Da “QUALENERGIA” dell’ 11 gennaio 2008
Inceneritori e nanopatologie
Un articolo del Dott. Stefano Montanari, direttore scientifico del
Laboratorio Nanotecnologie, che da
tempo compie studi sul microparticolato
prodotto anche da inceneritori. Minacce e irrazionalità dei cosiddetti termovalorizzatori.
Nell'attuale dibattito
sull'emergenza rifiuti in Campania e sulle varie opzioni
per la loro gestione, siamo andati a recuperare un articolo di Stefano
Montanari, Direttore Scientifico del Laboratorio Nanodiagnostics,
pubblicato per la newsletter Arpat News (= ARPA
Toscana) che risale ormai al luglio del 2006.
La chiarezza dell'esposizione sulle minacce alla salute delle persone che
vivono nei pressi degli incenitori a cause delle microparticelle prodotte dalla combustione, sull'inutilità
di questi impianti per un reale smaltimento dell'immondizia, sull'irrazionalità
di impianti che hanno bilanci energetici ridicoli,
rende questo articolo un vero "j'accuse"
nei confronti di chi continua a sostenere come unica soluzione al complesso
problema dei rifiuti la costruzione di decine di inceneritori (e non chiamamoli più termovalorizzatori)
nel nostro paese.
LB
11 gennaio 2008
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Inceneritori e Nanopatologie
di Stefano Montanari (Direttore Scientifico del laboratorio Nanodiagnostics)
Ormai non esiste più alcun dubbio a livello
scientifico: le micro- e nanoparticelle,
comunque prodotte, una volta che siano riuscite a penetrare nell'organismo
innescano tutta una serie di reazioni che possono tramutarsi in malattie. Le nanopatologie, appunto.
Se è vero che le manifestazioni patologiche più comuni
sono forme tumorali, è altrettanto vero che malformazioni fetali, malattie
infiammatorie, allergiche e perfino neurologiche sono tutt'altro
che rare. A prova di questo, basta osservare ciò che accade ai reduci, militari
o civili che siano, delle guerre del Golfo o dei Balcani o a chi sia scampato al crollo delle Torri Gemelle
di New York e di quel crollo ha inalato le polveri.
"Comunque prodotte", ho scritto sopra a proposito di queste
particelle che sono inorganiche, non biodegradabili e non biocompatibili.
E l'ultimo aggettivo è sinonimo di patogenico.
Il fatto, poi, che siano anche non biodegradabili,
vale a dire che l'organismo non possieda meccanismi per trasformarle in
qualcosa di eliminabile, rende l'innesco per la malattia "eterno",
dove l'aggettivo eterno va inteso secondo la durata della vita umana.
Le particelle di cui si è detto hanno dimensioni piccolissime, da qualche
centesimo di millimetro fino a pochi milionesimi di millimetro, e più queste
sono piccole, più la loro capacità di penetrare intimamente nei tessuti è
spiccata; tanto spiccata da riuscire perfino, in alcune circostanze e al di sotto di dimensioni inferiori al micron (un millesimo
di m millimetro), a penetrare nel nucleo delle cellule senza ledere la membrana
che le avvolge. Come questo accada sarà il tema di un incipiente progetto di
ricerca europeo che vedrà coinvolto come coordinatore il nostro gruppo.
Se è vero che la natura è una produttrice di queste polveri, e i vulcani ne
sono un esempio, è pure vero che le polveri di origine
naturale costituiscono una frazione minoritaria del totale che oggi si trova
sia in atmosfera (atmosfera significa ciò che respiriamo) sia depositato al
suolo, ed è pure vero che la loro granulometria media
è, tutto sommato, relativamente grossolana.
È l'uomo il grande produttore di particolato,
soprattutto quello più fine. Questo perché la tecnologia moderna è riuscita ad
ottenere a buon mercato temperature molto elevate a
cui eseguire le più svariate operazioni, e, in linea generale e a parità di
materiale bruciato, più elevata è la temperatura alla quale un processo di
combustione avviene, minore è la dimensione delle particelle che ne derivano. A
questo proposito, occorre anche tenere conto del fatto che ogni processo di
combustione, nessuno escluso, produce particolato, sia esso primario o
secondario. Per particolato primario s'intende quello che nasce direttamente
nel crogiolo, per secondario, invece, quello che origina dalla reazione tra i
gas esalati dalla combustione (tra gli altri, ossidi di azoto
e di zolfo) e la luce, il vapor d'acqua e i composti principalmente organici
che si trovano in atmosfera.
Al momento attuale, la legge prescrive che l'inquinamento particolato dell'aria
sia valutato determinando la concentrazione di particelle che abbiano un
diametro aerodinamico medio di 10 micron - le ormai famose PM10 - e prescrive
che la valutazione avvenga per massa. Nulla si dice ancora, invece, a proposito
delle polveri più sottili: le PM2,5 (cioè particelle
con un diametro aerodinamico medio di 2,5 micron), le PM1 (diametro da 1
micron) e le PM0,1 (diametro da 0,1 micron). Sono proprio quelle le polveri
realmente patogene, con una patogenicità che cresce
in modo quasi esponenziale con il diminuire del diametro. E
per avere un'idea degli effetti sulla salute di queste poveri occorre che le
particelle siano non pesate ma classificate per dimensione e contate. Dal punto
di vista pratico, la massa di una particella da 10 micron corrisponde a quella
di 64 particelle da 2,5 micron, oppure di 1.000 da un micron, oppure, ancora, a
quella di 1.000.000 di particelle da 0,1 micron. Perciò,
valutare il particolato in massa e non per numero e dimensione delle particelle
non dà indicazioni utili dal punto di vista sanitario e può, anzi, essere
fuorviante.
Venendo al problema dell'inquinamento da rifiuti, è ovvio che questi debbano,
in qualche modo, essere smaltiti.
A questo punto, è necessario ricordare la cosiddetta legge di Lavoisier o della conservazione della massa. Questa recita che in una reazione chimica la massa delle sostanze
reagenti è uguale alla massa dei prodotti di reazione. Il che significa
che, secondo le leggi che regolano l'universo, noi riusciamo solo a trasformare
le sostanze, ma non ad annullarne la massa.
Ciò che avviene quando s'inceneriscono i rifiuti, dunque, altro non è se non la
loro trasformazione in qualcosa d'altro, e questa trasformazione è ottenuta
tramite l'applicazione di energia sotto forma di
calore.
Stante tutto ciò che ho scritto sopra e che è notissimo sia tra gli scienziati
sia tra gli studenti delle scuole medie, se noi bruciamo l'immondizia, altro
non facciamo se non trasformarla in particelle tanto
piccole da farle scomparire alla vista e, con i cosiddetti "termovalorizzatori" - una parola che esiste solo in
Italiano e che evoca l'idea ingenuamente falsa che si ricavi valore economico dall'operazione
- la trasformazione produce particelle ancora più minute e, dunque, più
tossiche.
Malauguratamente, non esiste alcun tipo di filtro industriale capace di
bloccare il particolato da 2,5 micron o inferiore a questo, ma, dal punto di
vista dei calcoli che si fanno in base alle leggi vigenti, questo ha ben poca
importanza: il "termovalorizzatore" produce pochissimo PM10
(peraltro, la legge sugl'inceneritori prescrive ancora la ricerca delle
cosiddette polveri totali ed è, perciò, ancora più arretrata) e la quantità
enorme di altro particolato non rientra nelle valutazioni. Ragion per cui, a
norma di legge l'aria è pulita. Ancora malauguratamente, tuttavia, l'organismo
non si cura delle leggi e le patologie da polveri sottili (le PM10 sono tecnicamente
polveri grossolane), un tempo ignorate ma ora sempre più conosciute, sono in costante aumento. Tra queste, le malformazioni fetali e i
tumori infantili.
Tornando ala legge di Lavoisier,
uno dei problemi di cui tener conto nell'incenerimento dei rifiuti è la
quantità di residuo che si ottiene. Poiché nel processo d'incenerimento occorre
aggiungere all'immondizia calce viva e una rilevante quantità d'acqua, da una
tonnellata di rifiuti bruciata escono una tonnellata di fumi, da
Affermare, poi, che incenerire i rifiuti significa non ricorrere più alle
discariche è un ulteriore falso, dato che le ceneri
vanno "smaltite" per legge (decreto Ronchi) in discariche per rifiuti
tossici speciali di tipo B1.
Si mediti, poi, anche sul fatto che l'incenerimento comporta il mancato
riciclaggio di materiali come plastiche, carta e legno. I "termovalorizzatori" devono funzionare ad alta
temperatura e, per questo, hanno bisogno di quei materiali che possiedono
un'alta capacità calorifica, vale a dire proprio le plastiche, la carta e il
legno che potrebbero e dovrebbero essere oggetto di tutt'altro
che difficile riciclaggio.
Tralascio qui del tutto il problema economico perché non rientra nell'argomento
specifico, ma il bilancio energetico è fallimentare e, se non ci fossero le
tasse dei cittadini a sostenere questa forma di trattamento dei rifiuti, a
nessuno verrebbe mai l'idea di costruire impianti così
irrazionali.
Rimandando per un trattamento esaustivo dell'argomento ai
numerosi testi che lo descrivono compiutamente, compresi i siti Internet
dell'ARPA e di varie AUSL, la conclusione che qualunque scienziato non può che
trarre è che incenerire i rifiuti è una pratica che non si regge su alcun
razionale. Ma, al di là della scienza, il sensus communis del buon padre di
famiglia che per i Romani era legge può costituire un'ottima guida. Usare i
cosiddetti "termovalorizzatori"
spacciandoli per un miglioramento tecnico, poi, non fa che peggiorare la
situazione dal punto di vista del nanopatologo,
ricorrendo questi a temperature più elevate.
Perciò, una pratica simile non può essere in alcun modo presa in considerazione
come alternativa per la soluzione del problema legato
allo smaltimento dei rifiuti, se non altro perché i rifiuti non vengono affatto
smaltiti ma raddoppiati come massa e resi incomparabilmente più nocivi.
3 luglio 2006
(fonte: Laboratorio Nanonotecnologie e Arpat News)