riusciti a vendere la Fiera, sarebbero ricaduti sul Comune, anche perché la Provincia non esiste più. Ma al di là del discorso contabile, ciò che è importante dire è che l'area andrà trasformata con investimenti da 60 milioni di euro».

Gianpaolo Sarti

 

Ma l’ex caserma è terra di nessuno - In passato le istituzioni avevano pensato di riqualificarla per sistemarci le succursali di scuole superiori. Poi il nulla
Il quartiere è costretto a convivere anche con un altro rudere. Proprio di fronte alla Fiera di Montebello, ecco stagliarsi in tutto il suo degrado l’ex caserma Vittorio Emanuele III. Gli enormi edifici che si trovano nel perimetro compreso tra via Rossetti, via Mameli e via Revoltella avrebbero dovuto ospitare alcune succursali delle scuole superiori, in crisi di spazi e con evidenti problemi strutturali. Di questo si era parlato in passato. Ma non se n’è mai fatto nulla. L’ex caserma, chiusa dal 2008, nel frattempo è scivolata in un deterioramento che appare irreversibile, documentato in più di un’occasione con fotografie e video. I palazzi, i viali e le piazzette interne che un tempo ospitavano militari e cerimonie, si sono trasformati nei luoghi privilegiati per le incursioni di vandali e ladri. La rete che dà su via Mameli, accanto al liceo scientifico Galilei, è divelta in più punti. Entrare, saltando oltre il muretto, è semplicissimo. Le vetrate dei palazzi, come evidente, sono state rotte da lanci di pietre o dai pezzi di cornicione che si sono pericolosamente staccati dai tetti con la bora. Per non parlare degli interni, completamente devastati. Così i saloni, le camere e le scalinate. Ma anche i muri, le porte e i pochi arredi rimasti: non c’è nulla che si salvi più. Un’operazione selvaggia che si è concentrata con particolare accanimento sulle decine di bagni che si trovano nelle camerate e negli ex uffici della caserma: lavandini, docce e wc sono stati presi a picconate dappertutto. Probabilmente blitz organizzati con il solo scopo di spaccare tutto. Ma le incursioni dei vandali spesso sono accompagnate dai falò che vengono appiccati all’interno delle stanze: su varie pareti e in più punti dei pavimenti delle stanze le tracce sono inequivocabili. Nei corridoi qualcuno ci ha lasciato pure la firma, con i “tag”: sono i graffittari, con le loro bombolette colorate abbandonate per terra. Per non parlare del grande palazzo di rappresentanza, quello che si scorge da via Rossetti: un edificio elegante, con i pavimenti in parquet di rovere o marmo e gli stucchi sui soffitti. Distrutto pure quello. Oggi sulle porte degli uffici sono ancora visibili le targhette con i nomi degli ufficiali che in passato abitavano questi spazi, così come le insegne del Primo Reggimento San Giusto. O, nel grande piazzale in mezzo alla caserma, i cippi commemorativi. Mentre i vandali devastano, i ladri rubano. Cosa? Soprattutto il materiale elettrico portato via da quadri, cassette e magazzini di servizio. E i cavi, ovviamente, la merce evidentemente più preziosa e commerciabile. In ogni angolo del comprensorio, come raccontato in passato, sono state accatastate decine di bobine. Si sono portati via il rame, i ladri. L’abbandono del comprensorio aveva suscitato proteste: qualche anno fa una parte dell’ex caserma era stata occupata dai centri sociali. Il gruppo Zlt (Zona liberata di Trieste) aveva organizzato una spedizione come gesto simbolico. Chiedevano di restituire gli spazi abbandonati alla città, per farci «un hub di libertà ed entusiasmo».

(g.s.)

 

I lavori del 2015 senza alcun seguito - All’epoca voci, poi smentite, di un restyling finalizzato all’accoglienza
La caserma come spazio di accoglienza per i richiedenti asilo. Anche di questo si è discusso in passato, con tanto di polemiche politiche e interventi istituzionali a smentire i timori di alcuni. È accaduto nel corso del 2015, in piena emergenza profughi. Era fine estate: i residenti erano stati messi in allarme da un insolito via vai che si vedeva all’interno dell’edificio che, come noto, un tempo ospitava il Battaglione San Giusto. Ma in realtà si trattava di semplici interventi di manutenzione dei vialetti e degli spazi esterni, in particolare. Un modo per rendere un’area da 50mila metri quadrati un po’ più gradevole per eventuali acquirenti. Era stato l’ente proprietario dell’immobile, Cassa depositi e prestiti, a rassicurare i cittadini: «Abbiamo allestito una sorta di piccola gara propedeutica alla trasformazione dell’area», avevano fatto sapere i funzionari di Cdp. La gara era stata aggiudicata a Forte Bis, nel pieno rispetto di quanto programmato anche con il Comune, come emerso all’epoca, che risulta l’ente gestore dell’area dopo il passaggio con il Demanio. «La stanno pulendo e risistemando - confermava l’allora assessore Elena Marchigiani - per poi metterla sul mercato nel pieno rispetto di quanto contenuto nel Piano regolatore». Documento che prevede, in quella zona, aree verdi e un polo scolastico. La Provincia aveva proposto di realizzare in quell’area due succursali del Galilei e del Petrarca, attualmente le scuole in maggiore difficoltà di spazi visto che le attuali dependance di via Battisti, all’ex Volta, e di largo Sonnino non appaiono sufficientemente adeguate per i ragazzi.

(g.s.)

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 11 aprile 2017

 

Duello sulla Ferriera tra Serracchiani e la iena - Blitz di Nadia Toffa. Ma la governatrice tiene testa: «Non faccia la spiritosa sulla salute della gente»
Ha cercato di scandire le parole senza farsi dominare dall’irritazione, ha parlato persino sopra la propria interlocutrice, zittendola a un certo punto con un sorprendente «non faccia la spiritosa sulla salute dei cittadini», Debora Serracchiani tiene botta alla iena delle “Iene”, a quella Nadia Toffa che ormai s’è fatta davvero una cultura in fatto di Ferriera con tutte le interviste-blitz compiute in prima persona sull’argomento. Il teatro della più classica delle “imboscate” utilizzate dagli inviati del noto programma tv - ovvero l’intervista a sorpresa a un personaggio mentre questi sta presenziando a un incontro pubblico - è stata in questo caso la Fiera di Verona, dove la governatrice della Regione si trovava per Vinitaly. Aveva appena concluso un’intervista con Daniele Damele allo stand dell’Ersa e si stava preparando a un incontro sulla Doc interregionale del Pinot Grigio delle Venezie insieme al ministro Maurizio Martina e al presidente del Veneto Luca Zaia. Serracchiani si è ritrovata davanti la iena Toffa, e subito si è creato intorno alle due un prevedibile capannello di curiosi e giornalisti (sul sito del Piccolo è possibile sentire l’audio integrale di “Udinese TV”). «Ne abbiamo parlato un sacco di volte solo che voi non ci date retta», ha attaccato la governatrice quando ha saputo quale fosse l’argomento. «Ma ci dica qualcosa di diverso», la lucida replica di Toffa. «Tutti i dati sull’inquinamento sono migliori rispetto agli ultimi dieci anni, pensi un po’», ancora la presidente del Fvg, che poi ha tentato pure lei di fare una domanda: «Ma pensa che uno dorma tranquillo?». «Mi auguro di no», la risposta della iena. «Le posso assicurare di no», la controrisposta. «Ma neanche i cittadini... non è un’industria pulita», la risposta alla controrisposta. «Ma lo sta diventando con fatica, nessuno ha la bacchetta magica sa, tutti gli interventi che sono stati fatti in quel posto non erano stati fatti negli ultimi venti anni, ci faccia lavorare», ha quindi insistito Serracchiani adottando la stessa strategia dell’intervistatrice, cioè coprire la voce dell’altra. «Vado a firmare questo accordo il 19, glielo consegno così lei legge che c’è un impegno vero nei confronti dei cittadini», ancora la governatrice riferendosi all’intervento dell’Istituto superiore della sanità a Servola. Ok ma le fumate arancio? «Spariranno anche quelle... Ci vediamo fra un po’ e vediamo se l’abbiamo fatto». C’è da star certi che le “Iene” torneranno a chiederne conto.

 

 

 

 

COMUNICATO STAMPA - LUNEDI', 10 aprile 2017

 

 

LEGAMBIENTE: PERCHE’ IL PROGETTO “SMART GAS” E’ STATO BOCCIATO

Contrariamente a quanto riportato sulla stampa, la bocciatura del progetto di rigassificatore SMART GAS è principalmente legata a questioni tecniche specifiche e non certo ad un ipotetico conflitto fra tutela ambientale ed industria.
Basta iniziare a leggersi la documentazione. La Regione FVG ha emanato tre delibere sulla questione; nell’ultima si legge: “La Regione FVG evidenzia l’assenza di uno studio che rilevi l’attuale grado di occupazione del canale del porto “. Inoltre, sempre la Regione, sottolinea che:“Fatto ancora più rilevante è l’assenza di valutazioni circa il massimo sviluppo del traffico marittimo che il canale di accesso può sostenere”. La Capitaneria di Porto inoltre afferma che: “Intorno alla nave gasiera si prevederà, similmente a quanto già attuato presso impianti analoghi, un perimetro di sicurezza nel quale sarà vietata la navigazione a tutte le altre unità”. La Regione rileva che: “Tale prescrizione comporta, di fatto, la totale interdizione del traffico portuale a causa della estrema vicinanza tra la banchina di ormeggio della nave gasiera ed il canale di accesso al porto . Posto che altre navi, salvo casi eccezionali, non potranno entrare o uscire dal Porto di Monfalcone per tutte le 21 ore di operazioni necessarie per lo scarico del GNL”. Riguardo alla presentazione di alternative di progetto che sono un obbligo di legge per valutare le possibili minimizzazioni degli effetti di un’opera sempre la Regione sottolinea come: “Dalla lettura della relativa documentazione si comprende come l’analisi delle alternative sia lacunosa sia in relazione all’opzione zero, sia in relazione alle alternative progettuali praticabili”. Per quanto riguarda la cassa di colmata: ”le opere a mare, oltre a determinare un’occupazione permanente su ampie superfici che coinvolgono anche praterie di fanerogame marine, possono potenzialmente determinare modifiche al regime idrodinamico nell’ambito circostante alle opere realizzate. Tali modifiche non sono state analizzate in modo approfondito con un modello idrodinamico, come richiesto dall’Amministrazione Regionale.” Nel parere emesso dalla Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale VIA, il 21/10/2016, leggiamo una nota della Capitaneria di porto che recita: “l’attività del rigassificatore è dichiarata incompatibile con quella dello stabilimento Fincantieri e pertanto l’una esclude l’altra ”. Sempre la Capitaneria di Porto, relativamente alla manovrabilità delle navi gasiere, invita il proponente a rivedere l’intero studio. A questo va aggiunto il parere del Ministero del Paesaggio e dei Beni culturali, il quale afferma in conclusione: “La realizzazione della cassa di Colmata costituisce sicuramente una notevole modifica della linea di costa, tale da risultare evidente, poco mascherabile da qualsiasi veduta e, morfologicamente incompatibile”. Per quanto riguarda la parte naturalistica, in realtà le obiezioni principali sul progetto SMART GAS, relative ai disturbi arrecati all’avifauna, si riferiscono sostanzialmente al rumore, ed è abbastanza evidente che le questioni che hanno portato alla bocciatura riguardino prima di tutto i contenuti tecnici del progetto su cui, per ben due volte, Legambiente ha presentato osservazioni dettagliate che, almeno in parte, sono state accolte dalla Regione e dalla Commissione VIA nazionale.  Speriamo che queste precisazioni possano portare un minimo di chiarezza su una questione che rischia, paradossalmente, di santificare un progetto con mille lacune (e l’imprenditore che lo ha proposto), tentando, anche in questa circostanza, di far passare un’immagine caricaturale della tutela dell’ambiente, cosa che, in questo momento, sembra far comodo a molti.
Legambiente - circolo “Ignazio Zanutto” Monfalcone
 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 10 aprile 2017

 

 

E via della Cattedrale dà l’addio alle auto - Intesa bipartisan sulla pedonalizzazione della parte finale della strada. Il rebus Soprintendenza
San Giusto rinasce. Il Porto vecchio, assopito da decenni, riprende pian piano a vivere. E via della Cattedrale invece sta per chiudere alle auto. Ma solo nella sua parte finale. Per la precisione all'altezza del Museo civico di Storia e Arte e fino al piazzale. Evviva la pedonalizzazione dunque, residenti e Soprintendenza permettendo ovviamente. A constatarlo la V commissione consiliare, che ha fatto un sopraluogo recentemente assieme all'assessore all'Urbanistica Luisa Polli. Sono due le mozioni che si sono unite per richiedere di rimettere in sesto l'area. Da una parte Forza Italia e in particolare Manuela Declich, che è anche presidente della V. «Trieste - ha spiegato - vede ormai nel turismo una delle sue principali forme di sviluppo. È giusto, dunque, mettere a posto e rendere quantomeno dignitosa quest'area». E l'idea piace a tutti, sembra. Sull’altro fronte il consigliere pentastellato Gianrossano Giannini, che invece preme sul rifacimento della pavimentazione in masegni, rialzati da radici degli alberi che bucano il selciato e macchine che sforzano il pavimento. Ma «essendoci un vincolo - spiega Declich - bisogna sentire la Soprintendenza sia per il rifacimento della pavimentazione che per la pedonalizzazione perché se si inseriscono dei paletti che quindi potrebbero forare il suolo, anche in quel caso ci vuole il loro parere». È per questo che come data di decisione si è stabilità l'estate. Meglio fare le cose con calma ma giuste insomma e prendere dunque un po' di tempo. L’assessore Polli assicura che in breve tempo si capirà il da farsi. « È chiaro - ha annotato infatti, riferendosi alla Soprintendenza - che ogni nostra mossa dovrà essere effettuata in piena sintonia con loro, cui compete l'ultima parola». Poi bisogna sondare per bene il pensiero dei residenti del colle che potrebbero perdere almeno venti posti auto. Un cambiamento non da poco per coloro che usano ogni giorno l'area vicina a casa per trasportare i passeggini per bambini oppure le carrozzine per i disabili. In effetti in questi casi in particolare un mezzo a quattro ruote sotto casa fa più che comodo. Per non parlare in generale della richiesta sempre presente dei triestini che si lamentano della carenza di stalli nelle aree residenziali di san Vito, ma non solo, in tutta l'area del borgo Teresiano e di quello Giuseppino. E di parcheggio selvaggio in questi ultimi mesi se n'è discusso abbastanza.

(b.m.)

 

Maxirotatoria in viale Miramare per aprire Porto vecchio alla città - PROGETTI: L'ANTICO SCALO

Al via entro aprile i lavori di realizzazione del “quadri-incrocio” che consentirà subito l’ingresso anche alle auto in arrivo dal centro. A fine anno l’apertura del collegamento con largo Santos

Viabilità e cultura. Sono le due direttrici lungo le quali inizia a prendere forma concretamente la rivoluzione Porto vecchio, dopo il “passaggio di proprietà” - da Autorità portuale a Comune - firmato lo scorso 31 dicembre. A giorni, infatti, l’amministrazione metterà mano alla strada di accesso di viale Miramare, che tornerà ad essere parzialmente percorribile, in attesa del “prolungamento” fino a largo Santos. Mentre, sul fronte culturale, il Municipio si prepara a gestire direttamente i gioielli forse più preziosi dell’enorme area: Sottostazione elettrica, Centrale idrodinamica e Magazzino 26. Una decisione, quella di iniziare il nuovo corso proprio dai contenitori culturali, che prende le mosse anche da un particolare bisogno: «La richiesta di spazi per le attività culturali avanzata ai miei uffici sta diventando incontenibile», afferma l'assessore competente Giorgio Rossi. Ma andiamo con ordine e partiamo delle novità sul fronte viabilità. «Entro un mese - annuncia Rossi - partiranno i lavori per ampliare la rotatoria che al momento s’imbocca da viale Miramare per infilarsi in Porto vecchio». Si renderà così fruibile per tutti l’accesso diretto all’area dei tre edifici che per ora, ufficialmente, così avviene per il resto della strada che porta dalla stazione all'interno del Porto, è riservata solo agli addetti ai lavori delle banchine. Bisogna sottolineare infatti che la linea di costa è comunque di pertinenza dell'Autorità portuale. E nel frattempo si progetta entro l'anno - utilizzando 3 milioni e mezzo dei famosi 50 assegnati dal ministero per quel “grande attrattore transfrontaliero” -, di ripristinare una cintura che renda fruibile interamente il percorso in mezzo ai magazzini: la bretella che va dalla stazione allo sbocco di viale Miramare. La viabilità, definita da Rossi «questione fondamentale e prioritaria vista l’attuale precarietà delle superfici e delle pavimentazioni che sono accidentate e strettamente legate all'accesso», verrà così modificata e migliorata. Quella piccola rotonda, oggi poco praticata, quasi invisibile e in un’unica direzione, che permette l'accesso da Barcola al Porto vecchio, oppure da quest'ultimo alla città, si espanderà su viale Miramare, diventerà un “quadri incrocio”. «Invaderà viale Miramare - spiega Rossi - e permetterà anche a chi viene dalla città di inserirsi in Porto vecchio. Noi vogliamo entrare in Porto vecchio dalla rotatoria, lasciando tutta la parte ferroviaria all'accesso dei soli concessionari. Ci sarà un'iniziale sperimentazione di sei mesi attraverso una serie di new jersey». La destinazione è l'area attorno al Magazzino 26, alla Centrale idrodinamica e alla Sottostazione, «la parte più salvaguardata dal punto di vista della sicurezza» sottolinea. Un percorso che sarà godibile anche coi mezzi pubblici. «Discorso - prosegue Rossi - che affronteremo con Trieste trasporti, in modo da andare a dare vitalità a quella zona e valorizzare poi l’attività museale espositiva perché da lì cominci a pulsare il cuore di Porto vecchio». E qui si inserisce il possesso dei tre contenitori che, almeno nella fase iniziale, consiste soprattutto in questioni prettamente burocratiche. Ovvero «la presa in carico di una serie di nodi cruciali: l'assicurazione, la responsabilità, il rispetto delle normative antincendio, l'inventario dei mobili - specifica l'assessore -. Parliamo infatti di edifici che nell'arco di questi anni sono stati sottoutilizzati. Questa disponibilità - che vede ad esempio la Centrale idrodinamica, magnifica con un salone da 200 posti e il Magazzino 26 nella parte ristrutturata con altri 300 -, deve essere sfruttata il prima possibile, anche perché l’assessorato alla Cultura è subissato di richieste di spazi per organizzare attività culturali. Le “fame” di spazi sta diventando davvero incontenibile». Ultimo step, come detto, sarà la realizzazione del collegamento stradale tra la stazione e la nuova maxirotatoria. «Un’infrastruttura dal grande valore anche simbolico - conclude Rossi - , perchè consentirà davvero di aprire il Porto vecchio alla città».

Benedetta Moro

 

 

La vendita impossibile delle zavorre del demanio -  Roma tenta la carta del web per piazzare sul mercato gli immobili abbandonati

Censiti in Friuli Venezia Giulia 32 complessi tra palazzi, ex caserme e bastioni - Gli immobili del demanio messi in vendita sul web

TRIESTE Soprattutto ex caserme, ma anche fabbriche dismesse, palazzi storici, terreni. Proprietà dello Stato, e in qualche caso dei Comuni, che Roma spera di vedere riutilizzate con il coinvolgimento dei privati. Nulla di semplice a dire il vero. A partire da Trieste. «I prezzi di vendita dei beni demaniali possono anche essere bassi - osserva l'assessore al Patrimonio e Demanio Lorenzo Giorgi -, ma si tratta di immobili quasi sempre abbandonati in zone in cui tra l'altro è quasi inimmaginabile ipotizzare operazioni di sviluppo». La mappa completa compare nella nuova sezione della piattaforma digitale Opendemanio, dedicata alle principali iniziative di rigenerazione e riuso in corso sul patrimonio immobiliare pubblico nazionale. Un totale di 323 azioni di valorizzazione che coinvolgono 410 immobili in tutta Italia. In Friuli Venezia Giulia se ne contano 32 (di cui 20 nella sola Palmanova), da Tarvisio a Trieste. Su Opendemanio i beni sono geolocalizzati. È possibile isolare il patrimonio delle regioni, come quello delle città. Un insieme di edifici militari e costieri, pure i fari, e molti altri immobili che si punta a far rinascere attraverso percorsi amministrativi, finanziari e urbanistici che ridisegnino il territorio arricchendolo di nuovi servizi e opportunità di crescita. Trieste mette in fila nel portale 7 immobili, che il demanio ha già messo all'asta. Compaiono il complesso di edifici di via dei Papaveri e via dei Fiordalisi e l'area adiacente alla caserma della polizia di via Carsia a Villa Opicina (prezzo base 1.420.000 euro), che potrebbero avere una seconda vita residenziale, e altre iniziative che passano invece sotto le voci “mix funzionale” e “in corso di definizione”. A partire dall'ex iutificio adiacente al comando provinciale dei vigili del Fuoco (base d'asta 670mila euro), per proseguire con l'ex caserma dei carabinieri e fabbricati annessi al valico di Gropada (315mila euro), l'ex tenuta Burgstaller-ex caserma Monte Cimone a Banne, che è pure comparsa mesi fa nel sito “Investinitalyrealestate.com”, frutto di una collaborazione multiforze avviata dal ministero dello Sviluppo economico, dal ministero della Difesa, dall'Agenzia del Demanio e curata dall'Ice. In elenco anche un'altra caserma dei carabinieri a Basovizza (base d'asta 200mila euro) e le caserme di pubblica sicurezza di Roiano, almeno quelle un capitolo a parte. Bisogna ritornare indietro al gennaio 2015 quando la caserma di via Mascagni, nel comprensorio della Duchessa D'Aosta, zona Valmaura, è passata in carico alla Polizia stradale. Rimessa a posto e costruita dal Comune di Trieste in base a un accordo con il ministero dell'Interno e l'Agenzia del Demanio, prevedeva a compensazione l'acquisizione da parte del municipio dell'ampio compendio (circa 8mila metri quadrati) della caserma Emanuele Filiberto di Roiano, che nelle intenzioni dovrebbe poter essere utilizzata per spazi e servizi a uso della cittadinanza. In quegli 8mila mq, entrava più nel dettaglio l'allora assessore Andrea Dapretto, ci sarebbero stati una piazza multifunzione, un asilo e vari parcheggi. Nell'agosto scorso, dopo numerosi solleciti, e dopo che era evaporata l'ipotesi di utilizzo come hub per migranti, il Demanio ha aperto un cantiere per la rimozione delle cisterne sotterrate nell'atrio del comprensorio, primo passo di un percorso ormai avviato e che, fa sapere Giorgi, vedrà entro fine maggio la demolizione dell'ex caserma, in tempo per non perdere i finanziamenti di un'opera che si inserisce all'interno del programma di riqualificazione urbana Prusst: investimento complessivo di circa 8 milioni di euro, derivanti da finanziamenti regionali (quasi 6 milioni), statali (un milione e 300mila euro) e comunali (600mila). Una rivoluzione lenta quella di Roiano, in realtà, se si tiene conto che l'intervento di riqualificazione non sarà concluso prima del giugno 2021. «Un'opera purtroppo ridotta nelle proporzioni rispetto a quelle che si sarebbe potuto fare», sottolinea inoltre l'assessore bocciando più in generale l'offerta del Demanio: «Se mi propongono un Dc-9 posso essere gratificato, ma cosa me ne faccio? Gli investimenti sono i benvenuti, speriamo che qualcuno possa avere risorse e idee, ma è difficile che un patrimonio su cui c'è stata poca manutenzione per decenni possa diventare appetibile. L'importante, per Trieste, è che non si creino terre di nessuno». Guardando agli altri beni demaniali della regione inseriti nella piattaforma spuntano le caserme Lamarmora e Toti-Bergamas di Gradisca (messa così male che il Comune ha recentemente disposto, per la tutela della pubblica incolumità, il divieto di sostare in auto o percorrere la via lungo il perimetro dell'ex caserma). Varie altre ex caserme anche a Udine (nella Cavarzerani alcuni lavori sono stati realizzati per l'accoglienza migranti), Tarvisio e Palmanova.

Marco Ballico

 

SEGNALAZIONI - Parco del mare - Il progetto che non c’è

Parco del mare, Consiglio comunale del 6 aprile 2017 (io c'ero): esame e discussione di un progetto che (come l'isola) non c'è. Ingenuamente ci si aspettava che i proponenti presentassero (come promesso) qualcosa di simile ad un progetto. Lo facevano presagire proiettore e schermo in sala. Invece ci hanno mostrato le brutture intorno alla Lanterna, e uno spot di quasi venti minuti su quant'è bello e bravo l'Acquario di Genova. Agli invitati esterni, che bene o male dovevano parlare di un possibile Acquario a Trieste, solo cinque minuti, per non sforare sui tempi. D'altra parte è comprensibile: come si fa a mostrare un progetto che non c'è, grande o piccolo che sia? A questo proposito è stato spiegato che il ridimensionato annunciato qualche giorno prima dal dottor Paniccia era frutto, in realtà, di un equivoco: i giornalisti avevano frainteso le sue parole. Il progetto che non c'è restava quello di prima. Quello stesso che era stato presentato ripetutamente negli anni alle istituzioni, ha ribadito il presidente della Camera di commercio. Sul progetto che non c'è sono stati però condotti seri e oggettivi studi di previsione in merito a sostenibilità economica, flussi turistici, impatto urbanistico, ambientale, paesaggistico, opportunità ineludibile del sito. E poi si tratta di un'opera strategica (questa parola salta sempre fuori quando si vuol fare qualcosa ad ogni costo, magari contro l'opinione della gente): non si capisce come abbia potuto tirare avanti finora Trieste senza un acquario (grande, uno piccolo ce l'ha), con quelle due o tre cose nel suo patrimonio storico, culturale, scientifico, urbanistico, architettonico, paesaggistico. E poi come si fa a dire che il Parco del mare è un'ossessione di Paoletti, se sono solo 12 anni che ci pensa e ci prova? Qualche sprovveduto ha avanzato perplessità sul cosiddetto business plan, ovvero chi ci mette i soldi. È sicuro, o quasi, che da parte pubblica arriveranno (dovrebbero arrivare) circa una ventina di milioni. E i rimanenti ventisette? Esiste un privato disposto ad assumersi un simile onere, con un ritorno col contagocce lungo un quarto di secolo? In attesa di una risposta, qualcuno rassicuri il consigliere Porro: nella grande vasca dell'Acquario (se si farà) quasi sicuramente metteranno pesci, non bambini.

Carlo Dellabella

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 9 aprile 2017

 

 

Tari ridotta a chi dona alimenti ai poveri - La giunta recepisce la mozione di Forza Italia. L’adesione di Despar, Zazzeron, Pam e Masiello
I commercianti e i pubblici esercenti della città che doneranno le eccedenze alimentari ai più bisognosi godranno di riduzioni sugli importi della tassa rifiuti. Va in questa direzione la delibera assunta in questi giorni dalla giunta comunale, che fa seguito a una mozione presentata a suo tempo da tre consiglieri comunali di Forza Italia, il capogruppo Piero Camber, Michele Babuder e Alberto Polacco, e che aveva trovato subito il pieno sostegno dei consiglieri della lista Dipiazza. Il documento trae spunto dalla nuova normativa nazionale, la legge 166 dello scorso anno, che punta a contenere gli sprechi alimentari, farmaceutici e di altri prodotti, che si verificano durante le fasi della produzione, trasformazione, distribuzione e somministrazione. In base alla delibera, il Comune assicurerà riduzioni sulla tassa sui rifiuti in proporzione alla quantità degli alimentari donati. Più precisamente, nell'anno successivo a quello in cui le donazioni saranno effettuate, per chi avrà regalato dai 5 ai 10 quintali la riduzione sarà pari al 6 per cento dell'importo dovuto, dai 10 ai 20 dell'8, sopra i 20 del 10. «Requisito indispensabile - hanno detto Roberto Cason e Francesco Panteca (lista Dipiazza) - il tramite garantito dalle associazioni di volontariato e dalle onlus, che cureranno la distruzione delle eccedenze alimentari». «In questa maniera - ha sottolineato Camber - l'amministrazione conferma la puntuale volontà di essere presente sul piano sociale, tendendo contemporaneamente una mano concreta alle imprese commerciali, che stanno ancora soffrendo per una diffusa crisi economica. Fa piacere rimarcare che siamo il primo Comune della regione che cerca di andare incontro in modo fattivo alle esigenze dei bisognosi, con un provvedimento articolato e organico». All'incontro hanno partecipato i rappresentanti del gruppo Despar Nord Est, Zazzeron, Pam Panorama e Masiello. Ma è stato spiegato che anche altri grandi gruppi intendono mettersi a disposizione dei più bisognosi, rifacendosi al dettato della delibera. Soddisfazione è stata espressa, per l'impegno del Comune su questo fronte e per la disponibilità dei commercianti , dagli esponenti delle associazioni di San Martino al campo e “Ti aiutiamo noi” e della Federazione volontariato Fvg.

Ugo Salvini

 

Maxiappalto per la pulizia dell’altipiano - Gara da 3,6 milioni lanciata da AcegasApsAmga per spazzamento strade e raccolta rifiuti. Bando bis da 9,3 milioni per la città
TRIESTE Un doppio appalto da quasi 13 milioni di euro lanciato da AcegasApsAmga per tenere pulita Trieste e la parte del Carso inserita nel perimetro municipale del capoluogo. Era dal 2012 che l’utility, appartenente al gruppo Hera a sua volta partecipato al 4,6% dal Comune triestino, non bandiva una gara per l’effettuazione di servizi ambientali: adesso, scaduto il quinquennio, la società torna a saggiare curriculum e affidabilità delle aziende specializzate. Due appalti per due aree distinte del territorio comunale, con attività distinte. Il primo riguarda la zona urbana ed è articolato in due lotti, per un totale di 9,3 milioni di euro: AcegasApsAmga richiede ai candidati spazzamento manuale e meccanizzato del Centro storico (Circoscrizioni 3-4, zona centro e zona nord) e della periferia (Circoscrizioni 6-7, zona centro e zona sud), servizi stagionali, raccolta dei rifiuti solidi urbani, servizi accessori. Il periodo richiesto è di due anni, allungabile - a discrezione dell’appaltante - per ulteriori 12 mesi. Si possono presentare offerte anche per un solo lotto, il cui valore è di 4,6 milioni. L’aggiudicazione prevede che su 100 punti il criterio di qualità ne valga 70 e il prezzo 30. L’ultimo termine per presentare la propria proposta scade giovedì 27 aprile alle ore 12. L’altro appalto si concentra sulle Circoscrizioni 1-2-6, Altipiano e periferia est. AcegasApsAmga mette in palio 3,6 milioni per lo svolgimento di attività in parte analoghe all’altra gara e in parte differenti - in ragi8one delle diverse caratteristiche zonali: spazzamento manuale e meccanizzato, raccolta “porta-porta” della biomassa, raccolta ingombranti a domicilio, raccolta selettiva di imballaggi in cartone, raccolta pile e servizi accessori. In questo caso non si procede a lotti, in quanto - chiarisce il testo del bando - «considerata l’unità e l’omogeneità del servizio ... non si ritiene strategica la suddivisione». Per il resto le caratteristiche sono le stesse dell’altro appalto: la durata del servizio è di due anni più un altro eventuale anno a discrezione dell’utility, alla qualità vanno 70 punti e al prezzo 30. Varia di un giorno la scadenza delle offerte: venerdì 28 aprile alle ore 12. La novità maggiore riguarda la durata del servizio, decisamente più breve rispetto al passato: AcegasApsAmga, in linea con le generali disposizioni di Hera, è passata dalla precedente modalità 3 anni più due a quella - prima illustrata - dei due anni più uno. Vedremo il gradimento degli operatori, che generalmente, per un’attività di questo tipo che implica una buona conoscenza del territorio, sono di provenienza autoctona. E vedremo anche come l’appalto integrerà le novità contenute nel recente Piano dei rifiuti, recepito dall’Amministrazione comunale.

Massimo Greco

 

 

Mari e fondali a portata di touch - Prende forma l’Area Wwf 3.0 - La Riserva marina di Miramare si prepara a fare il suo ingresso alle ex Scuderie
L’obiettivo ambizioso è inaugurare la nuova struttura divulgativa entro Natale
Gli operai hanno concesso ancora un po’ di riposo alla betoniera, in attesa che il cantiere venga aperto ufficialmente. Gli spazi che accoglieranno i visitatori, 200 metri quadrati in tutto, sono infatti ancora vuoti e immacolati. La gestazione progettuale del Centro visite dell’Area marina protetta di Miramare, che è stata lunga e ha coinvolto educatori ambientali, biologi e naturalisti, giornalisti ed esperti di multimedialità interattiva, è finalmente in vista del traguardo. È stato lo stesso direttore Maurizio Spoto, in occasione del convegno “La natura: una bella storia da raccontare sul campo e nei centri visite”, a rivelare alcuni dettagli sostanziali del progetto che vedrà la trasformazione dell’ala destra delle ex Scuderie di Miramare. Le porte di quella che diventerà «l’Area marina 3.0», come l’ha ribattezzata Spoto, sono state aperte al Piccolo nel tentativo di immaginare quello che adesso appare chiaro solamente sulla carta. I rendering e le planimetrie hanno così permesso di visualizzare in anteprima ciò che vedranno i visitatori a lavori compiuti. Diorami, plastici, riproduzioni a grandezza naturale, tecnologie 3D e multimediali: la struttura gestita dal Wwf Italia disporrà di tecnologie di ultima generazione che consentiranno alle persone di immergersi virtualmente nella realtà degli ambienti marini e costieri protetti. La prima accelerata al progetto era stata data alla fine del 2016 dalla firma dell’accordo tra il ministero dell’Ambiente e il ministero dei Beni culturali, grazie al quale si era arrivati, dopo non pochi travagli, a concedere alla Riserva statale una nuova sede all’interno del parco asburgico. Adesso è arrivato il momento di riportare la vita all’interno di un immobile che, nelle intenzioni del Wwf, potrà dare ulteriore impulso alla crescita del principale sito turistico regionale. «Dopo trent’anni di gestione di un centro visite dotato di numerose vasche-acquari - ha spiegato Spoto - abbiamo deciso di coniugare le nuove tecnologie con i sistemi classici di esibizione museale naturalistica per il mare. Tra questi, per fini strettamenti didattici, ci sarà anche una vasca tattile, la cosiddetta “touch tank”, che ospiterà piccoli molluschi e crostacei per coinvolgere attivamente i visitatori di tutte le età. È attraverso l’esperienza emotiva che si trasmette infatti la conoscenza e con essa l'apprezzamento e il desiderio di cura e protezione dell’ambiente naturale». Il team di progettisti ha scelto di adottare degli specifici strumenti di interpretazione della biodiversità marina che permetteranno a chi varcherà le porte del centro didattico di emozionarsi, al di là delle possibili barriere legate a lingua, cultura o età. È stata prevista così la realizzazione di sei percorsi di visita che si focalizzeranno sulle specie che abitano gli habitat rocciosi, fangosi e sabbiosi del golfo di Trieste e dell’Alto Adriatico. Si potranno scandagliare i diversi tipi di alimentazione dei gruppi animali, la forma e le funzioni degli organismi marini, la loro riproduzione e i loro atteggiamenti dal punto di vista comportamentale ed ecologico. Oltre a osservare le sorprendenti e affascinanti stranezze con cui la biodiversità marina si può manifestare, il Wwf Italia accenderà i riflettori sul cambiamento dei comportamenti umani, come ad esempio quelli legati alla pesca, che potenzialmente possono rivelarsi minacciosi per la biodiversità marina. A fianco dell’ampia sala espositiva verranno poi realizzate un’aula didattica attrezzata con laboratori per le scolaresche e una sala proiezioni che verrà dedicata a Barbara Camassa, la fotografa subacquea collaboratrice di Miramare, autrice di splendide immagini sottomarine utilizzate a supporto dei lavori scientifici e delle pubblicazioni della Riserva marina, tragicamente scomparsa di recente. Tuttavia la strada per l’apertura della nuova struttura divulgativa non è del tutto priva di salite e di ostacoli. «All’appello mancano ancora 100mila euro - ammette Spoto, che però non perde la speranza di inaugurare il centro didattico entro il prossimo Natale -. Sono necessari per rendere completamente autonomo il centro visite dal restante spazio museale. Solo il costo dell’impianto di climatizzazione supererà i 70mila euro. Per questo abbiamo avviato un’interlocuzione sia con l’amministrazione comunale che con quella regionale». Un primo regalo, intanto, Spoto è riuscito già a scartarlo. Il canone di locazione dell’ala destra delle ex Scuderie è stato fissato nella cifra poco più che simbolica di quattromila euro l’anno. Un secondo cadeau, invece, è stato promesso dal direttore ad interim Corrado Azzollini, il quale si è detto disponibile a firmare una mini-concessione estiva per l’utilizzo del Bagno Ducale, in attesa che la nuova direttrice Andreina Contessa prenda confidenza con una realtà che, nonostante tutto, non smette di esercitare il proprio fascino

Luca Saviano

 

 

Pola-  Il bike sharing si amplia con nuove ciclostazioni
POLA Si amplia a Pola il bike sharing, servizio di mobilità alternativa e ecosostenibile con l'uso di biciclette a pedalata assistita da un piccolo motore elettrico, introdotto dal Comune. Con la recente inaugurazione, vicino al terminal bus nel rione di Siana, della terza ciclostazione in città dopo quelle ai Giardini e in piazza del Popolo, il numero totale delle due ruote a disposizione dei cittadini è salito a 18. A partire dall'introduzione del servizio, due anni fa, ogni bici è stata noleggiata in media 3,8 volte al giorno per una percorrenza media di 7,2 chilometri e una durata del noleggio di un’ora e 15 minuti. In due anni le bici hanno percorso un totale di 34mila chilometri. La quarta ciclostazione in arrivo è quella dell’insediamento turistico di Verudella. Il servizio “Bicikleta” (questa la denominazione ufficiale) è gratuito: si pagano solo 13 euro per le spese dell'apposita carta magnetica con cui si può pedalare gratis tutto l'anno. Per i fruitori (300 finora le card rilasciate) ci sono dei vincoli: le bici possono essere noleggiate per il massimo di due ore alla volta e allo scadere del tempo devono venire riposte nelle ciclostazioni.

(p.r.)

 

 

Convegno - Il ruolo chiave di Trieste lungo le rotte del petrolio
“Le Vie Del Petrolio: Arabia - Trieste - Europa Centrale”. È il titolo del convegno che il LimesClub di Trieste, in collaborazione con il Centro Veritas e la Libreria Einaudi, organizzano martedì alle 18 alla sala Piccola Fenice di via San Francesco 5 a ingresso libero. L’appuntamento, promosso in occasione della pubblicazione dell'ultimo numero della Rivista Limes dedicato all'Arabia, vedrà la partecipazione di Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità di sistema portuale dell’driatico Orientale; Alessio Lilli, general manager Tal e presidente e amministratore delegato della Siot; Diego LAzzarin, engineered product manager Saipem-Sonsub. Modera Luciano Larivera, direttore Centro culturale Veritas. Punto di partenza del convegno la consapevolezza che il porto di Trieste è in una posizione geopolitica strategica sulle "Vie del Petrolio" che alimentano le necessità energetiche dell'Europa centrale. Non a caso qui opera da 50 anni l'oleodotto della Siot, che raggiunge la Germania soddisfacendone il 40% del fabbisogno petrolifero ed il 90% di quello austriaco. E che anche un'azienda leader nel settore delle perforazioni e manutenzioni sottomarine come la Saipem abbia qui una sua importante base, grazie al particolare regime di Porto franco tuttora esistente all' Adriaterminal in Porto vecchio, destinata a diventare “Polo per la Robotica Subacquea" a livello mondiale con importanti ricadute economiche e tecnologiche sull' intero territorio. Davanti alle sfide di assicurare la sicurezza energetica e garantire la transizione energetica secondo l'Accordo di Parigi sul clima, il convegno si propone di illustrare le potenzialità attuali e future del Porto di Trieste nel settore Oil&Gas e dell'alta tecnologia e la sua valenza strategica a livello internazionale.

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 8 aprile 2017

 

 

«Dubbi residui sul Parco del mare» - M5S e Pd dopo l’audizione di Paoletti in Consiglio: «Servono più informazioni»

Il grillino Menis: "non si è capito a quanto ammonta il finanziamento pubblico" - La dem Martini: "proiezioni molto ambiziose sulle future presenze"

«Non si è qui oggi per decidere se fare o meno il Parco del mare, il Consiglio sarà chiamato a decidere piuttosto sull’eventuale modifica del Piano regolatore, oggi siamo qui per approfondire il progetto». L’aveva già ben precisato giovedì sera Paolo Menis, il capogruppo dei Cinque Stelle, durante l’audizione in Consiglio comunale del presidente della Camera di commercio della Venezia Giulia, Antonio Paoletti, in loco per dare ulteriori dettagli sul progetto del grande “attrattore” turistico di Porto Lido. Ma come l’argomento scotta e divide la città, tra petizioni pro e contro, così c’erano diverse perplessità residue fra le forze politiche. Il dubbio prevalente? Una sorta di delusione per «la mancanza di dati». «Mi è sembrato che non ci fosse né bocciatura né entusiasmo né da una parte né dall’altra» ha commentato Fabiana Martini (Pd), che comunque sottolinea: «Non siamo contrari al progetto, ma ad alcune condizioni. Dalla seduta di giovedì sera ci aspettavamo maggiori risposte. Avevamo chiesto di valutare lo stesso progetto in Porto vecchio, ci aspettavamo una disponibilità in questo senso, perché anche se c’è Porto Lido, si sono aperte nel frattempo altre possibilità. In Porto vecchio ci sarebbe spazio anche per altri contenitori sul tema del mare». Ma le perplessità non sono finite. Si cerca di capire, prosegue Martini, anche la «sostenibilità economica, sui proventi della gestione non ci sono certezze e le previsioni fatte sono molto ambiziose e ottimistiche soprattutto sul numero di visitatori che poi dovrebbero appunto garantire l’equilibrio finanziario». Un’altra questione che aggiunge e scrive su Facebook l’ex sindaco Roberto Cosolini è «sapere se il rischio d’impresa della progettazione e costruzione è tutto pubblico (servono 45/50 milioni quindi altri 23/28 dopo quelli stanziati) o se coinvolge anche il privato gestore in qualche misura». Incertezza su temi tecnici lamenta anche Menis: «Secondo me mancano dei dati importanti che ho richiesto alla Fondazione CRTRieste e alla società che ha redatto il business plan - osserva -, l’illustrazione è stata un po’ confusa sull’aspetto economico per poter capire se la cosa sta in piedi o meno, e anche sulla strutturazione societaria futura. Restano molti dubbi, non si è capito a quanto ammonta la parte di finanziamento pubblico, per cui intendo Fondazione, Camera di commercio e Regione, e quanto rischia il privato. Dati che mi sembrano fondamentali». Dal punto di vista contenutistico e del tipo di progetto poi «è assolutamente non condivisibile per rispetto degli animali». E Gianrossano Giannini (M5S) l’aveva già fatto capire. Ci sono soluzioni alternative e “vegane” per i pentastellati: il museo della Bora, «vero e unico elemento distintivo di Trieste, oppure uno Science center». Forza Italia, per bocca del capogruppo Piero Camber, vede con favore il progetto, ma si aspetta «appalti a chilometro zero - commenta - che favoriscano le micro e piccole imprese. Io chiedo garanzie di lavoro per le nostre maestranze, non vogliamo una grande ditta che venga da fuori, deve far girare l’economia di tutta la città. Il Comune da parte sua dovrà fare una variante al Piano regolatore e soprattutto far rete, offrendo un percorso globale delle Rive, con iniziative espositive scientifiche e culturali, che facciano da trait d’union, comprendendo anche Campo Marzio, dalla Lanterna a Porto vecchio».

(b.m.)

 

 

Dipiazza sollecita l’Azienda sanitaria sul caso Servola
«A che punto è lo studio sul monitoraggio biologico umano a Servola che lo scorso novembre l'Azienda Sanitaria ha annunciato di eseguire assieme al Cro di Aviano? E che, come si desume dal programma 2017 del Cro, dovrebbe essere completato in questo mese di aprile? L'Azienda Sanitaria, inoltre, sta tenendo conto per l'individuazione dei cittadini da sottoporre alle analisi la disomogenea distribuzione dell'inquinamento rilevato a Servola, al fine di evidenziare e valutare in modo preciso alterazioni fisiologiche all'anomala esposizione a polveri, inquinanti mono e poli-aromatici cancerogeni e odori?». Il sindaco Roberto Dipiazza ha inviato in merito all'Azienda Sanitaria una formale richiesta per essere aggiornato sull'iter di approfondimento sanitario sulle urine che l'Azienda aveva annunciato lo scorso novembre in sede di audizione in Commissione consiliare.

 

 

Transalpina, linea per Vienna dimenticata e mai riaperta - LA LETTERA DEL GIORNO di Luigi Bianchi
Il 2016 è trascorso senza la riapertura della Transalpina. A Trieste i 110 anni del secondo collegamento Vienna - Trieste sono passati inosservati, contrariamente a quanto avvenuto in Austria e Slovenia, dimenticando che dal 1906 il capolinea triestino della Transalpina è la stazione di Trieste Campo Marzio, sede del Museo Ferroviario. Il 2017 segna un anniversario altrettanto importante: il primo treno da Vienna giunse a Trieste Centrale il 28 Luglio 1857. Slovenia ed Austria hanno organizzato adeguate celebrazioni per il 160° della ferrovia Meridionale mentre a Trieste tutto tace. Nel 1987 la Direzione Compartimentale delle FS promosse un treno celebrativo Trieste – Graz per il 130° della Meridionale che riscosse molto successo. Transalpina e Meridionale sono state decisive per lo sviluppo dei traffici del Porto di Trieste nel secolo scorso e lo sono anche oggi se si vuole consolidare il primato raggiunto da Trieste quale scalo ferroviario a livello europeo. Ricordare la valenza delle due ferrovie va oltre la pura celebrazione e rappresenta un aiuto alla realizzazione delle opere necessarie per la piena efficienza del nodo ferroviario di Trieste, essenziale sia per il traffico merci che per il servizio viaggiatori. Economia e turismo hanno bisogno sia della Transalpina che della Meridionale. Nel 2017 la migliore celebrazione in cui le Ferrovie Italiane dello Stato possano impegnarsi per il 160° della Meridionale è realizzare il sogno di Karl Schamburek, il giornalista di Salisburgo che ha promosso il ripristino dello storico EC Vienna-Venezia: “Da Vienna a Miramare in treno” con l’EC che attualmente è limitato a Lubiana e la cui destinazione finale non può che essere Trieste Centrale, come avvenne il 28 Luglio 1857. Più che una celebrazione l‘EC “Miramare” Vienna - Trieste via Graz - Lubiana è un debito che viene onorato ristabilendo i rapporti commerciali, e diplomatici, tra le Ferrovie Austriache, Slovene e Italiane; rapporti finalizzati a ridisegnare il quadrante ferroviario mitteleuropeo attraverso i transiti di Tarvisio, Gorizia e Trieste - Opicina. Solo così è possibile saldare la “Metropolitana che unisce l’Italia”con le Frecce agli Eurocity attraverso i nodi ferroviari di Udine e Trieste. Ma il sogno di Schamburek è legato alla rivitalizzazione della Meridionale e della Transalpina e alla piena collaborazione delle tre amministrazioni ferroviarie per realizzare l’integrazione dei trasporti

 

 

 

 

GREENSTYLE.it - VENERDI', 7 aprile 2017

 

 

Cambiamenti climatici: scoperta relazione tra clima e turbolenze

A molti sarà successo, viaggiando in aereo, di veder improvvisamente accendersi il segnale che obbliga ad allacciare le cinture di sicurezza nonostante la fase di atterraggio sia ancora ben lontana. Colpa delle turbolenze. La responsabilità, secondo quanto afferma uno studio condotto dall’università britannica di Reading e pubblicato sulla rivista Advances in Atmospheric Sciences, è da attribuire anche ai cambiamenti climatici.

Si sta ovviamente parlando delle turbolenze in aria chiara, ovvero a quelle che si verificano in assenza di nubi. In questi casi, gli scossoni per chi si trova a bordo sono dovuti all’incontro con venti che cambiano rapidamente la loro direzione e la loro intensità, modificando così il flusso d’aria all’interno di quale il velivolo si trova a muoversi. La previsione dei ricercatori è frutto di una simulazione condotta attraverso l’impiego di un modello che calcola il doppio di anidride carbonica nell’atmosfera rispetto a quella attuale. Sebbene questo possa sembrare uno scenario catastrofico, è quanto alcuni scienziati immaginano possa accadere entro la fine del secolo in corso. Una proiezione a lungo termine dunque. In tal caso, a un’altitudine pari a circa 12.000 metri, le turbolenze leggere aumenteranno del 59%, quelle di forza moderata del 75% e quelle più intense addirittura di una percentuale compresa tra 127% e 149%. In estrema sintesi è tutto legato al moto di convezione, lo stesso fenomeno che si verifica in scala ridotta all’interno delle nostre abitazioni quando accendiamo gli impianti di riscaldamento o rinfrescamento: l’aria calda tende a spostarsi dal basso verso l’alto. Va considerato che si tratta di previsioni a lungo termine e che il raddoppio di CO2 nell’atmosfera costituisce uno scenario scongiurabile attraverso la messa in campo di iniziative che mirano a contrastare i cambiamenti climatici, partendo dalle politiche relative all’approvvigionamento energetico, puntando dunque sullo sfruttamento delle fonti pulite e rinnovabili.

Cristiano Ghidotti

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 7 aprile 2017

 

 

Il Parco del mare gioca l’ultima carta - Lo sfogo di Paoletti in Consiglio comunale: «O si fa in Porto Lido o non si fa - La Fondazione CRTrieste controllerà la società che realizzerà l’opera»

Il Parco del Mare è a Porto Lido. O non è. Semplicemente. Dopo 12 anni di attesa Antonio Paoletti, nell’audizione in Consiglio comunale, non ci sta più a essere sotto esame. IL PROGETTO

«Il Parco del Mare non è l’ossessione di Paoletti che vede solo il Parco del Mare. Mi fa piacere essere qui, ma dopo 12 anni si dovrebbe già poterlo visitare», attacca il presidente della Camera di commercio Venezia Giulia nell’aula consigliare dopo gli interventi delle istituzioni. Non esiste più l’opzione alternativa di Porto vecchio come chiesto in apertura dall’ex sindaco Roberto Cosolini che, con il gruppo del Pd, aveva richiesto espressamente l’audizione di ieri sera. Il dado, insomma, è tratto. «Assieme alla Fondazione CRTrieste abbiamo acquisito le quote di Trieste Navigando che detiene la concessione dell’area. Si parla di una vasca da 5 milioni e mezzo di litri e di 11mila metri quadrati di superficie. Non è stato ridimensionato nulla. L’ipotesi della vasca da 9 milioni si litri di Chermayeff non stava in piedi», spiega quasi stizzito il presidente che ha avuto più “pazienza” di Giobbe e che ora chiede al Comune una variante al piano regolatore per calare il Parco del mare in sostituzione del porto nautico.«Se si vuole farlo in Porto Vecchio possiamo rivederci tra 12 anni. Porto Lido è l’unica scelta dove si può realizzare subito questo progetto». Roberto Dipiazza, che ha già affrontato il tema in passato, non se la sente di cambiare le carte in tavola. «Lo vedrei meglio in Porto vecchio, ma visto che da 12 anni è un progetto di Paoletti mi pare giusto lasciare carta bianca», afferma, dando in un certo senso appalto alla Camera di commercio (e alla Fondazione CRTrieste) la visione della città. La parola chiave è “attrattore”. «Se anni fa vi avessi chiesto di votare 27 milioni per il vecchio Magazzino Vini mi avrebbe dato del pazzo. E, invece, ora c’è Eataly che è un attrattore importante. La città ha bisogno di un altro attrattore per il periodo invernale come il Parco del mare. Non c’è un luogo più degradato della Lanterna. Del resto non si può mandare la gente alle Maldive per vedere il pesce Napoleone». Il Parco del Mare a Porto Lido sarebbe perfetto per lo sviluppo futuro di Campo Marzio che ha in mente Dipiazza; «A breve sposteremo il mercato ortofrutticolo per fare una Spa con alberghi, ristoranti e parcheggi». Paoletti di rimando gli offre anche una soluzione per l’ex Meccanografico che il Comune ha messo in vendita. «Si potrebbe realizzare un albergo low cost per ragazzi». Zeno D’Agostino, presidente dell’Authority e titolare dell’area di Porto Lido, è pronto a collaborare: «Non compete a noi la visione della città, ma siamo pronti a collaborare di fronte a una scelta». La Regione, rappresentata dall’assessore alle Finanze Francesco Peroni, ha scelto un basso profilo: «Siamo più defilati, non disattenti. Esprimiamo una preferenza per il Porto vecchio, ma senza preclusioni». Eppure la Regione ha già stanziato 2 milioni di euro per la progettazione e realizzazione del Parco del Mare ed è pronta a metterne altri due sul piatto. Il piano finanziario sostenibile del Piano del mare (elaborato con 8mila visitatori dalla ACB Group) resta un oggetto misterioso specie nel rapporto tra pubblico e privato. Il costo di 47,7 milioni sarà sostenuto dalla Cciaa (9 milioni), Fondazione CrTrieste (9 milioni) Regione (4 milioni) e privati (5 milioni tra costruttore ed eventuale gestore). Il resto sarà finanziato con un mutuo ventennale da 25 milioni della società che sarà controllato dalla Fondazione CRTrieste (non dalla Camera di Commercio). Il mutuo sarà pagato con l’affitto della società di gestione del Parco del Mare, probabilmente la Costa Edutainment (ieri era presente il manager Lorenzo Senes). A sottolineare le perplessità su Porto Lido restano gli ecologisti, gli ambientalisti e il Comitato La Lanterna che ha raccolto più di 1330 firme su una petizione poi ritirata. «Il degrado non si risolve piazzando un corpo estraneo in mezzo ai mostri esistenti, si rischia di creare un mostro in più», ha spiegato la portavoce Giorgietta Dorfles che ha fatto vedere, con una simulazione in 3D, l’effetto “cubone” dalle Rive. «Quando una scelta investe l’intera comunità e condizionerà la città per decenni - ha concluso - non si può decidere con il gusto personale di un politico». Le ossessioni rischiano di costare care. Soprattutto se coltivate per 12 anni.

Fabio Dorigo

 

Il “mariano” Porro difende acquari e zoo «Lì come al circo le bestie le trattano bene» - gli interventi
«Cinquanta milioni di bambini uccisi dall’aborto. Altro che i pesci». Salvatore Porro, consigliere mariano di Fratelli d’Italia, interrompe il fisico vegano Gianrossano Giannini dei Movimento 5 Stelle che aveva appena demolito il progetto del Parco del Mare con argomenti animalisti. «Non parliamo di parco. Il progetto di Paoletti è un acquario. E gli acquari sono come gli zoo», spiega citando le tesi di Margherita Hach che li aveva definiti “enrmi prigioni per pesci”. «Un progetto di 12 anni fa che arriva oggi già vecchio. Il pianeta sta cambiando. Il Mediterraneo sta passando da mare di pesce a mare di meduse», annuncia in modo apocalittico Giannini. Ma cosa centrano gli aborti in tutto questo? Con Porro in aula gli aborti c’entrano sempre. Il consigliere mariano che vent’anni fa voleva un delfinario al posto dell’ex Pescheria, è favorevole al Parco del mare visto che Trieste vuole diventare una città turistica (anche se lui ha votato contro) e non ridursi a “ospizio per anziani”. E il rispetto cristiano per gli animali oltre che per i bambini in potenza? «Ho lavorato tre mesi con il circo Togni e non ho mai visto gli animali trattati così bene», fa sapere Porro rivelando un particolare della sua biografia sconosciuto a tutti. In ogni caso l’acquario serve a salvare i pesci che magari tra un qualche anno non ci saranno più come ricorda il socialista Roberto de Gioia. «Il bisonte americano - ci informa il leghista Paolo Polidori - è stato salvato dagli zoo».

(fa.do.)

 

In piazza la protesta di animalisti e operai - Doppio presidio sotto il Municipio durante la seduta d’aula - Sotto tiro sfruttamento dei pesci e possibili tagli alla Siram
Mentre in Consiglio comunale si dibatteva del Parco del mare, davanti al municipio un gruppo di animalisti protestava in modo pacifico per la seconda volta contro la costrizione degli animali. Leal, la Lega AntiVivisezionista, e il Comitato Trieste per gli animali sfoderavano striscioni e volantini per dire «no ad animali vivi rinchiusi nelle vasche». Accanto a loro, per tutt'altra battaglia, i sindacalisti della Fiom e i lavoratori che rischiano il posto di lavoro da luglio per il cambio d'appalto del servizio di manutenzione del Comune. La scorsa volta, a marzo, nonostante l'aula avesse deciso alla fine di non riunirsi sul Parco del mare per motivi tecnici, gli animalisti avevano comunque presenziato di fronte al Comune ed erano stati anche invitati da alcuni consiglieri a fornire i contenuti di quella che è la proposta alternativa all'Acquario di Porto Lido. Si tratta di un acquario virtuale sulla scia di quello già realizzato a Diamante, in Calabria. «Attraverso schermi fruibili in 6D, pure con gli occhiali appositi, e postazioni touch screen e monitor, si potrebbe piuttosto raccontare la natura partendo dalla storia - hanno detto Silvia Cossu e Francesca Vitturi -, dal Big bang, fino ai giorni nostri in maniera interattiva, spiegare l'ambiente marino del Golfo di Trieste, la conservazione dell'ecosistema, proiettare immagini registrate e in diretta dalla webcam posta nei fondali della riserva marina di Miramare, vedere i vertebrati in scala, si avrebbe comunque l'opportunità di racchiudere cultura, turismo e occupazione ugualmente». A questo tipo di attrazione si potrebbero poi collegare una postazione sull'enogastronomia triestina, con prodotti tipici. Insomma, questo sarebbe solo un progetto generale da sviluppare poi nei dettagli. «Ci sono tante altre cose da fare per Trieste con i milioni di euro a disposizione per il Parco», affermano i paladini del mare. Di sicura non vanno spesi per sostenere la cattività, «sia perché provoca stress agli animali, sia perché è un ergastolo senza colpa. Sappiamo che i committenti del Parco del mare hanno specificato che non metterebbero delfini all'interno, ma a noi non importa, non vogliamo alcuna specie di pesce rinchiusa». Se, come annunciato in aula, Paoletti & c. porteranno avanti il progetto, loro, gli animalisti si muoveranno di conseguenza. Intanto Fiom e i lavoratori di Siram spa, la ditta appaltatrice fino a luglio per la manutenzione degli impianti degli edifici comunali, assieme a Elettromeccanica e Pvb Solution per l'appalto ospedaliero, cercavano una risposta per i 32 lavoratori che chiedono «una clausola di salvaguardia, perché Cofely - ha affermato Carlo Tomei, Fiom -, la nuova ditta che prenderà le redini secondo l'appalto con affidamento Consip quest'estate dopo Siram, non ha dato garanzie su assunzioni e turni di lavoro. Operai e impiegati non vogliono finire come le addette della Dussman». La scorsa protesta, avvenuta a marzo, aveva visto la promessa da parte del sindaco di «farsi carico del problema - ha aggiunto -il sindacalista, così aveva detto al ritorno dall'Argentina, ma poi non l'abbiamo più sentito".

Benedetta Moro

 

Dal flop dell’Expo al miraggio ex Pescheria - Telenovela in piedi da 12 anni tra cambi di location, denunce degli ambientalisti e plastici dell’ Università
All’origine di tutto c’è un’Expo mancata. L’idea del Parco del mare nasce nel dicembre 2004 per elaborare il lutto del fallimento dell’Expo triestino. Antonio Paoletti, oggi come allora presidente della Camera di commercio, lanciò l'idea con tempismo perfetto già a bordo dell’aereo che da Parigi riportava a casa la delegazione triestina. «Partiamo subito con il più grande Acquario del Mediterraneo, una struttura da insediare proprio nel sito previsto per l'Expo, da qualche parte tra Barcola e il Porto vecchio». Già nel giugno del 2005 viene ultimato uno studio di prefattibilità, che individua quale localizzazione ideale il terrapieno di Barcola. Ma il sito si rivela ben presto impraticabile in quanto viene denunciata (dall’Associazione Amici della Terra), la presenza di diossina sul terrapieno e lo stesso viene quindi sequestrato, e recintato. E così rimane tuttora. Si rende così necessario trovare un’altra localizzazione del Parco del Mare, che viene individuata in Campo Marzio, precisamente nello spazio che ospita il mercato ortofrutticolo, destinato a spostarsi alle Noghere. Siamo già nel 2007 e nel mese di maggio viene realizzato lo “Studio di fattibilità del Parco del Mare” da parte di Costa Edutainment. Subito dopo, viene realizzato un plastico del progetto fatto dalla Facoltà di Architettura dell’Università di Trieste. Nel 2008 si comincia a mettere in dubbio la localizzazione in Campo Marzio per vari ordini di problemi. E quindi la faccenda si complica. Nuovo anno e nuova localizzazione: nel 2009 la localizzazione del progetto viene spostata all’area del Salone degli Incanti, ex Magazzino Vini (attuale Eataly) ed ex piscina Bianchi. A luglio il Consiglio comunale approva “L’atto di indirizzo per la pianificazione strategica dell'Ente e ipotesi realizzazione Parco del Mare”, con annessa la relazione sulla sostenibilità economico-finanziaria dell’allora assessore al Bilancio Giovanni Ravidà, approvata in una seduta del Consiglio Comunale. Ma dalle analisi si scopre che il Salone degli Incanti non è utilizzabile come Acquario a causa delle fondamenta non adatte a sostenere l’enorme peso delle vasche. Inoltre, l’area dell’ex piscina Bianchi sarebbe stata troppo esigua ed anche lo stesso magazzino vini non era adatto. Nel frattempo nel dicembre 2011 viene realizzato l’aggiornamento dello studio di fattibilità da parte della società Progetto Turismo Srl (che sarà revisionata nell’ottobre 2013), su richiesta dell’allora sindaco Roberto Cosolini. Nasce l’idea della localizzazione in Porto vecchio. Si iniziano i contatti con Greensisam, concessionaria di 5 magazzini nel Porto Vecchio per verificare la fattibilità di realizzare il progetto in 2 di questi magazzini. La realizzazione in tale location però si rivela troppo onerosa e l’ipotesi tramonta. Ma non è finita. All’inizio del 2014 dal cilindro viene tirata fuori la destinazione di Porto Lido sulle ceneri del progetto nautico statale naufragato prima di partire. E per il Parco del mare si accende una Lanterna.

 

 

Fumate rosse in Ferriera, la parola all’Arpa - Audizione in Comune per il direttore tecnico Sturzi. «Lavoriamo con Arvedi per evitare che si ripetano»
Sono entrate nell’aula del Consiglio comunale le “fumate rosse” della Ferriera - puntualmente documentate dai residenti di Servola e non solo -. E insieme a loro sono entrati i progetti di copertura dei parchi minerali. Molti i temi toccati l'altro giorno in aula, dove i presidenti della prima e sesta commissione, Antonio Lippolis (Ln) e Salvatore Porro (Fi), hanno invitato il direttore tecnico-scientifico dell'Arpa, Franco Sturzi (presente anche il consulente del Comune Pierluigi Barbieri), per fornire delucidazioni ai consiglieri comunali, al presidente della VII circoscrizione Roberto Sain, e ai comitati 5 dicembre, Fare Ambiente e No smog. E proprio quest’ultimo gruppo presieduto da Alda Sancin, accompagnata da alcuni residenti di Servola, ha mostrato in aula le immagini delle “fumate rosse” che fuoriescono dalla fabbrica in particolare la mattina presto. L’obiettivo era capire come sia possibile che «l’Arpa dica che la situazione è migliorata quando si verificano ancora episodi di questo tipo», ha commentato Porro. «A marzo 2016 le fumate rosse erano molto frequenti - ha sottolineato Sturzi - ed è stato studiato con il gestore il problema, abbiamo trovato una soluzione. Ora si ripropongono e dobbiamo ristudiare la questione perché ci sono un'infinità di operazioni che vengono svolte ogni giorno». Sul progetto di copertura dei parchi minerali, previsto dall'accordo di programma, presentato a fine gennaio da Arvedi alla Conferenza dei servizi, Sturzi ha ricordato che allora non era stato approvato. L'azienda dunque deve riformulare entro quattro mesi una nuova versione aggiornata. Nel frattempo dunque «è stato imposto dalla Regione ad Arvedi - ha affermato Sturzi - di implementare il sistema di irrigazione dei parchi per ridurre la polverosità». A questo proposito è intervenuta la responsabile Ambiente della giunta, Luisa Polli. «Visto che era passato un certo periodo di tempo dalla presentazione del progetto non accettato, e la Regione non aveva ancora dato un'indicazione a riguardo, l'amministrazione comunale aveva sollecitato la Regione stessa a fare una diffida, che è stata emessa a marzo e che obbliga Arvedi a riproporre un progetto per la copertura entro quattro mesi». Ma Sturzi ha voluto anche far sapere che «è importante la qualità della gestione, se mal fatta può inficiare gli interventi di risanamento. Nel nostro lavoro cerchiamo di intercettare le criticità e di accogliere le proposte dei comitati. Ciò ci permette di agire, di fare pressing, di intervenire sul sistema di gestione». Sono seguite domande relative al tipo e alla cadenza delle visite di Arpa nell'azienda. Il direttore ha detto che sono stati effettuati 62 ingressi nel 2016. Aggiungendo una data: «Entro l’anno avverrà il rifacimento della bocca dell'altoforno, che determina le caratteristiche emissive dell'altoforno. Quanto all’inquinamento acustico - ha concluso - è migliorato ma non abbastanza».

(b.m.)

 

 

Minidiscarica di rifiuti vicino a Rio Ospo - I volontari di MujaVeg hanno raccolto cinquanta quintali di immondizie abbandonate: lattine, copertoni, tv e un gommone
MUGGIA Circa 50 quintali di rifiuti sono stati raccolti nella giornata ecologica organizzata dai volontari del MujaVeg. Una mattinata trascorsa a ripulire un’area verde che circonda la zona industriale di Muggia tra via Flavia e via di San Clemente, dove da poco è stata peraltro realizzata una pista ciclabile che affianca il rio Ospo. Muniti di guanti e sacchi neri, i volontari dell’associazione dei vegetariani e vegani di Muggia hanno promosso l’attività aperta a tutta la cittadinanza. Assieme ai sacchetti portati dal vento c’erano rifiuti di tutti i tipi abbandonati volontariamente negli anni da persone prive di un minimo di senso civico. Tra i materiali raccolti lattine, bottiglie, secchi di pittura, copertoni, due televisori, un computer, lamiere, pentole e addirittura un intero gommone. «I boschi di Muggia sono pieni di rifiuti, non capisco come si possa esser così sporcaccioni», afferma Cristian Bacci, coordinatore dell’iniziativa. Bacci non ha dubbi: «Questi spazi sono la casa di centinaia di specie animali, e noi che rappresentiamo quella più intelligente, dovremmo tutelare ogni centimetro quadrato di bosco, non trattarlo come una discarica a cielo aperto». Terminata la fatica i volontari si sono gratificati con un succulento banchetto in stile vegano composto da humus, olive, pane fatto in casa ed estratti di frutta. «Nonostante le tante campagne informative svolte per sensibilizzare la cittadinanza ad avere un comportamento responsabile nei confronti della natura vi sono ancora tante persone che se ne sbattono non seguendo i dettami del più elementare senso civico», ha commentato stizzito l’assessore alla Promozione della città Stefano Decolle. Una situazione che coinvolge anche Muggia. «Purtroppo accade anche da noi, quotidianamente: dal centro storico in cui i cani scorrazzano liberamente effettuando i loro bisogni senza che i padroni poi intervengano, sino alle zone verdi di periferia dove viene lasciato di tutto puntando sull’impunità che può essere garantita dall’isolamento dei boschi». A tale proposito sarà molto interessante capire quale sarà la reazione dei muggesani dinanzi all’instaurazione del regime di raccolta dei rifiuti “porta a porta” che entro pochi mesi dovrebbe iniziare a prendere concretamente piede a Muggia come già accade nella vicina San Dorligo della Valle. Intanto MujaVeg annuncia che altri eventi simili saranno proposti nelle prime domeniche dei prossimi mesi, in concomitanza con l’apertura della piazzola ecologica di Muggia. Maggiori dettagli saranno pubblicati sul sito e sui social dell’associazione Vegetariani e Vegani Muja, che domenica mattina sarà in piazza Marconi per promuovere una Pasqua senza agnelli e più in generale senza prodotti di origine animale. I volontari offriranno una porzione di pinza vegana a chi se la sentirà di guardare un filmato sulla macellazione degli agnelli.

Riccardo Tosques

 

 

 

 

COMUNICATO STAMPA - GIOVEDI', 6 aprile 2017

 

 

Riforma della legge sulle aree protette.

Serena Pellegrino ( SI – POSSIBILE): il tranello della partecipazione alla governance annulla l’obiettivo della valorizzazione dei territori, che vanno invece salvaguardati dallo sfruttamento delle risorse naturali per ottenere utili a basso costo.
“Ho assistito alla conferenza stampa di Federparchi, Uncem, Anci, Federbim e Unione Province Lombarde, dedicata alla legge di riforma della legge su parchi e aree protette, confermando le mie posizioni assolutamente critiche testo in discussione oggi alla Camera.” Lo dichiara la parlamentare Serena Pellegrino (Sinistra Italiana – Possibile) vicepresidente della Commissione Ambiente a Montecitorio. “ La posizione espressa in conferenza stampa è chiara ed inequivocabile: sono convinti che aprendo la partecipazione alla governance e facendo parte dei consigli di amministrazione potranno incidere sulle scelte. Invece si ritroveranno per l’ennesima volta al cappio delle multinazionali dell’energia che, in nome di quattro spiccioli sotto forma di servizi eco sistemici e di compensazioni una tantum, e nascoste dietro il paravento del presunto sviluppo sostenibile, continuano a promuovere il percorso dell’economia lineare devastante per l’ambiente e per le comunità, così come l’abbiamo conosciuta e subita negli ultimi 40 anni.” Conclude Pellegrino: “ La legge 394/91 era nata per salvaguardare e conservare aree che altrimenti sarebbero state deturpate e impoverite, pratica scellerata diffusa in tutto il territorio. Rafforzare il ruolo delle aree naturali protette si può fare in un’unica direzione, quella che non arretra dalla funzione di tutela e salvaguardia e valorizza un territorio incrementando le sue potenzialità culturali, naturali e paesaggistiche, non certo sacrificandolo come una mera risorsa con la quale fare utili a basso costo. Non esiste la nuova ecologia se prima non abbiamo realizzato l’ecologia stessa.”
 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 6 aprile 2017

 

 

Spunta la petizione “pro” Parco del mare - OGGI IL DIBATTITO
Petizione che va, petizione che viene. Una settimana fa era stata ritirata quella contro presentata dal Comitato La Lanterna. Tre giorni fa ne è apparsa una a favore lanciata da Mauro Di Ilio, presidente dell’Associazione commercianti al dettaglio. Il Parco del Mare a Porto Lido, di cui si dibatte oggi alle 18 in Consiglio comunale, produce petizioni e sentimenti opposti. In piazza Unità stasera ci saranno anche gli animalisti per esprimere pacificamente il fermo dissenso al progetto. L’evento è nuovamente organizzato da Leal e Comitato Trieste per gli animali che hanno «preparato una breve bozza illustrata per un progetto alternativo che non utilizza alcuna specie vivente, improntato sulle nuove tecnologie che permettono la conoscenza e l’apprendimento della scienza e della natura grazie ad un’innovativa realtà multimediale». All’audizione pubblica in aula ci saranno i promotori tra cui Antonio Paoletti (Camera di commercio Venezia Giulia). A presenziare alla discussione è stata invitata anche la portavoce del Comitato La Lanterna Giorgetta Dorfles, forte della petizione ritirata che aveva superato le 1.300 firme. La petizione a favore invece stenta a decollare. In tre giorni ha raggiunto solo 40 sostenitori. «La realizzazione del Parco del mare a Trieste è un’opportunità, al momento, l’unica reale opportunità, per dare a questa città lavoro e turismo. Il Parco del mare a Porto Lido infatti si trova in una posizione perfetta, che renderà visitabile con facilità tutta la città da parte degli utenti del Parco», si legge nelle motivazioni della petizione indirizzata al Comune anche se l’area interessata è demaniale e fa capo all’Autorità portuale. La petizione a favore usa come immagine il concept progettuale di Peter Chermayeff considerato già superato. Le motivazioni addotte sono quelle del progetto ufficiale: «Inoltre porterà ad un incremento della sosta media che il turista attualmente fa a Trieste, ed è indubbio il forte impulso economico ed occupazionale che da ciò deriverebbe. Non ultima la riqualificazione di un ex zona industriale in disuso ed ora abbandonata. Il Parco del mare è la dimostrazione che a Trieste si può». A favore del progetto anche la sottoscrizione di realtà economiche e associazioni di categoria cittadine. «Entro tre anni dal rilascio delle autorizzazioni necessarie, i triestini potranno contare su una realtà che genererà vantaggi per tutta la città - si leggeva nel messaggio a pagamento sul giornale-. Si avverte un cambiamento di mentalità, un’iniezione di ottimismo che non può che far bene al nostro territorio». Questa sera si capirà se l’ottimismo ha contagiato anche il Consiglio comunale.

(fa.do.)

 

 

La Regione adotta la Riserva di Miramare - Contributo di 70mila euro per un ricco programma didattico e divulgativo aperto a scuole e non solo
Avrà magari degli alberi colposamente spelacchiati e delle aiuole inesistenti, ma l’area di Miramare eccelle almeno in una cosa: la sua Riserva marina. Di qui la decisione della Regione di “adottarla”, subentrando in questo alla disciolta Provincia. Primo risultato, un corposo calendario di eventi divulgativi e scientifici programmati per il 2017, grazie a un contributo di 70mila euro assegnato a quella che l’assessore regionale alle Infrastrutture e territorio, Mariagrazia Santoro ha definito ieri «l'emblema della ricchezza del nostro alto mare Adriatico e della sua complessità marina». «La costa - ha aggiunto la Santoro - è un tema centrale del Piano paesaggistico regionale, di cui l'area di Miramare sarà partner con iniziative specifiche». Dal canto suo il direttore della Amp Miramare, Maurizio Spoto, ha ribadito come per l'area protetta, gestita dal Wwf Italia la nuova collaborazione rafforzerà ancor di più il suo ruolo «per valorizzare tutto il comprensorio di 100 chilometri di costiera dagli ambienti carsici, fino alle lagune». Il primo evento è la due giorni di convegno e workshop tecnico "La Natura: una bella storia, da raccontare sul campo e nei centri visite", in programma domani e dopodomani a Trieste, organizzata con il patrocinio dell'Associazione italiana guide ambientali escursionistiche (Aigae), del network delle Aree protette costiere e marine del Mar Adriatico (Adriapan) e dell'Associazione italiana direttori Aree protette (Aidap) con PromoTurismoFvg. Una parte degli eventi è rivolta ai bambini dai 3 ai 6 anni con "Piccoli incontri con la Biodiversità", 15 appuntamenti speciali dedicati alla conoscenza della biodiversità adriatica. Ancora: gli "Aperitivi scientifici in riva al mare", come ha ricordato Sara Famiani , sono destinati un pubblico adulto, per conversare sulla rete di relazioni tra habitat, specie animali e vegetali, marine e costiere e le attività antropiche. Interessante, oltrechè novità assoluta, che le uscite di sea watching in barca nell'ambito delle campagne di monitoraggio sulla fauna marina della riserva e del Golfo di Trieste tra Muggia e Lignano, aperte a universitari, studenti di scuole superiori ma anche semplici cittadini. La proposta scientifica per le scuole interesserà nell'autunno 2017 una trentina di classi del territorio regionale, per 800 studenti, con il progetto "Coste e spiagge del Friuli Venezia Giulia: come la terra incontra il mare", focalizzato sul paesaggio costiero di Duino (Info: 040 224147- interno 3 o mail info@riservamarinamiramare.it). Col supporto della Regione, è stato detto infine, l'Area marina protetta di Miramare potrà dare continuità a due campagne di ricerca scientifica e monitoraggio su specie target per la riserva, in particolare le tartarughe marine, i cetacei, il Marangone dal ciuffo e la Pinna nobilis.

Furio Baldassi

 

DUINO AURISINA - Disponibili i moduli per i permessi alle Falesie

È disponibile la modulistica per presentare le domande per il rilascio dei contrassegni autorizzativi per l’accesso nell’area marina della Riserva naturale regionale delle Falesie di Duino. Per informazioni è possibile rivolgersi all’ufficio Lavori pubblici del Comune di Duino Aurisina il martedì e il giovedì dalle 10 alle 12 oppure all’indirizzo falesie @comune.duino-aurisina.ts.it.

 

 

CENTRO ITALO SLOVENO - Dibattito su minoranze e rappresentatività
Domani alle 18 al Centro italosloveno Danilo Dolci - Casa per la Pace di via Valdirivo 30 si terrà un incontro su “La futura legge elettorale: diritti di rappresentanza in parlamento delle minoranze linguistiche del Fvg”. Introdurrà Stefano Ukmar, che ha seguito il dibattito in Consiglio regionale, dove è stato recentemente approvato a larga maggioranza un testo intitolato “Voto alle camere” che chiede a Roma il riconoscimento di una rappresentanza in Parlamento delle minoranze del Fvg. Invitati esperti della materia, associazioni slovene e forze politiche e sindacali interessate. «Tale rappresentanza - si legge nella presentazione di Luciano Ferluga per il Comitato organizzatore - non è garantita dall’attuale normativa, l’Italicum, in quanto prevede soglie di sbarramento del 20% per le liste rappresentative di comunità linguistiche su base circoscrizionale e quindi regionale» e «tale regime è derogato per Trentino Alto Adige e Val d’Aosta».

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 5 aprile 2017

 

 

Beni comuni tra diritto, etica e pratica - il convegno
Una due giorni per parlare di “Beni comuni tra diritto, ethos e pratiche sociali”: appuntamento (aperto a tutti) venerdì e sabato nell’aula magna dell’Università di via Filzi 14. La scaletta: venerdì alle 15.30 si approfondirà il tema “Governo dei beni comuni ed economia fondamentale”: presiede il convegno Fulvio Longato, dell’Università di Trieste. Si discuterà, quindi, di “Beni comuni e ragione economica” (con Ottavio Marzocca, Università di Bari), “Economia fondamentale, territorio e beni comuni” (con Filippo Barbera, Università di Torino) ed “È possibile una “ecologia costituzionale”?” con Michele Carducci, Università del Salento. Ne discutono Giorgio Osti, Università di Trieste e Luigi Pellizzoni, Università di Pisa. Sabato - dalle 9.30 - il tema generale è “Prospettive globali e tendenze locali”, presiede il convegno Marcello M. Fracanzani (Università di Udine). Che poi verrà sviluppato su “La natura bene comune e le modalità della sua tutela” (Serena Baldin, Università di Trieste), “Il diritto all’acqua in Slovenia” (Franc Grad, Università di Lubiana), “Il diritto all’acqua in Spagna” (Juan José Ruiz Ruiz, Università di Jaén), “Le community energy utilities” (Matteo Fermeglia, dottorato interateneo Università Udine–Trieste), “Dai beni pubblici ai beni comuni?” (Andrea Crismani, Università di Trieste), “L’economia solidale nel sistema regionale” (Leopoldo Coen, Università di Udine).

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 4 aprile 2017

 

 

Tre milioni per rifare piazza Sant’Antonio - L’intervento programmato dalla giunta nel 2018. Il sindaco Dipiazza: «Cominceremo dalle vie Ponchielli e Paganini»
Piazza Sant’Antonio non resterà un’isola infelice nella generale redenzione del Borgo Teresiano: il Piano triennale delle opere ha appostato 3 milioni di euro nel 2018, puntando a ottenere un contributo regionale per la risistemazione dello spazio urbano che si estende tra via Roma e la scalinata della grande chiesa neoclassica. Lo ha annunciato ieri pomeriggio il sindaco Roberto Dipiazza, insieme all’assessore ai Lavori pubblici Elisa Lodi, a latere dell’inaugurazione del cantiere che ripavimenterà con i masegni le sponde del Canal Grande. La strategia dell’intervento, delineata dal primo cittadino, è chiara: «Via Cassa di Risparmio, via Trento, Ponterosso sono a posto. I lavori in via XXX Ottobre partiranno a breve. Le sponde del Canale saranno approntate entro la fine del gennaio 2018». Nel contesto valorizzante di quest’area centrale - ha spiegato Dipiazza - «Piazza Sant’Antonio non può restare indietro, anche se, in una fase in cui certo le pubbliche risorse non abbondano, non ci dedicheremo ai giochi d’acqua». Il sindaco fa critico riferimento al concorso di idee, che era stato lanciato dalla giunta Cosolini nella parte finale del precedente mandato, concorso nel quale un’ipotesi progettuale era stata la riapertura del Canale fino alla chiesa. «Inizieremo “circondando” la chiesa con il rifacimento di via Ponchielli e di Paganini, poi provvederemo a restaurare la parte posteriore di Sant’Antonio, che si affaccia in via delle Torri». Gran finale con la piazza: «Fontana, verde, pavimentazione: le ridaremo dignità». Elisa Lodi è d’accordo e informa che la progettazione relativa alla piazza sarà eseguita dagli stessi uffici comunali. Intanto riflettori puntati sulle sponde: insieme ai tecnici dell’amministrazione (Luca Folin e Laura Visintin) e agli imprenditori coinvolti (Fabrizio Pertot e Paolo Rosso di Trieste Manutenzioni), Dipiazza ha illustrato i principali passaggi dell’opera: costerà - compresi alcuni lavori di AcegasApsAmga nel sottosuolo - 1,1 milioni e si protrarrà fino all’inizio del prossimo anno. E si articolerà in due fasi distinte: la prima sponda interessata sarà via Bellini (Ponterosso e lati dei palazzi Genel e Carciotti), da qui ad agosto, per consentire ai pubblici esercizi della dirimpettaia via Rossini di condurre a termine la bella stagione. Poi, da settembre fino alla conclusione, il cantiere attraverserà il Canale e durante l’autunno procederà a sistemare via Rossini. «Allungare il centro» è la parola d’ordine adottata da Dipiazza. In analogia con quanto è accaduto tra Cavana e via Torino, dove alla riqualificazione è seguito lo sviluppo edilizio e commerciale. Il ragionamento si sposta nella parte settentrionale del centro: «Finalmente miglioreremo l’aspetto di piazza Libertà. via Trento collegherà la zona della stazione ferroviaria con il Canal Grande e, tramite il “ponte curto”, con via Cassa di Risparmio». Canal Grande, Ponterosso, Sant’Antonio costituiscono un’area di grande interesse urbanistico e architettonico, dove convergono, sui terreni strappati alle saline, due secoli di storia economica e culturale triestina, firmata dai nomi di Matteo Pertsch, di Giovanni e Arduino Berlam, di Giovanni Righetti, di Antonio Bacicchi. All’interno di questa zona di pregio campeggia la considerevole mole di palazzo Carciotti, che occupa un intero isolato tra le Rive, via Bellini, via Genova, via Cassa di risparmio. La giunta Dipiazza ha deciso di inserirlo “tutto” (compresa la parte anteriore) nei beni da alienare e ha previsto di metterlo all’asta nel 2018: il valore dovrà essere aggiornato con una nuova stima, che si ritiene potrà aggirarsi sui 25 milioni.

Massimo Greco

 

L’ex caserma della Polstrada “scomparirà” entro agosto - Nel futuro spazio un asilo nido e un parcheggio

Giovedì l’apertura delle buste per la gara dei lavori nel cuore di Roiano - Il via prima del 20 maggio, pena la perdita dei finanziamenti statali - Corso d’acqua interrato - L’area è attraversata da un tratto del torrente Roiano - Polveri sottili - Un impianto con cannoni nebulizzatori le farà depositare a terra - CISTERNE da rimuovere - Cinque i serbatoi che dovranno essere eliminati
Sono passati più di vent’anni, ma a questo punto non c’è rinvio che tenga. Entro il 20 maggio deve aprire il cantiere per i lavori di demolizione degli edifici dell’ex caserma della Polstrada, a Roiano, pena la perdita dei finanziamenti statali legati al Prusst (Piano di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio) riguardante appunto la riconversione dell’estesa area (8mila metri quadri) nel cuore del popoloso rione. Giovedì prossimo, negli uffici dell’Area lavori pubblici del Comune, verranno aperte le buste delle imprese invitate a fare le offerte, dopo che entro il 20 marzo scorso sono arrivate numerose manifestazioni di interesse. Trattandosi di lavori del valore inferiore (anche se di poco) al milione di euro, in base al Codice degli appalti il Comune ha potuto infatti procedere a una gara “negoziata senza bando”. Nelle ultime settimane il Servizio comunale edilizia pubblica ha intanto approvato, con una determina dirigenziale, il progetto esecutivo delle demolizioni da effettuare nel comprensorio dell’ex caserma. Progetto che, fra i numerosi allegati, include anche il cronoprogramma dei lavori, che articola gli interventi fra l’inizio di maggio e la fine di agosto. Una volta allestito il cantiere, da metà maggio in poi il piano prevede la rimozione dell’amianto presente nei diversi edifici (tubazioni, canne fumarie, isolamenti e lastre di copertura), cui seguiranno quelle degli infissi esterni, dei pavimenti, dei rivestimenti interni e degli impianti. La demolizione degli edifici inizierà nella seconda metà di giugno e proseguirà fin verso il 20 agosto. Una settimana più tardi, dopo l’asfaltatura dell’area, è programmato lo smobilizzo del cantiere. A quel punto lo spazio “liberato” sarà pronto per la realizzazione del secondo lotto, che prevede l’edificazione di un asilo nido, di un parcheggio, una piazza e aree verdi. Tornando al cronoprogramma delle demolizioni, va ricordato che l’intera area è attraversata da un tratto interrato del torrente Roiano. Per questo nel progetto esecutivo si sottolinea che “in tutte le fasi di demolizione delle fondazioni degli edifici dovrà essere prestata particolare attenzione a non arrecare danni alla copertura del torrente”. Fra gli interventi preparatori alle demolizioni vere e proprie, il progetto prevede anche l’allestimento di un impianto per l’abbattimento delle polveri sottili, con l’utilizzo di cannoni nebulizzatori, per fare depositare le polveri a terra ed evitare che si risollevino al passaggio dei mezzi del cantiere. Dovrà anche essere predisposto un impianto per il lavaggio delle gomme degli autocarri che usciranno dall’area. Quanto alle demolizioni, il progetto fissa una sequenza ben precisa che inizia con l’estesa autorimessa-officina (lato sud), e prosegue con la palazzina uffici, previa demolizione del corpo di collegamento con la palazzina comando. Si passerà poi a demolire quest’ultima, l’edificio più alto del comprensorio (tre piani più uno interrato), e di alcune strutture a un piano. Una di queste, confinante con via Villan de Bachino, era adibita a ricovero per veicoli. Un’altra, che si affaccia su via Montorsino, era usata come box auto, depositi e uffici. Da demolire anche un deposito/spogliatoio utilizzato a suo tempo dalla Nettezza urbana. Ultimata questa fase si procederà alla bonifica e alla rimozione di cinque cisterne interrate (tre delle quali già inertizzate) e delle fosse Imhoff. A quel punto si passerà alla demolizione di tutti gli elementi ancora presenti (compresi quelli interrati) che potrebbero interferire con la fase successiva, alla bonifica di eventuali ordigni bellici (che però non sembra siano presenti) e alla messa in luce della volta del canale interrato. Quest’ultima operazione servirà a verificare lo stato di conservazione della struttura del canale, e a stabilire le indicazioni tecniche per eventuali consolidamenti del manufatto.

Giuseppe Palladini

 

Nel futuro spazio un asilo nido e un parcheggio

Sull’area ricavata dalla demolizione dell’ex caserma, nascerà un “polmone” atteso da molti anni dagli abitanti di Roiano. A cominciare da un asilo nido per 60 bambini, per proseguire con un parcheggio seminterrato la cui copertura, sul lato di via dei Moreri, diverrà una piazza pavimentata (800 metri quadri) per spettacoli e altre manifestazioni. La restante parte della copertura del parcheggio (1.500 metri quadri) sarà destinata ad aree gioco. Questo spazio di aggregazione sarà completato da un’estesa zona verde alberata (1.000 metri quadri) adiacente a via dei Moreri. Su lato di via Montorsino è invece previsto un “bosco urbano” (1.300 metri quadri) lastricato e arredato.

 

 

L’aula di San Dorligo sceglie Codroipo per la raccolta rifiuti - Servizio alla A&T 2000 spa in cui il Comune entra come socio

L’opposizione insorge. Il sindaco Klun: «Decisione obbligata»
SAN DORLIGO DELLA VALLE - A partire dal prossimo mese di luglio, nel territorio comunale di San Dorligo della Valle sarà la società in house multicomunale A&T 2000 spa a gestire il servizio della raccolta rifiuti. Lo ha deciso la maggioranza del Consiglio comunale, stabilendo anche di acquistare, per un importo pari a 19.700 euro, una quota della spa che ha sede a Codroipo, per affidarle il ciclo dei rifiuti da gestire in base al modulo in house providing. La società A&T 2000 si occupa della gestione integrata del ciclo dei rifiuti in una cinquantina di Comuni della provincia di Udine, garantendo il servizio a oltre 200mila abitanti e conta, attualmente, su una trentina di dipendenti che, stando alle recensioni ufficiali, hanno già dimostrato di avere una notevole esperienza, acquisita sul campo, mostrando di essere una realtà dinamica. Il modello dell’affidamento in house della gestione dei servizi pubblici locali è stato introdotto nell’ordinamento nel 2003. La relativa normativa, come ha confermato anche il Consiglio di Stato, stabilisce che per “in-house providing” si intende la fattispecie nella quale «per la gestione di un servizio, una pubblica amministrazione si avvale di una società esterna, cioè soggettivamente separata, che però presenti caratteristiche tali da poter essere qualificata come una derivazione o una longa manus dell’ente stesso. Da qui, l’espressione in house, che richiama una gestione in qualche modo riconducibile allo stesso ente affidante o a sue articolazioni». La decisione presa dalla maggioranza ha scatenato le proteste dell’opposizione. Boris Gombac, capogruppo della lista che porta il suo nome, ha annunciato che «saranno organizzate, nelle varie frazioni del territorio, pubbliche assemblee per spiegare che è stato commesso un errore». Roberto Massi, di Forza San Dorligo, ha ricordato che «avendo già a disposizione una società locale che operava al meglio (la Italspurghi, ndr) bisognava avere per essa un occhio di riguardo», chiedendo poi se la A&T 2000 di Codroipo costerà di più. Danilo Slokar, della Lega Nord, ha criticato la decisione: «Andiamo a partecipare in una società che conosciamo poco o niente, che non ha base qui a San Dorligo, che dovrà spostarsi, creando una struttura che costerà». Giorgio Gherlanz, del Fronte per l’indipendenza del Tlt ha espresso anch’egli «perplessità sulla decisione della maggioranza». Il sindaco Sandy Klun ha evidenziato che «il contratto è in scadenza, perciò bisognava provvedere. La Italspurghi funziona bene - ha aggiunto - ma le normative non permettono altre scelte». Italspurghi, per un costo di circa 250mila euro all’anno, provvedeva alla raccolta dell’indifferenziata e alla gestione delle isole ecologiche. Gianfranco Cergol, amministratore delegato della Italspurghi, ha già detto che «la perdita del contratto comporterà purtroppo il licenziamento dei tre dipendenti che operavano a San Dorligo della Valle». Nel corso della seduta d’aula, Klun ha anche annunciato l’avvio dei lavori di straordinaria manutenzione di alcuni tratti della strada di Puglie di Domio, dell’ampliamento della rete di pubblica illuminazione in varie frazioni del territorio e della manutenzione del rio Dolina.

Ugo Salvini

 

 

 

 

EHABITAT.it - LUNEDI', 3 aprile 2017

 

 

Antropocene: cambiamenti climatici 170 volte più veloci a causa dell’uomo. Scoperta l’equazione

Gli scienziati sono ormai consapevoli da tempo del fatto che le attività umane sono alla base dei cambiamenti climatici in atto, ma ora due ricercatori della Stockholm Resilience Centre, Will Steffen e Owen Gaffney, hanno pubblicato un nuovo studio nel quale sono riusciti a quantificare precisamente l’impatto della specie umana sulla Terra.
Attraverso un’equazione unica nel suo genere definita ‘Equazione dell’Antropocene’, i due studiosi hanno dimostrato che l’attività umana sta causando l’innalzamento della temperatura terrestre ad una velocità molto più elevata rispetto al solo influsso esercitato dalle forze naturali. “L’impatto umano sui cambiamenti climatici assomiglia più allo schianto di un meteorite che ad un mutamento lento e graduale” ha dichiarato Steffen al The Guardian. Il lavoro dei due ricercatori ha messo in luce come, per la maggior parte dei quattro miliardi e mezzo di anni di esistenza della Terra, le forze geofisiche e astronomiche abbiano modificato il pianeta provocando un tasso di variazione della temperatura di 0.01 gradi Celsius per secolo. Nel corso degli ultimi sessant’anni, invece, il cambiamento è stato determinato per la maggior parte dagli esseri umani. Nello specifico, negli ultimi 45 anni le emissioni di gas serra rilasciate nell’atmosfera hanno causato un aumento della temperatura di 1.7 gradi Celsius. Il tasso di variazione della temperatura terrestre indotto dall’attività umana è stato pertanto 170 volte più veloce rispetto a quello determinato dalle sole forze naturali.
Per mettere a punto l’equazione, i due ricercatori hanno esaminato il tasso di variazione in quello che loro hanno definito come ‘il sistema di supporto vitale della Terra’, che include l’atmosfera, gli oceani, i corsi d’acqua, le foreste, le zone umide, i ghiacci perenni e la biodiversità. “Non stiamo dicendo che i cambiamenti dovuti alle forze astronomiche proprie del nostro sistema solare o ai processi geologici siano scomparsi, ma che in termini di impatto a breve termine essi siano trascurabili rispetto all’influenza esercitata dagli esseri umani. Sintetizzare questo concetto sotto forma di una semplice equazione permette di esprimere la situazione attuale con una chiarezza che il grande ammontare di dati e informazioni a nostra disposizione spesso, paradossalmente, non consente” continua Steffen. Nelle conclusioni del loro lavoro Steffen e Gaffney affermano, ancora una volta, l’importanza di ridurre il nostro impatto distruttivo sul pianeta, allo scopo di mitigare almeno in parte gli effetti avversi dei cambiamenti climatici in atto, e ricordano che il cambio di rotta deve avvenire in fretta, prima di raggiungere il fatidico punto di non ritorno. Un cambio di rotta che tutti possiamo promuovere e di cui siamo tutti responsabili a partire dai nostri più piccoli gesti quotidiani, aggiungiamo noi. Perché, citando il docu-film ‘This changes everything’, “se bevi dell’acqua e respiri dell’aria questo riguarda anche te”.

Alessandra Varotto

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 3 aprile 2017

 

 

SUPER PULIZIE A SISTIANA - Il Ricovero Marchesetti rivive grazie ai migranti
DUINO AURISINA «Ci rendiamo conto che le immagini non rappresentano un gran bello spettacolo, ma questa è la situazione della dolina nota come Ricovero Marchesetti, a Sistiana». Una situazione per la quale si devono ringraziare «almeno 40 anni di incuria e qualche gommista che ha “risparmiato” costi di smaltimento buttando una ventina di enormi gomme di camion da 50, 60 chili l’una, faticosamente trasportate in superficie da una cinquantina di persone». Chi scrive è Dario Gasparo, il super prof appena celebrato nella “top five” degli insegnanti d’Italia, e accolto dai suoi studenti come una star dopo le premiazioni a Dubai, che qui interviene come responsabile dell’associazione Miti, una delle realtà di volontariato che ha promosso nel week-end la grande operazione di pulizia dell’area verde a ridosso del centro di Sistiana chiamata appunto Ricovero Marchesetti, teatro tra le altre cose di rifugi di fortuna di combattenti in particolare durante la Prima guerra mondiale. Le immagini a cui Gasparo fa riferimento, se qualcuno ne fosse interessato, sono visibili attualmente al link https://goo.gl/photos/9vSRkWZvhSzbGPQ48, e qui sopra ne pubblichiamo una. C’è però un elemento che contribuisce a fari sì che questa iniziativa - riguardante un’attività certamente meritoria - già di per sé - raggiunga i crismi di notizia autentica, fuori dall’ordinarietà: «Svariate tonnellate di ferraglia arrugginita e diversi metri cubi di plastica», come scrive lo stesso Gasparo, sono stati «ripuliti da circa 30 migranti» da «Afghanistan, Pakistan, Turchia, Camerun eccetera» nonché da «una ventina di volontari della associazione Miti, Ics, Cat, Casa cave, Trieste altruista e Casa internazionale delle donne». Un lavoro immenso «ma la bella giornata di sole e la conclusione con un ricco pasto sotto al ciliegio in fiore hanno ripagato dello sforzo».

 

 

I Cittadini per il golfo si lanciano in politica - Gli ambientalisti rompono gli indugi in vista del voto a Duino Aurisina: due liste (mare e Carso) e Canonici candidato sindaco
DUINO AURISINA Alla fine hanno deciso. Si candideranno alle prossime amministrative per il rinnovo del Consiglio comunale di Duino Aurisina. E lo faranno presentando due liste, ovviamente con identico programma, in modo da calamitare da un lato i voti delle frazioni del Carso, dall’altro quelli dei borghi più vicini al mare. I Cittadini per il golfo, a poco più di due mesi dal voto, fissato per l’11 giugno, entrano ufficialmente nella corsa per governare il Comune, individuando in Tiziano Canonici il candidato sindaco e in Danilo Antoni il capolista. Un mossa che non sorprende: sorti qualche anno fa come movimento ambientalista, con lo specifico obiettivo, all’epoca, di lottare contro il rigassificatore del Timavo, nel tempo i Cittadini per il golfo si sono interessati di molti problemi, approfondendo le tematiche sociali ed economiche del territorio, arrivando a prendere una precisa posizione, recentemente, anche sul discusso possibile arrivo, a Duino, della confraternita senegalese dei “mouride”. «Abbiamo preso la decisione di puntare al governo del nostro territorio - spiega Antoni - perché abbiamo capito che i partiti tradizionali non sono più in grado di affrontare e risolvere i problemi della gente. Non vogliamo sostituirci a loro - precisa - ma abbiamo visto che è necessario andare sul concreto e per questo serve sparigliare le carte, cambiare veramente, andare alla soluzione reale dei temi sul tappeto». Al primo punto del programma dei Cittadini per il golfo, che stanno ancora valutando se conservare la denominazione originaria del movimento, oppure optare per un nome nuovo, c’è ovviamente la tutela del territorio. «Su questo argomento - continua Antoni - sappiamo che la gente comune può dire cose importanti e noi daremo alla gente la possibilità di farlo. Vorremmo diventare un esempio per gli altri comuni - prosegue - coinvolgendo i proprietari nella gestione delle riserve, le attività economiche e cultuali nella promozione del territorio, la società di Portopiccolo nei progetti che riguardano la collettività, come le palestre e le scuole». Il candidato sindaco Tiziano Canonici - triestino di 43 anni, papà umbro e mamma istriana, laureato in Storia antica all’Università, dove ha poi conseguito un dottorato di ricerca in Geomatica, la disciplina che utilizza le moderne tecnologie informatiche per applicarle al rilevamento e al trattamento dei dati ambientali e territoriali - guarda direttamente al risultato. «Fare due liste ci è sembrato logico, vista la conformazione del nostro territorio - osserva - perché Duino Aurisina è un comune che deve affrontare problemi di un tipo nella parte carsica del territorio, e altri sulla costa. Di conseguenza - prosegue - ci sono priorità diverse a seconda dei territori di riferimento. Poi certo, alla fine - evidenzia - si tratta di trovare la sintesi migliore possibile sul piano tecnico amministrativo per il bene di Duino Aurisina». Nel suo curriculum si legge che si occupa di archeologia e computer, che ha lavorato come archeologo e che ha insegnato nelle Marche e in Liguria. Approdato a Duino per scelta, Canonici si è sposato e ha avuto due figli, abbandonando l’archeologia, per diventare consulente informatico nella sede di Trieste del gruppo Allianz, dove opera tuttora. «Voglio mettere al servizio della collettività le mie esperienze e il mio bagaglio culturale - conclude - perché a Duino Aurisina bisogna cambiare registro».

Ugo Salvini

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 2 aprile 2017

 

 

MELENDUGNO (LECCE) - Alta tensione sul gasdotto fra “No Tap” e polizia
Ancora una giornata di tensione a Melendugno (Lecce) dove non si placa la protesta per la realizzazione del gasdotto Tap. Ieri i manifestanti, tra loro tante donne e bambini, dopo una mattinata di barricate davanti al sito di stoccaggio dove vengono portati gli ulivi espiantati, hanno ottenuto un nuovo stop dei lavori che erano ripresi a sorpresa all’alba. Ma a fine giornata il risultato portato a casa ha più le sembianze del successo di bandiera che dell’affermazione vera e propria all’interno di un braccio di ferro il cui destino appare sempre più segnato. I numeri parlano chiaro: dei 211 ulivi da rimuovere sono già 183 quelli sradicati. Ieri, grazie al blitz a sorpresa arrivato dopo due giorni di pace armata e di sospensione dei lavori, ne sono stati trasferiti 30 dal cantiere al sito. E sarebbero stati di più se le barricate erette da alcune centinaia di persone dinanzi all’accesso del sito di stoccaggio non avessero impedito ad alcuni camion l’ingresso. La mediazione, raggiunta con Questura e Prefettura poco prima delle 14, ha fatto sì che il blocco stradale fosse rimosso in cambio del dietrofront dei quattro mezzi incolonnati davanti al sito. Altri sei camion pronti a partire dal cantiere con il loro carico di ulivi a quel punto sono rimasti fermi. Al netto di quelli già espiantati e ancora da portare a Masseria del Capitano (in tutto 25 piante) sono solo 18 gli ulivi da sradicare per rendere operativo il progetto. Intanto si registra un episodio i cui contorni sono ancora incerti: l’esplosione di due petardi davanti all’uscita secondaria dell’hotel che a Lecce ospita i poliziotti impegnati nei servizi di vigilanza al cantiere Tap. Lo stesso albergo dove ieri hanno dormito i giocatori del Lecce calcio. Le indagini diranno se si sia trattato di un gesto dimostrativo contro la squadra, reduce da un periodo no, o di una protesta “No Tap”. La giornata al cantiere di Melendugno era iniziata presto, con la ripresa delle attività. Una mossa a sorpresa - visto che la riapertura del cantiere era prevista per domani - e che aveva avuto il via libera della Questura di Lecce già nella serata di venerdì. Agenti in tenuta anti sommossa sono arrivati alle 6 per presidiare gli accessi lungo la strada provinciale. Sotto presidio anche il centro di stoccaggio di Masseria del Capitano dove vengono messi a dimora gli ulivi espiantati in attesa di essere nuovamente reimpiantati. Colti alla sprovvista, i manifestanti si sono radunati alla spicciolata e hanno continuato a farlo per tutta la mattinata spostando l’epicentro della protesta dal cantiere di San Basilio al sito di stoccaggio di Masseria del Capitano. In prima fila tante donne e bambini, ma anche una quindicina di sindaci del comprensorio salentino.

 

L’Espresso: «Minacciano senza smentire» - Oggi in edicola l’inchiesta del settimanale sul progetto per portare il gas dall’Azerbaijan in Puglia
ROMA L’Espresso in edicola oggi pubblica una inchiesta sul contestato maxi-progetto per portare il gas dell’Azerbaijan in Puglia, nel quale, scrive il settimanale «spuntano manager in affari con le cosche, oligarchi russi e casseforti offshore». La multinazionale Tap (Trans Adriatic Pipeline), che dà il nome al progetto, reagisce anunciando querela e il direttore della testata, Tommaso Cerno, su Twitter replica: «La Tap minaccia (senza smentire una riga) L’Espresso per un’inchiesta sul gasdotto. Con protagonisti vicini alle cosche» scrive, dando appuntamento ai lettori in edicola. Le anticipazioni del servizio, intitolata “Attenti al mafiodotto”, sono state pubblicate ieri sul sito del settimanale - Nell’inchiesta - si legge - si «svelano i retroscena del maxi-progetto del Tap, partendo dagli interrogativi alla base delle proteste esplose in Puglia contro lo sradicamento dei primi 231 ulivi». L’Espresso ha potuto esaminare «documenti riservati della Commissione europea, che svelano il ruolo cruciale di una società-madre, finora ignota: l’azienda che ha ideato il Tap. Si chiama Egl Produzione Italia, ma è controllata dal gruppo svizzero Axpo». «In questa Egl - scrive ancora L’Espresso - anche l’amministratore delegato è un cittadino svizzero: Raffaele Tognacca» che, tornato in Svizzera, «ha lanciato la finanziaria Viva Transfer. Che un’indagine antimafia ha additato come una lavanderia di soldi sporchi». L'articolo integrale de L’Espresso racconta altri retroscena. Come un accordo segreto per favorire un oligarca russo rappresentato da amici di politici italiani. E le tesorerie offshore, documentate dai Panama papers, dei manager di Stato in Azerbaijan e Turchia. «È arbitrario, infondato ed evidentemente inaccettabile l’accostamento di Tap Ag e del progetto del gasdotto transadriatico alla parola mafia effettuato con un suggestivo titolo sul numero in uscita del settimanale L’Espresso» afferma la multinazionale in una nota, nella quale annuncia che «Tap provvederà nelle prossime ore a sporgere querela contro gli autori e il direttore del giornale». «Tap - prosegue la nota - è impegnata nella più rigorosa applicazione delle leggi e dei regolamenti italiani ed europei nella attribuzione di appalti e subappalti e ha da tempo sottoposto alla prefettura di Lecce un protocollo antimafia che garantisca la massima trasparenza».

 

 

Telenovela Acquario, parte la bonifica - Dopo 14 anni di attesa scatta la messa in sicurezza della passeggiata a mare lungo l’area di Muggia dichiarata inquinata
MUGGIA Quattordici anni per iniziare a mettere a posto 900 metri di passeggiata a mare. La lunghissima telenovela di Acquario si prepara a vivere la puntata più attesa: quella dell'inizio dei lavori di bonifica. Il terrapieno, come noto, è “congelato” dal lontano 2003, anno in venne classificato come sito inquinato dopo il blitz dei carabinieri del Noe e le indagini dell’Arpa, che accertarono la presenza ben oltre i limiti di legge di idrocarburi cancerogeni. In futuro la zona rimarrà ancora chiusa alla cittadinanza. «Ma si potrà fare il bagno in mare e stare sugli scogli, mentre l’area inquinata verrà invece recintata», spiega l’assessore ai Lavori pubblici Francesco Bussani. Il cantiere, partito da pochi giorni, riguarda dunque la bonifica della passeggiata a mare, lunga appunto poco meno di un chilometro. A completare l'opera verranno realizzate due ampie aree adibite a parcheggio all'inizio e alla fine del terrapieno per un totale di circa 100 parcheggi. Nell'ambito del monitoraggio ambientale previsto a corredo degli interventi di messa in sicurezza de lotto, è già stato effettuato “ante-operam” uno studio delle polveri mediante deposimetri della durata di 30 giorni. All’interno del sito si procederà, inoltre, con l'esecuzione della campagna di campionamento delle acque sotterranee sui 12 piezometri presenti nel sito. I lavori dureranno, meteo permettendo, 154 giorni. L'appalto è stato aggiudicato in seguito ad una procedura negoziata con il criterio del prezzo più basso e un importo a base d'asta dei lavori pari a 781mila 319 euro. Il lavoro è stato assegnato al Costituendo Rti formata dalle Imprese Vanuti Lino srl con sede legale a Tarcento e la Applicatori società cooperativa, avente sede legale a Basiliano, con un importo complessivo pari a 739mila 386 euro. «La proposta di variante del Comune prevede di mettere in sicurezza parte del terrapieno con tecniche innovative e rispettose dell'ambiente, ma anche economiche, rispetto alla soletta in calcestruzzo prevista nel progetto definitivo generale», puntualizza Bussani. La principale variazione in questo caso è anche economica: invece dell'impegno finanziario previsto all'inizio dell'anno scorso - possibile solo con l'alienazione di beni immobili da parte dell'amministrazione - il cantiere verrà “affrontato” con un avanzo di bilancio derivante da oneri di urbanizzazione accertato a fine dell'esercizio finanziario 2015. Un'operazione pari a circa la metà dell'importo previsto, ossia 850mila euro, ai quali si sono aggiunti ulteriori 122mila euro, provenienti da una sponsorizzazione privata, contro un milione e mezzo previsti ad inizio anno 2015. Il Comune dunque farà fronte con altri capitoli di spesa specifici per la realizzazione di quest'opera, senza necessariamente vendere i “gioielli di famiglia”. Soddisfatto Bussani: «Come promesso, stiamo proseguendo nel percorso di restituzione della costa ai muggesani. Cercheremo di realizzare il tutto nel minor tempo possibile». Il vicesindaco muggesano annuncia anche le prossime mosse: «Il Comune si rivarrà su chi ha causato l'inquinamento, perché al momento si sta sostituendo a chi l'ha provocato, come previsto dal Codice dell'ambiente, procedendo nelle bonifiche, con grande fatica e impegno finanziario, proprio per poter restituire alla città il prima possibile ciò di cui è stata privata per troppi anni». Dopo l’approvazione nella Conferenza dei servizi finale indetta dalla Regione a giugno 2015 del progetto definitivo di messa in sicurezza e bonifica del terrapieno, dopo aver trascorso 13 anni nel tentativo di rivalersi su chi aveva causato l'inquinamento, e dopo aver completato i lavori urgenti di messa in sicurezza del terrapieno che le mareggiate si stava portando via, il Comune di Muggia è quindi finalmente riuscito davvero nell'intento di iniziare i lavori di bonifica del primo lotto. A quando la bonifica della parte interna? La risposta è semplice: quando verranno recuperati i 3 milioni necessari.

Riccardo Tosques

 

Età lontane unite nel rispetto dell’ambiente - Con “Esistenze 2017” gruppi composti da under 14 e over 65 hanno lavorato su ecosistema e natura
Dal 2002 al 2016 l’età media in Friuli Venezia Giulia è aumentata, passando da 44,3 a 46,4 anni. Anche Trieste è ulteriormente invecchiata, salendo da 47,2 a 48 anni per età media. Ed è aumentata di ben il 20% la quota della popolazione ultra 65enne in regione, passata dai 258.856 abitanti del 2002 ai 310.951 del 2016. A Trieste gli ultra 65enni erano 54.480 nel 2002, oggi sono quasi 58.000. Aumentano, parallelamente, anche le nuove nascite: la fascia 0-14 anni conta in Fvg circa 15mila cittadini in più rispetto al 2002, oggi i giovanissimi in regione sono 151.892. A Trieste i giovani da 0 a 14 anni sono attualmente 23.000, erano 21.300 quindici anni fa. Le fasce di anziani e giovani sono le uniche che crescono, in regione e a Trieste: perché i 15-64enni erano 134.000 nel 2002, adesso sono 123.454. Proprio alla luce di questi dati acquista notevole rilevanza “Esistenze”, Osservatorio sulle diverse età della vita, il progetto pilota ideato dal Cta Gorizia a cura di Roberto Piaggio ed Elisabetta Gustini. La sua settima edizione è stata presentata al Caffè San Marco alla presenza dei promotori e dell’assessore regionale a Lavoro e Formazione Loredana Panariti. “Esistenze” è un progetto innovativo e sperimentale dove l’incontro, la scoperta, la conoscenza reciproca, l’aggregazione, il lavoro d’équipe creano momenti di grande intensità, mettendo a confronto due periodi della vita profondamente diversi. Dedicato al tema dell’ambiente, dalla conoscenza dell’ecosistema al conseguente rispetto della natura, “Esistenze 2017” ha coinvolto un migliaio circa di studenti delle scuole primarie delle province di Trieste, Udine e Gorizia, e un centinaio di anziani ospiti delle case di riposo triestine e regionali. Nelle scorse settimane alunni e anziani hanno costituito gruppi di lavoro e hanno raccontato le loro esperienze, riflettendo sul cambiamento avvenuto negli ultimi 50-70 anni nel rapporto tra uomo e ambiente naturale. I gruppi sono stati orientati alle questioni quotidiane quali il riciclo dei materiali, lo spreco del cibo e dell’energia, il rapporto con gli animali; e a temi più complessi come il riscaldamento globale, le energie alternative e l’equa distribuzione delle risorse. «Esistenze si propone di alimentare un rapporto diretto e interattivo tra i bambini e gli anziani, incoraggiando una nuova etica dei rapporti tra le generazioni» ha spiegato Panariti. I risultati di questo incontro saranno presentati mercoledì 5 aprile al Teatro Miela.

 

 

L’INIZIATIVA ANTIDEGRADO - La Rotonda del Boschetto inaugura i Sabati ecologici

Sono partiti ieri i Sabati ecologici alla Rotonda del Boschetto, nell’area parcheggio vicino alla sede della sesta circoscrizione. L’iniziativa antidegrado e itinerante, promossa da AcegasApsAmga e Comune di Trieste, nasce dall’intento di contrastare il fenomeno dell’abbandono dei rifiuti ingombranti nelle vie cittadine e nel corso degli anni sta riscuotendo sempre più successo tra i triestini. Infatti, nel corso del 2016 ha permesso di raccogliere quasi 88 tonnellate di materiale di cui 47 solo da rifiuti ingombranti (un incremento del 25% rispetto agli ingombranti conferiti nel 2015 e oltre il 65% in confronto al 2014). Ecco il calendario dei prossimi Sabati ecologici: sabato 8 aprile toccherà alla prima circoscrizione, a Prosecco (area parcheggio Mandria); il 22 sarà la volta della seconda circoscrizione (a Padriciano, nell’area parcheggio del campo sportivo del Gaja) e il 29 aprile i Sabati ecologici faranno tappa nella settima circoscrizione (piazzale XXV Aprile entrando da via Curiel).

 

 

SEGNALAZIONI - Parco del Mare - Le perplessità di Legambiente

Legambiente Trieste si pronuncia su progetti concreti e non su "concept" o "visioni" e ha invitato a sottoscrivere la petizione in attesa di esprimere un parere ragionato. Da allora abbiamo raccolto utili informazioni e ora evidenziamo tre problematiche: 1) aspetto urbanistico-paesaggistico. Dove mettere i bus e le auto che porteranno i 900.000 / 700.000 visitatori/anno, cioè una media di 2000/2500 al giorno? Per l'impatto visivo, attendiamo di sapere l'altezza esatta dell'edificio principale. 2) aspetto economico-finanziario. Abbiamo grandi perplessità sulla solidità dell'iniziativa e sulla mancata informazione dei triestini, che dovrebbero essere i beneficiari di questi fondi. Secondo quanto dichiarato da Paoletti il 4 novembre 2006, i 50 milioni di euro previsti per l'opera sarebbero stati "coperti in gran parte da privati". In seguito però si parla di 40-44 milioni (di cui quasi 30 milioni di impegno privato), nell'ottobre 2007 di 48 milioni (di cui 30 pubblici) e nel 2012 di 44 milioni per il solo acquario (di cui 33 coperti dal pubblico). Oggi ci sono 9 milioni della CdC, 9 della Fondazione CRTrieste, "qualche" milione della Regione, probabilmente nulla dai privati, per una spesa non definita. Le proporzioni privato/pubblico si sono totalmente invertite. I cittadini, che hanno alimentato i profitti della Crt (ora in Fondazione) e il Fondo Benzina, e gli operatori ancora oggi "tassati" da Paoletti per il Parco del mare, hanno diritto di conoscere le esatte valutazioni economico/finanziarie sulla validità del progetto, e dove finiranno i 20 milioni destinati alla città. In democrazia scelte così importanti non possono essere decise da pochi, senza alcuna trasparenza. L'affidamento della struttura a una ditta specializzata, che si assume gli enormi oneri di gestione, non ci garantisce dal rischio di trovarci - dopo i primi anni di successo - un'enorme struttura a carico, soprattutto se i calcoli dei costi/benefici, cioè la redditività, risultassero incerti o poco affidabili. Vogliamo conoscere i dettagli delle previsioni di entrate e uscite previste per l'acquario, perché una delega in bianco ai gestori ci esporrebbe a rischi eccessivi. 3) il terzo aspetto riguarda gli animali dell'acquario. Secondo la legislazione UE ed italiana, un acquario è parificato agli zoo. In questo tipo di acquari - deve essere chiaro a tutti - il fine principale degli investitori è il profitto, tutti gli altri scopi (educativo, ricreativo, di ricerca) sono secondari. Lo scopo principale è attirare più persone possibili e anche più volte all'anno. A Trieste molti cittadini non accettano che degli animali vengano rinchiusi nell'acquario, e ritengono che dal punto di vista educativo questo modello, come gli zoo, vada superato dall'uso della realtà virtuale e dall'educazione al rispetto per gli altri esseri viventi. Però è chiaro che tutte le proposte alternative, compresa quella di spostare il progetto in Porto Vecchio, comportano la chiusura del progetto di Paoletti e una sua ridiscussione, a partire da zero. Legambiente chiede che un progetto di tali dimensioni venga discusso pubblicamente e che vengano presentate anche ipotesi alternative per usare questi fondi a beneficio della città.

Andrea Wehrenfennig - presidente Circolo Legambiente Trieste

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 1 aprile 2017

 

 

Dall’ex Volta all’Oberdan - Un rebus da venti milioni - La foto delle urgenze dopo il passaggio delle superiori dalla Provincia al Comune
In lista d’attesa compaiono pure il Max Fabiani, il Nordio e il Nautico-Galvani
Gli esami non finiscono mai, ma nemmeno i cantieri. Certamente quelli delle scuole superiori triestine, passate di competenza del Comune dopo il tramonto delle Province. La giunta Dipiazza ora ha sul groppone ben 20 milioni di investimenti per rimettere in sesto le malconce strutture cittadine, secondo le stime compiute ancora a suo tempo dalla stessa amministrazione provinciale. Un’impresa titanica perché i fondi statali e regionali spesso arrivano col contagocce. Di ristrutturazioni, in questi ultimi anni, se ne son viste. Ma molto resta da fare, avverte l’ormai ex assessore provinciale al Patrimonio Mariella De Francesco che fino a poco tempo fa aveva in mano la mappa dei lavori da avviare. Il discorso è complesso. Perché mentre sistemi gli infissi da una parte, si sgretola l’intonaco dall'altra. Rifai i bagni, ma non i corridoi. Sistemi il riscaldamento, ma chi pensa alle facciate esterne? Aggiusti il parquet della palestra, ma nel frattempo nei laboratori si lavora con strumenti anteguerra. «Anche questo è un problema - evidenzia l’ex assessore - aule e materiali spesso sono insufficienti alla didattica». Se i soldi sono pochi ci si concentra sulle priorità. Che significa, innanzitutto, sicurezza. «Ecco - riprende De Francesco - da questo punto di vista mi sento di dire che molto negli ultimi anni è stato fatto». Rimesse a norma le finestre pericolanti e gli impianti elettrici, ora tocca al resto. Un primo sommario inventario segnala, ad esempio, che nella succursale del liceo classico Petrarca in largo Sonnino bisogna mettere a posto la facciata. Da rifare pure corridoi e scale. «Sono sicure, ma andrebbero allargate secondo le normative vigenti. Stiamo parlando di una struttura piccola - chiarisce - perché nasce come una scuola elementare e quindi è inadatta a ragazzi più grandi. Ci si adatta perché gli spazi sono quelli che sono». In cima alle priorità pure l’ex Volta, in via Battisti, oggi sede distaccata del liceo scientifico Galilei e di alcune classi dell’istituto tecnico industriale di lingua slovena Stefan. Il palazzo, senza altri investimenti, rischia di rimanere utilizzato a metà: c’è il pianoterra da sistemare, così come il primo piano, mentre il secondo e il terzo sono già stati rimessi a nuovo. L’elenco continua con l’edificio di piazzale Canestrini, a San Giovanni. Si tratta dell’ex Stefan, sottoposto a un rifacimento totale. I lavori, lì, saranno completati il prossimo anno scolastico. In futuro la struttura ospiterà pure l’istituto tecnico statale Ziga Zois, che si trova provvisoriamente nell’immobile del parco in via Weiss. Non è finita qui. La succursale dell’ex Carducci, in via Corsi, ha subìto recentemente un intervento alle finestre e agli ambienti interni. Presto toccherà alle facciate, fondi permettendo. In attesa di lavori di riqualificazione pure l’istituto tecnico Max Fabiani, così come il liceo artistico Nordio, che a causa di alcuni spandimenti in corrispondenza delle vetrate ha delle aree di fatto inutilizzate. «Ci sono dei punti da impermeabilizzare, compresi quelli che danno sul versante del porto - ricorda De Francesco - ma anche le parti interne andrebbero sistemate per rendere tutta la scuola agibile». Cantieri in piazza Hortis, al Nautico-Galvani. «C’era un grosso progetto da quasi sei milioni di euro - ripercorre l’ex assessore - ma l’investimento che poi è stato concretizzato si è limitato a circa due e mezzo. Sono stati ristrutturati tetto, facciate e bagni - puntualizza - ma rimangono ancora da completare i corridoi, ad esempio, oltre alle scalinate». La lista è destinata a non esaurirsi facilmente. «Purtroppo no - avverte l’ex esponente della giunta Bassa Poropat - anche gli istituti messi meglio hanno necessità di manutenzioni continue. Proprio il Petrarca, dove di recente è stata aggiustata la palestra, avrebbe necessità di una rivisitazione completa all’interno. E non solo a spot, come fatto finora. Stesso discorso per l'Oberdan - sottolinea - là vanno riqualificati i laboratori e pure la parte antistante la palestra, spogliatoi compresi, oltre al campo esterno. Tirando le somme, si raggiungono non meno di 20 milioni di euro».

Gianpaolo Sarti

 

L’incognita dell’ex caserma di via Rossetti - La possibile trasformazione da area militare a didattica vincola i destini della succursale del Petrarca
Il futuro del Petrarca, della sede succursale di largo Sonnino almeno, è appeso al destino dell’ex caserma di via Rossetti. Come saranno impiegati, in futuro, quegli enormi edifici abbandonati? Parte delle strutture potrà ospitare studenti? Del trasloco di licei e istituti nell’enorme complesso militare si è parlato a lungo, in passato, ma ad oggi non ci sono risposte e progetti certi. Gli interrogativi restano in sospeso. «Ecco perché molti lavori nella succursale del Petrarca, nel tempo, sono stati rimandati», ragiona la dirigente scolastica del Petrarca Cesira Militello. «La mia non è una polemica - precisa la preside - anche perché all’ex Provincia va riconosciuto un grande impegno. Per quanto ci riguarda da noi sono stati rifatti numerosi lavori nella sede centrale, tra cui gli spogliatoi. Per la succursale siamo invece in una situazione di stallo: di fatto grandi iniziative di ristrutturazione alla fine non sono mai state assunte proprio perché c’era la previsione di assegnarci una parte dell’ex caserma, che costituisce sicuramente un obiettivo per la nostra scuola. Questo perché stiamo parlando di una struttura prospiciente che quindi risolverebbe anche i problemi logistici per i docenti che dovrebbero spostarsi da una parte all’altra. In largo Sonnino rimangono quindi da rifare le facciate, ad esempio». Anche il Galilei reclama attenzione. «Qualche anno fa abbiamo beneficiato di un finanziamento ministeriale cospicuo - ricorda la preside Lucia Negrisin - e questo è stato possibile grazie a un progetto immediatamente cantierabile predisposto dalla Provincia con cui è stata rifatta tutta la parte interna, bagni compresi, e pure i serramenti. Quindi oggi abbiamo una scuola che all’interno è a posto al 90%. Certo, mancano le facciate, solo che l’impalcatura costa centinaia di migliaia di euro visto che siamo su una scarpata». Lavori ancora da completare al Nautico-Galvani, in piazza Hortis. «Il primo lotto, cioè la ristrutturazione esterna, è ultimato - evidenzia la preside Donatella Bigotti - ed è stata rifatta pure una parte dei servizi igienici. La situazione è cambiata, ma ci aspettavamo anche il rifacimento della seconda parte dei servizi. La Provincia aveva avviato la progettazione, ma il passaggio di competenze con il Comune credo abbia bloccato il secondo step dei lavori». L' impiantistica delle scuole triestine risulterebbe invece tutto sommato a norma, ormai. «Da questo punto di vista tutto è a posto adesso - conferma l’ex assessore provinciale al Patrimonio Mariella De Francesco - e gli anni scorsi abbiamo provveduto a sostituire anche le caldaie, installando impianti a risparmio energetico. Ma le scuole rimangono ancora poco decorose e inadeguate sotto il profilo della didattica moderna. Anche se non crolla niente, ma non ti occupi di dipingere gli esterni, ad esempio, una scuola apparirà sempre vecchia».

(g.s.)

 

 

Ok al “porta a porta” a Muggia ma la Tari più cara fa litigare
MUGGIA «Entro autunno partiremo con la raccolta “porta a porta”». Laura Marzi annuncia quella che sarà una vera e propria rivoluzione nella quotidianità dei muggesani. Durante l’ultimo Consiglio comunale sono state approvate le nuove tariffe della Tari per rispondere al nuovo tipo di servizio curato dalla Net spa di Udine. «Abbiamo vissuto una discussione vivace con una sostanziale divergenza di opinioni. Allo stesso tempo ho constatato la disponibilità da parte dei consiglieri di minoranza a fornire il proprio contributo in quello che sarà un passo importantissimo per la nostra cittadina», aggiunge Marzi. L’iter per raggiungere l’effettiva raccolta differenziata dei rifiuti prevede una serie di incontri informativi. «Inizieremo con gli studenti entro la fine di quest’anno scolastico», puntualizza il sindaco. Così Nicola Delconte di Fdi: «Finalmente il Comune ha deciso di affrontare gli enormi problemi lasciati in eredità dalla fallimentare amministrazione precedente. Ci siamo astenuti poiché nonostante le mancanze e le perplessità di questo piano, che riguardano principalmente gli aumenti delle tariffe, diamo atto che almeno un tardivo inizio ci sia stato». Roberta Tarlao di Meio Muja ha spiegato il motivo del suo voto contrario: «Siamo favorevoli alla differenziata ma a causa dell’urgenza di approvare le tariffe non abbiamo potuto fornire alcun contributo per migliorare il progetto. Ho votato inoltre contro poiché non condivido l’impostazione dell'assessore sulla raccolta dell’indifferenziata che causerà comportamenti viziosi come la migrazione dei rifiuti». Contraria anche Roberta Vlahov (Obiettivo comune): «Siamo favorevoli alla differenziata, ma non all’aumento della tariffa. I cittadini che fanno sacrifici vanno premiati, non penalizzati". Nel voto contrario si è ritrovato anche il M5S. Astenuti, oltre a Fdi, anche Forza Muggia e Lega Nord. Favorevole la maggioranza di centrosinistra.

Riccardo Tosques

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 31 marzo 2017

 

 

L’iniziativa - Maratona senza confini per rilanciare le ferrovie
Sono partiti ieri per una mini maratona ferroviaria transfrontaliera attraversando tre differenti Stati: Italia, Slovenia e Austria. Ripercorrendo idealmente la Trieste-Jesenice, una delle linee della Transalpina, sono passati nell'arco della giornata per Villaco, Gorizia, Nova-Gorica, il lago di Bled, arrivando fino a Gemona del Friuli con il treno del progetto Micotra che collega Udine a Villacco.

La Confederazione mobilità dolce (Co.Mo.Do) dedica a livello nazionale per il secondo anno un mese intero all'uso di treni, bici e passeggiate con varie tappe italiane assieme alla X edizione della “Giornata/e nazionale delle ferrovie non dimenticate”, a cui partecipano diverse associazioni. Per «il rilancio del valore turistico, culturale ed ambientale delle ferrovie (non) dimenticate», ha affermato il presidente nazionale di Co.Mo.Do, Massimo Bottini. Un tour che in regione si concluderà oggi con le iniziative di domani e domenica lungo la ferrovia Gemona-Sacile sospesa da alcuni anni a causa di una frana e mai più ripristinata, ma che, ha sottolineato Andrea Wehrenfennig della segreteria regionale di Legambiente «dovrebbe essere riattivata entro il 2017». La manifestazione ha visto i partecipanti a Trieste anche per sensibilizzare le istituzioni sui carenti collegamenti ferroviari transfrontalieri. «È una vergogna che da qualche anno non vi sia un treno diretto da Venezia e Trieste a Lubiana e Zagabria - ha detto il vicepresidente di Co.Mo.Do Massimo Ferrari -. E lo è anche il fatto che non venga adeguatamente valorizzata la Ferrovia Transalpina tra Gorizia e Bled, di grande interesse ambientale. Occorrono, infine, più frequenti collegamenti su rotaia tra Venezia, Udine, Klagenfurt e Vienna». «In questi anni è cresciuta comunque la sensibilità, e si è sviluppato qualche fatto concreto per il rilancio delle linee ferroviarie locali», ha aggiunto Anna Donati, presidente onorario di Co.Mo.Do, facendo riferimento al progetto di legge per lo sviluppo delle ferrovie turistiche ora al vaglio nella commissione Trasporti del Senato. (b.m.)

 

Luka Koper sfida il governo sulla ferrovia - Tasse sulla movimentazione e aumenti di pedaggi per finanziare la Capodistria-Divaccia: protestano vertici e sindacati del porto
LUBIANA A prima vista può sembrare un ossimoro, una contraddizione, ma la nuova legge approvata ieri dal governo della Slovenia per la realizzazione del secondo binario lungo la linea ferroviaria tra Capodistria (leggi porto) e Divaccia incontra l’opposizione di chi ne dovrebbe essere il primo beneficiario, ossia Luka Koper e i sindacati, la società che gestisce il Porto del capoluogo del Litorale sloveno. Oltre a istituire la società 2Tdk che sarà contemporaneamente concessionario e investitore della nuova linea ferroviaria, la norma che adesso passerà al vaglio del Parlamento di Lubiana prevede alcuni capitoli che riguardano i cespiti di finanziamento dell’opera. Oltre ai fondi europei e a quanto è in grado di fornire lo Stato, poco invero per un opera che dovrebbe costare 1,4 miliardi di euro (anche questa cifra è oggetto di contestazioni), la rabbia dei camalli di Capodistria e della società per cui lavorano è concentrata sul fatto che la normativa prevede, proprio per il finanziamento dell’infrastruttura, una tassa sulle merci che vengono movimentate proprio dal porto di Capodistria. Se questo balzello venisse introdotto già per l’anno incorso verrebbe a costare circa 18 milioni di euro, balzello che il governo sì è riservato di poter aumentare o diminuire nell’ordine del 20%. Apriti cielo. Luka Koper e i sindacati non ci stanno. È giusto, precisano, che Luka Koper, il primo beneficiario del raddoppio della tratta ferroviaria partecipi alla realizzazione dell’infrastruttura, ma questo avvenga attraverso un “prelievo” statale dei ricavi di Luka Koper. Insomma i sindacati, in primo piano, chiedono al governo Cerar di convocare gli azionisti di Luka Koper e dire loro che il dividendo dei prossimi anni delle azioni dello scalo sarà impegnato nella strategica infrastruttura ferroviaria. Altrimenti, sostengono all’unisono camalli e Luka Koper, il porto perde la sua competitività e rischia di perdere, di conseguenza, traffici. Ma la legge approvata dal governo sloveno non prevede soltanto la tassa sulle merci movimentate nel porto di Capodistria, ma anche un aumento del pedaggio autostradale dei camion superiori alle 3,5 tonnellate che circoleranno in Slovenia. Automatica la protesta delle associazioni degli autotrasportatori, mentre questa tassa dovrà essere sottoposta la parere dell’Unione europea. Lubiana però è ottimista in quanto in sede comunitaria esiste il precedente dell’Austria che ha introdotto un “balzello” simile per finanziare la realizzazione del nuovo traforo del Brennero. La tassa slovena dovrebbe portare al progetto un ammontare complessivo di 11,4 milioni di euro. Molte le critiche al provvedimento del governo. Soprattutto per il fatto che non vi è alcuna certezza della copertura economica della realizzazione del progetto e sugli investimenti magiari (300mila euro?) siamo ancora nella fase delle ipotesi.

Mauro Manzin

 

 

Voto bipartisan, tassa sui rifiuti invariata - Il Consiglio comunale vota a maggioranza la delibera sulla Tari. Contrari solo i rappresentanti grillini
La tassa sui rifiuti (Tari) rimarrà sostanzialmente invariata. Famiglie, imprese, pubblici esercizi, negozi, dovranno sopportare un costo pressoché identico a quello dello scorso anno. Complessivamente saranno chiamati a versare circa 34 milioni e mezzo di euro. Lo ha deciso ieri sera a grande maggioranza il consiglio comunale. La delibera presentata dall'assessore al Bilancio, Giorgio Rossi, che prevede tariffe in linea con quelle applicate nel 2016, ha ottenuto 29 voti favorevoli su 34 presenti: i 5 no sono stati dei 5Stelle. «Contestiamo l'intera impostazione di questa delibera - ha spiegato il capogruppo, Paolo Menis - perché a nostro modo di vedere questo meccanismo di tariffazione va rivisto per ottenere una maggiore equità nella distribuzione dei costi. Dovrebbe pagare di più chi inquina di più e sarebbe anche utile modificare in generale l'impostazione della raccolta rifiuti». «Questa maggioranza - ha concluso - non ha una visione a medio lungo termine dello smaltimento dei rifiuti». Vincenzo Rescigno, capogruppo della lista Dipiazza, ha parlato di «delibera che rispecchia le linee programmatiche del sindaco». Antonio Lippolis (Lega Nord), pur confermando il sì del suo gruppo, ha invitato «le istituzioni a farsi parte diligente, per modificare la normativa che sta alla base dei criteri di distribuzione dei costi, un decreto che risale al 1999, che non tiene conto delle modifiche intervenute nel frattempo nella società». Dopo l'approvazione, Andrea Cavazzini (Forza Italia) ha presentato un ordine del giorno per chiedere, a partire dal prossimo anno, «un esonero o una consistente riduzione della Tari per le famiglie numerose o con almeno due figli, i cui genitori risultino residenti a Trieste da almeno due anni e di cui almeno uno dei due sia di cittadinanza italiana». L'ordine del giorno è stato approvato con 28 voti favorevoli, un astenuto, quello di Maria Teresa Bassa Poropat, e il no dei consiglieri del Pd. «Abbiamo votato contro - ha spiegato la capogruppo Fabiana Martini - in quanto ci lascia perplessi il riferimento alla necessità di avere la cittadinanza da parte di almeno uno dei due genitori. Sappiamo che ottenerla implica un iter piuttosto lungo, inoltre non abbiamo capito perché il testo non sia stato direttamente inserito nella delibera presentata dall'assessore Rossi». Dopo l'approvazione dell'ordine del giorno di Cavazzini, la seduta è stata sospesa per una ventina di minuti per permettere al sindaco, alla giunta e ai consiglieri di assistere all'arrivo davanti a piazza dell'Unità d'Italia della “Majestic Princess”. Fatta infine propria dalla giunta, come "raccomandazione", la mozione presentata da Francesco Bettio (lista Dipiazza) che prevede «la possibilità di incrementare gli stalli destinati ai velocipedi».

Ugo Salvini

 

Liberate da rifiuti e inciviltà due super vedette del Carso - I volontari di “Sos Carso” di nuovo in azione dopo le pulizie nel bosco di Crogole
Al setaccio i punti panoramici Liburnia e Weiss compreso un ex bunker di Gladio
DUINO AURISINA - Bottiglie, taniche, sedie e lattine. Ecco il “classico” repertorio di rifiuti che il team di volontari del gruppo Sos Carso ha incontrato durante l’ultima gita di pulizie carsoline, la prima in salsa primaverile. La formazione capeggiata da Cristian Bencich e Furio Alessi ha setacciato i dintorni delle vedette Liburnia e Tiziana Weiss, due dei punti più panoramici del territorio triestino. Tra le aree ripulite anche il bunker utilizzato da Gladio durante la Guerra Fredda. Attraversando i sentieri Cai 1 e 23 e quello della Salvia i volontari si sono recati in prima battuta alla vedetta Liburnia nel territorio comunale di Trieste (ma inserita nel catasto dell’AcegasApsAmga) a pochi passi dal confine con il territorio di Duino Aurisina, sul ciglione, nella sella tra il monte Berciza ed il monte Babiza. La vedetta è in realtà una ex torre piezometrica, una struttura tecnica a servizio dell’acquedotto, con la funzione di mantenere regolare la pressione dell’acqua. Il manufatto venne eretto tra il 1854 e il 1856 su progetto dell’ingegnere viennese Carl Junker, lo stesso che realizzò il Castello di Miramare. «La vedetta Liburnia era piena di bottiglie, vetri e plastiche. Abbiamo ripulito la scalinata interna e il terrazzo, raccogliendo al suo interno un sacco nero di immondizie. Sul sentiero della Salvia e sui sentieri Cai abbiamo raccolto invece qualche bottiglia in plastica, una tanica e un secchio di plastica», racconta Bencich. Successivamente il gruppo di volontari triestini si è recato alla vedetta Weiss, sita nella frazione di Aurisina cave, appartenente al comune di Duino Aurisina, una costruzione molto più semplice che risulta quasi una specie di «terrazza a mare» naturale. La struttura è intitolata all’alpinista triestina Tiziana Weiss, scomparsa nel 1978 a soli 26 anni in seguito ad un incidente in parete sulle Pale di San Martino. Due le particolarità. La vedetta è costruita sui resti di un bunker militare, bunker che venne utilizzato appunto dall’organizzazione Gladio come “Nasco 203” un nascondiglio di armi e munizioni in caso di resistenza ad una possibile invasione dall’Est comunista. La storia narra che nel febbraio 1972 due quattordicenni trovarono per caso un vero e proprio arsenale che in base all’inventario stilato allora dai carabinieri era composto da 15 chili di esplosivo plastico, cinque di cariche esplosive di dinamite, 200 metri di miccia detonante, 80 detonatori, 50 trappole esplosive, nonché una pistola automatica spagnola Star con 50 cartucce, una pistola americana Histandard calibro 22 con silenziatore e 50 proiettili, sei granate incendiarie e numeroso altro materiale esplosivo. Del tutto diversi, ovviamente, i reperti ritrovati ora da Bencich e soci: «Nell'area abbiamo trovato barattoli, bottiglie, un tappeto di mozziconi di sigarette che, ricordiamo, necessitano dai due agli otto anni per decomporsi. Inoltre abbiamo ripulito il bunker sottostante da una sedia di plastica, una cassetta di plastica, una scala in ferro e qualche bottiglia». Il gruppo Sos Carso si era già contraddistinto qualche settimana or sono per il grande intervento nel bosco sopra la frazione di Crogole, a San Dorligo della Valle, sotto San Servolo. Qui l’area era divenuta una vera e propria discarica a cielo aperto per mano di un ghanese senza fissa dimora. Il team era intervenuto anche nel bosco di Pese-Draga, sempre a San Dorligo, vicino ad una “jazera”, l’antico sistema di produzione del ghiaccio. Bencich rinnova il doppio invito a chi volesse unirsi alle pulizie carsoline: «Ci si può trovare facilmente sulla pagina Facebook Sos Carso. In alternativa la donazione di guanti e sacchi neri sarà sempre ben accetta».

Riccardo Tosques

 

 

Salvare il laghetto di Percedol è un atto “contro natura” - La lettera del giorno di Franco Cucchi già docente di Geografia fisica e Geologia applicata presso l’Università di Trieste

Mi hanno colpito le prime due frasi dell’articolo sul laghetto di Percedol comparso su Il Piccolo di domenica 26 marzo: «Il laghetto incastonato nella dolina di Percedol è un fenomeno naturale tanto raro quanto prezioso. Addirittura unico in Italia, nell’ambito del carsismo».Ebbene, forse sarà raro, ma sicuramente non è naturale! Nei secoli passati i pastori carsolini avevano impermeabilizzato il fondo per creare una pozza d’acqua dove abbeverare il bestiame. Con continuità tenevano sotto controllo i punti di assorbimento che costellano il fondo della dolina, garantendo agli animali la presenza dell’acqua piovana. Parafrasando il suo incipit, il laghetto di Percedol è un ottimo esempio di artificialità, di ristagno d’acqua in superficie in territori carsici. Di simili in Italia ce ne sono moltissimi, “carsici” e non carsici: l’uomo ha cercato, e per molto tempo ci è riuscito, e cerca ancora, spesso non riuscendoci, di piegare l’evoluzione naturale ai suoi scopi. Ora a Percedol la natura (intesa nel senso più ampio, “geologica”) riprende il sopravvento: non per nulla gli americani per definire queste depressioni usano il termine “sinkhole” e non dolina (termine tratto dalle lingue slave, divenuto “europeo”): foro del lavello (inghiottitoio) più che depressione (valle, pianura). Che si voglia preservare un ecosistema è umano, che si affermi di effettuare interventi per salvaguardare “fenomeni naturali” che tali non sono è, in questo caso se non sempre, una forzatura. La dolina di Percedol, dolina asimmetrica di prevalente dissoluzione, frutto della coalescenza di più punti idrovori, antico abbeveratoio non più utilizzato, è divenuta negli ultimi cinquant’anni habitat “anomalo” nel Carso Classico per la costante presenza d’acqua superficiale. E, come tale ha acquisito caratteristiche ambientali particolari che, nel Carso, sono in parte tipiche “naturalmente” anche delle grandi kamenitze (le vaschette di corrosione). Voler mantenere “artificialmente” questi habitat è cosa discutibile ma possibile. E’ però necessario programmare, accanto ad interventi mirati e geologicamente compatibili, anche una manutenzione “ordinaria” a tutela dell’efficacia degli interventi. Che, debbo ribadirlo, nel caso specifico sono “contro natura”!

 

 

 

 

GREENSTYLE.it - GIOVEDI', 30 marzo 2017

 

 

TAP: gasdotto, un’opera che serve davvero?

Il gasdotto TAP sta occupando in questi giorni le pagine della cronaca per via delle proteste che si sono accese in Puglia, più precisamente nella Provincia di Lecce, tra le località di Melendugno e San Foca. Gli animi si sono scaldati dopo che il Ministero dell’Ambiente ha autorizzato l’eradicazione di oltre 200 ulivi per far posto all’infrastruttura che porterà in Italia il gas dalla lontana regione del Mar Caspio, attraversando Turchia, Grecia, Albania e Mar Adriatico prima di approdare nel nostro paese.

È però bene valutare la questione da un punto di vista differente rispetto a quello che considera esclusivamente l’impatto ambientale dell’opera: il Trans Adriatic Pipeline serve davvero?

Si parta dal considerare che il costo complessivo dei lavori si aggira intorno ai 4,5 miliardi di euro. Il rischio è che, in caso di inattività o scarso utilizzo della linea, parte delle spese possa ricadere in futuro sulle tasche delle utenze, in bolletta, ripetendo così una situazione già vista con il rigassificatore OLT di Livorno, come sottolinea Luigi De Paoli, docente di economia dell’energia alla Bocconi sulle pagine del sito QualEnergia. Di per sé l’idea di diversificare le fonti di approvvigionamento del gas non è errata, poiché renderebbe l’Italia meno dipendente dagli umori e dalle strategie potenzialmente imprevedibili di fornitori come la Russia, la Libia e l’Algeria. Va altresì considerato che Paesi come Azerbaigian e Turchia, di importanza fondamentale nella gestione del TAP, non costituiscono solide garanzie dal punto di vista dell’affidabilità di chi li amministra. Un altro fattore da non trascurare è quello legato alla reale necessità di importare altro gas, considerando che l’Italia ha già una capacità potenziale pari a 140 miliardi di metri cubi l’anno, mentre il consumo non supera il 50% di tale quota. Il gasdotto andrebbe ad aggiungerne altri 10 miliardi. L’obiettivo del governo sembra però essere un altro: trasformare il nostro Paese in una sorta di hub per la distribuzione della materia prima a livello continentale. Anche da questo punto di vista ci sono dubbi sull’effettiva fattibilità del progetto.
Ultimo tassello del puzzle, ma non per questo trascurabile, è la visione in prospettiva correlata a un sempre più massiccio sfruttamento delle fonti rinnovabili: con un ciclo vitale del gasdotto stimato in trent’anni si arriverà a ridosso del 2050, quando solare, fotovoltaico ed eolico dovrebbero (ci si augura) soddisfare gran parte della domanda energetica.
Il rischio è dunque quello di trovarsi ben prima con un’opera mastodontica, ma almeno parzialmente inutilizzata e responsabile di costi ingenti per il mantenimento. Uno scenario ancora più inquietante è quello che vorrebbe gli investimenti destinati al TAP frenare lo sviluppo delle rinnovabili. Insomma, i quesiti e gli spunti di riflessione sull’effettiva necessita di un nuovo gasdotto non mancano, così come gli argomenti a sostegno di chi supporta l’una e l’altra posizione.

Cristiano Ghidotti

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 30 marzo 2017

 

 

Centrale di Krsko sotto la lente a Bruxelles - I ricercatori Sirovich e Decker all’Europarlamento: attività sismica anche recente nell’area della struttura
TRIESTE Due ricercatori, uno triestino e uno austriaco, hanno tenuto ieri una delle due sessioni della conferenza "Rischio sismico in Europa" del Parlamento europeo a Bruxelles. Al centro della loro relazione i pericoli derivanti dalle centrali nucleare in zone sismiche, e in particolare quelli legati alla centrale slovena di Krsko. I due ricercatori sono Kurt Decker dell'università di Vienna e Livio Sirovich dell'Ogs di Trieste: sono andati nel cuore dell'Unione europea su invito dell’europarlamentare Pd Isabella De Monte, che ha organizzato la conferenza. Hanno parlato a titolo personale, senza quindi coinvolgere i rispettivi istituti. Decker e Sirovich hanno sintetizzato per i rappresentanti europei quanto avevano esposto nell'ottobre scorso al senato italiano. Il panorama tracciato è preoccupante: a confermarlo c'è anche un recente servizio di La7, in cui il direttore dell'Agenzia di sicurezza nucleare slovena Andrej Stritar, di fronte al giornalista che gli chiedeva cosa sarebbe successo in caso di terremoto di magnitudo 7, ha risposto facendo il gesto del toccar ferro. Proprio 7 è il valore sulla scala Richter che un terremoto potrebbe potenzialmente raggiungere a Krsko secondo diversi esperti: l'ha spiegato Sirovich all'Europarlamento illustrando i dati. Decker ha sottolineato la necessità di sviluppare un programma per identificare le faglie attive e l'urgenza di farlo subito attorno al sito di Krsko, dove esiste anche una preoccupante attività sismica passata e recente. Sirovich ha precisato che la centrale è stata progettata a fine anni '70 del '900 per un'accelerazione di riferimento al suolo di 0,3g (accelerazione di gravità). Secondo uno studio segreto la centrale dovrebbe resistere anche a un dato di 0,6g ma, ha proseguito Sirovich, questa conclusione è poco affidabile, e non è certo nemmeno che 0,6 sia la massima accelerazione possibile in sito. «Secondo gli stress test sloveni - ha spiegato il geologo -, con un'accelerazione superiore a 0,8g sarebbero probabili danni al nocciolo del reattore, con rilasci di radioattività nell'ambiente». Vi si legge anche che non si può escludere «che nelle fondazioni si verifichi il pericolosissimo fenomeno della liquefazione delle sabbie». I due tecnici hanno criticato anche i criteri adottati dagli stress test europei. Hanno spiegato: «La scelta di stress test di questo tipo non sembra discendere dal desiderio di esporre al pubblico risultati trasparenti, e verificabili da valutatori indipendenti, ma piuttosto dalla volontà politica di lasciare a ogni nazione mano libera sulle proprie scelte energetiche; ciò senza preoccuparsi delle conseguenze di sicurezza nazionale e internazionale». I ricercatori hanno concluso citando una lettera dell'Istituto nazionale francese di radioprotezione e sicurezza nucleare, del 2013, rivolta alle autorità slovene, che a proposito della pericolosità sismica della centrale di Krsko espone concetti simili.

Giovanni Tomasin

 

 

Dalla Tari un tesoretto da oltre 34 milioni - Esame in commissione per la tassa sui rifiuti che resterà invariata. Ma tengono banco le differenze di esborso tra le categorie
I PARADOSSI RILEVATI - I piccoli negozi finiscono per pagare di più rispetto ai supermercati e la voce “attività industriali” pesa molto poco - Gli incassi della TARI -stime 2017-
L’importo della tassa sui rifiuti (Tari) rimarrà pressoché invariato rispetto allo scorso anno, e il Comune si aspetta di incassare dal tributo un gruzzolo da circa 34 milioni e mezzo di euro (cifra analoga al 2016). È quanto emerso ieri mattina dalla relazione che l’assessore al Bilancio Giorgio Rossi ha fatto alla Seconda commissione del Consiglio comunale, presieduta dal consigliere della Lista Dipiazza Roberto Cason. L’esponente della giunta ha consegnato ai consiglieri il testo della delibera che definisce la Tari, accompagnata da una serie di tabelle che chiariscono, tra le altre cose, quali siano le entrate previste per il 2017. La parte del leone la faranno ovviamente le utenze domestiche, per un totale di quasi 21 milioni e 400mila euro. Tra le utenze non domestiche svetta invece la categoria “uffici, agenzie, studi professionali”, che porterà alle casse comunali un totale di quasi tre milioni e mezzo di euro. Al secondo posto “ristoranti, trattorie, osterie, pizzerie e pub” con oltre un milione e 600mila euro e al terzo “autorimesse e magazzini senza alcuna vendita diretta”, che pesano per circa un milione e 300mila euro. Più di un consigliere è stato colpito dalla differenza di introiti, ad esempio, con l’industria: dalla categoria “attività industriali con capannoni di produzione” il Comune prevede di incassare in tutto neanche 70mila euro. Nella discussione che ne è seguita, diversi partecipanti hanno espresso perplessità sui criteri adottati. Ma, come hanno spiegato i tecnici del Comune, sono strumenti dettati dal livello nazionale. Il consigliere leghista Antonio Lippolis ha rilevato come la categoria dei piccoli negozi, “ortofrutta, pescherie, fiori e piante, pizza al taglio”, paghi di più (316mila euro) rispetto ai supermercati (274mila euro): «Mi chiedo perché le piccole attività abbiano una tassa da 16 euro al metro quadrato mentre i supermercati ce l’abbiano da quattro euro. Penso possano pagare di più, anche perché hanno assorbito praticamente tutto il mercato». Concetto ribadito anche dal forzista Everest Bertoli. Salvatore Porro di Fratelli d’Italia ha sollevato il problema delle famiglie numerose: «Chi ha tanti figli paga di più invece di essere aiutato». Il capogruppo del Movimento 5 Stelle Paolo Menis ha rilevato che «finché non ci sarà un sistema di valutazione puntuale continueranno ad esserci le iniquità che, in modo diverso, i consiglieri intervenuti hanno rilevato». Il dirigente comunale della Ragioneria Vincenzo Di Maggio ha spiegato la ragione per cui le tariffe presentano simili squilibri: «Per calcolarle si applica un decreto del 1999 - ha detto -. Quel testo contiene delle tabelle realizzate a seguito di studi fatti a livello nazionale, che in base a un’analisi empirica hanno quantificato la produzione di rifiuti per metro quadro nelle diverse categorie non domestiche». Queste tabelle vengono utilizzate su tutto il territorio nazionale per la definizione delle tariffe. Esiste la possibilità di cambiarle, ha precisato il dirigente, però si tratta di un’operazione alquanto complicata: «Se un Comune utilizza i criteri del Dpr è al sicuro da potenziali ricorsi. In caso di proteste può tirar fuori la regola nazionale, che vale come fosse un Vangelo. Se un ente locale decide invece di fare misurazioni proprie per rivedere i criteri alla base delle tariffe, deve poi essere in grado di difenderle». È probabile infatti che qualcuno, da una o dall’altra categoria, colga l’occasione per un ricorso davanti al giudice amministrativo: «Se il Comune definisce i costi in base ai criteri che si è creato deve essere sicuro che siano a prova di bomba».

Giovanni Tomasin

 

 

Ritirata la petizione anti Parco del mare - Si chiude a 1335 firme - Passo indietro dopo che Paniccia ha “dimezzato” il progetto - L’attesa ora è per il Consiglio chiarificatore del 6 aprile
Il Parco del mare, ormeggiato virtualmente al molo Fratelli Bandiera (area Porto Lido, zona Lanterna, ex Cartubi), che ondeggia in attesa del Consiglio comunale chiarificatore di giovedì 6 aprile, perde la petizione avversa. Non luogo a procedere visto che per strada è mutato (o forse non era stato ben compreso) l’oggetto del contendere. La petizione è stata chiusa lunedì scorso con 1335 firme. Il suo ritiro è conseguente all’intervista del 15 marzo a Massimo Paniccia, presidente della Fondazione CRTrieste, dove si parla di un «ridimensionamento di quasi la metà rispetto all’ipotesi iniziale”. «Paniccia dichiara di aver ridotto il concept di Chermayeff (il progettista, ndr) proprio “per superare le avversità suscitate dallo stesso in qualche settore cittadino” - spiega Giorgietta Dorfles, portavoce del Comitato “La Lanterna” che ha promosso la petizione -. È proprio questo, e solo questo, il motivo per cui abbiamo deciso di ritirare la petizione, perché non esiste più alcun elemento su cui esprimere una valutazione. Si tratta di un atto di correttezza e non di autocritica». Ovvero non si tratta di una retromarcia. Nel senso che il Comitato, che ora ha aperto pure una pagina Facebook, resta in attesa di capire esattamente di quale Parco del mare si sta parlando per Porto Lido. A partire dalle sue dimensioni e dal suo impatto sull’area della Lanterna. È in atto un dibattito su verità e falsità che circolano attorno al progetto. I promotori, a partire dalla Camera di commercio con il presidente Antonio Paoletti in testa, hanno persino aperto un confronto sui social per smontare alcune informazioni inesatte che circolano sull’ultima versione del Parco del Mare. Il progetto “dimezzato” del Parco del mare, illustrato da Paniccia, prevede un acquario da 11mila metri quadrati, 5,5 milioni di litri d’acqua e un costo stimato di 47,7 milioni. Punta a essere autosostenibile già con 600mila visitatori annui. I sette metri di altezza, indicati nel concept di Chermayeff, erano solo un’ipotesi di scuola. «L’ipotesi di realizzare il Parco del mare in zona Porto Lido ha fin da subito, fine 2015, fatto riferimento alle dimensioni indicate nell’intervista del presidente della Fondazione CRTrieste Paniccia. Dimensioni condivise con la Camera di commercio e sulle quali si sono espressi a favore il Comune, già con il sindaco Roberto Cosolini, e la Regione. Le “non verità” inserite nella petizione, e riferite solamente all’immagine di un concept progettuale, avrebbero richiesto un adeguato approfondimento prima di essere proposte e diffuse con commenti non basati su elementi reali», ha precisato alcuni giorni fa Andrea Bulgarelli, ufficio stampa della Cciaa, invitando a ritirare la petizione. Ma Giorgietta Dorfles non ci sta a passare per la portavoce di una petizione (ora ex) «basata sul falso e redatta solo per trarre in inganno la cittadinanza». «Se vogliamo ancora parlare di false informazioni, i nostri erano giudizi, cosa ben diversa, le assicurazioni che il Parco del mare si sarebbe visto solo dal molo Audace sono state smentite da una simulazione fatta dalla società Arsenal presso l’Area Science Park, inserendo sulla mappa in 3D della città il famoso cubone con le misure allora ventilate», aggiunge dando appuntamento a tutti alla verifica dell’aula comunale. Intanto la pagina Facebook “Parco del Mare di Trieste - Trieste Sea Park” ha raggiunto quasi 2.500 like (2.489 per la precisione) nonché 2.534 follower. La petizione ritirata del Comitato “La Lanterna” oltre 1.300 firme

Fabio Dorigo

 

 

In treno da Trieste a Villaco. Nuova linea da giugno 2018.

Estensione a Trieste, a partire da giugno 2018, nei fine settimana, del treno Villaco-Udine, gestito da Ferrovie Udine Cividale (Fuc) nell’ambito del progetto regionale Micotra, e biglietti integrati tra il trasporto pubblico locale del Friuli Venezia Giulia e il servizio ferroviario della Slovenia: sono i risultati dell’approvazione, in sede di Commissione europea, del progetto Connect2Ce - Improved rail connections and smart mobility in Central Europe, a valere sul cosiddetto asse prioritario 4 inserito nel secondo bando Interreg Central Europe di cui è capofila il segretariato esecutivo dell’Iniziativa centro europea (Cei). «È un successo di cui siamo orgogliosi e che aggiunge nuovi tasselli nel mosaico delle connessioni transfrontaliere del Friuli Venezia Giulia, sulla direttrice del Corridoio Adriatico - Baltico e sull’asse est - ovest, tasselli che sono concreti e percepibili per i cittadini», ha commentato la governatrice Debora Serracchiani, a proposito delle notizie inerenti proprio i trasporti transfrontalieri, di cui la Regione ha reso noti i dettagli in un comunicato stampa ufficiale. «La possibilità di estendere a Trieste, nei fine settimana, il treno Udine - Villaco arricchirà il Friuli Venezia Giulia di un collegamento con la Carinzia strategico sotto il profilo turistico, anche per la connessione con la rete ciclabile, mentre per quanto riguarda la Slovenia si apre finalmente l’opportunità di attivare, con una semplificazione dei biglietti, un’integrazione operativa del traffico passeggeri». E soddisfazione in questo senso è stata espressa anche dai vertici di Fuc, Ferrovie Udine - Cividale, «per l’aggiudicazione di un progetto europeo che dimostra la qualità delle nostre iniziative industriali. Ora siamo da subito impegnati nella costruzione del modello di esercizio Udine - Trieste, per corrispondere alle esigenze del mercato e dei tour operator». Il prolungamento pilota su Trieste del Villaco - Udine scatterà a giugno 2018 per la durata di un anno e assicurerà l’estensione del collegamento ferroviario il sabato e la domenica. Per quanto riguarda il biglietto integrato Italia - Slovenia, tra le possibilità allo studio c’è l'acquisto di un ticket ferroviario unico che con un piccolo sovrapprezzo garantisca ai passeggeri in arrivo alla stazione di Villa Opicina di imbarcarsi direttamente sui mezzi della Trieste Trasporti. Il progetto Connect2Ce, nel suo insieme, interessa sette Paesi dell’Ue, per una durata di 36 mesi (dal primo giugno 2017 al 31 maggio 2020) e un budget totale di due milioni e 850mila euro. Per l’Italia, accanto a Cei, capofila, i partner sono Ferrovie Udine - Cividale (che è una società a capitale interamente regionale), Regione Veneto ed Eurac (Alto Adige), con la Regione Friuli Venezia Giulia che è partner associato e la cui presidenza ha promosso e sostenuto l’iniziativa. Attualmente il progetto ferroviario Micotra (acronimo di “Miglioramento dei collegamenti transfrontalieri di trasporto pubblico”), che è sorto nell’ambito del programma operativo per il sostegno alla collaborazione transfrontaliera per le zone di confine Italia - Austria Interreg I, assicura con due coppie di treni un collegamento ferroviario regionale diretto transfrontaliero tra le stazioni centrali di Udine e Villaco con fermate intermedie a Gemona, Venzone, Carnia, Pontebba, Ugovizza, Tarvisio Bosco Verde, Thörl-Maglern, Arnoldstein, Villach Warmbad e Villach Westbf.

 

 

“Nel mare dell’intimità” sulle rotte antiche - Storie di uomini, navi e traffici al Savoia
“Nel mare dell’intimità, storie di uomini, navi e traffici sulle rotte antiche dell’Adriatico”. Su questo tema parlerà oggi alle 18, alla sala Imperatore del Savoia Excelsior, l’archeologa Rita Auriemma, direttrice del Servizio di catalogazione del patrimonio culturale del Friuli Venezia Giulia. L’appuntamento si inserisce nel ciclo di conferenze organizzate dall’associazione culturale Italian Liners. L’incontro si propone di illustrare le “vie miliari del mare”, la presenza e il significato storico dei relitti scoperti in Adriatico nel corso degli ultimi decenni. Tra essi, la nave romana del II secolo Julia Felix, ritrovata nel 1987 a 16 metri di profondità al largo di Grado. L’imbarcazione, lunga 17 metri e larga sei, trasportava 560 anfore, gran parte delle quali piene olio, vino e pesce in salamoia. Nella foto, filari di blocchi del molo romano di Salvore.

 

 

Orti e verde urbano 2017

Alle 17.30 alla sala Arac del Giardino pubblico il secondo incontro “Dagli orti a km 0 all’orto biologico” e “Come costruire un Gas” con Daniela Peresson, agronoma. il corso, gratuito e aperto al pubblico, si rivolge a chiunque abbia interesse a coltivare un orto per diventare agricoltore urbano, anche sul balcone di casa. Per informazioni: Tiziana Cimolino cell. 328-7908116 orticomunitrieste@gmail.com

 

 

 

 

FERPRESS.it - MERCOLEDI', 29 marzo 2017

 

 

Ferrovia Transalpina: De Caro, nei progetti dell’APDS Adriatico Orientale c’è uso come collegamento porto Trieste-Villa Opicina
Roma, 29 MAR – L’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale riferisce che la linea Transalpina presenta dei condizionamenti all’esercizio dei treni merci per le forti pendenze nella direzione Porto-Villa Opicina e per la sua portata dei treni inferiore alla media; la portata è tuttavia migliorabile con piccoli interventi e vanno rivisti i profili delle gallerie per consentire il transito dei container HC (high cube)”. Lo riferisce il sottosegretario ai Trasporti Umberto Del Basso De Caro rispondendo in Commissione Trasporti all’interrogazione Prodani sulla riattivazione della linea ferroviaria «Transalpina» nel tratto Campo Marzio – Opicina.

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 29 marzo 2017

 

 

Via libera alla gestione dei rifiuti 2017 - Tari immutata, il rebus differenziata
Il consiglio comunale ha dato voto favorevole, con l'eccezione del Movimento 5 Stelle, al nuovo Pef, piano economico finanziario per la gestione dei rifiuti. Un testo di accordo con Acegas che regola la gestione di circa 28 milioni di euro investiti in servizi e che dovrebbe portare a servizi sperimentali come la pulizia radicale delle strade e la raccolta dell'olio domestico esausto.

Approvato anche un ordine del giorno presentato da diversi consiglieri di maggioranza. Tanti i rappresentanti intervenuti dopo le relazioni dell'assessore competente Luisa Polli e del presidente della II commissione Roberto Cason (lista Dipiazza). Il capogruppo della civica Dipiazza Vincenzo Rescigno ha dichiarato: «La maggioranza garantisce il non aumento delle bollette, frutto di un'attenta contrattazione da parte dell'amministrazione con Acegas. I costi verranno restituiti ai cittadini in forma di servizio con spirito di efficienza e qualità». Il capogruppo del M5S Paolo Menis ha lamentato i «pochissimi giorni a disposizione per l'analisi del testo». Ha poi detto: «Noi ci opponevamo a questo approccio al Pef quando lo portava avanti il centrosinistra. Lo faceva anche il centrodestra, lamentandosi della raccolta dell'umido e per i troppi raccoglitori stradali». Per il M5S, ha detto, «la differenziata va valorizzata e può stare in piedi anche dal punto di vista economico, mentre questo testo non si regge senza termovalorizzazione». Sono poi intervenuti Igor Svab (Pd) e Roberto De Gioia (Verdi e socialisti): «Bisogna puntare sulla differenziata - ha detto quest'ultimo -. Non mi quadra però l'importo immutato della Tari al netto dell'aumento di questo tipo di raccolta. Almeno un po' doveva diminuire». Il consigliere Pd Roberto Cosolini ha rilevato come il documento sia «identico a quello dello scorso anno»: «Condivido anche le novità apportate. Un testo in sostanziale continuità col nostro lavoro. Chiedo al consigliere Everest Bertoli di fare violenza alla sua coscienza di votare a favore, al contrario di quanto fatto l'anno scorso». Anche Cosolini ha sottolineato l'importanza della differenziata. Anche Maria Teresa Bassa Poropat (Insieme per Trieste) ha annunciato il voto favorevole. Il capogruppo leghista Paolo Polidori ha dichiarato: «Non dimentichiamo che modificare tutto l'apparato dobbiamo confrontarci con un soggetto terzo, Hera, la cui governance è estranea al Comune. Non era così con una multiutility in casa che avevamo e che è stata svenduta dalla giunta Cosolini. Faceva profitti e aveva un'eccelsa situazione economica». Così Cosolini: «Il quadro idilliaco di Acegas nel 2011-2012 fa a pugni con i numeri di quegli anni». Il consigliere forzista Bertoli ha presentato un ordine del giorno, firmato da diversi consiglieri del centrodestra (fra cui i capigruppo), in cui si richiede una «revisione radicale del Pef 2018»: l'obiettivo è «razionalizzare la spesa; migliorare il livello di pulizia della città; ottimizzare la distribuzione dei bottini; valutare attentamente il rapporto costo/benefici della raccolta dell'umido; incrementare la raccolta del verde». Anche il capogruppo forzista Piero Camber ha invitato ad accogliere l'ordine del giorno, annunciando comunque il voto a favore di Fi al Pef: «La Tari immutata è un buon risultato». Menis ha sottolineato che «così facendo non si deve rischiare di eliminare la raccolta dell'umido».

Giovanni Tomasin

 

 

Tensione sul gasdotto: scontri con la polizia - Attivisti contro il progetto in Puglia e l'espianto degli ulivi
LECCE - I manganelli della polizia, le cariche, a più riprese. E poi i sassi dei manifestanti, i malori della gente, gli spintoni.

Otto i feriti, tutti in maniera lieve, tra agenti e attivisti: è stata una giornata di tensione quella trascorsa davanti ai cancelli del cantiere Tap di Melendugno in Puglia dove sono ricominciati i lavori di espianto di circa 200 ulivi dal tracciato del microtunnel del gasdotto che porterà in Italia il gas dell'Azerbaijan e dove da giorni protestano gli attivisti No Tap: chiedono la sospensione delle operazioni di eradicazione degli alberi e sono contrari al progetto di Trans-Adriatic Pipeline. Le forze dell'ordine in assetto antisommossa hanno cinturato il cantiere in località San Basilio, a San Foca di Melendugno, e forzato per tre volte i sit-in messi in atto da un centinaio di manifestanti, mentre un elicottero della polizia sorvolava la zona, presidiata da circa 300 persone, tra cui anche una cinquantina di studenti di scuole medie superiori, accompagnati da docenti. «È una giornata triste per la democrazia», dice il sindaco di Melendugno, Marco Potì. «Quando sono avvenute le cariche - racconta - sono stato allontanato insieme a sei sindaci con la fascia, a consiglieri regionali, a donne e bambini: il capo di una società privata ha chiesto e ottenuto la protezione dello Stato italiano per fare la sua attività e lo Stato italiano ha inteso assecondarlo malgrado il parere negativo di istituzioni e cittadini». Ancora più duro il governatore della Puglia: «Il Governo - attacca Michele Emiliano - dà la misura della sua incapacità di ascoltare e elaborare politicamente le richieste di una regione». La Puglia - ricorda il governatore - non ha mai detto no al gasdotto Tap, ma vuole favorirne la realizzazione attraverso una sua diversa localizzazione. La Regione ha annunciato che sarà impugnata davanti al Tar la nota del ministero dell'Ambiente con la quale ha autorizzato Tap ad effettuare le attività preparatorie alla effettiva fase di inizio dei lavori dell'approdo. Una nota - dice il ministro Gian Luca Galletti - emanata nel rispetto delle normative vigenti. «La Commissione Via, organismo di valutazione indipendente dal ministero e da ogni indirizzo politico, - precisa infatti il ministro - ha prima valutato per mesi con il massimo rigore scientifico e poi dato parere favorevole con prescrizioni al progetto Tap: ciò significa che questo, ottemperate le prescrizioni della Via, rispetta in pieno le normative vigenti a tutela dell'ambiente». Intanto mentre fuori avvenivano i tafferugli, nel cantiere continuavano - intervallati da sospensioni rese necessarie da motivi di sicurezza - i lavori di espianto degli ulivi (che successivamente saranno nuovamente piantati nella stessa area), trasportati con camion scortati da mezzi delle forze di polizia in un sito di stoccaggio.

 

 

Punta Grossa, nave s'incaglia - disastro ambientale sfiorato.

La "Capodistria" battente bandiera italiana finisce in secca. Intervento delle autorita' slovene per evitare sversamenti. L'alta marea risolve tutto.

ZAGABRIA Un disastro ambientale di grandi proporzioni è stato sfiorato questo fine settimana al largo del golfo di Capodistria. Una nave cisterna italiana, partita da Trieste e trasportante 200 tonnellate di combustibile, si è incagliata domenica all'una e trenta di notte nelle acque poco profonde che circondano il promontorio di Punta Grossa, a metà strada tra la spiaggia e il faro. La marina slovena, intervenuta dopo il "mayday" lanciato dall'equipaggio, ha portato, diverse ore più tardi, al trasporto dell'imbarcazione nel porto di Capodistria. L'incidente, che fortunatamente non è stato accompagnato da una rottura dello scafo e da una perdita di greggio in acqua, è stato causato da un errore umano, o meglio, da una manovra sbagliata del capitano, che si è avvicinato troppo alla costa, in un'area dove il fondale, roccioso e fangoso, non supera i 70 centimetri di profondità. La manovra, secondo quanto riferito all'agenzia slovena Sta dal direttore dell'Amministrazione marittima slovena Jadran Klinec, è stata a sua volta dovuta ad un problema tecnico. «(Il capitano) ha detto che il pilota automatico è andato in avaria. Essendo lui molto giovane, non conoscendo bene la nave e non essendo in grado di rispondere adeguatamente alle manovre, non ha visto il segnale di pericolo, finendo sulle secche», ha affermato Klinec ai microfoni di Sta. Dopo l'errore di navigazione del capitano della "Capodistria", la nave cisterna lunga 45 metri e di proprietà della Giuliana Bunkeraggi è rimasta incagliata per diverse ore, finché, in mattinata, l'alta marea le ha permesso di uscire nuovamente in mare aperto. Nel frattempo, la marina slovena è intervenuta con sette navi e un totale di cinquanta uomini, lavorando tutto il giorno per evitare quello che avrebbe potuto essere, secondo Klinec, «uno dei più grandi disastri ambientali dell'Adriatico settentrionale». Sono state installate le barriere anti-inquinamento per contenere un'eventuale fuoriuscita di combustibile e dopo l'arrivo dei mezzi della protezione civile a protezione dell'area, l'imbarcazione è stata trasportata fino al porto di Capodistria dov'è stata successivamente ispezionata. All'alcol test, il capitano è risultato negativo, mentre lo scafo non ha riportato danni ingenti. L'ispezione ha tuttavia riscontrato diverse irregolarità, per le quali alla nave, che effettua la tratta Trieste-Capodistria tre volte a settimana, rifornendo le altre navi, è stato sancito il divieto di lasciare il porto sloveno. Nel dettaglio, riporta la radiotelevisione Rtv Slo, le ispezioni hanno rivelato che la pompa antincendio e la bussola non erano funzionanti e che i grafici del Golfo di Capodistria non erano aggiornati. Svuotata del suo carico, l'imbarcazione è ora al sicuro, ma contro il capitano e i proprietari potrebbero venire emesse delle sanzioni, dato l'alto pericolo causato in "una zona protetta", come ha precisato alla radiotelevisione slovena Zorka Sotlar, della Direzione delle acque. In caso di una fuoriuscita di greggio, ha avvertito Sotlar, «il Servizio di pronto intervento in mare, nonostante tutte le misure, non potrebbe impedire l'inquinamento. In tali sezioni naturali della costa risulta molto difficile l'eliminazione delle conseguenze dell'inquinamento e la pulizia delle perdite».

Giovanni Vale

 

 

Ferriera - FareAmbiente e Nosmog contestano la Regione
«Spiace dover osservare che la Regione preferisce dialogare con i propri cittadini attraverso la stampa mentre, almeno nella sua parte politica, non lesina il proprio tempo nei colloqui con imprenditori e sindacati, sfuggendo invece all’incontro con i residenti, come non fossero parte sociale degna di ascolto». Così Alda Sancin, presidente dell’Associazione Nosmog, in risposta a un comunicato stampa dell’amministrazione Serracchiani che lunedì sosteneva come i dati sull’inquinamento a Servola non fossero mai stati così bassi. «Riteniamo - osserva Sancin - di dover aggiungere qualcosa all'affermazione in merito al raggiungimento dei minimo storico della media annuale di benzo(a)pirene in tutte le centraline nel 2016: per la centralina di San Lorenzo il minimo storico a cui fa riferimento la Regione sarebbe il valore di 0,91 a fronte di un massimo di 1,00, laddove il vero minimo è stato toccato nel 2014 col valore di 0,7 . Considerando che la letteratura in merito sostiene che il valore obiettivo non mette al sicuro le persone da rischi e danni essendo tale sostanza comunque cancerogena, lo sfiorare il massimo consentito dopo ben nove anni di Aia, indipendentemente dal gestore dello stabilimento, non dovrebbe essere di per sé motivo di gran vanto. Ma, a prescindere da ciò la centralina interessata è più distante dalla cokeria di quanto lo siano le case di civile abitazione. Oltre a ciò dobbiamo ricordare alla Regione che, nel 2016, per ben 24 giorni in tale centralina non sono stati registrati i valori di benzo(a)pirene, e, guarda caso, le mancanze sovente capitano in giorni che seguono, precedono o sono intercalati a giornate di valori alti». «Affermare che i valori d’inquinamento a Servola non sono mai stati così bassi è come dare dei visionari ai residenti», commenta a sua volta Giorgio Cecco coordinatore regionale di FareAmbiente, che alla Regione ricorda che «stiamo attendendo da due anni la convocazione mensile del promesso tavolo di confronto con le associazioni sull’andamento dei lavori all’interno dello stabilimento».

 

 

 

 

GREENSTYLE.it - MARTEDI', 28 marzo 2017

 

 

Clima: Italia penultima in Europa per le politiche ambientali

L’Italia si è classificata penultima in Europa per le politiche ambientali secondo uno studio svolto da due associazioni non governative europee, la Transport and Environment e Carbon Market Watch. Un risultato allarmante emerso dopo la comparazione delle emissioni inquinanti dei vari stati che boccia in tutto il nostro Paese.

Al primo posto invece troviamo la Svezia, seguita da Germania e Francia: in queste nazioni le politiche ambientali sono perfettamente in linea con gli obiettivi dell’Accordo sul Clima di Parigi firmato nel 2015. In questa classifica così troviamo la Polonia in ultimo posto poichè continua a usare il carbone e poi, in penultima posizione assieme all’Italia, ci sono Spagna, Romania, Croazia, Repubblica Ceca, Lituania e Lettonia. Questo risultato per il nostro Paese va in netto contrasto con ciò che era stato deciso a Parigi nel 2015. Sebbene nel 2004 l’Italia avesse registrato una diminuzione delle emissioni totali importate e un aumento dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, la famosa “Quarta Rivoluzione Industriale” all’insegna del green non sembra sia mai stata nemmeno iniziata.
I principali responsabili dello smog e dell’inquinamento in Italia sono i mezzi di trasporto e gli edifici: gli italiani vivono così in condizioni di rischio visto che le norme sul rispetto della qualità dell’aria vengono continuamente violate e Bruxelles è stata costretta ad aprire un contenzioso proprio con il Bel Paese su questo argomento.
Per cercare di sbloccare la situazione l’impegno dovrebbe aumentare con una riduzione al 20% entro il 2020, tanto per cominciare, cosa che molte nazioni hanno già raggiunto, ma non l’Italia. C’è ancora molto da fare quindi per poter respirare meglio e non intossicarci con lo smog.

Selena

 

 

Aree protette, Legambiente: riforma sui parchi occasione mancata

La riforma della legge 394/91 sui parchi italiani passa alla Commissione Ambiente della Camera. Al testo sono state apportate importanti modifiche: alcune rispondono alle esigenze di tutela delle aree protette, soprattutto in tema di controlli, ma permangono delle criticità sulle quali sarà necessario concentrare il dibattito in futuro.

Si stabilisce ad esempio l’istituzione di una programmazione condivisa tra governo e regioni, mediante un finanziamento pari a 10 milioni di euro annuali per il triennio che va dal 2018 al 2020, un luogo in cui favorire la nascita di strategie finalizzate a contrastare il fenomeno dei cambiamenti climatici, tra le prime cause della perdita di biodiversità a livello globale.
Positiva anche la norma che presta attenzione alla parità di genere nelle nomine degli organi dediti alla gestione dei parchi: al momento su 23 realtà nazionali solo 3 sono dirette da donne, che rappresentano solamente il 6% dei membri nei consigli direttivi.
Negato l’utilizzo di “eliski” nei parchi e nelle aree circostanti, così come l’estrazione di idrocarburi (siano essi liquidi e gassosi). Ribadito inoltre il divieto di introdurre cinghiali su tutto il territorio nazionale. Per quanto riguarda le aree marine, dal 2018 saranno stanziati ulteriori 3 milioni di euro per la gestione di quelle protette.
Come già detto non mancano però alcune note dolenti, soprattutto per come sono state ignorate indicazioni offerte dalle principali associazioni ambientaliste. Ad esempio, le aree umide nominate nella Convenzione di Ramsar e quelle della Rete Natura 2000 riconosciute dalle direttive habitat e uccelli non sono state inserite tra le zone protette. Niente consulta né comitato tecnico scientifico per ogni parco.
Fa storcere il naso anche il modello di pagamento proposto dalla Commissione della Camera per quanto riguarda i risarcimenti delle aree protette colpite da attività impattanti, che non tiene in considerazione ad esempio degli impianti per l’imbottigliamento delle acque minerali, le funivie e le cabinovie. Questa la posizione di Legambiente, espressa dalla presidente Rossella Muroni:
La discussione sulla 394 non esaurisce i bisogni delle aree protette; si è persa un’occasione importante per aprire un confronto ampio e approfondito su come vada tutelata e gestita la biodiversità in Italia nel 2017. Il testo licenziato al Senato è stato migliorato nel passaggio in Commissione Ambiente della Camera, ma rimangono punti da migliorare, come la governance e le royalties e altri da modificare del tutto.
La stessa associazione chiede inoltre l’istituzione del Parco Nazionale del Delta del Po al posto di quanto previsto dall’articolo 27 con la delega al governo per il Parco del Delta del Po, una prassi ritenuta poco chiara. Bocciata anche l’applicazione della norma che impedisce a chi riceve una pensione o un vitalizio di assumere incarichi dirigenziali escludendo i presidenti dei parchi.
Insomma, le criticità non mancano: Legambiente ne parla oggi in occasione del convegno “Coltivare il futuro” in scena nella capitale, organizzato in collaborazione con Federparchi e Roma Natura.
Cristiano Ghidotti

 

 

Ddl Salva-ciclisti: multe fino a 651 euro per automobilisti imprudenti

Quando siamo in auto e troviamo davanti a noi dei ciclisti ci innervosiamo. Succede sempre, ma se vogliamo superarli da oggi dobbiamo prestare ancora più attenzione. Il ddl 2658 chiamato “SalvaCiclisti” ha introdotto delle novità molto importanti per gli automobilisti. È sempre possibile sorpassarli, non dobbiamo rimanere in coda per sempre, ma almeno ad un metro e mezzo di distanza.

Il testo, firmato da Michelino Davico e sottoscritto da oltre 60 senatori, vuole così andare a riempire una lacuna nel Codice della strada che non specifica le modalità del sorpasso delle auto nei confronti dei ciclisti, considerati “utenti deboli della strada”.
Il comma 2 di questo ddl tutela quindi i ciclisti e va a punire gli automobilisti, che non rispetteranno il metro e mezzo di spazio da lasciare ai ciclisti durante il sorpasso, con sanzioni anche pesanti: sia parte da 163 euro e si arriva a 651 euro, persino con la sospensione della patente.
Questa proposta nasce dall’analisi di alcuni dati allarmanti che su 4 milioni di ciclisti circa 250 muoiono sulla strada ogni anno mentre sono circa 16 mila i feriti. La maggior parte degli incidenti, prosegue il ddl, avvengono per l’eccesso di velocità e quindi si ritiene importante un intervento a riguardo.

Selena

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 28 marzo 2017

 

 

Via alle pulizie radicali delle strade - In arrivo divieti di sosta di otto ore - Ambiente»il piano

Scatta fra un mese il programma sperimentale di gestione dei rifiuti urbani che prevede disagi a “spot” In lista 12 super interventi l’anno: parcheggi proibiti a rotazione in base alle zone sia di giorno che di notte - Le novità spaziano dall’impulso alla raccolta “verde” fino al diserbo chimico della vegetazione infestante ma nel rispetto degli animali
“Progetto pulizie radicali”: è forse l’iniziativa più innovativa e di maggiore impatto tra le proposte “fresche” contenute nel Piano economico-finanziario (Pef) relativo alla gestione dei rifiuti urbani. La delibera è stata discussa in due riunioni di commissione e oggi approda in Consiglio. Il documento è stato illustrato dall’assessore Luisa Polli, coadiuvata dal direttore dell’area ambiente AcegasApsAmga Paolo Dalmaso. La “pulizia radicale” delle strade è una novità assoluta per Trieste. Partirà tra poco più di un mese a titolo sperimentale - stavolta a costo zero - per saggiare la produttività del servizio e le reazioni dei cittadini. Modalità e orari, suggeriti dal Pef a pagina 26, programmano interventi diurni/notturni, a seconda delle vie sgombere da veicoli mediante ordinanza comunale di divieto di sosta per una durata di otto ore. Se del caso si ricorrerà - specifica il Pef - alla chiusura al transito. La “toeletta” viaria si protrarrà per sei ore, articolata su più tratti di via non contigui per limitare il disagio del parcheggio: per esempio, se AcegasApsAmga decide di pulire via Rossetti, eviterà di farlo in via Piccardi o in via Canova, ma si sposterà in altre zone. I divieti di sosta saranno di due tipi: dalle 20 alle 4 per le operazioni notturne, dalle 8 alle 16 per quelle diurne. La sperimentazione - racconta ancora il Pef - prevede 12 interventi che saranno effettuati con spazzamento meccanizzato, con la pulizia delle caditoie, con la posa di opportuna segnaletica, con eventuale diserbo&lavaggio. Le zone saranno decise più avanti ma Polli anticipa che «Servola, in ragione delle note criticità, sarà oggetto di particolare attenzione in questa fase sperimentale». «Se vogliamo strade pulite con cura - insiste Dalmaso - questa è l’unica soluzione possibile, pur con qualche disagio. Ma parliamo di un metodo ormai adottato da moltissime città italiane». Nel capitolo delle novità, invero piuttosto stringato, leggiamo altri quattro spunti degni di interesse. Il primo riguarda la cosiddetta “raccolta verde”, che sarà raddoppiata con altri 100 cassoni da 3200 litri: Polli ci conta perchè vuole superare il 40% di “differenziata”. Un secondo esperimento attiene l’olio alimentare esausto: verranno sistemati alcuni contenitori - più o meno una decina - capaci di raccogliere 200-300 bottiglie da un litro, e saranno aggiunti alle isole ecologiche complete. La terza puntata verte sul “diserbo chimico”. Verrà definito un protocollo condiviso con gli enti competenti, in particolare con l’Azienda sanitaria, per un trattamento sistemico che consentirebbe - sostiene il Pef - l’eliminazione definitiva del vegetale infestante. Polli cerca di intercettare le immancabili obiezioni: «Nessun pericolo per i cani e per altri animali di affezione». La quarta proposta affronta l’immancabile tema di Porto Vecchio. Il passaggio della grande area ex portuale al Comune determina anche un passaggio gestionale in materia di rifiuti: al momento Comune e AcegasApsAmga sono rimasti d’accordo nel confermare la presenza una decina di contenitori, numero che potrà essere implementato quando decollerà il polo museale. Come abbiamo anticipato, il Piano, che deve essere licenziato prima del bilancio (oggi pomeriggio tra l’altro il sindaco Dipiazza e l’assessore regionale alle Autonomie Panontin si vedranno per accordarsi su proroga e contenuti finanziari dell’esercizio 2017), è stato esaminato in due round dalla Seconda e Sesta commissione consiliare. Ieri mattina il dipiazzista Roberto Cason e il forzista Everest Bertoli (in sostituzione di Salvatore Porro, indisposto) hanno presieduto i lavori, alla presenza dell’assessore Polli. Nel dibattito sono intervenuti esponenti di tutti i gruppi: hanno parlato Cosolini (Pd), Imbriani e Bertoni (M5s), Lippolis (Ln), Panteca (Lista Dipiazza), Apollonio (Fi). La delibera è stata infine “licenziata” con la riserva del voto in sede consiliare.

Massimo Greco

 

La spesa resta uguale - La Tari non aumenta - I costi stimati per il 2017 sfiorano i 29 milioni come nel 2016 - Domani l’esame in commissione della delibera sulla tassa
Il complessivo da fatturare al Comune di Trieste ammontava a 28 milioni 948.721,60 euro nel 2016 e ammonta a 28 milioni 948.721,60 euro nel 2017: non un cent in meno, non un cent in più. Perfetta parità di costi per la cittadinanza tergestina. Circostanza che dovrebbe consentire all’amministrazione pilotata da Roberto Dipiazza di non aumentare la Tari, la temuta tassa sui rifiuti urbani. Perchè, dopo la tournée consiliare dedicata al Piano economico-finanziario (Pef) relativo alla gestione dei rifiuti, il prossimo appuntamento della giunta comunale sarà proprio con la Tari, che verrà discussa domani mattina dalla Seconda commissione davanti all’assessore al Bilancio Giorgio Rossi. In realtà il Piano non è molto dissimile da quello dell’ultima stagione cosoliniana. La stessa Polli ne è consapevole: «Abbiamo avuto troppo poco tempo per apportare modifiche sostanziali. Lo faremo con la prossima occasione». Dalmaso, giunto alla sua ultima pianificazione, sottolinea positivamente i fattori di continuità programmatoria e il contenimento della spesa comunale: «Potremmo definirlo un format». Scorrendo le principali voci del prospetto sintetico, si legge un lieve aumento di 190mila euro della termovalorizzazione (l’inceneritore, per intenderci) in quanto si prevede un maggiore conferimento di rifiuti indifferenziati: il costo si attesterà a circa 6,6 milioni di euro. Calerà di 90mila euro il costo dei recuperi, che scenderà a 6,9 milioni di euro. La lunga somma, che riguarda i servizi di igiene urbana, chiude a circa 22 milioni 266mila euro, con un “delta” di 88mila euro legato all’adeguamento Istat (+0,4%), come contemplato dal contratto di riferimento. Modesta l’incidenza dei nuovi servizi (67mila euro), che, come argomentato nell’articolo di apertura, verranno in buona parte gestiti in via sperimentale gratuitamente. A pagina 29 del Piano economico-finanziario è riportata la sequenza storica relativa alla raccolta dei rifiuti sul territorio urbano triestino, dove i residenti sono poco oltre le 203mila unità. Nel 2016 AcegasApsAmga ha registrato un aumento di circa 2,5 milioni di tonnellate rispetto all’anno precedente: nel 2015 il tonnellaggio complessivo era di 91,5 milioni, nel 2016 è salito a 93,8 milioni. L’incidenza della differenziata è cresciuta dal 37,37% al 39,44%. La previsione complessiva sul 2017 accredita 95 milioni di tonnellate, con un incremento dell’1,3%. Polli ha anticipato il fatto che a febbraio la percentuale della differenziata ha superato il 40%: quando si pensa che questa percentuale era del 4,8% all’esordio nel 1996, è interessante rendersi conto di come si sono evolute le abitudini domestiche dei triestini. Sempre con riguardo alle varie tipologie di differenziata, le stime riguardanti il 2017 suggeriscono 3,3 milioni di tonnellate di plastica, 5,7 milioni di vetro/lattine, 8,2 milioni di carta, 1,4 milioni di cartone, 6,6 milioni di umido, 2,2 milioni di verde e 2,9 milioni di ingombranti.

(magr)

 

acegas-aps-amga - Dal Maso lascia la direzione dell’Ambiente
Paolo Dal Maso ha trascorso più o meno un terzo della sua operosa esistenza dirigendo il settore ambiente dell’utility triestina, che all’inizio della sua milizia manageriale si chiamava Acegas e adesso ha aggiunto le sigle Aps (padovana) e Amga (udinese). L’ingegnere, al quale si deve il “disegno” del Piano rifiuti che oggi va in Consiglio comunale, si pensionerà felicemente venerdì 31 marzo a 60 anni: 32 gli anni di lavoro nell’ex municipalizzata, 19 sulla tolda di comando di un’area ad alta criticità come quella ambientale. Venerdì scorso, in occasione del primo round dedicato dalle commissioni consiliari all’esame del Piano, Dal Maso ha informato i consiglieri della quiescenza. Prenderà il suo posto l’ingegnere Giovanni Piccoli, che da un paio d’anni ha fatto “apprendistato” per rilevare la guida del settore, settore che segue due zone urbane importanti come Trieste e Padova. Dal Maso si è laureato in ingegneria meccanica nell’Ateneo triestino: ha svolto i primi passi professionali alla Daneco e alle Generali. Poi l’impegno nell’utility: prima nel telecontrollo, poi nell’esercizio idrico. Proprio occupandosi della risorsa acqua - correva l’anno 1989 - premette il fatidico pulsante che mise in funzione il nuovo acquedotto che lava e disseta Trieste. Ha seguito la metanizzazione a Duino Aurisina e San Dorligo, ma soprattutto la realizzazione del termovalorizzatore triestino, fino alla costruzione della terza linea e al revamping della prima. Dal Maso, amante dei viaggi, lascia la trincea aziendale ma è intenzionato a non perdere contatto con l’ambito professionale: fa capire che potremo ancora sentire parlare di lui.

(magr)

 

 

«Valori di inquinamento mai così bassi a Servola» - La Regione smentisce i dati dell’associazione no smog
Aria più pulita a Servola. «Negli ultimi report periodici l’Arpa ha evidenziato il netto calo delle emissioni di benzo(a)pirene in tutte le centraline di rilevamento, con valori storicamente mai così bassi, nonché il raggiungimento per il 2016 del valore obiettivo previsto dalla norma in tutte le stazioni dove il parametro viene misurato». Lo riferisce la Regione Friuli Venezia Giulia, confutando quanto sostenuto dall’associazione No Smog nel corso di un’assemblea pubblica sulle emissioni dello stabilimento siderurgico della Ferriera di Servola. Con riferimento alle dichiarazioni rilasciate dall’assessore Luisa Polli nella stessa assemblea, in merito all’assenza di una leale collaborazione da parte della Regione, viene ribadito che l’amministrazione «ha sempre dato puntuale e documentato riscontro a tutte le istanze avanzate e tale correttezza è stata di recente confermata anche dalle pronunce del Tar locale. Spiace rilevare che un rappresentante delle istituzioni si faccia latore di notizie che non corrispondono alla realtà. Inoltre, diversamente da quanto affermato dall’assessore Polli, in nessuno dei diversi accordi di programma sottoscritti è mai stata prevista la chiusura dell’area a caldo, ma soltanto indicata come ipotesi del tutto eventuale, nemmeno quale conseguenza dell’entrata in funzione del nuovo laminatoio. Al contrario, è vero che il piano di risanamento ambientale e riqualificazione industriale presentato da Siderurgica triestina in attuazione di quanto previsto dall’Accordo di programma del 21 novembre 2014 e approvato con decreto dei ministri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico il 2 novembre 2015, prevede che l’attività imprenditoriale si svolga e si sviluppi tanto per l’area a caldo che per il laminatoio, oltre che nella logistica». Intanto il Movimento 5 Stelle torna a chiedere chiarezza sul caso Agapito. «È già trascorso un mese dall’apertura dell’indagine interna ma dalla giunta Serracchiani ancora nessuna informazione in merito», chiedono i consiglieri regionali del M5S Eleonora Frattolin e Andrea Ussai. «Vogliamo sapere se la presidente della Regione Serracchiani e la sua giunta erano a conoscenza dei rapporti esistenti fra Siderurgica Triestina, il figlio del direttore del Servizio tutela da inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico della Regione Fvg e la Artec Ingegneria?». Sulla Ferriera è tornato ieri a farsi sentire anche il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza: «Relativamente al rapporto fatto da Arpa Fvg a seguito della visita ispettiva dello scorso febbraio allo stabilimento siderurgico di Trieste, questa amministrazione comunale esprime perplessità su alcune misure adottate chiedendo di rivedere alcune scelte». Ovvero? «Non condividiamo - conclude il sindaco - la scelta adottata da Arpa e proprietà della Ferriera di installare un deposimetro di “bianco” in piazzale Rosmini».

 

 

Via libera al gasdotto in Adriatico - Sì al “Tap” dal Consiglio di Stato. La conduttura andrà dall’Azerbaijan alla Puglia
ROMA - Il Tap, il gasdotto che consentirà l’arrivo del gas dall’Azerbaijan all’Italia diversificando le fonti di approvvigionamento, si può fare. A mettere la parola fine, almeno fino al prossimo eventuale ricorso, su una vicenda che si trascina da tempo è stato il Consiglio di Stato, che ha rigettato gli appelli della Regione Puglia e del comune di Melendugno, nel cui territorio approderà l’infrastruttura dopo un percorso lungo oltre 800 km (di cui 8 in Italia e 105 nell’Adriatico) che parte dal confine tra Grecia e Turchia. Con la sentenza pubblicata ieri, la IV Sezione del Consiglio di Stato ha respinto gli appelli proposti nei confronti della sentenza del Tar, che aveva ritenuto legittima l’autorizzazione all’approdo individuata dal consorzio, confermandone quindi la decisione. Secondo i giudici amministrativi, infatti, la valutazione di impatto ambientale resa dalla Commissione Via ha «approfonditamente vagliato tutte le problematiche naturalistiche e anche la scelta dell’approdo nella porzione di costa compresa tra San Foca e Torre Specchia Ruggeri (all’interno del Comune di Melendugno) è stata preceduta da una completa analisi delle possibili alternative (ben undici)». Inoltre è stato escluso che l’opera dovesse essere assoggettata alla cosiddetta Direttiva Seveso, vale a dire la norma che prevede l’identificazione di siti a qualche genere di rischio. Infine il Consiglio di Stato ha «riconosciuto l’avvenuto rispetto del principio di leale collaborazione tra Poteri dello Stato nella procedura di superamento del dissenso espresso dalla Regione alla realizzazione dell’opera». Da un punto di vista della giustizia amministrativa, insomma, al momento nulla osta alla realizzazione dell’opera, tuttavia ostacoli potrebbero ancora derivare dalla questione dei circa 200 ulivi che devono essere espiantati e trasferiti per consentire la realizzazione dell’opera. Nei giorni scorsi le proteste dei no Tap sono state plateali e così la società, pur confermando il programma di lavoro, su invito del prefetto, ha per il momento soprasseduto alle operazioni di espianto degli ulivi. I no Tap, però, non demordono.

 

“Cittadini per il golfo” tentati dalle urne - Il movimento a difesa del territorio deciderà stasera se presentare una propria lista alle elezioni di Duino dell’11 giugno
DUINO AURISINA - Rappresentano un folto numero di residenti, perché da tempo si battono per la difesa del territorio in cui vivono, avendo ingaggiato battaglie particolarmente impegnative, a cominciare da quella contro il rigassificatore del Timavo, per proseguire con quella contro la Tav sotterranea. E stasera, nel corso di una riunione, decideranno se presentarsi o meno, come lista civica autonoma, alle prossime elezioni amministrative per il rinnovo del Consiglio comunale di Duino Aurisina. Sono i “Cittadini per il golfo”, formazione spontanea, costituita da volontari, tornata recentemente agli onori delle cronache, in quanto organizzatrice, in collaborazione con il principe Carlo Alessandro di Torre e Tasso, proprietario del castello di Duino, dell’assemblea svoltasi proprio nel centro congressi del maniero duinese, nel corso della quale si era dibattuto dell’oramai famoso e sfumato acquisto, da parte della comunità senegalese dei “mouride”, dell’ex mobilificio Arcobaleno. In quel frangente molti avevano apertamente dimostrato fiducia e simpatia nei confronti di un gruppo, quello dei “Cittadini”, i cui rappresentanti non hanno esitato a esporsi in prima persona su un argomento molto delicato. Ma ormai il tema “mouride” è superato, almeno per il momento, visto l’acquisto prossimo, da parte di un altro soggetto, la Fernetti srl, dell’ex mobilificio. All’orizzonte però incombono le elezioni ed ecco che, in un panorama che per ora annovera come candidati sindaci Mitja Ozbic per il centrosinistra, Daniela Pallotta per il centrodestra, e Martina Svetlic per la lista autonoma “Per il Carso”, tutti con le relative liste di appoggio, una proposta da parte dei “Cittadini per il golfo” è caldeggiata da più parti. «Per ora - afferma Danilo Antoni, di professione architetto, ma da tempo impegnato nel movimento a difesa del territorio - stiamo definendo un programma. Per quanto concerne la presentazione o meno di una lista vera e propria decideremo a brevissimo (stasera, ndr)». Del resto, il tempo a disposizione è scarso: le elezioni sono in programma l’11 giugno. Le opzioni sono due: se i “Cittadini per il golfo” saranno in lizza direttamente, avranno i loro candidati per la poltrona di sindaco e per quelle di consigliere comunale. Altrimenti metteranno a disposizione degli elettori e delle altre liste il loro programma. «In questo caso - precisa Vladimiro Mervic, anch’egli molto attivo nelle battaglie che il movimento ha sostenuto in questi anni - i voti dei nostri simpatizzanti andranno a quella delle liste che farà proprio per intero o perlomeno nelle sue parti salienti e qualificanti il nostro programma». Un’attesa, quella della decisione di presentarsi o meno, che sta ovviamente destando la massima attenzione da parte delle liste già ufficializzate: i “Cittadini” potrebbero orientare l’ago della bilancia.

Ugo Salvini

 

 

PROTOCOLLO - Tutelare la biodiversità

Un protocollo per tutelare la biodiversità del territorio italiano. A sottoscriverlo sono l'Associazione Guide Ambientali Escursionistiche e Csmon life, progetto italiano sulla biodiversità finanziato in Italia dalla Commissione Europea nell'ambito del programma Life.

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 27 marzo 2017

 

 

Economia - Agricoltura sociale al Forum Cittadini

La legge sull'economia solidale è stata deliberata da poco dal Consiglio regionale. Il Forum Cittadini per cambiare Trieste invita ad un incontro stasera alle ore 19 in via Valdirivo 30 II piano presso il Centro interculturale italo-sloveno sulle potenzialità di sviluppo dell'agricoltura sociale a Trieste.

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 26 marzo 2017

 

 

Il laghetto di Percedol rischia di sparire - Stop della Regione ai lavori di manutenzione a causa di dubbi sul tappo di cemento previsto per frenare l’emorragia d’acqua

L’ALLARME DI LEGAMBIENTE - È chiaro che le opere ora andranno per le lunghe purtroppo a detrimento dello stato del già malandato stagno
Il laghetto incastonato nella dolina di Percedol è un fenomeno naturale tanto raro quanto prezioso. Addirittura unico, in Italia, nell'ambito del carsismo. Un singolare ecosistema che tuttavia rischia di scomparire per una serie di problematiche irrisolte. L'allarme viene lanciato da Tiziana Cimolino di Legambiente quando ormai la primavera è sbocciata ovvero quando la natura circostante ha già iniziato nuovamente a colonizzare l’ambiente lacustre. Un fatto naturale che rende impossibile intervenire in modo radicale per ripristinare il laghetto. Lo stagno di Percedol infatti appare sempre più sofferente, ben lontano da quell'angolo fiabesco noto agli escursionisti, depressione che ospita meravigliosi alberi a alto fusto, flora pregiata e tanti animaletti. Lo specchio d'acqua risulta fortemente ristretto a causa dell'apertura di un inghiottitoio, un sifone che continua a inghiottire l’acqua trasformando il laghetto in una pozzanghera. A complicare ulteriormente la già difficile situazione, la presenza di abbondanti sedimenti e arbusti sul fondo della dolina. «Come ambientalista - interviene la Cimolino - denuncio come i lavori di manutenzione del sito siano stati interrotti per un dubbio sorto sulla tipologia di intervento e sui materiali utili a otturare il sifone. Va da sé che la manutenzione andrà per le lunghe, purtroppo a detrimento del già malandato stagno». La conca di Percedol, di pertinenza del Comitato degli Usi Civici opicinese, Zona Speciale di Conservazione nell'ambito di "Natura 2000", era interessata da un intervento che prevedeva la bonifica del sedimento marcescente e l'otturazione dell'inghiottitoio che causa lo svuotamento del laghetto. I lavori, autorizzati dal Servizio paesaggio e biodiversità della Regione e diretti dal direttore del Servizio dei Musei scientifici di Trieste Nicola Bressi, prevedevano l'utilizzo di un tappo di cemento per frenare l'emorragia d'acqua. L'intervento così deciso veniva però bloccato, afferma l'ambientalista, dal servizio regionale, per un dubbio insorto sulla tipologia di intervento. Contattata al riguardo la direttrice di servizio della Direzione centrale infrastrutture e territorio, l'architetto Chiara Bertolini, dichiara: «È stato fatto un sopralluogo e successivamente abbiamo impartito delle specifiche di intervento». All'ulteriore richiesta di informazioni più precise, il funzionario ha risposto che tali questioni tecniche risulterebbero di scarso interesse per la comunità. Tuttavia, un documento della Direzione centrale infrastrutture e territorio datato 10 febbraio permette di far luce sulla questione: il sifone, pur determinando una perdita d'acqua nel sottosuolo, risulta comunque importante per il ricambio idrico. Occluderlo con il cemento, si legge, potrebbe portare nei periodi più caldi a fenomeni di insufficiente ossigenazione dello stagno con problemi per alcune specie. Pertanto, proprio in questa settimana, la ditta Marocelli, ha predisposto sull'inghiottitoio della rete zincata, strati di geotessuto e infine uno strato di argilla. La soluzione voluta dalla Regione necessiterà comunque di una manutenzione con probabile cadenza decennale. Interpellato sul provvedimento, l'ex direttore dei lavori Nicola Bressi non ha rilasciato dichiarazioni. Ma nei corridoi dei Civici musei scientifici si osserva come il nuovo intervento lasci la questione aperta, visto che nel recente passato simili espedienti non avrebbero sortito gli esiti sperati. Rimandato al tardo autunno il resto dei lavori, la speranza è che la soluzione adottata sia quella giusta. Perché, in caso contrario, si potrebbe compromettere ulteriormente l'unica e irripetibile conca di Percedol, ipotesi preoccupante non solo per i triestini e i turisti, ma per tutta la comunità scientifica.

Maurizio Lozei

 

Coi pattini sul ghiaccio fino a qualche anno fa

Lo stagno di Percedol è il più conosciuto del Carso di Trieste. È anche fra i più grandi. Un tempo, d’inverno, ghiacciava con spessori che permettevano anche di pattinare sopra. Nei suoi pressi sorsero forni per la produzione della calce con il metodo più artigianale di cui rimangono deboli tracce in forma di conche circolari del raggio di qualche metro nell’angolo est della dolina . L’acqua dello stagno serviva per “spegnere” la calce “viva” e renderla utilizzabile. Risulta particolare anche la sua vegetazione, con alberi di alto fusto, come il cerro, il rovere, il carpino bianco, tipici del bosco delle doline, oltre ad altri portati dall’uomo (abete bianco e rosso). Sullo specchio d’acqua nel periodo estivo sbocciano le ninfee bianche. Nelle vicinanze dello stagno vivono l’allocco, la faina e il tasso in cerca delle loro prede: la libellula, la rana agile, il tritone punteggiato, il tritone crestato, le raganelle, i rospi comuni e la rana verde che sono i principali abitanti dello stagno. L’area è protetta dal 1984. Per raggiungere lo stagno di Percedol si deve percorrere la strada provinciale da Opicina a Monrupino. La località è segnalata da un cartello. Esiste un’area per il parcheggio.

 

 

No Smog attacca su Aia e Ferriera - L’accusa dall’associazione: «Muro burocratico della Regione». Nuovo esposto
«Si constata come la Regione, ente emettitore dell'Aia, non voglia tener conto delle istanze dei cittadini, fatte proprie del sindaco, respingendone senza appello entrambe le richieste di riesame di un'Aia palesemente insufficiente e rilasciata oltretutto in odore di un conflitto di interessi». È questo il motivo dell'assemblea pubblica indetta ieri dall'associazione “No smog” a Servola, che inoltre ha ribadito la «scarsa comunicazione sul tema Ferriera, su cui si riflette anche un probabile mea culpa», e la di nuovo dichiarata «assenza di colore politico dell'associazione». Ma non solo: «Il 70% dei risultati delle scorse elezioni comunali - hanno detto la presidente Alda Sancin e il segretario Adriano Tasso - ha visto premiare partiti che promettevano la chiusura dell'area a caldo. Si ha l'impressione che la Regione abbia voluto erigere un muro burocratico attorno allo stabilimento». A questo proposito l'assessore comunale all'Ambiente Luisa Polli, ha detto che «il Comune ha seguito una serie di tappe studiate assieme alle associazioni per arrivare alla chiusura dell'area a caldo ma senza la leale collaborazione della Regione per la salute dei cittadini questo percorso è difficile. Era anche negli accordi di programma che nel momento in cui fosse entrato in funzione il laminatoio, l'area a caldo avrebbe dovuto chiudere». Lo scorso venerdì inoltre, è stato annunciato, No smog ha presentato un altro esposto alla Polizia giudiziaria per «polveri sempre più sottili». Durante l'assemblea sono state proiettate anche alcune immagini immortalate dai cittadini residenti in varie giornate e orari, «in cui - è la denuncia - si vede chiaramente la presenza di copiose emissioni non convogliate che escono da più siti all'interno dello stabilimento, dirette verso aree abitate». E ancora: «Negli ultimi tempi, a fronte di una diminuzione della ricaduta di polveri grossolane, è aumentata la concentrazione del cancerogeno benzo(a)pirene». Infine, tra gli ultimi elementi annunciati, è stato rilevato che nel 2015 le denunce per polveri, odori molesti e irritanti e rumori «sono state superiori agli anni passati, nel 2016 solo di poco inferiori a queste».

(b.m.)

 

 

Riqualificazione - Italia Nostra si schiera contro le bitte piazzate in Porto vecchio
«Hanno rovinato il genius loci». I componenti della sezione triestina di Italia Nostra si sono riuniti nella sede di via del Sale per esprimere «enormi perplessità riguardo la riqualificazione esterna della Sottostazione elettrica e della Centrale idrodinamica», come ha affermato il presidente Marcello Perna. Oltre che per rilanciare un quesito: «Dov'è finito il finanziamento di 50 milioni di euro ministeriale?». Si sentono amareggiati «per l'atteggiamento dell'autorità pubblica - spiega il presidente - perché siamo stati tagliati fuori sia dal punto di vista della riqualificazione che della finalizzazione delle risorse. Spero sia ancora possibile un confronto». Oggetto della polemica, l'installazione di antiche bitte e nuova pavimentazione decorata a perimetro del Polo museale in Porto vecchio. L'incontro è stato organizzato dopo che il nuovo assetto è stato segnalato «da persone esperte - afferma la vicepresidente Giulia Giacomich - docenti, tecnici, cittadini, ex lavoratori portuali». Il motivo di dissenso riguarda principalmente «il mancato rispetto dei vincoli portuali». Che vuol dire «l'uso errato del colore rosso Verona per la pavimentazione, la collocazione delle bitte in quell'area, oltre al visibile taglio delle bitte stesse, un bene portuale». «Ci sembra che questo intervento non rispetti l'identità storica del Porto vecchio - ha affermato la vicepresidente Giulia Giacomich - La Soprintendenza aveva sostenuto che in tutta l'area dovevano essere riutilizzati i masegni storici». Quanto alle bitte, «non sono mai state lì, qualcuno potrebbe pensare che anticamente ci fosse un attracco, cosa non vera - ha detto Antonella Caroli referente sul Porto vecchio per Italia Nostra - . Sembra che la Soprintendenza non sia stata informata». A ciò viene aggiunto un altro problema: «Una nuova struttura che toglie la visuale". Per questo Italia Nostra ha fatto una richiesta alla Soprintendenza per accedere agli atti, riservandosi di contattare anche il Mibact. Sui 50 milioni poi Caroli ha detto: «Nella delibera si legge che ci deve essere una programmazione, ma non vogliamo una programmazione di fantasia».

(b.m.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 25 marzo 2017

 

 

«Pochi i ricorsi contro il Piano regolatore» - L’ex sindaco Cosolini e l’ex assessore Marchigiani ribattono alla Polli: «Non alteri i dati, il Prg funziona»
Black out amministrativo? Buchi neri? Zone bianche? Niente di tutto questo: l’ex sindaco Roberto Cosolini e l’ex assessore all’Urbanistica Elena Marchigiani rigettano i rilievi mossi al Piano regolatore (Prg) approvato nel dicembre 2015 dall’attuale titolare dell’Urbanistica comunale, la leghista Luisa Polli. Alcuni giorni fa l’assessore della giunta Dipiazza aveva sottolineato come il Comune avesse perso in un anno quattro ricorsi al Tar e che, per evitare la paralisi amministrativa, sarebbe stato necessario adottare rapidamente varianti al Prg. Come si suol dire ricorrendo ai regolamenti d’aula, Cosolini&Marchigiani hanno chiesto la parola per fatto personale. Le loro risposte alla Polli, ovviamente, coincidono. «Tanto per cominciare - obietta l’ex primo cittadino che si dichiara “sorpreso” dalle osservazioni di Luisa Polli - due considerazioni statistiche. Venti ricorsi per un nuovo Piano regolatore, approvato a distanza di quasi vent’anni dal precedente, sono veramente pochi, molto pochi». «Di questi venti ricorsi - procede Cosolini - finora ne sono stati discussi 12, di questi 12 il Comune ne ha vinti 9 e ne ha persi 3, non quattro come erroneamente afferma la Polli. I tre ricorsi, che hanno visto l’amministrazione soccombente, riguardano in realtà aspetti molto specifici, circoscritti, tali da non pregiudicare l’impianto complessivo del piano». In poche parole - riassume l’ex sindaco - «il contenzioso è risultato poco e marginale». «Non è giusto manipolare i dati - insorge Elena Marchigiani - e non è vero che il Piano regolatore faccia acqua. I nuovi amministratori non cerchino falsi argomenti per motivare la volontà di adottare nuove varianti in grado di modificare il Prg. Se intendono apportare cambiamenti lo spieghino, senza alterare la realtà dei fatti». «Ma capisco - incalza l’ex assessore - che si sta avvicinando la campagna elettorale per le Regionali 2018». L’ultimo argomento è una sfida aperta all’attuale amministrazione e, in particolare, a colei che ha rilevato il suo posto: «Invece di rincorrere falsi bersagli, perché non vanno avanti con il regolamento sugli incentivi per la riqualificazione energetica di edifici esistenti, che è già pronto? Perché non procedono con il piano dedicato al Centro storico?».

magr

 

 

Capodistria-Divaccia verso il raddoppio - Lubiana ora accelera - Il governo punta a far approvare la legge entro luglio - Ungheria, Slovacchia e Cechia fra i potenziali investitori
CAPODISTRIA -  Il ministero dei Trasporti sloveni ha pubblicato la bozza di legge per il raddoppio della linea ferroviaria Capodistria-Divaccia: passaggio ulteriore dopo che un anno fa Lubiana aveva rotto gli indugi appoggiando il progetto di Luka Koper, per rafforzare il collegamento ferroviario verso il Nord Europa. La bozza prevede un partenariato pubblico-privato per finanziare l’opera in parte con fondi statali e in parte con fondi di altri Paesi e privati interessati. Offerte concrete sarebbero già giunte da Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca, le cui merci destinate all’export passano per il porto di Capodistria. Resta da capire la contropartita pretesa dagli eventuali investitori: Lubiana non sembra voler cedere quote del pacchetto azionario. Come detto dal segretario di Stato Jure Leben, il governo potrebbe discutere la legge già il 30 marzo così da farla approvare con iter d’urgenza entro metà luglio. Così la 2Tdk, la società cui Lubiana ha delegato il coordinamento del progetto per il secondo binario, potrà concorrere ai fondi Ue. L’opera è stimata avere un costo di 1,4 miliardi di euro: cifra che però secondo “Iniziativa civile”, associazione creata da esperti nel campo di infrastrutture, edilizia e economia, si potrebbe dimezzare adottando accorgimenti per superare il dislivello della ferrovia sul Carso, riducendo a uno solo il numero dei tunnel da costruire. Ma ridiscutere il progetto, ha già replicato il ministro delle Infrastrutture Peter Gaspersi„, significherebbe tornare indietro di venti anni. La maggioranza parlamentare ha scartato la proposta di Iniziativa civile - supportata dall'opposizione - di chiedere una nuova verifica dei progetti e avviare un dibattito pubblico su nuove soluzioni tecniche. Il governo ha da tempo accantonato anche l'osservazione della Ue, secondo la quale sarebbe meno costoso collegare Capodistria al Corridoio europeo Adriatico-Baltico sfruttando le ferrovie esistenti che passano per Trieste: una soluzione - questo il pensiero di Lubiana - che farebbe perdere competitività a Capodistria rispetto a Trieste. Il nuovo passo dunque conferma la volontà della Slovenia di fare del porto di Capodistria uno snodo logistico continentale, potenziando ulteriormente il suo ruolo di leader nel movimento merci nell'Alto Adriatico. L'anno scorso il movimento merci è arrivato a quota 22 milioni di tonnellate, il 6% in più su base annua, il doppio rispetto a Fiume.

(p.r.)

 

 

Ambiente - Allianz spegne le luci in Largo Irneri

Allianz Italia aderirà a “Earth Hour - L’Ora della Terra”, l’evento promosso dal Wwf contro il riscaldamento globale. Nell’occasione questa sera, dalle 20.30 alle 21.30, verranno spente le luci della sede della compagnia assicurativa in Largo Irneri.

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 24 marzo 2017

 

 

Sos delle imprese: «Bonifiche paralizzate» - L’allarme di Confartigianato e Confindustria sul Sito inquinato. Replica l’assessore regionale Vito: «L’iter procede»
«La piccola imprenditoria non è in condizione di ampliare le proprie attività, di effettuare alcuno scavo del sottosuolo, di eseguire alcuna costruzione. Non solo: ma se l’artigiano non può migliorare il suo sito produttivo, il valore immobiliare del sito scende e questo deprezzamento gli viene ricordato quando va in banca a chiedere un fido». Dario Bruni è presidente di Confartigianato Trieste, è titolare di un’azienda nell’area del Sito di interesse nazionale (Sin), è stato presidente dell’Ezit: in questa triplice veste è molto preoccupato di quella che definisce «paralisi della bonifica nel Sin». Pratiche e procedure sono ferme. La sua associazione è in prima linea nella denuncia di queste criticità, perchè su circa 330 aziende operanti nell’area Ezit perimetrata nell’ambito del Sin, 230 sono artigiane. Con una media di tre addetti per micro-impresa, danno lavoro a circa 700 persone, quindi una realtà da non sottovalutare nell’asfittico panorama dell’economia triestina. Per capire meglio l’Sos di Bruni, bisogna fare un passo indietro. Correva il novembre 2015, quando l’ultrasessantenne Ezit veniva commissariato dalla giunta regionale. Un mese più tardi, in sede di discussione consiliare sulla Finanziaria regionale, un emendamento spacchettava le competenze del liquidando ente, cosicchè la stessa Regione Fvg si sarebbe tenuta la gestione del Sito inquinato (Sin) e il marketing territoriale. E da allora del Sin - lamenta Bruni - non si parla più, «sono trascorsi 16 anni dai primi atti, già la lentezza dell’iter era diventata proverbiale, ma adesso ...». L’alternativa? «Che il piccolo imprenditore si muova in autonomia, pagandosi la pratica di bonifica: difficile fare una media dei costi, ma non sono inferiori ai 20 mila euro. Per una micro-azienda è un vero e proprio salasso». E’preoccupato anche Sergio Razeto, presidente di Confindustria Venezia Giulia, perchè i tempi si allungano sempre di più. Ma Razeto ha una speranza: «Ormai dovrebbe essere pronto lo statuto di un nuovo “contenitore” che prenda in carico le vecchie competenze dell’Ezit. “Contenitore” nel quale l’Autorità portuale avrà un ruolo preponderante. Una struttura amministrativa di riferimento sarà in grado di riprendere l’iniziativa». L’allarme di Bruni e Razeto non lascia indifferente l’assessore regionale all’Ambiente, Sara Vito, che fornisce una articolata replica tecnica. La riqualificazione del Sin va avanti - scrive in una nota - e a presto Confartigianato e Confindustria ne saranno informate. «Finora - precisa l’assessore - , le aree di proprietà ex Ezit, cioè circa 40 ettari nelle valli delle Noghere/Rio Ospo, sono già state caratterizzate e sulle stesse sono stati eseguiti i test di cessione». «La Regione - spiega - ha provveduto ad affidare il servizio di redazione dell’Analisi di Rischio sito specifica (AdR), previa identificazione dei lotti per i quali è possibile richiedere la chiusura del procedimento di bonifica e previa delimitazione delle fonti primarie di contaminazione/riporti non conformi, con indicazione dei possibili interventi di risanamento per le aree individuate». All’operatore selezionato sono stati assegnati 60 giorni per la conclusione dell’incarico. Per quanto riguarda gli “interventi di riqualificazione ambientale funzionali alla reindustrializzazione e infrastrutturazione delle aree comprese nel Sin” «si prevede il completamento della caratterizzazione delle aree a terra e in seguito la definizione del modello idrogeologico dell’intero sito e la redazione dell’analisi di rischio ove occorra. Preliminarmente a tali attività devono essere eseguiti i test di cessione sui materiali di riporto» A tale riguardo - conclude Sara Vito - «la Regione intende procedere per sub-aree, iniziando dalle Noghere e completando i test di cessione entro il 2017.

Massimo Greco

 

 

Marenordest, contro l’inquinamento degli oceani
L'inquinamento da plastica o meglio, le soluzioni che ognuno di noi, nel proprio piccolo, può attuare per contrastare un problema di grande attualità e valenza mondiale, sono al centro del Concorso Marenordest, aperto a tutti gli alunni delle scuole secondarie di secondo grado della regione. Il concorso, legato alla VI edizione di Marenordest, evento dedicato al mare e al mondo che lo circonda, che si terrà nella suggestiva cornice delle Rive di Trieste dal 19 al 21 maggio - con eventi e incontri che coinvolgono le principali figure che ruotano attorno al mare in vari ambiti (trasporti, cantieristica, subacquea, ricerca scientifica e ambiente, sport acquatici, turismo e promozione del territorio con un occhio di riguardo per le scuole - è promosso dall'Associazione Trieste Sommersa Diving. Suddiviso in tre categorie (elaborato scritto, video e fotografie), il concorso avrà il seguente tema: “Un mare di plastica. Cosa può fare ognuno di noi, anche attraverso modifiche di comportamenti scorretti, per limitare l'inquinamento da plastiche degli oceani?". Regolamento su www.marenordest.it/concorso-scuole

 

 

L’Ora della Terra - Luci spente pensando al clima che cambia
Domani anche a Trieste scatta l'Ora della Terra, l'evento planetario del Wwf per sensibilizzare sul tema del cambiamento climatico, che nel 2017 celebra il decimo anniversario. L'invito - per istituzioni, attività commerciali, ma anche i cittadini - è di spegnere le luci per un'ora, dalle 20.30 alle 21.30, in casa, in ufficio o al ristorante. Un gesto simbolico per iniziare a invertire la tendenza secondo lo slogan "spegni la luce, accendi il cambiamento". L'effetto di questa mobilitazione globale sarà una grande "ola" di buio che per 24 ore farà il giro del mondo. Il Wwf Area marina protetta di Miramare proporrà un'escursione serale sulla costiera triestina con osservazione delle stelle dalla vedetta Slataper. I posti sono però già esauriti. Tra gli eventi, anche cene sostenibili e solidali a lume di candela in partnership con Altromercato. La Bottega del mondo Il Mosaico e il Wwf Trieste hanno coinvolto nove locali del centro, da via dell'Annunziata a via Mazzini, via Cassa di Risparmio, via Malcanton, via Cadorna, via Economo, via Torino e piazza Hortis, che serviranno aperitivi o cene solidali a lume di candela. Si potrà pure ammirare piazza Unità al buio: per un'ora infatti sarà spenta l'illuminazione della facciata del Municipio. E si spegneranno pure luci e insegne della sede triestina di Allianz Italia in Largo Irneri. C'è ancora tempo per aderire: la mappa degli eventi e si può consultare su www.oradellaterra.org/mappa-eventi.

( g.t.)

 

 

SEGNALAZIONI - Parco del Mare - Petizione basata su dati scorretti

Date le inesattezze riportate nelle lettere pubblicate il 25 febbraio e il 21 marzo scorsi, sempre a firma della signora Giorgetta Dorfles, avanzo alcune precisazioni. Anzitutto va dato atto alla promotrice della petizione contro la realizzazione del Parco del mare nell’area della ex Cartubi (meglio nota come Porto Lido) Giorgetta Dorfles, che è una buona scelta ritirare una raccolta firme fondata su elementi non corrispondenti alla realtà, proprio perché è un atto dovuto verso chi quella petizione l’ha sottoscritta sostenendo affermazioni che si sono presto rivelate false. L’ipotesi di realizzare il Parco del mare in zona Porto Lido ha fin da subito (fine 2015) fatto riferimento alle dimensioni indicate nell’intervista del presidente della Fondazione CRTrieste Massimo Paniccia, pubblicata da Il Piccolo del 15 marzo. Dimensioni condivise con la Camera di commercio e sulle quali si sono espressi a favore il Comune (già con il sindaco Roberto Cosolini) e la Regione Friuli Venezia Giulia. Le “non verità” inserite nella petizione e riferite solamente all’immagine di un concept progettuale, avrebbero richiesto un adeguato approfondimento prima di essere proposte e diffuse con commenti non basati su elementi reali. La Camera di Commercio non ha fatto intimidazioni, come ha riferito nella sua segnalazione del 25 febbraio scorso la signora Dorfles, ma ha chiesto di ritirare una petizione fondata su elementi non corrispondenti alla realtà dei fatti. Nella segnalazione pubblicata il 4 marzo la signora Dorfles, anticipando il ritiro della petizione, ne ammette contestualmente l’infondatezza. Sarà al Consiglio comunale che le istituzioni e i tecnici coinvolti presenteranno lo studio progettuale del Parco del mare rispondendo ai quesiti indicati nel programma dell’audizione dal presidente del Consiglio, Marco Gabrielli su richiesta dei consiglieri del Partito democratico. Nei prossimi mesi verrà organizzato un evento pubblico per presentare lo studio a tutta la cittadinanza come già programmato dalle istituzioni coinvolte.

Andrea Bulgarelli - Ufficio stampa Camera di Commercio Venezia Giulia

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 23 marzo 2017

 

 

Il parco fantasma di Aquilinia sparge veleni - È polemica sull’area verde promessa già per giugno 2016. Centrodestra all’attacco. Marzi: «Ritardi per questioni di sicurezza»
MUGGIA Che fine ha fatto il Parco urbano di Aquilinia? È l’interrogativo che ci si pone a dieci mesi ormai dall’annuncio dell’apertura dell'area verde sita nella frazione muggesana. Una promessa fatta dall'allora candidato sindaco Laura Marzi, a pochissimi giorni dal voto per il rinnovo delle cariche comunali. L’area boschiva - pari a due ettari, di proprietà della Teseco - doveva essere realizzata proprio dalla stessa Teseco con un importo pari a 160mila euro, necessari per la riqualificazione della zona. La nuova struttura pubblica - in teoria fruibile dallo scorso 6 giugno - comporterà anche la realizzazione di 40 nuovi parcheggi destinati ai residenti. Collocato di fronte alla scuola elementare Loreti e vicino all’ex caserma della guardia di finanza, il Parco, apparentemente pronto, non è però mai stato inaugurato. La situazione di stallo non è passata inosservata tra i banchi dell'opposizione consiliare. Roberta Vlahov (Obiettivo comune per Muggia) racconta: «È da sei mesi che si attende l’inaugurazione della struttura. Quando abbiamo chiesto delucidazioni in merito ci era stato detto che il problema riguardava alcune transenne. Per ora sull’agibilità dell’area tutto tace». E la questione finirà presto anche in Consiglio comunale in seguito ad una interrogazione portata avanti dai tre partiti del centrodestra. Nel testo che vede capofirmatario Andrea Mariucci di Forza Muggia Dpm, sottoscritto anche dai colleghi di gruppo Stefano Norbedo e Giulia Demarchi, da Giulio Ferluga della Lega e Nicola Delconte di Fratelli d’Italia, si chiede come mai l’area, ancora interdetta al pubblico accesso e contornata dal recinto di cantiere, sia «abbondantemente illuminata, mentre attorno vi sono molte strade e zone in prossimità delle abitazioni che invidierebbero una illuminazione simile». Chiamata in causa il sindaco Laura Marzi non nasconde la problematica: «Purtroppo la mancanza di un guardrail di sicurezza sta ritardando l’apertura effettiva del parco. Avremmo dovuto inaugurarlo lo scorso giugno, invece non è andata così e mi assumo le responsabilità di tutto ciò». Marzi però tiene a sottolineare che il suo non è stato un gesto di mera propaganda elettorale: «Avremmo dovuto inaugurarlo già a metà maggio, ma a causa del maltempo l’apertura fu prevista proprio il 6 giugno. Invece tutto si è bloccato». Per risolvere la questione è stata stornata una parte del denaro destinato ai parcheggi: «Abbiamo chiesto alla Teseco di inserire questa ulteriore opera, inizialmente non prevista. L’iter per chiudere la procedura, purtroppo, si è allungato. Speriamo a breve di risolvere la situazione». Sull'area vige invece ancora un dubbio sul futuro dei vecchi campi da tennis in cemento presenti alla fine della zona boschiva, attualmente inutilizzabili. Al posto delle due strutture sportive l'amministrazione comunale sta pensando di creare una piccola costruzione da utilizzare come centro di aggregazione per i residenti, come conferma Marzi: «Stiamo valutando se adoperare l’area dei campi di tennis per la socializzazione dei cittadini di Aquilinia, una proposta sulla quale poi dovrà esprimersi la cittadinanza locale».

Riccardo Tosques

 

 

 

 

SLOWFOOD.it - MERCOLEDI', 22 marzo 2017

 

 

«Privatizzare l’acqua equivale a una sottrazione della democrazia»

Per la giornata mondiale dell’acqua abbiamo sentito Simona Savini del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua: «Ristrutturare gli acquedotti italiani è la vera grande opera che serve al nostro Paese»

319 milioni di abitanti dell’Africa Sub-Sahariana, 554 milioni di asiatici, 50 milioni di sudamericani non hanno accesso a fonti di acqua potabile sicura (dati del World Water Council). Intanto 2,4 miliardi di persone non hanno accesso a servizi igienico-sanitari adeguati (dati dell’associazione non governativa WaterAid). E sono 25 anni che è stata istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la Giornata Mondiale dell’Acqua, per invitare alla riflessione. Certo non ha invitato all’azione viste le condizioni in cui ancora stiamo.

Ad esempio, in Italia dove l’esito della consultazione referendaria del 2011 è stato totalmente disatteso. Ve lo ricordate il referendum sull’acqua bene comune? È stato tra i più votati della nostra Repubblica, il sì ottenne oltre il 95 per cento dei voti, abrogando la legge del Governo Berlusconi che obbligava ad andare a gara per affidare il servizio idrico e a cedere quote azionarie ai privati. Privati che – secondo quesito del referendum – non avrebbero più potuto inserire in tariffa i loro profitti. Ebbene, dopo 5 anni quella volontà popolare è stata contrastata da tutti i Governi… E le cose peggiorano. Così come ben ci spiega Simona Savini, del Forum Italiano dell’Acqua «Ora nuova strategia è rilanciare i processi di privatizzazione del servizio idrico e degli altri servizi pubblici locali, oltre a reinserire, tramite il nuovo metodo tariffario elaborato dell’Aeegsi, la voce che garantisce il profitto ai gestori» come se nulla fosse stato insomma. «L’altra mossa – continua Savini – è favorire le grandi fusioni tra le maggiori società che gestiscono l’acqua pubblica sul territorio nazionale (A2A, Iren, Hera e Acea)», tutte quotate in borsa… Con assemblee dei soci a porte chiuse dove si decide per tutti noi cittadini. «Ma quanto si decide dentro quelle porte riguarda tutti noi: in assise private come i consigli di amministrazione o l’assemblea dei soci di una multinazionale si decide della nostra acqua “bene comune”. Questa è una chiara sottrazione di democrazia» commenta Savini. E infatti il Forum Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua ha avviato una bella campagna per capire quanto sia fattibile la ri-pubblicizzazione di una società come Acea, studiando i bilanci e mostrando come vengono gestiti i soldi che questa società privata guadagna attraverso le bollette.

Ma non avevamo chiesto, in milioni, che l’acqua fosse un bene comune, o per lo meno pubblico?
Ma torniamo alla giornata di oggi, che come tema ha le acque reflue cioè quelle già usate, perché l’Onu vuole portare l’attenzione del mondo «sullo spreco delle risorse e sulla capacità di recuperare l’acqua usata per soddisfare la domanda in aumento, ridurre la sete umana e la siccità della Terra, con la depurazione cancellare l’inquinamento che le acque di scarico portano con sé».
Ora, tutto bene, e certo, sembra ovvio che bisogna ripulire le acque dagli inquinanti. Ben vengano anche le giornate che attirano l’attenzione su questi temi, e svegliano (?) le intorpidite coscienze. Ma, a me (e credo anche a voi) viene da chiedermi, ma non ha senso pensare anche a eliminare gli sprechi? «Ridurre gli sprechi significa rifare l’intero sistema idrico nazionale, e sostituire tutti i tubi. Un investimento enorme, certo, ma che verrebbe ammortizzato negli anni. E infatti questo ha scelto di fare il Comune di Parigi: quando la società di gestione dell’acqua è tornata comunale, hanno avviato questa grande opera, coordinandosi con le altre aree del comune. Così se c’era una strada da rifare, se ne approfittava per cambiare anche i tubi» Ma quale società privata avrebbe interesse a fare un investimento che viene ammortizzato in decenni? «Nessuna ovviamente! Un operaio di Acea ci ha raccontato che da quando è diventata una società privata, non si cambiano più i tubi rotti, ma si mettono le cravatte – cerottini insomma – Ristrutturare gli acquedotti italiani è la vera grande opera che serve al nostro Paese» conclude Simona.
Noi invece vi invitiamo a non indignarvi solo oggi, a seguire il Forum (avete più luoghi, sito, facebook e twitter) e a partecipare a Roma il primo di aprile Assemblea nazionale del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua. La vogliamo questa acqua pubblica e senza sprechi sì o no?
Michela Marchi

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 22 marzo 2017

 

 

Raffica di sconfitte al Tar, “trema” il Prg - Il Comune ha perso in un anno quattro ricorsi presentati da privati. Polli: «Per evitare la paralisi servono subito varianti»
Trieste ha atteso per 18 anni un nuovo Piano regolatore. E ora, dopo averlo ottenuto il 21 dicembre 2015, si ritrova con un piano “colabrodo”. Quattro ricorsi al Tar, nell’ultimo anno, hanno disseminato di ipotetici “punti bianchi” il Prg. Lo si è appreso ieri mattina durante la riunione della commissione comunale sul tema del rilancio del piano edilizio proposto dal Movimento 5 Stelle. Sotto tiro è finito il “Piano regolatore Marchigiani” come lo chiamo l’attuale assessore, Luisa Polli, in omaggio all’urbanista della giunta Cosolini che l’ha preceduta nell’incarico. «Sul Prg pendono una ventina di ricorsi al Tar. Alcuni ricorsi hanno una consistenza rilevante rispetto al Prg. Altri riguardano questioni particolari e personali», spiega l’assessore leghista. In ogni caso le impugnazioni dei privati rischiano di minare alla fondamenta il Prg nuovo di zecca. «Quattro ricorsi al Tar sono già stati persi. E altri sono in arrivo - spiega sconfortata l’assessore all’Urbanista -. Quando uno vince un ricorso apre un mondo e rischia di creare problemi anche ad altri che non hanno fatto ricorso e che magari condividono la stessa zona del Prg», spiega Polli. I quattro ricorsi persi hanno già creato delle zone bianche dove vige la “paralisi” urbanistica. «Il vero nodo è questo. Nel Prg Marchigiani, essendo il Comune risultato soccombente rispetto ad alcuni ricorsi, si sono create le cosiddette zone bianche, ovvero terra di nessuno. In queste zone nessuno può fare nulla». Un’impasse complicata da sbloccare. L’impugnazione dello strumento urbanistico finisce per creare un black out. «Il Tar dice che quello che sostiene il Prg non vale più. Quindi di crea un puntino bianco sul piano regolatore. In questo momento sono quattro, visto che sono quattro i ricorsi persi». Da qui, con altri venti ricorsi pendenti, il rischio di trovare ad avere piano regolatore ridotto a un groviera, ovvero pieno di “buchi”. «Ho esaminato il contenuto di altri ricorsi. Una parte hanno contenuti simili. E quindi se il Tar ha preso questo linea, non è difficile immaginare l’esito di molti altri ricorsi» continua l’assessore. Che fare allora? Serve correre ai ripari in fretta. «Dovremmo fare rapidamente delle varianti al piano regolatore che rispondano ai contenuti delle sentenza del Tar rispetto alle singole fattispecie. Gli uffici ci stanno già lavorando. In quell’occasione, alla luce delle sentenze, andremo a ritarare lo strumento urbanistico. Bisogna evitare che si apra una catena di ricorsi sulla scia dei primi. C’è il rischio reale che l’attuale piano regolatore diventi incontrollabile creando notevoli problemi ai cittadini e alle attività produttive». Non basta quindi mettere delle toppe sui punti bianchi. C’è la necessità di vere varianti che risolvano complessivamente il problema. Una revisione più che una manutenzione. «Se un ricorso riapre una zona B3 a Borgo San Sergio è ovvio che lo stesso problema mi si pone in una zona B3 in Strada del Friuli. Quindi la modifica deve riguardare entrambe. Serve una visione d’insieme», spiega Polli. Ma come è possibile che il Prg varato un anno fa sia in queste condizioni? L’assessore non butta la croce sulla Marchigiani: «Un sacco di emendanti accolti dall’aula hanno creato un disequilibrio rispetto al piano originale. E lo dico io che non condiviso questa visione del Prg».

Fabio Dorigo

 

 

C’è lo “Stop Salvapedoni” - Spazio di frenata ridotto - Nuovo sistema a Palmanova in via Loredan e vicino all’ex caserma Hermada
Il mix fra bitume e griglia di acciaio consente il blocco però costa 10mila euro
PALMANOVA Arriva lo “Stop Salvapedoni” a difesa di chi attraversa le strisce pedonale. È un dispositivo stradale innovativo che, grazie al posizionamento sotto l’asfalto di una lamina di ferro, consente alle auto di ridurre lo spazio di frenata. A tenerlo a battesimo in Italia è Palmanova grazie al brevetto dell’azienda friulana Smart Way che - dopo un lungo periodo di ricerca, in cui è stata coinvolta anche l’Università di Padova - l’ha attivato per la prima volta in via Loredan, proprio all’uscita della scuola secondaria di primo grado Zorutti e in prossimità dell’ex caserma Hermada. Una zona della città stellata dove risiedono circa 145 nuclei familiari. Il sistema “Stop Salvapedoni”, inventato e brevettato da Luca Romanini, incassato nell’asfalto in prossimità degli attraversamenti pedonali è capace di aumentare il coefficiente di aderenza degli pneumatici riducendo sensibilmente lo spazio di frenata. Ma cosa c’è sotto l’asfalto? La speciale pavimentazione stradale si compone di un grigliato in acciaio strutturale saturato con conglomerato bituminoso di tipo stradale. Le caratteristiche di micro-tessitura, espressive dell’antisdrucciolevolezza della pavimentazione, garantiscono praticamente quasi un blocco totale della vettura in caso di frenata allorchè si presenta una situazione di pericolo sulle strisce. Il dispositivo non può mutare le proprie caratteristiche di aderenza, essendo inseriti alla superficie in acciaio dei piatti sulla tessitura superficiale, e quindi non sarà soggetto a sostituzioni o manutenzioni. Su manto stradale scivoloso, invece, l’efficacia del grigliato aumenta in quanto l’aderenza è indipendente dallo stato dell'’asfalto. Il costo di un’installazione si attesta intorno ai 10mila euro ma l’incidenza, come spiega Romanini, è «determinata prevalentemente da materiale impiegato, con ben 15 quintali di ferro». Le prove effettuate al momento dell’inaugurazione hanno mostrato l’efficacia del dispositivo. «La scelta di posizionare i due “Stop Salvapedoni” davanti a una scuola e nei pressi di una zona molto abitata da famiglie non è per nulla casuale e vuole salvaguardare l’incolumità dei nostri ragazzi e dei cittadini» dice il sindaco Francesco Martines. Erano presenti anche Giorgio Damiani di Fvg Strade, Gianfranco Romanelli dell’Acu Udine, Franco Buttazzoni della Camera di commercio udinese, Elena Bernardis, vicedirigente dell'’Istituto comprensivo della città stellata. «Abbiamo visto come l'innovazione possa andare al servizio della sicurezza - sottolinea l’assessore regionale Maria Grazia Santoro - perché una rete tra amministrazioni pubbliche, imprese e scuola ha raggiunto questi obiettivi. Una nuova azienda, una startup innovativa, con un ottimo brevetto sta nascendo». A margine è stata firmata una convenzione fra Comune e Automobil Club di Udine.

Alfredo Moretti

 

 

Muggia dichiara guerra allo spreco alimentare

Allo studio della giunta Marzi convenzioni ad hoc con le associazioni di volontariato L’obiettivo è ridurre al minimo gli scarti nella casa di riposo e nelle mense scolastiche

MUGGIA Creare delle convezioni con le associazioni di volontariato presenti sul territorio, ma anche contribuire all’autocompostaggio dei terreni coltivati. Sono queste le ipotesi sulle quali il Comune di Muggia sta ragionando per agire concretamente contro lo spreco alimentare che si viene a creare nelle strutture pubbliche rivierasche. Un tema già in passato affrontato anche dal Consiglio comunale con una mozione - fatta propria da tutto il Consiglio stesso - presentata da Roberta Tarlao (Meio Muja). Luca Gandini, assessore alle Politiche sociali della giunta guidata dal sindaco Laura Marzi, racconta l’attuale situazione muggesana che complessivamente è già fortemente monitorata. «Per quanto riguarda la Casa di riposo la programmazione degli acquisti in base alle indicazioni e alle grammature previste nel menù concordato con l’Asuits rende la produzione degli scarti alimentari molto contenuta, ma si continuerà ad applicare comunque un’azione di monitoraggio degli scarti quantificandone il relativo peso». Diverse le azioni attivabili al vaglio nel Comune rivierasco: tra queste non sono stati esclusi neppure il riciclo per il sostegno vitale degli animali o quello con la destinazione ad autocompostaggio in relazione alla produzione di prodotti orticoli. «Chiaramente la prima riflessione è stata quella della destinazione a chi ne ha più bisogno - racconta Gandini -. La Camst ha già attivi alcuni protocolli per il recupero degli scarti alimentari derivanti dal self service attraverso convenzioni con associazioni di volontariato, ed è già impegnata a livello nazionale in attività educative per perseguire le finalità della legge 166/16. Si è resa subito disponibile a collaborare per realizzare tali attività anche nel Comune di Muggia». Accanto alla struttura di salita Ubaldini, l’altro grande punto alimentare legato al Comune è la mensa scolastica gestita dalla Sodexo, altrettanto attiva contro lo spreco alimentare. In tal senso, è già stato avviato per esempio l’iter per la realizzazione, in collaborazione con Slow Food, del progetto “Orto... in condotta”. Comprendendo sia l’educazione ambientale che alimentare, il progetto, di durata triennale, prevede il coinvolgimento delle scuole, degli insegnanti, dei genitori degli alunni e dei “nonni-ortolani”, con momenti teorici e pratici e, come si desume già dal titolo, con la creazione di orti presso le scuole, curati con processi produttivi ecologici. «Nelle varie riunioni del Comitato mensa è stato più volte affrontato l’argomento dello spreco nelle mense e di come poter intervenire per ridurlo o riutilizzarlo: nella pratica, ci si sta muovendo già con le piccole attenzioni di ogni giorno», racconta Gandini. Dalle mense scolastiche, per esempio, vengono portati in aula pane, frutta, yogurt o dolce non consumati durante i pasti, che vengono o utilizzati per la merenda pomeridiana, o portati a casa dagli alunni. Complessivamente, dagli scarti delle mense scolastiche, gli avanzi da recuperare sono pochi, grazie anche all’avvio dell’informatizzazione, che garantisce un numero di presenze giornaliere di alunni e insegnanti che utilizzano le mense piuttosto preciso: di fatto, le cucine confezionano quantità poco più che superiori alle necessità. Infine neanche nelle cucine comunali ci sono grossi scarti, come conclude Gandini: «Se non il normale scarto di pulizia dei prodotti alimentari, quali bucce, foglie di verdure da eliminare, che viene regolarmente conferito nei contenitori per l’umido».

Riccardo Tosques

 

 

Basta “sprecare” spazi verdi - In città si vive da contadini

Percorso di formazione teorico-pratica alla sala Arac del Giardino pubblico - Finora sono stati aperti ventinove orti comuni con più di 250 nuovi coltivatori

Cresce la voglia di orti urbani. A Trieste, sono sempre di più i concittadini (di tutte le età e professioni) interessati a diventare contadini urbani, sia nel giardino che sul balcone di casa, ma anche semplicemente curiosi di conoscere tutto sulla cura degli ortaggi e delle piante. Per rispondere alle sempre più numerose richieste, anche quest’anno, dopo il successo delle passate edizioni, il gruppo Urbi et Horti organizza - in collaborazione con il Comune - un programma-percorso di formazione teorico-pratica sul tema “Orti e verde urbano”. Gratuito e aperto al pubblico, il corso - che si articola in 4 moduli formativi da 2 ore ciascuno - ha lo scopo di fornire strumenti per promuovere, progettare e realizzare esperienze di agricoltura sociale a livello territoriale. La presentazione si terrà domani alle 17.30, alla sala del Giardino pubblico, alla presenza dell’assessore Lorenzo Giorgi che rimarca la valenza dell’iniziativa e il sostegno del Comune: «Gli orti urbani possono diventare strumenti educativi per il recupero di spazi abbandonati che altrimenti rischierebbero di divenire ricettacolo di rifiuti o aree degradate». «Il ciclo di incontri - riferisce Tiziana Cimolino, referente dell’associazione capofila Bioest - fa parte del progetto che un gruppo di associazioni riunito sotto il nome di Urbi et Horti porta avanti da più di cinque anni. L’idea è recuperare le aree verdi urbane e periurbane nell’ottica di una tutela dei beni comuni. Finora la collaborazione del Comune e la disponibilità di molti privati ha permesso di aprire 29 orti comuni nella Uti giuliana con più di 250 nuovi contadini che hanno potuto coltivare un orto o prendersi cura di uno spazio verde in città». Le lezioni teoriche si terranno alla sala Arac il giovedì dalle 17.30 alle 19 (il 23 e 30 marzo e il 6 e 13 aprile). Sono previste anche lezioni pratiche il sabato dalle 10 alle 12. I docenti sono tutti esperti nell’ambito di agricoltura, botanica e tutela del verde: Daniela Peresson, agronoma Aiab, e Sergio Boschian (agronomo Soi/Fvg) introdurranno al metodo di agricoltura biologia, sinergica e alla permacoltura, e Francesco Panepinto del Servizio spazi aperti e Spazi verdi pubblici parlerà della cura e la sicurezza del patrimonio arboreo pubblico. «I partecipanti partiranno dalle basi - prosegue Cimolino - per essere in grado poi di coltivare da soli il proprio orto in maniera sostenibile e biologica. Impareranno come funziona un gruppo d’acquisto e si andrà realmente in campo, mettendo le mani nella terra sotto la guida del maestro contadino Roberto Marinelli che insegnerà agli aspiranti agricoltori urbani a seminare, trapiantare e organizzare un orto in modalità biologica e sinergica». Per informazioni 3287908116 e orticomunitrieste@gmail.com.

Gianfranco Terzoli

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 21 marzo 2017

 

 

Da Salvini alla Fallaci, pioggia di mozioni - In Consiglio anche la solidarietà al leghista e l’ipotesi di una via in ricordo della scrittrice. In piazza protesta anti Parco del mare
La seduta del Consiglio comunale che doveva ospitare l’audizione sul Parco del mare, saltata per un “vizio di forma”, è diventata una serata di consumo-mozioni: nel giro di qualche ora l’aula ha deciso, con maggioranze variabili, di esprimere la propria solidarietà a Matteo Salvini per gli scontri di Napoli, di creare aree per portare a spasso i cani, come impiegare i “rimborsi” statali per i Comuni che hanno fatto l’accoglienza. In tarda serata sembrava intenzionata a intitolare una via ad Oriana Fallaci. È stata ritirata, invece, la mozione del consigliere Roberto De Gioia (Socialisti e Verdi) sul totem dello Scalo legnami. Prima della seduta piazza Unità ha visto svolgersi la manifestazione della Leal, lega antivivisezione, e del comitato “Trieste per gli animali” contro il Parco del mare. Una trentina di persone hanno manifestato sotto al municipio con cartelli e striscioni. Hanno spiegato gli organizzatori: «Siamo contrari al Parco del mare a prescindere dal luogo, perché per noi vale il principio etico del benessere animale. Una gabbia non può coesistere con il rispetto per gli animali. Meglio investire quei soldi pubblici nel sociale, nella cultura, nel verde pubblico». I lavori dell’aula si sono aperti con la discussione della mozione lasciata in sospeso la volta scorsa, quella per esprimere solidarietà al leader leghista Salvini, contestato a Napoli dai centri sociali. Il capogruppo del Carroccio Paolo Polidori ha addossato all’opposizione la responsabilità «di aver fatto saltare l’audizione da voi richiesta sul Parco del mare». Polidori ha poi invitato a votare il testo per «condannare la violenza e solidarizzare con Salvini e le forze dell’ordine». Lungo il dibattito. Marco Toncelli (Pd) ha detto: «Ci si appella alla libertà d’espressione ma Salvini è quello che ha detto che “i ministri turchi non sono benvenuti in Italia” e che nel 2009 cantava “senti che puzza arrivano i napoletani”. Siamo contro la violenza e solidali con le forze dell’ordine, ma questa mozione ve la votate da soli». Sia il centrosinistra che il M5S non hanno partecipato al voto. Discussa brevemente la mozione De Gioia per fare del piccolo edificio che sta davanti al molo Audace un punto informazioni turistico. La giunta l’ha fatta propria come raccomandazione, impegnandosi a prendere contatti con l’Autorità portuale. Approvata la mozione di Piero Camber (Fi) che chiede di istituire zone «di sgambamento» per cani in ogni circoscrizione, con l’aiuto dei parlamentini. Discussa a lungo anche la mozione sul totem in Scalo legnami. Inizialmente la proposta sembrava trovare molti sostenitori in aula, ma quand’è uscito che forse un trasloco del manufatto avrebbe risvegliato qualche maledizione indiana sono iniziate a fioccare ritrattazioni variamente motivate. Anche il leghista Fabio Tuiach, fiero portuale e sostenitore della prima ora dell’idea, ha fatto dietrofront a malincuore rilevando che «ai triestini del totem non frega una mazza». Alla fine il consigliere De Gioia ha dovuto ritirare la mozione per impedire che venisse bocciata. Approvata poi, con il sostegno (con distinguo) del M5S e la contrarietà del centrosinistra, una mozione della Lega Nord e della Lista Dipiazza per dedicare i “rimborsi” statali per l’accoglienza alla sicurezza e al sociale per le famiglie triestine residenti da più di dieci anni sul territorio comunale. È iniziata poi la lunga discussione su “via Fallaci”, ancora in corso a serata inoltrata.

Giovanni Tomasin

 

Il Parco del mare ridotto non ha più senso in quell’area - LA LETTERA DEL GIORNO di Giorgetta Dorfles
Il dottor Paniccia ridimensiona il progetto del Parco del mare e noi ritiriamo la petizione, infatti non possiamo più fare riferimento al famoso rendering di Chermayeff. Apprezziamo la sua sensibilità nel prendere atto della contrarietà di parte della popolazione; del resto è noto che il sostegno della Fondazione Crt si rivolga a finalità di rilevanza sociale. Tra le 13 firme sul Web, le segnalazioni sul Piccolo e i commenti su facebook, in effetti la volontà della città è apparsa piuttosto chiara. In realtà i firmatari, ahimè sconosciuti, sarebbero stati di più se i solerti sostenitori del progetto camerale non avessero fatto sparire i moduli cartacei che avevamo collocato in alcuni locali pubblici. Un bel esempio di civismo e di rispetto per le opinioni altrui! Adesso che il concept è stato messo da parte, che senso ha affermare che bisogna situare il Parco sul Molo Fratelli Bandiera, dato che il progetto è stato studiato appositamente per quel sito? Progetto nuovo e collocazione nuova, questo proponiamo alla saggia valutazione del dottor Paniccia. Anzi, lo esortiamo a fare un ulteriore passo avanti, col risultato di prendere due piccioni con una fava: primo, dotare la città di una struttura veramente innovativa e al passo coi tempi, data la recente irruzione della realtà virtuale nella vita di ognuno, come ad esempio il notevole Museo Alinari creato al Castello di San Giusto. Secondo, rendere finalmente operativa l’ex Pescheria, ristrutturata dalla stessa Fondazione, ma da sempre sottoutilizzata, insediandovi un acquario virtuale, come suggerito su queste pagine da vari interventi, che farebbe da naturale prolungamento in versione contemporanea di quello piccolo già esistente. Se invece si vuole continuare con il circo acquatico - destinato a diventare sempre più anacronistico, sia per lo scemare dell'iniziale curiosità, sia per la crescente attenzione al mondo animale - facendo una brutta copia dell'acquario di Genova, con la conseguente mancanza di attrattive e il prevedibile rischio economico, allora la sua collocazione ottimale resta il Porto vecchio. Non si capisce, in realtà, come questa soluzione sia stata bandita da una specie di postulato, senza addurre particolari giustificazioni, mentre la sua candidatura è stata sostenuta in modo veramente plebiscitario dai commenti alla nostra petizione e da varie voci autorevoli. Continueremo quindi a riportare questa volontà dei cittadini anche in ambito del futuro Consiglio comunale. A questo proposito, visto che l'incontro è stato rimandato per ovvie ragioni, in quanto non si può certo decidere sul nulla, vorremmo che fossero forniti i dati precisi del nuovo progetto, per evitare di impostare un discussione a livello puramente teorico, come già ci è stato rinfacciato.

 

 

Il Tribunale di Fiume intima un nuovo stop alle cave di Marzana - Ricorso di Istria Verde accolto. Bloccato il secondo progetto - Gli ambientalisti: «E adesso serve un referendum»
POLA - Come avvenuto due anni fa per la “Marzana 1”, il Tribunale amministrativo di Fiume ha bocciato anche la “Marzana 2”, ossia la seconda cava pietraia in progetto nel Comune di Marzana. Ancora una volta è stato accolto il ricorso degli eco-ambientalisti dell’associazione Istria Verde, che hanno vinto una battaglia contro quella che ritengono un'attività economica altamente inquinante e dannosa per la salute della popolazione. Il giudice ha motivato la sentenza con il giudizio negativo della Valutazione d'impatto ambientale: documento che non contiene le possibili soluzioni di estrazione alternative a quella a cielo aperto. A commentare la notizia dello stop è stata la presidente di Istria Verde Dusica Radojcic in una conferenza stampa convocata assieme ai sette cittadini di Marzana con i quali aveva inoltrato il ricorso contro il decreto del ministero dell'Ambiente, ministero che invece aveva dato disco verde alla Valutazione d'impatto ambientale e di conseguenza al progetto. «Questa sentenza - ha detto Radojcic - come quella di due anni fa è la conferma di quanto andiamo dicendo da molto tempo. Ossia che le valutazioni di impatto ambientale possono essere tendenziose, in quanto nella maggioranza dei casi servono a mascherare interventi che nuocciono all'ambiente invece che a fornire analisi reali sull'effettivo impatto di determinati progetti sull'habitat. Purtroppo - ha aggiunto - le istituzioni non tengono mai conto del parere dei cittadini, che nel caso di Marzana sono assolutamente contrari all'apertura di un sito per l'estrazione del marmo». Vinte dunque due battaglie, ma non la guerra. La stessa Radojci„ ha reso noto che dopo la bocciatura di “Marzana 1” - peraltro non in linea con il piano territoriale della Regione istriana - l'amministrazione regionale ha subito corretto il principale documento di pianificazione del territorio dando così all'impresa di estrazione interessata la possibilità di avviare una nuova eventuale procedura di Valutazione di impatto ambientale. «Riteniamo - ha continuato l’esponente dell’associazione - che sul tema si dovrebbe indire un referendum in modo da permettere ai marzanesi di dire se vogliono o meno una cava nelle vicinanze delle loro case». All'incontro con la stampa è intervenuto anche il noto oncologo Mario Bozac. «L'attività estrattiva della pietra - ha detto - oltre ai danni all'ambiente ne provoca anche alla salute delle persone». Le due cave progettate occuperebbero la superficie di 42 ettari; le abitazioni più vicine si trovano a meno di 500 metri di distanza dall’area interessata. L'amministrazione comunale certamente non ha gradito lo stop imposto dal tribunale amministrativo di Fiume, in quanto le due cave avrebbero portato in cassa quasi 200mila euro all'anno di prelievo fiscale, senza contare gli effetti occupazionali e lo sviluppo di attività di indotto. L'estrazione annua, sempre secondo il progetto, sarebbe di 25mila metri cubi di pietra, ovviamente ad uso edilizio. Un brutto colpo dunque anche per le due aziende investitrici, la Kamen e la Kamen produkt di Pisino.

(p.r.)

 

 

Bike Breakfast - Caffè e brioche gratis a chi si muove in bici

Sabato in piazza Cavana dalle 10 alle 14 ci sarà il primo “Boke breakfast: chi pedala va premiato!”, iniziativa organizzata da FIAB Trieste Ulisse e Senza Confini. Verranno "ringraziate" le persone che decidono di muoversi in bici offrendo loro un caffè e un pasticcino equo e solidale. Durante la mattinata verranno promossi incontri dedicati ai cicloviaggi FIAB (10.30), all’agenda verde del commercio equo e solidale (11); alle bici elettriche (11.30) e ai cambiamenti climatici (12,30).

 

 

Un presidio antidiscriminazioni - Iniziativa in occasione della giornata contro l’odio razziale
Eliminare le discriminazioni razziali e ricordare le vittime innocenti dell’odio. Questi gli obiettivi che si prefiggono i componenti del Comitato per la pace, la convivenza e la solidarietà “Danilo Dolci” di Trieste e che ieri, in previsione della Giornata mondiale che l’Onu ha organizzato per oggi, proprio per sensibilizzare l'opinione pubblica su tali temi, hanno allestito un presidio in piazza dell'Unità d'Italia, nei pressi della targa che ricorda l'annuncio delle leggi razziali, fatto il 18 settembre del 1938. «L’importante - ha spiegato Luciano Ferluga, portavoce del Comitato “Dolci” - è che di questi argomenti si continui a parlare e discutere, che non ci si dimentichi delle vittime delle discriminazioni razziali». Per una fortunata coincidenza, proprio nel corso della manifestazione organizzata dal Comitato, sono transitati davanti al Municipio studenti di una scuola campana in gita a Trieste. «Li abbiamo coinvolti - ha spiegato Ferluga - e hanno espresso notevole apprezzamento per la nostra iniziativa, ribadendo che, proprio perché provenienti da una terra tormentata da problematiche legate alla malavita organizzata, sentono con forza la necessità di parlarne in tutte le occasioni utili».

(u. s.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 20 marzo 2017

 

 

Gite - “Curiosi di natura” a spasso in Carso

Da domenica 26 marzo al 4 giugno la cooperativa Curiosi di natura propone "Piacevolmente Carso-primavera": sette passeggiate naturalistiche, culturali ed enogastronomiche in altrettante località del Carso triestino e goriziano. Spaziando tra la Val Rosandra, l'area di Basovizza, Sgonico e Monrupino, verranno illustrati flora, fauna e geologia del Carso. E ogni giorno possibilità di degustazioni dai ristoratori tipici di "Sapori del Carso" con un buono sconto del 10%, consegnato ai partecipanti alle escursioni. Le passeggiate saranno condotte di domenica e il lunedì di Pasquetta dalle ore 9.30 alle 13.

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 19 marzo 2017

 

 

«No al Parco del mare» - La protesta animalista sbarca in Piazza Unità

Manifestazione sotto il Municipio durante i lavori dell’aula - Bocciato l’acquario. «Meglio un polo scientifico-educativo»
Nonostante il rinvio della seduta del Consiglio comunale in cui si sarebbe dovuto affrontare la questione Parco del Mare, resta convocata per domani alle ore 18 la manifestazione dei gruppi animalisti locali che si oppongono al progetto. La protesta pacifica “Fermiamo il Parco del Mare a Trieste!” è stata organizzata da Leal, la Lega AntiVivisezionista, e dal Comitato Trieste per gli animali. Davanti al Municipio sono attesi un centinaio di attivisti per esprimere la propria contrarietà alla prigionia e allo sfruttamento di animali nati liberi. «Ci saremo lunedì e torneremo anche il 6 aprile. Ci sembra doveroso fare capire ai consiglieri che una parte della città ha forti perplessità su questo progetto», riferisce Silvia Cossu del Comitato animalista. Il dibattito, previsto per il 20 marzo, è stato rinviato ufficialmente per “problemi tecnici”. La seduta sarebbe slittata però per permettere una più serena valutazione delle ultime dichiarazioni rilasciate da Massimo Paniccia. Mercoledì scorso il presidente di Fondazione CRTrieste aveva lanciato, dalle pagine del Piccolo, una versione “dimezzata” del Parco del Mare da collocare nell’area di Porto Lido, in testa al Molo Fratelli Bandiera. Un acquario ridotto ma pur sempre imponente: 11mila metri quadrati, 5,5 milioni di litri d'acqua e 47.7 milioni di euro di costo ipotetico. Gli attivisti di Leal e del Comitato Trieste per gli animali chiedono che questi soldi vengano piuttosto reinvestiti nelle aree verdi già esistenti e nel sociale. Ad aprile è prevista un’attività di volantinaggio fuori dal Comune. «Chiediamo solo che non vengano sfruttati gli animali», commenta Silvia Cossu. «Con quei soldi si possono fare tante altre cose: incentivare il patrimonio culturale triestino; risolvere il degrado del parco di Miramare; investire nel Museo di Storia ed Arte di Piazza della Cattedrale; curare il verde dei parchi cittadini, molto trascurati, a beneficio di chi ha famiglie ed animali». Gli animalisti propongono piuttosto un parco marino completamente virtuale e con impatto ambientale minimo. Se l’esempio fatto del Mare nostrum Aquarium di Roma non è dei più calzanti (se ne parla da un decennio, non è ancora aperto e solo una parte di esso prevederebbe l’utilizzo di realtà virtuale o eventuali robot-pesci), il concetto espresso è chiaro. «La cattività danneggia e fa soffrire gli animali. Troviamo tutto ciò molto diseducativo per i bambini», conclude Cossu, citando la psicoterapeuta Annamaria Manzoni. Parchi tematici come il SeaWorld di Orlando si stanno già attrezzando per offrire esperienze virtuali complementari: si pensi alla montagna russa che permette di fuggire dal Kraken. Tra i casi “virtuosi”, uno è stato segnalato da una nostra lettrice nei giorni scorsi. «Al magnifico Visitor Center delle Scogliere di Moher, in Irlanda, mi sono ritrovata immersa in una fantastica realtà virtuale, tra le grida di migliaia di uccelli marini e il tumultuare delle onde ai piedi delle rocce vertiginose. Ho visto le foche e le orche nuotare libere sott’acqua: un’emozione indimenticabile! Il centro visite era costruito in modo da mimetizzarsi con il paesaggio e offriva ogni genere di servizi curatissimi. A Trieste dobbiamo pensare al futuro e non copiare realtà che hanno già dato prova di essere sorpassate».

Lillo Montalto Monella

 

 

La Ue delusa dal G20 - Doppia vittoria Usa su commercio e clima
Il primo G20 della nuova amministrazione Trump rompe con il passato, abbandonando il tradizionale rifiuto del protezionismo, e spaventa i partner. Nonostante gli Usa non abbiano ancora una politica chiara, sono riusciti ad ottenere dal G20 mano libera per rivedere le strategie commerciali e a proteggere la loro economia inseguendo l’obiettivo dell’ «America First». Delusi i tedeschi, presidenza di turno, anche per il ridimensionamento dei temi ambientali. Il summit è stato comunque dominato dallo scontro sul commercio. È stato chiaro dall’inizio che il “no” al protezionismo doveva sparire dal testo, se si voleva chiudere la riunione con successo. E la presidenza tedesca, nonostante le critiche della Cina e degli europei, è stata disposta ad accontentare gli Usa. Che però, volevano di più: tagliare i riferimenti ai rapporti «multilaterali» e «basati sulle regole», per sostituirli con il concetto «commercio libero ed equo». I partner si sono opposti e si è discusso fino all’ultimo per poter chiudere con un accordo. Ma il risultato è molto deludente per tutti, tranne che per gli americani: «Lavoriamo per rafforzare il contributo del commercio alle nostre economie», recita laconico il comunicato. «A volte in questi meeting non puoi raggiungere tutti i risultati che vorresti», ha ammesso amareggiato il ministro dell’Economia tedesco Wolfgang Schaeuble. Per il ministro Padoan è un buon risultato: «La parola commercio è menzionata e non è banale alla luce degli scambi sviluppati al vertice», ha detto il ministro che non è apparso sorpreso dalla delusione tedesca. La Germania è stata colpita soprattutto sul clima e su «una messa in evidenza della questione degli squilibri che, come noto, i tedeschi non amano». Gli Usa comunque non avrebbero ancora espresso una linea d’azione definita, e questo alimenta l’incertezza. Tema affrontato anche dai ministri e dai banchieri centrali, che hanno esaminato l’incertezza generata dal voto sulla Brexit e da quello negli Stati Uniti.

 

 

Vittime dell’amianto, la strage infinita - In aumento neoplasie e tumori polmonari provocati dall’esposizione alla fibra killer. Patussi: «Il picco deve ancora arrivare»

Una strage di cui non si riesce a intravedere la fine e che si lascia alle spalle una lunga scia di morti e di dolore. L’amianto continua a essere il killer silenzioso di questo territorio, tanto da far guadagnare alle province di Trieste e Gorizia il poco invidiabile primato di area del Paese dove la mortalità causata dall'asbesto è cinque volte più alta rispetto alla media nazionale. In un territorio dove risiede il 30% della popolazione del Friuli Venezia Giulia, si verificano ben l'84% dei casi di malattie amianto-correlate dell'intera regione. Nel 2016, solo in provincia di Trieste, sono state riscontrate 64 neoplasie da amianto e 40 patologie non tumorali quali ispessimenti, placche pleuriche e fibrosi polmonari. Solo i mesoteliomi sono calati, di appena cinque unità, dall'anno precedente (erano 38 nel 2015), mentre i casi di tumori polmonari sono passati dai 18 del 2015 ai 31 del 2016 e le patologie non tumorali in dodici mesi sono aumentate di una unità. «Si tratta di una vera e propria strage che, dal punto di vista giuridico, si deve configurare come un omicidio». Valentino Patussi, direttore del Dipartimento di prevenzione dell'Asuits, non ha dosato le parole per commentare i numeri di una subdola malattia che negli ultimi sei anni, in provincia di Trieste, ha fatto ammalare 700 persone. Patussi è intervenuto a Muggia, assieme al direttore generale dell'Asuits Nicola Delli Quadri, in occasione di un'iniziativa organizzata dalla Cgil a un anno dalla delibera regionale 250/2016 che regola le attività di assistenza socio-sanitaria per gli esposti all'amianto. «I danni causati dall'amianto non vanno in prescrizione - ha affermato Patussi, riferendosi a quelle sentenze che di fatto non hanno individuato dei colpevoli per queste tragiche morti -. Il picco di vittime per amianto va continuamente spostato in avanti, dal momento che il periodo di latenza del mesotelioma può arrivare a 50 anni». L’Italia è stata fino alla fine degli anni Ottanta il secondo maggior produttore europeo di amianto, dopo l'ex Unione Sovietica, e uno dei principali Paesi utilizzatori. A seguito dell’adozione della legge 257, a partire dal 1992, il suo impiego è stato bandito nei nuovi manufatti, come successivamente e progressivamente è accaduto nell'intera Comunità europea. Il vasto utilizzo di questo minerale fibroso ha però lasciato una pesante e drammatica eredità, frutto delle attività portuali di carico e scarico di sacchi contenenti amianto sfuso, dell'attività nell'industria navalmeccanica, della costruzione di motori, dell'utilizzo dell'amianto nei settori siderurgico e delle costruzioni, e in molte altre situazioni in cui l'asbesto veniva frequentemente manipolato. Per questo motivo, con la legge regionale 22 del 2001, la Regione Friuli Venezia Giulia ha istituito il registro regionale dei soggetti esposti ed ex esposti all'amianto, un elenco che, per quanto riguarda l'esposizione di tipo professionale, comprende 9969 persone (dati riferiti a febbraio 2017), il 58% delle quali, pari a 3672 persone, sono residenti nella provincia di Trieste. La maggior parte delle persone iscritte a questo registro sono di genere maschile, anche se le patologie amianto-correlate non hanno risparmiato quelle donne che, ad esempio, hanno lavato e maneggiato per anni gli abiti da lavoro dei propri compagni e mariti, respirando inconsapevolmente le fibre di amianto portate a casa sopra il “terlis”. Raffineria Aquila, Arsenale triestino San Marco, Autorità portuale di Trieste, Cartiera del Timavo, Cartubi srl, Compagnia portuale di Trieste: sono i nomi delle aziende, inserite dalla Struttura complessa di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro dell'Asuits, i cui lavoratori sono andati incontro a patologie correlate all'esposizione all'asbesto. La geografia dell'amianto, però, a Trieste è molto più complessa rispetto a ciò che questo elenco potrebbe far pensare e comprende un ampio numero di piccole e medie realtà produttive che fino agli anni Novanta hanno ampiamente utilizzato il minerale killer.
Luca Saviano

 

La corsa a ostacoli dei malati per ottenere l’esenzione ticket - La denuncia della CGIL
«A un anno di distanza dalla sua approvazione, il percorso socio-sanitario e assistenziale del cittadino esposto o ex esposto all'amianto non è pienamente attuato». Stefano Borini, per il coordinamento amianto della Cgil di Trieste, pur riconoscendo alla Regione «gli sforzi compiuti, anche in termini economici, per sensibilizzare la popolazione su questo argomento», non può fare a meno di sottolineare l'incompiutezza di una norma che in dodici mesi non è riuscita a decollare. La delibera regionale numero 250, datata 19 febbraio 2016, prevede che un preciso protocollo di sorveglianza sanitaria venga attuato su tutto il territorio regionale «entro un anno dalla sua approvazione». “D01”. È questo il codice di esenzione ticket che, in base alla delibera regionale, dovrebbe garantire agli iscritti al registro esposti all'amianto per motivi professionali, e ai loro coniugi e conviventi, un percorso di sorveglianza sanitaria gratuito. La Regione ha inviato a queste persone un tesserino plastificato contenente il numero di iscrizione al registro in questione. «Eppure ci risulta che a molte persone non sia stato riconosciuto questo diritto - aggiunge Borini - e che sia loro stato chiesto di pagare pienamente la prestazione. In alcuni casi è stato il medico curante a non aver applicato correttamente il codice di esenzione, in altri, invece, la mancanza va attribuita agli operatori del Cup, il Centro unico di prenotazione». I titolari del tesserino, su indicazione clinica motivata dal proprio medico di medicina generale, possono accedere agli accertamenti clinici mirati di primo livello, al fine di escludere la presenza di malattie amianto-correlate. «Tali accertamenti - riporta l'allegato alla delibera 250/2016, sono a totale carico del Sistema sanitario regionale». Una visita specialistica da parte di un medico del lavoro, una radiografia standard del torace e una spirometria globale con test di diffusione alveolo-capillare: sono questi gli esami diagnostici di primo livello ai quali ogni iscritto al registro esposti all'amianto può accedere gratuitamente. In questo programma di sorveglianza sanitaria risulta essenziale il ruolo del medico di medicina generale, dal momento che, nella quasi totalità dei casi, questo percorso diagnostico si rivolge a ex lavoratori che non sono più soggetti a sorveglianza sanitaria da parte del medico competente. «Applicheremo le procedure di rimborso - assicura il direttore generale dell'Asuits Nicola Delli Quadri - per tutte quelle persone che, nonostante un preciso diritto alla esenzione totale, sono state costrette a pagare il ticket. È mia intenzione, inoltre, convocare in tempi brevi i responsabili del Cup per verificare la corretta applicazione della delibera regionale 250/2016, coinvolgendo ulteriormente i medici curanti in questo protocollo di sorveglianza sanitaria». Tale programma si propone anche di implementare l'attività di informazione su un corretto stile di vita, in particolare per quanto riguarda il tabagismo, per il quale è nota un'interazione moltiplicativa con l'amianto nell'induzione dei tumori polmonari.

(lu.sa.)

 

«Quell’incubo che mi toglie il sonno dal 2005» - A 48 anni Chiandotto ha scoperto di avere un mesotelioma. «Da allora sono condannato all’attesa»
La sentenza porta il nome di “mesotelioma pleurico” e per Alberto Chiandotto è stata pronunciata nel 2005. «Da allora sono stato condannato all'attesa», afferma senza alcuna esitazione. Chiandotto oggi ha sessant’anni e da quando ne aveva 48 si è dovuto abituare a convivere con la possibilità che la “bestia”si possa risvegliare da un momento all'altro. «Sono stato operato il 12 maggio del 2005 - ricorda con precisione -. Ho subìto l'asportazione totale di un polmone e una serie infinita di cicli di chemio e radioterapia. Ogni sei mesi devo sottopormi a dei controlli, con la paura che anche l'altro polmone venga intaccato dalla malattia». Chiandotto è nato a Padova, ma dopo tanti anni si sente triestino a tutti gli effetti. Ha lavorato dal 1974 alla Italcementi, fra Monselice, Savignano sul Panaro e Trieste. «Mi hanno riconosciuto otto anni di esposizione all'amianto - spiega - e il 90 per cento di invalidità». La sua professione l'ha portato per decenni a contatto con la fibra di amianto, nel corso delle manutenzioni dei vari macchinari adoperati quotidianamente. «Utilizzavamo guanti in amianto - precisa - e con quella fibra ricostruivamo i freni dei macchinari. Maneggiavamo quotidianamente guarnizioni e cordoni costruiti con l'asbesto e tagliavamo fogli e intere tele composte da questo maledetto materiale». La paura per il grande male lascia il posto alla rabbia. «La giustizia è andata in prescrizione - commenta amaro l'ex operaio - . I dirigenti dell'Italcementi non sono stati giudicati colpevoli perché il reato è stato appunto prescritto. Eppure qualcuno sapeva a cosa andavamo incontro, mentre noi lavoratori eravamo all'oscuro di tutto». La scoperta del tumore è avvenuta casualmente, in seguito a un ricovero ospedaliero per una colica renale. «I primi sintomi iniziai ad averli nel febbraio del 2015 - continua Chiandotto, che nel frattempo è diventato rappresentante regionale dell'Anmil, l'associazione che riunisce gli invalidi e i mutilati del lavoro, e componente della Commissione regionale amianto - . Tre mesi dopo ero già sul lettino operatorio». Eppure non c'è risarcimento che possa compensare i dolori patiti e le paure di cui è vittima chi viene colpito da questa malattia. «I soldi non contano niente», spiega il grande invalido del lavoro, che adesso si gode la figlia di trentacinque anni e il nipote di sei. Le possibilità terapeutiche e di diagnosi precoce delle patologie neoplastiche da amianto sono oggi insoddisfacenti, in Italia come negli altri Paesi. Relativamente alla diagnosi precoce, uno screening oncologico rivolto a soggetti asintomatici è oggi proponibile come progetto di ricerca soltanto per il cancro del polmone. Per il mesotelioma maligno non rimane che dare ulteriore impulso alla ricerca scientifica, nella speranza che si possa andare incontro a cure efficaci anche per questo tipo di tumore.

(lu.sa.)

 

Gabbiani fuori controllo, la ricetta dell’Enpa - La presidente Bufo: «L’unica soluzione efficace è la sterilizzazione». Pressing sulle istituzioni
«La sterilizzazione dei gatti di colonia, dal 2000 ad oggi, dovrebbe insegnarci come la chirurgia sia l'unico metodo valido per la riduzione del numero di soggetti animali in un determinato territorio». Patrizia Bufo, presidente della sezione triestina dell'Enpa, torna sulle possibili azioni per contenere il numero dei gabbiani. Bocciando seccamente la foratura delle uova, la sterilizzazione rimane il modus operandi migliore. «Nel 2005 fu siglato un accordo tra Comune, Provincia, Università ed Enpa per la sterilizzazione dei gabbiani che, nel corso dell'anno venivano accolti all'Enpa», ricorda Bufo. I primi cento soggetti furono sterilizzati con successo e liberati. Dagli studi effettuati allora, sugli esemplari sterilizzati, dalla Facoltà di Psicologia comportamentale animale dell'Università emerse come il gabbiano resti fedele al coniuge anche se infecondo. La sterilizzazione è dunque il miglior sistema per il contenimento? «Sì, poiché il gabbiano è un volatile monogamo che vive oltre 15 anni, per cui sterilizzare un membro della coppia significa non consentirne la riproduzione e ridurre le informazioni vocali che la coppia si scambia durante l'accudimento della prole», puntualizza la presidente dell'Enpa triestina. L’attività fu purtroppo interrotta in seguito a problematiche di competenza sorte tra Comune e Provincia, pur essendo stata apprezzata dalla comunità scientifica. Riguardo invece alla possibile foratura delle uova, Bufo ricorda che «zoofili e protezionisti, tra cui non si può non citare la compianta Margherita Hack, sono da sempre ostili a questa pratica in quanto ritenuta poco etica e soprattutto inefficace, visto che la femmina di gabbiano “parla” con l'embrione, e in assenza di risposta e di schiusa dell'uovo lascia il nido e ridepone altre uova». Da qui l'appello ufficiale alle istituzioni: «L'Enpa rimane disponibile ad attuare un nuovo progetto di sterilizzazione dei gabbiani con nuove autorizzazioni degli organi competenti. Ricominciando nel 2018, in tre anni si potrebbe sterilizzare il 50 per cento dei gabbiani dimoranti stabilmente sui tetti, con un costo anche inferiore rispetto a quanto la Regione rimborsa per la sterilizzazione di un gatto femmina». Gli esperti evidenziano poi come i gabbiani non abbiano assolutamente necessità di «coccole, alimentari e comportamentali, non soffrendo di solitudine affettiva». Quanto alla presenza di gabbiani da curare, l'ultimo dato fornito dall'Enpa riguarda il numero di esemplari annualmente ospitati in via Marchesetti, che è pari a circa 300 soggetti, i quali rimangono ospiti nella struttura dell’ente sino alla riabilitazione e alla successiva liberazione.

Riccardo Tosques

 

La strage degli agnelli sull’isola di Cherso -
Gli allevatori rilanciano l’allarme cinghiali denunciando un grave pericolo «Otto ovini su dieci sono stati uccisi. Se non si corre ai ripari addio all’attività»
CHERSO Le attuali sono settimane in cui vengono alla luce gli agnelli, ma nell'isola di Cherso non è un periodo gioioso per gli allevatori, anzi. Secondo gli isolani, i cinghiali - specie alloctona - hanno ucciso in questi ultimi tempi il 70-80 per cento degli agnelli, cibandosi delle loro interiora. Il danno è gravissimo e si ripete puntualmente dai primi anni '90 del secolo scorso, fenomeno che ha costretto numerosi allevatori di ovini ad abbandonare questa attività, radicata da secoli a Cherso e destinata - se non si cambia musica - a scomparire. Proprio per evitare un simile scenario, si è riunito in via straordinaria il consiglio comunale di Cherso, seduta a cui hanno partecipato cacciatori, esponenti di associazioni locali interessate dal problema e rappresentati della Regione del Quarnero e Gorski kotar. Durante gli interventi si è ricordato come cinghiali e daini furono introdotti nel 1985 per dare impulso al turismo venatorio, con i primi esemplari delle due specie alloctone riusciti ad approfittare dei buchi nei recinti delle riserve di caccia e a fuggire in tutto l' arcipelago chersino-lussignano. Solo negli ultimi dieci anni, le doppiette hanno abbattuto in queste due isole votate a turismo, olivicoltura e allevamento di ovini ben 4 mila cinghiali e 2.500 daini. Non è bastato, con gli animali che si sono letteralmente impadroniti delle due rinomate isole nordadriatiche, combinando danni gravissimi agli allevatori e agli agricoltori, come pure devastando lunghi tratti dei secolari muretti a secco. Evidentemente l'operato delle società venatorie è risultato fin qui insufficiente, con il parlamentino che ha voluto rivolgersi al ministro croato dell'Agricoltura, Tomislav Toluši„, chiedendo un urgente incontro. «Recentemente ho incontrato il ministro Toluši„ ad Abbazia - così il sindaco di Cherso, Kristijan Jurjako - gli ho esposto la questione e siamo venuti alla conclusione che ci incontreremo a Zagabria. Non c'è tempo da perdere perché a Cherso rischiamo di perdere definitivamente l'ovinicoltura, che ha sfamato decine di generazioni di isolani». Il consiglio cittadino ha inoltre approvato un pacchetto di misure antiselvaggina alloctona. Si provvederà a ripulire e rendere nuovamente praticabili gli antichi sentieri delle campagne, rimuovendo le aree cespugliose o contraddistinte da fitta, inestricabile vegetazione, facilitando così il lavoro alle doppiette. Inoltre si ricorrerà probabilmente ai cacciatori professionisti, per poter averli a disposizione lungo tutto l'arco dell'anno. Anche la vicina isola di Veglia è stata tormentata per anni dalla presenza di cinghiali (e in misura minore dagli orsi), ma i locali cacciatori si sono fatti valere di più rispetto ai colleghi chersini e lussignani.

Andrea Marsanich

 

 

Una domenica a spasso per Trieste

A spasso per Trieste, ripercorrendo i luoghi in prossimità dell’antico acquedotto teresiano: è “Camminando sulle acque”, passeggiata a cura del Gruppo 85 promossa in occasione del 300° anniversario dalla nascita di Maria Teresa d’Austria. Di poco meno di tre ore il tour cittadino affidato a Patrizia Vascotto nei panni di Cicerone, camminata che parte attorno alle 10 dal punto Capofonte dell’acquedotto teresiano (raggiungibile con il bus numero 12), situato in via delle Cave 66 (a San Giovanni), e approda ai Portici di Chiozza. L’adesione è libera, non comporta preiscrizioni ed è gratuita

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 18 marzo 2017

 

 

Due passi sull’acqua Storia dell’acquedotto (e di Maria Teresa)

A spasso per Trieste, ripercorrendo i luoghi in prossimità dell’antico acquedotto teresiano, rovistando tra architettura, colore, storia e letteratura. È quanto figura al centro di “Camminando sulle acque”, gita urbana in programma nella mattinata di domenica, passeggiata a cura del Gruppo 85 promossa in occasione del 300° anniversario dalla nascita di Maria Teresa d’Austria. Di poco meno di tre ore il tour cittadino affidato a Patrizia Vascotto nei panni di Cicerone, camminata che parte attorno alle 10 dal punto Capofonte dell’acquedotto teresiano (raggiungibile con il bus numero 12), situato in via delle Cave 66 (a San Giovanni), e approda ai Portici di Chiozza. La mappa suggerita dal Gruppo 85 indaga quindi tra le zone di San Giovanni, anticamente preposte al rito del “liston” domenicale ma corredato da una ricca cornice di verde e parti boschive. Viaggio che ha la sua prima tappa alla chiesetta dei Santi Giovanni e Pelagio, strutturata originariamente nel Trecento e poi soggetta a una serie di restauri. Parlando del quartiere di San Giovanni, risulta immancabile uno scalo dalle parti dell’ex Ospedale psichiatrico, teatro evocativo di un frammento vitale della storia sociale di Trieste. La passeggiata lambisce inoltre la Casa della cultura, riporta poi alle memorie di alcuni poeti della scena slovena - tra cui Marko Kravos - e si tuffa poi dalle parti di Rotonda del Boschetto e via Pindemonte, prima del ritorno nel cuore della città. L’adesione è libera, non comporta preiscrizioni ed è del tutto gratuita.

Francesco Cardella

 

 

 

 

FERPRESS.it - VENERDI', 17 marzo 2017

 

 

Slovenia: linea Capodistria-Divaccia, presentata bozza di legge sul secondo binario
Il Ministero delle Infrastrutture della Slovenia ha presentato la bozza di legge sul secondo binario fra lo scalo di Capodistria e Divaccia. Secondo quanto riferisce l’ICE, l’intervento sarà fondato su un partenariato “pubblico-pubblico”, anziché su una partnership pubblico-privata, come veniva auspicato fino a non molto tempo fa dal governo. Ciò, evidenziano gli autori del testo, consentirà un più facile prelievo di finanziamenti europei e la partecipazione di uno o più Stati dell’entroterra interessati allo sviluppo di tale corridoio di trasporto.

 

IL PICCOLO - VENERDI', 17 marzo 2017

 

 

Con il Fai dai Codelli al palazzo ex Lloyd - Il 25 e il 26 marzo “Le Giornate di primavera” con 32 visite in undici località della regione. Tra queste anche Gorizia e Trieste
Apprendisti Ciceroni assieme ai volontari del Fondo Ambientale Italiano
TRIESTE Torna anche quest’anno la campagna di sensibilizzazione e di raccolta pubblica di fondi indetta dal Fai che aprirà oltre 1000 siti tra chiese, ville, giardini, aree archeologiche, avamposti militari e interi borghi in 400 località d’Italia, grazie all’impegno di 7.500 volontari e 35mila apprendisti Ciceroni, per riscoprire tesori di arte e natura spesso sconosciuti, inaccessibili ed eccezionalmente visitabili con un contributo facoltativo. La 25.a edizione delle “Giornate Fai di primavera” si terrà sabato 25 e domenica 26 marzo anche in Friuli Venezia Giulia, con 32 visite in 11 località: Sesto al Reghena, Udine, Bicinicco, Gemona del Friuli, Moimacco, Palmanova, San Daniele del Friuli, Tolmezzo, Gorizia, Mossa e Trieste. A Gorizia le visite si terranno dalle 10 alle 18 sulla scia de “L’impronta dei Codelli nel Settecento Goriziano. Le dimore e i luoghi della Famiglia” alla scoperta della Cappella Dell’Esaltazione della Croce (via Arcivescovado 2), edificata da Agostino Codelli, donata con lascito vincolato all’Imperatrice d’Austria Maria Teresa e divenuta sede della Diocesi isontina. A Mossa verrà aperta Villa Codelli, situata su una delle prime colline del Collio goriziano, risalente alla metà del XVI secolo ed edificata su un sito già sede di guarnigioni romane e successivamente di un maniero medievale. Le visite, dalle 10 alle 18, avranno un’anteprima riservata agli iscritti Fai venerdì 24 dalle 17 alle 18.30, a cui seguirà un concerto di archi degli studenti del Conservatorio di musica Tomadini di Udine e della giovane arpista goriziana Doralice Klainscek, aperto a tutti. Domenica 26, nello stesso Folatoio, l’Associazione culturale Società di Danza-circolo di Trieste si esibirà nella danza ottocentesca “Gran Ballo di Primavera”. In entrambe le città, le visite saranno a cura degli apprendisti Ciceroni dell’Isis Galilei Fermi Pacassi, del Polo liceale Alighieri Duca degli Abruzzi Slataper e del Polo liceale sloveno Gregorcic Trubar, anche in sloveno e in inglese. A Trieste le visite guidate dalle 9 alle 18 saranno a cura dell’istituto da Vinci Carli de Sandrinelli, dell’istituto Nautico, dell’istituto Volta, del liceo scientifico Galilei, del liceo scientifico Oberdan, del liceo Scienze umane musicale Carducci, del liceo classico linguistico Dante Alighieri, del liceo classico linguistico Petrarca, del liceo scientifico Preseren, del liceo Scienze umane Slomsek e dell’istituto Ziga Zois, anche in inglese, sloveno e mandarino su prenotazione a mirellapipani@gmail.com, delegazionefai.trieste@fondoambiente.it. Il percorso “Trieste e la sua vocazione marittima e marinara” sarà presentato oggi alle 11 nella sede dell’assessorato al Turismo, Promozione del territorio e Sviluppo economico del Comune di Trieste dall’assessore Maurizio Bucci, dalla capo delegazione Fai di Trieste Mariella Marchi e dalla responsabile Fai Scuola per il Fvg Mirella Pipani e proporrà l’apertura eccezionale del monumentale ed elegante ex Palazzo rinascimentale del Lloyd Triestino, ora sede della Presidenza della giunta regionale, costruito tra il 1880 e il 1883 per volontà del Lloyd Austro-Ungarico di Navigazione a vapore. Si visiterà poi anche l’istituto Nautico “Tomaso di Savoia” di piazza Hortis 1, prima scuola nautica pubblica dell’Adriatico, dove nel 2015 è rinata l’Accademia nautica dell’Adriatico, corso post diploma per tecnico superiore per l’Infomobilità e le infrastrutture logistiche. Informazioni e programma completo su www.giornatefai.it o al numero 02467615366.

Francesca Pessotto

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 16 marzo 2017

 

 

Slitta il dibattito in aula sul Parco del mare - Seduta prevista per lunedì spostata all’8 aprile ufficialmente per «motivi tecnici»
Paoletti: «Piena sintonia con Paniccia». Cosolini: «Meglio la scelta di Porto vecchio»
Il Parco del mare può attendere. Non ci sarà l’attesa seduta del Consiglio comunale di lunedì prossimo richiesta dal Pd. Del progetto del “Trieste Sea Park” si parlerà il 6 aprile alle 18. «Problemi tecnici» è la tesi ufficiale del rinvio indicata Marco Gabrielli, presidente del Consiglio comunale di Trieste. «Dal momento che l’ultima seduta è stata sciolta per mancanza del numero legale, la prossima deve essere convocata in seconda convocazione prevedendo che i lavori riprendano dal punto in cui sono stati interrotti» spiega Gabrielli. Non è stato possibile inserire altri punti all’ordine del giorno, audizioni comprese. Nella riunione dei capigruppo di ieri si sono cercate soluzioni diverse, ma, dopo discussione, si è deciso di fare così. E così il dibattito sul Parco del Mare è slittato ad aprile. In realtà, secondo i soliti ben informati, si tratterebbe di un rinvio non proprio tecnico, ma un modo per prendere tempo e valutare meglio le dichiarazioni rilasciate da Massimo Paniccia, presidente di Fondazione CRTrieste, che ha lanciato una versione “dimezzata” del Parco del mare da collocare nell’area di Porto Lido in testa al Molo Fratelli Bandiera: acquario da 11 mila metri quadrati, 5,5 milioni di litri d’acqua, costo stimato di 47.7 milioni di euro. Punto fermo l’autosostenibilità economica dell’operazione già con 600mila visitatori annui. La saga del Parco del mare dopo oltre una decina d’anni tra cinque siti proposti e discussioni infinite, sembra essere arrivata al capitolo finale. Il 6 aprile in Consiglio comunale, oltre al sindaco Roberto Dipiazza, sarà presente il presidente della Camera di commercio della Venezia Giulia Antonio Paoletti, da sempre grande promotore del progetto, assieme ai presidenti di Fondazione CRTrieste Paniccia e dell’Autorità di sistema portuale, Zeno D’Agostino. Per la Regione è atteso l’assessore al Bilancio Francesco Peroni e ci sarà anche un rappresentante del comitato che si oppone al progetto in zona Lanterna. «Al momento le opinioni sull’opera Parco del mare - ricorda Paoletti - si basano esclusivamente sull’esposizione del concept e su un’immagine di rendering grafico». L’intesa con la Fondazione CRTrieste è totale. «La Camera di commercio - aggiunge Paoletti - ha inteso spiegare che nella realizzazione dell’opera verrà posta attenzione a non oscurare il monumento ottocentesco della Lanterna, con una struttura che non devasterà il profilo delle Rive, non sarà visibile da terra e che non graverà sull’impianto della Sacchetta. In occasione dell’audizione in Consiglio comunale i tecnici illustreranno lo studio progettuale e i suoi contenuti». La Regione, in attesa del consiglio comunale, non intende pronunciarsi nonostante la sollecitazione arrivata dal consigliere triestino di Forza Italia Bruno Marini. «La Regione intende partecipare in maniera attiva e propositiva all’eventuale del Parco del Mare a Trieste, stanziando anche dei fondi, o nella seduta del Consiglio comunale in cui si discuterà del tema, l’assessore alle Finanze Peroni verrà a raccontarci soltanto dichiarazioni d’intento? - chiede Marini -. Valuto positivamente l’intervista di Paniccia anche perché finalmente è stata introdotta un po’ di chiarezza su un tema rispetto al quale è stato detto tutto ed il contrario di tutto, senza, però, arrivare ad alcun tipo di decisione. Parallelamente anche la seduta del Consiglio comunale dedicata al Parco del mare e richiesta dal Pd va valutata positivamente, perché è ora che non si parli di questo tema soltanto sui media, ma anche nelle sedi istituzionali». Anche l’ex sindaco Roberto Cosolini, che ha sottoscritto con il Pd la richiesta di convocazione del Consiglio comunale, offre una valutazione positiva dell’intervista di Paniccia: «È da apprezzare questo bagno di realismo sulle dimensioni, sui costi e sulla stima di visitatori. Credo comunque che sia importante che il privato vengo coinvolto nell’investimento. Una quota dei 47,7 milioni deve essere a suo carico. Questo, inoltre, dimostrerebbe che c’è una fiducia del mercato sulla redditività dell’operazione». Resta il nodo della localizzazione. Cosolini non ha dubbi: «Continuo a credere che l’area di Porto Vecchio, dove è possibile anche edificare, resti la scelta migliore. E visto che il progetto deve essere rifatto credo si possano valutare opzioni alternative alla Lanterna».

Fabio Dorigo

 

 

Un ecomuseo nelle ex Scuderie di Miramare - Passa in Consiglio regionale la mozione che assegna il Bagno Ducale alle attività della Riserva Wwf
Per l’utilizzo del Bagno Ducale di Miramare e i lavori e la realizzazione dell'Ecomuseo della biodiversità marina all’ex Scuderie esiste ora un impegno regionale. Su proposta del consigliere regionale di Sel/Fvg Giulio Lauri, il Consiglio regionale ha approvato una mozione con cui impegna la giunta a promuovere la piena attuazione dell'accordo siglato il 5 agosto 2016 fra il ministero dei Beni culturali e ambientali e il ministero dell'Ambiente in merito alla realizzazione di un Ecomuseo divulgativo sulla biodiversità marina all'interno delle Ex Scuderie di Miramare e alla possibilità di potere svolgere le attività divulgative legate alla Riserva marina gestita dal Wwf utilizzando nuovamente i locali del Bagno Ducale oggetto di una concessione attualmente scaduta. La mozione dispone, inoltre, la verifica della disponibilità a cofinanziare parte delle spese di investimento per le opere di adeguamento e realizzazione dell'Ecomuseo, preventivate in 450mila euro di cui 270mila già finanziate dal Mattm. «Non ci sono solo il castello da una parte e il Parco dall'altra a fare di Miramare uno dei principali attrattori turistici del paese, c'è anche la Riserva marina e da ora in avanti ci sarà anche un nuovo Ecomuseo della biodiversità marina: dopo una stagione in cui il dialogo fra il castello e la Riserva gestita dal Wwf è stato paradossalmente difficile, la realizzazione di un nuovo Ecomuseo è una buona proposta ed è coerente che venga fatto qui in Friuli Venezia Giulia che è la regione con il più alto livello di biodiversità in Europa. Pur trattandosi di beni statali, la Regione ha tutto l'interesse a sostenere l'iniziativa e a vedere presto ripartire anche l'attività didattica della Riserva gestita encomiabilmente da anni dal Wwf: fino ad ora per questo è stato importante potere usare il Bagno Ducale, l'auspicio è che anche in futuro la nuova direttrice possa individuare questo o altri spazi con caratteristiche analoghe per potere continuare ad organizzare le visite ed i programmi di educazione ambientale all'interno della Riserva Marina» ha dichiarato in aula Giulio Lauri presentando il testo della mozione approvata poi dall'aula al grande maggioranza con la sola astensione del Movimento 5 Stelle. Inizialmente la mozione approvata dal Consiglio regionale era stata concepita per affrontare il pericolo, ormai in parte superato, che la Riserva fosse "sfrattata" dalle pertinenze del Parco.

 

 

 

 

GREENSTYLE.it - MERCOLEDI', 15 marzo 2017

 

 

Energie rinnovabili, Eurostat: Italia già oltre l’obiettivo al 2020

È un dato confortante per il nostro Paese quello che emerge dal rapporto Eurostat 43/2017. La Direzione Generale della Commissione Europea ha preso in considerazione gli obiettivi fissati per il 2020 dagli Stati membri in termini di produzione di energia pulita da fonti rinnovabili e la rispettiva quota raggiunta a fine 2015. L’Italia ha già superato il target del 17%, arrivando al 17,5% (17,1% a fine 2014 e 16,7% a fine 2013).

Hanno fatto altrettanto Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Croazia, Lituania, Ungheria, Romania, Finlandia e Svezia, raggiungendo con largo anticipo la quota prefissata. Prendendo in considerazione l’intero ecosistema Europa, l’intenzione è quella di arrivare al 20% entro il 2020 e poi al 30% allo scoccare del 2030. Attualmente si è fermi al 16,7%.

Se la direzione intrapresa sembra essere quella giusta, occorre continuare a investire per non rallentare o fermare il trend. Sarà necessario mettere in campo ulteriori programmi finalizzati non solo a favorire l’accesso a incentivi e agevolazioni di tipo economico, ma anche lavorare sul fattore culturale, veicolando un messaggio tale da poter aiutare i cittadini a capire perché investire sull’energia pulita avrà in futuro benefici concreti e tangibili per l’intera collettività. Anche il miglioramento delle tecnologie attuali, si pensi ad esempio ai moduli utilizzai per il fotovoltaico e ai sistemi impiegati nell’eolico, garantirà un’efficienza maggiore degli impianti, facilitando così il passaggio dall’impiego delle fonti tradizionali a quelle rinnovabili.
Le performance migliori a livello comunitario si registrano in Svezia, unico Paese a superare la soglia del 50%, arrivando addirittura al 53,9%. Fanalino di coda è invece il Lussemburgo con solo il 5%.
Tornando a focalizzare l’attenzione sull’Italia, nel 2004 la quota rilevata era solamente del 6,3%. Confrontarla con il risultato raggiunto oggi costituisce una testimonianza del buon lavoro condotto in poco più di un decennio a livello nazionale, mediante iniziative sia private che pubbliche.

Cristiano Ghidotti

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 15 marzo 2017

 

 

PARCO DEL MARE - Paniccia lancia il progetto in versione “dimezzata” - Porto Vecchio scartato Il concept è stato studiato e potrà realizzarsi solo sul Molo Fratelli Bandiera

Il presidente della Fondazione CRTrieste: «Per essere sostenibile l’impianto va ridotto. La regia dell’opera affidata a una società creata con l’ente camerale»

Massimo Paniccia “dimezza” il Parco del mare. Con la volontà di stemperare le polemiche e creare in città un nuovo clima di condivisione, il presidente di Fondazione CRTrieste, di solito restìo a concedere interviste, scende in campo in prima persona e propone una nuova struttura: poco o nulla a che fare con il rendering basato sulla prima idea dell’architetto Peter Chermayeff e già tacciato da alcuni settori di essere un ecomostro. Paniccia sfodera numeri e caratteristiche che assicurano l’autosostenibilità del progetto senza alcun successivo intervento pubblico. Tutto in vista del pronunciamento del Consiglio comunale previsto per lunedì prossimo: se sarà ampiamente favorevole si partirà e sarà poi ben difficile fermare il treno lanciato. Presidente Paniccia, per il Parco del mare c’è un nuovo progetto? Negli ultimi tempi la Fondazione con orgoglio ha ridato nuovo splendore all’ex Ospedale militare e recentemente all’ex Magazzino vini creando, ritengo, due gioielli di cui città può essere fiera. Con il presidente Paoletti abbiamo ora ripreso il discorso sul Parco del mare avendo tra i nostri scopi anche lo sviluppo turistico. Il concept realizzato dall’architetto Chermajeff lo abbiamo fatto valutare da un advisor, per l’esattezza Acb group sviluppo spa, che ha proceduto all’analisi del piano di fattibilità, del modello di business con le relative proiezioni economico-finanziarie. Ebbene Acb ha verificato la sostenibilità di una struttura che si sviluppi su 11mila mq, con un volume d’acqua complessivo di 5,5 milioni di litri per un costo stimato di 47,7 milioni di euro, Iva compresa. È questa la base su cui ragionare per arrivare alla definitiva realizzazione. Vi è dunque un ridimensionamento rispetto all’ipotesi iniziale? Una riduzione di quasi la metà, considerando che la prima idea prevedeva una struttura con ben 9,5 milioni di litri d’acqua. Non so quale fosse la superficie prevista da Chermajeff, ma di certo anche questa si riduce arrivando a 11.000 mq. Una struttura di questo tipo tiene perfettamente dinanzi alla previsione fatta di 800mila visitatori all’anno, ma anche meno. Perché l’assunto di base è stato questo: se dobbiamo costruire un impianto che avrà bisogno anche in un momento successivo di ulteriori finanziamenti pubblici, rinunciamo fin da principio. Il Parco del mare dovrà sostenersi con gli incassi e potrà farlo anche se i visitatori saranno meno di 700mila all’anno. Come si stabilisce se la struttura potrà reggersi economicamente? Sostanzialmente si fanno dei cerchi concentrici attorno alla città per trovare il numero dei potenziali-reali visitatori. Entro un’ora di auto da Trieste abitano 905mila persone e di queste il 10% nel corso degli anni dovrebbe visitare il Parco del mare. Tra 1 e 2 ore vi sono 3 milioni con il 5% di visitatori stimati; tra le 2 e le 3 ore 2,6 milioni e qui arriverà il 3%; tra 3 e 4 ore 5,9 milioni di cui arriverà l’1,5%. Altre ipotesi prevedevano una struttura molto più grande e un gestore che garantiva di poter versare solo due anni di affitto: logicamente abbiamo scartato la proposta. Come si prospetta dunque lo schema dei finanziamenti? La Fondazione interviene con 9 milioni e con altrettanti la Camera di commercio, mentre qualche milione arriverà dalla Regione (si era parlato di 4, ndr). Assodato che anche i futuri costruttore e gestore potranno effettuare qualche intervento sul patrimonio, il resto della spesa sarà affrontato accendendo un mutuo che sarà pagato con gli affitti che verserà il gestore della struttura. Chi sarà il promotore di tutta l’operazione? Creeremo una società strumentale di cui la Fondazione avrà la maggioranza delle quote. Sicuramente vi entrerà la Camera di commercio e forse anche altre amministrazioni pubbliche. Poi faremo un bando a evidenza pubblica per scegliere costruttore e gestore che a propria volta entreranno nella società. Da ampi settori cittadini però l’ubicazione migliore viene ritenuta quella di Porto vecchio. Va tenuta in considerazione? No, perché questo concept nasce a Portolido, un sito che ci è stato proposto da un soggetto pubblico, cioè da Invitalia. E proprio di questo sito è stata fatta ora una validazione che ha visto il nostro parere positivo e che ci permette di cominciare immediatamente l’iter di realizzazione. Non si può continuamente rimettere tutto in discussione. Cosa risponde alle obiezioni di carattere urbanistico, edilizio, scenografico? La gente ha diritto di conoscere e di discutere. Noi abbiamo fatto i passi più logici. I giudizi non vanno basati sul primo rendering perché il Parco del mare non sarà quello, quello era un’ipotesi su cui fare le valutazioni di sostenibilità. Con il bando i progettisti saranno obbligati a rispettare le nuove misure, anche lo stesso Chermajeff se, come mi auguro, parteciperà alla gara. Ma il suo concept è stato ridotto a poco più della metà, il che può far sì che anche molte avversità di qualche settore cittadino vengano superate. Si potrà superare la contrarietà degli animalisti? Capisco la logica di chi vuole proteggere il nostro patrimonio faunistico e non far soffrire gli animali, ma oggi vengono trattati con rispetto. Sarà nostra cura far sì che il gestore si impegni in accordo con le associazione animaliste che si instauri una forte sinergia con l’ambiente scientifico già ampiamente radicato in città. Le amministrazioni pubbliche sono favorevoli. Già la precedente amministrazione comunale ci ha scritto che era d’accordo, così come la Regione. Per questo ragione ci siamo sentiti legittimati ad andare avanti. Il Parco del mare non è una questione nostra, ma della città ed è la città che lo deve volere: la Fondazione si mette a disposizione per questo progetto perché abbiamo capito che è ben difficile che lo facciano altri. Per parere della città intendo quello espresso dal Consiglio comunale? Certamente, ma procederemo solo se a favore vi sarà un’ampia maggioranza, sicuramente non se i sì prevarranno per un voto. Ma credo che Trieste abbia capito di avere un’occasione unica per crescere dal punto di vista turistico, economico e forse anche di abitanti se si favoriscono le condizioni per attrarre nuovi investimenti.

Silvio Maranzana

 

Acquario da 47,7 milioni. La sua sorte legata alla votazione in Consiglio comunale nella seduta di lunedì
La sorte del Parco del mare dopo una decina d’anni di proposte, polemiche e discussioni, sembra ora legata, in via definitiva all’esito del voto in Consiglio comunale che sarà dato al termine della seduta straordinaria che si terrà lunedì prossimo, 20 marzo. È stata richiesta dal gruppo del Partito democratico e approvata dai capigruppo. In aula, oltre al sindaco Roberto Dipiazza, vi sarà anche il presidente della Camera di commercio della Venezia Giulia Antonio Paoletti, da sempre grande promotore del progetto. Ma sono stati invitati anche i presidenti di Fondazione CRTrieste Massimo Paniccia e dell’Autorità di sistema portuale, Zeno D’Agostino. Per la giunta regionale presenzierà in Consiglio l'assessore al Bilancio Francesco Peroni e ci sarà anche un rappresentante del comitato che si oppone al progetto in zona Lanterna. Tre i punti di dibattito richiesti dal Pd: «Lo stato di avanzamento del progetto; il business plan (piano finanziario); la localizzazione della proposta ed eventuali alternative». Le novità annunciate ieri da Paniccia potrebbero incidere sull’esito della votazione.

(s.m.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 14 marzo 2017

 

 

Assemblea pubblica su amianto e malattie

Domani dalle 17 alle 19 a Muggia, nella sala Millo in piazza Repubblica 4, è convocata un’assemblea pubblica per fare il punto circa lo stato di applicazione della delibera regionale sull’amianto. La normativa n. 250/2016 regola i percorsi socio-sanitari destinati alle persone esposte all’amianto e delle patologie correlate all’asbesto. L’iniziativa, promossa dalla Cgil di Trieste, mira a fare il punto complessivo della vertenza territoriale. Stefano Borini, del Coordinamento Amianto Cgil Trieste, aprirà i lavori con una relazione introduttiva. Seguirà il dibattito “L’andamento delle malattie professionali amianto-correlate e gli iscritti al registro regionale esposti ad amianto in provincia di Trieste”, a cui partecipano Valentino Patussi, direttore del Dipartimento Prevenzione Asuits e le dottoresse Anna Muran e Donatella Calligaro. Parola quindi al direttore generale Asuits, Nicola Delli Quadri, e a Claudio Pandullo, presidente dell’Ordine dei medici, per esporre il ruolo dei sanitari nel sistema di assistenza ai pazienti esposti.

 

 

SEGNALAZIONI - VERDE PUBBLICO Il Farneto rimesso in sesto

Il martedì 17 gennaio 2017 è stata pubblicata una mia segnalazione riguardante lo stato di degrado del nostro Farneto con una fotografia della frana che dal 2015 continuava a crescere mettendo in pericolo la strada (viale al Cacciatore), le persone e pure gli animali. Ogni giorno faccio il giro del boschetto e per quanto riguarda la frana ho visto dei lavori abbastanza impegnativi cominciare il 20 del mese scorso e concludersi praticamente dopo due settimane. Ci sono ancora tante cose da mettere a posto nel nostro boschetto ma penso sia giusto segnalare e ringraziare questo sforzo che mette in sicurezza questo sentiero. Ci auguriamo che anche le altre molte problematiche del boschetto segnalate nella riunione organizzata dalla 6.a circoscrizione con il vicesindaco, l’assessore all’ambiente e l’assessore ai lavori pubblici, vengano risolte, in forma particolare la sicurezza di via Marchesetti e via Forlanini. Mettiamo in ordine il polmone verde della nostra bella città.

Oscar Garcia Murga vice - presidente Circolo Verdeazzurro Legambiente Trieste

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 13 marzo 2017

 

 

CIRCOLO ISTRIA - «Sì al Parco del mare ma in Porto vecchio»
Sì al Parco del mare, ma realizzato nel comprensorio del Porto vecchio e con una impostazione che privilegi la scientificità piuttosto che il sensazionalismo e lo spettacolo. È questo il contributo del Circolo Istria su un tema che certamente merita ulteriori approfondimenti. «La realizzazione del futuro Parco del mare è un’idea che, se realizzata con uno sguardo attento e competente lungo tutto il comprensorio adriatico, può portare certi benefici sia sotto il profilo culturale che quello turistico e economico - afferma il presidente del circolo Livio Dorigo -. E lo spazio giusto ove realizzarlo va individuato nell’area del Porto vecchio dove, accanto, troverebbero spazio altre realtà scientifiche e culturali che potrebbero lavorare in sinergia con la nuova istituzione. Un Parco del mare nell’area della Lanterna però - continua Dorigo - sarebbe un grosso errore, visto che in quel sito regnano purtroppo il diffuso disordine edilizio e la mancanza di parcheggi. Senza contare poi che l’ente si troverebbe in una situazione isolata, mentre una realtà di questo tipo ha necessità di interscambio con istituzioni vicine per affinità e attività». Del medesimo parere anche il professor Giuliano Orel, tra i fondatori dell’Istituto di Biologia marina dell’Università di Trieste, che sulle specificità della biologia marina dell’alto Adriatico sta per dare alle stampe una pubblicazione divulgativa. «Rispetto a quanti ritengono erroneamente l’Adriatico inquinato e eutrofizzato - spiega Orel - ci troviamo di fronte a un mare importante perché motore di scambio delle acque del Mediterraneo. Grazie alle sue acque dense, essendo il Mediterraneo un mare di condensazione, consente alle correnti di quest’ultimo di muoversi oltre Gibilterra, contribuendo così a stabilizzare la salinità dell’intero bacino mediterraneo. Importante inoltre per le maree, l’Adriatico ospita delle reminiscenze di fauna dei mari freddi». Da questi presupposti, osserva lo studioso, il nuovo Parco del mare dovrebbe essere portavoce di una cultura dell’Adriatico dalle tante peculiarità.

Maurizio Lozei

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 5 marzo 2017

 

 

UN’ALGA CONTRO I MALI DELLA FERRIERA - LA RUBRICA di WALTER PANSINI
La Ferriera di Trieste è da decenni al centro di polemiche come fonte d’inquinamento per i lavoratori e per chi vive nelle prossimità. In erboristeria esiste un rimedio che tra l'altro si appoggia a un'esperienza perfetta per tale situazione. Nel 2005 si è infatti concluso uno studio sulla disintossicazione da metalli pesanti di 350 persone, durato tre anni e svolto in una fonderia di metalli russa (Explore! Volume 14, Number 4, 2005). Erano interessati a trovare un catturatore (chelante) di metalli pesanti soprattutto economico, che poteva essere utilizzato dove il guadagno mensile medio non superava i 150 dollari. L'unico composto efficace a mobilitare ed eliminare tutti i metalli è stato un prodotto omeopatico costituito dal complesso contenuto nell'alga clorella (Cgf), e un estratto alcolico delle foglie di coriandolo (Coriandrum sativum). Vi era la necessità di usare un composto di semplice ed economica somministrazione rappresentato dall'omeopatico, non disponibile in Italia, ma ovviamente è efficace anche solo l'alga clorella in compresse e masticata, nota come il miglior chelante di metalli pesanti. In uno studio (Journal of Toxicology Sciences), si dimostra che, somministrando clorella nel cibo a soggetti intossicati con metilmercurio, la quantità di questo escreto nelle urine e nelle feci è circa il doppio rispetto alla quantità escreta dai non trattati con clorella. Ha poi la capacità di legare e poi rimuovere il cadmio e il piombo. Il ricercatore giapponese dr. Yoshiaki Omura ha scoperto nel 1995 che il consumo regolare di zuppe a base di cilantro (foglie fresche di coriandolo), elimina in particolare il mercurio, mentre per il medico Dietrich Klinghardt anche cadmio piombo e alluminio dalle cellule. Entro un mese saranno disponibili sul mercato italiano le foglie fresche di coriandolo ed il loro estratto alcolico. A queste si può aggiungere il silicio organico come chelante dell'alluminio, di cui la forma migliore in erboristeria è la compressa di bamboo, che tra l'altro irrobustisce tutti i tessuti. Ciò è particolarmente visibile su pelle unghie, capelli e tendenza alla carie. A questo integratore possiamo aggiungere tutta la famiglia dei cavoli, inclusa la rucola, per le capacità depurative, anche verso il cancerogeno benzene.

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 11 marzo 2017

 

 

Il Consorzio di bonifica cambia nome e si allarga a tutta la Venezia Giulia

Cambia nome e amplia il raggio d’azione il Consorzio di bonifica Pianura isontina, che con i suoi interventi già avviati nei dintorni di Trieste si appresta a modificare la propria denominazione in “Consorzio di bonifica della Venezia Giulia”. Le novità sono state illustrate a Ronchi dei Legionari ieri nel corso dell’incontro al quale ha preso parte anche l’assessore regionale all’Ambiente, Sara Vito, oltre al presidente del Consorzio, Enzo Lorenzon, molti sindaci dei 31 Comuni consorziati e i rappresentanti di Coldiretti e Kmecka zveza/Associazione agricoltori. «Pensando alla tutela del territorio, negli ultimi anni è stato fatto un importante salto di qualità», ha detto Vito. Lodando le opere di bonifica e prevenzione realizzate dal Consorzio in diverse zone della provincia di Gorizia, l’assessore ha sottolineato come le tante migliorie siano state rese possibili anche grazie a una legislazione adeguata.

 

 

Progetti - Parco del mare diseducativo

Bioest si schiera contro il Parco del mare, costosissimo e dal bassissimo ritorno economico, fuori dal tempo, dall'impatto paesaggistico non di poco conto e soprattutto diseducativo. No a circhi acquatici e a una vita per gli animali marini prigionieri di un acquario. Erano quasi 10 anni che nessuno ne parlava più ed ora è stata riproposta l’idea del Parco del mare, un’opera faraonica, fuori dal tempo, diseducativa. Sono passati i tempi in cui l’unico modo per conoscere gli animali era quello di vederli in vetrina: oggi ci sono molti modi più interattivi ed educativi per conoscere questi nostri amici nel loro habitat naturale, senza disturbarli o catturarli e imprigionarli a vita in un’angusta vasca di un acquario. Pensare che un mega acquario a Trieste possa diventare un’attrazione turistica economica ed accattivante è fuori da ogni logica. Chiunque abbia compiuto una ricerca su costi e benefici di strutture simili al mondo si renderebbe subito conto del loro bassissimo ritorno economico. Sono strutture costosissime nella realizzazione (pare circa 45 milioni di euro previsti per Trieste), e ancor di più per il loro mantenimento e manutenzione. Un peso insostenibile che in questo caso passerebbe alla collettività. Inadeguato inoltre il sito prescelto, che presenta un impatto paesaggistico non di poco conto. Ricordiamo poi che lo stesso Ric O'Barry, ex addestratore di fama mondiale degli Anni '60, dopo avere assistito al suicidio di Flipper, uno dei suoi delfini più famosi, resosi conto di quanto fosse orribile quello che stava facendo, è diventato un difensore dei delfini e sostenitore nelle campagne contro circhi acquatici. Per questo l'Associazione Bioest ribadisce la propria ferma contrarietà a quest'opera. Per concludere pensiamo sia importante insegnare ai nostri figli valori come il rispetto e la tutela della flora e della fauna del nostro mondo: la nostra questa non è una battaglia solo a favore degli animali, ma una battaglia di civiltà.

Tiziana Cimolino Associazione Bioest

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 10 marzo 2017

 

 

Monfalcone, tre indagati alla A2A - Inquinamento ambientale: gli avvisi a dirigenti della centrale
MONFALCONE - “Violazione dolosa delle disposizioni in materia ambientale”. È l’articolo 452 bis del codice penale. Ed è questa l’ipotesi di reato per cui la Procura della Repubblica di Gorizia ha avviato un’indagine per accertare il rispetto delle normative ambientali vigenti da parte della centrale A2A di Monfalcone. L’indagine è formalmente scattata mercoledì. Contestualmente all’ingresso nell’impianto degli investigatori sono stati notificati tre avvisi di garanzia ad altrettanti dirigenti della centrale di Monfalcone. Non risulta che alcun provvedimento sia stato notificato allo stato attuale nella sede centrale di Brescia. L’avviso di garanzia è uno strumento a tutela dell’indagato e non va interpretato in alcun modo come indizio di colpevolezza. Il capo della Procura della Repubblica di Gorizia, Massimo Lia, ha spiegato i contorni dell’indagine affidata al sostituto procuratore Valentina Bossi. L’indagine muove da alcune segnalazioni su presunti casi di inquinamento attribuiti alla centrale di Monfalcone nel periodo compreso tra il 2011 e il 2013 e oltre. Tra queste segnalazioni rientra anche l’esposto presentato in Procura dall’allora consigliere comunale Anna Maria Cisint. L’avvio dell’indagine vera e propria è stata preceduta da un’attività investigativa “sotto traccia” affidata dalla Procura a consulente. Il professionista ha effettuato un meticoloso controllo sul suolo e sul fondo marino che ha preso in considerazione un vasto territorio attorno alla centrale. Una volta analizzati i dati raccolti la Procura ha ritenuto di avere gli elementi per avviare l’indagine vera e propria. «Siamo in una fase preliminare dell’indagine - così Lia - . La notifica degli avvisi di garanzia è un atto dovuto. Soprattutto in indagine di questo tipo bisogna agire con prudenza senza creare allarmismi. Certamente la collocazione di una centrale di quelle dimensioni inserita nel tessuto urbano rappresenta un elemento da monitorare con estrema attenzione». Obiettivo dell’indagine, stabilire se le emissioni prodotte dalla combustione del carbone inquinano l’ambiente circostante oppure no. A2A EnergieFuture conferma «che ha prestato e continuerà a prestare ogni collaborazione richiesta da tutte le autorità competenti, tiene a evidenziare che - in conformità alla propria politica di attenzione per l'ambiente e per la massima sostenibilità possibile delle proprie attività industriali - ha sempre esercito la centrale in piena ottemperanza alle leggi, ai regolamenti e alle prescrizioni vigenti, e ha compiuto ogni sforzo non solo per adeguare le proprie attività alle migliori tecniche disponibili, ma anche per accertare l'assenza di significativi impatti sull'ambiente circostante». La complessità dell’indagine si può misurare anche dalle forze messe in campo dalla Procura. Stanno operando tecnici dell’Arpa Fvg e del Veneto (questi ultimi hanno assistito le operazioni del consulente), il Noe dei carabinieri di Udine, i carabinieri della polizia giudiziaria e il nucleo operativo della compagnia dei carabinieri di Monfalcone.

Roberto Covaz

 

 

DAL 19 AL 21 MAGGIO - Concorso Marenordest, sesta edizione dedicata all’inquinamento da plastica
L'inquinamento da plastica o meglio, le soluzioni che ognuno di noi può attuare per contrastare un problema di grande attualità e valenza mondiale, sono al centro del Concorso Marenordest, aperto a tutti gli alunni delle scuole secondarie di secondo grado della regione. Il concorso, legato alla VI edizione di Marenordest, evento dedicato al mare e al mondo che lo circonda che si terrà a Trieste dal 19 al 21 maggio - con eventi e incontri che coinvolgono le principali figure che ruotano attorno al mare in vari ambiti (trasporti, cantieristica, subacquea, ricerca scientifica e ambiente, sport acquatici, turismo e promozione del territorio con un occhio di riguardo per le scuole - è promosso dall'Associazione Trieste Sommersa Diving. Suddiviso in tre categorie (elaborato scritto, video e fotografie), il concorso avrà il seguente tema: “Un mare di plastica. Cosa può fare ognuno di noi, anche attraverso modifiche di comportamenti scorretti, per limitare l'inquinamento da plastiche degli oceani?". Il concorso, il cui regolamento è pubblicato su www.marenordest.it/concorso-scuole, ha già suscitato particolare interesse nelle scuole e gli organizzatori sono disponibili a incontrare i docenti per illustrarlo più dettagliatamente e rispondere ad eventuali quesiti.

 

 

Il cuore di Trieste in Porto vecchio - Nuova guida firmata da Antonella Caroli
Abbandonato, degradato. Da demolire. No, forse da ristrutturare, magari “deformandolo” un po’. E poi, un giorno, da chissà quale stanza impolverata dell’Istituto tecnico industriale Volta di Trieste salta fuori una pila di cassette da frutta con all’interno alcune scartoffie. Sull’etichetta, una scritta: Porto vecchio. Lì, pronta per essere buttata via (e salvata solo grazie all’intuito di un professore), scartata come una mela bacata, un’ampia documentazione sui regolamenti, le tariffe e i contratti dell’epoca. La storia di Porto vecchio ricomposta poi in dodici anni di certosino lavoro. Il prestigioso Politecnico dell’impero asburgico di Trieste, di cui è erede oggi il Volta, paradigma della cultura tecnico-storica della città assieme al Nautico, aveva in qualche modo salvato il suo archivio e il fondo storico che poi era - è - l’archivio di una città. Il ritratto di una città. A ricomporre il codice genetico di questo sito di Trieste che è Trieste, ci ha pensato Antonella Caroli, già segretario generale dell’Autorità portuale e direttore dell’Istituto di cultura marittima e portale della città, nonché presidente della sezione giuliana di Italia nostra. E ci ha pensato grazie a una nuova pubblicazione, “Guida storica del Porto vecchio di Trieste” (Collana di Italia Nostra, Luglio Editore, pagg. 216, euro 20), che sarà presentata oggi alle 17.30, al Magazzino 26 di Porto vecchio, naturalmente. All’interno, anche due brevi scritti di Paolo Portoghesi (architetto di fama mondiale) e Vittorio Sgarbi, oltre agli interventi di giovani architetti come Massimo Chillon, Alberto De Goetzen e Michele Gortan che hanno dedicato le loro ricerche a quest’area. L’interesse e l’impegno di Italia Nostra nella tutela del patrimonio storico del porto di Trieste risalgono a vecchia data: gli studi e le pubblicazioni su Porto vecchio che l’associazione ha realizzato grazie alla Caroli indubbiamente hanno portato alla luce il valore nazionale - e internazionale - dei beni culturali del porto storico e hanno coinvolto le istituzioni nell’obiettivo di salvarne le strutture monumentali e l’assetto urbanistico. E con altrettanta certezza i lunghi anni di sensibilizzazione sul Porto vecchio portata avanti anche dall’associazione hanno fatto maturare una consapevolezza sul valore del sito tale da sconfiggere una mentalità (auto)distruttiva diffusa. Di qui - casomai ci fosse il bisogno di ribadire l’importanza di questo luogo - la guida, in cui si intende presentare l’immagine reale di Porto vecchio con i suoi edifici attraverso sintetiche descrizioni che sono il frutto di anni di ricerca, di studio, di riproduzione dei materiali di archivio, di scansioni dei disegni dei progetti e di fotografie storiche (già in parte pubblicate nel volumi de Il Piccolo nel 2007). Un lavoro certosino perché si possa visitare il sito comprendendolo e perché si possa riconoscere anche in futuro l’immagine e l’identità storica del luogo. Che è stato modellato e “riempito” da strutture portuali, magazzini, hangar, una centrale idrodinamica, gru e silos che testimoniano l’aspetto vitale della città e la sua funzione commerciale e imprenditoriale nell’Ottocento e nel primo Novecento. Business certo, ma con gusto: perché in questo milione di metri cubi di edifici-magazzino si riconoscono elementi architettonici medievali (dal bizantino al gotico), del rinascimentale inglese e del moresco inseriti su strutture dai caratteri classici che conferiscono ordine e simmetria grazie anche alle tecniche di costruzione d’avanguardia: un documento concreto dell’epoca pionieristica dei brevetti detenuti dalla grandi imprese edilizie europee che avevano le loro filiali, allora, anche a Trieste. Un complesso architettonico portuale unico (cinque moli, 3100 metri di banchine, 38 grandi edifici) perché illustra in sé l’evoluzione delle discipline costruttive europee nell’arco dei trent’anni della sua edificazione. Particolari, dettagli, disegni, foto d’epoca che aiutano a ricostruire quel pizzico di orgoglio - e di rabbia - per il “vecchio”. Eppure il “nuovo”, ci scommettono tutti, passa inevitabilmente per di qua: il masterplan del futuro Trieste ce l’ha già disegnato. Dal 1868.

DONATELLA TRETJAK

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 9 marzo 2017

 

 

Il “bio” depuratore sarà acceso a fine maggio - Sopralluogo dell’assessore regionale Vito con la collega comunale Polli: cronoprogramma anticipato
Inizierà a funzionare a fine maggio. Il trattamento biologico delle acque dell'impianto di depurazione di Servola, che dal 2008 ha fatto penare per le infrazioni ambientali commesse e ammonite dall'Ue, è pronto. Il cronoprogramma è stato rispettato, anzi anticipato, perché l'attivazione del nuovo meccanismo doveva partire a luglio. L'opera intera di adeguamento invece verrà completata entro l'anno, per un costo totale di 52,5 milioni di fondi statali, regionali ed europei. A dare la notizia AcesagApsAmga che ieri ha accolto l'assessore regionale all'Ambiente Sara Vito per un sopralluogo del cantiere durato due anni e mezzo e in fase di ultimazione, a cui ha partecipato anche l'assessore comunale Luisa Polli. «L’obiettivo - così Vito - è quello di accelerare per recuperare il tempo perduto in passato, in considerazione anche dell'impegno dell'attuale amministrazione regionale che fin dall'inizio del proprio mandato, con la sottoscrizione dell'Accordo di programma del 2014 e il reperimento delle risorse, ha deciso di imprimere un'oggettiva velocizzazione al progetto». Il moderno sistema di trattamento delle acque completamente eseguito a terra, come ha illustrato il project manager Enrico Altran, garantirà, in osservanza a quanto prescritto dall'Ue, il perfetto equilibrio dell'ecosistema del Golfo E «parlerà con il mare», nel senso che, per non intaccare bruscamente l'ecosistema marino con un apporto di nutrienti eccessivo, è stata sviluppata una tecnologia che consentirà di bilanciare l'intensità di trattamento in base allo stato del mare. Questo percorso sarà gestito in collaborazione anche con l'Ogs. Collocato di fianco allo Scalo Legnami , l'impianto è collegato attraverso dei sottopassi ferroviari al vecchio depuratore. Passaggi per la cui autorizzazione da parte di Rfi ci sono voluti circa 36 mesi, ha sottolineato il project manager. Dopo la bonifica, costata otto milioni, che ha riguardato anche l'asporto di materiali in amianto, i lavori sono stati realizzati dalle aziende Veolia, Degramont, Riccesi e Cmb. Il direttore generale di AcegasApsAmga, Roberto Gasparetto, ha ricordato che le imprese e i subappaltatori impegnati nei lavori sono stati sottoposti «a un attento esame, dovendo tutti soddisfare particolari requisiti di sicurezza». Al lavoro ci sono ogni giorno contemporaneamente 70 persone con punte di 100.

Benedetta Moro

 

 

«Nuove zebre pedonali davanti alla stazione» - Illustrate dall’assessore Polli in commissione le modifiche legate alla riqualificazione di piazza Libertà
Un semi-giro dietro la sala Tripcovich e poi via su corso Cavour e piazza Libertà per imboccare via Ghega. Sarà questo il percorso dei bus che devono andare in via Carducci dalla nuova postazione tra il teatro e il Silos, a parte la linea 17/ e la 39 che invece troveranno spazio su piazza Libertà nel lato tra la fine di via Cellini e l'inizio di viale Miramare. L'ultimo tratto di via Ghega, come già annunciato, invece rimarrà aperto per le auto in senso contrario rispetto a oggi. Di questo e di altri importanti dettagli si è parlato nella presentazione ufficiale alla Commissione Urbanistica della riqualificazione di piazza Libertà da parte dell'assessore Luisa Polli e dell'ingegner Giulio Bernetti, direttore del Servizio mobilità e traffico del Comune. E il piano della nuova viabilità ha trovato infine tutti d'accordo, maggioranza e opposizione, anche se sono stati richiesti ancora alcuni chiarimenti su certi punti della viabilità. Secondo il progetto saranno inseriti molteplici semafori e attraversamenti pedonali. Le zebre più importanti sicuramente saranno quelle di fronte alla stazione. In questa maniera il sottopassaggio diventerà praticamente inutile, anche se comunque verrà risistemato. «È talmente ben strutturata la superficie pure per l'accesso ai disabili - ha spiegato Polli - che non occorrerà rimettere a norma il sottopassaggio». Anche la direzione di marcia di via Pauliana rimarrà tale e quale, perché le auto da lì potranno sfociare sia sulle Rive, passando davanti alla stazione, che girare a destra in direzione viale Miramare. E, resta confermato, per chi sbagliasse che l'unico modo per virare da viale Miramare verso la città resta quello di sfruttare lo spazio dei taxi a lato della stazione per girare e rimettersi in piazza della Libertà. Osservazioni sono state fatte da Giuseppe Ghersinich (Ln) riguardo la bretella che costeggia l'uscita dal molo IV: Diventerà a senso unico?. «Anche su richiesta di Assicurazioni Generali, abbiamo deciso dopo un sopralluogo di mantenere il doppio senso - ha risposto l'assessore - e di aggiungere lì 50 nuovi stalli per i veicoli a due ruote». Fabiana Martini (Pd) e altri consiglieri hanno posto l'attenzione sui lavori in previsione della futura apertura di Porto vecchio. A questo proposito è stato chiarito che verranno allargati i lavori fino all'entrata del Porto in modo da non dover più toccare in futuro piazza Libertà. Troverà nel piano anche una collocazione adeguata la pista ciclabile che dalla stazione potrà poi proseguire attraverso il giardino per inserirsi in via Ghega e via Trento. «È un buon progetto - ha commentato Paolo Menis (M5S) - che va a a sanare alcune criticità messe in evidenza negli anni da vari comitati». Concetto ribadito da Michele Babuder (Fi), che ha aggiunto come «le ultime modifiche progettuali hanno recepito le osservazioni dei cittadini e dei vincoli connessi alla salvaguardia del verde e del giardino storico».

Benedetta Moro

 

 

Mittal: l’Italia con l’Ilva sarà la più grande acciaieria europea
ROMA Tre buone ragioni per comprare l’Ilva? «L’Italia è il secondo maggior consumatore di acciaio in Europa, l’Ilva è il più grande impianto di produzione di acciaio, l’Italia importa acciaio» risponde, in una intervista a un quotidiano Lakshmi Mittal, il magnate mondiale dell’acciaio impegnato nell’acquisizione dell’Ilva di Taranto, attraverso un consorzio che lo vede associato al gruppo Marcegaglia e coadiuvato da Intesa Sanpaolo, in rivalità con un’altra cordata «indiana», guidata dal gruppo Jindal assieme alla finanziaria di Leonardo Del Vecchio, al gruppo Arvedi e alla Cassa Depositi e Prestiti. E aggiunge: «Perché a noi? Perché non abbiamo produzione primaria in Italia, ed essendo la più grande compagnia in Europa vogliamo partecipare all’industria italiana dell’acciaio. Siamo il partner più giusto per l’Ilva, abbiamo quattro pilastri strategici: il primo sono le persone, il secondo è il piano industriale, il terzo è il piano ambientale, il quarto il piano commerciale». E sulla tutela dell’ambiente precisa: «Comprendo i problemi avvertiti dalla gente di Taranto, ci adegueremo pienamente a quanto previsto dall’Aia».

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 8 marzo 2017

 

 

Parchi minerali, la Regione diffida la Ferriera - Acciaieria Arvedi deve ora presentare entro quattro mesi il progetto di copertura previsto dall’Aia
La Regione ha ieri formalmente diffidato la Acciaieria Arvedi spa a presentare entro quattro mesi il progetto di confinamento e copertura delle aree a parco (minerali e fossile) dello stabilimento siderurgico della Ferriera di Servola; nella diffida sono anche specificatamente indicati i contenuti minimi del progetto. La Regione ha inoltre disposto che nelle more della realizzazione del progetto di copertura dei parchi, la società adotti ulteriori misure di mitigazione dello spolveramento utili per il contenimento delle emissioni diffuse. L’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) rilasciata a Siderurgica Triestina srl, ora Acciaieria Arvedi spa, stabiliva che entro 9 mesi dal rilascio dell’Aia la società dovesse presentare il progetto di confinamento e copertura delle aree a parco, corredato da un cronoprogramma di attuazione dello stesso. «Non è stata soddisfatta da Siderurgica Triestina la prescrizione contenuta nell’Autorizzazione integrata ambientale, che impone la copertura dei parchi minerali». Questa era stata la conclusione a cui è arrivata all’unanimità il 26 gennaio la Conferenza dei servizi coordinata dalla Regione e composta anche da Comune, Arpa, Azienda sanitaria e Vigili del fuoco. In una nota la Direzione Ambiente della Regione aveva ricordato come l’Aia avesse stabilito per Siderurgica Triestina l'obbligo di presentare, entro nove mesi il progetto. Tuttavia entro il termine, peraltro prorogato di un mese su richiesta della società, l’azienda ha proposto una relazione che - si legge nella nota di allora della direzione Ambiente - «pur contenendo alcune ipotesi progettuali, conclude evidenziando l'eccessiva onerosità degli interventi richiesti e la difficoltà tecnica della realizzazione degli stessi». «Più precisamente - si specificava ancora - la relazione non contiene elaborati grafici, né soprattutto il cronoprogramma e il quadro economico degli interventi da effettuare. E in particolare si afferma che «la copertura, seppur astrattamente possibile, non sarebbe tecnicamente realizzabile». Nel pomeriggio dello stesso giorno il consigliere di amministrazione Francesco Rosato avrebbe però espresso ai rappresentanti sindacali l’intenzione di attenersi a quanto viene chiesto. Ieri, secondo quanto riferisce ancora la Regione, «è stato necessario adottare la diffida». Acciaierie Arvedi, interpellata, non ha inteso al momento replicare in alcun modo.

(s.m.)

 

Ambiente - Ok al piano per i giardini inquinati
Sostituzione dello strato di terreno superficiale oppure sperimentazione di una tecnica di fitorimedio. Sono le soluzioni per la bonifica di sette diverse aree di Trieste, cinque siti comunali e due di proprietà privata, confermate nel corso della riunione del Tavolo tecnico promosso dalla Regione, di cui fanno parte anche Arpa, Comune di Trieste e Azienda sanitaria universitaria integrata, per affrontare il tema dell’inquinamento diffuso. All’attenzione dei componenti del Tavolo è stata portata la proposta di stralcio per le aree sensibili elaborato da Arpa, Azienda sanitaria e Comune di Trieste. Sulla base di parametri quali la fruizione delle aree in funzione degli utilizzatori (bambini, adulti, manutentori, ecc.), del tempo medio di presenza, delle caratteristiche morfologiche e vegetazionali, lo stralcio ha classificato in tre diverse tipologie omogenee i cinque siti pubblici. In una prima tipologia, chiamata “A”, sono comprese due aree a gioco scolastiche, di ridotta superficie ma a elevata fruizione di bambini per una durata temporale prolungata, che necessitano di essere messe in sicurezza e di essere rese utilizzabili in tempi molto brevi: si tratta delle aree verdi della scuola dell’infanzia Don Dario Chalvien, in via Svevo, che richiede un intervento su circa 800 mq, e della scuola elementare Marin di via Praga (circa 2.000 mq di intervento). Il piano ha quindi distinto, in una seconda tipologia, indicata come “B”, due giardini pubblici a elevata fruizione per una durata di tempo variabile, con grandi superfici prative e numerose alberi, presenza di aree a gioco pavimentate, circondate da aiuole prative, per un totale di circa 20.000 mq di intervento: è il caso del Giardino pubblico (con i suoi 17.000 mq), e del giardino di piazzale Rosmini (circa 3.500 mq). È infine classificata come “C” la pineta Miniussi di Servola (con circa 5.000 mq di intervento). Si tratta di un giardino pubblico a bassa fruizione, caratterizzato da prati coperti da alberature, in cui non vi sono zone per il gioco dei bambini. Lo stralcio sarà sottoposto ora all’esame dell’Istituto superiore di sanità e del ministero dell’Ambiente.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 7 marzo 2017

 

 

Capodistria-Divaccia - Il primo raddoppio vale 1.500 treni in più - Entro maggio la nuova tratta di binari sino a Villa Decani -  Il costo complessivo dell’opera ammonta a 25,5 milioni

I NUMERI DEL PORTO - Luka Koper movimenta attualmente 90 convogli al giorno

LUBIANA - Può essere di certo considerato come il primo tratto del tanto agognato raddoppio della linea ferroviaria Capodistria-Divaccia. Certo far correre il traffico su rotaia lungo due binari dal porto del capoluogo del Litorale fino a Villa Decani (in tutto 1.200 metri) già costituirà una boccata d’ossigeno per il porto che, in pratica, se non avrà il raddoppio non potrà più espandere i propri traffici costantemente in aumento. I lavori hanno un valore, come scrive il Delo, di 5,9 milioni di euro. L’appalto è stato sottoscritto nel giugno scorso e i lavori sono iniziati a pieno regime in agosto. Secondo il contratto l’opera dovrà essere consegnata entro il maggio prossimo. I punti di maggiore difficoltà realizzativa sono il ponte attraverso il fiume Risano (Rižana) e il sottopasso relativo alla statale. A lavori finiti si procederà altresì al consolidamento e al rinnovo anche della oramai usurata “vecchia traccia” che a oggi sostiene tutto il traffico ferroviario. La direzione delle infrastrutture della Slovenia ha dichiarato sempre al Delo che l’intera opera si concluderà alla fine del 2018 e costerà complessivamente (incluso il raddoppio) 25,5 milioni di euro. Ma siccome, finora, gli appaltatori hanno offerto cifre minori forse si riuscirà a chiudere a 20 milioni di spesa. Attualmente la linea Capodistria-Divaccia è satura con 90 convogli ferroviari al giorno ma in alcuni periodo questi salgono anche a 110 convogli giornalieri inclusi anche i “viaggi” delle sole locomotive. Con la nuova tratta si potrà accrescere la portata della linea dai tre ai cinque convogli al giorno che, su chiave annuale, equivale a 1.500 treni in più in 365 giorni. Le Ferrovie della Slovenia, nel 2016, hanno movimentato al Porto di Capodistria 12 milioni di tonnellate di merci. Oltre alle Ferrovie della Slovenia su Porto operano anche la Rca e la Adria Transport che hanno movimentato, nel 2016, complessivamente 1,2 milioni di tonnellate di merci. L’anno scorso Luka Koper, la società che gestisce il Porto di Capodistria, ha movimentato 22.879 convogli ferroviari merci il che rappresenta una media di 64 convogli al giorno. Al Porto di Trieste, dicono a Capodistria, i convogli ferroviari movimentati sono stati tre volte di meno. E la battaglia continua, battaglia che, se paragonata al traffico dei porti del Nord Europa, appare sempre una “guerra tra poveri”.

Mauro Manzin

 

 

Il bosco di Crogole libero dai rifiuti - Nuova impresa dei volontari di Sos Carso: riempiti 40 sacchi per ripulire l’area sotto San Servolo
SAN DORLIGO Guanti da lavoro, sacchi neri e tanta volontà. Questi i tre ingredienti che contraddistinguono il gruppo Sos Carso, team di volontari che dallo scorso gennaio si sta cimentando nella pulizia di diverse zone dell'altipiano. L'ultima, in ordine di tempo, è l'area sopra la frazione di Crogole, a San Dorligo della Valle, proprio sotto San Servolo, zona tristemente passata agli onori della cronaca per essere una vera e propria discarica a cielo aperto realizzata da un homeless. In tre uscite i volontari, capeggiati da Cristian Bencich e Furio Alessi, hanno raccolto tutto il materiale sparso per i boschi. Sedie di plastica, borsoni, valige, pentole, ciabatte, scarpe, e tanti altri oggetti sono stati collocati all'interno di una quarantina di sacchi neri. «È stato un lavoraccio, anche perché c'era davvero di tutto. Pensavamo vi abitasse una famiglia, poi abbiamo letto Il Piccolo e abbiamo saputo chi stava dietro a tutti questi oggetti e rifiuti abbandonati nel bosco», racconta il 47enne Bencich. Il team, appartenente al Raggruppamento escursionisti speleologi triestini (Rest), ha poi portato via la metà dei rifiuti. «Gli altri sacchi sono rimasti in attesa dell'intervento del Corpo forestale: avremmo voluto portarli tutti via noi, ma erano davvero troppi e peraltro il sentiero è piuttosto ripido», racconta Bencich. Quello di Crogole è solo uno dei diversi interventi compiuti in circa un mese e mezzo di attività. Nel bosco di Pese-Draga, sempre a San Dorligo della Valle, vicino ad una "jazera" (antico sistema di produzione del ghiacchio) sono stati rinvenuti barattoli in alluminio, uno pneumatico e materiali ferrosi poi raccolti in quattro sacchi neri. «La caratteristica più strana di quest'area sono stati il centinaio di scatolette per gatti che abbiamo rinvenuto e poi raccolto», aggiunge Bencich. Ma sono tante le aree che necessiterebbero di un intervento. A partire dall'autoporto di Fernetti, nella cosiddetta dolina dei Druidi. «Mi chiedo perché l'Autoporto non mandi qualcuno almeno una volta al mese a ripulire i "ricordi" lasciati dai suoi "clienti" camionisti. Sicuramente non andrebbe in rovina». La sfida più grande però rimane sicuramente l'ex discarica di Trebiciano. «L'area era stata aperta nel 1958 e gestita dal Comune sino al 1972. Nel corso degli anni sono stati scaricati circa 600mila metri cubi di rifiuti di ogni tipo. E pensare che sotto questo disastro ecologico scorre il fiume Timavo", racconta il portavoce di Sos Carso. Tonnellate di rifiuti accumulatesi fino a creare, pare, uno strato di oltre 20 metri. Bencich lancia l'appello: "Siamo molto soddisfatti del nostro lavoro ma non possiamo fare tutto da soli per questo il nostro intento sarebbe di coinvolgere altre persone perché sul Carso c'è ancora molto da fare». Per chi volesse aiutare i volontari anche donando guanti e sacchi neri è attiva la pagina Facebook Sos Carso.

Riccardo Tosques

 

AMBIENTE - Castelmuschio protesta per i depositi “tossici”

VEGLIA - Sta per finire la pazienza dei circa 20 mila abitanti di Veglia e dei responsabili delle sette municipalità presenti sull'isola quarnerina. La causa è una sola e prende il nome di Dina Petrolchimica, l'azienda defunta ormai da anni e depennata lo scorso settembre dal Registro croato delle imprese. Nello stabilimento di Castelmuschio (Omisalj in croato) sono rimaste ancora decine di tonnellate di sostanze chimiche, altamente tossiche e soprattutto molto temute dai residenti nei comuni di Veglia, Castelmuschio, Verbenico, Ponte, Malinska-Dubasnica, Dobrinj e Bescanuova. I sindaci di queste municipalità hanno inviato giorni fa una lettera aperta al ministro dell'Ambiente ed Energia, Slaven Dobrovi„, ricordandogli che lo Stato croato ha precisi obblighi nei riguardi dell'ex Dina. Dopo la cancellazione dal registro, è Zagabria che deve provvedere al risanamento dell'impianto, definito da tempo una bomba ecologica ad orologeria, destinata prima o poi a deflagrare, con danni gravissimi, catastrofici per l'ambiente quarnerino, mare compreso.

 

 

Siderurgia - Il salvataggio dell’Ilva: sfida fra Arcelor e AcciaItalia
MILANO La battaglia per la conquista dell'Ilva è entrata nel vivo. Le due cordate si sono materializzate nelle buste con le offerte vincolanti, finalmente aperte dopo tre proroghe. Su un fronte c'è la cordata composta da AcciaItalia, Jindal, Delfin e Arvedi, col sostegno finanziario di Cassa Depositi e Prestiti, sull'altro è invece il consorzio Am Investco Italy, formato da Marcegaglia e ArcelorMittal al quale dovrebbe aggiungersi Intesa Sanpaolo, dopo che la banca ha siglato col consorzio una lettera d'intenti. Ma ci vorrà almeno un mese per sapere chi vincerà. Le offerte sono state trasmesse all'advisor finanziario della procedura di amministrazione straordinaria, Rothschild, e ora inizieranno gli adempimenti legati alla procedura, con la valutazione dei singoli aspetti delle proposte messe in campo dai due contendenti. Per l'Ilva si tratta di una svolta. Impossibile dimenticare che tre anni fa era data per fallita con una perdita di 500 milioni l'anno, con gli impianti sotto sequestro e i fornitori alla finestra in attesa di pagamento. L'azienda oggi segna un fatturato 2016 in miglioramento sul 2015 a 2,2 miliardi, una riduzione dell'Ebitda negativo del 62% e una decisa ripresa della produzione. Va tuttavia sottolineato che le due offerte arrivano anche in un momento in cui lo scenario economico internazionale è cambiato, con i prezzi dell'acciaio in risalita. Un pò a sorpresa Marcegaglia-ArcelorMittal hanno scoperto le carte della loro offerta e in un comunicato hanno spiegato che la proposta prevede 2,3 miliardi di investimenti nell'Ilva, oltre al prezzo d'acquisto (che non viene reso noto), una produzione di 9,5 milioni di tonnellate di prodotti finiti, l'impegno a realizzare un centro di ricerca e sviluppo a Taranto e usare nuove tecnologie per la produzione di acciaio a bassa emissione di anidride carbonica.

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 6 marzo 2017

 

 

NoSmog e FareAmbiente al fianco di Dipiazza criticano il no regionale alla revisione dell’Aia

«Apprendiamo che la Regione ha respinto la richiesta di riesame dell’Aia alla Ferriera inoltrata dal sindaco e fortemente sollecitata dai cittadini. Il respingere la necessità di rivedere una concessione che dopo un anno di applicazione ha dimostrato tutte le sue carenze , evidenziate quotidianamente dai residenti, dimostra che il rifiuto non posa su argomentazioni tecnico-oggettive e che non vi è alcuna intenzione di prendere in considerazione il disagio denunciato dai cittadini. La sensazione , che forse è più di una sensazione , è che ogni decisione venga presa a prescindere, sulla testa dei cittadini di cui non va tenuto conto e a cui non viene data voce, in presenza di "superiori interessi" di natura politica». Così Alda Sancin, presidente di NoSmog, una delle tre associazioni della cui consulenza si avvale Roberto Dipiazza. Un’altra è FareAmbiente, il cui coordinatore regionale Giorgio Cecco commenta a sua volta sarcastico: «Condividiamo quanto rilevato dagli uffici regionali, ovvero che non ci sono elementi di novità. Difatti l'inquinamento, i disagi e la pessima qualità della vita dei residenti sono sempre gli stessi».

 

 

LA RUBRICA NOI E L'AUTO - PIAZZA LIBERTÀ, SAGGIO SPOSTARE LE FERMATE BUS
La ristrutturazione della circolazione in corrispondenza di piazza Libertà è agli onori della cronaca. Come sempre ci sono i favorevoli e contrari. È ovvio che molti pareri sono dettati dalle singole, personali e contingenti necessità, ma vi sono anche delle considerazioni oggettive che valgono per tutti. A mio parere è semplicemente impensabile che chi proviene da via Cellini non possa svoltare a sinistra, verso il Porto vecchio, la Sala Tripcovich, la marina e quant'altro. Nemmeno da prendere in considerazione l'ipotesi di successiva svolta all'altezza dei taxi, che creerebbe delle situazioni insostenibili. Tale mia opinione è basata sul fatto che, attualmente, l'unico vero pericolo in strada consiste nel frequentissimo e indisciplinato attraversamento dei pedoni dalla Stazione al giardino al centro della piazza, e viceversa. Oggettivamente tali attraversamenti non sarebbero giustificati, vista la presenza, ormai molto datata, del sottopassaggio, ma le condizioni generali dello stesso, tra cui l'assenza di percorsi predisposti per i diversamente abili, non aiutano a utilizzarlo. L’aspetto più importante, però, consiste nel fatto che la quasi totalità degli attraversamenti pedonali è motivata dalla necessità di raggiungere le fermate degli autobus adiacenti al giardino. Allora? A mio parere il provvedimento più saggio ed economico sarebbe quello di spostare parallelamente dette fermate, da dove sono oggi, verso il marciapiede adiacente all'uscita dalla Stazione centrale. La larghezza della carreggiata coinvolta non cambierebbe, ma si sposterebbe solo l'asse della stessa, con lavori edili minimali e relativamente poso costosi. Per quanto riguarda la più volte richiamata svolta a sinistra dei veicoli provenienti da via Cellini, che a questo punto coinvolgerebbe anche gli autobus, il potenziale pericolo potrebbe essere risolto con qualche secondo di tutto rosso per i veicoli che scendono da via Pauliana e quelli che vengono da viale Miramare o, eventualmente, con un nuovo semaforo. Spero che il buon senso prevalga, per la sicurezza di pedoni, automobilisti e altri utenti della strada.

GIORGIO CAPPEL

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 5 marzo 2017

 

 

“Nuovo” Piano del traffico bocciato dalle opposizioni - Lo stop a via Mazzini pedonale riapre le polemiche sulla viabilità. Critiche da M5S
L’ex sindaco Cosolini, oggi consigliere Pd : «Quali le idee innovative della giunta?» - E Menis chiama in causa anche la precedente amministrazione

L’ex sindaco Roberto Cosolini difende la pedonalizzazione di via Mazzini, sperimentata durante la sua amministrazione: «La chiusura della strada faceva parte di un piano organico su cui i tecnici avevano lavorato a lungo» - L’ex assessore all’Urbanistica Elena Marchigiani chiede proposte per una viabilità sostenibile capaci di risolvere il problema dell’inquinamento, garantire più sicurezza e offrire opportunità turistiche Anche il Movimento Cinque Stelle attende un piano alternativo. Paolo Menis però attacca anche la precedente amministrazione: «La giunta Cosolini non ha avuto il coraggio di applicare i progetti fino in fondo, Corso Italia è la prova»

Sul destino della viabilità triestina soffia aria di tempesta. L’addio alla pedonalizzazione di via Mazzini, sentenziato a gran voce dalla giunta Dipiazza, rinfocola le vecchie polemiche. L’ex sindaco Roberto Cosolini e l’ex assessore Elena Marchigiani incassano il colpo: se l’aspettavano. Ma contrattaccano: «Cosa propone allora di innovativo questa giunta?», incalzano i due. La loro non è solo una provocazione: chiedono un piano alternativo, un progetto capace di dar respiro al traffico e alla mobilità dei cittadini. «Non c’è nulla», dicono in coro. Qualcosa di “sostitutivo” in realtà ci sarebbe: un pezzettino in più di via XXX Ottobre riqualificato e libero dalle auto; un semaforo in via Roma all’incrocio con via San Nicolò e marciapiedi più ampi in via Teatro Romano e piazza Libertà. E, per alleggerire il centro dal caos parcheggi, nuove convenzioni con le società che gestiscono i park interrati per incentivarne l’uso. Basterà? «La chiusura di via Mazzini stava dietro a un piano organico - fa notare Cosolini, ora consigliere comunale Pd - su cui i tecnici avevano lavorato a lungo e c’erano stati incontri e approfondimenti con la cittadinanza. Decidere di non chiudere e basta è come dire “va tutto bene così”, mentre le città con più zone pedonali e meno traffico sono più belle, vivibili e moderne». L’ex assessore Marchigiani, professore di Urbanistica all’Università di Trieste, scuote il capo: «La pedonalizzazione di via Mazzini - ricorda - andava di pari passo agli interventi su Corso Italia, dove sarebbero stati dirottati i bus e tolte le auto. Era tutto un disegno complessivo. Ma questa amministrazione - spiega - non ha in mente un progetto d’insieme, non se ne sta proprio occupando. Non fanno e non faranno nulla. Ma una giunta non può concentrarsi solo sui regolamenti di polizia e della pulitura delle caditoie, dovrebbe avere iniziative di grande respiro. Anche perché l’idea di allontanare le automobili dal centro è applicata ovunque. Se il nostro Piano del traffico non va bene - insiste Marchigiani - allora ne facciano un altro. Cosa fanno al posto di ciò che buttano via?». L’ex assessore fa notare che la scelta di una via Mazzini “free” era stata molto discussa con i commercianti e la cittadinanza. «Due anni di confronto pubblico - sottolinea la docente universitaria, esperta di Urbanistica -, ci vuole una bella responsabilità a bloccare tutto. La città ha bisogno di interventi sulla mobilità, innanzitutto per l’inquinamento e la salute». Il riferimento è a quanto emerso nelle aree verdi dei giardini pubblici, pesantemente contaminati anche dal traffico. E alla sicurezza, oltre che al turismo. «Per questo - chiosa Marchigiani - tante città da decenni hanno puntato sulla pedonalità. Non avere un piano significa fermare un progetto di modernizzazione necessario». Anche il Movimento Cinque Stelle aspetta la giunta Dipiazza al varco. Paolo Menis, capogruppo in Consiglio comunale, attende risposte. «Il punto non è tanto via Mazzini chiusa o aperta - rileva - perché il problema è generale. Ci può stare che questa giunta non sia d’accordo sul Piano del traffico, ma allora deve ritirarlo e presentarne un altro. Anche perché - evidenza - sono passati i due anni previsti dalla legge e quindi non ci sono impedimenti. Aspettiamo una contro proposta sui futuri interventi, cioè un vero e proprio progetto che disincentivi l’utilizzo delle automobili a vantaggio dei mezzi pubblici. A Trieste è necessario cambiare il modo di spostarsi verso il centro - osserva Menis - ma va detto che la precedente amministrazione ha le sue colpe: avevano presentato un piano, che noi avevamo condiviso, ma poi Cosolini e Marchigiani non hanno avuto il coraggio di applicarlo fino in fondo. Per Corso Italia, ad esempio, era previsto il restringimento della carreggiata e l’allargamento dei marciapiedi per il passaggio esclusivo dei mezzi pubblici. Ma non se n’è fatto nulla».

Gianpaolo Sarti

 

 

Parco del mare davanti alla Lanterna - La parola al Consiglio
Il 20 marzo la seduta straordinaria. Tutti gli attori presenti dal “papà” del progetto Paoletti al Comitato che si oppone
Il Consiglio comunale di Trieste si esprimerà sul progetto del Parco del mare in una seduta apposita che si terrà il 20 marzo. È l’esito della richiesta avanzata dal Partito democratico, approvata nei giorni scorsi dai capigruppo. Il presidente del Consiglio Marco Gabrielli ha già convocato la riunione e mandato gli inviti a tutti gli enti e gli attori cui sarà richiesto di partecipare: arriverà in aula, oltre al sindaco Roberto Dipiazza, anche il presidente della Camera di commercio della Venezia Giulia Antonio Paoletti, da sempre grande promotore del progetto. Ma sono stati invitati anche i presidenti di Fondazione CRTrieste e Autorità portuale, anche se ancora non si sa chi rappresenterà questi enti in aula. Si sa invece che per la giunta regionale arriverà in Consiglio l’assessore al Bilancio Francesco Peroni, così come ci sarà un rappresentante del comitato che si oppone al progetto in zona Lanterna. Dice Gabrielli: «Nella richiesta si pone particolare attenzione su tutta una serie di aspetti del progetto. Vedremo di andare a fondo il più possibile». Andiamo quindi a vedere cosa chiede il Pd. Il documento è firmato da tutti i consiglieri comunali dem e richiede «la convocazione di un Consiglio comunale straordinario sul tema “Parco del mare”». Tre i punti di dibattito sottolineati: «Lo stato di avanzamento del progetto; il business plan (piano finanziario); la localizzazione della proposta ed eventuali alternative». Ai tempi in cui teneva in mano le redini del Comune, l’ex sindaco Roberto Cosolini aveva dato il suo beneplacito al progetto, anche se non aveva mai nascosto di preferire una posizione diversa per l’acquario, magari in Porto vecchio. Ora, in veste di consigliere non perde l’occasione per tornare sull’argomento: «È evidente che in città si è aperto un tema - commenta -. È un tema noto, addirittura vecchio, e che fu già oggetto di una delibera del Consiglio comunale portata dall’allora assessore Ravidà. Ora, il Comune ha un ruolo in questa vicenda, perché pur non essendo socio si esprime sia sulla possibile locazione della struttura sia sul progetto in generale, trattandosi di una realtà potenzialmente molto rilevante». È quindi il caso, secondo Cosolini, che anche il Consiglio comunale torni a schiarirsi le idee sull’argomento: «Sono passati molti anni, la collocazione al mercato ortofrutticolo di Campo Marzio è ormai tramontata, è cambiato il contesto economico e sociale ed è giusto che il tema torni all’attenzione dell’assemblea». Farlo, prosegue il consigliere, «è necessario anche e soprattutto per un aggiornamento sul piano industriale complessivo». Ma anche perché il tema della collocazione fa molto discutere: «Personalmente ho sempre pensato che serva un serio raffronto costi-benefici. Laddove per costi si intende sì la spesa, ma anche tempi e problematiche varie. Mentre per benefici si intendono le possibili ricadute positive di ambo le possibilità: sia quella di farlo alla Lanterna che in Porto vecchio». Vada come vada, l’argomento darà molto da discutere ai consiglieri comunali. Anche perché, per l’esasperazione del suo patron Paoletti, il Parco è diventato ormai da parecchi anni una delle arene gladiatorie preferite dalla classe politica triestina.

Giovanni Tomasin

 

 

Dipiazza insiste «La Regione annulli l’Aia della Ferriera» - il braccio di ferro
«La risposta ricevuta dalla Regione fa sorgere fondate perplessità sulla capacità dei tecnici della struttura di comprendere il contenuto dei documenti preparati e diffusi dalla propria realtà di riferimento Arpa Fvg. Alla parte politica quindi consigliamo di verificare il lavoro dei propri uffici e di evitare un atteggiamento pilatesco sulla vicenda Ferriera che può essere interpretato solo come disinteresse per le problematiche legate alla salute dei cittadini e alla tutela dell’ambiente». Così il sindaco Roberto Dipiazza ha replicato ieri alla notizia che i tecnici della Regione hanno bocciato la richiesta di revisione dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) della Ferriera avanzata dal Comune. Rilevando anche che «il valore rilevato di deposizioni di benzo(a)pirene sulla base di dati prodotti in autocontrollo dall’industria e non dalla parte pubblica è significativo», il sindaco sostiene che «l’attuale piano di monitoraggio e controllo non consente di verificare il rispetto degli obiettivi di qualità ambientale stabiliti dagli strumenti di pianificazione e programmazione di settore nelle aree dell’abitato di Trieste più critiche come identificato nei documenti prodotti da Arpa Fvg». E inoltre «non garantisce e all’evidenza dei dati non ha mai garantito una tutela dalla contaminazione dei suoli in una ampia area di Servola, non fornendo con i monitoraggi trimestrali previsti elementi tecnici adeguati per verificare il miglioramento della situazione rispetto a quella degli anni passati». «Chiediamo anche - aggiunge Dipiazza nella nota emessa ieri - di conoscere se è stato avviato il procedimento sanzionatorio nei confronti del gestore ex art. 29 decies c.9 del D.Lgs 152/06 relativamente all’acclarato superamento del limite produttivo di 34.000 tonnellate/mese di ghisa prodotta» e conclude annunciando che «il Comune di Trieste inviterà formalmente la Regione a dichiarare in autotutela la nullità dell’Aia della Ferriera e contestualmente percorrerà tutte le strade per arrivare a tale risultato. Si auspica che la Regione, come istituzione, tuteli la salute dei cittadini anche con fatti concreti e non solo a parole. Gli elementi per farlo ora li ha tutti».

 

Siderurgia, la Cina torna in trincea: nuovi tagli in arrivo - Pechino promette di eliminare 500 mila posti di lavoro - Il mercato europeo continua a soffrire il crollo dei prezzi
MILANO Pechino promette di tagliare 500 mila posti di lavoro nelle industrie dell'acciaio e del carbone per contenere l'eccesso produttivo che ha mandato in tilt la siderurgia mondiale. A Washington, il neo presidente Donald Trump annuncia che il mega-oleodotto che collegherà Canada e Stati Uniti sarà costruito interamente con acciaio made in Usa. L'Unione Europea invece ritocca all'insù le tariffe antidumping alzando i dazi doganali dal 65 al 73% sui prodotti provenienti dalla Cina. È cominciato così, in trincea, l'anno dell'acciaio 2017, in cui i grandi produttori - Italia inclusa - cercano in qualche modo di smarcarsi dal problema irrisolto della sovracapacità globale che ha fatto precipitare gli utili delle imprese del settore. Nonostante le promesse, gli annunci e le barriere doganali, anche quest'anno l'acciaio soffrirà degli acciacchi di un'industria che ha bisogno di ristrutturarsi e di razionalizzare i suoi impianti. Nel 2016, secondo World Steel, la produzione mondiale della siderurgia è tornata ad aumentare, per un incremento complessivo dello 0,8%. In circolazione c'è troppo acciaio, i prezzi si deprimono e i produttori chiudono i bilanci in rosso. Sul banco degli imputati di una situazione che sembra ormai ingovernabile c'è la Cina che sforna quasi la metà dell'output globale. I dazi, le misure antidumping e le promesse di frenare la produzione contro i prodotti a basso costo proveniente dall'Oriente non hanno cambiato volto all'industria cinese. Anzi. L'anno scorso, nonostante le chiusure dei cosiddetti impianti "zombie", che operano al di sotto del costo di produzione, e il taglio di un milione di posti di lavoro, la Cina ha aumentato l'output di acciaio di almeno 35 milioni di tonnellate, a un tasso di crescita complessivo dell'1,2%, raggiungendo così 808,4 milioni di tonnellate, per un'incidenza sull'output siderurgico globale del 49,6 %. Lo afferma una ricerca condotta dalla società di consulenza Custeel e promossa da Greenpeace. E si teme che la stretta produttiva annunciata in questi giorni dal governo cinese, peraltro molto irritato per i rialzi delle tariffe doganali in Europa, possa in realtà tradursi nell'ennesimo aumento della capacità siderurgica nazionale. Dall'altra sponda dell'Oceano nell’era Trump le grandi opere andranno costruite, come il megaoleodotto Keystone Xl, con acciaio made in Usa. Anche questa promessa, come quella dei tagli alla produzione cinese, lascia piuttosto prudenti gli analisti. Keystone Xl, la rete che collegherà il trasporto di idrocarburi tra Canada e Usa, deve rispettare contratti pregressi. E probabilmente l'acciaio di cui sarà fatto sarà comunque made in China. Al di là della realizzabilità delle strategie americane e cinesi sulle rispettive siderurgie nazionali, suonano forti gli allarmi per l'industria dell'acciaio europea e in particolare per quella italiana alle prese con il salvataggio Ilva e la trasformazione dei campioncini nazionali in aziende performanti negli acciai speciali. La siderurgia tricolore ha recuperato nel 2016 il 6% della produzione, segnando una delle migliori performance tra i grandi paesi produttori, seconda solo a quella dell'Iran e dell'India. L'Italia riprende quota dopo una discesa che durava da quattro anni di fila e riportandosi sopra i 23 milioni di tonnellate.

Christian Benna

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 4 marzo 2017

 

 

Viabilita': i nuovi indirizzi - Addio a via Mazzini pedonale Dipiazza cestina il piano Cosolini

L’assetto del traffico cittadino sarà profondamente rivisto rispetto alle scelte della passata amministrazione

Pronto il progetto “bis”: Stop ai veicoli in via XXX Ottobre e marciapiedi più larghi in centro. L’assessore Polli: «Presto le convenzioni con le società per gli sconti nei parcheggi interrati»

La giunta Dipiazza sotterra una volta per tutte il progetto di pedonalizzazione di via Mazzini. Non si farà, salvo eventi come la “Notte dei saldi” e manifestazioni analoghe che richiedono la chiusura del centro. È l’assessore all’Urbanistica Luisa Polli a mettere la pietra tombale su quello che fu il cavallo di battaglia dell’accoppiata Cosolini & Marchigiani. Poco fortunato, a dire il vero, certamente in termini di consensi. D’altronde aveva promesso lo stesso Dipiazza, in campagna elettorale, che la via non sarebbe stata più oggetto di sperimentazioni simili a quelle tentate nella passata amministrazione. Adesso la versione “2.0” del Piano del traffico (per il momento ideale) non contiene traccia esecutiva della pedonalizzazione. «La cittadinanza lamentava disagi nei collegamenti e nelle fermate dei bus - ricorda Polli - perché quello è uno snodo importante per chi arriva in centro con i mezzi pubblici. Ma anche la Trieste Trasporti era critica: i conducenti avevano difficoltà a girare da Corso Italia in via Imbriani o a svoltare in piazza Goldoni, per non parlare della congestione che si era creata nella altre vie, dove gli autobus erano costretti a transitare in punti già molto trafficati». La giunta intende virare piuttosto su altri interventi che mirano a rendere più vivibile il centro per i cittadini. Polli ha già qualche freccia nel suo arco. La prima: convenzioni con i parcheggi “contenitore” (via Carli, Foro Ulpiano, Park San Giusto, Silos, via Giulia, ospedale Maggiore), notoriamente sotto utilizzati, per stimolare i triestini a posteggiare nei garage interrati. Come? Con prezzi super scontati, ad esempio. La pedonalizzazione interesserà invece aree limitrofe. È il caso di via XXX Ottobre, intanto: anche il punto compreso tra via Milano e via Valdirivo e tra via Valdirivo e via Torrebianca, così come già avviene nel tratto piazza Oberdan-via Milano, sarà off limits per le auto. È prevista la riqualificazione della strada con pavimentazione in masegno, simile a via Trento, con tanto di passaggio ciclabile. «Sposteremo le aree di carico-scarico merci - preannuncia Polli - siamo già d’accordo con i negozianti». Per portare a compimento il progetto l’assessore pensa ad approvare una variante al Piano del traffico. «Il nostro obiettivo - puntualizza - è valorizzare quell’area, vista la presenza di attività economiche. Se passano più gente i commercianti ne traggono beneficio». In programma pure le “semi-pedonalizzazioni”. In piazza Libertà, innanzitutto: il Comune farà togliere i parcheggi “blu” che costeggiano Palazzo Economo, sede della Soprintendenza, per allargare il marciapiede a beneficio dei pedoni. Stesso discorso per due aree che si trovano in prossimità di siti culturali di interesse archeologico, paesaggistico e monumentale. Come via Teatro Romano, ad esempio; anche lì, come già ventilato dal municipio, via le auto. Un modo, ci tiene a precisare l’assessore, per facilitare il via vai delle persone, tanto più i turisti, e rendere la zona più ampia e piacevole. Lo schema sarà applicato pure nei pressi del Faro della Vittoria, in Strada del Friuli, per agevolare l’arrivo dei pullman. Va da sé che nel punto individuato dal Comune non sarà più permesso parcheggiare. Ma che fine farà il Piano del traffico già approvato dal Consiglio comunale? Resterà nel cassetto, ormai è chiaro. «È uno strumento superato - taglia corto l’esponente della giunta Dipiazza - adesso puntiamo a una mobilità sostenibile, anche perché il Piano del traffico non è uno strumento coercitivo. Lo si può applicare o no, sebbene non sia possibile fare nulla in netto contrasto. Ma può essere cambiato. A noi comunque sta a cuore intervenire in modo da promuovere la convivenza tra pedoni, bici, trasporto pubblico e auto. Va ricordato, tuttavia, che in futuro qualsiasi intervento di lungo respiro sulla viabilità non potrà fare a meno di tener conto del Porto Vecchio e di come integrare quell’area con la città».

Gianpaolo Sarti

 

Via Marchesetti - Il plastico con le luci “fai da te”

Anche via Marchesetti, teatro del tragico incidente di tre mesi fa in cui è morta una ragazza di quindici anni, rientra nel piano sicurezza del Comune. Nulla però è ancora stabilito. Sono varie le ipotesi su come arginare il pericolo nei pressi del Ferdinandeo, dove gli automobilisti tendono a pigiare l’acceleratore. Molto probabilmente all’altezza dell’attraversamento pedonale, proprio dove è stata travolta la ragazzina, saranno installati un’isola spartitraffico, un dispositivo con lampeggianti e rallentatori ottici. A maggior ragione che l’area, nelle ore serali, è piuttosto buia. Il Comune di Trieste comunque intende dare ascolto alle proposte delle circoscrizioni e dei singoli residenti. Tra i progetti presi in considerazione figura il plastico realizzato dal signor Ottavio Buzzai, che abita proprio in via Marchesetti. Il modellino prevede anche un impianto di illuminazione azionato direttamente dai pedoni a ogni passaggio. «Potrebbe essere un progetto interessante - commenta l’assessore all’Urbanistica Luisa Polli - dobbiamo verificare se è attuabile sotto il profilo normativo. Va comunque sottolineato il bel gesto del signor Ottavio che si è preso a cuore il problema realizzando personalmente il plastico. Quella zona effettivamente è pericolosa e vanno presi provvedimenti. Ma è l’intera area che probabilmente ha bisogno di migliorare sotto il profilo della segnaletica», fa notare. Aspettiamo i suggerimenti della circoscrizione per poter decidere nel modo più opportuno e adeguato possibile»

(g.s.)

 

«Bisogna aumentare i posteggi» Ma l’area verso via Torrebianca da proibire ai veicoli piace a residenti e commercianti

Sì alla pedonalizzazione di via XXX Ottobre. Un via libera convinto, ma a una condizione: aumentare i parcheggi. Sulla nuova scelta dell'amministrazione comunale, commercianti e cittadini parlano chiaro. E fanno emergere anche altre postille, criticità soprattutto, invitando il Comune a risolverle. C'è chi teme di perdere i clienti durante il periodo del cantiere e chi, ancora, preferirebbe un'area più ampia da chiudere al traffico. E se gli habitué di questa strada annuiscono alla novità, non nascondono la propria soddisfazione sulla scelta di non intrevenire su Mazzini. Lì la pedonalizzazione era piaciuta a pochi. Manuela Morpurgo, titolare del negozio di informatica "Murrisoft", che si trova proprio a metà della via, non ha dubbi: «Sono convinta sia un'ottima scelta, il centro cittadino, come in tante città, va pedonalizzato e per vivere ha bisogno dei negozi, ma - avverte -, l'amministrazione ci deve aiutare con un maggior numero di posti per il carico e lo scarico. Non solo per noi esercenti, ma anche per i nostri clienti e per i semplici cittadini che non possono girare a vuoto per cercare un posto da occupare solo per dieci minuti. Qui, questi stalli sono troppo pochi e sempre occupati. Ci vuole anche più controllo da parte della polizia. E in più - aggiunge - si dovrebbero creare più parcheggi a poco costo». Alcune richieste, ma puntuali. Quanto a via Mazzini, Morpurgo è chiara: »Quella via è fatta per i bus». D’accordo Tamara Tamaro, che ha un box auto proprio in via XXX Ottobre. «È una strada fine a se stessa, nata solo per cercare parcheggio», rileva. «Non penso che la scelta creerà disguidi, però il Comune deve pensare a incrementare i posteggi, io sono l'esempio: ho dovuto acquistarne uno». Senza alcuna riserva invece è Paola Leonardi, dell'associazione di volontariato Senza confini "Brez Meja", che gestisce la Bottega del Mondo di via Torrebianca, una perpendicolare di via XXX Ottobre. «Finalmente ci si può muovere di più», afferma. «Camminare fa parte della nostra filosofia. E poi così avremo modo di farci conoscere di più, spero di non sbagliarmi. In tanti adesso ci dicono che non siamo in centro, forse così lo diventeremo. Al contrario penso che via Mazzini, se fosse diventata pe

donale, avrebbe creato problemi, perché è un'arteria nevralgica per i bus». E se estendessero l'area per il transito puramente pedonale all'intero quartiere? Elena Storti, titolare della libreria “Transalpina”, sarebbe molto più contenta. «Se ci sono solo qua e là piccoli frammenti di vie vietate alle auto, è sempre difficoltoso girare. Si dovrebbe allora allargare il progetto almeno a un'intera zona, anche perché - sottolinea - a me nuocerebbe avere solo quella via chiusa, perché poi il flusso sarebbe solo da quella parte, e io sono in una strada che già soffre visto che siamo aperti in tre». Ma c’è anche chi teme per il cantiere che si troverà, presto o tardi, davanti. «Sono aperto da sei mesi e se si mettono a rompere la strada ora che arriva l'estate - protesta il propritario di un bar della zona - io non avrò più clienti, vado in fallimento, perché qui non è come in altri Paesi, dove si lavora giorno e notte per finire un cantiere. In Italia ci vogliono mesi infiniti. So che dopo sarà un’area più piacevole, ma spero scelgano un periodo invernale per fare l’operazione».

Benedetta Moro

 

LE PRIORITA' - Spunta la “black list” delle strade rischiose - Da Barcola a Opicina “zone 30”, isole spartitraffico e segnali - Nuovi semafori in via Roma, largo Irneri e viale Campi Elisi

CAMBIAMENTI ANCHE A OPICINA - Uffici al lavoro per ulteriori marciapiedi e un percorso “pedibus”

Scatta il piano anti-incidenti. Il Comune sta preparando una sorta di “black list”dei punti più pericolosi della città in cui intende provvedere con segnaletica adeguata, “zone 30”, lampeggianti e altri dispositivi necessari ad allertare automobilisti e pedoni. L’elenco esatto sarà stilato non appena concluso il giro di consultazioni con tutte le circoscrizioni, atteso per fine mese. Ma le prime indicazioni sono già pronte. A iniziare da Barcola, in zona Pineta, dove in prossimità degli attraversamenti pedonali saranno collocate tre isole spartitraffico simili a quelle già esistenti in via Fabio Severo nei dintorni dell’università o lungo le Rive. Analoghi “arredi” urbani troveranno posto in via Revoltella (due in totale), nei dintorni del complesso scolastico e della chiesa; in via Locchi, ancora, davanti al supermercato Billa e, infine, altri due in via Flavia tra la rotatoria e via Brigata Casale. L’obbligo di circolare a trenta all’ora, già sperimentato in alcuni punti della città, entrerà in vigore in via Pindemonte all’altezza della scaletta di via Margherita, un passaggio poco trafficato e dove le auto tendono ad accelerare. «In quella strada - spiega l’assessore all’Urbanistica Luisa Polli - c’è la scalinata del Boschetto, la gente lì attraversa la strada. E poi, più avanti, c’è il giardinetto di Strada di Guardiella, è opportuno che la automobili vadano più piano». Il limite di velocità sarà segnalato in grande anche sull’asfalto. In via Padovan, invece, sono in programma nuovi dispositivi segnaletici utili a migliorare la mobilità pedonale in prossimità del ricreatorio. Sarà rifatto il marciapiede, in modo da renderlo più largo. Per la “zona 30” di Opicina, nel perimetro di via Nazionale e via Carsia, invece, gli uffici comunali stanno già predisponendo un progetto esecutivo per la realizzazione di nuovi marciapiedi, un percorso “pedibus” per i bambini utile a rendere più sicuro il collegamento tra il ricreatorio e la scuola Lona. Non finisce qui. Il Comune installerà presto nuovi semafori all’incrocio tra via Roma e via San Nicolò (analogamente a quanto già attuato all’altezza di via San Spiridione e Canalpiccolo), lungo l’attraversamento pedonale di largo Irneri (fronte piscina) e in viale Campi Elisi. Alcuni impianti semaforici, inoltre, saranno dotati di dispositivi per non vedenti. Il municipio, comunque, parteciperà al “Programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile casa-scuola e casa-lavoro” del ministero dell’Ambiente. Si punta a portare a termine vari lavori di messa in sicurezza, previo finanziamento statale. Il Comune ha stanziato una somma di 200 mila euro, a fronte di una richiesta di contributo pari a mezzo milione di euro. «Abbiamo dati sugli incidenti avvenuti negli ultimi anni e sulle criticità più importanti in centro - rileva Polli - naturalmente il piano “sicurezza” sarà integrato con tutte le informazioni che ci giungeranno dalle singole circoscrizioni con le quali da tempo ci stiamo confrontando. Lavoriamo per una città più sicura e più a misura di pedone - conclude l’assessore all’Urbanistica - anche questo è uno degli impegni di questa amministrazione comunale».

(g.s.)

 

 

La Regione dice no al Comune Blindata l’Aia della Ferriera - Respinta l’istanza di revisione perché «non contiene alcun elemento di novità

L’amministrazione Dipiazza è stata regolarmente coinvolta nella procedura» - Il direttore centrale per l’Ambiente Giovanetti si è avocato la pratica dopo il caso che ha coinvolto il manager di servizio Agapito - GOVERNATRICE IN SECONDA FILA - Sostiene si tratti di un percorso tecnico esterno alla politica - SINDACO IN FASE DI RIFLESSIONE -  Il diniego gli è stato subito comunicato: il silenzio la prima reazione

Quest'Aia non s'ha da rifare. La Regione non ha potuto accogliere la richiesta, presentata dal Comune di Trieste, per il riesame dell'Autorizzazione integrata ambientale (Aia) rilasciata a Siderurgica triestina il 27 gennaio dello scorso anno. Lo ha reso noto ieri la Direzione regionale dell'Ambiente in un comunicato, precisando che la decisione «è stata assunta dopo una attenta e approfondita valutazione da parte degli uffici tecnici regionali degli elementi a supporto della richiesta». Il rifiuto è stato comunicato immantinente al sindaco Roberto Dipiazza, che solo per il momento sceglie il silenzio, covando la sua risposta. Spiegano gli uffici regionali: «Come viene spiegato nella comunicazione al Comune, in primo luogo abbiamo rilevato che l'istanza non conteneva alcun elemento di novità - si legge nel comunicato -. In base infatti al decreto legislativo che detta norme in materia ambientale, una richiesta di riesame avrebbe potuto essere presa in considerazione esclusivamente solo in presenza di una serie di ipotesi tassative, puntualmente elencate, che in questo caso non sussistono». Nella sua richiesta il Comune elencava tra le motivazioni una supposta mancanza in fase di stesura dell'Aia. Secondo il primo cittadino l'ente locale non sarebbe stato coinvolto a sufficienza, come stabilito da due norme del codice italiano. Risponde la Regione: «In realtà la convocazione della Conferenza di servizi evidenziava esplicitamente che il sindaco era chiamato ad esprimere il parere sanitario, previsto dal Regio Decreto (richiamato da Dipiazza ndr). Come emerge dai verbali della Conferenza di servizi, il Comune ha fattivamente partecipato alla redazione della relazione istruttoria ed all'individuazione delle prescrizioni autorizzative necessarie anche alla tutela della salute pubblica». Inoltre il sindaco ha richiesto che sia data applicazione ad una norma (l'art. 29-septies del D.Lgs 152/2004), che però, risponde la Direzione regionale, «può essere applicata solo nell'ambito della Conferenza di servizi». Secondo la Regione l'applicazione di quella norma non avrebbe comunque influito sulla severità delle disposizioni sulla Ferriera: «In ogni caso la norma invocata prevede la possibilità di prescrivere misure più rigorose di quelle ottenibili con le migliori tecniche disponibili - scrivono -: e ciò è puntualmente avvenuto, come, ad esempio, con l'imposizione di limiti per le deposizioni di polveri, non previsti dalla normativa sulla qualità dell' aria». Infine il sindaco ha affermato che non è stata applicata una decisione dell'Ue che disciplina la determinazione dei periodi di avvio e di arresto di impianti di combustione. La Regione ha risposto che il testo si riferisce a impianti «con potenza termica nominale totale pari o superiore a 50 MW e, pertanto, non è applicabile all' impianto siderurgico di Servola». Gli uffici tecnici regionali hanno dunque giudicato «infondati o non pertinenti» i motivi della richiesta. Il direttore centrale per l'Ambiente Roberto Giovannetti nei giorni scorsi aveva avocato a sé la trattazione della pratica relativa al riesame dell'Aia. La decisione è seguita alla notizia del potenziale conflitto di interessi nella trattazione della pratica del Direttore del Servizio tutela da inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico Luciano Agapito. Si tratta della questione denunciata dal Movimento 5 Stelle, secondo cui il figlio di Agapito avrebbe ricevuto incarichi dall' azienda. Scrive la Regione: «L' avocazione è avvenuta nelle more dell'acquisizione dei chiarimenti richiesti e della loro valutazione, in considerazione della rilevanza, anche sociale, della questione relativa allo stabilimento autorizzato, e per evidenti ragioni di opportunità e di tutela del pubblico interesse». Una vicenda, insomma, che ha destato qualche problema e su cui per l'ente pubblico è preferibile evitare ambiguità. Debora Serracchiani non commenta. Per lei il percorso tecnico della vicenda Ferriera all'interno della Regione deve restare esterno al suo ruolo di commissario, fanno sapere gli uffici regionali. Secondo la presidente regionale le due vicende stanno su «binari separati» che non devono convergere, così da precludere la possibilità che considerazioni di carattere politico si sovrappongano alle scelte dei tecnici.

Giovanni Tomasin

 

 

Adriatico e Ionio - Il dramma dei rifiuti sulla spiaggia.

Sulle spiagge di Adriatico e Ionio si trovano in media 658 oggetti ogni 100 metri. In 1 chilometro quadrato di mare lungo le coste galleggiano mediamente 332 oggetti. Sul fondo del mare la situazione non è migliore.

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 3 marzo 2017

 

 

La nuova piazza Libertà promossa con riserva - Pro e contro - Giuste le aree pedonali ma l’inversione in viale Miramare spaventa
Parere positivo, soprattutto in fatto di sicurezza. È questa la prima opinione favorevole al nuovo piano di riqualificazione di piazza Libertà appena rispolverato dall’amministrazione comunale. A pronunciarla ad esempio Alessandro Baldassare, titolare della farmacia “Alla giustizia”. «La mia impressione come cittadino, utente automobilistico, perché vengo a lavorare in auto e parcheggio al Silos, e come imprenditore, è positiva». I punti in particolare che suonano a favore delle novità sono tre: i marciapiedi più ampi, il nuovo attraversamento pedonale di fronte alla stazione e la riqualificazione generale che provvede a un miglioramento di uno spazio che «è un biglietto da visita della città». «Ogni volta che cammino sul marciapiedi davanti all’uscita della stazione, vedo quei poveri studenti che attendono il bus, tutti assiepati, sono quasi sulla strada per far passare le persone - spiega -. Ecco, sono molto contento del fatto che si amplieranno i marciapiedi, soprattutto per un motivo di sicurezza». La stessa sensazione che proverà quando vedrà le nuove zebre in piazza Libertà. «Lì ci sono sempre situazioni da brivido, gli attraversamenti che spesso la gente fa in fretta e furia rischiano di provocare qualche incidente. Il sottopassaggio non è accessibile per chi ad esempio usa le stampelle». L’unico punto a sfavore del futuro progetto, secondo il farmacista, riguarda l’eventualità dell’inversione prevista all'altezza dei taxi in viale Miramare al posto di quella che oggi si trova all'altezza di via Pauliana in direzione corso Cavour. «A meno che non si metta un semaforo - commenta -, la trovo pericolosa, già i tassisti fanno numeri da circo». La prossima sistemazione di piazza Libertà però non convince del tutto altri commercianti attorno alla statua di Sissi. A partire da Federica Iori del b&b "Hotel Trieste Novo Impero". «Come faremo a mandare i nostri clienti in auto da qui al parcheggio Silos, con cui abbiamo una convenzione?» si chiede. L'albergo, ubicato in via sant'Anastasio, in effetti non avrà grandi soluzioni se non far fare il giro alle vetture passando per via Udine e ridiscendendo poi in viale Miramare, per riuscire poi ad arrivare davanti alla stazione e quindi entrare nel contenitore di posteggi. Preoccupata invece per una fetta di clientela che potrebbe svanire, Martina Prada del "Caffè alla stazione". Una parte che si porterà dietro lo spostamento delle fermate del bus di via Flavio Gioia, che verranno trasferite tra il Silos e la sala Tripcovich. «Certo, nella nuova posizione, non ci sono altri bar a farmi concorrenza, però - ragiona - chi non ha tempo, è capace anche di rinunciare alla pausa caffè». Tra di loro, potrebbero esserci gli autisti e gli utenti dei mezzi pubblici. A contribuire al danno anche i cantieri che, da quanto affermato dall'amministrazione, dovrebbero terminare alla fine del 2018. «Se però - continua Prada - magari i nuovi marciapiedi contribuiscono a un passaggio più frequente delle persone, riconquisto una parte di clientela con i pedoni». Solo ipotesi comunque finchè non si vivrà in prima persona la novità a lavori conclusi. «L'unica cosa che dovrebbe fare l'amministrazione è aiutare noi commercianti - dice invece un signore che vende vestiti nella piazza -. Chiuderanno otto negozi di cinesi la prossima settimana, qui sta morendo tutto, la gente non compra in quest'area ma solo in centro». Più che riqualificare la zona, Giordano Wild, del "Buffet Impero", che si trova accanto all'hotel, auspica invece un aumento di parcheggi. «Spero sia previsto, perché in questa via non si ferma più nessuno, abbiamo divieti di sosta e basta, mettono un sacco di multe - spiega -. È un problema che già avevamo e ora si è acuito a causa dei lavori che stanno facendo». C'è l'impossibilità dunque, per un guidatore, di fermarsi un attimo per prendersi un panino. «Se uno vuole fare una merenda qui, come fa? Come veniamo a lavorare con l'auto? Speriamo almeno lascino i parcheggi qui di fronte, anche perché noi non abbiamo nemmeno un posto per scaricare la spesa. La filosofia dell'andare tutti a piedi va bene, ma in questa area crea difficoltà per noi».

di Benedetta Moro

 

Pensiline “inutili”, il gestore tende la mano - I manager di Clear Channel in commissione Trasparenza: «Disposti a cambiare ma serve l’ok del Comune»
Il groviglio intricatissimo si sta sciogliendo molto lentamente, con un incontro a metà strada delle diverse posizioni. La complicata questione riguardante le nuove pensiline dei bus, sparse per la città e definite “inutili” da molti cittadini, è riapprodata ieri in commissione Trasparenza e ha sortito qualche piccolo esito positivo alla presenza del presidente Roberto De Gioia (Verdi Psi), dei consiglieri comunali Giuseppe Ghersinich (Lega), Salvatore Porro (Fdi), Marco Toncelli (Pd), Cristina Bertoni (M5S), Piero Camber (Fi), Massimo Codarin (Lista Dipiazza), del tecnico Denis Rustia, ex dipendente della liquidata Amt (Azienda per la mobilità territoriale), ora collaboratore di Esatto, e di due rappresentanti della società pubblicitaria Clear Channel, che ha installato e manutiene le pensiline stesse, Tonino Pettenello, responsabile sviluppo Italia, e Alberto Dinoi, development manager. Nella prima seduta, indetta da De Gioia, il consigliere dei Verdi Psi aveva portato le lamentele dei cittadini sui modelli poco efficienti di pensiline installate negli ultimi anni. Davanti a questo problema la Commissione aveva invitato il liquidatore di Amt - che diversi anni fa aveva dato in concessione a Clear Channel la gestione delle pensiline - per capire come poter modificare le tettoie. Risultato: Amt non è in grado di fare nulla, perché in liquidazione. Allora chi dovrà iniziare a gestire il pesante fardello? L’ipotesi avanzata ieri è caduta sugli enti di cui l’azienda era partecipata, ovvero il Comune di Trieste e i comuni minori della cintura giuliana. Nel confronto infatti si è individuato nell’Uti giuliana il possibile interlocutore. Questo è il punto fondamentale cui sono arrivate le varie componenti, oltre al fatto di cercare di fare «una ricognizione sulle pensiline più critiche», come hanno proposto Camber e De Gioia, e a quello di «spostare alcune fermate dei bus su marciapiedi in cui si possono mettere pensiline più comode», ha aggiunto il forzista. «Ci sono ancora 35 pensiline da installare - ha spiegato Pettenello di Clear Channel - perché i vari comuni non hanno ancora preso la decisione su dove bisogna posizionarle». Per quanto riguarda i modelli Pettenello stesso ha detto che «il Codice della strada non permette talvolta pensiline più ampie. In altre città non si riscontrano gli stessi problemi. Siccome capisco che a Trieste il clima sia diverso - ha aggiunto - siamo disposti a venire incontro, a spostarle ove possibile o a modificarle, anche perché la nostra stessa società ne beneficia, ma ci vuole l’autorizzazione del Comune». A questo proposito, Pettenello ha sottolineato come delle pensiline presenti sul territorio solo 40 siano illuminate, «perché manca il nullaosta dell’Acegas per realizzare gli altri allacciamenti, richiesto diverse volte". Di questo problema e del fatto che in magazzino ci siano ancora dei pezzi «ne avevamo già parlato con l’amministrazione precedente, che aveva detto che avrebbe risolto tutto. Ma poi non abbiamo più sentito nessuno».

(b.m.)

 

 

CORSO DI BIRDWATCHING

Prendono il via oggi gli incontri di preparazione al Birdwatching promossi da Urbi et Horti. Alle 17 in via Valdirivo 15 lezione in aula tenuta da Matteo Giraldi. Per informazioni e iscrizioni: 3287908116.

 

 

 

 

GREENSTYLE.it - GIOVEDI', 2 marzo 2017

 

 

Efficienza e rinnovabili, Banca Mondiale: Italia tra le migliori 10

A fotografare nel dettaglio le politiche e le strategie messe in campo a livello globale per quanto riguarda il settore energetico è la Banca Mondiale, con uno studio che ha preso in esame un totale pari a 111 Paesi di tutto il pianeta. L’indice RISE (Regulatory Indicators for Sustainable Energy) impiegato per la valutazione posiziona l’Italia nella Top 10, ma il lavoro da fare non manca.
Sono stati analizzati parametri relativi principalmente a tre macro-aree: livello di efficienza, sfruttamento delle fonti rinnovabili e reti dedicate alla distribuzione. Una prima panoramica è fornita dall’immagine allegata di seguito, estratta dal documento: le zone colorate in verde sono quelle in cui emergono performance migliori, mentre in quelle rosse la situazione non è affatto ottimale.
Si pensi ad esempio agli stati del continente africano dove centinaia di milioni di persone ancora oggi non hanno accesso alla fornitura elettrica, con ovvie conseguenze in termini di qualità della vita e possibilità di sviluppo economico.
Sono i Paesi emergenti a puntare con maggiore decisione sull’energia pulita, in particolare fotovoltaico ed eolico, complice anche una repentina riduzione dei costi per la realizzazione degli impianti: tra questi, secondo quanto rilevato dalla Banca Mondiale, figurano Sudafrica, Vietnam, Turchia, Brasile, Cile, Messico, Giordania e Marocco.
La “Top 10″ dell’indice RISE vede in testa la Danimarca, seguita da Stati Uniti, Canada, Olanda, Germania, Regno Unito e Romania. L’Italia si piazza in ottava posizione, seguita da Repubblica Ceca e Francia. Le indicazioni per il nostro Paese sono chiare: bisogna investire in primis sulle politiche legate all’efficienza, anche attraverso lo stanziamento di incentivi, indirizzati in particolare al settore produttivo, alla PA e alle utility.
C’è da lavorare anche sul fronte dell’informazione alla cittadinanza, offrendo gli strumenti e le conoscenze necessarie per gestire i consumi in modo intelligente. Bisogna in altre parole puntare alla digitalizzazione dell’intero sistema. Solo così le rinnovabili potranno dare il meglio.
Cristiano Ghidotti

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 2 marzo 2017

 

 

Sensi unici e inversioni - I rebus di piazza Libertà

Punti critici per la nuova viabilità in viale Miramare e allo sbocco di via Ghega Raffica di semafori in arrivo. Via i parcheggi vicini alla Tripcovich e al giardino

Dopo la presentazione del progetto in commissione l’assessore all’Urbanistica Luisa Polli spiega come il traffico sarà più fluido

Sarà tutto un senso unico. Questa è la filosofia di base del nuovo assetto della viabilità che rientra nel piano di riqualificazione di piazza Libertà, presentato nei giorni scorsi alla IV commissione consiliare dall'assessore ai Lavori pubblici, Elisa Lodi, e dalla dirigente comunale Marina Cassin. E che verrà illustrato la prossima settimana dall'assessore all'Urbanistica, Luisa Polli, ai consiglieri comunali. Un progetto fondato su principi che dovrebbero rendere «molto più fluido il traffico» e presentare più agevole lo spazio fruibile dai pedoni grazie anche all'allargamento dei marciapiedi. La macchia asfaltata intorno alla stazione dei treni sarà sicuramente più zebrata e probabilmente si inserirà un numero maggiore di semafori. Ma saranno risolti così tutti i problemi dell'ingresso in città e dell'uscita, in un'area ovviamente devastata dal traffico? Vediamo che cosa invece si potrebbe migliorare. Le novità che maggiormente colpiscono riguardano viale Miramare, come prosecuzione di via Cellini, e via Flavio Gioia. Nel primo caso, come già anticipato, chi sarà alla guida dei veicoli, non potrà svoltare a sinistra verso la stazione all'altezza dell'incrocio con via Pauliana, ma dovrà proseguire dritto in direzione Roiano. Secondo Polli infatti questa svolta a sinistra è uno snodo pericoloso che bisogna togliere «sia per le auto che per i bus: lì infatti si ha un brevissimo lasso di tempo per passare, poiché il semaforo segna verde da via Pauliana già dopo pochi secondi». Una situazione però senza vie d'uscita, quella nuova, per chi sbagliasse strada. Come potrebbe riprendere il guidatore una carreggiata verso il centro città? Secondo l'assessore Polli, «facendo inversione nell'area di fianco alla stazione dove sostano normalmente i taxi». Una mossa che forse potrebbe creare qualche impiccio o rallentamento, per non dire degli incidenti. E soprattutto cosa ne penseranno i tassisti che stanziano d'abitudine in piedi a chiacchierare con i colleghi, e con le portiere aperte? Nel secondo caso invece, quello di via Gioia, il guidatore potrà svoltare a sinistra, oltre che proseguire dritto, scegliendo due opzioni: inserirsi in largo Città di Santos, o girare a gomito per infilarsi su corso Cavour verso le Rive. Con questa nuova conformazione si potrebbe creare qualche rallentamento di manovra, in particolare seguendo la seconda scelta. Per dare vita alla nuova impostazione, si dovrà sicuramente implementare il numero di attuali semafori già presenti agli incroci, o dipingere qualche nuovo stop. Alla fine di via Ghega, in angolo con piazza Libertà dove affluirà anche il traffico di corso Cavour, basterà girare i semafori nell’altro senso. Un nuovo apparecchio regola-traffico dovrà essere sicuramente collocato davanti alla stazione, sul lato destro (se si danno le spalle all'edificio), dove finalmente verrà inserito un attraversamento pedonale, senza l'obbligo così di usufruire del sottopassaggio. Un ulteriore semaforo dovrà essere posto alla fine di via Gioia, magari sfruttando quelli che già ci sono all'inizio della strada a disposizione degli autobus. Nella strategia del Comune il fattore semaforo gioca un ruolo particolare: «Il primo verde accelera e sveltisce la corsa del guidatore». Quindi se un utente con l'auto parte dalla stazione con il verde, «potrà arrivare - spiega Polli -, senza fermarsi fino alla vecchia stazione di Campo Marzio». Le direzioni a senso unico, come ha affermato l'assessore Polli, diminuiscono l'inquinamento perché «con la famosa onda verde il traffico è più scorrevole, ci sono meno stop and go e così si migliora la qualità ambientale oltre lo stress di pedoni e guidatori». Scompariranno i posteggi ai lati della sala Tripcovich, cioè all'entrata del Porto vecchio, così come sui bordi laterali del giardino. Il progetto di riqualificazione però non prevede per il momento un aumento di stalli gratuiti, utili per esempio a carico e scarico del passeggero viaggiatore. Per eventuali parcheggi liberi, «essendo il Silos in concessione a Saba Italia, che paga una certa cifra al Comune per avere quell'area, ci siamo impegnati - ha affermato Polli - a non fare parcheggi liberi perché sarebbe una concorrenza sleale». «Si può ragionare però riguardo dieci posti a un euro all'ora per una breve fermata di questo tipo».

Benedetta Moro

 

 

Con il naso all’insù nel suggestivo mondo degli uccelli

Teoria e pratica Le lezioni di birdwatching sono gratuite e aperte a chiunque. Previste anche uscite sul territorio e la costruzione di casette

Appassionati di birdwatching, ma anche semplici cittadini, curiosi di imparare a riconoscere anche dal cinguettio le varie specie di uccelli che vivono nei nostri parchi e giardini urbani. È rivolto a tutti il secondo ciclo di incontri di preparazione al birdwatching che insegnerà pure a costruire delle casette nido, da collocare negli orti per aumentare la biodiversità locale, e delle mangiatoie invernali che aiutino le popolazioni svernanti facilitandone l’osservazione. Al via domani alle 17.30 al Lab 15 di via Valdirivo 15, è promosso da Urbi et Horti, associazioni Bioest, Il Ponte, Legambiente, Aias, Anglat Fvg, Lapis, Multicultura, Arci Servizio Civile Trieste e Fvg, Comitato pace convivenza solidarietà Danilo Dolci e Azienda Sanitaria. Il corso, gratuito e aperto a tutti previa iscrizione (info al 3287908116), prevede due incontri pratici e alcuni teorici con uscite sul territorio. Gli incontri tematici utili a conoscere e riconoscere l’avifauna saranno svolti da Matteo Giraldi, responsabile provinciale della Lipu. Non sono infatti solo pettirossi, cinciallegre e cardellini a popolare e “cinguettare” nei nostri orti e giardini. E potremmo facilmente aiutarli a superare l’inverno e a difendersi da specie che ne mettono a rischio la sopravvivenza stessa, come gazze, cornacchie e gabbiani. Il corso è utile a fornire anche queste preziose e utili nozioni. «Ripetiamo con grande piacere questo ciclo - spiega la referente di Urbi et Horti Tiziana Cimolino -, finalizzato a poter osservare con strumenti adeguati l’avifauna urbana del territorio, che nella prima edizione ha visto una grossa partecipazione (più di 50 persone) sia alle lezioni teoriche che a quella pratiche. Il corso ha suscitato grande interesse in tanti giovani nuovi osservatori, ma ha visto la partecipazione anche di molti anziani che hanno tolto i binocoli dai cassetti per osservare le numerose specie e ascoltarne il canto». «C’è grande interesse - conferma Giraldi - soprattutto per le specie più comuni che frequentano i parchi e giardini e di cui spesso non ci accorgiamo. Partiamo con due lezioni teoriche in programma domani e il 10 marzo. Si imparerà a riconoscere le differenze tra i vari tipi di canto e svelerò dei trucchetti per memorizzare quelli delle specie più comuni, che spesso, trattandosi di piccoli passeriformi, si sentono, ma non si vedono. Le uscite verranno effettuate più in là per attendere gli uccelli migratori secondo un calendario che concorderemo con i partecipanti e diffonderemo in seguito. Lo scorso anno abbiamo fatto una buona esperienza nel polmone verde del parco di San Giovanni: quest’anno sposteremo l’attenzione sul Carso». ©

Gianfranco Terzoli

 

 

Ex OPP - Corso apicoltura - ultimo incontro
Settimo e ultimo appuntamento, oggi alle 17, con il corso di avviamento all’Apicoltura “Urbi et horti” al Padiglione I dell’ex Opp, vicino al Posto delle fragole. I partecipanti impareranno le regole e le leggi a cui attenersi in apicoltura, come costruire e posizionare un’arnia in equilibrio con l'ambiente. Le lezioni pratiche in apiario si terranno al Parco di San Giovanni, ogni sabato alle 10 su indicazione del maestro. Il corso è promosso da Urbi et Horti, Bioest, Il Ponte, Legambiente Trieste, Aias, Anglat Fvg, Lapis, Multicultura, Arci Servizio Civile Trieste e Fvg, Comitato pace convivenza solidarietà Danilo Dolci e Azienda Sanitaria, Circolo Istria.

 

 

 

 

StaffettaOnLine.com - MERCOLEDI', 1 marzo 2017

 

 

Emissioni in atmosfera dalle navi: l'UE e l'IMO - I combustibili marittimi a livello UE
Le norme ambientali sui combustibili per uso marittimo - previste dalla Direttiva 2012/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012, con la quale sono state apportate modifiche alla Direttiva 1999/32/CE relativa al tenore di zolfo dei combustibili marittimi come modificata dalla Direttiva 2005/33/CE - hanno consentito di ridurre non soltanto le emissioni di zolfo ma, soprattutto, di particolato, segnando un chiaro passo avanti nella tutela della salute dei cittadini e dell’ambiente dell’Unione Europea (UE). La Direttiva 2012/33/UE rappresenta infatti la risposta dell’UE alle norme elaborate in seno all’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO).
La politica ambientale dell’Unione, definita nei programmi di azione in materia ambientale e in particolare nel Sesto Programma di azione per l’ambiente (adottato con decisione n. 1600/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio) e successivamente nel Settimo Programma di azione per l’ambiente (adottato con decisione n. 1386/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio), ha infatti tra i suoi obiettivi il conseguimento di livelli di qualità dell’aria che non comportino gravi effetti negativi o rischi per la salute umana e per l'ambiente.
In particolare, nel periodo compreso tra il 22 luglio 2002 e il 21 luglio 2012, per l’attuazione del Sesto programma comunitario di azione per l’ambiente intitolato “Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta” si è fatta strada l’esigenza di uniformare la disciplina relativa al tenore di zolfo dei combustibili marittimi. Tale armonizzazione, iniziata con la Direttiva 2005/33/CE e poi continuata con la Direttiva 2012/33/UE, si è completata con la recente Direttiva di mera codificazione 2016/802/UE.
Pertanto, con la Direttiva 2012/33/UE la legislazione europea del settore dei combustibili marittimi ha compiuto un importante passo avanti verso la normativa internazionale, risultando soprattutto in conformità con l’allegato VI, riveduto, della Convenzione Marpol, che introduce limiti più severi al contenuto di zolfo per il combustibile per uso marittimo in aree SECA (SOx Emission Control Area). In tale ambito, le disposizioni contenute nella direttiva garantiscono anche - qualora siano introdotte ulteriori modifiche all’Allegato VI della Convenzione Marpol - una modifica della stessa direttiva da parte della Commissione Europea, proprio al fine di assicurare un completo allineamento tra la Direttiva 1999/32/CE e le norme IMO relative alle aree SECA. Nel merito, limitatamente alla disciplina del tenore di zolfo dei combustibili marittimi, sono state apportate modifiche alla Direttiva 1999/32/CE promuovendo l’uso di tecnologie e metodi alternativi rispetto a quelli tradizionali (ossia basati sui combustibili), come ad es. l’utilizzo di sistemi di depurazione dei gas di scarico a bordo (ad es. Scrubber), di combustibili alternativi come il gas naturale liquefatto (GNL) e di sistemi elettrici lungo la costa (cold ironing).  
In Italia
Al fine di rispettare il termine imposto per il recepimento della Direttiva 2012/33/UE nei singoli ordinamenti nazionali, fissato al 18 giugno 2014, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, ha avviato una intensa attività istruttoria che ha visto il coinvolgimento delle principali amministrazioni competenti e delle autorità e degli operatori del settore marittimo, al fine di addivenire ad un testo di decreto condiviso e rispettoso delle importanti novità introdotte dalla suddetta direttiva nei termini previsti.
Con Decreto Legislativo 16 luglio 2014, n. 112, pubblicato in GU n. 185 del 12 agosto 2014, è stata quindi data piena attuazione alla Direttiva 2012/33/UE, introducendo, nell’ordinamento nazionale,  una serie di modifiche e di integrazioni alla vigente disciplina relativa ai combustibili per uso marittimo, contenuta - come è noto - nel titolo III, alla parte V del Decreto Legislativo 30 giugno 2006 n. 152 “Norme in materia ambientale” ed in particolare agli articoli 292, 295 e 296 nonché all’allegato X, parte I, sezione 3.
UE ed IMO
Le principali novità introdotte in ambito comunitario dalla Direttiva 2012/33/UE hanno interessato gli adempimenti a carico delle autorità nazionali e degli operatori, i metodi di riduzione delle emissioni alternativi ai combustibili a ridotto tenore di zolfo, l’esenzione di responsabilità per l’impossibilità di approvvigionarsi di combustibile a norma, ma soprattutto i limiti del tenore di zolfo dei combustibili.
È stato infatti introdotto in via generale, con riferimento ai combustibili marittimi usati nelle acque territoriali, nelle zone economiche esclusive e nelle zone di protezione ecologica, un limite massimo di tenore di zolfo pari al 3,50%, fatti salvi i limiti più severi previsti per specifiche fattispecie (come la messa in commercio di gasoli ed oli diesel, l’uso nelle zone di controllo delle emissioni di SOX, l’uso su navi passeggeri, l’uso durante l’ormeggio, ecc.). Tale limite generale é destinato a ridursi, dal 1° gennaio 2020, allo 0,50%.  
Per quanto attiene ai limiti riferiti a specifiche fattispecie è stato previsto, per l’uso nelle cosiddette SECA, un tenore massimo di zolfo dell’1,00% e, dal 1° gennaio 2015, dello 0,10%.  Negli altri casi, gli attuali limiti sono stati corretti prevedendo l’inserimento della cifra “0”come secondo decimale (per esempio, il limite “1,5%” diventa “1,50%”).
La successiva decisione di esecuzione 2015/25/UE del 16 febbraio 2015 della Commissione Europea a supporto dell’applicazione della Direttiva 2012/33/UE ha stabilito le norme concernenti il campionamento e le relazioni da presentare alla Commissione Europea a norma della 1999/32/CE, funzionali al conseguimento dei benefici ambientali e per la salute umana, nonché alla promozione della concorrenza leale e della accresciuta sostenibilità nel settore dei trasporti marittimi.
Va a questo punto sottolineato come, all’atto del recepimento da parte dell’Italia e degli Stati dell’Unione, sussistesse una discrepanza tra normativa UE ed IMO.
La normativa europea infatti, con la Direttiva 2012/33/UE aveva previsto che, per gli Stati Membri dell’UE, non si applicasse la cosiddetta “clausola di revisione al 2018”, prevista invece dall’IMO e tesa a verificare al 2018 l’effettiva disponibilità di bunker a basso tenore di zolfo in grado di soddisfare la domanda del mercato al 2020 e un’eventuale  opzione  di traslare l’entrata in vigore di tale limite al 2025, scelta che avrebbe creato di certo livelli diversi di tutela ambientale, basti pensare al caso di bacini marittimi condivisi.
Pertanto, secondo le disposizioni della legislazione europea nelle acque territoriali, nelle zone economiche esclusive e nelle zone di protezione ecologica dei Paesi Comunitari, i combustibili marittimi usati avrebbero dovuto rispettare in ogni caso il limite dello 0,50% al 2020, indipendentemente dalle decisioni che avrebbe potuto adottare l’IMO a quella data.
Fortunatamente, è il caso di dire, l’IMO - completata ben prima del 2018 una ricognizione sulla disponibilità di bunker a basso tenore di zolfo - ha confermato una sufficiente disponibilità a livello mondiale di combustibile conforme e ha stabilito durante il MEPC 70 (Marine Environment Protection Committee) di fine ottobre 2016 e all’esito dei lavori del PPR4 (sub-committee on pollution prevention and response),  l’entrata in vigore del limite del tenore di zolfo allo 0,50%  dal 1° gennaio 2020.
A valle di ciò, non si può non concordare sull’indubbio valore della scelta dell’IMO, che garantirà non solo una maggiore salvaguardia ambientale e della salute umana a livello globale, ma tenderà sempre più ad uniformare la normativa internazionale e quella comunitaria.
Sarà fondamentale e delicata l’attività prossimo-futura, per operare un passaggio graduale al limite 0,50% m/m del tenore di zolfo. Si dovranno valutare gli eventuali meccanismi di controllo e le azioni necessarie per garantire il rispetto e un’attuazione coerente in tutti gli Stati, la predisposizione di un sistema standardizzato per la segnalazione di non disponibilità di combustibile a norma, lo sviluppo di eventuali linee guida che possano assistere gli Stati e le parti interessate.  Di grande interesse saranno anche i lavori di revisione della norma ISO 8217:2012 che definisce le specifiche per i combustibili marini, da parte dell’Organismo Internazionale di Normazione - ISO, di cui è attesa una nuova versione che dovrebbe tener conto della nuova qualità di combustibile richiesto.
L’Unione Europea non può che guardare con attenzione e interesse a come, in ambito IMO, si affronteranno i complessi risvolti di tale scelta, mettendo in campo le esperienze finora maturate dagli Stati dell’UE.  
Pertanto il focus sarà incentrato sui lavori in seno al prossimo MEPC 71 di luglio 2017, che vedranno anche gli Stati membri dell’UE coinvolti in un dibattito che si spera sarà costruttivo e bilanciato visti gli equilibri internazionali in gioco. Anche l’Europa, infatti, potrebbe vedere mutati i propri interessi non solo ambientali ma anche economici, con possibili ripercussioni sul mercato interno qualora il mondo della raffinazione mondiale non fosse in grado malauguratamente di soddisfare il fabbisogno di combustibili secondo i nuovi standard di qualità richiesti al 2020. Interessante in tale ottica, sarà vedere anche come risponderà alla nuova regolamentazione a livello mondiale il mercato delle tecnologie di abbattimento delle emissioni di SOx in atmosfera, alternative al bunker a norma.
BIBLIOGRAFIA
- Direttiva 2012/33/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012 che modifica la direttiva 1999/32/CE del Consiglio relativa al tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo;
- Direttiva 1999/32/ CE del Consiglio del 26 aprile 1999  relativa alla riduzione del tenore di zolfo di alcuni combustibili liquidi e che modifica la direttiva 93/12/CEE;
- Decreto legislativo 112/2014, di attuazione della direttiva 2012/33/UE che modifica la direttiva 1999/32/CE relativa al tenore di zolfo dei combustibili per uso marino;
- Direttiva 2005/33/CE che modifica la direttiva 1999/32/CE in relazione al tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo;
- Decreto legislativo n.152/2006, recante Norme in materia ambientale;
-Convenzione MARPOL, Convenzione internazionale per la prevenzione dell'inquinamento causato da navi;
- Decisione di esecuzione  2015/253 della Commissione, del 16 febbraio 2015,  che stabilisce le norme concernenti il campionamento e le relazioni da presentare a norma della direttiva 1999/32/CE del Consiglio per quanto riguarda il tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo;
-ISO 8217:2012 Petroleum products — Fuels (class F) — Specifications of marine fuels

 Lorianna Annunziata e Giulia Magnavita (CNR Istituto sull’inquinamento atmosferico-UOS Roma, c/o MATTM)

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 1 marzo 2017

 

 

Piazza Libertà esce dal cassetto - Rivoluzione della viabilità in vista

Illustrazione in commissione - Sarà mantenuto lo spazio verde Spesa totale di 4,6 milioni e conclusione del cantiere entro il 2018
Dopo tredici anni di carte, di conferenze dei servizi, di attese la riqualificazione di piazza Libertà dovrebbe finalmente sortire dal congelatore delle incompiute. Il progetto esecutivo è pronto dal 2015. Sono già disponibili quasi 4 milioni di euro frutto della somma di 2,3 milioni statali e 1,5 milioni regionali, ai quali si aggiungeranno 800mila euro comunali affinchè AcegasApsAmga realizzi i sottoservizi: in tutto 4,6 milioni. Le gare saranno bandite dopo l’estate e i lavori saranno completati nell’arco di un anno, terminabili quindi entro la fine del 2018. L’intervento si basa su tre elementi portanti: la viabilità, i marciapiedi e l’area verde, il trasporto pubblico. Il progetto è stato presentato ieri mattina alla IV commissione consiliare dall’assessore ai Lavori pubblici Elisa Lodi e dalla dirigente comunale Marina Cassin, che da anni segue il dossier. La novità più rilevante per la cittadinanza riguarda il riassetto viario. Con tre innovazioni. Innanzitutto, percorrendo piazza Libertà verso viale Miramare, non si potrà più girare a sinistra davanti alla Stazione: in questo modo si elimina l’insidioso ingombro “a tre” tra via Pauliana, piazza Libertà e l’inizio di viale Miramare. Direzione obbligata: tirare dritto verso Roiano. Per raggiungere la Stazione si utilizzerà allora via Ghega, che nella sua parte finale vedrà invertire l’attuale senso unico: quindi l’automobilista potrà percorrere interamente la via da piazza Dalmazia fino a piazza Libertà, che sarà sgravata dalle fermate dei bus. Fermate dei bus, come vedremo nell’articolo a fianco, che saranno spostate nel lato della piazza tra il Silos e la Tripcovich. La terza novità riguarda la “bretella” tra largo città di Santos e corso Cavour che diventerà un senso unico in direzione del centro. L’obiettivo del Comune è rendere più accessibile e presentabile l’intera piazza. A tale scopo si amplieranno i marciapiedi sia all’uscita della Stazione che attorno all’area verde dello spazio urbano, a sua volta oggetto di ripristino e di mantenimento (a scanso di polemiche). Si provvederà a ripavimentare le zone pedonali. La carreggiata, davanti alla Stazione, avrà tre corsie e non imbottiglierà il traffico. Verrà risistemato il trascurato sottopasso. Sarà realizzato un passaggio pedonale “protetto” tra l’uscita della Stazione e il giardino della piazza. Accontentati anche i ciclisti con una pista che correrà verso via Trento, dove già esiste la corsia per le bici. Largo città di Santos, situato dietro la Tripcovich e all’ingresso di Porto vecchio, sarà liberato dai parcheggi, per valorizzare le porte dell’ex Punto franco vecchio. Confermati i taxi nel lato della Stazione che dà su viale Miramare. Comprensibilmente partecipato il dibattito, introdotto dal presidente Michele Babuder (Fi), che sulla riqualificazione aveva presentato una mozione co-firmata con Alberto Polacco e Piero Camber. Sono intervenuti Paolo Menis e Gianrossano Giannini (M5S), un rappresentante dipiazzista (Francesco Bettio), due leghisti (Antonio Lippolis, Giuseppe Ghersinich), Maria Teresa Bassa Poropat (Insieme per Trieste). Apprezzato in genere il fatto che un progetto di lungo trascinamento abbia buone possibilità di essere realizzato. Le domande hanno riguardato in particolare il destino della sala Tripcovich, la “bretella” verso corso Cavour, la tipologia delle pensiline nel futuro “hub” degli autobus, l’incrocio con via Pauliana, la tempistica delle gare, la collocazione della stazione dei pullman, la pista delle bici, il “nodo Silos”. Argomento battuto anche la prossimità della piazza agli accessi in Porto vecchio. Un lavoro importante toccherà ad AcegasApsAmga, che dovrà provvedere ai cosiddetti “sottoservizi” ovvero alle opere di infrastrutturazione energetica (gas ed energia elettrica) per l’approvvigionamento di Porto vecchio. «Anche perché - ha chiarito Marina Cassin - una volta ripavimentata e risistemata la piazza, sarebbe francamente inopportuno doverla nuovamente spaccare».

Massimo Greco

 

"La sala Tripcovich non c'entra" - L’assessore Lodi e la dirigente Cassin: «Ininfluente il futuro dell’immobile»

La conclusione di Menis (M5S) Lo stabile sopravviverà se davanti si ripavimenta
Ma la Sala Tripcovich resta in piedi per garantire alle manifestazioni artistiche una sala ampia e dalla buona acustica o verrà rasa al suolo per assicurare a Porto vecchio un accesso più maestoso? La curiosità dei consiglieri comunali, impegnati ieri mattina nei lavori della IV commissione, è rimasta però in gran parte elusa/delusa, in quanto l’assessore ai Lavori pubblici Elisa Lodi e la dirigente Marina Cassin hanno dichiarato che il futuro assetto di piazza Libertà prescinde dal destino dell’ex stazione delle autocorriere, eretta negli anni ’30 su doppia firma Baldi&Nordio. Ovvero: che la struttura resti al suo posto o che venga abbattuta, il compendio di lavori, programmato dal progetto esecutivo presentato ieri mattina, non cambierà. Inoltre, ha aggiunto l’assessore Lodi, poichè la sala Tripcovich appartiene al Teatro Verdi, riesce difficile disporne. Marina Cassin ha chiarito che i lavori di ripavimentazione della piazza riguarderanno anche il marciapiede davanti alla sala. A chiedere lumi sulla connessione tra piazza Libertà e la dibattuta sala erano stati in particolare Menis (M5S) e Lippolis (Ln), su versanti differenti. Se il primo desumeva che la ripavimentazione davanti alla sala avrebbe implicato la sopravvivenza dell’edificio, il secondo si preoccupava invece che la coazione tra la Tripcovich e la futura stazione delle corriere non interferisse negativamente con l’accesso al Porto vecchio. La replica della Lodi e della Cassin rendeva il caso Tripcovich meno croccante. In un intervento su Facebook il “dem” Giovanni Barbo, presente in commissione, si chiedeva se «le ventilata demolizione era uno scherzo? O è uno scherzo il progetto per piazza della Libertà? Oppure ci sarà uno spiazzo vuoto circondato da ripavimentazione nuova di zecca?». La vicenda Tripcovich era riesplosa a fronte dell’intenzione manifestata dal sindaco Dipiazza di abbattere un edificio, ritenuto dal primo cittadino un ingombro in piazza Libertà e un ostacolo per Porto vecchio. Il centrosinistra si è schierato a favore del mantenimento in servizio di una sala che ospita manifestazioni culturali e artistiche importanti, in quanto può contare su solidi asset (quasi un migliaio di posti in platea, ampiezza del palco, acustica). Una mozione in Consiglio comunale, a cura dell’opposizione, auspicava il reperimento di fondi per assicurarne l’attività. I lavori per realizzare la sala erano iniziati nel 1992 con un finanziamento di Raffaello de Banfield. Le operazioni - racconta il sito - furono curate da Dino Tamburini. Il progetto artistico fu ideato da Andrea Viotti, la direzione lavori e i calcoli strutturali rispettivamente di Franco Malgrande e Giorgio Sforzina.

magr

 

E i bus traslocano a fianco del Silos - Le fermate saranno spostate e concentrate in un unico sito - Solo la linea “17” destinata a restare al suo posto attuale
A più riprese il sindaco Dipiazza ha insistito sull’immagine di piazza Libertà come “biglietto da visita” della città, per chi entra a Trieste da nord. Ma il biglietto da visita presenta, oltre alle necessità di arredo urbano, valenze operative strategiche dal punto di vista urbanistico. È il luogo di scambio tra gomma e binario, tanto per cominciare. C’è la necessità di contemperare la gomma pubblica e quella privata. C’è l’ingresso al Porto vecchio, di recente trasferito al Comune. Ecco perché bus e corriere detengono un’ovvia rilevanza nel riassetto di questo spazio. Le fermate dei mezzi di Trieste Trasporti saranno tutte concentrate nel lato della piazza che si estende tra la Sala Tripcovich e il Silos in quello che i tecnici definiscono, sulla scorta dei modelli ferroviari e aeroportuali, un “hub”. Quindi, per esempio, il viaggiatore, che esce dalla Stazione Centrale e cerca un bus, lo troverà guardando alla sua destra. Solo una fermata resterà nel suo attuale sito e non sarà trasferita: riguarda la linea 17. Attualmente le fermate sono disperse su tre lati della piazza, il progetto di riqualificazione - presentato ieri mattina in IV commissione del Consiglio comunale - intende dare razionalità al passaggio e alla sosta del trasporto pubblico in uno dei punti cruciali della logistica cittadina e provinciale, perché da piazza Libertà transitano/fermano i mezzi che vanno verso Muggia, verso Cattinara, verso Roiano, verso Barcola, verso San Giusto. Cittadini e turisti accomunati dalla possibilità di approdi meglio organizzati per salire su un bus. In commissione qualcuno - maliziosamente - ha domandato come saranno le pensiline, viste le recenti proteste di un’utenza esposta alle gelide alitate della bora: ma alle pensiline - hanno replicato dalla regìa municipale - ci penserà, con l’eventuale supporto di qualche sponsor, la concessionaria del servizio. Se il futuro degli autobus in piazza Libertà sembra sufficientemente chiaro, l’avvenire dei pullman andrà meglio definito con il concessionario del Silos. I pullman non fruiranno più dell’attuale transito dal Silos, poichè sarà realizzata un’apposita stazione a fianco dello stesso Silos, nella parte che confina con il Porto vecchio. Ma, non essendo questa costruzione a cura del Comune, il progetto municipale non la prende in considerazione se non per indicare la futura collocazione del sito pullman. Il lay-out non dovrebbe cambiare in modo significativo, in quanto la corriera in uscita passerà per largo città di Santos, ripulita da parcheggi e da jersey, per poi disimpegnare verso piazza Libertà o verso corso Cavour, a seconda delle destinazioni. La questione della stazione pullman è legata a quella che nel dibattito in commissione è stata definita “nodo Silos”, una precaria identità spartita tra parcheggi, rifugio di migranti, shopping per viandanti, mentre si attende il decollo del centro congressi. La preoccupazione comunale è che, a fronte dell’impegno dell’amministrazione a rimettere in sesto la piazza, una parte dell’area resti alla mercè del degrado.

magr

 

 

Ambiente - In piazzale Rosmini arriva la centralina Arpa
Se piazza Libertà aspetta con curiosità di veder decollare la “rivoluzione” viaria, piazzale Rosmini attente la bonifica del giardino, inserito nelle zone verdi inquinate della città e, pertanto, dichiarate off limits. Sul fronte del risanamento ambientale dell’area, l’Arpa fa sapere di aver quasi ultimato le opere di allacciamento alla rete elettrica della stazione di monitoraggio per la qualità dell’aria. Vengono così a completarsi gli interventi di ammodernamento della rete di monitoraggio prevista dall’Agenzia e approvati da Regione e ministero dell’Ambiente. Lo rende noto la stessa Arpa, che segnala anche l'importanza della stazione di piazzale Rosmini in quanto misura i valori di “fondo”, sia per quanto riguarda la qualità dell’aria urbana, sia ai fini dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) concessa allo stabilimento siderurgico della Ferriera. In piazzale Rosmini, oltre al rilevamento dei parametri standard, quali le polveri sottili e gli ossidi di azoto, verranno misurati anche gli idrocarburi policiclici aromatici e i metalli previsti dalla normativa (arsenico, piombo, nichel e cadmio). Inoltre, la stazione è stata dotata di un sistema di misura delle deposizioni di polveri. L’Agenzia per l’ambiente annuncia anche alcune importanti novità per la stazione di San Lorenzo in Selva, che l’Aia individua quale principale punto per la misura delle performance dello stabilimento siderurgico di Servola. In proposito Arpa informa che la stazione in questione è stata attivata nel 2007, in seguito ad una specifica richiesta della magistratura, ricorrendo ad un mezzo mobile.

 

Muggia - Le nuove luci a led sul lungomare - I 32 corpi luminosi assicureranno risparmio energetico e migliore efficienza
Trentadue nuovi impianti luminosi a Led. Li ha installati AcegasApsAmga sul lungomare di Muggia, sia lungo la strada provinciale sia sulla nuova pista ciclabile, nella zona che va dal molo a T a punta Olmi, parallelamente alla strada provinciale 14. «Si tratta di impianti che, rispetto alle tradizionali lampade a sodio e mercurio, non solo permettono una migliore illuminazione dell’area rendedola più sicura, ma assicurano anche una migliore efficienza e sostenibilità». I punti luce installati sul lungomare sono dotati di dispositivi per la riduzione automatica del flusso nelle ore notturne, caratteristica non installabile su modelli non a Led. Inoltre, i nuovi impianti, detti cut-off, consentono di orientare la luce emessa direttamente verso la strada e la pista ciclabile, evitando la dispersione luminosa nelle aree circostanti, rispondendo a quanto richiesto dalle normative vigenti in materia che impongono di minimizzare la dispersione diretta di luce. A conti fatti i vantaggi dei nuovi corpi illuminanti permettono di consumare circa il 70% in meno rispetto ad un tradizionale impianto luminoso a mercurio e sodio, a parità di intensità di luce emessa; conseguentemente anche le emissioni di Co2 si riducono drasticamente. Soddisfatta Laura Marzi: «Questo ulteriore intervento va a migliorare anche in termini di sicurezza oltre che di qualità dell'illuminazione la prima parte della costa già riqualificata - commenta il sindaco di Muggia -, un’opera davvero completa, che vede concluso in toto il primo di quella serie di interventi che andranno a rivedere completamente il litorale per un totale di un chilometro e 300 metri da Porto San Rocco fino a Punta Olmi con una cifra in ballo del valore di oltre sette milioni di euro». D’accordo il vicesindaco e assessore ai Lavori Pubblici Francesco Bussani: «Nonostante le difficoltà finanziarie con le quali il Comune deve continuamente destreggiarsi, sta proseguendo l'iter per riuscire a riconsegnare ai muggesani la loro costa da Muggia a Lazzaretto. Il tratto di cui possono godere, ora anche con impianti luminosi dotati della nuova e più moderna tecnologia Led, è il primo assaggio di un lavoro che stiamo portando avanti con impegno e tenacia». Il potenziamento dell’illuminazione sulla costa dovrebbe fungere dunque anche da deterrente per chi volesse compiere atti di vandalismo o furti.

(r.t.)
 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 28 febbraio 2017

 

 

Ok alla Tari ridotta a chi dona il cibo - Sì in Commissione alla tassa rifiuti scontata anche per associazioni non riconosciute
La lotta allo spreco alimentare passa anche attraverso la riduzione delle tasse. Dopo essere stata vagliata nelle sette circoscrizioni comunali, la modifica al regolamento per la disciplina dell’Imposta unica comunale (Iuc) è stata discussa dalla Seconda commissione consiliare. La seduta, alla presenza dell’assessore al Bilancio Giorgio Rossi, è durata giusto il tempo per presentare un emendamento di commissione che è stato accolto da tutti i consiglieri presenti. «Il punto più importante della delibera all’ordine del giorno - spiega il presidente della Seconda commissione Roberto Cason (Lista Dipiazza) - riguarda sicuramente la riduzione della Tari, la tassa sui rifiuti, in seguito alla cessione di eccedenze alimentari da parte delle utenze non domestiche relative ad attività commerciali, industriali e professionali che producono o distribuiscono beni alimentari». Stando alla delibera, il Comune di Trieste stabilisce riduzioni che vanno calcolate sulla parte variabile della tariffa dovuta per l'anno successivo a quello nel quale le donazioni sono state effettuate, a patto che queste siano avvenute a titolo gratuito e in favore di associazioni assistenziali o di volontariato che si occupano di distribuire generi alimentari alle persone bisognose e agli animali. La riduzione percentuale sarà variabile, a seconda della quantità di prodotti alimentari donati nel corso di un anno, e si assesterà al 6% tra i 5 e i 10 quintali, all’8% fra i 10 e i 20 quintali, e al 10% nel caso la donazione superi i 20 quintali annui. Le riduzioni saranno concesse a condizione che il contribuente dimostri l’avvenuta cessione ad associazioni assistenziali o di volontariato. Il presidente Cason ha chiesto alla commissione di estendere la possibilità di cedere le eccedenze alimentari anche alle associazioni non riconosciute, senza personalità giuridica, purchè queste siano regolarmente iscritte nei registri o negli elenchi pubblici dal momento che sono molto poche le associazioni aventi personalità giuridica presenti sul territorio ed è anche per questo motivo che la proposta di Cason è stata accolta in maniera bipartisan dai consiglieri presenti.

Luca Saviano

 

 

I nuovi contacalorie slittano a fine giugno - Ritardatari “graziati” - Ok da Roma alla proroga. Stop alle multe da 500 a 2500 euro - Per l’Anaci a Trieste resta un 25% di stabili da regolarizzare
Per inserire i contacalorie sui radiatori degli appartamenti c’è tempo fino al 30 giugno 2017. Chi finora non ha ottemperato - perchè l’assemblea condominiale non ha deliberato o perchè l’intervento è stato deliberato ma non ancora eseguito - non pagherà la multa, che varia tra i 500 e i 2500 euro. Tra le innumerevoli incombenze affrontate alla fine del 2016 dal decreto legge “Milleproroghe”, c’è anche - ripetizione inevitabile - la proroga relativa ai contabilizzatori di calore nei condomini con la caldaia centralizzata. Il decreto ha ottenuto il sì definitivo della Camera giovedì scorso, dove si è lungamente dibattito su taxisti, ambulanti, concessioni balneari. Il primo termine, per applicare le valvole, scadeva il 31 dicembre scorso, ma le forti pressioni sull’esecutivo, esercitate soprattutto da Confedilizia, hanno indotto il governo Gentiloni ad accordare un ulteriore “tregua” semestrale. «Proroga salvifica»: lo stato d’animo degli operatori viene efficacemente riassunto da Silvio Spagnul, presidente dell’Anaci triestina, l’associazione che organizza gli amministratori degli stabili. «A Trieste resta ancora un buon quarto di pratiche da sistemare - prosegue Spagnul - per cui il prolungamento a giugno riesce obiettivamente utile». Problema irrisolto quello dei controlli: «Se ne occupa la Regione, che delegherà il compito ma non sappiamo a chi». A Trieste era spuntata la candidatura di Esatto. Trasparenza dei consumi e risparmio energetico: la questione-valvole aveva mobilitato un’ampia platea di attori interessati, dai proprietari immobiliari agli amministratori di stabili, fino alle aziende specializzate nell’installazione dei congegni necessari alla misurazione termica. Secondo una valutazione del presidente di Confartigianato Dario Bruni, imprenditore del settore, a Trieste sono interessate al provvedimento, correlato a una direttiva Ue del 2012 (con tanto di procedura di infrazione dedicata all’Italia), circa 2700 caldaie superiori ai 35 kwAtt: ma, poichè una caldaia può servire più condominii, il numero di stabili effettivamente coinvolti, soprattutto quelli edificati nei decenni del boom edilizio, va moltiplicato perlomeno per 2-3. Il giro d’affari, mosso dal dlgs 141/2016, è cospicuo, qualora si pensi che la spesa, sostenuta in media per ogni appartamento, viene stimata in una “forchetta” tra i 600 e i 1000 euro (a seconda di quanti siano i radiatori). «La proroga è assolutamente necessaria - commenta a sua volta l’avvocato Maurizio De Angelis, presidente della Confedilizia triestina - se non altro per la carenza di materia prima, ovvero delle valvole, dal momento che tutti i condominii si sono mossi per comprarle ed era sorto un problema di approvvigionamento». «Si pensi poi a un contratto stipulato tra novembre e dicembre, quando la stagione termica aveva già avuto inizio, quindi si registrava la frequente impossibilità di eseguire i lavori di installazione». De Angelis ha organizzato quattro incontri nello scorso autunno per informare gli 800 iscritti alla Confedilizia triestina su una novità legislativa, che, qualora non rispettata e rilevata, avrebbe fatto scattare le multe. «Stanno crescendo invece le perizie tecniche - aggiunge l’esponente di Confedilizia - per verificare se l’intervento sia economicamente opportuno o meno. Cioè, se a fronte della spesa da sostenere, il risparmio energetico conseguito sia significativo o no. Per esempio, mi è stato sottoposto un caso in cui l’ammortamento si sarebbe spalmato su un arco temporale di 17 anni: dove sarebbe la convenienza dell’intervento “risparmiatore” ?».

Massimo Greco

 

 

Commissione Ue - Il Nord Stream 2 non è strategico
Il Nord Stream 2 non serve e non risponde alla strategia di diversificazione delle fonti e delle rotte. Il transito di gas russo verso l'Ue resta garantito ma qualunque infrastruttura deve rispettare le regole europee. Lo ha ribadito il commissario all'energia Miguel Canete dopo la lettera in tal senso inviata alla presidenza maltese di turno da parte del presidente della commissione industria dell'Europarlamento, il polacco Jerzy Buzek.

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 27 febbraio 2017

 

 

Emissioni, l’Ue decide sul taglio - Incontro a Bruxelles sul mercato delle quote di Co2. In Italia allarme smog
BRUXELLES - Sarà un consiglio ambiente cruciale quello di domani a Bruxelles, con i ministri dell’ambiente dell’Ue chiamati a trovare un accordo sul mercato delle quote di Co2, il cosiddetto “Ets”, del prossimo decennio. Si dovrà esprimere una posizione comune sulla riforma del sistema nato per incentivare la riduzione delle emissioni in settori ad alto consumo di energia (come termoelettrico, cemento, acciaio, carta, ceramica) e oggi in piena crisi. Tutti preferirebbero mettere nero su bianco un compromesso prima delle elezioni in Olanda, a metà marzo, e Francia, tra aprile e maggio, ma non sarà facile. Primo punto controverso è la percentuale delle quote da mettere all’asta, fissata al 57%, che paesi come Italia, Germania, Belgio e Austria vorrebbero ridurre. Il compromesso della presidenza maltese prevede questa eventualità a determinate condizioni, ma è battaglia sull’entità della diminuzione. Altro elemento di divergenza è il raddoppio temporaneo delle quote da relegare in una riserva, per assorbire il surplus di quote che sta strozzando il mercato. Per paesi come Svezia, Danimarca e Francia non basta, le quote andrebbero annullate. Per altri il problema è quanto tempo le quote saranno in riserva, altri ancora (Irlanda, Romania, repubbliche baltiche) sono per lo status quo. Sui criteri di assegnazione dei fondi per progetti innovativi e di modernizzazione nel settore dell’energia, i paesi destinatari (quasi tutti i nuovi Stati membri) vorrebbero mano libera, gli altri chiedono criteri più stringenti sulla tracciabilità dei finanziamenti. Il documento della presidenza contiene anche una piccola apertura alla richiesta italiana di modificare l’assetto attuale delle compensazioni dei costi indiretti del carbonio, che si trasferiscono sui prezzi al consumo dell’energia. In linea con la posizione del Parlamento europeo, l’Italia chiede meccanismi armonizzati a livello Ue per evitare distorsioni di concorrenza che oggi avvantaggiano gli Stati con meno vincoli di bilancio, come la Germania. E intanto è allarme smog nelle città e siccità nelle campagne del nord Italia dove è caduto l’85% di pioggia in meno rispetto alla media con punte del - 96% a Milano che hanno fatto scattare misure straordinarie che prevedono anche un parziale blocco del traffico per i veicoli più inquinanti. È quanto emerge da un’analisi della Coldiretti relativi alla seconda decade di febbraio dai quali emerge peraltro una situazione anomala in tutto il nord dal Piemonte (-83%) al Veneto (-92%), dall’Emilia Romagna (-85%) al Friuli Venezia Giulia (-95%).

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA,26 febbraio 2017

 

 

IL PRESIDENTE DEI COSTRUTTORI RICCESI «Sì a un Parco del mare “light” dedicato a scienza e scolaresche»
Un Parco del mare “light”, quasi una “clinica del mare” con forte caratterizzazione scientifica e dedicato in particolare al turismo scolastico. È così che lo immagina Donato Riccesi presidente di Ance (Associazione nazionale costruttori edili) Trieste. «Proviamo a immaginarlo - azzarda Riccesi - non come un semplice grande acquario, con pesci più o meno grandi (dalla “menola” al pescecane) che navigano dietro spesse vetrate. Ne abbiamo già molti così in Europa, grandi e costosi (Lisbona, Barcellona, Saragozza (acquario fluviale), Genova, Marsiglia, ecc.). Dal momento che non siamo yankee in sovrappeso con il secchio dei popcorn che assistono estasiati ai circhi ittici con i delfini che saltano il cerchio, immaginiamo una parte scientifico/didattica innovativa: oltre ai pesci in cattività, una specie di “clinica del mare” che possa avere una interazione con il Parco marino di Miramare, con le istituzioni scientifiche legate alla Biologia marina, e con annesso il Museo del mare che potrebbe rappresentarne un logico compendio». La Trieste della ricerca e quella che punta sul turismo si salderebbero così in modo ottimale. «Su questi aspetti bisogna riflettere - sottolinea il presidente dei costruttori - perché sono passati i giorni dei grandi investimenti a perdere, e poi delle gestioni, sempre a perdere, ripianate da qualche soggetto che ora ha il portafogli vuoto, o pretendendo che una struttura di questo tipo possa vivere di soli sbigliettamenti. Quale museo in Italia vive in modo autosufficiente, quale istituzione culturale, quale teatro della lirica o della prosa?. Il budget previsto di 50 milioni appare credibile, ma non dovrebbe essere sforato come invece avviene o è avvenuto anche per gli impianti citati». Ma dove dovrebbe sorgere questo atipico Parco del mare? «La collocazione più idonea è il Porto vecchio - risponde Riccesi - anche se non è detto che l’ubicazione migliore sia anche la situazione più facilmente percorribile. Una struttura di questo tipo potrebbe rappresentare il fulcro di un'area da riconvertire totalmente, per portare la gente dove oggi non va se non molto sporadicamente o di passaggio». Questa location sarebbe contigua al nuovo grande Museo del mare e a un passo dalla Riserva marina. Ci sono però anche i “contro” di Porto vecchio: «l’infrastrutturazione ancora tutta da fare e l’accessibilità non ideale». E allora secondo Riccesi anche il Molo Fratelli Bandiera può costituire un’alternativa. «Il massimo sarebbe poter demolire le costruzioni con le caserme e gli alloggi della Guardia di finanza, trasferendo magari queste in Porto vecchio (con annessa evidentemente la stazione nautica, ndr.) per creare lo spazio opportuno, mentre poi per i parcheggi potrebbe essere utilizzata l’area oggi occupata dal Mercato ortofrutticolo». «È possibile in tale contesto, facendo un'adeguata pulizia attorno, inserire un nuovo manufatto che sia una bella architettura contemporanea mantenendo sgombra, anzi valorizzando la vista della Lanterna? - si chiede il presidente Ance e si risponde che «come sempre dipende dal progetto». È però tempo di agire. «Chi deve decidere si prenda l'onere di farlo - cocnlude Riccesi - purché si faccia, a costo di indire una consultazione tra i cittadini».

Silvio Maranzana

 

 

Porto vecchio, nuove tariffe per gli “ospiti” - Il Comune avvia la revisione dei canoni di concessione alle realtà presenti nell’area dell’antico scalo, dall’Irci alla Tripmare
Affrontare la questione-concessionari: è una delle numerose incombenze che toccano al Comune nel subentrare all’Autorità portuale nelle competenze di Porto Vecchio. I concessionari non sono molti, una quindicina circa, di peso assai variabile: si va dall’armamento, come nel caso di Tripmare, alla gestione dei parcheggi, come nel caso di TpT. Si va da un utility come AcegasApsAmga fino all’utenza “sociale”: per esempio il magazzino 18, che è gestito dall’Irci e che contiene le masserizie degli esuli istriani, o i depositi di associazioni benefiche o le sedi di sindacati e di cooperative. Capitolo a parte le grandi “grane” come il dossier Greensisam. Al netto della vicenda Greensisam e del calcolo in corso sulla partita TpT, l’incasso preventivabile dai canoni si aggira sui 100 mila euro, con una punta massima di 30 mila euro ma con molti canoni da poche migliaia di euro. Il fascicolo è nelle mani dell’assessore Lorenzo Giorgi, che l’altro giorno si è visto con il responsabile dell’Area contratti Walter Cossutta per fare il punto della situazione. L’amministrazione comunale preparerà un tariffario apposito per Porto Vecchio e conta di approntarlo prima dell’estate: «Apposito - spiega Giorgi - perchè non possiamo applicare in automatico i parametri comunali. Sarebbero troppo alti e metteremmo in difficoltà i concessionari che pagano i canoni fissati dall’Autorità portuale. Il Porto Vecchio è una realtà a sè stante, con differenze giuridiche che vanno regolamentate a parte». Giorgi ha incontrato i titolari di concessioni in Porto Vecchio e li ha rassicurati: «Il Comune non butta fuori alcuno, abbiamo garantito la continuazione del rapporto. C’è un’attenzione di carattere sociale alla quale non verremo meno». Quindi l’orientamento è quello di non differenziare troppo i canoni da quelli attualmente corrisposti. Anche perchè il Municipio sta gradualmente prendendo coscienza del patrimonio trasferito dall’Autorità: dall’inizio dell’anno operano tre professionisti esterni con l’incarico di “fotografare” le condizioni di stabili, magazzini, ecc. che adesso sono nelle disponibilità comunali. Si tratta del cosiddetto “stato di consistenza”, che implica la valutazione di ogni manufatto passato da un’amministrazione all’altra. Il Comune ha appostato 76.318 euro per le parcelle dei tecnici. L’area di Porto Vecchio è stata suddivisa in tre lotti e l’appalto prevede la verifica di agibilità sintetica/vulnerabilità degli immobili: insomma il Comune cerca di comprendere l’effettiva situazione di quanto ora deve gestire (con relative responsabilità). Intanto, lo stesso Cossutta ha provveduto con una recente determina, a modificare il contratto stipulato nell’aprile 2016 tra il Comune e l’advisor Ernst&Young, incaricato del piano strategico per la valorizzazione del Porto Vecchio. Viene prevista un’integrazione alla fase II e in particolare alle linee guida per la redazione del documento strategico - riporta l’atto - e si decide una proroga di 90 giorni per consentire sia lo svolgimento di queste modifiche che lo svolgimento della fase III “supporto e assistenza nell’illustrazione, condivisione, comunicazione e approvazione del Piano”. La quantificazione di questo lavoro supplementare ammonta a 15 mila euro, Iva compresa.

Massimo Greco

 

 

SINISTRA PER TRIESTE «Serve un patto politica-industria per il futuro della Ferriera»
Il problema della chiusura dell’area a caldo della Ferriera «va risolto sedendosi a un tavolo, confrontandosi fra soggetti coinvolti, non certo ricorrendo al Codice penale». Questo il concetto espresso con forza ieri da Waldy Catalano di Sinistra per Trieste nel corso di una conferenza stampa sul tema.

«A nostro avviso - ha spiegato - è possibile trovare un accordo consensuale per programmare la chiusura dell’area a caldo. Fin dalla prima manifestazione di interesse del gruppo Arvedi questa ipotesi esisteva. L’asset strategico che ha portato Arvedi a Trieste è lo sbocco a mare, con la prospettiva di creare un pontile intermodale. A quel punto, la cokeria potrebbe diventare area di retroporto per aumentare la capacità di deposito». «Essendo queste le premesse - ha proseguito Catalano - non si capisce perché, al cospetto di un Comune che considera non più sostenibile la situazione, non si riesca a trovare un punto d’incontro con l’impresa, per aprire un’istruttoria per programmare la chiusura dell’area a caldo. Su Servola serve un compromesso politico-industriale che può portare risposte a cittadini e lavoratori, conservando i livelli occupazionali. Perché sulla Ferriera non si può arrivare a un dialogo come per esempio si fa su Porto vecchio, sapendo che il problema è tutto politico e richiede una risposta politica»? Marino Sossi ha ribadito a sua volta che «risulta incomprensibile come mai, dopo tanti anni, non si arrivi a un tavolo di confronto per affrontare le problematiche dell’area a caldo. Arvedi ha fatto dichiarazioni in questi due anni e mezzo che non trovano riscontro. Cerchiamo di dare un contributo per risolvere la situazione. Altrove un punto d’accordo si è sempre trovato».

Ugo Salvini

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 25 febbraio 2017

 

 

Microchip su cassonetti e cestini - La raccolta rifiuti diventa hi-tech - Le targhette su 15mila contenitori consentono di segnalare eventuali anomalie nelle attività di pulizia e svuotamento
Da qualche mese in città ogni cassonetto ha un nome e cognome, o meglio una sigla che lo identifica con precisione. Quello entrato a regime, insomma, è una specie di “Grande Fratello” delle immondizie, che monitora tutto costantemente, con dati che vengono inviati in tempo reale alla centrale operativa. Una novità resa possibile dopo aver “taggato”, vale a dire dotato di microchip, 10mila contenitori della raccolta differenziata, 4mila contenitori dell'indifferenziato e mille cestini stradali. Hergoambiente, di AcegasApsAmga, è entrato in vigore ufficialmente il 16 gennaio scorso e ha praticamente messo ogni servizio in rete, consentendo così di monitorare ancora più da vicino la complessa macchina operativa dell’azienda. «La raccolta rifiuti a Trieste diventa un sistema intelligente - sottolineano dall’ex municipalizzata -. Tutti i 15mila contenitori cittadini adibiti alla raccolta rifiuti sono identificati da un codice univoco posizionato su una targhetta leggibile in radiofrequenza dagli operatori ambientali attraverso lettori portatili o smartphone. A questi si aggiungono 50 automezzi, spazzatrici e camion rifiuti, su cui sono stati installati i computer di bordo e asset di altro tipo, come, ad esempio, i cassoni dei centri di raccolta». L'operatore alla guida deve soltanto inserire alcuni dati a inizio turno, poi il computer fa il resto, anche grazie ad alcune antenne posizionate sul tetto del mezzo. Per i furgoncini più piccoli, invece, è l’autista ad essere munito di uno strumento che rileverà con un semplice “clic” il tag del contenitore. «In questo modo - proseguono dall'azienda - si ha l’immediata conoscenza di eventuali contenitori non correttamente svuotati. Oppure si può valutare se il dimensionamento di contenitori in una determinata zona è sufficiente o meno. Anche in caso di contenitori che presentano problematiche, ad esempio sono stati danneggiati o non sono perfettamente localizzati, è molto più agevole veicolare l’informazione dell’anomalia e intervenire in modo mirato e tempestivo. Inoltre siamo in grado di tracciare in modo puntuale l'attività di spazzamento delle strade». Tecnologia applicata alla quotidianità, dunque, che semplifica un complesso sistema composto da 5mila i cassonetti svuotati al giorno, 16 tipologie di “tour” nelle strade cittadine dei mezzi, una sessantina di camion che escono ogni giorno nei 25mila turni spalmati sui 12 mesi, due milioni di interventi complessivi che si registrano ogni anno. Comprese le “operazioni straordinarie” richieste in condizioni particolari. È il caso delle giornate di bora forte, che lo scorso gennaio ha messo in ginocchio la città, in cui sono stati registrati picchi di 230 interventi di AcegasApsAmga sul fronte cassonetti. Tanti cittadini si sono già accorti del “tag”, dopo aver notato la piccola targhetta sistemata sui bidoni di tutti i tipi, dalla carta al vetro, dalla plastica all’umido, dall'indifferenziato al verde, passando per tutti i cestini più piccoli collocati un po’ ovunque. «Vogliamo far sapere ai triestini - proseguono da Acegas - che quel piccolo supporto serve a comunicarci se ogni singolo cassonetto è stato svuotato e quando. Oppure se, e quando appunto, una macchina pulitrice ha operato in un determinato luogo. Questa enorme mole di dati interconnessi fra loro e opportunamente georeferenziati su mappe elettroniche, consente di avere a disposizione un capitale informativo enorme, immediatamente utile sia per recuperare efficienza, sia per migliorare continuamente il servizio erogato ai cittadini, grazie alla drastica riduzione degli errori di imputazione, di trasmissione dei dati e di inefficienze nella programmazione degli interventi. Inoltre è uno strumento prezioso a disposizione del Comune e di altri enti di pianificazione e controllo per verificare qualità e coerenza del servizio erogato». Oltre alla novità del tag sistemato sui cassonetti, l'AcegasApsAmga ha anche ottimizzato il sistema di percorsi che vengono effettuati ogni giorno dai mezzi. Grazie a una collaborazione con l'Università è stato avviato un nuovo modo di raggiungere le varie zone della città, grazie allo SpinOff AutoLogS s.r.l. Con il supporto di OpenStreet Map, uno strumento molto preciso di mappe virtuali, è stato effettuato un censimento completo di tutte le strade toccate dai mezzi, con tanto di indicazione sulla larghezza della via, eventuali problematiche relative alle svolte del camion, oltre a indicazioni utili in base alla particolare morfologia del territorio, tra strade ripide o molto strette. Si è partiti provando a migliorare lo svuotamento di tutti i 2.424 cassonetti per la raccolta dell' umido posizionati nelle 1.474 isole ecologiche, quindi la novità è stata giudicata molto positiva dai tecnici e dagli operatori del settore ed è stata estesa anche alle altre linee che svuotano gli altri materiali.

Micol Brusaferro

 

LA STORIA - La missione di Carmine tra inciviltà e rischi - LA RACCOLTA DEI RIFIUTI A TRIESTE
«Ho cominciato con scopa e carrettino, pulendo le strade di San Giacomo; poi anno dopo anno le competenze sono aumentate. Nel corso del tempo in strada ho visto un po’ di tutto, ma alla fin fine questo resta un lavoro che mi piace». Carmine Russo è dipendente AcegasApsAmga da 17 anni. Ogni giorno sale a bordo del suo mezzo e, seguendo i percorsi indicati, svuota i cassonetti. «È cambiato tanto rispetto a quando ho iniziato - racconta - è diventato tutto più moderno, automatizzato e per noi più semplice». Sia nei primi anni, quando spazzava le vie a piedi, sia successivamente a bordo del camion, Carmine ha assistito a vari episodi di inciviltà e anche situazioni pericolose. «Tra gli interventi più a rischio ricordo il ritrovamento di una serie di bombole di gas, che ha richiesto l'intervento dei pompieri per evitare esplosioni. Abbiamo chiesto l'aiuto dei vigili del fuoco anche il primo giorno del 2017, quando in un cassonetto sono stati gettati fuochi d'artificio che hanno provocato un rogo. Ma ci sono anche colleghi che hanno rischiato di farsi male tre anni fa, perché qualcuno aveva scaricato in un cassonetto una serie di pali per impalcature». Situazioni di maleducazione a parte, Carmine spiega di amare il suo lavoro e di farlo sempre volentieri e con il sorriso. «Mi trovo bene - assicura - e non mi annoio visto che cambio spesso percorso. Il mio preferito? Sicuramente quello che mi conduce sulle strade dell’altopiano. Mi piace perché mi consente di allontanarmi dal centro ed è bello guidare in mezzo al verde e alla natura».

(mi.b.)

 

Stufe, mobili e water gettati a bordo strada - Campagne informative e multe non frenano i maleducati - Nel 2016 abbandonati quasi 30mila articoli ingombranti
Letti, armadi, frigoriferi, materassi, stufe, tv e addirittura un water con spiacevole contenuto all’interno. Sono quasi 30mila i rifiuti ingombranti abbandonati nel 2016 a Trieste. Un’autentica piaga che ancora non trova soluzione. Tanti triestini continuano a disattendere le indicazioni da seguire per conferire tanto i piccoli quanti i grandi elettrodomestici oltre a i mobili. Risultato? In alcuni punti della città il problema ciclicamente si ripete. Secondo i dati di AcegasApsAmga, nel 2016 ci sono state 8.613 richieste per il ritiro dell’ingombrante a domicilio, ancora troppo poche, visto il dato complessivo che negli ultimi tempi mostra ancora una media di almeno 2.500 abbandoni su strada al mese. In molti continuano a scaricare di tutto fuori dai normali cassonetti, e spesso pure all'interno, causando intasamenti. Tra le zone più problematiche in tal senso, come evidenziato anche dalle segnalazioni degli utenti sul web, via Molino a Vento, via della Tesa, via Gambini e piazzale Moissi. In alcuni casi sono state effettuate sanzioni da parte della Polizia locale, ma nella maggior parte delle situazioni, spiegano dall'AcegasApsAmga, è difficile trovare i colpevoli che si liberano di mobilio e altri voluminosi spesso nelle ore notturne e in particolare nei punti meno trafficati. Per contrastare il fenomeno è stata avviata una campagna informativa ad hoc, con cartelli posizionati tuttora sui mezzi dell'azienda, con lo slogan “Non abbandonarli in mezzo a una strada, chiama 800955988 per un ritiro gratuito o portali nel centro di raccolta più vicino”. Messaggio che, a quanto pare, non ha sortito per ora l’effetto sperato. Molti cittadini però hanno effettuato segnalazioni attraverso il Rifiutologo, lo strumento online sul sito dell'azienda www.gruppohera.it, e nel 2016 sono arrivati 743 avvisi, alcuni con foto. Nel 57% dei casi riguardano proprio rifiuti ingombranti, nel 19% si tratta di servizi di spazzamento e il 24% problematiche dei cassonetti stradali. Sono gli stessi operatori di Acegas nelle ultime settimane, a fotografare gli oggetti e a segnalarli al sistema informatizzato. Tra gli ultimi ritrovamenti in ordine di tempo una macchinetta per il caffè gettata a terra e una serie di elettrodomestici da cucina, come forni elettrici e tostapane. Mesi fa c'è chi si è separato senza troppi problemi dal contenuto di interi appartamenti: divani, camere da letto e soggiorni, con l'aggiunta di stoviglie, valigie e abbigliamento. A gennaio poi sono spuntati in vari rioni alberi di Natale: c’è chi li ha incastrati nei contenitori dell'umido, occupando tutto lo spazio a disposizione, chi li ha messi nei raccoglitori dell’indifferenziata e chi, evidentemente indeciso, li ha semplicemente lasciati sul marciapiede. Pochi, invece, li hanno correttamente inseriti (magari dopo averli fatti a pezzi) nei contenitori del verde. Tante poi le segnalazioni di scarti edili, pure questi depositati di nascosto nelle ore notturne, come una serie di secchi lasciati qualche mese fa in via Locchi o cumuli di piastrelle rotte “dimenticate” in via della Tesa. Tra i rifiuti più singolari, come si diceva, figura pure un water scaricato in via San Marco con tanto di escrementi all'interno. Forse chi se ne è disfatto ha pensato di utilizzarlo un'ultima volta prima di dirgli addio...

(mi.b.)
 

Il pentito e il cronista raccontano l’Italia sommersa dai rifiuti - Il giornalista Paolo Coltro e l’ex camorrista Nunzio Perrella firmano “Oltre Gomorra”, dossier sullo scempio ambientale
Nunzio Perrella, camorrista pentito, è un nome che ai più non dice niente. Quando venne arrestato, nel ’92, decise di diventare collaboratore di giustizia. E cominciò a parlare. Non del traffico d’armi e droga, i reati che gli venivano imputati, ma del gigantesco sistema del traffico di rifiuti in Italia. Interrogatori fiume che scoperchiarono un calderone infernale: luoghi, nomi, aziende, politici, imprenditori, camorra. Connivenze coscienti, compiacenze politiche, interessi a tutti i livelli, truffe, falsificazioni. È in quel momento che Perrella avrebbe dovuto diventare noto a tutti, perchè per primo parlava della “munnezza” connection. Non è stato così. Ventidue anni dopo, pagato il suo conto con la giustizia e uscito dal programma di protezione, Nunzio Perrella è un uomo libero e molto arrabbiato. Perchè quelle sue rivelazioni, così dettagliate, avrebbero dovuto far saltare un business consolidato di scempio del territorio e attentato alla salute pubblica, che invece ha continuato a esistere e prosperare. Come se nulla fosse successo. Come se niente fosse stato detto. È in questo momento che l’ex camorrista Perrella incontra Paolo Coltro, giornalista in pensione con una lunga carriera nel gruppo Finegil. Si conoscono, si parlano per un anno - anzi, Perrella parla e Coltro domanda - e la storia di due decenni prima torna fuori. E diventa un libro, “Oltre Gomorra. I rifiuti d’Italia” (CentoAutori, pagg.255, euro 15). Non un saggio, ma un resoconto spietato, sconfortante, chirurgico del peggiore stupro dell’ambiente del secolo. Il quadro di un’Italia, tutta, che si muove, vive, lavora su un mare di rifiuti tossici: intombati ovunque. E per questo, in tante regioni, si muore. Coltro, com’è avvenuto il suo incontro con Nunzio Perrella? «Perrella ha vissuto e lavorato molti anni nel Nord Italia. Quando ha finito il suo percorso e pagato il suo debito, nel 2014, dopo ventiquattro anni tra galera e domiciliari, ha visto che nel frattempo non era successo niente. Era incazzato nero e cercava qualcuno per raccontare la sua storia. Ci siamo visti per un anno: parlava in napoletano stretto, io registravo, prendevo appunti, mi documentavo. Il suo nome non è quello di un camorrista famoso, non ne sarebbe uscita una biografia. Quello che raccontava, invece, era giornalisticamente interessante perchè ti portava in altri territori, scopriva altre magagne. Questo a me interessava: cercare di capire perchè, dopo la sua denuncia, per vent’anni tutto è rimasto come prima». Che impressione le ha fatto Perrella? «È un uomo che appartiene a un mondo in cui si ragiona in un modo che neanche ci immaginiamo. Non ha istruzione, forse l’unico libro che ha letto è quello che abbiamo firmato insieme. La prima volta che ci siamo incontrati, a Vicenza, è arrivato con un guardaspalle, un omone che ha detto essere suo nipote, con strani rigonfiamenti sotto le ascelle. Poi ci siamo visti da soli, nei baretti di periferia: non raccontava balle, lo sapevo, ma io dovevo verificare tutto, documentare. Nel libro c’è una parte sulla sua biografia che mi è piaciuto scrivere. Ma Perrella è un ex delinquente praticamente sconosciuto, diventa interessante se lo guardiamo sotto il profilo dell’uomo che ha rivelato qualcosa che poteva essere una bomba e invece così non è avvenuto». È vero che è stato il primo a far entrare la camorra nel business dei rifiuti? «Lui faceva impermeabilizzazioni e lavorava in subappalto per la Soavi Asfalti di Vicenza. Quella ditta riciclava di tutto, anche oli esausti che adoperava per fare sottofondi stradali pasticciati, la cosiddetta “pastina”. Di solito li smaltivano i dipendenti, un paio di fusti al colpo. Ma una volta ce n’erano troppi e chiesero a Perrella di portarli a Napoli». Così venne fuori tutto... «Gli si aprì un altro mondo. I cinquanta fusti non glieli accettarono, perchè nelle discariche entrava solo il materiale degli imprenditori del Nord che erano in affari con i proprietari del sito. Un fiume di denaro che nessuno voleva spartire con altri. La camorra non ne sapeva niente, Perrella scoprì il giro e ce la fece entrare, obbligando i proprietari delle discariche ad accettare anche il suo smaltimento. Lui però voleva fare le cose legali, occuparsi solo del trasporto, perchè già con quello si guadagnava moltissimo. Pensiamo a un rifiuto che parte come “speciale” o “tossico” ed entra in un meccanismo di cambi di bolle e falsificazioni, per cui alla fine viene declassificato, diventa rifiuto normale: smaltirlo costa meno, nelle discariche si butta di tutto, e i guadagni sono altissimi». Poi però lo presero. «Per traffico d’armi e droga. Fu allora, nel ’92, che cominciò a parlare con i magistrati del traffico dei rifiuti e diventò collaboratore di giustizia. Decine di ore di registrazione, più di cento pagine di verbali: Perrella fa i nomi di oltre duecento aziende coinvolte, elenca circostanze, località, metodi di smaltimento. C’era tutto». Sembra incredibile che la camorra ignorasse questo traffico... «Il business era tra gli imprenditori del Nord e quelli del sud che gestivano le discariche. Anzi, gli imprenditori al Nord avevano fatto tutto da soli, all’inizio, riempiendo Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia, Toscana. Anche il Friuli Venezia Giulia: Perrella parlò di pezzi di strade in Carnia sotto cui c’erano i rifiuti. Quando il Nord fu strapieno, si cominciò a mandare i camion a Sud. E adesso ripartono verso Nord, in un traffico quasi incontrollabile. Eppure dopo l’inchiesta Adelphi, tutta basata sulle dichiarazioni di Perrella, vennero accolte solo dieci su ventuno richieste di rinvio a giudizio, il processo del ’93 si concluse con solo sei condanne per abuso d’ufficio e corruzione, non per associazione mafiosa e, all’appello del ’99, la prescrizione cancellò tutto. Non c’erano norme penali per colpire i reati ambientali e, in mezzo, connivenze politiche, incapacità, ritardi della magistratura». Quand’è che inquinare diventa reato? «Dopo vent’anni di proposte di legge, nel maggio 2015 viene approvato l’articolo 452 bis del codice penale, reato di inquinamento ambientale, che funziona fino a un certo punto. Per capire come mai c’è voluto tutto questo tempo, basta andare a vedere gli interventi dei partiti in sede di commissione legislativa. Forza Italia continuava a mettere emendamenti per fare gli interessi degli imprenditori... è lì che si annida lo scandalo. La legge poi prevede il “ravvedimento operoso”, che il procuratore Gianfranco Amendola ha definito un’istigazione a delinquere. Ovvero, se chi ha inquinato si offre di mettere tutto a posto, gli si affida la bonifica, un’ulteriore fonte di guadagno». Nei giorni scorsi sono morti otto bambini nella Terra dei fuochi... «Questo fa notizia, certo. Ma bisogna risalire alle cause del meccanismo. Il ministro Lorenzin ha detto: “Sono 64 ettari...” Scherziamo? Lì è inquinato tutto. Perchè non ci sono controlli? Perchè la Campania non ha un Registro tumori? Perrella ha raccontato che vicino Napoli, in zona Licola, le case sono state costruite sopra un buco con gli scarti dell’Italsider di Bagnoli e delle ceneri dell’Eni. Il materiale era stato portato dai camion, venti al giorno, per mesi, passando davanti a Carabinieri e Finanza. E loro dov’erano? A chi comprava si faceva sottoscrivere un atto in cui dichiarava di essere a conoscenza di tutto, per evitare cause successive. In questo quartiere oggi abitano professionisti, la borghesia. Si fanno i carotaggi nel terreno, ma cinquecento metri più in là, altrimenti salta il palco. Questo è l’intento del libro: dimostrare che basta che qualcuno, in uno dei segmenti del processo di smaltimento, non faccia il suo dovere, non veda, e tutto va a remengo». La magistratura è chiamata in causa? «Prendiamo la discarica Pitelli a La Spezia, proprio sopra il Golfo dei poeti. Il primo a parlare di come la gestiva il suo patrón, Orazio Duvia, è stato proprio Perrella. Si arriva al rinvio a giudizio del 2003 per disastro ambientale e una sfilza di altri reati. L’invaso è definito “imbonificabile”, al punto che anche il ministero dell’Ambiente vuol costituirsi parte civile, ma il magistrato respinge. Dopo otto anni di processo, gran parte dei reati è prescritta. Resta il disastro ambientale, all’epoca sanzionato da contravvenzione, ma in cinquecento righe di motivazione il giudice si addentra nella legge per dire che il reato non sussiste. Tutti assolti. Certo, avrà ragione in punta di diritto, ma va contro la realtà, il senso comune. Ci sono anche queste antinomie, questi paradossi». Com’è la situazione dalle nostre parti? «Come fai a scoperchiare la terza corsia, da Verona a Venezia? Là sotto c’è di tutto. Come sotto l’A31, Valdastico sud Vicenza-Rovigo. E il parcheggio dell’aeroporto di Venezia, pieno di una sostanza fatta di rifiuti, chi lo toglie? Forse qualche sospetto lo deve far venire anche il passante di Mestre... Speriamo che si salvino la Pedemontana, da Treviso a Vicenza, e la terza corsia tra Venezia e Trieste. Pensiamo ai parcheggi enormi dei centri commerciali: l’industriale riceve una certa somma e dice solo “fate una bella buca...”. Poi, sopra, si butta l’asfalto».

ARIANNA BORIA

 

«Nessun incarico affidato al figlio di Agapito» - Siderurgica Triestina ribatte alle accuse M5S sul presunto conflitto di interessi sull’Aia della Ferriera
Siderurgica Triestina non ha mai affidato alcun incarico diretto - né di progettazione né di direzione lavori - alla società Artec Ingegneria srl., di cui risulta socio Daniele Agapito, figlio del direttore del Servizio tutela da inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico della Regione. Lo stesso direttore che ha firmato il rinnovo dell’Aia dell’impianto di Servola. Così la proprietà della Ferriera di Servola ridimensiona il caso del presunto conflitto di interessi sollevato dagli esponenti pentastellati. Esponenti che ieri, per voce della consigliera regionale Eleonora Frattolin, hanno anche annunciato l’intenzione di presentare già lunedì un esposto sulla vicenda sia alla Procura della Repubblica di Trieste sia all’Autorità nazionale anticorruzione presieduta da Raffaele Cantone. Per l’azienda però, come detto, tutto si sgonfierà come una bolla di sapone. «Siderurgica Triestina - precisa una nota diramata in serata - ha affidato direttamente solo due consulenze per lo stabilimento di Servola. La prima, relativa alla predisposizione della documentazione necessaria al rilascio dell'Aia, è stata affidata allo studio Barocci. Il secondo incarico è andato invece alla società Tmc, chiamata ad occuparsi di progettazione, pratiche edilizie e della progettazione architettonica e strutturale». Nessun altro soggetto esterno quindi, è il messaggio forte e chiaro lanciato dall’azienda, è stato coinvolto direttamente da Siderurgica Triestina nella partita del rinnovo dell’Aia e della progettazione successiva. E il fatto che Tmc, a sua volta, abbia dato ulteriori consulenze ad altre realtà, come la stessa Artec Ingegneria in cui risulta lavorare il figlio di Luciano Agapito, non può di certo essere “rinfacciato” alla proprietà dello stabilimento. Che, viene precisato ulteriormente, ha assoldato solo la Tmc srl, e non eventuali suoi collaboratori, senza peraltro affidarle mai «alcun incarico sulla documentazione predisposta per l'Aia». Le precisazioni dell’azienda, come detto, sono arrivare all’indomani dell’interpellanza depositata in Consiglio regionale dal gruppo M5S. Nel testo si sollecitava anche un intervento da parte della Regione che, per voce della presidente Debora Serracchiani, poche ore dopo ha espresso «sconcerto anche solo per l'ipotesi che non siano state rispettate le regole» e annunciato l’avvio di approfondimenti interni.

 

 

Sul Parco del Mare solo un’odiosa intimidazione - LA LETTERA DEL GIORNO di Giorgetta Dorfles per il Comitato La Lanterna

La Camera di Commercio si lamenta perché il Comitato La Lanterna ha fatto le sue considerazioni basandosi solo sul rendering del Parco del Mare, a dire il vero già di per sé abbastanza significativo; ma sono loro che hanno strombazzato in lungo e in largo (vedi il paginone a pagamento su Il Piccolo) che erano pronti a partire e che tutte le istituzioni erano d'accordo, senza aver ancora presentato il famoso concept del progetto. Potevano aspettare di renderlo pubblico e incassare i commenti dei cittadini, e poi far partire la grancassa. La Camera di Commercio minaccia ritorsioni legali al Comitato se non ritira immediatamente la petizione, perché la offende attentando alla sua immagine. In realtà non si tratta di un'offesa, ma di una legittima critica, garantita dalla libertà costituzionale di pensiero e di espressione. Il web è pieno di petizioni contro le iniziative più disparate e non credo che qualcuno sia stato minacciato per questo. Voler mettere a tacere un migliaio e più di cittadini che stanno liberamente esprimendo quello che pensano su un'iniziativa che comunque modificherà il water front della loro città, contestando non tanto il progetto in sé quanto la sua assurda collocazione, appare una azione alquanto intimidatoria. Inoltre, se l'Ente camerale è tanto sicuro della bontà del piano in questione, di cosa si preoccupa? Sarà il Comitato a fare una figura barbina quando verrà svelato l'arcano. Comunque sembra opinabile che un colosso di 22 metri risulti invisibile e che solo mettendosi in un punto speciale del Molo Audace - che potrebbe essere opportunamente indicato da qualche tabella segnaletica - si potrà finalmente ammirare. Ben visibile però sarà da tutto il colle di San Vito e dalla parte della città che si sviluppa in collina: abbiamo dimenticato questo particolare? Che dire poi delle navi da crociera, che si aspettano di approdare in una città di stampo austroungarico, con i suoi palazzi in uniforme stile eclettico, e riceveranno questo pugno nell'occhio? Un'ultima cosa che ci lascia perplessi è che il futuro volto della nostra città sia condizionato dal quel dott. Paoletti che negli ultimi anni ha mescolato le carte, per la sua ossessione del Parco del Mare, puntando su Barcola, Campo Marzio, Rive zona Pescheria - Magazzino vini, Porto Vecchio, per finire adesso sul Molo Fratelli Bandiera. Noi ci auguriamo che ci ripensi ancora, magari ricordandosi che in Porto Vecchio, che non è più demaniale, lo spazio non manca. Le nostre istituzioni, a cui spetterebbe l'onere di programmare un piano urbanistico in regime di trasparenza, in modo che si possano esprimere consensi o fare rilievi e opposizioni, cosa fanno? Perché sembra che si stia giocando a Monopoli. Rispondiamo dunque all'odiosa intimazione della Camera di Commercio che la petizione sarà ritirata dopo che avremo toccato con mano, in sede di Consiglio Comunale, il fatto che il progetto sia attuabile, sostenibile, condivisibile e soprattutto che la collocazione di un Parco del Mare sulle Rive sia la migliore soluzione.

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 24 febbraio 2017

 

 

«Conflitto di interessi sull’Aia della Ferriera» - Il M5S: «Dall’azienda incarichi al figlio del direttore regionale». Serracchiani: «Attendo chiarimenti»
L’accusa, messa nero su bianco in un comunicato stampa, è chiara: un conflitto di interessi attorno alle procedure Aia della Ferriera. È il Movimento Cinque Stelle a scatenarsi sul caso del direttore regionale del Servizio tutela da inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico della Regione, Luciano Agapito, che nel gennaio dell'anno scorso ha firmato il decreto di riesame per il rinnovo dell’autorizzazione ambientale. Il problema, stando alla denuncia dei grillini, è che il figlio del dirigente, Daniele Agapito, nell’aprile 2015 aveva ricevuto dalla Siderurgica Triestina «un importante incarico di progettazione e direzione lavori, seguito poi da ulteriori incarichi nel 2016 presso il medesimo stabilimento». Ad accendere i riflettori sulla vicenda è tutto il gruppo di consiglieri regionali pentastellati insieme al consigliere comunale Paolo Menis. Il M5S ha notato una «curiosa» coincidenza tra gli incarichi e alcuni passaggi specifici della procedura di rinnovo. «Ad inizio aprile del 2015 - puntualizzano - il direttore del servizio ridefiniva i termini della diffida ad adempiere nei confronti di Siderurgica Triestina, disponendo la limitazione dell’attività produttiva, sulla base di un rapporto di Arpa che rilevava la non conformità delle emissioni acustiche. Sempre ad aprile 2015 arrivava il maxi incarico al figlio del direttore del Servizio». Nel frattempo, pochi giorni dopo, «il papà riavviava il procedimento istruttorio di rinnovo dell’Aia cui seguirono diverse conferenze di servizi istruttorie. Quasi contestualmente arrivavano anche altri incarichi per il figlio, realizzati attraverso la Artec Ingegneria srl di cui è socio». Il M5S ha chiesto spiegazioni alla Regione che sta già avviando accertamenti interni, «volti a chiarire la sussistenza e la natura di tali rapporti». «In attesa dei chiarimenti», la presidente Debora Serracchiani ha espresso «sconcerto anche solo per l’ipotesi che non siano state rispettate le regole». Ma è anche il destino dello stabilimento, al centro della riunione ministeriale di mercoledì, a far discutere. «Aspettiamo la revisione dell’Aia - ricorda il sindaco Roberto Dipiazza - la lavorazione del carbone e l’area a caldo della Ferriera non sono compatibili con la salute di cittadini e lavoratori. Dall’azione di controllo dell’amministrazione comunale continuano a venire alla luce delle gravi inadempienze, dimenticanze e superficialità», compresa «l’analisi di dati importanti che indicano che l'area a caldo è una fonte di emissioni pericolose e nocive». Il tavolo ministeriale è comunque servito «a tentare di distendere lo scontro politico tra Comune, Regione ed azienda - scrive Sasha Colautti, segretario provinciale della Fiom Cgil - questo però non è bastato a far sì che l’azienda chiarisca quali siano le reali intenzioni del cavalier Arvedi».

Gianpaolo Sarti

 

 

M’ILLUMINO DI MENO - Luci spente dalla città fino all’Antartide
L’idea nasce da una trasmissione televisiva di Rai2, “Caterpillar”: la giornata odierna è dedicata al “risparmio energetico”. Istituzioni e associazioni si mobilitano a varia intensità, per ricordare all’opinione pubblica come consumare meno e meglio energia. Qualche ente, per esempio, spegne le luci. È il caso della Regione Fvg, che preme l’interruttore degli “esterni” delle sedi: a Trieste toccherà, nella fascia oraria tra le 17.30 e le 19, al palazzo della presidenza in piazza Unità e al Consiglio regionale in piazza Oberdan. Secondo l’assessore Francesco Peroni, il tema suggerisce «comportamenti quotidiani maggiormente responsabili». Il Comune lascia tutto acceso ma partecipa all’iniziativa riepilogando ai cittadini un lungo elenco di buoni consigli: spegnere le luci quando non servono, non lasciare in “stand by” gli apparecchi elettrici, sbrinare il frigorifero, mettere il coperchio sulle pentole, ridurre gli spifferi degli infissi, non lasciare le tende chiuse davanti al termosifone, fare uso della bicicletta, eccetera... Anche l’Università fa sapere che «smorza l’Light», come cantava Renzo Arbore: nel campus di piazzale Europa, edificio A, facciata e scalinata resteranno al buio tra le 18 e le 19.30. Non mancano adesioni a distanza come quella dell’Osservatorio di geofisica sperimentale, che conferirà all’oscuramento la nave “Explora”, impegnata in Antartide: i ricercatori a bordo ceneranno a lume di candele elettriche a basso consumo. Quelle di cera, purtroppo, non sono consentite per ragioni di sicurezza. Dice la sua l’utility territoriale AcegasApsAmga (Hera), che in un comunicato ricorda come l’impegno per l’efficienza energetica, incentrato sulla certificazione 50001, ha permesso finora una minore emissione stimata in 5600 tonnellate di anidride carbonica nelle aree servite. La società sottolinea gli interventi di riqualificazione energetica mediante il graduale utilizzo dei sistemi a Led: per quanto riguarda Trieste, AcegasApsAmga cita Ponterosso e viale XX settembre. Ma c’è anche un rilevante aspetto di gestione interna, che concerne i risparmi energetici in molti processi industriali (sollevamento acque, depurazione dei reflui, mezzi per la raccolta dei rifiuti). Sul versante dell’associazionismo, Arci organizza una serata a base di musica, danze, bassi consumi. Al circolo D-Sotto in via Bernini 2 si comincia alle 19.30 con “NoDancing Project”, a seguire “Plastik dj set”. Graditi costumi e maschere vista la concomitanza carnascialesca. Il buio stimola Knulp a preparare un meni “in black”: riso nero venere, feijoada di fagioli neri, spätzle di seppia con gamberi black tiger. Infine TriesteAltruista chiede alla cittadinanza di spegnere le luci di casa per un’ora dalle 18 alle 19.

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 23 febbraio 2017

 

 

Il Comune corre ai ripari per l’ex discarica - L’assessore Polli sul caso di via Errera: «Prima le analisi, poi elaboreremo un piano». Due le ipotesi: bonifica o tombatura
L’ex discarica di via Errera, abbandonata da decenni, entra in cima all’agenda della giunta Dipiazza. Le contaminazioni di terreno e mare, documentate da un dossier della Provincia e dalle immagini del Piccolo, saranno oggetto di studio del Comune, l’ente a cui la Regione aveva dato in concessione il sito. «Ci stiamo attivando» riferisce l’assessore all’Ambiente Luisa Polli. Tre gli step su cui il municipio intende muoversi. Innanzitutto con un’analisi del suolo e dell’acqua per valutare l’impatto sull’ecosistema. Non ci dovrebbero essere dubbi, in realtà, visto che il dossier della Provincia, portato di recente all’attenzione dei Carabinieri del Noe, anche se non esiste ancora un’indagine vera e propria, parla chiaramente di «rifiuti speciali pericolosi»: all’interno della discarica, così come nel sedimento marino sottostante, dall’84 all’87 è stato accumulato materiale edile e industriale, resti di demolizioni e scavi, scorie prodotte dall’inceneritore, pneumatici, plastica e legname. Il Comune, all’epoca, avrebbe dovuto costruire una protezione in modo da impedire l’inquinamento del mare. L’opera non è mai stata realizzata. E nel sito, tanto nel terreno quanto nella falda che porta alla riva, sono stati rinvenuti metalli, idrocarburi pesanti, benzopirene e diossine. Lo scarico dei rifiuti, precisava proprio il dossier, è avvenuto direttamente sui sedimenti marini. «Purtroppo un tempo la legge lo permetteva - rileva l’assessore - ma è inutile fermarci al passato, ora ci occupiamo dell’analisi e di studiare un piano valido». Accertamenti e progetti di intervento, dunque, per poi passare alle bonifiche o a una “tombatura” del sito con il cemento. «Questa potrebbe essere in effetti una soluzione - commenta Polli -, perché permette di isolare l’inquinamento in modo permanente e rendere disponibile la zona ad altri usi. Faccio notare che in Italia interi moli portuali sono stati costruiti così». Ma servono fondi, naturalmente. L’Autorità portuale ha quantificato in 27 milioni di euro la spesa per eventuali bonifiche, nel caso il Comune optasse per questa ipotesi. «Ventisette milioni di euro? Non so se è una cifra corretta - ribatte l’esponente della giunta Dipiazza - perché se prima non si studia l’area e il livello delle contaminazioni non è possibile fare una stima. Non abbiamo idea di quanto costi il tutto. Comunque - precisa - l’intenzione dell’amministrazione comunale è di andare a Roma, al ministero dell'Ambiente, e concordare un percorso. È lì, in quella sede, che domanderemo di accedere ai finanziamenti previsti per fronteggiare l’inquinamento del Sin (Sito di interesse nazionale, ndr), visto che è lì che si trova la discarica. Con le risorse, che chiederemo anche alla Regione, sarà possibile avviare le caratterizzazioni, valutare la pericolosità ambientale e decidere se procedere con le bonifiche o la tombatura. Perché, ripeto, potrebbe darsi che quei rifiuti non debbano essere rimossi. Oggi vige il principio di chi inquina paga, ma le norme - puntualizza ancora Polli - allora permettevano di realizzare una discarica così». Ma il Comune ha anche il compito di inviare tutta la documentazione della struttura alla Provincia (o direttamente alla Regione, che sta assumendo le competenze dell’ente), vale a dire il progetto e le relazioni su come è stata gestita l’area nel corso dei decenni. E, come avvertiva lo stesso dossier, pure «fatti riguardanti eventuali episodi di conferimento illecito di materiali». Riuscirà il Comune a risalire a tutto? «Stiamo approfondendo - sottolinea l’assessore -, cerchiamo di affrontare il problema con un sano buon senso». L’Autorità portuale, proprietaria dell’area, non intende dichiarare guerra: «La cosa importante è collaborare - afferma il presidente Zeno D’Agostino - Al di là delle responsabilità, l’obiettivo è giungere a una soluzione. Comunque il coordinamento che il ministero ci sta fornendo serve anche a trovare i finanziamenti per un intervento che costa molto».

Gianpaolo Sarti

 

 

Il tavolo romano stempera il clima, ma il futuro di Servola resta sospeso - L’INCONTRO AL MINISTERO CHIESTO DAI SINDACATI
Un incontro “interlocutorio”, come riconoscono un po’ tutti, che però non scioglie il nodo di fondo: che ne sarà del futuro della Ferriera a Trieste? L’interrogativo, alla fine del faccia faccia di ieri mattina al ministero dello Sviluppo economico, sollecitato dai sindacati, resta sospeso. Il quesito si gioca attorno al destino dell’area a caldo che il Comune, in guerra aperta contro Arvedi, vorrebbe chiudere. L’industriale, davanti a tanta ostilità, poco più di un mese fa aveva minacciato di lasciare. Di qui la necessità del tavolo al Mise. I toni, par di capire, stavolta sono più distesi da entrambe le sponde. La società, come precisava una nota diramata in serata, non ha potuto che mettere l’accento «sugli impegni assunti con l’Accordo di programma». Tradotto: il percorso di risanamento impiantistico, di messa in sicurezza del sito e di reindustrializzazione. «Dal momento della firma dell’Accordo a oggi sono stati incrementati i livelli occupazionali e lo stabilimento sta producendo nel pieno rispetto di tutti i parametri ambientali disposti dall’Aia - rileva Siderurgica Triestina - come confermato dai dati pubblici che riguardano Pm10, benzo(a)pirene e deposizioni». Detto questo l’impresa conferma «la preoccupazione» già espressa da Giovanni Arvedi, presidente del gruppo, nella riunione dello scorso 12 gennaio. «In seguito agli atti e alle dichiarazioni orientate alla chiusura dell’area a caldo da parte del Comune, cui il gruppo riconosce il massimo rispetto da sempre garantito alle istituzioni, l’azienda non è oggi in grado di poter pianificare le proprie azioni future, che necessitano un quadro di lunga durata». È il terreno della contesa. Siderurgica Triestina, comunque, condivide «la sensibilità manifestata dal Comune per il rispetto dei quadri autorizzativi e prescrittivi» e accoglie «con estremo favore» l’annuncio della Regione sul prossimo coinvolgimento dell’Istituto superiore della sanità». L'impresa, inoltre, è pronta «ad adempiere alla richiesta di ridefinizione del progetto di copertura dei parchi minerali, qualora la Conferenza dei servizi ne faccia richiesta». La società, infine, sollecita un chiarimento definitivo affinché «l'azienda possa operare in condizioni più serene e per poter intraprendere con maggiore certezza le sfide legate al piano industriale». La Regione, per voce dell’assessore al Lavoro Loredana Panariti, dal canto suo ha ricordato la disponibilità dell’Arpa ad accogliere il suggerimento del Comune di posizionare un nuovo deposimetro per la misurazione delle polveri in un’area vicina all'impianto. La richiesta di revisione dell’Aia, avanzata dalla giunta Dipiazza, verrà invece «valutata dai tecnici competenti». Il fronte sindacale resta sul chi va là. «L’incertezza sull’area a caldo rimane», hanno evidenziato Cristian Prella (Failms) e Umberto Salvaneschi Fim-Cisl. Con loro Antonio Rodà (Uilm), convinto che «il botta e risposta tra Comune e Arvedi non porterà a nulla». La giunta Dipiazza, rappresentata ieri al tavolo dall’assessore Angela Bandi, ribadisce la linea: «Più che la chiusura dell’area a caldo a noi importa la tutela della salute delle persone. Se ciò non avviene si devono trarre le conclusioni».

(g.s.)

 

 

M'ILLUMINO DI MENO - Anche Trieste condivide la campagna anti-spreco - Domani niente illuminazione su facciata e scalinata dell’Università tra le 18 e le 19.30
In tutta la regione iniziative per la produzione di energia pulita e riciclo dei rifiuti
Spegnere le luci e condividere. Condividere l'auto, la cucina, la lavatrice, oppure un libro o un giornale, la rete, un sapere, la casa, lo sport, i vestiti, i giocattoli. Il tempo, lo spazio e il silenzio. Praticamente, qualsiasi cosa, basta pensarci. Ed è proprio questo, condividere per sprecare di meno, l'obiettivo della campagna 2017 "M'illumino di meno", la manifestazione promossa dagli ideatori del programma di Rai Radiodue "Caterpillar", giunta quest’anno alla tredicesima edizione, alla quale aderirà, tra le centinaia di comuni italiani, anche Trieste. Domani il capoluogo regionale è tra le città che resteranno al buio per lanciare in primis un messaggio anti spreco. Piazza Unità si aggiunge a tanti altri luoghi storici del Bel Paese: il Campidoglio, il Senato, Montecitorio e il Quirinale a Roma, passando per la Mole Antonelliana a Torino e il Maschio Angioino a Napoli. In Fvg Regione, Comune e università hanno già confermato l'adesione - l'ateneo triestino spegnerà nel campus di piazzale Europa-Edificio A, l'illuminazione della facciata e della scalinata dalle 18 alle 19.30 -, ma la conferma è arrivata anche da molte associazioni, musei, privati e istituti scolastici. Anche quest’anno l'invito è quello di concentrare in una giornata tutte le azioni virtuose per una razionalizzazione dei consumi, sperimentando in prima persona le buone pratiche di riduzione degli sprechi, produzione di energia pulita, contenimento dei rifiuti - grazie alla raccolta differenziata, riciclo e riuso - ma soprattutto sul fronte della mobilità, promuovendo l’uso della bicicletta e di tutti i mezzi a basso impatto energetico come simbolo di pace e di rispetto per l’ambiente. Tenere spente le luci e usare bici, car sharing, mezzi pubblici o concedersi una bella passeggiata a piedi dovranno essere lo stimolo con il quale affrontare la giornata sin dal primo mattino, con il proposito di ridurre quelle invisibili tonnellate di anidride carbonica che ogni giorno produciamo nel pianeta. Ma lo slogan di quest'anno aggiunge anche un altro ottimo proposito, quello di "condiVivere", ovvero «spegniamo le luci e accendiamo l'energia della condivisione». Si potrà così offrire un passaggio in auto ai colleghi, organizzare una cena collettiva, aprire la propria rete wireless ai vicini. Ma anche trasmettendo conoscenze e attività, condividendo lo sport, il tempo libero e qualche momento in compagni. Tra le associazioni che aderiranno la lista è lunga: Uisp Trieste, Lega Navale Italiana – Sezione di Trieste, associazione di cicloturisti e ciclisti urbani Ulisse Fiab, Caritas di Trieste, Oltre quella Sedia, Società Adriatica di Speleologia, mentre accanto alle istituzioni già precedentemente indicate - Comune, Regione, università - ci sarà anche l'Agenzia Turismo Friuli Venezia Giulia. Anche il mondo dei saperi parteciperà alla giornata, con il museo speleologico Speleovivarium Erwin Pichl e il Science Centre Immaginario Scientifico, mentre tra i privati hanno accettato di unirsi alla manifestazione Simulware srl, Trieste LaBora e Radio Fragola. Ma se la riduzione dei consumi e il contenimento degli sprechi è una bella abitudine che sempre più persone dovrebbero adottare, ecco che occorrerebbe apprenderla sin dalla tenera età. E così l'asilo nido "la mongolfiera" ha deciso di prendere parte alla campagna, accanto al liceo Galilei che aderirà all'iniziativa per l'intera giornata.

GIULIA ZANELLO

 

Meno “veleni” spegnendo la luce - Domani due ore di buio sono un invito alla razionalizzazione dei consumi, ma anche alla fantasia
TRIESTE - Domani, per il tredicesimo anno consecutivo, molte città si spegneranno per “M'illumino di meno”, la campagna inventata da Caterpillar, il programma di Rai Radio2 condotto da Massimo Cirri e Sara Zambotti. Hanno già aderito centinaia di Comuni. Dalle 18 alle 20 resteranno al buio il Quirinale e Montecitorio, Palazzo Madama e il Parlamento europeo a Strasburgo, il Palazzo Reale a Milano e Piazza Stradivari a Cremona, quasi tutti i monumenti di Napoli e il cuore di Assisi. Perfino la Trump Tower spegnerà almeno un piano. Spegnere le luci è prima di tutto un messaggio anti spreco. Le immagini notturne del pianeta, da satellite, rivelano una chiazza abbagliante che copre l'Europa, l'America (con l'eccezione dell'Amazzonia) e buona parte dell'Asia. Dietro quel chiarore diffuso ci sono milioni di invisibili tonnellate di CO2 che s'innalzano al cielo: un inquinamento che potrebbe essere drasticamente ridotto utilizzando fonti di energia pulita ed evitando gli usi dissennati, gli eccessi, le lampade che sparano la luce verso l'alto invece di dirigerla in modo utile. Due ore di buio sono un invito alla razionalizzazione dei consumi, ma anche alla fantasia. «Molti hanno scoperto il piacere di svolgere le loro attività in modo diverso: fanno allenamenti di karate e di scherma, o lunghe passeggiate al buio», ha spiegato Massimo Cirri. La festa energetica include il mondo della scuola: in molte classi si proporrà di inventare un supereroe del risparmio energetico e affidargli imprese dall'esito sorprendente. Oltre all'allenamento dei sensi “M'illumino di meno” quest'anno sarà l'occasione per allenare il rapporto con gli altri. La proposta è: spegniamo le luci e accendiamo l'energia della condivisione. É l'invito a "condiVivere: dando un passaggio in auto ai colleghi, organizzando una cena collettiva, aprendo la propria rete wireless ai vicini. Si può condividere un saper fare: t'appendo quel quadro, t'insegno lo spagnolo, ti riparo la gomma della bicicletta. Si può condividere lo sport: correre insieme, pedalare, nuotare e sudare. Si può condividere un telescopio e guardare le stelle che con le luci spente sono più belle". La giornata in cui si gioca con il risparmio energetico potrebbe diventare un appuntamento istituzionale. Mercoledì verrà presentata una proposta di legge per trasformare l'iniziativa in una Giornata nazionale del risparmio energetico. «La Commissione europea ha dato il via alla seconda fase della procedura d'infrazione contro l'Italia e altri Paesi dell'Unione per l'inquinamento da biossido d'azoto», spiega Chiara Braga, responsabile ambiente del Pd e cofirmataria dell'iniziativa. «Per affrontare e risolvere il problema ci vogliono politiche di gestione della mobilità e dell'efficienza degli edifici, ma anche comportamenti quotidiani più responsabili: i cittadini vanno informati e sensibilizzati».

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 22 febbraio 2017

 

 

Una collina di rifiuti pericolosi - Indagini del Noe su via Errera - Dossier passato alla Regione dopo l’addio all’ente di palazzo Galatti Mai inviati dal municipio i documenti richiesti
Eccola là, dimenticata in un angolo di zona industriale. Ma ora ritorna, come un parente antipatico che non si vedeva da tempo e si presenta all’improvviso alla porta. Come la polvere nascosta per anni sotto il tappeto. Arriva il momento che spunta fuori. Trieste prima o poi doveva fare i conti con l’ex discarica di via Errera, costruita dal Comune negli anni Ottanta e poi lasciata a se stessa. Una collina in cui è finito di tutto. Rifiuti di ogni genere, anche pericolosi. E idrocarburi, scivolati in mare nello specchio d’acqua del Canale navigabile. Lentamente, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Un disastro ecologico che adesso presenta il conto. C’è un dossier di nove pagine preparato dalla Provincia, passato alle competenze della Regione, e su cui sono stati allertati i Carabinieri del Noe. Il documento punta il dito proprio sul Comune, ritenuto colpevole di ciò che oggi è quella discarica: nessuna amministrazione si è mai occupata di metterla in sicurezza. E l’attuale giunta Dipiazza, viene precisato, non starebbe collaborando per intervenire. Di più. C’è pure una somma per le bonifiche necessarie per salvare il salvabile, stimata dall’Autorità portuale: 27 milioni di euro. Un decimo del bilancio municipale. Ma siamo ancora a uno stadio nebuloso della vicenda per stabilire chi pagherà e quando: l’Authority è proprietaria del terreno, ma non responsabile dell’inquinamento. Il Comune invece è responsabile ma non proprietario. Si preannuncia un gioco al rimpallo? Per capire di cosa si sta davvero parlando occorre non solo analizzare a fondo quel dossier, ma anche guardare da vicino lo scempio ambientale di cui pochi hanno memoria. La discarica, autorizzata dalla Regione Fvg dall’84 all’87 in base alle norme vigenti allora “per lo scarico di solidi inerti”, è in fondo a via Errera a pochi metri dal termovalorizzatore. È in un’enorme campagna che si intravede dalla superstrada, circondata da una rete arancione, ormai crollata in più punti. Qui, a partire dall’84, hanno depositato roba edile e industriale: resti di demolizioni e scavi, scorie prodotte dall’inceneritore. Pneumatici, plastica e legname. Una quantità di monnezza che nel tempo è diventata un tutt’uno col suolo. Si cammina tra la sterpaglia e i rovi cresciuti sulla spazzatura. Il piede affonda spesso nella melma. Fango misto alla morchia sversata senza troppi complimenti quando le leggi lo permettevano. In effetti il decreto regionale 426 del 24 agosto 1983 concede al Comune di disfarsi dei materiali “solidi inerti” pure in acqua, ma con l’avvertimento che «l’avanzamento a mare sarebbe dovuto avvenire con una barriera capace di impedirne l’inquinamento». Spallucce. Siamo nell’89 quando il Comune comunica alla Regione la conclusione dell’attività di discarica, avvenuta già due anni prima. Il municipio domanda però di mantenere la concessione «in attesa di terminare i lavori di protezione a mare». Mai fatti: la struttura viene chiusa proprio nell’87 ma, precisa il dossier, «senza realizzare alcunché». La discarica, tira le somme il documento della Provincia, è stata quindi costruita «scaricando rifiuti direttamente sui sedimenti marini». Oggi, più che il lungomare triestino, quel lembo di costa ricorda le peggiori periferie del Terzo mondo. Una brodaglia nerastra di copertoni, barili, tubi e piloni di cemento armato. Dove si interrompe la collinetta, sulla riva, sul terrapieno, si scorge tutta la spazzatura accumulata negli anni. Cavi, bidoni e pezzi di asfalto inzuppati nella fanghiglia uno sopra l’altro. Come una torta a strati che Madre Natura si sta pian piano divorando. Adesso i nodi vengono al pettine. Vecchi e nuovi. Perché la vergogna di via Errera sta scrivendo una pagina inedita. Lo dice proprio il dossier, visto che qualcuno negli ultimi due anni ha cominciato a infilare il naso su quanto accaduto. È la Conferenza dei Servizi ministeriale che con istruttoria dell’aprile scorso ha dato mandato alla Provincia di trovare chi dovrà rispondere della contaminazione. Dal momento che la discarica sta all’interno del Sin, il sito inquinato di zona industriale, vige l’accordo di programma del 2012, secondo cui le opere di analisi (caratterizzazioni) e le bonifiche sono a carico dei soggetti che hanno determinato l’inquinamento. Una bomba: è il Comune di Trieste, come accusa il dossier, cioè l’ente a cui era stata affidata la discarica. La Provincia, incaricata a indagare, si è mossa avanti. E il 16 maggio scorso, negli ultimi scampoli della giunta Cosolini, ha sollecitato il municipio a fornire tutta la documentazione del caso: il progetto e la gestione dell’area. Non solo. Anche «fatti riguardanti eventuali episodi di conferimento illecito di materiali». Un passaggio delicato. La stessa richiesta è stata inoltrata all’Autorità portuale (che si è dichiarata «non responsabile» di alcunché, ndr), a Regione Fvg, Arpa e Asuits. Un mese dopo il Comune domanda una proroga per preparare il faldone. La Provincia concede 60 giorni in più, precisando che «alla scadenza del termine le indagini sarebbero state chiuse, dando corso agli atti conseguenti previsti dalla norma di settore». Siamo ormai in piena giunta Dipiazza e il Comune, denuncia il dossier, «non ha fornito elementi utili all’istruttoria». Nel terreno e nella falda, intanto, sono stati rinvenuti metalli e idrocarburi pesanti. Benzopirene. Diossine. Tutti i campioni sono ritenuti «rifiuti speciali pericolosi».

di Gianpaolo Sarti

 

Ma c’è chi va a pescare in mezzo alle scorie
Sversamenti a mare a poche decine di metri in linea d’aria, rifiuti di ogni tipo lungo la costa, terra mista a cavi e detriti pericolosi direttamente a contatto con l’acqua. E di fronte a tutto questo la gente cosa fa? Pesca. Già, il Canale navigabile della zona industriale spesso ospita più di qualche pescatore delle domenica, con canna e cestello. Gli irriducibili di canne e lenze, incuranti dei problemi di contaminazione ambientale, gettano l’amo lì, come se fossero a Barcola. «Effettivamente mi hanno detto che c’è pure chi si mette perfino nella zona dell’oleodotto, dove il sedimento è fortemente inquinato - conferma l’ex presidente di Legambiente di Trieste e del Friuli Venezia Giulia Lino Santoro -. Ci sono persone che vanno in quella zona di notte, stranamente nessuno le vede. C’è da domandarsi dove va a finire il pesce. Entra nel giro del commercio? Viene venduto sui banchi delle pescherie? Lo mangiamo? Speriamo proprio di no - conclude l’ex responsabile dell’associazione ambientalista - ma, a essere sincero, qualche dubbio sul destino di quel pesce mi è effettivamente venuto». La presenza di pescatori è stata notata anche dagli operai che lavorano nelle aziende che si trovano nei paraggi: talvolta scavalcano i punti recintati e si siedono sui pontili. È accaduto, ad esempio, nello specchio d’acqua lungo il terminale portuale di Italcementi, a poche decine di metri dal termovalorizzatore e dal depuratore.

(g.s.)

 

"Un vero disastro ignorato per anni" L’ambientalista Santoro: «I nostri allarmi sono caduti colpevolmente nel vuoto»

LE AZIONI DA ATTUARE - Sono possibili interventi precisi con fondi europei e nazionali
«Già, un vero disastro, non ci sono mezze parole». Lino Santoro, uno dei fondatori di Legambiente a Trieste, per anni alla guida dell'associazione, conosce a fondo la questione del deposito di via Errera. «Mi ricordo bene di quella discarica, nessuno ha mai fatto nulla per anni». Santoro, Legambiente in passato aveva denunciato pubblicamente il problema, cosa è successo? Avevamo anche manifestato lì, in via Errera, era la fine anni Ottanta credo. Poi nel tempo l'area è stata abbandonata a se stessa. Era una classica discarica, dove una volta si buttava di tutto. Con l'andare del tempo la pioggia e le infiltrazioni d'acqua nel terreno portano gli idrocarburi sotto. Questo accade anche in Carso nelle grotte inquinate. In via Errera dovevano fare una barriera a mare per evitare che l'acqua piovana a le falde trascinassero le sostanze inquinanti nell'acqua. Visto che quella era una discarica di rifiuti all'interno del Sito inquinato di Trieste, le soluzioni potevano essere due: o si tombava tutto, quindi cementificando l'area, o si procedeva con lo svuotamento e la bonifica. Non mi risulta si sia fatto alcunché. Come si potrebbe agire ora? Ci sono dei finanziamenti nazionali ed europei per attivare interventi precisi, ad esempio per il prelievo dell'acqua inquinata, il trattamento e il riversamento in mare. Ma lì ci sono anche rifiuti, che vanno portati via. La zona deve essere messa in sicurezza, altrimenti la falda che passa all'interno della discarica continua a finire in mare. I documenti scrivono che l'inquinante è degradato nel mare; anzi, più precisamente che «la discarica è stata realizzata scaricando rifiuti direttamente sui sedimenti marini senza alcuna opera di protezione». Questo cosa comporta dal punto di vista puramente ambientale? Beh, significa che nel mare abbiamo acqua inquinata e quindi tutta la catena alimentare ne risente, dai microrganismi marini al pesce. È un disastro. E qualcuno in quella zona del Canale navigabile va pure a pescare, come noto. Perché nessuno è mai intervenuto per la bonifica dell’ex discarica? Perché viviamo in Paese diciamo un po’ particolare, dove i soldi non vengono utilizzati in modo corretto. Evidentemente conviene muoversi in un altro modo. Quale? Trascinare tutto nel tempo con la scusa delle caratterizzazioni, cioè dello studio dei livelli di inquinamento sui vari strati di terreno. Durano anni, perché ci sono soldi di mezzo. Ricordiamo cosa è successo nella Laguna di Marano e Grado, con gli esiti giudiziari della vicenda.

(g.s.)

 

Materiali e residui sparsi su 500 ettari - Acqua torbida nel tratto dallo Scalo Legnami al Rio Ospo che include anche l’ex Esso a Zaule e l’ex Aquila a Muggia
Forse non servono grandi esperti per rendersi conto di cos’è quella parte di lungomare che va da Scalo Legnami a Rio Ospo. Acqua torbida, a tratti oleosa. Tra piccole spiagge e banchine per lo scarico delle merci, si intravedono pezzi di lamiera, taniche e copertoni di auto e camion. Un inquinamento di proporzioni mai quantificate davvero che racconta la storia industriale di Trieste, dove sono state autorizzate discariche un tempo pienamente legali. La costa in buona sostanza coincide con la planimetria ufficiale del Sin, il Sito di interesse nazionale, giudicato inquinato e quindi soggetto a studi e bonifiche. Questione annosa e che blocca lo sviluppo imprenditoriale della città. Si parla di 500 ettari di terreno dove sono insediate decine di imprese e altri 1.200 a mare in cui rientra a pieno titolo pure il Canale Navigabile. È la linea di mare appunto, evidentemente contaminata. A cominciare dalla superficie occupata dalla Ferriera, come noto, oggetto di interventi di risanamento e progetti per impedire lo sversamento dei materiali. Nel novero rientra soprattutto l’area dell’ex Esso, vicino a Zaule, secondo alcuni il punto peggiore in assoluto nel Nord Adriatico. L’area è stata sede di attività di raffinazione del greggio dal 1895 al 1967; successivamente è stata affiancata pure la raffinazione di oli lubrificanti. Nel ’69 il sito è stato adibito a deposito costiero della Esso Standard Italiana spa, rimasto all’opera fino al ’79. Durante tutto quel periodo varie aree demaniali del litorale sono state impiegate per l’accumulo di residui delle lavorazioni (olii, morchie e fanghi bituminosi). Il tratto è stato restituito al demanio nel 1982 senza alcuna bonifica. Studi, in quel punto, non sono mancati: nel suolo e in acqua in passato e a diverse riprese è stata accertata la presenza di residui catraminosi, idrocarburi, ceneri da inceneritore, metalli pesanti (mercurio, cadmio, piombo e nichel), compreso l’amianto. Per non parlare della zona ex Aquila a Muggia che un tempo ospitava una raffineria. Una parte è stata acquistata dalla Teseco che punta alla bonifica. La stessa ex discarica di via Errera, il grande problema che si sta riaffacciando ora, giace nel perimetro del Sin, all’interno del “Comparto Grandi Operatori”, come definito nell’accordo di programma del 25 maggio 2012. L’area ricade proprio tra i punti “presuntivamente” inquinati dagli enti pubblici. Già, enti pubblici, perché è stata proprio la Regione Friuli Venezia Giulia, con decreto n. 426 del 24 agosto 1983, ad autorizzare il Comune di Trieste allo scarico di materiali solidi inerti nello specchio acqueo tra il Canale Navigabile di Zaule e via Errera, ai sensi delle normative vigenti in quel periodo (legge regionale del 13 luglio 1981, articolo 15). La gestione della discarica è stata concessa sempre dalla Regione Fvg con decreto del 19 ottobre 1983. È ubicata proprio a valle dell’ex Esso e a Ovest del terrapieno realizzato a partire dagli anni ’40 e fino alla fine degli anni ’70 in tutta l’area della sponda Nord del Canale. Un pezzo di terra messo su con le macerie dei bombardamenti e con il parziale sbancamento del Monte San Pantaleone, nonché con i rifiuti provenienti da altre discariche comunali.

(g.s.)

 

 

L’ente camerale difende il Parco del mare su Facebook
La Camera di commercio della Venezia Giulia ha attivato una pagina Facebook dedicata al Parco del Mare di Trieste. L'iniziativa ha lo scopo di informare la cittadinanza sulle azioni in corso per realizzare il progetto, considerato «occasione di sviluppo economico del territorio». Nella pagina Facebook, denominata “Parco del Mare di Trieste-Trieste Sea Park”, è anche riportata una sintetica cronistoria. Spazio è destinato inoltre al dibattito in corso con la cittadinanza e in particolare alla “petizione comitato La Lanterna su Change.org: controdeduzioni e richiesta rimozione”: ci sono in quel documento «affermazioni - sostiene il presidente camerale, Antonio Paoletti - che non corrispondono alla realtà proprio perché il concept del progetto non è mai stato presentato». Paoletti annuncia che «la Camera di commercio sta lavorando ad una presentazione pubblica alla città del concept progettuale del Parco del Mare di Trieste che verrà fatta a primavera». Nella sezione è spiegato anche che l'impianto «non oscurerebbe un monumento storico ottocentesco», che la costruzione «non sarà pressoché visibile dalle rive» ma «solo da metà Molo Audace verso mare, ad una distanza ormai di quasi un chilometro!» e che «non sarebbe visibile nemmeno dalla Sacchetta in quanto «coperto quasi totalmente dagli edifici già esistenti attorno alla Lanterna». Infine, il Parco «non arrecherà nessun disturbo al bagno storico Pedocin» né ci saranno problemi in merito «alla stabilità dell'Acquario su terreno di riporto, e la costruzione sarà su micropali di lunghezza circa 40 metri, ovviamente come, ad esempio, la Stazione Marittima, la Piscina Terapeutica o altri edifici in zona». Secondo il cronoprogramma camerale, la realizzazione, prevista nell’area ex Cartubi sotto la Lanterna e di fianco al Pedocin, richiede un investimento pubblico-privato di oltre 40 milioni di euro.

 

Il centrosinistra “blinda” la Tripcovich - Fronte compatto di Pd e alleati per opporsi all’abbattimento. Sollecitata la ricerca di nuovi fondi per pagare il restyling
Sala Tripcovich giù, Sala Tripcovich su. L’ex stazione delle autocorriere, disegnata dall’architetto Umberto Nordio e costruita nel 1936, torna al centro del dibattito politico. L’opposizione di centrosinistra ha infatti presentato nei giorni scorsi una mozione (firmata in testa dall’ex sindaco Roberto Cosolini) che si oppone al “piccone risanatore” ritirato fuori per la seconda volta dal sindaco Roberto Dipiazza. “Salvaguardia e (addirittura) rilancio della Sala Tripcovich” è il titolo della mozione che vede il gruppo del Pd, capitanato da Fabiana Martini, schierato assieme all’ex presidente della Provincia Maria Teresa Bassa Poropat (Insieme per Trieste) e a Roberto de Gioia (Verdi-Psi). L’iniziativa si oppone all’idea della demolizione che starebbe dietro la chiusura urgente (per motivi di sicurezza e agibilità) decisa dal sindaco il 7 febbraio di concerto con il sovrintendente del Verdi Stefano Pace: la Sala Tripcovich fa parte infatti del patrimonio del teatro lirico. Nella Sala Tripcovich si è concluso a fine gennaio il più importante festival cinematografico della città (Trieste Film Festival) che ha ospitato (in una struttura quindi “pericolosa”) Monica Bellucci (premiata con l’Eastern Star Award 2017) e il regista Marco Bellocchio. «Quando c’era quella bellissima attrice non mi sono presentato, perché mi vergognavo come sindaco» ha fatto sapere a TeleQuattro Dipiazza, che è anche presidente della Fondazione del Teatro lirico Giuseppe Verdi. Quale futuro per la Tripcovich? Il primo cittadino non ha mai fatto mistero di vedere quella sala, regalata alla città dal barone Raffaello de Banfield, un ingombro per piazza Libertà e un intralcio all’ingresso monumentale in Porto vecchio. Nella mozione l’ex sindaco Cosolini con tutto il centrosinistra eleva, invece, un elogio dell’ex stazione delle autocorriere riconvertita in teatro nel 1994. «La Sala - si evidenzia nella mozione - ha avuto un ruolo essenziale per il settore culturale cittadino e regionale nel corso degli anni, passando da soluzione provvisoria per ospitare spettacoli del Teatro Verdi e del Rossetti, durante i periodi delle rispettive ristrutturazioni, a luogo ideale per iniziative di spettacolo di grande richiamo al di fuori del sistema teatrale cittadino, a sede principale di due festival cinematografici di livello internazionale e a sede per le iniziative di prestigio come il Conservatorio Tartini e la Chamber Music». Una sala unica «per ampiezza della platea, metratura del palco e acustica». Per questo la mozione manifesta «la contrarietà di demolizione della Sala, fatta salva la preventiva identificazione di una sede alternativa». E quindi vorrebbe impegnare il sindaco e la giunta «a verificare, congiuntamente al sovrintendente del Teatro Verdi, anche tramite il coinvolgimento di privati, la possibilità di reperire i finanziamenti adeguati a supportare eventuali costi che di rendessero necessari per mantenere l’agibilità della sala». Inoltre chiede di convocare «un tavolo con i principali soggetti utilizzatori passati e potenziali della Sala Tripcovich per valutarne le loro esigenze ed una loro eventuale disponibilità a farsi carico della gestione della sala e comunque a rilanciare un progetto per un maggior utilizzo della stessa». Giù le mani dalla Tripcovich, insomma.

Fabio Dorigo

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 21 febbraio 2017

 

 

Giù alberi e siepi per liberare la scuola ostaggio dei cinghiali - Al via i lavori all’istituto comprensivo di via Commerciale - L’intervento durerà due settimane e costerà 45mila euro
È un po’ come decidersi a dare una bella accorciata ai capelli d’un bimbo che frequenta una classe infestata dai pidocchi, a titolo giustamente preventivo. È un po’ come, certo, ma non è proprio così, perché qui il rischio è ben più serio del doversi semmai grattare la testa o del disgusto dato dal ritrovarsi al caso un minuscolo parassita sul cuscino fresco di bucato. Per scongiurare ogni eventuale incidente, qualsiasi imprevisto peggiore degli avvistamenti di cinghiali denunciati finora nei paraggi, il Comune - anche in risposta alle sollecitazioni giunte da insegnanti e genitori - scende ufficialmente in campo con tecnici, manovali, motoseghe, falciatrici e rastrelli per “rasare” la vegetazione incolta che oggi circonda il comprensorio scolastico di via Commerciale sotto Campo Cologna e che rappresenta certamente una delle concause principali delle allarmanti “incursioni” dei bestioni selvatici nel comprensorio stesso. Costo dell’operazione - che partirà in questi giorni e che prevede pure la sistemazione della recinzione nei punti in cui, proprio grazie alla pulizia del verde, sarà nuovamente possibile localizzare i “buchi” da dove trovano un facile accesso gli animali - circa 45mila euro, reperiti negli assestamenti del bilancio 2016. Non proprio bruscandoli. Ma la sicurezza con la “S” maiuscola, specie quando ci sono di mezzo i bambini - e si sa quanto pericolose possono rivelarsi le scorribande dei cinghiali e soprattutto le loro successive fughe tra le persone in preda alla paura - non ha prezzo. Ad annunciare l’intervento è il ticket rosa, oramai collaudato quando si tratta di mettere mano alle scuole, costituito dagli assessori ai Lavori pubblici e all’Educazione Elisa Lodi e Angela Brandi, che ieri hanno fatto diffondere all’Ufficio stampa del Comune un comunicato in cui informano appunto che al sopralluogo urgente compiuto in loco esattamente due settimane fa, il 6 febbraio - dopo che poche ore prima la Forestale aveva dovuto abbattere tre esemplari da mezzo quintale dentro il recinto - ora segue finalmente l’attesissimo intervento di messa in sicurezza della cintura verde attorno al polo che ospita l’elementare Longo, la materna Tomizza e il nido comunale Verdenido. «Questa settimana inizieranno le operazioni di sfoltimento di tutta una fascia di circa due o tre metri lungo tutto il perimetro del comprensorio scolastico», così Lodi e Brandi nella nota stampa. L’intervento - che dovrebbe durare una quindicina di giorni - si concretizzerà in «un sensibile sfoltimento» tra «sottobosco» e «rampicanti» sulla «recinzione», nonché nella «potatura» delle «alberature che invadono le sedi stradali delle vie che circondano il comprensorio». E «sarà poi sostituta la recinzione dove mancante o insufficiente e sarà garantito un accesso agibile lungo tutto il perimetro per rendere possibili e meno costose le future manutenzioni». A proposito quindi della «grande superficie verde di pertinenza, molta parte di essa lasciata a bosco spontaneo, specialmente quella lungo il perimetro», la giunta Dipiazza non manca neanche in questa occasione di prendere - almeno a quanto è lasciato intendere - le distanze da quella che l’ha preceduta: «Negli anni passati - recita in effetti la nota di Lodi e Brandi - sono stati ridotti gli interventi di manutenzione ordinaria sul verde in genere dei comprensori scolastici e in particolare di quelli di dimensioni come quello di via Commerciale, limitando gli interventi alle zone realmente fruite dall’utenza scolastica. Tutto ciò, oltre ad aver fatto raggiungere il limite relativo possibile per ragioni di sicurezza e stabilità della situazione di molte alberature lungo il perimetro che interferiscono con la viabilità circostante, ha anche favorito il fenomeno dello stazionamento di cinghiali nell’ormai fitto sottobosco che si è naturalmente creato in ampie zone del comprensorio».

Piero Rauber

 

Insegnanti e famiglie in allarme da settembre - Abbattuti di recente dai forestali tre esemplari - il caso
Insegnanti e famiglie convivono da settembre con l’ansia cinghiali in zona, alimentata da avvistamenti a “intermittenza”. Ma la situazione si è fatta insostenibile tra fine gennaio e inizio febbraio, quando un sabato la Forestale è dovuta intervenire per abbattere un gruppo di quattro esemplari da 50 chili, di cui uno è riuscito a fuggire. La dirigente scolastica Tiziana Farci ha allertato ovviamente anche il Comune - e lo stesso Roberto Dipiazza (nella foto) si è fatto un giro per verificare di persona l’andazzo - e ha preso una serie di provvedimenti precauzionali come la chiusura degli accessi al giardino e alla scuola più vicini al capolinea della 28, i più critici, limitando i passaggi al solo ingresso principale.

(pi.ra.)

 

 

 

 

eHABITAT.it - LUNEDI', 20 febbraio 2017

 

 

Aree naturali terrestri: quasi un decimo distrutto negli ultimi 20 anni

Secondo un recente studio pubblicato sulla rivista Current Biology, un decimo delle aree naturali terrestri è andato perduto dai primi anni ’90 ad oggi. E senza una decisa inversione di tendenza, potrebbero non esisterne più entro il 2100.
I ricercatori hanno scoperto infatti che un territorio pari al doppio della superficie dell’Alaska è stato distrutto da attività umane quali la conversione dei terreni ad uso agricolo, da attività di tipo industriale e dallo sviluppo di nuove infrastrutture. Sono andati perduti 3.3 milioni di chilometri quadrati, che equivalgono a poco meno del 10% del totale delle aree naturali terrestri. Le perdite più consistenti sono state registrate in Sud America (-29.6%) e Africa (-14%). Secondo i ricercatori, attualmente le aree che permangono intatte ammontano al 23.2% della superficie terrestre globale, pari a 30.1 milioni di chilometri quadrati.
«Nonostante le aree naturali siano fondamentali per la conservazione della biodiversità, per la regolazione dei microclimi locali e per il sostentamento di molte comunità locali emarginate politicamente ed economicamente, queste sono completamente ignorate a livello di politica ambientale» ha affermato il dott. James Watson dell’Università del Queensland in Australia, autore principale dello studio. «Senza politiche specifiche volte a proteggere queste aree, esse diventano vittime dello sviluppo diffuso. Ci rimangono probabilmente da uno a due decenni per modificare tutto ciò. Gli organi politici internazionali devono individuare le azioni necessarie per preservare le aree naturali esistenti, prima che sia troppo tardi».
La perdita su vasta scala delle aree naturali esistenti potrebbe avere conseguenze disastrose a livello di cambiamento climatico. Le foreste immagazzinano infatti grandi quantità di carbonio che, se rilasciate nell’atmosfera, potrebbero accelerare il processo di riscaldamento globale. Gli autori precisano che «evitare le emissioni proteggendo le aree naturali, in particolare quelle boreali e dell’Amazzonia, darebbe un contributo significativo alla stabilizzazione delle concentrazioni atmosferiche di CO2».
Lo studio sostiene infatti che la distruzione delle foreste causata da attività industriali ed estrattive, dagli incendi provocati dall’uomo e dai rapidi cambiamenti climatici degli ultimi anni, potrebbe trasformare queste ultime da serbatoi benefici in grado di assorbire carbonio, a dannose fonti di emissione dello stesso. La perdita delle aree naturali, inoltre, minaccerebbe anche la sopravvivenza di molte specie animali inserite nella lista rossa delle specie in via di estinzione.
Lo studio avverte che la perdita delle aree naturali è irreversibile. Pertanto, debbono essere intraprese azioni immediate su larga scala per proteggerle dalle attività umane, al fine di assicurare che gli ecosistemi esistenti possano continuare ad esistere, garantendo il persistere di processi ecologici ed evolutivi essenziali, nonché il benessere stesso delle generazioni future.

ALESSANDRA VAROTTO

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 20 febbraio 2017

 

 

Restyling senza Canale in piazza Sant’Antonio - I Lavori pubblici inseriscono nel Piano delle opere la riqualificazione ma non terranno conto delle indicazioni sortite dal concorso di idee

Una questione di coerenza urbanistica. O meglio di estetica urbana. La piazza di Sant’Antonio non può restare così come è. Poichè tutt’attorno a essa fervono o ferveranno importanti lavori per riqualificare il Borgo Teresiano, non ha molto senso che la piazza, svaniti i sogni acquei della giunta precedente, non abbia la stessa qualità di quanto si sta facendo nelle adiacenze. Per ora è ancora sotto traccia, ma i Lavori Pubblici comunali vogliono iscrivere nel Piano triennale delle opere, di prossima edizione e strettamente connesso al bilancio 2017, la “redenzione” di uno spazio urbano trascurato in mezzo a uno degli scorci più belli e più fotografati della città. Piazza Sant’Antonio si estende da via San Spiridione alla scalinata della grande chiesa neoclassica e ospita le bancarelle di prodotti alimentari, che in precedenza stazionavano in piazza Ponterosso. L’orientamento comunale, che andrà verificato con il sindaco e con il settore finanziario, è quello di risistemare la piazza prescindendo dalla riapertura del Canale, idea che all’attuale amministrazione non garba per molteplici ragioni, a cominciare da quelle finanziarie. Quindi si tratterà di un’operazione con caratteristiche “terrestri”, da realizzare con progettualità interna agli uffici, sulla quale non incideranno le risultanze del concorso di idee, che si svolse un anno fa e che in aprile ebbe i tre premiati. La convinzione, maturata nei Lavori pubblici, si basa sul fatto che lavori per poco meno di 3 milioni di euro sono cantierati nei pressi della chiesa e della sua piazza. Oltre un milione per pavimentare le sponde del Canale tra le Rive e via Roma. Circa 900mila euro sono destinati a finanziare il secondo lotto delle opere per la sicurezza e le facciate della chiesa. Alla riqualificazione di via XXX Ottobre, tra Sant’Antonio e piazza Oberdan, provvederanno 800mila euro agganciati al piano Pisus: il cantiere avrebbe dovuto essere aperto già in gennaio, ma l’appalto è stato impugnato e il Tar deciderà l’8 marzo prossimo il ricorso contro l’aggiudicazione a Friulana Costruzioni. Senza dimenticare che il Municipio sta svuotando palazzo Carciotti: nel 2018 sarà messo all’asta per una possibile riconversione alberghiera. Da un ventaglio di interventi, che coinvolge una significativa porzione del Borgo Teresiano a integrare quanto già realizzato durante l’era cosoliniana sull’asse Ponterosso-via Trento-largo Panfili, rischiava di rimanere estranea la piazza dedicata al Santo lisbonese-padovano: da questa premessa si comprende meglio l’impegno dei Lavori pubblici a reinserire la piazza nell’agenda delle opere triennali. L’attuale sito venne ottenuto nella prima metà degli anni Trenta con l’interramento del Canale, riempito con l’escavo di Montuzza. In precedenza l’acqua arrivava ai piedi della scalinata della chiesa. Una certa aria di precarietà ha accompagnato questa superficie, sulla quale si affacciano i lati della Chiesa serbo-ortodossa e della fondazione Scaramangà, uno storico caffè come lo Stella Polare. Dietro sollecitazione di Andrea Dapretto, assessore ai Lavori pubblici della giunta Cosolini, a fine 2015 il Comune decise di lanciare un concorso di idee, finalizzato a ottenere spunti progettuali per ripensare piazza Sant’Antonio: tra l’altro veniva apertamente riconsiderato l’interramento del Canal Grande, tanto da vagheggiare il ritorno dell’acqua vicino alla chiesa. Un sondaggio del “Piccolo” vedeva prevalere di stretta misura i cittadini favorevoli all’allungamento del Canale. Il Comune mise in palio un montepremi di 15mila euro. Al concorso di idee parteciparono 69 proposte (una venne eliminata per ragioni procedurali). Una commissione, composta da cinque membri, esaminò i progetti. Al primo posto si classificò il “gruppo Sagrado” (Anzil, Zetoni, Modena, De Stefani), che si era ispirato a un lavoro firmato da Gigetta Tamaro. La seconda piazza venne attribuita all’architetto bolognese Paolo Chierici. Medaglia di bronzo al gruppo coordinato da Barbara Fornasir (Fausto Benussi, Rossella Gerbini, Franco Umeri) con la consulenza di Vittorio Sgarbi. L’intero “podio” aveva come filo conduttore progettuale un ampio ricorso all’acqua. Quell’acqua di cui il Dipiazza III intende fare a meno o ne vuole comunque ridimensionare la rilevanza.

Massimo Greco

 

Verde e strade per migliorare piazza Libertà
Strade e verde pubblico in piazza Libertà. All’avvicinarsi delle scadenze di bilancio, i Lavori Pubblici comunali redigono l’abituale elenco delle necessità operative, tra le quali si recupereranno gli interventi in piazza Libertà. Interventi che non dovrebbero comunque mutare l’attuale assetto dell’ampio spazio davanti alla Stazione centrale: destino della Sala Tripcovich permettendo, naturalmente. Ma sembra che il vertice dell’Amministrazione abbia cambiato opinione sul tema dell’ex stazione delle corriere, che pertanto non dovrebbe essere abbattuta. AcegasApsAmga sarà incaricata di curare gli aspetti di competenza. Obiettivo dell’amministrazione è ridare pulizia e decoro a una delle zone più difficili della città, che però è diventata accesso al Porto Vecchio in versione “open”.

(magr)

 

Risorse all’imprenditoria giovanile - Scade oggi il termine del bando Pisus che mette a disposizione 250mila euro
Artigianato, commercio, turismo, servizi alle persone in versione junior. C’è un “Pisus” per tutti: dietro questo buffo lessema, acronimo di “Piano integrato di sviluppo urbano sostenibile”, ci sono risorse Ue filtrate dalla Regione Fvg e indirizzate alle pubbliche amministrazioni richiedenti. Tra queste c’è il Comune di Trieste: oggi lunedì 20 febbraio alle ore 12, per esempio, scade il bando per accedere ai contributi 2016 che supportano la piccola e media imprenditoria giovanile operante nel territorio municipale. In questo caso sono in palio 250 mila euro, attribuibili solo a progetti presentati da Pmi che prevedano interventi ubicati nel Comune. Il bando avrà una durata di tre anni e l’Amministrazione si riserva - nel caso fluiscano risorse fresche - di rimpolpare la posta. Dal punto di vista anagrafico vengono distinte tre fasce d’età “under 40”, “under 35”, “under 30”. Il comma “a” dell’art. 3, dedicato ai requisiti della domanda, elenca cosa possa essere finanziato: «manutenzioni, restauri, ristrutturazioni edilizie, interventi impiantistici, ampliamento o ammodernamento della sede, degli spazi produttivi o espositivi anche con acquisizione di beni e servizi, con particolare riguardo all’utilizzo di tecnologie digitali». A cosa debbono essere finalizzati questi investimenti? Il testo del bando replica: al miglioramento dell’attrattività, dell’immagine, della visibilità dell’impresa. Al miglioramento dell’accessibilità della sede e della sostenibilità ambientale dell’attività aziendale. L’abbattimento delle barriere architettoniche e la riqualificazione energetica sono alcune degli interventi considerati. Il contributo non potrà superare il 30% della spesa ammissibile, con un limite massimo per progetto pari a 18 mila euro. Ma non saranno erogati quattrini a progetti la cui spesa ammissibile determini un contributo inferiore a 6 mila euro. Difficile prevedere quante proposte possano essere soddisfatte, ma con questi parametri è ragionevole ritenere che alcune decine di piccole imprese potranno avvantaggiarsi dell’ausilio Pisus. C’è un altro paletto - previsto dalla legislazione regionale - inserito tra i requisiti indispensabili per accedere al riparto: non si possono presentare domande che riguardino sale-gioco posizionate entro 500 metri «dai luoghi sensibili». In termini di ammissibilità sono particolarmente “premiate” le esecuzioni di opere edili e impiantistiche fino a un massimo di 60 mila euro; fino a 30 mila euro per l’acquisizione di beni e fino a 30 mila euro per l’acquisizione di servizi. I lavori edili debbono essere avviati entro 60 giorni dalla comunicazione comunale che concede il contributo. La gestione di questa operazione è in capo alle Attività economiche del Comune. A fronte di domande ritenute irregolari o incomplete gli uffici competenti assegneranno un periodo di 10 giorni - prorogabili di altri cinque giorni - per provvedere alla regolarizzazione e integrazione della domanda.

magr

 

«Fontana e alberi sono le priorità» - Non tutti apprezzavano l’idea dell’acqua fin sotto la chiesa - Si pensa piuttosto alla pavimentazione e a nuovi parcheggi
Basta progetti complessi, alla piazza serve un giardino curato, con nuove piante, panchine e un pavimento sistemato. È l’opinione di commercianti ed esercenti di piazza Sant’Antonio, che segnalano il degrado della zona e propongono idee semplici ma a loro parere efficaci, per cambiare uno spazio molto amato da triestini e turisti. Qualcuno si dice contento che il progetto dell'allungamento del canale sia stato archiviato, altri invece preferivano quella novità annunciata tempo fa. «Se non si farà è meglio così - commenta Andrea Neri dall’omonima farmacia - già qui d'estate ci sono zanzare, che sarebbero sicuramente aumentate, oltre al fatto che veniva meno uno spazio fruibile dalla gente. Pensando a una sistemazione generale, credo che il primo aspetto da migliorare con urgenza sia il pavimento, che è seriamente danneggiato, si rischia di cadere, e in generale ci vuole pulizia e controllo. Negli ultimi anni la situazione è peggiorata notevolmente, tra bivacchi e sporcizia, ed è un peccato perché si tratta di punto della città che ogni giorno segna l’arrivo di moltissimi turisti. Poi - aggiunge - credo sia opportuno pensare a un parcheggio sotterraneo, liberando dalle auto le vie vicine. In tempi di crisi economica ci vuole una soluzione così, per garantire una maggior presenza di persone, come già accade in molte grandi città, e se sotto c’è l’acqua esisteranno sicuramente sistemi moderni per costruire evitando problemi». Nella vicina Libreria del Centro, ex Borsatti, dietro la cassa Lisa Rabach ha un’idea diversa sul prolungamento del canale ormai tramontata. «Poteva rappresentare qualcosa di nuovo - dice - un ritorno a quello che era un tempo l’aspetto di questa zona, con l'acqua quasi fin sotto la chiesa. In ogni caso suggerisco di pensare a piantare alberi, per creare un po’ d’ombra, e a curare maggiormente le aiuole, perché non ci sia il rischio che diventi uno spazio triste come il Giardino Pubblico. E qui siamo in pieno centro». «Importante sicuramente - aggiunge il collega Marco Palcic - garantire nuova vita alla fontana, che in questo momento fa davvero pena e poi risistemare la pavimentazione, viste le tante persone che ogni giorno ci passano. L’idea del canale allungato a me non convinceva molto, anche perché ogni tanto abbiamo la percezione che la fogna in zona non funzioni benissimo, e forse aprire uno spazio nel canale avrebbe peggiorato il tutto». Punta a un bel giardino anche il parroco della chiesa di Sant’Antonio, don Fortunato Giursi, che però chiede pure di poter spostare mercatini e bancarelle nella zona di Ponterosso. «Già nel corso del tempo tante zone verdi di Trieste sono state eliminate - ricorda - qui ci vogliono nuove piante, valorizzare la fontana, che funzioni sempre, e sistemare le pietre dove si cammina, sono pericolose. Inserirei anche nuove panchine, perché tra bar e negozi, è una parte della città molto attiva e un punto di aggregazione che si potrebbe migliorare con poco. E poi - evidenzia - credo sia giusto eliminare da questa piazza tutte le bancarelle, sia quelle di frutta e verdura, sia quelle che vengono posizionate in occasione di particolari eventi come a Natale, siano gazebo che piccole o grandi strutture. Starebbero meglio in piazza Ponterosso, qui è bello poter contare su una visuale aperta, dove la chiesa si possa ammirare sempre, già dall’inizio del canale». Poco più giù, anche dal bar “Xè, gelati e caffè” si leva la richiesta di pensare a un giardino curato. «Semplicemente serve un’area verde ben tenuta e una fontana ripristinata - dice Alessandro Rossi -. Poi speriamo in una clemenza maggiore da parte delle forze dell’ordine, siamo stati spesso bastonati con le multe. Un parcheggio sotterraneo forse risolverebbe la carenza di parcheggi, ma solo se fatto in tempi brevi e non con le solite lungaggini all’italiana». Alcune famiglie a passeggio chiedono di pensare a uno spazio per i più piccoli. «La fontana ogni tanto sembra una piscina abbandonata - sottolineano - ed è brutto vederla così, se non c’è la voglia di metterla a posto o rivitalizzarla, meglio eliminarla del tutto e sistemare magari qualche gioco per i bambini».

Micol Brusaferro

 

 

Gli scout liberano il Carso da pneumatici e batterie - Trecento giovani dell’Agesci in azione sulla strada forestale Trebiciano-Gropada
Scoperti anche pezzi di auto e gabbiette di uccellini. Prevista un’iniziativa bis
TRIESTE - Pneumatici, batterie usate, pezzi di vetture, gabbiette di uccellini. Sono questi solo alcuni degli oggetti recuperati ieri dai trecento scout del gruppo di Trieste dell’Associazione guide e scout cattolici italiani (Agesci) impegnati nella pulizia della strada forestale che collega Trebiciano e Gropada. È stata questa la modalità scelta per celebrare la Giornata del Pensiero, evento scout internazionale che ricorda la nascita del fondatore del movimento scoutistico, Robert Baden Powell. «I gruppi Agesci di Trieste e Muggia - aveva spiegato alla vigilia Pietro Naccari, capo scout e membro del Comitato della zona di Trieste dell’Agesci - quest’anno intendono svolgere un’attività di educazione ambientale e di cura del territorio. Inizialmente l’idea era quella di ripulire un’ampia zona del Carso da tutti i rifiuti più o meno ingombranti che creano piccole discariche a cielo aperto - aveva precisato - e che sono veramente uno scempio per il nostro bel territorio. Contattata la Stazione forestale di Basovizza - aveva aggiunto - ci è stato chiesto di rivolgere il nostro servizio a un’altra attività forse anche più importante, ovvero la pulizia della strada forestale che collega Trebiciano a Gropada e che risulta non essere percorribile dagli automezzi. In caso di emergenza, per esempio quando scoppia un incendio, evento purtroppo non raro sull’altopiano, soprattutto nei mesi estivi - aveva proseguito Naccari - questa strada, che è una via di collegamento molto importante tra i due paesi, se non ripulita, purtroppo risulta inutilizzabile». Perciò circa trecento ragazzi, fra i sette e i vent’anni, si sono impegnati nel taglio della vegetazione arbustiva cresciuta sul manto stradale e nel ripristino dei muretti a secco che, caduti, occupano la strada. «Riteniamo - aveva continuato il capo scout - che la cura del territorio, oltre a essere un importante segno di civiltà, potrebbe anche aiutare nelle situazioni inaspettate e di emergenza, ecco perché questa scelta la consideriamo adatta per festeggiare un evento per noi importante come la celebrazione della nascita del fondatore del movimento scout internazionale. L’occasione - aveva concluso Naccari - sarà anche utile per sensibilizzare la popolazione della città sul tema della tutela dell’ambiente e del rispetto di tutto ciò che ci circonda». Al termine dell’operazione lungo la strada forestale da Trebiciano a Gropada, gli scout dell’Agesci si sono impegnati a tornare sull’altipiano per completare l’opera, che ieri, vista la dimensione delle immondizie e dei residui verdi, non si è del tutto esaurita.

Ugo Salvini

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA,19 febbraio 2017

 

 

Assalto bis del Comune all’Aia «Il nodo polveri va riscritto»

Dopo il tentativo fallito sull’inquinamento acustico Dipiazza torna alla carica e chiede alla Regione la revisione dell’Autorizzazione in possesso della Ferriera
Il Comune di Trieste ci riprova. Dopo il tentativo fallito dello scorso agosto, in quell’occasione sul fronte dell’inquinamento acustico, chiede nuovamente alla Regione la revisione dell’Aia (l’Autorizzazione integrata ambientale) della Ferriera di Servola, stavolta sul nodo polveri, aggiungendoci la convinzione che, «viste le dichiarazioni costanti di essere dalla parte del cittadini e della tutela dell'ambiente», l’amministrazione Serracchiani non dovrebbe avere alcun problema a rispondere. Per adesso, da parte della Regione, arriva la rassicurazione che «i tecnici prenderanno in esame il documento inviato dal Comune di Trieste e come sempre lo faranno con l’attenzione e gli approfondimenti dovuti a una questione di grande rilevanza per la città». Punti di vista diversi. Da quello di Roberto Dipiazza, che informa di un’«approfondita azione di controllo in relazione sia all’Accordo di programma che all’Aia rilasciata per la Ferriera», portata avanti assieme all’assessore all’Ambiente Luisa Polli e agli uffici, con il supporto del professor Pierluigi Barbieri, i comitati dei cittadini e le associazioni ambientaliste: «Stanno continuamente emergendo gravi inadempienze da parte dei soggetti che hanno rilasciato l’Aia». Il sindaco ha per questo formalmente inviato alla Regione la richiesta di revisione dell’autorizzazione «in forza sia dei nuovi elementi emersi dalle indagini del Comune di Trieste, sia in base alla mancata acquisizione di atti necessari per il rilascio dell’Aia», affermazione che viene accompagnata da una documentazione allegata. Il Comune, prosegue il sindaco, «ha chiesto per la prima volta il commento di dati già in possesso dell’Arpa da almeno cinque anni, commento che la Regione avrebbe dovuto richiedere e tenere in considerazione prima di rilasciare l’Aia». Secondo Dipiazza la relazione Arpa sul periodo 2011-2015 in merito alle deposizioni del benzo(a)pirene al suolo nell’abitato mostra «evidenze preoccupanti». E per quel che riguarda il 2016 «l’attuale piano di monitoraggio e controllo previsto dall’Aia non consente di valutare miglioramenti rilevanti». Inoltre, «ad oggi manca nei punti critici identificati nell’abitato un monitoraggio pubblico delle deposizioni, monitoraggio che nel complesso è stranamente lasciato all’autocontrollo della proprietà dello stabilimento. È veramente anomalo - conclude il sindaco - che il controllore sia il controllato». Nel braccio di ferro con la Regione e il gruppo Arvedi, l’iniziativa del Comune è in sostanza la replica di quanto tentato ad agosto. In quell’occasione il casus belli fu l’inquinamento acustico. Il Municipio, invocando la revisione dell’autorizzazione, spiegò che i residenti servolani non avrebbero potuto attendere 30 mesi prima del miglioramento della situazione, un riferimento temporale contenuto nel Piano di risanamento acustico presentato da Siderurgica Triestina secondo i tempi previsti proprio dall’Aia. Fu la prima tappa di uno scontro che, dopo il «no» tecnico della direzione regionale Ambiente, è proseguito davanti ai giudici amministrativi, con il Tar che ha però rigettato l’istanza di sospensiva proposta dal Comune contro il decreto regionale che accertava il completamento da parte di Siderurgica Triestina di una serie di adempimenti prescritti dall’Aia. Rispetto alla nuova richiesta di ieri, la Regione spiega che la questione «ricade sotto la competenza di organi tecnici, cui è deputato esprimere valutazioni oggettive, in base alle normative di riferimento, ai dati ufficiali disponibili e, naturalmente, alle prescrizioni dell’Aia». Ma ribadisce anche che, «in ogni fase del percorso seguito di concerto con tutti gli altri soggetti coinvolti, ha avuto massima cura per gli aspetti relativi alla salvaguardia dell’ambiente, alla tutela della salute di cittadini e lavoratori, nonché ai livelli occupazionali. Anche in questa circostanza, come in passato - è la conclusione della nota di Palazzo - il principio di leale collaborazione istituzionale sarà rigorosamente rispettato».

Marco Ballico

 

 

 

Lotta dei tralicci di Chiampore - Nuova causa tra Dcp e Comune - Ricorso della ditta al Capo dello Stato contro l’abbattimento di una vecchia palazzina
L’amministrazione di Muggia si oppone alla mossa. E il contenzioso trasloca al Tar

MUGGIA - L’eterna lotta tra la Dcp Telecomunicazioni di Povegliano (provincia di Treviso) e il Comune di Muggia si arricchisce di un nuovo capitolo. Oggetto della nuova querelle una vecchia palazzina servizi a Chiampore che l’amministrazione Marzi ha intimato alla ditta veneta di abbattere per avere così il permesso di costruirne una nuova. La Dcp Telecomunicazioni, invece che ottemperare a quanto richiesto dal Comune, ha deciso di fare ricorso «contro l’autorizzazione del Comune di Muggia per il completamento dell’impianto di telecomunicazioni di Chiampore». La società ha notificato al Comune l’intenzione di effettuare addirittura un ricorso straordinario al presidente della Repubblica. Poiché però la legge prevede che mediante l’opposizione al ricorso è possibile ottenere la trasposizione del giudizio in sede giurisdizionale, il Comune di Muggia ha deciso di agire, proponendo così opposizione proprio al ricorso straordinario. Una mossa dettata dal fatto che la trasposizione del giudizio dinanzi al giudice amministrativo può fornire, secondo il parere del Comune, «la più adeguata tutela degli interessi pubblici facenti campo all’amministrazione comunale». Di fatto quindi la giunta Marzi ha autorizzato la costituzione dell’amministrazione nel giudizio amministrativo conseguente all’eventuale riassunzione del caso dinanzi al competente Tar, il Tribunale amministrativo regionale. A raccontare la vicenda è il sindaco Laura Marzi: «Siamo stati costretti a fornire un’autorizzazione unica alla Dcp per erigere una casetta su due piani, di cui uno interrato. Al contempo però abbiamo chiesto che il vecchio manufatto esistente, non più congruo con l’attuale Piano regolatore, venisse abbattuto». La Dcp ha deciso invece di porre resistenza alla prescrizione del Comune. La rappresentanza, l’assistenza e la difesa dell’amministrazione sarà affidata dagli avvocati Walter Coren e Antonella Gerin. Dal 2010 circa Comune e Dcp sono entrate in conflitto in seguito alla costruzione del traliccio della Dcp - oltre 30 metri - posto a un centinaio di metri dalle case, vicino a San Floriano Ligon, a Chiampore. Ancora sotto l’amministrazione Nesladek, il Comune si era opposto a partire dal 2011 con due diffide alla Dcp, seguite da una ordinanza in cui si metteva per iscritto che «la Dcp non può vantare alcuna autorizzazione o atto di assenso, con conseguente insussistenza dei presupposti volti a legittimare l'avvio dei lavori» del tralicci. L’atto di sospensione temporanea dei lavori fu impugnato dalla Dcp di fronte al Tar del Friuli Venezia Giulia: prima vittoria dei trevigiani. Da qui il ricorso del Comune al Consiglio di Stato: seconda vittoria della ditta veneta. Ora invece un nuova querelle in vista, questa volta riguardante la palazzina esistente, che l’amministrazione Marzi ha chiesto espressamente venga appunto abbattuta prima della realizzazione di un altro manufatto su due piani. La Dcp ha rifiutato la prescrizione da parte del Comune. Motivo per cui, ancora una volta, si andrà in causa.

Riccardo Tosques

 

 

L’Ue finanzia il rigassificatore di Veglia - Bruxelles dà l’ok al nuovo impianto stanziando 102 milioni di euro per il progetto. Plenkovi„: rafforzata la sicurezza energetica
ZAGABRIA - La Croazia ha in pratica ricevuto disco verde da parte dell’Unione europea per la realizzazione del rigassificatore di Veglia. E non solo il disco verde, ma anche 102 milioni di euro che Bruxelles ha destinato, a fondo perduto, proprio per la costruzione del futuro impianto. Ma non basta. Altri 40,5 milioni sono stati garantiti per la realizzazione del progetto croato-sloveno di miglioramento del sistema di trasporto dell’energia elettrica “Sincro.Grid”. Da rilevare che questi due progetti fanno parte, assieme ad altre 16 iniziative sempre in campo energetico, del valore complessivo di 444 milioni di euro, che sono state approvate su proposta della Commissione europea. Ai Banski dvori il premier croato Andrej Plenkovi„ ha espresso grande soddisfazione per quanto è stato stabilito a Bruxelles e ha garantito l’impegno del suo esecutivo per la realizzazione del nuovo impianto a Veglia; esecutivo croato che già nel novembre scorso aveva inviato alla Commissione europea la richiesta per il co-finanziamento del terminal a Castelmuschio. Il premier ha altresì precisato di avere incontrato nei giorni scorsi i rappresentanti dei potenziali partner della Croazia nella realizzazione del rigassificatore. Stiamo parlando del consorzio formato dalla spagnola Enagas, della lussemburghese Marguerite e della lituana Klaipedos Nafta. «Con la realizzazione del rigassificatore rafforzeremo la sicurezza energetica della Croazia - ha aggiunto Plenkovi - ed entreremo a pieno diritto a far parte della rete di fornitura di gas all’Europa». «Il rigassificatore di Veglia - gli ha fatto eco il ministro croato dell’Ambiente e dell’Energia, Slaven Dobrovi„ - è uno dei progetti più importanti non soltanto a livello nazionale, ma anche a livello regionale ed europeo come è dimostrato dalla decisone dell’Unione europea di co-finanziarlo». Il progetto di Veglia, secondo l’esecutivo croato, sarà in gradi assicurare nuova linfa produttiva all’intero sistema industriale del Paese e di sviluppare nuove tecnologie e servizi. Secondo il ministro Dobrovi„ l’opera garantirà altresì una diminuzione del prezzo del gas metano per la Croazia. Il progetto prevede la costruzione di un rigassificatore galleggiante a Castelmuschio sull’isola di Veglia. Attualmente è in corso il procedimento per la scelta degli investitori strategici. Il tutto dovrebbe diventare operativo nel 2019. Il valore complessivo dell’investimento è pari a 363 milioni di euro. Per la costruzione la Croazia ha stanziato ad oggi 101,4 milioni di euro pari al 27,94% del valore complessivo della infrastruttura energetica.

Mauro Manzin

 

 

Trebiciano-Gropada pulita con la carica dei 300 - Gli scout Agesci in campo oggi per una grande operazione ambientale lungo la vecchia strada forestale
OPICINA Pulire la strada forestale che collega Trebiciano e Gropada. È questa la modalità che hanno scelto i 300 ragazzi del gruppo di Trieste dell’Associazione guide e scout cattolici italiani (Agesci) per celebrare, stamane, la Giornata del Pensiero, evento scout internazionale che ricorda la nascita del fondatore del movimento scout, Robert Baden Powell. «I gruppi Agesci di Trieste e Muggia - spiega Pietro Naccari, caposcout e membro del Comitato della zona di Trieste dell’Agesci - quest’anno intendono svolgere un’attività di educazione ambientale e di cura del territorio. Inizialmente l’idea era quella di ripulire un’ampia zona del Carso da tutti i rifiuti più o meno ingombranti che creano piccole discariche a cielo aperto - precisa Naccari - e che sono veramente uno scempio per il nostro bel territorio. Contattata la Stazione forestale di Basovizza - spiega - ci è stato chiesto di rivolgere il nostro servizio a un’altra attività forse anche più importante, ovvero la pulizia della strada forestale che collega Trebiciano a Gropada e che risulta non essere percorribile dagli automezzi. In caso di emergenza, per esempio, quando scoppia un incendio che è un evento purtroppo non raro sull’altopiano soprattutto nei mesi estivi - prosegue Naccari - questa strada, che è una via di collegamento molto importante tra i due paesi, se non ripulita, purtroppo risulta inutilizzabile. Oggi perciò circa 300 ragazzi, di età compresa tra i sette e i 20 anni, saranno impegnati nel taglio della vegetazione arbustiva cresciuta sul manto stradale e nel ripristino dei muretti a secco che, caduti, occupano la strada. Riteniamo - continua il caposcout - che la cura del territorio, oltre a essere un importante segno di civiltà, potrebbe anche aiutare nelle situazioni inaspettate e di emergenza, ecco perché questa scelta la consideriamo adatta per celebrare un evento per noi importante come la celebrazione della nascita del fondatore del movimento scout internazionale. L’occasione - conclude Naccari - sarà anche utile per sensibilizzare la popolazione della città sul tema della tutela dell’ambiente e del rispetto di tutto ciò che ci circonda». Oggi il movimento internazionale dello scoutismo, fondato da Baden Powell nel 1907, conta circa 40 milioni di aderenti. Durante le pattuglie svolge nell’ambito del servizio militare, Baden Powell ebbe modo di approfondire le sue conoscenze in ambito di sopravvivenza e comportamento, rivolgendo il suo pensiero all’applicazione di queste arti presso un pubblico giovane, ponendo così le basi per quelle che sarebbero state poi le capacità richieste nonché i codici d’onore nello scautismo, contenuti nel libro pubblicato nel 1908 dallo stesso Baden Powell.

Ugo Salvini

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 18 febbraio 2017

 

 

Ripartono in marzo i cantieri dell’elettrodotto Udine Ovest-Redipuglia
Il ministero dello Sviluppo economico ha emanato il decreto autorizzativo dell'elettrodotto Udine Ovest-Redipuglia. Lo rende noto la stessa Terna, gestore della rete elettrica nazionale che ha accolto «con soddisfazione» il provvedimento, «che chiude il procedimento aperto a fine 2015 e permetterà di far ripartire i cantieri e quindi di completare un'opera necessaria alla sicurezza elettrica del Fvg e già realizzata per l'80%». Terna ha comunicato alle istituzioni la riapertura dei cantieri, il prossimo 22 marzo. Il 12 novembre 2015 Terna aveva ricevuto l'approvazione dell'avvio del procedimento di rideterminazione. Il nuovo iter procedimentale ha comportato anche un procedimento di Valutazione d'impatto ambientale (VIA). I 40 chilometri di nuova linea, realizzati con un investimento di circa 110 milioni di euro, metteranno in sicurezza la rete in Regione.

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 17 febbraio 2017

 

 

Guasto alla centrale nucleare di Krsko Attivato il blocco automatico

Allarme ieri mattina alle 8.30 alla centrale nucleare di Krsko in Slovenia, a ottanta chilometri da Trieste. Il sistema di sicurezza ha automaticamente interrotto l’operatività della centrale stessa per un guasto ai ventilatori delle pompe d’acqua verso il reattore. Questa è stata la spiegazione fornita dalla centrale. Il presidente del consiglio di amministrazione dell’impianto nucleare (Nek), Stane Rožman ha dichiarato che non c’è stata nessuna fuga radioattiva, che il personale ha reagito mettendo in opera tutte le procedure previste dal caso e che si sta lavorando al guasto. Oggi la centrale nucleare di Krsko dovrebbe essere riaccesa e ricollegata al sistema di erogazione dell’energia elettrica della Slovenia. Ricordiamo che nell’autunno scorso la stessa centrale è stata completamente revisionata e che nell’anno in corso la attende la visita della missione internazionale Eprev che valuterà il sui livello di sicurezza.

(m.man.)

 

 

Parco del Mare, quante sofferenze inutili per gli animali - LA LETTERA DEL GIORNO di Daniela Schifani Corfini Luchetta
Vorrei dire anch’io quello che penso del Parco del mare a Trieste : dal punto di vista economico persone ben più autorevoli di me in materia continuano a sottolineare come si tratti di un investimento ad altissimo rischio per la città, che non porterebbe affatto i guadagni di cui si favoleggia. Anzi. Spendo due parole, però, su un aspetto che mi sta particolarmente a cuore, cioè il rispetto per la sofferenza. È mai possibile che ancora oggi, in cui possiamo disporre di video ad altissima definizione alla portata di tutti, si continui a proporre l’apertura di zoo, parchi del mare ...per non parlare delle autorizzazioni che vengono ancora concesse a chi propone spettacoli con gli animali? Chi va a divertirsi osservando un povero animale chiuso in una gabbia, d’aria o di acqua non cambia nulla, assiste ad uno spettacolo di una violenza inaudita che continua ad esistere per l’interesse di pochi. Finché la nostra società continuerà ad avere come unico “valore morale” il guadagno, non potremo sperare di fare passi avanti. Chiedo a tutti quelli che lavorano con i giovani o che hanno figli che stanno crescendo in questo mondo così arido, di cominciare a trasmetterli questi valori, facendo ragionare i ragazzi su quello che significa ammirare un animale in un video, ma ripreso nel suo ambiente naturale, o un suo simulacro, spesso impazzito e condannato alla cattività per il piacere degli uomini. Il rispetto per la sofferenza di tutti gli esseri viventi potrebbe fare la differenza, anche per gli uomini.

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 16 febbraio 2017

 

 

MUNICIPIO: gli immobili sfitti del Comune - Dai mini alloggi alle ville storiche - Le proprietà fantasma del Comune

Più di cinquanta edifici, 341 alloggi, quattro ville storiche ed altrettanti ruderi: è questa la stima del patrimonio immobiliare sfitto e non locato di proprietà del Comune di Trieste.

L’elenco, reso noto dall’amministrazione dopo la richiesta di accesso civico da parte del Piccolo (uno strumento, questo, a disposizione di tutti i cittadini), restituisce la fotografia dei palazzi “fantasma” di proprietà pubblica, emendata per motivi di sicurezza e ordine pubblico dei numeri civici di ciascuno stabile. Scorrendo la lista è possibile trovare magazzini, ex scuole, locali d’affari, caserme ma anche alcuni stabili già oggetto di dibattito in passato, come l’ex Macello, l’ex carcere femminile, l’ex Meccanografico, il Gasometro o l’ex Crda. In città c’è chi non possiede neanche un tetto e chi invece è erede della storica grande ricchezza immobiliare ma non ha più la possibilità di mantenere tutto il patrimonio. «La coperta oggi è corta, dobbiamo darci delle priorità», conferma Lorenzo Giorgi, l’assessore comunale con deleghe a patrimonio e demanio. Analizzando punto per punto ciascun immobile in elenco, lo storico ex presidente della Circoscrizione Gretta-Barcola-Grignano individua le cinque principali aree di intervento del suo mandato. La prima riguarda quei 41 alloggi sfitti dell’ex comprensorio Erdisu in area Urban, prossimi alla riassegnazione tramite bando di gara, sulla sessantina di monolocali ricevuti complessivamente in eredità. Venti sono già stati assegnati agli allievi della nuova Accademia nautica dell’Adriatico che vengono da fuori regione a prezzo calmierato. «Una ristrutturazione realizzata grazie all’eccezionale lavoro degli Lsu (i lavoratori socialmente utili, ndr), a costo zero». Un alloggio verrà tenuto per le «emergenze sociali», mentre altri tre saranno destinati al progetto «Casa degli Sposi 3.0» pensato per permettere sei mesi di indipendenza a quelle giovani coppie (almeno un italiano, e con un figlio) che attendono di ricevere i finanziamenti di un mutuo. Gli altri monolocali saranno utilizzati per il turismo, «come albergo veloce», e dati in gestione mediante bando di gara. Altri otto locali, tra cui due depositi, saranno destinati ad un’area «start-up» artigianale, a prezzo d’affitto ridotto, in una zona che storicamente ha attitudine di bottega. Una delle “bandierine” di Giorgi, a suo dire, è la realizzazione di una «Casa delle associazioni» nell’ex scuola di via Combi, al momento nell’elenco degli immobili inutilizzabili. «Tre o quattro associazioni a settimana vengono a trovarmi per chiedermi una sede: lì dentro vorrei metterne 36 o 40 che possano restituire qualcosa alla società». La spesa stimata è di circa 700mila euro. C’è quindi la questione delle quattro ville storiche in rovina e a cui è necessario garantire sopravvivenza. Per farlo servono soldi: dai due ai tre milioni per la sola dimora Haggiconsta, per esempio. L’obiettivo, almeno per la Stavropulos, è quello di svincolarsi dall’obbligo di lascito, ovvero quello di fungere da luogo d’ispirazione e ospitalità per gli artisti. Al quarto punto dell’agenda c’è «mettere a posto gli alloggi per chi ha problemi sociali», a costi sostenibili. Per riuscirci, chiede alla Regione di poter usufruire di Lsu locali (niente richiedenti asilo, dunque) per almeno un anno invece che sei mesi, oltre a dare un occhio di riguardo all’Ater triestina «nell’ottica del recupero di questi alloggi». Alcuni immobili sono stati destinati all’alienazione: i soldi ricevuti da chi vorrà acquistare edifici come la don Marzari di Prosecco, fatiscente e con il problema amianto, saranno gestiti dal bilancio. Più che al flusso di denaro in entrata per la vendita di questi dieci stabili, bisognerà guardare piuttosto agli affitti dei 33 immobili la cui locazione verrà bandita a breve. «Daranno possibilità di lavoro ai triestini e consentiranno all’amministrazione di fare cassa». Per accelerare i tempi e ridurre i costi delle certificazioni Ape, «che un privato può acquistare su Groupon», il Comune ha «preso due dipendenti e fatto fare loro il corso da certificatori». Così facendo i locali hanno avuto il via libera per trovare una destinazione d’uso e non rimanere vuoti.

Lillo Montalto Monella

 

 

L’edilizia sovvenzionata - Vuoti oltre 200 appartamenti a gestione Ater
Nella lista di immobili comunali al momento inutilizzati, e quindi vuoti, figurano 32 case destinate agli sfrattati e oltre duecento alloggi a edilizia sovvenzionata di gestione Ater (a cui se ne aggiungono otto nel portfolio Caccia Burlo). A Trieste circa 20mila cittadini già vivono in case Ater ma la lista delle persone ancora in attesa di alloggiamenti pubblici è lunga: solo in città nelle graduatorie giacciono 3355 domande, 3678 in tutta la provincia. «Stiamo utilizzando tutti i canali possibili, statali e regionali, per rimettere in locazione queste case», commenta il direttore dell’Ater di Trieste, Antonio Ius (nella foto). Gli alloggi Erp (Edilizia residenziale Pubblica) inseriti nel piano di recupero statale del 2014 sono, in regione, 250. L’Ater può usufruire di finanziamenti per due linee di interventi: la prima fino a 15mila euro per alloggi vuoti a causa di piccoli danni o problemi che ne compromettono l’abitabilità; la seconda per manutenzioni straordinarie più impegnative fino a 50mila euro. «Per quanto riguarda Trieste», aggiunge Ius, «al 31 dicembre 2016 abbiamo recuperato 147 alloggi sulla prima linea di intervento (fino a 15mila euro). Il cronoprogramma per quelli i cui costi di ristrutturazione sono fino a 50mila euro sta andando avanti correttamente». Il 70% dei finanziamenti statali (13 milioni) è stato così impiegato, calcola Ius, «tra manutenzione ordinaria e straordinaria». Al momento Ater Trieste gestisce 13mila unità abitative. L’obiettivo è quello di far sì che tutti gli alloggi sfitti del patrimonio immobiliare possano a breve accogliere famiglie in difficoltà. «Massimizziamo lo sforzo: le risorse non sono infinite ma cerchiamo di concentrarci su questi interventi di recupero», conclude Ius.

(l.m.m.)
 

 

Sinergie tra enti pubblici e non e autoriparazioni tra le idee di sindacati e urbanisti - LA SIGLE DEGLI INQUILINI Per Cgil e Sunia è alto il valore dei piccoli interventi in proprio
Secondo stime ufficiose del Sunia, il sindacato degli inquilini, a Trieste ci sarebbero circa 11mila alloggi sfitti tra pubblici e privati.

Cercare di recuperarne il più possibile «significa incentivare l’occupazione in un settore in crisi come quello dell’edilizia», commenta Giorgio Uboni, referente per ambiente, territorio e casa della Cgil. Una delle vie indicate dal sindacato è quella del cosiddetto “auto-recupero”, anche per gli alloggi di edilizia popolare. «Abbiamo accolto con favore la decisione del Piano regolatore della giunta Cosolini per arginare il consumo di suolo e recuperare il ricco patrimonio esistente. Il valore è dato anche dall’auto-recupero da parte dell’inquilino disposto a fare lavori di piccola manutenzione in mancanza di fondi pubblici». Scorrendo la lista fornita dal comune, Uboni e Renato Kneipp, commissario provinciale del Sunia, si domandano quali sono i criteri dietro alla scelta di vendere alcuni asset come l’ex Meccanografico o la Don Marzari. «Non siamo contrari alla vendita in sè: l’importante è che il Comune sappia quanto è possibile ricavare da ciascun immobile ma soprattutto come utilizzare poi questo denaro: una parte andrebbe investita nella ristrutturazione degli alloggi», commenta Kneipp. La proposta dell’auto-recupero trova sponda anche nell’Accademia, ma ricordando che «è sempre un po’ complicato in quanto qualsiasi impianto deve essere poi certificato», come riflette Alessandra Marin, docente della Facoltà di Architettura di Trieste e specialista in materia di imprenditorialità, residenzialità e rigenerazione dei centri urbani. Secondo la studiosa il modello vincente è quello della partnership pubblico-privato: cita infatti il caso del Vega, il Parco Scientifico Tecnologico di Porto Marghera in cui era presente «attore pubblico forte che ha lavorato in sinergia con altri attori privati»; oppure la capacità di attrarre fondi privati da parte della Ca’ Foscari nello sviluppo del suo polo sulla terraferma; o, ancora, processi “bottom-up” per riqualificare il patrimonio dei centri storici a partire da una prima fase di trasformazione promossa dalle associazioni territoriali. L’esempio è quello dei Cantieri Culturali della Zisa a Palermo che porterà alla bonifica e alla ristrutturazione di tre capannoni trasformati in un avamposto della cultura ambientale siciliana. Anche la professoressa Marin, così come l’ingegnere Milan, scommette sul modello della concessione di valorizzazione, menzionando a proposito il progetto Valore Paese Fari che punta alla promozione di una rete nazionale dedicata ad una forma di turismo sostenibile legata alla cultura del mare. «La nostra università lavora con l’Agenzia del Demanio per stilare bandi di affidamento con questa formula: così facendo i patrimoni non vengono alienati ma concessi purché valorizzati in una determinata maniera».

(l.m.m.)

 

La ricetta indicata da Milan, collaboratore di Renzo Piano «Gli spazi vanno assegnati a privati disposti a valorizzarli» - «Beni da recuperare sul modello inglese»
Come fare a rispondere al bisogno di casa (possibilmente a prezzi sovvenzionati) ed il contenimento dei costi? Recuperare i patrimoni dismessi è proprio una delle soluzioni indicate dall’ingegnere Maurizio Milan, collaboratore di architetti di fama internazionale e di Renzo Piano. A Trieste, come mostra la lista di immobili comunali inutilizzati o inutilizzabili, tante sarebbero le aree di intervento. I soldi a disposizione, però, sono sempre meno: è necessario trovare un modo di “fare le nozze con i fichi secchi”. «In Italia si costruisce a mille e si rivende a cinquemila: la casa dovrebbe andare sul mercato al vero valore del bene, e con il patrimonio dismesso questo è possibile», commenta il docente accademico veneziano che ben conosce Trieste, avendo lavorato con il senatore a vita al progetto di Portopiccolo Sistiana. «In fase costruttiva si può incentivare il completamento delle case da parte degli inquilini: la casa viene consegnata a uno stadio avanzato di costruzione, quasi da rustico, e ad un prezzo inferiore. Subentra poi l’auto-costruzione dei giovani, che si possono organizzare in piccole imprese. Questo aumenterebbe il numero di start-up e permetterebbe loro di imparare delle tipologie di mestiere che si stanno perdendo». Milan cita l’esperienza delle HLM francesi dove questo modello già si applica. L’ingegnere è anche tutor del progetto G124, il gruppo di lavoro di Renzo Piano per progettare la riqualificazione delle periferie delle città italiane. L’utilizzo della manodopera fornita dai migranti per ristrutturare gli edifici fatiscenti è un’altra pratica virtuosa. «Dipende sempre dalla visione politica, ma l’esperienza di Verona dove c’è un sindaco leghista che ha aperto le porte all’immigrazione a patto che i soggetti lavorassero funziona bene: si riduce la delinquenza e si alimenta la convivenza sociale». In generale, quando si ha a che fare con un patrimonio immobiliare inutilizzato, secondo l’ingegnere bisogna «domandarsi perché questi stabili sono sfitti o liberi. Sono privati? Non c’è richiesta? E se non c’è richiesta, perché? Solo dopo aver ragionato sulle cause si possono considerare i singoli casi, vedendo quanto conviene operare edificio per edificio. Ce ne sono alcuni che sono arrivati a fine vita ed è inutile pensare di riqualificarli». Puntare sulle concessioni di valore, ovvero accordare l’immobile ad un privato affinché lo possa valorizzare pur mantenendone la proprietà, sarebbe in quest’ottica fondamentale. Si potrebbe, riflette Milan, mutuare l’esempio inglese dove il terreno è un bene della Corona che ne permette però l’utilizzo a tempo (modello leasehold, in cui viene concesso il diritto di superficie per 99 anni). «In questo caso va definito bene il ruolo del detentore del patrimonio e quello dell’utilizzatore. I meccanismi esistono già, si tratta di volerli utilizzare. Ma prima è fondamentale cercare di capire cosa richiede la società. Il problema, in questo caso, è il dialogo tra pubblico e privato», conclude Milan. «L’amministrazione pubblica deve sentire cosa vuole il cittadino: è una struttura di servizio, e il servizio deve essere mirato».

(l.m.m.)

 

Il Parco del mare - torna sotto “indagine” in Consiglio comunale - Entro 20 giorni una seduta straordinaria richiesta dal Pd - In ballo l’analisi della collocazione nell’area della Lanterna
Il Parco del mare ritorna in Consiglio comunale. Non è la prima volta visto che è da più di dieci anni che si aggira per la città. Stavolta sarà oggetto di un Consiglio comunale straordinario chiesto ieri dal Partito democratico per aprire il dibattito sulla sua attuale ubicazione nell’area della Lanterna che sta dividendo Trieste. Un modo per conoscere “lo stato di avanzamento del progetto”, il business plan (il piano finanziario), la localizzazione della proposta ed eventuali alternative. La richiesta è già stata esaminata dalla Conferenza capigruppo e il presidente del Consiglio Marco Gabrielli convocherà la seduta entro i 20 giorni previsti dallo Statuto sentendo i capigruppo e verificata la disponibilità delle persone invitate a intervenire. Oltre al sindaco Roberto Dipiazza, il Pd chiede la presenza del presidente della Camera di commercio della Venezia Giulia Antonio Paoletti (il “padre” del Parco del mare), il presidente della Fondazione CRTrieste Massimo Paniccia (pronto a sostenere finanziariamente il progetto), il presidente dell’Autorità di sistema dell’Adriatico orientale Zeno D’Agostino (concessionario dell’area di Porto Lido), un rappresentante della Regione Friuli Venezia Giulia (che ha dato il placet all’operazione) e un rappresentante del neonato comitato che chiede una diversa localizzazione dell’area della Lanterna. «Nella scelta della data ho preferito coinvolgere i capigruppo - spiega Gabrielli -. Credo sia importante e utile aprire un dibattito su un progetto del genere. Anch’io non mi sono ancora fatto un’idea precisa. È un tema su cui si dibatte molto. Il Consiglio serve anche per questo. Approfitterò dell’occasione per farmi anche un’idea personale». La questione, al di là degli investimenti necessari e della sostenibilità futura del progetto, è legata al suo ultimo approdo sul Molo Fratelli Bandiera all’interno della concessione di Porto Lido (ex Cartubi) proprio nel momento in cui si è arrivati (dal primo gennaio) alla sdemanializzazione di Porto vecchio. Nella sua storia decennale il Parco del mare è stato collocato ovunque: dal terrapieno di Barcola all’ex Pescheria sulle Rive, dal Porto vecchio (area Greensisam) al Mercato ortofrutticolo di Campo Marzio (dove l’attuale sindaco vuole realizzare una mega Spa). «È un tema importante per la città, da affrontare in modo serio e approfondito per le sue implicazioni turistiche, urbanistiche, di mobilità, insomma di visione di città, senza ricadere nella contrapposizione tra il “se devi” e il “no se pol” pregiudiziale», aggiunge l’ex sindaco Roberto Cosolini che, come consigliere comunale del Pd, ha promosso il Consiglio comunale straordinario. «Non mi sono ancora fatto un’idea precisa - aggiunge Lorenzo Giorgi, assessore al Patrimonio -. Credo che un approfondimento sia utile per tutti. Si tratta di un progetto oneroso destinato ad avere forti ricadute. Ben venga un Consiglio comunale sul tema». L’ex sindaco Cosolini non ha mai fatto invece mistero sulla sua preferenza per la collocazione del Parco del mare in Porto vecchio. «Da sindaco avevo posto due condizioni per appoggiare il progetto: l’individuazione di un partner privato che condividesse l’investimento, non solo pubblico, e un serio raffronto tra costi e benefici tra la proposta di Porto Lido della Camera di commercio e l’opzione Porto vecchio tornata attuale dopo la sdemanializzazione. Sono convinto che da questo confronto uscirebbero smentiti alcuni luoghi comuni come quello, per esempio, che Porto vecchio richiederebbe tempi molto più lunghi dell’area della Lanterna. E questa era anche la posizione della Regione». Il dibattito in Consiglio è anche il modo per dare voce al comitato che sta raccogliendo firme (quasi un migliaio) contro l’ipotesi della collocazione sul Molo Fratelli Bandiera. Da questo punto di vista esiste anche il parere autorevole dell’advisor Ernst&Young che ha redatto il piano strategico per il Porto vecchio. Dal suo punto di vista non vi sono dubbi: il Parco del mare deve ritornare in Porto Vecchio. Stavolta magari senza passare dal via.

Fabio Dorigo

 

Per Ernst&Young il sito ideale è Porto vecchio
«Il Parco del mare attualmente è previsto in un’altra ubicazione, ma dagli stakeholder è uscita univoca l’indicazione che la sua collocazione ideale è proprio il Porto vecchio».

A sostenerlo sono stati gli esperti di Ernst&Young nell’illustrazione del piano strategico per il Porto vecchio del futuro. Il Parco del mare dovrebbe entrare a far parte del Polo museale e dell’intrattenimento e che dovrebbe includere il Museo del mare, la Centrale idrodinamica e la Sottostazione elettrica assieme al pontone galleggiante Ursus. Alla realizzazione del Museo del mare, del resto, sono finalizzati la metà dei 50 milioni stanziati dal ministero della Cultura (altri cinque sono invece destinati al restauro dell’Ursus). «L’opportunità data dal piano strategico per Porto vecchio dell’advisor Ernst&Young - spiega l’architetto William Starc - consente all’amministrazione comunale di valutare con più cognizione di causa la possibilità di ubicare nel medesimo una simile iniziativa, garantendo un recupero di aree che oggi sono completamente dismesse sia esse siano libere, ex parco ferroviario e terrapieno a ridosso delle società nautiche di Barcola, sia si tratti di ampi magazzini vuoti».

 

 

Rifiuti, Bruxelles bacchetta 8 Regioni - Fvg: noi in regola
Otto regioni italiane - Abruzzo, Basilicata, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Piemonte, Sardegna e Sicilia, nonché la provincia autonoma di Bolzano, non hanno ancora aggiornato, come invece le norme Ue prevedono debba essere fatto ogni sei anni, i loro piani per la gestione dei rifiuti risalenti al 2008 e per questa inadempienza l'Italia rischia ora di essere deferita alla Corte di giustizia. Lo ha reso noto ieri la Commissione Ue, annunciando l'invio all'Italia di un parere motivato nel quale chiede al governo di intervenire entro due mesi per sanare la situazione. A stretto giro la replica dalla Regione: «Il Friuli Venezia Giulia ha le carte in regola, ha aggiornato nei tempi previsti i propri piani di gestione dei rifiuti, sia urbani che speciali, ed ha già trasmesso alla Commissione europea, tramite il ministero dell' Ambiente, tutta la documentazione», ha affermato l'assessore all'Ambiente, Sara Vito, negando che anche il Fvg, con altre Regioni italiane, possa essere ancora nel mirino della Ue per non aver adeguato i piani sui rifiuti.

 

 

Smog, ultimo avviso dall’Unione - Le nostre città fuori norma con altri 5 Stati. All’orizzonte maximulta sulle fogne
BRUXELLES - Basta allo smog in città, i grandi Paesi europei devono prendere provvedimenti per fermare l’inquinamento che avvelena i polmoni di centinaia di migliaia di europei ogni anno. È la battaglia che ha ingaggiato la Commissione Ue mettendo sotto pressione l’Italia ma anche Francia, Germania, Gran Bretagna, e Spagna per l’inquinamento eccessivo da biossido d’azoto (NO2) riscontrato nell’aria di città come Roma, Milano, Torino, Berlino, Londra e Parigi. Stringendo le maglie della procedura d’infrazione, i diretti interessati dovranno fornire risposte concrete a Bruxelles entro due mesi. Se il ministro Galletti è certo che l’Ue riconoscerà il cambio di marcia, l’Italia rischia però ancor più sul fronte ambientale: potrebbe infatti scattare a breve la maximulta Ue per le fogne non a norma da 180 milioni di euro che, sommata alle sanzioni già in vigore per rifiuti e discariche fuorilegge, porterebbero a un conto record da quasi mezzo miliardo di euro. La Commissione ha inviato un ultimo avvertimento all’Italia e agli altri Paesi perché «non hanno affrontato le ripetute violazioni dei limiti di inquinamento dell’aria per il biossido di azoto» che «costituisce un grave rischio per la salute». Soprattutto perché «la maggior parte delle emissioni provengono dal traffico stradale» e in particolare dai motori diesel. È dal maggio 2015 che Bruxelles ha puntato l’attenzione sul problema, dove misure concrete - che Bruxelles chiede entro due mesi - possono realmente fare la differenza a fronte degli oltre 400mila morti l’anno per la cattiva qualità dell’aria e milioni di malati per problemi cardiovascolari e alle vie respiratorie. «Governo, Regioni e Comuni hanno già scelto di lavorare insieme per la qualità dell’aria e di farlo programmando misure strutturali, uscendo dalla logica delle risposte emergenziali», ha affermato il ministro Galletti, dicendosi «convinto che la Commissione riconoscerà il nostro cambio di marcia». Se non ci saranno interventi urgenti, un altro fronte che rischia di diventare un enorme boomerang ambientale per l’Italia è quello delle fogne. La supermulta chiesta dalla Commissione Ue a dicembre per la mancanza di depuratori in 81 comuni potrebbe infatti scattare già prossimamente, per un ammontare record da 180 milioni di euro.

 

 

Domani - Corso di apicoltura al parco di San Giovanni
Domani pomeriggio alle 17, al Padiglione I dell’ex Opp (vicino al Posto delle fragole), si terrà il quinto appuntamento del ciclo di lezioni teoriche deI corso di avviamento all’apicoltura promosso da Urbi et Horti, Bioest, Il Ponte, Legambiente Trieste, Aias, Anglat Fvg, Lapis, Multicultura, Arci Servizio civile, Comitato pace convivenza solidarietà Danilo Dolci e Azienda sanitaria Trieste AsuiTs D3. A grande richiesta dei partecipanti, oltre 50, sono state aggiunte due lezioni al ciclo che inizialmente prevedeva 4 lezioni teoriche. Libero e aperto a tutti, il corso si terrà al Padiglione I fino al 23 febbraio e in apiario, al parco di San Giovanni, ogni sabato mattina alle 10 fino al 25 febbraio. Obiettivo del corso è quello di far acquisire ai partecipanti le competenze di base per poter iniziare ad allevare le api con piacere e soddisfazione. Il corso infatti, pur avendo una base teorica, è strutturato essenzialmente sugli aspetti pratici dell’allevamento e prevede, oltre alla teoria, anche quattro lezioni pratiche in apiario. Il confronto con docenti esperti del settore sarà alla base dell’apprendimento. Un altro gruppo di incontri sarà orientato a far conoscere il mondo delle api anche agli alunni delle scuole elementari. Per informazioni e iscrizioni contattare Tiziana Cimolino al numero di cellulare 3287908116.

 

 

 

 

COMUNICATO STAMPA - MERCOLEDI', 15 febbraio 2017

 

 

Caso Ferriera - Inquinamento delle aree verdi della città
E' stata finalmente riconosciuta valida la soluzione proposta da LEGAMBIENTE Trieste per la bonifica delle aree verdi della città interessate da inquinamento da IPA, diossine e metalli, attribuito alla Ferriera di Servola.
La proposta di applicare tecniche di fitorimedio ai giardini inquinati è stata oggetto di assemblee pubbliche e conferenze stampa organizzate dal Circolo nel corso del 2016, fin dalla comunicazione dei risultati delle analisi delle aree verdi.
Proprio in questi giorni la Regione, supportata dal parere positivo del Tavolo Tecnico istituito per la gestione del caso Ferriera, ha sottoposto il piano di bonifica, basato appunto sul fitorimedio, al parere dell'Istituto Superiore di Sanità. Questa decisione rappresenta un'importante forma di gratificazione per il costante impegno della nostra associazione profuso nell'analisi e nella gestione dei problemi di inquinamento generati dalla Ferriera.
Molti dubbi e interrogativi circa gli impatti ambientali e sanitari sono ancora oggetto di dibattito e non hanno quindi trovato risposte soddisfacenti e rassicuranti. Proprio per questo il circolo, coerentemente con la propria missione, rafforzerà il suo impegno per far si che alla città siano garantite condizioni di sostenibilità ambientale e difesa della salute.

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 15 febbraio 2017

 

 

Paga più “ricca” per l’esperto di Ferriera - Il Comune rivede al rialzo i compensi assegnati al consulente Barbieri per la lettura dei dati sulle emissioni dell’impianto
Altri mille euro per leggere e controllare meglio i dati relativi ai fumi delle Ferriera di Servola. L’amministrazione comunale, che evidentemente non si fida proprio dell’Arpa (l’Agenzia regionale per l’ambiente), ha deciso di incrementare la spesa di 1.063,80 euro collegata all’incarico affidato al professor Pierluigi Barbieri, esperto di chimica ambientale, come supporto tecnico al sindaco Roberto Dipiazza nel tenere appunto sotto occhio la Ferriera. Un incremento che si aggiunge ai 17.730 euro stabiliti per la consulenza (5.910 euro per i tre mesi del 2016 e 11.820 per i primi sei mesi di quest’anno). I mille euro aggiuntivi sono determinati da un rapporto di lavoro originariamente non chiaro del consulente che all’inizio della sua collaborazione appunto aveva dichiarato di non effettuare per professione abituale il lavoro autonomo pur avendo un incarico come docente all’Università al Dipartimento di scienze chimiche e farmaceutiche. I mille euro insomma coprono un differenziale tra oneri previdenziali e Iva che va a carico del Comune di Trieste. I mille euro non aumenteranno ovviamente le “diottrie” di Barbieri nel monitorare i dati della Ferriera per conto del sindaco. Le aspettative riposte sul consulente finora non sono state proprio rispettate. L’intenzione del sindaco di inchiodare la Ferriera e la Regione («Faremo il c... ad Arvedi», era uno dei proclami del sindaco) con i dati passati sotto la lente del consulente è rimasta una pia illusione. E neppure la conferenza stampa di lunedì ha mantenuto appieno le promesse. Il sindaco aveva annunciato in televisione che avrebbe sganciato una bomba. «Abbiamo tirato le reti con Barbieri. Li abbiamo incastrati sulle urine e sulla copertura dei parchi minerali. Ora la cosa si fa seria», aveva annunciato Dipiazza. In realtà lunedì non si è andati oltre la richiesta alla Regione dell’apertura di un tavolo per la revisione dell’Aia (l’Autorizzazione integrata ambientale) usando, tra l’altro, i dati pubblici prodotti dalla precedente amministrazione con l’invito a collocare delle centraline più vicine alla cokeria. «I dati delle deposizioni però vengono raccolti ogni tre mesi e ciò non consente di verificare gli effettivi miglioramenti - ha rilevato il consunte -. E poi c’è la necessità di avere un controllo in prossimità della cokeria, invece il più immediato punto di verifica è a 570 metri da questo impianto, mentre alcune case sono più vicine». Barbieri, che in campagna elettorale era stato presentato come ipotetico assessore della seconda giunta Cosolini, è diventato il primo ottobre scorso consulente della giunta Dipiazza dopo un selezione pubblica durata un paio di mesi. «La cosa importante è rappresentare quel che succede a Trieste e gestire al meglio la situazione - si giustifica da esperto chimico -. Io dico sempre: Senatus popolusque tergestinus». Durata del contratto: nove mesi, prorogabili a giugno, per un compenso di 17.730 euro a cui ora vanno aggiunti altri mille.

Fabio Dorigo

 

«Ma l’inquinamento è in forte calo» - L’Arpa apre a nuovi controlli in zona  - Botta e risposta Dipiazza-regione - Deposizione di polveri medie annuali a confronto
«Arpa sta valutando positivamente le richieste del Comune per il posizionamento di un ulteriore deposimetro in prossimità delle abitazioni di via San Lorenzo in Selva. Quest’ultimo deposimetro, in aggiunta a quelli del piano di monitoraggio e controllo di Siderurgica Triestina, consentirà d’effettuare ulteriori verifiche sui dati già oggi a disposizione». L’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente lo ha reso noto all’indomani della conferenza stampa in cui il sindaco Roberto Dipiazza ha annunciato che chiederà alla Regione la revisione dell’Aia anche sulla base della relazione sulle polveri consegnata nei giorni scorsi da Arpa al Comune. «Ma in quella relazione - ha precisato ieri Arpa - viene segnalato che nel 2016 i quantitativi di polveri depositate al suolo sono stati inferiori di circa un terzo rispetto al quinquennio precedente. La novità sta nel fatto - sintetizza l’Agenzia - che sono confermate le ipotesi formulate in sede di Conferenza dei servizi in merito all’entità e alla distribuzione spaziale delle dispersioni di polveri. Le deposizioni delle polveri grossolane decadono, molto rapidamente a partire dal punto di emissione, tanto che a circa 400 metri la quantità è confrontabile con il fondo urbano». Arpa specifica di essere giunta a queste conclusioni «elaborando i dati della rete di sette deposimetri prescritta dall’Aia. Di questi deposimetri, uno rappresenta il fondo urbano, gli altri sono posti a distanze crescenti a partire dal punto di emissione (due all’interno dello stabilimento: Portineria operai e Palazzina qualità, due a meno di 250 metri dal limite dello stabilimento, uno a meno di 500 metri, uno a meno di 750 metri dal medesimo limite). «La normativa relativa alla qualità dell'aria - viene fatto notare - non fissa limiti per le deposizioni delle polveri. Dei limiti sono stati invece introdotti dall'Aia che è migliorativa in termini di tutela dell'ambiente. Ad esempio il valore obiettivo di qualità per le polveri totali è fissato dall'Aia in 250 milligrammi al metro cubo al giorno, valore che - precisa Arpa - è stato rispettato durante tutto il 2016». Dipiazza ha replicato ieri alle dichiarazioni dell’assessore regionale Sara Vito che ha tra l’altro sostenuto che nell’ultima relazione Arpa non ci sono novità in base alle quali poter richiedere la revisione dell’Aia. «Probabilmente l'assessore Vito - ha commentato il sindaco - non ha avuto modo di approfondire i contenuti che il Comune ha fatto emergere relativamente alla Ferriera perché, se confermate, le sue dichiarazioni aggraverebbero la posizione della Regione e certificherebbero gravi negligenze compiute per il rilascio dell’Aia. Con il professor Barbieri - rimarca Dipiazza - abbiamo evidenziato che sino ad oggi si analizza il benzo(a)pirene nelle pm10 (come riportato anche nel sito dell'Arpa), ma non si è andati a commentare la presenza di benzo(a)pirene nelle deposizioni, ovvero nelle particelle che ricadono al suolo, in un raggio di 400 metri e che i cittadini respirano e mangiano attraverso gli alimenti. Considerando che gli enti pubblici devono tutelare la salute dei cittadini e dell'ambiente - ha concluso - la rigidità della Regione alla nostra richiesta di revisione dell'Aia che ha proprio queste finalità è alquanto strana». «Per finirla con le chiacchiere, verso le quali c'è grande accondiscendenza dei fiancheggiatori in passato così severi - è il commento che fa sulla sua pagina facebook l’ex sindaco Roberto Cosolini - il Comune evidenzi con fondamento tecnico giuridico oggettivi fatti nuovi, se li ha, per chiedere la revisione dell'Aia: c’è una legge, una procedura e non servono annunci o tavoli. Se poi la situazione fosse estremamente grave esiste uno strumento nelle mani del sindaco: si chiama ordinanza, per ridurre, sospendere, chiudere l'attività».

Silvio Maranzana

 

Scattano le perizie per le morti fra gli ex operai - Disposto l’incidente probatorio nell’ambito del procedimento che coinvolge 15 ex manager “ante Arvedi”
Sarà la prova principale. Quella che servirà a definire il cosiddetto nesso di causalità tra 40 morti accertati - uccisi dal mesoteloma pleurico o dal carcinoma polmonare - nonché due malati, uno dei quali è il sindacalista Luigi Pastore, e il loro lavoro come dipendenti tra il 1979 e il 2004 della Ferriera di Servola. La consulenza tecnica - nelle forme dell’incidente probatorio e quindi utilizzabile in dibattimento - è stata disposta dal gip Laura Barresi su richiesta dei pm Cristina Bacer e Matteo Tripani. I nomi dei periti sono quelli di Celestino Panizza di Brescia e di Enzo Merler di Padova. Saranno formalmente incaricati dal giudice il prossimo 20 marzo. Dovranno per l’appunto definire allo stato attuale la possibile rilevanza causale dell’esposizione dei lavoratori agli inquinanti, precedente al periodo che viene indicato in gergo tecnico come “latenza reale”. Il gip chiede anche agli esperti di conoscere quale possa essere stata l’influenza di eventuali esposizioni successive alla cosiddetta fase di induzione della malattia, ovvero il lasso di tempo più “pericoloso”. Nel fascicolo compaiono con l’accusa di omicidio colposo e lesioni gravi i nomi di 15 ex dirigenti della fabbrica di Servola che, «in ragione della carica rivestita in una posizione di garanzia della salute e della sicurezza dei lavoratori», avrebbero avuto «responsabilità» attive nella sequenza di decessi. Quindici nomi, appunto. Quelli di manager legati alle “vecchie” proprietà della Ferriera, non riconducibili quindi al Gruppo Arvedi e a Siderurgica Triestina. I più noti sono Piero Nardi, ex consigliere delegato della Servola Spa e poi fino al 2004 amministratore dello stabilimento, e Giuseppe Lucchini, presidente di Servola Spa fino al 2001. Tra gli indagati compaiono anche Didimo Badile, componente del comitato esecutivo dell'Italsider dal 1979 al 1981, Sergio Noce, direttore generale di Italsider dal 1981 al 1982, Gianbattista Spallanzani, pure direttore generale, Guido Denoyer, amministratore della Terni Spa e poi della Attività industriali triestine fino al 1988, e Costantino Savoia, componente del Cda di Terni Spa. E ancora Attilio Angelini, presidente di Terni Spa fino al 1989, Luigi Broccardi Schelmi, procuratore della stessa Terni Spa e poi direttore generale della Attività industriali triestine fino al 1989, Paolo Felice, direttore generale di Aliforni e ferriere di Servola fino al 1995 e direttore dello stabilimento fino al 1996, e Franco Asquini, commissario straordinario della Altiforni e ferriere di Servola fino al 1995. Nella lista compaiono infine anche Michele Bajetti, amministratore delegato della Servola Spa fino al 2001, Vittorio Cattarini, presidente dei cda di Servola Spa fino al 2002 e Servola Srl fino al 2004, Francesco Chindemi, direttore dello stabilimento fino al 1997, e Mauro Bragagni, consigliere della Servola Srl fino al 2003. Difensori al momento gli avvocati Giovanni Borgna e Daniela Jolanda Cuccaro.

Corrado Barbacini

 

 

Dal pediatra all’architetto - Mille no al Parco del mare - Traguardo raggiunto in pochi giorni dalla petizione lanciata dal comitato La Lanterna
Da Razeto a Bassa Poropat cresce il dissenso: «La collocazione ideale è Porto vecchio»
Ormai sono un migliaio le firme raccolte sotto la petizione lanciata dal comitato La Lanterna che si oppone al progetto del Parco del mare sul Molo Fratelli Bandiera. «Tra gli altri - spiega la portavoce Giorgetta Dorfles - hanno firmato i docenti universitari Fulvio Senardi, Marina Petronio, Guido Pesante, l’editore Walter Chiereghin, il regista Giampaolo Penco, l’architetto William Starc, il pediatra Andrea de Manzini, il presidente del Pen club Antonio Della Rocca, l’ex direttrice del Revoltella e dei Civici musei Maria Masau». Le motivazioni del dissenso vengono definite molteplici. Il sito del comitato ne delinea le principali: verrebbe oscurata la Lanterna, monumento storico ottocentesco dell’architetto Matteo Pertsch che caratterizza il porto nautico e la città; verrebbe devastato il profilo delle Rive, esempio paradigmatico dell’abbraccio di una città con il mare; il macroscopico edificio fungerebbe da enorme paravento: verrebbe spezzata la linea dell’orizzonte; il Parco graverebbe con la sua mole sull’armonico impianto della Sacchetta. Non vengono sottovalutate le conseguenze pratiche: il surplus di traffico e l’invasione di automobili in una zona già penalizzata dalla scarsità di parcheggi; i problemi relativi alla fruizione del contiguo bagno storico “Pedocin”, il terreno da riporto con cui è stato costruito il Molo che inficerebbe la stabilità di un edificio così imponente. Infine si sottolineano le perplessità sulle ricadute economiche di una simile impresa e sulla riduzione in cattività degli animali. «La nostra mobilitazione non è che all’inizio - continua Giorgetta Dorfles - sto prendendo accordi con le associazioni ambientaliste e in particolare con Italia nostra, Wwf, Legambiente e Trieste bella per organizzare una conferenza stampa comune e annunciare una serie di iniziative. La raccolta di firme ora passerà anche alla fase “cartacea”. Si potrà firmare in alcuni locali pubblici e se non sarà sufficiente faremo anche dei banchetti in piazza. Vogliamo raggiungere un numero di autografi molto consistenti per far comprendere che la nostra è una posizione estremamente condivisa». Piovono intanto i commenti favorevoli all’iniziativa via web sotto il sito del comitato e molti non sono affatto contrari al Parco del mare in sé, ma vedono come unica sua collocazione possibile quella del Porto vecchio. È la linea sostenuta proprio ieri dal consigliere regionale dei Cittadini Emiliano Edera e dalla consigliera comunale Maria Teresa Bassa Poropat che rilevano che «è ben poco razionale pensare al Molo Fratelli Bandiera perché si tratta di una zona quasi priva di parcheggi, specialmente durante la stagione estiva, dove il traffico manderebbe in tilt un sistema viario già in difficoltà, mentre è logico che chi frequenta il bagno alla Lanterna abbia valide ragioni per non essere d’accordo. Al contrario per il Porto vecchio - aggiungono i due consiglieri - rappresenterebbe un’opportunità all’interno del rilancio di un’area con grandi spazi disponibili per la quale sono già stati stanziati 50 milioni, andando a integrare l’ipotesi di trasferimento e ampliamento del Museo del mare». Secondo Antonio Paoletti, storico promotore del Parco del mare, la struttura sul Molo Fratelli Bandiera potrebbe essere inaugurata tra fine 2020 e inizio 2021. Il sindaco Roberto Dipiazza ha recentemente convocato una riunione operativa per stringere i tempi dell’iter amministrativo. A sostegno dell’opzione Portolido un manifesto firmato da 35 rappresentanti di categorie, associazioni e aziende private. Lo stesso presidente di Confindustria Venezia Giulia Sergio Razeto ha firmato dicendosi favorevole, ma spiega che «la collocazione ideale sarebbe stata quella del Porto vecchio, ma ormai l’unica possibilità di partire in tempi relativamente brevi è quella di Portolido, a patto che ci si trovi di fronte a un business plan credibile che certifichi la capacità della struttura di autofinanziarsi».

Silvio Maranzana

 

 

 

 

eHABITAT.it - MARTEDI', 14 febbraio 2017

 

 

Emergenza smog, il verde urbano può mitigarne gli effetti?

Ne abbiamo parlato ripetutamente, ma non fa male ribadire il concetto: l’emergenza smog in Italia e al di fuori dei nostri confini è reale: l’inquinamento atmosferico risulta essere uno dei principali fattori di morte a livello mondiale.
Il particolato (PM, Particulate Matter) è un inquinante costituito da particelle disperse nell’atmosfera con diametro variabile da qualche nanometro (nm) a decine/centinaia di micrometri (μm). Le sorgenti di PM possono essere naturali (eruzioni vulcaniche, incendi boschivi, erosione del suolo ecc…) e antropiche.
Gran parte delle particelle emesse derivano dalle attività umane, principalmente dall’uso di combustibili fossili e delle biomasse (riscaldamento domestico, produzione di energia), ma svolgono un ruolo essenziale anche le emissioni degli autoveicoli e l’usura degli pneumatici, dei freni e del manto stradale.
In uno studio del 2015 (Contributions to cities’ ambient particulate matter (PM): A systematic review of local source contributions at global level, Karagulian et al.) pubblicato dalla Commissione Europea, gli autori hanno sistematicamente esaminato e analizzato le ricerche pre-esistenti sulla presenza di PM10 e PM2.5 in contesti urbani con l’obiettivo di stimare le quote relative alle fonti di inquinamento a livello globale. Sebbene lavori così ampi e complessi spesso non possano offrire conclusioni certe e necessitino di ulteriori approfondimenti, da questo studio emerge che il traffico è una sorgente importante di PM in città, accompagnato dalle attività industriali e dal riscaldamento domestico.
Ammettiamolo: la soluzione reale a questo problema sarebbe la diminuzione o meglio ancora l’eliminazione delle emissioni alle fonti. Impossibile? Utopico? Proviamo a concentrarci allora sulle soluzioni individuate per mitigare gli effetti dell’inquinamento atmosferico.
Voglio soffermarmi in particolare sull’utilizzo del verde all’interno dei contesti urbani. La Sezione del Piemonte e Valle d’Aosta della Società Botanica Italiana organizza presso l’Orto Botanico diversi incontri incentrati sul tema del verde urbano, la scorsa settimana Enrica Roccotiello, dottore di ricerca in Scienze Ambientali e in Botanica Applicata all’Agricoltura e all’Ambiente presso il Laboratorio di Biologia Vegetale dell’Università degli Studi di Genova, ha sapientemente mostrato la complessità insita nel concetto di verde urbano.
Le strutture verdi (parchi urbani, tetti verdi, pareti viventi, orti urbani, wildlife crossing ecc…) offrono innumerevoli benefici psicofisici alla popolazione, ma devono essere gestite in modo corretto e attento, prendendo in considerazione diversi parametri. Ad esempio: le città presentano dei veri e propri canyon urbani racchiusi tra edifici che fungono da barriere che le correnti possono superare o aggirare attraverso moti turbolenti.
Un albero inserito in un contesto simile potrebbe, ostacolando l’aria, contribuire ad un aumento di concentrazione di inquinamento a livello del tronco. Da questo caso emerge in modo efficace la necessità di una valutazione accurata del contesto ambientale e delle interconnessioni tra i vari elementi. Ogni organismo vegetale ha caratteristiche peculiari e modalità diverse di interagire con l’ambiente in cui è immerso. Si tratta di un campo di indagine estremamente complesso e nonostante gli studi siano numerosi, è necessario approfondire ulteriormente molti aspetti non dimenticando che gli inquinanti non si accumulano solo nell’aria.
Quindi viva il verde, ma un verde consapevole. Riportando le parole della dottoressa Roccotiello: “Non stiamo parlando di un arredo, stiamo parlando di un organismo che subisce stress ambientali esattamente come noi“, non dimentichiamocelo.

ALESSANDRA CONDELLO

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 14 febbraio 2017

 

 

Scempio della Val Rosandra - In Appello quattro condanne - I giudici ribaltano la decisione presa in primo grado quando gli imputati erano stati assolti

Sei mesi e 18mila euro di ammenda all’ex vicepresidente della Regione Ciriani, all’ex direttore della Protezione civile Berlasso e ai funzionari Trocca e Morettin

Il 24 e il 25 marzo del 2012 i lavori motivati dalla necessità di pulizia dell’alveo del torrente per ragioni di sicurezza

TRIESTE - Sei mesi e diciottomila euro di ammenda per lo scempio della Val Rosandra. È questa la pena alla quale è stato condannato l’ex vicepresidente della giunta regionale Luca Ciriani, oggi consigliere di Fratelli d’Italia-An in carica nell’aula di piazza Oberdan. A pronunciare la sentenza che ha riguardato anche l’allora capo della protezione civile Guglielmo Berlasso, il funzionario Cristina Trocca e l’operativo Adriano Morettin è stato il giudice Donatella Solinas che ha presieduto il collegio della Corte d’Appello composto da Anna Fasan e Gloria Carlesso. La sentenza è stata pronunciata nel pomeriggio di ieri, in Tribunale a Trieste, e ha completamente ribaltato quella di primo grado che aveva mandato assolti gli imputati. A ricorrere era stato il procuratore generale. La vicenda Il processo è stato innescato dalle indagini sui lavori di deforestazione della Val Rosandra eseguiti tra il 24 e il 25 marzo del 2012. Operazioni che all’epoca erano state definite veri e propri “assalti” degli uomini della Protezione civile, “armati” di motoseghe e alla guida di mezzi cingolati. In quell’occasione, come in Apocalipse now, il vicepresidente e assessore della giunta Tondo, Luca Ciriani, era giunto in elicottero dopo aver roteato su tutta l’area che è una zona protetta. Ricorso in Cassazione Il difensore di Ciriani, l’avvocato Caterina Belletti, ha annunciato il ricorso in Cassazione spiegando che il proprio assistito rinuncerà alla prescrizione. Ha aggiunto: «Da qui in avanti si porrà un problema su chi è chiamato ad assumere provvedimenti sulla base di validi pareri tecnici e di legittimità. La giunta regionale all’epoca aveva deliberato sulla scorta del parere degli uffici della Protezione civile al quale era seguito il vaglio di legittimità da parte degli uffici della Segreteria generale». Il ricorso alla suprema corte è stato annunciato anche dai difensori degli altri imputati, gli avvocati Luca Ponti e Paolo Pacileo dopo la lettura delle motivazioni. L’esposto del Wwf -  A far scattare le indagini era stato un esposto presentato all’epoca dall’avvocato Alessandro Giadrossi per conto del Wwf e in cui si parlava di danni ambientali irreparabili provocati con la scusa dell’urgenza. Erano stati tagliati ben settanta alberi di alto fusto ed era stato devastato un sito protetto di alto valore botanico e faunistico. La mobilitazione Le proteste avevano invaso il web e gli “esposti” presentati alla Procura anche dai vertici regionali di Legambiente e da numerose persone indignate per la devastazione, avevano avuto il merito di richiamare l’attenzione degli inquirenti su quanto era accaduto in quell’area protetta. Erano state anche chieste le dimissioni di Luca Ciriani che oltre alla carica di vicepresidente della Regione aveva anche il ruolo di assessore all’Ambiente. Le accuse A definire il quadro dell’accusa del pm Antonio Miggiani erano state le perizie del biologo Dario Gasparo e del professor Ezio Todini, docente di idrologia e costruzioni dell’Università di Bologna. I due consulenti avevano parlato di danno ambientale importante perché aveva riguardato un ambiente comunitario. Il pubblico ministero aveva contestato due ipotesi di reato definite dagli articoli 733 e 734 del Codice penale. La prima - per chi distrugge un habitat all’interno di un sito protetto o lo deteriora compromettendone lo stato di conservazione - prevede la pena della reclusione fino a diciotto mesi e un’ammenda non inferiore a tremila euro. La seconda prevede come sanzione solo una pena pecuniaria peraltro piuttosto “salata” per chi ha distrutto o deturpato le “bellezze naturali” di luoghi protetti. I lavori del marzo 2012 L’intervento in Val Rosandra era stato effettuato - a seguito di una serie di sopralluoghi promossi dal Comune, dalla Protezione civile e dalla Comunella - per pulire l’alveo del torrente. Scopo dichiarato, mettere in sicurezza in caso di piene o di eventuali inondazioni, le vite e i beni dei residenti. In totale erano arrivati nella valle duecento “volontari” da tutta la regione. E alla fine era rimasta solo desolazione. Poi il processo di primo grado presieduto dal giudice Marco Casavecchia che, dopo una serie interminabile di udienze, si era concluso con l’assoluzione di Ciriani, Berlasso e dei due funzionari regionali. Il pm Miggiani aveva chiesto, nella sua requisitoria, un anno di reclusione e duemila euro di multa. Dopo la pronuncia della sentenza di assoluzione, l’ex vicepresidente Ciriani aveva dichiarato: «Esco a testa alta, come a testa alta sono entrato». Ieri il suo telefonino ha squillato a vuoto. Mentre Berlasso ha preferito chiudere bruscamente la comunicazione.

Corrado Barbacini

 

 

Inquinamento in Ferriera - Dipiazza lancia l’ultimatum «Pronti a rivolgerci alla Corte di giustizia Ue se la Regione non modificherà l’Aia»
Ma Vito gela il Comune: «Non ci sono elementi nuovi che giustifichino revisioni»
Arriverà fino a Bruxelles e Lussemburgo la battaglia del Comune di Trieste per chiudere l’area a caldo della Ferriera di Servola. Lo hanno annunciato ieri in una conferenza stampa il sindaco Roberto Dipiazza e l’assessore all’Ambiente Luisa Polli affiancati dal consulente Pierluigi Barbieri, docente di Chimica. Dopo essersi vista rigettata dal Tar la richiesta di sospensiva del decreto regionale che accertava il completamento da parte di Siderurgica Triestina di una serie di adempimenti prescritti dall’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), l’amministrazione tenta ora un’altra controffensiva. La Corte di giustizia europea e la Direzione generale Ambiente sono considerate l’extrema ratio. L’ipotesi prioritaria è un’altra: «Chiederemo alla Regione - è stato affermato - di aprire un tavolo per la revisione dell’Aia». In realtà non è trascorsa che qualche ora che la Regione, per bocca dell’assessore all’Ambiente Sara Vito, l’ha sostanzialmente già bocciata. Uno stop a una prima richiesta di revisione era già arrivato a settembre. Ieri è partito il secondo tentativo su questo terreno perché, dirà Dipiazza alla fine, «quest’Aia è stata emessa quando tutte le istituzioni erano conniventi e non tutela i cittadini». Su quali basi la nuova richiesta? «L’Arpa ci ha fornito il riscontro sulla deposizione delle polveri - ha riferito Polli - e si evidenzia che è interessata la zona in un raggio di 400 metri dallo stabilimento. Non solo provocano imbrattamento, ma vengono respirate, si posano sugli alimenti. Vi sono risvolti di carattere sanitario, cioè cancerogeno: è acclarata la pericolosità. E la situazione non sembra essersi modificata tra il 2011 e il 2016. Tutto questo non è stato tenuto in considerazione per l’Aia ed è un fatto grave perché l’Autorizzazione non deve servire per tutelare l’imprenditore, ma pone obblighi di tutela sanitaria e ambientale». «Analizzando gli stessi dati autoprodotti da Siderurgica Triestina - ha aggiunto Barbieri - le sorgenti emissive dal confine dell’impianto siderurgico provocano ricadute fino a 400 metri di distanza, c’è un calo progressivo molto rapido, ma comunque si arriva a 400 metri. Il benzopirene ha una sorgente identificata nella cokeria e si propaga per alcune centinaia di metri. I dati delle deposizioni però - ha commentato il consulente - vengono raccolti ogni tre mesi e ciò non consente di verificare gli effettivi miglioramenti. E poi c’è la necessità di avere un controllo in prossimità della cokeria, invece il più vicino punto di verifica è a 570 metri da questo impianto, mentre alcune case sono più vicine». Secondo Barbieri bisogna dunque installare strumentazioni più vicine e che rimandino dati in continuo. «Queste sostanze infatti - ha commentato - possono generare nelle persone quello stress ossidativo di cui si è parlato nello studio commissionato all’Azienda sanitaria. Il Comune ha di conseguenza chiesto all’Asuits di verificare la presenza di queste sostanze nelle urine degli abitanti». «Non è nostra intenzione rompere il principio di regolare collaborazione con le altre istituzioni - ha concluso Polli - ma si sappia che le direttive comunitarie sono immediatamente applicabili e vi sono precedenti di sentenze della Corte giustizia in questi ambiti. Ma non vorremmo inoltrarci in un percorso che si prospetterebbe comunque lungo. Ci sono fin d’ora infatti i presupposti per poter rivedere l’Aia: oltre a quelli appena illustrati, il fatto che l’azienda non intende provvedere alla copertura del parco minerali; che fino al 22 dicembre, data del decreto di accertamento da parte della Regione, lo stabilimento ha prodotto ghisa superando i limiti. E per il fatto infine che la Regione non ha avviato alcun procedimento sanzionatorio, anzi non sappiamo nemmeno se sia stata emanata una semplice diffida». «Tutte le azioni della Regione dimostrano che per noi la tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini è una priorità assoluta - ha replicato in serata Vito - Non ci lasceremo trascinare nella crociata politica lanciata dal Comune di Trieste. È gravissimo che un sindaco si esprima sui rapporti tra Regione e amministrazione comunale precedente utilizzando il termine “connivenza” - ha continuato Vito - introducendo il dubbio che esse siano giunte al rilascio dell'Aia senza tener conto della salute dei cittadini. La Regione invita il Comune a utilizzare toni più misurati e attenti». Quanto alla revisione dell’Aia, l’assessore regionale afferma che può essere richiesta solo dinanzi a elementi nuovi, «ma tali elementi nuovi - ha concluso - non si ritrovano nel documento dell'Arpa che, all'opposto, certifica un innegabile miglioramento per quanto riguarda le polveri per l'anno 2016».

Silvio Maranzana

 

 

Sicurezza, un piano per la segnaletica stradale - Progetto annunciato in Consiglio comunale. Passa la mozione per salvare la polizia di frontiera di Opicina
In arrivo un piano unico per la segnaletica stradale, semafori inclusi, che uniformerà il sistema cittadino per renderlo più sicuro. È il progetto annunciato ieri sera in Consiglio dall’assessore all’Urbanistica Luisa Polli, di concerto con la collega Elisa Lodi, in risposta alla mozione con primo firmatario il forzista Andrea Cavazzini. «Le circoscrizioni ci comunicheranno entro il 31 marzo l’elenco dei luoghi critici, grazie anche alle segnalazioni dei cittadini», ha detto Polli. Quel rapporto sarà poi coniugato ai dati in possesso alla polizia locale per definire un piano coerente d’azione: «Gli uffici sono al lavoro sulle soluzioni più innovative sul mercato», ha precisato Polli. È stata poi approvata la mozione presentata dal capogruppo Lista Dipiazza Vincenzo Rescigno che chiede ad Ater di sottoscrivere una convenzione con uno o più Caf per aiutare gli inquilini, soprattutto quelli con difficoltà motorie, a sciogliere la matassa dell’Isee. Ma anche al Comune di avviare una ricognizione per verificare i valori catastali attribuiti agli appartamenti. Il tema, fresco dopo la recente audizione della dirigenza Ater, ha visto gli interventi di numerosi consiglieri. Per il resto, quella di ieri si è rivelata una serata di normale amministrazione per il Consiglio. Approvate anche due mozioni convergenti di Forza Italia e Lega Nord (la prima anche col voto del centrosinistra) che chiedevano di impedire la «soppressione» del posto della polizia di frontiera di Opicina. Nel difendere il proprio testo, criticato dalla capogruppo Pd Fabiana Martini - «non possiamo condividerne le premesse catastrofiste» -, il leghista Paolo Polidori si è lanciato in una disamina storica, tirando in ballo la caduta dell’impero romano d’Occidente e l’assedio ottomano di Vienna, portati come esempi dei possibili sviluppi dell’odierna crisi migratoria. «Eh, ma Marco d’Aviano li ha respinti!», è scattato il cattolicissimo consigliere Salvatore Porro (Fdi) sentendo evocare l’assedio viennese. Ha commentato Giovanni Barbo (Pd): «Strano che la Lega difenda l’impero romano dopo aver preso per tanto tempo la parte dei celti». Il forzista Alberto Polacco ha sottolineato l’importanza della «lotta alla tratta degli esseri umani che interessa anche il nostro territorio». Il capogruppo forzista Piero Camber ha poi presentato una mozione, poi approvata, in cui si chiedeva al sindaco di intervenire nei confronti della Regione «perché non si attui la fusione tra Pronto soccorso e Medicina d’urgenza». Un’operazione che per i firmatari avrebbe portato a «un’illogica disparità di trattamento» nei confronti di Medicina d’urgenza. Approvata all’unanimità anche una mozione per il ripristino delle frequenze dell’emittente televisiva Telequattro, sovrapposte a quelle di un’emittente slovena.

Giovanni Tomasin

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 13 febbraio 2017

 

 

Lo spettro dei treni veloci torna ad agitare il Carso - Ambientalisti in allarme dopo la notizia di un rinnovato interesse delle Ferrovie

Pressing bis sulla Regione per fare chiarezza sui progetti per la Venezia-Trieste
DUINO AURISINA - Torna alla ribalta, con il consueto e inevitabile corredo di secchi “no” di ambientalisti e politici locali, il vecchio progetto della Italferr che prevede un tunnel ferroviario di una ventina di chilometri sotto il Carso. Parliamo del tratto compreso nella nuova linea ad alta velocità e alta capacità, che dovrebbe essere realizzato sulla Ronchi dei Legionari - Aurisina, nell'ambito della futura costruzione del cosiddetto Corridoio Mediterraneo. Stavolta l'occasione per riparlarne si è concretizzata, come ricorda il consigliere regionale della Slovenska skupnost, Igor Gabrovec, «nel corso della recente cerimonia della posa della prima pietra del Polo intermodale di Ronchi a servizio dell'aeroporto regionale. In tale contesto - precisa - è stata riportata l'attenzione sull'intero progetto riguardante il collegamento ferroviario tra Venezia e Trieste. Tutto questo - sottolinea Gabrovec - nonostante il fatto che il progetto studio, predisposto dalla Italferr nel 2012, abbia già ricevuto numerosi pareri negativi da parte delle amministrazioni locali chiamate a esprimersi al riguardo e sia stato in seguito accantonato per gli abnormi costi di realizzazione». «Qualcuno ha scelto - continua l'esponente del partito della comunità slovena - di predisporre un nuovo studio preliminare, al quale sono seguiti anche la sottoscrizione di un protocollo d'intesa con la Regione e un programma di finanziamento. Dalle dichiarazioni fatte dai massimi esponenti del Gruppo FS a margine della cerimonia di Ronchi - dice preoccupato il consigliere regionale - non si evince però nulla di più dettagliato sui lavori previsti, che dovrebbero comprendere, stando ai contenuti dello studio preliminare aggiornato a luglio 2016, anche un tratto a doppio binario del tutto nuovo con 22,7 km in galleria». Gabrovec si rivolge perciò alla presidente della Regione, Debora Serracchiani, con un'interrogazione in cui chiede maggiori dettagli sulle opere che saranno intraprese sul territorio compreso tra Ronchi e Trieste «con particolare riguardo a quanto attiene il loro impatto ambientale e paesaggistico». «Ricordo - conclude Gabrovec - le rassicurazioni espresse a suo tempo dalla Regione con le quali si escludevano opere di questo tipo. Chiedo perciò di prevedere anche un'audizione in Regione, dedicata al tema, alla quale invitare i vertici di Rfi». Forte anche la presa di posizione negativa nei confronti del progetto studio espressa dai “Cittadini per il golfo”, gruppo ambientalista che segue da vicino tutte le problematiche riguardanti la salvaguardia dell'ambiente nell'area di Duino Aurisina. «Ci sembra impossibile pensare a uno stravolgimento del Carso che sarebbe indispensabile per realizzare un'opera di tale dimensione - spiega Vladimiro Mervic, portavoce del gruppo - perché in tal modo si deturperebbe per sempre un paesaggio straordinario e ricco. Ci batteremo sempre contro proposte di questo tipo». Sul tema interviene anche il presidente del Comitato per la vita del Friuli rurale, Aldevis Tibaldi: «Nonostante gli sforzi fatti in Regione e in sede nazionale con più deputati - evidenzia - gli elaborati grafici della tratta sottoposta al progetto Rfi, da Ronchi dei Legionari ad Aurisina, da noi più volte richiesti, non saltano fuori. Allo stato - prosegue - è disponibile solo la relazione preliminare rilasciata nel mese di luglio e fornita alla Regione con gli annessi elaborati grafici. Oltre a essere un progetto che inciderebbe in maniera devastante sul territorio e dai costi elevatissimi - insiste Tibaldi - la stazione di Monfalcone resterebbe tagliata fuori, opzione che sembra inaccettabile, considerando l'importanza dello scalo marittimo monfalconese e la presenza di numerose aziende di varia dimensione che lo circondano. Ma ciò che sconcerta - conclude - è la difficoltà nell'ottenere i documenti a corredo del progetto».

Ugo Salvini

 

 

Pressing per riqualificare via Giulia - Sesta Circoscrizione
La Sesta circoscrizione del Comune ha approvato una mozione del Movimento 5 Stelle che chiede alla giunta Dipiazza di dare attuazione al progetto di riqualificazione di via Giulia. Presentata dai consiglieri del M5S Alessandra Richetti, Emanuela Segulin e Stefano Fonda, la mozione ha trovato l’appoggio anche del Partito democratico, a dimostrazione che, di fronte a progetti di pubblico interesse e dalla evidente valenza ecologica e ambientale, le forze politiche riescono a trovare un punto di convergenza. L'intervento di riqualificazione di via Giulia, che riguarda l’area compresa tra piazza Volontari Giuliani e viale Raffaello Sanzio, è dettato soprattutto da esigenze legate alla mobilità sostenibile e alla sicurezza stradale, visto l’alto numero di incidenti che si sono verificati nella zona, coinvolgendo pedoni e ciclisti, categorie a rischio nel traffico cittadino. A questo proposito va ricordato che, a suo tempo, il Comune di Trieste aveva partecipato a un bando della Regione, supportato da finanziamenti europei, ottenendo 135mila euro per la riqualificazione di via Giulia. Un progetto che prevedeva la messa in sicurezza degli attraversamenti pedonali, la creazione di una pista ciclabile e la realizzazione del Pedibus, un particolarissimo “autobus” fatto di bambini che vanno a scuola a piedi accompagnati da due adulti, un “autista” e un “controllore”. «Fare di Trieste una città ciclabile, sicura per chi si muove sui pedali e officina di una nuova mobilità. Sono questi gli obiettivi del MoVimento 5 Stelle - afferma una nota - che da sempre si batte per valorizzare la mobilità sostenibile in centro città e per promuovere e ampliare i percorsi ciclabili».

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA,12 febbraio 2017

 

 

“Prove” di convivenza tra gli uomini e i lupi - Il Wwf critica gli abbattimenti; apprezzamento per le misure antibracconaggio
Dubbi sul censimento. Per il governo necessario mediare tra opposte esigenze
ROMA - Il “Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia” tornerà il 23 febbraio in Conferenza Stato-Regioni, dopo la ritirata strategica del primo del mese. Nel frattempo gli enti locali e il ministero dell’Ambiente valuteranno se stralciare o meno la possibilità di deroga al divieto di uccisione dell’antagonista per eccellenza delle fiabe(in casi eccezionali e in misura massima dal 5% della popolazione totale), al centro di una focosa protesta da parte di un variegato fronte di animalisti che unisce i deputati 5 stelle ai conservazionisti del Wwf. La specie è protetta dal 1971, anno in cui il baratro dell’estinzione è stato a un passo: erano rimasti appena un centinaio di lupi fra le Alpi e gli Appennini. Oggi le stime disponibili parlano di una popolazione di 1.600 esemplari diffusi sulle catene montuose italiane. Circa il 9-10% dei lupi europei e circa il 17-18% nella zona Ue. Appena 150 risiedono sulle Alpi, divisi in branchi stabili tra il Piemonte (dove si trova la quasi totalità), la Liguria, la Valle d’Aosta, la Francia, il Veneto e il Trentino. Esemplari randagi si aggirano nella provincia di Biella, in Alto Adige e in Friuli Venezia Giulia (in tutto cinque coppie e tre solitari). Poi ci sono i 1.580 individui diffusi sugli Appennini: dalla Calabria all’Emilia. Ne consegue che la popolazione diffusa sul dorso dello Stivale sarebbe “sufficiente”, mentre quella alpina no. Infatti nel piano si caldeggia la possibilità che i lupi si diffondano verso Nordest, fino ad abbracciare i loro fratelli balcanici. Ma anche i dati sono al centro di polemiche, in particolare quelli sull’Appennino. «La valutazione - scrive il Wwf in un decalogo contro gli abbattimenti - deriva da un insieme di conoscenze non comparabili con quelle alpine e frutto di un modello predittivo e non da censimenti stabilizzati e pluriennali». Spiega Marco Galaverni, presidente di Wwf Emilia Romagna e studioso del lupo: «I censimenti sono un compito demandato alle Regioni, sarebbe opportuno dedicarvi fondi a livello nazionale e una Cabina di regia dell’Ispra che è il braccio scientifico del ministero. Oggi i dati sono ottimi in alcune regioni e carenti in altre. Dunque quelli che abbiamo non possono che essere stime». Galaverni sottolinea che la decisione di permettere gli abbattimenti, anche se in casi estremi e in un massimo del 5% della popolazione totale, «è grave perché distoglie lo sguardo da azioni più importanti previste, soprattutto dalla prevenzione: cani da guardia e recinzioni in particolare. Poi è provato da studi fatti all’estero che questo tipo di apertura favorisca il bracconaggio, perché ci si sente più legittimati a uccidere i lupi». Inoltre, ripete il Wwf, gli abbattimenti «destrutturano i branchi soprattutto se ci sono perdite di leader che guidano la caccia». Eppure il piano, secondo Galaverni, è in parte buono e necessario. «Anzitutto perché aggiorna problematiche del 2002 (l’ultima versione) al 2017», spiega. «E poi perché prevede una serie di azioni: il contrasto al bracconaggio, le task force regionali, regolamenta l’utilizzo dei veleni e modalità di caccia come quella in “braccata”, favorisce una corretta informazione alle parti coinvolte». Inoltre il progetto responsabilizza gli allevatori: la possibilità dei risarcimenti è legata all’adozione delle misure di prevenzione. C’è anche il contrasto all’ibridazione con i cani randagi, il fenomeno che genera i danni maggiori: crea individui che non hanno paura dell’uomo e si avvicinano ai recinti degli allevatori. E spesso fanno strage di pecore. Come scrivono gli esperti del ministero nel piano, è necessaria un’opera di mediazione tra l’esigenza di «salvaguardare la specie e minimizzare suo impatto sulle attività dell’uomo». Perché non si tratta solo degli abbattimenti, ma sul rapporto atavico tra uomini, lupi e territorio.

Andrea Scutellà

 

«Risorse per risarcire le perdite» - Gli allevatori pronti a marciare su Roma: i danni che subiamo sono incalcolabili
ROMA - Il fronte degli allevatori è pronto alla mobilitazione. Un comitato che nasce in Maremma - terra di “butteri” i cowboy in salsa grossetana - ma guarda alla Tuscia, alla Valdarno e ai colli senesi è pronto a manifestare il 23 febbraio sotto la Conferenza Stato-Regioni a Roma. In quello che sarà il prossimo “giorno del lupo”, dopo il rinvio della discussione del piano lo scorso primo febbraio. A Magliano, un comune maremmano che non conta neanche 4mila anime, esiste un assessorato alle predazioni. La titolare è Mirella Pastorelli, una delle anime del comitato, che ha le idee abbastanza chiare in merito al piano lupo. «Chiederemo fermamente - spiega - che i lupi e gli ibridi siano catturati e portati via dal territorio della Maremma perché lupo e pecora insieme non possono convivere». Giudica tutto sommato buono il progetto presentato dal dicastero dell’Ambiente, soprattutto per «la fermezza del ministro di fronte alle proteste degli animalisti». Però non la convincono le misure di prevenzione perché «fa male vedere le pecore chiuse nei recinti come in prigione, che non potranno più vivere libere come è nelle loro abitudini. I prodotti perderanno di qualità». Franco Mattei di Scansano fa l’allevatore perché era il mestiere del padre e del nonno. «Loro - ci confida - non mi hanno mai raccontato di problemi legati ai lupi, perché all’epoca non c’erano. Io sono fortunato, perché negli ultimi anni ho avuto solo sette o otto attacchi. Ma i colleghi vicini al Monte Amiata». Mattei in questi anni ha perso una trentina di capi, ma c’è anche chi ne ha persi cinquanta con un solo attacco e chi ha subito quattro predazioni in due mesi. «Ma non ci sono solo i danni diretti, che si possono quantificare intorno ai 150-200 euro a capo, ma anche quelli indiretti: il latte che quell’animale avrebbe potuto dare, lo spavento che blocca la produzioni degli altri, gli aborti degli agnellini. Il danno vero è incalcolabile». Tullio Marcelli, che rappresenta gli allevatori di Coldiretti Toscana, condivide le linee di fondo del piano del ministero. «Da un lato - spiega - cerca di salvare la specie di lupo, dall’altro aiuta gli allevatori che non vogliono più i danni, ma solo fare il loro lavoro già reso difficile dalla crisi». Il piano, secondo Marcelli, permetterebbe di risarcire tutti i danni «con un’interpretazione anche quelli indiretti. Attualmente non ci sono risorse per i risarcimenti. Pensate che in Toscana ci sono stati 800 attacchi denunciati nell’ultimo anno».

(and. scut.)

 

I “lupari” di Carlo Magno e il ritorno al Medio Evo - IL COMMENTO / LA CACCIA INSENSATA
Negli anni ’70 andavamo a Pescasseroli a difendere il presidente Michele Cifarelli e il direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo Franco Tassi i quali cercavano di preservare la residua biodiversità del Parco, compresi alcuni lupi. Venivamo affrontati per strada: «Voialtri sete amici del lupo, non dell’omo...» A Civitella Alfedena però un sindaco pioniere, Giuseppe Rossi, poi presidente di Parchi, inaugurava con coraggio il primo Museo del Lupo. Pertanto la notizia che si sarebbe riaperta una caccia, sia pure “controllata”, al lupo ha sorpreso quanti si occupano di natura e di parchi da tanti anni. Ma come? Dopo gli sforzi fatti perché non si estinguessero com’era già avvenuto in Francia e in Svizzera dove li avevano sterminati alla fine dell’800? Dov’era finita la convivenza pacifica con gli animali selvatici? Si regrediva al “lupo cattivo” di proverbi e favole? Eppure un rischio serio c’è stato. Sventato, o rimandato per ora, dalla Conferenza Stato-Regioni. Persino fra i cacciatori ve n’erano di contrari a quella insensata misura. Sembrava di tornare al Medio Evo quando i lupi popolavano anche la pianura, la brughiera della Lomellina o le pinete ravennati, temuti come “bestie del diavolo”. Con Carlo Magno che istituiva e remunerava i “lupari”. È vero che San Francesco aveva invece dimostrato a Gubbio che il lupo poteva essere ammansito e sfamato. Un bel po’ prima l’irlandese San Colombano in viaggio sui monti della Borgogna, circondato da ben dodici lupi era rimasto immobile invocando Dio e i lupi lo avevano lasciato stare. Non così era avvenuto coi briganti. Insomma meglio le bestie degli umani... In realtà, è assodato che i lupi tendono a non aggredire l’uomo (specie se questi non si mostra spaventato), mentre lo fanno i cani randagi inselvatichiti i quali ben conoscono noi e le nostre debolezze. Secondo il direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo, Dario Febbo, all’origine di almeno la metà dei danni provocati a pastori e allevatori ci sono branchi di cani inselvatichiti, quelli abbandonati colpevolmente dagli stessi cacciatori alla fine della stagione venatoria. E poi, mentre il lupo caccia con discernimento scegliendo nel gregge quanto gli serve, i cani randagi non hanno coordinamento, abbattono e dissanguano quanto più possono. Nel 1976 si era toccato il minimo dei lupi italici presenti sul territorio: 100-110 appena, in Abruzzo e nell’Appennino fra Forlì e Firenze. Con gran fatica e con una politica di protezione favorita da leggi illuminate si è arrivati in un decennio a 250 esemplari e a 600 nel 2000 favoriti dalla creazione di una ventina di Parchi Nazionali e da decine di Parchi Regionali. Anche se i bracconieri distruggevano persino intere cucciolate di lupi. Oggi dovrebbero esserci 2.000 lupi dall’Aspromonte agli Appennini centrali e alle Alpi. Piccoli gruppi di lupi, chiamati “metropolitani”, sono stati avvistati di notte nella pianura vicino a Bologna o nell’Agro romano. Il lupo è un grande camminatore, anche di notte, e una famiglia, monitorata dagli scienziati, è partita anni fa dall’Alpe della Luna incamminandosi verso nord ovest. Ha sostato sull’Appennino fra Voghera e Genova lasciando qualche coppia. Poi si è diretta verso le Alpi Marittime rientrando da lì nella Savoia, dopo un secolo abbondante, in Svizzera (20-30 lupi di origine appenninica) e persino in Spagna (dal 2009 in Catalogna). Il lupo appenninico (sulle Alpi sono arrivati branchi dalla ex Jugoslavia, come gli orsi del resto) si nutre di camosci, caprioli, cervi, daini e cinghiali. Ha quindi una precisa funzione ecologica di riequilibrio e di contrasto, anzitutto coi cinghiali, aggressivi, diffusisi in maniera abnorme, fin nelle periferie di città come Genova e Roma. Quindi si lascino in pace i lupi, si rimborsino più prontamente allevatori e pastori e si cerchi di sterilizzare i cani randagi e si puniscano severamente i cacciatori che con fredda crudeltà li abbandonano.

VITTORIO EMILIANI

 

Stop al resort del golf da un miliardo di euro sulle alture di Ragusa - Ora l’iter dovrà ricominciare da zero. Pressioni sul governo - Grande vittoria degli ambientalisti e del comitato cittadino
ZAGABRIA - Il progetto che prevedeva la costruzione di un campo da golf e di un grande centro residenziale sul monte Sergio (Srdj), sopra Ragusa (Dubrovnik), ha subito questa settimana una pesante battuta d'arresto. Venerdì scorso, infatti, il tribunale amministrativo di Spalato ha infatti revocato la licenza edilizia, accogliendo il ricorso presentato dall'organizzazione ecologista Zelena Akcija (Azione verde) e dal movimento ragusano "Srdj je nas!" (Srdj è nostra!), costringendo così gli investitori e gli amministratori locali a ricominciare da zero tutto il percorso burocratico. Del faraonico progetto edilizio da più di un miliardo di euro si parla ormai dal 2006, ovvero da quando il piano urbanistico della Perla dell'Adriatico è stato improvvisamente modificato per estenderne l'area edificabile sopra le mura. Dai 100 ettari si è passati allora a quota 340, scatenando l'ira di cittadini e ambientalisti. Mentre i dettagli del progetto venivano resi noti - circa 250 ville e 400 appartamenti a uso turistico - le associazioni presentavano un primo ricorso, accolto positivamente a fine 2014. Per l'Alta corte amministrativa croata, il piano urbanistico era stato modificato illegalmente e, di conseguenza, tutte le decisioni prese successivamente su tale base andavano riviste. «Da allora abbiamo ottenuto altre vittorie legali - racconta Djuro ‹apor, coordinatore dell'iniziativa "Srdj je nas" - anche lo studio d'impatto ambientale, ad esempio, è stato giudicato illegale, in quanto esaminava solo una parte del progetto». Con la vittoria di questa settimana, il «progetto deve ripartire da zero», prosegue ‹apor che avverte: «Gli investitori stanno già facendo pressioni sul governo, minacciando di portare la questione davanti al tribunale arbitrale di Washington, ma noi continueremo a vigilare affinché il verdetto croato sia rispettato». Rompere l’equilibrio paesaggistico e ambientale che contraddistingue una città unica come quella di Ragusa è estremamente facile, visto la configurazione dell’area su cui si sviluppa, quindi una giusta vigilanza ambientale potrebbe solo portare alla conservazione di questo gioiello dell’Adriatico.

Giovanni Vale

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 11 febbraio 2017

 

 

Parco del mare sotto tiro - Nasce il comitato del “no”

Avviata una petizione: già più di duecento le adesioni alla bocciatura del progetto su molo Fratelli Bandiera. «A rischio il profilo delle Rive. Si vada in Porto vecchio»
Si sono dati un nome, “La Lanterna”, e una missione: opporsi. È nato a Trieste il comitato anti-Parco del Mare, la struttura acchiappa turisti che dovrebbe sorgere nel 2020 in Molo Fratelli Bandiera. È il sogno di Antonio Paoletti, presidente della Camera di commercio, che da anni si batte alla ricerca di sostegno e fondi. Il comitato ha preparato una petizione che si può sottoscrivere online sul portale di “change.org” collegandosi alla pagina web di riferimento https://tinyurl.com/zw5qd3m. Oltre duecento le adesioni finora: ambientalisti o semplici cittadini, fra cui anche studenti e professionisti. «L’intento è sensibilizzare la città - spiega la portavoce, Giorgetta Dorfles - e far capire perché un acquario del genere, in quella zona, non ci può stare». Le ragioni del dissenso, estetiche e paesaggistiche, sono elencate per filo e per segno nel documento. La costruzione, che secondo le intenzioni dovrebbe portare nel capoluogo 900mila visitatori l’anno, andrebbe innanzitutto a oscurare un monumento ottocentesco: la Lanterna, appunto, attribuita all’architetto Matteo Pertsch. «Devasterebbe tutto il profilo delle Rive, esempio paradigmatico dell’abbraccio di una città con il mare», protesta il comitato. Che scende ancora più nel dettaglio dei possibili danni che un acquario delle dimensioni prospettate (si parla di 17mila metri quadrati di base, a terra, e altri 24mila a mare) potrebbe arrecare. «Il macroscopico edificio - si legge nella petizione - fungerebbe da enorme paravento, perché verrebbe spezzata la linea dell’orizzonte, lungo cui si stagliano, quando l’aria è limpida, le magiche sagome delle montagne. Inoltre verrebbe oscurato anche il calare del sole nel golfo con i suoi fantastici colori e graverebbe con la sua mole sull’armonico impianto della Sacchetta». Fin qui l’estetica. «Ma non bisogna sottovalutare gli aspetti pratici della faccenda - viene fatto notare - il surplus di traffico e l’invasione di automobili in una zona già penalizzata dalla scarsità di parcheggi, i problemi relativi alla fruizione del contiguo bagno storico Pedocin, il terreno da riporto con cui è stato costruito il Molo che inficerebbe la stabilità di un edificio così imponente». Non vanno trascurate, infine, le perplessità sulle ricadute economiche e sulla riduzione in cattività degli animali, avverte il comitato. E poi la proposta: perché non realizzare il progetto, piuttosto, nel fronte mare del Porto vecchio? «Vogliamo sensibilizzare i triestini e la classe politica - ripete Dorfles -: prima di mettere in moto la macchina delle autorizzazioni ci pensino». La petizione sarà contenuta anche in documento cartaceo che il comitato intende diffondere alla cittadinanza con banchetti e altre forme di promozione. Numerosi i commenti di chi ha sottoscritto la campagna. «Un obbrobrio», scrive Laila Grison. «Si punti piuttosto a trovare fondi per Miramare o per tutti quei piccoli musei disseminati in città», interviene Matteo Sandrin. «Ubicazione assurda», mette in guardia Lorenzo Tissini, «e se proprio si dovesse fare, abbiano il coraggio di chiedere una cauzione che copra i costi di demolizione e smaltimento, il giorno in cui diventerà l’ennesimo sarcofago di cemento, vuoto». È la rabbia della società civile che teme di ritrovarsi un “mostro” lungo le Rive, come rileva Ennio Zuffi. Perché «deturpa, congestiona, è ingestibile economicamente», insiste Guido Pesante. Tanti temono per gli animali e molti, come Nicolò Fumolo, Valentina D’Odorico, Liliana Servadei, Federica Misturelli o Pietro Tamburini, suggeriscono invece il Porto vecchio come sede ideale per un acquario. Il dibattito si allarga pure all’estero, tra chi conosce bene Trieste. «La città ha altre priorità», riflette Giulio Groppi dal Belgio. O, Darius Bork, originario di Berlino: «Un blocco di cemento e vetro non è la scelta giusta. Da quando sono venuto la prima volta qui, due anni fa, mi sono innamorato della città. I pianificatori urbani devono ripensare questa strana costruzione su tale luogo emblematico».

di Gianpaolo Sarti

 

 

Stop all’amianto nello Scalo Legnami - L’Authority pubblica il bando del valore di due milioni di euro per sostituire tutte le tettoie che sono costruite in eternit
Due milioni di euro per bonificare dall’amianto lo Scalo Legnami. È il valore dell’appalto che l’Autorità di sistema portuale dell’Adriatico orientale ha messo a gara. Nella fattispecie si tratta di sostituire le attuali tettoie che coprono la gran parte dei piazzali del terminal e che sono realizzate in eternit (cemento-amianto). La situazione è sempre stata giudicata sicura dato che non sono segnalati casi di sfregolamento delle tettoie che potrebbero mettere a rischio immediato la salute degli operatori, fatto sta che la necessità della bonifica appariva ineludibile già una quindicina di anni fa, ma si era innescata tra l’altro la questione se i costi fossero addebitabili al terminalista oppure all’Autorità portuale. Nel 2012 si era affacciata la possibilità dell’intervento di una ditta che si sarebbe accollata la spesa in cambio dell’installazione sulle tettoie di un impianto fotovoltaico e della gestione dell’energia prodotta, ma l’operazione era presto saltata. Tra l’altro a ricalcare la necessità dell’operazione, il fatto che al Tribunale di Trieste è in corso un processo per la morte causata da mesotelioma di 32 tra braccianti, pesatori, autisti e pulitori che avevano lavorato in porto tra gli anni Sessanta e Novanta. Le tettoie in questione sono una ventina. I lavori previsti sono la rimozione e lo smaltimento di quelle contenenti amianto a la posa in opera di nuove coperture in metallo. L’importo previsto è 1.845.179 euro, di cui 90.900 euro per oneri di sicurezza, più Iva. Le offerte dovranno pervenire all’Authority entro le 12 del 2 marzo e il 6 marzo alle 9.30 verranno aperte le buste. Tra i criteri della commissione giudicatrice vi saranno la tipologia delle lastre di copertura, dei sistemi di fissaggio, delle lattonerie, le caratteristiche di sicurezza, il personale impiegato. Lo Scalo Legnami viene da decenni di precarietà anche se il bilancio 2014 si era chiuso in nero dopo anni di rosso e attualmente, oltre al traghetto che una volta alla settimana raggiunge Durazzo in Albania, la sua banchina è utilizzata anche da Arvedi per i trasporti del Gruppo quando il molo della Ferriera è già occupato. La maggioranza delle quote della società che gestisce il terminale, cioè la General cargo terminal, è in mano al Gruppo Gavio, ma l’ex presidente Alberto Cattaruzza (che rappresentava il socio di minoranza Ocean) ha dato da tempo le dimissioni (mentre Walter Preprost ha conservato il ruolo di amministratore delegato) e per lunedì è fissato un consiglio di amministrazione che dovrebbe distribuire le nuove cariche. Frattanto il presidente dell’Authority, Zeno D’Agostino, ha confermato anche per il 2017 la riduzione nella misura del 30% dei canoni demaniali che riguardano le aree e i manufatti utilizzati esclusivamente per il deposito di legname. Ciò a causa della forte flessione nell’ultimo decennio di un traffico che comunque ha un’importanza strategica fondamentale per il porto di Trieste. Analogamente, una riduzione, contenuta però nel 20%, è stata decretata per quanto riguarda i canoni relativi ai magazzini utilizzati esclusivamente per il deposito di caffé crudo. Questo decreto comporterà minori entrate per circa 300mila euro.

Silvio Maranzana

 

 

Ambiente - Gestione rifiuti, nuove norme

L’assessore del Friuli Venezia Giulia, Sara Vito, ha reso note alla Giunta regionale le linee direttrici della nuova normativa in materia di gestione dei rifiuti e principi di economia circolare. Come ha precisato Vito, tra le priorità che la Regione ha individuato per innovare il settore dei rifiuti vi è la riscrittura della legge 30 che risale al 1987. Dobbiamo snellire le procedure, ha ricordato Vito, senza dimenticare in chiave politica che la legge 30 è anche concettualmente superata in quanto considera ancora il problema dei rifiuti esclusivamente nell'ottica dello smaltimento.

 

 

Allarme cinghiali, appello al Comune - Mozione di Tremul per far sì che l’amministrazione solleciti la Regione
TRIESTE - Cinghiali a ridosso di scuole, abitazioni e monumenti, è allarme totale. A lanciarlo la circoscrizione di Altipiano Ovest, con una mozione specifica del consigliere Francesco Tremul (Lista Dipiazza) e proposta all’intero parlamentino che sovrintende le frazioni di Prosecco, Contovello e Santa Croce. Secondo Tremul, i cinghiali continuano a imperversare ovunque, spesso a ridosso dei centri abitati e negli orti urbani. Numerose infatti sono le segnalazioni dei cittadini, che avvistano i selvatici nei posti più impensati, e non si contano gli appelli lanciati dalle associazioni agricole per i danni causati su pascoli e coltivazioni. «Branchi di cinghiali ormai dimorano abitualmente a ridosso delle abitazioni, delle scuole e addirittura dei monumenti (recente l’avvistamento nei pressi del Faro della Vittoria, ndr) - afferma Tremul - non solo in orario notturno, con pericolosi inserimenti sulla viabilità ordinaria e lungo le linee ferroviarie». Il documento chiede all’amministrazione comunale di adoperarsi tempestivamente sollecitando la Regione a individuare gli strumenti per la gestione della fauna selvatica, ricordando che a partire dal 1 giugno 2016 le funzioni in materia di vigilanza ambientale, forestale, ittica e venatoria, caccia e pesca risultano trasferite proprio all’ente regionale. La pressione venatoria e gli abbattimenti in deroga però, osserva la circoscrizione, non possono essere la sola strategia per la risoluzione del problema. Per tale ragione l’approccio di contenimento alla proliferazione di selvatici deve essere realizzato con un piano multisettoriale.

(m.lo.)

 

ZULLO (M5S) «Centrali nucleari scarsa informazione»

Dopo l’incidente nella centrale nucleare francese di Flamanville, e vista la vicinanza della centrale slovena di Krsko, l’europarlamentare M5S Marco Zullo scrive che «Regione e Arpa non riportano indicazioni nei siti internet, di un piano regionale o interprovinciale per informare o dare indicazione sui comportamenti da seguire in caso di problemi nucleari».

 

 

Animali La Lav alle Torri Firme anti-circhi

Questa mattina dalle 10 alle 18, la Lav Trieste sarà presente con un tavolo informativo al Centro commerciale “Le Torri d’Europa” per sostenere un’importante iniziativa: il Disegno di legge del Governo sulla disciplina dello spettacolo, che prevede la graduale dismissione degli animali nei circhi. La petizione - che chiede il rispetto dell’impegno preso - scade il 5 marzo 2017 e la si può firmare anche on line collegandosi a www.lav.it/petizioni.

 

 

 

 

GREENSTYLE.it - VENERDI', 10 febbraio 2017

 

 

Mediterraneo: quanto inquinano le grandi città, studio lo rivela
L’inquinamento delle grandi città del Mediterraneo in uno studio svizzero-canadese. Sono 19 le metropoli prese in esame dalla ricerca, che ha interessato continenti e Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum. Un bilancio che vede Istanbul e Il Cairo in cima alla classifica delle più inquinanti, in funzione della densità demografica seguite al terzo posto da Barcellona e al quarto da Roma.
Il maggiore impatto ambientale di queste quattro città sul Mediterraneo è stato valutato in questo caso sulla base dei rispettivi abitanti: Istanbul (13,02 milioni), Il Cairo (12,83 mln), Barcellona (4,72) e Roma (4,17). Differente l’andamento nel caso si analizzi l’impatto in ettari procapite il primo posto passa a La Valletta, Malta, con un valore di 5,3.
Analizzando il consumo procapite Roma scende al quinto posto (4,7 ettari procapite) dietro la già citata La Valletta, Atene, Genova e Marsiglia. Seguono la capitale italiana Barcellona, Tessalonico, Valencia, Tel Aviv e Venezia. Appena fuori dalla “worst ten” Palermo e Napoli, seguite a loro volta da Istanbul, Tunisi, Izmir, Il Cairo, Antalya, Alessandria d’Egitto e Tirana. A causare la variazione delle posizioni è soprattutto il tenore di vita, con l’impatto ambientale che cresce in maniera proporzionale all’aumento dei livelli di reddito.
L’andamento in Italia ha visto nel periodo 2010-2015 un leggero miglioramento della situazione per quanto riguarda Roma, Genova e Palermo, mentre è al contrario peggiorata per Napoli. Stabile è invece la situazione di Venezia. A incidere sull’ambiente del Mediterraneo è soprattutto il consumo di generi alimentari: è responsabile secondo lo studio per il 20% dell’impatto nei Paesi più ricchi e per il 40% nei restanti. Gli altri due riferimenti utilizzati sono stati “Trasporti” e “Consumo dei beni“: se il primo dei due incide tra il 14 e il 25% sull’impatto della singola città, il secondo lo fa per il 12-15%. Sui parametri citati pesa però un’ulteriore variabile, il turismo: i visitatori che si recano ogni anno nei Paesi del Mediterraneo sono circa 220 milioni.
Claudio Schirru

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 10 febbraio 2017

 

 

I giardini inquinati in Consiglio regionale - Vito: «La situazione è sotto controllo»

Il problema dell'inquinamento delle aree verdi di Trieste è stato affrontato in IV Commissione del Consiglio regionale, presieduta da Vittorino Boem, nel corso di un'audizione alla quale hanno preso parte l'assessore regionale Sara Vito, l'assessore comunale triestina Luisa Polli, e i tecnici dell'Arpa. La Vito ha ripercorso la vicenda, iniziata nel 2016 e ha sottolineato come il problema sia stato affrontato tempestivamente con 350 mila euro, che siano stati messi in campo subito tutti gli interventi necessari, che la situazione venga costantemente monitorata e tenuta sotto controllo, e che il tavolo tecnico continui in modo proficuo il suo lavoro. D’accordo con una valutazione positiva dell’operato regionale i consiglieri Emiliano Edera (Cittadini) e Giulio Lauri (Sel). Il capogruppo forzista Riccardi ha chiesto se la Regione non avesse un piano B per la Ferriera ma la Vito non ha risposto in quanto il tema non era all’ordine del giorno. Stessa sorte l’intervento su Servola di Andrea Ussai (M5s).

 

Discarica di tubi nella Grotta Impossibile - Scoperti dalla Commissione Boegan i resti dei sondaggi geognostici effettuati per realizzare poi la galleria della Gvt
LO SPELEO TORELLI - Inquinamento con materiale plastico e ferroso: è un fatto che turba, considerando anche le nuove norme introdotte dalla Regione
Uno degli ipogei più belli e vasti dell’intero Carso triestino deturpato dai lasciti del cantiere del “tubone” di Cattinara. L’inattesa documentazione è stata registrata da alcuni membri della Commissione Grotte “Eugenio Boegan” del Sag-Cai di Trieste che durante una ricognizione all’interno della cosiddetta Grotta Impossibile, proprio nella nuova grande stanza dedicata alla memoria del giovane naturalista triestino Thomas De Marchi, hanno rinvenuto cospicui resti dei sondaggi geognostici - carotaggi a distruzione - propedeutici alla costruzione del tunnel autostradale. In poche parole un centinaio di metri di tubi in plastica e una sonda in acciaio che giacciono nelle viscere del Carso da oltre dieci anni. «Anche alla luce della nuova recente riforma della legge sulla speleologia emanata dalla Regione e delle norme da rispettare, l’inquinamento e la deturpazione della cavità con materiale plastico e ferroso è un fatto che accende e turba per l’ennesima volta il sentimento, non solo degli speleo o dei grottisti», ha spiegato fermamente la guida speleologica regionale Louis Torelli, past president della Boegan. Nel 2004, durante gli importanti lavori di costruzione del tunnel autostradale della nuova Grande viabilità triestina, l’impresa Collini, su mandato del Comune di Trieste, perforò una grossa galleria naturale. All’epoca nel primo tratto della “Canna Venezia”, a circa 450 metri dall’inizio degli scavi, venne alla luce una nuova importantissima grotta. Nelle primissime ricognizioni assieme all’allora Dipartimento di Geoscienze dell’Università degli Studi di Trieste diretto dal professor Franco Cucchi, la Commissione Grotte “Boegan” ebbe la possibilità di accedere al cantiere e di constatare la notevole portata della struttura sotterranea: una grotta, per l’appunto, Impossibile. «Ci vollero diversi mesi di impegno anche in termini di politica speleologica, per poter gestire in forma equilibrata questa scoperta, e poi anni di esplorazioni per completare un quadro generale che rappresentasse questa notevole chilometrica cavità», racconta Torelli, che allora cercò in tutti i modi di sensibilizzare gli amministratori comunali, accompagnandoli più volte in grotta. L’Impossibile è una delle grotte più strettamente connesse al tessuto infrastrutturale di Trieste, e nonostante tutto, ancora poco studiata e poco conosciuta. «Recentemente si è presentata l’occasione per tornare all’Impossibile con l’obiettivo di affrontare la grande parete nord della Caverna dedicata al “Maestro” Carlo Finocchiaro, per mettere naso in alcune anomalie intraviste nelle mastodontiche evorsioni ed erosioni presenti sul tetto della caverna, girando lo sguardo a Nord Ovest», spiega Torelli. Nel corso dello scorso autunno Louis Torelli, Paolo Toffanin, Lorenzo Marini e Tom Kravanja hanno individuato e raggiunto una considerevole apertura sul soffitto della caverna, a una quota di circa 250 metri sul livello medio marino, attorno alla quale si sono sviluppati i maggiori tratti del complesso sotterraneo. «Gli ambienti fossili raggiunti sono di notevoli dimensioni e rara bellezza: un’ampia galleria, cui si è pervenuti con una elegante arrampicata mista, in libera ed in artificiale, e un traverso, per uno sviluppo in altezza e in diagonale di oltre cento metri, e a circa cinquanta metri da terra», racconta il past president della Boegan. All’interno di questa nuova galleria si trovano consistenti depositi di pietrisco in fase di cementificazione intercalati da straterelli di calcite. Nella parte mediana, invece, i cospicui resti dei sondaggi geognostici, carotaggi a distruzione, propedeutici alla costruzione del tunnel autostradale. Questo nuovo tratto della Grotta Impossibile è stato dedicato alla memoria di Thomas De Marchi, naturalista triestino scomparso prematuramente nel luglio 2015 a 34 anni. «Con Thomas, negli ultimi tempi avevo condiviso l’interesse per la Grotta Impossibile - conclude Torelli -, sicuramente se avesse visto tutto questo indecoroso lascito di tubi di plastica ne sarebbe rimasto tristemente sconvolto, come tutti noi».

Riccardo Tosques

 

Francia, allarme nucleare - Fiamme in una centrale - Greenpeace chiede spiegazioni. Una petizione per dismettere i reattori obsoleti
L’incidente in Normandia ma le autorità rassicurano: «Nessun rischio radiazioni»
ROMA Alle 9.40 di ieri mattina un brivido corre lungo la schiena dell’Europa. Arriva la notizia di un’esplosione nella centrale nucleare di Flamanville. Il sito si trova in Francia nella zona della Bassa Normandia, nel Nord-Ovest del paese, che affaccia sul canale della Manica. Le autorità, però, precisano immediatamente: non c’è alcun rischio legato alla radioattività, perché l’incidente è avvenuto nella sala macchine al di fuori della cosiddetta «isola nucleare». Il prefetto di zona, Jacques Witkowski, parla di «cinque intossicati lievi», che però sarebbero usciti indenni dalla centrale. Nonostante abbia annunciato l’apertura di «un’indagine tecnica» per determinare le cause dell’incidente, che si sarebbe verificato «su un banale impianto elettrico», Witkowski si è lanciato in una prima spiegazione dell’accaduto. Si tratterebbe «un surriscaldamento sulle guaine dei macchinari» che avrebbe causato lo sprigionarsi delle fiamme e del fumo. Dopo l’intervento dei pompieri il primo reattore, il più vicino alla sala macchine, è stato spento per precauzione. Una versione confermata dalla società Électricité de France (Edf), proprietaria dell’impianto. «Non c’è alcuna vittima - hanno scritto - e nessuna conseguenza per la sicurezza e per l’ambiente». Falso è risultato il video diffuso da WikiLeaks dell’esplosione e dell’incendio, smentito dalla stessa azienda su Twitter. L’Edf è la maggior produttrice di energia in Francia ed è uno dei colossi mondiali del settore. Greenpeace Francia, però, chiede spiegazioni sull’accaduto. «Chiediamo informazioni pubbliche - scrive l’Ong - su cause e conseguenze, il più presto possibile. “Non ci sono rischi per l’ambiente” - prosegue, citando il tweet della società - ma lo stato del parco nucleare francese è inquietante». L’associazione ambientalista approfondisce il concetto in un comunicato pubblicato anche su Ouest France, il primo quotidiano a dare la notizia. «Insieme ai due recenti incidenti che hanno avuto luogo alle centrale di Cattenom, questo è il terzo incendio in una centrale in dieci giorni. L’Autorità sul nucleare stessa ha dichiarato che lo stato della sicurezza delle centrali è preoccupante. Tutto questo in un contesto di grave deterioramento dei reattori francesi, più della metà sono affetti da un centinaio di gravi anomalie». In Francia, a oggi, sono attive 19 centrali nucleari secondo la mappa pubblicata dal quotidiano Liberation, con un’anzianità compresa tra i 15 e i 39 anni. Non mancano, poi, le polemiche sulla stessa centrale di Flamanville: i due reattori sono in funzione dagli anni Ottanta e hanno una storia ultratrentennale. È in costruzione un terzo reattore di ultima generazione, i cui tempi di realizzazione e i relativi costi, sono però lievitati nel tempo. Sul sito “MesOpinions.com” è possibile trovare una petizione diretta al presidente Hollande per dismettere la centrale di Flamanville.

Andrea Scutellà

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 9 febbraio 2017

 

 

Ferriera, il Tar stoppa il Comune - I giudici amministrativi rigettano la richiesta di sospensiva contro il decreto regionale di fine dicembre
Il metaforico ammasso di carte che il "caso Ferriera" ha accumulato sull'altrettanto metaforica scrivania del Tar regionale si è alleggerito ieri di qualche faldone. Il Tribunale amministrativo del Friuli Venezia Giulia ha comunicato infatti il rigetto dell'istanza di sospensiva proposta dal Comune di Trieste contro il decreto regionale che accertava il completamento da parte di Siderurgica Triestina srl di una serie di adempimenti prescritti dall'Autorizzazione integrata ambientale (Aia). Il provvedimento impugnato dal Comune è conosciuto ormai con il nome di "decreto Agapito" dal nome del firmatario, che è il direttore del Servizio tutela da inquinamenti atmosferico, acustico ed elettromagnetico Luciano Agapito. Quel documento era stato trasmesso il 22 dicembre scorso dalla Regione al Tar proprio in risposta all'intimazione che il Tribunale le aveva inviato durante lo svolgimento di un altro procedimento. Quale? Quello sull'impugnazione da parte di Siderurgica triestina dell'ordinanza con cui il sindaco Roberto Dipiazza imponeva allo stabilimento industriale nel cuore di Servola di limitare la produzione a 34mila tonnellate mensili «ai fini della tutela della salute pubblica». La prima udienza di quel procedimento si era tenuta il 16 dicembre, ma i giudici amministrativi avevano rinviato la pronuncia sulla sospensiva all'11 gennaio. La motivazione del rinvio da parte del Tar era proprio l'assenza dell'atto conclusivo della Regione sulla verifica delle prescrizioni previste dall'Aia per la Ferriera. Senza quel documento, rilevavano i giudici amministrativi, non era possibile prendere una decisione sulla richiesta del gruppo Arvedi di sospendere l'ordinanza marcata Dipiazza. Pochi giorni dopo, il 22 dello stesso mese, la Regione aveva risposto inviando un documento agli uffici del tribunale. Il famoso decreto Agapito. A quel punto è toccato al Comune il turno dell'impugnazione, occasione che palazzo Cheba non si è lasciata sfuggire. Per la giunta comunale il decreto risultava illegittimo «in quanto carente della presupposta attività istruttoria oltre che delle necessarie determinazioni che lo stesso doveva assumere, considerato l’indiscusso sforamento del limite di produzione mensile di ghisa così come autorizzata dall’Aia». Secondo il Comune gli uffici regionali si erano limitati a ricalcare passo passo i rapporti delle ispezioni Arpa. Il Tribunale, però, non ha condiviso la posizione della giunta, rigettando l'impugnazione. Dalla Regione viene evidenziato come «il Tar, nell'ordinanza, abbia rilevato la mancanza, allo stato, di un'apprezzabile fondatezza (fumus boni iuris) del ricorso del Comune, non essendo stati nemmeno contestati gli interventi strutturali all'altoforno». Il Comune è stato altresì condannato alla rifusione delle spese a favore di Regione e Siderurgica.

Giovanni Tomasin

 

 

Le ruspe sulla Tripcovich “emarginano” Dipiazza - L’annuncio dell’abbattimento scatena reazioni contrarie pure nel centrodestra
Riemerge un piano di recupero del 2009 che costerebbe come la demolizione

L’abbattimento della Sala Tripcovich riporta a galla un progetto di otto anni fa e spacca la maggioranza. Il partito dei demolitori, capeggiato dal sindaco picconatore, dovrà fare i conti con chi vuole riaprire il capitolo Tripcovich al punto dove la seconda amministrazione Dipiazza l’aveva lasciato. «Riemerge l’idea di abbattere l’edificio di Umberto Nordio. Ma da anni esiste un ottimo progetto di riconversione, peraltro incoraggiato dall’amministrazione comunale nel precedente mandato di Roberto Dipiazza. Una soluzione sempre attuale, innovativa e utile, che andrebbe rivalutata», riapre la partita l’ex assessore Paolo Rovis che condivideva la passione per questo progetto assieme agli allora consiglieri regionali Piero Camber e Maurizio Bucci. Il progetto è quello della Nuova Tripcovich lanciato nel 2009 da un gruppo di giovani tra i quali ci sono Andrea Rodriguez (ora impegnato nel Comitato 5 dicembre per la chiusura dell’area a caldo della Ferriera) che ieri ha pure rilanciato il progetto: «La Sala Tripcovich è potenzialmente un grande patrimonio per Trieste e già otto anni fa un gruppo di visionari tra cui me, Roberto, Piero, Marco, Magda e Claudio, e forse qualcun altro che oggi non mi sovviene, creò. Un progetto completo e sostenibile per restaurarla. È tutto pronto. Basta ripensare due cosette e Trieste può avere una struttura meravigliosa, per i giovani ma non solo, in pieno centro, che non disturberebbe nessun vicinato e porterebbe lavoro e ricchezza. Chissà se stavolta non riusciamo». Del gruppo di visionari favevano parte Roberto Lisjak, Piero Boncompagno, Marco Boncompagno e Claudio Farina. «Si tratterebbe di prendere spunto dall’esperienza pordenonese del Nuovo Deposito Giordani (che ha chiuso l’anno scorso, ndr), creando così un contenitore polifunzionale che abbia all’interno delle sale destinate alla musica dal vivo ed alla musica da ballo ed uno studio di registrazione - si legge nel progetto -. Una struttura da sfruttare sia dal punto di vista dell’intrattenimento che della formazione di nuove professionalità, con la creazione di corsi in settori riguardanti la fonica, la logistica, l’organizzazione di eventi e tutto quello che non viene coperto in questi ambiti dal punto di vista didattico al momento a Trieste». Il costo del progetto per risistemare lo spazio è di circa due milioni e mezzo di euro per una struttura autosostenibile. Più o meno gli stessi costi che servirebbero ora per rimetterla a posto. «Quanto alla Tripcovich anche a me pare inutile abbatterla - scrive Francesco Cervesi -. Tanto i costi per sistemarla (si parlava di due milioni) alla fine sono equivalenti ai costi per abbatterla e sistemare l'area». Neppure Serena Tonel, primo assessore ai teatri di Trieste, vuole essere ricordata come quella che ha raso al suolo una sala teatrale. «In questo momento chiuderla è stata una scelta obbligata. Non può essere aperta al pubblico. Quello che possiamo fare come Comune è trovare delle soluzioni alternative. Sto lavorando per trovare delle soluzioni immediate». E che fine far fare alla Tripcovich? «Non sono io a dirlo. È un edificio vincolata dalla Soprintendenza», spiega l’assessore che non ha le manie distruttive del primo cittadino. «Approfondiremo nei prossimi giorni la questione della Sala Tripcovich e del preannunciato abbattimento. Per ora possiamo dire che prima di fare a meno di un luogo di cultura come quello è necessario non solo progettare ma anche realizzare un posto alternativo, altrimenti il rischio sarà quello di perdere eventi e manifestazioni importanti, cosa che Trieste non può permettersi», dichiara Paolo Menis, capogruppo del Movimento 5 Stelle. «Un'area verde o uno spazio equivalente e una sala alternativa per eventi quali i festival del cinema, la musica eccetera. Perché Rossetti e Verdi sono molto cari e con un calendario fitto quindi offrono poche possibilità», propone l’ex sindaco Roberto Cosolini. «Ma mi fate capire dove sta la strategia? Forse altri parcheggi? C’è il Silos a due metri! Forse riqualificare l’ingresso in Porto vecchio? In teoria parrebbe avere un senso, ma in realtà non ce l’ha se l’idea di progetto è fare uno spiazzo con sotto un parcheggio. E quindi che cosa esprime questa uscita “muscolare”: che quando si hanno poche idee si cerca di dare loro forza sparandole grosse?», si chiede l’ex assessore Elena Marchigiani senza aspettarsi risposte.

Fabio Dorigo

 

 

Trieste-Mestre in 70 minuti, più fantasia che realtà - LA LETTERA DEL GIORNO di Brunello Zanitti Giuliano

In merito all'enunciata futura velocizzazione dei Traffici su Rotaia "70 minuti per percorrere la Tratta Ferroviaria Mestre/Trieste" penso sia condivisibile l'affermazione che possano sorgere alcuni velati e giustificati dubbi/perplessità sia per la velocità che per la reale capacità di poter smaltire i traffici merceologici attuali/futuri generati dallo scalo, perplessità determinate specialmente dalla conformazione della vetusta ultima tratta relativa al tracciato Ferroviario Linea Bassa "Aurisina / Trieste Stazione Centrale" percorribile a velocità ridotta e dove si può contare su due soli binari. Questa situazione in termini di potenzialità non credo sia in grado di assecondare e supportare la somma delle esigenze sia del trasporto dei passeggeri, che le ventilate ambizioni della Portualità Triestina che vorrebbe assumere in futuro in tema di Logistica di Porto e Retroporto il significativo ruolo "di Hub Adriatico" per la gestione di una quota dei traffici relativi ai notevoli volumi dell'interscambio merceologico Euro/Asiatico in transito nel Mediterraneo, purtroppo per noi l'inadeguatezza dell'attuale tracciato rischia chiaramente di incidere negativamente sia nei confronti delle strategie dell'armamento che nella nostra capacità di poter sfruttare le notevoli ed opulente opportunità che il Corridoio Baltico Adriatico sarebbe in grado di generare. Il citato ambito ruolo per la Portualità Triestina contemplerebbe una capacità di movimentazione annua di diversi milioni di contenitori, valori difficilmente smaltibili dai due soli binari presenti attualmente sulla Linea Bassa, quindi penso sia il caso di non farsi molte illusioni per il futuro poiché per far si che lo Scalo Triestino possa realmente diventare uno dei fulcri della Portualità Mediterranea, e quindi contribuire al possibile ed auspicabile "spostamento un po' più a sud verso l'Alto Adriatico del baricentro del sistema Trasportistico Comunitario" le nuove opere da cantierizzare sarebbero molteplici e particolarmente impegnative per costi/problematiche. Penso sia alquanto evidente che se gli amministratori dello scalo triestino credono realmente "nelle variegate economie che il mare sarebbe in grado di generare" e se volessero realmente in futuro materializzare gli ambiziosi citati obbiettivi, sulla falsariga di quanto sta facendo Genova per potenziare la sua portualità con la cantierizzazione e realizzazione "del Terzo Valico" nel nostro caso gli interventi, opportunamente pianificati, dovrebbero contemplare sia il raddoppio dei binari Ferroviari esistenti sulla Linea Bassa portandoli da due a quattro, che l'adeguamento ed opportuno sfruttamento della vecchia Ferrovia - Campo Marzio - Cattinara - Opicina - e quindi essere ben più consistenti degli aggiornamenti tecnologici annunciati "dall'ad del Gruppo F.S.". Per concludere, penso che nelle menti di molti "addetti ai lavori e non" rimangono comunque delle più o meno velate perplessità, da imputare principalmente alle particolari caratteristiche ambientali del territorio carsico ed al livello d'urbanizzazione presente lungo tutto il costone, e ai presumibili rilevanti costi necessari per cantierizzare delle soluzioni.

 

 

Le chiavi di Miramare ad una medievalista in arrivo da Israele - Franceschini affida il ruolo di direttore di parco e castello alla storica dell’arte ed esperta di codici Andreina Contessa
Il ministro Dario Franceschini incorona Andreina Contessa. Sarà lei a guidare Miramare. Il governo ha chiuso la partita dei direttori ieri, con dieci nomine per altrettante strutture pubbliche di interesse nazionale: oltre a Trieste compaiono il Complesso monumentale della Pilotta di Parma, i musei della Civiltà all'Eur, l'Etrusco di Villa Giulia, il Museo Nazionale Romano, Villa Adriana e Villa d'Este e i parchi dell'Appia Antica, dei Campi Flegrei, di Ercolano e di Ostia Antica. «Sono riconosciute eccellenze italiane», il commento di Franceschini. Due dei dieci super-manager, come hanno fatto notare dal ministero, rientrano in Italia dopo un'esperienza professionale all'estero. È proprio il caso di Andreina Contessa, scelta per il “Museo Storico e il Parco del castello di Miramare di Trieste”: la nuova direttrice, originaria di Brescia, arriva dal Nahon Museum of Italian Jewish Art di Gerusalemme. Storica dell’arte e medievalista, specialista di arte ebraica, si è occupata principalmente di iconografia biblica, esegesi e illustrazione nei manoscritti miniati medievali, codici latini e codici ebraici. Dopo la laurea in Storia dell’arte medievale all’Università di Parma, ha conseguito un dottorato all’Università ebraica di Gerusalemme. Qui, così recita il curriculum, ha insegnato per molti anni al Dipartimento di storia dell’arte. Ha collaborato con diverse istituzioni accademiche in Israele e in Europa. Dal 2009 è la conservatrice del Museo di arte ebraica italiana “Umberto Nahon” di Gerusalemme. Ha pubblicato numerosi articoli su riviste italiane e internazionali. Il parco triestino, insieme alle altre realtà fresche di direttore, è uno dei dieci musei dotati di autonomia, individuati a inizio anno dal ministero Franceschini. È stato Corrado Azzollini, già alla Soprintendenza del Friuli Venezia Giulia, a reggere l’interim di Miramare in questi mesi. Il nome di Contessa è spuntato dopo almeno due fasi di selezione, tra cui un colloquio con una commissione tecnica ad hoc presieduta da Paolo Baratta e composta da Lorenzo Casini (ordinario di diritto amministrativo della Scuola Imt alti studi di Lucca), Keith Christiansen (storico dell'arte e curatore capo del Department of Eurepean Paintings del Metropolitan Museum of Art di New York), Claudia Ferrazzi (consigliere di amministrazione del Louvre-Lens) e Michel Gras (archeologo e direttore di ricerca del Centre national de la recherche scientifique di Parigi). «La commissione ha fatto un grande lavoro e ha offerto al direttore generale dei Musei del Mibact, Ugo Soragni, e a me la possibilità di scegliere in terne di assoluto valore», le parole del responsabile dei Beni culturali. I nuovi direttori, fa notare il ministro, «sono italiani con elevata professionalità nella direzione del patrimonio culturale, con alcuni che tornano nel nostro Paese dopo importanti esperienze all'estero». È nelle mani di Contessa, ora, il non facile rilancio del parco e del castello. E non solo la Riserva marina: una delle prime decisioni che il neo-direttore dovrà affrontare riguarda l'introduzione del biglietto di ingresso al parco, di cui si parla ormai da tempi biblici.

Gianpaolo Sarti

 

 

Eni, chiesto giudizio per Descalzi - Il manager accusato di corruzione con altri 8: mazzetta da 1 miliardo
MILANO L’ad di Eni Claudio Descalzi, l’ex “numero uno” Paolo Scaroni, l’uomo d’affari Luigi Bisignani e altre 8 persone, oltre alla stessa Eni e a Shell, devono andare a processo per una presunta maxi tangente da 1 miliardo e 92 milioni di dollari che sarebbe stata versata dal colosso petrolifero italiano e da quello olandese a politici nigeriani per l’acquisizione nel 2011 di un giacimento petrolifero nel Paese africano, noto con la sigla “Opl-245”. È la richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura di Milano che poco più di un mese fa ha chiuso le indagini a carico di tredici persone, comprese le due società, indagate in base alla legge sulla responsabilità amministrativa degli enti. La presunta maxi “stecca”, equivalente al prezzo dell’acquisizione da parte di Eni e Shell del giacimento petrolifero, sarebbe servita, secondo le indagini, a corrompere una sfilza di politici del Paese africano e in parte sarebbe stata anche retrocessa a manager del gruppo. Intanto, il cda dell’Eni ha confermato «la massima fiducia sulla estraneità della società» e dell’ad alla vicenda ribadendo «la correttezza dell’operazione relativa all’acquisizione della licenza del blocco Opl 245». Secondo i pm sarebbe stato l’allora ad Scaroni a dare «il placet all’intermediazione di Obi» Emeka, presunto intermediario, «proposta da Bisignani e invitando Descalzi», all’epoca dg della Divisione Exploration & Production Eni, «ad adeguarsi». Sia Scaroni che Descalzi avrebbero poi incontrato «il presidente» nigeriano Jonathan Goodluck «per definire l’affare».

 

 

Corso di avviamento all’apicoltura
Alle 17 al Padiglione "I" dell'ex Opp (vicino al Bar "Il posto delle Fragole") il quarto appuntamento, deI corso di avviamento all'apicoltura promosso da Urbi et Horti, Associazione Bioest, associazione Il Ponte, Legambiente Trieste, Aias, Anglat Fvg, Lapis, Multicultura, Arci Servizio Civile Trieste, Arci Servizio Civile FVG, Comitato pace convivenza solidarietà Danilo Dolci e Azienda Sanitaria Trieste. Info: 328-7908116.

 

 

 

 

GREENSTYLE.it - MERCOLEDI', 8 febbraio 2017

 

 

Glifosato: California lo etichetterà come probabilmente cancerogeno
La California potrà etichettare il glifosato come probabilmente cancerogeno. A stabilirlo il giudice di Fresno, che ha accolto la richiesta dello Stato americano di tutela della sicurezza dei lavoratori che utilizzano l’erbicida RoundUp. Forti proteste dalla Monsanto, azienda che produce la sostanza chimica.
La Monsanto aveva citato in giudizio la California accusandola di aver intrapreso in maniera illegittima l’operazione di etichettatura del glifosato come “probabilmente cancerogeno”, come indicato dallo IARC (International Agency for Research on Cancer). Tra gli avvocati che hanno vittoriosamente difeso lo Stato USA anche Robert Kennedy Jr. Secondo gli avvocati della Monsanto tale imposizione pregiudicherà in maniera fatale il commercio del prodotto, causando gravissimi danni finanziari per l’azienda. Un’opinione non condivisa da Robert Kennedy Jr, che ha dichiarato: Questa etichettatura non li metterà fuori dal commercio. Si tratta di un avvertimento, che permetterà ai lavoratori di sapere che hanno a che fare con un prodotto chimico che può provocare danni alla loro salute.
Nel frattempo prende il via anche in Europa un’offensiva ambientalista volta a interrompere l’utilizzo di glifosato entro i confini UE. Si tratta di una Iniziativa dei cittadini europei (ICE), avviata al fine di chiedere alla Commissione Europea un bando totale per la sostanza chimica. Il lancio è avvenuto con una serie di eventi in diverse città europee, tra cui Roma, Berlino, Bruxelles, Madrid e Parigi, e vedrà coinvolte organizzazioni presenti in 15 Paesi. Al raggiungimento del milione di firme la Commissione UE sarà chiamata all’adozione di una “risposta formale per illustrare le eventuali azioni che intende proporre a seguito dell’iniziativa dei cittadini”. Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura sostenibile di Greenpeace Italia: "Quest’anno abbiamo finalmente l’opportunità di togliere il glifosato dai nostri campi e dai nostri piatti. Sono sempre di più i corsi d’acqua in Italia e in Europa contaminati con questo diserbante, classificato come “probabile cancerogeno” dallo IARC. Si trovano tracce nel cibo, nelle bevande e persino nelle urine. Il messaggio alla Commissione Ue e ai Paesi membri è chiaro: l’interesse e la salute delle persone devono venire prima dei profitti delle aziende agrochimiche".
Claudio Schirru

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 8 febbraio 2017

 

 

Il Comune chiude la Tripcovich e lancia il piano per la demolizione - L’operazione abbattimento verrà illustrata a breve al consiglio di indirizzo della Fondazione Verdi proprietaria della struttura
La Sala Tripcovich chiude e, in prospettiva, potrebbe non riaprire mai più. Sì, perché il Comune, secondo il quale l’edificio ha seri problemi strutturali, ha ufficialmente dichiarato guerra all’ex stazione delle corriere costruita nel 1936 dall’architetto Umberto Nordio, vincolata dalla Soprintendenza dal 2006, diventata teatro nel 1992 e dal 2012 entrata nel patrimonio della Fondazione del Teatro Verdi. Un’ex stazione che il sindaco Roberto Dipiazza, rispolverando un vecchio cavallo di battaglia, farà di tutto per buttare giù. Non è dunque un caso che lo spettacolo “Solo” di Arturo Brachetti, che doveva andare in scena ieri e oggi, sia saltato. Che l’idea di radere al suolo l’edificio non sia solo di una vaga intenzione, lo dimostra il fatto che Dipiazza, anche presidente della Fondazione, ha già fatto dei sopralluoghi con gli assessori di competenza. Lo spiega il consigliere forzista Piero Camber, che aggiunge: «Nel cassetto c’è già un progetto articolato, che si affiancherebbe a quello già previsto per la riqualificazione di piazza Libertà e che in teoria dovrebbe partire entro un anno. Dipiazza dovrebbe presentare il suo programma al consiglio d’indirizzo della Fondazione Verdi e nel caso di assenso, lo stesso ente culturale dovrebbe poi avviare ufficialmente la domanda alla Soprintendenza per ottenere l’iter di rimozione del vincolo». Al posto della Tripcovich il sindaco ipotizza un grande spazio che dia visibilità all’imponente ingresso di Porto vecchio. E, per soddisfare la grande sete di posteggi in centro, vorrebbe costruire un parcheggio sotterraneo. La soluzione per il piano del nuovo contenitore secondo Camber potrebbe prevedere un ampio numero di stalli. «Se la proprietà torna al Comune, potrebbe fare un bando di gara e ricavare 300-4000 parcheggi sotterranei». Alla base di questo progetto non ci sarebbero solo l’intenzione di Dipiazza di realizzare l’antica promessa e la constatazione di un «sottoutilizzo della Tripcovich come depandance del teatro Verdi negli ultimi anni», ma anche la volontà di risparmiare i due milioni di euro previsti per la ristrutturazione dell’ex stazione. Quei soldi - che, al momento, fanno capire dal Comune, non ci sono - sarebbero necessari per risanare una piccola parte del soffitto crollata a terra, mettere a norma l’impianto elettrico, sostituire le poltroncine e rifare i camerini che si trovano ora nei container dietro la struttura. Ma per riuscire a demolire la Tripcovich, il Comune deve riuscire a superare due grossi ostacoli: il Consiglio di amministrazione del Verdi, che deve approvare la “rinuncia” all’edificio, e la Soprintendenza alle Belle Arti: sulla vecchia autostazione per corriere, infatti, esiste un vincolo culturale. Vincolo di cui il sindaco si preparerebbe appunto a chiedere la cancellazione. Operazione possibile ma non rapidissima, come dimostra il caso dell’ex Teatro filodrammatico, che impiegò ben 15 anni prima di riuscire a svincolarsi dalla tutela della Soprintendenza. La speranza della giunta, ovviamente, è che per la Tripcovich - prima Stazione centrale di autocorriere d’Italia a opera dell’ingegner Giuseppe Baldi assieme a Nordio -, servano tempi meno biblici. Se le cose dovesse poi complicarsi, ipotizza Camber - che all’epoca in cui il sindaco Riccardo Illy per primo propose di donare la sala alla Fondazione, si oppose - si potrebbe sempre perseguire la strada della vendita. «A comprarla potrebbe essere per esempio il Conservatorio Tartini - afferma il consigliere azzurro -, utilizzando magari i fondi del ministero per usarla come sala da concerti. In ogni caso una soluzione alternativa andrà trovata: la destinazione teatrale di quella sala non sta più in piedi. Ci sono già quattro stabili in città, serve ancora un altro teatro? Ci sarà poi il pubblico che farà staccare un numero considerevole e sufficiente di biglietti? Piuttosto che farla morire su stessa, diamo più decoro alla città». Della “rivoluzione” per la Tripcovich, Dipiazza aveva già parlato in pubblico qualche settimana fa. In quell’occasione tuttavia aveva detto: «Il teatro non è mio, lascerò decidere la cittadinanza». Resta da capire ora se darà la parola alla città o tenterà di forzare le cose, a patto che Cda della Fondazione e Soprintendenza diano il placet».

Benedetta Moro

 

 

Riqualificazione energetica, Quarnero al top - Interventi su 141 edifici nella regione con il sostegno di fondi Ue. Investiti oltre 12 milioni
FIUME - Il boom delle facciate. È stata definita in questo modo la corsa all'efficientamento energetico che negli ultimi due anni ha riguardato Fiume e la regione del Quarnero e Gorski kotar. Gli interventi di riqualificazione energetica, che hanno il sostegno dell'Ue, sono stati compiuti in 141 edifici, di cui 91 a Fiume.

Per i lavori di ristrutturazione delle facciate, che hanno permesso di ridurre il consumo di energia migliorando condizioni abitative e benessere termico, sono stati spesi 91,3 milioni di kune (12,3 milioni di euro). Il Fondo croato per l'efficienza energetica ha assicurato ecobonus per un valore di 36,5 milioni di kune (4,9 milioni di euro), coprendo oltre un terzo delle spese sostenute dagli inquilini. Fiume (con i suoi 130mila abitanti) e la regione sono al primo posto nella graduatoria nazionale relativa ai lavori di coibentazione, per i quali nel biennio 2015-2016 è stato manifestato un forte interesse. Ad esempio a Zagabria (che conta 790 mila abitanti) la riqualificazione ha riguardato 35 immobili, mentre in tutta la regione zagabrese la ristrutturazione delle facciate è stata compiuta in 55 edifici. A Spalato l'efficientamento energetico ha riguardato 45 edifici (in tutta la contea 64 immobili), mentre a Osijek è stato ritoccato un solo involucro edilizio. Oltre a questi lavori di miglioria nei condomini, sono stati rimessi a nuovo centinaia di tetti. A stimolare gli inquilini a richiedere mutui per questi interventi sono stati non solo le garanzie di risparmio energetico, che in alcuni casi ha superato il 50%, ma anche la concessioni di prestiti a condizioni assolutamente agevolate. Al bando per l’efficientamento energetico in Croazia hanno aderito gli abitanti di 624 edifici di tutto il Paese, dei quali 140 dislocati nella regione di Fiume. Non solo edifici privati: proprio in questi giorni - presente anche il ministro croato dell'Edilizia, Lovro Kuscevic - si è tenuta nella scuola elementare fiumana Nikola Tesla (ex Manin) la cerimonia che ha segnato la chiusura dei lavori di rinnovamento energetico: un progetto che ha richiesto una spesa di 850mila euro. Il 30% dell'investimento è stato coperto dal Fondo europeo di sviluppo regionale, mentre il 40% è stato coperto dal Fondo croato per l'efficienza energetica.

(a.m.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 7 febbraio 2017

 

 

FERRIERA - Manutenzione conclusa -  Si riaccende l’altoforno

Siderurgica Triestina ha annunciato che ieri è stato rimesso in marcia, dopo cinque giorni di fermata, l’altoforno della Ferriera di Servola.

Durante questo intervallo l’impianto è stato sottoposto a un intervento di manutenzione straordinaria. L’altoforno era stato fermato mercoledì 1 febbraio per una manutenzione ordinaria, prevista dal programma di manutenzione periodica, che aveva riguardato il manto refrattario dei canali e i dispositivi esterni di colata. Nel corso delle operazioni di manutenzione programmata tuttavia si era palesata la necessità di un intervento di portata maggiore che evitasse ulteriori fermate nei mesi successivi. I tecnici hanno quindi consigliato un programma di ripristino consistente nella sostituzione delle carpenterie esterne dell’altoforno stesso. L'intervento è stato condotto da operatori qualificati sotto la supervisione di tecnici esperti e si è concluso sabato mattina. A seguire sono state realizzate le operazioni di preriscaldo dei canali refrattariati e il successivo riavvio delle operazioni di soffiaggio. Come previsto dalle prescrizioni AIA, venerdì 3 febbraio Acciaieria Arvedi aveva dato sintetica comunicazione della ripartenza a tutti i soggetti istituzionali. Trattasi di Regione, Comune, Arpa e AsuiTs. La riaccensione dell'altoforno infatti avrebbe potuto generare brevi emissioni dal piano di colata e dai campioni di colaggio. Questa eventualità, temporanea e comunque limitata alle prime 8/10 ore di rimessa in marcia dell'altoforno, è dovuta alla stabilizzazione delle temperature durante il processo di fusione. Tutte le attività di manutenzione e ripartenza si sono svolte sotto la direzione del personale preposto dell’area a caldo, che ha seguito costantemente le operazioni. Acciaieria Arvedi è subentrata da gennaio 2015 a Siderurgica Triestina nella gestione degli impianti produttivi. Il mese scorso l’annuncio del cavaliere: «Se non cambia l’atteggiamento politico interrompo l’acquisto di materie prime per l’area a caldo».

 

 

Beffa per i pendolari - Abbonamenti ai treni più cari da dieci anni - Algoritmo errato, pagano fino al 33% in più. Trenitalia ammette ma incolpa le Regioni: toccava a loro. In Fvg si valuta
ROMA Da 10 anni un algoritmo (errato) ha calcolato le tariffe dei treni con aumenti dal 15 al 33%. Penalizzati i pendolari che dal 2007 hanno pagato a Trenitalia gli abbonamenti sovraregionali, i percorsi che coinvolgono più territori con diversa autonomia e tariffazione. Un esempio: l’abbonamento mensile di 2.a classe per la tratta Ancona-Pescara centrale costa 145,50 euro. Ma nel calcolo dell’algoritmo giusto dovrebbe costarne 109,50. Quindi gli utenti pagano 36 euro in più. Dopo le numerose denunce delle associazioni dei pendolari, Assoutenti si è fatta promotrice di una campagna di sensibilizzazione volta a superare la «distorsione tariffaria insita nell’attuale meccanismo di calcolo tariffe». Il 2 febbraio Assoutenti ha incontrato Trenitalia che ha ammesso l’errore e condiviso recriminazioni e disagio dei pendolari proponendo un percorso per risolvere il problema abbonamenti. Per la partecipata di Fs la palla va passata alle Regioni:sono queste a formulare e applicare le tariffe. E le Regioni dovranno farsi carico della differenza tra le tariffe corrette e gli importi dei contratti di servizio pluriennali già stipulati con Trenitalia. Trenitalia «La determinazione delle tariffe nel trasporto regionale è competenza esclusiva di Regioni e Province autonome. L’algoritmo cui fanno riferimento i media è quello definito e approvato in sede di Commissione Trasporti della Conferenza delle Regioni e Province autonome nel luglio 2007» fa sapere Trenitalia, precisando che esso «riguarda il modo per calcolare il costo dei biglietti e dei circa 7mila abbonamenti per le corse su treni regionali che hanno inizio e termine in regioni diverse. Parliamo di tariffe sovraregionali». «In quell’occasione fu deciso di calcolarle sommando il costo delle tratte regionali secondo i prezzi in vigore in ciascuna regione e applicando alla somma un correttivo matematico che tenesse conto di una serie di fattori», precisa Trenitalia. Il prossimo passo. Su richiesta di Trenitalia, la Conferenza delle Regioni si riunirà entro fine mese. Assoutenti cercherà di far valere i diritti dei pendolari puntando a un ritocco (al ribasso) delle tariffe da aprile. Rischio class action. Ma la questione non finisce con la correzione dell'errore. Ci sarebbero da recuperare 10 anni di abbonamenti pagati più del dovuto dagli utenti. La class action sarebbe già pronta a partire. In Fvg. L’assessore regionale Maria Grazia Santoro fa sapere di stare valutando se la questione riguardi tratte in Fvg. Non prende posizione il Comitato pendolari Alto Friuli, in attesa di capire - dice il portavoce Andrea Palese - «gli effetti dell’algoritmo sui prezzi. Positivo che Trenitalia si sia mossa subito, anche se ci chiediamo ora se gli uffici regionali di Trenitalia e Regione hanno contezza di come vengano calcolate le tariffe. Ma ripeto, aspettiamo di capire».
Annalisa D’Aprile

 

 

Allarme cinghiali nel parco scolastico di via Commerciale - Vari esemplari visti girare nelle aree attraversate dai bambini - E nel weekend sono stati abbattuti tre “bestioni” da 50 chili
Da mesi l’istituito comprensivo di via Commerciale è in allerta. Il giardino dove sono ospitati anche i giochi per i piccoli alunni è meta gradita di un branco di cinghiali. Ma la scorsa settimana la situazione si è aggravata e sabato la Guardia forestale ha abbattuto tre esemplari di circa 50 chili intenti a passeggiare all’interno del recinto. Un esemplare è riuscito a scappare. L’istituto ospita la primaria Longo, la scuola per l’infanzia Tomizza e in un’ala anche il nido comunale Verdenido. Alcuni giorni fa la dirigente scolastica era stata costretta a prendere dei provvedimenti. «Ho avvertito immediatamente il Comune e la Forestale - precisa la dirigente Tiziana Farci - e ho fatto chiudere gli accessi al giardino e alla scuola più vicini al capolinea dell’autobus 28, dove la situazione della recinzione è più critica e la parte boschiva più fitta, per non far entrare bimbi, personale e genitori in quella fetta di giardino. Obbligandoli ad accedere solo dall’ingresso principale». «Ho avvisato i genitori - aggiunge - di non sostare in giardino quando vengono a prendere i bambini e ho invitato gli insegnanti delle elementari a non far correre i bambini liberi nel giardino tenendoli più sotto controllo». Alcuni bimbi per attraversare il parco sono stati affiancati dalla bidella. «Nel corso di una giornata - spiega la dirigente - ho dovuto interdire anche l’accesso alla palestra perché i cinghiali stazionavano proprio davanti alla sua entrata». Gli animali sono stati avvistati e fotografati dal personale dell’istituito e dai genitori degli alunni sia nelle ore mattutine che in quella pomeridiane. Ad attrarli molteplici fattori. All’interno della struttura scolastica c’è una mensa, talvolta i rifiuti organici vengono sistemati nei bidoni fuori dalla cucina. Nel giardino della scuola, pulito e ben curato, ci sono degli alberi da frutto. Alle spalle della struttura scolastica c’è una parte boschiva poco governata. In alcuni punti della recinzione che delimita il giardino i cinghiali sono risusciti a creare dei varchi d’accesso. Già a settembre la dirigenza aveva lanciato l’allarme. «All’inizio dell'anno scolastico li avevamo visti più volte mentre si facevano una scorpacciata dei frutti caduti da un meleto al centro del giardino», ammette Farci . Dopo l’allarme lanciato la scorsa settimana, il sindaco Roberto Dipiazza ha effettuato un sopralluogo e ieri mattina anche l’assessore comunale all'Educazione, Angela Brandi, e quello ai Lavori Pubblici, Elisa Lodi, sono tornate a visionare la situazione. «Da giorni monitoriamo la questione - spiega Brandi - e siamo stati informati dell’intervento della Guardia forestale di sabato». «Ho già peso accordi con i tecnici del Comune e sono già stati stanziati circa 50mila euro per gli interventi, come da prescrizione della Guardia forestale, di pulizia della parte boschiva e di sistemazione della recinzione, magari con sistemi che dissuadano gli animali», assicura Lodi. «Appena il tempo lo consentirà siamo pronti a far partire i lavori», aggiunge. Una serie di interventi che consentirebbero di garantire sicurezza ai piccoli alunni e di non dover intervenire in modo cruento sugli animali. Intanto gli uomini della Forestale continuano a monitorare l’area. «Siamo stati chiamati lo scorso venerdì, abbiamo analizzato la situazione e sabato che l’istituto era chiuso siamo intervenuti abbattendo tre capi», spiega l’ispettore Lucio Ulian, comandante della Stazione forestale di Trieste alla quale dallo scioglimento delle Province si sono aggiunti anche i guardiacaccia. «Sono azioni d’emergenza per mettere in sicurezza l’area - precisa Ulian - e siamo intervenuti in sei già da venerdì scorso per fare una ricognizione nell’area circostante. Domenica e lunedì mattina abbiamo fatto altri sopralluoghi per constatare non via siano altri cinghiali in prossimità o dentro il giardino dell’istituto e abbiamo indicato al Comune gli interventi da fare: recinzioni e alleggerimento delle parte boschiva circostante».

Laura Tonero

 

Veleni tra i Verdi dopo il placet a Zamparini

Il presidente Fiorelli bacchetta il portavoce regionale Claut: "La Federazione ha criticato il progetto"

Legambiente all'attacco sul progetto di Grado - Tonzar: "Paradossale e incredibile la difesa del cemento"

"Una ricomparsa sulla scena, quella dei Verdi - afferma Legambiente - scomposta e degna di miglior causa"

 

Pago, la pianta-killer cancella i pascoli «Zagabria ci aiuti»
PAGO Allarme a Pago per l’ormai incontrollata la diffusione di una pianta che i locali allevatori di ovini e gli apicoltori considerano una iattura. Si tratta del ginepro licio o fenicio, chiamato anche cedro liscio (Juniperus phoenicea): apparso una trentina d'anni fa, da allora ha occupato vaste aree dell'isola croata. La specie è molto invasiva e la sua presenza impedisce alle altre piante di prosperare: in primo luogo alla salvia, all'elicriso italico e anche all'erba. Il risultato è che sono scomparsi centinaia di ettari di pascolo, e finora a nulla sono valsi i tentativi di distruggere o limitare la crescita del ginepro licio. C’è chi ha tentato di eliminarlo bruciando decine di ettari, altri hanno messo in azione le ruspe, qualcuno ha anche fatto ricorso a un potente erbicida, ma senza risultati. Si tema ora che la pianta possa infliggere un colpo perfino fatale all’attività - antichissima sull’isola - dell’allevamento di ovini, stimati in circa 35mila esemplari. Il problema è presente in primo luogo nella località di Colane (Kolan), dove numerose famiglie - per un totale di ottomila ovini - si occupano di pastorizia. «Sono ben conscio della situazione, che perdura ormai da anni - ha dichiarato il sindaco di Pago, Zeljko Marzi„ - e da parte nostra stiamo facendo quello che possiamo destinando mezzi finanziari agli allevatori danneggiati. La maggior parte dei pascoli presenti sull'isola è di proprietà statale: Zagabria dunque dovrebbe impegnarsi di più per la risoluzione del problema. Purtroppo - aggiunge il sindaco - in alcuni terreni le ruspe non possono agire, e non solo a causa dell'area impervia: ci sono anche siti archeologici, che non possono naturalmente essere toccati o devastati e diversi di essi sono ricoperti da questo ginepro. Occorre un'azione comune, efficace e soprattutto tempestiva». Ma non tutti la pensano così: gli esperti del Demanio forestale croato ritengono all’opposto un bene la presenza del ginepro perché sta portando al rimboschimento di un'isola avara di vegetazione da apparire. Fino a qualche anno fa gli allevatori di Pago portavano le loro greggi sul vicino isolotto di Maun, che è disabitato. Non lo fanno più in quanto metà dell’isoletta risulta ricoperta dal ginepro: da qualche tempo Maun non può più essere percorsa a piedi dall’una all’altra parte dell'isola, tanto è fitto il ginepraio. Anche Franjo Zubovi„, presidente dell'associazione che raggruppa gli allevatori di Kolan, punta il dito accusatore verso lo Stato: «Il problema non può essere risolto a livello locale per mancanza di mezzi. Forse potrebbero esserci d'aiuto i macchinari dell'esercito, pagati dalle casse statali».

Andrea Marsanich

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 6 febbraio 2017

 

 

SIOT - Il terminal petrolifero di Trieste verso il mezzo secolo di attività

Nell’aprile 1967 attraccò alla Siot la prima nave, “Daphnella”. Iniziative per celebrare la ricorrenza. Oggi lo scalo è il primo del mediterraneo per il greggio sbarcato con oltre 40 milioni di tonnellate. La costruzione dell’oleodotto Tal cominciò nel dicembre 1964 per concludersi nell’ottobre 1967. Il costo totale fu di 192 milioni di dollari
Il 13 aprile 1967 la prima petroliera attraccava al terminal Siot del porto di Trieste, inagurandone una importante biografia logistica. Perché all’esatta distanza di mezzo secolo Siot si classifica primo scalo mediterraneo per il trasporto di greggio, mentre dalle acque della baia di Muggia parte la principale pipeline dell’Unione europea, un’infrastruttura che alimenta le grandi raffinerie della Germania meridionale, dell’Austria, della Cechia. La nave inaugurale si chiamava “Daphnella” e, per ricordarne l’arrivo, il gruppo Tal (Transalpine ölleitung), che gestisce l’oleodotto, organizzerà nella prossima primavera una serie di iniziative. In cartellone un evento al Ridotto del Verdi con la partecipazione di personalità del mondo istituzionale ed economico austro-tedesco, incontri nelle scuole triestine dedicati ai temi dell’energia e della sicurezza. Dal gennaio 2016 è Alessio Lilli alla guida operativa di Tal e il manager è convinto dell’importanza di rafforzare i legami con l’Oltralpe germanica: «Trieste ospita due grandi opportunità di lavoro e di collaborazione con il mondo germanico, una si chiama Allianz, l’altra siamo noi». L’inaugurazione del terminal Siot e della pipeline diretta in Europa centrale, di cui si celebrerà il 50° genetliaco, venne preparata da un intenso lavoro di diplomazia economica, che si avviò già negli anni Cinquanta. Un protagonista della vita pubblica nazionale e internazionale di quel periodo intuì l’importanza di intensificare i rapporti con la Germania, in particolare con la Baviera desiderosa di approvvigionamento energetico: si trattava di Enrico Mattei, fondatore dell’Eni. In tale contesto venne prima realizzato l’oleodotto Cel da Genova a Ingolstadt, che iniziò a funzionare nel 1961. Nel 1962 venne “affiancato” dalla pipeline Sepl tra Marsiglia e Karlsruhe. Ma questi approdi si rivelarono ben presto insufficienti e lo sguardo delle grandi compagnie (Eni, Bp, Esso, Shell) si volse a Est, verso l’alternativa rappresentata dall’Adriatico. Si cominciò con l’affidare alla Bechtel la verifica di un progetto presentato dal finanziere veneto Marco Barnabò, creatore della Sava. Poi nel novembre 1963 si tenne la prima riunione del consorzio Tal. Incrementare i flussi petroliferi nel cuore produttivo dell’Europa e abbreviare i viaggi delle cisterne: risultato finale fu la scelta di Trieste, favorita dai fondali profondi. Il governo italiano promosse l’opzione Trieste per lenire le difficoltà dell’economia giuliana, schiacciata sul confine disegnato dalla Guerra fredda. I lavori per la realizzazione dell’oleodotto Tal ebbero inizio nel dicembre 1964 e vennero completati nel giugno 1967: il 13 aprile giunse “Daphnella”, il 3 ottobre il primo assaggio di greggio “adriatico” bagnò gli impianti di Ingolstadt. Un consorzio formato da 83 banche finanziò la costruzione dell’infrastruttura energetica lunga 753 chilometri, che costò complessivamente 192 milioni di dollari. Allora furono tre le Nazioni europee attraversate dalla pipeline: Italia, Austria, Germania. Sull’asse portante Trieste-Ingolstadt si sviluppò, nel quarto di secolo tra gli anni ’70 e ’90, un’ampia rete di collegamenti, per cui il petrolio, sbarcato nel porto alto-adriatico, raggiunse Vienna, Karlsruhe, Neustadt, fino ai terminali della Cechia (Krapuly e Litvinov). Nel 1997 Trieste assorbì i rifornimenti del Cel Genova-Ingolstadt, che fu poi riconvertito al trasporto del gas. Oggi porto e depositi della Siot servono otto raffinerie nell’Europa centro-orientale. Dei 41,3 milioni di tonnellate sbarcate a Trieste i tre quarti hanno alimentato gli impianti tedeschi, il restante è stato intercettato soprattutto dall’Austria (7 milioni) e in misura minore dalla Cechia (1 milione). A Tal piace sottolineare, accanto agli aspetti di carattere economico, anche quelli di ordine ambientale: «L’oleodotto - spiega Lilli - evita che 3 milioni di cisterne (1,5 all’andata e 1,5 al ritorno) corrano sulle autostrade europee, con grave pregiudizio per la sicurezza generale».

Massimo Greco

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA,5 febbraio 2017

 

 

Alta velocità - «Da Trieste a Mestre in 70 minuti si andrà a 200 chilometri orari» - la ferrovia superveloce

L’ad del Gruppo Fs Mazzoncini annuncia l’avvio del cantiere sulla linea: lavori finiti entro 7 anni Ma avverte: «Stop alle nuove stazioni, solo il transito nelle città rende sostenibili le Frecce»

«Il conto alla rovescia è partito. Quest'anno avvieremo i primi cantieri fra Brescia e Vicenza, entro 7 anni il sistema Alta velocità sarà completato fino a Venezia e la linea ammodernata fino a Trieste». Parola di Renato Mazzoncini, amministratore delegato del Gruppo Fs Italiane. Che aggiunge: «Così in circa due ore il treno andrà da Milano a Venezia, e poi da Mestre a Trieste in circa 70 minuti. Cambia la vita per Veneto e Friuli Venezia Giulia». Mazzoncini parla in questa intervista anche degli investimenti per collegare ai binari gli aeroporti di Venezia e di Trieste, e di sviluppare il traffico merci con i relativi porti, e di una stazione a ponte per connettere Mestre e Marghera, e di una vera “cura del ferro” anche per il servizio locale. Una prima consistente quota dei denari necessari è già stanziata. «Rimane in particolare interamente da finanziare la tratta Vicenza-Padova per 1,3 miliardi. Ma confidiamo di recuperare fondi e progetti nell’arco dei sette anni». Prima delle infrastrutture nuove, parliamo dei treni di oggi e di quelli per i pendolari? «Andremo al rinnovamento della intera flotta in Veneto e Friuli Venezia Giulia, per fornire davvero un servizio metropolitano. Con la Regione Veneto riguardo al finanziamento di nuovi treni, abbiamo sottoscritto un accordo ponte di 9 anni e negoziato un investimento di 500 milioni. Dal 2019 inizieranno a arrivare 44 nuovi convogli denominati Rock. È la prova che non pensiamo solo alle Frecce». A proposito di Frecce e di Tav, dopo un quarto di secolo di indecisioni siamo davvero alla boa? «La Trasversale padana è destinata a divenire una realtà fondamentale su scala europea, poiché stiamo risolvendo uno a uno i nodi sui territori. Per esempio, riguardo a una delle tratte più complicate, ossia la Torino-Lyon, con l'ultimo accordo tra Italia e Francia direi che resistenze non ce ne sono più: ne avremo la conclusione al 2030. Non stiamo più discutendo sulla utilità dell'opera ma su come realizzarla. E in area padana siamo arrivati a Brescia». Ma controversie su aspetti attinenti all'impatto ambientale ce ne sono ancora. «Vero, stiamo puntando a minimizzare il consumo di suolo e i costi sociali e ambientali dell'opera. Di sicuro. Prendiamo il tema di Brescia e dell'attraversamento del basso Garda: complessivamente l'occupazione dei pregiati terreni destinati alla coltivazione della Lugana, da parte della nuova infrastruttura ferroviaria, sarà ridotta al 3% del totale. E così, confermando la centralità della storica stazione di Brescia e non andando in variante, riduciamo l'uso di suolo e serviamo meglio il territorio. Quanto all'aeroporto di Montichiari, stiamo valutando di servirlo con una bretella». Le stazioni storiche da Milano a Trieste sono tornate tutte fondamentali: qui ci sta un cambio radicale nel progetto. «Vero. Quando la Tav fu concepita nel '91 era pensata con stazioni nuove indipendenti come Roma Tiburtina, Napoli Afragola o il polo disegnato per Firenze da Norman Foster. Ma le Frecce stanno in piedi solo con un coefficiente di riempimento dei posti del 70%, obiettivo irrealizzabile se non passi in centri storici. Saranno poi le imprese di trasporto a stabilire quante fermate fare a Verona, Vicenza, Padova, Mestre, Venezia e via dicendo. Ma stop ai bypass che accorciavano la linea ma saltavano le città». Quali effetti produce questa scelta su un territorio fortemente antropizzato e densamente costruito? «Sceglieremo soluzioni di minimo impatto. Per esempio non ho dubbi che da Brescia l'uscita sarà in quadruplicamento, dove la zona sud presenta ampie zone libere. Cercheremo ovunque i corridoi e i varchi più appropriati». Un altro aspetto chiave attiene ai finanziamenti. «Il costo della tratta Brescia-Verona è pari a 3,8 miliardi, di cui 2,2 già finanziati. Il lotto da Verona al bivio di Vicenza costa 2,8 miliardi, di cui 1,3 miliardi già finanziati. Per questo posso dire serenamente che entro il 2017 partiranno i cantieri e che, man mano che procederanno, arriveranno i finanziamenti che mancano». Un punto di svolta è la soluzione del nodo di Vicenza. «Significa che la nuova linea nell'abitato di Vicenza andrà in affiancamento alla storica. Tutto si semplifica, funziona meglio per l'utente e costa meno. Il Consiglio comunale di Vicenza ha scelto nella seduta del 30 giugno 2016 di mantenere la stazione in via Roma, sede storica. Ed è coerente con la nostra tesi riguardante anche Padova o Mestre. Le stazioni tornano assolutamente centrali. Il caso tipo per noi è Verona, che è stata riqualificata e sta performando molto bene: funziona come hub per una modalità integrata del treno con bus e pullman, shuttle per aeroporto, bike e car sharing, auto a noleggio». Tutto da ripensare il nodo di Venezia e Mestre, anche per la relazione con l'aeroporto. «Venezia Santa Lucia ha un enorme valore perché consente di essere già nel centro urbano più prezioso del mondo. Ma non potrà mai avere grandi flussi. Mestre svolge un ruolo fondamentale, non solo per le funzioni passanti e avrà un formidabile incremento quando ammoderneremo i collegamenti verso Udine e Trieste, insomma verso l'Austria e l'Est Europa. Infatti con il sindaco Luigi Brugnaro stiamo discutendo a Mestre di una stazione a ponte per unire le due parti della città separate dalla ferrovia. Siamo molto interessati a questo intervento, dentro a un contesto urbano in fase di rivitalizzazione». Una stazione strutturata a ponte è stata immaginata anche per Padova. «Ci è stata richiesta dall'allora sindaco Massimo Bitonci e ne capisco le ragioni. Ma qui non abbiamo esigenza di ulteriori spazi. Su Padova stiamo invece investendo per potenziare l'Interporto, con nuovi binari dove allestire treni di 750 metri di lunghezza. E stiamo iniziando a progettare la bretella con la stazione centrale, se possibile con sottopasso della viabilità urbana». Torniamo a Venezia e al collegamento con l'aeroporto. «Con il presidente di Save, Enrico Marchi, stiamo immaginando una sorta di bretella a forma di asola, che scendendo dalla linea storica vada in aeroporto. A Venezia sarebbero garantite alcune Frecce e soprattutto il servizio di treni navetta, secondo lo stesso schema di Fiumicino. Osservo anche che, con i lavori in corso per la fermata ferroviaria a margine dell'aeroporto di Ronchi dei Legionari, i due aeroporti di Veneto e Friuli Venezia Giulia saranno interconnessi». Quando avverrà tutto questo? La linea Mestre-Trieste è tra le più lente del Nord Italia. «Con la presidente Debora Serracchiani abbiamo condiviso che il progetto di una linea dedicata a treni da 300 km orari implica complicazioni enormi per tempi e costi. Più semplice e meno oneroso ottenere uno standard di 200 km orari guadagnando 25-30 minuti tra Trieste e Mestre, collegabili dunque in poco più di un'ora. Abbiamo sottoscritto un programma da 1,8 miliardi, di cui 200 milioni già finanziati e destinati alla progettazione e alle prime opere. Finiremo i lavori nel 2024». Il 2024 pare una data magica. «Procederemo in parallelo ai lavori sull'intero asse da Verona a Padova e poi da Mestre a Trieste. In questa seconda tratta le opere sono molto più semplici, si tratta di introdurre nuove tecnologie, di aggiustare il tracciato con una serie di rettificazioni di curve, di eliminare i passaggi a livello. Allo stesso modo, sono relativamente semplici gli interventi per la velocizzazione della Padova-Bologna: investiremo in tecnologie per 160 milioni e al 2019 garantiremo un recupero di 10-15 minuti sull'orario di percorrenza». Resta ancora un grande cantiere, ossia la linea del Brennero. «Al 2026 avremo concluso la galleria più lunga del mondo. Parliamo di una infrastruttura molto complessa: se il tunnel richiede 8 miliardi, di cui la metà già finanziati, la nuova asta della galleria a Verona ne chiede 6. E su questo siamo più indietro, in alcuni lotti ai progetti preliminari».

PAOLO POSSAMAI

 

I precedenti - Il primo progetto 25 anni fa: dalla Tav all’adeguamento
PADOVA - Alla fine il governo ha sciolto il grande nodo di Vicenza che per anni ha appeso a un filo il proseguimento dell’alta velocità a Est d’Italia. Il primo febbraio il ministro Graziano Delrio ha firmato il protocollo d’intesa per l’attraversamento del capoluogo berico. Ora Rfi e Italferr procederanno alla progettazione preliminare che dovrà concludersi ad agosto. Il progetto da 805 milioni prevede il mantenimento della stazione storica di via Roma, una nuova fermata in Fiera e una serie di opere complementari per 250 milioni tra cui un filobus sull’asse Est-Ovest. «La Tav a Vicenza si farà alle nostre condizioni» ha festeggiato il sindaco Achille Variati. Sono lontani i tempi, era il 2008, in cui l’allora presidente degli industriali di Vicenza, Roberto Zuccato, stimolava la città a una soluzione per l’alta velocità anche senza la fermata nel capoluogo berico. E il sindaco Variati, allora, gli aveva dato quasi ragione sperando nell’efficienza di una metropolitana di superficie moderna e veloce che non è mai arrivata. Di Tav a Nordest si discuteva già da oltre 15 anni. Ma, alla prova dei fatti, di reali c’erano solo i 25 chilometri tra Padova e Mestre. «Ultima fermata a Treviglio» titolava il libro di Paolo Possamai edito nel 2012 con il resoconto puntuale di come il famoso, o famigerato, Corridoio V europeo rischiasse di rivelarsi una sorta di vicolo cieco, non senza effetti per la competitività del Nordest e dell’Italia intera. Solo quattro anni fa, i cantieri per la ferrovia veloce erano finanziati, infatti, solo fino a Treviglio e il Nordest ne era totalmente tagliato fuori. Con troppe incognite, oltre Vicenza, come il nodo aeroporto di Venezia e poi l’approdo a Trieste. La politica locale non ha aiutato, basti pensare al bizzarro progetto partorito nel 2006 della Tav litorale nel Veneto orientale voluto dall’assessore alle infrastrutture dell’epoca di Galan, Renato Chisso. Archiviato tra le polemiche tre anni fa, ha lasciato un buco di denari su cui il Pd ha chiesto la verifica della Corte dei Conti. Quel progetto costò ben 14 milioni. L’orizzonte si è aperto nel 2014 con lo Sblocca Italia e lo stanziamento di 3 miliardi: 1,5 per la Brescia-Verona e altrettanti sulla Verona-Padova che, sommati ai finanziamenti esistenti, potevano dare il «la» ai cantieri. Ma lo scandalo “Grandi opere” che coinvolse l’allora ministro Lupi bloccò tutto e solo con l’arrivo di Delrio si è riaperto il fronte alta velocità a Nordest. Stando ai dati Rfi, l’iter autorizzativo Brescia-Verona è in fase di conclusione e i lavori partiranno proprio quest’anno. È in fase avanzata anche l’iter autorizzativo per raggiungere da Verona il bivio Vicenza. La Tav proseguirà quindi in città con l’attraversamento leggero della stazione storica, in superficie, votato dall’82% dei vicentini chiamati a una consultazione popolare. Poi, fino a Mestre, dovrebbe essere “una sorta di passeggiata”, avendo già costruito parte del tratto: la Padova-Mestre è stata aperta nel 2006. Da Venezia-Mestre a Trieste, alla fine, si è optato per un progetto di velocizzazione del tracciato esistente per far viaggiare i treni a una velocità massima di 200 km orari e ridurre i tempi di viaggio a poco più di un’ora, circa 25 minuti in meno rispetto l’attuale percorrenza. Si pensi che il primo progetto di Tav del 1992 (il piano generale data 1986) era per una velocità a 300 chilometri orari. Ma quel progetto fu bloccato proprio da Vicenza perché fermare lì avrebbe rallentato l’alta velocità. Da qui l’idea di scendere a 200 e di puntare sull’alta capacità. Per Trieste ora sono in corso le attività progettuali ma è stato già completato lo studio di fattibilità. Resta poi, al momento, solo un disegno la bretella verso l’aeroporto di Venezia. Ma che, con i lavori in corso per la fermata a margine dello scalo di Ronchi dei Legionari, potrebbe essere interconnesso al Fvg. E così, la rotaia potrebbe unire ciò che oggi non è ancora andato a sistema.

Eleonora Vallin
 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 4 febbraio 2017

 

 

Ferriera - Debutta il tavolo di confronto sull’inquinamento a Servola
«Nel corso del 2016 sono state rimosse o smaltite 10.200 tonnellate di rifiuti speciali presenti da decenni ed è stata messa in sicurezza la falda con la riattivazione e il miglioramento dei piezometri e dei sistemi di pompaggio, mentre i suoli sono stati resi ambientalmente sicuri con la pavimentazione di ulteriori 21mila metri quadrati di superficie e la realizzazione di reti di raccolta delle acque meteoriche». Sono alcuni dei dati resi noti ieri da Arpa nell’incontro sulla Ferriera convocato nel Palazzo del governo dal prefetto Anna Paola Porzio su richiesta dei sindacati confederali, presenti ieri con i segretari provinciali: Michele Piga (Cgil), Umberto Brusciano (Cisl) e Claudio Cinti (Uil). Incontro a cui il sindaco ha chiesto di far partecipare in futuro anche i rappresentanti dei cittadini. Come detto l’Arpa ha illustrato ai presenti un report completo sullo “stato di salute” della zona dello stabilimento . Per quanto riguarda il benzopirene, rilevato dalla centralina di via San Lorenzo in Selva, nonostante un picco registrato ad agosto, nel 2016 i valori si sono mantenuti al sotto del valore limite della media annuale. Anche per le polveri sottili la media annuale è stata al di sotto del limite di legge, passando dai 44 ai 30 microgrammi per metro cubo. Gli sforamenti giornalieri sono stati meno di un terzo di quelli del 2015, ben al di sotto dei limiti indicati dall'Aia. È stato rilevato che in generale, la qualità dell'aria del quartiere di Servola, misurata nelle stazioni di via Svevo, Pitacco e Carpineto, è risultata conforme alla legge, sia per le concentrazioni medie annue di pm 10 sia nel calcolo dei superamenti giornalieri del limite di 50 microgrammi per metro cubo d'aria. Circa le deposizioni di polveri, che determinano l'imbrattamento, si è registrato da agosto un progressivo calo in tutte le stazioni, compresa la più critica in via del Ponticello. Il direttore generale di Arpa, Luca Marchesi ha commentato che «emerge una situazione che progressivamente sta migliorando, soprattutto dal punto di vista delle emissioni industriali e della qualità dell'aria. Questo vale per gli impatti diretti dell'impianto e vale anche per qualità dell'aria nel quartiere. Per quanto riguarda invece gli impatti legati al rumore e alle molestie olfattive - ha aggiunto - c'è ancora molto da fare, ma confido che con la stessa modalità di approccio potremo produrre dei risultati». Nel sottolineare gli obiettivi miglioramenti, riguardo alla salute dei cittadini l’assessore regionale Sara Vito ha ricordato che «la presidente Serracchiani ha già coinvolto l'Istituto superiore di Sanità, perché anche su un punto così sensibile si possa ragionare su evidenze scientifiche a cura del più prestigioso organismo nazionale in materia». Per il sindaco Roberto Dipiazza, però, c’è ancora molto da fare. Il primo cittadino - che in serata, come ormai d’abitudine ha pubblicato un video online -, ha ricordato anche «gli allarmanti esiti delle analisi sulle urine dei cittadini, anche se non rappresentano un campione rappresentativo. Se lo rappresentassero - ha concluso - avrei già provveduto a firmare un’ordinanza di chiusura della Ferriera. Di chiuso comunque, in questi giorni, c’è l’altoforno, interessato da fermo tecnico. Almeno una buona notizia».

Silvio Maranzana

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 3 febbraio 2017

 

 

Si allontana lo spettro del rigassificatore - Serracchiani annuncia il no nella prossima Conferenza dei servizi: «Così si chiude ogni ipotesi su un’opera che nessuno vuole»
TRIESTE - Nessuno vuole quel rigassificatore. Perché di quel rigassificatore nessuno ha bisogno. Debora Serracchiani usa parole nette, una volta ancora, sul progetto ipotizzato a Zaule. Lo fa, la presidente della Regione, commentando una lettera ricevuta dal ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda. Si tratta della risposta alla richiesta della Regione di precisare la posizione del governo in merito all’infrastruttura. Ed è una risposta che rafforza il convinto altolà di Serracchiani: alla prossima Conferenza dei servizi, assicura la presidente, il Fvg esprimerà «un’Intesa negativa». Nel testo il ministro precisa innanzitutto di essere a conoscenza della volontà della Regione Fvg, già formalizzata nel Piano energetico regionale approvato nel 2015 dalla giunta, di non autorizzare sul proprio territorio il terminale di Gnl di Gas Natural, «ritenendo tale progetto sovradimensionato, oltreché in contrasto con il modello di sviluppo del Porto di Trieste». Con questa chiara premessa, la sintesi di una serie di ripetute posizioni negative locali, della Regione, del Comune, dell’Autorità portuale, ancora Calenda conferma la prossima riunione della Conferenza dei servizi. La data non è fissata, ma il ministro fa sapere che la convocazione avverrà con un termine «che consenta alla Regione Fvg di esprimersi in merito all’Intesa, necessaria in base alle norme vigenti per il rilascio dell’autorizzazione». Quell’Intesa, nessuna sorpresa, non arriverà. «La Regione - sono le chiare parole della presidente - formalizzerà la propria contrarietà al progetto tramite l’espressione di un’Intesa negativa nella Conferenza dei servizi al ministero dello Sviluppo economico». In presenza di un’Intesa negativa da parte della Regione, il ministro ha già indicato, nella stessa lettera, che «verranno effettuate le conseguenti valutazioni di interesse complessivo così come previsto dalla normativa, ai fini della conclusione del procedimento», e ha chiuso precisando che sarà tenuto conto anche «della presenza in Italia già di altri progetti di impianti di rigassificazione autorizzati, di cui non è stata ancora avviata la costruzione, e degli ulteriori progetti similari in corso di esame al ministero». Un’interlocuzione che fa dire infine a Serracchiani che è stato tracciato «un percorso preciso che, in virtù della chiarissima posizione della Regione e dello scenario nazionale che ci era già stato verbalmente disegnato dal ministro, porterà alla chiusura di ogni ipotesi in merito a un rigassificatore che nessuno vuole e di cui nessuno ha veramente bisogno». La novità emerge poco più di un mese dopo l’inatteso ritorno dello spettro rigassificatore sulla città. Sempre di lettera si trattò, ma in quell’occasione del ministero dell’Ambiente. Vi si leggeva la posizione della direzione generale romana che, su richiesta della giunta comunale triestina di Roberto Dipiazza, sosteneva «non sussistere i presupposti di natura tecnica, giuridica e amministrativa per poter ipotizzare la riapertura del procedimento di Via per il terminale di rigassificazione». Vale a dire che si escludeva qualsiasi dietrofront rispetto al giudizio favorevole di compatibilità ambientale del 2009. Tutto questo a fronte di ribaditi «no» delle istituzioni Fvg. La reazione della Regione, poco prima di Natale, non fu in realtà allarmata. «Il ministero dell’Ambiente aveva già ultimato il suo ruolo e la palla del rigassificatore è passata al ministero per lo Sviluppo economico», il chiarimento di Gianni Torrenti. Dall’assessore regionale un’ulteriore precisazione: «Roma deve da tempo convocare la Conferenza dei servizi. Se non l’ha mai fatto è proprio per i “no” molto pesanti piovuti da Regione, Comune e Porto. Per cui è al Mise che bisognerebbe rivolgersi, perché è lì che la cosa è impantanata». Ed è dal Mise che è arrivata non a caso la lettera di aggiornamento. E la conseguente nota di Serracchiani. In serata, sulla vicenda, interviene però anche Forza Italia. «Abbiamo più volte ribadito che la Regione non aveva fatto nulla di ufficiale, e ci hanno pure accusato di fare demagogia. Ora la conferma arriva nero su bianco», dichiara Sandra Savino. «Il ministro Calenda - ricostruisce la coordinatrice azzurra - ha annunciato che a breve verrà convocata la Conferenza dei servizi. Non ho dubbi che Serracchiani confermerà il no, auspico però che la prossima volta ci sia una maggiore prudenza in certi annunci. Ricordo inoltre che se oggi sarà possibile bloccare l’impianto di Zaule sarà grazie a chi per primo ha sollevato dei dubbi come la giunta Tondo, dopo che Riccardo Illy aveva avviato l'iter, e la ex presidente dell’Autorità portuale Marina Monassi».

Marco Ballico

 

 

«Ferriera, un tavolo sul tema lavoro» - Il sindaco Dipiazza invita la Regione a discutere della questione occupazionale
«Premettendo che non ci sono lavoratori di serie A e serie B e che già il territorio, sotto il silenzio generale, ha purtroppo perso molti posti di lavoro in comparti non meno importanti, ma sicuramente meno interessanti mediaticamente, è mia intenzione chiedere alla Regione, competente sul tema del lavoro, di aprire un tavolo di confronto (sulla questione occupazionale, ndr) per quanto riguarda la questione Ferriera» L’invito al confronto arriva dal sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, che ha così anticipato le intenzioni dell’amministrazione comunale per quanto riguarda l’incontro che si terrà quest’oggi, su invito della Prefettura, con la Regione, l’Arpa e i sindacati sulla Ferriera di Servola. «Considerando che la vocazione e la crescita di Trieste non sono rintracciabili nell’industria pesante - ha continuato il primo cittadino -, ma nel turismo, nel terzo settore e in particolar modo nella portualità, è inoltre opportuno confrontarsi con l’Autorità portuale per iniziare a ragionare su come potrà essere bonificata, riqualificata e riconvertita a fini portuali la superficie dove ora insiste l’area a caldo. La proprietà dello stabilimento siderurgico troverà sempre in questa amministrazione un interlocutore serio e propositivo per lo sviluppo del laminatoio, della logistica e di quant’altro venga proposto avendo ben presente che prima di tutto c’è sempre l’interesse alla tutela della salute e dell’ambiente». La dichiarazione del sindaco partiva dalla premessa che l’amministrazione comunale, relativamente alla questione Ferriera di Trieste, «è particolarmente attenta alla tutela della salute dei cittadini, dei lavoratori e dell’ambiente e a garanzia di ciò sta portando avanti un'operazione di massima attenzione, trasparenza e controllo sul rispetto degli accordi che stanno permettendo allo stabilimento di produrre. È anche impegnata sia a confrontarsi sulle soluzioni migliori da mettere in campo per garantire i livelli occupazionali nella situazione in cui l’aria caldo dello stabilimento venisse chiusa perché incompatibile con la salute pubblica, sia ad avviare un percorso strategico di sviluppo della portualità».

 

 

All’Isola della Cona una domenica speciale tra gli uccelli acquatici - L’ornitologo accompagnerà i visitatori alla scoperta delle zone umide, spiegandone l’importanza per il pianeta
Il 2 febbraio si è celebrata la “Giornata mondiale delle zone umide”, per ricordarci quanto sia preziosa la tutela di questi ecosistemi fondamentali sia per la biodiversità, sia per l'importanza storico-archeologica di alcuni siti. In occasione della ricorrenza, anche nella nostra regione sono stati organizzati alcuni eventi aperti a tutti e concentrati soprattutto nel fine settimana. Fra questi, domenica, all'Isola della Cona, nel Comune di Staranzano, è in programma una visita guidata gratuita con Paul Tout (si pagherà soltanto l'ingresso alla Riserva Naturale “Foce dell’Isonzo”: 5€, ridotto 3,50€). L'appuntamento è alle 11, al Centro visite. L'esperto ornitologo e grande conoscitore dell'area accompagnerà i visitatori alla scoperta dell’importanza delle zone umide e degli uccelli acquatici che le popolano. Le nostre paludi costiere – frequentate, fra gli altri, da anatre, oche, aironi, cormorani e limicoli – sono un vero e proprio paradiso dei birdwatcher. Per gli amanti della natura e degli animali queste sono settimane ideali per osservare in particolare gli uccelli migratori: tra dicembre e inizio febbraio, infatti, dalla Russia e dal Nord Europa, ne arrivano stormi e stormi per svernare. Chi desidera cimentarsi per la prima volta con questa esperienza, anche per conto proprio, può approfittare di questo periodo dell'anno per puntare dunque sui grandi numeri e avere più probabilità di avvistare alcuni volatili. Le oche selvatiche, ad esempio, simbolo della Riserva Naturale Valle Cavanata, arrivano a migliaia nell'area presso Fossalon di Grado. Non sono da meno oasi naturali come appunto l'Isola della Cona, sulle foci dell'Isonzo, o la Riserva di Canal Novo, alle foci dello Stella, dove stazionano miriadi di volatili da qui ai primi mesi di primavera. Oltre alle schermature naturali, le aree protette sono spesso dotate di pannelli informativi e di osservatori coperti, creati ad hoc, che sono ottimi punti di osservazione per ammirare l’avifauna senza disturbare gli animali. Non solo in queste settimane ma durante vari periodi dell'anno, visite guidate a tema vengono organizzate dal personale dei parchi o in collaborazione con le guide naturalistiche della regione (a volte occorre richiederle su prenotazione). Questa domenica, una visita dedicata alla laguna e alle valli da pesca, con un approfondimento sulla delicata interazione tra uomo e natura, è prevista anche nella Riserva Valle Cavanata, che si trova lungo la strada che da Grado porta a Fossalon. La biologa ambientale Antonella Stravisi approfondirà insieme ai presenti la delicata interazione tra uomo e natura. Il ritrovo è alle 11 al Centro visite e la partecipazione all’evento è gratuita.

Cristina Favento

 

LA RICORRENZA - Il 2 febbraio è la Giornata di sensibilizzazione
La “Giornata mondiale delle zone umide” si celebra il 2 febbraio, in ricordo della sottoscrizione della Convenzione internazionale di Ramsar firmata in Iran nel 1971. Istituita nel 1997 per aumentare la consapevolezza sull'importanza di queste aree per l'umanità e il pianeta, ogni anno offre l'occasione a gruppi di cittadini e organizzazioni - governative e non – di proporre attività gratuite per sensibilizzare l'opinione pubblica.

 

SUL WEB - Ornitologi in rete si scambiano notizie
BN Italia (European Bird Net) consente ad appassionati birdwatcher italiani ed europei di rimanere in contatto, scambiandosi segnalazioni e informazioni. In regione, l'Associazione di Studi Ornitologici e Ricerche Ecologiche (http://webdefence.global.blackspider.com), fornisce consulenza a vari enti e associazioni ambientaliste. Gli associati costruiscono banche dati sull’avifauna selvatica e i suoi habitat, organizzano corsi ed escursioni.

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 2 febbraio 2017

 

 

Giù l’inquinamento davanti alla Ferriera - L’Arpa comunica che sono rientrate nei limiti di legge le emissioni rilevate dalla centralina di via San Lorenzo in Selva

LA MEDIA ANNUALE DEI VALORI DI BENZOAPIRENE
Anche la contestata centralina di via San Lorenzo in Selva, la più vicina agli impianti della Ferriera di Servola, nel corso del 2016 ha rilevato valori di benzo(a)pirene che su base annuale sono inferiori ai limiti di legge. Lo ha riferito ieri la Regione riprendendo una nota emessa dall’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (Arpa) che sottolinea come la media dell’anno scorso si sia attestata a 0.91 nanogrammi per metrocubo, mentre il limite da non superare è di un nanogrammo per metrocubo. Secondo l’Arpa, «l’andamento del benzo(a)pirene indica che gli adeguamenti impiantistici prodotti, qualora accompagnati da corrette modalità di gestione dell’impianto, possono consentire di rispettare sia gli indicatori previsti dall’Aia, sia il limite di legge». Ciò mentre da alcuni giorni, date le condizioni meteo, i dati sulle Pm10 sono invece sopra i limiti anche in piazza Carlo Alberto. Nel sito di Arpa si legge che «la stazione di San Lorenzo in Selva (Rfi) è prevista dall'Autorizzazione integrata ambientale (Aia), ai sensi dell'allegato B e C del Decreto 96/2016 come punto di controllo dei sistemi di abbattimento delle emissioni di Siderurgica Triestina». Già nel febbraio scorso l’azienda aveva rilevato che «dall’entrata in funzione del nuovo sistema di aspirazione della cokeria, il livello di benzo(a)pirene rilevato dalla centralina più vicina all’impianto (San Lorenzo in Selva) si è mantenuto ampiamente sotto il limite di un nanogrammo per metrocubo, con una media di 0,6 nanogrammi». Ad agosto il sindaco Roberto Dipiazza aveva però reso noto di aver chiesto un incontro ad Arpa proprio su questo problema, mentre a novembre anche l’assessore regionale Sara Vito aveva ribadito che «la media progressiva del benzopirene, che sfiora il limite, va tenuta d’occhio». Ieri Arpa ha fatto anche una breve cronistoria. «Nel 2010, con l'impianto siderurgico a pieno regime, la media annua del benzo(a)pirene in via San Lorenzo in Selva era pari a circa 7 ng/m3. Negli anni successivi il valore è sceso con la riduzione dell'attività produttiva, fino a un minimo nel 2014, sebbene quest'ultimo dato non sia confrontabile con le altre annualità, poiché l'impianto siderurgico di Servola era in fermo tecnico. Nel 2015, con l'avvio dei lavori di adeguamento previsti dalla Autorizzazione integrata ambientale, il benzo(a)pirene era pari a 1,25 ng/m3. Con il completamento dei lavori di adeguamento, avvenuto nel corso dello scorso anno, è ulteriormente sceso fino al valore di 0,91 ng/m3, inferiore al limite di legge e confrontabile tra l'altro con quanto viene registrato in alcune aree urbane non industriali anche della nostra regione (ad esempio, Udine)». La governatrice Debora Serracchiani, in un video diffuso successivamente, si rifa soprattutto a questo. «Il benzo(a)pirene - afferma Serracchiani - è una sostanza cancerogena e nel 2010, quando c’era l’amministrazione Dipiazza era sette volte superiore a oggi. Adesso è sotto i limiti di legge e questa è una notizia veramente buona, scaturita dal lavoro fatto sugli impianti da tante persone. Noi siamo attenti alla salute dei cittadini e dei lavoratori. Siamo sulla strada giusta - ha concluso la presidente Fvg che è anche commissario per la Ferriera, esibendo il grafico che pubblichiamo - e lo dicono i fatti e di dati scientifici». La deduzione che fa la Regione nella nota è che Arvedi è tenuto a briglia corta: «Gli indicatori inseriti dall'Aia, testati per tutto il 2016, consentono, inoltre, di effettuare un controllo giornaliero dell'andamento del benzopirene, obbligando il gestore dell'impianto siderurgico a ridurre immediatamente la produzione qualora venisse superato il limite di 1 ng/m3 su base tendenziale annua».

Silvio Maranzana

 

 

SAN DORLIGO - Al via la fase di “autoanalisi” degli odori in zona Siot
SAN DORLIGO DELLA VALLE - Sarà una scheda, distribuita a tutti i residenti coinvolti dal problema, chiamati a riempirla con una serie di dati, il primo passo verso la soluzione dell’annosa questione relativa alle cosiddette “molestie olfattive” nel territorio comunale di San Dorligo della Valle. Com’è noto, da anni, decine di cittadini lamentano il diffondersi di emissioni che provengono dagli insediamenti industriali storicamente situati nella parte pianeggiante del Comune, in primis la Siot. «La seconda Commissione del Comune che presiedo e che si occupa di ambiente - spiega il consigliere Roberto Potocco - fin dal suo insediamento ha ritenuto di trattare, quale argomento di assoluta priorità, questa emergenza. L’obiettivo è di portare a una soluzione definitiva il grave e irrisolto problema di tali emissioni. A tale scopo, già alcuni mesi fa abbiamo invitato, per un sopralluogo, un’azienda specializzata - prosegue - che attualmente si sta occupando della problematica Ilva a Taranto ed è emerso che il primo passo è un attento e formale rilevamento effettuato dai cittadini. Abbiamo perciò creato una scheda di rilevazione che i cittadini completeranno, indicando data, ora e intensità dei fenomeni. Queste rilevazioni - continua Potocco - saranno oggetto di un primo consuntivo a giugno, e rappresenteranno un campione statistico per mezzo del quale potremo intraprendere un colloquio costruttivo quanto risolutivo con le imprese presenti sul territorio che dovessero risultare origine del problema. Sarà in quel momento che lo studio dei dati raccolti potrà indicarci i siti più adeguati dove eventualmente installare una rete di “nasi elettronici”. Tale costosa quanto necessaria attività - conclude il consigliere di maggioranza - potrebbe essere affidata in collaborazione con gli organismi istituzionali preposti, come l’Arpa, o richiesta in affitto a un’azienda specializzata del settore, che dovrà includere anche l’appoggio di personale specializzato nell’effettuare prelievi e analisi dei campioni».

Ugo Salvini

 

 

Aspiranti apicoltori -  Nuove lezioni all’ex Opp
Oggi alle 17 al Padiglione “I” del’'ex Opp (vicino al Posto delle Fragole), si terrà il terzo appuntamento del Corso di avviamento all’Apicoltura promosso da Urbi et Horti, Bioest, Il Ponte, Legambiente, Aias, Anglat, Lapis, Multicultura, Arci Servizio Civile Trieste e Fvg, Comitato pace convivenza solidarietà Danilo Dolci e Azienda Sanitaria. Libere e aperte a tutti, le lezioni teoriche si terranno ogni giovedì fino al 9 febbraio e quelle pratiche, in apiario, al Parco di San Giovanni, ogni sabato alle 10 dal 4 al 25 febbraio. Tema dell’incontro di oggi, “Le api nel susseguirsi delle stagioni - Il calendario dei lavori in apicoltura”. Obiettivo del corso, inserito all’interno del progetto “Suoni e colori nel verde... un mondo di sensazioni” e finanziato dal Centro Servizi Volontariato, è quello di far acquisire ai partecipanti le competenze di base per poter iniziare ad allevare le api con piacere e soddisfazione. Il confronto con docenti esperti del settore è alla base dell’apprendimento. Un altro gruppo di incontri sarà orientato a far conoscere il mondo delle api anche agli alunni delle scuole elementari. Partito lo scorso 19 gennaio, il corso ha visto un consistente numero di iscritti e un forte interesse per l’argomento, descritto da Livio Dorigo, storico apicoltore e veterinario impegnato nella tutela e valorizzazione della biodiversità. Per informazioni e iscrizioni: 3287908116.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 1 febbraio 2017

 

 

Ue,mobilità nei trasporti con sistemi intelligenti - L’INTERVENTO DI TULLIO CAPPELLI HAIPEL
A ispirare questa strategia è la volontà politica in materia di cambiamenti climatici. Oltre il 70% delle emissioni di gas serra è connesso ai trasporti
Una strategia promossa dall'Unione europea ha come obiettivo la realizzazione di una mobilità nei trasporti ispirata a sistemi intelligenti e cooperativi. Tutto ciò prevede cambiamenti profondi sia in Europa che nel resto del mondo, rispondendo anche alla necessità di rendere i trasporti più sicuri ed efficienti. Gli strumenti essenziali di realizzo sono ovviamente le tecnologie digitali che contribuiscono anche alla riduzione dell'errore umano, fra l'altro principale causa di incidenti. Inoltre l'inevitabile scambio di dati fra le parti agenti crea anche la possibilità di far incontrare l'offerta e la domanda. In realtà la musa ispiratrice è la volontà politica lungimirante in materia di cambiamenti climatici. Non dimentichiamo il programma europeo di finanziare la necessità di adeguamento dei mezzi trasporto a Gnl, navi comprese, a beneficio dell'ambiente. Si pensi che oltre il 70 per cento delle emissioni di gas a effetto serra è connesso ai trasporti, forte contributo agli inquinamenti atmosferici. Già in vari Paesi come Stati Uniti, Australia, Giappone, Corea e Cina si sta realizzando l'applicazione delle tecnologie digitali con relativi mezzi e servizi disponibili. In Europa alleanze strategiche puntano alla diffusione di sistemi intelligenti, come il cosiddetto corridoio di cooperazione della Ue che collega Rotterdam a Francoforte e Vienna, o il cosìddetto “gruppo di Amsterdam”, un'alleanza tra autorità stradali, città attive in una rete di città e regioni e la stessa industria automobilistica. Le forniture di carburanti non inquinanti richiedono già fin d'ora che alcuni porti, in Adriatico, Trieste, Ravenna e Bari, si attrezzino allo stoccaggio di gas liquido. Questa “Comunicazione” porta la data del 30 novembre 2016, ma oltre ai mirati contenuti deve far riflettere sulle possibili necessità collaterali, sempre legate sostanzialmente ad un coordinamento informatico. Opportuno per la via dell'Adriatico impostare un obiettivo di tal specie in gemellaggio con sedi per esempio mitteleuropee, non ultima Vienna già impegnata col Nord Europa. Le “stazioni” del trasporto che colloquiano con il “trasporto”. Certo è un impegno che esige un apporto altamente scientifico e tecnologico ma il risultato sarebbe promuovere la competitività europea e avere vantaggi nel risparmio energetico e delle emissioni, e non dimentichiamo che indirettamente favorirebbero quei posti di lavoro direttamente o indirettamente legati ai trasporti. Integrazione dei modi di trasporto e collegamenti con l'automazione hanno già prodotto l'erogazione di ingenti finanziamenti della Ue. Inoltre va valutata la sicurezza informatica e la protezione dei dati. La “Comunicazione” indica fin d'ora un particolareggiato elenco dei servizi, fra i quali uno spazio è dato alla ricerca e alla progettazione per queste realizzazioni, con uno sguardo attento al futuro, previa una politica comune per la sicurezza e la gestione e un'adeguata opera di informazione. Le ragioni indicate che hanno ispirato questi programmi non escludono ruoli delle sedi pertinenti al trasporto e alla gestione oculata e protetta delle Comunicazioni e delle loro frequenze. In altra direttiva europea si prevedono già norme finalizzate anche al collegamento tra i mezzi di trasporto, e non solo a ruota, le infrastrutture di trasporto, nel senso cioè “veicolo” e “veicolo”, “veicolo” e infrastruttura, infrastruttura e infrastruttura. Tutto regolamentato anche da un necessario quadro giuridico adatto. Ciò non toglie che esso possa essere strutturato da responsabili esperienze sperimentali. È auspicabile quel percorso che prevede un gemellaggio con sedi, per esempio portuali, così da reperire sinergie di progetti di ricerca ed innovazione, magari ispirandosi ad esperienze già in atto in altri Paesi extraeuropei.
 

 

San Dorligo della Valle - “Nasi elettronici” bocciati dall’aula
SAN DORLIGO DELLA VALLE È stato approvato ieri dal Consiglio comunale lo schema del bilancio di previsione di San Dorligo della Valle valido per il periodo 2017-2020. L’assemblea si è espressa a favore del documento presentato dal sindaco Sandy Klun, nel ruolo di assessore al Bilancio, al termine di una lunghissima seduta nel corso della quale c’è stata una vivace discussione in relazione a un emendamento presentato dal consigliere di opposizione Boris Gombac, capogruppo della lista che porta il suo nome. Nel testo, Gombac, rifacendosi a un problema molto sentito da una parte della popolazione di San Dorligo della Valle, in particolare dalle famiglie che vivono nei pressi dell’oleodotto della Siot che, da tempo, lamentano la presenza di un forte e cattivo odore, ha proposto l’acquisto dei cosiddetti “nasi elettronici”. «Si tratta di apparecchiature - ha spiegato - che permetterebbero di monitorare al dettaglio l’inquinamento da odore. Vista la necessità di metter fine ai nauseabondi miasmi che si diffondono sul nostro territorio - ha precisato - nelle frazioni di Mattonaia, Lacotisce, Domio, Bagnoli, Francovec e Dolina, attigue al parco serbatoi della Siot, durante lo stoccaggio del petrolio, e preso atto della Convenzione tra il Comune di Trieste e l’Arpa per il monitoraggio delle emissioni in atmosfera di sostanze odorigene provenienti dalla Ferriera di Servola, proponiamo un intervento speculare». Al momento del voto, si sono espressi contro l’emendamento i consiglieri del Pd, dell’Unione slovena e della Sinistra unita, mentre si sono astenuti il sindaco Klun, visto l’atteggiamento della sua maggioranza («ma mi riservo di tornare sul tema in sede di variazione del bilancio - ha annunciato - proponendo l’acquisto dei nasi»), e gli esponenti dell’opposizione Roberto Drozina (Lista civica Territorio e ambiente), Roberto Massi (Forza San Dorligo) e Danilo Slokar (Lega Nord), mentre si sono registrati i soli sì del firmatario dell’emendamento e di Massimiliano Dazzi, anch’egli della lista Gombac. Slokar ha motivato l’astensione spiegando che «sul problema degli odori prodotti dall’impianto della Siot bisogna che il Comune assuma una posizione definitiva e organica, convocando l’Arpa. Non possiamo andare avanti - ha aggiunto - con piccoli provvedimenti estemporanei, perché la gente ha bisogno di chiarezza e non di interventi tampone». Gombac da parte sua ha invece ribadito che «la presenza della Siot nel territorio comunale di San Dorligo della Valle può essere assimilata a quella della Ferriera a Trieste». Roberto Potocco (Pd) ha detto che «il no all’emendamento di Gombac lo abbiamo espresso perché riteniamo sia utile approfondire ulteriormente l’argomento per avere un quadro chiaro e dettagliato della situazione». Approvato invece l’emendamento di Emilio Coretti (Pd) che prevede di aumentare di 10mila euro la dotazione «per il rilancio del turismo di San Dorligo della Valle».

Ugo Salvini

 

 

Dallo sciacallo dorato al gabbiano zafferano Gli ospiti Enpa del 2016 - il bilancio

Accolti negli spazi di via de Marchesetti 2.597 animali Numerosi i volatili feriti. E poi ci sono anche lepri e caprioli

La carica dei 2mila 597. Tanti sono gli ospiti presi in cura nel 2016 dall'Enpa di Trieste, la struttura di accoglimento animali di via de Marchesetti presieduta da Patrizia Bufo. Oltre 2mila sono gli animali selvatici soccorsi dall'Ente, pari all'80% del totale. Grande clamore fece nel giugno scorso la liberazione di uno splendido giovane sciacallo dorato, unico animale in tutta Europa di questa specie ad essere stato catturato vivo e ferito: dopo essere stato curato senza sedazione venne liberato in Carso diventando una piccola star del web. Gli uccelli rappresentano invece il 59%, ossia la percentuale maggiore, di animali curati. Molto elevato il numero di rapaci notturni con ben 28 assioli, nella maggioranza dei casi pulli (pulcini) nati in estate ma anche adulti debilitati dalla migrazione in aprile. Non sono mancati civette o gufi comuni. Tra i rapaci diurni ricoverati la poiana, lo sparviere (si ricorda l’esemplare rimasto ferito all'occhio e “incastrato” all'interno della stazione delle autocorriere di Muggia dopo una caccia al colombo avvenuta a inizio gennaio), nonché un gheppio giovane e un astore. Molti di più sono stati i piccioni, ben 279, ricoverati in seguito ad impatti contro vetri o automobili. E poi 149 rondoni, la maggioranza nidiacei rinvenuti a terra. Numeri ancora maggiori hanno coinvolto invece i gabbiani: 322 i reali e 19 i comuni. Il più ammirato è stato un raro esemplare di gabbiano zafferano curato e liberato. Hanno trovato accoglienza all'Enpa anche 180 cornacchie grigie e i simpatici 7 nidiacei di taccole, provenienti dalla zona di largo Panfili, dove è presente un'ampia colonia. Più complesso il caso dei soggetti di pappagalli calopsite avuti in affido giudiziario dal Corpo forestale regionale che presentavano una importante patologia aviaria che ha costretto l'Enpa ad un blocco sanitario del primo piano dei ricoveri: una volta risanati gli animali sono stati successivamente riconsegnati alle autorità competenti. Ultimi, ma non ultimi, i germani reali che hanno movimentato la scorsa fine estate muggesana essendo affetti da botulino e che hanno ritrovato la libertà nel rio Ospo lo scorso ottobre. Chiudono la lista dei volatili 124 merli, 145 passeri e 101 cincie. Tra gli animali selvatici vanno poi menzionati i 101 caprioli, curati dopo traumi, fratture agli arti da investimento ed emorragie interne. Indubbiamente frequenti anche i ricoveri di pipistrelli (65), spesso cuccioli ma anche adulti che hanno avuto un risveglio anomalo, dovuto a cause antropiche, o feriti. Chiudono l'elenco dei selvatici gli 88 ricci, spesso affetti da parassitosi cutanee che hanno richiesto una degenza di 20 giorni per permettere una terapia risolutiva del problema. Tra i 515 animali domestici ed esotici curati dall'Enpa i gatti rappresentano il 44% del numero totale, ricoverati in seguito della campagna di sterilizzazione, a cui l'Enpa partecipa in collaborazione con i Comuni. I gatti sterilizzati sono stati reimmessi nelle colonie di provenienza, mentre i cuccioli sono stati tutti dati in adozione. A chiudere ci sono i cosiddetti animali d'affezione non convenzionali (oltre 120) quali conigli, cavie, criceti e ratti da compagnia che sono stati accolti in seguito a rinunce da parte dei proprietari o sono stati rinvenuti in stato di abbandono sul territorio. Il caso più eclatante è quello del coniglio femmina rinvenuto due settimane fa all'interno di un cassonetto delle immondizie in via del Botro ad Altura. Per la cronaca Giuly sta bene. E presto potrà cercare una nuova casa.

Riccardo Tosques

 

 

Villaco si converte al teleriscaldamento - La svolta green - I vantaggi per Villaco saranno economici e ambientali

Un servizio innovativo Ad Arnoldstein il termovalorizzatore è stato ristrutturato quintuplicando la sua capacità operativa Molteplici i vantaggi

VIENNA Nell’autunno 2018 Villach - seconda città della Carinzia con i suoi 61.221 abitanti - sarà quasi per intero “teleriscaldata”, cioè riscaldata da fonti di calore a distanza. Il servizio sarà gestito dalla Kelag Wärme GmbH, che già ora distribuisce calore con due impianti a biomassa e ricicla calore di scarico di una fabbrica della zona. Questo calore (circa 100 milioni di kilowattora) viene erogato ad abitazioni private e ad aziende dell’area (tra cui l’Infineon, leader mondiale nella produzione di semiconduttori) con una rete di distribuzione lunga cento chilometri. Ai cento milioni di kilowattora già oggi disponibili se ne aggiungeranno nel 2018 altri cento prodotti dall’inceneritore di Arnoldstein, a due passi dal confine italiano di Tarvisio, dove vengono bruciati tutti i rifiuti della Carinzia (90.000 tonnellate all’anno). La denominazione più corretta dell’impianto, tuttavia, è “termovalorizzatore”, perché non si limita ad eliminare i rifiuti - è già questo sarebbe un bel risultato, visto che città come Roma e Napoli e regioni come la Sicilia non sono in grado di farlo da sé e devono trasportare i loro rifiuti proprio in Austria per farli bruciare - ma dalla loro combustione ne ricava un valore aggiunto: elettricità (42 milioni di kilowattora) e calore. Finora il termovalorizzatore di Arnoldstein produceva, oltre all’elettricità, 21 milioni di kilowattora di calore. Lo scorso anno è stato ristrutturato con nuove tecnologie che consentono di ricavare dalla stessa quantità di rifiuti 122 milioni di kilowattora di calore: i cento in più andranno a riscaldare Villach. In poco più di un anno, lungo la strada statale sarà posata una conduttura di diciassette chilometri, in cui sarà fatta circolare acqua alla temperatura di 130 gradi a una pressione di 25 atmosfere. A Warmbad-Villach la condotta si innesterà nel sistema ad anello che distribuisce il calore in tutta la città. Investimento complessivo 18 milioni di euro. Villach disporrà così complessivamente di 200 milioni di chilowattora, che corrisponde al fabbisogno di circa 30.000 abitazioni di medie dimensioni: in pratica, quasi tutte le case della città. L’allacciamento alla rete non è obbligatorio e per chi intenda farlo non vi sono contributi pubblici. Ma già ora quasi tutti i proprietari di casa ne hanno approfittato e tutte le nuove costruzioni prevedono l’allacciamento. E, ovviamente, sono allacciati al teleriscaldamento tutti gli uffici pubblici. Vi sono benefici economici e soprattutto benefici ambientali. L’eliminazione di impianti di riscaldamento individuali risolve all’origine il problema delle polveri sottili: a Villach problemi di inquinamento non si sono mai posti. Ma anche ad Arnoldstein, nonostante la presenza dell’inceneritore, tutti i rilevamenti effettuati hanno registrato un miglioramento della qualità dell’aria. Gli inquinamenti, temuti da alcuni, non ci sono stati, ma è accaduto invece il contrario, come si evince anche dalla tabella delle emissioni, disponibile sul sito web della società (http://www. krv.co.at/default.asp).

Marco di Blas

 

 

I cacciatori di frodo uccidono un cigno e le anatre protette

Caccia ai colpevoli in una cittadina alle spalle di Zara mentre i roghi dolosi minacciano le specie dell’oasi di Vrana
ZARA - Nei giorni scorsi i cacciatori di frodo sono nuovamente entrati in azione, impuniti, in una zona paludosa dei dintorni di Nona (Nin), cittadina alle spalle di Zara, in Dalmazia. Stando a quanto riferito ieri dagli attivisti dell’associazione Biom che si occupa di salvaguardia ambientale in Croazia, specie di volatili, nei giorni scorsi è stata rinvenuta la carcassa di un cigno minore (Cygnus columbianus), prontamente inviata al competente istituto di Zagabria per l’autopsia. L’esame ha rivelato che il cigno è stato ucciso da un fucile a pallettoni. Il cigno era stato avvistato per la prima volta a inizio gennaio e subito inanellato. La sua apparizione era stata accolta con entusiasmo dagli ornitologi croati e dagli amanti della natura in quanto si era trattato del sesto avvistamento di cigno minore negli ultimi cinquant’anni in Croazia. Quello di Nona era il dodicesimo esemplare visto dagli anni Sessanta del secolo scorso ad oggi, come fatto notare dalla dottoressa Jelena Kralj dell’Istituto di ornitologia che agisce in seno all’Accademia croata delle Scienze e delle Arti. L’uccisione di questo stupendo volatile è stata denunciata alla polizia dalmata, che finora non ha operato alcun fermo. È stata informata pure l’Impel, la rete europea degli ispettori ambientali. Purtroppo non si è trattato di un caso isolato: una decina di giorni fa - e nella stessa area nelle vicinanze di Nona - erano state ritrovate le carcasse di ben otto volpoche in pratica il 10 per cento della popolazione di questa specie di anatra presente nel Paese. Va sottolineato che cigno minore e volpoca sono due uccelli rigorosamente protetti (almeno sulla carta) in Croazia perchè specie considerate molto rare e dunque a rischio estinzione. Interpellato dai giornalisti, il biologo Vedran Lucic di Biom ha manifestato insoddisfazione e preoccupazione per i due vergognosi episodi: «Quanto verificatosi a pochi chilometri da Nona è la prova provata dell’anarchia esistente nel settore venatorio nazionale e del disinteresse delle competenti istituzioni. Non c’è l’effettiva volontà di garantire almeno un po’ di ordine nella caccia agli uccelli. Nonostante le denunce precedenti e un paio di controlli effettuati dalle forze dell’ordine, i bracconieri continuano ad agire indisturbati in questa porzione di Dalmazia, causando danni gravissimi al nostro patrimonio ambientale». In tale ambito va segnalato che da alcuni anni a questa parte si stanno verificano grossi roghi nell’area del lago di Vrana, tra Zara e Sebenico, il più grande lago in Croazia, da tempo in regime di tutela perchè rappresenta un’importantissima riserva ornitologica. Vrana è classificato parco naturale e si crede che gli incendi siano di natura dolosa, appiccati intenzionalmente nella speranza di arrivare alla cancellazione dello status di area protetta. Un tanto consentirebbe a cacciatori e pescatori di esercitare liberamente le loro attività, attualmente vietate.

Andrea Marsanich

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 31 gennaio 2017

 

 

Giardino di piazza Hortis, scatta il restyling - Aperto il cantiere per la riqualificazione e ripavimentazione dell’area. Investimento da 160mila euro

Al via i lavori di “restyling” del giardino di piazza Hortis a Trieste. L’intervento, per il quale il Comune ha previsto una spesa di 160mila euro, punta a riqualificare e valorizzare l’area. «Il primo step - spiega l’assessore ai Lavori pubblici, Elisa Lodi, sarà la posa della nuova pavimentazione in materiale naturale stabilizzato nei vialetti interni al giardino, con la realizzazione anche di un impianto di smaltimento delle acque meteoriche, l'ampliamento e il miglioramento delle superfici delle attuali aiole, il rifacimento dell'impianto di irrigazione (con l'eliminazione dei vecchi e antiestetici tubi a vista dell'attuale impianto), nonché la messa a dimora di nuove piante». È prevista inoltre la riqualificazione e l’allargamento della zona riservata ai giochi per bambini (la cui gomma antitrauma, ormai deteriorata, sarà sostituita e ampliata), la creazione di una zona destinata alla lettura, alla musica ed a piccole rappresentazioni teatrali e la realizzazione di una fontanella con acqua potabile. Particolare attenzione sarà posta all'eliminazione di tutte le barriere architettoniche, per garantire e favorire la massima fruizione del giardino da parte dei disabili. «Con questo intervento -ha detto ancora l'assessore Lodi- si vuole potenziale il ruolo e dare valore al giardino aperto di piazza Hortis, inteso come cerniera ed ideale estensione fra l'attività della limitrofa Biblioteca Civica, l'area verde alberata, i palazzi circostanti e la zona di piazza Cavana». Piazza Hortis sorge oggi su un antico sito cimiteriale dell’epoca paleocristiana. La piazza venne creata a seguito della demolizione di una parte del convento dei padri minoriti annesso alla chiesa di Sant'Antonio Vecchio, oggi Beata Vergine del Soccorso. L'amministrazione francese intitolò la nuova piazza alla vittoria di Lutzen, mentre il governo austriaco la ribattezzò piazza Lipsia per celebrare la sconfitta napoleonica. Il giardino occupa la quasi totalità della piazza con una superficie di 2.100 mq e ospita alberi d'alto fusto di pregio provenienti anche da paesi esotici. Al centro del giardino si trova, come noto, una statua intitolata a Jacopo Hortis, uomo politico cittadino, opera dello scultore G. Mayer.

 

 

Rifiuti industriali, a Hera, il ramo d’azienda di Teseco
TRIESTE Waste Recycling, società toscana del Gruppo Hera controllata al 100% da Herambiente, ha acquisito il ramo d'azienda impianti della pisana Teseco, primaria realtà nel trattamento e recupero dei rifiuti industriali, con oltre 30 anni di esperienza nel settore dei rifiuti speciali e impianti innovativi (allocati su un'area di complessivi 126.000 metri quadrati di cui oltre 30.000 coperti). L'acquisizione, spiega una nota, è stata portata avanti dalla controllata Waste Recycling che da 25 anni gestisce con efficienza analoghe e complementari linee di trattamento nei suoi impianti produttivi di Santa Croce sull'Arno e Castelfranco di Sotto (Pisa). L'operazione, prosegue il comunicato, consente «da un lato, di conservare e mantenere in attività un importante segmento della realtà produttiva pisana, dall'altro, di ampliare la dotazione impiantistica di Herambiente e i servizi offerti ai propri clienti, rafforzandone la posizione di leadership nel trattamento e recupero dei rifiuti», «si inserisce inoltre nel percorso di ampliamento del perimetro societario avviato dal Gruppo Hera.

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 30 gennaio 2017

 

 

Vito a Ussai "Ha dati diversi dall'ARPA ?"

«C'è chi vede male e rema contro la possibilità che la Ferriera divenga uno stabilimento sostenibile per salute e ambiente, perché perderebbe un argomento di attacco politico. E questo è uno degli aspetti piu preoccupanti». Lo afferma l'assessore regionale all'Ambiente Sara Vito, replicando al consigliere regionale M5s Andrea Ussai, che l'ha accusata di «difesa d'ufficio sempre meno credibile» verso lo stabilimento siderurgico. «A quanto pare - afferma Vito in una nota - il consigliere Ussai vorrebbe che fosse compito della politica dare i dati sull'inquinamento, magari li vorrebbe dare lui stesso. A Ussai che sostiene di avere “tantissimi dati certi sull'inquinamento a Servola e a Trieste” chiedo se si riferisce ai dati dell'Arpa, in base ai quali si rileva un netto miglioramento, oppure se possiede analisi parallele con esiti diversi. Grave poi che Ussai insinui che l'amministrazione regionale si adegui alle richieste di Arvedi, quando i fatti dicono il contrario, e la decisione della Conferenza dei servizi sulle coperture lo dimostra: la Regione c'era - conclude Vito - e non ha fatto sconti, come sempre».

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA,29 gennaio 2017

 

 

M5S - Ussai sulla Ferriera «Aia da rivedere»

«La decisione della Conferenza dei servizi di valutare insoddisfacente il progetto di copertura dei parchi minerali della Ferriera di Servola conferma tutte le nostre perplessità» scrive in una nota il consigliere regionale del M5S Andrea Ussai. «Abbiamo ormai tantissimi dati certi sull’inquinamento a Servola e a Trieste: l’Aia deve essere rivista imponendo limiti più stringenti e non adeguandosi alle richieste di Arvedi. Inoltre, conclude Ussai, bisogna programmare una tempistica per il superamento dell’area a caldo, cercando di incidere il meno possibile sui livelli occupazionali».

 

 

Sorpresi a gettare rifiuti nel bosco - Due i denunciati dai carabinieri. L’accusa è anche di inquinamento ambientale
Tre persone sono state arrestate dai carabinieri e altrettante sono state denunciate. I carabinieri di via Hermet hanno deferito in stato di libertà, per gestione dei rifiuti non autorizzata e inquinamento ambientale, due disoccupati triestini di 34 e 24 anni perché sono stati ritenuti responsabili di aver abbandonato i rifiuti recuperati dallo sgombero di un’abitazione di San Dorligo della Valle, in varie zone boschive del territorio di quel comune. Inoltre, intervenuti per un furto di abbigliamento in un negozio del centro, i carabinieri hanno denunciato un minore straniero ospitato in una struttura di accoglienza cittadina, che è stato sorpreso in possesso del capo di vestiario rubato. I militari del Nucleo radiomobile del Comando provinciale hanno invece sorpreso un cittadino italiano, M.S. le sue iniziali, di 67 anni che senza avere l’autorizzazione era uscito dall’abitazione nella quale avrebbe invece dovuto rimanere essendo agli arresti domiciliari. L’uomo - riferiscono i carabinieri -, già gravato di svariati precedenti per numerosi reati, è stato sorpreso per strada, dopo che era stato invano cercato al domicilio per i consueti controlli ai quali sono sottoposti i soggetti in regime di detenzione domiciliare. L’arrestato è stato nuovamente condotto a casa. Nel corso, invece, di un intervento seguito alla segnalazione di un furto di profumi all’interno di un negozio del centro i carabinieri hanno intercettato uno sloveno di 30 anni con precedenti penali, E.C., che è stato trovato in possesso di alcune confezioni di profumo. Il trentenne, accompagnato in caserma, a seguito di accertamenti è risultato destinatario di un’ordinanza della Procura di Trieste, in base alla quale deve scontare oltre due anni di reclusione per rapina, porto di armi e resistenza a pubblico ufficiale. Il giovane è quindi stato arrestato e accompagnato al Coroneo. Il terzo arresto è stato eseguito dai carabinieri della Compagnia di Aurisina che in un servizio di contrasto all’immigrazione clandestina a Fernetti hanno arrestato un romeno di 51 anni. Anche lui è risultato destinatario di un ordine di carcerazione, ma della Procura di Forlì, in quanto deve espiare sei mesi di reclusione per truffa per cui è stato portato in carcere.
 

 

Pedoni più sicuri agli incroci di via San Nicolò - Iniziati i lavori per la collocazione di semafori alle intersezioni con via San Spiridione e via Roma
Più sicurezza per i pedoni e un traffico più fluido. Dopo il positivo risultato fornito dall’impianto semaforico installato di recente in via Canal Piccolo, in corrispondenza dell’attraversamento pedonale fra via Cassa di risparmio e piazza della Borsa, altre due “intersezioni” fra percorsi pedonali e traffico veicolare saranno regolate a breve da semafori. Entrambi questi interventi riguardano via San Nicolò. Nei giorni scorsi AcegasApsAmga, su incarico dell’assessorato ai Lavori pubblici, ha iniziato i lavori di scavo all’incrocio con via San Spiridione, in vista appunto dell’installazione dell’impianto semaforico. Lavori che dovrebbero essere conclusi nel giro di un paio di giorni, dopodiché si passerà a un analogo intervento all’incrocio con via Roma, che si protrarrà per circa due settimane. Una volta completata la parte edile, in via San Spiridione si passerà alle opere di carattere impiantistico, con la posa dei cavi e l’installazione dei semafori. Il completamento di entrambi gli interventi e l’entrata in funzione degli impianti semaforici è prevista tra una quarantina di giorni. Per consentire l’operatività del cantiere all’angolo con via Roma, il Servizio mobilità e traffico del Comune ha emesso un’apposita ordinanza che prevede il restringimento della carreggiata, l’istituzione di divieti di sosta e di fermata (con rimozione) nel tratto di via Roma fra l’incrocio con via Mazzini e il civico 3 (lato numeri dispari) e nel tratto di circa 20 metri nei pressi dell’intersezione con via San Nicolò (lato numeri pari). In questi tratti la carreggiata di via Roma sarà ristretta a una sola corsia di marcia. La stessa ordinanza prevede poi il divieto di transito per i pedoni in via Roma, nel tratto di circa 40 metri compreso fra l’incrocio con via San Nicolò e via Mazzini, dalla parte dei numeri civici dispari. Questo divieto sarà chiaramente attivo solo nelle due settimane previste per i lavori riguardanti l’installazione dell’impianto semaforico. Per garantire l’incolumità dei pedoni, il provvedimento ordina infine che il divieto di transito venga segnalato in maniera opportuna nei pressi del cantiere e degli attraversamenti pedonali più vicini o, in alternativa, di garantire un percorso pedonale protetto della larghezza minima di un metro.

 

Le antenne di Chiampore non inquinano quasi più - L’Arpa certifica una riduzione dei punti di sforamento, passati da 43 a soli tre
L’assessore muggesano Litteri: «Adesso affrontiamo le ultime situazioni»
MUGGIA «Bene, molto bene ma guai a indietreggiare: ora arriva forse la parte più difficile». Giuseppe Poropat, uno dei leader di vecchia data del Comitato antiantenne di Chiampore, esulta. Tre giorni fa, durante un incontro con l’assessore all’Ambiente di Muggia Laura Litteri, il Comune ha comunicato un risultato storico per la verde frazione rivierasca: l’inquinamento elettromagnetico è stato (quasi) completamente debellato. L’Arpa Fvg ha infatti divulgato al Comune i dati ottenuti da una campagna di rilievi iniziata nel 2015 sullo stato di salute dell’aria di Chiampore, frazione di Muggia da oltre trent’anni deturpata da tralicci e ripetitori radiotelevisivi. L’Arpa ha dunque effettuato una serie di misurazioni volte a valutare le emissioni dei ripetitori radio presenti in quell’area al fine di accertare se a seguito delle azioni di bonifica e delocalizzazione, attuate durante l’amministrazione Nesladek, fosse migliorata la situazione dell’inquinamento elettromagnetico rispetto all’ultima campagna di rilievi ufficiale del 2005. Con grande soddisfazione per il Comune ma soprattutto per i residenti i dati comunicati sono stati più che incoraggianti. I punti di sforamento sono passati da 43 a 3, una diminuzione vertiginosa. «Dopo tanti anni di battaglie qualcosa abbiamo raggiunto - ammette con soddisfazione Poropat -, non si può negare che l’amministrazione Nesladek e ora quella Marzi stiano facendo il massimo per risolvere la situazione, anche se ora bisognerà capire come affrontare i tre punti di sforamento rimanenti». Dall’incontro tra l’assessore Litteri e il Comitato antiantenne è emerso che l’antenna che sta continuando a produrre il maggior inquinamento elettromagnetico è quella in dotazione alla Rai. Da qui il probabile incontro tra Comune di Muggia e Rai per analizzare la situazione e cercare di trovare una soluzione condivisa come racconta Litteri: «Certamente i pochi valori oltre 6 V/m riscontrati non sono accettabili, anche perché tutti rilevati in prossimità di case, e proprio in tal senso abbiamo già avuto un incontro con i tecnici Arpa, con i quali abbiamo concordato di contattare le emittenti responsabili degli sforamenti affinché riportino le emissioni nei limiti previsti dalla legge». Ma come si è svolta la campagna di misurazioni? Negli ultimi due anni (le misurazioni si sono concluse nel mese di dicembre del 2016) l’Arpa ha effettuato un’opera di monitoraggio sulla frazione eseguendo controlli a tappeto. Fino al 2010 tali misurazioni avevano evidenziato esattamente 43 punti nei quali erano state riscontrate radiazioni superiori ai 6 V/m, ossia il limite massimo consentito dalla legislazione. «In prima battuta, Arpa ha effettuato misure in banda larga in tutte le aree in cui nella campagna rilievi del 2005 si erano verificati dei superamenti dei limiti di legge», racconta Litteri. Sulla base di questi rilevamenti sono stati quindi individuati i punti in cui effettuare le misure in banda stretta, ma non solo: «Sono state poi effettuate misurazioni prolungate nel tempo con centraline per il monitoraggio in continuo e misurazioni nei punti di controllo già individuati nelle campagne precedenti: gli esiti delle rilevazioni hanno evidenziato la risoluzione dei superamenti delle campagne condotte fino al 2005». In seconda battuta, Arpa ha esteso le indagini ad altre aree che, sulla base dei sopralluoghi e delle misure in banda larga, risultavano significative per l’esposizione della popolazione: anche in questo caso, le indagini svolte hanno dimostrato un complessivo e sensibile miglioramento della situazione rispetto ai dati del 2005. Soddisfatto il sindaco muggesano Laura Marzi: «Abbiamo lavorato tantissimo per risolvere la situazione di Chiampore e grazie alla delocalizzazione effettuata durante la precedente amministrazione Nesladek abbiamo ottenuto un ottimo risultato. Ma questo lavoro proseguirà ancora, questo è certo». Sulla stessa lunghezza d’onda Giuseppe Poropat: «Ora è importante mantenere questi risultati e migliorarli ulteriormente, cercando, dopo tanti anni di battaglie, di chiudere al meglio questa lunga partita».

Riccardo Tosques

 

Lavori sulla rete fognaria di Duino - Da martedì viabilità modificata per gli interventi sul collegamento fino a Sistiana
DUINO AURISINA - Nuova ordinanza relativa alla viabilità nel territorio del comune di Duino Aurisina. Riguarda proprio il centro abitato di Duino. Friuli Venezia Giulia Strade comunica infatti che - per consentire i lavori di AcegasApsAmga di completamento della rete fognaria comunale nel collegamento tra Duino e Sistiana - è stato rilasciato il nulla osta all’attivazione di un semaforo provvisorio per la regolamentazione della circolazione stradale. Il semaforo sarà attivo - questo riferisce AcegasApsAmga - a partire da martedì 31 gennaio, cioè dopodomani, e per circa un mese, fino al termine dei lavori. Si tratta appunto dell’opera di completamento della rete fognaria comunale nell’ambito occidentale - primo lotto. L’impianto semaforico provvisorio di cantiere andrà a regolamentare la circolazione stradale all’altezza dell’intersezione al chilometro 133+450 lungo la strada statale 14.

 

Ogm: l’Ue si spacca e non decide sui mais transgenici - il voto favorevole dell’Italia
BRUXELLES - L'Ue non riesce a decidere sull'autorizzazione di tre mais ogm, ma crea polemiche la scelta dell'Italia di esprimere voto favorevole, pur essendo tra i 17 paesi europei che hanno vietato le colture transgeniche sul proprio territorio. Immediata la levata di scudi di ong e associazioni ambientaliste ed agricole, che hanno denunciato l'ipocrisia di Roma.

I rappresentanti degli stati membri nel comitato permanente Ue per piante, animali, alimenti e i mangimi (Paff) erano chiamati a votare, in base alle nuove regole, per approvare o respingere la richiesta di autorizzazione di tre mais ogm resistenti ai parassiti. Non sono però arrivati a esprimere la maggioranza qualificata necessaria. A favore, oltre all'Italia, si sono pronunciati anche altri paesi che vietano le coltivazioni ogm sul proprio territorio come l'Olanda. Altri, come Germania e Belgio, si sono astenuti a causa delle divisioni sul tema nelle rispettive coalizioni di governo, mentre altri ancora si sono schierati con la Francia, che ha votato contro. «Vedere l'Italia votare a favore dell'introduzione di queste sementi geneticamente modificate è uno schiaffo ai nostri agricoltori», accusa Marco Affronte dei Verdi europei. Di «ipocrisia bella e buona» parla una nota di Slow Food, che prosegue: «I rappresentanti dei nostri Paesi dovrebbero riconoscere una volta per tutte che i cittadini non vogliono ogm in Europa e smettere di autorizzarli». Greenpeace Italia definisce il voto un «clamoroso voltafaccia» per il nostro paese «che si schiera dalla parte degli ogm» mentre «la Commissione sarebbe cieca a interpretare il voto odierno come una luce verde». Di avviso opposto Europabio, l'associazione delle industrie biotech europee: «I tre prodotti sono stati in attesa di autorizzazione per 15 anni e più» e la Commissione dovrebbe «approvarli a meno che una maggioranza qualificata di Stati membri si opponga».
 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 28 gennaio 2017

 

 

Sterpaglie a fuoco, allarme sopra Barcola - Fiamme domate da pompieri, forestali e volontari della Protezione civile. In azione anche l’elicottero
Vigili del fuoco, uomini del Corpo forestale regionale e volontari sono stati impegnati per ore ieri, dalle 12.30 circa, per domare un incendio di sterpaglie che aveva aggredito il costone che dal mare sale fino al ciglione carsico. Più precisamente, la zona che è stata interessata dal rogo si trova alle spalle dell’abitato di Barcola. L’incendio, le cui cause saranno stabilite dai tecnici specializzati anche alla luce dei rilievi effettuati sul posto da forestali e pompieri, ha intaccato un’area di circa 20mila metri quadrati, su un fronte di 300 metri lineari. Proprio a causa dell’entità della zona, caratterizzata prima del rogo da sterpaglie, arbusti e qualche albero, a dare man forte ai vigili del fuoco del Comando provinciale triestino sono intervenuti anche volontari della Protezione civile e squadre del Corpo forestale regionale (gli uomini di quello Statale sono transitati dal primo gennaio nell’Arma dei carabinieri). Il lavoro delle squadre è risultato gravoso, anche per la particolare pendenza del terreno, isolato, tra la strada del Friuli e la strada Napoleonica sul quale stavano operando: tutte caratteristiche che rallentavano le operazioni. Per agevolare lo spegnimento è stato così chiamato a operare anche un elicottero gestito dal Corpo forestale. Il velivolo, dotato dello speciale “cesto” per il trasporto di acqua o liquido ritardante assicurato al gancio ventrale, è stato osservato da molti cittadini. L’elicottero ha compiuto infatti più volte la spola tra il Golfo e il costone lambito dal fuoco, immergendo il contenitore nel mare per riempirlo e poi svuotarlo sui focolai dell’incendio boschivo. Spente le fiamme, i vigili del fuoco sono rientrati in caserma mentre gli uomini del Corpo forestale si sono trattenuti per porre in sicurezza il sito. Tranne una forte pioggia, nelle ultime settimane il clima è rimasto molto secco, favorendo le condizioni adatte allo svilupparsi di focolai, anche se non si può escludere che un gesto incivile, come un mozzicone di sigaretta ancora acceso lanciato per terra, abbia potuto produrre le fiamme.

 

 

COMUNE - Il Giardino pubblico fruibile da stamattina

Il Comune informa che il Giardino pubblico, rimasto chiuso nei giorni scorsi, tornerà ad essere regolarmente fruibile da questa mattina a seguito della fine degli interventi di bonifica e di messa in sicurezza delle alberature presenti all’interno e del sopralluogo avvenuto ieri da parte del responsabile del Comune di Trieste con la ditta incaricata. L’orario d’apertura sarà quello consueto nel periodo invernale: dalle 7 alle 19.

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 27 gennaio 2017

 

 

La grana “parchi minerali” sul futuro della Ferriera

La Conferenza dei servizi giudica insoddisfacente la relazione dell’azienda «Non osservata la prescrizione dell’Aia che impone la copertura dei depositi»
«Non è stata soddisfatta da Siderurgica Triestina la prescrizione contenuta nell’Autorizzazione integrata ambientale, che impone la copertura dei parchi minerali». È la conclusione a cui è arrivata ieri all’unanimità la Conferenza dei servizi coordinata dalla Regione e composta anche da Comune, Arpa, Azienda sanitaria e Vigili del fuoco. In una nota la Direzione Ambiente della Regione ha ricordato come l’Aia avesse stabilito per Siderurgica Triestina l’obbligo di presentare, entro nove mesi dal suo rilascio, un progetto di copertura dei parchi minerali. Tuttavia entro il termine, peraltro prorogato di un mese su richiesta della società, l’azienda ha proposto una relazione che - si legge nella nota della direzione Ambiente - «pur contenendo alcune ipotesi progettuali, conclude evidenziando l'eccessiva onerosità degli interventi richiesti e la difficoltà tecnica della realizzazione degli stessi». «Più precisamente - si legge ancora nella nota - la relazione non contiene elaborati grafici, né soprattutto il cronoprogramma e il quadro economico degli interventi da effettuare. E in particolare si afferma che «la copertura, seppur astrattamente possibile, non sarebbe tecnicamente realizzabile». Di qui, come detto, la decisione di non approvare la relazione presentata dall’azienda, invitando l’autorità competente, ovvero la Regione, ad adottare i provvedimenti conseguenti. Un verdetto che l’azienda, contattata in merito, ha scelto di non commentare. Nel pomeriggio però Francesco Rosato, consigliere di amministrazione di Siderurgica Triestina, ha convocato i sindacati (presenti Failms, Fim-Cisl e Uilm) e, secondo quanto riferito dai rappresentanti dei lavoratori, ha comunicato l’intenzione della società di attenersi a quanto verrà chiesto, se del caso anche con la realizzazione della tettoia, che potrà essere realizzata tramite gara d’appalto. Rimane comunque sempre il problema dell’autorizzazione. Per l’amministrazione regionale ha commentato la decisione l’assessore all’Ambiente Sara Vito, che ha messo in evidenza «l’assoluto rigore con cui da sempre operano su questo tema gli uffici regionali», e ha ribadito la «ferma volontà della Regione al pieno rispetto delle regole e delle procedure». La presidente della Regione Debora Serracchiani, a sua volta, ha ribadito la necessità del rispetto dell’Accordo di programma, ricordando che, se ci sono soluzioni alternative, come la filmatura dei parchi minerali che attualmente viene impiegata per evitare che i materiali accatastati volino via in caso di bora, vanno concordate con i ministeri competenti. Sulla linea espressa dalla Conferenza dei servizi è intervenuto in serata anche Roberto Dipiazza. «Tutti gli attori coinvolti hanno ribadito la necessità che l’azienda rispetti quanto previsto dall’Accordo di programma - ha affermato in un video postato su Facebook -. Oggi quindi (ieri ndr) abbiamo vinto. La Regione dovrà ora intimare ad Arvedi di realizzare la copertura del parco minerali per tutelare la salute dei servolani e non solo dei servolani». Soddisfatto anche il capogruppo della Lega alla Camera, Massimiliano Fedriga. « «Un plauso all'amministrazione comunale per essere riuscita a imporre la massima fermezza nei confronti del mancato rispetto delle prescrizioni Aia da parte di Siderurgica Triestina». Sullo stop alla relazione dell’azienda, infine, è intervenuto il M5S. «La decisione della Conferenza di valutare insoddisfacente il progetto di copertura dei parchi minerali della Ferriera di Servola conferma tutte le nostre perplessità - ha commentato il consigliere regionale Andrea Ussai -. È urgente quindi che la politica prenda decisioni conseguenti. Servono iniziative concrete, partendo dall’Aia che deve essere rivista immediatamente».

Silvio Maranzana

 

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 26 gennaio 2017

 

 

Arpa in Ferriera, residenti in assemblea

Odori, rumori ed emissioni dai camini. Sono i tre fronti su cui si è concentrata ieri la nuova visita ispettiva eseguita dai tecnici dell’Arpa all’interno dello stabilimento siderurgico di Servola. Una visita annunciata via Twitter, in tarda mattinata, a controlli avvenuti. In realtà, hanno fatto poi sapere dall’Arpa, si è trattato “solo” della coda della visita ispettiva eseguita a fine dicembre scorso. Un sopralluogo già calendarizzato, insomma, a cui ne seguirà un altro tra circa tre settimane. Anche il quel caso i “bersagli” dei controlli saranno monitoraggio dell’inquinamento odorigeno, Sme (il sistema di controllo su camini ed emissioni) e primi interventi di insonorizzazione. Intanto ieri sera al Caffè San Marco si è svolta l’assemblea pubblica organizzata dal Comitato 5 dicembre per fare il punto sulla questione Ferriera, soprattutto alla luce del recente ultimatum di Arvedi contro «il clima ostile» della città. Tra i partecipanti anche il sindaco Roberto Dipiazza. Nel corso della serata si è discusso della possibilità di scendere nuovamente in piazza per la chiusura dell’area a caldo e della Conferenza dei servizi in programma oggi.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 25 gennaio 2017

 

 

Giardini inquinati - Via al programma di risanamento - Il tavolo istituzionale incarica il Comune della stesura - L’approvazione spetterà poi all’Istituto superiore di Sanità
La bonifica degli spazi gioco per le scuole di Servola. Le super-piante per assorbire i veleni dei giardini pubblici. Serviva un piano per partire. E finalmente, a nove mesi dalla clamorosa scoperta dell'inquinamento nelle aree verdi della città, le istituzioni hanno partorito qualcosa di operativo. La situazione si è sbloccata ieri pomeriggio al termine del tavolo che coinvolge Regione, Arpa, Comune e Azienda sanitaria universitaria integrata. Era presente anche l'esperto a cui gli enti spesso di rivolgono per tematiche analoghe: il professor Pierluigi Barbieri, del Dipartimento di scienze chimiche e farmaceutiche dell'ateneo, pratico di tecniche di decontaminazione naturale. È lì, in quella riunione, che si è deciso di dare mandato al municipio di stendere un programma. Sarà l'Istituto superiore di sanità ad approvarlo in via definitiva; ma, trattandosi di amministrazioni centrali, come ha lasciato intendere l'assessore comunale all'Ambiente Luisa Polli, i tempi non sono affatto certi. Comunque la novità è che l'assessore, assieme alla collega Elisa Lodi, responsabile dei Lavori pubblici, stavolta hanno stabilito cosa fare. Precisato che Trieste deve fare i conti con un "inquinamento diffuso" del suolo, a macchia di leopardo, le cui ragioni sono varie e poco chiare (smog da traffico, impianti di riscaldamento, porto, industrie, tipologia di terreno usato in passato), il Comune ora sa come muoversi: negli spazi verdi del "don Chalvien" di via Svevo e della “Biagio Marin” di via Praga, le due scuole con giardini off-limits, si procederà con la rimozione (tecnicamente "scorticamento") dello strato di terra contaminato. Le zolle saranno sostituite con un nuovo manto erboso. Per gli altri cinque siti si applicherà il "fitorimedio", cioè piante capaci di produrre microrganismi in grado di degradare le sostanze. Si tratta, nello specifico, di piazzale Rosmini, del "de Tommasini" di via Giulia, della pineta "Minussi" di Servola, del cortile della chiesa di San Lorenzo e dello spazio aperto dell'Associazione amici del presepio in via dei Giardini. Il programma predisposto dal Comune, sollecitato anche da un ordine del giorno del Consiglio comunale, sarà illustrato al tavolo regionale, per essere quindi sottoposto al vaglio finale dell'Istituto superiore di sanità. Sarà ancora l'Arpa, non appena conclusi gli interventi, a monitorare le aree verdi in modo da capire se il problema persiste o meno. «In ogni caso - ha precisato Polli - se verranno individuati altri siti problematici avremo uno strumento operativo pronto. Perché questo è un piano permanente. Tra l'altro possiamo affermare che è una sorta di progetto pilota per il Paese». Il municipio dispone di 350 mila euro stanziati dalla Regione e di ulteriori 100 mila ripartiti con il proprio bilancio, ha ricordato l'assessore Lodi. «Quella che andremo ad attuare - ha puntualizzato invece Polli - è una sorta di depurazione delle zone in cui sono state rinvenute le sostanze. Per quanto riguarda le scuole - ha evidenziato - già le linee guida dell'Istituto superiore di sanità prevedono che, di fronte alla presenza di siti utilizzati dai bambini, si proceda con la massima cautela. Per questo togliamo lo strato di terreno, per poi piantare altra erba».

Gianpaolo Sarti

 

TEST - Nuove centraline per verificare l'esito

Centraline, ancora centraline. L'Arpa, come ha annunciato ieri in conferenza stampa l'assessore comunale all'Ambiente Luisa Polli, ha acquistato una ventina di dispositivi da impiegare per la raccolta e l'analisi delle particelle che si trovano nell'aria. «Saranno posizionate nei punti della città dove si presume un maggior inquinamento - ha precisato l'assessore - e serviranno a capire se, dopo l'attività di bonifica e di fitorimedio, la contaminazione nel terreno persiste o no. Comunque, anche la direzione del vento, nel corso degli anni, può aver influito sulla situazione nei giardini. In particolare, da quanto proviene dal porto. Ecco perché monitoreremo ancora i siti individuati. È una verifica - ha proseguito - che serve ad appurare se l'inquinamento è risolto o se continua, magari perché causato dallo smog. Quindi, conclusi gli interventi, andremo ad accertare se sarà tutto risolto. La nostra intenzione - ha concluso - è darci da fare rapidamente, almeno per ciò che ci compete».

(g.s.)

 

GLI INTERVENTI - Menis (M5s): «Stravolta la nostra mozione»
L’inquinamento dei giardini è ancora terreno di scontro politico. È il Movimento Cinque Stelle, stavolta, ad attaccare. «Lunedì sera - ripercorre il capogruppo Paolo Menis - è stata portata con urgenza nell'aula del Consiglio comunale una nostra mozione sull'uso del fitorimedio per bonificare i giardini contaminati di Trieste. Il fitorimedio è una tecnologia di bonifica già sperimentata a Trieste all'ex Opp nel 2007 - ricorda il consigliere - con risultati di rilievo nel ridurre le concentrazioni delle sostanze inquinanti. A detta dei tecnici dell'Università di Trieste, che se ne sono occupati, è una tecnica che richiede tempi contenuti, costa dalle 10 alle 15 volte in meno delle bonifiche tradizionali ed è almeno altrettanto efficace. La nostra mozione - afferma ancora Menis - riportava nelle premesse il riferimento esplicito alla natura industriale degli inquinanti riscontrati dall'Arpa nei giardini pubblici. L'Arpa ha infatti rilevato nel terreno dei giardini concentrazioni elevate di diossine e furani clorurati, noti per essere prodotti prevalentemente da combustioni di tipo industriale». Ma, protesta il grillino, la mozione sull'utilizzo delle tecniche di fitorimedio per bonificare le aree contaminate da sostanze di derivazione industriale, «è stata prima bocciata sia dal centrodestra del sindaco anti-Ferriera che dal centrosinistra a trazione Serracchiani - polemizza Menis - e poi prontamente sostituita da un documento debolissimo, con il quale si afferma sì l'intenzione di portare avanti tale sistema naturale, ma sostenendo al contempo la tesi dell'inquinamento dovuto a cause non precisamente individuabili, prendendo per l'ennesima volta in giro i cittadini». Di qui la presa di posizione dei Cinquestelle: «Siamo convinti dell'utilità del fitorimedio per eliminare le contaminazioni dei giardini pubblici - conclude il capogruppo - ma il M5s non può abdicare alla richiesta di conoscere da dove questo inquinamento provenga. Se non si identificano chiaramente le fonti, e non si prendono provvedimenti di conseguenza, gli inquinanti continueranno a depositarsi sul suolo dei nostri giardini, a prescindere da qualsiasi tipo di rimedio si metta in campo».

(g.s.)
 

 

San Dorligo in prima linea nella tutela del verde pubblico
SAN DORLIGO - Il Comune di San Dorligo della Valle, insieme al Comune di Rivignano Teor, organizza sabato alle 9.30 all’auditorium “A. Comelli” nella sede della Regione a Udine in via Sabbadini 31, il convegno dal titolo “Gli alberi in ambiente urbano: attuazione delle nuove norme, responsabilità, buone pratiche e cura degli alberi nel paesaggio urbano. L’evento è realizzato in collaborazione con esperti florovivaisti lombardi e veneti, con i direttori e tecnici dei giardini pubblici del Fvg e con il circolo Legambiente di Udine. Per partecipare è necessario iscriversi online sul sito www.regione.fvg.it. Il convegno si pone come obiettivi la sensibilizzazione degli amministratori e tecnici degli enti locali, professionisti del settore, cittadini e del Fvg sulla efficace attuazione delle attribuzioni assegnate (art. 12, legge n. 154/2016, c.d. “Collegato agricoltura”) secondo le linee guida nazionali in fase di elaborazione e vuole favorire il coordinamento delle associazioni di settore regionali con quelle nazionali per una condivisione di strategie comuni e coordinate a livello nazionale. L’evento è rivolto a istituzioni, professioni, scuole, cittadini, al fine di condividere pratiche corrette, valide da ora e per il futuro. A moderare i lavori sarà Paolo Tubaro, del Circolo Legambiente “Laura Conti” di Udine. Il sindaco di San Dorligo Sandy Klun porterà i saluti dell’amministrazione a inizio convegno. Gli interventi spazieranno su diversi temi: dalla proposta di istituire la “Carta degli alberi ornamentali” alla gestione sostenibile del verde urbano tra problemi e prospettive fino alla gestione della foresta urbana tra tutela della sicurezza ed incremento del benessere ambientale. Prevista la partecipazione, tra gli altri, dell’assessore regionale alla Pianificazione Mariagrazia Santoro.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 24 gennaio 2017

 

 

In treno all’aeroporto - Parte il cantiere dopo 29 anni di attesa - Lo scalo di Ronchi sarà collegato alla linea Trieste-Venezia - Al via i lavori del polo intermodale da 17,2 milioni di euro
RONCHI DEI LEGIONARI - Era il 1988 quando il polo intermodale di Ronchi dei Legionari veniva inserito nel piano regionale dei trasporti. Ieri, 29 anni dopo, l'area di 20mila metri quadrati compresa tra l'aeroporto e la linea ferroviaria Trieste-Venezia ha ospitato la cerimonia per la posa della prima pietra. I cantieri verranno chiusi tra un anno e il primo convoglio ferroviario fermerà nel febbraio del 2018. Alla cerimonia per la posa della prima pietra hanno partecipato la governatrice Debora Serracchiani e il presidente della società di gestione dello scalo, Antonio Marano, entrambi soddisfatti per il decollo di lavori che “valgono” qualcosa come 17,2 milioni di euro. «Quest’opera sarà un unicum a livello nazionale - ha detto Marano -, un volano di crescita per tutto il territorio. Ora tocca a noi promuovere nella maniera giusta il Trieste Airport, ma posso dire che anche su questo fronte non mancano le novità». Da parte sua Serracchiani ha rivendicato l'importanza dell'azione svolta a Roma in sede governativa, che ha portato al finanziamento del secondo lotto di 6,9 milioni di euro, recentemente approvato dal Cipe. «È tempo di smettere di dire che nessuno ci conosce - ha detto - e anche di criticare i miei famosi viaggi a Roma. Se, come nel caso del finanziamento del secondo lotto, quei viaggi portano risultati, io continuerò a farli. È vero, le prime risorse erano state stanziate nel 2000, ma non serve a nulla allocare risorse se poi non si spendono i soldi». Ad entrare nel dettaglio del progetto il direttore generale, Marco Consalvo. Il piano prevede, in particolare, una nuova fermata ferroviaria, da utilizzare non solo per i treni regionali; una nuova autostazione con 16 stalli in linea per i bus e una superficie pedonale di 2800 metri quadrati; un parcheggio multipiano con una capacità di 500 posti auto; un parcheggio a raso, della capacità complessiva di 1000 posti auto, di cui 320 dedicati agli utenti con abbonamento TPL e ferroviario (pendolari) e infine un collegamento pedonale tra l’aerostazione e le strutture del polo con passerella sopraelevata della lunghezza totale di 425 metri, con tappeti mobili per facilitare la percorrenza. Prossima sfida, incrementare voli e passeggeri. Questi ultimi negli ultimi cinque anni sono stati in continua riduzione, ma da novembre scorso il traffico è in significativa crescita (novembre +2,1%, dicembre +5,3%, gennaio +17%), mentre la stima per il 2017 è di 840mila passeggeri con una crescita del 15 %. Alitalia, che garantirà tra l’altro per tutto l’anno il quinto volo con Roma, con l'entrata in vigore dell'orario estivo effettuerà due voli settimanali, dal 1 luglio al 10 settembre, su Olbia. Altrettanti saranno poi i voli settimanali con destinazione Bruxelles-Charleroi, operati da Tui Fly. La spagnola Primera Air volerà, dal 30 maggio al 12 settembre, una volta alla settimana su Reykjavik, mentre ci saranno charter per Madrid, Minsk, Riga, Tallin, Valencia e Londra. Ryanair, infine, ha annunciato l'annualità dei suoi voli su Catania (3 frequenze settimanali), Trapani (1 volo settimanale in più da giugno a settembre) e Valencia (1 volo settimanale in più a luglio). E lo stesso vale per Volotea su Napoli e Borajet su Istanbul.

Luca Perrino

 

 

Auto elettriche, balzo di ricariche - Nel 2016 sono aumentati del 200% i “rifornimenti” nelle dieci colonnine piazzate da AcegasApsAmga
I numeri sono ancora modesti e AcegasApsAmga è la prima ad ammetterlo: la tendenza però è buona e promettente, ragion per cui l’utility non esclude di rafforzare il servizio. La società, partecipata dal Comune di Trieste e controllata da Hera, ha reso noto le cifre sul “rifornimento” delle auto elettriche a Trieste: nel 2016 il numero delle ricariche, eseguite utilizzando le dieci colonnine attivate ai primi del 2015, è salito a 734 rispetto le 239 dello scorso anno. L’incremento percentuale viaggia sul 200%, decisamente alto ma, come si è detto, da tarare su quantità ancora esigue in termini assoluti. AcegasApsAmga vuole crederci, anche perché le 66 ricariche mediamente calcolabili per ogni colonnina hanno generato un consumo totale pari a circa 8000 kWh, determinando un aumento dell’energia erogata superiore al 400%, reputato «ottimo» dalla società. Alcune colonnine, sistemate in luoghi di forte passaggio o di maggiore accessibilità, hanno registrato una particolare attrattività: si rammentano i casi di Basovizza con 237 cariche, di via Slataper vicino all’Ospedale Maggiore con 222 “rifornimenti” e del parcheggio di via San Nazario a Prosecco con 214 servizi. Ma AcegasApsAmga, che intende spingere sul pedale elettrico, ricorda anche le altre sette “stazioni” disponibili: Quadrivio Opicina, piazzale 11 Settembre, via Ginestre a Roiano, Rotonda Boschetto, piazzale Straulino sulle Rive, ratto Pileria a Servola. L’azienda aveva programmato l’inserimento di altre 10 colonnine, che avverrà se la tendenza si manterrà favorevole. La nota, diffusa ieri mattina, insiste sul dato ambientale, che è quello che spiega l’attenzione sulla propulsione elettrica: calcolando che una ricarica media è di circa 15 kWh e consente un’autonomia di 100 chilometri, le colonnine di Trieste avrebbero evitato nel corso del 2016 il consumo di quasi 4250 litri di carburante, equivalenti a 11 tonnellate di anidride carbonica. Tre le priorità sulle quali AcegasApsAmga sta operando in questo scorcio iniziale dell’anno, di cui un paio dalle forti connotazioni ambientali. Difatti l’azienda è impegnata sullo sviluppo di HergoAmbiente, programma mirato su una raccolta “intelligente” dei rifiuti: ognuno dei 15 mila cassonetti triestini è dotato di una “tag” che consente la lettura informatica dell’attività svolta. Rush finale, inoltre, per il depuratore di Servola, che AcegasApsAmga intende inaugurare la prossima estate: dall’alto è possibile verificare il rapido cammino delle opere murarie. La terza iniziativa, su cui la struttura aziendale è all’opera, riguarda HergoReti, dedicata alla gestione degli impianti idrici, dei quali, per favorire una puntuale manutenzione, è stata realizzata una sorta di minuzioso censimento informatico. A cavallo tra settore idrico e ambientale sono i progetti fognari, che hanno AcegasApsAmga come stazione appaltante: tra Caresana, Santa Croce, Longera sono in programma oltre 5 milioni di opere, tese ad ammodernare una rete obsoleta.

Massimo Greco

 

 

Rifiuti a domicilio per Sgonico e Monrupino - Sarà eseguita a giorni fissi la raccolta della differenziata secca. Contenitori dotati di microchip
SGONICO Sarà fatta a giorni fissi la raccolta a domicilio della differenziata secca nei Comuni di Sgonico e Monrupino. Nel primo sarà effettuata al martedì e al venerdì, a Monrupino al lunedì. L’annuncio della novità, che ha un significato ben più ampio di ciò che potrebbe sembrare a prima vista, è della Isontina Ambiente, la srl che, dopo Duino Aurisina, ha ricevuto l’incarico di smaltire i rifiuti anche nei territori di Sgonico e Monrupino. «In questa maniera - spiega Stefano Russo, responsabile dell’Ufficio relazioni esterne dell’azienda di Ronchi dei Legionari - potremo garantire un servizio porta a porta che ha l’obiettivo di garantire una puntuale razionalizzazione dello smaltimento. In sostanza - aggiunge - le famiglie di Sgonico e Monrupino porteranno i rifiuti di plastica, carta, vetro e dell’umido negli appositi contenitori, tutto il resto della differenziata lo andremo a prendere noi e lo porteremo direttamente nel termovalorizzatore. Si allestirà così un circuito virtuoso - precisa - che dovrebbe garantire una perfetta efficienza». Ovviamente molto dipenderà dalla disponibilità dei residenti, ma il meccanismo predisposto dalla Isontina Ambiente è rassicurante sotto questo profilo: le famiglie sono state dotate, per la raccolta della differenziata secca, di appositi contenitori ciascuno dei quali è dotato di un suo microchip. Gli addetti che effettueranno la raccolta a domicilio saranno muniti di un braccialetto anch’esso munito di microchip, che stabilirà così un dialogo con ogni contenitore. «Si tratta di uno schema - riprende Russo - in grado di garantire un controllo pressoché totale sui vari canali di raccolta dei rifiuti, a tutto vantaggio della popolazione perché è evidente che, se si riesce a razionalizzare il servizio, il relativo costo potrà, in prospettiva, essere rivisto». La definizione del programma è stata concertata con le giunte dei due Comuni, che hanno espresso entrambe compiacimento per l’avvio di questa nuova procedura. «In territori come quelli di Sgonico e Monrupino - conclude il portavoce della Isontina Ambiente - il nostro compito è anche facilitato dal fatto che si tratta di paesi con case sparse, dove la collaborazione fra residenti è diffusa».

Ugo Salvini

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 23 gennaio 2017

 

 

Giardini inquinati, la ricetta ambientalista - Legambiente in pressing sul Municipio per l’impiego di piante in grado di assorbire benzene e metalli
Legambiente si schiera a favore del fitorimedio, cioè l'impiego di piante in grado di purificare l’ambiente, per risanare le aree verdi della città e, in particolare, gli ormai tristemente noti giardini inquinati. A ribadirlo, nel corso di un incontro con la stampa, è stato il presidente provinciale dell’associazione ambientalista, Andrea Wehrenfennig.

«Si tratta - ha spiegato - di utilizzare piante che sono in grado di assorbire dal suolo sia i metalli pesanti sia gli idrocarburi policiclici e aromatici e il benzene, a seconda della specie impiegata. Nei nostri giardini - ha precisato - ci sono scorie di vario tipo, perciò questa tecnica, che fra l'altro costa pochissimo e non è invasiva, ci sembra la più adatta. La Regione e l'Arpa hanno già dato il loro parere favorevole a questa soluzione - ha concluso Wehrenfennig - e sembra che anche il Comune finalmente si stia orientando in questa direzione, perciò auspichiamo che quanto prima si cominci concretamente su questo versante». «Prima di individuare le cause dell'inquinamento - ha osservato Mario Mearelli, ex docente universitario ed esperto di Legambiente - aspetto comunque importante, è fondamentale purificare l'ambiente in cui tutti viviamo quotidianamente. Il fitorimedio permette di operare con efficacia e ad ampio raggio, senza limitarci a specifici aspetti dell'inquinamento. Essenziale - ha concluso - è effettuare, in via preliminare, un'analisi dei terreni per capire quali sono gli elementi inquinanti per eliminarli». «Parlare di inquinamento diffuso senza approfondire - ha evidenziato Lino Santoro, anch'egli esperto di Legambiente - è un giochetto che non funziona. Il fitorimedio non solo costa pochissimo rispetto a tutti gli altri espedienti di tipo ingegneristico, ma ha anche il pregio di essere gradevole sotto il profilo estetico- ha continuato - in quanto si tratta di arricchire il tessuto urbano e i giardini di fiori e piante. Molto più invasivo l'intervento di scavatori per spostare masse di terreno. Una volta individuata la principale causa di inquinamento in un dato sito - ha concluso - si procede utilizzando la pianta che meglio si presta a debellarlo».

Ugo Salvini

 

I big romani della sanità annunciati a Servola non riuniscono la città - Pd e sindacati: «Segnale concreto verso lavoratori e residenti»

Ma per Forza Italia, M5S e comitati l’obiettivo non cambia
Dal Pd ai sindacati è vissuta come la mossa giusta al momento giusto, decisiva per superare quel dualismo lavoro-salute che sta divorando Trieste. Fuori dal centrosinistra, e tra i comitati chiamati da Roberto Dipiazza a fargli da consulenti in materia, la si vede invece come un che di inconferente rispetto all’obiettivo, uno, solo e immutabile, dello spegnimento dell’area a caldo. Le reazioni domenicali all’intervista rilasciata al Piccolo da Debora Serracchiani sulla Ferriera dicono che l’annuncio della discesa in campo degli esperti dell’Istituto superiore di sanità, da deputare allo studio dell’impatto ambientale della fabbrica a garanzia dei residenti, non schioda il dibattito, per lo meno apparentemente, dalle posizioni cementate nell’ultima campagna elettorale, e non solo quella. Mentre l’assessore all’Ambiente di Dipiazza (a sua volta in silenzio) Luisa Polli e il capogruppo alla Camera e segretario regionale del Carroccio Massimiliano Fedriga non commentano, nel centrodestra a rischiararsi la voce a botta calda è la coordinatrice regionale e onorevole di Fi Sandra Savino. «Quella della presidente secondo cui la Ferriera inquina meno è una dichiarazione che non ci sta, non ci può stare», afferma tranchant Savino che si rituffa ai tempi della precedente giunta regionale, quella di Renzo Tondo, di cui lei faceva parte: «Noi avevamo impostato un Accordo di programma che prevedeva una riconversione vera, affrontare la Ferriera come una questione isolata non va bene, mai vorrei che questa cosa restasse lì in eterno». «La siderurgia pulita vera prevede altri tipi di impianto e lì hanno visto che non ne vale la pena», chiude Savino prendendo le difese di chi non parla: «Serracchiani imputa al sindaco di vivere una contrapposizione costante per motivi elettorali, le ricordo che a lui è deputata la salute dei cittadini». A Dipiazza il capogruppo in Consiglio comunale ed ex candidato sindaco grillino Paolo Menis non fa cenno, ma rileva «un discorso contraddittorio di Serracchiani là dove prima dice che la Ferriera inquina meno e poi non sottovaluta gli sbuffi e le segnalazioni dei cittadini. Quest’area a caldo il territorio non se la può permettere». «Ma il punto fondamentale - aggiunge Menis - è capire in questo momento, oltre al destino dei trenta in cassa che dovevano essere riassunti a fine anno di cui non sappiamo nulla, se Arvedi rispetta o meno i contenuti dell’Accordo di programma, dopo quello che si è detto sugli ultimi incontri in Regione». Un assist per Alda Sancin, presidente del Comitato No Smog, che insiste «sul fatto che l’Accordo di programma prevedeva anche la copertura del parco minerali, e ora Arvedi ha detto che non serve, così pare non interessi più. Come poi sarebbe da cementare sotto il parco per evitare la contaminazione della falda e da intervenire sullo stato delle acque antistanti». «Alcuni punti dell’intervista - chiosa Sancin - ci lasciano perplessi. La signora Serracchiani dice che il mostro non inquina? Allora vorrei capire tutti quei nuvoli dall’altoforno perché continuano a esserci. Parliamo di due realtà diverse, quella che vediamo noi è diversa da quella che vede lei da piazza Unità. L’Istituto superiore di sanità? Sono già stati fatti due studi in passato che testimoniano che l’incidenza dei tumori qui è piu alta». Il capogruppo Pd alla Camera Ettore Rosato plaude invece, convintamente, all’annuncio di Serracchiani sui big romani della sanità in campo a Servola: «Quella della presidente è una posizione seria, in linea con il lavoro che sta facendo come commissario dell’area di crisi complessa, teso concretamente a salvaguardare salute e occupazione insieme». Fatti insomma, per Rosato, da esibire di fronte alle chiacchiere della controparte: «La contrapposizione di Dipiazza? È sulle parole, perché sui fatti da parte sua mai si è visto niente. La sua strategia sul piano dialettico non porta da nessuna parte, se non creare mero allarmismo nei lavoratori e disorientamento nei cittadini». D’accordo un altro parlamentare dem, il senatore Francesco Russo: «Ha ragione Serracchiani quando ricorda a Dipiazza le incongruenze di chi come lui negli ultimi 15 anni ha promesso e basta. È il centrosinistra ad aver fatto fatto qualcosa». Ma ancora non abbastanza, secondo lo stesso Russo: «Il coinvolgimento dell’Istituto superiore di sanità è un segnale forte, apprezzabile, perché qualcosa anche il centrosinistra ha sbagliato e i nostri risultati elettorali tra Servola e Valmaura lo dimostrano. Non siamo riusciti a mantenere appieno le promesse neanche noi, là dove Cosolini si era impegnato sia a garantire il fronte occupazionale che a lavorare per un processo di riconversione in cui, comunque, non si capisce quale orizzonte possa avere l’area a caldo». Il placet agli ispettori dell’Istituto superiore di sanità viene anche da Franco Palman, storica Rsu della fabbrica in quota Uilm: «Più e nuovi controlli possono dare maggiore sicurezza sia ai lavoratori che ai cittadini. Se domani mi dicessero che la Ferriera inquina decisamente sarei il primo a dire chiudiamo. Ma i dati sono inequivocabili e la situazione è migliorata. Di molto. Quanto al sindaco, beh, quasi ci mette in imbarazzo. Non sta prendendo la situazione seriamente, credo non abbia mai incontrato il Cavaliere (Arvedi, ndr) per fare un ragionamento articolato con lui in separata sede. E a chi alimenta la baruffa dicendo “siamo centomila contro mille” non posso che dirgli che questa è assurda. E lungi da noi sindacati dal voler fare l’avvocato dell’imprenditore».

Piero Rauber

 

 

DOLINA - San Dorligo della Valle - Riparte il servizio sulla differenziata

Si sta provvedendo al recupero della raccolta dei rifiuti differenziati nel territorio comunale di San Dorligo della Valle dopo la recente sospensione del servizio in occasione della forte bora della scorsa settimana. L'Area Servizi sul territorio del Comune di San Dorligo della Valle comunica quindi che effettuerà con le consuete modalità e i mezzi usuali il recupero dei rifiuti differenziati "porta a porta" non raccolti a causa della forte bora, secondo le seguenti modalità. Raccolta degli imballaggi (plastica, vetro, lattine): il giorno lunedì 23 gennaio 2017 in località Dolina, Crogole, Dolina zona Suhorje. Il giorno martedì 24 gennaio 2017 in località Domio, Lacotisce e Puglie. Raccolta di carta e cartone: il giorno lunedì 23 gennaio 2017 in località S.Antonio, Bottazzo, Mocco, Hervati, Crociata, Prebenico, Monte d'Oro e Caresana. Le restanti raccolte rifiuti verranno effettuate secondo il calendario consueto.

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA,22 gennaio 2017

 

 

Serracchiani schiera i “big” della salute al fianco dei servolani «Pronti a firmare un accordo con l’Istituto superiore di sanità. Ma grazie ad Arvedi la Ferriera oggi inquina meno del passato»
TRIESTE Assicura di comprendere davvero la diffidenza e le paure degli abitanti di Servola, esasperati da decenni di promesse e immobilismo. Rivendica però i risultati ottenuti negli ultimi 18 mesi sul fronte della riduzione dell’inquinamento. E annuncia un ulteriore impegno per vigilare sulla salute dei cittadini con il coinvolgimento del più accreditato organismo italiano in materia, l’Istituto Superiore di Sanità. Debora Serracchiani, governatrice e commissario straordinario per la Ferriera e l’attuazione degli interventi nell’area di crisi complessa di Trieste, manda in campo insomma i “big” del settore sanitario. E lo fa per dimostrare ancora una volta la determinazione con cui la Regione punta ad affrontare, e vincere, quella che lei definisce la «grande sfida», e cioè la possibilità di tenere insieme risanamento ambientale e continuazione dell’attività industriale. Quella stessa attività che, appena pochi giorni fa, Giovanni Arvedi ha minacciato di interrompere. Presidente, Arvedi ha lanciato un autentico ultimatum alla città: o cambia il clima ostile attorno alla Ferriera, o lo stabilimento rischia di chiudere. Sono molto preoccupata dalle posizioni espresse dal Cavaliere, che so essere serie e sincere. Allo stesso tempo, però, non mi faccio condizionare da nessuno. Affronterò Arvedi, come già accaduto in passato, e gli dimostrerò che noi, come lui, stiamo lavorando per raggiungere un obiettivo alto: tutelare salute e lavoro. C’è però chi, come Roberto Dipiazza, ha un altro obiettivo dichiarato: chiudere per sempre gli impianti. Io credo che il sindaco Dipiazza viva, anche per motivi elettorali, una contrapposizione costante con questo tema. Invece sapere che esiste una Ferriera che rispetta le regole, che in questo momento non inquina e che dà lavoro a quasi 600 persone, un numero peraltro destinato rapidamente a salire, non dovrebbe essere una sconfitta per lui. Comune e comitati dei “contras” contestano però l’affermazione secondo cui la Ferriera non inquina e imputano a Siderurgica Triestina il mancato rispetto delle prescrizioni ambientali. I progressi ottenuti nell’ultimo anno e mezzo sul fronte della riduzione dell’impatto ambientale sono inequivocabili e certificati dai costanti monitoraggi dell’Arpa che, vorrei ricordarlo, è l’unico soggetto autorizzato dalla legge ad eseguire i controlli. Qualcuno, però, considera l’Arpa troppo “vicina” alla politica. Stiamo parlando di un soggetto autonomo, responsabile e indipendente dall’amministrazione regionale. Peraltro noi abbiamo individuato i vertici con avviso pubblico ed esame dei curricula. E l’attuale numero uno dell’Agenzia, Luca Marchesi, ha dei precedenti professionali talmente inattaccabili da essere stato scelto come presidente di tutte le Arpa regionali. Ma cosa dicono, in concreto, questi dati dell’Arpa? Dicono, solo per fare qualche esempio, che i valori di benzo(a)pirene sono oggi sette volte inferiori rispetto a quelli rilevati nel 2010. E provano altrettanto inconfutabili progressi a livello di emissioni e sforamenti nelle concentrazioni medie di Polveri sottili. Rispetto al passato, quando cioè la produzione era ferma o comunque sensibilmente inferiore, la Ferriera oggi inquina molto meno. E le critiche di scarsa trasparenza dei dati dell’Arpa mosse da più parti? Ecco, queste proprio non le capisco. Per la prima volta nella storia della Ferriera chiunque può trovare online, direttamente sul sito arpa.fvg.it, tutti i dati di carattere ambientale, mentre sul sito della Regione c’è la sezione relativa alla struttura commissariale, in cui sono inseriti tutti gli interventi legati all’attuazione dell’accordo di programma. Se c’è un rilievo quindi che davvero non può essere mosso a questa amministrazione, è quello dell’assenza di trasparenza. Detto questo, c’è un altro discorso da fare. E cioè? Dire che i dati sono in miglioramento, e come abbiamo visto lo sono, non significa sostenere che a Servola vada tutto bene. Tutt’altro. Io capisco la diffidenza che provano gli abitanti di Servola: hanno tutte le ragioni del mondo per essere così preoccupati. Ce le hanno perché per decenni nessuno ha fatto nulla all’interno della Ferriera che, lo ricordo, esiste dal 1897. Negli anni passati - anche quando al governo della città c’era l’attuale amministrazione comunale - non sono state trovate soluzioni né per la salute dei residenti né per le condizioni di lavoro degli operai. Capisco quindi che le persone non siano ancora contente. Non potranno esserlo del tutto fino a quando non avremo portato a termine il percorso delineato dall’articolo 252 bis del Testo unico ambientale. Articolo che delinea la grande sfida che in tutto il Paese solo noi, qui a Trieste, abbiamo accettato di affrontare: fare risanamento ambientale e contemporaneamente continuare la produzione industriale. E per riuscirci sono serviti tre fattori. Quali? Ottenere il riconoscimento per Trieste dello status di crisi industriale complessa chiesto dall’amministrazione Tondo e ottenuto poi da noi. Riuscire, grazie a questo riconoscimento, ad avviare l’accordo di programma. E infine trovare l’industriale, Arvedi appunto, pronto ad investire in questo progetto d’intesa con la parte pubblica. Se non ci fosse stato questo mix di fattori, oggi ci troveremmo di fronte all’ennesimo sito inquinato lasciato a se stesso, in cui nessuno investe un euro e che quindi inquina molto di più. Di lavoro da fare, però, ne resta ancora molto. Certamente. Nessuno ha la bacchetta magica e pretende di risolvere problemi tanto profondi in pochi mesi. Gli strumenti che abbiamo a disposizione - a partire dalla novità dell’Aia aperta, che consente di modificare e rivedere le prescrizioni ogni volta che accade qualcosa - e l’impegno dell’azienda hanno permesso però di realizzare buona parte degli interventi previsti. Resta da centrare a breve un altro risultato importante. Quale? Occorre imparare a gestire correttamente l’impianto e trovare l’equilibrio che consenta, in prospettiva, di evitare sbuffi, nuvole rossastre e tutte le altre anomalie che registriamo in questa fase. E che peraltro fanno sempre scattare l’intervento dell’Arpa, come previsto dall’Aia aperta. Proprio la frequenza delle anomalie crea apprensione tra i residenti. Da parte nostra non c’è alcuna sottovalutazione delle percezioni dei cittadini. Teniamo in massima considerazione le loro preoccupazioni, specie per un tema cruciale come quello della salute. Proprio per questo abbiamo avviato un progetto che chiama in causa l’Istituto Superiore di Sanità, vale a dire il massimo organismo pubblico in materia di salute. Cosa prevede il progetto? Puntiamo a sottoscrivere in tempi brevi un accordo quadro di programma per offrire ai cittadini e ai lavoratori la possibilità di accedere ad una serie di metodiche tra le più tecnologicamente avanzate per lo studio dell’impatto ambientale, oltre ad attività di coordinamento e raccolta dati di carattere scientifico. Fin qui il tema fondamentale della salute. Ma in ballo, come detto, ci sono anche i posti di lavoro. I dipendenti di Siderurgica Triestina oggi sono 540. In futuro, una volta completati gli interventi previsti (dal laminatoio a freddo alla parte della logistica), dovrebbero salire a 650. E a loro si aggiungono quasi 100 lavoratori dell’indotto. Bene, sa quanto spende oggi l’azienda per i loro stipendi? Ventitrè milioni di euro lordi. Una cifra che poi “ritorna” sul territorio visto che le famiglie degli operai vivono e spendono in città. Siamo sicuri di poterci permettere di perdere una simile ricchezza che va poi sommata alla ragguardevole cifra di 1,5 milioni di tasse pagate da Arvedi su questo territorio? Io non credo. Così come non credo a certe cose che ho sentito in giro. Quali? Ho sentito dire che i 650 operai della Ferriera e dell’indotto dello stabilimento sarebbero facilmente riassorbibili: nell’amministrazione pubblica, nelle pizzerie e nei negozi. Ricordiamoci tra l’altro che stiamo parlando di operai che lavorano in Ferriera e hanno una formazione importante sulla quale bisogna continuare a lavorare. Ma, a prescindere da questo, se a Trieste si contano oggi settemila lavoratori disoccupati ed è così facile reimpiegarne 650 “nuovi”, beh, allora direi intanto di partire da quei settemila.

Maddalena Rebecca

 

Le strategie - Dalla sfida con il Comune nelle aule di tribunale al rilancio dell’area dell’ex Ezit - i numeri della Ferriera di Servola
Non solo il piano politico. La “guerra” sul futuro della Ferriera si gioca anche nelle aule del Tribunale amministrativo. Debora Serracchiani, tuttavia, preferisce non esprimersi sulle mosse del Comune. «Non commento un procedimento giudiziario in corso - afferma la presidente della Regione -. Mi limito ad affermare che il Tar si è già pronunciato respingendo in un’occasione l’ordinanza del sindaco».Quando si parla di crisi industriale complessa a Trieste non si fa riferimento solo a Servola, ricorda la governatrice. Della partita fa parte anche tutta l’area ex Ezit per la quale Invitalia, insieme al commissario, ha già avviato la “caccia” a società e imprenditori pronti a investire. «Sono già arrivate 29 manifestazioni di interesse - ricorda Serracchiani - che potrebbero creare 300 posti di lavoro»

 

 

 

 

IL SOLE 24ORE - SABATO, 21 gennaio 2017

 

 

2i Rete Gas punta sulle attività italiane di Gas Natural Fenosa
È imminente un altro riassetto, di medie dimensioni, nel settore del gas italiano. Il gruppo spagnolo Gas Natural Fenosa starebbe infatti per cedere le sue attività sul suolo tricolore e in corsa per esaminare il dossier ci sarebbero alcuni fondi infrastrutturali e in particolare 2i Rete Gas, controllata del fondo F2i.
Attraverso le acquisizioni di Enel Rete Gas e G6 Rete Gas, 2i Rete Gas rappresenta attualmente il secondo operatore nazionale indipendente nel settore con circa 57.000 chilometri di rete gestita e oltre 3,8 milioni di utenti serviti dalla rete.
Presente su tutto il territorio nazionale e impegnata nell’opera di metanizzazione di molti comuni delle regioni del Sud Italia, 2i Rete Gas sta cercando di assumere il ruolo di consolidatore del sistema.
Un target interessante potrebbe essere proprio il network di Gas Natural Fenosa, presente in Italia dal 2002 dove ha raggiunto, operando tramite società separate, un posizionamento nei servizi, nella distribuzione del gas naturale e nella vendita di gas naturale ed elettricità.
Attualmente serve oltre 420.000 famiglie italiane e circa 17.000 clienti business. Parte delle attività sono nel Sud dell’Italia e la sede operativa è ad Acquaviva delle Fonti (in provincia di Bari). Da notare che 2i Rete Gas (fonti vicine alla società contattate dal Sole 24 Ore non hanno commentato i rumors) starebbe guardando il dossier, anche se con interesse, al pari di altri operatori.
La dismissione delle attività italiane di Gas Natural Fenosa sarebbe infatti all’inizio della procedura. Secondo quanto indicato da Dealreporter, un mandato in questa direzione sarebbe stato affidato dal gruppo iberico alla banca d’affari Rothschild.
Il valore della transazione, secondo alcune indiscrezioni, potrebbe essere superiore ai 400 milioni di euro. Nel 2015 le attività di Gas Natural sul territorio italiano hanno generato un margine operativo lordo di 66 milioni di euro. In ogni caso l’interesse dei potenziali acquirenti potrebbe essere focalizzato soprattutto sulla base di clienti della controllata italiana di Gas Natural.
Tra gli altri soggetti che verrebbero dati come pronti ad esaminare il dossier ci sarebbe anche Italgas, anche se secondo altri rumors il gruppo energetico sarebbe tiepido sull’operazione. In realtà, il deal potrebbe interessare in modo particolare ad alcuni fondi infrastrutturali pronti a crescere in Italia in termini di asset gestiti.

Carlo Festa

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 21 gennaio 2017

 

 

«La città abbassi i toni sulla Ferriera» - L’appello delle Rsu. Il Pd attacca Dipiazza: «Smetta di fomentare tensioni». Razeto: «Con Arvedi impegni rispettati»
«La proprietà della Ferriera non sta ottemperando all’accordo di programma che prevede la copertura dell’area minerali. Allora cosa deve fare un sindaco? Deve inchinarsi e deve dire sì a questi che inquinano e che minano la salute dei cittadini? Io dico di no, e continuerò la mia battaglia». Attraverso un messaggio filmato postato sul suo profilo Facebook, il sindaco Roberto Dipiazza risponde così alle dichiarazioni della segretaria regionale del Pd, Antonella Grim (di cui riferiamo a fianco). «La Ferriera di Servola - aggiunge Dipiazza - è un problema serio, un problema di salute dei cittadini. Abbiamo fatto le analisi, e dalle urine si evince che l’inquinamento che emana da quello stabilimento è molto grave». Dipiazza “accusa” poi il Pd di aver voluto portare Arvedi, di «aver riattivato questo cancro al centro della città, che non è il futuro di Trieste, e di aver firmato un accordo di programma e l’Aia che sono documenti politici».Un invito ad abbassare i toni per evitare che sulla questione Ferriera il clima, giù fin troppo teso, diventi letteralmente incandescente. L’hanno rivolto ieri i rappresentanti di Fim Cisl e Fiom Cgil nel corso di un incontro con i vertici del Pd. Incontro voluto per ribadire ancora una volta la necessità di mettere lo stabilimento siderurgico- e i circa 700 operai che lì lavorano - al riparo da attacchi e tentativi di strumentalizzazione. Gli stessi da cui ha preso le distanze anche il numero uno di Confindustria, Sergio Razeto, tornato a ricordare «gli impegni assunti e rispettati dal Gruppo Arvedi per il ripristino manutentivo degli impianti e l'adeguamento dei presidi ambientali, con l'obiettivo di una drastica riduzione delle emissioni, dimostrando serietà in relazione alla tutela della salute dei lavoratori e dei cittadini». «C’è bisogno di abbassare i toni attorno alla Ferriera - ha sottolineato durante il confronto con i vertici Pd Umberto Salvaneschi della Fim Cisl - , altrimenti si rischia di andare oltre la dialettica, e in quel caso la situazione diventerebbe di difficile gestione». Thomas Trost della Rsu Fiom invece, ha invece ribadito la necessità di portare le questiono sollevate da Arvedi direttamente in sede ministeriale, visto che «solo con un piano industriale ben definito si può discutere con le istituzioni la prosecuzione dell’attività della Ferriera». Netta la presa di posizione dei dem. «Si è creato un clima molto pesante, che ha nel sindaco il principale responsabile. Dipiazza deve uscire dalla campagna elettorale e iniziare a fare il sindaco di tutti, anche dei 700 lavoratori che vivono grazie allo stabilimento servolano - ha affermato la segretaria regionale Antonella Grim, presente all’incontro insieme a Roberto Treu e Marco Cernich, del Pd triestino -. Il suo compito è essere un interlocutore serio per l’azienda, evitando di rilasciare dichiarazioni gravi e irresponsabili, come quando racconta che, se la Ferriera dovesse chiudere, assumerebbe lui centinaia di lavoratori in Comune o in qualche negozio monomarca. Affermazioni che denotano una leggerezza e una mancanza di serietà incredibili». È appunto quello occupazionale il grande timore che aleggia in questi giorni, specie dopo le ultime uscite del cavalier Arvedi. «Trieste - hanno proseguito Grim e Treu - non potrebbe permettersi una crisi occupazione di tale portata, quando già ci sono fin troppe persone alla ricerca di un lavoro. Dipiazza sta creando un clima di tensione molto alto, che sta lacerando la città. Per questo facciamo nostro l’appello dei sindacati a tentare di parlare di Ferriera in modo serio, per evitare di arrivare a uno scontro sociale molto pericoloso. In questa città - hanno concluso - c’è chi fomenta il clima di tensione, e ciò è grave». Sul futuro di Servola, come detto, ha paralto anche il presidente di Confindustria Friuli Venezia Giulia, che giovedì è stato infatti sentito dalla Commissione Industria del Senato. «Il Gruppo Arvedi - ha affermato Razeto in quella sede - sta rispettando il programma di risanamento ambientale previsto dalla nuova Aia, sia in termini di parametri che di tempi da rispettare». Nel 2015 e nel 2016 ci sono stati fenomeni di malfunzionamento, ricorda l’associazione di categoria, ma si inseriscono in un percorso di interventi che, a detta degli enti di controllo, sta producendo miglioramenti visibili. «Lo stesso cavalier Arvedi ha ribadito l'attenzione della proprietà alla sostenibilità ambientale, e probabilmente questo è il primo sforzo condiviso per raggiungere la tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini e per proseguire e ampliare attività industriale e occupazione». Di fronte a questo quadro, il percorso di ammodernamento va ulteriormente monitorato. «Bisogna quindi attendere il termine degli interventi - concludono gli industriali - per avere il nuovo quadro complessivo e dati oggettivi sulla riduzione degli inquinanti che è stata prospettata».

 

 

Tari scontata a ristoranti e negozi per la lotta allo spreco alimentare
Delibera di giunta innescata da una mozione di Forza Italia e Cinque stelle Modifiche anche sul compostaggio domestico e per i b&b
La lotta contro lo spreco passa da una delibera varata dalla giunta comunale in questi giorni. Un documento che, su indicazione dell’assessore al Bilancio Giorgio Rossi, promette sconti fino al 10% sulla tassa dei rifiuti per supermercati, ristoranti, fabbriche alimentari o semplici botteghe che si impegneranno a non buttare nella spazzatura il cibo. Quanto avanza da scaffali, pentole o prodotti non più adatti per la vendita, magari semplicemente perché prossimi alla scadenza o soltanto ammaccati nella confezione. Il municipio, su spinta del consigliere di Forza Italia Piero Camber, studierà un piano per creare una rete di volontariato, con associazioni e onlus, in modo da organizzare la distribuzione alle famiglie più bisognose. L’iniziativa anti-spreco non è l’unica novità della delibera: la giunta ha rivisitato e allargato il sistema di sconti sulla Tari attualmente in vigore, pari al 20%, pure per chi garantisce il compostaggio dei rifiuti organici. Dovrà farlo in modo continuativo reimpiegando il materiale nei giardini di casa. Lotta agli sprechi La delibera della giunta fa riferimento alle «attività commerciali, industriali e professionali che producono o distribuiscono beni alimentari». Si tratta dunque di supermercati, industrie o anche ristoranti ad esempio: chi cede a titolo gratuito, in forma diretta o indiretta, prodotti agli indigenti (o anche per l’alimentazione animale), può ricevere una riduzione della Tari (imposta sui rifiuti). Il valore dello sconto è calcolato in proporzione alla quantità del cibo che viene donato: chi cede un ammontare annuo compreso tra i 5 e i 10 quintali pagherà il 6% in meno. -8% da 10 a 20 quintali; -10%, infine, per chi riesce ad andare oltre. È necessario dimostrare l’avvenuta cessione delle eccedenze ad associazioni assistenziali o di volontariato riconosciute. La rete di volontariato Le buone intenzioni, messe nero su bianco nella delibera, ci sono tutte. Ora bisogna organizzare la rete di volontariato per il ritiro e la consegna dei prodotti alle persone in difficoltà economica. «Faccio notare che il progetto era stato suggerito in una mozione di Forza Italia e del Movimento Cinque Stelle - precisa Piero Camber -, indicazioni prontamente recepite dall’assessore Giorgio Rossi. In effetti il fabbisogno a Trieste è in constante aumento, perché cresce il numero dei poveri come purtroppo noto. Quindi dobbiamo darci da fare e non perdere tempo. Propongo all’assessore Lorenzo Giorgi, che in giunta detiene la delega al volontariato, di riunire quanto prima tutte le associazioni e le onlus che potrebbero entrare nell’operazione di raccolta e consegna, per creare una cabina di regia. L’obiettivo - rileva il capogruppo di Fi in Consiglio comunale - è fare in modo che il progetto diventi sistematico, quindi sarebbe opportuno che venga coinvolto anche il Centro servizi volontariato». Sconti per il riciclo La riduzione del 20% sulla Tari per tutti i privati che hanno avviato il compostaggio dei rifiuti organici esiste già dal 2015. Ma il ventaglio ora si amplia: nella delibera di giunta viene precisato che per rifiuti organici si intendono quelli da cucina, ma anche gli sfalci e potature di erba e arbusti. Per ricevere lo sconto si dovrà smaltire il materiale direttamente nei propri giardini di casa, precisa il documento, assicurando di farlo in modo “continuativo”. Sarà inoltre necessario dimostrare di possedere l’apposito contenitore per la raccolta. Il Comune, dal canto suo, procederà alle verifiche famiglia per famiglia. Per ottenere il beneficio si deve fare domanda in municipio entro il 30 ottobre. La novità è estesa pure alle imprese agricole e vivaistiche. «Finora - osserva Camber - non esisteva una regolamentazione e nessuno controllava». Un passaggio della delibera di giunta riguarda i bed&breakfast: d’ora in avanti la superficie destinata a pernottamento, dunque l’attività commerciale vera e propria, viene equiparata a un’abitazione. Per il calcolo finale della tariffa Tari annua, sarà quindi possibile ottenere una riduzione.

Gianpaolo Sarti

 

 

Amianto all’Arsenale - Assolti i sei dirigenti - la sentenza
I dirigenti dell’Arsenale Triestino San Marco e di Fincantieri non ebbero alcuna responsabilità per la morte di 27 dipendenti che sarebbe stata causata dall’amianto. Lo ha stabilito ieri il giudice monocratico Francesco Antoni che in maniera per molti versi inattesa ha assolto per non aver commesso il fatto Manlio Lippi, Corrado Antonini, Enrico Bocchini, Giuseppe Sassi, Francesco Carrà e Andrea Cucchiarelli, quest’ultimo deceduto alcuni mesi fa, ma scagionato con la medesima motivazione. La sentenza è tanto più clamorosa in quanto l’accusa e nella fattispecie il pm Matteo Tripani, nel corso dell’udienza che si era svolta nell’ottobre scorso, aveva chiesto condanne complessive per ben ventiquattro anni e mezzo di carcere. I manager erano accusati di omicidio colposo in cooperazione e, nel dettaglio, di aver cagionato o non impedito la morte di 27 lavoratori - impegnati nel cantiere di Trieste nella riparazione e ristrutturazione delle navi - non adottando tutte le misure di prevenzione, igieniche e di protezione individuale utili a evitare una massiccia e incontrollata esposizione alle polveri di amianto. Nel dettaglio, Tripani aveva chiesto al giudice monocratico di infliggere la pena di sette anni e mezzo a Lippi, presidente del cda dell’Arsenale triestino San Marco dal 25 settembre del 1972 al 30 giugno 1984 e amministratore delegato fino al 15 luglio del 1974, e poi cinque anni all'ex presidente di Confindustria Trieste Antonini, componente del cda e direttore generale di Fincantieri dal 30 giugno del 1984 al 9 luglio 1985 e poi amministratore delegato fino alla chiusura dello stabilimento. E ancora, quattro anni e sei mesi ciascuno per Bocchini e Sassi: il primo presidente del cda Fincantieri dal 9 luglio 1985 fino a quando la struttura è stata chiusa e il secondo direttore dello stabilimento di Trieste della Divisione Riparazioni navali dal primo gennaio 1987 al 28 febbraio del 1990. Infine, per l'accusa Carrà, successore di Sassi e in carica fino al 6 aprile del 1993, doveva essere condannato a tre anni. Le richieste del pm non erano tutte uguali in termini di quantificazione della pena, perché differente è il numero dei morti, sul totale di 27, per i quali i cinque imputati erano stati chiamati a rispondere in aula, sulla base dei rispettivi periodi in posizioni societarie di vertice. Nella sentenza il giudice ha accolto le tesi della difesa che era rappresentata dagli avvocati Giovanni Borgna (il quale ha voluto sottolineare che l’assoluzione del suo assistito, Andrea Cucchiarelli non è stata dichiarata per morte del reo, bensì per non aver commesso il fatto), Corrado Pagano e Elisa Scaroina. È presumibile ora che la procura e le parti civili facciano richiesta di appello.

(s.m.)
 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 20 gennaio 2017

 

 

Ok ai fitorimedi per i giardini inquinati - Intervento da eseguire entro marzo per evitare lo slittamento al 2018. Passa la mozione dei grillini
Il Comune accelera sul piano di bonifica tramite fitorimedi dei giardini inquinati: o si chiude tutto entro marzo oppure si dovrà rimandare l'operazione all'anno prossimo. La bonifica con l'utilizzo di fitorimedi infatti è legata alla semina di nuove piante, erbe e arbusti da scegliere in base al tipo di contaminazione, che deve per forza avvenire in primavera.

Così ieri nella seduta della Quarta Commissione, non senza una serie di distinguo e un po' di bagarre, è stata licenziata, con alcune modifiche e un emendamento, la relativa mozione a firma dei consiglieri Elena Danielis e Gianrossano Giannini (M5S). L'intenzione, condivisa all'unanimità, è di portarla già lunedì prossimo alla discussione in Consiglio Comunale, per poi sfruttare il successivo tavolo tecnico di martedì tra Comune e Regione per presentare il progetto pilota. «Dopo la riunione di approfondimento con i vari attori coinvolti, Arpa, Azienda sanitaria, Università e Regione, presso la quale è istituito un apposito tavolo tecnico per la predisposizione di un piano contro l'inquinamento diffuso - spiega il presidente della Quarta Commissione Michele Babuder (FI) - sarà ora il Comune a farsi promotore dell'iniziativa con la Regione e a chiedere un'audizione all'assessore regionale Sara Vito». «Se riusciremo ad ottenere l'ok del Consiglio Comunale - sottolinea l'assessore all'Ambiente Luisa Polli - potremo presentarci alla Regione con un progetto per la città condiviso da tutte le forze politiche. Come step successivo chiederemo quindi una progettazione del piano condivisa tra Regione e Comune, con il supporto tecnico degli altri attori coinvolti. Servirà comunque l'avallo dell'Ispra ('Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). In base ai contenuti del piano potremo poi pensare a rintracciare le risorse finanziarie per attuarlo». Trattandosi di un progetto pilota che prevede per la bonifica l'utilizzo di fitorimedi - evidenzia l’assessore - si potrà chiedere anche alla Regione un impegno finanziario per attuarlo. Altre risorse potrebbero venire da una modifica della destinazione d'uso di quei 350 mila euro già stanziati dalla Regione a beneficio del Comune per interventi per la messa in sicurezza di queste aree, che non sono ancora stati impiegati. Una variazione di bilancio pari a 100mila euro è stata invece già operata - rimarca l'assessore ai Lavori Pubblici Elisa Lodi - a favore di interventi di manutenzione nei giardini inquinati eseguiti dal global service. Ricordiamo che sono stati rilevati inquinanti al di sopra dei limiti di legge nei terreni di piazzale Rosmini, nei giardini "Miniussi" di Servola e "de Tommasini" di via Giulia, all'esterno di due scuole di Servola, il "don Chalvien" di via Svevo e la Biagio Marin di via Praga, e, sempre nello stesso rione, nei cortili della chiesa San Lorenzo e dell'Associazione amici del presepio in via dei Giardini.

(g.b.)

 

«Se rispetta le regole la Ferriera di Servola non si può chiudere» - Giudizio del presidente della Commissione Industria del Senato dopo la visita allo stabilimento e le audizioni
«Possiamo anche ritenere che una Ferriera a Trieste non vada bene, ma se un’azienda privata rispetta le prescrizioni che le sono state poste, ha tutto il diritto di svolgere la propria attività».

È il succo di un primo giudizio dato dalla Commissione Industria del Senato nella conferenza stampa al termine della visita fatta ieri allo stabilimento e di una serie di audizioni. A formularlo è stato il presidente Massimo Mucchetti (Pd), che era accompagnato da soli altri tre componenti: Salvatore Tomaselli (Pd), Bernabò Bocca (Fi-Pdl) e Gianni Pietro Girotto (M5S). «Lo abbiamo fatto rilevare anche al sindaco e al segretario comunale - ha precisato Mucchetti - sottolineando che solo se le prescrizioni sono eluse in modo patente si può giungere a una chiusura d’autorità. Ma il sindaco ci ha manifestato la volontà politica di arrivare alla chiusura dell’area a caldo prendendo iniziative che non ci sono state riferite». Oltre alle voci di prefetto, Regione, sindacati e Confindustria, la commissione ha raccolto in audizione anche i pareri di associazioni ambientaliste e comitati di residenti, critici nei confronti della presenza dello stabilimento. «Ci sono state riferite preoccupazioni che è giusto tenere da conto - ha aggiunto - ma non sono ben quantificate. Considerato che l’Arpa sta facendo i controlli, le valutazioni non devono partire da posizioni politico-emozionali che possono sempre avere un quid di strumentale, ma basarsi sull’acquisizione di dati certi, rilevati scientificamente da un soggetto pubblico che non deve fare il tifo per nessuno, ma rappresentare la verità oggettiva». Per l’azienda è stato sentito l’amministratore delegato di Finarvedi, Mario Caldonazzo. «Il cavalier Giovanni Arvedi lo incontreremo domani a Cremona - ha aggiunto Mucchetti - doveva essere a Trieste, ma è stato convocato dal ministro per lo sviluppo economico Carlo Calenda con il quale ritengo abbia parlato anche di Servola». Sullo sfondo c’è l’acquisizione dell’Ilva di Taranto, il più grande stabilimento siderurgico europeo. «Non possiamo dire che impatto avrà Taranto su Trieste, dipenderà dall’andamento della domanda di prodotti siderurgici - ha specificato il senatore -. Servola funziona nell’ambito del Gruppo Arvedi: produce ghisa che consente di migliorare la qualità dell’acciaio prodotto dai forni elettrici di Cremona, ma qui ha iniziato a operare anche l’area a freddo che perfeziona i coils che vengono da Cremona. L’ingresso di Arvedi, dapprima al 10% e poi forse con una quota un po’ superiore, nell’ambito dell’Ilva potrà portare a intese più forti tra i due Gruppi. Nella cordata di Arvedi il 35% lo avrà Jindal e il rimanente 55% gli altri due partner italiani: la Cassa depositi e prestiti e Del Vecchio. La seconda cordata in corsa per l’Ilva è quella di Arcelor-Mittal, ma parte sfavorita perché quella italo-indiana ha in progetto di produrre a Taranto 8 milioni di tonnellate annue di prodotti contro i 6 dell’altra che metterebbe in atto forti tagli occupazionali». A esprimersi sul futuro del complesso triestino, anche un altro componente della commissione del Senato, Salvatore Tommaselli, anch’egli del Pd: «La chiusura della sola area a caldo pare difficilmente sostenibile per chi ha un ciclo produttivo integrato. Un’azienda che viene, investe e accetta i limiti previsti dentro un processo industriale integrato o fa tutto o niente, non può limitarsi a una parte sola. Ecco perchè auspichiamo che i vari soggetti discutano tra di loro: società civile, amministrazioni locali e azienda. E se ci si sono parti dell’Aia da rivedere, la si riveda in maniera concorde». «Questa giornata - ha concluso Mucchetti - ci è servita a capire la consistenza del lavoro fatto da Arvedi a Trieste e le prospettive che questo lavoro apre alla luce di Taranto che costituirà il perno dell’intera industria siderurgica italiana. Sono impegnati a vario titolo anche soldi pubblici ed è responsabilità di governo e parlamento verificare l’uso che di queste risorse viene fatto, considerato che l’orientamento del governo e della maggioranza è promuovere lo sviluppo industriale che deve includere anche la siderurgia, nel quadro della compatibilità ambientale, ma senza alcuna preconcetta ostitità ideologica verso l’industria pesante. Leggera o pesante che sia, l’industria se rispetta le regole, va bene. Non vogliamo un’Italia fatta soltanto di pizzerie e di alberghi, perché è dall’industria che viene la spinta alla ricerca e innovazione e quei Paesi che avevano puntato tutto sui servizi, come Gran Bretagna e Stati Uniti - ha concluso Mucchetti - è all’industria che ora stanno tornando».

Silvio Maranzana

 

La regione «Fatte 6 ispezioni L’Aia prevede una»
La presidente della Regione, Debora Serracchiani, ha fornito una serie di informazioni alla Commissione.

Tra queste il fatto che tutte le centraline che monitorano l'ambiente sono pubbliche, gestite esclusivamente dall'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente. «I dati forniti dall'Arpa - ha ricordato - sono accessibili a tutti i cittadini sul sito dell'Agenzia, dove sono caricati in tempo reale, così come tutte le notizie fornite dalla struttura commissariale sono pubblicate sul sito della Regione per un'informazione quotidiana». Un'altra delucidazione fornita ha riguardato le prescrizioni contenute nell'Aia sullo stabilimento di Siderurgica Triestina, la quale prevede la necessità di un'ispezione l'anno. «Nel solo 2016 - ha ricordato - ne sono state fatte quattro ordinarie e due straordinarie e si sono contati un totale di sessanta accessi allo stabilimento».

 

 

Due treni veloci al posto degli Intercity - Intesa fra Serracchiani e vertici Fs dopo le proteste per i tagli sulla Trieste-Mestre. Si parte lunedì. Invariati orari e fermate
UDINE - I due Intercity Trieste-Venezia cancellati trovano altrettanti sostituti. Debora Serracchiani e Mariagrazia Santoro tornano dalla missione romana con la buona notizia per gli utenti penalizzati da lunedì scorso dal doppio taglio dell'Ic 734 con partenza da Trieste alle 22.06 e arrivo a Mestre alle 0.05 e del 735 in partenza da Mestre alle 5.50 e arrivo a Trieste alle 7.46.

Al loro posto da lunedì prossimo, secondo l'intesa raggiunta coi vertici di Trenitalia e Fs, due treni regionali veloci. Gli orari? In fotocopia per tempi e fermate (San Donà, Portogruaro, Latisana, San Giorgio di Nogaro, Cervignano e Monfalcone). L’accordo giunge peraltro nel giorno in cui Stato e Trenitalia firmano il nuovo contratto di servizio Intercity. I due Intercity Trieste-Venezia, nel mirino perché non troppo frequentati (a volte non si andava oltre i 40 passeggeri), erano infine stati tagliati perché non più finanziati dal ministero in una fase in cui si è intervenuti con le forbici anche in altre parti d'Italia a fronte di un servizio Ic che accumula ogni anno 45 milioni di perdite. Ma stavolta l'utenza si è ribellata. Hanno protestato comitati e singoli pendolari, professori e studenti, turnisti e lavoratori diretti a Fincantieri. Non solo perché quei treni non erano più in agenda, ma anche per quella che è stata considerata una «presa in giro», la sostituzione con un servizio pullman inutilizzabile. La corriera del mattino, in particolare, è partita questa settimana sempre alle 5.50 da Mestre, ma è arrivata a Monfalcone alle 8.29 (anziché alle 7.21 dell'IC) e a Trieste alle 8.59 (anziché alle 7.46). Sollecitata pure ieri dal M5S («Serracchiani ricordi a Trenitalia che un anno e mezzo fa la Regione ha acquistato 8 treni nuovi di zecca e che altri 4 sono in arrivo», così il capogruppo Cristian Sergo), la presidente ha incontrato, con l'assessore alle Infrastrutture Santoro, gli ad di Fs Renato Mazzoncini e Trenitalia Barbara Morgante, portando a casa il risultato, a costo zero per un'amministrazione che già tutela il servizio delle Frecce dirette a Milano e Roma con 3 milioni di euro all'anno. «Il vertice è stato estremamente soddisfacente - il commento di Serracchiani - si sono colte le necessità del territorio legate a questi due collegamenti. Ed è importante che il ripristino avvenga senza costi aggiuntivi sia per i cittadini che per la Regione, in quanto il collegamento farà parte del contratto di servizio tra la Regione e Trenitalia». E dunque, precisa Santoro, «gli abbonati al trasporto regionale potranno utilizzare la tratta senza aggravio di costi, mentre in passato, salendo a bordo degli Intercity, avrebbero dovuto acquistare un altro biglietto». Soddisfazione anche da Morgante: «La soluzione individuata consente di conservare due collegamenti ferroviari che la Regione e i cittadini ritengono importanti». I più contenti sono però gli utenti. Tra questi, nei giorni scorsi, erano emerse le storie quotidiane di Nicolò, studente del Nautico, e Cristiano, del liceo musicale Carducci-Dante, ma anche del professor Graziano Benelli, docente di francese alla Scuola interpreti dell'Università di Trieste. A loro e a qualche altra decina di persone quei collegamenti servono eccome. «È stato un lavoro di squadra che ha funzionato», sottolinea Erica Del Gobbo, «mamma felicissima» di Nicolò. «Obiettivo raggiunto per il bene di tanti ragazzi», dice il vicepreside del Nautico Bruno Zvech. «Ripristinando il treno del mattino - conclude Santoro - diamo una risposta positiva agli studenti della Bassa friulana che si recano a scuola a Trieste. Se fosse rimasto il servizio sostitutivo di bus, i ragazzi non sarebbero arrivati in orario, mentre l'inserimento del regionale veloce permette loro di raggiungere in tempo la destinazione. Abbiamo inoltre chiesto a Trenitalia di effettuare uno specifico e puntuale monitoraggio delle frequentazioni sulle fasce orarie interessate da questo servizio, al fine di valutare i flussi passeggeri con la nuova offerta».

Marco Ballico

 

 

«Salvate il lago di Scutari» Battaglia al maxiresort - Lanciata una petizione Raccolte in pochi giorni oltre cinquemila firme

Struttura sulla sponda montenegrina del più vasto specchio acqueo dei Balcani, in un parco nazionale. Ambientalisti e opposizione al governo: «Fermate i lavori»
BELGRADO Il turismo contribuisce allo sviluppo del Paese e rimpingua le casse di privati e dello Stato. Ma rischia anche di stravolgere paradisi incontaminati. È quanto potrebbe presto accadere a uno dei gioielli naturali dei Balcani, il più grande specchio d’acqua dell’intera regione, diviso in due tra Albania e Montenegro: il lago di Scutari. Sulle sponde della parte montenegrina, la più preziosa, nel cuore del “Nacionalni Park Skadarsko jezero”, sotto tutela fin dai tempi della Jugoslavia, sorgerà presto un resort di lusso che potrebbe minarne il delicato e fragilissimo equilibrio di flora e fauna. A denunciare il caso è stata l’organizzazione non governativa montenegrina “Green Home”, sostenuta anche da vari deputati dell’opposizione, da mesi impegnata a bloccare il progetto, per ora senza successo. Battezzato “Porto Skadar Lake”, a costruzione terminata – fine lavori, da poco iniziati, nel 2019 – il progetto metterà a disposizione una marina con moli per far attraccare barche e yacht, un ristorante panoramico, una «eco-spa», terme «ecologicamente responsabili», si legge sul sito ufficiale del progetto. E ancora, «trenta ville di lusso, da 520 metri quadri l’una, con piscina privata, vista spettacolare sul lago e sulle colline circostanti, un hotel». Tutto bene? Non proprio. Secondo Green Home e secondo altre Ong ambientaliste, il progetto rappresenta una «minaccia incombente» sul lago di Scutari con le sue «rive incontaminate, paludi, foreste di salici», ha scritto Green Home in una nota che affianca una petizione online anti-resort che chiede al governo di fermare i lavori. E che in pochi giorni ha raccolto più di cinquemila sottoscrizioni. Il lago, ha sottolineato l’Ong, offre rifugio a ben «281 specie di uccelli», tra cui il raro pellicano riccio a rischio estinzione, e il cormorano pigmeo, oltre a «48 specie di pesci e 50 di mammiferi, numerosi anfibi, rettili e insetti». Basterebbero questi numeri, secondo l’Ong montenegrina, per far tornare sui propri passi il governo che dovrebbe imporre «una moratoria» all’edificazione nel perimetro del parco nazionale, inclusa quella dove, entro il 2019, dovrebbe sorgere appunto Porto Skadar. Green Home, spiega al Piccolo la sua direttrice esecutiva, Natasa Kovacevi„, ha evidenziato altre pecche nel progetto del resort. Sarebbero solo promesse campate in aria quelle dello sviluppo sostenibile, come «la fitodepurazione» delle acque reflue, mentre gravi ombre peserebbero sulla concessione dei permessi edilizi all’interno del Parco. Ma il punto principale è che il resort, avvisa Kovacevi„, «distruggerà un ambiente splendido e inviolato, valorizzato per decenni dal turismo tradizionale e dalle comunità locali». I turisti già oggi arrivano al lago, «passeggiano, vanno in barca e kayak, a cavallo, cenano nei vicini ristoranti, alloggiano nelle case della gente del posto». E presto chi li abita e le guide «dovranno spiegare perché ci siano escavatori all’opera in questa parte vergine del lago e come sia possibile costruire una megastruttura del genere in un parco nazionale protetto». Ma le versioni di una storia sono sempre doppie. Ed è ben diverso il punto di vista degli investitori dietro Porto Skadar, tra cui il proprietario, il francese Lionel Sonig. Che ha assicurato che il futuro “eco-resort”, per la cui realizzazione sulla penisola di Biski serviranno quasi 80 milioni di euro, sarà rispettoso dell’ambiente e delle leggi locali. «Sono arrivato in Montenegro sette anni fa e mi sono innamorato del lago», ha sottolineato Sonig ribadendo di voler sviluppare un progetto immobiliare e turistico «responsabile e prestigioso, degno di questo ambiente unico ed esclusivo», circondato da «una bellezza preservata e intatta». Che sarà trattata con ogni riguardo mantenendo «vivo lo spirito del lago». Opinioni discordanti, come quelle che si ascoltano in Montenegro. «Se non si ferma il progetto questo lago assomiglierà alla riviera» adriatica, «abbiamo venduto il mare, non cementifichiamo il lago», hanno denunciato alcuni ambientalisti interpellati dalla Tv pubblica. La gente del posto, invece, spera in posti di lavoro e sviluppo. Grazie a un progetto destinato a far discutere a lungo.

Stefano Giantin

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 19 gennaio 2017

 

 

Commissione del Senato in città per la Ferriera - Oggi il sopralluogo dei parlamentari allo stabilimento di Servola, a seguire le audizioni in Prefettura
Il Parlamento vuole vedere da vicino la Ferriera di Servola e valutare lo stato della riconversione industriale nell’ambito della siderurgia nazionale.

Oggi la Commissione Industria, commercio e turismo del Senato arriva a Trieste per effettuare un sopralluogo allo stabilimento siderurgico di Servola e per svolgere un ciclo di audizioni nell’ambito dell’indagine conoscitiva “sul gruppo Ilva nel quadro della siderurgia e dell’industria italiana”. Alle 17, la Commissione del Senato, presieduta da Massimo Mucchetti del Pd, incontrerà la stampa in una sala della prefettura di Trieste. Le audizioni, che si terranno nel Palazzo del governo di piazza Unità, avranno come protagonisti la presidente della Regione Debora Serracchiani, il sindaco Roberto Dipiazza, il prefetto Annapaola Porzio, Confindustria, le rappresentanze sindacali, associazioni e comitati ambientalisti. Obiettivo della trasferta passare al setaccio le prospettive di sviluppo dello stabilimento e affrontare, inevitabilmente, i nodi legati alle emissioni. «L’iniziativa si iscrive in un’indagine che abbiamo aperto da qualche tempo sull’Ilva e sulla situazione della siderurgia italiana più in generale - ha anticipato nei giorni scorsi Mucchetti -. Dopo Trieste, infatti, ci recheremo all’acciaieria Arvedi di Cremona. Lo scopo è accertare lo stato dell’arte, tanto a Trieste quanto a Cremona, dei due principali stabilimenti del gruppo, per capire come vanno le cose in una delle realtà più importanti del Paese nel settore, visto che Arvedi è l'industriale italiano presente nella cordata promossa dalla Cassa depositi e prestiti per l’acquisizione dell'Ilva, assieme a Leonardo Del Vecchio e al gruppo indiano Jindal». E quindi? « In sostanza - ha proseguito Mucchetti - l’interesse del governo e del Parlamento si focalizza sul gruppo Arvedi in quanto tale e sul gruppo Arvedi in quanto socio della cordata italiana che punta all’Ilva. I giochi si faranno a febbraio, di qui l’utilità di ascoltare le varie realtà del territorio». Anche il tema ambientale sarà preso in considerazione. «Certo - ha concluso Mucchetti -, la questione è costantemente all’attenzione del Senato. Il nostro focus, però, sarà soprattutto sulle opportunità di carattere industriale. Un quadro che non può prescindere dall’impatto sul territorio circostante, ma nella logica che le produzioni ci devono essere».

 

 

Treno per l’aeroporto: il Cipe stanzia tutti i fondi
L’annuncio di Serracchiani: via libera alla seconda tranche di lavori per Ronchi del nuovo polo intermodale da 17,2 milioni. Marano: pronto entro gennaio 2018
UDINE Entro tredici mesi, e quindi per il gennaio del 2018, il polo intermodale di Ronchi dei Legionari sarà cosa fatta. Non solo per quel che riguarda il primo lotto, ma anche per il secondo. È di ieri infatti la comunicazione che il Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) ha approvato il progetto presentato dalla Regione relativo anche alla seconda tranche di lavori da 6,9 milioni di euro per la realizzazione di un'opera da complessivi 17,2 milioni che consentirà in zona aeroportuale l'interscambio tra i vari mezzi di superficie (bus, auto e treno) con conseguenti miglioramenti del sistema di trasporto pubblico e del servizio di mobilità passeggeri in regione. L'annuncio arriva direttamente dalla presidente Debora Serracchiani, raggiunta da una comunicazione dalla presidenza del Consiglio dei ministri proprio nel giorno in cui la società del presidente Marano annunciava la cerimonia, in programma lunedì 23 gennaio, di posa della prima pietra dei lavori per la costruzione del polo. La presidente, ricordando che l'infrastruttura rientra nell'elenco delle opere che il Friuli Venezia Giulia considera «essenziali per consentire la crescita e lo sviluppo e per rafforzarne il ruolo di ponte con l'Europa Centro-orientale e di piattaforma logistica» e sottolineando che consentirà a Trieste Airport di entrare nel ristretto gruppo degli otto scali italiani collegati alla rete ferroviaria, «elemento chiave per dare competitività e sviluppo e per rendere la regione più attrattiva per gli operatori economici e i flussi turistici», informa nel dettaglio che la decisione del Cipe è in fase di formalizzazione nel Dipartimento per la programmazione economica e verrà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dopo il previsto controllo preventivo della Corte dei conti. Il progetto è il frutto di un Accordo di Programma sottoscritto nell'agosto 2014 tra Regione, Provincia di Gorizia, Comune di Ronchi e Società Aeroporto Fvg. Il costo di quadro economico è di 17,2 milioni, di cui 10,3 per il primo lotto, già interamente finanziati, e 6,9 per il secondo. Con il primo lotto (23% di finanziamento con fondi societari, il resto con contributi comunitari Pac, Piano azione e coesione) è prevista la costruzione di una stazione passeggeri collegata al terminal aeroportuale con una passerella che attraverserà con un ponte la statale 14 e sarà dotata di ascensori e scale mobili. A fianco è in agenda anche la stazione dei bus per 16 linee con piazzale di manovra asfaltato di 3.800 metri quadrati e una superficie pedonale di 2.800 mq. Sono inoltre previsti parcheggi per 1.500 posti, uno multipiano da 500, gli altri 1.000 a raso. Il secondo lotto (che, visto il via libera del Cipe, vedrà la vincitrice dell'appalto, Ici Coop, impegnata a consegnare i lavori entro i 13 mesi previsti per il primo lotto) servirà quindi a completare la passerella (per complessivi 425 metri), il tassello finale. Antonio Marano, il presidente dello scalo regionale, anticipa i ringraziamenti di lunedì prossimo a Serracchiani «per la caparbietà e le capacità dimostrate nel raggiungimento di un obiettivo che consente di avvicinare con i fatti la nostra regione alle aree più moderne d'Europa».

Marco Ballico

 

 

Porto Tolle, assolti Tatò e Scaroni - Cancellata in appello la condanna sulle emissioni della centrale
VENEZIA Sono stati assolti perché il fatto non sussiste, dalla corte d’appello di Venezia, gli ex amministratori di Enel, Franco Tatò, Paolo Scaroni e Fulvio Conti. Erano accusati di presunto pericolo di disastro ambientale derivante dalle emissioni della centrale termoelettrica di Porto Tolle, sul delta del Po. In primo grado, davanti al tribunale di Rovigo, il 31 marzo 2014, Tatò e Scaroni erano stati condannati a tre anni di reclusione, mentre Conti era stato assolto perché il fatto non costituisce reato. La Corte ha inoltre revocato tutti i risarcimenti alle parti che erano stati stabiliti dal tribunale rodigino. In particolare era prevista una provvisionale complessiva di 430mila euro suddivisi tra le parti civili (Ministeri dell’ambiente e della salute, provincia di Rovigo, alcuni comuni polesani, associazioni come Legambiente, Italia Nostra, Greenpeace e Wwf). La sentenza di fatto rigetta le richieste presentate dalla procura rodigina e dalla parti civili che chiedevano il riconoscimento del reato riconducibile alla consumazione del disastro ambientale e non al solo pericolo come deciso dai giudici del tribunale, accogliendo invece le richieste delle difese.

 

 

Apicoltori si diventa. Con pazienza - Da oggi al 9 febbraio un corso gratuito e aperto a tutti al parco di San Giovanni

Due obiettivi in uno. A lezione per riconoscere le api locali e imparare quegli strumenti utili a intraprendere un vero e proprio mestiere
Imparare a riconoscere e tutelare le api originarie del nostro territorio e ottenere gli strumenti utili a intraprendere l’attività di apicoltore urbano. È lo scopo del corso di avviamento all’apicoltura promosso da Urbi et Horti (in collaborazione con Bioest, Il Ponte, Legambiente, Aias, Anglat Fvg, Lapis, Multicultura, Arci Servizio civile, Comitato pace convivenza solidarietà Danilo Dolci e Azienda sanitaria). Libero e aperto a tutti, si terrà da oggi al Padiglione I dell’ex Opp e proseguirà ogni giovedì alle 17 fino al 9 febbraio. Oltre a quelle teoriche, sono previste pure lezioni pratiche nell’apiario ospitato dal parco di San Giovanni (il sabato alle 10 dal 4 al 25 febbraio). Una successiva serie di incontri farà conoscere il mondo delle api anche agli alunni delle elementari. Inserito nel progetto “Suoni e colori nel verde … un mondo di sensazioni” e finanziato dal Centro servizi volontariato regionale, il corso è finalizzato a far acquisire ai partecipanti le competenze di base per poter iniziare ad allevare api. Per questo sarà basato essenzialmente sugli aspetti pratici dell’allevamento con lezioni pratiche tenute da esperti del settore. «Il corso - spiega Tiziana Cimolino di Urbi et Horti, che introdurrà gli incontri - fa parte di una serie di attività legate all’orticoltura urbana e la tutela del territorio che proseguirà con il birdwatching. L’apicoltura sta sempre più prendendo piede e la città sembra esserne innamorata. Da anni si tengono corsi introduttivi sulle api e il miele, ma stavolta l’idea è quella di formare persone che possano realmente intraprendere un’attività. È importante riconoscere e tutelare l’ape autoctona, capace di vivere nel nostro contesto urbano e sul territorio, orientandosi anche con la bora. Uno dei docenti del corso sarà l’apicoltore e veterinario Livio Dorigo, presidente del Circolo Istria». Durante le lezioni si parlerà della storia e importanza dell’apicoltura, si forniranno nozioni di flora apistica, razze, ecotipi, morfologia e patologie dell’ape, si descriveranno l’alveare e le attrezzature usate, si imparerà a condurre un alveare e si apprenderà la legislazione apistica. Per informazioni e iscrizioni cell. 3287908116.

Gianfranco Terzoli

 

 

 

 

GREENREPORT.it - MERCOLEDI', 18 gennaio 2017

 

 

Innalzamento del mare: le mappe dell’Italia che finirà sott’acqua nel 2100 - Inondati 5.500 kmq di coste italiane. Ma si costruiscono infrastrutture che andranno sott’acqua
Un team di ricercatori italiani di Enea – Sspt, Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, università di Bologna, Conisma e del Lesia Observatoire de Paris, hanno pubblicato su Quaternary Science Reviews lo studio “Sea-level rise and potential drowning of the Italian coastal plains: Flooding risk scenarios for 2100” che mostra gli scenari dell’innalzamento del mare nel 2100 in 4 aree della penisola italiana: Nord Adriatico, il golfo di Taranto, il golfo di Oristano e quello di Cagliari. - Innalzamento del Mare Italia - I casi di Nord Adriatico, Taranto, Cagliari e Oristano
I ricercatori del team guidato da Fabrizio Antonioli dell’Enea Sspt spiegano che Le nostre stime sono basate sul Rahmstorf (2007) e sui rapporti Ipcc- Ar5 del 2013 per gli scenari RCP-8.5 ( www.ipcc.ch ) del cambiamento climatico, rivisto con i dati ei movimenti verticali terrestri (isostasia e tettonica)».
Lo studio si è concentrato sul cedimento costa nord adriatica (compresa la laguna di Venezia), su due aree tettonicamente stabili delle pianure costiere della Sardegna (Oristano e Cagliari) e sulla pianura edificata di Taranto, in Puglia. I ricercatori sottolineano che «Le mappe degli scenari di allagamento mostrano Digital Terrain Models in alta risoluzione per lo più basati su dati Lidar. Il relativo aumento del livello del mare previsto entro il 2100 cambierà radicalmente l’attuale morfologia, inondando potenzialmente fino a circa 5.500 km2 di pianure costiere».
Il mare si mangerà il territorio e questo avrà un impatto sull’ambiente e le infrastrutture locali, per questo lo stus dio suggerisce ai pianificatori e ai decisori locali di «prendere in considerazione questi scenari per una gestione costiera consapevole. Il nostro metodo messo a punto per le coste italiane può essere applicato in tutto il mondo in altre zone costiere che ci si aspetta saranno colpite dall’ingressione marina a causa del cambiamento climatico globale».
Anche riducendo le emissioni di gas serra, ampi tratti delle nostre coste saranno sommerse entro la fine del secolo, calcola uno studio. Chiedendo di correre ai ripari.
Lo studio è stato rilanciato anche da National Geographic Italia e Eleonora Degano ricorda che «Il livello del mare non è immutabile ma cambia nel tempo, influenzato dai movimenti tettonici, dalle caratteristiche del territorio e soprattutto dai cambiamenti climatici: a causa del riscaldamento globale molte aree costiere sono oggi a rischio allagamento e sempre più persone rischiano di dover lasciare la propria casa, diventando a tutti gli effetti migranti climatici. Negli Stati Uniti sono circa 25 milioni gli abitanti che vivono in territori vulnerabili alle inondazioni, mentre in Europa un terzo della popolazione abita entro 50 chilometri dalla costa».
Antonioli, research director al Laboratorio modellistica climatica e Impatti dell’Enea, spiega a National Geographic Italia che in Italia «Alcune aree sono già oggi a zero o sottozero (rispetto al livello del mare, ndr) e la costa si abbassa, si alza o si sposta per vari motivi. Da qui a qualche decennio l’innalzamento ci sarà e su questo non c’è nulla da fare, ma costruendo dighe, idrovore e prendendo provvedimenti adatti sarebbe possibile evitare gli allagamenti. Rispetto alle pubblicazioni passate ci sono due grandi novità: le ultime previsioni sull’Italia si basavano sul report Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) del 2007, mentre stavolta abbiamo usato le proiezioni del 2013 per creare quattro mappe in altissima definizione, con tre linee che indicano tre diversi modelli sull’aumento del livello del mare».
Dalle mappe realizzate dateam risulta che nell’area del Nord Adriatico, poco sotto Venezia, l’ingressione del mare supererà i 30 km e che la costa tra Trieste e Venezia è tra le più vulnerabili. «A Venezia ci sono abbassamenti tettonici che arrivano quasi a raddoppiare l’effetto dello scioglimento dei ghiacci – spiega ancora Antonioli alla Degano – La costa è piatta, come quella di Oristano, quindi ci troviamo di fronte a una pianura con sedimenti fini e non rocciosi, dove non ci sono dune a fare da riparo naturale all’ingressione marina. Ci sono poi zone di totale antropizzazione, anch’esse prive di difese di fronte al mare che sale».
Le comunità costiere sembrano invece impreparate e inconsapevoli di un rischio che è alle porte e che sicuramente cambierà il paesaggio, la vita e le abitudini dei nostri nipoti, visto che si parla di eventi che si verificheranno entro 80 anni. Invece si continuano a costruire infrastrutture destinate a finire sott’acqua, mente non si fa praticamente niente perché l’innalzamento del mare inghiotta interi territori.
Ne è ben consapevole Antonioli, che aggiunge su National Geographic: «Ma la mia speranza è che con l’ultimo lavoro passi finalmente il messaggio, perché è a questo che serve fare studi di previsione. E che perlomeno si scelga di non costruire ferrovie o strade in zone che nel giro di qualche decennio non saranno più così come le vediamo ora».
Il rapporto Ipcc del 2013 prevede entro il 2100, a seconda della concentrazione di gas serra presente in ‘atmosfera, un innalzamento del mare a livello globale che varia da 53 centimetri a 97 cm. Anche riducendo le emissioni come previsto dall’Accordo di Parigi, il livello globale di mari e oceani dovrebbe salire tra i 28 e i 60 cm, ma con impatti molto diversi secondo la conformazione delle aree costiere e le diverse regioni del nostro pianeta.
«Per ogni territorio bisogna includere nelle previsioni anche altri elementi, come i fenomeni tettonici, e questo livello di precisione si inizia a vedere solo ora – conclude Antonioli – Noi abbiamo cercato di essere il più rigorosi possibile: grazie ai voli satellitari abbiamo acquisito mappe con definizione inferiore al metro, in grado di intercettare differenze di quota molto dettagliate. Analizzarle non è stato semplice ma integrandole con dati tettonici, quindi informazioni sulla geofisica del pianeta, ci hanno permesso di identificare sito per sito il livello del mare atteso sulle coste italiane».

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 18 gennaio 2017

 

 

La crisi Teseco non blocca lo scalo Masini all’ex Aquila - L’imprenditore toscano conferma la volontà di realizzare un terminal portuale
È caccia ai partner operativi. L’Authority aspetta che i contatti si concretizzino

Gualtiero Masini non molla. L’imprenditore toscano, fondatore del gruppo Teseco che il Tribunale di Pisa ha ammesso al concordato preventivo, è riuscito a tenere fuori dal crac le attività triestine, stoccandole in una società a parte, la “Aquila srl”. Con questo strumento è intenzionato a proseguire la navigazione verso un terminal multi-purpose, realizzato nell’area della dismessa raffineria all’imbocco del Canale navigabile, esteso su una superficie di 250 mila metri quadrati, di cui 190 mila di proprietà e 60 mila concessi per sessanta anni dall’Autorità portuale (Ap). «Il progetto su Trieste procede - ha risposto l’ingegnere al telefono - ci è costato anni di fatica e ci impegna costantemente, attraverso contatti con operatori di livello». Ma sui tempi necessari affinchè questi contatti - probabilmente internazionali ma non specificati - si concretizzino, l’imprenditore non vuole o non può esprimersi: «Un anno o un secolo», scherza per sdrammatizzare le iniziative negoziali. L’idea di Masini non si discosta da quella originaria, decisamente ambiziosa, della quale sono note solo le linee generali: uno scalo multi-funzionale, connesso con la ferrovia attraverso la vicina stazione di Aquilinia, terminal che andrebbe costruito in 5-6 anni, drenando finanziamenti per 90 milioni. Occuperebbe 170 addetti “diretti”, salirebbe a 5-600 unità con le iniziative indotte. La concessione dell’Ap venne ottenuta nel settembre 2014, ma da allora, stante le difficoltà del gruppo Teseco in grave crisi di liquidità, il progetto portuale all’ex Aquila è rimasto saldamente ancorato alle buone intenzioni. L’Autorità portuale è disposta a concedere ancora tempo a Masini e si muove con circospezione. Perchè la partita è oggettivamente complicata, perchè prima di buttare a mare una concessione pluridecennale bisogna pensarci bene, perchè le aree private e demaniali interessate sono attigue, perchè occorre bonificare i terreni e Masini detiene il know-how per provvedervi. Nessun ultimatum ma nessuna indifferenza, è la parola d’ordine alla Torre del Lloyd. «Il concessionario - spiega, misurando le parole, il segretario generale Mario Sommariva - è impegnato nella ricerca di partner che possano integrare e supportare la proposta progettuale. Attendiamo che da questi contatti maturino risposte operative». Anche Sommariva preferisce non esprimersi sul “timing” a disposizione di Masini, perchè non vuole condizionare le trattative in corso. La situazione di Teseco, azienda specializzata nei trattamenti ecoambientali, era precipitata nello scorso autunno: le aste per la vendita delle due “business unit” non erano andate a buon fine e al ministero del Lavoro era stato firmato un verbale per la messa in mobilità dei 155 dipendenti. Ma la sezione fallimenti del Tribunale pisano ha autorizzato una procedura competitiva per la cessione del “ramo impianti” e del “ramo bonifiche”, sui quali sono pervenute il 21 dicembre scorso offerte complessive per 8,7 milioni. Aperte al recupero occupazionale. Tempo fino al 26 gennaio per presentare proposte migliorative, udienza il giorno successivo per l’apertura delle buste dinnanzi al giudice delegato Giovanni Zucconi.

Massimo Greco

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 17 gennaio 2017

 

 

Via al piano operativo per liberare le aiuole dall’inquinamento

Previsto l’impiego di piante in grado di assorbire idrocarburi e altre sostanze rischiose per la salute dei frequentatori
Un piano di gestione per i giardini inquinati della città. Lo stileranno nei prossimi giorni i tecnici comunali, incaricati di affrontare e sciogliere il nodo delle contaminazione nelle aree verdi della città. È il primo vero step che aprirà la strada alle future bonifiche o alle operazioni di “fitorimedio” sui sette siti contaminati. Il programma del municipio, che ricalcherà le linee guida stabilite da Regione, Arpa e Azienda sanitaria, dovrà attendere però il via libera dell'Istituto superiore di sanità. La tabella di marcia è stata tracciata in Quarta Commissione del Consiglio comunale presieduta da Michele Babuder (Fi). «Auspichiamo che ci sia un adeguato sostegno della Regione e dello Stato - ha rilevato l'assessore all'Ambiente Luisa Polli - visto che Trieste rappresenta una sorta di città pilota per un progetto del genere. Ma intendiamo affrontare nel più breve tempo possibile il problema». Il Comune, come ha chiarito l'assessore, ha già concluso gli interventi di messa in sicurezza delle parti tossiche, a iniziare dalle aree verdi delle scuole. Il caso dell'inquinamento “diffuso” dei giardini della città era scoppiato la scorsa primavera con la scoperta delle contaminazioni in ben sette dei dodici punti analizzati dall'ex giunta Cosolini. La passata amministrazione aveva avviato il piano di campionamento con l'obiettivo di sapere se le emissioni della Ferriera producono effetti anche nel suolo. Risultato: sono risultati fuori legge piazzale Rosmini, il Miniussi" di Servola e il "de Tommasini" di via Giulia, il polmone verde della città. E, ancora, due scuole dell'infanzia ed elementari che si trovano a Servola: il "don Chalvien" di via Svevo e la Biagio Marin di via Praga. Si sono poi aggiunti, sempre nello stesso rione, pure i cortili della chiesa San Lorenzo e dell'Associazione amici del presepio in via dei Giardini. In tutti questi siti sono spuntati inquinanti al di sopra dei limiti previsti dalle norme: benzoapirene, ad esempio, ma anche benzoantracene e benzofluorantene. La soluzione del “fitorimedio” appare comunque percorribile. «Nei giardini è possibile impiegare delle particolari tipologie di piante per stabilizzare, degradare o accumulare inquinanti», ha spiegato Pierluigi Barbieri, professore del Dipartimento di Scienze chimiche e farmaceutiche dell'Università. «Si possono usare erbe e arbusti, ma la scelta dipende dal tipo di contaminazione. Ciò che sappiamo è che non siamo di fronte a sostanze volatili, quindi sono relativamente facile da contenere. Le piante possono far prosperare microrganismi capaci di degradare gli inquinanti. Oppure è la pianta stessa che può assorbire nelle radici». Difficile però, come emerso nel corso della seduta della commissione, stabilire una tempistica esatta con cui i vari enti in gioco riusciranno a porre fine alla vicenda. Franco Sturzi, direttore della direzione Tecnico-scientifica dell'Arpa, ha esortato tutti alla collaborazione: «Dobbiamo costruire un piano condiviso, perché questo diventa un progetto pilota a livello nazionale».

Gianpaolo Sarti

 

 

Foreste vergini a rischio estinzione - Fenomeno triplicato in tre anni. Via un milione di chilometri quadri
ROMA - Fra il 2000 e il 2013, il mondo ha perso il 7,2% delle sue foreste vergini. Sono sparite selve incontaminate per 919.000 chilometri quadrati, un’area grande come il Venezuela.

E la deforestazione accelera: fra il 2011 e il 2013 è stata il triplo che nel periodo 2001-2003. I ricercatori dell’Università del Maryland, negli Stati Uniti, hanno coordinato il lavoro di colleghi in Europa, Nord America e Asia, confrontando le foto dei satelliti nel periodo preso in considerazione. Il risultato del loro lavoro è stato pubblicato sulla rivista Science Advances. Le foreste vergini, per lo studio, sono quelle di almeno 500 chilometri quadrati che non presentano segni di attività umana. Hanno un ruolo fondamentale nell’assorbire anidride carbonica (riducendo l’effetto serra), proteggere la biodiversità e regolare il flusso dell’acqua negli ecosistemi. Nel 2000 coprivano 12.800.000 chilometri quadrati, nel 2013 ne coprivano 11.881.000. Quasi due terzi della perdita (60%) si sono registrati ai tropici, soprattutto in Sudamerica, poi in Asia sudorientale e Africa equatoriale. La prima causa di questa deforestazione è l’industria del legname, seguita da espansione agricola, incendi di origine umana, produzione di energia e attività mineraria. Il paese che ha perso più foresta vergine in assoluto è la Russia (179.000 km quadrati), seguita da Brasile (157.000) e Canada (142.000). Vengono poi Repubblica democratica del Congo, Perù, Stati Uniti (soprattutto Alaska), Indonesia, Colombia e Venezuela. L’area geografica più deforestata è il Sudamerica, dove sono spariti 322.000 chilometri quadrati di foresta incontaminata. In Africa ne sono spariti 101.000 chilometri. In termini percentuali, il paese che ha perso più foresta vergine è la Romania (100 per cento), seguita da Paraguay (79 per cento), Cambogia (38 per cento), Laos, Guinea Equatoriale e Nicaragua (35 per cento). Paraguay, Cambogia, Laos e Guinea Equatoriale. Di questo passo perderanno tutta la loro foresta vergine nei prossimi 20 anni. Repubblica del Congo, Gabon, Camerun, Bolivia e Myanmar rischiano lo stesso nel giro dei prossimi sessanta anni. La deforestazione si è accelerata negli ultimi anni: la foresta vergine scomparsa fra il 2011 e il 2013 è stata il triplo di quella scomparsa fra il 2001 e il 2003. Ci sono però anche Paesi che riescono ad essere virtuosi. L’Uganda, la Repubblica Dominicana, la Thailandia e Cuba, ad esempio, hanno messo sotto protezione il 90 per cento delle loro foreste vergini.

 

Sempre più grave il degrado del Bosco del Farneto - La lettera del giorno di Óscar García Murga (vicepresidente Circolo Verdeazzurro Legambiente Trieste)

Ogni giorno faccio un’ora di jogging nel bosco del Farneto e vedo con preoccupazione lo stato di abbandono di questo bellissimo parco urbano. Le condizioni della donazione fatta nel 1844 dall’imperatore Ferdinando I alla città non sono rispettate: mantenere in buon stato il bosco per godimento della cittadinanza triestina. Incontro persone che come me godono di quest’oasi in piena città, e dalle nostre “ciacole” emergono varie problematiche: In via Marchesetti non si rispettano i limiti di velocità e le strisce pedonali; ci sono già stati incidenti mortali e l’attraversamento di via Segré è ad alto rischio. Cartelli informativi dei sentieri, fauna, flora, “percorso benessere”, cani al guinzaglio, raccolta delle deiezioni non esistono. Per non parlare della presenza di cinghiali e del terreno scivoloso. La frana sul viale al Cacciatore minaccia la strada, le persone e gli animali. Le staccionate sono poco visibili di notte, e quelle del sentiero lungo il Patok sono crollate. Il retro del parcheggio di Villa Revoltella, poi, è diventato una discarica. Non bastasse tutto ciò, un traliccio di 23 metri troneggia, irriverente all’imperatore Ferdinando e incurante della salute dei triestini, all’interno del Boschetto all’altezza di via Segré, proprio all’inizio del “percorso benessere” (e i camion dei montatori hanno danneggiato le sbarre d’accesso). I cittadini che abitano nell’area via Marchesetti - Segré - Gridelli”, con già tre antenne (due di impianti di telefonia e uno di un’emittente radiofonica), temono l’aumento dell’inquinamento elettromagnetico. Ancora, alla fine del bel percorso dal quarto ponte sul sentiero del Patok al viale al Cacciatore, i ferri interrati lasciati dagli operai sono pericolosi. Servirebbero poi strisce pedonali con dissuasori di velocità per raggiungere la scalinata che porta al parcheggio dell’Orto botanico, e all’inizio del percorso occorrerebbe un po’ di ghiaia per rendere il terreno meno scivoloso. Sono queste le questioni e le domande pongono i frequentatori del Boschetto. Aggiungo: quando verranno sostituiti gli alberi che sono stati abbattuti?

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 16 gennaio 2017

 

 

Fiom pronta alla mobilitazione per difendere la Ferriera
«Siamo pronti alla lotta a difesa del ciclo siderurgico integrale della Ferriera di Servola». È quanto afferma in una nota il Comitati iscritti Fiom Acciaierie Arvedi Trieste. «I valori di centraline e deposimetri - sostengono - sono sotto i limiti di legge e ciò è frutto sia degli investimenti aziendali sia del grande sforzo dei lavoratori che ha permesso alla fabbrica di tornare competitiva sui mercati». I dipendenti Fiom da un lato assicurano che vigileranno sul rispetto delle leggi ambientali, dall’altro sferrano dure critiche all’amministrazione Dipiazza. «È chiaro che un impianto di queste dimensioni, e di queste complessità, necessita sempre di una continua manutenzione per essere compatibile con le leggi ambientali. E su questo noi vigileremo, accompagnando sempre l'attività di controllo così come previsto dall' accordo di programma e dall'Aia rilasciata. Quanto al sindaco - prosegue la sigla sindacale - conduce una ricerca continua e morbosa per trovare vizi di forma a cavilli legali atti a screditare e lordare il lavoro fatto in questi anni», mentre «le promesse occupazionali dell’amministrazione comunale sono pura e semplice demagogia». Sempre sul fronte sindacale si registra l’intervento di un’altra sigla, la Failms, che attraverso il segretario Cristian Prella sollecita la Regione a farsi carico dei 30 operai in cassa integrazione e in attesa di rientrare in Ferriera. Tra loro anche l’ex sindacalista Luigi Pastore. «In base a un accordo della fine 2014 saremmo dovuti tornare al lavoro dalla cassa integrazione entro il 31 dicembre scorso. Veniamo chiamati dai consulenti del lavoro - sostiene Pastore - e ci vengono fatte offerte impossibili da accettare oppure ci viene proposta la frequentazione di corsi incompatibili con il nostro stato di salute, visto che alcuni di noi hanno hanno patologie serie, come tumori, da tenere sotto controllo».

(s.m)

 

 

Piano da tre milioni per la rete fognaria di Santa Croce - Opera completa in tre anni con il collegamento fino a Grignano - Si parte con un lotto da 554mila euro per il primo chilometro
Oltre quattro milioni di euro per costruire nuove reti fognarie a Santa Croce e a Longera. Due tipiche situazioni in cui pecunia non olet: l’argomento non sarà dei più charmant, ma risulta gradito ai residenti, agli amministratori pubblici, e anche alla salubrità ambientale delle aree interessate. Le decisioni provengono dall’ultima riunione della Consulta d’ambito per il servizio idrico integrato orientale triestino (Cato), presieduta dal sindaco di Trieste Roberto Dipiazza e partecipata dai rappresentanti degli altri comuni (mancava solo San Dorligo), alla presenza del direttore Fabio Cella, già manager provinciale e ora regionale. Sarà l’utility AcegasApsAmga, in qualità di gestore del piano, a fungere da stazione appaltante. Dunque, sono due le delibere più importanti per la realtà territoriale ex provinciale, la 228 e la 230. La prima, in particolare, riguarda Santa Croce e ha visto approvati il progetto preliminare generale e l’esecutivo del primo lotto. L’opera, una volta interamente realizzata in un arco temporale pianificato su 38 mesi, convoglierà i reflui fognari da Santa Croce al depuratore di Sistiana attraverso una rete estesa circa otto chilometri: il costo dei lavori ammonterà a circa tre milioni di euro. Intanto si procede con il primo lotto, sul quale vengono investiti 554mila euro, che consentiranno nello specifico la posa di una nuova canalizzazione per un’estensione di un chilometro. Andrà a beneficio di una parte della borgata e di una zona ad essa limitrofa attualmente non servita. «Il bando di gara relativo al primo lotto - aggiunge Cella - dovrebbe essere pronto tra febbraio e marzo, dopo l’aggiudicazione i lavori dovrebbero protrarsi per 15 mesi». Il secondo e il terzo lotto, che definiranno l’opera completa, riguarderanno - spiega ancora Cella - i collegamenti con i Filtri e con Grignano, fino all’impianto di Servola. Il secondo intervento si concentra invece su Longera. Il preliminare generale in questione, che ha ottenuto il via libera dal Cato, divide l’area interessata in due parti, una a monte che coincide con Longera e una a valle che comprende Sottolongera. L’obiettivo è realizzare una rete fognaria in grado di connettersi con le utenze già presenti, destinando la “raccolta” verso il depuratore di Zaule. In questo caso il costo dell’opera si attesta a un milione e 255mila euro, articolato su due lotti di analoga entità. Ancora da Cella alcuni dettagli operativi: «La gara sarà bandita in estate, tra giugno e luglio, e dovrà tenere conto del vincolo paesaggistico. È prevedibile che la costruzione implichi un anno di lavori». L’opera è stata progettata - completa il direttore del Cato - per evitare che i reflui di Longera continuino a disperdersi nell’idrografia minore della zona. Con Santa Croce e Longera siamo al terzo atto deliberato dal Cato negli ultimissimi mesi nel quadro del riassetto della rete territoriale: infatti a novembre sono stati stanziati 1,3 milioni per la riqualificazione delle fognature di Caresana, che fungeranno a propria volta da collettore per l’alta valle dell’Ospo e contribuiranno a tener pulite le acque del piccolo fiume.

Massimo Greco

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA,15 gennaio 2017

 

 

Il futuro della Ferriera all’esame del Parlamento

Tappa in città per la commissione Industria del Senato impegnata in un’indagine sul futuro della siderurgia in Italia. I dubbi dei servolani dopo l’aut aut di Arvedi
Sul futuro della Ferriera accende i riflettori il Parlamento. Giovedì approderà in città, più precisamente nel palazzo della Prefettura, la Commissione Industria del Senato, presieduta dall’esponente Pd Massimo Mucchetti. La giornata sarà interamente dedicata alle audizioni con la presidente della Regione Debora Serracchiani, il sindaco Roberto Dipiazza, il prefetto Annapaola Porzio, Confindustria, le rappresentanze sindacali, associazioni e comitati ambientalisti. Obiettivo della trasferta, passare al setaccio le prospettive di sviluppo dello stabilimento e affrontare, inevitabilmente, i nodi legati alle emissioni. «L'iniziativa si iscrive in un'indagine che abbiamo aperto da qualche tempo sull’Ilva e sulla situazione della siderurgia italiana più in generale - anticipa Mucchetti -. Dopo Trieste, infatti, ci recheremo, già il giorno successivo, all'acciaieria Arvedi di Cremona. Lo scopo è accertare lo stato dell'arte, tanto a Trieste quanto a Cremona, dei due principali stabilimenti del gruppo, per capire come vanno le cose in una delle realtà più importanti del Paese nel settore, visto che Arvedi è l'industriale italiano presente nella cordata promossa dalla Cassa depositi e prestiti per l'acquisizione dell'Ilva, assieme a Leonardo Del Vecchio e al gruppo indiano Jindal. In sostanza - precisa Mucchetti - l'interesse del governo e del Parlamento si focalizza sul gruppo Arvedi in quanto tale e sul gruppo Arvedi in quanto socio della cordata italiana che punta all'Ilva. I giochi si faranno a febbraio, di qui l'utilità di ascoltare ora le varie realtà del territorio». Anche il tema ambientale sarà preso in considerazione. «Certo - conferma il parlamentare del Pd -, la questione è costantemente all’attenzione del Senato grazie all’attività della commissione preposta. Il nostro focus, però, sarà soprattutto sulle problematiche e le opportunità di carattere industriale. Un quadro che non può prescindere dall’impatto sul territorio circostante, ma nella logica che le produzioni ci devono essere. L’obiettivo è lavorare per renderle sostenibili sotto il profilo ambientale e della salute. E non tanto di perseguirne, di per sé, la chiusura. A noi - ripercorre ancora il senatore - interessa accertare prima di tutto quale ruolo, dal punto di vista industriale, potrà avere la Ferriera di Servola nell'ambito del gruppo Arvedi e della società nel suo complesso interessata all'Ilva. Vogliamo sondare il contesto. Per quanto riguarda il futuro di Servola, questo è un tema legato alla vocazione produttiva della città. Non a caso - conclude Mucchetti - ascolteremo pure la presidente della Regione e il sindaco, non solo sindacati e Confindustria. Non abbiamo pregiudizi di alcun genere. Siamo a Trieste per capire, non per fare operazioni partigiane». All’attenzione della commissione arriveranno di certo anche le posizioni dei comitati di residenti di Servola. Residenti che, dopo l’aut aut lanciato da Giovanni Arvedi, si interrogano sul futuro dello stabilimento. «In realtà - commenta Linda Tagliapietra - alle affermazioni di Arvedi non credo molto. O, meglio, non credo siano risolutive. Perché se anche il suo gruppo decidesse davvero di andarsene, arriverebbe comunque qualcun altro e quindi saremmo punto a capo». Alessandro Ardetti è per metà contento e per metà preoccupato. «Se Arvedi lasciasse Treste e l’area a caldo venisse chiusa, non potrei che essere felice - afferma -, ma il prezzo sarebbe alto perché nessuno saprebbe cosa fare dei dipendenti. Prima di fermare la fabbrica bisogna dare un posto di lavoro alle persone, è gente che ha famiglia. Noi ci interessiamo anche a loro, non guardiamo soltanto ai nostri interessi». «Da un lato non vedo l'ora che chiudano tutto - rileva Renzo Pozzari, gestore del supermercato sulla strada - dall'altro mi domando cosa si potrebbe fare degli operai. Ma senza la Ferriera Servola sarebbe magnifica». Lorella Buzzai conferma, ma si chiede: «Com’è possibile che nonostante tutti i contributi pubblici investiti, i risultati siano sempre così insoddisfacenti?».

di Gianpaolo Sarti

 

 

Orti urbani o spazi sociali - Muggia decide su Pianezzi

MUGGIA - “Un orto sociale a Muggia. Dove, con chi e perché?” e “Condividere idee e progettualità”: sono questi i rispettivi titoli dei prossimi due incontri di “Pian(ezz)i condivisi” - il progetto di orto sociale previsto nell’area di Pianezzi - che si svolgeranno il 23 e il 30 gennaio, alle 17, in sala Millo. Il progetto, organizzato dal Comune di Muggia in collaborazione con l’Università (Dipartimento di ingegneria e architettura), mira a individuare assieme alla popolazione e ai portatori d’interesse quale sia la funzione e la configurazione più opportuna da dare a quest’area. «Il percorso partecipativo è infatti organizzato come parte di ricerca e progetto operativi “sul campo” di una tesi di laurea magistrale in Architettura dell’Università di Trieste, e cercherà di verificare se la popolazione sia interessata ad avere a disposizione spazi verdi in prossimità del centro urbano in cui realizzare e curare orti e giardini condivisi o se possa invece maggiormente interessare la realizzazione di uno spazio dedicato al sostegno sociale mirato e al reinserimento di soggetti deboli», racconta il vicesindaco Francesco Bussani. In entrambi gli appuntamenti una prima parte dell’incontro si terrà nella sala Millo, dove vi sarà la fase di iscrizione e presentazione oltre alla divisione in gruppi che, protagonisti della seconda parte, potranno dedicarsi alla discussione vera e propria per ritrovarsi infine nuovamente e condividere quanto emerso nei singoli tavoli. L’iscrizione si potrà effettuare in loco, ma è prevista la possibilità di preiscriversi ai tavoli di lavoro inviando una mail con i propri dati (nome, cognome e mail) a urbanistica.muggiacomunedimuggia.ts.it. «Gli orti urbani sono una risposta concreta alle esigenze della comunità: permettono di investire positivamente il proprio tempo libero ed entrare in relazione con le persone che abitano il quartiere, favoriscono lo scambio di conoscenze e, non da ultimo, rispondono al desiderio di mettere nel proprio piatto cibi sani», ha commentato l’assessore agli Orti urbani Laura Litteri. Il primo incontro, oltre alle finalità, ai contenuti operativi e alle modalità di partecipazione al progetto, aveva visto anche la presentazione di alcuni esempi di buone pratiche per la gestione degli spazi verdi urbani e periurbani e il coinvolgimento attivo dei cittadini nella loro cura oltre al progetto Interreg Ita-Slo “Gates-Agricoltura e Turismo per economie sostenibili” che si sviluppa anche sull’area oggetto di studio e che vede coinvolti, per l’Italia, Interland Consorzio per l’integrazione e il lavoro-Società cooperativa sociale e il Consorzio Ausonia cooperativa sociale Onlus, oltre a Comune di Muggia e Università. Infine, per favorire una maggiore partecipazione e condivisione di informazioni, il Comune ha aperto anche la pagina Facebook “Pianezzi condivisi” dove verranno caricati anche materiali preparatori e report degli incontri, e per i cittadini sarà possibile interagire con i promotori del progetto anche al di fuori degli incontri stessi. «Confidiamo che l’interesse cresca e alimenti sempre più questa rinnovata attenzione verso l’agricoltura sociale», ha aggiunto Francesco Bussani. D’altronde Muggia ha già dimostrato di essere particolarmente interessata alla riscoperta dei saperi legati alla terra e alla sua cura, motivo per il quale l’amministrazione comunale riproporrà anche i corsi di agricoltura tanto apprezzati».

Riccardo Tosques

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 14 gennaio 2017

 

 

Sindacati contro Dipiazza dopo l’aut aut di Arvedi - Cgil, Cisl e Uil: «No a strumentalizzazioni politico-istituzionali mascherate»
Accuse pure dal Pd ma il sindaco rilancia: «Arvedi sta ricattando Trieste»
Lo stop all’attività della Ferriera minacciato giovedì da Giovanni Arvedi, in risposta ad un clima giudicato ormai insopportabilmente ostile? Musica per le orecchie del sindaco, hanno pensato subito in molti, visto che da mesi Roberto Dipiazza porta avanti la sua battaglia per centrare l’obiettivo della chiusura dell’area a caldo. E invece no. Tutto il contrario. Anzichè festeggiare la vicina uscita di scena del “nemico” Arvedi, presentandola come una vittoria della linea dura dell’amministrazione, il primo cittadino è andato su tutte le furie, arrivando a definire l’uscita del Cavaliere «un ricatto alla città». Ricatto, ha fatto capire Dipiazza, che il Comune non intende accettare. Anche se, accettarlo, significherebbe appunto raggiungere l’atteso risultato e mettere la parola fine alla vicenda Ferriera. Una reazione inattesa e imprevedibile, insomma, quella del sindaco. Paradossale, in un certo senso. Lo stesso aggettivo usato ieri anche dai vertici di Cgil, Cisl e Uil, entrati ieri pesantemente in campo per scongiurare l’addio del Cavaliere, ribadire la serietà del lavoro fatto negli ultimi due anni da Siderurgica Triestina, e denunciare le incongruenze dell’amministrazione comunale. «Siamo di fronte a un paradosso - è stato l’affondo di Michele Piga della Cgil, Umberto Brusciano della Cisl e e Claudio Cinti della Uil -: da un lato ci sono i dati dell’Arpa che parlano chiaro, certificando come le emissioni siano sotto i valori di legge; dall’altro c’è il sindaco che si richiama a numeri di tutt’altra natura e di cui vorremmo avere conto». Perchè su questo punto, attaccano i rappresentanti dei lavoratori, il Municipio non ha certo brillato per trasparenza. «Non vorremmo che gli sforzi fatti con l’Accordo di programma in atto, le prescrizioni dinamiche dell’Aia e la dichiarazione, faticosamente ottenuta, di Trieste come area di crisi industriale complessa, venissero vanificati con un colpo di spugna per effetto di azioni del Comune, che hanno più il sapore di uno scontro politico istituzionale, che di vero perseguimento del benessere della cittadinanza. Perché la chiusura dell’area a caldo della Ferriera, e di conseguenza come più volte detto di tutto il sito industriale, non può essere un obiettivo a prescindere dalla migliorata realtà ambientale certificata dagli organi competenti. Ambiente, salute e lavoro - concludono Piga, Brusciano e Cinti - sono i valori sui quali come organizzazioni sindacali ci siamo ispirati, e non solo per la Ferriera. Non accettiamo strumentalizzazioni politico-istituzionali mascherate. Chiudere la Ferriera significherebbe compromettere in via definitiva lo sviluppo del territorio, che passa necessariamente attraverso l’industria. Già oggi contiamo circa 8 mila disoccupati, ai quali non vorremmo aggiungere anche i 600 di Servola, senza contare l’indotto». Un affondo ad alzo zero, dunque, in linea con quello sferrato anche dai vertici Pd. «Il rischio di perdere centinaia di posti di lavoro a Trieste è frutto del modo superficiale e irresponsabile con cui Dipiazza ha trattato il tema della Ferriera e si è rapporto con la proprietà e la Regione - tuonano Adele Pino e Antonella Gri, rispettivamente segretario provinciale e regionale del partito -. Dipiazza esca dalla campagna elettorale, la smetta di fare guerra alla Regione e si comporti da sindaco, mediando e individuando soluzioni equilibrate per il bene della città tutta. La perdita di centinaia di posti di lavoro è un rischio che non possiamo permetterci». Un rischio a cui Dipiazza, nello sfogo di ieri, non ha fatto alcun riferimento, limitandosi a ricordare che «il Comune sta facendo solo quello che deve fare per tutelare la salute dei cittadini e dei lavoratori, vigilando sul rispetto da parte dell’azienda delle prescrizioni imposte dall'accordo di programma e dall'Aia, nell’interesse della salute dei servolani. Mi spiace che Arvedi interpreti questo come un clima ostile, ma le sue parole si possono interpretare solo come un ricatto alla città». Interpretazione sposata anche dal M5S. «Sembra che Arvedi si sia detto pronto a lasciare Trieste a causa di un clima (politico?) ostile - commenta il consigliere comunale Paolo Menis -. Ogni impresa agisce (o almeno dovrebbe) nell'ambito delle leggi vigenti. In questo caso ci sono due Accordi di programma che vanno rispettati. Se le istituzioni agiscono per verificare il rispetto di quegli accordi, non significa creare un clima ostile».

Maddalena Rebecca

 

Paoletti pensa a una mediazione - Per Bruni prima salute poi lavoro - l’economia
Antonio Paoletti mette a disposizione la Camera di commercio come luogo di incontro e di mediazione. «L’ente non è mai stato coinvolto nel caso Ferriera, ma, essendo l’organismo che organizza categorie e interessi economici, ritengo che possa fornire un contributo». Intanto pensa a una convocazione della giunta. Sergio Razeto, presidente di Confindustria, non ritiene che quello di Arvedi sia un ricatto, quanto piuttosto «l’indice di disillusione perchè l’impegno profuso non ha il riconoscimento atteso». Diverso il parere di Dario Bruni, presidente di Confartigianato, secondo cui «la salute viene prima del lavoro». «Abbiamo avuto carrozzerie sequestrate per molto meno, allora quello che vale l’artigiano non deve valere per Arvedi?. «L’artigianato triestino ha perso quasi mille posti in 5 anni ma non ho visto altrettanta mobilitazione sindacale».

(magr)

 

L’intervento della magistratura e i “nasi elettronici” antipolveri - le emissioni
Sull’intera partita pesa pure l’intervento della magistratura. Nelle ultime settimane, come noto, la Procura è tornata ad accendere i riflettori annunciando l’intenzione di installare nel rione di Servola nuove centraline per il controllo delle emissioni inquinanti dello stabilimento siderurgico. Gli impianti, che andranno ad aggiungersi a quelli dell’Arpa, saranno capaci anche di intercettare le polveri “ipersottili”, come le Pm 2,5. Non solo. Accanto alle centraline saranno posizionati anche dei dispositivi capaci di sondare l’impatto degli odori nel centro abitato. Si tratta di veri e propri “nasi elettronici”. Le verifiche sugli odori sono peraltro previste espressamente all’interno dell’Allegato 3 dell’Autorizzazione integrata ambientale. L’Aia, dunque, che impone alla proprietà di studiare anche questo aspetto delle emissioni della fabbrica “entro un anno” dal varo del documento.

(g.s.)

 

La battaglia nelle aule giudiziarie - L’annuncio dell’imprenditore dopo la bocciatura della “sospensiva”
Si gioca anche sul piano giudiziario, oltre che su quello politico-economico, la battaglia che vede contrapposti Giovanni Arvedi e Roberto Dipiazza. Giovedì il Tar ha reso noto di aver respinto la richiesta di sospensiva presentata da Siderurgica Triestina contro l’ordinanza con cui il sindaco lo scorso novembre aveva intimato all’azienda di contenere la produzione mensile di ghisa entro le 34mila tonnellate. Ciò in attesa della sentenza di merito, ma anche questo pronunciamento è stato un elemento che ha indotto lo stesso cavalier Arvedi a lanciare l’ultimatum contro il presunto accerchiamento politico - mediatico - giudiziario. Anche perché mentre si attendeva questa sentenza, il Comune era già passato al contrattacco rivolgendosi a propria volta al Tribunale amministrativo regionale e prendendo però di mira la Regione. Sotto accusa del municipio il decreto emesso dall'amministrazione regionale il 22 dicembre in risposta a quanto richiesto dagli stessi giudici nell’ambito dell’altro procedimento. Al termine dell'udienza del Tar del 16 dicembre scorso infatti alla Regione era stato intimato di emanare l'atto conclusivo della verifica del rispetto da parte di Siderurgica Triestina delle prescrizioni previste per lo stabilimento siderurgico dall'Autorizzazione integrata ambientale, rilevando che senza questo atto non si sarebbe potuto decidere in merito al ricorso contro l'ordinanza di Dipiazza. La Regione ha appunto adempiuto il 22 dicembre depositando il decreto il giorno successivo. Il Comune però, giocando d'anticipo rispetto all'udienza che era fissata per l'11 e che ha bocciato la sospensiva, ha impugnato il decreto. Lo aveva deciso la giunta comunale nella seduta che si era tenuta il 30 dicembre e nella relativa delibera aveva sostenuto che «il suddetto decreto regionale si sostanzia in una mera riproduzione del contenuto dei rapporti di visita ispettiva di Arpa Fvg nonché del verbale di sopralluogo congiunto del 13 settembre 2016» e che «detto decreto risulta illegittimo in quanto carente della presupposta attività istruttoria oltre che delle necessarie determinazioni che lo stesso doveva assumere, considerato l'indiscusso sforamento del limite di produzione mensile di ghisa così come autorizzata dall'Aia». I giudici del Tar hanno specificato che «l'Aia stabilisce che l'accertamento del completamento degli interventi verrà effettuato dalla Regione previo sopralluogo congiunto degli Enti che partecipano alla Conferenza dei servizi». Ma anche che «impone di concludere detto segmento procedimentale con un atto formale della Regione la quale, se del caso, può anche limitarsi a fare proprie le risultanze del sopralluogo congiunto effettuato in data 13 settembre 2016». La Regione ha poi precisato che «con decreto 2955/Amb del 22 dicembre 2016 il direttore del Servizio tutela da inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico, Luciano Agapito, ha accertato il completamento da parte di Siderurgica Triestina degli interventi di adeguamento dell'altoforno previsti nell'Aia rilasciata nel gennaio 2016. Il decreto, che formalizza quanto già comunicato agli enti competenti con nota del 24 ottobre 2016 sulla base delle evidenze del sopralluogo congiunto effettuato nell'impianto nel mese di settembre - continua l'amministrazione regionale - è stato adottato in ottemperanza all'ordinanza emessa dal Tar Friuli Venezia Giulia in occasione dell'esame dell'istanza proposta da Siderurgica Triestina avverso l'ordinanza del sindaco di Trieste di limitazione della produzione di ghisa». È la stessa Aia a stabilire che la ghisa debba restare sotto le 34mila tonnellate mensili finché non siano stati conclusi tutta una serie di interventi strutturali sull'altoforno. L’azienda però afferma di averli fatti e il decreto della Regione dovrebbe averlo certificato. Ora il Tar, che ha bocciato la richiesta di sospensiva, deve pronunciarsi nel merito

Silvio Maranzana

 

E in fabbrica monta la paura di perdere il posto di lavoro - All’assemblea in sala mensa la preoccupazione è palpabile: «La città ce l’ha con noi»
Il doppio timore di un operaio: «Se si ferma la produzione io e mia moglie in strada»
Mani in tasca, bavero del giaccone alto fin sopra il mento, sguardi bassi. Entrano alla spicciolata, gli operai, all’assemblea della fabbrica. Prendono posto tra i tanti tavoli della mensa borbottando, scuotendo la testa. Mentre fuori si addensano altre nubi nere sul destino dello stabilimento, dentro sfila lo smarrimento. Ma più che rabbia e delusione, è angoscia. Sono finiti per l’ennesima volta tra l’incudine e il martello, nell’eterna lotta che si rinnova, di tanto in tanto, tra il management e la politica. Che poi tutto, per chi lavora, si riduce a pochi ed elementari concetti, ma pesanti come montagne: la paura di trovarsi in strada con una famiglia da mantenere e un mutuo da pagare. Ecco cosa si consuma, in fondo, dietro ai bracci di ferro. Dall'ingegnere specializzato, all'ultimo dei manovali. Dall’immigrato con il suo primo contratto regolare, al triestino doc. Demis Minarda è sui trent’anni, lavora nell’altoforno. «La situazione è di nuovo grave, non so cosa dire...», mormora. «Io ho due figli, non saprei come fare senza questo posto. Per noi non è facile, la città ce l’ha con noi, i servolani ci considerano degli scarti». I sindacalisti sono nel pieno del dibattito, alternandosi al microfono davanti alle bancate. Attorno a Demis, sul fondo, si forma un gruppetto di colleghi, tutti con tute ed elmetto. Carlo Abate, giovane pure lui, è dipendente della Ferriera da otto anni.«Ne ho sentite tante in tutto questo tempo - racconta - e sembra che noi stiamo qui per la gloria, invece lottiamo per il salario. Potrei essere d’accordo sulla chiusura, ma qualcuno dovrebbe garantirmi un impiego sostitutivo, io vado a fare anche il giardiniere se serve. Però va detta una cosa: Dipiazza continua con la sua battaglia - osserva - con un gioco molto pericoloso per noi. E pensare che qui, in fabbrica, abbiamo gente che ha votato per lui...». Il discorso scivola presto in politica, riproponendo il solito ritornello su «chi doveva fare e non ha fatto» e sulla credibilità delle promesse passate. «La verità è che siamo nel panico», interviene un operaio dell’officina, che qui tutti conoscono come “Rocky”. "Penso che siamo ripiombati nella stessa condizione incerta di qualche anno fa con la Lucchini - commenta - e io personalmente non avrei mai creduto a una situazione del genere. Se si ferma l’area a caldo perdiamo il lavoro io e mia moglie. Ho 45 anni, chi mi prende? I politici dovrebbero avere più pazienza con Arvedi, non si può pretendere che nel giro di due anni risolva tutto. Bisogna dargli tempo». L’assemblea ormai è sul finire, gli operai devono riprendere i turni. È servita, forse, a quietare gli animi? La battaglia, preannunciano i sindacati, si sposterà a Roma. «Di fronte alle dichiarazioni di Arvedi, visto che gli accordi sono di livello statale, porteremo la questione a livello ministeriale», spiega Umberto Salvaneschi (Fim Cisl). «Vogliamo capire se dietro ai malumori causati dallo scontro politico e da quanto ha scritto la stampa ci sono altre motivazioni. Vogliamo sapere con esattezza cosa può mettere a repentaglio l’accordo di programma». D'accordo Franco Palman (Rsu Uilm): «Questa assemblea era utile per fare chiarezza sulle dichiarazioni del cavaliere - puntualizza - parole che preoccupano molto. Ma allo stesso tempo sono perplesso, perché non può essere che Arvedi di colpo decida di mollare tutto. Sapeva benissimo, fin da subito, fin da quando ha rilevato la fabbrica, che la città è contraria alla Ferriera. Io credo che però siamo in linea con il rispetto dell’Aia, quindi non capisco perché si è creato questo clima negativo attorno a noi. Quali sono i problemi? Non credo che sia la città il nodo - riflette ancora Palman - perché il clima sfavorevole attorno alla Ferriera esisterà sempre. Anche se domani mattina mettiamo in ogni camino un Arbre magique i servolani diranno che c’è troppo odore di pino. A questo punto io credo che ci sia qualcos’altro sotto. Lo scopriremo nelle sedi romane». Cristian Prella (Failms) sposta l'accento «sull’unitarietà delle forze sindacali, perché quella di Arvedi - evidenzia - non è assolutamente una boutade. Come hanno detto i miei colleghi, l’unica strada è di portare la questione davanti agli attori che finora hanno gestito la partita. Cioè le sedi istituzionali».

Gianpaolo Sarti

 

A febbraio le offerte vincolanti per l’Ilva
Ai primi di febbraio si sapranno le offerte vincolanti per l’Ilva di Taranto, cui concorre anche Arvedi. Il cronoprogramma prevede che sarà consegnato nella prossima settimana alle due cordate il parere del ministero dell’Ambiente sui rispettivi piani ambientali. I commissari Piero Gnudi,Enrico Laghi e Corrado Carrubba stanno mettendo a punto la relativa procedura. Una volta che il parere sarà trasmesso alle cordate, queste avranno 15 giorni di tempo per adeguare i piani ambientali alle prescrizioni e presentare l’offerta economica vincolante. Il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti ha dichiarato nei giorni scorsi che sia Arcelor Mittal con Marcegaglia che Arvedi con Cassa Depositi e Prestiti, Delfin di Leonardo Del Vecchio e Jindal hanno presentato «ottime proposte». Ai commissari Ilva il ministero dell’Ambiente ha consegnato lunedì scorso il parere, frutto di una valutazione dei tre esperti nominati a luglio scorso dallo stesso Galletti.

 

 

Msc punta al terminal bis in Porto vecchio - Interesse della compagnia di crociere per una seconda Marittima all’Adriaterminal. L’annuncio al convegno al Savoia
La firma tra due settimane del Protocollo operativo per l’utilizzo dei primi 50 milioni stanziati dal Cipe, il probabile arrivo dell’incrociatore lanciamissili Vittorio Veneto da trasformare in museo galleggiante, una prestigiosa manifestazione d’interesse per realizzare una seconda Stazione marittima all’Adriaterminal.

Sono fioccate le novità all’incontro “Porto vecchio: da ieri a domani” organizzato da Confindustria Venezia Giulia e svoltosi all’Hotel Savoia in una sala gremita da operatori e cittadini. La prima parte dell’incontro è stata riservata all’illustrazione degli esiti del sondaggio commissionato a Swg che hanno rilevato un interesse e una fiducia crescente da parte dei triestini nei confronti dell’operazione di riutilizzo. Alquanto scoppiettante la tavola rotonda che ne è seguita, moderata dal giornalista Cristiano Degano, in cui la governatrice Debora Serracchiani, il sindaco Roberto Dipiazza e il segretario generale dell’Autorità di sistema portuale (Adsp) Mario Sommariva si sono divertiti ad annunciare novità. Quella assolutamente inedita è venuta da Sommariva. «Abbiamo una manifestazione d’interesse - ha annunciato - per la realizzazione di un terminal crocieristico al posto dell’Adriaterminal. Non posso entrare nei dettagli, ma dico che di grossi armatori in questo campo nel Mediterraneo ce ne sono soprattutto due, e uno a Trieste c’è già». La pista porta dunque a Msc, diretta concorrente di Costa, che recentemente ha aumentato la propria partecipazione nel terminal container portandola al 50%. «La mia opinione - ha però aggiunto - è che lì debba venir realizzata la seconda Stazione marittima perché non si può certo rinunciare a quella di fronte a piazza Unità». Dipiazza e Serracchiani hanno annunciato la prossima firma del Protocollo operativo tra Regione, Comune e Adsp per dare esecuzione agli interventi inclusi nel finanziamento Mibact, e la governatrice ha così sintetizzato quelli principali: 25 milioni per il Museo del mare nei Magazzini 24 e 25, 12 milioni per l’Icgeb nel Magazzino 26, altri milioni per il viale principale e per la gru galleggiante Ursus «che il sindaco non voleva - ha scherzato - ma che invece sarà il simbolo del Porto vecchio». «Già a febbraio - ha aggiunto Dipiazza - gli architetti cominceranno a buttare giù i progetti e ben presto partiranno i lavori per il viale alberato che partirà da una rotonda all’incirca a 300 metri dal ponte di ferro per sbucare all’altezza della Sala Tripcovich che mi auguro di far presto sparire». E il sindaco ha anche riferito di aver già avuto un incontro con l’Authority per realizzare un megaparking al Molo Quarto che possa far sparire tutte le automobili parcheggiate sulle Rive. «Ho già parlato con il ministro Pinotti - ha detto ancora Serracchiani - e se il ministero della Difesa pagherà la bonifica la nave Vittorio Veneto sarà ormeggiata dinanzi al Polo museale e ne farà parte integrante». Come se non bastasse, Sommariva ha anche annunciato che Trieste con 7.631 convogli è divenuto il primo porto italiano per la movimentazione di treni avendo sorpassato anche lo scalo di La Spezia. Alla fine, in uno scambio di battute con Dipiazza, ha detto di ritenere giusto che i ricavi provenienti dalla vendita dei Magazzini sdemanializzati vadano all’Authority per il potenziamento delle infrastrutture del Porto nuovo. Su questi introiti il Comune rivendica una percentuale «perché il solo fatto di pensare che son il responsabile della sicurezza e della pulizia di questa nuova enorme area mi sta turbando il sonno». E dopo i 50 milioni, come si andrà avanti? «Con fondi europei e non solo, oltre agli investimenti privati, abbiamo contattato la Banca europea per gli investimenti al fine di reperire altre importanti risorse», così Serracchiani. «Adesso - ha concluso Dipiazza - non ci ferma più nessuno».

Silvio Maranzana

 

I dettagli dell’indagine swg - Il sì della città agli hotel ma non alle case private
Assodato che l’82% dei triestini considera positivamente l’operazione di riutilizzo del Porto vecchio e che l’88%, rispetto all’81% di un anno prima, è convinta che il recupero possa essere un trampolino per una Trieste più dinamica, dopo l’introduzione del presidente di Confindustria Venezia Giulia, Sergio Razeto, Maurizio Pessato, presidente di Swg, ha illustrato nell’incontro di ieri gli altri riscontri venuti dal sondaggio che tra il 2 e il 6 maggio 2016 ha interessato 1256 triestini maggiorenni. Il 76% è convinto che ne deriverà anche un significativo aumento dell’occupazione, il 60% che potrà arricchire l’offerta commerciale e di servizi. Oltre che sull’aspetto di possibile fenomeni di corruzione temuti dal 50% degli intervistati, qualche nota dolente arriva alla domanda sulla progressione del progetto: soltanto il 16% ritiene che procederà velocenete, mentre a detta del 62% andrà avanti molto lentamente e il 22% è addirittura drastico nell’affermare che si fermerà come già avvenuto più volte. Ma cosa vorrebbero vedere i triestini realizzato nel Porto vecchio? Il 29% privilegierebbe spazi culturali, musei, arte, teatro, bilblioteca e cinema; il 28% attività portuali, terminal crociere, attività inerenti alla nautica; un altro 28% strutture turistiche, alberghi, ristorazione e attrazioni; il 19% aree congressuali ed espositive. Le abitazioni private sono ben viste solo dal 4% degli intervistati, le case per studenti e i campus dal 3% e le abitazioni popolari dall’1%. Sarà questa la volta buona per arricchire Trieste di quello che è uno dei più prestigiosi waterfront d’Europa? Se lo è augurato anche l’imprenditore Federico Pacorini nello scomodo ma utile ruolo di rammentatore degli insuccessi. Bisogna tornare indietro di ben trent’anni per riferirsi al progetto Polis «osteggiato - secondo Pacorini - da una lobby di commercianti che temevano per i propri affari di Borgo Teresiano con la conseguenza che le Generali anziché lì hanno realizzato la propria sede a Mogliano Veneto dove oggi lavorano 5.600 persone». Dopo dieci anni anche allora con l’apparente sostegno dell’80% della popolazione migliaia di persone guidate da Confindustria nell’ambito del progetto Trieste futura hanno marciato dentro l’antico scalo «osteggiate dagli stessi funzionati dell’Ente porto». E infine Trieste Expo, dieci anni fa, allorché l’esposizione venne fatta saltare anche per segnalazioni contrarie giunte da Trieste.

(s.m.)

 

 

DALMAZIA - A Carino - Ancora una tartaruga spiaggiata

La lotta contro la bora, le condizioni meteomarine e il freddo: un’altra tartaruga - la terza - è stata trovata spiaggiata lungo la costa fra Carino e Pridraga, alle spalle di Zara, nella Dalmazia settentrionale. Era già morta. Alcuni abitanti del villaggio di Carino si sono accorti dell’esemplare che giaceva sulla terraferma, a pochi metri dal mare. Come nel caso dei precedenti due rettili, anche questo non presentava alcun segno di violenza, a conferma appunto che la morte è sopravvenuta per sfinimento, disidratazione e per le brutte condizioni meteomarine. È stato allertato il veterinario locale, Marino Mirceta, che ha preso la tartaruga per poi consegnarla agli esperti dell' Agenzia croata per la protezione degli animali, che eseguiranno l'autopsia per accertare le cause esatte del decesso. Gli abitanti peraltro hanno avvistato il rettile perché in questi giorni, con le temperature rigide dell'aria e del mare, e con la bora, si è ripetuto il fenomeno dei pesci uccisi e quindi raccolti senza fatica dagli abitanti stessi.

(a.m.)

 

 

MUGGIA - Sviluppo di Pianezzi con gli orti urbani

Dopo la presentazione generale del 19 dicembre sono stati organizzati i prossimi due incontri del Progetto di orti urbani "Pian(ezz)i condivisi" del Comune di Muggia in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria e architettura dell’Università , finalizzati a condividere le idee sulle modalità di sviluppo dell’area di Pianezzi e si svolgeranno lunedì 23 e lunedì 30 gennaio con inizio alle 17 al Centro Millo in Piazza Repubblica 4 a Muggia. Al fine di agevolare l’organizzazione, è possibile preiscriversi inviando all’indirizzo urbanistica.muggia@comunedimuggia.ts.it.

 

 

SEGNALAZIONI - Trasporti - Binario morto solo a Trieste

“Treni, Trieste sul binario morto. Il taglio degli Intercity fa infuriare i pendolari. Fvg sempre più isolato” (nove colonne in prima pagina del Piccolo). “ Brexit. Trenitalia entra nel mercato del Regno Unito e compra Next; … ha infatti acquisito per 80 milioni di euro (70 milioni di sterline) la società inglese che gestisce i collegamenti tra Londra e Shoesburyness ” (Piccolo del 12/1). “Otto anni orsono solo l’intervento da 3 milioni della Regione era riuscito a salvare le corse dirette verso Milano... sempre via pagamento dei 3 milioni allo Stato, le cose si sono almeno stabilizzate.”(Marco Ballico sul Piccolo del 12 Gennaio). La Regione finanzia, in pratica, Fs/Trenitalia per migliorare il servizio all’estero, ottenendo in cambio il disimpegno di Fs e l’isolamento della nostra regione. Se non si pone rimedio all’aberrante “politica dei trasporti”(lanciata dalla sapiente regia di Tremonti - Matteoli - Moretti per affrontare il “mercato europeo” con l’acquisizione della tedesca Tx, per le merci, e il regionale delle ferrovie tedesche DB, per i viaggiatori) l’isolamento è ormai assicurato per tutto il Paese. S’impone un deciso intervento del ministro delle infrastrutture e dei trasporti per riportare sui binari giusti (quelli italiani !) i finanziamenti di stato e regioni, che abbiano come faro la riconversione modale, per le merci, e l’integrazione funzionale e tariffaria con un’offerta competitiva sull’intera rete nazione, per i viaggiatori, e non una velleitaria “internazionalizzazione” che nulla ha a che vedere con il miglioramento del servizio ferroviario italiano connesso alle reti europee in una sana competizione. Una verifica è necessaria e urgente: comparazione del costo delle tre acquisizioni rispetto al profitto conseguito e prevedibile. Ma urgente è soprattutto una decisa inversione di tendenza.

Luigi Bianchi

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 13 gennaio 2017

 

 

Arvedi lancia il suo ultimatum «Clima ostile, pronto a chiudere»

Mossa inattesa dell’imprenditore arrivato ieri a Trieste dove ha incontrato anche la presidente della Regione Serracchiani
Una nuova spada di Damocle pende sul futuro degli oltre 500 lavoratori della Ferriera e di diverse centinaia dell’indotto. Ma, più in generale, a risentire in maniera pesantissima dall’eventuale chiusura dell’attività produttiva sarebbe l’intera economia cittadina. A mettere in evidenza i rischi che corre la continuazione della produzione nello stabilimento di Servola è stato lo stesso presidente del gruppo, il cavalier Giovanni Arvedi, in un incontro con i sindacati svoltosi, nel primo pomeriggio di ieri, nella sede di Siderurgica Triestina a Servola. Una riunione convocata due o tre giorni fa, senza però che fosse specificato l’ordine del giorno, e alla quale solo all’ultimo si è appreso avrebbe partecipato anche Arvedi. Dall’altra parte del tavolo, le segreterie confederali di Cgil, Cisl e Uil, le segreterie dei metalmeccanici di Fim, Fiom, Uilm e Failms, assieme alle rispettive Rsu. L’incontro è iniziato in maniera “soft”, con i rappresentanti dell’azienda che hanno illustrato i dati ambientali relativi al 2016. Cifre che, si legge in una nota sindacale delle segreterie provinciali, «evidenziano un netto miglioramento rispetto al 2015 in relazione a tutti i parametri previsti dall’Autorizzazione integrata ambientale». Poco dopo c’è stato il colpo di scena con l’atmosfera che si è fatta subito pesante. Giovanni Arvedi ha preso la parola ed è andato dritto al cuore del problema, manifestando «estremo disappunto - spiega sempre il comunicato sindacale - rispetto al clima mediatico, politico e giudiziario che si sta determinando» con riguardo all’attività dello stabilimento servolano. Arvedi non ha usato mezzi termini e nel prosieguo del suo intervento ha evidenziato come «l’attuale clima politico nei confronti dell’azienda - si legge sempre nella nota sindacale - rischi di compromettere la possibilità della continuazione del progetto industriale e del risanamento ambientale». Il presidente del gruppo non si è fermato qui. Sempre secondo quanto riferisce il comunicato sindacale «ha dichiarato chiaramente che “se entro il 28 febbraio non saranno chiariti questi fatti” verrà meno l’approvvigionamento delle materie prime necessarie alla prosecuzione dell’attività produttiva dello stabilimento». Arvedi ha dunque, secondo i sindacati, «lasciato intendere, di fatto, la possibilità reale della cessazione delle attività della fabbrica». Le normali scorte di materie prime consentono di proseguire l’attività per due mesi. Ciò significa che la produzione si arresterebbe giocoforza entro la fine di aprile. Dalle istituzioni coinvolte in prima linea nell’attività della Ferriera - Comune e Regione - non è giunta ieri alcuna reazione alle affermazioni di Arvedi. Più precisamente né il sindaco Roberto Dipiazza né la presidente della Regione Debora Serracchiani, pur interpellati attraverso i loro portavoce, hanno inteso rilasciare dichiarazioni. Sempre ieri (pare nel pomeriggio) Serracchiani ha incontrato Giovanni Arvedi, ma nulla è trapelato sui contenuti di tale riunione. A fronte delle affermazioni del presidente del gruppo, i rappresentanti sindacali hanno respinto con decisione l’impostazione dell’azienda, sottolineando «il rischio reale di una grave crisi occupazionale». E hanno annunciato per oggi un’assemblea nello stabilimento, per spiegare ai lavoratori i punti dell’incontro di ieri. Gli stessi sindacalisti si sono poi attivati immediatamente affinchè la discussione iniziata ieri si sposti nelle dovute sedi ministeriali, alla presenza del governo e con il supporto delle organizzazioni nazionali di categoria. Al momento non è chiaramente ipotizzabile quando questo tavolo romano potrebbe essere riunito. Le segreterie provinciali di Fim, Fiom, Uilm e Failms lanciano comunque già ora un segnale di speranza, confidando che «in quella sede l’azienda e tutte le istituzioni locali, Comune compreso, confermino gli impegni assunti in sede di accordo di programma».

Giuseppe Palladini

 

Il Tar respinge la “sospensiva” della proprietà sui limiti alla produzione imposti dal Municipio - LA PARTITA PARALLELA
L’atteso pronunciamento si è appalesato sul sito del Tribunale amministrativo regionale ieri mattina. Sì è così appreso che il Tar ha deciso, in camera di consiglio l’11 gennaio, di respingere la richiesta di sospensiva presentata da Siderurgica Triestina contro l’ordinanza con cui il sindaco Dipiazza, lo scorso novembre, ha intimato all’azienda siderurgica di contenere la produzione mensile di ghisa entro le 34mila tonnellate. Ordinanza che imponeva inoltre a Siderurgica triestina di comunicare settimanalmente al Comune, alla Regione, all’Arpa, alla Provincia e all’AsuiTs un report riepilogativo della produzione giornaliera di ghisa, per consentire di verificarne l’andamento temporale. La ragione principale di quanto stabilito dal Tar sta, come si legge nell’ordinanza, nella mancanza del requisito del “perciculum in mora”. In sostanza l’ordinanza del sindaco, secondo il Tar, non arreca danni immediati a Siderurgica triestina. Il limite delle 34mila tonnellate è del resto quello fissato dall’Autorizzazione integrata ambientale. Stringato il commento dell’assessore comunale all’Ambiente, Luisa Polli: «La decisione del Tar riguarda l’istanza cautelare. Aspetto di leggere la sentenza di merito». Il Comune attende ora un’altra decisione del Tar, che lo riguarda più da vicino. L’amministrazione ha infatti impugnato il provvedimento del 22 dicembre con cui la Regione ha accertato il completamento degli interventi di adeguamento previsti dall’Aia del gennaio 2016. Commentando la decisione del Tar, la Regione, in una nota, rileva che «l’ordinanza del Tribunale amministrativo regionale acclara che il punto in discussione è stato eseguito nel rispetto delle regole, ed è auspicio che questo indirizzo sia perseguito anche in futuro».

 

 

"Impatto occupazionale gravissimo" - L’APPELLO DI BELCI -  Il Comune accantoni le pregiudiziali e pensi al bene della città
Le preoccupazioni dell’ex sindaco Cosolini mentre Dipiazza resta in silenzio
È il giorno della grande scossa di Arvedi. Inattesa. Ma è anche il giorno del grande silenzio delle istituzioni. Le dichiarazioni dell’industriale devono aver spiazzato un po’ tutti a partire dal sindaco Roberto Dipiazza che pur si sta battendo con foga per la chiusura dell’area a caldo. Nessun commento ufficiale da parte sua, così come dalla collega di giunta, Luisa Polli, la responsabile comunale dell’Ambiente. «Su questo tema parla soltanto Dipiazza», mette le mani avanti l’assessore. Sceglie di non commentare pubblicamente anche la presidente della Regione Debora Serracchiani, commissario dell’area di crisi complessa, che tuttavia ieri ha incontrato l’imprenditore. Ma, nonostante il no comment delle istituzioni, la battaglia politica si scatena ugualmente. Infatti Roberto Cosolini ha qualcosa da dire. Eccome. «È noto che sono tra quelli che più hanno scommesso sulla prospettiva di mantenere l’attività rendendola compatibile con la salute e l’ambiente», premette l’ex sindaco. «Uno sforzo avviato che sta dando risultati e a cui ho creduto molto, pagandone un prezzo molto alto. Forse la prospettiva della chiusura, perché di questo si parla, farà contenti molti. Ma personalmente mi allarma, soprattutto perché l’impatto occupazionale sarebbe gravissimo». Cosolini cita i numeri: «Ci sono 550 addetti più i 250-300 dell’indotto. Dove vanno queste persone?». Non basta: «Più in generale mi pare che Trieste abbia un serio problema di lavoro che lo stop della Ferriera peggiorerebbe. E avverrebbe dopo la chiusura di altre due “ferriere”, il commercio e l’edilizia. Trieste oggi è priva di un piano di sviluppo economico, non saranno un centro monomarca su cui punta Dipiazza o il Parco del mare a dare risposte. Auspico che si continui invece nella strada del risanamento» conclude l’ex sindaco. Franco Belci, ex segretario regionale della Cgil, interviene a sua volta e non nasconde la preoccupazione. «Le dichiarazioni di Arvedi sono pesanti, anche se in realtà non sono un fulmine a ciel sereno. Il rapporto col Comune si è talmente inasprito che la società sta pensando di mettere in discussione progetto e investimenti. I rapporti sono sempre più tesi e manca anche un canale di interlocuzione. Tutto ciò rende difficile la gestione della vicenda. Il Comune - rileva l’ex segretario della Cgil - deve accantonare le pregiudiziali della campagna elettorale e pensare al bene della città. Si deve arrivare a un confronto sereno sul tema. Bisogna recuperare il buon senso ed evitare che sfumi l’occasione. Il rischio è di trovarci un enorme cadavere, visto che nessuno investirebbe per il risanamento». Da centrodestra il capogruppo di Fi Piero Camber dà una lettura completamente diversa per spiegare l’ultimatum dell’imprenditore: «L’altro giorno c’è stato un tavolo in Regione. Ad Arvedi è stata chiesta la copertura strutturale del parco materiali in attuazione dell’Accordo di programma del 2014. L’imprenditore, come noto, ritiene che sia sufficiente continuare a bagnare quei materiali residui. Ma tutti in quella riunione, dalla Regione all’Azienda sanitaria, si sono detti contrari. La magistratura, inoltre, ha annunciato altri controlli e indagini mentre Dipiazza va a testa bassa con la sua operazione verità finalizzata alla tutela della salute di lavoratori e residenti. La somma delle cose ha fatto capire all’imprenditore che è meglio lasciar stare. E sta gettando la spugna».

Gianpaolo Sarti

 

 

Treni tagliati, Serracchiani in pressing - Lettere a Delrio, Fs e Trenitalia per salvare in extremis i due Intercity Venezia-Trieste. «La soppressione non è sostenibile»
TRIESTE Debora Serracchiani scrive al ministro, a Fs, a Trenitalia. L’obiettivo è salvare in extremis i due Intercity che collegano Venezia e Trieste, mezzi di trasporto indispensabili per studenti, docenti, lavoratori diretti a Fincantieri, turnisti e utili pure a qualche turista. Un tentativo, rimarca la presidente, in linea con la politica dei trasporti attuata nel corso della legislatura. Sollecitata da pendolari, singoli utenti, dirigenti scolastici e, a livello politico, dal M5S, Serracchiani ricorda quanto sin qui fatto, dal «riavvio di grandi opere bloccate come la terza corsia» al «nuovo ruolo» del hub aeroportuale. Quanto ai treni, la presidente mette in fila «l’inserimento di due coppie di Frecce per Milano e Roma in più rispetto a prima, la trasformazione di alcune di queste in FrecciaRossa, le ulteriori fermate delle Frecce a Monfalcone, Cervignano e Latisana, la messa in servizio dei nuovi Caf», oltre alla conquista della prima posizione in Italia quanto a puntualità del servizio passeggeri, «risultati dovuti all’impegno della Regione nell’ambito dei rapporti con il governo e Trenitalia». Entrando poi nel merito del taglio dei due Intercity - l’Ic 734 in partenza da Trieste alle 22.06 e arrivo a Mestre alle 00.05 e il gemello 735 in partenza dalla città veneta alle 5.50 e arrivo nel capoluogo regionale alle 7.46, cancellati da Trenitalia a partire da lunedì 16 gennaio -, già definito dall’assessore Santoro «sconcertante nel merito e nel metodo», Serracchiani fa sapere di avere formalizzato la richiesta di ripristinare i collegamenti con una lettera già inviata al ministro delle Infrastrutture e Trasporti Graziano Delrio, all’ad del Gruppo Fs Renato Mazzoncini e all’ad di Trenitalia Barbara Morgante. In quel testo la presidente cita il silenzio di Trenitalia rispetto alle richieste di informazione della Regione, sottolinea «l’imbarazzo» nei confronti dei viaggiatori che a loro volta chiedevano spiegazioni e boccia come «inadeguato» il servizio autobus proposto da Trenitalia in alternativa agli Ic cancellati che, benché ricompresi nel contratto con lo Stato, «oltre a svolgere una funzione di servizio nazionale, sono complementari alla maglia dei servizi regionali». Per questo motivo, incalza Serracchiani, «era stato proposto, in passati incontri tra le strutture tecniche di Trenitalia e Regione, di consentire l’accesso agli stessi senza sovrapprezzo da parte degli abbonati Fvg, provvedimento che avrebbe certamente portato a una maggiore frequentazione, in particolare in territorio regionale, vista la collocazione oraria». In controtendenza con «la forte azione di miglioramento dei servizi ferroviari ottenuta anche grazie a ingenti investimenti della Regione», conclude la presidente, il doppio taglio «non appare sostenibile». A rincarare la dose il deputato del Pd Giorgio Brandolin aggiunge una sua interrogazione a quella del senatore Carlo Pegorer. Azioni tardive? Bruno Zvech, vicepreside del Nautico e direttore dell’Accademia nautica dell’Adriatico, spera che ci sia ancora tempo per rimediare. «Sui treni non ci sono colori politici - dice Zvech, già capogruppo del Pd in Regione -. Siamo intervenuti in era Illy, come poi Tondo e Serracchiani -. Dati oggettivi confermano che si procede con una politica di isolamento del Fvg, ma pure in questa occasione conto che, di fronte all’incomprensibile decisione nemmeno comunicata da Trenitalia, si riesca a salvaguardare i diritti di cittadinanza, studio e lavoro dell’utenza». «Inaccettabile», prosegue Zvech, immaginare che da lunedì qualche decina di studenti si debba alzare alle 5 per andare a scuola. Ma il disagio riguarda anche, tra gli altri, un professore come Graziano Benelli, docente di francese alla scuola per interpreti dell’Università di Trieste: «Arrivo da San Donà a Trieste via treno dal 1978, e sempre alle 7.45. Da lunedì, per la prima volta, scenderò in stazione alle 8.20 senza poter insegnare la prima ora. Basterebbe far partire il treno alternativo mezz’ora prima, e pazienza se ci faranno comunque cambiare a Portogruaro».

Marco Ballico

 

 

Riuso di Porto vecchio - Sale la fiducia di Trieste - Sondaggio commissionato da Confindustria a Swg sul futuro dell’area
Per l’88% degli interpellati può essere il volano per il capoluogo del Fvg - Dall’indagine emerge come i cittadini valutino positivamente il rilancio Preoccupa il pericolo di fatti di corruzione
TRIESTE La gran parte della popolazione di Trieste, per l’esattezza l’82%, considera positivamente l’operazione di utilizzo del Porto vecchio ai fini dello sviluppo urbano ed economico della città. In secondo luogo, la cittadinanza è convinta che l’operazione possa essere un trampolino per una Trieste più dinamica (88%). Anche la fattibilità del progetto è ritenuta possibile: il 55% della popolazione risulta essere in disaccordo con una prospettiva di fallimento dell’iniziativa perché vista come operazione troppo imponente per una città come il capoluogo giuliano. È quanto emerge da una seconda indagine campionaria di opinione commissionata da Confindustria Venezia Giulia a Swg i cui esiti completi saranno illustrati e commentati oggi, come si legge nel riquadro. Le prime interviste erano state somministrate nel periodo che va dal 29 maggio al 4 giugno 2015, queste ultime dal 2 al 6 maggio 2016. L’indagine quantitativa è stata condotta mediante due rilevazioni con tecnica mista Cawi (Computer assisted web interview) - Cati (Computer assisted telephone interview), all’interno di due campioni rispettivamente di 1296 e 1256 soggetti maggiorenni residenti in provincia. Il confronto tra le due indagini mostra che l’opinione complessiva sul progetto non ha variazioni significative e resta largamente positiva, ma la cittadinanza è ancora più convinta che il recupero possa essere un trampolino per una Trieste più dinamica (88% nel 2016 rispetto all’81% del 2015). Il dato negativo che emerge riguarda la scarsa fiducia che gli intervistati hanno dimostrato di nutrire sulla possibilità di far fronte alla corruzione nonostante la presenza di istituzioni come l’Autorità anticorruzione. Secondo il 50% la corruzione è difficilmente scansabile data la grande quantità di denaro in gioco e solo il 36% la ritiene evitabile. Secondo Confindustria si tratta di una preoccupazione molto probabilmente influenzata da esperienze nazionali di opere pubbliche che sono state oggetto anche recentemente di fenomeni che non hanno rassicurato i cittadini. Contestualmente, Swg e Confindustria Vg hanno organizzato un forum di esperti sulle prospettive e le opportunità relative al progetto di riutilizzo del Porto vecchio al quale hanno partecipato Rocco Giordano (Università Roma La Sapienza), Antonio Marano (presidente Trieste airport), Giangiacomo Martines (dirigente Mibact), Giulio Mellinato (Università Milano Bicocca), Stefano Micelli (Università Venezia Cà Foscari), Mauro Montagner (responsabile Real Estate Allianz spa), Andrea Oddi (consulente private equity), Pietro Perelli (Progettazione), Alberto Polacco (Pianificazione territoriale e dei trasporti). Queste le considerazioni conclusive degli esperti. «Un primo elemento costitutivo dell’intervento è rendersi conto che non si tratta solo di un contenitore dove vi è la possibilità di intervenire senza vincoli; non nel senso burocratico, ma di rispetto di un’identità costitutiva del luogo. La comunità triestina si ritroverà nell’equilibrio tra la conservazione dello spirito del posto e l’innovazione delle funzioni. In questo modo recepirà positivamente il nuovo». «Il progetto deve necessariamente avere una visione e pianificazione complessiva che affronti in modo coordinato i problemi. A questa impostazione si collega la capacità di mantenere una flessibilità nell’esecuzione per incrociare il divenire delle richieste e le modificazioni funzionali che potrebbero intervenire nel tempo». «La partecipazione dei cittadini appare indispensabile - proseguono -; la città deve vivere questo momento che ha caratteristiche quasi rifondative. Forme di coinvolgimento dei triestini, oltre l’informazione, sono necessarie e predispongono a un’accoglienza favorevole delle conseguenze determinate dall’entità dell’opera». «La mobilità è uno dei punti nodali della progettazione e della futura vita del comprensorio e del successo delle sue attività; dai collegamenti, alla fruizione dall’esterno, al trasporto interno, alla movimentazione delle merci». Gli esperti continuano poi: «Un costante e stringente rapporto tra pubblico e privato per quanto riguarda la programmazione, le risorse e gli adempimenti appare elemento imprescindibile. A questo si accompagna la necessità di un forte coordinamento tra tutte le parti interessate nell’opera lungo il suo divenire». «La salvaguardia dei beni architettonici, culturali e paesaggistici e la cura dell’archeologia industriale richiedono un piano unitario del complesso e - concludono - una capacità di mantenimento delle caratteristiche di larga parte degli edifici».

Silvio Maranzana

 

L’illustrazione dei risultati e una tavola rotonda alle 16 al Savoia
I risultati del sondaggio su Porto vecchio commissionato da Confindustria a Swg e le considerazioni emerse dal forum qualitativo, cui hanno partecipato esperti di profilo nazionale che hanno fornito le loro indicazioni sull’analisi delle prospettive, delle opportunità e attenzioni attinenti al progetto di riutilizzo saranno presentati questo pomeriggio alle 16 all’hotel Savoia Excelsior. La presentazione di Maurizio Pessato, presidente di Swg, fornirà gli spunti per una tavola rotonda a cui interverranno Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità di sistema portuale, Roberto Dipiazza, sindaco di Trieste e Debora Serracchiani, presidente della Regione Friuli Venezia Giulia. L’incontro sarà aperto da Sergio Razeto, presidente di Confindustria Venezia Giulia, e introdotto da Federico Pacorini, presidente Infin. Modererà i lavori Cristiano Degano, presidente dell’Ordine dei giornalisti del Friuli Venezia Giulia. L’appuntamento è a ingresso libero, fino all’esaurimento della capienza della sala. Verrà data priorità a chi si sarà preaccreditato sul sito dell’Associazione: www.confindustriavg.it.

 

Doppia sessione di rilevazioni - Più di 2.500 cittadini intervistati - il metodo
L’indagine quantitativa è stata condotta da Swg - la società guidata dal presidente Maurizio Pessato - mediante due rilevazioni con tecnica mista Cawi (Computer Assisted Web Interview) e Cati (Computer Assisted Telephone Interview), all’interno di due campioni di 1296 e 1256 soggetti maggiorenni residenti nella provincia di Trieste. Le interviste sono state somministrate nel periodo che va dal 29 maggio al 4 giugno 2015 e poi in un altro lasso di tempo dal 2 al 6 maggio 2016. I metodi utilizzati per l’individuazione delle unità finali (Cawi) sono di tipo casuale, come per i campioni probabilistici. Il campione intervistato online è estratto dal panel proprietario Swg. Tutti i parametri sono uniformati ai più recenti dati forniti dall’Istat. I dati sono stati ponderati al fine di garantire la rappresentatività rispetto ai parametri di sesso, età, titolo di studio e condizione professionale. I metodi utilizzati per l’individuazione delle unità finali Cati sono di tipo casuale, come per i campioni probabilistici. Tutti i parametri sono uniformati ai più recenti dati forniti dall’Istat.

 

Fincantieri punta ai megayacht - E l’Adriaterminal sarà la seconda stazione marittima per le crociere
TRIESTE - A parte il Polo museale con la Centrale idrodinamica, la Sottostazione elettrica, i Magazzini 23, 24 e 25 o in alternativa il 26 se l’Icgeb sarà dirottato in un’altra area, ben pochi sono i progetti concreti già evidenziatisi per Porto vecchio. Il più suggestivo è legato alla manifestazione di interesse avanzata da Fincantieri ancora il 25 giugno 2014 (e che dovrà essere reiterata) per la creazione di un porto per megayacht. La richiesta riguarda però gli stessi «capannoni 24 e 25, Molo Zero e bacino compreso tra il Molo Zero e il Molo Primo e corpi annessi per la durata di anni 35 allo scopo di creare un porto per megayacht di rilevanti dimensioni fornito di tutti i servizi vari a supporto dei clienti (foresterie, alberghi, uffici e servizi) e dotato di infrastrutture per effettuare lavori di piccola manutenzione ai natanti». La società anche recentemente ha affermato di «continuare a guardare con estrema attenzione allo sviluppo del processo che sta interessando il Porto vecchio di Trieste per il quale una manifestazione di interesse è già stata presentata» e ha aggiunto che «il settore del rimessaggio e del refitting è in forte espansione e foriero di ulteriori sviluppi sia per quanto riguarda i megayacht che le navi da crociera». Fincantieri ha fatto anche intendere che sinergie a distanza estremamente ravvicinata potrebbe svilupparsi con i bacini di carenaggio del Porto nuovo dove negli ultimi anni sono stati fatti importanti lavori di ristrutturazione su navi da crociera. L’Adriaterminal dovrà invece essere trasformato in un secondo terminal crocieristico. L’attuale terminalista, Genoa metal terminal che fa parte del gruppo Steinweg-Handelsveem di Rotterdam, titolare della concessione fino al 2022 si sarebbe detto disponibile a operare in questo settore. L’Adriaterminal occupa un’area di circa 70mila metri quadrati di cui 25mila di magazzini coperti, ha 570 metri lineari di banchina con fondali di quasi 12 metri. Il terminalista è attualmente specializzato in spedizioni, trasporto, stoccaggio e movimentazioni soprattutto di metalli non ferrosi, acciai, ferroleghe e rottami. Alcuni dei magazzini (12, 13 e 14) sono autorizzati dal London metal exchange, la Borsa dei metalli non ferrosi più importante del mondo e il Magazzino 13 è autorizzato anche dal Liffe per lo stoccaggio di caffé e cacao. Nell’ambito della casa madre di Rotterdam comunque non mancherebbe l’expertise riguardo ai traffici passeggeri e la riconversione potrebbe costituire una crescita del business per lo stesso terminalista. Dall’Adriaterminal devono essere eliminate le quattro gru che l’Authority sta invano cercando di vendere con ripetute aste. L’attuale amministrazione comunale ha individuato i magazzini 28 e 30 come sede del nuovo Mercato ittico, ma l’iter per la sua realizzazione si prospetta più lungo del previsto. È imbalsamata la porzione più prestigiosa dell’area, quella più prossima alla Stazione centrale. La Greensisam di Pierluigi Maneschi, concessionaria infatti dei primi cinque magazzini ha visto andarsene i potenziali investitori svizzeri e ha fatto causa al Comune che aveva revocato il permesso a costruire dal momento che i lavori non sono mai partiti. Il progetto Greensisam prevede la creazione di una passeggiata frontemare con pavimentazione in pietra locale e una copertura a tre navate trasparenti di due viali, la creazione di una piscina di acqua di mare, un percorso per il jogging e un’area wellness. Nel magazzino più arretrato rispetto al mare dovrebbe venir creato un parcheggio multipiano, mentre gli altri hanno funzioni turistiche, direzionali, commerciali. Dunque negozi, studi professionali, uffici, forse alberghi.

(s.m.)

 

Battista: «Chi paga l’urbanizzazione?»
«Il fattore dirompente per la restituzione alla città dei sessanta ettari del Porto vecchio è rappresentato dai canoni di urbanizzazione: strade, fogne, illuminazione pubblica, rete di distribuzione energia elettrica e gas». Lo sottolinea il senatore Lorenzo Battista (Gruppo per le autonomie), auspicando che nel corso della Tavola rotonda di oggi venga finalmente fatta chiarezza. «Con la legge di stabilità votata a dicembre del 2014 - ricorda Lorenzo Battista – il Comune aliena le aree e gli immobili sdemanializzati e i relativi introiti sono trasferiti all’Autorità portuale per gli interventi di infrastrutturazione del Porto nuovo. Qui rilevo un punto di possibile contraddizione - continua il senatore - perché con gli introiti di un’area si finanzia un’altra lasciando a un eventuale nuovo insediamento privato il compito di pagare gli oneri di urbanizzazione. La soluzione migliore sarebbe stata – afferma Battista – un Decreto per Trieste».

 

«Sito ideale per sviluppare ricerca e innovazione» - Il presidente degli industriali della Venezia Giulia: «Ricadute nazionali positive»
E scommette su attività legate all’economia del mare e progetti di industria 4.0
TRIESTE «Confindustria Venezia Giulia - sottolinea il presidente Sergio Razeto - sostiene da tempo che il riutilizzo del Porto vecchio è un’opportunità per tutto il tessuto cittadino che darà ricadute positive sull’economia triestina, regionale e addirittura nazionale. Abbiamo dunque ritenuto opportuno - spiega - sentire a più riprese il polso del territorio. Le indagini hanno dimostrato che c’è consapevolezza dell’argomento e che la cittadinanza ultimamente si è ancor più convinta che il recupero della grande e prestigiosa area possa essere un trampolino per una Trieste più dinamica». Eppure le ultime iniziative di forte rilievo giunte a compimento, come Eataly, oppure finalmente ben incanalate come il Parco del mare, hanno strategicamente evitato Porto vecchio. Forse proprio per non finire nel pantano? La scelta della collocazione di iniziative come Eataly e il Parco del Mare sulle Rive triestine credo risponda a una logica necessità di attivare in breve tempo gli investimenti e vedere la realizzazione degli stessi. In particolare ciò vale per Eataly che ha trovato nel Magazzino Vini della Fondazione CrTrieste un manufatto che si prestava in maniera ottimale alle esigenze di spazi interni ed esterni, collocazione in un’area già molto frequentata e prestigio della struttura. Anche il Parco del Mare, che ha alle spalle una lunga serie di studi in siti diversi, ha individuato ormai più di un anno fa la sua possibile collocazione a partire dal recupero dell’area e dal riutilizzo dei manufatti ex Italia Navigando, che con grande probabilità apparivano disponibili prima dell’esito della sdemanializzazione. Come riutilizzare i prestigiosi contenitori del Porto vecchio? Confindustria ritiene che gli spazi del Porto vecchio vadano valorizzati per diventare nuove opportunità di insediamento per realtà che abbiano un profilo legato all’economia del mare, al turismo - penso alla possibilità di un nuovo terminal crocieristico - ma anche ad attività imprenditoriali legate alla ricerca ed all’innovazione. In questa direzione, come Confindustria, abbiamo iniziato, già con la passata amministrazione comunale e continuato con l’attuale, a dare avvio a un progetto di recupero degli spazi dell’ex Agenzia delle Dogane, ubicata in corso Cavour, in prossimità dell’area del Porto vecchio, per ospitare un “urban centre” dedicato all’attività di ricercatori e imprese che daranno avvio a progetti nell’ambito “Internet of things” in particolare nei settori del biomedicale e della salute. Questo spazio potrebbe diventare anche sede per l’attivazione di ulteriori progetti di “industria 4.0” ovvero di divulgazione e sperimentazione di utilizzo degli strumenti digitali nei cicli di produzione industriale. È opportuno spostare qui la sede dell’Icgeb oggi collocato in Area science park come previsto dal riparto dei primi fondi pubblici? Gli spazi del Porto vecchio si prestano a poter ospitare insediamenti di enti scientifici e di ricerca, centri di educazione e formazione, nonché per ospitare attività di tipo culturale, che possano contribuire a rendere quest’area di città frequentata, viva e attrattiva. A scanso di dubbi, l’Associazione vede quest’area in un’ottica addizionale e non sostitutiva di altre zone cittadine. Si tratta quindi di dover individuare e intercettare nuove opportunità di sviluppo. Non c’è il rischio di ricadere nell’ipotesi-spezzatino riemersa dopo il fallimento dell’operazione Portocittà? Proprio per evitare questa possibilità, in merito alle ipotesi circa il futuro bando per il riutilizzo degli spazi, Confindustria vedrebbe positivamente la presenza di un soggetto autorevole, di esperienza, in grado di organizzare in una logica complessiva la pianificazione del recupero dell’area. Per quanto riguarda invece i potenziali investitori, è chiaro che oltre alle risorse già messe in campo dal governo, saranno necessarie ulteriori e robuste iniezioni di capitale. Indipendentemente da quello che sarà il piano urbanistico, sarà molto probabilmente necessario mettere l’iniziativa all’attenzione internazionale. Il fatto che Trieste sia appetibile per investimenti stranieri è dal nostro punto di vista un segnale che va visto positivamente. I 50 milioni del Cipe sono un buon punto di partenza? Va visto senz’altro positivamente che il governo abbia deciso di stanziare 50 milioni di euro per il recupero del Porto vecchio. Si tratta di una cifra importante da convogliare sull’infrastrutturazione e nel complesso abbastanza modesta, ma è un segnale che ci conforta nel ritenere questo progetto di valenza non solo territoriale.

(s.m.)
 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 12 gennaio 2017

 

 

Parte l’offensiva del Municipio a tutela della sicurezza stradale

All’indomani dell’impegno del sindaco sui fondi da destinare ad hoc, maggioranza e opposizione votano il via ai lavori
Dopo l’incontro del sindaco Roberto Dipiazza con le compagne di classe di Giulia Buttazzoni, la ragazza deceduta dopo essere stata investita sulle strisce pedonali in via De Marchesetti lo scorso 2 dicembre, in Comune scatta l’offensiva per la sicurezza stradale. Un’operazione bipartisan, che mette d’accordo maggioranza e opposizione, perché le tragedie sulle strade non hanno colore politico. Ieri nella seduta della sesta commissione è stata presentata e approvata all’unanimità una prima mozione che riguarda l’installazione di semafori, il potenziamento della segnaletica stradale e la creazione di nuovi attraversamenti pedonali. In prima battuta il focus sicurezza si concentrerà sulla tutela dei pedoni, in particolare nelle vicinanze delle scuole e delle fermate del trasporto pubblico. «Vogliamo concentrarci sulla sicurezza sulle nostre strade, perché dopo gli ultimi tragici fatti i cittadini ce lo chiedono a gran voce - spiega l’assessore all’Urbanistica Luisa Polli -. Potremo contare anche su più fondi, perché come dichiarato dal sindaco parte del contributo economico una tantum che il Viminale ha destinato ai Comuni che nel 2016 hanno ospitato richiedenti asilo (una cifra compresa tra i 400 e i 500mila euro, ndr) verrà utilizzata per potenziare tutti quegli strumenti utili a scoraggiare comportamenti a rischio da parte di automobilisti e motociclisti». Oggetto dei primi interventi, come evidenziato dalla mozione che passerà alla discussione in Consiglio comunale, saranno i comprensori scolastici, con sopralluoghi per valutare l’eventuale carenza di segnaletica che evidenzi la presenza di attraversamenti pedonali utilizzati da genitori e alunni delle scuole. In particolare ci si concentrerà con urgenza su alcune strade maggiormente a rischio: la mozione, firmata dai consiglieri di Forza Italia Andrea Cavazzini, Guido Apollonio, Everest Bertoli e Manuela Declich, sottolinea come intervento prioritario l’installazione di un semaforo a chiamata o di apposita segnaletica luminosa verticale vicino all’attraversamento pedonale di via Commerciale, in prossimità delle scuole Corsi e Manna. L’altro problema evidenziato è quello, tristemente balzato alla cronaca, di via De Marchesetti. Qui si valuterà la creazione di un attraversamento pedonale all’altezza del civico 21, vicino alla fermata di Trieste Trasporti. E si valuterà l’installazione nelle strade ad alta percorribilità, da via Forlanini a via De Marchesetti stessa, di semafori a chiamata o dissuasori, per limitare la velocità dei veicoli. Sempre in via Forlanini si provvederà con urgenza all’installazione di un semaforo, a chiamata o dissuasore, vicino al comprensorio dell’Iqbal Masih. Altra soluzione che si sta prendendo in considerazione è l’installazione di dossi, lo strumento forse più utile in assoluto per obbligare gli automobilisti a ridurre la velocità nelle zone più sensibili. Una pratica già molto utilizzata nei vicini comuni, da Monfalcone a Capodistria. Ma i cosiddetti dissuasori di velocità non si possono mettere dovunque. Sono regolati da un’apposita normativa, da qui l’impegno dell’assessore Polli a inoltrare un quesito formale al Ministero dei Trasporti per richiedere in quali categorie di strade possono essere installati. L’obiettivo a lungo termine, sottolineato dall’assessore, sarà quello di esaminare le migliori tecnologie disponibili sul mercato nell’ambito della sicurezza stradale, per poi stilare una programmazione d’interventi pluriennale, con l’utilizzo omogeneo delle stesse tipologie di segnaletica stradale, dissuasori e semafori, nelle zone con maggiori criticità. Si partirà quindi da una valutazione oggettiva delle criticità, fornita dalle tavole 15 e 16 del Piano del Traffico, che evidenziano le strade in cui c’è stata una maggiore incidenza di sinistri mortali negli ultimi cinque anni, sulla base dei rilievi della Polizia locale. Nel frattempo sono già stati deliberati e saranno realizzati entro l’anno otto nuovi attraversamenti pedonali: due in via Flavia, tre in viale Miramare, due in via Revoltella e uno in via Locchi.

Giulia Basso

 

E i ciclisti invocano piu' attenzioni - Soluzioni a misura di due ruote chieste durante la diretta social con Fiab-Ulisse
Il taglio delle catene Contestata la linea dura prevista dal regolamento dei vigili
Da un lato la richiesta di più attenzioni e maggior sicurezza per chi, in ambito cittadino, si sposta su due ruote. Dall’altro una netta contrarietà alla bozza del regolamento della Polizia locale, che prevede la multa e il taglio delle catene alle bici “abusive”. Sono i temi affrontati ieri mattina dal presidente di Fiab-Trieste Ulisse durante la diretta Facebook del Piccolo dedicata al mondo delle due ruote. Questioni molto sentite, come dimostrato dai tanti commenti dei lettori. Interventi che non si sono limitati a muovere rilievi al regolamento comunale, ma sono andati ben oltre spaziando sulle iniziative per rendere la città più sicura, sulla pista ciclabile di Campo Marzio e sulle opportunità offerte, in futuro, dall’utilizzo degli spazi del Porto vecchio. Ma è sul documento della giunta che la Fiab ha preparato le sue obiezioni, in un testo più “soft” che sarà spedito in Consiglio comunale. «Il recente dossier di Legambiente sulla qualità dell'aria respirata in Italia conferma una volta di più che Trieste è nella lista nera delle città con il maggiore inquinamento ambientale - rileva il referente dell'associazione Federico Zadnich - ed è emersa chiaramente la necessità di promuovere la mobilità a “emissioni zero” per migliorare la qualità dell'ambiente cittadino». Detto questo la Fiab torna a ribadire la propria contrarietà al regolamento di Polizia Urbana. «Va controcorrente perché costituisce un serio ostacolo alla diffusione dell'uso delle biciclette a Trieste. I 194 stalli presenti in città - annota il rappresentante - sono gli unici luoghi nei quali sarebbe consentito fissare le bici. Ma sono in numero molto inferiore a quello delle persone che utilizzano con regolarità la bicicletta». Zadnich cita, a riguardo, un recente sondaggio della Swg che avrebbe quantificato un fabbisogno di 3.500 posti. «Per rendere più esplicita e concreta la nostra posizione, abbiamo elaborato una proposta di modifica dell'art.6 (del regolamento, ndr) che riguarda i divieti di sosta per le biciclette e l'abbiamo inviata ai consiglieri comunali e agli assessori». In questa versione, consultabile anche nel sito internet dell'associazione, si suggerisce il divieto di posteggiare le bici in prossimità di monumenti e di intralciare la circolazione pedonale e veicolare. «In questo modo - ha affermato Zadnich rispondendo alle domande dei lettori nella diretta social - rispettiamo le esigenze fondamentali di decoro della città e di sicurezza degli utenti deboli (come i disabili, ndr) presenti nel testo dell'amministrazione comunale, ma concediamo una maggiore libertà di sosta ai ciclisti urbani. Le forze dell'ordine, nella nostra proposta, avrebbero la facoltà di rimuovere i mezzi che costituiscono pericolo, quelli abbandonati da più di 60 giorni e quelli considerati “rifiuti”. Tutte le biciclette, una volta portate via, verrebbero prese in custodia per la successiva restituzione ai legittimi proprietari, mentre i “rifiuti” verrebbero smaltiti come tali. In nessun caso sarebbe consentita da parte della polizia municipale, l'apertura della catena di fissaggio e l'abbandono della bici sul posto, fatto che ha sollevato numerose e giustificate perplessità da parte di molti cittadini».

Gianpaolo Sarti

 

 

Il futuro della ferriera - L’attesa per la decisione del Tar sulla sospensiva chiesta da Arvedi
In serata ancora nessuna notizia. Sono perlomeno in tre ad aspettare una risposta importante sulla Ferriera: in attesa sono - con aspettative differenti - Siderurgica Triestina, il Municipio triestino, la Regione Fvg. Il Tar del Friuli Venezia Giulia aveva dato infatti appuntamento a ieri per decidere sulla sospensiva dell’ordinanza che il sindaco Roberto Dipiazza aveva emanato sui limiti produttivi di ghisa in Ferriera. L’azienda del cavalier Giovanni Arvedi aveva impugnato l’ordinanza, che imponeva un barrage di 34 mila tonnellate mensili «ai fini della tutela della salute pubblica». Lo scorso 16 dicembre si era svolta la prima udienza davanti ai giudici amministrativi, i quali avevano rinviato la pronuncia sulla sospensiva a ieri 11 gennaio. In particolare, il Tar aveva eccepito che - in assenza dell’atto conclusivo della Regione riguardo la verifica delle prescrizioni previste dall’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) per lo stabilimento servolano - non aveva elementi sufficienti per assumere una decisione sulla richiesta aziendale di sospendere l’efficacia del provvedimento sindacale. Come ormai consolidata tradizione in tutto quanto ruota attorno a Servola, la questione si è ulteriormente attorcigliata. Perchè la Regione ha ottemperato all’intimazione del Tar Fvg, trasmettendo il 22 dicembre l’atto conclusivo richiesto. Ma il Comune ha impugnato, a sua volta, il provvedimento firmato da Luciano Agapito, direttore del Servizio tutela da inquinamenti atmosferico, acustico ed elettromagnetico, che aveva accertato il completamento da parte di Siderurgica Triestina degli interventi di adeguamento previsti dall’Aia datata gennaio 2016. Secondo il Comune, il “decreto Agapito” si sarebbe sostanziato in una «mera riproduzione» dei rapporti ispettivi svolti dall’Arpa Fvg. La giunta comunale del 30 dicembre, che aveva deciso il controricorso, ha rilevato nella delibera che «detto decreto (Agapito, ndr) risulta illegittimo in quanto carente della presupposta attività istruttoria oltre che delle necessarie determinazioni che lo stesso doveva assumere, considerato l’indiscusso sforamento del limite di produzione mensile di ghisa così come autorizzata dall’Aia». In buona sostanza, i giudici amministrativi si sono trovati davanti un quadro piuttosto complesso composto dall’ordinanza Dipiazza e dal ricorso della Siderurgica contro di essa, dal decreto della Regione Fvg e dal ricorso del Comune contro di esso. Rispetto al 16 dicembre il volume degli atti è raddoppiato, rendendo sempre più intricato il ginepraio Ferriera.

magr

 

 

Intercity cancellati - Fvg sempre più isolato - Ora gli Ic 734 e 735, prima anche i collegamenti con Napoli, Lecce e Roma
L’ultimo taglio su Trieste entra in un elenco di soppressioni partito dal 2009

Otto anni or sono solo l’intervento da tre milioni della Regione guidata da Tondo era riuscito a salvare le corse dirette verso Milano
TRIESTE Non solo il problema di adeguarsi al detestato “orologio di Mestre”, quello con le coincidenze mai troppo favorevoli per l'utenza regionale. Il Friuli Venezia Giulia dei treni, da anni periferia dei collegamenti ferroviari nordestini, è costretto a fare i conti con i tagli. L'ultimo, quello che cancella i due Intercity di collegamento tra Venezia e Trieste, utili a turnisti, studenti e lavoratori diretti a Fincantieri, è in coda a un lungo elenco di soppressioni. Isolamento. Non più solo un timore, ma la realtà. L’inizio di un ridimensionamento pesante è datato 2009. Da allora il cambio di orario ha sempre creato apprensione. E, talvolta, ha segnato qualche addio, nonostante le barricate di una Regione costretta a subire la spending review nazionale. Non a caso il doppio “zac” all'Ic 734 in partenza da Trieste alle 22.06 e arrivo a Mestre alle 00.05 e al gemello 735 in partenza dalla città veneta alle 5.50 e arrivo nel capoluogo regionale alle 7.46 è dettato da questioni economiche: le tratte in perdita, questa è la linea ministeriale, vanno eliminate. Otto anni fa i protagonisti erano diversi. L'amministratore di Ferrovie dello Stato era Mauro Moretti, oggi ad di Finmeccanica, mentre in piazza Unità era il turno del centrodestra: Renzo Tondo presidente della Regione, Riccardo Riccardi assessore alle Infrastrutture. Solo l'intervento economico della Regione (3 milioni di euro), poi continuato nel tempo, riuscì a salvare i collegamenti diretti su Milano. Niente da fare invece, nonostante la trattativa serrata con Moretti, per l'Eurostar Trieste-Roma delle 7.49. Dopo cinque anni di necessari cambi a Mestre, nel 2014 i friulgiuliani riconquistarono il diretto per la capitale, il Frecciargento delle 6.45, ma, non mancarono di rilevare i comitati, «con la clamorosa esclusione della fermata a Monfalcone». Nel frattempo, nel biennio 2010-11, c’erano state altre soppressioni sulle direttrici Napoli e Lecce, con l’obbligo del cambio verso le due città del Sud (il Trieste-Napoli delle 21.54 era tra l’altro stato già limitato a Roma prima della definitiva cancellazione). Tagli considerati a Roma fisiologici se l’allora ministro dei Trasporti Altero Matteoli, in risposta a un’interrogazione del senatore del Pdl Ferruccio Saro, si limitò a spiegare che «eventuali limitazioni di tratte in Fvg sono state decise solo alla luce di basse frequentazioni riscontrate su certe linee ma, comunque, la clientela friulana dispone di molteplici soluzioni alternative di viaggio con interscambio nella stazione di Venezia». Come dire, al di là di Mestre, arrangiatevi. La sollecitazione di Saro era pure dettata dall’urgenza di «non tagliare fuori l'euroregione Fvg dalla competizione con gli altri Paesi». Euroregione evidentemente non così strategica se in quegli stessi anni sfumavano pure i diretti direzione Budapest, Lubiana, Zagabria e Vienna. Un altro mondo rispetto ai bei tempi andati quando si contavano 12 diretti al giorno da Trieste verso la capitale austriaca. Durante la giunta Serracchiani, sempre via pagamento dei 3 milioni allo Stato, le cose si sono almeno stabilizzate. Si è pure aggiunto un Frecciabianca Trieste-Milano, con due soli stop a Mestre e Verona, per la prima volta sotto le 4 ore. «Stiamo tornando a collegarci con l'Italia», esultò la neopresidente a fine 2013 presentando quel collegamento aggiuntivo alle tre coppie di treni in servizio verso la capitale della finanza. Negli anni successivi, tra Frecciabianca e Frecciargento, il Fvg ha così messo in fila otto convogli veloci da Trieste e Udine verso Roma e Milano/Torino. La novità 2016, dallo scorso settembre, sono i Frecciarossa. Con l'ingresso sulla Milano-Napoli di cinquanta 1000 “Pietro Mennea”, sono diventati disponibili anche per la regione gli Etr 500 in grado di sfrecciare a 300 all’ora nei tratti ad alta velocità. Peccato che l’alta velocità in Fvg sia ancora un sogno. Così che la riduzione dei tempi del viaggio da Trieste a Milano (con il 9710 delle 6.08 ci si mette 3 ore e 42 minuti) è consentita non tanto dal mezzo quanto dalla Tav Treviglio-Brescia, completata lo scorso dicembre e naturale prosecuzione della Milano-Treviglio completata nel luglio del 2007.

Marco Ballico

 

Senato - Il caso approda in Parlamento - Interrogazione di Pegorer
La decisione di Trenitalia di tagliare i treni Intercity che collegano Trieste con Mestre finisce al centro di un’interrogazione a risposta scritta depositata ieri dal senatore del Pd Carlo Pegorer e rivolta al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. «La soppressione aggrava notevolmente la situazione di isolamento del Fvg - così Pegorer - costringendo a nuovi sacrifici i viaggiatori in partenza da Trieste, Mestre e dal basso Friuli, che dovranno trovare in autonomia una soluzione: i due autobus sostitutivi messi a disposizione risultano inefficaci, più lenti e disagevoli». «Non si capisce con quale ratio sia stata presa questa decisione - prosegue il senatore - senza contare che tutto è stato pianificato da Trenitalia tenendo, a quanto è dato a sapere, all’oscuro la Regione Fvg e gli utenti, che vedranno ulteriormente ridotta la praticabilità del loro abbonamento. Per questo, ho chiesto al ministro quali misure e iniziative intenda promuovere, in accordo con le Regioni, per salvaguardare gli attuali collegamenti Intercity e garantirli in futuro».

 

I pendolari alzano la voce "Ci sentiamo presi in giro"

La madre di uno studente del Nautico: «Le alternative? Mio figlio arriverebbe in classe con mezz’ora di ritardo o in città alle 7.20. E il pullman è inutilizzabile»
I LAVORATORI DEL CANTIERE - Oltre una ventina di persone non riuscirà a presentarsi in orario se non usando altri mezzi. Si solleciti un regionale veloce
TRIESTE «Mamma di uno studente. Arrabbiatissima». Erica Del Gobbo il suo Nicolò lo deve fare arrivare a Trieste tutti i giorni, in tempo per la prima ora di lezione al Nautico, classe seconda. Non appena ricevuta notizia che l’Intercity Ve-Ts del mattino sarebbe stato soppresso da lunedì 16 gennaio, ha scritto all’assessore regionale all’Istruzione Panariti, alla collega alle Infrastrutture Santoro, alla dirigenza del Nautico, al sindaco Dipiazza, alle redazioni. Ieri ha aggiunto la mail estrema, a Debora Serracchiani. Perché senza quel treno Nicolò, a scuola, non può arrivare in orario. «Siamo di Lignano Sabbiadoro - racconta la mamma -. Al mattino accompagniamo in auto il ragazzo a Latisana a prendere l’Ic 735. Al ritorno, sempre da Latisana, prende la corriera per tornare a casa». Un problema anche di costi: il carburante, i 138 euro di abbonamento al treno, i 51 euro di abbonamento alla corriera. E adesso, senza alcun preavviso se non le anticipazioni sulla stampa, la beffa di un treno che non c’è più. L’alternativa? «Con il collegamento successivo Nicolò entrerebbe in aula con mezz’ora di ritardo. Con quello precedente si ritroverebbe in città alle 7.20. E certo non potremo utilizzare il pullman sostitutivo che si prevede a Trieste alle 8.59, un’autentica presa in giro». Non resta che sperare in un pressing della Regione, che si è già espressa in termini molto critici con Trenitalia («Totale contrarietà», ha detto Santoro) e che viene chiamata all’azione dal M5S, pure dalla deputata di San Donà Arianna Spessotto, capogruppo grillino in commissione Trasporti. «L’intervento deve essere tempestivo», dice il consigliere regionale Cristian Sergo. «La cancellazione di due treni da e per Venezia è l’ennesimo impoverimento per Trieste, il capoluogo regionale è sempre più isolato», aggiunge il capogruppo in consiglio comunale Paolo Menis. A dar man forte altri singoli utenti come Silvia Barboni di San Michele al Tagliamento, mamma di Cristiano Tollon, studente di terza del liceo musicale Carducci-Dante. Altra partenza in macchina verso Latisana e salita sul 735 per arrivare al suono della campanella. «Tre anni fa ho spostato mio figlio da Udine dopo aver verificato che Trieste era meglio servita - spiega la signora Silvia -. Adesso che quell’Ic non c’è più le cose cambiano radicalmente». Pure la famiglia di San Michele si è mossa in fretta non appena avuto sentore del taglio e ha interessato in primis il dirigente del liceo, da un lato per verificare la sostenibilità di un ritardo permanente, dall’altro per suggerire un’azione congiunta tra i vari istituti scolastici interessati dal problema. A quanto pare gli studenti penalizzati dalla cancellazione del treno in partenza da Mestre alle 5.50 dovrebbero essere una decina, uno in arrivo proprio dalla città veneta e ora obbligato a recarsi a Portogruaro per trovare un collegamento opportuno. Ma i disagi non sono solo per chi va a scuola. A prendere l’Ic 734 delle 22.06, pure soppresso da lunedì, anche turnisti e turisti. Al mattino, invece, i pendolari sono pure docenti universitari e lavoratori diretti soprattutto a Fincantieri. Non a caso tra i primi a rivolgersi ai comitati pendolari è stato Giovanni Amore, capocantiere per un’azienda terziaria a Monfalcone. «Il bus in arrivo alle 8.29, salvo inconvenienti stradali, è una soluzione inservibile e di facciata. Purtroppo oltre una ventina di persone non riuscirà ad arrivare in orario se non con altri mezzi. Tra l’altro il 735 garantiva lo spostamento del personale tra il cantiere di Fincantieri Marghera e quello di Monfalcone, il cui numero è variabile in funzione dei carichi di lavoro. A questo punto non resta che sollecitare un regionale veloce che possa consentire l’arrivo a un orario ragionevole, tra le 7 e le 7.30, e, se possibile, un servizio di pullman dalla stazione verso lo stabilimento». Dal coordinatore del comitato pendolari Alto Friuli Andrea Palese un ultimo appello: «Auspichiamo che la Regione si attivi immediatamente con Trenitalia per ricercare una soluzione. Restiamo basiti come dal 15 dicembre ad oggi non si sia riusciti ad alzare il telefono e a convocare un incontro e si pensi di tutelare gli interessi degli utenti del Fvg con l’invio di una semplice lettera, seppur dovuta».

(m.b.)

 

 

 

 

FERPRESS.it - MERCOLEDI', 11 gennaio 2017

 

 

FVG: Ambiente. Qualità aria a Trieste, prime indicazioni sul 2016 positive
Per l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente del Friuli Venezia Giulia (ARPA FVG), la qualità dell’aria nella zona di Trieste nel 2016 rientra negli standard previsti dalla normativa, nonostante un rilevante carico emissivo legato principalmente al settore dei trasporti (via nave e su gomma), al riscaldamento domestico e alle attività produttive. La qualità dell’aria nel capoluogo della regione non presenta dunque criticità confrontabili con quelle delle principali aree urbane del Paese e in particolare con quelle della Pianura Padana.
I confronti tra le aree urbane possono essere effettuati solamente rapportando i dati ufficiali diffusi dal Sistema nazionale di protezione dell’ambiente (le ARPA/APPA e l’ISPRA) relativi a stazioni con caratteristiche tra loro omogenee (ad esempio, stazioni di fondo urbano o di tipo traffico). Per il confronto a livello nazionale, a oggi sono disponibili i dati del 2015, mentre quelli del 2016 lo saranno solo dopo la conclusione delle procedure di validazione delle misure.
Nel Rapporto ISPRA sulla qualità dell’aria nelle aree urbane nel 2015 risulta, ad esempio, che buona parte delle stazioni di fondo urbano presenti nella Pianura Padano-veneta presentano dei livelli di polveri sottili (PM10) significativamente più elevati rispetto al Friuli Venezia Giulia. Il numero di giorni con superamento della soglia di 50 microgrammi/m3 per le polveri sottili è spesso maggiore di 70 (Torino 84-86, Milano 71-100, Vicenza 106, Padova 88, Venezia 69-78), contro un valore di 58 a Pordenone (è il capoluogo che evidenzia il maggior inquinamento atmosferico, principalmente a causa della sua posizione geografica), 26-28 a Udine, 23 a Gorizia e 18-27 a Trieste.
Un’analoga situazione si presenta per la media annua della concentrazione delle polveri sottili. Molte stazioni della Pianura Padano-veneta presentano livelli prossimi o leggermente superiori alla soglia di legge di 40 microgrammi/m3 (Torino 36-38, Milano 33-42, Vicenza 43, Padova 38, Venezia 35), mentre in regione la media annua delle polveri sottili si attesta su 31 microgrammi/m3 a Pordenone, 22-26 a Udine, 23 a Gorizia e 22-26 a Trieste.
Per il 2016 in Friuli Venezia Giulia al momento possono essere fatte, dunque, solo delle proiezioni, poiché i dati non sono ancora completamente validati. Per garantirne la piena affidabilità dal punto di vista tecnico-scientifico, infatti, è necessario ricorrere a una serie di complesse elaborazioni e verifiche – di tipo normativo, tecnico, modellistico e statistico – che richiedono anche diverse settimane.
Pur con questa precisazione, l’ARPA FVG segnala che nel 2016 le polveri sottili sono rimaste al di sotto della soglia dei 35 superamenti giornalieri in tutte le stazioni della rete regionale di rilevamento della qualità dell’aria (ad esclusione di quelle posizionate per monitorare le prestazioni degli impianti industriali). Per Trieste nella stazione di fondo urbano di via Carpineto sono stati registrati solamente 10 giorni sopra soglia. Anche per il particolato più fine (PM2.5) la situazione per Trieste risulta soddisfacente, dato che le rilevazioni indicano valori abbondantemente inferiori ai 20 microgrammi/m3 come media annua. Tale valore è inferiore al limite attuale di 25 microgrammi/m3, ma è anche in linea con il valore obiettivo a lungo termine che entrerà in vigore nel 2020.
Per quanto riguarda gli inquinanti tradizionali , come gli ossidi di azoto e il benzene, già da diversi anni si sta assistendo a una progressiva riduzione nelle concentrazioni rilevate presso le stazioni di rilevamento poste nei contesti di fondo urbano. È da tenere inoltre presente che ulteriori dati sulla qualità dell’aria di un comprensorio o di un’area territoriale, inclusa quella triestina, sono forniti dalle stazioni di monitoraggio delle prestazioni degli impianti industriali. I dati di questo secondo gruppo di stazioni – tra le quali rientra anche quella di San Lorenzo in Selva (RFI) di Trieste – assumono tuttavia un significato diverso, non comparabile con quelli rilevabili nelle stazioni urbane.
Nel 2016 in RFI, sempre al netto delle necessarie operazioni di validazione, ci sono stati 40 giorni in cui la concentrazione media delle PM10 ha superato la soglia di 50 microcrammi/m3, mentre la media annuale si è attestata sui 30 microgrammi/m3. Tuttavia, va evidenziato che in RFI, considerata la particolare natura della stazione prescritta dall’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) della Ferriera di Servola, per le PM10 è rilevante il numero di giorni con superamento della concentrazione di 70 microgrammi/m3, che nel 2016 è stato pari a 11, a fronte del massimo consentito dall’AIA di 35. Tali valori sono inferiori a quanto registrato in molte aree urbane del bacino padano-veneto e comunque in miglioramento rispetto a quanto riscontrato negli anni più recenti, in particolare nel 2015.
L’ARPA FVG ritiene che i dati di Trieste del 2016 siano indicativi di uno stato della qualità dell’aria complessivamente buona; tuttavia l’Agenzia sottolinea come l’attenzione non deve in alcun modo essere abbassata, ma devono proseguire le azioni di contenimento delle emissioni previste dalla normativa nazionale e recepite anche in ambito regionale. Ciò è importante in primo luogo perché, in particolare a Trieste, la qualità dell’aria è fortemente dipendente dalle condizioni meteorologiche e anni di ristagno atmosferico, come il 2012 o il 2007, possono portare nuovamente a superare i limiti di legge. In secondo luogo perché, come mostrato da recenti studi, ridurre le emissioni di sostanze inquinanti quali gli ossidi di azoto, i composti organici volatili e il PM10 comporta dei benefici anche in termini di lotta ai cambiamenti climatici.

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 11 gennaio 2017

 

 

Antenna al Farneto - L’ira ambientalista - Fa discutere la scelta di posizionare il ripetitore all’interno di un parco pubblico. Le associazioni: «Inappropriato»

C’è un nuovo ripetitore per la telefonia privata sul colle di Chiadino. E questo, di suo, non farebbe di certo notizia, tanti sono i tralicci che fanno capolino tra edifici, androne e periferia triestina.

Ripetitori che consentono a tutti i cittadini di utilizzare i propri telefonini a casa, in strada, sugli autobus, ovunque. Dannoso o meno lo si voglia considerare, il telefonino rappresenta un ausilio irrinunciabile per restare in contatto con il resto del mondo, vicino o lontano che sia. Questa volta però la questione è diversa. La nuova antenna è stata costruita all’interno del parco e bosco pubblico del Farneto, a pochi metri dalla Gloriette e a un tiro di schioppo dal palazzo del Ferdinandeo. A nemmeno una cinquantina di metri dal nuovo ripetitore, in una proprietà privata posta al culmine di via De Marchesetti, un altro traliccio funziona da tempo. E dunque nemmeno i parchi pubblici - il bosco del Farneto è il principale della nostra città, sorta di monumento verde regalato alla città da Francesco I d’Austria nel 1844 - risultano risparmiati da impianti tecnologici che emettono campi magnetici. Che contribuiscano o meno all’aumento dell’elettrosmog, è evidenza che lasciamo volentieri agli studiosi e agli specialisti del settore per l’ennesima disputa sui pro e sui contro la costruzione di tali impianti. Quel che qui importa è constatare come neppure nei boschi si possa pensare di poter passeggiare immersi in una natura che sia tale. Eppure il desiderio di sentirsi parte di qualcosa che profuma di magia, di incanto, di libertà sta ancora nei cuori di tante persone. Girolamo Agapito, nella sua “Descrizione della fedelissima città di Trieste unitamente alle sue vicinanze e passeggi (Vienna, 1830)” descrisse un Cacciatore ben diverso: «Fra gruppi di querce annose, vi è la casa attinente alla società dilettanti del Bersaglio, la quale specialmente nelle giornate festive vi tiene i suoi nobili esercizi». «In effetti la questione estetica ha il suo peso - afferma la vicepresidente della sezione triestina di Italia Nostra Giulia Giacomich -. Non discuto sul fattore sanitario e sul fatto della necessità di piazzare proprio in quel punto il traliccio per coprire una certa zona. Quello che intendo dire è che dal punto di vista paesaggistico un impianto del genere nel Boschetto non ci sta certo bene. Io risiedo vicino a un bosco altrettanto bello, quello del Bovedo. A pensarci, sarebbe davvero assurdo erigere un traliccio in questa sede». «È difficile valutare l’impatto del nuovo ripetitore sulla salute di animali e persone - interviene per la sezione locale di Legambiente Circolo Verdeazzurro Lino Santoro -. Come sempre è una pura questione di soldi e per l’amministrazione comunale un’entrata del genere appare tutt’altro che disprezzabile. Fermo restando che ritengo che la responsabilità di questo impianto non debba ricadere sull’attuale Giunta - precisa -. Comunque sia, dal punto di vista urbanistico costruire un traliccio nel Farneto è inappropriato. Continua a mancare un regolamento nel quale vengano individuate le aree dove possano essere ospitati tali impianti - prosegue -. Ci troviamo in un bosco pubblico, uno spazio nel quale si deve promuovere solo la cultura dell’ambiente nei suoi diversi aspetti. Se mi si passa la similitudine, è come aver posizionato in una chiesa una statua del diavolo».

Maurizio Lozei

 

Qualità dell’aria - L’Arpa “smentisce” Legambiente «Nel 2016 sforamenti nella norma» - il caso

Contrordine, a Trieste non si sta poi così male. A pochi giorni dal dossier di Legambiente, che segnalava per l’anno appena passato 38 giornate di sforamento delle soglie limite di polveri sottili, collocando il capoluogo del Friuli Venezia Giulia tra le città più inquinate d’Italia , ecco la presa di posizione dell’Arpa.

A detta dell’Agenzia regionale, nel 2016 la qualità dell’aria rientrava pienamente negli standard di legge. Anche se, ammette proprio l’Arpa, i cittadini hanno comunque dovuto fare i conti con un “rilevante” carico di emissioni legate ai trasporti (traffico e porto), al riscaldamento domestico e alle attività produttive. Tirando le somme, Trieste «non presenta criticità confrontabili con quelle delle principali aree urbane del Paese e in particolare con quelle della pianura Padana». Le ragioni sono squisitamente tecniche. O di metodo: i confronti tra le aree urbane, avverte l’agenzia, si possono fare soltanto mettendo in rapporto i dati ufficiali diffusi dal Sistema nazionale di protezione dell’ambiente (le Arpa/Appa e Ispra) sulla base delle rilevazioni che risultano dalle centraline con caratteristiche omogenee. Un’analisi di questo tipo nel territorio nazionale, a oggi, non sarebbe possibile perché manca ancora il timbro sui dati. L’Arpa fa dunque notare che nel Rapporto Ispra sulla qualità dell’aria dei centri urbani per il 2015 risulta, ad esempio, che buona parte delle stazioni presenti nella pianura padano-veneta presentano dei livelli di polveri sottili (Pm10) significativamente “più elevati” rispetto al Friuli Venezia Giulia. Di quanto? Il numero di giorni in cui è avvenuto un superamento della soglia di 50 microgrammi/m3 per le polveri sottili è spesso maggiore di 70 (Torino 84-86, Milano 71-100, Vicenza 106, Padova 88, Venezia 69-78); contro un valore di 58 a Pordenone (è il capoluogo che evidenzia il maggior inquinamento atmosferico, principalmente a causa della sua posizione geografica), 26-28 a Udine, 23 a Gorizia e 18-27 a Trieste. Questo, dunque, il verdetto per il 2015. Un quadro sostanzialmente analogo che si presenta per la media annua della concentrazione delle polveri sottili: molte centraline della pianura padano-veneta evidenziano livelli prossimi o leggermente superiori alla soglia di legge di 40 microgrammi/m3 (Torino 36-38, Milano 33-42, Vicenza 43, Padova 38, Venezia 35), mentre in regione la media annua delle polveri si attesta su 31 microgrammi/m3 a Pordenone, 22-26 a Udine, 23 a Gorizia e 22-26 a Trieste. Tutto da definire, invece, l’andamento esatto dell’anno scorso. «Al momento - precisa una nota dell’Arpa - possono essere fatte solo delle proiezioni, poiché i dati non sono ancora completamente validati». Per garantirne la piena affidabilità su piano scientifico bisogna ricorrere a una serie di elaborazioni e verifiche che richiedono diverse settimane. L’Arpa precisa, tuttavia, che nel corso del 2016 le polveri sono rimaste al di sotto del tetto dei 35 superamenti giornalieri in tutte le stazioni della rete regionale di rilevamento. Discorso diverso per il monitoraggio degli impianti industriali: la centralina di San Lorenzo in Selva, che si trova in prossimità della Ferriera, nel 2016 ha riportato 40 giorni di sforamento di Pm10 del valore limite di 50 microgrammi/m3, mentre la media annuale si è attestata sui 30 microgrammi/m3. L’Aia, tuttavia, considera come rilevante il numero di giorni con superamento della concentrazione di 70 microgrammi/m3, che nel 2016 si è attestato a 11, a fronte del massimo consentito di 35. Tali valori «sono inferiori a quanto registrato in molte aree del bacino padano-veneto e comunque in miglioramento rispetto a quanto riscontrato negli anni più recenti, in particolare nel 2015».

Gianpaolo Sarti

 

Parchi inquinati e fitorimedi in commissione
Domani alle 16.30, nella Sala giunta del Municipio, è annunciata una sorta di “Conferenza dei servizi” per tentare di risolvere la questione dei parchi pubblici inquinati.

Alla Quarta commissione del Consiglio comunale competente in materia di Lavori pubblici, Patrimonio immobiliare Verde pubblico, convocata dal suo presidente, Michele Babuder di Forza Italia, per la trattazione del tema “Aree verdi e giardini comunali contaminati: discussione e valutazione dell’ipotesi di impiego di fitorimedi”, sono stati infatti invitati anche «i referenti di Arpa, Regione, Asuits, Università e Provincia», come si legge proprio nel documento di convocazione, indirizzato da Babuder anche agli assessori Elisa Lodi e Luisa Polli, le cui responsabilità nella giunta Dipiazza riguardano rispettivamente le deleghe ai Lavori pubblici e a Città e territorio, Urbanistica e Ambiente.

 

Rivive la rete dei sentieri attorno al centro di Banne - intitolata a Burgstaller-Bidischini

BANNE - È tornato a vivere lo storico circuito di sentieri che circonda la frazione di Banne, sull’altopiano triestino. Si tratta del frutto del lavoro svolto in collaborazione fra il Centro didattico naturalistico del Corpo forestale regionale e il Circolo culturale Grad.

Questo sentiero escursionistico è stato intitolato a Giuseppe Burgstaller-Bidischini, importante uomo politico triestino dell’Ottocento, che ricoprì, fra gli altri, il ruolo di presidente della Commissione d’imboschimento del Carso e fu l’ultimo proprietario, assieme alla consorte, di un’antica tenuta del paese di Banne. L’itinerario unisce sentieri già esistenti e frequentati, fin dall’Ottocento, da numerosi escursionisti e, nella sua parte centrale, coinvolge il percorso dall’Alpe Adria Trail che collega i Tauri all’Adriatico ed è l’unico che consente di raggiungere il Carso a piedi. Per permettere a tutti coloro che vorranno ammirare, fruendo del Burgstaller-Bidischini, il tratto dell’altipiano che va da Banne a Opicina, godendo, fra l’altro, della magnifica vista che si apre all’altezza della vecchia cisterna, una realizzazione che risale al 1849 e serviva a fornire acqua all’intero abitato, è stata realizzata una pubblicazione. «Si tratta di 25 pagine - spiega Diego Masiello, ispettore forestale, responsabile del Centro didattico naturalistico di Basovizza, dove la pubblicazione è disponibile - all’interno delle quali si trovano tutti i riferimenti storici relativi alla presenza della famiglia Burgstaller-Bidischini a Banne e illustra i 15 punti informativi storici e naturalistici di questo percorso. Nel testo ci sono anche puntuali riferimenti florofaunistici, che arricchiscono la pubblicazione, rendendo molto interessante il circuito anche sotto il profilo naturalistico». L’anello propone complessivamente una passeggiata di circa cinque chilometri, che parte nei pressi della caserma “Monte Cimone”, attualmente in disuso, per raggiungere, dopo un passaggio nel bosco, la cisterna che, all’epoca del suo utilizzo, era capace di contenere fino a 70mila litri d’acqua. Sono ancora visibili alcuni dei canali che la alimentavano. Una parte del percorso comprende anche l’attraversamento del vecchio campo carro armati. «Si tratta di un'area - precisa Masiello - nella quale è rimasta pressoché intatta la classica landa carsica. Siamo molto soddisfatti - conclude il coordinatore del Centro di Basovizza - perché questo sentiero riporta ai saperi di un tempo, al rapporto secolare fra l’uomo e l’ambiente che lo circonda». Alla cerimonia di inaugurazione, alla quale hanno partecipato una cinquantina di persone, che hanno sfidato l'intenso freddo di questi giorni, ha presenziato, in rappresentanza del Comune, l’assessore Maurizio Bucci.

Ugo Salvini

 

Un progetto per crociere meno inquinanti - Elaborato da Area science park tende a razionalizzare l’afflusso dei passeggeri e dei rifornimenti
Il turismo crocieristico rappresenta un settore in crescita in Italia e a Trieste. Questo tipo di turismo sembra fornire impulso alle economie locali, creando investimenti e occupazione e aumentando la notorietà internazionale delle città di destinazione, ma crea anche problemi alla viabilità urbana e periurbana durante le operazioni di imbarco e sbarco dei passeggeri e quelle di carico/scarico merci e fornitura di servizi. La questione viene affrontata dal progetto “Locations” (Low carbon in cruise destination cities) con l’obiettivo di sostenere le amministrazioni pubbliche locali nella redazione di piani di mobilità a bassa emissione di carbonio, che prevedano misure specifiche dedicate a ottimizzare il flusso di merci e persone conseguente al turismo da crociera. Il progetto “Locations”, finanziato dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale, è promosso da Area Science Park e sviluppato in collaborazione con l’Autorità di sistema portuale, con il sostegno del Comune di Trieste e della Regione. Vi partecipano diciannove partner di Italia, Croazia, Spagna, Portogallo e Albania, con il coinvolgimento di sette città portuali europee: Trieste, Ravenna, Lisbona, Malaga, Zara, Fiume e Durazzo. Una metodologia sarà testata per rispondere alle specifiche problematiche legate alla mobilità nelle città coinvolte. L’idea è definire pacchetti modulari di interventi esportabili in diversi Paesi dell’area mediterranea che contribuiscano a decongestionare il traffico cittadino e a ridurre inquinamento e impatto ambientale. Sono previste anche campagne di sensibilizzazione che incoraggino azioni di responsabilità per migliorare la qualità della vita nelle città, con il coinvolgimento di cittadini e passeggeri. «La sfida da cogliere è quella di progettare soluzioni di mobilità per passeggeri e merci capaci di preservare le risorse naturali, paesaggistiche e culturali dei porti a destinazione crocieristica, in modo da conservarne il loro valore attrattivo nel tempo – spiega Fabio Tomasi di Area science Park - “Locations” contribuirà a definire piani per la gestione sostenibile del traffico generato dalle crociere da inserire all’interno dei Piani urbani della mobilità sostenibile (Pums) e dei Piani d’azione per l’energia sostenibile (Paes) delle città coinvolte. Area in questo punta a rafforzare il ruolo di referente tecnico per le pubbliche amministrazioni su temi strategici, come è quello della mobilità sostenibile».
 

 

Cancellati due Intercity Trieste-Venezia - Tagli operativi da lunedì. L’ira della Regione: «Da Trenitalia iniziativa sconcertante e non concordata». La rabbia dei pendolari
TRIESTE Stavolta non c'è stato un salvataggio in extremis. Dal 16 gennaio la coppia di Intercity Trieste-Venezia verrà soppressa, come da rumors di inizio dicembre. Al posto dei due collegamenti gli utenti troveranno altrettanti autobus. La notizia era nell'aria, ma ieri sono arrivate le definitive conferme. Nel sito di Trenitalia, a partire da lunedì prossimo, non compare più l'Ic 734 in partenza da Trieste alle 22.06 e arrivo a Mestre alle 00.05. Stessa sorte per il gemello 735 in partenza dalla città veneta alle 5.50 e arrivo nel capoluogo regionale alle 7.46. Un taglio secco cui l'assessore regionale ai Trasporti Mariagrazia Santoro ribatte con la «totale contrarietà della Regione e lo sconcerto per le modalità attuative della decisione». Fatto sta che quei due treni (il primo per turnisti e turisti, il secondo anche per i pendolari), entrati nel mirino perché non troppo frequentati (a volte non si andava oltre i 40 passeggeri), non verranno più finanziati dal ministero in una fase in cui, d'intesa con Fs, si interviene anche in altre parti d'Italia a fronte di un servizio Intercity che accumula ogni anno 45 milioni di perdite. I pendolari sono informati dei fatti, ma non digeriscono. La notizia della sforbiciata è confermata nel blog del comitato Alto Friuli e non è per nulla addolcita dalla futura presenza dei bus. Quello del mattino, in particolare, partirà alle 5.50 da Mestre e arriverà a Monfalcone alle 8.29 (anziché alle 7.21 dell'IC) e a Trieste alle ore 8.59 (anziché alle 7.46). «Soluzione inservibile e di mera facciata», avevano già tuonato i passeggeri che non dimenticano di far sapere che una loro mail di metà dicembre indirizzata all'Ufficio mobilità della Regione e all'assessore Santoro non ha avuto riscontro. «La doppia cancellazione - si legge ancora nel blog - comporterà un grave danno a molti lavoratori che utilizzano questi collegamenti per recarsi soprattutto alla Fincantieri di Monfalcone e agli studenti residenti nella Bassa friulana e nel Veneto orientale diretti a Trieste». Il Comitato, ricordate un paio di alternative via treno, chiede quindi l'immediata convocazione di un tavolo tra la Divisione passeggeri Long Haul di Trenitalia, la Regione Fvg e la Regione Veneto allo scopo di rivedere «l'orologio di Mestre» e chiama in causa anche Debora Serracchiani: «Dalla presidente, spesso a Roma e responsabile nazionale per i trasporti del Pd, ci attendiamo una decisa presa di posizione con i vertici nazionali di Trenitalia, che vada ben oltre a una semplice letterina spedita prima di Natale». Una prima risposta arriva da Santoro. «Si tratta di treni pagati direttamente dallo Stato a Trenitalia ma complementari al servizio di trasporto regionale - precisa l'assessore -. La Regione è nettamente contraria a questa soluzione, che impatta anche sul trasporto pendolare del nostro territorio e ha già espresso questa posizione in modo diretto e formale a Trenitalia, che inspiegabilmente non ha dato riscontro alle nostre lettere. Cosa ancora più grave, non ha comunicato ufficialmente alla Regione alcunché sulla sua scelta, condizione minima per consentire di valutare per tempo effetti e definire azioni correttive per non danneggiare l'utenza e i cittadini». Che fare ora? «La sostituzione dei due treni con altrettanti autobus risulta una soluzione inefficace e di nessuna attrattività. La Regione continuerà nei prossimi giorni il pressing nei confronti del ministero e di Trenitalia per risolvere la situazione». Sulla vicenda interviene con una nota, critica con Serracchiani, anche il M5S. Il consigliere regionale Cristian Sergo, demolita come «inutile» la soluzione bus, cita i disagi dei pendolari della Bassa friulana, mentre la consigliera comunale di Latisana Loredana Pozzatello segnala la beffa per chi ha acquistato l'abbonamento mensile per un servizio che a metà mese evaporerà.

Marco Ballico

 

 

La maxi tartaruga  spiaggiata dalla bora - Melita è stata rinvenuta e soccorsa sul litorale dello Zaratino - Il veterinario: «Ci sono voluti otto uomini per trasportarla»
ZARA Si è spiaggiata dopo essersi opposta con tutte le sue forze ai refoli di bora che superavano i 150 chilometri orari. Un magnifico e anziano esemplare di tartaruga marina (Caretta Caretta) ha dovuto ieri mattina guadagnare giocoforza la terraferma lungo il tratto costiero tra le località di Carino e Pridraga, nell’entroterra di Zara. L’enorme rettile è stato avvistato da un abitante di Pridraga, Ivica Culina, che ha provveduto immediatamente ad allertare il veterinario locale Marino Mirceta. «Nelle acque dello Zaratino sono già accaduti casi simili e personalmente ho curato questi stupendi animali, purtroppo a rischio di estinzione - ha detto il veterinario - ci sono voluti otto uomini per trasportare la tartaruga a casa mia, dove ha avuto le prime cure. Non ho mai visto una Caretta Caretta così grande. Da quanto ho potuto osservare, ha sicuramente un secolo di vita. Per fortuna non ha riportato ferite serie e tutto sommato appare alquanto in forma. Non l’ho portato nella stazione di veterinaria perchè la porta sarebbe stata sicuramente troppo stretta per farvi entrare questo gigantesco esemplare. Gli abbiamo alzato la temperatura corporea, cosa di cui aveva bisogno. Lo abbiamo fatto con dell’acqua di mare riscaldata e infine gli abbiamo messo sopra una coperta. Melita, questo il nome che le ho dato, ha gradito». L’animale sarà ora trasferito al Centro di recupero delle tartarughe a Pola, dove avrà tutta l’assistenza necessaria da parte di un team di esperti, che sicuramente la rimetterà in sesto. Il viaggio di Melita da Zara a Pola avverrà a bordo di un furgone la cui parte posteriore è stata trasformata in una specie di mini piscina, dove questa specie di Matusalemme dei mari potrà restare tranquilla per un paio d’ore. Certo che la bora e le temperature rigide di questi giorni (fino a 10 gradi sottozero) non hanno riservato alla tartaruga la sorte toccata un paio d’anni fa a parecchi esemplari di pesci, tipo branzini, cefali, sogliole e altre specie, uccisi a causa delle pessime condizioni meteo marine e finiti in diverse spiagge di Zara, Pago e dintorni. Per la gran gioia di chi li aveva raccolti e successivamente cucinati.

Andrea Marsanich

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 10 gennaio 2017

 

 

Il mondo delle due ruote in diretta Facebook - Domani a partire dalle 10 il confronto con il presidente di Fiab-Ulisse organizzato dal Piccolo
Strade più sicure e una maggiore sensibilità nei confronti degli amanti della bicicletta, a cominciare dai posti per parcheggiarle. È la Fiab Trieste-Ulisse, l'associazione che si batte per la viabilità sostenibile, a esortare il Comune a intervenire con provvedimenti che incentivino l’utilizzo delle “due ruote” nell’area urbana.

Lo farà anche domani con il proprio rappresentante, Federico Zadnich, nella diretta Facebook organizzata dal “Piccolo” a partire dalle 10. Una quarantina di minuti in cui verrà affrontato anche l'argomento che più ha fatto scalpore in queste settimane: il regolamento del municipio che potrebbe dare mano libera alla Polizia locale, consentendo agli agenti di tagliare le catene e i lucchetti di tutte le bici agganciate a pali, semafori o ringhiere. Cioè non negli stalli preposti. «Faremo una controproposta - anticipa Zadnich - che diffonderemo proprio durante la diretta Facebook, perché la tolleranza zero che dimostra il Comune non è accettabile. Proponiamo una soluzione di buon senso, pensata per tutelare il decoro ma pure i ciclisti. Tagliare le catene e dare multe è un approccio repressivo al problema che non condividiamo». «Nelle altre città d'Italia ciò non esiste - prosegue l’esponente di Fiab Ulisse - è permesso invece parcheggiare nelle aree pedonali con paletti pensati a non impedire il passaggio di persone, mezzi di soccorso e disabili». L'altro tema di cui si dibatterà investe le iniziative per promuovere la viabilità sostenibile, come gli incentivi per l'acquisto di biciclette particolari. «Sono quelle con la pedalata assistita - ricorda il rappresentante della Fiab Trieste-Ulisse - la Regione ha rinnovato il bonus». Si parlerà, più in generale, pure della sicurezza stradale e delle promesse della giunta comunale. Questione questa, emersa anche alla luce degli ultimi fatti di cronaca. «Come Fiab Trieste-Ulisse - scriveva Zadnich recentemente - facciamo notare che tra gli impegni presi in campagna elettorale dal sindaco Dipiazza vi è quello di utilizzare il 10% dei fondi a disposizione per i lavori pubblici finalizzati per la sicurezza di pedoni e ciclisti. Ha inserito questo punto anche nel programma dei suoi primi 100 giorni predisponendo un piano apposito».

(g.s.)
 

Incidenti stradali, anche ciclisti e pedoni sono responsabili - LA LETTERA DEL GIORNO di Fulvio Zonta

Pare che il bilancio cittadino dell’ultimo semestre evidenzi un calo negli introiti da multe. In effetti anche la sanzione più comune come il divieto di sosta deve essere diminuita, si vedono vetture impunemente in sosta vietata in molte vie. Ci sono poi quelle piccole infrazioni che risultano essere molto pericolose per chi le commette , ma soprattutto coinvolgono terzi. Pedoni che attraversano con il rosso, maratoneti e pattinatori che si allenano sulla carreggiata, ciclisti che percorrono viale Miramare in gruppo, invece che in fila, ma soprattutto nelle ore serali privi di segnalazione luminosa. Tutte attività pericolosissime e giustamente sanzionate dal codice. Investire un ciclista o un pedone che attraversa la strada all’improvviso è un trauma anche per chi guida, oltre al lato emotivo si viene coinvolti in una serie di incombenze pesanti che non di rado si concludono davanti al giudice. Possibile che non si riesca a mettere in campo una moral suasion comminando poche di multe ben pubblicizzate che servano da monito e deterrente? La prevenzione non si fa solo piazzando l’autovelox in una giornata feriale di dicembre in viale Miramare alle nove del mattino, ma anche sanzionando i semplici che percorrono la corsia preferenziale destinata agli autobus in bicicletta come se fossero sulla ciclabile del Danubio. Oppure perseguendo i pensionati che con scatto non bruciante ma improvviso attraversano la via Carducci nonostante il semaforo rosso, con una foga degna di miglior causa. Non servono misure draconiane o pistole: basta il buon senso. Ci propinano le statistiche dei morti evitati dal tutor, ma nessuno parla dello stress dei conducenti di veicoli pubblici costretti ad evitare con manovre improvvise le bizzarrie di pedoni e ciclisti. Poi quando accade l’inevitabile entrano in campo periti, avvocati, assicurazioni, magistrati, ma la società ha già perso pagando soccorsi, assistenza, cure, riabilitazione, cause civili e penali, patenti sospese. Non dimentichiamo che la maggior parte degli incidenti mortali avviene nella cinta urbana: un comportamento adeguato è dovere di tutti gli utenti.
 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 9 gennaio 2017

 

 

Via Bonomea, cinghiale contro auto - L’animale all’improvviso sulla carreggiata. La vettura ha riportato dei lievi danni
Ennesimo episodio con protagonisti i cinghiali, ieri mattina in via Bonomea. Per la precisione un cinghiale, che ha invaso la carreggiata sfortunatamente scontrandosi con una vettura che stava transitando in quel tratto di strada. L’automobilista, evidentemente, non ha fatto in tempo a schivare l’animale, definito di buona taglia, che ha così impattato il frontale dell’auto.

Dopo l’urto il cinghiale è corso via, probabilmente ferito, e la vettura è rimasta danneggiata lievemente nella parte anteriore. L’incidente è avvenuto verso le 11 di ieri, mentre l’automobilista stava risalendo via Bonomea, che a tratti è contigua a “isole” di vegetazione, che gli animali da tempo frequentano. «Mi chiedo chi pagherà i danni provocati da questi animali, ormai diventati un rischio anche per chi guida» ha commentato l’automobilista dopo la disavventura. «Ormai i cinghiali da anni stanno danneggiando proprietà» ha chiosato. Sono ormai lunghi la diatriba e il rimpallo di responsabilità sul proliferare di questi animali, così come le polemiche su come contenerne la crescita.

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 8 gennaio 2017

 

 

Trieste fra le città più inquinate d’Italia - Il rapporto annuale di Legambiente sugli sforamenti delle polveri sottili - La lista si è ridotta rispetto al 2015 ma il capoluogo Fvg è ancora presente

È ultima in classifica, ma c’è. E non è una bella classifica. Con 38 giorni di sforamento Trieste compare tra le 32 città italiane inquinate nel 2016. Lo certifica un’elaborazione di Legambiente su dati Arpa. L’associazione ambientalista sforna come di consueto Mal’Aria di città, il dossier sulla qualità dell’aria respirata nel Paese. La situazione in città Trieste, l’anno scorso al quarantottesimo posto con 36 giorni di sforamento della soglia limite di 50 microgrammi per metro cubo di polveri sottili (Pm10) si ritrova una volta ancora nell’elenco: è la quinta volta negli ultimi otto anni. A far testo sono i valori registrati dalla centralina urbana peggiore. Nel caso di Trieste si tratta delle rilevazioni di via San Lorenzo in Selva, lì dove, dal 2007, si verificano le emissioni della Ferriera. Rispetto al 2015 gli sforamenti nel capoluogo regionale sono saliti da 36 a 38 in un contesto generale tuttavia migliore: le città fuorilegge rispetto al dettato del decreto legislativo 155/2010 che prevede un numero massimo di 35 giorni/anno con concentrazione over 50 microgrammi/metrocubo sono scese da 48 a 32. La graduatoria Guardando ai posti alti della classifica, Torino (86 sforamenti), Frosinone (85), Milano e Venezia (73) si piazzano ai primi posti, quindi Vicenza (71), Padova e Treviso (68). Fra le prime dieci città, il risultato migliore da un anno all’altro è di Pavia, che passa dal secondo all’ottavo posto e vede calare i giorni inquinati da 114 a 67. A preoccupare è soprattutto il Nord. In Lombardia tranne Sondrio e Varese tutte le città indossano la maglia nera, in Veneto si salva solo Belluno, in Piemonte lo smog riguarda quattro province su otto, in Emilia Romagna quattro su nove. La posizione di Legambiente «Molte città italiane sono costantemente in allarme smog sia per le ricorrenti condizioni climatiche che favoriscono l’accumulo degli inquinanti, sia per la mancanza di misure adeguate a risolvere il problema - commenta Rossella Muroni, presidente di Legambiente -. Sono necessari interventi strutturali, di lunga programmazione, i cui tempi di messa in opera superano quelli del mandato elettorale di un sindaco». Di qui l’appello dell’associazione a favore di un piano nazionale «che aiuti i primi cittadini a prendere e sostenere le decisioni giuste, anche radicali e a volte impopolari, per la cui realizzazione occorrono peraltro investimenti largamente al di sopra della portata dei Comuni, stretti dal patto di stabilità. Troppo spesso i sindaci sono lasciati soli di fronte all’emergenza e improvvisano cure inadeguate e scarsamente efficaci - prosegue Muroni -. Per questo Legambiente ha preparato un elenco di proposte sugli interventi necessari a migliorare davvero la qualità dell’aria. Bisogna da un lato trasformare strutturalmente le città, le modalità di trasporto e di spostamento, i servizi e le infrastrutture, dall’altro - conclude la presidente dell’associazione - riqualificare il patrimonio edilizio pubblico e privato rendendolo energeticamente sostenibile». La ricetta Dieci le proposte di Legambiente. Se lo spazio pubblico è per l’80% destinato alla carreggiata e al parcheggio, vanno ridisegnati innanzitutto strade, piazze e spazi urbani per favorire gli spostamenti a piedi e in bicicletta. In prospettiva servono dunque piste ciclabili, una mobilità “emissioni zero”, autobus più rapidi, affidabili ed efficienti, una flotta di mille treni pendolari, metropolitane, tram e diecimila bus elettrici o a bio-metano per il trasporto pubblico all’interno di città in cui bandire i veicoli diesel. Obiettivo nel quinquennio: ridurre gli spostamenti in macchina a non più di uno su tre. Sosta e combustibili Le ultime mosse riguardano l’istituzione di zone a pedaggio urbano e di una politica tariffaria sulla sosta mirata a utilizzare le conseguenti risorse per l’efficientamento del trasporto pubblico locale, la riqualificazione degli edifici pubblici e privati per ridurre i consumi energetici e le emissioni inquinanti (quattrocentomila interventi all’anno tra ristrutturazioni radicali e ricostruzioni), il divieto dell’uso di combustibili fossili, con esclusione del metano, nel riscaldamento degli edifici per incentivare, a partire dalle aree urbane, l’utilizzo delle moderne tecnologie che migliorano l’efficienza e riducono le emissioni.

Marco Ballico

 

«C’è un mix di problemi in ballo» - L’assessore Polli: «Dall’uso dei veicoli ad aziende come la Ferriera, fino alle navi»
È ultima in classifica, ma stavolta stare sul fondo sta a indicare che i danni sono più limitati. Anche se ha sforato due giorni in più rispetto al 2015, Trieste è nella classifica di Legambiente che annuncia le 32 città che l’anno scorso hanno superato la soglia di polveri sottili consentita per legge. L’assessore comunale all’Ambiente Luisa Polli, consapevole del dato, prosegue nel contrattacco annunciato all’avvio del suo mandato, nell’attesa dei nuovi progetti ministeriali e comunitari sulla questione inquinamento che dovrebbero essere annunciati a breve. «Rientra fin dall’inizio nella mia idea, perché c’è anche nel programma di governo, la volontà di rafforzare la rete pubblica più possibile, di creare parcheggi di contorno alla città, di usare i mezzi elettrici - afferma -. Poi bisogna pensare ad alcune aziende presenti sul territorio: una per tutte la Ferriera. E a un elemento storico per le città di mare ovvero le navi che arrivano in porto. L’analisi è molto complessa e strutturata su diverse fasce di problematiche». Ma l’unione fa la forza e dunque i gettoni europei potrebbero aiutare a sanare il tappo di inquinamento. «Ho parlato con il ministero dell’Ambiente - prosegue l’assessore - per vedere di partecipare a qualche forma di progettazione comunitaria che ci consenta di fare una sistematica educazione ambientale nelle scuole almeno dell’obbligo. Usciranno una serie di programmi e presterò molta attenzione attraverso gli uffici per tentare di essere soggetti finanziati per questo tipo di interventi». Per quei giorni in più di sforamento rispetto ai 36 del 2015 l’ex sindaco Roberto Cosolini non sembra davvero preoccupato, perché «possono dipendere molto - afferma - anche da fattori meteoreologici, se c’è scarsa circolazione eolica. Se le variazioni sono leggere, può accadere questo». Ma in ogni caso la complessità c’è: «Trieste ha un problema di polveri sottili, come altre città italiane, e per questo è necessaria anche l’attuazione del Piano del traffico che a suo tempo avevamo varato. Cioè ridurre il traffico automobilistico privato, privilegiando trasporto pubblico, pedoni e ciclabilità». A spronare la programmazione di «un piano energetico ancora mai realizzato a Trieste» è Giorgio Cecco, coordinatore regionale di FareAmbienteFvg, «collegandolo - spiega - a quello del traffico e del piano regolatore». Ma bisogna puntare in primis, a suo giudizio, sul risparmio energetico: «L’inquinamento poi è prodotto da varie sorgenti, anche dalla Ferriera. Bisogna incentivare il trasporto pubblico con nuove corsie preferenziali per il bus, riprendere in mano il discorso della mobilità elettrica e limitare il traffico da attraversamento». Andrea Wehrenfenning, presidente del Circolo Verdeazzurro di Legambiente Trieste, spinge sull'attuazione «di un piano nazionale e regionale per la mobilità elettrica. Anche i Comuni devono attivarsi. Hera, ad esempio, ha distribuito le postazioni, ma se non ci sono incentivi nazionali per fare costare meno l’auto, non si fa nulla». Propone dunque nell’attesa «un miglioramento dei mezzi pubblici e l’installazione del “car sharing”, anche elettrico, per la mobilità obbligatoria, c’è un progetto regionale che sta aspettando fondi europei. Questo diminuirebbe molto il numero delle auto usate, che a Trieste dovrebbero servire solo per andare in Carso o per uscire la sera tardi». Per Andrea Ussai, consigliere regionale M5S, «c’è un problema sulla centralina di San Lorenzo in Selva dove spesso il valore non è disponibile e inoltre è stato aumentato lo sforamento limite di polveri sottili da 50 per metrocubo a 70, perché non la considerano una centralina che rileva la qualità dell’aria, bensì che misura la performance dell’impianto siderurgico. Quindi i dati non sono paragonabili».

(b.m.)

 

Il verde pubblico - La scoperta dei giardini inquinati
Trieste è anche alle prese con il problema dei giardini inquinati. Il caso era scoppiato la scorsa primavera in seguito alla scoperta dei livelli di tossicità riscontrati in ben sette dei dodici punti campionati dall’ex giunta Cosolini per verificare l’impatto della Ferriera non solo nell’aria, ma pure nel suolo. Nell’elenco ora figurano piazzale Rosmini, il Miniussi di Servola e il de Tommasini di via Giulia. E, ancora, due scuole dell’infanzia ed elementari che si trovano a Servola: il don Chalvien di via Svevo e la Biagio Marin di via Praga. Sono ritenuti contaminati pure i cortili della chiesa San Lorenzo e dell’Associazione amici del presepio in via dei Giardini. In tutti questi siti sono spuntati inquinanti al di sopra dei limiti di legge: benzopirene, ad esempio, ma anche benzoantracene e benzofluorantene. Le decisioni finali su come intervenire spettano alla Conferenza dei servizi. Il Comune ha proposto l’utilizzo di una speciale “pianta spugna” in grado di assorbire le sostanze tossiche del terreno. Una soluzione, questa, che potrebbe essere impiegata proprio nel giardino pubblico di via Giulia.

(g.s.)

 

L’industria - Il braccio di ferro su Servola

Il tema dell’inquinamento, a Trieste, fa spesso rima con l’annosa vicenda della Ferriera. Sul destino dello stabilimento siderurgico di Servola, su cui è in atto un duro braccio di ferro tra l’amministrazione comunale della giunta Dipiazza e la proprietà, Arvedi, pesano anche le indagini della magistratura del capoluogo. Proprio recentemente la Procura ha annunciato l’intenzione di posizionare alcuni “nasi elettronici” in grado di analizzare le componenti chimiche degli odori e valutarne l’esatta provenienza. Il capitolo “odori” è previsto espressamente all’interno dell’Allegato 3 dell’Autorizzazione integrata ambientale: un passaggio che impone alla proprietà di studiare pure questo aspetto dell’inquinamento “entro un anno” dal varo del documento. Non solo. In futuro, sempre su indicazione della Procura, potrebbero sorgere altre centraline di controllo, da aggiungere a quelle dell’Arpa, per studiare con ulteriore precisione le particelle che fuoriescono dalla fabbrica.

(g.s.)

 

 

Stretta sulla pesca - Multe raddoppiate e licenze a rischio - Tutte le nuove disposizioni di legge per l’intera filiera - Rimane il limite massimo di cinque chili per gli “sportivi”
TRIESTE Una nuova legge introduce importanti cambiamenti ai regolamenti in materia di pesca marittima. Nello specifico, viene depenalizzata la pesca ittica sottomisura, ma con multe raddoppiate fino a 150mila euro in caso di specie pregiate, e sono intensificate le pene accessorie, fino alla sospensione della licenza, per alcune specifiche infrazioni. Restano invece le sanzioni penali per gli esemplari protetti. Per spiegare nel dettaglio il significato della nuova norma, tesa a favorire una pesca sostenibile per tutti gli operatori dell’intera filiera, è arrivato anche a Trieste l’ammiraglio Pietro Verna. Il responsabile del reparto Pesca marittima del corpo delle Capitanerie di porto al ministero delle Politiche agricole è infatti impegnato in un tour informativo di appoggio alle Capitanerie italiane. In compagnia del comandante della Capitaneria di porto del capoluogo giuliano e direttore marittimo del Fvg, Luca Sancilio, ha illustrato il senso e il contenuto della recente normativa 154. In particolare si è soffermato sull'articolo 39 in vigore da agosto che introduce importanti modifiche nella parte relativa alle sanzioni in materia di pesca e acquacoltura. Si tratta di un’applicazione delle direttive europee e una risposta positiva alla ricerca scientifica per «garantire alle future generazioni la disponibilità delle risorse in quantità sufficienti», ha affermato Verna. Obiettivi: «evitare l’eccesso di pesca, garantire e mantenere la biodiversità, ridurre lo spreco, la cattura delle specie non bersaglio e favorire la protezione di tutti i cruciali habitat della pesca nell'ecosistema marino». Cosa prevede la norma Nel cuore della novità dell’articolo 39 c’è un inasprimento delle misure. Nessuno scapperà alla mannaia. C'è in ballo il coinvolgimento dell’intera filiera commerciale: dal pescatore al grossista. I cambiamenti riguardano diversi fronti. Si parla di depenalizzazione di alcune disposizioni che riguardano il pesce sottomisura rendendole dunque amministrative. S’intendono le specie giovanili, che non sono ancora arrivate alla riproduzione e vanno tutelate per consentirne la conservazione. Gli importi delle multe sono commisurati al quantitativo pescato in eccesso e che possono raggiungere, raddoppiando, anche i 150mila euro nel caso di pesca di specie pregiate come tonno rosso e pesce spada. Ma perché di mezzo ci vanno proprio questi due vertebrati? «Si tratta di specie che interessano moltissimi paesi - ha spiegato Verna -, cosiddette pelagiche e cioè che attraversano gli oceani, per cui c’è uno sforzo mondiale per tutelarle. Sono specie migratorie e quindi c’è un’attenzione corale a difenderle ovunque esse passino». Restano invece penali le sanzioni per le specie protette. Si parla poi di un’intensificazione delle pene accessorie con previsione di sospensione della licenza di pesca, che in media varia da uno a tre mesi, o direttamente della revoca di questa in alcune circostanze. Tra queste, ad esempio: la detenzione di attrezzi non consentiti in caso di recidiva, e qualora si utilizzino reti da posta derivante, cioè quelle utilizzate soprattutto in alto mare, libere di muoversi in balìa delle correnti. Oppure, sempre nell'ipotesi di recidiva, in alcune situazioni in cui in oggetto siano le specie ittiche tonno rosso o pesce spada. È regolata poi anche la sospensione dell’iscrizione nel registro dei pescatori marittimi, da un minimo di 15 giorni a un massimo di tre mesi in base alla trasgressione. Sanzioni sulla pesca di frodo Pure il pescatore sportivo, per il quale rimane l’obbligo di non superare i cinque chili giornalieri di pescato, sarà soggetto a simili ammende in proporzione al quantitativo raccolto, con il raddoppio delle multe in caso di vendita di prodotti ittici provenienti dalla pesca non professionale (da 4mila a 12mila euro). Le nuove norme colpiscono anche i commercianti e quindi i ristoranti che acquistino prodotti della pesca sportiva. Infatti è prevista la sanzione della sospensione dell’esercizio commerciale da 5 a 10 giorni lavorativi a carico del trasgressore.

Benedetta Moro

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 7 gennaio 2017

 

 

Fondi quadruplicati per pulire e censire le grotte carsiche - La Regione rivede il budget a favore delle associazioni - Premiani: «Un salto di qualità che attendevamo da tempo»
TRIESTE - Gli speleologi triestini tornano al centro dell'attività di controllo e di censimento delle cavità del Carso, sotto l'egida dell'Assessorato regionale per l'ambiente. Avranno principalmente la funzione di verifica dello stato di inquinamento delle grotte dell'altipiano e di tutto la provincia, ricoprendo un ruolo di primario rilievo nella tutela del territorio. Per poter rispondere al meglio a questa esigenza, che riguarda l'intera collettività, i nove gruppi locali che si occupano di speleologia e che aderiscono alla Federazione regionale (Fsr) potranno beneficiare del sensibile aumento delle risorse finanziarie messe loro a disposizione dalla legge regionale n.15 del 14 ottobre 2016. «In luogo dei 15mila euro di cui potevamo disporre fino a due anni fa - spiega Furio Premiani, presidente della Fsr per il Friuli Venezia Giulia - per il 2017 la Regione ci garantirà una somma di 82mila e 363 euro, che con ogni probabilità sarà riproposta anche nel 2018». In proporzione, crescerà anche la disponibilità per i gruppi dell'isontino e del Friuli: complessivamente, le 23 associazioni che, in Friuli Venezia Giulia, si occupano di speleologia, passeranno da un contributo totale di circa 50mila euro, che arrivava loro attraverso le Province, ai circa 230mila attuali, messi a disposizione dalla Regione. Un considerevole salto di qualità, al quale si accompagna anche un'altra decisiva novità: gli speleologi non saranno più accorpati, per quanto concerne l'organizzazione delle varie attività, all'assessorato regionale per lo Sport, ma saranno coordinati da quello per l'Ambiente. «Un cambiamento che attendevamo da tempo - riprende Premiani - perché obiettivamente con lo sport c'entriamo poco. Molto più specifico il riferimento alla tutela dell'ambiente - precisa il presidente regionale della Frs - che ci vede impegnati in prima fila». La fase di declino dell'attività degli speleologi regionali era iniziata nel 2007, quando si stabilì che avrebbero dovuto essere le Province a fungere da ente di riferimento. «Cominciò in quel momento - ricorda Premiani - un decennio di grandi difficoltà per noi, a causa della progressiva diminuzione dei finanziamenti a nostro favore. A un certo punto, non avevamo nemmeno i soldi per comperare le corde e, di conseguenza. Per molti è difficile capire l'importanza della speleologia e della nostra instancabile opera scientifica. Ora, con la promulgazione della legge regionale n. 15 che sostituirà de facto l'obsoleta legge regionale n.27 del '66 tutto cambierà in meglio». In questo nuovo testo, è stata fra l'altro meglio definita la figura dello speleologo, posta in un contesto riguardante aspetti puramente geologici. «Va dato atto all'assessore Sara Vito - conclude Premiani - dell'attenzione dimostrata nei confronti dei problemi del mondo della speleologia». I gruppi triestini beneficiari dei nuovi contributi sono il Club alpinistico triestino, la Società Alpina delle Giulie, il Gruppo San Giusto, la Società adriatica di speleologia, il Gruppo Triestino speleologi, la società Trenta Ottobre Cai, il Gruppo grotte Carlo Debeljak, il Gruppo Flondar e l'Associazione sportiva Gmada.

Ugo Salvini

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 6 gennaio 2017

 

 

«Troppa ghisa in Ferriera» - Il Comune chiede sanzioni - Controricorso al Tar nei confronti della Regione in vista del verdetto dell’11 gennaio
La replica dell’amministrazione Serracchiani: «Fatti gli interventi previsti dall’Aia»
Si fa più violento il tiro alla fune sulla produzione di ghisa a Servola e il Comune chiede che la Ferriera venga sanzionata. All’ordinanza del sindaco Roberto Dipiazza che intima a Siderurgica Triestina di rimanere sotto le 34mila tonnellate mensili, la società del Gruppo Arvedi ha replicato con un ricorso al Tar sul quale i giudici amministrativi dovrebbero pronunciarsi l’11 gennaio. Nel frattempo però il Comune contrattacca rivolgendosi a propria volta al Tribunale amministrativo regionale e prendendo però di mira la Regione. Sotto accusa del municipio il decreto emesso dall’amministrazione regionale il 22 dicembre in risposta a quanto richiesto dagli stessi giudici. Al termine dell’udienza del Tar del 16 dicembre scorso alla Regione era stato intimato di emanare l’atto conclusivo della verifica del rispetto da parte di Siderurgica Triestina delle prescrizioni previste per lo stabilimento siderurgico dall’Autorizzazione integrata ambientale, rilevando che senza questo atto non si sarebbe potuto decidere in merito al ricorso contro l’ordinanza di Dipiazza. La Regione ha appunto adempiuto il 22 dicembre depositando il decreto il giorno successivo. Adesso il Comune però, giocando d’anticipo rispetto all’udienza fissata per l’11, impugna il decreto. Lo ha deciso la giunta comunale nella seduta che si è tenuta il 30 dicembre e nella relativa delibera sostiene che «il suddetto decreto regionale si sostanzia in una mera riproduzione del contenuto dei rapporti di visita ispettiva di Arpa Fvg nonché del verbale di sopralluogo congiunto del 13 settembre 2016» e che «detto decreto risulta illegittimo in quanto carente della presupposta attività istruttoria oltre che delle necessarie determinazioni che lo stesso doveva assumere, considerato l’indiscusso sforamento del limite di produzione mensile di ghisa così come autorizzata dall’Aia». I giudici del Tar hanno specificato che «l’Aia stabilisce che l’accertamento del completamento degli interventi verrà effettuato dalla Regione previo sopralluogo congiunto degli Enti che partecipano alla Conferenza dei servizi». Ma anche che «impone di concludere detto segmento procedimentale con un atto formale della Regione la quale, se del caso, può anche limitarsi a fare proprie le risultanze del sopralluogo congiunto effettuato in data 13 settembre 2016». Ieri la Regione ha precisato che «con decreto 2955/Amb del 22 dicembre 2016 il direttore del Servizio tutela da inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico, Luciano Agapito, ha accertato il completamento da parte di Siderurgica Triestina degli interventi di adeguamento dell’altoforno previsti nell’Aia rilasciata nel gennaio 2016. Il decreto, che formalizza quanto già comunicato agli enti competenti con nota del 24 ottobre 2016 sulla base delle evidenze del sopralluogo congiunto effettuato nell’impianto nel mese di settembre - continua l’amministrazione regionale - è stato adottato in ottemperanza all’ordinanza emessa dal Tar Friuli Venezia Giulia in occasione dell’esame dell’istanza proposta da Siderurgica Triestina avverso l’ordinanza del sindaco di Trieste di limitazione della produzione di ghisa, effettuato nel corso della Camera di consiglio tenutasi il 16 dicembre scorso, quando il collegio giudicante ha disposto anche il rinvio al prossimo 11 gennaio, data nella quale il Tribunale deciderà se accogliere o meno l’istanza di sospensiva». Il Comune al contrario sottolinea come chi non rispetti le prescrizioni dell’Aia è soggetto a sanzione amministrativa e rivela che la stessa Siderurgica Triestina ha riferito che tra il 5 e il 16 dicembre ha prodotto 16.302,8 tonnellate di ghisa e quindi che «applicando una semplice proiezione lineare (il cui computo darebbe 42.115,6 tonnellate mensili) sta eccedendo la produzione mensile di ghisa (34mila tonnellate) autorizzata dall’Aia» e che «il decreto regionale in oggetto non assume le necessarie misure sanzionatorie in merito, atte a garantire la tutela della salute pubblica e dell’ambiente».

Silvio Maranzana

 

«La Befana dem porta il carbone di Servola» - Dipiazza ribatte ai consiglieri del centrosinistra: «Lo stabilimento stava chiudendo, l’avete riaperto»
«Anche quest’anno la Befana del Pd porterà ai triestini il carbone velenoso della Ferriera di Servola, la cui chiusura era stata già siglata, ma che proprio il Pd ha deciso di riaprire». Il sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza ribatte così alle dichiarazioni fatte dagli esponenti dell’opposizione in Consiglio comunale.

«È proprio vero - sostiene il sindaco - che chi non sa fare le cose, spesso pensa di poter insegnare. I consiglieri del Pd hanno perso un’altra buona occasione per stare in silenzio e relativamente alla lista dei buoni propositi mi sento di consigliare al Pd di iniziare da se stesso cercando di capire le cause dell’implosione che lo ha colpito e chiedendo scusa ai triestini e agli italiani per i danni che ha creato in città e nel Paese». «Il politicamente corretto e il populismo buonista del Pd - secondo l’analisi che ne fa Dipiazza - in cinque anni di amministrazione hanno portato solo danni a Trieste. Il degrado e l’insicurezza che viviamo e che ora stiamo cercando di risolvere sono sotto gli occhi di tutti. Noi del centrodestra - continua - mettiamo in campo quello che sappiamo fare meglio: ovvero lavorare, realizzare fatti concreti, assumerci la responsabilità delle decisioni così come i cittadini ci chiedono. In questi iniziali sei mesi oltre ad essere riusciti a tamponare emergenze e a risolvere problemi ereditati dalla precedente amministrazione, abbiamo già messo in campo nuovi progetti, indirizzi e percorsi di crescita per i triestini e la città. Ma soprattutto, in appena sei mesi, siamo riusciti a cambiare il vento sulle nostre vele, a ridare energia, entusiasmo, voglia di fare, prospettive di crescita e orgoglio alla nostra città e al nostro essere triestini, cancellando quel senso di rassegnazione, sconfitta e abbandono con cui il Pd aveva avvolto tutto». «Trieste è una capitale d’area, questo è il ruolo che le appartiene e che vogliamo che svolga. Per il 2017 – conclude Dipiazza – ho anche io dei consigli da dare al Pd: il primo è quello di scendere dalla cattedra e rispettare i cittadini che lo hanno bocciato con il voto, il secondo è quello di iniziare a prendere le distanze da quei pochi adepti capaci solo di urlare in piazza, imbrattare i beni comuni e fare della bestemmia il proprio manifesto culturale».

 

L’ARPA - La prima causa dei cattivi odori sono le scorie e i catrami
Le principali cause dei cattivi odori che si diffondono a Servola provenienti dall’area della Ferriera sono riferibili in particolare ai processi di granulazione della loppa (scoria da altoforno, ndr.) e del trattamento dei catrami. È quanto viene rilevato nella relazione tecnica finale dell’Arpa Fvg nell’ambito della convenzione (per una valore di 20.008 euro, Iva compresa) stipulata con il Comune “per attività tecniche e monitoraggio delle emissioni in atmosfera di sostanze odorigene provenienti da attività produttive e in particolare dalla ferriera di Servola”. Nella relazione si legge tra l’altro che «il processo di granulazione della loppa, il caricamento della cokeria e lo stoccaggio delle materie prime nel parco fossili mostrano caratteristiche chimiche simili e alta correlazione nella risposta dei nasi elettronici. Allo stesso modo si hanno alte correlazioni tra l’area sifoni e l’area lavorazione catrami. Lo sfornamento della cokeria sembra essere invece il processo relativamente meno odorigeno tra quelli presi in considerazione». Nella delibera in cui prende atto delle risultanze dello studio, la giunta comunale stabilisce anche che dopo la prima valutazione dei dati raccolti in via San Lorenzo in selva, Arpa procederà con l’installazione di due strumenti nelle proprie postazioni rispettivamente di via Pitacco e di via del Ponticello per ottenere una copertura adeguata dell’area impattata. Rispetto alle scadenze previste l’Arpa aveva chiesto e ottenuto una proroga di sei mesi e il Comune ha esluso ora l’applicazione di una penale in quanto i ritardi non sono addebitabili all’Agenzia regionale. «La strumentazione acquisita dall’Arpa consistente in due “nasi elettronici” Msem (prodotti da Sensigent con sede in California - viene rilevato nella delibera - in sede di controllo ha dimostrato un’anomalia e pertanto la messa a punto della strumentazione da parte della ditta fornitrice ha comportato la necessità, da parte di Arpa-Fvg, di chiedere un arco temporale maggiore per la consegna degli elaborati rispetto ai termini prescritti».

(s.m.)
 

 

Cala il sipario sull’esperimento bus elettrico - Al via lunedì l’ultima settimana del servizio speciale che ha collegato Barcola a Campo Marzio
Nessun dietrofront sullo stop alle corse speciali dei bus sul percorso Barcola-Campo Marzio. Trieste Trasporti ha confermato l’intenzione di far calare il sipario sulla prima fase di sperimentazione per gli autobus elettrici in città. L’atto finale, precisa in una nota l’azienda del trasporto pubblico locale, andrà in scena la prossima settimana.

Quella tra il 9 e il 14 gennaio sarà infatti, almeno per il momento, l’ultima settimana di operatività per la linea a emissioni zero denominata 6 barrata. Il servizio (fortemente voluto dal Comune di Trieste e dal socio Arriva, e reso possibile grazie al contributo della Regione) ha collegato fino allo scorso 31 dicembre Campo Marzio a Barcola, dando modo a Trieste Trasporti di valutare le capacità di adattamento ai tragitti urbani delle due vetture a trazione elettrica prodotte dalla Jiangsu Alfa Bus. L’ulteriore settimana di operatività servirà a completare l’analisi di dati e parametri tecnici. Il collegamento, anche da lunedì a sabato prossimi, sarà quotidiano e seguirà il tragitto dei mesi scorsi. I capolinea saranno collocati in via di Campo Marzio, di fronte al grattacielo, e a Barcola, in piazzale 11 Settembre. L’itinerario prevede la percorrenza delle rive e di viale Miramare, in entrambe le direzioni (saranno operative tutte le fermate lungo il tragitto). I due autobus a trazione elettrica, di colore bianco, sono dotati di 23 posti a sedere e 71 posti complessivi: per usufruire del servizio sarà necessario dotarsi di un normale titolo di viaggio (biglietto o abbonamento). La prima corsa, da Campo Marzio, partirà alle 7 del mattino: seguiranno corse ogni 30 minuti fino alle 10.25, per poi riprendere tra le 16.00 e le 20.55. Le partenze da Barcola sono invece programmate tra le 7.30 e le 10 e, nel pomeriggio, tra le 16.30 e le 20.30. E sempre sul fronte del trasporto pubblico in città, la Regione ha comunicato che, da mercoledì prossimo, lo Sportello trasporto pubblico agevolato di Trieste, attualmente situato in via Sant’Anastasio 3, verrà trasferito in via Mazzini 14/a, negli uffici che già ospitano la Motorizzazione civile. Lo sportello sarà aperto al pubblico dal lunedì al venerdì tra le 9 e le 12.

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 5 gennaio 2017

 

 

Tregua Regione-Comune su Porto vecchio

Faccia a faccia tra Serracchiani e Dipiazza. Intesa su cronoprogramma e modalità di spesa dei 50 milioni stanziati da Roma
Le strette di mano, gli auguri e l'auspicio di una "proficua" collaborazione. Per Debora Serracchiani e Roberto Dipiazza il 2017 si è aperto sotto una buona stella: quella del Porto Vecchio. La presidente della Regione e il sindaco di Trieste ieri hanno fissato un primo cronoprogramma per avviare le opere sostenute dal maxi finanziamento del governo Renzi. Ci sono 50 milioni di euro in ballo e ora si deve decidere come e quando spenderli. I due hanno le idee piuttosto chiare. Serracchiani ha deciso innanzitutto di sottoscrivere un protocollo operativo tra Regione, Comune, Autorità portuale e ministero dei Beni e delle Attività Culturali, in modo da definire la fase progettuale e attuativa degli interventi. In particolare, come già stabilito in sede ministeriale, i lavori riguarderanno la viabilità (3 milioni e 500 mila euro), il Polo museale (25 milioni), il trasferimento in Porto vecchio dell'Icgeb (12 milioni), il recupero dell'Ursus (5 milioni e 500 mila), il restauro della "Locanda" (800 mila) e la riqualificazione delle banchine (3 milioni e 200 mila euro). Il protocollo servirà a chiarire anche «chi fa cosa»: la Regione intende accordasi con il sindaco su quale sarà, in futuro, il ruolo del Comune, vale a dire il "soggetto attuatore" dei lavori. La governatrice, dal canto suo, ha anche messo a disposizione gli uffici tecnici regionali di Fvg Strade per affiancare quelli municipali così da progettare la nuova viabilità. «Abbiamo ottenuto delle risorse importanti dal governo precedente - ha rilevato la presidente della giunta - per passare a un'operatività concreta su una parte di Trieste che rappresenta il futuro non solo della città, ma dell'intera regione. Per questo abbiamo inteso imprimere un'accelerazione che possa essere coerente con quello che poi sarà il progetto complessivo del riuso di Porto Vecchio. Sta andando avanti uno dei più grandi regali che la Regione fa alla città di Trieste e al Friuli Venezia Giulia, cioè il recupero di un'area importante. È un lavoro di squadra, in cui la Regione ha fatto il suo e in tempi direi piuttosto veloci, grazie anche all'attenzione del governo». «Cioè del governo Renzi prima - ha evidenziato - e poi adesso, ancora, del ministro Franceschini. Stiamo quindi andando avanti per predisporre tutti gli atti che ci permetteranno di impiegare i 50 milioni». Soddisfatto Dipiazza, che abbozza una data. «Credo che nel giro di 30-40 giorni avremo il protocollo per partire». E, sottolineando «l'ottimo» rapporto con la Regione, ha puntualizzato che «quando si lavora assieme nell'interesse del territorio i risultati si raggiungono». Perché il Porto Vecchio, consegnato al Comune, «è patrimonio della città, è un ambizioso progetto per tutta la regione e solo uniti possiamo raggiungerlo». Una partita, ha fatto sapere lo stesso Dipiazza, che il diretto interessato e la presidente fin qui hanno voluto gestire «in silenzio, sia da una parte che dall'altra, perché l'accordo tra noi era di stare zitti e risolvere i problemi. Infatti, a inizio anno, ci siamo subito incontrati. Lei è in gamba, io altrettanto. E i risultati si vedono». È rimasto sostanzialmente fuori dal tavolo, per il momento, l'annoso tema della Ferriera: «Ogni istituzione svolge il suo ruolo - ha chiosato Serracchiani - a volte le opinioni possono essere diverse, ma per quanto mi riguarda la collaborazione tra noi sarà sempre utile e fattiva».

Gianpaolo Sarti

 

Il Masterplan di Italia Nostra “timone” per Porto vecchio - L’INTERVENTO di Antonella Caroli - referente Porto vecchio - Italia Nostra Nazionale
In questi giorni dovrebbe essere stato definito il passaggio al Comune di Trieste delle aree del Porto vecchio a seguito dell'emendamento inserito dal senatore Francesco Russo nella Legge di stabilità 2014. Il governo, tramite una delibera del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica), ha stanziato 50 milioni di euro da spendere nell'arco di sei anni per l'avvio dei lavori di riqualificazione del Porto vecchio. Il finanziamento fa parte del Fondo sviluppo e coesione 2014-2020 e precisamente del Piano stralcio "Cultura e Turismo" previsto dalla delibera del Cipe n. 3/2016. Delibera che inquadra il recupero del Porto vecchio tra gli «interventi di grande spessore volti al recupero di strutture dismesse e degradate di grande valore culturale». Il Masterplan di Italia Nostra, redatto nel 2013, è stato fondamentale in tale assegnazione. Infatti nella scheda ministeriale si indicano le linee guida del Masterplan, considerato strumento direttorio per il Porto vecchio e si fa evidente riferimento alla corposa documentazione che lo compone e che ne sta alla base. Infatti nella Scheda d'intervento si dichiara che l'intervento sul Porto vecchio, per cui sono stati stanziati 50 milioni di euro finalizzati al restauro e alla valorizzazione dell'area «prende le mosse dal Masterplan elaborato da Italia Nostra che si prefigge l'obiettivo strategico del recupero funzionale e strutturale dell'ambito del Porto vecchio...» e aggiunge alla fine del documento che «gli utilizzatori finali (dei fondi)... dovranno assumere l'impegno di attuare le previsioni del Masterplan». Si dice che «nella prima fase d'intervento si procederà con la messa in sicurezza di tutti gli edifici e che gli interventi sui magazzini e i manufatti storici saranno di recupero funzionale secondo criteri edilizi di restauro leggero...». Si raccomanda la tutela architettonica stabilita nel 2001 affinché l'area non diventi un qualsiasi waterfront e mantenga l'identità del distretto storico portuale. Per il riutilizzo dell'area si deve provvedere alle opere di infastrutturazione e ai sottoservizi. A questo proposito nel documento si fa riferimento a quanto già ipotizzato da Portocittà. L'attuazione degli interventi non dovrà inoltre avvenire attraverso un concessionario unico. Considerato che storicamente il Porto vecchio è stato luogo di sperimentazioni, di applicazione di brevetti, di nuove tecnologie e di nuovi materiali costruttivi, il Masterplan propone la collaborazione scientifica di studiosi internazionali (Comitato scientifico internazionale attivo dal 2010), di competenze specifiche da individuare nell'Università di Trieste e nell'Area Science Park, per applicazioni di tecniche e di materiali ecosostenibili. A seguito della nuova situazione giuridica del Porto vecchio, alcune parti del Masterplan andranno modificate. Quindi esso sarà modificato nella parte in cui sarà necessario farlo, ai sensi del Decreto del commissario del Governo nella Regione Friuli Venezia Giulia del 26 gennaio 2016, in virtù del quale è stato stabilito lo spostamento di parte del Punto Franco del Porto vecchio in altri siti, nonché ai sensi delle intese intercorse fra la presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, l’Autorità Portuale e il sindaco di Trieste, in accordo a loro volta con le altre istituzioni interessate, così come è stata concordata la cosiddetta “dividente” del territorio del Porto vecchio. Per gli effetti di tale accordo la linea di costa rimane in capo all'Autorità di sistema portuale e al Demanio, con la continuità del regime di Porto Franco, mentre la rimanente parte del territorio viene sdemanializzata e trasferita al patrimonio del Comune di Trieste. Il Masterplan potrà diventare il punto di partenza su cui confrontarsi e Italia Nostra Nazionale, a nome del presidente nazionale Marco Parini, è pronta a offrire la propria collaborazione e le competenze nei tavoli tecnici istituzionali.
 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 4 gennaio 2017

 

 

La “strage” di pini in Carso che piace agli ambientalisti - Al via a Basovizza il disboscamento di un’area di cinque ettari che diventerà pascolo

Wwf e Legambiente soddisfatte: «Giusto e opportuno ripristinare l’originaria landa»

SAN DORLIGO DELLA VALLE - Cinque ettari di terreno disboscato per creare una landa carsica da destinare a pascolo per ovini - in particolare alle pecore di razza istriana, una specie in via di estinzione -, ripristinando così un’antica tradizione pastorizia del Carso. È iniziato da qualche settimana, in un fazzoletto di terra fra Draga Sant’Elia e San Lorenzo, nel territorio comunale di San Dorligo della Valle, nei pressi dell'inizio del sentiero che porta sul monte Stena da cui si gode di una magnifica vista sul golfo di Trieste, un importante intervento di trasformazione dell'ambiente naturale, inserito nel Piano di gestione forestale della Comunella di Draga. Intervento che rientra nelle competenze dell'Ispettorato forestale di Trieste - Riserva della Val Rosandra. L’area in questione era storicamente destinata a pascolo ma, nel tempo, si sono sviluppati i pini neri, introdotti sul Carso qualche secolo fa dai botanici dell’impero asburgico per aumentare la superficie boschiva del territorio e che, periodicamente, invadono le lande destinate agli ovini. «Quando abbiamo registrato l'interesse di operatori del settore agricolo per quell’area - spiega l'assessore del Comune di San Dorligo della Valle, Franco Crevatin - ci siamo subito attivati perché, in virtù di questo intervento, si ricostituirà il territorio originario e si garantirà una maggiore difesa dagli incendi. I pini neri che sono in via di abbattimento, infatti, sono pericolosi sotto questo profilo perché portatori di resina, facilmente infiammabile». Soddisfatto anche Emanuele Frascatore, marito di Francesca Mari, titolare dell’azienda agricola che gestirà il pascolo. «Abbiamo lottato per tre anni per ottenere tutte le autorizzazioni del caso - precisa - e ora siamo alla vigilia di un'operazione che porterà una quarantina di ovini a pascolare nella zona nella quale stiamo effettuando il disboscamento». Contrariamente a questo si potrebbe pensare, tra l’altro, l’niziativa sta riscontrando il favore di tutte le organizzazioni ambientaliste locali. «L'80 per cento delle piante e degli animali presenti sul Carso vivono meglio nella landa - sottolinea il naturalista Nicola Bressi, che fa parte del comitato scientifico del WWF -. Un ambiente per loro molto più adatto del sottobosco. L' importante - prosegue - è che ci sia una regia a coordinare l'attività di pascolo. Chi fa mantenimento della landa nel modo corretto, crea le situazioni ottimali per la salvaguardia dell'ambiente originario del Carso. Essenziale che si installi il cosiddetto pastore elettrico, cioè che si posizionino i recinti elettrificati, per evitare che i lupi, spesso provenienti dalla vicina Slovenia, possano danneggiare gli animali del pascolo. Nell'esplosione turistica che Trieste sta fortunatamente vivendo - conclude il naturalista del WWF - questo progetto gioca al meglio, dal momento che i turisti che vengono in città anche per ammirare e vivere il Carso sperano di vedere l'ambiente autentico, quello nel quale prosperano le querce, il ginepro è tutto ciò che caratterizza storicamente il circondario della città». Soddisfatto anche Andrea Wehrenfennig, presidente di Legambiente: «In linea generale, la landa carsica è l'ambiente originale e caratteristico del nostro Carso - evidenzia - perciò ben venga un'iniziativa come questa, che riporterà quell'area alla sua conformazione naturale». Nel dettaglio, l'operazione di disboscamento dovrebbe essere completata entro fine febbraio, dopo di che si comincerà con l'inserimento graduale degli ovini. Nei progetti dell'azienda agricola di Francesca Mari dovrebbero essere 38 gli animali che fruiranno a regime del nuovo pascolo, una quindicina dei quali, appartenenti alla specie delle pecore istriane e di Bovec (Plezzo) dovrebbero essere messe a disposizione dall'Università di Lubiana. «Sappiamo che l'ateneo della capitale slovena - spiega Giulio Cosola, l'agronomo che fa parte dello staff che si sta occupando dell'intervento - si sta interessando a questa specie che rischia di scomparire e noi siamo ben lieti di poter ospitare pecore istriane». L'opera, una volta ultimata, oltre alla delimitazione del pascolo e al sistema di difesa, necessario per salvaguardare gli ovini dai lupi, comprenderà anche una tettoia e un ricovero per garantire agli animali un rifugio nelle giornate particolarmente fredde e quando soffia la bora d'inverno.

Ugo Salvini

 

«Giardini inquinati, sgravi fiscali ai bar vicini»
Mozione di Forza Italia per alleviare i disagi di chi ha visto calare gli affari dopo la chiusura delle aiuole
Una mozione urgente per sollecitare il Comune a farsi carico dei disagi che la chiusura al pubblico dei giardini interessati da livelli record di inquinamento, ha provocato e continua a provocare ai commercianti vicini alle aiuole off limits. A proporre il testo - fatto proprio dalla giunta in una delle ultime sedute del Consiglio comunale - la sono stati i consiglieri di Forza Italia Michele Babuder, Piero Camber e Alberto Polacco. « Come noto - ricorda Polacco - recenti analisi effettuate dall’Arpa hanno evidenziato la presenza di inquinanti in alcune aree verdi del territorio, in particolare nel Giardino Pubblico “Muzio de Tommasini”e in quello di Piazzale Rosmini. Una situazione che, oltre ad aver determinato l'interdizione di alcuni spazi, ha causato disagi anche ai titolari di alcuni esercizi pubblici insistenti in quelle aree, che stanno risentendo in modo significativo del ridotto afflusso di utenti legato all'impossibilità di fruire completamente dei giardini». Di qui la scelta di fare pressing sull’amministrazione per «adottare quanto prima iniziative e misure straordinarie di supporto che possano almeno in parte sostenere gli esercenti le cui difficoltà siano anche legate alla fattispecie in esame». Nel dettaglio la mozione forzista «propone di valutare la possibilità di adottare, a favore degli esercenti le cui attività insistano nei pressi delle aree nelle quali sia stato accertato l'inquinamento, misure di agevolazione e/o riduzione dei tributi comunali, nello specifico - eventualmente - degli oneri relativi al canone di occupazione del suolo pubblico (Cosap)». «Un tanto perlomeno - prosegue il vicecapogruppo azzurro Polacco - , al fine di alleviare le comprensibili difficoltà sia dei commercianti sia dei residenti. Al riguardo è stato ulteriormente evidenziato dagli estensori del documento lo sforzo dell'amministrazione per definire e attuare gli interventi atti a limitare l'ampliarsi dei disagi e la manutenzione straordinaria delle aree verdi, per le quali il competente assessorato ai Lavori Pubblici ha inserito i relativi stanziamenti per l'esecuzione degli interventi nell'ultima variazione al bilancio comunale. Si tratta - conclude - di un segno di attenzione necessario verso chi più di tutti sta soffrendo per questa situazione».

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 3 gennaio 2017

 

 

Piante “antismog” in via Giulia - Il Comune ipotizza di utilizzare l’«erba spugna» nelle aiuole contaminate del giardino de Tommasini
Arriva la “pianta spugna”, una specie in grado di assorbire le sostanze cancerogene presenti nel terreno. È la soluzione che il Comune di Trieste sta meditando di adottare per risolvere il clamoroso caso dei giardini inquinati scoppiato la scorsa primavera, e che ha comportato la chiusura di numerose aree verdi cittadine.

L'ipotesi di ricorrere a questo stratagemma sarà affrontata la prossima settimana nell’incontro in quarta commissione, con la partecipazione di Azienda sanitaria, Arpa ed esperti della Regione. Il problema, come noto, era sorto in seguito alla scoperta dei livelli tossicità fuori legge riscontrati in ben sette dei dodici punti campionati dall'ex giunta Cosolini per verificare l'impatto della Ferriera nel suolo. Nell'elenco erano finiti piazzale Rosmini, il “Miniussi” di Servola e del “de Tommasini” di via Giulia, il polmone verde della città. E, ancora, due scuole dell'infanzia ed elementari che si trovano a Servola: il “don Chalvien” di via Svevo e la Biagio Marin di via Praga. Nel novero si sono aggiunti, sempre nello stesso rione, pure i cortili della chiesa San Lorenzo e dell'Associazione amici del presepio in via dei Giardini. In tutti questi siti sono spuntati inquinanti al di sopra dei limiti: benzopirene, ad esempio, ma anche benzoantracene e benzofluorantene. Materiale tossico, che sulla carta presenta un rischio più “potenziale” che effettivo, ma che per legge richiede interventi massicci di bonifica. Il più contaminato è apparso il giardino pubblico di via Giulia: qui, come è stato appurato dall'Arpa, il benzopirene ha una media di 2,8 milligrammi per kg di sostanza secca, quando le normative indicano una soglia di 0,1. Quasi trenta volte tanto. Per fare un altro esempio, le aiuole di piazzale Rosmini, pure queste off limits dalla scorsa primavera, sono a 0,84 mg/kg. La posizione centrale del “de Tommasini” di via Giulia, più esposto al traffico urbano rispetto agli altri giardini di periferia, lascia presupporre che l'inquinamento sia causato dallo smog prodotto dalle automobili e dagli impianti di riscaldamento delle case circostanti. Ed è proprio nelle aree verdi di via Giulia che il Comune potrebbe sperimentare la cosiddetta «erba spugna». Tecnicamente una «fito-depurazione», adatta all’inquinamento da smog. L’assessore Luisa Polli ha già approfondito la possibilità. «Ci stiamo pensando - commenta - perché in alcuni siti questo potrebbe essere effettivamente il percorso da imboccare. Andremo a piantare alcune tipologie specifiche di erbette che puliscono la terra senza neppure doverla togliere. Questa è una delle soluzioni applicabili, forse, in via Giulia. Altrove si dovrà invece ricorrere ad altro». Le decisioni finali comunque spettano alla Conferenza dei servizi in capo alla Regione: il Comune è soltanto un esecutore delle indicazioni stabilite. «L'intento è capire come agire - prosegue Polli -, ma è necessario ancora accertare fino in fondo l'entità del fenomeno con ulteriori analisi, proprio con l'obiettivo di scegliere la tipologia di intervento più opportuna».

Gianpaolo Sarti

 

FareAmbiente incalza su fumi e polveri rilevati nell’area attorno alla Ferriera
Nel 2017, secondo una nota di FareAmbiente Fvg, «le priorità per il territorio sono ben evidenti, viste le problematiche legate alla salute pubblica, alla sicurezza e al lavoro». In particolare, a giudizio del coordinatore regionale Giorgio Cecco, «la salute pubblica legata soprattutto all’inquinamento delle attività industriali come la Ferriera e al traffico veicolare».

«Di recente ci sono stati segnali sul Porto Vecchio, sulla Ferriera che è la madre di tutte le battaglie con l’impegno del Comune in sinergia con le associazioni ed i cittadini: siamo ottimisti, ma tutti questi segnali non sono ancora ben definiti per una risoluzione in tempi accettabili». «Noi anche nel 2017 saremo a fianco dei cittadini per sensibilizzare le istituzioni, proporre soluzioni, nel limite delle nostre competenze e possibilità, con le azioni rivolte agli obiettivi suddetti e auspichiamo ci sia la convergenza tra i bisogni della gente e dell’ambiente con i programmi delle amministrazioni pubbliche locali, perché spesso questo è mancato nel recente passato».

 

A Duino apre il cantiere “taglia depuratori” - Partono i lavori di AcegasApsAmga per la nuova fognatura. Protesta per l’eliminazione di alcuni alberi
DUINO AURISINA - È stato aperto in questi giorni il primo cantiere del 2017 nel territorio del Comune di Duino Aurisina. Si tratta dei lavori che l'AcegasApsAmga farà per posizionare le nuove condutture della fognatura nel tratto della strada statale n. 14, all'altezza del supermercato Conad (ex Gran Duino).

Si tratta di un cantiere che rientra nel piano di rivoluzione del sistema fognario di Duino Aurisina, la cui conclusione è prevista per il 2020. A quel punto, dal Villaggio del Pescatore a Servola ci sarà un'unica condotta fognaria, con l'eliminazione dei depuratori attualmente operanti a Sistiana e Duino e dei relativi scarichi a mare. Un'operazione che porterà un evidente beneficio per il tratto di mare su cui si affaccia il territorio del Comune guidato dal sindaco, Vladimir Kukanja. Prima di poter cominciare con i lavori, che hanno già comportato l'abbattimento di alcuni alberi, si è dovuto attendere il parere positivo della Soprintendenza e l'autorizzazione della Forestale. I lavori si completeranno con la realizzazione del condotto fognario che trasporterà i reflui dal depuratore provvisorio, che attualmente serve il Villaggio del Pescatore, fino a quello di Duino, dove si allaccerà alla condotta, ora in costruzione, che collegherà tale impianto al depuratore di Sistiana. In questa maniera, potrà essere finalmente dismesso il problematico impianto del Villaggio del Pescatore, mentre quello di Duino sarà inizialmente bypassato e rimarrà inattivo fintanto che gli scarichi di Portopiccolo, che confluiscono a Sistiana, rimarranno su livelli paragonabili a quelli attuali. Con il completamento del collegamento tra Sistiana e Barcola, spariranno i due impianti di Sistiana e Duino e tutti i reflui saranno concentrati sull'impianto di Servola, attualmente in fase di radicale revisione e potenziamento». La partenza del cantiere ha provocato le proteste di un gruppo di residenti per le modalità con le quali si è operato sugli alberi «sradicati con metodi quanto meno discutibili - hanno scritto in un documento diffuso sui social - perché si poteva fare molto meglio utilizzando le motoseghe. Siamo all'interno dell'area delle Falesie - hanno aggiunto - e certamente si doveva e poteva fare diversamente». Finita questa fase, il cantiere si sposterà di qualche centinaio di metri in direzione di Duino. (u.s.)
 

 

Rossi accelera sul viale in Porto vecchio - L’annuncio dell’assessore: «I lavori per la costruzione dell’asse viario principale partiranno nel 2017»
«Partiranno quest’anno i lavori per la realizzazione del viale principale del nuovo Porto vecchio». Lo ha annunciato l’assessore alla Cultura Giorgio Rossi intervenendo alla conferenza stampa organizzata sul tema dall’associazione Italia Nostra.

«Alla fine - ha precisato Rossi - la strada principale affiancherà la ferrovia e andrà dalla stazione centrale alla pineta di Barcola. Già quest’anno però collegheremo la stazione con l’uscita che ora sbocca su viale Miramare. Questa prima parte della “dorsale” culminerà in due rotatorie: una interna al porto prima del Magazzino 26 e un’altra esterna, sullo stesso viale Miramare». Per Rossi, questa infrastruttura sarà cruciale, ancor più che dal punto di vista urbanistico, da quello psicologico simboleggiando l’appropriazione del Porto vecchio da parte della città. Nella stessa prima fase in tempi velocissimi dovranno essere completate l’illuminazione pubblica e la rete fognaria per raggiungere le strutture già riqualificate. «Nella seconda fase - ha continuato l’assessore - il Comune materialmente si approprierà della Centrale idrodinamica, della Sottostazione elettrica e dei due quinti del Magazzino 26 già ristrutturati o ristrutturabili con poco costo. L’avvio della vita in Porto vecchio - ha aggiunto Rossi - sarà favorito anche da una linea di autobus che collegherà la Stazione ferroviaria al 26. Qui sorgerà anche il visitor centre della città, punto di smistamento logistico per turismo e cultura: i turisti potranno essere convogliati a San Giusto con navette o a Miramare con un collegamento marittimo. Nella terza fase - ha concluso - si tratterà di realizzare il Museo del mare: nei Magazzini 24 e 25 se il 26, dove entrerà anche l’Immaginario scientifico, dovrà ospitare l’Icgeb, nel 26 stesso se l’Icgeb verrà spostato altrove». Rossi ha anche riferito che la Mostra sulle navi del Lloyd ha abbandonato gli spazi della Centrale idrodinamica e i reperti sono stati spostati all’attuale Museo del mare di Campo Marzio dove la mostra verrà riallestita in formato ridotto. Attraverso la responsabile per il progetto Porto vecchio Antonella Caroli e la presidente Giulia Giacomich, Italia Nostra ha voluto rivendicare la propria primogenitura nella realizzazione del masterplan del Porto vecchio «che è stato fondamentale nell’assegnazione dei 50 milioni di euro con delibera Cipe. Nella scheda ministeriale - è stato specificato - si indicano le linee guida del masterplan come strumento direttorio per il Porto vecchio». In base a ciò Italia Nostra ha chiesto, anche attraverso il suo presidente nazionale Marco Parini, di prendere parte accanto a Regione, Comune e Autorità portuale ai tavoli tecnici che si terranno sul recupero del Porto vecchio. Caroli ha annunciato una serie di incontri con i vari soggetti interessati all’operazione che prenderanno il via il 27 gennaio.

(s.m.)
 

 

Corse del bus elettrico verso il capolinea
Sperimentazione prorogata di una settimana. Ma dal 14 gennaio stop alla linea Barcola-Campo Marzio. La parola alla Regione
Ancora una settimana di esperimenti poi basta. In attesa che la Regione confermi il supporto concesso nello scorso autunno. Da lunedì 9 a sabato 14 il bus elettrico, con il nome di battaglia “6 barrato”, farà un’altra settimana di spola tra Campo Marzio e Barcola. A quel punto sospenderà il servizio, che non avrà sostituti “tradizionali”, mentre il concessionario Trieste Trasporti (Tt) valuterà con l’assessorato competente della Regione se e come proseguire in una esperienza che Roberto Gerin, direttore d’esercizio Tt, definisce «interessante e positiva». Esperienza durata un mese e mezzo, da lunedì 14 novembre a sabato 31 dicembre. E’soprattutto il potente partner privato di Tt, il colosso Arriva (controllato dalle ferrovie tedesche Db), a manifestare un forte interesse per una sperimentazione che a Trieste, area urbana di non facile approccio trasportistico, ha un laboratorio di valenza europea nello studiare la combinazione risparmio/ambiente. Nell’ipotetica lavagna che ripartisce positività/criticità, a favore del bus elettrico sono a referto l’alto gradimento dell’utenza per un servizio all’insegna del silenzio, un’autonomia di oltre 200 chilometri senza ricarica, un consumo di 1,1 chilowattora in linea con le prestazioni misurate in altri siti continentali. Qualche problema, invece, in termini di manovrabilità, soprattutto per quel che concerne lo sterzo, e nella capacità di trasporto (71 posti, il 30% di passeggeri in meno rispetto agli altri veicoli della flotta aziendale): Arriva ha messo a disposizione due mezzi costruiti dalla cinese Jiangsu Alfa Bus Co. Ltd, perchè i grandi costruttori occidentali, che nel recente passato hanno scommesso sull’ibrido, sembrano invece ancora timidi in tema di elettrico. Il percorso Campo Marzio-Barcola è agevole dal punto di vista altimetrico, ma traffico e barriere semaforiche costituiscono per altri versi un banco di prova ritenuto significativo. La Regione aveva contribuito all’esperimento elettrico con circa 30 mila euro, a coprire i 9 mila chilometri percorsi dai due bus elettrici. Adesso, sulla base dei dati raccolti, Trieste Trasporti si confronterà con l’interlocutore istituzionale che, dopo la recente sepoltura della Provincia, resta l’assessorato ai trasporti della Regione Fvg. I due bus elettrici, distinguibili dal colore bianco, compivano la prima corsa alle 7 mattutine, partendo da Campo Marzio. Poi effettuavano servizio ogni 30 minuti fino alle 10.25, per riprendere tra le 16 e le 20.55. Da Barcola invece le partenze erano sequenziate di mattina tra le 7.30 e le 10 e nel pomeriggio tra le 16.30 e le 20.30. Prima dell’operatività in linea dalla metà di novembre, i mezzi erano stati testati nei mesi precedenti da Trieste Trasporti.

Massimo Greco

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 2 gennaio 2017

 

 

A Trieste cala il biglietto dell’autobus

Da ieri prezzo più basso di 10 centesimi con le nuove direttive della Regione sul ticket orario a 1,25 euro
TRIESTE Se aumentano i costi al casello, da ieri gli utenti dei bus di Trieste sono entrati nel nuovo corso della tariffa regionale, quello che regala un risparmio di 10 centesimi. Dal primo gennaio 2017, infatti, i triestini pagano il biglietto orario sull'intera rete esattamente come nel resto del Friuli Venezia Giulia: non più 1,35 ma 1,25 euro. La novità (gradita non meno della gratuità per i minori fino a 10 anni) è inserita nel percorso che dal prossimo agosto dovrebbe portare alla gestione unica del Tpl Fvg. Il condizionale è d'obbligo perché in Regione si attende che BusItalia, la società della Ferrovie dello Stato battuta nella gara d'appalto da 2 miliardi di euro dal consorzio che unisce gli attuali gestori del servizio nelle quattro province, faccia sentire nuovamente la sua voce. Dopo aver ripetutamente attaccato il bando della direzione Infrastrutture, è probabile che Busitalia possa nuovamente ricorrere al Tar. Nell'attesa, il passeggero Fvg continuerà a pagare le stesse tariffe del 2016. I costi sono infatti fotocopiati, oltre che per il biglietto da 1,25, anche per le due tratte di una linea (1,55 euro), il giornaliero su tutta la rete (4,35 euro), l'abbonamento mensile su una linea (da 26,40 a 27,75 euro) e sull'intera rete (da 33,55 a 34,45 euro). Quanto ai pullman, tutto dipende dalla distanza. Si parte da una corsa semplice sotto i 4 km da 1,25 euro fino a un massimo di 178,95 euro per viaggi superiori ai 225 km. Invariato il quadro dei servizi marittimi: da Trieste a Muggia 4,25 euro per la corsa singola e 7,90 ritorno compreso; da Grado a Trieste 7 euro (10,65 andata e ritorno), da Trieste a Barcola 2,55 e da Marano a Lignano 3,40. Nel “pacchetto” varato dalla giunta, oltre ai biglietti gratis per gli under 10, entra anche lo sconto del 20% a partire da febbraio nelle giornate di sabato e domenica sul biglietto di corsa semplice dei servizi ferroviari in ambito regionale gestiti da Trenitalia. Sono inoltre confermati i bonus 2016 a favore di studenti, famiglie e viaggiatori abbonati (già beneficiati da una riduzione del 5% in caso di acquisto online). A Trieste e nell'Isontino scatterà poi il potenziamento dei servizi scolastici e proseguiranno i nuovi collegamenti sperimentali con la Fincantieri di Monfalcone. Sono inoltre in corso di valutazione l'attivazione di un servizio festivo di collegamento con Fernetti e l'intensificazione del festivo Trieste-Muggia.

(m.b.)

 

 

Incendio sul San Michele - Distrutti 5 ettari di bosco - Botti e petardi hanno innescato le fiamme in Carso vicino all’abitato di Moccò
Colpita anche Trebiciano. Roghi a Opicina, Padriciano e in viale Miramare
Carso in fiamme nell'ultimo giorno del 2016. Un vasto incendio notturno, visibile da parecchi punti del territorio triestino, ha interessato l'area boschiva del monte San Michele, l'altura sopra l'abitato di Bagnoli della Rosandra, a ridosso della frazione di Moccò, nel comune di San Dorligo della Valle. Poco dopo le 22.30 di sabato tre squadre dei vigili del fuoco, assieme alla Forestale di Trieste e Duino, i volontari antincendio di San Dorligo ("Breg") e Muggia, i pompieri volontari di Trieste, hanno affrontato un incendio, che è stato domato parzialmente alle prime luci dell'alba di ieri e completamente attorno alle 18. Oltre cinque gli ettari di terreno boschivo andati in fumo sul monte noto per la presenza delle rovine di un castelliere, struttura difensiva risalente all'Età del Ferro, considerato il più esteso dell'area triestina. Non sicura, ma quasi certa l'origine del rogo, attribuita allo sconsiderato utilizzo di fuochi di artificio a ridosso dell'area verde: il vento e un terreno particolarmente secco (non piove da diverse settimane) hanno favorito il propagarsi delle fiamme estesesi fortunatamente senza coinvolgere persone o abitazioni. Inizialmente l'area indicata sul web dal rogo era stata identificata nel monte Carso, anche in seguito all'errato messaggio twittato dalla Protezione Civile di Trieste che evidenziava come l'incendio boschivo si fosse propagato in un'altra delle alture che dominano la Val Rosandra. Le dinamiche del rogo sviluppatosi sul monte San Michele sono molto simili a quelle occorse anche il giorno di Capodanno del 2015, quando un incendio, provocato anche in quel caso dello scellerato utilizzo di fuochi d'artificio vicino ad un'area boschiva, investì il vicino monte Carso, nei pressi dalla "cava cuore". Ma in questo impegnativo fine 2016, i Vigili del fuoco e le squadre della Forestale sono intervenuti anche in altre zone del territorio. A Opicina, Padriciano e anche nella zona di viale Miramare sono sorti piccoli roghi, anche questi dovuti, con quasi ogni probabilità, ai botti di fine anno. Prezioso a tale proposito l'intervento di bonifica in queste zone operato dai volontari antincendio della Protezione civile di Trieste. Ma i pompieri hanno spento anche diversi principi di incendio dovuti ad alcuni cassonetti delle immondizie dati alle fiamme forse per qualche stupido gioco dovuto al lancio di petardi all'interno dei bottini stessi. Le aree interessate sono state via Bartolomeo d'Alviano, strada di Guardiella, via Giuseppe Di Vittorio, Valmaura (vicino al Bricofer) e la frazione muggesana di Zindis. Nella giornata di ieri, infine, un altro nuovo incendio ha interessato questa volta la frazione di Trebiciano. Oltre 3mila mq di prati cespugliati, a margine di un'area boschiva, sono andati completamente bruciati. Fondamentale l'intervento della Forestale di Trieste e dei vigili del fuoco, che dalle 15.30 alle 18 circa, hanno spento le fiamme provocate da qualche botto di fine anno lanciato in ritardo. Le operazioni di spegnimento degli incendi di Trebiciano e del monte San Michele coordinate dal maresciallo della Forestale Giovanni Flapp.

Riccardo Tosques

 

 

 

 

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