L’ESPRESSO (1 maggio 2008)
La grande
fame
di Raimondo Bultrini e Satya Sivaraman da Bilaspur - Chhattisgarh
Biocarburanti e petrolio
alle stelle. Volano i prezzi degli alimenti di base. E
negli Stati più poveri del mondo torna l’emergenza cibo. Viaggio nella regione
indiana che ha il record mondiale di bimbi morti per stenti
Dal Messico al Bengala occidentale,
dall'Egitto all'Indonesia. E poi Haiti, il Burkina Faso, il Camerun, la
Costa d'Avorio, gli Stati del Golfo e di nuovo in Asia, nelle Filippine.
Non c'è stato un continente senza proteste, disperazione, perfino rivolte.
L'aumento negli ultimi sei mesi del prezzo di generi di prima necessità come il
riso e il grano ha scatenato una crisi epocale, ancora
distante dalle cifre della carestia nel Bengala del 1943 con i suoi tre milioni
e mezzo di morti, ma di cui non si intravedono spiragli di ottimismo a breve.
Bilaspur è famosa in lingua hindi
come Dhaan Ka Katora, la scodella di riso, e le fertili pianure che si
estendono in molti distretti attorno a questa importante
città del nuovo Stato indiano di Chhattisgarh sono
l'orgoglio di un continente al terzo posto nel mondo tra gli esportatori e i
consumatori del prezioso prodotto. Nei suoi 50 slum di catapecchie, gli
abitanti mangiano tra i miasmi delle fogne a cielo aperto la porzione
sufficiente per sopravvivere. Ma è oltre la sua
periferia estrema, nella cittadina di Ganiyari, 20
chilometri a nord, che si cela il lato nascosto di uno Stato presentato dai
dépliant turistici come una delle terre più ricche di tradizioni del
Continente. Qui c'è l'unica grande clinica dove i
contadini e gli adivasi (i tribali) dalle foreste dei
remoti distretti lontani anche 200, 300 chilometri, possono permettersi di
farsi curare le molte malattie derivate da un unico ceppo sempre più
contagioso: la fame. L'ha fondata nel 2000 un gruppo di giovani dottori
laureati nella più prestigiosa università medica
dell'India (Aiims), rinunciando ai principeschi salari
delle strutture private.
Tra i letti delle stanze
spartane allineati lungo gli stanzoni dell'ospedale giacciono dozzine di
pazienti in gran parte giunti qui in condizioni estreme. Le cartelle
cliniche di 244 uomini, donne e bambini ricoverati negli ultimi mesi,
presentano un sintomo Bhargav, uno dei fondatori
dell'ospedale JSS, spiega che la media dei pazienti adulti non supera i 35
chilogrammi di peso, con il caso estremo di un uomo di 19 chili: «Mentre il
resto del mondo parla della sindrome di immunodeficenza acquisita col virus dell'Hiv, noi siamo testimoni nel Chhattisgarh
di una drammatica sindrome acquisita nutrizionale, che noi chiamiamo N-Aids».
Il dottor Bhargav preferirebbe non parlare con la
stampa. Uno dei suoi colleghi diventati celebri sulle cronache indiane
dell'ultimo anno, Binayak Sen, è ancora in carcere
con l'accusa di avere collaborato con i maoisti naxaliti,
nonostante una campagna nazionale per proclamare la sua innocenza e una
petizione firmata da migliaia di poveri curati col lavoro semi-volontario di
Sen e dei suoi colleghi.
Ma di fronte all'evidenza
degli uomini-scheletro allineati su lettini, materassi e tappeti del JSS, Bhargav non se la sente
di girare attorno al problema che tormenta lui e gli altri medici
ben prima della crisi dei prezzi: «È impossibile per degli estranei immaginare
ciò che avviene qui, la fame fa più vittime che in Etiopia», sbotta. I pazienti
arrivano al JSS su carri tirati da buoi, su autorisciò, dentro pullman stracolmi e su treni dove la
gente sale fin sopra i tetti come ai tempi dei viaggi di Gandhi.
Qualcuno muore lungo il tragitto, altri subito dopo l'arrivo, altri riescono a
riprendersi e tornare nei loro villaggi, dove però la situazione diventa sempre
più problematica, soprattutto da quando la vertigine dei costi ha creato anche
in India paradossali speculazioni sulle spalle dei più poveri. Per evitare
rivolte, e con l'occhio alle prossime elezioni, i governi
nazionale e locale implementano programmi per la distribuzione di grano
e riso a prezzi bassi. Dopo che il Bjp, il partito
degli ultraortodossi hindu, ha annunciato per la
festa religiosa del Makar Sankranti
riso a 3 rupie al chilogrammo, contro i 15 del mercato, per 340 mila famiglie
sotto la soglia della povertà, il progressista Congresso lo ha promesso a 2,
sempre che riceva voti sufficienti. Ma il vero
problema, che non riguarda solo le quote calmierate, bensì gli stessi coupon,
le carte delle razioni per anziani e disoccupati, i pasti gratuiti di
mezzogiorno chiamati Anganwadi per i bambini delle
scuole dei villaggi, è quello della distribuzione. Spesso gli abitati dove
tribali e dalit (la casta più bassa del sistema hindu) si nutrono di radici, foglie, frutta, dei proventi
di piccolo artigianato e, se va bene, pollame, sono poche case di fango o bambù sparse in regioni ricoperte da fitte
foreste, senza elettricità, acqua potabile e strade degne di questo nome.
Il viaggio verso i distretti dell'estremo sud di Chhattisgarh, Kanker, Bastar, Dantewada, è un inferno che solo gruppi di volontari noti
come Mitanin si azzardano a percorrere per portare
forme minime di assistenza, selezionare i casi più
gravi da ricoverare negli ospedali delle città, dare consigli di igiene,
distribuire vitamine e proteine ai più piccoli. Ne incontriamo numerosi, spesso
semplici madri di famiglia che dedicano a questo lavoro per conto di ong locali parte del loro tempo
dopo essere state a loro volta aiutate in passato. Nonostante il loro impegno e
i notevoli passi in avanti rispetto a un passato
ancora più tragico, Chhattisgarh mantiene il più alto
tasso di mortalità infantile e materno: 70 bambini deceduti ogni mille contro i
63 della media nazionale - record mondiale - per un totale di due milioni di
piccoli (fonte Unicef) uccisi ogni anno da malattie
prevenibili. Tra la sola tribù dei Kamar che vive a
sud-est della capitale Raipur nel distretto Dhamtary, una équipe universitaria ha scoperto che nell'età
tra i 4 e i 6 anni 90 soggetti su 100 sono gravemente sottopeso. Per secoli i Kamar e le altre tribù della zona hanno vissuto dei
prodotti dei boschi e dei piccoli allevamenti di animali
domestici, ma la globalizzazione, che ha portato
all'India un lusinghiero 9 per cento di crescita annua, ha spinto a sacrificare
le grandi foreste e i fiumi, affidando a grandi compagnie private, anche
straniere, vaste fette di territorio demaniale per industrie, dighe e miniere. Chhattisgarh è uno degli Stati più ricchi di risorse del
sottosuolo, e gli adivasi hanno dovuto cedere alle
imprese di estrazioni fasce sempre più vaste di terre
ancestrali.
Escluse le città che non offrono facile asilo a popolazioni che parlano spesso
solo antichi dialetti e sono vissute isolate per secoli, nemmeno la campagna
offre un'alternativa valida. Il costo dei semi, dei fertilizzanti, dei
pesticidi e dell'elettricità, senza contare i
trasporti e la benzina, oltre alle dissennate stagioni dell'effetto serra,
hanno reso proibitiva quella che era un tempo la base di sussistenza del 70 per
cento della popolazione indiana, a cominciare dai contadini senza terra delle
caste basse.
Per sviluppare l'industria e l'alta tecnologia, l'India - e Chhattisgarh
non ha fatto eccezione - ha lasciato indietro l'agricoltura. Non solo. La grande varietà di semi di grano e di riso di cui disponeva è
stata sostituita da stock in gran parte importati da grandi compagnie
multinazionali come la Monsanto, buoni per il
cosiddetto cash crop, raccolto monetizzabile, ma
spesso sterili dopo un anno di utilizzo e a basso potere proteico. I contadini
che avevano un minimo di capitale da spendere si sono
indebitati fino al collo, nel Chhattisgarh come in Maharashtra, Madhya e Andra Pradesh, portando in queste regioni il numero dei suicidi
per debiti alla impressionante cifra di 17 mila nel solo 2006. Il dato
sconvolgente, rilevato dal National Crime Records Bureau del ministero degli Interni, ma a lungo
negato da stampa e autorità (tanto che il primo ministro Singh
ha offerto ricompense solo ai contadini delle altre regioni), fissa la
statistica di Chhattisgarh a ben quattro contadini
morti ogni giorno. Un altro record negativo assoluto rispetto al resto
dell'India.
A rendere ancor più paradossale la situazione c'è stato l'effetto perverso
della liberalizzazione dei mercati, con
l'autorizzazione da parte del governo indiano alla vendita di grossi
quantitativi di prodotti agricoli che in tempi di crisi come questi avrebbero
permesso di salvare milioni di vite. Paesi stranieri come l'Australia continuano ad acquistare sul mercato indiano grano a prezzi
incredibilmente bassi, 3 mila rupie contro le 10 mila dello standard
internazionale. Ma allo stesso tempo l'India ha acquistato per la prima volta
nel 2006 e nel 2007 grandi quantitativi di grano e riso all'estero,
contribuendo all'impennata dei prezzi sul mercato globale.
Non a caso adesso il prodotto viene accumulato nei
magazzini in attesa degli inevitabili rialzi (sono già più che raddoppiati
negli ultimi dieci mesi) e non può essere soddisfatta l'enorme richiesta di
intere popolazioni senza risorse alimentari. Ad ammettere candidamente al settimanale
indiano "Business Standard" che «non esiste un meccanismo statale per
limitare l'impennata dei prezzi», è stato pochi giorni
fa il segretario generale delle Finanze di Chhattisgarh
D. S. Misra: «L'unica cosa che lo Stato può fare è
cercare le quantità necessarie al mercato nero».
Ma lo stesso capo dei ministri di Chhattisgarh,
Raman Singh, nel marzo
scorso ha messo il dito su una ulteriore piaga. Ha
chiesto al governo centrale di ridefinire i parametri della soglia di povertà: «Qual è la razionalità dei dati accettati della
commissione di Pianificazione che parlano del 27 per
cento di popolazione sotto la soglia di povertà, quando la malnutrizione supera
il 50 per cento?». Nonostante i possibili interessi
elettorali dietro la dichiarazione del ministro, i suoi dati non si discostano
dalle scoperte dell'Unione popolare per le libertà civili, una delle
organizzazioni fondate dal medico Binayak Sen
imprigionato per "maoismo" e collegata all'ospedale JSS. In una
ricerca condotta nei distretti meridionali di Bastar e Dantewada
ha enumerato le cause delle repentine e innumerevoli morti tra i tribali dei
villaggi di Burgum e Hirpal:
febbri, malattie della pelle, tubercolosi, diarree, vomito inarrestabile,
perdita di peso. Le conseguenze di una severa e prolungata
malnutrizione, cominciata nel grembo materno. Il Nobel Amartya Sen aveva detto a gennaio che in fatto di fame
l'India è messa peggio delle regioni dell'Africa sub-sahariana, con il doppio
di casi di malnutrizione da mancanza di proteine energetiche, la metà dei suoi
bambini cronicamente sottonutriti e più di metà delle donne sofferenti di anemia. E poi ha aggiunto:
«Parte dei motivi vanno cercati nel fatto che i
sussidi sono andati gran parte ai produttori per tenere i prezzi alti, invece
che aiutare a mantenerli bassi per gli acquirenti».
Gli sciacalli di Chicago
di Enrico Pedemonte da Chicago
È alla Borsa della metropoli Usa che
si fissano i prezzi dei prodotti agricoli nel mondo. Saliti alle
stelle spinti dagli speculatori, dai fondi pensione e dalle industrie
che producono etanolo
Un'ora prima della campana che indica
la fine delle contrattazioni, nella grande sala
esplode un boato, mentre gli sguardi corrono a leggere una notizia che scorre
lassù, su una striscia luminosa: in Argentina gli agricoltori hanno interrotto
uno sciopero che durava da tre settimane. In questa sala del
Chicago Board of Trade si fissano i prezzi dei
prodotti agricoli nel mondo e si decide la sorte di milioni di contadini, ma
viste da qui le fluttuazioni degli indici assumono una dimensione asettica,
come se i numeri che compaiono sui tabelloni fossero una grande tombola
collettiva: «Noi siamo speculatori, e il nostro mestiere è scommettere: oggi,
per effetto della notizia dall'Argentina, granturco e soia stanno
andando giù. Invece il grano è in salita, e il riso ha fatto il record», dice Joseph Malfeo, un anziano trader di origine italiana che si
sbraccia su una delle piattaforme che sorgono all'interno del "Pit", l'area riservata agli agenti di Borsa dove si
svolgono le contrattazioni. Il Pit è un salone
ottagonale di 3 mila metri quadrati, alla base di un maestoso edificio art déco che domina il Loop, la zona
degli affari nel centro della città. I muri sono fasciati da cartelloni
elettronici che forniscono i parametri del mercato e ricordano al mondo, ogni
giorno, che l'era dei prezzi bassi dei prodotti agricoli, durata trent'anni, è ormai finita.
Dall'inizio del 2007 il prezzo del riso è quasi triplicato, quello del grano è
raddoppiato, quello del granturco è salito del 50 per cento. Lassù, in un
angolo del soffitto, un grande schermo mostra in tempo reale le condizioni del
tempo nel mondo. In questo momento il cielo è sgombro di nubi su tutti gli
Stati Uniti, ma venerdì sera pioverà su alcune zone del Midwest
agricolo e lì sarà meglio non piantare granturco che soffre se il terreno è
umido: «Se nei prossimi giorni pioverà, aumenta la probabilità che invece del
granturco, che va seminato entro il 5 maggio, venga
piantata soia, che può aspettare fino al 10 giugno», osserva Pat Arbor, il principe degli
agenti di Borsa di Chicago, l'unico che sia stato presidente del Board of Trade per sei anni consecutivi, dal 1992 al 1997. Arbor spiega che l'analisi meteo è una delle variabili più
importanti nel determinare il comportamento degli investitori.
Quest'anno,
stando alle statistiche fornite dal ministero dell'Agricoltura, dovrebbe
crescere la produzione di soia e grano, mentre calerà
quella di granturco. Ma gli scherzi del tempo possono cambiare all'ultimo
momento gli orientamenti degli agricoltori, e le previsioni di chi investe nel settore. E quindi i
prezzi. Chiediamo a Pat Arbor
di spiegarci perché le merci agricole siano entrate in una fase di ebollizione che sta affamando milioni di persone nel
mondo, e lui elenca: «Primo: il governo americano si è imbarcato nel progetto
etanolo e così gli agricoltori vengono sovvenzionati
per produrre granturco che non è più destinato al mercato alimentare, ma a
quello energetico: una follia, perché per produrre etanolo si consuma più
energia di quanta se ne otÈ alla Borsa della
metropoli Usa che si domanda di cibo proteico da parte di Cina e India, e i
semi di soia e il granturco servono per gli allevamenti di bestiame. Terzo: un
tempo c'erano grandi aziende agricole, come la Ferruzzi,
che avevano un forte controllo del mercato, mentre
oggi sono arrivati i fondi pensione che investono fino al 4-5 per cento del
loro portafoglio in materie prime agricole, per non parlare di quelli di Dubai, di Singapore, di Hong Kong. E
questa pioggia di miliardi di dollari sul mercato alimentare crea instabilità
dei prezzi».
Oggi le regole del gioco sono cambiate, ripete ogni analista con cui parliamo. Sia perché nel mondo sta aumentando la popolazione
benestante che può acquistare cibo di qualità, sia perché investire in materie
prime è un modo per difendersi dall'inflazione: «Ora molta gente ha paura delle
banche, gli investimenti finanziari creano incertezza: c'è bisogno di cose
concrete», dice Arbor che si interrompe
per capire la ragione del nuovo brusio che si è diffuso nella sala. Basta
osservare dove sono diretti gli sguardi dei traders:
lassù, in un punto a metà cartellone, spicca il nuovo prezzo del dollaro, 1,597
rispetto all'euro. Crolla il dollaro e sale il barile di petrolio, un andamento
destinato a far salire ulteriormente i listini dei prodotti agricoli, perché il
petrolio alto da un lato fa crescere i costi di produzione, e dall'altro
trascina naturalmente la quotazione dell'etanolo e del biodiesel,
spingendo gli agricoltori a spostarsi verso il mercato dei combustibili e a
trascurare quello alimentare. Vic
Lespinasse, analista della Cytrade
Futures, aggiunge che l'anno scorso l'inatteso
aumento del prezzo del grano è stato trainato dalla siccità che è esplosa in
Australia e ha ridotto il raccolto del 50 per cento: «Mentre il mondo chiedeva
più grano, la produzione globale diminuiva», spiega: «Ma anche l'arrivo dei fondi sui mercati delle merci ha avuto
un ruolo non secondario negli aumenti: e non solo di grano, frumento e soia, ma
anche del petrolio, del carbone e dei metalli. I nuovi flussi finanziari hanno
fatto crescere la pressione sui prezzi».
Per farci capire che cosa significhi
"pressione sui prezzi" ci viene consegnata
una piccola guida statistica del Chicago Board of Trade,
secondo cui nel Pit ogni giorno vengono siglati un
milione e 300 mila contratti, uno ogni 15 millisecondi.
«Eppure tra cinque o dieci anni questo salone non ci
sarà più», prevede Pat Arbor:
«Ormai l'80 per cento degli affari si effettua sul
computer. Questo rende il meccanismo più veloce e aumenta la volatilità dei
prezzi. Non mi piace, io sono abituato al rapporto fisico che si vive qui sul
"floor" della Borsa, ma il futuro è la
tecnologia». Phil Gocke,
presidente della società finanziaria Brite-Sky,
aggiunge un dettaglio a queste analisi: secondo lui i fondi pensione e gli hedge funds che investono in
questo mercato per diversificare il loro portafoglio,
non avendo alcun interesse reale verso questo tipo di merci, si limitano a
incassare i futures quando i prezzi sono più alti:
«Per difendersi gli investitori puntano su oro, petrolio e prodotti agricoli,
il cui valore reale è indipendente dal dollaro». Alcuni analisti sostengono che
l'arrivo di molti investitori impauriti dalla bolla dei mutui subprime, che sta facendo perdere la casa a milioni di americani, potrebbe avere creato un'altra bolla nel
mercato delle merci, riducendo alla fame centinaia di milioni di persone nel
mondo. Giriamo la questione a Fred Seamon, giovane vice-direttore del
Chicago Mercantile Exchange (che l'anno corso ha incorporato il Board of
Trade).
Seamon risponde di non poter escludere l'esistenza di
una nuova bolla finanziaria nel settore delle merci alimentari: «Tuttavia esistono solidi argomenti per spiegare il recente
aumento dei prezzi: stiamo vivendo un periodo unico nella storia, in cui un
miliardo di persone passa dalla povertà al benessere e vuole cambiare la
propria alimentazione. E, in questa situazione di
passaggio, tra il 2000 e il 2007 c'è stato un solo anno in cui nel mondo si è
prodotto più frumento di quanto si sia consumato. Per due anni la domanda e
l'offerta sono andate in pareggio. E per ben cinque
anni abbiamo consumato più di quanto abbiamo prodotto, intaccando le scorte».
Negli ultimi anni numerosi esperti che ruotano intorno
al Chicago Board of Trade si sono chiesti se la
drammatica impennata dei prezzi possa essere spiegata almeno in parte con le
distorsioni del mercato. Il più citato sull'argomento è Scott
Irwin, un economista della University
of Illinois che al telefono ci conferma l'esistenza di queste distorsioni,
iniziate nel 2006, quando su questo mercato sono arrivati i fondi di
investimento. Allora si cominciò a notare che i contratti cash pagati agli
agricoltori e i futures su cui scommettevano gli
investitori non convergevano verso lo stesso valore, come invece avveniva in
passato.
Ma questa distorsione è piccola, circa il 3 per cento per la soia, e spiega
solo in minima parte il boom del prezzi. «Negli ultimi
sei mesi la causa più importante dell'aumento dei prezzi è l'arrivo di nuovi
investitori che puntano sulle merci dell'agricoltura per garantire i propri
capitali dal rischio inflazione», ripete l'economista. Chiediamo a Irwin se un uso maggiore del biotech in agricoltura potrebbe far aumentare la produzione
e abbassare i prezzi nel futuro prossimo: «Non esiste alcuna prova che il biotech faccia aumentare i
raccolti», risponde rilevando dati certo non graditi all'industria: «Negli
ultimi cinquant'anni la resa delle coltivazioni è
rimasta costante e non ha risentito dell'uso di sementi biotech.
La Monsanto dice il contrario, ma si sbaglia: secondo
i miei studi, nel caso della soia l'aumento rilevato in certi raccolti è da
attribuire alla buona stagione, non alla tecnologia». Vic
Lespinasse, che al Board of Trade è considerato uno dei grandi esperti di cereali,
prova così a prevedere che cosa accadrà nel futuro immediato: «Se avremo un tempo normalmente buono, nei prossimi due anni il
grano dovrebbe scendere un bel po'. Al contrario la soia e il granturco resteranno
dove sono per via dell'etanolo e del biodiesel. Ma se il tempo sarà brutto, saliranno ancora». Nel mondo non
ci sono sufficienti riserve per affrontare le emergenze e, se qualcosa va
storto, il gioco della tombola che ogni giorno si replica al
Chicago Board of Trade farà ulteriormente
schizzare gli indici e molta gente non avrà da mangiare.